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Parco Geominerario
della Sardegna
Versione elettronica
I edizione, 2012 © logus mondi interattivi 2012
ISBN: 978-88-98062-02-7
Curatore logus mondi interattivi - Sandro Mezzolani
Editore logus mondi interattivi
Progetto grafico logus mondi interattivi
Contenuti di base e immagini Sandro Mezzolani
Contatti: logus mondi interattivi s.a.s. via Sini, 3 - Cagliari
[email protected] www.logus.it
Logus - Mezzolani
Parco Geominerario della Sardegna
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Breve storia mineraria
L’industria estrattiva ha influenzato molto la storia della Sardegna, connotando epoche, favorendo scambio di merci e uomini con altre zone del Mediterraneo e dell’Europa. In poche altre regioni d’Italia si è vissuto così fortemente e solo di “miniera”. Fattore fondamentale è la costituzione geologica, che racchiude numerosi ed importanti giacimenti metalliferi dove, per essere chiari, è preferibile dire cosa manca: zolfo e petrolio. Per molti altri materiali l’uomo ha imparato ben presto a riconoscerli e a lavorarli. Ad iniziare dall’ossidiana (6 mila anni), usata per produrre oggetti taglienti fino ai metalli, stagno e rame in particolare. In lega questi costituivano il bronzo, materia prima per i celebri Bronzetti, raffinate riproduzioni di scene di vita dell’epoca Nuragica.
I Romani conobbero la Sardegna, oltre che per il grano, per l’argento e il piombo, minerali storici per l’isola, con più di due millenni di attività estrattiva. Gli areali di ricerca nei secoli misero in luce alcune zone, tra cui l’Iglesiente e la Barbagia. Nei secoli mutarono le tecniche e si perfezionarono le modalità di sfruttamento fino alla nascita di centri estrattivi, come Iglesias, e alla creazione di norme per lo scavo, la lavorazione e la tassazione degli utili. La svolta si ebbe al principio del diciannovesimo secolo, con l’evoluzione delle scienze geologiche e le aumentate esigenze della nascente industria nazionale di materie prime (argento, piombo e ferro). In poco meno di un trentennio tutte le risorse furono analizzate, tanto da sollecitare l’interesse di imprenditori stranieri (si e inglesi) che nell’isola avvieranno importanti miniere.
All’inizio del secolo scorso in Sardegna lavorava un terzo dei minatori italiani. L’impiego di macchinari, mezzi ferroviari, tecnologie di scavo e conoscenze nel settore ingegneristico fecero diventare alcune zone importanti realtà produttive e centri come Iglesias e Buggerru, punti cardine del nuovo sviluppo economico e sociale dell’isola. Dopo l’ultimo conflitto mondiale ed in seguito all’apertura di altre miniere in Asia e nel continente americano, alle multinazionali straniere si sostituirono le società a partecipazione statale che, con una lunga ed estenuante politica dell’abbandono, gestirono uomini e pozzi fino a pochi anni fa.
Parco Geominerario
L'idea di istituzionalizzare quello che nella realtà era ormai da un secolo un territorio di straordinaria importanza geologico-mineraria, e di farne uno spazio protetto e fruibile dalle future generazioni, nacque sul finire degli anni Ottanta. Al totale abbandono delle attività estrattive, seguì, grazie all’opera dell'Ente Minerario Sardo, la Dichiarazione da parte dell'UNESCO dell'elevato valore scientifico e storico dei territori minerari della Sardegna: il 2 dicembre 1997 l'esame del dossier e il 30 luglio dell'anno seguente, nella sede parigina, il riconoscimento, con le congratulazioni per il risultato tanto perseguito, il primo di una rete di geositi-geoparchi mondiali. Il tutto fu poi sancito da una solenne cerimonia svoltasi a Cagliari il 30 settembre 1998 con la firma della Carta di Cagliari, atto di nascita del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna.
Nel 2001 la nascita ufficiale del Parco Geominerario, la cui esistenza è affidata al Consorzio del Parco Geominerario della Sardegna.
In seguito si è costituita la Consulta delle Associazioni del Parco, promotrice di iniziative in materia di salvaguardia e valorizzazione del Parco Geominerario.
Monte Arci
La prima area del Parco interessa i territori storicamente caratterizzati dalla presenza dell'ossidiana, una roccia magmatica effusiva, dovuta al brusco raffreddamento della lava per lo più ricca in silice, dal caratteristico colore nero, lucentezza vitrea o picea, frattura concoide che facilita la produzione di schegge taglienti. Questa caratteristica, unita all'abbondanza della risorsa, ha dato vita ad una tra le prime aree estrattive del Bacino del Mediterraneo. Il vetro era estratto in decine di cave e lavorato in circa 170 “officine per produrre oggetti taglienti (punte di freccia), diffuse in tutta l'isola ed esportate oltre Tirreno.
I limiti dell'area includono quelli del futuro Parco Regionale del Monte Arci, l'ambiente si presenta ben conservato ed integrato con l'economia e gli usi della popolazione, distribuita in numerosi piccoli centri, dove prevalgono le attività silvo-pastorali. La natura vulcanica ha impresso al settore occidentale una morfologia movimentata; la stessa cima (Trebina Longa, 812 metri) è una massa vulcanica consolidata nella parte alta di un condotto vulcanico poi messa a nudo dalle rocce circostanti. Ciò contrasta con la piana sottostante del Campidano e consente visioni panoramiche di tutto rispetto. Differente l'andamento sul versante opposto, dove ampie zone si trovano debolmente inclinate e interrotte da alte pareti, segni di movimenti tettonici.
Non mancano imponenti aree boschive, in particolare in quelle più elevate, ma anche nelle zone pianeggianti ai margini delle aree coltivate. La componente ambientale, sia botanica che faunistica, è, per l'area, di notevole importanza; insieme a quella archeologica fa del territorio un inesauribile giacimento di beni culturali.
L'attività estrattiva ha avuto inizio, come detto, in epoche remote, l’interesse per l’ossidiana si perse con la scoperta di prodotti metallici che significò un lungo abbandono estrattivo per l'area, fino alla fine del diciannovesimo secolo. In quel periodo importanti ricerche evidenzia- rono l'utilità dei materiali pomicei per l'industria delle porcellane e per quella dei mattoni, tra cui il sito storico di Sa Miniera di Luisu Sanna, aperta da un certo Sanna di Morgongiori.
Orani
Storicamente, la risorsa mineraria conosciuta in quest'area è il talco, presente sotto forma di steatite (silicato di magnesio del gruppo della clorite). Dal principio del secolo scorso è diventato prodotto di largo consumo per i suoi caratteri di morbidezza e untuosità, nel settore dei cosmetici, degli insetticidi e dei prodotti ceramici.
Interessante l'utilizzo fin dall'epoca preistorica, dove presumibil- mente si sfruttava la possibilità di lavorarlo in pendagli ed in seguito, dal nuragico, matrici per fusioni, grazie alla sua resistenza alle alte tempera- ture. Il suo utilizzo è stato dimostrato nel sito archeologico più rilevante di Orani, l'area sacra di Nurdole, e dalla diffusione di manufatti in numerosi altri luoghi dell'isola. L'estrazione con metodi moderni ha inizio nel 1922, quando fu aperta la miniera di San sco ed in seguito quella di Sa Matta, cui si aggiungeranno nel corso degli anni moderni impianti di macinazione e prima lavorazione, per opera della Società Talco e Grafite di Valchisone. Attualmente si opera nella miniera di Sa Matta, mentre a Su Ventosu e Ispadulleddas i lavori sono sospesi. Si stimano quindi, su un'area di 1600 ettari, riserve per tre milioni di metri cubi di grezzi, ovvero almeno un decennio d'attività.
All’estrazione del talco si è progressivamente affiancata quella dei feldspati, presenti nell'isola principalmente ad Orani e Ottana. Qui un centinaio di persone operano su un territorio esteso 100 chilometri quadrati, favoriti dall'ottima qualità del prodotto sardo e dalla crescita delle produzioni ceramiche nazionali, con una produzione annua di 250- 300 mila tonnellate e con risorse stimate in 10 milioni di metri cubi .
Sono presenti sul vasto e articolato territorio, numerose piccole cave di granito e marmo, anche se sono i grandi scavi a giorno ad alterare, purtroppo in molti casi in maniera insanabile, il paesaggio circostante, caratterizzato da scenografiche ed imponenti formazioni granitiche alternate a zone pianeggianti.
Funtana Raminosa
L'area si trova sul versante meridionale del Gennargentu, tra la Barbagia di Seulo, l'alto corso del Flumendosa e il Sarcidano e include due centri storici dell'industria mineraria isolana: la miniera di rame di Funtana Raminosa, nei pressi di Gadoni, e quella di antracite di Corongiu, a breve distanza da Seui.
La storia di Raminosa è ricca di aspetti archeologici e tecnologici. Dagli affioramenti, coltivati con grande impegno, con pozzi profondi 50-70 metri, in epoche assai lontane, furono estratte notevoli quantità di rame metallico indispensabile per la creazione dei bronzetti. Rimangono testimonianze nelle tracce di fusione, di scavo ma soprattutto una lunga scia di ritrovamenti succedutisi negli anni con particolare frequenza lungo il corso del Flumendosa. Sotto quest'aspetto non è inopportuno parlare di "via del rame" e ipotizzare un commercio rilevante della risorsa con altri popoli del Mediterraneo.
Si dovrà attendere il diciannovesimo secolo per la nascita di un centro minerario moderno, con impianti e un sistema sotterraneo rilevante per l'estrazione di minerali di piombo, argento e rame. In un contesto territoriale e sociale abbastanza isolato (Gadoni e gli altri centri distavano più di venti chilometri), apparentemente chiuso rispetto ai territori minerari più conosciuti dell'isola, attorno al villaggio e al primo impianto di flottazione sperimentato in Italia, si sviluppò una complessa vicenda storico-economica. Questo in particolare durante i decenni che precedettero l'ultimo conflitto mondiale, in pieno regime di restrizioni autarchiche. Un imprenditore, Marcello Ravizza, ipotizzò addirittura la nascita di una cittadina del rame adagiata sulla sovrastante piana di Laconi, una piccola Carbonia, dove alloggiare le maestranze (si prevedeva di dare lavoro ad oltre 2200 minatori), con tanto di pista per l'atterraggio di aeroplani. Nulla di così faraonico sorse oltre le rupi calcaree che facevano da cornice alla miniera, comunque punto di riferimento per la debole industria del Nuorese, in grado di assicurare centinaia di stipendi fino agli anni settanta. Poi venne la crisi, l'abbandono e l'incapacità di assicurare a questo grazioso angolo di Sardegna un differente destino. Vita non facile anche per il giacimento di minerali ferrosi di Giacurru, non distante da Aritzo, con un minuscolo villaggio per minatori e un andamento economico ostacolato dalla concorrenza con altri depositi, quelli di
Canaglia e San Leone, in Sardegna, e il più noto distretto minerario Elbano. L'altro elemento di richiamo è l'area mineraria di Corongiu-San Sebastiano, lungo la linea ferroviaria Cagliari-Arbatax. Ad iniziare con il Della Marmora si susseguirono i lavori per la coltivazione di due importanti giacimenti d'antracite, un combustibile naturale particolar- mente pregiato per l'elevato potere calorifero. Il primo, a monte di Seui, con un impianto d'arricchimento collegato ai cantieri d'estrazione da una teleferica, il secondo a sud di Seulo, alla base di Taccu Ticci, nel sito conosciuto come Ingurtipani.
Anche in questo caso le vicende delle due miniere risentirono della distanza dai luoghi di utilizzo del combustibile, almeno fino alla costruzione mirata del tracciato ferroviario, ma anche da una natura giacimentologica sfavorevole, con frequenti ed improvvise invasioni d'acqua e argilla nelle gallerie. Rilevanti le cave per l'estrazione di caolino di Laconi, Nurallao e Nurri, e sempre nell’area di Laconi per quelle delle sabbie silicee.
Gallura
Nel settore settentrionale dell'isola si è sviluppata, fin dalla dominazione romana, l'attività di estrazione del granito, elemento principale dei paesaggi galluresi. L'opera difficile e piena di rischi è proseguita fino ai primi anni del secolo scorso, con tecniche primordiali, legate in particola- re alla conoscenza della roccia e dei suoi punti di naturale frattura, più che ai macchinari. Mazza, punteruoli, scalpelli e palanchini sono stati a lungo gli unici strumenti degli scalpellini, mestiere diffuso in tutta la Gallura, in grado di importare ed esportare manodopera qualificata. Dei primordi dell'attività estrattiva rimangono mirabili esempi di tagli nella baia di Santa Reparata, a nord di Santa Teresa di Gallura; numerosissime le cave, poco più che tagli verticali, alti meno di dieci metri, a Capo Testa ed in altre località della frastagliatissima costa. L'impianto di una cava antica dipendeva da due fattori: la vicinanza al mare e ad un punto d'ormeggio. Era decisiva la compattezza del materiale, l'assenza di venature o altri inclusi che, oltre a ridurre l'aspetto estetico, potevano, sia in fase di taglio sia sotto carico, non resistere alle sollecita- zioni. Si preferì attaccare fronti naturali verticali, utilizzando come letto di caduta frasche, tronchi o massicciate di pietrame. Il trasporto, con le sole forze umane, avveniva mediante tronchi circolari, funi e piccoli palanchini di ginepro.
Come detto, le vallecole che ornano il Capo Testa presentano una miriade di questi antichi scavi, associati spesso ad altri periodi d'estrazione, per opera di isolati coltivatori o per semplici esigenze costruttive locali. Da ricordare che il maggiore centro costiero è Santa Teresa di Gallura, abitato importante sotto il profilo turistico e per i collegamenti con la Corsica, ma dall'età relativamente giovane. Fu infatti fondata nel diciottesimo secolo dai Savoia, per colonizzare una porzione dell'isola fino a quell'epoca disabitata. L'industria delle costruzioni scoprì nel diciannovesimo secolo i caratteri di durezza e lavorabilità del granito estratto a breve distanza dalla base navale di La Maddalena, nel sito conosciuto come Cala se. Questo sito divenne, per oltre sessant'anni, il principale produttore di pezzi lavorati per esigenze militari e civili, si arrivò perfino a stilare una classifica dei graniti nazionali utilizzati per le pavimentazioni stradali (allora non esisteva il bitume), che promosse quello isolano il più resistente. Ai piedi di alcune colline granitiche, tagliate e sfruttate in pochi anni, sorse un centro moderno per la lavorazione della roccia. Nei vasti e disordinati piazzali, ogni giorno lavoravano fino a 300 scalpellini per produrre tantissimi elementi
costruttivi, quali mensole per balconi, capitelli, colonne, cordoli per marciapiedi, ecc. Molti bastimenti poterono caricare dal piccolo ma attivissimo porticciolo forniture destinate a varcare l'oceano, grazie agli ottimi rapporti commerciali tenuti dalla società sardo-ligure, proprietaria della cava.
Un notevole contributo venne anche dai continui lavori di adegua- mento dell'arsenale militare e del sistema di fortificazioni dell'arcipelago, realizzati con elementi scolpiti nella cava. Di questo sito rimane intatto quasi tutto, vegetazione e abbandono hanno solo in parte celato le antiche vie di trasporto dei blocchi, le massicciate un tempo percorse dal trenino a vapore della cava, i fronti di questa e tanti pezzi appena sbozzati. Sull'isola di Santo Stefano, nell'area non utilizzata dalla base Nato, si trova ancora il busto di Costanzo Ciano, eroe della Marina Militare Italiana, destinato ad un grandioso monumento mai completato per lo scoppio della seconda guerra mondiale. Cala se assunse nel panorama storico-minerario un posto di primissimo piano, al pari di altri siti sardi come Montevecchio e Monteponi, per il ruolo e il prestigio conquistati in Italia e nel Mondo.
Argentiera
Ricadono in questo limitato ma suggestivo territorio della provincia di Sassari, due mete da non perdere per un turista in cerca di paesaggi naturali mozzafiato e di quei segni umani che hanno "colonizzato" aree destinate a rimanere lande spopolate. Il segno minerario è rappresentato dalla bella e solitaria borgata dell'Argentiera, posta sulla costa occiden- tale al termine di un'area monotona ma al tempo stesso sorprendente per la varietà dei paesaggi collinari e per quel tessuto rurale che caratterizza buona parte della Nurra.
Le vicende dell'insediamento sorto per l'estrazione dell'argento, poi divenuto tra i maggiori produttori nell'isola di zinco e piombo, ricalcano quelle di altre realtà. Le prime testimonianze, rappresentate da vecchi fornelli e brevi tratti di gallerie, risalgono al periodo Romano, ma è nell'età moderna che si svilupparono i primi sistematici tentativi di ricavare il prezioso metallo dalle formazioni rocciose attorno alla cala di San Nicolò. L'industrializzazione interessò la Nurra, fino al secolo scorso praticamente disabitata e con poche frazioni dove la popolazione traeva sostegno da un'agricoltura povera e arretrata, costruendo la prima via di transito e collegando finalmente l'immenso comprensorio al capoluogo di Sassari e all'imbarco di Porto Torres. Dal 1870 si sviluppò, attorno al primo edificio per la lavorazione dei prodotti estratti dal sottosuolo, una piccola cittadina, che per il corso dei suoi anni dovrà sempre convivere con l'isolamento e con la continua arte dell'arrangiarsi. Ai primi del Novecento all'Argentiera lavoravano centinaia di minatori, la dirigenza era nelle mani di tecnici belgi che svilupparono moderne tecniche di scavo e perfezionarono quello che è il simbolo della miniera: la laveria. La crisi del settore minerario si abbattè su questo micromondo quando i coltivatori privati decisero di abbandonare l'isola per la scarsa convenienza dei nostri giacimenti. Nel 1963 la miniera chiuse ma non la vita della frazione sassarese. Dagli anni Settanta molti hanno lasciato le casette sul mare e raggiunto altri cantieri minerari, per altri ci fu la promessa di facili impieghi nelle industrie del Settentrione d'Italia.
Il complesso ex-industriale conobbe un lento e inarrestabile declino, che sembrò poter finire con l'avventato intervento turistico-residenziale che interessò la località, conclusosi invece, dopo alcune sentenze della magistratura civile, con il
blocco dei lavori e con una nuova e diffusa offesa alla storia e alle architetture minerarie. Alcuni chilometri a nord, in territorio di Porto Torres, si trova l'area mineraria di Canaglia-Monte Rosso.
La zona individuata dal Parco Geominerario si chiude nella parte meridionale con la formidabile sequenza di falesie, gradoni e creste scoscese che costituiscono per 10 chilometri la penisola di Capo Caccia e delimitano la baia di Porto Conte e l'ampio golfo di Alghero. Si tratta di un grande ammasso calcareo emerso milioni d'anni fa, eroso dagli agenti atmosferici e dall'azione marina, tanto da assumere una morfologia tormentata e in grado di offrire paesaggi unici. Nei pochi e obbligati percorsi è possibile apprezzare la ricca fauna e flora, i segni del ato geologico ed è possibile visitare le numerose cavità naturali di cui il capo è ricco, ad iniziare dalla celebre grotta di Nettuno. Quest'ultima costituisce il gioiello naturale, arricchito dalla scalinata d’accesso (652 gradini), con oltre 1850 metri di sviluppo, ampi saloni e colonne di calcare che sorreggono volte ornate da preziose concrezioni. Nei pressi di Alghero venne aperta la miniera di Calabona, attiva fino agli anni Cinquanta, per la produzione di gesso, utile allora, nei cementifici.
Sarrabus-Gerrei
La seconda area per estensione del Parco Geominerario comprende i resti di due importanti bacini produttivi, quello argentifero e quello antimonifero. A questi si somma l'area di Silius, dove, dal dopoguerra, è attiva la maggiore produttrice di fluoro d'Europa, con produzioni elevate anche nel settore del piombo. La natura geologica e giacimentologica dell'area è tanto complessa da presentarsi agli studiosi come un campo d'indagine difficile ma al tempo stesso esaltante. Ne consegue il patrimonio storico-minerario che nel corso dei secoli ha visto l'uomo cercare una serie nutrita di sostanze minerarie, dall'argento all'antimonio, per citare i più conosciuti.
Datare l'inizio dei lavori di estrazione del prezioso metallo è abbastanza difficile, per via di una diffusa non conoscenza delle testimonianze archeologiche più antiche, dovuta alla conformazione del territorio. A titolo di esempio, sulle alture di Burcei, ai piedi del Monte Bruncu Coscinadroxiu, un rilievo che domina la ricca ed impenetrabile foresta di Brabaisu è presente un sito archeologico non scavato denomi- nato Sa Idda Beccia (il vecchio abitato), in un luogo ideale per il clima, collegato da una via di cresta (ci ava la strada reale che precedette quella di fondo valle, ovvero l'attuale Orientale Sarda). Ora appare chiaro che i romani, che da una prima indagine hanno abitato nel luogo, dovevano mostrare un forte interesse per il territorio circostante, ricco, come è stato dimostrato solo nei secoli scorsi, di argento e piombo. Caratteristica basilare del giacimento argentifero del Sarrabus, costituito da una sequenza a tratti discontinua di punti mineralizzati, dalle alture a est di Sinnai e Soleminis, fino alla costa di Muravera e Villaputzu, era data dall'abbondanza di metallo allo stato nativo, cioè praticamente puro. Testimonianze lasciate da ingegneri minerari del secolo scorso, sotto forma di relazioni e pubblicazioni, menzionano ritrovamenti frequenti di masse filamentose di argento nelle gallerie sarrabesi, accennano poi ad una massa di minerale argentifero (tonnella- te di minerale ricchissimo) rinvenuta a S'Arcilloni, una miniera posta alla confluenza del rio Ollastu con il rio Brabaisu, abbastanza vicina al sito romano richiamato in precedenza.
In attesa che una sistematica campagna di ricerche archeologiche possa chiarire il ato estrattivo più antico, ricordiamo che le prime prove certe di lavori, in
particolare nell'area di Monte Narba, sono del diciassettesimo secolo, ad opera di isolati e tenaci cercatori di miniere. Tra questi un sacerdote, a cui spetta, secondo una leggenda, il merito d'aver individuato un ricco filone nel bosco di Tuviois e un tale, di cognome Agus, che per primo trovò l'argento nel sottosuolo di Canale Figu, presto seguiti da altri, fino a destare l'interesse di alcuni tecnici minerari, tra cui Giovanni Battista Traverso che, per conto di un gruppo di imprenditori liguri, costituì la Società Anonima delle Miniere di Lanusei.
Ad iniziare dalla seconda metà dell'Ottocento l'aspro territorio montano del Sarrabus fu percorso da ingegneri e minatori; i primi studiarono i giacimenti mentre le maestranze costruirono alloggi, strade e tracciarono le prime gallerie. Quella che per molti versi diverrà una piccola “corsa all'argento” sardo darà inizio ad uno straordinario capitolo della storia mineraria della Sardegna. Al principio del nuovo secolo oltre 1500 minatori trovarono impiego nelle 10-12 miniere, due terzi dei quali nel complesso di Monte Narba-Giovanni Bonu, con un villaggio moderno, un pozzo d'estrazione protratto fino a 160 metri sotto il livello del mare e oltre 20 chilometri di gallerie. L'epopea durerà meno di tre decenni, dopo aver portato alla luce tonnellate di metallo e grandissime quantità di galena. Tra le cause della chiusura: l'apertura di nuove miniere nell'America Latina, le difficoltà di coltivazione e nei trasporti; più in generale l'abbassamento del valore dell'argento sul mercato mondiale.
Negli anni che videro il rientro dei reduci della Grande Guerra nei paesi del Sarrabus, le miniere chio ad eccezzione di Monte Narba che proseguì con alterne fortune per qualche anno, grazie ad una moderna azienda agraria, che animerà il borgo minerario fino agli anni Settanta. Parallelamente, attorno ai centri di Villasalto e Ballao, e in misura minore nell'area di Armungia ed Escalaplano, ebbero inizio i lavori di coltivazione di alcuni filoni di antimonite, un minerale utilizzato nell'industria e ritenuto non comune per la nazione. Ben presto i lavori s'incentrarono a Ballao e Villasalto, rispettivamente nelle miniere di Corti Rosas e in quella di Su Suergiu, dove, ai piedi del villaggio e delle gallerie fu realizzata una fonderia. Con il tempo, a Corti Rosas, sorse una laveria, poi divenuta flottazione, attraverso periodi di crisi e grandi fasi produttive. Progressivamente i giacimenti non riuscirono più ad assicurare un’adeguata alimentazione in termini quantitativi alla fonderia, divenuta, a partire dagli anni
Quaranta, un centro tra i più moderni del vecchio continente per l'arricchimento dell'antimonio. Tra le ottocentesche mura in pietra, con l'assillo di mantenere viva l'attività, altrimenti destinata ad essere soppressa dall'ente di Stato per le miniere, l'A.M.M.I., tecnici e maestranze individuarono tecnologie poi riprese in altri stabilimenti italiani, ottenendo riconoscimenti pur senza evitare una lunga ed estenuante agonia per Su Suergiu e Corti Rosas.
Negli anni Ottanta le maestranze raggiunsero i colleghi di Iglesias e solo un timido tentativo di coltivare un ricco filone di fluorite, alle pendici settentrionali del Monte Genis, ritardò la definitiva chiusura dei lavori. Oltre ai citati bacini, funzionò fino al 1962 la miniera di Bacculocci, a Villaputzu, con un giacimento di arsenopirite e rame utilizzato nell'industria degli insetticidi, dotato anch'esso di un villaggio minatori e di un impianto di arricchimento. Curiosa una relazione del 1890 che descrive la redditizia attività di ricerca dell'oro nei minerali estratti da alcuni cantieri, di opposta natura i racconti degli anziani sulla durezza del lavoro, sull'isolamento della località e sull’ estrema pericolosità delle polveri, tanto da sentirsi tutti dei condannati a morte prematura. Altra curiosità è il tentativo di estrarre combustibile fossile dalla località Gennarella, grazie alla brevissima distanza con l'Orientale Sarda, ma minata dalle ridotte possibilità del giacimento.
Lungo il corso del Flumendosa operarono, con risultati deludenti, una serie di piccole concessioni, con l'eccezione della miniera di Genna Flumini, conosciuta con il toponimo Brecca. Qui i lavori proseguirono per oltre sessant'anni, prima per l'argento e poi per l'antimonio, attorno ad un insieme di gallerie incassate in una scenografica valle, oggi vero paradiso per gli amanti dei luoghi selvaggi. Rilevante il ruolo delle miniere Muscadroxius II e Genna Tres Montis, con 220 minatori a lavoro, ormai unico insediamento industriale del Sarrabus-Gerrei, a pochi chilometri da Silius. I primi lavori di ricerca sono datati 1916-17, ma solo dagli anni Cinquanta si sviluppò un’intensa attività estrattiva lungo circa 2,3 chilometri di estensione e a profondità sempre crescenti, con ricche infrastrutture interne.
Arburese-Iglesiente-Sulcis
Un continuo di edifici minerari, discariche, imbocchi di gallerie e villaggi un tempo abitati da minatori, sono le descrizioni ricorrenti nei tanti reportages dei giornalisti che con sempre maggiore frequenza visitano il sud-ovest della Sardegna. A livello nazionale nessun’ altra area presenta una simile concentrazione di iniziative estrattive, vi si avvicinano i territori elbani, la provincia di Caltanissetta e parte delle Alpi Apuane; per trovare paragoni bisogna osservare il bacino della Ruhr o il tessuto storico- industriale dell'Inghilterra. Si diceva dell'eterogeneità del tessuto estrattivo: su questo aspetto si può procedere con una prima separazione tra miniere metallifere e quelle di combustibili fossili, per il fatto che lo sviluppo ha seguito tempi e modi molto differenti. L'attività nel metallifero è antica e tutte le miniere sono ormai chiuse. Il settore della lignite, il combustibile fossile di cui è ricca la porzione centrale dell'area Parco, è recente e tuttora prosegue nelle miniere di Seruci e Nuraxi Figus.
Nelle aree metallifere distinguiamo il complesso di Montevecchio, Ingurtosu e Gennamari, le miniere di Perd'e Pibera e Fenugu Sibiri nel complesso montuoso del Linas, a sud c'è uno stacco deciso fino all'area di Buggerru e Fluminimaggiore, con numerose miniere. Attorno ad Iglesias si concentrano i punti più importanti e storicamente menzionati: Monteponi, San Giovanni, Campo Pisano e Monte Agruxiau, mentre sul versante orientale del Marganai si aprono piccole miniere. Non altrettanto nell'area costiera che unisce l'Iglesiente a Buggerru, con centri di prima importanza come Nebida, Masua, Acquaresi, Canalgrande e Montecani, quest’ultima assurdamente cancellata per far posto ad una strada provinciale. Attorno a Gonnesa si concentrano altri centri estrattivi di una certa importanza, tra cui Sedda Moddizzis e Monte Onixeddu, ed altri aperti per la coltivazione di giacimenti di bario, tra cui Barega. Nello stesso comune si trova buona parte del giacimento lignitifero che per oltre un secolo e mezzo ha influenzato il territorio, portando alla realizzazione del più grande villaggio operaio sardo: Carbonia. Forniamo al lettore una suddivisione geografica (da Nord a Sud) del vasto e articolato territorio, ricordando che su di esso gravitano due importantissime aree naturalistiche (destinate in futuro a divenire parchi regionali): quello del Monte Linas-Marganai e quello del Sulcis, oltre a una serie di ambiti destinati a divenire riserve regionali.
Non trascurabile l'importanza demografica dei centri interessati, da Guspini a Iglesias fino a Carbonia. A breve distanza da Guspini e Arbus, lungo tre vallate, quella dei rii Piscinas, Naracauli e Bau, si svilupparono, a partire dal 1848, imponenti lavori di coltivazione, lungo una serie di filoni apparentemente distinti, che diedero luogo alle miniere di Montevecchio, Ingurtosu e Gennamari, e non meno di 12 centri abitati, tra i quali ricordiamo Sciria, Gennas (attuale frazione di Montevecchio, detta anche Spianamento), Sanna, Telle, Casargiu, Ingurtosu, Naracauli, Bau e alcuni nuclei abitati della concessione di Gennamari. L'ultima ebbe vita relativamente breve e comunque fu molto integrata con la vicina miniera di Ingurtosu; questa e Montevecchio al contrario accentrarono in oltre un secolo di fervente attività un’ingentissima quantità di lavoratori e di interessi economici. Come detto si sfruttarono filoni idrotermali distinti ma riconducibili ad un unico corpo minerario, con caratteri similari per l'andamento e il tipo di mineralizzazione, più correttamente chiamato “giacimento di Montevecchio, Ingurtosu e Gennamari”. Questi filoni si trovano general- mente paralleli al contatto tra il plutone granitico dell'Arburese- Guspinese e l'Unità metamorfica dell’Arburese, al cui interno è incassato il giacimento. E' interessante notare come alcuni filoni (che poi coincisero con i grandi cantieri delle tre miniere) assicurarono eccezionali livelli produttivi presentando mineralizzazioni di insuperato peso economico, almeno rispetto allo scenario nazionale. Tra questi ricordiamo il filone San Giovanni (conosciuto anche come Piccalinna), Sanna e Brassey, esteso per oltre 2,5 chilometri e sul quale si incentrarono tutte le attività nella miniera di Ingurtosu. Minerali diffusi erano la blenda e la galena, a cui si associavano l'argento (fino a 1300 grammi per tonnellata, media- mente 500-600 grammi/t), l'antimonio (da 3,4 a 11 Kg/t), il cio (da 8 a 15 Kg per tonnellata di blenda) ed infine il rame e il germanio (elemento raro presente nella galena con 150 grammi/t.).
Si calcola che nelle tre concessioni siano stati scavati oltre 200 chilometri di gallerie, con ben 35 chilometri di fornelli. Nel 1990 gli accessi al sottosuolo erano poco più di trecento, con oltre 130 fornelli e 14 pozzi di estrazione. Meno precisa è la stima dei volumi di discarica e dei bacini fanghi, in entrambi i casi soggetti a forti asportazioni dovute allo scorrere delle acque superficiali. Attorno migliaia di macchinari o parti di questi, alloggiati ancora (1991, anno di chiusura anche dell'ultimo cantiere di Montevecchio) nei caseggiati originali, come la sala argani di pozzo Gal, assurdamente sventrata da una pala meccanica per asportare parti dell'antico e bellissimo argano, poi venduto a peso di ferro vecchio, sotto gli occhi di molti, troppi amministratori o “esperti” di cose minera- rie. Nel 1988 nell'area esisteva oltre un milione di metri cubi di edificato, parte del quale ancora in ottimali condizioni, specie nell'area di Montevecchio. Meno di dieci anno dopo, questo patrimonio appare irriconoscibile e tanto degradato da non consentire, in molti casi, una lettura tipologica o peggio, da sconsigliare un recupero o un utilizzo. Ai resti di un tessuto minerario straordinariamente carico di storia è associato un territorio naturale di grande fascino, con alcuni elementi caratterizzanti decisamente rari: le aree dunali di Scivu, Piscinas e Pistis (a nord rispetto alle zone minerarie), il complesso forestale di Croccoriga (incuneato accanto ai cantieri di Ponente di Montevecchio) e il versante occidentale del massiccio del Linas. Nell'area compresa tra la costa, la catena vulcanica del Monte Arcuentu e i cantieri di Ingurtosu, la Comunità Europea ha finanziato un Piano Life Natura per la conserva- zione dell'habitat naturale su un territorio vastissimo e secondo un giusto equilibrio tra attività umane, fauna e flora.
Meno rilevanti dal punto di vista industriale sono le miniere di Pira Inferida, Fenugu Sibiri, con minerali di nichel e cobalto, quelle di S'Acqua Bona e Nieddoris con minerali di piombo e zinco, invece di valore strategico quella di Perd'e Pibera a Gonnosfanadiga, dove si trova il particolare giacimento a siderite di Salaponi, mai rivelatosi di reale interesse nonostante le aspettative riposte dai vertici della società mineraria Montevecchio. Si trattò quasi sempre di piccoli lavori ostacolati da mineralizzazio- ni di limitata estensione, posti in zone mal collegate, dove risultò complicato portare l'energia elettrica per avviare pochi impianti di arricchimento. Differente il caso del giacimento di Gonnosfanadiga, sfruttato senza particolari fortune agli inizi del secolo per piombo e argento ma successivamente rivelatosi di eccellente valore strategico per la molibdenite, un
minerale utilissimo per l'industria italiana durante gli anni del regime autarchico. Differente per genesi geologica rispetto all'area Arburese è l'Iglesiente, che comprende almeno tre settori differenziati geografica- mente: l'area costiera Buggerru-Nebida, quella interna attorno ad Iglesias e quella compresa nel massiccio del Marganai.
L'arco costiero è fortemente impregnato di testimonianze estrattive, per questo basta osservare il forte impatto degli impianti di Masua sull'incantevole scenario dei rilievi calcarei o lo stesso golfo di Buggerru. Pur avendo una natura geologica simile ad altre zone vicine ma più distanti dalla costa, l'insieme di miniere è stato influenzato decisamente da una serie di fattori dovuti alla morfologia del territorio e alla necessità di utilizzare il mare come via di trasporto dei minerali. Centri come Buggerru o Masua risultano infatti distribuiti urbanistica- mente lungo gli approdi ed è raro trovare insediamenti interni di una certa rilevanza. Buggerru è, come Carbonia, un ex villaggio minerario (fino agli anni Cinquanta era frazione di Fluminimaggiore). Deve, infatti, i suoi natali all'intuizione dell'ingegner Eyquen, che tra i rilievi un tempo frequentati da soli boscaioli-carbonai, che costituivano il Salto di Gessa (un territorio che comprendeva Fluminimaggiore e Buggerru) trovò immensi ammassi di calamina e blenda, minerali pregiati per l'estrazione dello zinco. L'avvento delle nuove maestranze sconvolse la grande area boschiva, con nuovi accessi, villaggi, macchinari mai visti nella metà del diciannovesimo secolo, tutti facenti capo all'insenatura più riparata dove sorse Buggerru. Le cronache descrivono quel periodo ricordando i fasti per questo villaggio cresciuto sotto la dirigenza se e con minatori provenienti anche dalle province di Nuoro e Sassari, con innovazioni e tecniche di lavoro destinate a segnare la storia mineraria dell'isola e quella italiana. Ricco di testimonianze minerarie è il territorio di Fluminimaggiore e Domusnovas: in questo caso le maggiori miniere s'incentrano lungo la naturale via di comunicazione che collega la zona di Antas alle grotte di San Giovanni, ando attraverso i lavori di San Benedetto, Malacalzetta, Arenas, Tiny, Sa Duchessa, Perda Niedda, Marganai, Barraxiutta e Su Gorovau. Attorno ad Iglesias si concentrano i punti più importanti, storicamen- te menzionati e sui quali lasciamo alle schede il compito di illustrare caratteri e vicende storiche: Monteponi, San Giovanni, Campo Pisano e Monte Agruxiau, dove sono partiti i primi interventi di recupero e valorizzazione del patrimonio archeologico-minerario della Sardegna, ad opera del personale e dei tecnici che fino a pochi anni fa lavoravano al ciclo estrattivo.
Notevolissimo peso hanno le due miniere di lignite, anche se possiamo a questo punto parlare di un unico insediamento, denominato Monte Sinni, con sede a Nuraxi Figus. Sono quanto rimane di un distretto minerario costituitosi nel
secolo scorso che giunse a contare negli anni Trenta, decine di migliaia di minatori, distributi in miniere moderne per quei tempi e delle quali, oggi, non rimangono che i ricordi, tra cui Bacu Abis (la più antica), Serbariu (la miniera che si estendeva sotto l'attuale città di Carbonia), Cortoghiana, Seruci (ancora in parziale attività) e Nuraxi Figus, un tempo semplice cantiere ed oggi tra le ultime grandi miniere del vecchio continente, con poco meno di novecento occupati. A sud della fossa alluvionale del Cixerri altri punti mineralizzati; tra Villamassargia e Narcao le miniere di Orbai e Rosas. Di natura geologica differente e dalla storia sociale molto ricca di legami con le miniere della costa, l'isola di San Pietro ha fornito materiali coloranti (le ocre delle miniere del Becco e di Capo Rosso), ma ha soprattutto svolto un ruolo di primo piano nella movimentazione dei minerali.
Sui monti di Assemini si trova invece la miniera di ferro di San Leone, in ato importante centro estrattivo, alle porte di Caglia- ri, attivo fino agli anni Sessanta.
I siti del Parco Geominerario
I siti del Parco Geominerario
Museo mineralogico di Caprera Miniera Sos Enattos Miniera Funtana Raminosa Museo e Percorsi dell’ossidiana Museo minerario Su Suergiu Galleria Anglosarda Palazzo della Direzione e Museo Mineralogico Pozzo Gal Galleria Henry Porto Flavia Museo Macchine da Miniera Galleria Villamarina a Monteponi Grotta Santa Barbara a San Giovanni Museo Giorgio Asproni Centro Cultura del Carbone
Museo Minerario di Rosas Via dell’Argento
Museo mineralogico di Caprera
Il Museo, che ha anche la funzione di laboratorio di ricerca, è costituito da due grandi sale espositive nelle quali sono presenti otto vetrine e quattro grandi bacheche, in esse sono esposti campioni di rocce, minerali, fossili, sabbie di spiaggia, conchiglie ecc. (complessivamente circa 2500 esemplari) provenienti essenzialmente da numerose località dell’isola, tra questi sono degni di nota i giganteschi gruppi di cristalli di quarzo affumicato (sino a 150 kg e 65 cm di lunghezza) descritti su alcune riviste italiane e straniere (Gamboni A. & T., 2000) e provenienti dalla grande e famosa cavità pegmatitica situata nel settore nord dell’isola di Caprera che prende il nome di Punta Crucitta; numerosi sono i campioni esposti di "tormalina" nera (sciorlite ?) in cristalli sino a 5 cm provenienti dagli scisti situati nel settore meridionale dell’isola. Tra i minerali di interesse sistematico vanno citati i piccoli (5-6 mm) ma numerosi campioni di bertrandite e almandino rinvenuti in alcune piccole cavità pegmatitiche presenti nella località Coticcio. Un settore della grande sala, nel quale sono esposte alcune cartine geologiche riferite all’Arcipelago di La Maddalena e alla Gallura in generale, è stato adibito ad aula per video-proiezioni e didattica per le scuole. Il museo ha anche un locale attrezzato a laboratorio con microscopi, bilancieri, reagenti chimici ecc., nel quale vengono selezionati e "preparati" i campioni che saranno esposti al pubblico.
SI RAGGIUNGE: Dall’abitato della Maddalena verso l’isola di Caprera, quindi seguire le indicazioni per Stagnali (circa 12 km) .
Miniera Sos Enattos
Sos Enattos è stata tra le ultime miniere metallifere a chiudere. Vanta una storia antica, poichè presumibilmente l'area fu oggetto di scavi da parte romana, per i ricchi affioramenti di minerali argentiferi (filone Cavella). Nel 1864 iniziò lo sfruttamento su basi moderne e nel corso dei decenni vennero scavati il pozzo Rolandi (1971) nei pressi della laveria Fioretti. Nel corso degli anni Ottanta le attività estrattive vennero approfondite con lo scavo di una rampa che permise di raggiungere alcune parti profonde del giacimento. L’estrazione dei minerari di piombo e zinco si è conclusa nel 1996.
VISITA: Attualmente le visite sono sospese, ma è in corso di ultimazione un lungo ed interessante percorso sotterraneo con accesso attraverso il Pozzo. Sarà inoltre possibile visitare la laveria, per comprendere le tecniche di separazione dei minerali.
SI RAGGIUNGE: L’area mineraria si raggiunge agevolmente dalla strada LulaSS 131.
Miniera Funtana Raminosa
Le ricche vene mineralizzate di calcopirite, principale minerale di rame, sono conosciute dall’uomo da almeno 6 mila anni. In tempi moderni Funtana Raminosa (Comune di Gadoni) ha prodotto una notevole percentuale del metallo in Italia, assicurando durante il periodo bellico la totalità del fabbisogno. Il villaggio e la laveria si presentano intatti e quest'ultima conserva l'intero processo di flottazione in buono stato. Due le strade per giungere in miniera: da Gadoni verso Seulo, deviazione a dx prima del viadotto sul Flumendosa, e dalla frazione Santa Sofia di Laconi (sconsigliata).
L’attività estrattiva ha avuto inizio nell’Ottocento, con lo scavo di alcune gallerie per l’estrazione di galena (minerale di piombo), successivamente fu evidente la presenza diffusa di calcopirite (un minerale di rame) tanto da modificare l’assetto della miniera (tra le più importanti in Europa nel settore dei minerali di rame). Nei primi del secolo scorso fu sperimentato con successo il processo di flottazione che consentì un notevole miglioramento delle produzioni, soprattutto di calcopirite. Dopo una lunga attività estrattiva, solo in minima parte influenzata negativamente dell’estremo isolamento della località, la miniera entrò in una profonda crisi produttiva, legata al parziale esaurimento dei filoni, nonostante investimenti e miglioramenti dei sistemi di estrazione.
VISITA: La visita si snoda tra percorsi all’ombra di una fitta boscaglia, lungo le sponde del Rio Saracinus e comprede numerosi aspetti della vita in miniera. Di assoluto interesse è il breve ma suggestivo percorso nella galleria Romana (con resti di coltivazioni antiche di millenni), fra interessanti esempi di armature in legno, alcuni pozzi e cantieri di coltivazioni. Strada facendo si osserva l’originale piano inclinato (tra i meglio conservati d’Italia), usato per trasferire il minerale dai cantieri alla quota della laveria. Segue la visita alla centrale dove si produceva l’aria compressa, attraverso la forza motrice prodotta da un antico gruppo propulsore. Il personale mostra sempre con orgoglio il frutto del paziente
lavoro di recupero, grazie al quale è possibile rivivere il ciclo di funzionamento dei macchinari.
Museo e Percorsi dell’ossidiana
A Pau, grazioso centro del Monte Arci, è sorto un interessante Museo dell’ossidiana, che raccoglie manufatti e immagini dei siti archeologici presenti nel territorio. Si tratta di centri di estrazione e soprattutto di lavorazione antica dell’ossidiana, un prodotto vulcanico frequente in tutto il territorio del Monte Arci. Nelle sale è possibile ammirare oggetti e sculture in ossidiana, prodotte in un vicino laboratorio artigiano. Nei pressi del villaggio turistico di Sennixeddu (pochi chilometri da Pau) si snoda un interessante circuito di percorsi che collegano i vari siti archeologici legati all’ossidiana.
Famoso il Sentiero dell’Ossidiana, un bel percorso all’ombra del bosco tra accumuli di vetro vulcanico semilavorato. Altri interessanti percorsi, più ampi, si dirigono verso il Monte Arci e si raccordano con altri siti di interesse naturalistico e geomorfologico.
SI RAGGIUNGE: Il Museo si trova in paese, mentre per i sentieri didattici si deve percorrere la strada che conduce a Sennixeddu.
Museo minerario Su Suergiu
Su Suergiu (Comune di Villasalto) è stato tra i principali centri per l'antimonio in Italia, grazie in particolare alla fonderia che, una volta esaurito il giacimento, ha trattato minerale proveniente dall'America Latina. Da osservare il villaggio, con l'elegante palazzo della direzione e numerosi edifici, dove un tempo vivevano tecnici e operai in quello che era a tutti gli effetti una comunità autonoma. Numerosi sentieri consentono di giungere alla sottostante fonderia e di visitare il parco circostante, toccando i vari piazzali, ognuno dei quali corrisponde ad una galleria. Molte le possibilità di fare scampagnate e picnic nelle aree attrezzate. Una strada sterrata in discesa conduce al villaggio e al complesso della fonderia. Consigliato il vecchio sentiero dei minatori che da Armungia conduce all'impianto minerallurgico. A breve distanza (in Comune di Ballao) si trova Corti Rosas, un centro minerario che si presenta costituito da numerosi e semplici edifici, fra cui spicca la struttura dell'impianto di trattamento dell'antimonio (flottazione). Parte degli edifici sono visitabili, da notare la piccola polveriera, la ciminiera di un'antica fonderia e il Ribasso Autarchia, visitabile per qualche centinaio di metri. L'attività del giacimento era di o alla miniera di Su Suergiu, dove esisteva un impianto per il trattamento completo dell'antimonio e dove, al contrario di Corti Rosas, il giacimento non era particolarmente ricco. La miniera si raggiunge dalla periferia di Ballao, dopo il ponte sul Flumendosa, sulla strada che conduce a Escalaplano.
VISITA: I reperti sono ospitati al piano terra dell’ex Palazzina della Direzione, un elegante edificio degli anni Venti che domina la miniera. Si tratta di attrezzi della fonderia, prodotti dell’antimonio fino ai panetti del prezioso metallo. Il Comune di Villasalto dispone del copioso archivio costituito da documenti e altri reperti, ricchi di fascino e utili per lo studio dell’attività mineraria nel Gerrei.
SI RAGGIUNGE: Su Suergiu dista pochi chilometri di strada (tortuosa per i bus da 50 posti).
Galleria Anglosarda
Nell'area sono presenti le opere minerarie di maggior richiamo dell'isola. La grande laveria Principe Tommaso, parzialmente accessibile, il pregevole pozzo Piccalinna, con annessa sala argano e compressori, il pozzo Sant'Antonio, con le sue eleganti finestre in legno e le merlature ottocentesche, ed infine il pozzo Sartori, dalla possente struttura in cemento armato. Ai piedi di questo apparato produttivo detto di Levante, partiva verso la pianura con arrivo alla fonderia di San Gavino, un tracciato ferroviario, oggi sede ideale per lunghe eggiate in mountain-bike. L'area mineraria si raggiunge comodamente da Guspini, in direzione Terralba. Da Arbus una strada panoramica conduce al villaggio di Gennas.
Le vicende storiche della galleria Anglosarda (dal nome di una delle società che operarono a Montevecchio nel diciannovesimo secolo). In pratica la galleria collegò il Pozzo di Sant’Antonio (prima zona per lo sfruttamento del filone) al grande piazzale dove era in construzione un impianto di trattamento per il minerale. I lavori iniziarono verso il 1852 e incontrarono vaste zone ricche di minerale di piombo con alte percentuali di argento.
VISITA: Il percorso in sotterraneo si snoda per alcune centinai di metri, nella galleria è possibile osservare tratti perpendicolari che immettono a zone di antica coltivazione, fino al pozzo S.Antonio, normalmente utilizzato per l’accesso al sottosuolo, dopo una breve discesa.
Palazzo della Direzione e Museo Mineralogico
Centro direzionale del sistema minerario Montevecchio era Spianamento (antico nome), conosciuto come Gennas (porta, valico), poichè ubicato al centro dei versanti minerari. Qui si trovano il bel Palazzo della Direzione (1877), con elegante cortile interno e la Sala Blu, dove si svolgevano i ricevimenti. Attigua la piccola e graziosa chiesa, poco distante l'Ospedale della miniera (in fase di restauro), il cinema, le scuole elementari ed altri edifici destinati ad ospitare impiegati e dirigenti della miniera. Informazioni presso il chiosco della società che gestisce le visite turistiche. Dal Cantiere di Levante si sale lasciando sulla destra il Pozzo Sant'Antonio. Il Museo Mineralogico si trova nei pressi della Direzione, sono esposti reperti mineralogici di grande valore scientifico, alcuni tipici del giacimento di Montevecchio, come la cerussite e l’anglesite verde.
Pozzo Gal
Il villaggio di Ingurtosu (Comune di Arbus) si trova in posizione panoramica, con alle spalle i primi lavori e verso valle gli ultimi cantieri, tra cui il Pozzo Gal e l'apparato produttivo di Naracauli. Tra gli edifici di maggior richiamo, la Direzione (Palazzo Bornemann), realizzata nel 1870 in granito, con elementi architettonici tipici della tradizione anglosassone. Da vedere la bellissima balconata lignea che sovrasta l'arco che consente di raggiungere i cantieri della miniera. Poco distante la piazzetta, dove operava lo spaccio e la rivendita di tabacchi, l'ufficio postale (che un tempo era il pozzo Maria Teresa), più distanti l'elegante ospedale e la foresteria degli operai.
Ai primi del '900 l'attività estrattiva si concentrò sul filone Brassey, a valle del villaggio, dal nome del lord inglese proprietario della miniera (Thomas Alnut). A Naracauli fu costruito il grande impianto di trattamento, oggi interessante per la complessità della struttura e per alcuni particolari architettonici di pregio. Attorno alla struttura si trovano ammassate le discariche dei materiali trattati, parzialmente asportati dal corso d'acqua. Sul versante opposto si trovano i resti della laveria Pireddu, più recenti ma altrettanto complessi. Ai piedi di quest'ultima il grande bacino fanghi, dall'aspetto lunare ma certamente suggestivo. I prodotti delle laverie erano convogliati verso la spiaggia di Piscinas, con ferrovia, di cui si osservano tuttora le traversine lignee sul fondo della sterrata. Sulla costa si trovava un grande deposito in pietra, che raccoglieva il materiale da spedire, in attesa dei periodici approdi delle imbarcazioni che facevano la spola tra i porti minerari della costa occidentale e quello di Carloforte. L'antica struttura è oggi un elegante albergo con una magnifica vista sul tratto di mare e sull'immensa distesa dunale.
Trekking tra MINIERE E CERVI Gli apionati di mountain-bike possono arrivare a Montevecchio lungo la
vecchia linea ferroviaria con inizio dalla periferia ovest di San Gavino. In macchina l’itinerario è facile, superato Montevecchio (dove si può visitare la Direzione, il Museo dei Minerali, il Pozzo Sant’Antonio e parte dei cantieri sotterranei), si raggiunge Ingurtosu con un’ottima ma lunga strada sterrata. Ai lati della pista ruderi di villaggi, pozzi di estrazione e una ricca vegetazione, regno incontrastato del Cervo Sardo. Ingurtosu incuriosirà per le eleganti architetture (da non perdere il palazzo della Direzione con un bellissimo arco in cui si infila la strada). Due le possibilità: verso Piscinas attraverso la valle di Naracauli (con i bellissimi resti della laveria Brassey) e fino alla costa e alle famose dune, con tappa obbligata all’albergo-ristorante Le Dune, un tempo deposito per minerali trasportati a valle da una piccola ferrovia. Se invece si prosegue da Ingurtosu si raggiunge la miniera di S’Acquabona (strada sterrata in forte pendenza a scendere) oppure si prosegue per Gennamari, sulla strada che conduce alla Colonia Penale di Is Arenas. Innumerevoli le eggiate, sia d’estate che nelle altre stagioni, molti i sentieri segnalati (attenzione a non dare fastidio ai cervi). Per informazioni è bene rivolgersi al Museo di Montevecchio e alle guide che vi lavorano. Per la cartografia IGM: 546 sezioni I e II.
Galleria Henry
La storia di Buggerru, sorto in seguito alla scoperta di grandi giacimenti di calamina, è ricca di fatti e personaggi. Basti pensare che all'inizio del Novecento l'abitato possedeva servizi invidiati da centri di ben maggiori dimensioni, quali l'energia elettrica, il cinema, ecc.. I cantieri dominano l'abitato, tra questi il grande scavo di Caitas, dove per mezzo secolo centinaia di minatori scavarono calamina trattata negli impianti sul mare. In poco tempo, l'insenatura, dove prima del 1870 i fluminesi portavano le vacche a mungere, divenne tra i porti industriali più importanti del Mediterraneo. Testimonianze diffuse ed importanti si trovano a pochi chilometri da Buggerru, raggiungibile da Fluminimaggiore e da Iglesias. A sud dell’abitato di Buggerru (ora Comune autonomo ma fino agli anni Cinquanta frazione di Fluminimaggiore), si svilupparono i lavori della miniera di Planusartu, con una serie di brevi gallerie che misero in evidenza la presenza di una grande massa di calamina (un minerale di zinco), coltivata successivamente a giorno. Si pose perciò il problema del trasferimento dei minerali di Planusartu alle laveria di Buggerru, risolto con l’ampliamento di una galleria utilizzata dagli operai (galleria Fedel), fino a consentire il aggio di un convoglio di vagoni mossi da una motrice a vapore.
VISITA: I circa 900 metri di galleria (con alcuni tratti laterali rivolti alla falesia) si percorrono su un convoglio, fino al grande piazzale a picco sul mare. Qui è possibile sostare e osservare uno dei tratti di costa più belli dell’area.
Visita a PLANUSARTU Una volta visitata la Henry, può iniziare uno tra i percorsi escursionistici più interessanti, realizzato in parte dal Parco Geominerario, che collega Cala Domestica a Porto Flavia. Per giungere all’insenatura è necessario costeggiare l’area di Planusartu. Qui si può provare il brivido della miniera, percorendo un ripido stradello che costeggia il condotto fumi (piazzale Galleria Henry). Si raggiunge il grande scavo, si scende verso la falesia fino ad uno stretto aggio a picco sul mare. Si scende con grande attenzione fino alla seconda galleria che si percorre (attenzione alla frana interna), dopo meno di 70 metri si esce nel grande scavo a giorno di Planusartu. Sulla destra è possibile (meglio se assicurati con corda), scendere nello scavo per visitare alcune gallerie ottocentesche e parti residuali di scavi di epoca pisana. Da Planusartu si riprende verso sud e dopo circa 2 ore si giunge a Cala Domestica, da dove è possibile percorrere l’itinerario Miniere nel Blu.
Porto Flavia
La storia della miniera di Masua (frazione del Comune di Iglesias) è molto antica ed è tra le ultime ad aver cessato l'attività estrattiva, nei primi anni del Duemila. Con i suoi grandi scavi, i bacini di raccolta dei fanghi derivati dal trattamento del minerale e gli stessi impianti, caratterizza l'ampio tratto di mare che precede il Pan di Zucchero. Davanti all'isolotto, a picco sul mare, si apre lungo la falesia, la galleria di Porto Flavia, scavata nel 1924 per il carico del minerale sui bastimenti. Della magnifica opera, unica al mondo, si possono visitare, grazie a delle guide, le gallerie e la bella terrazza da cui si gode un panorama di incomparabile bellezza. I cantieri si raggiungono da Nebida; per Porto Flavia è necessario procedere verso il mare. Una volta giunti alla frazione di Masua, una strada sterrata conduce alla galleria. A Nebida le prime iniziative minerarie in questa località sono molto antiche. Il territorio, come nel caso della limitrofa Masua, presenta ovunque i segni del ato estrattivo. Ad iniziare dai grandi scavi che hanno coltivato fin quasi a rendere cave le cime dei rilievi. Il minerale estratto era portato in quella che forse è la più bella laveria della Sardegna, posta a picco sul mare. La laveria Lamarmora è una struttura in pietra, si raggiunge mediante una lunga scalinata (oltre 400 gradini) o con un tortuoso sentiero che, dopo aver attraversato alcune gallerie, raggiunge il piede della scalinata. E' possibile proseguire fino al mare. La frazione del comune di Iglesias si raggiunge con una tortuosa ma panoramicissima strada : meno comodo il percorso per chi parte da Buggerru (pendenza elevata).
COME FUNZIONAVA PORTO FLAVIA Il treno carico di minerale (in arrivo quotidianamente dalla miniera di Masua) scaricava nelle bocche superiori dei silos, al termine dell'operazione percorreva un giro ad anello e si dirigeva verso la laveria per un nuovo carico. Una volta attraccato il mercantile il nastro trasportatore fisso, posto nella galleria a quota 16 metri sul livello del mare, raccoglieva il materiale scaricato mediante l'apertura di paratie in acciaio, poste alla base dei silos e lo scaricava sul nastro trasportatore esterno mobile. Una parte del nastro mobile poteva rimanere sul mare e consentire il trasferimento del minerale, mediante un apposito condotto in lamiera, direttamente nelle sottostanti stive del mercantile. Le operazioni in mare, particolarmente complesse a causa delle correnti, avvenivano grazie alle indicazioni fornite da un tecnico che osservava la posizione dello scafo dal torrino. Origine del nome: Flavia era la figlia primogenita del progettista dell’innovativo impianto, l’ing. Cesare Vecelli, vice direttore della miniera .
Visita a PLANUSARTU E’ un itinerario (tratto blu) studiato dall’autore nel 1992 (da Masua a Buggerru, con bivacco a Cala Domestica), durata 2 giorni. Impegnativo per alcune salite ma di grande impatto paesaggistico, con numerose ed interessanti varianti. Due le meraviglie da non perdere assolutamente: la galleria Henry e Porto Flavia. Per i coraggiosi non mancano le vedute mozzafiato da Planusartu (suggestivo il percorso che costeggia il grande scavo a cielo aperto accanto al villaggio fantasma). Emozionante la discesa alla laveria Lamarmora (oltre 300 scalini), altrettanto il trekking sui grandi scavi di Malfidano-Planedda o lungo il canalone di Gutturu Cardaxiu. Facile l’escursione da Canalgrande (con la bellissima grotta marina) a Cala Domestica, fino a Planusartu; oltre 4 chilometri di costa a picco sul mare dai colori indimenticabili.Il territorio è paesaggisticamente unico nel suo genere. L’escursionista deve confrontarsi con un terreno difficile e selvaggio, meglio perciò raccogliere informazioni. Per la cartografia IGM: 555 I. Recentemente il Parco Geominerario ha fatto tracciare e tabellare il tratto Bega sa Canna (ponte per Porto Flavia) fino a Cala Domestica .
Museo Macchine da Miniera
In quello che è stato un antico piazzale di fonderia sono visibili i principali mezzi da scavo, dai più rudimentali e ottocenteschi ai più moderni, in uso fino ad un decennio fa. Ogni macchinario è illustrato da un pannello che ricorda l’anno di produzione, il periodo di utilizzo e le prestazioni. Da osservare come molti di questi mezzi, in particolare le autopale, non solo hanno operato nelle miniere sarde, ma spesso in esse sono stati ideati o perfezionati. Le piccole pale, mezzi per il recupero del materiale dai fronti di scavo, adatte quindi ad operare in luoghi ristretti, devono i natali all’ingegno e all’operosità dei tecnici di Montevecchio, dove a partire dagli anni Trenta fu ideata e poi diffusa l’autopala, tra i più importanti mezzi da scavo delle miniere del mondo.
SI RAGGIUNGE: Da Nebida verso Masua, nei pressi degli edifici della frazione c’è l’accesso al Museo all’aperto.
Galleria Villamarina a Monteponi
A Monteponi (prima periferia di Iglesias) l'attività estrattiva è iniziata da oltre un millennio, prima con brevi fornelli e poi con le maggiori opere minerarie mai costruite in Italia. La storia della miniera è la storia dell'industria mineraria moderna. Dal sottosuolo, vasto, profondo e articolato, agli impianti superficiali, tutto racconta il duro lavoro e l'attività industriale per l'estrazione del piombo e dello zinco. L'importante centro minerario è posto a pochi chilometri dal centro di Iglesias, ed è raggiungibile dalla strada che da Cagliari conduce a Carbonia e a Sant'Antioco.
VISITA: L’importanza e la complessità del sito minerario impongono almeno due percorsi: quello industriale e quello geominerario. Il primo ha inizio dall’ampio piazzale, al termine del viale alberato (dove si trova la foresteria al cui interno è conservato un famoso affresco di Aligi Sassu). Oltre al livello Villamarina, che introduce al sotterraneo e ai locali dei pozzi Sella e Vittorio Emanuele, la strada conduce all’impianto per l’elettrolisi e alla bellissima villa Bellavista (un tempo sede della potente Società di Monteponi). Poco oltre la sagoma di Pozzo Sella, con le sue officine e gli uffici di quella che un tempo era tra le miniere più importanti d’Italia. Il Percorso nella Galleria Villamarina è assai agevole, dopo un lungo tratto rettilineo si giunge alle sale argano dei pozzi Vittorio Emanuele e Sella, recuperate e visitabili. Seguono poi dei lavori di coltivazione molto antichi, costituiti da scavi verso l’alto collegati mediante palchetti in legno e scale in ferro. Stupefacente la visita ai cantieri alti (raccomandiamo la massima attenzione), rappresentati dal grande scavo di Is Cungiaus, un enorme scavo a cielo aperto (al posto di un importante giacimento di minerali di zinco), dove a lavori dell’Otto-Novecento si contrappongono stretti pertugi scavati da minatori medievali, alla ricerca del metallo che ha dato origine anche a questa miniera: l’argento. La visita risulterà piacevole per l’ampio panorama sull’area di Iglesias e non particolarmente faticosa. Belli da fotografare i fanghi rossi, un tempo indesiderato prodotto di scarto dell’impianto di elettrolisi, oggi monumento all’archeologia mineraria, per la sua capacità di
connotare il paesaggio industriale circostante. In tutti i casi, trattandosi di edifici pericolanti o con lavori di ripristino in corso, è bene essere prudenti e richiedere per tempo le necessarie autorizzazioni alla visita.
Grotta Santa Barbara a San Giovanni
L’imponente mole carbonatica del Monte San Giovanni presenta tutti i segni del suo glorioso ato estrattivo plurisecolare. In alto gli antichi scavi medievali, con il famoso cantiere “Ricchi in Argento”, in basso con gallerie e discariche vecchie di due secoli sopra un groviglio di edifici produttivi e abitativi, dove è possibile osservare e capire il funzionamento di una miniera, nella grande laveria Idina. Un bellissimo percorso archeologico-industriale che tocca anche una serie di eleganti edifici dove risiedevano direttori e proprietari della miniera, all’ombra di pini secolari (villaggio Norman). San Giovanni dista qualche chilometro lungo la strada che da Iglesias giunge a Carbonia, deviando a destra in prossimità della frazione di Bindua.
Questa cavità naturale, raggiungibile mediante le gallerie della miniera San Giovanni, è ritenuta tra le più antiche d’Europa, certamente tra le più rare. La particolarità risiede nelle superfici ricoperte da grandi cristalli tabulari di barite bruna, un minerale tipico per l’area. L’effetto che ne consegue è sorprendente. Il visitatore può ammirare la cavità (con alcuni saloni, molte concrezioni calcaree ed un profondo pozzo). La grotta è conosciuta dagli anni Cinquanta, quando in seguito all’esplosione di una mina, alcuni minatori si accorsero che sul tetto della galleria era presente un ampio salone, fatto non raro in un giacimento calcareo. Non si trattava della solita “crovassa”, e quando le flebili fiammelle poterono illuminare le pareti, la sorpresa fu tanta. Si accede attraverso un bel percorso sotterraneo con inizio dal piazzale della miniera e salita mediante l’antico pozzo Carolina (ora adeguato) . Le visite sono regolate in modo da limitare l’afflusso dei visitatori, per evitare un eccesso di anidrite carbonica dagli effetti negativi sul microclima della cavità.
Museo Giorgio Asproni
La nascita della scuola per Capi Minatori (poi divenuti Periti Minerari) e dell’annesso Museo Mineralogico e Paleontologico, si deve all’esigenza di personale specializzato che, oltre alle miniere sarde, ha conosciuto e operato nelle maggiori miniere del mondo. Nello storico ed interessante edificio, al centro di Iglesias, si trovano una ricca biblioteca, numerose esposizioni didattiche, un archivio fotografico ed una serie di esposizioni permanenti di straordinario valore storico e scientifico.
Era infatti usanza dotare l’istituto di reperti mineralogici e geo-paleontologici, oggi in grado di “raccontare” la complessa geologia delle aree minerarie sarde. Ma la grande sorpresa sono i sotterranei dove gli allievi di un tempo si esercitavano nell’uso di strumenti e sistemi di lavoro minerario. Guide molto esperte illustrano ai visitatori i macchinari, il loro funzionamento per poi condurre alla visita di un complesso sistema di gallerie, scavate sotto l’istituto per fini didattici. Il Museo è gestito dall’Associazione dei periti Minerari (l’accesso è dalla via Roma). Per le altre collezioni è necessario chiedere l’autorizzazione al Preside dell’istituto.
Centro Cultura del Carbone
Quello che oggi rappresenta un simbolo di Carbonia (fondata nel 1938 per lo sfruttamento del giacimento di carbone presente nel sottosuolo), i due pozzi metallici di estrazione della miniera di Serbariu, è stato nella storia il primo capitolo della città mineraria e dell’industria energetica nazionale. Mediante i pozzi ogni giorno circa duemila uomini scendevano nel sottosuolo per estrarre la lignite, lungo una maglia di gallerie estese fin sotto i quartieri della cittadina sulcitana. Il centro estrattivo, operativo dal 1939 fino al 1962, comprendeva anche una centrale elettrica, depositi, la lampisteria (edificio dove i minatori lasciavano le lampade alla fine del turno di lavoro) e le insolite discariche dei materiali di rifiuto, di grande impatto sul territorio e di notevole valore storicoindustriale. La miniera si trova nella periferia ovest della città mineraria, nei pressi della stazione.
VISITA: Oggi Serbariu è tra i musei industriali più moderni d’Italia, con una ricca ed ampia sezione espositiva (anche multimediale) e con uno straordinario (e ricostruito) sottosuolo dove si possono osservare le tecniche di scavo ed estrazione del carbone. Nelle officine dell’ex miniera, sono esposti fossili del territorio e all’aperto numerosi e rari macchinari d’epoca. Il Museo dispone di servizi di ristorazione, sala conferenze e spazi didattici, ma soprattutto dispone di un’ottima gestione grazie a personale motivato e ben preparato.
Museo Minerario di Rosas
Questa miniera (in Comune di Narcao) ha avuto vicende complesse legate alla natura dei minerali di piombo, zinco, rame e argento, che si presentavano in masse ricche ed estese ma di complessa separazione. In molte occasioni, infatti, Rosas fu al centro delle attenzioni dei tecnici per i prodigi nel settore del trattamento dei solfuri misti. Recentemente la laveria ed altri edifici sono stati adibiti a museo. Molto interessante l’ambiente circostante, ricco di corsi d’acqua e di boschi. Per giungere a Rosas è sufficiente andare oltre l’abitato di Terrubia, frazione del comune di Narcao. Grazie ad una serie di piste forestali è possibile arrivare anche dalla miniera di Orbai, nel comune di Villamassargia, attraverso una ricca foresta.
VISITA: Rosas dispone di un interessante e per certi versi unico Museo del trattamento dei minerali. La laveria è stata in parte ricostruita e consente di comprendere il ciclo di trattamento dei minerali (processo di flottazione). Un moderno allestimento multimediale (curato dallo scrivente) conserva la memoria storica dei luoghi, con videotestimonianze degli anziani lavoratori. E’ possibile effettuare un breve ma suggestivo percorso in una galleria poco distante. (galleria Cavour).
Via dell’Argento
Via dell’Argento è un itinerario (lungo circa 48 km), percorso dall’autore a partire dal 1982 e successivamente migliorato, soprattutto nella ricostruzione dei luoghi e delle vicende minerarie dell’ex bacino argentifero del Sarrabus (attivo per circa 30 anni ad iniziare dal 1870 circa). Prima tappa la miniera di Baccu Arrodas, alle spalle di Muravera, quindi verso San Vito a Monte Narba. Dal piazzale una mulattiera in salita conduce a Giovanni Bonu, con alcuni accessi al sottosuolo ancora aperti e percorribili (massima attenzione).
In questi cantieri, estesi per oltre 18 chilometri tra gallerie e fornelli, con profondità di poco inferiori ai 200 metri sotto il livello del mare, sono stati coltivati i filoni d'argento in assoluto più ricchi d'Italia. Il prezioso metallo si presentava allo stato nativo (vedi foto), cioè puro, fatto che costringeva ad una rigorosa sorveglianza da parte di personale armato. Bello il bosco che cela le gallerie, le discariche e parzialmente il grazioso villaggio minerario. Questo a tutti gli effetti rappresenta il migliore esempio di villaggio minerario di fine Ottocento: da vedere (previo permesso) l’officina meccanica, la laveria, il pozzo maestro e gli immensi cantieri di Giovanni Bonu. Dalla cima di Monte Narba si osserva verso sud-ovest la miniera di Masaloni che si raggiunge comodamente dal nuraghe Asoru, lungo la SS 125. Più avventuroso il tracciato della Via dell’Argento. Si parte dalla SS 125; alla confluenza del rio Picocca con il rio Ollastu, la strada sterrata conduce dopo pochi chilometri alla miniera di S’Arcilloni (sulla destra dopo un guado). Da questo punto per oltre 20 chilometri c’è solo una mulattiera, un torrente incantevole e i segni di alcune antiche miniere d’argento, fino a quella di Serr’e S’Ilixi. Quest’ultima si raggiunge anche da Burcei come la bellissima foresta primaria di Tuviois, sotto le cui fronde si trovano i cantieri abbandonati di un’altra importante miniera del prezioso metallo.
Numerose le possibilità di trekking, ma attenzione perchè il territorio è selvaggio e pochi, se non i pastori, conoscono i siti minerari. L’accesso alle gallerie è sconsigliato per il cattivo stato delle volte. Numerose le sorgenti. Per la cartografia IGM: 549 II, 558 IV (meglio le vecchie tavolette anni Sessanta).
CREDITS
Sandro Mezzolani - testo di base e materiale fotografico
Wikipedia, l'enciclopedia libera
"http://it.wikipedia.org/wiki/Storia_mineraria_della_Sardegna" "http://it.wikipedia.org/wiki/Bronzetto_sardo"
"Google Maps- Servizio fornito da Google Inc. («Google»)"
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