Lucius Etruscus
True Marlowe e il Re in Giallo
Crediti
Collana: Le indagini di Marlowe, non “quel” Marlowe Prima edizione digitale: giugno 2015
In copertina: elaborazione grafica dell’autore
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Questa è una storia di pura finzione, quindi ogni riferimento a persone realmente esistenti è del tutto casuale e non voluto. Luoghi e nomi, quand’anche fossero realmente esistenti, sono stati piegati ai fini narrativi e perciò slegati da qualsiasi pretesa di veridicità.
Trama
La realtà nasce sempre dalla fantasia, e quando l’investigatore bibliofilo Marlowe è testimone di un delitto troppo “citazionista”, decide di battersi perché la verità venga a galla: un innocente è stato accusato di omicidio semplicemente perché... una citazione non è stata capita! Inizia un’indagine che porterà Marlowe a visitare le stelle nere del collezionismo librario, dove per completare una collezione si può anche uccidere, seguendo la scia di un libro che solo lui considera la chiave per sciogliere l’enigma: “Il Re in Giallo” di Robert W. Chambers.
L’autore
Lucius Etruscus è vice-curatore di ThrillerMagazine e redattore di SherlockMagazine, gestore del database “Gli Archivi di Uruk” e di vari altri blog, come “Fumetti Etruschi” (recensioni di fumetti di ogni genere), “Il Zinefilo” (dedicato al cinema di serie Z), il “CitaScacchi” (citazioni scacchistiche da ogni forma di comunicazione) ed altri ancora. Scrive saggi su riviste on line, ha partecipato (sia come giuria che come autore) al romanzo corale “Chi ha ucciso Carlo Lucarelli?” (Bacchilega Editore) e su ThrillerMagazine ha raccontato le indagini del detective bibliofilo Marlowe... non “quel” Marlowe, i cui retroscena (ed altro ancora) sono narrati nel blog “NonQuelMarlowe”.
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Geremia, il Golem e Ruby Sparks. La Parola Creatrice scritta Dieci contro mille. Il grande cinema di assedio La Falsa Novella. Viaggio tra i falsi vangeli inventati dai romanzieri Tradurre l’incubo. Da Shakespeare a Goethe Lupin contro Holmes. Scontro fra titani del pulp Mistero Shakespeare. Analisi inedita di un mistero inestricabile Spaghetti Marziali. Quando gli italiani inventarono il kung fu western
True Marlowe e il Re in Giallo
«Prego Iddio perché maledica l’autore, così come l’autore ha maledetto il mondo con la sua creazione bellissima e tremenda, terribile nella sua semplicità, irresistibile nella sua verità... un mondo che ora tremava al cospetto del Re in Giallo.»
Robert W. Chambers “Il riparatore di reputazioni” (da Il Re in Giallo, 1895) Traduzione di Cesare Gavioli (1975)
1
«Il mio nome è Marlowe. No, non quel Marlowe.» «Le abbiamo già preso le generalità, non c’è bisogno di ripetere il suo nome.» Non c’è tono di rimprovero nella sua voce, sembra aver voluto sottolineare l’ovvio senza particolare trasporto, con lo stesso tono con cui si correggerebbe un bambino. La mia impressione è che sia un brav’uomo, e visto che non ricordo assolutamente il nome con cui mi si è presentato lo chiamerò Agente Buono. Probabilmente mi avrà anche specificato la qualifica all’interno delle forze di polizia, la sua e quella del collega che gli siede accanto, ma anche quella informazione è uscita dalla mia mente un secondo dopo averla sentita, per cui confermo il semplice “agente”. «Stiamo indagando sui recenti avvenimenti che l’hanno vista protagonista, signor Marlowe» continua l’Agente Buono. «Vorremmo che ci raccontasse la sua versione dei fatti approfondendo la testimonianza che ha già rilasciato, cercando di non omettere alcun particolare, anche quello che dovesse ritenere ininfluente ai fini delle indagini.» Pazzo! Non sa cosa sta facendo: potrei are il resto della mia vita a raccontare particolari ininfluenti ai fini delle indagini. Potrei rimanere a vivere qui in centrale e fondare la mia scuola filosofica, basata su particolari ininfluenti ai fini delle indagini. Già mi vengono in mente mille roboanti e inutili aneddoti con cui are ore rilassanti in compagnia dei miei due nuovi amici agenti di polizia, che mi fissano seri, solo che la narrativa di genere ci ha insegnato che ad ogni poliziotto buono ne corrisponde uno cattivo, o presunto tale: se quello che mi sta parlando con tono privo di astio è l’Agente Buono, quello che gli sta accanto e mi fissa in silenzio è quello Cattivo? C’è solo un modo per scoprirlo... «Prima di iniziare, posso avere una sigaretta da fumare per un tempo immotivatamente lungo ed emettendo sgradevoli e prolungati risucchi con la bocca? In TV ho visto che è l’ultima moda.» L’agente silenzioso non si alza a picchiarmi, quindi decido che non è poi così
cattivo: per ora lo chiamerò Agente Silenzioso. A rispondere è ovviamente il mio nuovo amico Buono. «Non si può fumare, qui.» È stato diplomatico, ha evitato di specificare che quand’anche si potesse fumare lo stesso non mi erebbe una sigaretta: è davvero un bonaccione. «Meglio» riparto all’attacco, «perché tanto non fumo. Posso invece avere una bibita in lattina e un paio di forbici?» I due agenti mi fissano immobili, e visto che nessuno mi dà l’attacco per la battuta, devo continuare da solo. «Le forbici mi servono perché, una volta bevuta la bibita, ò la lattina per ritagliare degli omini di alluminio. Uh» li fisso accigliato. «Sono di alluminio le lattine? Qualcuno può andare a controllare su Wikipedia?» «Signor Marlowe, perché sta avanzando richieste così strane, che ovviamente non possiamo soddisfare?» Buono non ha messo una sola briciola di disprezzo nel tono di voce: ha una pazienza ammirevole. «Sono un investigatore privato» rispondo, «e quindi devo darmi un tono da misterioso e anticonvenzionale: la TV mi ha educato così.» «È questo il suo impiego ufficiale: investigatore privato.» Curioso che sia un’affermazione e non una domanda, come a dire “so il lavoro che fai ma mi sembra stupido, così lo ripeto ad alta voce per vedere se hai il coraggio di ammetterlo”. «Non sono un semplice investigatore» sottolineo, «sono un investigatore bibliofilo: semplificando, posso dire che indago nel mondo dei libri.» Non voglio spiegare troppo, aspetto qualche domanda stupida per regolarmi e, nel caso, piazzare una delle mie celebri battute dall’umorismo deflagrante. «Indaga nel mondo dei libri.» Ecco, il vizio dell’Agente Buono di fare affermazioni e non domande mi ha rovinato la possibilità di fare battute. «L’Italia è il paese perfetto per il mio lavoro» rispondo ad una domanda non posta. «Siamo un popolo di scrittori e di collezionisti, quindi ci sarà sempre chi nasconde la propria colpevolezza in ciò che scrive e chi è disposto a qualsiasi cosa pur di trovare edizioni rare. Visto poi che solo uno sparuto numero di italiani legge abitualmente, non devo temere concorrenza.» «Davvero curiosa come professione» dice l’Agente Buono, anche se inizio a sospettare che sia meno buono di quanto sembri. «È stato quindi per indagini
librarie che è venuto in contatto con il signor Antonio Berrini?» «Con chi?» Buono mi fissa per qualche secondo e deve capire che questo è uno dei rari momenti in cui sono sincero: se lo goda, perché non mi capita spesso di esserlo. China leggermente il capo e scorre velocemente i suoi appunti. «Immagino che lo conosca con il suo nome d’arte: Varo Borja.» «Ah, me lo sentivo che non poteva essere un nome vero» dico facendo schioccare le dita in aria. «È un collezionista molto eccentrico e non mi stupisce abbia preferito adottare un nome decisamente più affascinante rispetto ad un fiacco “Antonio”.» Mi immobilizzo per un secondo, folgorato dal sospetto di aver commesso una gaffe: e se uno di questi agenti si chiama Antonio? Chi se lo ricorda? «Sebbene sia un gran bel nome, Antonio: basti pensare a...» Maledizione, non mi viene in mente neanche un nome famoso... «Dunque, signor Marlowe, lei ammette che...» «Antonio e Cleopatra!» grido di scatto, agitando le mani in aria. Poi faccio il gesto di asciugarmi la fronte. «Certo però che è meno comune di quel che pensassi. Ti credo che poi uno sceglie Varo Borja.» Ops, sono ricaduto nella stessa gaffe? «Senza nulla togliere ad Antonio, che...» «La prego, abbiamo capito» mi interrompe finalmente l’Agente Buono. «Quindi ammette di aver conosciuto il collezionista Varo Borja prima degli eventi in questione?» «Certamente. Di fama lo conoscevo da molto tempo, tanto da credere che Arturo Pérez-Reverte si fosse ispirato a lui per il suo personaggio.» Aspetto qualche istante ma gli occhi vacui davanti a me non hanno alcun tipo di reazione. «Avete presente il romanzo spagnolo Il Club Dumas? C’è un personaggio di collezionista “satanico” che si chiama Varo Borja... Ci hanno fatto anche un film, La nona porta... Però lì si chiama Boris Balkan...» Bah, parole al vento. «Come dicevo, ero convinto che Pérez-Reverte avesse copiato il nome di Varo Borja ispirandosi a un collezionista molto famoso, invece ora scopro che è stato il nostro buon Antonio a scegliersi uno pseudonimo prendendolo dal romanzo spagnolo: la precessione dei simulacri non sbaglia mai, l’immagine precede sempre il reale e la finzione precede sempre la realtà. Comunque, al di là della sua fama, due o tre anni fa mi è capitato di conoscere Borja anche di persona,
quando mi ha contattato per un lavoro.» «Un collezionista di fama mondiale... che chiama lei per un lavoro.» Scopro che le domande poste in forma di affermazione mi urtano i nervi più di qualsiasi altra cosa che mi urti i nervi. E tante cose mi urtano i nervi. «Immagino che sia un suo modo simpatico per sottolineare la mia nullità in confronto alla fama del grande Varo Borja, ma devo deluderla: più sono grandi, più hanno bisogno dei piccoli.» Lo indico stancamente con un dito. «Se lei fosse un personaggio molto in vista e volesse fare una porcheria, chi chiamerebbe: un professionista famoso o una nullità come me?» L’Agente Buono mi fissa senza alcuna espressione. «Varo Borja l’ha dunque contattata per una “porcheria”?» «Ah, allora lo sa usare un punto interrogativo!» esclamo divertito, prima di rendermi conto che forse ho detto più di quanto avrei dovuto: certe battute sarebbe meglio limitarsi a pensarle. «Comunque è tutta roba successa molti mesi fa, finita ormai in prescrizione.» «No, se i fatti si sono svolti mesi fa non c’è alcuna prescrizione.» Tipo tenace, eh? «Stia tranquillo, non c’è stata alcuna azione illegale, solamente alcuni amici che si sono divertiti a rubare un libro preziosissimo: si è detta qualche battuta, si è rubato, si è truffato, qualcuno ha sparato e c’è scappato il morto. Insomma, niente di che.» «Signor Marlowe, si rende conto della gravità di ciò che sta dicendo? Sta confessando un omicidio di cui sarebbe stato testimone?» Sbuffo. «C’è già stato il processo, per quel caso, vada in archivio e cerchi Quella sporca mezza dozzina e saprà tutto del mio primo incontro con Varo Borja.» Finalmente sto riuscendo a smuovere la patina di indifferenza dell’Agente Buono. «Non è nostra abitudine dare alle indagini dei titoli come se fossero dei racconti polizieschi semi-seri...» Agito le mani in aria. «Sto cercando di dirle che quello è un caso su cui la polizia ha già indagato ed è ormai chiuso. Malgrado all’epoca Varo Borja non abbia ottenuto da me ciò che voleva, gli dev’essere comunque rimasto un buon ricordo
della mia professionalità, perché qualche tempo fa mi ha chiamato di nuovo per un ingaggio.» «Un’altra “porcheria”?» mi chiede il mio amico Buono, che sembra finalmente aver trovato i punti interrogativi che aveva perso. «Le sembrerà strano, ma stavolta no: ha chiesto semplicemente se potevo trovargli una particolare Bibbia spagnola del Cinquecento, la prima ad essere stata tradotta in quella lingua. Non rientrerebbe nelle mie mansioni, non sono un cacciatore di libri, ma visto che Borja ha soldi che gli escono dalle orecchie ho pensato che avrei potuto fare un’eccezione, dietro lauto compenso: i miei princìpi sono così ferrei che non si rovinano certo ad essere piegati dai soldi. Venti giorni dopo l’ho contattato per avvertire che avevo il libro che cercava...» «Venti giorni?» Sia io che l’Agente Buono saltiamo sulla sedia: a parlare è stato l’Agente Silenzioso, per cui ora dovrò trovare un altro soprannome. L’Agente Che Era Silenzioso Poi D’Un Tratto Parla... mmm, suona male. «Ha trovato una Bibbia del Cinquecento in soli venti giorni?» Lo guardo divertito. «No, l’ho trovata in dieci minuti: il tempo restante è servito alle poste per consegnarmela.» «Che vuol dire?» mi chiede l’Agente Precedentemente Noto Come Silenzioso (nome provvisorio). «Che il servizio postale non sempre eccelle in velocità» rispondo divertito. L’Agente ex Silenzioso (nome più stringato) grugnisce leggermente. «Sa benissimo che non intendevo questo.» Sghignazzo. «La Biblia del Oso, il libro antico che Borja cercava, l’ho trovata subito su Abebooks punto it: il tempo di comprarla, addebitare il costo di 75 mila euro sul conto che il collezionista mi aveva fornito, farla arrivare per posta e il gioco è fatto.» Strizzo l’occhio. «I veri cacciatori di libri non lavorano così, ma ve l’ho detto: io non lo sono.» «Ma scusi» insiste il Silenzioso Chiacchierone (nuova variante del nome), «questo Borja non poteva comprarsela da solo on line questa Bibbia?» Sghignazzo ancora. «I ricchi collezionisti non frequentano la Rete, sarebbe una
macchia troppo vergognosa nella loro reputazione. È una categoria che crede ancora ai manoscritti trovati in antichi monasteri, non considererebbe mai di valore qualcosa acquistato on line. Borja non è stupido, probabilmente sa benissimo di Abebooks ma non poteva sporcarsi le mani in prima persona, così ha preferito pagare me per fare qualcosa che nel suo mondo è una vergogna: in fondo, se ci pensate, è una specie di “porcheria” anche questa.» «Stiamo divagando» interviene Buono, «concentriamoci sulla sera del 31 ottobre scorso.» A quanto pare ha perso di nuovo i punti interrogativi. Cambio posizione sulla sedia e sbuffo lentamente e platealmente come se stessi fumando una sigaretta immaginaria. «Non abbiamo affatto divagato, perché quella sera mi presentai a casa di Varo Borja con la Bibbia spagnola sotto il braccio.»
2
Era una serata calda per essere fine ottobre. Mi ripetevo questa frase perché sarebbe stato l’unico argomento di conversazione che potessi sperare di avere. Non sono un tipo di compagnia e non amo particolarmente le feste, così non gradii per nulla l’invito di Varo Borja a quella festa di Halloween in casa sua. Provai più volte a convincerlo che potevo consegnargli la Biblia del Oso in qualsiasi altro momento, ma il collezionista fu inamovibile: aveva organizzato una festa in grande stile e voleva arla con amici e collaboratori. Credo abbia anche aggiunto qualcosa sul dimostrarsi magnanimo per rispondere ad accuse di misoginia ed eremitismo, ma a quel punto non lo stavo già più ad ascoltare. Così quel 31 di ottobre, avvolto nel mio solito spolverino da due soldi e con in testa il mio cappello delle grandi occasioni (cioè l’unico cappello che ho), mi presentai al cancello della villa di Borja con un piano ben preciso in mente: ampio sorriso falso stampato sul volto, strette di mano flaccide, considerazioni sulla serata calda per essere fine ottobre, piazzare il libro, ritirare il mio compenso e poi via di corsa verso nuove avventure. Come sapete, purtroppo non è andata così. Il domestico che mi ha aperto mi ha fulminato con gli occhi ed è rimasto per alcuni secondi interdetto: ero un riccone travestito da pezzente o un pezzente vero? Decisi di giocare di anticipo. «Ehi, bello il tuo costume da cameriere: ti piace il mio, da investigatore privato di bassa lega?» «Desidera?» mi chiese vistosamente seccato: temo fosse più un maggiordomo che un cameriere, ma ignoro la nomenclatura del personale di servizio quindi avrei sbagliato in ogni caso. «Sono stato invitato dal grande Varo Borja, e gli porto questo regalo speciale.» Sottolineai la parola “regalo” battendo con la mano il pacco che tenevo sotto il braccio. Lo confesso, un professionista migliore di me avrebbe usato particolari protezioni per una rarissima Bibbia del 1569, io invece mi ero presentato alla porta con il volume avvolto nella carta di giornale. Credo che il maggiordomo mi abbia scambiato per lo spacciatore privato del suo capo, comunque mi fece
accomodare e tanto bastò. «Serata calda per essere fine ottobre» dissi appena entrato, per stupire il maggiordomo con la mia arguta dialettica. Non mi rispose neanche e sparì dalla mia vista. Ne approfittai per raggiungere la grande sala da cui arrivava un baccano infernale: Borja aveva parlato di “colleghi”, ma dubito che quegli scalmanati che dimenavano i loro corpi al ritmo di pessima musica fossero dei ricchi collezionisti. Decisi che non valeva la pena indagare oltre e cercai un angolo dove il rumore fosse leggermente inferiore. Molti mi fecero l’occhiolino e ricevetti dei complimenti per il mio costume da clochard: ringraziai ogni volta senza stare a specificare che ero vestito come ogni altro giorno della mia vita. Finalmente trovai un crocicchio di invitati poco rumorosi e mi avvicinai a loro. Troppo tardi mi resi conto che il poco rumore deriva dal fatto che erano tutti assorti ad ascoltare la forma di vita inferiore che non può mancare in una festa: il buffone. C’è sempre il simpaticone che si impegna a far ridere per forza gli invitati, un clown malriuscito che dà fondo ad ogni umana conoscenza in fatto di umorismo per strappare inutili risate di circostanza. Quando mi accorsi che ero finito in un circolo di Adoratori di Buffoni volevo scappare via ma ormai non potevo più: se cercando di andarmene avessi attirato su di me l’attenzione sarei stato vittima di battutine e prese in giro da parte del tizio. Era un uomo alto, di età indefinibile, che si stava sbracciando in una strana e zoppicante imitazione di Napoleone. Il tempo di chiedermi perché una persona alta cercasse di imitare un personaggio notoriamente basso, e sentii qualcuno dire estasiato «Fai Charlot, fai Charlot!» Strinsi gli occhi e gemetti dentro di me: se c’è qualcosa di peggio del buffone della festa... è il buffone a comando. Il tizio smise immediatamente di fare Napoleone e iniziò a storcere le labbra come se avesse dei baffetti. Poi si lanciò nell’imitazione delle celebri mossette di Chaplin, fomentato dall’entusiasmo del pubblico. «Fai Capitan Uncino» chiese qualcuno, e via un’altra imitazione. E poi un’altra. E poi un’altra. Dovevo interrompere quello spettacolo ridicolo, almeno il tempo necessario per poter sgattaiolare via. Così attesi un secondo in cui nessuno parlava e, mentre il buffone guardava da un’altra parte, dissi con voce secca: «Fa’ Marlowe.»
Il tizio si immobilizzò e si girò lentamente, senza comunque capire da dove fosse arrivata la mia voce. «Ah, questa è una sfida!» disse puntando il dito in cielo, poi si tirò su il bavero del vestito, si strinse nelle spalle e cominciò a fare lo sguardo da duro. «Non ho mai conosciuto una donna che non capisse il significato di una sberla sul muso» cominciò a bofonchiare stringendo le labbra per fare la voce “tosta”. Mentre procedeva questa imbarazzante imitazione marlowiana – peraltro errata, visto che stava citando il Bogart di Woody Allen – il tizio si girava intorno in una ridicola camminata rigida da hardboiled, finché casualmente incrociò il mio sguardo. Scossi la testa e gli dissi: «No, non quel Marlowe...»
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«Non le sembra un po’... come dire... artificiosa, come storia?» Sorrido all’Agente Buono. «Io la ricordo così.» «Ma dai, è Amadeus» sbotta a ridere l’Agente Silenzioso, che sta parlando parecchio per il suo nomignolo. Quando il suo collega si volta con sguardo interrogativo, Silenzioso continua. «Quando vede che Mozart sta imitando i vari musicisti, Salieri di nascosto dice “Fa’ Salieri” e assiste alla propria presa in giro meditando vendetta: è un classico del cinema.» «Così non va bene, amici miei» intervengo prima che il Buono possa dire qualcosa. «Le regole sono chiare: quando un protagonista racconta la sua storia, rubando vergognosamente a ogni fonte di cui abbia memoria, gli spettatori non devono capire le citazioni e pensare che sia un racconto originale e geniale. Così ci ha insegnato la TV, così è dunque la vita.» «Signor Marlowe, la prego di attenersi ai fatti ed evitare altre... citazioni.» Ha pronunciato l’ultima parola con evidente ribrezzo: povero Agente Buono, cosa gli tocca sopportare. «Vede?» gli dico sorridendo. «Quando si capisce che è una citazione non piace: quando si pensa che sia qualcosa di originale ci si scioglie in complimenti: per questo, come diceva T.S. Eliot, il mediocre imita ma il genio ruba.» «La prego» sbotta il mio nuovo amico, sottolineando il “prego” con un grido trattenuto. «Torniamo a quella notte del 31 ottobre...»
4
L’aver imitato Marlowe segnò la fine del teatrino del buffone, così il gruppetto di persone in cui mi ero ritrovato si sciolse e potei proseguire a cercare il padrone di casa. Nel frattempo ne approfittai per ingozzarmi di qualsiasi oggetto commestibile riuscissi a raggiungere, pulendomi le dita oleose sulla carta di giornale che avvolgeva la Bibbia spagnola sotto il mio braccio e sperando che l’unto non raggiungesse il testo. Non è che lo fi per sbadataggine, è che sentivo che Borja si meritava una piccola vendetta per avermi costretto a partecipare a quella festicciola insopportabile. Chiesi a un paio di pirati gay se avessero visto il padrone di casa: non so se “pirata gay” sia il nome esatto del costume che indossavano, ma l’eccessivo trucco sul viso e gli orecchini mi avevano dato quell’impressione. Mi indicarono una stanza e, affacciandomi alla porta aperta, vi trovai dentro Varo Borja in persona. Dava le spalle alla porta e parlava al cellulare. Continuava a ripetere seccato cose tipo “non lo so”, “non dipende da me” e via dicendo. Visto che non sembrava voler dire qualcosa di più intrigante che potessi origliare, decisi di bussare così da attirare la sua attenzione: a che serve spiare qualcuno che non dice nulla di compromettente? Appena si girò, il collezionista mi guardò come se fossi la persona più attesa del momento, come se fossi un amico tornato a trovarlo dopo tanto tempo: come dicevo, fare favori ai ricconi ha sempre il suo bel tornaconto. «Devo salutarti» cominciò a dire velocemente al telefono, «comunque per il resto... vieni quando vuoi.» Chiuse la comunicazione e mi salutò con le braccia aperte. «Arriva giusto in tempo, Marlowe: mi ha dato la scusa per interrompere la conversazione con uno scocciatore. I collezionisti di libri sono tutti dei gran seccatori», e si lanciò in una risata grassa. «Vedo che ha portato la Biblia del Oso: gliene sono grato.» Io intanto ero entrato nel lussuoso studio di Borja, pieno di roba costosa messa in bella vista perché chiunque entrasse fosse ben informato che il proprietario era
molto ricco. C’erano anche alcune vetrinette con dei libri dall’aspetto molto antico: dubito che saranno stati i pezzi migliori della collezione di Borja, più facile fossero quelli più pittoreschi, quelli da mostrare agli ospiti per far capire quanto fosse ricco il proprietario. «Non sa che fatica ho dovuto fare per trovare questo libro rarissimo» mentii bassamente, senza neanche troppa convinzione: sapevamo entrambi che non era vero, ma dovevo fare la mia parte. «Non mi lamento, però: tutto, per il mio collezionista preferito.» Borja sorrise come uno squalo: era beato dalla mia ridicola messinscena. Ai potenti piace che li si tratti da potenti. «Le assicuro che il sentimento è ricambiato, Marlowe: lei è il mio investigatore bibliofilo preferito.» Bella frecciatina, visto che sono l’unico in circolazione... Finite le buffonate, afferrai la Bibbia spagnola da sotto il mio braccio e gliela agitai davanti. «Che ne dice se sistemiamo la questione?» Sperai si capisse che la domanda vera era “Allora, quando cacci la grana che mi devi? ” «Non c’è fretta, amico mio» mi rispose il collezionista sempre sorridente. «Si goda la festa senza problemi: lasci pure qui il libro, così non le dà fastidio.» Risi di gusto, in faccia a Borja. «Lei è un mattacchione, a pensare che le lascerò il libro senza avere subito in mano un assegno o dei contanti.» Infilai di nuovo la Bibbia sotto il braccio. «Torno alla festa, allora, sperando di non versare altro liquore sul pacco: non vorrei che si rovinasse questo volume così antico...» Finalmente riuscii a smorzare il suo sorriso maligno. «No, la prego, non è il caso di rovinare l’opera di Casiodoro de Reina. Ecco, le preparo subito un assegno.» E si andò a sedere alla sua scrivania. Visto che tirò fuori il libretto degli assegni, mi avvicinai e cominciai a togliere la carta di giornale. «La protezione speciale non gliela faccio pagare, è un mio simpatico omaggio» gli dissi sghignazzando. Posai il pesante volume sulla scrivania ma non tolsi la mano finché non ricevetti l’assegno da Borja. «Che diffidente che è lei, Marlowe: non la ricordavo così.» Afferrai l’assegno e lo infilai subito in tasca. «La memoria fa brutti scherzi. Grazie dell’invito, è una festa splendida ed è una serata calda per essere fine
ottobre, ma ora devo proprio andare.» «No, aspetti!» esplose il collezionista: una reazione davvero esagerata. «Si trattenga ancora un po’, la prego...» Lo fissai per qualche istante, dubbioso. «Come mai è così ansioso di avermi ospite, Borja? Ha la villa piena di gente, tutti pronti a leccarle i piedi in ogni maniera: che se ne fa di uno come me? Già glieli ho leccati i piedi...» Borja si alzò sorridendo. «Proprio perché ho la casa piena di gente ho bisogno di lei. Vede, immagino che lei sappia quanto possano essere violente le contese librarie tra collezionisti: qualche tempo fa è stato testimone diretto di un evento increscioso che mi ha visto protagonista.» Annuii: altro che testimone, ero stato una vera e propria vittima, ma non valeva la pena stare a rivangare. «Ecco, ultimamente ho fatto un acquisto fortunato sottraendo alcuni libri di valore ad un collezionista che non mi ha mai avuto in simpatia: il celebre bibliofilo Leoni, lo conosce? Temo che questo mio rivale possa aver deciso di giocarmi un brutto scherzo, approfittando della festa in maschera per intrufolarsi di nascosto in casa mia.» «Con tutti i nemici che ha lei, Borja, dare una festa in maschera in casa sua non è stata una grande idea.» Annuì mentre mi accompagnava fuori dalla porta. «Purtroppo avevo fissato la festa prima di scontentare quel mio rivale, e se l’avessi annullata avrei dato prova di paura o di vigliaccheria: qualcosa che nel mio ambiente non posso permettermi.» Sollevai le spalle. «Non capisco come posso aiutarla io in questa faccenda.» «Vede, Marlowe, mi basterebbe che lei rimanesse qui, alla festa, e desse un’occhiata in giro. Nessuno la conosce, lei è fuori dal giro, così nessuno si sentirà in dovere di nascondersi da lei.» Visto che ammo davanti a un vassoio pieno di pizzette, ne approfittai per riempirmi velocemente la bocca. «E se anche vedessi qualcosa, cosa potrei fare?» chiesi sputacchiando in ogni dove. «Intanto potrebbe venire subito ad avvertirmi» rispose Borja pulendosi la giacca elegante che gli avevo appena macchiato. «Poi penserò io al da farsi. Su, non si
faccia pregare, Marlowe, non le sto chiedendo chissà quale sacrificio: deve solo festeggiare Halloween con i miei ospiti e dare un’occhiata in giro. Saprò pagare bene per il suo disturbo.» Deglutii sonoramente le pizzette e annuii. «E va bene, lei sa sempre come convincermi.» «Perfetto!» esultò esageratamente il collezionista. «Ora mi scusi, devo andare a fare un discorso di benvenuto agli ospiti.» Detto ciò iniziò a trotterellare fino a raggiungere il centro del grande salone della sua villa, strapieno di gente in maschera. Noncurante delle macchie di pizza che gli avevo procurato io, Borja era raggiante e chiese un po’ di silenzio, afferrando un microfono preparato per l’occasione e iniziando a parlare a voce alta e possente: «Bla bla bla, bla bla bla...»
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«Aspetti, aspetti: che vuol dire “bla bla bla”?» L’Agente Buono è allibito, così cambio posizione, mi appoggio con i gomiti al tavolo che ci separa e lo guardo con espressione amichevole. «È un gergo onomatopeico che imita l’azione di qualcuno che chiacchiera: è la contrazione di “blaterare”, dal latino medievale blaterare, chiacchierare, ciarlare...» Buono sbatte una mano sul tavolo, ma riesce subito a controllarsi. «Non è quello che intendevo, Marlowe: voglio sapere cosa disse Borja alla festa.» Sbuffo. «E chi se lo ricorda? Anzi, voglio essere più preciso: e chi l’ha ascoltato? Ero già in modalità “agente infiltrato” e fissavo tutti con sguardo arguto e indagatore, sapendo benissimo che non sarei mai stato in grado di identificare un qualsiasi malintenzionato.» Mi gratto il mento. «Ora che ci penso il mio servizio di guardia del corpo non dev’essere durato più di qualche minuto, perché subito la mia attenzione fu catturata dalla tipa con il libro...» «La prego, si sforzi di...» «Quale tipa con il libro?» L’Agente Silenzioso ora ha addirittura parlato sopra il suo collega, che infatti si gira a fissarlo seccato. Silenzioso lo ignora e mi guarda sinceramente incuriosito. «Questa storia l’ho già raccontata ai vostri colleghi, che mi hanno trattato malino e l’hanno considerata del tutto inutile ai fini delle indagini. Io invece la considero la chiave di volta dell’intero caso: a chi credete? Ai vostri colleghi o a me?» «Siamo già andati fuori strada di parecchio» interviene Buono, «quindi io salterei direttamente a...» «Perché pensa che sia la chiave di volta del caso?» mi chiede Silenzioso, sovrapponendosi di nuovo al collega senza alcun ritegno.
Sorrido. «Se me la fate raccontare lo capirete.» Silenzioso mi fa cenno di procedere, mentre Buono deglutisce seccato.
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Le feste non mi piacciono, l’ho già detto, e in gioventù era facile che mi astraessi dalla confusione e andassi a spulciare le biblioteche dei padroni di casa. Incontrare me, un ragazzo chiaramente “non figo” e vistosamente a disagio con gli altri, che sfogliavo un libro era qualcosa di comprensibile: lo è molto meno quello che vidi alla festa di Borja, cioè una ragazza molto bella con un vestito molto sexy... che sfogliava un libro. La mia attenzione fu subito attirata da quell’immagine, dimenticai in un lampo la missione di Borja e mi avvicinai alla tipa con movimenti sussultori e ondulatori. Appena giunto vicino alla ragazza capii subito che non era né una collezionista né in generale un’amante dei libri: teneva aperto quel volume premendo fortemente sulla copertina con entrambe le mani, un gesto barbaro che lascia segni perenni sul libro. Un collezionista sverrebbe alla vista di quell’orrore, quindi stabilii che la ragazza non era stata invitata da Borja: probabilmente era l’amichetta di qualche vecchio riccone in sala. «Non ci siamo già visti da qualche parte?» chiesi ad alta voce per attirare l’attenzione della ragazza. Lei alzò la testa confusa e mi guardò con fare interrogativo. Sorrisi e continuai. «Scusami, ho scommesso con degli amici che avrei attaccato bottone pronunciando la frase più banale del mondo. Ora o alla seconda frase più banale: cosa leggi di bello?» Probabilmente la ragazza capì solo l’ultima domanda, e fece il gesto che più di tutti indica un non-lettore: girò il libro per ricordarsi il titolo in copertina. Questo era un segnale abbastanza chiaro che non aveva idea di cosa stesse leggendo... «Si sveglia il dio di pietra» mi disse con voce neutra. Sentire e vedere le labbra di una ragazza che pronunciano un raro titolo di quel genio di Philip José Farmer è un’emozione degna di Farmer stesso, ma non era il momento di lanciarmi in critiche letterarie. «Visto che il titolo lo hai scoperto solo ora, posso chiederti perché stavi leggendo questo romanzo?» La ragazza mi guardò in modo confuso: forse non era abituata a tante domande così impegnative. «La copertina ha dei bei colori, l’ho vista da laggiù e...»
Non capii il resto della frase, non valeva più la pena starla a sentire, anche perché le mie rotelle giravano in fretta. Quel titolo... «Scusa, posso vedere un attimo?» chiesi con un sorriso interrompendo le sue inutili parole. La ragazza mi ò titubante il libro, che afferrai con delicatezza perché non sono un barbaro che piega le copertine. Appena mi ritrovai quel libro fra le mani, dalle mie orecchie scomparve ogni rumore presente in sala: non so neanche che fine abbia fatto la ragazza, forse se ne sarà andata una volta capito che io ormai non avevo più attenzione se non per il volume che stringevo tra le mani... Era un numero della collana “Futuro” della Fanucci...
7
«E che roba è?» mi chiede l’Agente Buono, vistosamente seccato di questa digressione. «Qualcosa che non mi sarei mai aspettato di trovare in casa di un collezionista di prima categoria», rispondo guardandolo serissimo. «È una serie di libri preziosissimi... ma di nessun valore.» Mi gusto i secondi di silenzio in cui il mio amico Buono resiste al desiderio di chiedere spiegazioni: visto che è stato così bravo a controllarsi, gliele fornisco di mia volontà. «I collezionisti di prima categoria cercano libri antichi, prime stampe preziose, volumi introvabili e cose del genere: per esempio una Bibbia spagnola del 1569. Mai avrei pensato che Borja collezionasse anche una semplicissima collana di romanzi di fantascienza che la Fanucci presentò negli anni Settanta, con la cura di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco, perché per i collezionisti “seri” sono edizioni prive di valore, roba dozzinale. Solo che quella collana è subito scomparsa nel nulla e molti dei suoi titoli sono diventati di una rarità spaventosa: sono libri che di per sé non valgono nulla, ma sono opere importanti per gli apionati di fantascienza e sebbene spesso ristampate, l’impossibilità di trovarli in quella edizione li rende comunque preziosi. Per farvi un esempio, la prima Bibbia in lingua spagnola della storia l’ho trovata in un lampo on line, sebbene ad un alto prezzo: alcuni titoli di quella collana della Fanucci non li troverete da nessuna parte, al di là di qualsiasi prezzo.» «Porterà da qualche parte questa storia?» chiede seccato Buono, cedendo alla voglia di fare l’antipatico. Gli sorrido. «Sì, perché appena ho capito che Borja collezionava quella collana della Fanucci, il mio primo pensiero è stato di vedere se aveva anche il gioiello della corona, il più raro di quei libri sebbene in sé non valga nulla... insomma, il re dei libri preziosi senza valore.» Li faccio stare un po’ in sospeso. «Avete capito, immagino.» Ovviamente non hanno capito e mi guardano in sospeso: mi gusto la situazione e poi finisco. «Volevo vedere se Borja avesse in casa Il Re in Giallo.»
8
Trovai subito lo scaffale da dove la tipa aveva tirato fuori quel libro e dai colori riconobbi subito la collana “Futuro”: possibile che Borja li tenesse così esposti? Che lui stesso ignorasse il loro valore? Scorsi velocemente i numeri: 15, 16, e... Maledizione, mancava proprio il numero 17. Lessi e rilessi tutti i titoli: l’unico che mancava era proprio Il Re in Giallo. Niente di strano, mi dissi, essendo il più raro da trovare probabilmente mancava alla collezione. Però volli fare una prova: rimisi al suo posto il libro della tipa e... Proprio come pensavo. Malgrado in seguito i poliziotti non mi hanno voluto credere e mi hanno anche preso in giro, era indiscutibile che i libri “sciacquavano” sullo scaffale: ne mancava uno, era chiaro, e visto che l’unico numero assente era Il Re in Giallo, non c’era da fare altri ragionamenti. L’unica domanda era: chi degli ospiti aveva approfittato della confusione e aveva rubato il preziosissimo libro? Mentre queste domande mi frullavano nella mente, cominciai ad aggirarmi per la villa come il Fantasma dell’Opera: guardavo tutti di traverso e scivolavo tra un invitato e l’altro nel tentativo di scoprire se qualche simpaticone avesse seguito l’esempio della ragazza e si stesse leggendo il libro raro. ai in rassegna un gran numero di ospiti ma non scoprii nulla: era normalissima gente in costume che ballava e si dimenava seguendo della musica pessima. In seguito i poliziotti mi hanno chiesto più volte se avessi fatto caso agli spostamenti di Borja subito dopo il suo discorso, ma ero troppo preso dalla ricerca del Re in Giallo per poter anche solo ricordarmi chi fosse il padrone di casa. Fui distratto dalla mia ricerca solamente quando notai un gruppetto di invitati che origliava ad una porta. Mi avvicinai incuriosito e mentre mi accertavo che non avessero in mano qualche libro, potei sentire quello che probabilmente tutti loro hanno già testimoniato di aver sentito: un uomo che gridava a squarciagola «Togliti la maschera». Ad essere più precisi solo alla fine la sua voce arrivò ad essere un grido, perché procedette per gradi, quasi se la stesse ripetendo mentre veniva perso dal panico. La polizia ha interrogato me e gli altri origliatori più
volte, quindi ripeterò qualcosa di già ben noto: l’ultima frase che venne gridata da dietro quella porta fu l’esclamazione «Non ha maschera!» Il silenzio che seguì fu particolarmente inquietante, e rimanemmo tutti là raggelati incerti se filarcela alla chetichella o intervenire. Per fortuna non dovemmo scegliere, perché arrivò per caso il cameriere-maggiordomo che aprì la porta... e scoprì la scena che rovinò la festa a tutti: un uomo in terra che sembrava morto (e infatti si scoprì che era morto) con in testa una strana maschera. Una maschera satanica...
9
«Veramente era una semplicissima maschera da cervo» sottolinea noiosamente l’Agente Buono. «Non aveva nulla di satanico.» Scuoto le spalle. «Quando si parla di misteri serve sempre qualcosa di satanico per attirare l’attenzione, per mettere un po’ di pepe nei colpi di scena... insomma, qualcosa di facile per vendere il prodotto. Qualcosa che magari non c’entri nulla con la storia, ma fa colore: un ruminante con le corna è l’idolo religioso più antico della civiltà umana, quindi perfettamente riconoscibile da chiunque. Che sia un bue, un toro, un caprone o un cervo, non importa: basta che ci siano delle corna e le vendite impennano...» «Tornando a noi, signor Marlowe, è sicuro di averci raccontato tutto ciò che ricorda di quella sera? Stando a quanto ha appena detto lei ha potuto osservare molto da vicino gran parte degli ospiti della villa di Borja: sicuro di non aver notato qualcosa di particolare da segnalarci?» Non ho già risposto in anticipo a questa domanda? Sbuffo. «Sicuramente non c’era nessuno vestito da cervo: o la vittima mascherata era arrivata all’ultimo secondo, o stava in quella stanza da tanto tempo. Magari quando era entrata era solo un cerbiatto e le corna gli sono cresciute dopo...» Malgrado l’alta qualità della mia battuta, l’Agente Buono mugugna insoddisfatto. «Conferma poi di non aver prestato attenzione agli spostamenti di Varo Borja dopo il suo discorso.» Eccolo di nuovo ad affermare invece di chiedere. «Sì, confermo: l’ultima volta che l’ho visto è quando ha preso il microfono e ha cominciato a dire bla bla bla.» L’Agente Buono comincia a scrivere qualcosa sul suo blocco degli appunti, con una espressione grave sul volto. Subito prende la parola l’Agente Silenzioso. «Prima ha detto che la tipa con il libro era una chiave di volta per il caso, eppure non c’entra nulla con l’omicidio avvenuto in casa Borja...» Ce ne ha messo di tempo per notarlo. «Ho letto sui giornali che gli inquirenti
hanno già risolto brillantemente il caso: Borja era l’unico della festa ad essere senza maschera quindi è lui l’assassino. La vittima mascherata da cervo era un collezionista, un certo Spazini, che non aveva mai nascosto la sua forte antipatia e voglia di rivalsa, quindi i due bibliomani si sono affrontati e Borja ha strangolato il rivale. Tutto chiaro, no?» L’Agente Buono ha smesso di scrivere e mi guarda serissimo. «Il suo racconto, Marlowe, ha confermato tutto: Borja l’ha ingaggiata quella sera perché sospettava la vendetta di un rivale, e lei stesso ha sentito il grido da dietro la porta. “Non ha maschera”. A parte Borja solo un’altra persona nella villa non indossava alcuna maschera...» sorride divertito. «Lei, Marlowe, a meno che non voglia farci credere di essersi mascherato sul serio da clochard. Comunque molti testimoni l’hanno vista origliare alla porta mentre l’omicidio si consumava all’interno, quindi è stato scagionato.» E torna a scrivere. Annuisco lentamente. «Sono contento di essere stato scagionato, ma lo sarei stato di più se i poliziotti avessero ascoltato la mia testimonianza con attenzione... come spero stiate facendo ora voi due.» «Finora ha raccontato tutto ciò che voleva» interviene il Silenzioso, «ma non ha detto nulla che entrasse in conflitto con il risultato delle indagini.» Mi sporgo sul tavolo appoggiandomi sui gomiti. «Risultato che si basa sul fatto che Borja fosse l’unico a non indossare una maschera, una prova davvero leggerina per un’accusa di omicidio. E se vi dimostrassi che è una prova del tutto inattendibile?» «Molte persone hanno udito quella frase, gridata dall’interno della camera: vuole forse dimostrarci che si sono tutte sbagliate? Lei compreso, visto che l’ha appena confermata.» Sorrido. «La frase è stata detta, lo confermo... ma come vi ho detto prima, il simulacro precede la realtà e la letteratura precede sempre ciò che crediamo essere vero.» Detto questo mi tiro indietro e li lascio cuocere a fuoco lento. L’Agente Buono smette di scrivere e mi fissa per qualche secondo. «Allora? Ci spiega cosa vorrebbe dire?» Allargo il mio sorriso. «“Togliti la maschera. Non ha maschera”... Sono tutte citazioni da Il Re in Giallo...»
10
«Il Re... cosa?» Il poliziotto incaricato di raccogliere le testimonianze degli ospiti in casa Borja non riusciva a cogliere l’importanza dell’indizio che gli stavo fornendo. «Il Re in Giallo. È un romanzo... no, in realtà è un’antologia di racconti che parla di un libro che non esiste... Il Re in Giallo, appunto.» «Ma esiste o non esiste?» mi chiese dubbioso il poliziotto. «Esiste... cioè no.... insomma è un libro vero in cui però si parla di un libro falso, che si intitola come il libro vero...» Lo ammetto, sotto pressione non do il meglio di me nel raccontare le trame dei libri. «Non è questo l’importante, ora. Quello che sto cercando di dirle è: non le sembra strano che la sera in cui hanno rubato una rarissima edizione di questo libro, qualcuno poi cita ad alta voce un suo aggio? Non le sembra una coincidenza davvero curiosa?» Ovviamente non gli sembrava né strano né curioso, e continuava a guardarmi come se fossi un alieno. «Venga a guardare lo scaffale della collana “Futuro”: vedrà che c’è ancora il vuoto lasciato da Il Re in Giallo...» «Senta signor... Marlowe», pronunciò tentennando il mio nome, ancora poco convinto che potesse essere vero. «Non ho tempo ora di occuparmi di fantomatici furti di libri, e le assicuro che Varo Borja ha ben altri problemi. Ora può andare, ho altri testimoni da ascoltare.» Era inutile insistere, ormai mi aveva liquidato. Provai a continuare la mia ricerca del libro scomparso, e non nego che parte di me pensava che se l’avessi trovato... be’, approfittando della confusione avrei avuto la possibilità di portarmelo via. Non l’avrei mai fatto, ma non posso negare di averci pensato: visto che non sono riuscito a trovarlo, questa rimane la mia versione ufficiale. (Se l’avessi trovato e l’avessi rubato, ora starei raccontando una storia ben diversa!) Quando ho saputo dai giornali che Borja era accusato di omicidio ho cercato di spiegare a qualcuno degli inquirenti quegli indizi che stavano bellamente ignorando, ma ovviamente non ho ottenuto alcun risultato. L’unica soluzione era
indagare per conto mio, cominciando per esempio dal celebre collezionista Leoni. I rapporti di Borja con Leoni non sono mai stati idilliaci, è risaputo, e in più di un’occasione i due hanno dato spettacolo litigando come galletti in un pollaio. Così pensai che non fosse opportuno raccontare al collezionista che stavo cercando di scagionare Borja da un’accusa ingiusta: mi presentai a Leoni con una scusa molto più appetitosa. «Vuole vendermi la Biblia del Oso di Varo Borja?» esclamò a metà tra scandalizzato e allibito. Che poi magari è la stessa cosa. Mi serviva un modo veloce per farmi accogliere da Leoni, così già al telefono gli avevo parlato di quella Bibbia spagnola perché era l’unico libro che sapevo con certezza fosse nelle mani di Borja. Leoni mi sembrò dubbioso così dovetti insistere, gli dissi che quello non era il mio lavoro (ed era vero), che avevo fatto giusto un favore a Borja (ed era vero) ma ora che era stato arrestato nessuno mi avrebbe pagato (e questo non era vero): per caso lui era interessato? Senza rispondere a quest’ultima domanda, Leoni mi invitò nel suo studio. La differenza con lo studio di Borja fu subito chiara: a Leoni non interessava sfoggiare un lusso esagerato, e quindi il suo studio sembrava la cella di un monaco: piccolo, buio e strapieno di libri. Mi fece accomodare su una poltroncina scomodissima, addirittura più scomoda delle sedie da due soldi che uso nel mio ufficio. «Ho ceduto alla curiosità di incontrarla, Marlowe, anche se temo che lei sia un truffatore.» Non c’era stato il minimo cenno di imbarazzo o di astio in questa frase, l’aveva snocciolata come se stesse parlando del tempo, di quanto fe caldo per essere novembre. Dovevo difendermi o lasciar stare? «Sono stato chiamato in molti modi, Leoni, ma mai “truffatore”... al primo incontro: di solito i miei clienti aspettano almeno il secondo.» Attesi che si creasse abbastanza confusione nella mente del mio ascoltatore. «Nel caso della Biblia del Oso sono però più che sincero: Borja non ha fatto in tempo a pagarmi e non posso permettermi il lusso di tenere per me la somma opera di Casiodoro de Reina: devo ammollarla a qualcuno, così ho pensato a lei.» «Ha pensato a me» ripeté Leoni, fissandomi con sguardo serio. «Immagino che l’aver dato più volte spettacolo litigando con Borja sia stato decisivo nel farle
venire in mente il mio nome: si sarà detto “andiamo dal vecchio Leoni, che odia Varo e pagherà subito un libro diretto a lui”. Dico bene?» Sorrisi. «Dice benissimo: come vede sono onesto, non le sto raccontando storie.» Anche perché non avevo pensato a prepararmene qualcuna buona. «Per colpa di quel libro ho un debito di 75 mila euro, e questo non mi consente di fare troppo il puro di cuore: quando avrò piazzato il libro, avrò tempo di rivolgermi a qualche riparatore di reputazioni per lucidarmi la coscienza.» Leoni si accigliò. «Che accidenti sarebbe un “riparatore di reputazioni”?» Mmm, riflettei: non aveva reagito come pensavo alla mia geniale trappola. «Lasci stare, è un modo di dire di noi giovani.» Gli occhi strabuzzati mi fecero capire che Leoni non aveva gradito l’aver sottinteso che fosse vecchio. «Allora, è interessato alla Bibbia spagnola? Se vuole le faccio un prezzo di cortesia: l’imballaggio è gratis...» Il collezionista mi fissava immobile, sembrava quasi non stesse neanche respirando. «Conosco Borja da molto, molto tempo, e malgrado i nostri continui battibecchi la mia stima per lui non è mai stata in discussione: il suo intuito è indiscutibile, e ci sa fare nell’acquistare e rivendere libri rari... per questo un paio di anni fa mi sono complimentato con lui di persona per l’acquisto della Biblia del Oso...» Un paio di anni fa? «Dev’esserci un errore» balbettai, «a me ha incaricato di cercarla meno di un mese fa... forse aveva perso la sua copia, o magari ne voleva un’altra.» Leoni non mosse un solo muscolo. «Quante prime Bibbie in spagnolo pensa che esistano? Per questo affermo che lei è un truffatore, Marlowe: è venuto qui sventolando all’aria un libro che non può avere e, approfittando dei guai in cui è finito il povero Borja, punta a guadagni facili.» Non mi sono mai vergognato così tanto in vita mia... no, ora che ci penso parecchie volte mi sono vergognato di più, però lo stesso mi vergognai tanto: stavo facendo un favore non richiesto, cercando di scagionare Borja, e venivo accusato di essere un volgare truffatore profittatore. «Ma...» continuai a balbettare, rosso in viso. «Come sarebbe a dire “povero Borja”... Voi vi odiate!» Il collezionista mi fulminò con gli occhi, ancora di più (se possibile) di quanto
mi avesse già fulminato. «Gliel’ho appena detto, stimo molto quell’uomo e anche se lei avesse veramente in suo possesso la Biblia del Oso non la acquisterei mai, speculando sulla disgrazia di un collega.» A questa non ci avrei mai creduto, stava solo rincarando la dose perché sapeva che la Bibbia spagnola non era disponibile, altrimenti l’avrebbe comprata eccome. Era ormai inutile rimanere lì a fare figuracce, così mi congedai da solo, alzandomi e agitando appena una mano in segno di saluto. «Mi scusi del tempo che le ho fatto perdere. D’altronde lo diceva anche Casiodoro de Reina: se hai perso qualcosa... cercalo a Carcosa.» Leoni mi guardava sempre più incredulo. «Car...? Ma come parlate, voi giovani?» Anche quella trappola era fallita, così me ne andai con più domande di quando ero arrivato.
11
«Tutto qui?» mi chiede allibito l’Agente Buono. «Tutto questo racconto per niente? Credevo che avesse a che fare con il nostro caso, invece...» «Ha parlato di due trappole fallite» interviene indifferente il Silenzioso, guardandomi incuriosito. «Non ho capito quali fossero.» Ignoro il Buono e mi rivolgo sorridente al Silenzioso, che si sta dimostrando un’ottima spalla. «Alla fine dell’Ottocento Robert William Chambers scrisse una serie di racconti in cui si immaginava la New York degli anni Venti del Novecento, un’operazione che oggi potremmo chiamare di “fantascienza”. Visto che ogni tanto in questi racconti viene citato un libro misterioso, dal titolo Il Re in Giallo, al momento di raccoglierli in volume il titolo era davvero scontato: The King in Yellow. Il primo di questi racconti, che apre l’antologia, si intitola “Il riparatore di reputazioni”, così lasciando cadere questa espressione nella conversazione volevo vedere la reazione di Leoni: dubito che un vecchio bibliofilo abbia visto il recente film di Batman dove si ricicla l’idea di un dispositivo che “pulisca la reputazione”, così se avesse dato segno di conoscere il concetto voleva dire che conosceva bene l’opera di Chambers: invece l’unica reazione di Leoni è stata il non capire di cosa stessi parlando.» «Pensava fosse stato lui a rubare Il Re in Giallo da casa di Borja?» mi chiede il Silenzioso. «O addirittura che fosse stato lui a dire quelle frasi nella stanza mentre tutti ascoltavano?» Sorrido. «Ci speravo, sarebbe stato molto facile. Entrato di nascosto in casa di Borja, aiutato da una maschera, Leoni vede il libro di Chambers sullo scaffale, lo prende e gli viene l’idea di inscenare l’omicidio per far accusare il collezionista rivale. Facile, no?» Sorridiamo, poi continuo. «Invece Leoni non aveva idea di cosa fosse Il Re in Giallo. Chambers immaginò che quel libro misterioso fosse un portale verso altre dimensioni, e per aiutarsi pensò bene di fare quello che fanno gli sceneggiatori di oggi: rubare idee vecchie facendo finta siano nuove. Come ci ha insegnato Picasso, si ruba sempre dai migliori – in realtà l’ha detto T.S. Eliot ma il fatto che siano tutti convinti l’abbia detto Picasso è la perfetta cristallizzazione del concetto! – così Chambers rubò dal migliore di tutti, il
geniale Ambrose Bierce. Quest’ultimo in un racconto aveva immaginato un uomo di un’altra dimensione che descriveva la sua favolosa città, Carcosa, così Chambers la prese di netto e la infilò nel suo Re in Giallo. “Non posso dimenticare Carcosa, dove stelle nere si librano nei cieli; dove le ombre dei pensieri degli uomini si allungano nel pomeriggio”: non scriveva male, Chambers, era solo dannatamente noioso. Comunque quando ho nominato Carcosa, di nuovo Leoni non ha capito di cosa stessi parlando, confermando che non può aver architettato lui l’omicidio in casa Borja.» «Quindi, ribadisco, stiamo solo perdendo tempo» si intromette il Buono. «Al contrario» gli rispondo serio. «Se fosse stato attento si sarebbe reso conto che dal mio incontro con Leoni ho ottenuto un indizio molto importante, che cambia la prospettiva di tutto ciò che è successo quella sera del 31 ottobre.» Silenzio. L’Agente Buono sta perdendo vertiginosamente la sua patina di autocontrollo. «Allora? Quale sarebbe questo indizio?» «Perché Borja mi ha ingaggiato per cercare una Biblia del Oso... quando già ne aveva una? E com’è che io l’ho trovata subito se, come dice Leoni, non ce ne sono altre in giro?» «Non capisco» interviene il Silenzioso, «questo sarebbe un indizio... di cosa?» Lo fisso per qualche secondo, creando atmosfera. «Una vocina nella testa iniziò a dirmi che quella Bibbia era stata solo un’esca: Borja mi voleva lì, a casa sua, quella sera...»
12
Dovevo trovare una risposta alle domande che la vocina nella testa mi poneva: perché quell’inghippo con la Bibbia spagnola? Perché Borja aveva insistito così tanto che io rimanessi alla festa? Leoni non era affatto il collezionista rancoroso che mi aveva descritto, quindi che bisogno c’era di una “guardia del corpo”? Visto che da solo non potevo rispondere a queste domande, non mi rimaneva che seguire l’ultima traccia a mia disposizione: mi presentai così a casa di Spazini, il collezionista ucciso in casa Borja. Il funerale si era svolto da poco e trovai la famiglia riunita in silenzio. Una parte di me si sentiva in colpa a ingannare dei parenti affranti, ma era una parte piccola e sperduta nel mare di una coscienza ruvida. «Condoglianze» dissi alla signora che mi aveva aperto la porta. «Se ne vanno sempre i migliori, bisogna continuare a vivere e fa caldo per essere novembre.» Finiti i luoghi comuni, ai alle cose importanti. «Sto cercando Raffaele, il figlio del signor Spazini.» La donna annuì confusa e mi fece il segno di seguirla. Attraversai il corridoio stampandomi uno sguardo affranto sulla faccia, ma smisi di fingere quando mi resi conto che nessuno stava piangendo. Parlavano a bassa voce e molti si rimpinzavano al rinfresco offerto dai padroni di casa: è vero che ognuno soffre in modo diverso, ma quella sembrava una festicciola piuttosto che una veglia funebre. Mi venne indicata una stanza e quando entrai un uomo mi accolse con una calorosa stretta di mano. «Lei dev’essere Marlowe.» «Mi spiace disturbarla in un giorno così triste...» «Non si preoccupi, non lo è per molti» rispose seccato Raffaele. «Per caso entrando ha visto qualcuno in lacrime?» Avevo immaginato bene, Spazini non aveva lasciato una famiglia distrutta dal dolore. «Mi sento meno in colpa, allora, a parlarle di lavoro in un giorno come questo.»
«Per telefono mi ha accennato ad un libro legato a mio padre.» «Ad essere onesto non conoscevo suo padre, l’ho incontrato solo quella fatidica notte a casa di Varo Borja. Proprio quest’ultimo mi aveva incaricato di cercare una Bibbia spagnola molto antica, per poi ripensarci all’ultimo momento. Io non sono del settore, il mio è stato solo un favore ad un ricco collezionista, quindi quel rifiuto mi ha lasciato nei guai. Per caso ho conosciuto suo padre alla festa e si è proposto di comprare lui quella Bibbia, prima che... be’, prima che...» «Prima che venisse ucciso» terminò Raffaele, con tono freddo. «Signor Marlowe, in questi giorni molti colleghi di mio padre stanno venendo qui a rendergli omaggio e per omaggio a lui li sto accogliendo tutti, anche i truffatori come lei.» Deglutii rumorosamente. «Ora che ha provato a darmi la fregatura, può fare quello che hanno già fatto altri suoi illustri colleghi, presentatisi questi giorni con un libro che mio padre guarda caso aveva commissionato loro prima di morire: uscire da quella porta e non tornare mai più.» Incredibile, era la seconda figuraccia e accusa di truffa che subivo nel giro di pochissimi giorni: se fossi riuscito a risolvere il caso, Borja avrebbe dovuto essermi riconoscente in maniera vergognosa. «Mi spiace che lei pensi questo di me» risposi quasi sottovoce. «Cos’altro dovrei pensare, Marlowe?» mi rispose con tono duro Raffaele. «Non si è neanche documentato sulla insana ione di mio padre, sul suo vizio che ha portato la nostra famiglia sull’orlo del lastrico. Si presenta qui con una Bibbia antica come se una cosa del genere avesse mai potuto attirare l’attenzione di mio padre, che invece andava pazzo per la narrativa popolare.» Lo fulminai con gli occhi. «Narrativa popolare? Per caso collezionava anche le vecchie collane di fantascienza?» L’uomo sbuffò. «Collezionava ogni porcheria fosse uscita in edicola, dilapidando un patrimonio in robaccia.» «Anche la collana “Futuro” della Fanucci?» lo incalzai. Agitò una mano. «Non so cosa sia, ma se era robaccia di fantascienza allora è facile di sì.»
Quella sì che era una svolta nelle indagini. «Posso dare un’occhiata alla vostra biblioteca?» L’uomo mi fulminò con uno sguardo omicida. «Non le metto le mani addosso per rispetto al finto dolore che sta provando la mia famiglia, ma se non si sbriga ad uscire...» «Se trovo la collana “Futuro”» mi sbrigai ad aggiungere «gliela compro per 75 mila euro.» Ero stato accusato ben due volte di essere un truffatore: tanto valeva provare ad esserlo sul serio. Gli occhi di Raffaele si sciolsero come... come... oh, insomma, si sciolsero. «Dice sul serio?» La classica domanda sciocca di chi vuole solo sentirsi ripetere quanto appena detto. «Sono in contatto con molti collezionisti eccentrici» continuai a mentire, «e sono sicuro di poter piazzare senza problemi quella collezione: se me la fa vedere posso sincerarmi delle condizioni in cui è conservata così da comunicarlo ai miei clienti.» Un secondo dopo ero accompagnato come un re lungo il corridoio: se avesse potuto, Raffaele mi avrebbe portato sulla schiena per non farmi stancare i piedi. Entrammo in quella che doveva essere la stanza di suo padre, ma era troppo piccola per contenere tutte le collezioni librarie che doveva avere: era comunque strapiena di libri in ogni suo centimetro di spazio. C’erano libri ovunque, sugli scaffali alle pareti, su piccoli mobiletti traballanti e addirittura sul pavimento. Sotto gli occhi osannanti di Raffaele mi tuffai in quel mare di carta, sporcandomi di polvere e muffa: i due grandi compagni del collezionista. Mentre grufolavo in quel meraviglioso stagno di librame maleodorante sentivo ogni tanto la voce del padrone di casa che chiedeva se avessi trovato qualcosa, ma non gli badavo molto. Navigai per mari di inchiostro a lungo, finché quasi per caso mi trovai di fronte ad uno scaffale dove giacevano, ordinati, i volumi della Fanucci. Non capii subito cosa stessero guardando i miei occhi, era un’immagine troppo dolorosa per poterla afferrare, ma alla fine fui costretto ad accettare quella realtà... «Qualcuno è già stato qui, prima di me?» chiesi a Raffaele. «Assolutamente no: solo mio padre entrava nella stanza. Ha trovato quella
collana che cercava?» Tornai lentamente e mestamente sulla terraferma, cioè raggiunsi il padrone di casa sull’uscio della porta, spolverandomi i quintali di polvere rimastami attaccata addosso. «L’ho trovata, Raffaele» gli dissi serio, «ma è incompleta: manca il numero 17, Il Re in Giallo.» Vi lascio immaginare con che stato d’animo dissi quelle parole. «Così non posso venderla: i miei clienti la vogliono tutta intera.» L’ultima frase gettò Raffaele nel panico. «Magari è cascato da qualche parte, c’è così tanta confusione qua dentro.» Si lanciò disperato nel mare di libri che inondava la stanza. «Permettetemi di cercarlo, sicuramente sarà qui in mezzo... da qualche parte...» «Se dovesse trovarlo, mi chiami» gli dissi, e me ne andai. Senza lasciargli il mio numero di telefono.
13
«Mio Dio» sta gemendo l’Agente Buono, «un’altra storia senza alcun senso: non usciremo mai da qui...» «Al contrario», sbuffo, «se foste stati attenti avreste già capito il nuovo indizio.» Mentre Buono continua a gemere, interviene Silenzioso. «Perché non ce lo dice subito e velocizziamo il tutto?» Sorrido, tirandomi indietro sullo schienale. «Anche perché mi sono dimenticato di dirvi la cosa più importante: la collezione della “Futuro” era sì manchevole di un numero, ma non “sciacquava”: era compatta e quindi Il Re in Giallo mancava da tempo nella collezione di Spazini. Capite cosa vuol dire?» «Mio Dio» continua Buono: comincia a farmi un po’ pena. «Spazini è un maniaco collezionista di libri di fantascienza, e quindi considera la “Futuro” della Fanucci la punta di diamante, la collana più preziosa di sempre. Ce l’ha quasi completa, gli manca proprio il titolo più prestigioso... e quella sera del 31 ottobre lo vede a casa di Borja.» L’Agente Buono smette di gemere e mi guarda, stavolta incuriosito. Così continuo. «Immaginate di essere un collezionista disposto a tutto... a tutto... pur di mettere le mani su Il Re in Giallo: lo vedete in casa di un ricco collezionista, uno a cui non frega talmente nulla del prezioso libro da lasciarlo in bella vista, senza protezione. Voi che fareste?» Non rispondono, ovvio: sono agenti di polizia. Così rispondo io: «Lo rubereste senza neanche pensarci due volte. Ve lo infilate in tasca e ve ne andate tranquillamente: sapete benissimo che Varo Borja non si accorgerà mai dell’assenza di un volgare romanzo di fantascienza in casa propria, figuriamoci sporgere denuncia per un libro che varrà forse qualche decina d’euro, lui che acquista volumi antichissimi dai prezzi vertiginosi. Ma...» «Ma qualcuno ha notato il furto...» E bravo il mio amico Silenzioso. «Esatto» rispondo indicandolo. «E quel qualcuno vi prende da parte dicendo che dovete posare il maltolto, ma la cosa
finisce male e vi uccide...» «È tutto molto intrigante, Marlowe» interviene Buono, «ma anche drammaticamente ininfluente. È stato già assodato che Varo Borja e Spazini sono venuti alle mani per questioni librarie: cosa cambia aver scoperto che il litigio è nato probabilmente perché Spazini aveva rubato un libro? Il risultato è lo stesso: il collezionista è deceduto per mano di Borja.» Lo guardo allibito. «Chi ha parlato di Borja? Da quanto le ho appena raccontato credevo di aver reso chiaro quello che a quanto pare né voi né gli altri inquirenti sembrano capire.» Metto le mani a formare un immaginario megafono intorno alla bocca: «A Varo Borja non frega una mazza del Re in Giallo, non litigherebbe mai per quel libro, figuriamoci arrivare all’omicidio. Lui colleziona libri antichissimi e costosissimi, e quello di Chambers non è nulla di tutto questo. Ora sono stato chiaro?» Buono sta cercando le parole per insultarmi in qualche modo, ma per fortuna Silenzioso lo precede. «Quindi che conclusioni dovremmo trarre dal suo racconto? Che Spazini, colto in flagrante a rubare quel libro, sia stato aggredito da qualcuno che ne conosceva il valore e sarebbe poi finito tutto in rissa?» «Io andrei oltre: mi spingo a dire che quella messinscena delle frasi gridate, quel “Togliti la maschera” “Non ha maschera”, è stata creata con il solo scopo di incolpare Varo Borja.» «Anche il complotto, ora» sento gemere l’Agente Buono. «Si rende conto, Marlowe», interviene Silenzioso, «che è davvero difficile crederle? Abbiamo capito che i collezionisti litigano sempre tra di loro, ma da qui ad arrivare ad uccidere qualcuno per far incolpare Borja... Mi sembra una soluzione troppo... Come dire? Troppo letteraria.» Non posso fare a meno di sorridere per qualche secondo. «Dice così perché ancora non ha sentito chi, secondo me, è l’organizzatore di quella messinscena.» Aspetto qualche secondo ma non mi chiedono spiegazioni, così continuo. «Dopo aver sentito quelle frasi, se vi ricordate, nessuno dei testimoni (me compreso) si muoveva né aveva il coraggio per aprire la porta. Così facendo stavamo rovinando la messinscena, che doveva finire con il corpo di Spazini trovato in terra. Visto che nessuno apriva la porta, l’organizzatore di tutta la scena è dovuto intervenire perché scoprissimo il cadavere...»
Ci guardiamo per qualche secondo, finché l’Agente Buono capisce per primo e i suoi occhi quasi schizzano dalle orbite. «Non può dire sul serio!» sbotta. Sghignazzo. «E invece sì: quello che ha aperto la porta per farci vedere il cadavere... è stato il maggiordomo!» Mentre Buono torna a gemere e a prendersi il volto tra le mani, Silenzioso mi guarda allibito. «Tutte queste accurate indagini e ipotesi... per finire poi a sospettare del maggiordomo?» Scrollo le spalle. «Lo so, è un luogo comune, ma a volte anche i luoghi comuni ci azzeccano.» «Credo che questo metta fine al nostro incontro», esordisce tutto serio Buono, chiudendo i fascicoli che aveva aperti sul tavolo. «La ringrazio della sua testimonianza, Marlowe: probabilmente riceverà una notifica di comparizione per testimoniare al processo contro Varo Borja.» «Mi sembra di intuire che le mie indagini personali non vi abbiano convinti che il colpevole è ancora a piede libero.» «Arrivederci, signor Marlowe» mi congeda Buono. «Vi chiedo un ultimo favore» tento il tutto per tutto, «datemi il permesso di andare a trovare Borja in prigione, così potrò chiedergli notizie sul suo maggiordomo e saperne di più su di lui.» «È lei l’investigatore privato» mi risponde aspro l’Agente Buono, non più tanto buono, «indaghi privatamente su questo maggiordomo, ma stia attento a quello che fa: intralciare le indagini è un reato con cui c’è poco da scherzare.» «Non ci ha detto perché» sento dire con mia sorpresa dall’Agente Silenzioso. «Perché il maggiordomo avrebbe incastrato Borja?» Scuoto le spalle. «Questo ancora non lo so, per questo vorrei parlare con Varo.» «E poi...» Silenzioso gesticola, come se non trovasse la parole. «Non riesco a capacitarmi che si possa uccidere qualcuno per un libro che, onestamente, non è che sia così famoso come vuole farci credere.»
«Il problema non è il libro, agente» parlo lentamente così magari riesco a trattenerli e a convincerli ad aiutarmi nelle indagini, «bensì la mente di chi lo colleziona. Il Re in Giallo, l’ho già detto, non vale nulla né artisticamente né materialmente, è addirittura noioso a leggersi, ma è l’opera che ha aperto la porta ad uno dei generi letterari più noti ed amati del Novecento.» «Quale genere?» Sorrido. «Le basta la definizione “horror”?» «Addirittura?» sbuffa. «Questo Re in Giallo avrebbe inventato la narrativa horror?» «No, ovviamente no, ma ha inventato l’idea che una storia horror possa nascere da un libro: che sia un grimorio, un libro di magia, il libro dei morti o quello che vi pare, quando oggi vi trovate davanti una storia dell’orrore con protagonista un libro misterioso... be’, state leggendo qualcosa che nasce con Chambers e il suo Re in Giallo. Non che quell’opera sia originale, tutt’altro, ma ha aperto la via e tanto basta. Quando negli anni Settanta in Italia c’è stato il boom dell’esoterismo e delle storie horror ad esso legate, si sono andati a ripescare tutti quegli autori dei primi decenni del Novecento che avevano creato interi universi fatti di libri misteriosi e arcani incantesimi: tutti quegli autori erano legati l’un l’altro, e tutti non facevano che ripetere una formula creata da Chambers alla fine dell’Ottocento. Ripeto: non era una formula originale...» «Ma ha aperto la via, ho capito», mi interrompe Silenzioso, mentre Buono smania. «Mi spiega come fa un libro non originale ad essere il creatore di qualcosa di nuovo?» Sorrido. «“L’artista mediocre imita, il genio ruba”: così disse Banksy rubando la frase che già Picasso aveva rubato ad Eliot. Chambers era un furbacchione di prima grandezza, quando scrisse Il Re in Giallo stava copiando dai migliori: in quel periodo c’era un tipo di giallo di gran moda, che era nato in Inghilterra ma che si presentava come inarrestabile. Era il giallo di Dorian Gray.» «Il personaggio di Oscar Wilde?» mi sovrasta Silenzioso stupito. «E ora che c’entra?» Bravo ragazzo, domande giuste con il ritmo giusto. «Il protagonista trova un libro, lo legge... e più lo legge più diventa cattivo. Per la prima volta in trecento
anni, da quando cioè si è iniziato a giocare con gli pseudobiblia, un “libro falso” ha parte attiva sul protagonista di una storia di finzione e ne determina le azioni. Oscar Wilde ha buon gusto e per evitare che l’attenzione ricada troppo sul libro non ne cita il titolo, ma indovinate di che colore è quel volume?» «Giallo...» «Esatto. Il successo del racconto di Wilde dà vita ad una rivista, Yellow Book, dove vari autori vi scrivono storie dell’orrore con del giallo dentro: la mia preferita è una storia dove una casa dalle pareti gialle fa impazzire chi vi abita. È un grande e splendido gioco letterario londinese che dura pochissimi anni, da cui ovviamente l’americano Chambers è tagliato fuori, ma conosce bene il fenomeno – tanto che al suo personaggio del riparatore di reputazioni darà nome Wilde – e così sfrutta la “giallosità”, cioè un elemento non originale, per qualcosa di nuovo: un libro che ha del giallo, come quello di Dorian Gray, ma che invece di far “incattivire” chi lo legge... lo fa impazzire ed addirittura è la porta per altre dimensioni. Dagli anni Venti del Novecento in poi saranno decine e decine le storie che anno libri che fanno impazzire e che sono portali per altre dimensioni, e questo ha fatto bene a Chambers.» «Bene?» Annuisco. «Come vi ho detto, Il Re in Giallo è scritto nel 1895 e si immagina la New York del 1920. Arrivati gli anni Venti e scoperto che nulla di quanto scritto era anche solo vagamente plausibile, possiamo immaginarci quanto valesse quel romanzo. Eppure nel 1929 Il Re in Giallo torna di moda e vengono rinnovati i diritti sul titolo: sapete cosa era successo?» Lascio qualche istante di silenzio, poi riprendo. «Nel 1927 è nato il Necronomicon: un libro che fa impazzire chi lo legga ed è una porta per altre dimensioni. Non è un segreto che Lovecraft si sia rifatto a Chambers, anzi lo scrive in chiare lettere nel racconto La storia del Necronomicon, che però è un testo dato alle stampe solo nel 1938. Appena questo esce, appena tutti leggono il titolo di Chambers citato nel testo di Lovecraft, ecco che nel 1938 vengono di nuovo rinnovati i diritti dell’opera perché è il momento di riproporla in libreria. Se il gioco di Lovecraft non avesse avuto il successo così ampio che hanno avuto, tutti si sarebbero dimenticati del Re in Giallo.» «Perché ha detto “il gioco di Lovecraft”? Che vuol dire?»
«Che lo scrittore si diverte a dire che Il Re in Giallo di Chambers si rifà al Necronomicon, mentre ovviamente è il contrario. Tenete presente che sono gli anni dei grandi giochi letterari, dove gli autori si citano a vicenda e rendono veri i libri falsi dei loro amici: Lovecraft cita Robert Bloch, che cita Clark Ashton Smith e via dicendo...» Silenzioso mi fissa a lungo. «Tutto questo dovrebbe convincermi che si può uccidere per un libro?» Lo fisso sorridendo. «Non è mio compito convincerla, ma le dico questo: non sottovaluti mai la potenza che sa generare un libro falso, né la pazzia di un collezionista. Si ricordi poi della maschera satanica sul luogo del delitto.» «Era un cervo, non il diavolo» sottolinea sconfortato Buono. «Sempre corna sono» riprendo, «e tanti credono che questi libri inventati siano in realtà custodi di segreti demoniaci, che l’apparenza di giochi letterari sia solo una maschera dietro la quale si nascondano giochi satanici: sommi “collezionista folle” a “satanista convinto” e otterrà una miscela esplosiva.» «Quindi la pista che lei seguirebbe è quella di un... “collezionista satanista” che ha incastrato Borja per rubargli la sua preziosa copia del Re in Giallo?» Finalmente ho di nuovo la loro attenzione “investigativa”. «Come avrete capito io indago a braccio – per non citare altre parti del corpo – quindi non ho propriamente una “pista”. Però so che quella notte a casa Borja c’era Spazini, un collezionista di libri di fantascienza d’annata... un collezionista che avrebbe ucciso per Il Re in Giallo, e invece è stato ucciso lui. Mi limito così a lasciarvi con questa domanda...» Inspiro, per creare effetto. «Chi è che è disposto a uccidere un collezionista che è disposto a uccidere?» «Cosa?» chiede l’Agente Buono spaesato. «Ve lo dico io: un collezionista ancora più invasato di un collezionista invasato...»
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Incredibile con quanta maleducazione sono stato cacciato dalla stazione di polizia: sbaglio io a fornire preziosi consigli investigativi a chi evidentemente non sa apprezzarli. Ho provato a lasciar stare, a dimenticare l’intera faccenda e a ripetermi che non ho elementi in mano per convincere la macchina della giustizia delle mie idee, ma è più forte di me: non posso lasciare che una citazione non venga capita! Non posso lasciare che la narrativa venga scambiata per volgare realtà... E poi se riesco a scagionare quel riccone di Borja potrò chiedergli costosi favori per il resto della vita. Mentre mi aggiro furtivo per il giardino della villa del collezionista una parte di me spera che non ci sia rimasto nessuno in casa: sarebbe davvero pericoloso ritrovarmi faccia a faccia con... «Desidera qualcosa?» Ecco, appunto: il maggiordomo mi guarda con occhi seccati, come se entrare di nascosto in un giardino privato fosse vietato. «Io... io...» Non do il meglio di me quando sono sotto pressione. «Mi riconosce? Ero qui la sera di Halloween...» Sarà saggio ricordare ad un probabile omicida che ero tra i testimoni del suo delitto? «C’era tanta gente, quella sera. Dovrebbe sapere che Varo Borja non è in casa, quindi se vuole per piacere uscire dalla sua proprietà...» Fin qui sta andando tutto per il meglio, il maggiordomo sta facendo finta di niente e non sta dando l’impressione di volermi aggredire, quindi ora giro i tacchi e me ne vado... «Sono quello che aveva il pacco sotto il braccio» mi ritrovo a dire: perché non do mai ascolto a me stesso? «Era una preziosa Bibbia che...» «Ah, ho capito» sbuffa seccato il maggiordomo. «Mi lasci indovinare: nella confusione di quella sera ha lasciato qui il suo prezioso libro, che stava vendendo a Varo Borja, ed ora vorrebbe recuperarlo, dico bene?»
«Io... io...» «Crede di essere il primo truffatore che si è presentato subito dopo l’arresto del signor Borja? Guarda caso avete lasciato tutti un prezioso libro in questa casa, quella sera di Halloween...» Sbaglio o un probabile omicida mi sta dando del truffatore? Sbaglio o è la terza volta in pochi giorni che mi si dà del truffatore? «Credo ci sia un equivoco: ero stato invitato personalmente da Borja e sono stato pagato, quindi non sono qui per chiedere soldi.» «E allora perché è qui?» Prima che possa inventarmi qualcosa, e davvero non so cosa inventarmi, un uomo riprende il maggiordomo. Questi si scansa e vedo un signore dallo sguardo duro che ora si affaccia dal portone e mi guarda fisso. «Lei ha portato la Biblia del Oso?» La domanda mi sorprende e mi intriga. «Dubito siano entrate in casa altre Bibbie, quella sera, comunque sì: proprio quella.» L’uomo d’un tratto mi regala un sorriso da mettere paura: è come uno squalo che sorride. Ma sorridono gli squali? «Non rimanga lì fuori, Marlowe: entri pure, lei è il benvenuto.» Un tizio sconosciuto che sa misteriosamente il mio nome mi invita in una casa dove è da poco avvenuto un delitto: ora giro i tacchi e me ne vado di corsa... «Grazie», rispondo entrando. Che penso a fare, che tanto poi faccio come mi pare? «Posso chiederle come fa a sapere il mio nome?» chiedo mentre entro lentamente, più che sicuro di star commettendo un errore fatale ma nell’impossibilità di resistere alla curiosità. «Non ho il piacere di sapere il suo.» L’uomo si ferma al centro del salone e mi guarda divertito. «Lei non sa il mio nome eppure accetta il mio invito ad entrare in una casa dove si è da poco svolto un delitto sanguinario... È molto sicuro di sé, Marlowe.» Non mi piace la situazione né il suo strano tono di voce, ma ormai sono in ballo. «Più che altro sono sicuro della letteratura, grande madre della realtà: i suoi
canoni dovrebbero proteggermi in questa situazione.» «Temo di non capire.» Scuoto le spalle. «In un racconto giallo l’assassino è sempre tra i personaggi che già si sono incontrati durante la narrazione: lei è uno nuovo, senza neanche un nome, quindi non può essere lei il colpevole. Questo mi dà un minimo di sicurezza.» L’uomo scoppia in una sonora risata, decisamente fuori luogo. «Vuole qualcosa da bere, Marlowe? Credo che ne avrà bisogno.» Deglutisco, forse più sonoramente di quanto sarebbe opportuno. «Perché dovrei averne bisogno?» Lo squalo sorride mostrandomi tutti i denti. «Perché non sono un nuovo personaggio: sono il buffone che alla festa di Halloween si lanciava in mille imitazioni. Quindi ho le carte in regola per essere l’assassino della storia.»
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Seduto sul comodissimo e lussuoso divano del salotto di Borja fisso fuori dalla finestra mentre digrigno i denti. «Non si chiede come mai io sia qui, Marlowe?» Fisso silenzioso per qualche istante il mio ospite. «Al momento i miei fenomenali poteri di arguto investigatore sono in pausa.» Deglutisco amaro. «Onestamente riesco a malapena a comprendere perché io mi trovi qui. Ho voluto cocciutamente seguire la pista del maggiordomo colpevole nel tentativo di dimostrare che le mie indagini erano giuste e solo io ho capito cosa sia realmente successo... Invece mi sembra chiaro che ho sbagliato tutto sin dall’inizio.» L’uomo misterioso ride di nuovo a crepapelle, seduto davanti a me su una poltroncina mentre si versa del liquore in un bicchiere: forse mi ha detto il nome di quel liquore, ma è un’informazione che non è rimasta un solo secondo nella mia mente. Posa la bottiglia sul piccolo tavolino accanto a lui e, agitando lentamente il bicchiere, riprende a guardarmi. «Lei è un investigatore di stampo classico, come dice anche il suo nome: lei è della vecchia scuola, quando si incolpavano i maggiordomi e quando si era convinti che l’assassino tornasse sempre su luogo del delitto.» Sorseggia il suo liquore. «Invece è esattamente il contrario: come ci ha insegnato Confucio, è la vittima a tornare sempre sul luogo del suo delitto.» Mi ci voleva proprio una citazione assurda per ridestarmi dallo sconforto. «Dubito fortemente che Confucio possa aver detto qualcosa di così ridicolo.» Al mio sguardo di sfida, il mio ospite risponde con un sorriso. «Vede? Lei è uno di quelli che stanno attenti alle citazioni, che si infastidiscono se ne viene detta una sbagliata: vecchia scuola, come dicevo. Badi bene che non la sto criticando, anzi: io sono un collezionista della vecchia scuola...» «Immagino allora che sia qui per approfittare dell’assenza di Varo Borja così da sottrargli qualche libro della vecchia scuola» dico giusto per stuzzicarlo e vedere
se porterà da qualche parte questa ridicola conversazione. Il mio ospite sorride. «Sono costretto a contraddirla, Marlowe: Borja in persona mi ha chiamato perché mi occui della villa in sua assenza, proprio per impedire che collezionisti senza scrupoli provassero a mettere le mani su qualcuno dei suoi tesori. Do per scontato che lei non sia qui per questo...» Annuisco. «Sono giorni che subisco accuse di sciacallaggio, magari alla fine diventerò davvero un profittatore: le chiederò un bicchier d’acqua e mentre è via ruberò un libro di Borja. Che ne dice, è abbastanza vecchia scuola per lei?» Un’altra risata sguaiata. «La adoro, Marlowe: si mantiene arrogante e sferzante anche quando tutto le rema contro. E dica un po’, che libro vorrebbe rubare? La Bibbia spagnola? No, lei non è tipo da antichi manoscritti polverosi. Io la vedo...» mi fissa con sguardo divertito ma allo stesso tempo indagatore. «Io la vedo come apionato di libri senza valore, come paladino delle cause perse. Sì, io la vedo battersi perché ci sia giustizia anche nella melma. La narrativa ha generato troppi idoli falsi, troppi romanzi sono stati esaltati dimenticando i testi che hanno permesso loro di brillare: ci sono troppe stelle nel cielo letterario e troppi si lasciano ingannare dalla loro luce ignorando le altre. Le stelle nere.» Si porta il bicchiere alla bocca e beve in modo insopportabilmente lento, mentre mi fissa. «Lei è uno di quelli che non ci sta a seguire la folla esultante, lei vuole guardare dietro gli idoli per sapere cosa li tiene in piedi. Lei... Sì, lei non è uno di quelli che si limitano a gridare che il re è nudo... lei grida che è in Giallo...» Un pesante silenzio ci grolla addosso, mentre ci guardiamo fissi. «Perché il Giallo?» provo a sondare con voce flebile. «È un altro omaggio a Confucio?» L’uomo continua a fissarmi. «Può anche fare il vago, Marlowe, ma lo sappiamo entrambi che ha capito benissimo l’esca che le ho lanciato: lei è qui per Il Re in Giallo...» Si muove lentamente in avanti fino ad alzarsi in piedi davanti a me, che rimango seduto raggelato sul divano: mi sta letteralmente sovrastando mentre continua ad agitare il suo bicchiere. «Non poteva permettere che un’ingiustizia letteraria rimanesse impunita, così andando in cerca di guai... è arrivato nel posto dove li fabbricano...» Ci fissiamo per alcuni lunghissimi istanti. «Se questa era una citazione... non l’ho proprio capita.» Scuoto le spalle sconsolato, era tanto tempo che non mi capitava la frustrante sensazione di non cogliere una citazione. «Come le ho
detto, ho momentaneamente perso i miei poteri...» Un sorriso cattivo è la scintilla che comincia a far muovere il mio strano ospite in tondo, davanti a me. «Evidentemente ha bisogno di maggiori indizi. Lei sa, Marlowe, che nel 1938 il copyright del romanzo Il Re in Giallo di Chambers venne rinnovato?» «Ah! Questa la so!» scatto alzando un braccio. «Il successo degli scrittori come Lovecraft, Clark Ashton Smith e via dicendo, che giocavano a ripetere l’operazione del Re in Giallo, decretarono un ritorno di interesse per il romanzo di Chambers.» Dico tutto d’un fiato, come un alunno somaro felice che la maestra gli abbia fatto una domanda a cui sappia finalmente rispondere. «Ora compro una vocale...» L’uomo scuote la testa. «Può anche darsi, ma il rinnovato interesse per quel libro di Chambers è arrivato anche da lettori di un genere totalmente diverso: l’hardboiled.» Mi guarda come in attesa che io continui il discorso: visto che lo guardo con un’espressione ebete sul volto, continua. «Il Re in giallo. Ho letto una volta un libro con questo titolo. Gli piaceva il giallo, immagino.» Beve un sorso dal bicchiere. «Vuol farmi credere che non ricorda chi ha scritto questa frase?» «Mi sembra evidente che non lo so, altrimenti avrei già alzato la mano.» Il mio ospite mi fissa divertito. «L’ha scritta Raymond Chandler... il papà di Marlowe.» Deglutisco con un rumore esagerato. «Persino uno scrittore che non aveva nulla a che fare con la narrativa fantastica lesse Il Re in Giallo e lo testimoniò nel suo racconto apparso nel marzo del 1938, che chiamò proprio The King in Yellow. Lei più di tutti, che nel nome omaggia la creatura più nota di Chandler, dovrebbe apprezzare la geniale operazione di quell’autore: ha preso un testo molto in voga ai suoi tempi e l’ha rielaborato trasformandolo in qualcosa d’altro; ha preso le atmosfere ultraterrene di Chambers e le ha trasformate nel noir malavitoso in cui si aggirano i personaggi dell’hardboiled; ha preso un Re in Giallo... e ha creato un boss eccentrico che gira in pigiama giallo. E, presa in giro finale, ha pubblicato il tutto con un nome fuorviate, The King in Yellow, che altro non è se non l’ennesimo sberleffo nei confronti di Chambers.» Mi sorride con occhi invasati. «È un’operazione talmente assurda che non mi vengono esempi contemporanei. È come... ecco, è come se lei Marlowe prendesse una grande moda del momento, per esempio la serie televisiva True Detective, e la
rielaborasse a modo suo, intitolandola per gioco True Marlowe: capisce l’assurdità e al tempo stesso la genialità?» Ride sguaiatamente. «Ma in fondo le sto rivelando quanto in realtà lei già ben conosce, dato il suo nome..» Mi rendo conto solo ora che sono rimasto tutto il tempo con la bocca aperta, come un cartone animato, ed è giunto il momento che riveli al mio interlocutore un grave errore di fondo. «Non sono quel Marlowe, amico. Mi chiamo Cristoforo Marlowe in onore dell’omonimo controverso drammaturgo cinquecentesco: so più cose su di lui che sull’opera di Chandler.» L’uomo scrolla le spalle, con un’espressione curiosamente delusa sul volto. «Peccato, ma non importa: mi accontenterò...» «Si accontenterà di cosa?» L’uomo torna velocemente a sedersi sulla poltroncina davanti a me. «A quanto ho capito lei indaga nel mondo dei libri, quindi dovrebbe aver avuto modo di conoscere la follia dei collezionisti: lei, più di chiunque altro, dovrebbe sapere che per completare la propria collezione si sarebbe disposti a tutto.» Pausa inquietante. «A tutto.» Annuisco. «Certo, anche ad uccidere» rispondo tenendo fissi i miei occhi su di lui, mentre sento che gli ingranaggi arrugginiti nella mia mente tornano a muoversi stancamente. «Immagino che se lei scoprisse, a casa di un suo amico collezionista, una copia del Re in Giallo che le manca... non avrebbe problemi ad uccidere pur di portarsela via.» L’uomo sorride, cattivo, mentre allunga una mano e la infila in una borsa a cui non avevo fatto caso, sul tavolino, estraendone qualcosa che poggia accanto a sé. Mi basta davvero poco per riconoscere i colori sgargianti delle copertine della “Futuro” Fanucci, e quindi è dannatamente ovvio che si tratti del Re in Giallo. «Eravamo in due, quella sera, ad essere disposti a tutto pur di portar via un libro che quel pazzo di Borja teneva in salotto, come se niente fosse.» Accarezza il volume, mentre parla, con un gesto delicato e voglioso allo stesso tempo. «Spazini è stato un osso duro ma era esile di costituzione: alla fine, con un po’ di sforzo, sono riuscito a strozzarlo e a sottrargli la copia del Re in Giallo che aveva rubato.» «E già che c’era, ha gridato “Non ha la maschera!”, così da accusare l’unico senza maschera della serata: il suo carissimo amico Borja.»
L’uomo alza le mani. «Lei mi fa troppo scaltro, Marlowe, in realtà quello è stato un inaspettato risvolto di sceneggiatura: non ho mai voluto incastrare Borja... io volevo incastrare lei!» «Me? E io che c’entro?» «Solamente pochi avrebbero potuto capire che quella che avevo gridato era una citazione dal Re in Giallo: volevo che lei, Marlowe, entrasse nella stanza... così da completare la mia collezione.» «Ma... ma...» chissà cosa penserebbe Chandler di un Marlowe che balbetta... «Non capisco, che c’entro io con la sua collezione della collana Fanucci?» Il mio ospite ride in modo davvero satanico. «Io non colleziono quei libri di fantascienza, Marlowe... Ancora non l’ha capito? Io colleziono tutto ciò che riguarda Chandler.» Beve lentamente per darmi tempo di capire la portata delle sue affermazioni. «Che sia il Re in Giallo o un investigatore di nome Marlowe, poco importa: io colleziono tutto e sono disposto a tutto pur di completare la mia collezione.» Le opzioni sono due: o comincio a gridargli più e più volte che è un pazzo fuori di testa, oppure me la do a gambe, anche scompostamente. Quale sceglierebbe Chandler? «Be’, grazie della chiacchierata» dico alzandomi velocemente, «ma ora devo proprio scappare. Nel vero senso della parola...» Meno male che Chandler è morto. «Si segga, Marlowe» dice lentamente l’uomo, infilandosi una mano in tasca. «Fermo lì» lo fulmino. «Stiamo andando contro le regole, non può essere lei il cattivo della storia.» Sbuffa. «Ancora quel discorso sul personaggio nuovo? Le ho già detto che ci siamo incontrati alla festa, anche se non sapevamo l’uno dell’altro.» «No, mi riferisco al nome: lei è senza nome e l’assassino della storia non può essere un personaggio senza nome. Facciamo finta di niente, abbiamo scherzato, è stato divertente ma ora devo proprio andare.» «Ho detto di sedersi, Marlowe» dice l’uomo estraendo una pistola: è più piccola di quelle che si vendono in TV, ma non ho dubbi che svolga egregiamente il suo
compito. Alzo le mani così velocemente che lo spostamento d’aria mi spettina. «Si ricordi che è da vigliacchi sparare a un vigliacco.» Non ricordo chi sto citando, ma non è davvero il momento di pensarci. L’uomo grugnisce. «Questa non è proprio una frase da Marlowe.» «Gliel’ho già detto», rispondo inarcando le spalle. «Non sono quel Marlowe.» Comincio a muovermi intorno al mio sgradito ospite, cercando di scansarmi dalla traiettoria della pistola. «Come conta di infilarmi nella sua collezione? Finirò in una busta di plastica o mi esporrà in vetrina? E quanti altri Marlowe ha raccolto? Sarà un onore trovarmi accanto ad Humphrey Bogart e Robert Mitchum.» L’uomo sbuffa, mentre si sposta leggermente per tenermi sempre a tiro. «Quelli erano solo attori che indossavano una maschera di Marlowe, erano una mera finzione: lei invece è Marlowe. Quelle erano simulazioni mentre lei è un simulacro: e, come ci insegna l’Ecclesiaste, i simulacri sono sempre veri. Lei sarà la perla della mia collezione di Chandler perché... non ha maschera.» Comincio a credere che questo tizio non stia bene con la testa... se già tutto quello che mi ha raccontato non bastasse a considerarlo pazzo. «Lei era presente a quella festa di Halloween, organizzata da Varo Borja, lei ha visto quei buffoni mascherati che si dimenavano come lombrichi e grufolavano come maiali: indossare una maschera li ha resi liberi di mostrare se stessi. Si trovavano in una casa strapiena di libri, un tempio della bibliofilia, e non se ne rendevano neanche conto. Io facevo il buffone per irriderli, e ogni personaggio che mi chiedevano di imitare non aveva nulla a che fare con la letteratura: io ero mascherato da buffone, ma erano loro i veri buffoni, accorsi perché si mangiava gratis. E poi c’era lei... e lei era diverso, Marlowe: era... è l’incarnazione di un personaggio letterario e dunque non aveva bisogno di maschera. Solo lei merita di entrare nella mia fenomenale collezione di Raymond Chandler...» Lentamente, fissandolo negli occhi, abbasso le braccia. «Sono lusingato che lei mi consideri superiore alla marmaglia che bacchettava qui, l’altra sera, e su questo la pensiamo ovviamente allo stesso modo. Dall’alto della mia superiorità, dunque, spero non si sentirà umiliato se le faccio notare una citazione sbagliata.» Mentre si assicura di tenermi sempre sotto mira, visto che io lentamente cerco
ancora di svicolare, l’uomo mi fissa sinceramente stupito. «Di che sta parlando? Non ho fatto alcuna citazione.» «L’ha fatta prima.» Dondolo un po’ la testa. «Avrei dovuto farglielo notare per tempo ma non mi sembrava il caso. Visto che invece ora mi parla di letteratura e di realtà... be’, è ora il momento giusto.» «Sta per caso prendendo tempo?» mi chiede dubbioso. «Perché dovrei?» rispondo sarcastico. «Sottolineare che ha sbagliato la citazione dell’Ecclesiaste dubito che mi allungherà la vita di molto.» Posso avvertire chiaramente le dita del mio interlocutore stringersi sulla pistola. «Non ho sbagliato quella citazione, e l’avverto che le sarà difficile smentirmi perché gliela posso recitare per intero: “Il simulacro non nasconde la verità, è la verità che nasconde il fatto di non esserci. Il simulacro è vero”.» Lo fisso stupito. «Possibile che questo le suoni come un testo scritto migliaia di anni fa? Ha mai letto davvero l’Ecclesiaste? Non sente che lo stile è totalmente diverso?» Il mio ospite comincia ad innervosirsi, quindi è il momento di calare l’asso. «Quella citazione se l’è inventata di sana pianta Jean Baudrillard proprio per dimostrare che la realtà non è altro che apparenza, un’immagine che noi chiamiamo reale per comodità. E in fondo lei ha colto perfettamente il messaggio, credendo vera una citazione finta...» Ora il mio armato colpevole anonimo si sta veramente arrabbiando e quindi smetto di muovermi... anche perché sono arrivato dove volevo. «Prima che apra il fuoco, mi lasci finire svelandole il particolare che le è sfuggito fin dall’inizio.» L’uomo mi fissa con uno sguardo durissimo ma anche incuriosito. «Quale particolare mi sarebbe sfuggito?» Sorrido, assicurandomi che fissi i miei occhi e non le mie mani. «Come dice in un altro punto l’Ecclesiaste... Quando ti sfugge qualcosa...» allungo lentamente il braccio, «cercalo a Carcosa.» Il richiamo al Re in Giallo funziona e ho creato nell’uomo quel misto di sorpresa e confusione che mi permetta qualche istante in più per far scattare la mano e colpire la bottiglia sul tavolinetto, contenente quel liquore che il mio sgradito ospite ha tanto apprezzato e che ora sta fuoriuscendo copioso... inondando la copia del Re in Giallo rimasta sul tavolino. Quando il mio aggressore si rende
conto che una gran quantità di alcol sta rovinando per sempre la rarissima copia del libro, scatta in avanti e grida disperato, cercando di scostare la bottiglia e di fermare quello scempio: sappiamo entrambi che è inutile, che il libro è ormai storpiato senza possibilità di cura, ma quel che importa è quel gesto di panico incontrollabile. Quel gesto che mi concede il tempo necessario a raccogliere la pesante Biblia del Oso che ho adocchiato abbandonata su un tavolo vicino, a sollevarla il più in alto possibile calandola con forza sulla nuca del mio aggressore. Chi non è mai stato colpito alla testa da una Bibbia spagnola del Cinquecento non sa quanto male possa fare: l’uomo non sviene, ma rimane a terra rantolante il tempo necessario perché io riesca a sottrargli la pistola. «Considerati Bibbiato!» esclamo maneggiando a disagio la pistola. «Cosa?» rantola da terra l’uomo. «Be’... non mi è venuta una frase migliore. Quando racconterai questa storia, potresti inserire una battuta più ad effetto? Qualcosa alla Marlowe... Quel Marlowe.»
16
«Che succede?» Mi volto e vedo il maggiordomo entrare con un’espressione preoccupata. «Chi ha gridato?» «Tranquillo» gli dico agitandogli la pistola davanti al viso. «È tutto sotto controllo.» È curiosa l’espressione che fa un uomo quando gli si agita una pistola davanti agli occhi e gli si dice che è tutto sotto controllo. «Perché ha una pistola in mano?» mi chiede il maggiordomo, vistosamente preoccupato. «Non è mia, l’ho sottratta al mio ospite poco educato. Anzi, meglio che la metta in tasca prima che parta un colpo e mi ferisca da solo.» Infilo la pistola nella tasca del mio impermeabile e nel momento esatto in cui estraggo la mano vuota... mi ritrovo un’altra pistola puntata, impugnata stavolta dal maggiordomo. «Ma cos’avete tutti, oggi?» chiedo disperato. «Non so come hai fatto a sfuggire al mio amico, Marlowe» mi sibila in tono cattivo il maggiordomo, «ma con me sarà diverso.» Un largo sorriso mi si apre sul volto. «Allora avevo ragione: il colpevole è davvero il maggiordomo!» Comincio a saltellare dalla contentezza. «Ma cosa sei, idiota?» Il maggiordomo non è più così educato come prima. «Sei fortunato che non sapessimo che faccia avessi, se no ti avremmo preso già la sera di Halloween. Abbiamo pensato fossi solo un ospite vestito da investigatore privato o da barbone, e anche oggi non potevo sapere che fossi proprio tu: la Bibbia spagnola ti ha tradito, e ora non hai scampo.» Saltello sempre di più, sghignazzando. «Il maggiordomo è colpevole e fa lo spiegone finale: ora dimmi che vuoi conquistare il mondo e allisciati i baffi a manubrio.» La confusione disperata comincia a incrinare la sua sicurezza. «Si può sapere di che stai parlando?»
«Sei un luogo comune letterario vivente, molto più di me: mi sa che dovrai finire anche tu nella collezione del tuo amico. Dài, facciamo stringere Bogart e Mitchum e troviamo un po’ di spazio per te.» «Ora basta...» «Andiamo, lo sai che non c’è scampo per te», gli dico guardandolo con fare da sfida. «Pensi di fare in tempo a riprendere la pistola che hai in tasca prima che io ti spari?» Sghignazzo. «Il maggiordomo confessa la sua colpevolezza, fornisce la spiegazione finale... e cosa succede ora? Forza, che lo sai...» «Ma che...» Sbuffo. «Su, lo sai benissimo: ora la polizia fa irruzione e salva il buono.» Il maggiordomo sbotta in una risata volgare. «Sei uno so, Marlowe: sei quasi più divertente di quel Marlowe...» Un attimo dopo fa irruzione la polizia e salva il buono. Che, una volta tanto, sono io.
17
«Non ci credo» sbotta Varo Borja, fissandomi incredulo. «La polizia che arriva al momento giusto... Sembra un romanzetto d’appendice.» «Caro Borja, è la vita stessa a non esser altro che un romanzetto» pontifico mentre sghignazzo. «Il lungo interrogatorio mi ha permesso di instillare nei due agenti, di cui continuo a non ricordare il nome, il dubbio che ci fosse qualcosa di vero nelle mie parole. A me hanno negato il permesso di incontrarla mentre era in galera ma loro a quanto pare hanno deciso che forse sarebbe stata utile una seconda chiacchierata con lei.» «Non è stata proprio una chiacchierata» mi confida il collezionista mentre eggiamo lentamente per il suo ampio giardino. «Erano serissimi ma per fortuna sono stati efficaci nel riportare le sue idee strambe, Marlowe: per una qualche misteriosa congiunzione astrale lei aveva ragione. Non avevo rivelato alla polizia le mire di quel mio amico collezionista perché le ritenevo irrilevanti, ma dopo ho capito che quell’omicidio non era stato un caso: doveva esserci lui dietro tutto, e questo voleva dire che era ancora libero di agire. Ho consigliato agli agenti di tornare subito nella mia villa perché sicuramente lei, Marlowe, avrebbe compiuto il più stupido dei gesti: tornare sul luogo del delitto per cercare indizi.» «Si vede che mi conosce bene, Borja, e la ringrazio: così facendo ha fatto sì che gli agenti entrassero proprio nel momento giusto. Qualche minuto di ritardo e ora sarei dietro una bacheca in una posa da Marlowe. O qualunque altro fosse il destino che quel pazzo collezionista aveva in serbo per me. Le chiederei scusa per aver rovinato la sua copia del Re in Giallo, ma credo in fondo non le importi nulla di quel libro.» «Lei mi ha liberato da un amico pazzo e da un maggiordomo infido e criminale, sono in debito con lei.» Ci fermiamo davanti allo stagno della villa di Borja: ma quanto guadagna quest’uomo per permettersi un giardino così grande? «Lo è, amico mio: è in debito con me molto più di quanto pensa.» Ci guardiamo per qualche istante, poi
continuo. «Quella sera di Halloween lei ha fatto di tutto perché io rimanessi a casa sua, così da dare al suo amico pazzo l’occasione di rapirmi: era lui al telefono, quando ci siamo incontrati, vero? Quando gli ha risposto “vieni quando vuoi” intendeva che io ero arrivato e poteva intervenire in qualunque momento, giusto?» Un po’ di imbarazzo si affaccia sul volto di bronzo di Borja. «Non so per quale cifra lei mi abbia venduto al suo amico collezionista, ma conoscendo voi bibliomani più che di soldi credo si tratti di libri rari. Non mi importa, comunque: mi basta averla salvata dalla galera e che lei si senta in colpa per varie ragioni.» Gli sorrido sinceramente. «Sa che erò il resto della mia vita a ricordarle quanto lei sia fortemente in debito con me?» L’imbarazzo scompare dal volto di quella vecchia pellaccia, per lasciare posto ad un sorriso. «Lo immaginavo, Marlowe, ecco perché mi sono premunito.» Infila una mano nella tasca e non faccio in tempo a raggelarmi che ne estrae un libro. «Questo è il suo compenso per il lavoro svolto, per avermi scagionato dalle accuse e per essere stato vittima di una mia transazione poco pulita. È tutto ciò che avrà da me.» Mentre continua a sorridermi, prendo titubante il libro e lo studio in silenzio. Sento Borja che sghignazza e poi mi dice con voce amichevole: «Sangue spagnolo, un’antologia gialla della Garzanti datata 1950. È un’edizione senza alcun valore, almeno per i collezionisti di alto livello, non ha alcun pregio... se non essere la prima volta che il Re in Giallo di Chandler è apparso in Italia. Qualcosa mi dice che uno come lei saprà apprezzarlo.» «Maledetto» sibilo. Mi infilo il libro in tasca e lo guardo, accennando un piccolo sorriso. «Lei sa come fregare un quasi onesto investigatore bibliofilo come me.» Allungo una mano e la tengo sospesa in aria. «Se mi assicura che non cercherà più di vendermi a qualche collezionista, per me è pace fatta.» Varo Borja mi sorride come si sorride ad una coscia di pollo prima di addentarla. «Stia sereno, Marlowe» e mi stringe calorosamente la mano. Se non altro è onesto: dire a qualcuno di stare sereno è un modo gentile per avvertire di dormire con un occhio solo, perché è già partita la coltellata che lo prenderà nella schiena. Per fortuna ho già provveduto da solo all’indennizzo per i pericoli corsi e per i giorni di lavoro non retribuito che ho perso nel cercar di salvare il Borja ingrato: prima di lasciare la sua villa, assicurandomi che i poliziotti fossero impegnati ad arrestare i cattivi, ne ho approfittato per infilarmi
in tasca un po’ di libri antichi trovati in giro. L’ho ammesso di essere un investigatore quasi onesto, e poi lo dice pure l’Ecclesiaste: chi frega per primo, frega due volte.
FINE
Camilla: Signore, devi toglierti la maschera Sconosciuto: Davvero? Cassilda: Davvero; è l’ora. Noi tutti abbiamo deposto i travestimenti, tranne te. Sconosciuto: Io non ho maschera. Camilla: (Atterrita, a parte a Cassilda): Non ha maschera? Non ha maschera!
Il Re in Giallo, Atto I, Scena 2ª.
Nota dell’autore
«Ruba sempre dai migliori» diceva Picasso, oppure «il mediocre imita, il genio ruba»: ma lo diceva? Nessuno sa citare una sola fonte in cui sia attestata la paternità di Picasso di questa frase, non esiste uno straccio di prova eppure tutti sono convinti che il celebre pittore usasse dire una delle due frasi che gli vengono imputate. Se lo diceva, ed è un bel “se”, era la frase più vera del mondo... perché nel caso stava rubando da T.S. Eliot. «I poeti immaturi imitano, quelli maturi rubano; i cattivi poeti sfigurano quello che prendono, e i buoni poeti lo trasformano in qualcosa di migliore, o al massimo di differente.» Così scriveva il poeta britannico all’inizio del suo saggio su Philip Massinger (da The Sacred Wood. Essays on Poetry and Criticism, 1920): chissà cos’avrà pensato nel vedere la propria frase attribuita a Picasso. Avrà considerato il pittore un “buon poeta” che aveva dunque trasformato in qualcosa di migliore il suo testo? Di sicuro si è divertito un mondo l’artista Banksy quando ha esposto una lastra di marmo con su incisa la frase «The bad artists imitate, the great artists steal» con la firma di Pablo Picasso... cancellata e sostituita da “Banksy”. Tutto ciò per dire che originariamente questo racconto voleva nascere come copia-parodia della serie TV True Detective con lo scopo di esaltarne gli spunti lanciati ma mai sviluppati: quelli cioè con il Re in Giallo di Chambers, idee poco attinenti alla sceneggiatura ma di sicuro grande impatto mediatico. Poi però le stelle nere dell’ispirazione si sono incolonnate in una nuova costellazione, e l’idea è cambiata. La prima scena che scrissi di Marlowe, nel 2010, lo vedeva intento a leggere Il Dizionario del Diavolo di Ambrose Bierce, lo stesso Bierce che creò Carcosa, e visto che il papà del vero Marlowe si divertì a rielaborare l’opera di Chambers... perché non provarci anch’io, con le dovute proporzioni? Tutto quanto citato nel racconto e riferito al mondo librario – titoli, autori, date, aneddoti e Bibbie spagnole da 75 mila euro – è assolutamente vero, compresa la precessione dei simulacri di Baudrillard, autore della geniale falsa citazione dell’Ecclesiaste (da Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?, Raffaello Cortina 1996), che cito nella traduzione di Gabriele Piana. L’idea che Chambers si sia ricollegato alla “giallosità” di Oscar Wilde è una mia “scoperta”:
quando un giorno verrà insegnata a scuola, spero ci si ricorderà di me! Sicuramente qualcuno potrà obiettare sulla mia valutazione della collana “Futuro” Fanucci, che non è impossibile trovare in giro per mercati dell’usato (dal vivo o digitali): il citato Si sveglia il dio di pietra di Farmer l’ho trovato io stesso su una bancarella al prezzo di 2 euro (sebbene in un’edizione “vissuta”), mentre on line sono tuttora disponibili altri titoli a prezzi di poco più alti. Provate però a ricreare l’intera collezione... o a cercare Il Re in Giallo... scoprirete che non è così facile.
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Dalla fine del Cinquecento fino ai nostri giorni l’Europa è attraversata da un mito irresistibile: l’esistenza di un Trattato sovversivo che osa scagliarsi contro i tre profeti delle principali religioni monoteistiche (Mosè, Gesù e Maometto) accusandoli di essere tre “impostori”. Dopo più di un secolo di bisbigli e sotterfugi, di avvistamenti e fraintendimenti, finalmente agli inizi del Settecento qualcuno afferma a gran voce di averlo trovato, ma prima di presentarlo al giudizio degli esperti racconta l’immancabile roboante storia del suo ritrovamento, una storia incredibile... una storia cioè da non credere. La collana “Storie da non credere” si occupa di truffe librarie o comunque di vicende legate a fenomenali ritrovamenti accompagnati da storie più attinenti alla sfera della fiction che alla realtà. Da secoli libri incredibili sono accompagnati da storie incredibili... che spesso sono appunto da non credere.
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Il 1° aprile del 1796 il dramma “Vortigern and Rowena” viene programmato al Drury Lane Theatre, il celebre teatro londinese da poco restaurato ed ampliato: visto che alcuni autorevoli critici hanno sollevato un polverone gridando al falso, sottolineando cioè che quel dramma di William Shakespeare miracolosamente
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Un aneddoto riportato da alcuni storici dell'antichità ci racconta di un incidente occorso al celebre filosofo Platone, che avendo fatto infuriare il tiranno Dionigi come punizione venne venduto come schiavo. La storia (semmai sia vera) si conclude velocemente con la liberazione del pensatore ma... e se invece chi doveva salvarlo non l'avesse riconosciuto? Cosa sarebbe successo se Platone fosse rimasto uno schiavo? Questo breve testo teatrale si diverte a prendere elementi storici rigorosamente reali – personaggi, libri, eventi, idee – e a giocare con essi immaginando di quali eventi sarebbe stato protagonista Platone, lo schiavo filosofo. In appendice una nota al testo che spiega i fatti salienti riportati e indica le fonti storiche.
eBook in vendita: Ninja Storia di un mito cine-letterario
Gli eventi “caldi” degli anni Cinquanta giapponesi spingono alcuni autori a rispolverare una figura storica poco apprezzata, e anche poco studiata, per trasformarla e distorcerla fino a creare un personaggio immaginario totalmente slegato da quello storico. Il successo dell’operazione, dichiaratamente faziosa, esplode e in pochissimo tempo il fenomeno sfugge di mano agli stessi autori: nasce così quello che noi ancora oggi chiamiamo ninja, del tutto alieno a ciò che nei più di mille anni precedenti è stato per le cronache storiche. Contagiando i media di USA, Cina e sud-est asiatico, e quindi anche l’Europa, il fenomeno in pochi anni ha conquistato il mondo e ancora oggi la parola “ninja” ha acquisito significato internazionale. Questo saggio, assolutamente unico nel suo genere, ripercorre dati alla mano il contagio dell’idea nata fra un ristretto gruppo di scrittori ed esplosa in ogni forma di comunicazione – dalla TV ai fumetti, dai libri ai videogiochi, ma soffermandosi in maniera particolareggiata sul cinema, grande veicolo di contagio in questo caso – sottolineando ovviamente le differenze che ha assunto in ogni Paese in cui è arrivata. Per portare luce su un fenomeno ancora oggi pressoché ignoto per cui una spia ed assassino del Giappone medievale è diventato un eroe moderno e mondiale. Il saggio è completato da una Guida al cinema ninja internazionale, una luce nell’ombra che ricopre un genere pluridecennale.
eBook in vendita: Gynoid: a forma di donna Duecento anni
di donne artificiali
Nel 1815 E.T.A. Hoffmann scrive di getto la bozza di un racconto destinato a fama imperitura, in cui dà vita alla più inquietante delle donne artificiali: Olympia, la bambola di legno che irride chi ancora non ha capito che il Romanticismo è finito e siamo tutti nell’Era della Macchina. Dopo cento anni Thea Von Harbou crea la sua Maria meccanica proprio mentre l’invenzione della catena di montaggio sta trasformando gli uomini in robot, e da allora le Donne Artificiali sono state piegate ad ogni tipo di preconcetto maschile, nel tentativo di neutralizzare la loro potenza. Bambole, manichini, ballerine, robot, mogli, amanti, assassine... Molti i ruoli assunti dalle ginoidi, esseri “a forma di donna” creati dagli uomini per dare sfogo alla propria contorta creatività: ecco un breve viaggio... che dura duecento anni.
eBook gratuito: Da Samarra a Samarcanda La storia della Morte inevitabile nella sua versione corretta e ampliata
La storia la conosciamo tutti. Un uomo si accorge che la Morte lo sta fissando con occhi cattivi e chiede un cavallo veloce per sfuggirle; cavalca tutta la notte per arrivare in un luogo lontano, solo per scoprire che la Nera Signora era proprio lì che lo aspettava. È una storia molto nota e tutti hanno la convinzione sia di origine persiana o araba, comunque mediorientale: la verità è che tutti hanno sentito questo racconto citato da un occidentale, non da un mediorientale. E se la storia della Morte inevitabile fosse molto più europea e moderna di quanto pensiamo?
eBook gratuito: Mangiare libri La più antica forma di lettura
Dopo aver dato un rotolo scritto ad Ezechiele, l’ordine di Dio è inequivocabile: mangialo! Sin dall’antichità è esistito un rapporto strettissimo tra leggere un testo e divorarlo (non solo metaforicamente), e tracce di quest’idea si ritrovano nei punti più disparati e impensabili: ecco un piccolo viaggio biblo-gastronomico alla ricerca di uno dei personaggi più influenti e meno studiati del mondo letterario: il mangialibri.
eBook gratuito: L’apprendista stregone Viaggio fra le varie versioni di una storia antica
Siamo noi che creiamo le parole o sono piuttosto le parole a creare il mondo che ci circonda? La nostra cultura è nata dalle parole che, pronunciate a voce alta, hanno creato oggetti e concetti che sopravvivono tutt’oggi, come per esempio la celebre storia dell’Apprendista Stregone: nata duemila anni fa e più viva che mai. Ecco un viaggio nelle varie versioni di una stessa storia, sul sentiero tracciato dalla parola creatrice.
eBook gratuito: Geremia, il Golem e Ruby Sparks
Un viaggio dal dito di Dio al Word Processor degli Dei
Ne L’apprendista stregione abbiamo conosciuto la Parola Creatrice nella sua accezione orale, ma nella storia occidentale un grande peso ha avuto ad un certo punto anche quella scritta. Sebbene i grandi profeti e maestri di pensiero non l’abbiano amata, la parola scritta ha in breve tempo conquistato l’immaginario collettivo andando a scalzare il predominio di quella orale. Partiamo dunque per un viaggio dal dito di Dio... fino al Word Processor degli dei.
eBook gratuito: Dieci contro mille Il grande cinema di assedio
Esiste un genere particolare di film, nato quasi cento anni fa, che si potrebbe chiamare tanto “d’assedio” quanto “di barricate”, ed indica una storia che veda alcuni personaggi costretti in un singolo luogo da un nemico che li circonda: le storie di questo genere non si focalizzano sul nemico esterno bensì sui problemi interni al gruppo di protagonisti. Questi infatti si ritrovano impegnati non già a resistere agli attacchi del nemico esterno, bensì a fronteggiare il nemico interno: problemi di razza, religione, politica, estrazione sociale e mille altre questioni, unite alla paura e alla convivenza forzata, creano una situazione esplosiva. Ecco un viaggio fra i migliori film che affrontano l’argomento.
eBook gratuito: La Falsa Novella
Viaggio tra i falsi vangeli inventati dai romanzieri
Falsi profeti dotati di falsi vangeli sono esistiti da sempre, in ogni dove, ma nella metà del Novecento la riscoperta di antichissimi vangeli ritenuti apocrifi (nonché persi per sempre) ha infiammato la fantasia degli scrittori più disparati, che hanno cominciato ad inventare storie da romanzo con protagonisti vangeli inventati. È uno stratagemma che ha permesso agli autori di stuzzicare tanto la curiosità dei lettori quanto la pazienza della Chiesa, magari togliendosi anche qualche soddisfazione personale. Ecco un viaggio fra questi vangeli palesemente inventati che fanno il verso a quelli verissimi ma semplicemente non riconosciuti dalla Chiesa. Non sempre le intenzioni sono meramente letterarie, e questo renderà il viaggio più interessante.
eBook gratuito: Tradurre l’incubo Da Shakespeare a Goethe
C’è stato un momento ben preciso, a metà Ottocento, in cui gli italiani si ritrovarono a dover tradurre il termine “nightmare”, scoprendo che quel termine antico era poco chiaro anche agli inglesi. Inizia dunque un viaggio alle radici dell’incubo per scoprire cosa esso sia veramente... e come si possa tradurlo nella nostra lingua.
eBook gratuito: Lupin contro Holmes
Le origini del personaggio che osò farsi beffe di Sherlock Holmes, facendo infuriare Conan Doyle ma dando vita al noir se
«Perché non provi a scrivere un racconto sul genere di Sherlock Holmes?» Questa proposta indecente dell'editore Pierre Lafitte al giovane Maurice Leblanc dà vita al personaggio di Arsène Lupin, nato sulle pagine della rivista “Je sais tout” il 15 luglio 1905. Quello che all'inizio è una divertita parodia di Holmes, si attira ben presto le ire di Arthur Conan Doyle quando il suo segugio si ritrova nelle storie di Leblanc e nasce così una doppia sfida: Conan Doyle diffida Leblanc ad utilizzare ancora Sherlock Holmes nelle sue storie... e Lupin in persona sfida il segugio inglese a batterlo. Ecco la storia di uno scontro letterario epico.
eBook gratuito: Spaghetti Marziali Quando gli italiani inventarono il kung fu western
In un breve lasso di tempo, agli inizi degli anni Settanta, registi e produttori italiani decisero di mettere in atto qualcosa di completamente inedito: utilizzare attori e tematiche cinesi, un argomento molto “caldo” dell’epoca, e fonderli con i più classici schemi del genere western, anch’esso di grande attualità. Qualcuno chiama il genere “soja western”, ma visto che si parla di un prodotto
completamente italiano che fondeva l’autorevole spaghetti western con la ione per i film marziali asiatici (dai samurai giapponesi al kung fu di Hong Kong), ho ribattezzato il genere spaghetti marziali. Ecco un viaggio inedito in un genere troppo poco noto al grande pubblico.
eBook gratuito: Mistero Shakespeare Analisi inedita di un mistero inestricabile
William Shakespeare è probabilmente il più noto autore di lingua inglese mai esistito, quindi nessuno biografo serio si azzarderebbe a fare una domanda all’apparenza semplice: quali prove concrete abbiamo che un drammaturgo di nome Shakespeare sia realmente esistito? La risposta non è rassicurante: a dispetto della grande fama del personaggio, le prove della sua reale esistenza sono pochissime e molto nebulose. Questo saggio non darà risposte su questioni su cui è impossibile darne: si prefigge solamente di offrire una panoramica quanto più “inedita” della questione shakespeariana, cioè studiandola attraverso quello specchio deformante che spesso dice il vero, percorrendo quel territorio che raramente viene preso in considerazione: la letteratura, la più vera delle menzogne. In appendice, un’intervista con John Underwood – pseudonimo di Gene Ayres ed autore del controverso Il libro segreto di Shakespeare – e l’imperdibile saggio L’uomo che fu Shakespeare di Chiara Prezzavento, blogger intrigante oltre che grande apionata della narrativa che circonda il Mistero Shakespeare, che non solo ci fornisce delle indispensabili coordinate per capire il mondo elisabettiano dell’epoca, ma ci guida anche in una panoramica frizzante e precisa sulla narrativa che si occupa dell’argomento: visto che si tratta di romanzi inediti in Italia, è un’occasione imperdibile.