La Maledizione Di Ranganathan 5e2y6i

Tavola dei Contenuti (TOC)

Capitolo I LA “BRILLA&SPLENDI” Capitolo II LA RAGAZZA “SCOMPARSA” Capitolo III LA BIBLIOTECA Capitolo IV IL CENTRO RICREATIVO “VAI PIANO!” Capitolo V IL SIGNOR DEWEY Capitolo VI POLVERE, POLVERE DAPPERTUTTO! Capitolo VII UN PAPA’CAMIONISTA Capitolo VIII LE LEGGI DI RANGANATHAN Capitolo IX IN BIBLIOTECA, DI NOTTE

Capitolo X IL PIFFERAIO MAGICO Capitolo XI UN CERTO RANGANATHAN Capitolo XII “A OGNI LIBRO IL SUO LETTORE” Capitolo XIII IL BIBLIOTECARIO MALEDETTO Capitolo XIV STELLE A BOSCOAMARO

Un romanzo per ragazzi di sca Navoni

La maledizione di

Ranganathan

LA MALEDIZIONE DI RANGANATHAN Autore: sca Navoni

Copyright © 2014 CIESSE Edizioni P.O. Box 51 – 35036 Montegrotto Terme (PD)

[email protected] www.ciessedizioni.it - http://blog.ciessedizioni.it

ISBN versione eBook 978-88-6660-139-5

I Edizione stampata nel mese di luglio 2014

Disegno di copertina: © 2014 sca Navoni www.behance.net/scanavoni

Collana: Rainbow Editing a cura di: Renato Costa

PROPRIETA’ LETTERARIA RISERVATA

Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione dell’opera, anche parziale. Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.

Ai narratori, ai bibliotecari e alle donne delle pulizie.

“Il libro si raccomanda così al bibliotecario: io, di mia iniziativa, non sono in grado di raggiungere le mani dei miei lettori. La mia voce non può farsi udire da loro. Io devo contare su di te per giungere al mio lettore e il mio lettore deve essere portato a me”.

Ogni libro lasciato a lungo sullo scaffale lontano dal suo lettore, coperto dalla polvere, potrebbe far cadere una maledizione sul bibliotecario...

Shiyali Ramamrita Ranganathan

Capitolo I

LA “BRILLA&SPLENDI” Ogni anno, d’estate, l’impresa di pulizie Brilla&Splendi S.p.A. mandava i suoi dipendenti migliori a Boscoamaro, un paesino di quelli che c’erano una volta, lassù, sulla montagna. Il loro compito consisteva nel pulire da cima a fondo la biblioteca comunale, ovviamente fino a farla splendere e brillare. Una missione, a quanto pare, più facile a dirsi che a farsi: i lavoratori ritornavano in città quasi impazziti. Con lo sguardo spiritato e le mani nei capelli, piagnucolavano: «È maledetta, è maledetta! La biblioteca è stata colpita dalla maledizione di Ranganathan e la polvere, ah la polvere, è impossibile toglierla». Nessuno aveva mai voluto dire di più, pertanto la faccenda della maledizione, e soprattutto chi fosse il fantomatico Ranganathan, restava un mistero. Di far tornare lo stesso personale l’anno dopo non c’era mai stato verso, così la ditta mandava sempre nuovi dipendenti, spesso novellini, ignari di ciò che li attendeva. E poiché dal paesino non erano mai giunte lamentele, il tutto proseguiva in questo modo da ben dodici anni. Quell’estate il compito era stato assegnato a Loretta, una giovane single, ansiosa, vivace ed entusiasta, madre di Dennis, un ragazzo di dieci anni, intelligente ma un po’ pigro. I due erano partiti di buon’ora con il loro furgoncino, traboccante di prodotti per l’igiene, saponi liquidi, stracci, spugne e scope. «Manca ancora molto?» chiese Dennis, superato l’ennesimo tornante. La stradina che saliva la ripida parete del monte sembrava non avere fine. «Dovremmo esserci» rispose Loretta, con la cartina stradale dispiegata sul cruscotto e il navigatore satellitare che ronzava come un’ape impazzita. «Speriamo» mormorò Dennis, cercando di vincere la nausea. Egli abbassò il finestrino e, dopo avere preso una boccata d’aria fresca, domandò: «Mamma, sarà vera la storia della maledizione?» A differenza di sua madre, che non si era interessata alla faccenda, Dennis ne era rimasto molto colpito. Si era informato su internet, ma tutto ciò che era riuscito a scovare era una breve biografia di Ranganathan, un indiano vecchio e saggio che aveva fatto per anni il bibliotecario. Niente di sconvolgente, insomma.

«Figuriamoci, quale maledizione vuoi che colpisca una biblioteca?» sbottò Loretta, col suo solito modo spiccio e pratico. «Al massimo ci sarà un po’ di polvere!» Dennis meditò e concluse, un po’ deluso, che forse sua madre non aveva tutti i torti. Era troppo grande per credere ancora a certe storie, ma era anche troppo giovane per smettere di sperare che fossero vere. A parte la storia della maledizione, Boscoamaro aveva l’aria di essere un posto noiosissimo: un paesino arroccato sulla cima di un monte e sprovvisto delle comodità più moderne. Dennis aveva appreso con orrore che non c’era nemmeno l’ADSL! Ciò che si poteva trovare a Boscoamaro era un albergo, una casa di riposo, un complesso scolastico e un centro ricreativo. Oltre, ovviamente, alla biblioteca. Quando il furgoncino fu in prossimità del paese, i due notarono un elegante ometto, basso e paffuto, con la fascia da Sindaco sul petto, fermo sotto il cartello «Boscoamaro». Camminava irrequieto avanti e indietro ma appena li vide iniziò a sbracciarsi e a saltellare, invitandoli ad accostare sul ciglio della strada. «Salve, salve!» esclamò, andando loro incontro. «Siete quelli della Brilla&Splendi S.p.A., immagino. Vi stavo aspettando: sono Filippo Araldi, il Sindaco di Boscoamaro». Loretta, che certo non si aspettava di essere accolta dal primo cittadino in persona, sorrise calorosamente. «Sì, siamo noi: io sono Loretta e questo è mio figlio Dennis. Che incredibile accoglienza fate da queste parti!» «Si figuri, l’arrivo dei dipendenti della Brilla&Splendi è sempre atteso con gioia qui da noi, non abbiamo molti turisti, sa?» ammise il Sindaco, inforcando una vecchia bicicletta appoggiata al cartello stradale. «Prego, da questa parte, lasciate che vi faccia strada fino al nostro rinomato hotel». «La ringrazio davvero» rispose Loretta «ma è ancora presto e preferirei dare un’occhiata alla biblioteca». A quelle parole il Sindaco si irrigidì di colpo e il piede gli scivolò dal pedale, tanto che dovette fare dei buffi saltelli per evitare di rotolare a terra. Dennis la trovò una reazione sospetta, forse la biblioteca poteva riservare ancora qualche sorpresa?

«Cara signora» obiettò Araldi «è meglio che prima vi sistemiate, penserete al lavoro più tardi». «Però…» rispose Loretta lanciando un’occhiata al suo furgoncino colmo di prodotti per pulire. Era, infatti, una donna che non amava perdere tempo. Araldi la interruppe scuotendo l’indice e, con uno dei suoi rauchi borbottii, sentenziò: «Insisto! Voi della Brilla&Splendi ci offrite un servizio magnifico, non c’è bisogno che si sforzi di fare bella figura. Oggi pomeriggio potrà dedicarsi alla biblioteca». Si fermò un attimo, deglutì e poi concluse: «E così fino alla fine dell’estate». Loretta, che apprezzava le buone maniere, decise di assecondare un Sindaco tanto premuroso e insieme a Dennis risalì sul furgone. «Pensi che sappia qualcosa della maledizione?» chiese allora Dennis sottovoce. «Per favore, Dennis, non infastidire il signor Araldi con queste sciocchezze» tagliò corto Loretta «anzi non infastidire nessuno del paese!» «Ok, ma che noia» replicò il ragazzo. Quando furono in prossimità di quella che doveva essere la casa di riposo, Dennis vide gli anziani tutti riuniti in giardino. Formavano un grigio girotondo intorno a un uomo alto, vestito in modo elegante, e a un cameraman che riprendeva la scena. L’uomo alto, appoggiato a un leggio, stava tenendo un discorso. «Un momento di silenzio» stava dicendo «per commemorare i terribili fatti che colpirono Boscoamaro, dodici anni or sono…». Mentre osservava la scena, Dennis si accorse che una vecchietta su una sedia a rotelle se ne stava in disparte, lontana dal gruppo, in compagnia di un giovane infermiere. La donna non era interessata a quanto stava accadendo e fissava distratta la strada. Quando il furgone della Brilla&Splendi la superò, alzò lo

sguardo e sollevò la mano in segno di saluto. Saluto che Dennis non mancò di ricambiare. Doveva essere una signora a modo e si muoveva con eleganza. Lanciata un’ultima occhiata alla casa di riposo, Dennis si sistemò sul sedile e socchiuse gli occhi. L’anziana signora, invece, continuò a seguire il percorso del furgoncino, finché non scomparve tra le case. «Che siano ancora quelli della Brilla&Splendi?» domandò l’infermiere. La donna sulla sedia a rotelle annuì, appoggiando il mento sul dorso della mano, e disse: «Ovvio, caro Lorenzo, chi vuoi che siano?» «Ha ragione, signora Lilly, ma mi domando perché non abbiano ancora rinunciato, dopo tutti questi anni». Lilly guardò il giovane e sbuffò: «E tu hai forse rinunciato, dopo tutti questi anni?» L’infermiere storse il labbro e si mise a giocherellare con una stella alpina che aveva appuntato sul camice. «Comunque ci sarà da divertirsi» disse poi «gli impiegati della Brilla&Splendi tendono a impazzire dopo tre giorni di lavoro nella biblioteca». La signora Lilly rise di gusto. «Ho la sensazione che stavolta sarà diverso, quel ragazzino sul furgone aveva l’aria simpatica» disse. «Si è messa a fare l’indovina, ora?» la stuzzicò Lorenzo. «No» rispose Lilly «mi piacerebbe fare l’indovina, ma per ora devo accontentarmi di fare la bibliotecaria in pensione». «Signora Lilly» continuò serio Lorenzo «in fondo, se quelli della Brilla&Splendi impazziscono, è anche un po’ colpa sua: è lei che ha diffuso in paese quella storiella della maledizione». «Non si tratta di una storiella, è tutto vero!» «Certo, come no».

«In ogni caso, sento che ci saranno delle sorprese» sogghignò Lilly. «Vedremo» ribatté Lorenzo e i due tornarono a fissare in silenzio la strada.

Capitolo II

LA RAGAZZA “SCOMPARSA” L’albergo «da Virna» era un caseggiato a tre piani con i muri di pietra, resi ancora più fiabeschi da una rete di edera che si arrampicava sempre più fitta fino al tetto. Davanti all’ingresso c’era un bel giardino con un gazebo e dei tavolini così graziosi che chiunque fosse ato di lì avrebbe ceduto al desiderio di sedersi. D’altro canto, «da Virna» era anche l’unico bar-ristorante del paese. Appena arrivato, Dennis notò all’ingresso un manifesto gigantesco con l’immagine dell’uomo elegante che aveva visto nel giardino della casa di riposo. Dalla bocca dell’uomo partiva un fumetto che recitava: «Il conte Tebaldo Piano de Montis consiglia il menù del giorno: lasagne e arrosto». Mentre il ragazzo scrutava perplesso l’insegna, il Sindaco aiutò Loretta con il bagaglio e fece loro segno di seguirlo attraverso il piccolo cortile. Sotto il gazebo quattro anziani signori stavano giocando a carte. I vecchietti, a differenza del Sindaco, non parvero molto felici di vedere Dennis e Loretta e li fissarono torvi. Dennis provò un brivido: quegli ostili signori gli ricordavano un gruppo di avvoltoi rinsecchiti. «Benvenuti, Brilla&Splendi!» esclamò un’altisonante voce femminile che riempì l’aria come lo squillo di una tromba. Una donna immensa, infatti, era apparsa sulla soglia con un sorriso largo e luminoso. Indossava un grembiule da cuoca e profumava di lasagne appena sfornate. Il suo viso era cosparso di lentiggini, aveva una ribelle massa di capelli rossi raccolti in due spesse trecce e occhi chiarissimi. Con grazia e simpatia si fece largo tra i vasi di fiori. «Sono Virna, la proprietaria dell’albergo» dichiarò, gorgheggiando come un grasso usignolo. Loretta si fece subito contagiare dall’entusiasmo: «Io sono Loretta e devo proprio dirlo: l’accoglienza del vostro paese è incredibile. Siete tutti così cordiali!» Dennis si domandò come avesse fatto sua madre a non notare che i vecchi al tavolino erano sembrati tutto fuorché cordiali. «Mi sembra naturale: qui a Boscoamaro attendiamo sempre con gioia l’arrivo

della Brilla&Splendi» rispose Virna. A quelle parole, però, uno dei vecchietti balzò in piedi come un grillo, stringendo i pugni. Era uno stecchino con la pelle del viso fragile e tanto rugosa da ricordare un foglio di carta appallottolato. Sul capo indossava un basco grigiastro che rendeva ancora più a sventola le smisurate orecchie. «Parla per te, Virna!» gridò, sibilando, giacché gli mancava un paio di denti. Loretta e Dennis sgranarono gli occhi, mentre l’ostessa divenne paonazza. «Ernesto, ma che ti salta in mente?» borbottò. Il Sindaco, saltellando innervosito, si sfregò le mani e farfugliò in direzione di Loretta: «Non ci faccia caso, il nostro Ernesto è un mattacchione». «Mattacchione un cavolo!» obiettò il vecchietto costringendo Dennis a chiudere gli occhi, colpito da uno scroscio di saliva. «Sono serissimo» continuò Ernesto, incitato anche dai suoi compari «è arrivato il momento di dire le cose come stanno!» «Quelli della Brilla&Splendi dovrebbero starsene a casa loro» aggiunsero i vecchietti in coro. «Abbiamo fatto qualcosa che non vi è piaciuto? Vi prego di dirmelo» chiese Loretta senza alcun fremito nella voce. Era una donna che amava andare dritta al punto. Dinanzi a tanta schiettezza, Ernesto perse coraggio e cambiò subito tono. S’ingobbì e con gli occhi cercò il sostegno dei suoi amici. Dennis provò un moto d’orgoglio misto a un po’ di timore: sua madre sapeva sempre farsi rispettare. «Non ce l’ho con lei, in particolare, signora» cercò docilmente di spiegare il vecchietto «è questa storia della biblioteca a irritarmi: invece di sprecare soldi per pulirla, dovremmo demolirla una volta per tutte!» Era davvero convinto di ciò che diceva e i suoi piccoli occhi grinzosi brillavano di rabbia. Gli altri vecchietti si alzarono e gli diedero pacche sulla spalla, parlando l’uno sull’altro alla rinfusa. Dai loro discorsi Dennis colse solo stralci di frasi: «È l’anniversario… Che tragedia dodici anni fa, povero conte… C’è il fantasma, io l’ho visto, figuriamoci, succedono cose strane sì, ma un fantasma...

Il bibliotecario, piuttosto, dovrebbe andarsene… Il fantasma, vi dico! E quel tale, Ranganathan, Lilly ci aveva avvertiti della maledizione». E altro ancora. Loretta osservava la scena senza fiatare, mentre Dennis era sempre più curioso. Un fantasma? Aveva capito bene? E poi ecco che saltava di nuovo fuori Ranganathan! Il Sindaco, il cui viso era una maschera di terrore, si ripulì il sudore dalla fronte con il solito fazzoletto e, schiarendosi la gola, cercò di catturare l’attenzione. «Demolire la biblioteca?» chiese incredulo «vi prego, cari signori, siate seri: un paese civile deve proteggere la cultura, suvvia!» «Sarebbe la cosa migliore da fare e lo sai anche tu, Filippo» ribatté Ernesto, sputacchiando nella foga «non vuoi farlo a causa di tua madre, quella svitata di Lilly!» Il silenzio calò come una ghigliottina. I tratti perbene del buon Filippo Araldi mutarono. Viola in volto, con le labbra contratte, gonfiò il petto e dilatò le narici: un toro pronto a caricare. Alzò l’indice ammonitore ed esclamò: «Non osare, Ernesto, non osare!» Ernesto, che forse aveva capito di aver esagerato, si morse la lingua e si nascose dietro il gruppetto dei suoi compari. Loretta e Dennis erano impietriti. «Filippo, cerca di capire» si intromise un altro vecchietto «siamo tutti spaventati: quel luogo è infestato». Infestato? Il fantasma? Il cuore di Dennis batteva all’impazzata. «Calunnie, Arturo!» sbottò il Sindaco. «Basta con questa storia del fantasma» vociò Ernesto. «Vi dico che c’è!» ribatté Arturo «io l’ho visto, compare ogni primo del mese e mette i brividi!» «Quante scempiaggini mi tocca sentire» disse Araldi, ma la voce gli tremava. «Chissà cosa hai visto attraverso quegli occhiali spessi come fondi di bicchiere»

concluse Ernesto. Iniziò un gran battibecco, tutti parlavano senza lasciare tempo agli altri di rispondere. Fortunatamente Virna, che se n’era stata in silenzio fino a quel punto, ebbe la geniale idea di esclamare con voce squillante: «Gentili signori, mi sono appena ricordata di avere in forno le mie specialissime lasagne e in cantina un vino sopraffino che non vede l’ora di finire nel bicchiere di qualche buongustaio! Che ne direste di mangiare e bere a volontà, a spese della casa ovviamente, in onore dei nostri ospiti della Brilla&Splendi?» Le lasagne fecero miracoli: tutti sorrisero ed esultarono per la splendida trovata, dimenticando in un istante ogni litigio. Araldi, finalmente, poté tornare a respirare e le sue guance riacquistarono un colorito normale. Anche Loretta, che era un tipo troppo pratico per perdere tempo a rimuginare, archiviò ciò che era accaduto con una scrollata di spalle e si unì ai festeggiamenti. Dennis, invece, restò muto e pensieroso: cosa poteva spingere qualcuno a proporre di demolire una biblioteca? Cos’era accaduto dodici anni prima? E cos’era quella storia del fantasma? Il ragazzo aveva ormai la matematica certezza che ci fosse qualcosa di strano a Boscoamaro. Forse si trattava soltanto di un paese di matti? Forse, ma la storia della maledizione? Non poteva non pensarci. Tuttavia, in quel momento accadde qualcosa in grado di distrarre anche la fervente immaginazione di Dennis: qualcuno giunse da dietro le sue spalle, veloce come un razzo, e lo urtò, facendogli quasi perdere l’equilibrio. Quando il ragazzo alzò lo sguardo per vedere chi l’avesse investito, si accorse che ciò che gli era sembrato un treno in corsa, altri non era che una ragazzina della sua età, agile come un topolino. «Pam!» gridò Virna, riuscendo ad agguantare quel terremoto per l’orecchio. La piccola si agitava e scalciava, ma l’ostessa aveva una presa d’acciaio. Ora Dennis poteva osservare meglio la nuova arrivata: era un folletto? Aveva un aspetto selvatico, una matassa di indomiti capelli rossi, un viso furbo e grandi occhi scuri. Ciò che balzava di più all’occhio, però, era quanto fosse sporca: a piedi nudi, con le scarpe rosa shocking in mano, le gambe incrostate di terra e le braccia ricoperte di graffi. «Pam, tesoro» gorgheggiò Virna, alzando gli occhioni celesti al cielo. «Ti sembra il modo di comportarti? Guardati, dove sei stata? Come mai sei tutta sporca e graffiata? Sei scappata per l’ennesima volta dal Centro Ricreativo, vero?»

Pam fece spallucce e serrò le labbra. Virna stava per rimproverarla, quando si ricordò che non erano sole e che forse era il caso di rimandare a dopo la sfuriata. Servendosi del grembiule, ripulì alla meglio la ragazzina e la strinse a sé. «Questa è mia figlia: Pamela» cinguettò sforzandosi di fare un bel sorriso. «Forza, Pam, saluta Loretta e Dennis della Brilla&Splendi». Pam sorrise, mostrando due immensi incisivi nuovi di zecca. Aveva un sorrisetto astuto, da vera peste. «Ciao, Pamela» ribatté Loretta divertita. Dennis invece, che era timido di natura, soprattutto con le ragazze, storse il naso e si limitò a salutare con la mano. Pam, posando lo sguardo su di lui, fece un ghigno e gli rifilò una sonora pernacchia. Approfittando poi dell’indignazione della madre, riuscì a divincolarsi e sgattaiolò lesta lesta dentro l’albergo. «Monellaccia!» gridò Virna, mettendo le mani intorno alla bocca a mo’ di megafono «vai subito a lavarti! Ti voglio pulita e splendente, altrimenti per te niente lasagne speciali!» La donna sbuffò e grugnì, e quando ebbe riconquistato il buon umore, si volse verso Loretta: «Vi prego di scusarla, è un’età difficile». Loretta rise, posando una mano sulla spalla di Dennis: «Non c’è problema, è una ragazzina davvero sveglia. Ricorda me alla sua età». Dennis non credeva alle sue orecchie: quel malefico folletto con i capelli rossi sarebbe un giorno diventato una mamma come la sua? Impossibile. «E ora: lasagne!» annunciò Virna e tutti si precipitarono nella sala da pranzo come un fiume in piena. Se il pranzo si rivelò uno dei migliori che Dennis avesse mai fatto, il dopopranzo fu di una noia mortale. Sua madre, Virna e il Sindaco iniziarono a parlare di politica, mentre i vecchietti si assopirono dinanzi alla TV della sala da pranzo. La trasmissione che stavano seguendo, tra uno sbadiglio e l’altro, era condotta dal solito uomo elegante visto alla casa di riposo quella mattina, che ora aveva un nome: conte Piano.

Pam girovagava nella sala, incapace di stare ferma, lanciando palline di carta allo schermo televisivo ma Dennis si guardava bene dal rivolgerle la parola. «Signori» esordì Loretta, congiungendo le mani sul tavolo «ora che ci siamo riposati, gradirei parlare di lavoro». Dennis si mise in allerta: quella era la posa che sua madre assumeva quando doveva trattare una questione seria. Il Sindaco si irrigidì e anche Virna parve preoccupata. «Sì, ci dica…» balbettò Araldi, prendendo dalla tasca della giacca il suo amato fazzoletto sudaticcio. «Sarò franca: si può sapere cos’ha di strano la vostra biblioteca?» domandò Loretta. I vecchietti si svegliarono dal torpore, Pam smise di lanciare palline di carta e Dennis si drizzò sulla sedia. Era come se due mani invisibili l’avessero afferrato per le orecchie, costringendolo a piegarsi in avanti. «Nulla, nulla di strano» borbottò Araldi sotto gli spessi baffoni, lanciando un’occhiata a Virna. L’ostessa, però, giocherellava con le sue vigorose trecce e faceva la gnorri. «Suvvia, è chiaro che qualcosa non va: i gentili signori là in fondo me l’hanno fatto capire chiaramente poco fa» disse Loretta. A quel punto, Araldi si piegò sul tavolo e, stritolando il fazzoletto, sussurrò: «Vede, il fatto è questo: gli abitanti di Boscoamaro non amano molto la biblioteca». «Già, si era capito, ma perché?» incalzò Loretta. Araldi si incupì, i suoi piccoli occhi acquosi fissarono un punto nel vuoto. «È accaduto tanto tempo fa» iniziò «dodici anni or sono, per l’esattezza». «Cos’è successo?» domandò Loretta.

«Ecco, come dire, una ragazzina scomparve...». «In biblioteca?» chiese Loretta incredula. Araldi si lasciò sfuggire un sorriso nervoso e fece di no con il capo. «No, cara signora, scomparve “a causa” della biblioteca!» «Che vuol dire?» domandò Loretta. Dennis seguiva il discorso trattenendo il fiato. «È una storia lunga e si annoierebbe. Lasci perdere» piagnucolò il Sindaco. «Voglio sentirla!» Dennis annuì e, imitando sua madre, incrociò le braccia sul petto. Il primo cittadino restò a bocca aperta, poi, fattosi coraggio, continuò: «Va bene, va bene! Dunque, quella ragazzina, che si chiamava Stella, da un po’ di tempo si era messa in testa di andare a vivere da sola nel bosco sopra il paese. Sa come sono i bambini, si mettono in testa strane idee. Chi la conosceva dice che da mesi si recava in biblioteca alla ricerca di informazioni al riguardo. Purtroppo erano tempi difficili per Boscoamaro: la precedente bibliotecaria era appena andata in pensione, cedendo il posto all’attuale, il signor Melvil, un uomo ostile e scorbutico, incapace di dare i giusti consigli ai suoi utenti. Quel disgraziato diede a Stella dei libri pericolosi: volumi sul campeggio, sugli animali, sul bosco, sulla natura e su Dio solo sa cosa! Un vero pazzo, come si fa a prestare con tanta leggerezza dei libri a un bambino? Dei libri, santo cielo!» Loretta sollevò le sopracciglia: «Non mi sembra così terribile» disse perplessa. Il Sindaco inorridì e coprendosi le labbra con il fazzoletto sudato esclamò: «È terribile, eccome! I libri traviano, non lo sa?» «In che senso?» «Fu a causa dei libri che un bel giorno Stella si avventurò nel bosco e… scomparve». «Questo sì che è terribile» esclamò Loretta, impallidendo a sua volta.

Il Sindaco annuì mogio e concluse: «La cercammo per giorni, mesi, anni, qualcuno la cerca ancora oggi, ma di lei non si sono più avute tracce. Ecco, ora sapete perché gli abitanti di Boscoamaro odiano la biblioteca». Nella tristezza generale, Araldi si volse verso la televisione indicandola: «Stella era la figlia di uno dei nostri più illustri concittadini, il celeberrimo conte Tebaldo Piano de Montis. Il conte è un uomo generoso e nonostante le avversità ha saputo reagire, un vero esempio per tutti. È il proprietario dell’emittente televisiva locale, finanzia la nostra radio, dirige la testata giornalistica di Boscoamaro e, all’occasione, è anche consulente e avvocato. Lui ci ha aperto gli occhi sulla pericolosità della biblioteca. È un uomo in gamba, credetemi: se avesse voluto entrare in politica, oggi io non sarei più il Sindaco di questo paese». «Ma Ranganathan chi sarebbe? Cosa c’entra in questa storia?» si intromise Dennis all’improvviso, scatenando il panico. Ernesto e i vecchietti scattarono sull’attenti, mentre Araldi scivolò dalla sedia. «Ranga... Ranganathan» iniziò il Sindaco. «È Lilly ad avere messo in giro quella storia!» sbottò Ernesto. «Lilly è una dolce signora, ma un po’ dispettosa» gorgheggiò Virna «ha diffuso la leggenda di Ranganathan per prendersi gioco della Brilla&Splendi». «Lilly?» chiese Loretta lanciando un’occhiataccia a Dennis, colpevole di aver tirato fuori la faccenda. «Già» ammise il Sindaco «mia madre è l’ex bibliotecaria di cui vi parlavo ed è in pensione da più di dodici anni. È’ una donna anziana che ha sempre vissuto tra libri, scartoffie e storielle di fantasia. Secondo lei, il degrado in cui versa la biblioteca, è frutto di un’antica maledizione indiana, “la maledizione di Ranganathan”, o una cosa simile, ma non ricordo nemmeno in cosa consista…». «Figuriamoci se non te lo ricordi!» lo canzonò Ernesto «Lilly la ripete ogni volta che ci incontra!» I vecchietti socchio gli occhi e recitarono in coro: «Ranganathan, un saggio indiano del ato, afferma che si abbatterà una terribile maledizione sul

bibliotecario che terrà i lettori lontani dai libri!» «Ah, ah, fantasie!» rise Araldi, nervoso. «Quel postaccio ha tutta l’aria di essere maledetto: non dimenticate il fantasma» si intromise Arturo. «Sono solo fantasie, non esistono né maledizioni indiane né fantasmi» ribatté il Sindaco, ridendo in modo sempre più nervoso. «Se la biblioteca è motivo di malcontento» iniziò Loretta, tagliando il discorso, «perché non ascolta i suoi concittadini? Perché ogni anno chiama la Brilla&Splendi?» Araldi arrossì: «Questo è un paese civile, signora cara, e in ogni paese civile c’è una biblioteca funzionante». Tutti nella sala erano a disagio e anche Loretta era turbata. Virna e i vecchietti mangiavano tristemente ma con gusto i dolcetti fatti in casa, mentre di Pam non c’era più traccia. Dennis era deluso: tutto lì il segreto della biblioteca? Una ragazzina persa nel bosco dopo aver letto un libro e un tale Ranganathan, frutto della fantasia di una vecchia pazza? «Mamma» sussurrò, quando non riuscì più a reggere il clima lugubre della sala «vado al bagno». Il ragazzo uscì e quando fu in corridoio, si abbandonò contro il muro, appoggiando la fronte alla parete. «Non gli crederai, vero?» esclamò una vocetta da elfo. Dennis sollevò lo sguardo sulla scala: Pam sedeva sui gradini con l’aria di chi la sa lunga. Aveva i gomiti puntati sulle ginocchia e il mento appoggiato sul palmo della mano. Un’ombra le oscurava il viso, dandole un’espressione tra il serio e lo scherzoso. «Che vuoi dire?» domandò lui, tenendosi a distanza e scrutando la ragazzina con gli occhi socchiusi, come un gatto sospettoso. Pam si alzò in piedi e, scesi i gradini con un salto, incrociò le braccia dietro la

schiena: «La biblioteca è sicuramente maledetta» sentenziò. «Questa storia mi ha stancato» sbuffò Dennis. «È tutto vero» disse Pam «la maledizione si è scatenata dodici anni fa, quando quella ragazzina è “scomparsa”. Lo sai, vero, cosa intendono gli adulti quando dicono che qualcuno “è scomparso”?» Dennis provò un brivido lungo la schiena. Pam gli si avvicinò lentamente, muovendo gli occhi a destra e a sinistra come per accertarsi che non ci fosse nessuno nei paraggi prima di rivelare un grande segreto. Dennis deglutì e trattenne il respiro. «È il loro modo per dire che è morto!» urlò lei tutto d’un un fiato, alzando il tono della voce. «Non sei divertente! Dici stupidaggini!» esclamò arrabbiato il ragazzo. Aveva le guance in fiamme. «Non dico stupidaggini: quella bambina è morta, morta stecchita». «Si è persa in un bosco dodici anni fa!» sbuffò Dennis. «È solo un’altra bugia degli adulti» disse Pam «sono sicura che Stella Piano sia morta, morta in biblioteca! Ecco perché la biblioteca è maledetta ed ecco spiegato il fantasma. È tutto collegato!» La ragazzina si stese sulla scala. Era ancora scalza e le piante dei piedi erano nere. «Non c’è nessun fantasma!» ribatté Dennis. «Sì che c’è, compare ogni primo del mese al terzo piano. E ti dirò di più, secondo me, si è trattato di omicidio» concluse Pam. Dennis sentì il cuore battere più forte, anche se sapeva che probabilmente la piccola lo stava prendendo in giro. «Ne dici di stupidaggini tu» aggiunse poi, afflosciandosi sul bancone della hall, dove i due si erano spostati.

«Quante volte te lo devo ripetere? Io non dico mai stupidaggini!» «Quando mai si è visto un omicidio in una biblioteca?» domandò Dennis e aggiunse «nella realtà, intendo». Pam si osservò le unghie luride e mormorò: «Tu non mi credi perché non hai ancora visto il signor Melvil, il nostro bibliotecario». «Che c’entra il bibliotecario?» «Quello è uno capace di uccidere a sangue freddo». «Ah, eccovi qua» esclamò Loretta. Dennis sobbalzò, ma cercò di nascondere la tensione. Anche Virna e Araldi si unirono al gruppetto. «Perché voi giovincelli non andate a fare un giro al nostro Centro Ricreativo?» propose il Sindaco. «Splendida idea. Ovviamente Pamela aveva già in programma di andare lì nel pomeriggio» aggiunse Virna. Dennis parve interessato, mentre Pam si ingobbì e sbuffò, con la lingua fuori dalle labbra. «Un Centro Ricreativo?» si informò Loretta. «Certamente» spiegò Araldi «il nostro rinomatissimo Centro Ricreativo estivo “Vai Piano!”, nato dalla geniale mente del conte Piano». Il nome “conte Piano” sciolse l’entusiasmo di Dennis come neve al sole. Possibile che quell’individuo fosse ovunque? «È davvero incredibile il conte» affermò Loretta. Pamela fece finta di vomitare e scappò via, percorrendo la scala a quattro zampe come un animaletto selvatico e Virna la inseguì inviperita. Dennis aspettò di essere solo con Loretta: «Mamma, preferirei accompagnarti in biblioteca oggi pomeriggio».

Nel vederlo così strano, Loretta gli disse di fare come preferiva. Probabilmente, a causa della sua timidezza, era spaventato all’idea di ritrovarsi in mezzo a tanti ragazzi sconosciuti. A Dennis serviva sempre un po’ di tempo per fare nuove amicizie. Il ragazzino, invece, in quel momento aveva ben altri problemi: voleva vedere di persona, una volta per tutte, la biblioteca di Boscoamaro.

Capitolo III

LA BIBLIOTECA La biblioteca si trovava su un’altura, leggermente fuori dal paese. Per raggiungerla bisognava percorrere una strada in salita, sconnessa e piena di buche. Nel mezzo della via c’era un enorme albero, caduto da molto tempo, che nessuno si era preoccupato di rimuovere. Loretta e Dennis avevano dovuto rinunciare all’idea di raggiungere la biblioteca con il furgoncino e così, caricati i prodotti “Brilla&Splendi” su due carriole, si erano avventurati a piedi lungo il sentiero. Il Sindaco li aveva salutati, appena usciti dall’albergo, dopo aver insistito per ore affinché Dennis andasse al Centro Ricreativo. Tuttavia, più insistevano, più la curiosità del ragazzo per la biblioteca aumentava. Ben presto si trovarono alle prese con l’albero caduto e faticarono parecchio nel tentativo di portare le carriole dall’altro lato. Erano impegnati in quell’attività, quando dalle sterpaglie sbucò un giovanotto con un enorme zaino sulle spalle. Oltre alle corde e all’attrezzatura per scalare la roccia, sul petto aveva anche una piccola stella alpina. «Avete bisogno di aiuto?» chiese. Dennis, guardandolo meglio, riconobbe l’infermiere che era in compagnia dell’anziana signora in carrozzina alla casa di riposo. «Se non è un disturbo, accetto volentieri l’offerta» rispose Loretta. «Siete quelli della Brilla&Splendi, vero? State andando alla biblioteca?» domandò il ragazzo in un sussurro. Loretta annuì e si presentò. L’infermiere fece lo stesso: «Sono Lorenzo, lavoro alla casa di riposo. Spero che vi troverete bene qui da noi». «Lo spero anch’io, e soprattutto spero che sarete contenti del mio lavoro» rispose Loretta con la grinta che la contraddistingueva. Lorenzo le regalò un sorriso spento, poi si affrettò ad aiutarla e riprese il suo cammino. Dennis vide che era diretto dove la montagna era quasi a strapiombo. Tuttavia, non perse troppo tempo a pensare all’infermiere e la sua mente si

concentrò sulla biblioteca. Giusto in tempo perché, appena girata la curva, se la trovarono davanti. «Oh, cielo!» esclamò Loretta, inspirando a fondo e sgranando gli occhi. Dennis restò come uno stoccafisso: la biblioteca era un antico palazzo a tre piani, immenso, che sorgeva al centro di un giardino. Incredibile che in un paesino tanto piccolo ci fosse una biblioteca così grande! Tutto, però, era così malridotto che chiunque avrebbe pensato a una villa abbandonata. Per entrare bisognava superare un’alta cancellata di ferro battuto, piena di chiazze di ruggine rossastra. Il giardino ricordava una giungla e l’unica cosa bella era una possente quercia di colore verde che cresceva accanto alla biblioteca. I suoi rami, che nessuno aveva mai potato, avevano sfondato una finestra del terzo piano. «Il terzo piano…» mormorò Dennis tra sé e sé. Le parole di Pam sul fantasma riecheggiarono lugubri nella sua mente. Giunti all’ingresso, trovarono il portone sommerso di manifesti e documenti ufficiali che riportavano decine di regolamenti sull’uso della biblioteca, destinati agli utenti e al personale. Nell’atrio, dopo essere stati investiti da un insopportabile tanfo di muffa, incontrarono una mastodontica lavagna nero pece. Vi erano raccolte le norme più importanti, quelle che, nella maniera più assoluta, non dovevano essere trasgredite, pena l’esclusione a vita dalla biblioteca. Dennis rabbrividì. Sentiva le ginocchia molli. Le centinaia di regole lo opprimevano. Si avvicinò alla bacheca e cercò di leggere cosa vi era scritto: la scrittura era minuscola, fitta fitta, sgradevole e tremendamente formale. Mentre si incrociavano gli occhi, lesse che era vietato parlare a voce alta, vietato parlare a voce media e tanto meno era consentito bisbigliare. L’utente non doveva fiatare, nemmeno se un libro gli fosse caduto sulla testa o sul piede. Doveva camminare lentamente, muoversi lentamente, prendere i libri lentamente e sfogliarli lentamente. Guai a chi avesse fatto un’orecchietta a una qualsiasi pagina di un qualsiasi volume! I ritardatari, poi, “categoria infernale”, sarebbero stati puniti, a seconda del ritardo, nei modi più tremendi, e che dire dei disgraziati sorpresi a sottolineare i libri? Meglio non dire cosa sarebbe loro capitato! «Ricorda: i libri non sono tuoi!» ammoniva la lavagna. Dennis aveva il capogiro, non gli era mai capitato di imbattersi in una biblioteca

del genere. Certo, tutte avevano il loro regolamento, era legittimo: i libri andavano trattati bene, però qui si esagerava. La prima sala fece loro capire, al primo sguardo, perché per anni la biblioteca di Boscoamaro avesse dato del filo da torcere ai lavoratori della Brilla&Splendi. «Oh, cielo!» esclamò per la seconda volta Loretta con gli occhi lucidi. Nella sua lunga carriera di donna delle pulizie non aveva mai visto tanta polvere: gli altissimi scaffali traboccavano di libri color grigio topo, tavoli e ripiani erano luridi, sporchi e intrappolati in enormi ragnatele. La polvere ricopriva perfino il pavimento, mostrando qua e là una scia di impronte. «Allora, siamo intesi?» riecheggiò una voce maschile da dietro gli scaffali, una voce che Dennis era sicuro di avere già sentito. «Ma certo, signore, signor sì! Non si preoccupi» rispose una seconda voce dal timbro sgradevole. «Non voglio sorprese, Melvil» continuò la prima voce, mentre due sagome si delineavano al centro del salone. Dennis e Loretta aguzzarono lo sguardo e subito riconobbero il fantomatico conte Piano. Era in compagnia di un altro uomo, ma la sua figura si confondeva con l’ombra degli scaffali. «Salve» azzardò Loretta con tono amichevole. Subito i due uomini si irrigidirono e Dennis colse un lampo di ostilità nello sguardo del conte. «Chi va là?» chiese l’uomo dalla vocetta stridula. «Siamo la Brilla&Splendi» rispose Loretta con timore. «Ah, la Brilla&Splendi, benvenuti!» rispose il conte, cambiando atteggiamento e dirigendosi a grandi i verso Loretta. Le strinse calorosamente la mano e aggiunse: «Io sono Tebaldo Piano de...». «De Montis, sì, il famoso conte Piano, ho sentito parlare di lei. Io sono Loretta e lui è mio figlio Dennis».

Il conte sfoggiò un finto sorriso accattivante. «Che piacere conoscervi, Loretta» disse «forza, Melvil, vecchio mio, vieni a conoscere i nostri amici della Brilla&Splendi». Il secondo uomo, chiamato in causa, uscì finalmente dall’ombra. Era alto e curvo e, come i libri, dava l’idea di essere ammuffito. Difficile dargli un’età, perché, pur non sembrando vecchissimo, aveva il volto deformato da una smorfia crudele. I capelli e le sopracciglia erano scoloriti, aveva gli occhi tondi come bottoni, chiari, piccoli e penetranti, incredibilmente malvagi, e due mani scheletriche e affilate. Procedeva lento, strascicando i piedi, con il collo tirato in avanti come quello di un tacchino. «Il signor Melvil è capace di uccidere» aveva detto Pam e se quello lì era il signor Melvil, Dennis non poteva che essere d’accordo. «Salve» salutò Loretta, intimorita da quella lugubre apparizione. «Chi hanno detto che sono?» ripeté Melvil guardando solo il conte Piano. «Dunque: io sono Loretta della Brilla&Splendi e lui è mio figlio Dennis». «Il nostro bibliotecario è un po’ duro d’orecchi» ironizzò il conte. «Quindi, lei è il bibliotecario» sorrise Loretta, tendendogli, suo malgrado, la mano. Il bibliotecario, però, non si preoccupò di stringerla. «Ancora la Brilla&Splendi? Perché siete di nuovo qui?» gracchiò. Le labbra di Loretta si piegarono disgustate, contro la sua volontà. «Siamo qui per le pulizie» spiegò, mostrando i prodotti detergenti nelle carriole. Il Signor Melvil si bloccò, alla stregua di una mummia mal conservata. Fece ruotare gli occhietti viperini da Loretta, a Dennis, al conte, e poi dal conte, a Dennis e fino a Loretta. «Non la capiranno mai, signore, gliel’ho detto» squittì infine.

«È ora che vada, vi lascio soli» disse il conte Piano, ignorando l’affermazione di Melvil. Strinse ancora la mano a Loretta, salutò il bibliotecario e scompigliò amichevolmente i capelli di Dennis, che non apprezzò il gesto. «Allora siamo intesi, vecchio mio» ribadì poi, lanciando un ultimo sguardo a Melvil, quindi varcò la porta e se ne andò. «Bene» sospirò Loretta, stiracchiando le braccia «da dove vuole che cominci?» «Andatevene!» sentenziò Melvil. «Come?» domandò Loretta, sbattendo velocemente le palpebre. Brutto segno, pensò Dennis. «Cominciate con l’andarvene!» «Guardi che sono qui per lavorare» protestò Loretta. «Questo è orario di apertura al pubblico, tornate all’orario di chiusura!» gridò l’uomo, agitando in aria le mani, come per scacciare una mosca fastidiosa. Loretta incrociò le braccia sul petto. «Sono qui per lavorare» ripeté con una voce calma e ferma. Segno che Dennis giudicò ancora più brutto. «Tutti siamo qui per lavorare, sa?» disse il bibliotecario «e io non posso fare il mio lavoro se lei compie il suo, perciò veda di tornare all’ora di chiusura!» «All’orario di chiusura? Alla Brilla&Splendi mi hanno dato una tabella di marcia e intendo rispettarla» spiegò Loretta. La vena del suo collo pulsava in modo visibile. Brutto, bruttissimo segno. Dennis lo sapeva bene: sua madre poteva esplodere di rabbia da un momento all’altro. «Se si mettesse a pulire adesso disturberebbe gli utenti» sibilò Melvil. Loretta si guardò intorno: non c’era traccia di anima viva in quel postaccio. E come avrebbe potuto essere altrimenti? «Non mi pare ci siano utenti che potremmo disturbare, signor Melvil» osservò.

«Il fatto che non ci siano, non significa che non possano arrivare» ribatté l’uomo e regalò loro un sorriso così velenoso che Dennis divenne verde in viso. Loretta, d’altro canto, per evitare di cedere all’impulso di strangolare quell’uomo raccapricciante, si rimboccò le maniche e afferrò con energia una scopa. «Visto il livello di sporcizia di questo posto, credo che comincerò subito» sentenziò. Dennis si sentì venir meno: il signor Melvil era diventato paonazzo e stringeva i pugni indispettito. «Lei farà le pulizie quando lo dirò io, signora!» gridò. Loretta ruotò su se stessa e con un tono di voce fermo, squillante e deciso, da generale dell’esercito, indicando tutti i cartelli dell’ingresso, esclamò: «Non mi pare di aver visto da nessuna parte un cartello che vieti alla donna delle pulizie di fare le pulizie, quando vuole farle!» Il discorso colpì Melvil nel profondo e per la prima volta il bibliotecario parve a corto di parole. «Come dice?» farfugliò, avvicinandosi minaccioso. «Non c’è una regola che mi impedisca di pulire e io pulirò!» Detto ciò, Loretta afferrò il detersivo e lo rovesciò fino all’ultima goccia sul pavimento. Melvil osservò con attenzione tutti i suoi regolamenti e non trovando nessuna indicazione in grado di contraddire Loretta, la mandò a quel paese rifugiandosi in uno stanzino sul lato opposto del salone. Loretta, dal canto suo, non perse tempo e scaricò i prodotti dalle carriole. «Temo di non aver portato abbastanza detersivo per pavimenti, me lo farò spedire dalla ditta». Dennis, timidamente, gettò un’occhiata agli altri scaffali: la situazione della biblioteca era catastrofica. Nessuno di quei libri poteva essere salvato. Probabilmente i tarli si erano già mangiati tutte le pagine. Chi, poi, avrebbe avuto il coraggio di afferrare un libro? C’era il rischio di far crollare lo scaffale, di essere assaliti da insetti di ogni genere o, peggio, di suscitare l’ira del terribile bibliotecario!

«Mamma, sei d’accordo se vado al Centro Ricreativo?» Da una parte Dennis si sentiva in colpa: non gli piaceva l’idea di lasciare sua madre senza un aiuto, ma, d’altro canto, non poteva resistere un minuto di più in quel postaccio. Loretta parve comprenderlo e con un sorriso lo lasciò libero di fare come preferiva. Il ragazzino non se lo fece ripetere due volte e corse fuori come un razzo. Appena mise piede nel giardino, tuttavia, la luce del sole lo accecò, costringendolo a volgere il capo. Quando riaprì gli occhi, notò che una delle finestre del primo piano era aperta e, abbandonate in malo modo sotto la balaustra, c’erano due piccole scarpette rosa shocking. Pian piano, si avvicinò alla finestra e allungò una mano verso una scarpa. «Che stai facendo?» domandò qualcuno mentre Dennis sentì il cuore schizzargli fuori dal petto. «Ti spaventi sempre tu?» continuò la voce inconfondibile di Pam. Si trovava all’interno della biblioteca e scrutava Dennis dalla finestra. Era tutta sporca e tra i capelli aveva addirittura delle foglie. «Che ci fai qui?» chiese Dennis, incredulo. «Leggo, ovvio» rispose lei, mostrando il libro che stringeva tra le mani. Non si trattava di uno dei libri vecchi e cenciosi del salone d’ingresso, ma di un albo illustrato nuovo di zecca. «E quello dove l’hai preso?» domandò Dennis d’impulso. Lei lo guardò come se fosse stupido e indicò la sala in cui si trovava. «Qua, in biblioteca!» Dennis si avvicinò alla finestra e spiò all’interno: Pam si trovava in una stanza piccola e stretta, incredibilmente diversa dal salone che aveva visto poco prima. Era un ambiente confortevole e rassicurante: sul pavimento c’era una moquette pulita e le pareti erano ricoperte di poster e cartoline. I libri, tutti colorati e accattivanti, erano disposti su scaffali o sistemati in ceste di vimini. La cosa più insolita, però, è che non c’era traccia di polvere.

«Che strano» commentò Dennis, appoggiando il naso alla balaustra. Pam tornò a sedersi a gambe incrociate e si rituffò nel suo libro. «Non c’è nulla di strano» disse lei. «Certo che c’è: questa stanza è pulita!» «Non è strana questa stanza, è il resto della biblioteca a esserlo» puntualizzò la ragazzina. Dennis si sollevò sulla balaustra e fece un salto cercando di entrare dalla finestra. Non essendo molto atletico, faticò un po’, ma alla fine rotolò all’interno. Pam seguì le sue acrobazie nascosta dietro il libro e ridacchiò. Il ragazzo si ricompose imbarazzato, poi si avvicinò timoroso agli scaffali e strofinò l’indice su una mensola. Non c’era la minima traccia di polvere. «Ti piace?» chiese Pam. «Che cosa?» «La mia stanza!» esclamò lei con un sorriso. «La “tua” stanza?» «Certo, è come se fosse mia. Sono stata io ad arredarla». «Figurati! In ogni caso, è meglio del resto della biblioteca». «Non mi piacevano gli scaffali vecchi, così ho chiesto a mio papà di sistemarli. Guarda che belli! Ovviamente è un segreto, guai a te se ne parli con mia madre» concluse Pam. Dennis rifletté un secondo e chiese scettico: «Il signor Melvil ti ha permesso di sistemare la stanza?» Come se fosse stato evocato, la voce del bibliotecario giunse da un anfratto lontano: «Pam, monellaccia! Cos’è tutto questo fracasso? Non lo sai che siamo in biblioteca?»

Pam sbuffò, ma poi rispose soavemente: «Sì, signor Melvil, abbasso la voce». «Non hai paura di lui?» chiese Dennis sbigottito. «No! Tu hai paura di lui?» Il ragazzo, che non voleva essere da meno di quella peste, mentì: «No, certo che no! Sei stata tu a dirmi che potrebbe aver ucciso Stella Piano». Pam fece spallucce e annuì: «Sì, è vero, lo penso». «Non temi che possa… ammazzare anche te?» Pam scoppiò in una sonora risata: «Io sono al sicuro, il signor Melvil ha una paura folle di mio papà, non alzerebbe mai un dito su di me!» «Non ho visto tuo padre all’albergo» azzardò Dennis. «Per forza, è fuori per lavoro». «E che lavoro fa?» Gli occhi di Pam si illuminarono di orgoglio e le sue labbra si allungarono in un sorriso luminoso, che ricordava in tutto e per tutto quello di Virna. «È un camionista» spiegò «il lavoro più spettacolare del mondo: pensa che è stato dovunque, su e giù per i continenti» e indicò la moltitudine di cartoline appese alle pareti. Dennis le studiò: c’erano isole, montagne, città, perfino deserti e distese ghiacciate. «Ovviamente è il camionista più in gamba che abbia mai guidato su una strada» continuò Pam entusiasta «è incredibilmente forte e non si fa intimorire da nulla, nemmeno da quel vecchio caprone di Melvil!» Mentre Pam raccontava, gli occhi di Dennis furono catturati da un libro in bella mostra in una delle ceste di vimini: si trattava dell’ultimo volume, uscito solo due settimane prima, della sua saga preferita: I guardiani dei sogni. Il ragazzo corse a prenderlo esclamando: «Com’è possibile che si trovi qui?» Pam sospirò, sul suo viso c’erano ancora fierezza e orgoglio: «Sempre merito di

mio padre! Siamo noi a fare gli acquisti della biblioteca». «Come?» Pam chiuse il libro che aveva in mano e si portò l’indice davanti alla bocca: «Questo è un altro segreto, mia madre non lo deve sapere in nessun modo, hai capito? Giura di non dirlo a nessuno!» «Giuro!» «Guarda che se menti, andrò a dire al signor Melvil che hai fatto un’orecchia a un libro, anzi peggio… che l’hai sottolineato!» «No, no, per carità, non dirò niente!» «Mio padre è un camionista, viene a Boscoamaro soltanto una o due volte al mese e per le vacanze estive, pertanto non ha il cervello fritto come il resto degli abitanti del paese. A lui i libri piacciono, però non lo va a spifferare in giro, perché non vuole dare un dispiacere alla mamma». «Capisco» sussurrò Dennis, che di dispiaceri dati dai padri, ne sapeva qualcosa. «Visto che mi piacciono le storie, ha chiesto al Sindaco Araldi di potersi occupare degli acquisti in biblioteca al posto di Melvil, tutto in segreto. E così, da un annetto, ogni volta che torna a casa, mi porta a fare un giro alla libreria di Collelanoso, il paese di là della montagna, e facciamo acquisti per la biblioteca». «Comprate solo libri per ragazzi?» «No, compriamo anche i libri per gli adulti, ma quelli finiscono subito nelle grinfie di Melvil, a coprirsi di polvere sugli scaffali». «Pam!» gridò la voce infausta del bibliotecario di là della porta chiusa «sono le quindici, la biblioteca chiude!» «Sì, sì, signor Melvil» sbottò Pam e si alzò in piedi. Dennis restò immobile, con il libro in mano, incapace di pensare. Avrebbe avuto il coraggio di prenderlo in prestito?

«Ti conviene venire a leggerlo qua» suggerì Pam «io faccio così. Sappi che se un adulto a Boscoamaro ti trova con un libro in mano, rischia di andare fuori di matto!» «Perché tutta questa avversione per i libri?» «Non ricordi?» chiese Pam portandosi una mano accanto alla bocca e indicando con l’altra il soffitto. «I libri hanno portato alla morte Stella Piano, dodici anni fa! Sono cose che gli adulti non accettano» e detto ciò, spiccando un salto da gazzella, la ragazzina uscì in giardino e corse via con le sue belle scarpette rosa in mano. Dennis alzò gli occhi al soffitto. Sopra di lui, proprio sulla sua testa, c’era il secondo piano… e ancora più su, immerso nel silenzio e nel buio, il terzo. Si domandò cosa fosse mai capitato veramente a quella sfortunata Stella. Era solo scomparsa nel bosco? Era morta? Era stata uccisa? C’era davvero il suo fantasma al terzo piano? In fondo, se si escludeva la stanza di Pam, la biblioteca di Boscoamaro pareva il luogo perfetto per ospitare un fantasma. Dennis provò a leggere qualche libro, ma faticava a concentrarsi. «I fantasmi non esistono» disse a se stesso. Il suo corpo, però, fu scosso da un fastidioso formicolio, i peli dietro la nuca gli si erano rizzati d’un colpo. No, non poteva restare lì! Si avvicinò alla finestra e saltò maldestramente in giardino. Il vento faceva muovere le fronde della quercia. Il ragazzo sollevò lo sguardo: i rami picchiavano contro gli infissi consumati del terzo piano, provocando tonfi e scricchiolii. Dennis si strofinò gli occhi e guardò ancora: c’era qualcosa lassù? Forse un’ombra? Era l’ombra della quercia quella macchia scura sui vetri infranti della finestra? Ci fu un suono acuto, un corvo gracchiò e spiccò il volo. Le gambe di Dennis si mossero da sole: o dopo o iniziarono a camminare, poi a correre lontano dalla biblioteca.

Capitolo IV

IL CENTRO RICREATIVO “VAI PIANO!” La settimana seguente Dennis si fece convincere ad andare al Centro Ricreativo gestito dal conte Piano e ben presto capì perché Pam odiasse tanto quel posto. Il Centro aveva un aspetto fantascientifico: due immensi capannoni bianchi con le cupole dorate, sommersi da telecamere. Antenne e parabole facevano da cornice a un edificio in mattoni, all’apparenza modernissimo. Accanto al Centro c’era anche una gigantesca villa nobiliare sul cui muro di cinta troneggiava l’iscrizione “Villa Piano”. Tuttavia, nonostante l’aspetto lasciasse ben sperare, le attività del Centro e i giochi estivi erano di una noia mortale e, per dirla tutta, non c’era davvero nulla che avesse a che fare con la tecnologia o con la modernità. I ragazzi che lo frequentavano erano degli zombie e trascorrevano ore interminabili a rispondere a quiz e a fare giochi che si svolgevano rigorosamente seduti. Dennis, che aveva evitato di presentarsi come il figlio della signora della Brilla&Splendi, ava ore e ore a cantare vecchie canzoni e a svolgere attività già sperimentate alla scuola dell’infanzia. C’erano molti ragazzi interessanti, soprattutto un certo Geremia, un ragazzino vispo con gli occhiali, e un tale Marco, simpatico e intelligente, ma era difficile parlare con qualcuno senza essere ripresi. Gli animatori e i collaboratori del conte vigilavano su di loro come soldati. Avevano buone intenzioni e il loro scopo era evitare che i ragazzi si fero male, ma le troppe regole e l’eccessiva sorveglianza finivano sempre per mortificare il divertimento. Il conte si aggirava ogni tanto tra i saloni, seguito da uno stuolo di cameraman e operatori televisivi. Aveva la mania dei documentari e i suoi collaboratori trascorrevano giornate intere a filmare i boschi sopra il paese. Dennis temeva di essere finito all’inferno. Per fortuna la sua mente era concentrata su Ranganathan e Stella Piano. Le pareti del Centro erano tappezzate di fotografie di Stella, una bambina esile, con i capelli neri lunghi e lisci, tra le cui ciocche spiccava sempre una piccola stella alpina. L’immagine del fiore aveva spesso riportato alla mente di Dennis l’infermiere, Lorenzo: anche lui portava con sé una stella alpina. Quanti misteri! Il ragazzo non poteva fare a meno di cercare il bandolo della matassa, ma aveva i brividi al solo pensiero di Melvil.

Pam, intanto, era quella che se la ava meglio: riusciva sempre a scappare dal Centro e spariva per ore. Dennis sapeva dove si recava: la biblioteca era la sua tana segreta. Lui non ci era più andato, ma i racconti di sua madre aumentavano il timore e stuzzicavano la sua curiosità. «Mai vista tanta polvere» ripeteva Loretta di continuo. «Polvere ovunque! Ecco perché la Brilla&Splendi mi ha mandato qui per tre mesi interi. Mi prenderete per pazza, ma è come se la polvere riapparisse per dispetto sugli scaffali! Pulisco, pulisco, ma niente da fare. E quel dannato Melvil! Lui e i suoi regolamenti! Possibile che non esista un regolamento per i bibliotecari? Che non ci sia una norma che li limiti? Secondo me, quel vecchio caprone, con il suo comportamento infrange almeno una dozzina di leggi!» Dennis non era un tipo coraggioso, o almeno non si era mai trovato in una situazione che richiedesse coraggio. Era però molto intelligente, curioso e non sopportava la noia. Doveva fare qualcosa se non voleva ridursi a uno zombie come il resto dei ragazzi del Centro e soprattutto se non voleva impazzire, com’era capitato ai colleghi di sua madre. Ben presto arrivò al limite della sopportazione e proprio quando stava per chiedere a Pam di aiutarlo a fuggire dal Centro, la ragazzina lo anticipò. Una sera, infatti, durante una delle squisite cene di Virna, Pam gli si avvicinò furtiva: «Allora, come va al Centro?» «È un posto orribile» rispose Dennis. «Vero! Non sei scemo come pensavo». «Tu scappi sempre in biblioteca?» azzardò Dennis, con una luce di speranza negli occhi. Da solo non sarebbe mai tornato in quel luogo lugubre, ma in compagnia di un’amica, perché no? «Certo! Dovresti venire con me». Dennis arrossì, suo malgrado, ma prima che potesse rispondere, Pam riprese la parola: «Devi venire, credimi! La situazione è sempre più losca, sento una gran puzza di bruciato». «Che vuoi dire?»

«Ultimamente, vedo spesso quel pallone gonfiato del conte Piano. Credo che lui e Melvil le stiano provando tutte per far chiudere la biblioteca. Per fortuna Araldi non vuole demolire l’edificio. Quel cinghiale è un gran mammone e dubito che darebbe mai un dispiacere del genere a sua madre». «Il conte e Melvil» mugugnò Dennis «davvero una pessima accoppiata!» Pam rimase un attimo in silenzio e aggiunse: «Ti va, nei prossimi giorni, di scappare dal Centro insieme a me? Sono stufa di misteri, voglio andare a fondo di questa faccenda e mi serve un aiutante. Che ne dici di indagare?» Dennis si illuminò, ma si limitò a rispondere «Ok» alzando le spalle.

Capitolo V

IL SIGNOR DEWEY «Come sta andando?» chiese il conte Piano al telefono. «È incredibile, conte: è riuscita a pulire quasi tutto il primo piano!» Il conte Piano si irrigidì e strinse forte la cornetta. «Che voce insolita e squillante hai, Melvil, sembri contento del successo di quella donna!» «No, no» si affrettò a rispondere il bibliotecario «la odio, ma devo ammettere che non ho mai incontrato nessuno così testardo». «Comunque non c’è da preoccuparsi, vero?» Dall’altro capo del telefono ci fu un secondo di silenzio: «Sa anche lei come funziona: la polvere non può essere sconfitta». Il conte roteò gli occhi al cielo. Ancora stentava a credere alla maledizione, nonostante fossero ati dodici anni. Aveva ancora davanti agli occhi il momento in cui la signora Lilly, vedendo la biblioteca in degrado, era quasi impazzita, accusando lui e Melvil di aver scatenato la terribile maledizione di Ranganathan. Baggianate! In realtà all’inizio si era trattato solo di un trucco: Melvil gli aveva parlato di Ranganathan e dell’effetto che avrebbero avuto i libri sommersi di polvere sugli utenti. La maledizione si era dimostrata un ottimo spunto per attuare la sua vendetta nei confronti della biblioteca, così si era ingegnato per metterla in scena. Ogni sera, per un anno, aveva mandato i suoi scagnozzi con bidoni ricolmi di polvere da svuotare sui libri. Quando però la gente aveva iniziato a credere al maleficio, si era accorto che la polvere aumentava da sola, per magia. «Certo, la maledizione» sbuffò il conte «se serve una mano chiamami e manderò i miei ragazzi con i secchi di polvere come le prime volte. Se la biblioteca riprende un aspetto accogliente, non ci vorrà molto prima che qualcuno decida di

venire a fare una visita». «Quello era un trucco che serviva a dare il via alla maledizione, che è una faccenda seria, gliel’assicuro. Ha visto l’effetto che ha avuto su di me?» chiese Melvil. Il conte sorrise sotto i baffi e rispose: «Sono l’unico, eccetto la signora Lilly, a conoscere il tuo segreto. E lei è considerata una vecchia pazza». Melvil tacque un momento e cambiò discorso: «A proposito di faccende serie, c’è la storia del fantasma da chiarire. Ho trovato altre stelle alpine sul pavimento del terzo piano. Forse dovremmo appostarci lì la notte del trenta giugno...». Il conte serrò le labbra e divenne paonazzo per la rabbia: «Non voglio sentire parlare di questa storia! i la maledizione, ma al fantasma non ci credo e non ci crederò mai. Ci siamo appostati più volte al terzo piano, ma non è mai successo nulla! Inoltre, come potrebbe essere il fantasma di Stella? Lei è viva, chiaro? È viva, da qualche parte nel bosco». «Forse non è Stella, ma io le dico che l’ho visto, o meglio, non so cosa ho visto, ma sono certo che ci sia qualcuno che di tanto in tanto si aggira per il terzo piano». «Basta con gli scherzi! Maledetta biblioteca, non avrò pace fino a quando non sarà demolita!» «Stia calmo, ormai la gente è stufa, quando anche quest’impiegata fallirà nell’impresa di pulirla, il paese insorgerà contro il Sindaco e la biblioteca verrà chiusa per sempre». «Me lo auguro» sbottò il conte e riagganciò il telefono. Dall’altra parte Melvil fece lo stesso. Era una notte serena e la luce della luna entrava dalle finestre. Melvil osservò la biblioteca: gli scaffali puliti e brillanti sembravano quasi chiamarlo, invitandolo a prendere un libro. Loretta aveva fatto un ottimo lavoro. Era una donna così ostinata! «Non vincerete voi!» sibilò Melvil. Poi un tonfo al terzo piano lo fece

sobbalzare. «C’è qualcuno?» Il bibliotecario si guardò attorno, ma il luogo era deserto, poi, come colto da un capogiro, si appoggiò al muro. «Oh no, sta succedendo...». Si guardò le mani: sembravano improvvisamente meno grinzose e grigie del solito. Impaurito e scosso da fremiti, si affrettò a raggiungere il suo appartamento in un’ala della biblioteca.

Quando era ormai buio pesto, un giovanotto sgattaiolò di nascosto fuori dall’ingresso della biblioteca, come se si fosse materializzato dal nulla. Era un individuo misterioso: forse un utente ritardatario che Melvil aveva chiuso per sbaglio all’interno. Indossava un impermeabile stinto e rattoppato e stringeva sotto il braccio una vecchia valigia grigia. Attraversò il giardino, correndo rannicchiato, lanciò un’occhiata al terzo piano e varcò furtivo il cancello arrugginito. Poi, riempiti i polmoni della fresca aria serale, s’incamminò lungo la strada dell’albero caduto. Non impiegò molto ad arrivare in paese. Vagò inquieto per una buona mezz’ora, finché si fermò dinanzi all’albergo «da Virna». L’uomo restò a lungo a fissare l’insegna che riportava l’immagine del conte Piano, si fece coraggio ed entrò nel cortile. Il camlo sulla porta segnalò l’arrivo dell’ospite con un tintinnio acuto e Virna emerse dalla chiassosa sala da pranzo, sommersa di piatti sporchi. Dando per scontato che si trattasse di uno dei soliti vecchietti perdigiorno, non si curò di accertare l’identità di chi era appena entrato e gli urlò di accomodarsi. L’uomo con la valigia si mise in un angolo, in timida attesa. Virna fece parecchi viaggi dalla sala alla cucina, senza preoccuparsi di lui. Lo sconosciuto, dondolando sui tacchi, lasciò trascorrere dieci minuti prima di attirare l’attenzione con piccoli colpi di tosse. «Buonasera, signora» disse infine.

Aveva un accento musicale e dolce. Nel sentire una voce sconosciuta, Virna, che reggeva una torre di bicchieri, si arrestò di colpo. Volse il capo lentamente e posò lo sguardo sul nuovo arrivato. L’individuo misterioso era un uomo sui quarant’anni con la pelle scura, tratti esotici e folti capelli castani. Virna chiuse le palpebre e le riaprì, per accertarsi di non avere le traveggole. «Buonasera, vorrei prendere una stanza per stanotte» ripeté lui, con un sorriso di cortesia. Continuava a guardarsi intorno come se stesse cercando qualcosa. «Un ospite!» gridò Virna, con la sua voce da cantante lirica. Presa dall’emozione, finì per sentirsi le gambe e le braccia molli e lasciò cadere i bicchieri che andarono in frantumi sul pavimento. Il fracasso richiamò l’attenzione di Loretta, Dennis e Pam, che se ne stavano in sala da pranzo a chiacchierare. «Cos’è successo?» chiese Loretta. «Abbiamo un ospite» rispose Virna con un acuto. A quel punto lo straniero sollevò lo sguardo e incrociò quello di Loretta. I due restarono a fissarsi per un bel po’, quasi sotto ipnosi. Dennis colse dell’imbarazzo sul viso di sua madre e la cosa non gli piacque per niente. «Salve, mi chiamo Dewey» disse l’uomo, alzandosi di scatto e stringendo la mano di Loretta. Anche lui era imbarazzato, ma contento. «Salve, io sono Loretta». Dewey, agitato, si grattò la nuca, poi, dopo un attimo di riflessione, spiegò: «Ecco, sono in viaggio per Collelanoso e oggi ho ato la giornata nella vostra biblioteca». I presenti, a quell’affermazione, sgranarono gli occhi, ma siccome Dewey era uno straniero non dissero nulla. «Insomma, ho perso la cognizione del tempo» continuò lui «e così ho perso anche l’ultimo autobus per Collelanoso. Per fortuna ho visto quest’albergo così grazioso e...».

«Ah, la stanza!» disse Virna «la prego, gentile ospite, venga con me, così possiamo parlare della stanza». «È sempre così agitata?» chiese lo straniero sottovoce a Loretta. «Questo non è nulla, deve vederla quando si bruciano le lasagne». Dewey sorrise e raggiunse Virna al bancone. Loretta, per vincere l’imbarazzo, si chinò a raccogliere il resto dei bicchieri. «Sembra che alla tua mamma piaccia quel tipo» sogghignò Pam, avvicinandosi all’orecchio di Dennis. Il ragazzino, che aveva seguito tutta la scena con un crescente sdegno, provò un brivido di disgusto. «Che stai dicendo, strega?» sbottò. «È diventata tutta rossa quando l’ha visto, come un’aragosta» si spiegò Pam, ma vedendo Dennis irritato, perse la voglia di scherzare. «È solo un bellimbusto!» Nel frattempo, Dewey stava parlando con un’agitatissima Virna, che non era per nulla a suo agio con le usuali pratiche degli albergatori. «Si ferma solo stanotte?» chiese l’ostessa. «Sì, ma non ho programmi ben definiti» disse Dewey e lanciò un’occhiata di sfuggita a Loretta. «Non c’è problema, può stare una notte, o due o tre, quanto vuole» disse Virna «ma ora vada in sala da pranzo, che le servo la cena». Con l’arrivo dello straniero, la serata prese una piega inaspettata e più divertente: Dewey, Loretta, Virna e i soliti vecchietti arono ore a parlare e a giocare a carte. Tra Dewey e Loretta si instaurò subito una grande intesa. Sembravano avere mille argomenti in comune. Dennis, nel frattempo, si era rintanato in camera sotto le coperte. Aveva intenzione di dormire, ma ben presto fu raggiunto da Pam.

«Non starai mica dormendo!» borbottò la ragazzina scuotendo l’amico con prepotenza. «Non dovrei?» sbuffò Dennis. «Scendiamo a sbirciare, scemo! Non sei curioso di saperne di più su quel tizio?» Dennis si rigirò nel letto e infilò la testa sotto il cuscino come uno struzzo. «Non mi interessa!» sentenziò. C’erano già abbastanza fastidi a Boscoamaro. Pam afferrò il cuscino e glielo strappò via. «Come vuoi» disse «senti: domani è fondamentale che andiamo in biblioteca». «Tanto ci andiamo sempre» disse Dennis. «Sì, ma domani è importante! Potremo accertarci se la biblioteca è maledetta come sostengono in paese». «Ah sì? Come?» «Sei tonto? Non ricordi che oggi tua madre ha finito di pulire il primo piano? Non c’era più traccia di polvere...». «E con questo?» «Cavoli, quanto sei stupido» sbuffò Pam «ti sei dimenticato cosa dicono i vecchi della maledizione di Ranganathan?» Dennis si illuminò e ribatté: «Dicono che la biblioteca è impossibile da pulire». «Esatto, per effetto della maledizione: per quanto si cerchi di toglierla, la polvere ritorna sempre!» «Lo dicevano anche i colleghi di mia madre, ma secondo me erano loro che non erano bravi a fare le pulizie». «Infatti» annuì Pam «tua madre, invece, è stata bravissima! Perciò, se domani la biblioteca sarà di nuovo sporca, avremo la prova che è veramente maledetta».

«Direi che non fa una piega» concordò alla fine Dennis. «A domani, allora, svampito!» «A domani, brutta strega!» Pam uscì dalla stanza veloce come un topolino e Dennis fissò l’uscio per un po’. Chissà in che condizioni avrebbero trovato la biblioteca l’indomani. Con questo pensiero in testa si addormentò. Quando fu mattina presto, Dewey si alzò. Virna dormiva ancora, così lasciò un biglietto di ringraziamenti sul bancone. Pensò di lasciarne uno anche a Loretta, ma non lo fece. Si strinse nel cappotto, nascondendo il viso dietro il colletto, come se avesse paura di essere spiato. Uscì e riprese la strada dell’albero caduto. Arrivò alla biblioteca, scrutò ancora il terzo piano, poi, raggiunto l’ingresso dell’alloggio del bibliotecario, vi entrò, chiudendosi solennemente la porta alle spalle.

Capitolo VI

POLVERE, POLVERE DAPPERTUTTO! Il giorno dopo, Loretta si alzò di buon umore, raccolse l’occorrente per le pulizie e si avviò fischiettando verso la biblioteca. Aveva ato una splendida serata e doveva ammettere che il signor Dewey era stato un interlocutore molto piacevole. Purtroppo, era partito in fretta e furia di mattina presto, senza nemmeno salutare. Lei, però, non era una donna che si rattristasse per queste cose e anche se ammetteva di essere rimasta affascinata dallo straniero, non aveva intenzione di rimuginare troppo su quel fugace incontro. Aveva comunque la testa tra le nuvole e non si era accorta che in lontananza, nascosti tra le fronde, la seguivano Dennis e Pam. Loretta attraversò il lurido cortile con disinvoltura. Non vedeva l’ora di ammirare il frutto del suo lavoro alla luce del giorno. Tuttavia, quando mise piede nel salone... «Eh? Che significa?» sbottò. Dennis e Pam, giunti a loro volta, si nascosero dietro la grande lavagna nera e sporsero il capo per vedere cosa stesse accadendo. Le palpebre di Dennis si spalancarono al punto che gli occhi avrebbero potuto schizzare fuori dalle orbite. «Lo sapevo» mormorò Pam. C’era polvere, polvere dappertutto! Il salone, che solo la sera prima era brillante e splendente, ora era di nuovo grigio e sporco. Anzi, la biblioteca era tale e quale al giorno in cui Loretta e Dennis vi avevano messo piede la prima volta. «Polvere, polvere dappertutto» costatò Loretta. La vista si offuscò e la scopa le cadde di mano, picchiando a terra e sollevando un gran polverone. Tossendo e starnutendo, la donna si sentì sopraffare dall’ira. Non poteva che essere opera di quell’omuncolo malefico, di quel satanasso del bibliotecario! «Allora è vero» dichiarò Dennis con un brivido lungo la schiena. «È maledetta!» «Ora ne abbiamo la conferma» concluse Pam. Dennis si ricompose e in un lampo di razionalità ipotizzò: «Potrebbe essere stato il bibliotecario, no?»

«Impossibile, non può essere opera di un essere umano». «Magari non l’ha fatto da solo. Sono in tanti a odiare la biblioteca» continuò Dennis, ma dentro di sé sentiva montare la paura. «Certo, c’è sempre l’ipotesi del complotto tra Melvil e il conte Piano». «Signor Melvil» tuonò Loretta, all’apice della collera. Il bibliotecario, alla stregua di uno spirito maligno appena evocato, sbucò dal suo studio. Sembrava essersi appena svegliato, perché, oltre a essere così spettinato da ricordare un istrice, camminava curvo e zoppo, stropicciandosi gli occhi con insistenza. «Che cos’ha da urlare?» domandò seccato, con voce cavernosa. Loretta sbuffò, grugnì, ringhiò, si mosse avanti e indietro, chiuse gli occhi e strinse i pugni. Tutto nell’estremo tentativo di impedire a se stessa di uccidere il malefico Melvil. Quando pensò di aver riacquistato un po’ di lucidità, indicò gli scaffali con la mano tremante. «Li avevo puliti perfettamente» affermò. Melvil socchiuse gli occhietti acquosi e scrutò gli scaffali. Fissando la biblioteca con sfida, emise un lugubre lamento e bofonchiò qualcosa: «Sono di nuovo sporchi. Arrivederci» concluse e volse i tacchi. «Come?» gridò Loretta. «Sono sporchi, cos’altro dovrei dirle?» sibilò l’uomo. «E come mi spiega la polvere?» «La polvere?» «Sì, c’è polvere dappertutto, è impossibile che si sia riformata durante la notte! Qualcuno ce l’ha messa!» «Mi sta accusando di qualcosa, signora?» «Chi altri dovrei accusare?» sbottò Loretta «è stato lei a sporcare di nuovo la

sala!» Il bibliotecario, a quel punto, scoppiò a ridere. Rise di gusto per un tempo che parve infinito. «Lei non può accusarmi di un bel niente» sghignazzò Melvil «potrebbe essere stato chiunque a fare questo scherzo: in paese tutti odiano la biblioteca. Non ha visto che i vetri delle finestre sono rotti? Non ci sono allarmi e personale di sicurezza. Si può entrare e uscire dall’edificio con facilità e, se non lo sa, qua si intrufolano vagabondi di ogni genere». «Mi faccia il piacere!» ribatté Loretta. Gli occhietti di Melvil divennero due fessure nere e misteriose: «Oppure, potrebbe semplicemente darsi che la biblioteca sia davvero maledetta» suggerì. «Sciocchezze!» «Non crede alle maledizioni, mia cara signora? Ai fantasmi ci crede? Noi ne abbiamo uno». «Basta con queste bambinate!» «C’è, glielo assicuro: compare ogni primo giorno del mese, al terzo piano. Potrebbe essere stato lui a giocare questo tiro mancino, è dispettoso». Alle parole di Melvil, Dennis avvertì di nuovo un brivido, mentre Pam si fece seria e attenta. Loretta afferrò la scopa e l’agitò verso l’alto come una lancia. «Non ho prove per accusarla, ma se pensa di spaventarmi con tutte le sue baggianate si sbaglia di grosso!» sbraitò. Melvil rise ancora, poi girò il capo e salutando Loretta con la mano ossuta disse: «Creda quello che vuole, ma la verità ce l’ha sotto il naso» e trascinando i piedi tornò nel suo ufficio. Loretta ò l’ora seguente a vagare inquieta per il primo piano, mentre Dennis e Pam seguivano di nascosto le sue mosse. I due ragazzini avevano fatto il punto

della situazione: era certo che in biblioteca accadessero cose strane. La polvere tornava sempre, perfino dopo il lavoro impeccabile di Loretta. Ora bisognava stabilire se ciò dipendeva dalla maledizione di Ranganathan, dal presunto fantasma di Stella Piano o se fosse opera del malvagio bibliotecario. Dennis sentì chiudersi lo stomaco: sua madre stava immobile davanti alle scale che portavano ai piani superiori con la scopa in una mano e i detergenti nell’altra. Aveva per caso intenzione di salire? Mentre lui formulava questo pensiero, Loretta superò con un salto i primi gradini per poi essere inghiottita dalla tromba buia delle scale. «Presto!» esclamò Pam, intimando a Dennis di seguirla e facendogli capire che aveva tutta l’intenzione di salire a sua volta. Dennis, a quel punto, non se lo fece ripetere. Se era fortunato, sua madre e Pam si sarebbero fermate al secondo piano. Salì i gradini lentamente, tenendosi stretto al corrimano. Appesa alla parete c’era la segnaletica che indicava agli utenti i vari settori: «primo piano: narrativa», «secondo piano: saggistica», «terzo piano: hobbistica, cucina e viaggi». Purtroppo per lui, sua madre non si era fermata al secondo piano, ma era guizzata, veloce come un gatto, direttamente al terzo. Pam lo attendeva immobile sul pianerottolo. Dalla porta socchiusa filtrava uno spiraglio di luce, che disegnava una linea chiara sul muro. Anche Pam, solitamente spavalda, sembrava insicura, con gli occhi scuri che tradivano apprensione. Dennis si avvicinò e deglutì a vuoto. Osò soltanto avvicinare il viso alla fessura per sbirciare all’interno. «Venite avanti voi due» ordinò una voce adulta e i due ragazzi si appiattirono contro il muro. La porta si aprì e apparve Loretta, tutta intera, ma con un’espressione strana sul viso. Era arrabbiata, preoccupata ma anche stupita. Nel trovarsela di fronte, Dennis fu sollevato, ma subito temette di essere sgridato per non essere andato al Centro Ricreativo. Loretta, tuttavia, sembrava avere ben altri problemi, lasciò la porta aperta e tornò a osservare la stanza. Seguendo l’esempio della donna, i due ragazzini, in punta di piedi, varcarono l’uscio proibito. Una volta all’interno, Dennis e Pam sgranarono gli occhi: era una vasta sala, molto luminosa, con scaffali di grandezza ridotta rispetto a quelli dei piani inferiori. Non c’era nulla di pauroso e mancava perfino la solita sensazione di asfissia. I rami della quercia entravano prepotentemente dalla finestra rotta e sul

pavimento c’erano foglie e ghiande. Tralasciando queste ultime, la stanza era, tutto sommato, pulita. C’era un po’ di polvere, ma niente di paragonabile ai saloni sottostanti. «Che strano, questa sala sembra normale» bisbigliò Loretta. «Già, è diversa dalle altre stanze» costatò Pam incredula. «Forse mi conviene iniziare le pulizie da qui» affermò la mamma di Dennis. Detto fatto, sistemò in un angolo la scopa, i prodotti Brilla&Splendi e si rimboccò le maniche. «Voi due, invece, dovreste tornare al Centro Ricreativo» sentenziò. I ragazzi trasalirono, non avevano la minima intenzione di tornare al Centro. Dennis osservò Loretta lavorare: metteva tutta se stessa in ciò che faceva. Aveva gli occhi un po’ lucidi, evidentemente era delusa per com’era finito tutto il lavoro dei giorni precedenti. Eppure non si arrendeva, non si arrendeva mai! Il ragazzo si avvicinò timidamente a sua madre: «Se vuoi, mi piacerebbe darti una mano». Lei si intenerì e scosse il capo. «Tu devi pensare a giocare, vai pure con Pam al Centro Ricreativo o, se preferite, a giocare a palla da qualche parte». Pam si fece avanti, mostrando i muscoli del braccio. «Sono d’accordo con Dennis: sarà divertente ripulire questo posto!» «Permettici di aiutarti» incalzò Dennis, timidamente. Loretta sorrise commossa e annuì con un cenno del capo, invitando i suoi due nuovi aiutanti a togliere i libri dagli scaffali. Bisognava ammettere che in quella stanza i libri custoditi avevano un bell’aspetto. A differenza degli altri nel resto dell’edificio, che erano tristi, sudici e abbandonati a se stessi, questi erano ben tenuti e davano l’idea di essere stati

letti più volte. Contro ogni diceria, escludendo la stanza di Pam, il terzo piano era il luogo più confortevole dell’edificio. Dennis e Pam si avvicinarono alla finestra rotta e studiarono i rami nodosi dell’albero. I vetri erano stati tutti radunati in un angolo, mentre ghiande e foglie erano sparpagliate alla rinfusa. Dennis stava per dedicarsi agli scaffali, quando qualcosa di piccolo e bianco attirò la sua attenzione. Si chinò e i suoi occhi si posarono su di un fiore color latte. Il cuore gli schizzò in gola, quando si rese conto che si trattava di una stella alpina. Pensò subito al fantasma di Stella Piano e si guardò intorno guardingo. Pam, incuriosita, gli chiese cosa stesse facendo e lui mostrò il piccolo fiore. «Che ci fa qui una stella alpina?» meditò la ragazzina. Dennis rifletté: il fiore era stato reciso e poi abbandonato tra i rami. Forse era stato il vento a trasportarlo lassù? I suoi pensieri deviarono ancora sul fantasma e lui trasalì. Osservando i petali delicati, ebbe però un’illuminazione: si ricordò dell’infermiere, quel Lorenzo che aveva proprio una stella alpina appuntata sul petto. Forse era andato in biblioteca ed era salito al terzo piano? Espose la sua teoria a Pam, che rifletté affermando di aver visto molte volte Lorenzo percorrere il sentiero dell’albero caduto. Disse a Dennis che era un ragazzo strano, taciturno e si aggirava sempre tra i boschi a fare chissà che cosa. “Perfetto” pensò Dennis “ecco un nuovo rompicapo”. La giornata trascorse serena: i tre lavoratori ripulirono per bene il terzo piano e perfino metà del secondo. Il lavoro li distrasse dai problemi e quando rincasarono, era già ora di cena. Loretta non aveva aperto bocca per tutto il tragitto e sembrò rianimarsi solo quando la testa riccioluta del signor Dewey comparve nella hall. L’uomo le sorrise, dicendo di essere ritornato a Boscoamaro per gustare una nuova cena preparata da Virna. Dennis, tra una forchettata di spaghetti e l’altra, squadrava con la coda dell’occhio il bellimbusto, fingendo di non vedere che anche sua madre non faceva altro che lanciargli occhiatine. Pam sedeva accanto all’amico e trovava la faccenda parecchio divertente, ma voleva discutere di affari più interessanti. «Senti, ho riflettuto molto su quanto è accaduto oggi» mormorò all’orecchio

dell’amico. «Voglio vederci chiaro una volta per tutte, voglio scoprire qual è il vero segreto della biblioteca. La cosa migliore sarebbe arci la notte, ma prima di farlo abbiamo bisogno di qualche informazione in più su Ranganathan». «L’ho cercato su internet ma senza trovare granché» disse Dennis. «Forse possiamo scoprire qualcosa nella libreria di Collelanoso». «Intendi, dove vai a comprare i libri?» «Esatto». «Come mai non hai mai cercato prima dei libri su Ranganathan?» «Ci vado sempre con mio papà e quando sono con lui, riesco solo a pensare a cose divertenti» ammise Pam con semplicità. Dennis fece spallucce e sospirò: «Ok, come ci andiamo a Collelanoso?» Pam sorrise e con una mano accanto alla bocca confessò: «Sabato torna papà, ci porterà lui!» A Dennis quella prospettiva piacque molto. Anche lui voleva far luce sul mistero e una giornata lontano da Boscoamaro era ciò che ci voleva per mettere ordine nei pensieri.

Capitolo VII

UN PAPA’CAMIONISTA Quel sabato, lo scampanio della chiesa di Boscoamaro fu coperto da un nuovo terribile rumore. Iniziò sotto forma di un brusio lontano, quasi il ronzio di uno sciame d’api in movimento, poi crebbe e divenne più profondo, simile al brontolio inquieto di uno stomaco a digiuno e infine si trasformò in un gran sferragliare, sferzare, sbatacchiare. L’asfalto crepitava, i sassi sobbalzavano, i rami frusciavano e di tanto in tanto si udiva un fischio acuto. Dennis si svegliò di soprassalto e la finestra della sua camera gli offrì uno spettacolo allarmante: oltre le case delle vie sottostanti, di là del boschetto ai piedi del paese, si muoveva qualcosa. Qualcosa di nero, smisurato, che si gonfiava e si sgonfiava a causa del vento. «Sta arrivando, sta arrivando!» schiamazzò la voce di Pam dal corridoio. «Sta arrivando, sta arrivando!» ribadì la voce da soprano di Virna. Dennis si staccò a fatica dalla finestra e aprì la porta della stanza che dava sul corridoio. Pam correva su e giù dalle scale, a zigzag, saltando a braccia aperte, incapace di contenere tutta la sua gioia. C’era anche Virna, che indossava gli abiti della festa: un tailleur a fiori che la faceva sembrare un’anfora mastodontica e scarpe con il tacco che la rendevano ancora più alta. Aveva i capelli sciolti: un’immensa matassa rossa di riccioli che le incorniciavano il viso truccato, multicolore per il fondotinta, il fard, la cipria, l’ombretto e il rossetto. «Che c’è?» domandò Dennis, grattandosi il capo. A ogni fischio prodotto dalla «cosa» quelle due si agitavano di più. «Sta arrivando! Sta arrivando!» starnazzavano impazzite. «Che succede?» chiese concitata Loretta, sbucando dalla sua stanza tutta spettinata. Era a corto di sonno, come testimoniavano le due immense occhiaie violacee che sfoggiava. Virna afferrò le mani di Loretta: «Sta arrivando, è qui» e le brillavano gli occhi.

«Chi?» domandò la donna delle pulizie, contagiata dalla gioia dell’amica. Pam, a quel punto, prese la parola e indicando l’uscita dell’albergo esclamò: «Papà!» La ragazzina si precipitò di sotto, seguita da sua madre che rimbalzava sugli scalini come una palla. Anche Dennis, incuriosito, non perse altro tempo e insieme a Loretta scese in giardino. Il frastuono aveva raggiunto il massimo volume, tanto che molti curiosi si erano affacciati dalle finestre delle case. Dennis colse un guizzo nero oltre la curva e poi, nella minuscola strada davanti all’albergo, si fece largo il camion più grande che avesse mai visto. Era una belva di ferro e acciaio, la lunga e massiccia parte del cargo era coperta da un telone nero che si gonfiava come una vela e riportava a caratteri cubitali la scritta: BOSCOAMARO TRANSPORT S.n.c. Dennis non riusciva a capacitarsi di come l’autista riuscisse a guidare quel mostro attraverso una strada tanto stretta, senza procurare il minimo danno. Quando il camion frenò, tutto il fracasso si arrestò con lui. Pam, Virna, Dennis, Loretta e i curiosi alle finestre attendevano, muti come tombe, la comparsa del camionista. La portiera si spalancò e apparve un uomo basso, magro e asciutto come un chiodo, con un’ispida barba nera, occhi da corvo e una bandana rossa stretta sul capo calvo. «Per la barba che mi fa venire un neopatentato imbranato, ecco le mie donne!» esclamò il camionista, con voce rauca e possente. «Bruno!» gridò Virna in lacrime. «Papà!» urlò Pam. Le due corsero verso di lui e i tre si strinsero in un abbraccio vigoroso. La gente alle finestre lanciò grida di incoraggiamento e di allegria; quel commovente affetto famigliare aveva fatto dimenticare a tutti di essere stati svegliati di prima mattina. Poi, quando Virna e Pam si furono calmate, l’ostessa fece le presentazioni. Bruno strinse la mano a Loretta e a Dennis, conquistandosi con i suoi modi la simpatia di entrambi.

«Pam mi ha parlato di te al telefono, giovanotto» confessò Bruno, facendo l’occhiolino a Dennis. A quelle parole, il ragazzino cercò lo sguardo di Pam, ma lei, altrettanto imbarazzata, lo evitò accuratamente. «Sei pronto per la nostra missione a Collelanoso, oggi pomeriggio?» s’informò il camionista. «Certamente, signore!» «Perfetto, che gli inglesi si mettano a guidare a sinistra, se oggi non ci divertiremo!» La mattinata trascorse in modo piacevole: il signor Bruno aveva molte storie da raccontare ed era un ottimo narratore. Dennis, in particolare, pendeva letteralmente dalle sue labbra. Pam era al settimo cielo e Virna aveva talmente la testa tra le nuvole che dimenticò perfino di salare la pastasciutta. Dopo pranzo, Bruno attirò l’attenzione di Pam e Dennis: «Che ne dite di metterci in viaggio?» Detto fatto, i tre corsero fuori e Dennis, arrampicandosi fino alla cabina del camion, provò una grande emozione. L’interno era spazioso e comodo, straripante di oggetti curiosi. Mentre Dennis esaminava tutte quelle cose, Pam balzò sul sedile e lo costrinse con poca grazia a sistemarsi vicino al finestrino. Il posto al centro, vicino al guidatore, era suo. Su ciò non si discuteva. Il signor Bruno, facendo leva sulla maniglia della portiera, balzò al posto di comando con navigata sicurezza. Si allacciò la cintura, invitò i ragazzi a fare lo stesso, infilò le chiavi e afferrò il freno a mano. «Siete pronti?» domandò. «Sì!» gridò Pam e anche Dennis annuì. Dal cortile, Virna e Loretta li stavano salutando. «Allora si parte, per mille fogli rosa!» dichiarò Bruno e via. Il camion partì di slancio, attraversò la stradina senza difficoltà e si arrampicò verso la cima del monte. All’interno della cabina era tutto un sobbalzare e Dennis si teneva stretto

al sedile. Pam, invece, rideva come una pazza e lo stesso faceva Bruno. Alla fine, anche Dennis ci prese gusto e iniziò a ridere come non faceva da troppo tempo. «Oh, un pedone!» notò Bruno, rallentando. Un giovane con un enorme zaino, infatti, camminava sul ciglio del sentiero ma Bruno lo evitò senza problemi, dando un piccolo colpo di clacson. Dennis si appiccicò al finestrino e riconobbe nel pedone il solito Lorenzo. Questi ricambiò fiaccamente il saluto e tornò a prestare attenzione ai suoi i. «Chissà dove va» si lasciò sfuggire Dennis. «Credo stia ancora esplorando la montagna» ribatté Bruno, dando inconsciamente la possibilità a Dennis di soddisfare una sua curiosità. «Come mai esplora la montagna? Ha un’aria triste, non sembra divertirsi» commentò il ragazzo. Bruno si incupì e aggrottò le sopracciglia. «Non temere, sa tutto di Stella Piano» rivelò Pam e Bruno sgranò gli occhi: «Ah sì?» «Certo». «Allora, Dennis, la storia è semplice: Lorenzo era il migliore amico di Stella e non si è mai rassegnato alla sua perdita. Da anni perlustra la montagna in ricerca di lei». «Lorenzo era il miglior amico di Stella?» chiese Dennis. «Sì, erano inseparabili, come le ruote di un motociclo, e andavano sempre insieme in biblioteca». «In biblioteca?» ripeté Dennis. «Certo! Era bella la nostra biblioteca a quei tempi». «Quando c’era la signora Lilly?» si intromise Pam.

«È sempre stata una gran donna, Lilly! Un mostro sacro nel mondo delle biblioteche». Dennis e Pam restarono in silenzio, colpiti dal racconto, ma poi si fecero distrarre nuovamente dalla strada. Era pomeriggio inoltrato, quando scorsero da lontano un piccolo e grazioso paese: Collelanoso. Sorgeva in una vallata verde smeraldo, sul lato opposto della montagna. Boschi vaporosi gli facevano da cornice e gli alberi non erano cupi e sinistri come quelli di Boscoamaro. Il signor Bruno non ebbe difficoltà ad attraversare i vicoletti con il mastodontico camion e fece un parcheggio da manuale nella minuscola piazza centrale. «Bene, ragazzi» disse infine «io devo andare al supermercato a fare la spesa per Virna. Voi, se volete, precedetemi in libreria». I due ragazzi accolsero con gioia la proposta e corsero via. Dennis seguì Pam attraverso i vicoli intricati e si ritrovò dinanzi a una piccola e squisita libreria. Tutto era luminoso e rassicurante. I ragazzi entrarono nel negozio e si misero a sbirciare i libri in vendita. Al bancone c’era una giovane donna molto bella: aveva un viso dolce, due occhi grandi ed espressivi nascosti da un paio di spessi occhiali. «Cosa cercate?» chiese la commessa. «Un libro su Ranganathan» ribatté Pam. La donna ne fu sorpresa, ma non si scompose più di tanto. Disse di aspettarla e ritornò poco dopo con un intero libro su Ranganathan. «B... bi... blioteconomia, che parola difficile, biblioteconomia in pillole e perle indiane» lesse Pam ad alta voce. Sulla copertina campeggiava l’immagine di un indiano con dei libri nelle mani e sul retro la fotografia di un’elegante scrittrice. «Sembra molto datato» disse Dennis. «È l’unico libro che abbiamo sull’argomento, ma è un testo fondamentale per bibliotecari e librai» dichiarò la commessa.

«Cavoli, Dennis, leggi il nome dell’autrice» lo invitò Pam. Dennis lesse: «Lilly Arabeschi Araldi!» I due osservarono increduli la foto della scrittrice: era senz’altro la signora Lilly. «La signora Lilly!» «Eh già, la conoscete?» chiese la commessa. «Sì, vive a Boscoamaro, come me» rispose Pam. La commessa spalancò gli occhi sorpresa e continuò: «Capisco. Siete fortunati a vivere nello stesso paese di Lilly Arabeschi Araldi. Dovevate vedere la biblioteca di Boscoamaro quando la gestiva lei: arrivava gente da tutta la provincia. Per non parlare di studiosi e letterati! A ogni modo, ora vi lascio, fatemi sapere se il libro va bene». Rimasti soli, i due ragazzini iniziarono a confabulare. «Mio papà l’aveva detto che Lilly era un mostro sacro del mondo delle biblioteche!» disse Pam, aprendo il volume alla pagina dell’indice. Dennis si avvicinò e lesse a sua volta i titoli dei capitoli. Subito l’attenzione del ragazzo fu catturata da uno intitolato: La classificazione Dewey. «Classificazione Dewey? Che strano, anche il bellimbusto si chiama così» esordì, riferendosi allo straniero che faceva sempre tappa all’albergo. «Cosa c’è di strano, scusa?» sbuffò Pam «ci sarà un sacco di gente nel mondo che si chiama in questo modo. Qui dice solo che Dewey era un bibliotecario, un americano che ha inventato un nuovo modo di disporre i libri in biblioteca. Non credo ci interessi granché». Dennis sospirò, liquidò la questione e continuò a scorrere l’indice. «Guarda lì, potrebbe fare al caso nostro» disse a un certo punto, indicando un altro capitolo.

«Cosa?» chiese Pam, cercando il punto individuato dall’amico. Dennis le prese il libro di mano e puntò l’indice su una frase. «Qui» disse «Capitolo otto: Le leggi di Ranganathan». Gli scuri occhi di Pam divennero ancora più grandi: «Fantastico!» I due ragazzini si immersero nella lettura.

Capitolo VIII

LE LEGGI DI RANGANATHAN Dopo aver enunciato leggi riguardanti biblioteche pubbliche, private, interstatali, mondiali e universali, la signora Lilly, nel capitolo che aveva incuriosito Dennis e Pam, trattava un argomento insolito: le cinque leggi di “Ranganathan”. Shiyali Ramamrita Ranganathan era stato un grande bibliotecario, ancora più grande della stessa Lilly. Aveva dedicato la vita ai libri e aveva scritto le sue famose leggi per il bene di tutte le biblioteche. Dennis e Pam le lessero una per una ad alta voce. «I libri vanno usati, una biblioteca è resa grande non dal numero dei suoi libri, ma dal loro uso. Questa è la prima legge» recitò Dennis. «La seconda legge dice: I libri sono per tutti. A ogni lettore il suo libro» continuò Pam. «Questa legge farebbe venire un infarto al signor Melvil» commentò Dennis «secondo lui i libri non sono nemmeno per pochi». «Ah ah, hai ragione!» rise Pam. «Qui a direttamente alla quarta legge» costatò Dennis molto sorpreso «ah no, riprende la terza alla fine del capitolo». «Forse la terza è la più importante» ipotizzò Pam. «Sì, la leggiamo dopo. La quarta legge enuncia: Risparmia il tempo del lettore». «Il signor Melvil trasgredisce anche questa» sbuffò Pam irritata «pensa a quanto tempo fa perdere alla gente con tutti quei cartelli!» «A chiunque erebbe la voglia di andare in biblioteca» commentò Dennis. «Quinta legge: La biblioteca è un organismo in crescita» lesse Pam solennemente. Una volta spiegate la quarta e la quinta legge, la signora Lilly dedicava un gran numero di pagine alla fantomatica “terza legge”, che lasciò Pam e Dennis

letteralmente di stucco. Pam sollevò il libro verso l’alto e lesse lentamente ad alta voce: «Terza legge di Ranganathan: a ogni libro il suo lettore…». «È uguale alla seconda» sbuffò Dennis. «No, è diversa, la seconda diceva: a ogni lettore il suo libro, questa invece dichiara che ogni libro ha diritto al suo lettore. È dal punto di vista del libro». «Che strana!» «Zitto e ascolta. Il libro dice al bibliotecario: io, di mia iniziativa, non sono in grado di raggiungere le mani dei miei lettori. La mia voce non può farsi udire da loro. Io devo contare su di te per giungere al mio lettore e il mio lettore per essere portato a me». I due ragazzi esitarono qualche istante, cercando di capire il senso di quanto avevano appena letto. «Forte» commentò Pam. La terza legge continuava affermando: «Ogni libro lasciato a lungo sullo scaffale lontano dal suo lettore, coperto di polvere, potrebbe far cadere una maledizione sul bibliotecario…». «Eccola qui, la maledizione» bisbigliò Dennis «senti cosa scrive Lilly nelle note: se il bibliotecario allontanerà tutti i lettori e lascerà cadere la polvere sui libri, sarà colpito dalla terribile maledizione di Ranganathan. La polvere coprirà ogni cosa, perfino il bibliotecario stesso». Pam e Dennis stavano pensando la stessa cosa: se c’era un trasgressore delle cinque leggi di Ranganathan quello era Melvil e di certo, brutto com’era, dava effettivamente l’impressione di aver subito qualche orrendo maleficio. Polvere sui libri, maledizione sulla biblioteca, maledizione sul bibliotecario, polvere e maledizioni, maledizioni e polvere... «La maledizione è vera, ne sono sicura» concluse Pam.

«Il libro non dice molto di più di quanto già non sapessimo. Come ci liberiamo della polvere?» sospirò Dennis. «Melvil ha fatto cadere la polvere sui libri ma, stavo pensando: c’è polvere ovunque, tranne che nella mia stanza» rifletté Pam, grattandosi i capelli per spremere il cervello. «Sì, è vero». «Io non pulisco mai, eppure la polvere non c’è». Dennis pensò a com’erano diversi i libri nella stanza di Pam e al calore che emanavano. Libri letti, apprezzati e usati; iniziava pian piano a convincersi che le teorie di Ranganathan non fossero così strampalate. Rilessero più volte il capitolo e rimasero a lungo in silenzio a meditare. «Quella è polvere magica» esordì Pam «non basta fare le pulizie per eliminarla. Forse l’unico modo per sbarazzarsene è che i libri incontrino i loro lettori, cioè che vengano prestati a qualcuno! L’unico modo per aiutare tua madre è portare i lettori in biblioteca, lei da sola non può nulla». «Come te lo spieghi che non ci sia tanta polvere nemmeno al terzo piano?» Pam trattenne il fiato e facendo spallucce disse: «Lì c’è il fantasma, forse lui legge». «Come no, un fantasma che legge libri» ridacchiò Dennis, ma era un po’ spaventato. «Il fantasma esiste e c’è chi dice di averlo visto alla finestra». «Chi lo dice? Il vecchio Arturo? È quasi cieco, poverino». «Più di una persona ha intravisto il fantasma al terzo piano. Inoltre, anche Melvil ha detto che compare ogni primo del mese». «Uhm...». Pam, esasperata, fece spallucce e confessò: «Non so se ci sia, oppure no, ma di

sicuro qualcuno va in quella stanza, non ricordi la stella alpina?» In quel mentre, Bruno entrò carico di borse nel negozio, salutò e li raggiunse: «Ehi, birbanti, avete scelto i libri?» «Certo» rispose Pam, indicando una montagna di albi illustrati accatastati vicino alla cassa. «Guarda cosa abbiamo trovato» aggiunse entusiasta, mostrando a suo padre il libro di Lilly, prima che Dennis le suggerisse di non parlarne a nessuno. «Che la polizia stradale mi multi se questa non è Lilly!» esclamò Bruno, osservando il libro che Pam gli aveva ato «ve l’avevo detto che era un mostro sacro del mondo bibliotecario, ma non sapevo che fosse anche una scrittrice». Mentre il camionista, ridendo, si avvicinava al bancone per pagare, Pam afferrò Dennis per il braccio e lo costrinse a guardarla negli occhi. «Ora sappiamo tutto di Ranganathan, siamo pronti ad agire» dichiarò. «Eh?» «Riassumendo, dobbiamo valutare tre ipotesi. La prima è che non esista né una maledizione né un fantasma e dietro a questa storia ci sia semplicemente il vecchio caprone. Conosce bene le leggi di Ranganathan e le sfrutta per far credere a tutti che la biblioteca sia maledetta. Io, però, dubito che da solo riesca a impiastricciare tutto. La seconda ipotesi è che la maledizione sia vera e che si salvino dalla polvere solo le stanze frequentate dai lettori. La terza è che ci sia un fantasma dispettoso, ovviamente il fantasma di Stella Piano, che si diverte a trasformare la biblioteca in un luogo da brivido. La seconda ipotesi, ovviamente, non esclude la terza». Dennis incassò la testa tra le spalle. A sentirle così, suonavano tutte e tre come ipotesi assurde e fantasiose. «Ora dobbiamo scoprire dove sta la verità» sentenziò Pam. «E come potremmo fare?» chiese l’amico.

«È semplice» rispose la ragazzina «trascorreremo la notte in biblioteca!»

Capitolo IX

IN BIBLIOTECA, DI NOTTE All’albergo «da Virna» la sera del trenta giugno stava trascorrendo come al solito: i vecchietti sonnecchiavano sui divanetti, la padrona di casa veleggiava a destra e a sinistra con i piatti ricolmi di prelibatezze e Bruno cercava di tirare su il morale di Loretta. Dopo che aveva ripulito da capo la biblioteca, infatti, la polvere era tornata per l’ennesima volta. Quando l’aveva lasciata, solo poche ore prima, la biblioteca era abbastanza pulita ma lei ormai lo sapeva: non poteva cantare vittoria. Aveva cercato di parlare delle stranezze con Virna, con il Sindaco Araldi e con qualche abitante, ma la gente faceva orecchie da mercante o blaterava a proposito della maledizione di Ranganathan. I più inquieti erano Dennis e Pam. Forse dipendeva dalla fifa per ciò che si apprestavano a fare. Il piano era semplice: quando tutti fossero andati a dormire, sarebbero sgattaiolati fuori di nascosto e avrebbero trascorso la notte in biblioteca. Pertanto, quando fu ora di andare a letto, Pam e Dennis si separarono senza fare storie e si distesero completamente vestiti sui loro letti. Le ore trascorrevano a faticava, come sempre accade nei momenti cruciali, e quando finalmente il campanile scoccò la mezzanotte, i due amici scivolarono fuori dalle loro camere e scesero le scale sussultando a ogni scricchiolio. Più cercavano di non far rumore e più avevano l’impressione di farne. Gattonarono fino alla porta sul retro e si tuffarono nella notte. Scavalcarono il muro di cinta e approfittando del buio attraversarono la strada. Uscirono dal paese di corsa, ma quando si trovarono dinanzi alla via scura e sinistra che conduceva alla biblioteca, si fermarono a raccogliere le forze. Gli alberi avevano forme misteriose e il fischiare del vento tra le fronde ricordava una marcia funebre. La strada dell’albero caduto era più spaventosa che di giorno e di tanto in tanto Dennis si lasciava scappare un gridolino: «Chi ce l’ha fatto fare?» Si tenevano su un lato del sentiero, usando la torcia il meno possibile per non essere notati. Per fortuna era una notte di luna piena e la luce era sufficiente per non fare i falsi. Dopo mezz’ora, la biblioteca di Boscoamaro apparve davanti a loro come se fosse sbucata dal nulla. La mente di Dennis era tormentata da fantasmi, zombie putrefatti, lupi mannari, vampiri, streghe e da tutte le creature più raccapriccianti e golose di carne umana che l’oscurità avesse mai partorito.

I due amici non riuscivano più a parlare e tanto meno a camminare. Il terzo piano, da lassù, incombeva su di loro. «Vai prima tu» bisbigliò Pam. «No, prima tu» suggerì Dennis. «Uffa, così non va bene, abbiamo bisogno di un po’ di energia» piagnucolò Pam. Estrasse dalle tasche una bella manciata di caramelle e le offrì a Dennis. «Ora che si fa?» chiese Dennis a bocca piena. Pam ci pensò su, poi, a sorpresa, sputò sul palmo della mano destra e l’allungò verso l’amico. «Che schifo!» esclamò Dennis. «Dobbiamo fare un patto solenne» disse Pam «dobbiamo poterci fidare l’uno dell’altra: vinceremo o perderemo insieme». Dennis storse il volto disgustato, ma poi, dopo aver sputato a sua volta sul proprio palmo, strinse la mano dell’amica. «Patto fatto: il signor Melvil, il fantasma o la maledizione, non avranno la meglio su noi due». «Perfetto, adesso andiamo insieme in biblioteca» concluse Pam. A quel punto, l’unica cosa da fare era agire. Pam aveva scoperto un varco nella cancellata. Qualcuno, tempo prima, aveva segato alcune sbarre creando un’apertura, che poi era stata coperta dalla massa d’edera che scendeva come una tenda dal muro. Pam non si era chiesta chi avesse potuto fare una cosa del genere, ma a Dennis quel particolare era sembrato strano. In ogni caso, sfruttarono la faccenda, si tuffarono tra l’edera e sbucarono in giardino. La quercia s’innalzava dinanzi a loro e arrivava fino al tetto. Lambirono la facciata e raggiunsero la finestra della stanza di Pam, che avevano lasciato socchiusa nel pomeriggio. Melvil non si preoccupava mai di chiudere le ante, forse perché era certo che

nessuno si sarebbe sognato di entrare in biblioteca di notte. La prima parte del piano stava andando a gonfie vele. I due amici, dopo aver dato una breve occhiata all’edificio, saltarono dentro senza intoppi. Dennis si sentì subito meglio: in quella piccola stanzetta aveva l’impressione di trovarsi in una tana calda e sicura. Pam, però, non gli permise di prendere fiato e uscì nel salone principale. A Dennis venne un infarto, quando l’amica accese la torcia e un potente fascio di luce tagliò di netto l’oscurità. «Sei matta? Vuoi attirare l’attenzione di Melvil?» domandò tra i denti. «Shh!» gli fece segno lei con il dito sulle labbra. «Il caprone starà dormendo nelle sue stanze. Se siamo prudenti, non si accorgerà di nulla». I due ragazzi osservarono tutt’intorno e costatarono che la biblioteca era ancora pulita. «Dobbiamo appostarci per vedere da dove salta fuori la polvere. Poi, tra un po’, ci sposteremo al terzo piano» suggerì Pam. I due ragazzi si infilarono di nuovo nella stanzetta da cui erano usciti e rimasero in allerta. Ben presto il silenzio, la tensione e la stanchezza li costrinsero a schiacciare un pisolino. Dormirono per un po’, finché da lontano arrivò un tonfo: STONK! I due scattarono in piedi, come se avessero preso una scossa. «Hai sentito?» domandò Pam e Dennis annuì nervosamente. STONK! Un nuovo tonfo. «Cos’è?» chiese Dennis. «Sembra il rumore di un libro buttato a terra» ipotizzò Pam. Si fecero coraggio e sbirciarono fuori dalla porta: il salone principale era deserto. Restarono in ascolto e si accorsero, mentre i capelli si rizzavano loro in testa, di un altro rumore di sottofondo: un rumore di i.

Strinsero i denti e deglutirono a vuoto. «Credi che ci sia qualcuno in biblioteca?» chiese Pam, a mezza voce. «Forse è solo Melvil» ipotizzò Dennis, cosa che tuttavia non lo tranquillizzò affatto. «Penso che dovremmo... che dovremmo salire a vedere» propose Pam esitante. «E se provenisse dal terzo piano?» disse Dennis, con orrore. STONK! Di nuovo un tonfo. Qualcuno al piano di sopra stava davvero spostando dei libri? Dennis si ricordò che nel sistemare il terzo piano, avevano cambiato collocazione a molti volumi e forse a Melvil la cosa non era andata a genio. «Siamo qui per scoprire la verità. Dobbiamo salire!» ordinò Pam. Anche lei, in ogni caso, fece uno sforzo enorme per convincersi a uscire dal nascondiglio, visto che le gambe non le ubbidivano del tutto. Trattennero il fiato come in apnea e zampettarono fino alle scale. Si fermarono al secondo piano e tesero le orecchie: qualcuno o qualcosa si muoveva al terzo e sembrava irritato dalla nuova disposizione dei libri. Pam, involontariamente, afferrò la mano dell’amico. Lui ne fu stupito, ma quel contatto lo tranquillizzò. Mano nella mano continuarono a salire le scale. La porta del terzo piano era socchiusa, ma i due si ricordarono che era stata Loretta a lasciarla così, perciò questo particolare non li sorprese. STONK! Un ennesimo tonfo. Saltarono all’indietro inspirando quanta più aria possibile per impedirsi di urlare. Rimasero paralizzati per una manciata di minuti, poi Dennis, che voleva mostrarsi coraggioso almeno una volta nella vita, allungò la mano verso la maniglia. Senza esitare ulteriormente diede uno spintone alla porta, che si aprì di colpo. Le bocche dei due ragazzi si aprirono formando una perfetta «o»: dinanzi a loro,

di fronte alla finestra rotta da cui entravano i rami della quercia, con un abito tutto bianco, c’era il fantasma! «Il f...fan...fantasma?» balbettò Dennis, mentre Pam, seguendo un riflesso incondizionato, accese la torcia e la puntò contro la figura. Si trattava di una donna, esile e delicata, che si girò verso i ragazzi incrociando i loro sguardi. Il presunto fantasma aveva immensi occhi di cervo. «Stella?» sussurrò Pam. A quel punto i due amici gridarono con quanto fiato avevano nei polmoni e alle loro grida si sommarono quelle del fantasma, che si mise a urlare con voce acuta di usignolo. Questi lanciò in aria uno dei libri che stringeva in mano e si precipitò verso la finestra rotta, mentre Dennis e Pam, sconvolti, voltarono i tacchi e scesero a rotta di collo le scale. Dalle loro bocche, intanto, continuavano a sgorgare urla isteriche che rimbalzavano da una parete all’altra dell’edificio. «Corri! Corri!» si incitavano l’un l’altra. «Il fantasma, il fantasma! Stella, Stella Piano!» gridavano. Arrivarono al primo piano in un baleno, ma gettando lo sguardo fuori dalle finestre, videro il fantasma scendere lungo il tronco della quercia e saltare in giardino. Ancora una volta i tre si fissarono, prorompendo in grida incontrollabili. Senza pensarci troppo, Dennis e Pam corsero via, ripercorrendo il tragitto a ritroso e ritrovandosi nuovamente al terzo piano. Il fantasma, fortunatamente, se n’era andato e loro restarono lì, esausti. Aspettarono in silenzio per alcuni minuti, vigili come gatti, poi, vedendo che non compariva nessuno, né il fantasma né il signor Melvil, si sentirono meglio. «Era lei, vero?» chiese Dennis, incredulo. «Il fan... fantasma…» balbettò Pam. «Stella Piano!» concluse Dennis. I due amici si avvicinarono e si sedettero schiena contro schiena, in modo che uno potesse tenere d’occhio la porta e l’altra la finestra. Che fine aveva fatto il fantasma? Dov’era il bibliotecario? Con tutto quel baccano, Melvil doveva

essersi per forza svegliato. Perché non era ancora comparso? Pam, dopo un po’, frugò nello zainetto e ne estrasse una stringa di liquirizia che spezzò a metà. Mentre masticava il delizioso filo nero, la ragazzina osservò i libri e delle piccole cose bianche che il fantasma aveva lasciato cadere. «Oh, cavoli! Guarda, è il fantasma a lasciarle». Dennis studiò il pavimento: quelle cosine bianche erano una miriade di piccole stelle alpine. L’attenzione di Dennis, tuttavia, fu attratta più che altro da uno dei libri che il fantasma aveva lasciato cadere e da cui sporgeva un rettangolo di cartoncino blu. Il ragazzo si chinò sul volume e lo raccolse. Era un manuale su come creare ghirlande di fiori. Se lo rigirò tra le mani e sfilò il cartoncino. Strinse gli occhi per aguzzare la vista nella semioscurità e lo esaminò. «ami la torcia» disse a un certo punto all’amica, parlando lentamente. «Cosa?» domandò lei, cercando di non alzare troppo la voce. «La torcia!» insistette Dennis, allungando la mano. «E che te ne fai? Meglio non accedere luci, tanto la strada per fuggire la conosciamo». «Non voglio fuggire, a qua» ripeté il ragazzo, prendendo l’iniziativa e afferrando la pila elettrica che sporgeva da una delle tasche di Pam. Accese la luce e la puntò sulla misteriosa tesserina blu. «Quanto dura il prestito di un libro?» chiese a bruciapelo. «Eh? Sei impazzito?» sbottò Pam, spalancando gli occhi. «Quanto si può tenere un libro della biblioteca?» ripeté l’amico. «Ma sei scemo? Ti sembra questo il momento di fare domande del cavolo?» «Quanto?» «Un mese».

Dennis, a quel punto sorrise, si alzò lentamente e sventolò la tesserina sotto il naso di Pam. «Guarda un po’ qua». Pam fece un profondo respiro e afferrò il cartoncino: era una vecchia tessera della biblioteca, con il timbro e lo stemma di Boscoamaro. Ora non si usava più, ma ce n’erano scatoloni pieni al primo piano. Pam girò il cartoncino e vi lesse un nome scritto a caratteri minuscoli: Stella Piano de Montis. Cacciò un grido e lasciò cadere la tessera come se scottasse. Dennis sbuffò, la raccolse, l’aprì e gliela riò. «Siamo sicuri ormai: il fantasma è davvero Stella» esclamò Pam, che stava sudando freddo. Dennis non riuscì a trattenere a sua volta un brivido, ma facendo spallucce disse: «Che fosse Stella l’avevamo capito, però ora mi sto domandando una cosa». «Cosa?» Dennis rifletté un secondo, poi continuò: «Siamo certi che si trattasse di un fantasma?» «Accidenti, cos’altro poteva essere?» Dennis ripensò alla scena di qualche istante prima: cosa avevano realmente visto? Una ragazza vestita di bianco che stava afferrando dei libri, niente di più. Non gli era sembrata trasparente, né che avesse l’aspetto putrefatto di uno zombie, e nemmeno che portasse catene o altri oggetti tipici dei fantasmi. Deglutì e picchiettò con il dito sulla tessera aperta per invitare Pam a osservarla. All’interno c’era uno spazio diviso in tre colonne: titolo del libro, data del prestito e data della restituzione. Qualcuno, nella solita bella calligrafia minuta, aveva compilato gran parte delle caselle. La cosa singolare era che gli ultimi tre libri avevano solo la data del prestito e, particolare ancora più strabiliante, si trattava esattamente di quel primo di luglio. Dennis, insospettito, afferrò il volume caduto a terra e costatò che era uno dei tre ultimi libri segnati. «Ehi, ma...» iniziò Pam, mentre la sua mente stava formulando un’ipotesi

alquanto bizzarra. «Non dirmi che il fantasma viene qua ogni mese a prendere in prestito i libri e poi li segna sulla tessera?» Dennis stava pensando la stessa cosa, ma sentirla pronunciare a voce alta lo lasciò perplesso. Si grattò la fronte e disse: «Ciò spiegherebbe perché, almeno stando a quanto si racconta, il nostro fantasma compare regolarmente una volta al mese». I due amici si fissarono intensamente e, contro ogni logica, scoppiarono a ridere. Si portarono le mani alla bocca per soffocare ogni rumore, ma le risate non si fermavano, quasi fossero anticorpi contro la paura. «Siamo a un o dalla verità» dichiarò Pam. Controllarono per sicurezza di essere soli e si domandarono ancora dove fosse mai finito Melvil. Possibile che tutto quel baccano non l’avesse svegliato? Si sedettero a gambe incrociate e mentre la notte si incamminava verso la mattina, i due giovani investigatori fecero un riassunto dei fatti. Riportarono alla mente la figura del fantasma: avevano visto una donna e senza ombra di dubbio, stando anche alla tessera della biblioteca, si trattava di Stella Piano. Dennis, che ricordava alla perfezione le sue fotografie esposte al Centro Ricreativo, era certo che fosse lei. A quel punto, però, si bloccò e rifletté meglio sui propri dubbi. La ragazza apparsa era un’adulta, una giovane alta e mora, non una bambina. Si trattava senz’altro di Stella, ma di una Stella cresciuta. Lo disse a Pam e anche lei confermò la sua impressione: avevano visto Stella adulta! «Ma com’è possibile?» si chiese Pam «i fantasmi non possono invecchiare». «Certo che no, i fantasmi avranno per sempre le sembianze che avevano nel momento in cui sono morti, cioè, almeno credo» confermò Dennis. Era quindi strano che il fantasma di una ragazzina non ancora adolescente, avesse le fattezze di una bella ragazza più che ventenne. «Secondo me era Stella in carne e ossa» concluse Dennis.

«Pensi, cioè, che sia viva?» domandò Pam. «In fondo il corpo non è mai stato ritrovato». Pam rifletté a lungo. Era abituata all’idea che Stella fosse morta e aveva difficoltà a credere il contrario. «Se è viva, perché non è mai tornata a casa?» chiese. «Forse avrà avuto i suoi motivi» disse Dennis, che non aveva una vera risposta alla domanda. Pam si sentì ribollire di rabbia e sbraitò: «Non è giusto! Per anni la gente di Boscoamaro si è fatta un’idea sbagliata, arrivando a odiare la biblioteca!» «A volte le persone non pensano alle conseguenze di ciò che fanno, la mia mamma dice sempre così» sospirò Dennis. «No, non è proprio giusto, anzi è una vera carognata! Bisognerebbe dire a tutti la verità» ribatté Pam, battagliera. «Non siamo sicuri di nulla e poi chi ci crederebbe? Dovrebbero vedere Stella con i loro occhi». «Dobbiamo cercare Stella e parlarle» suggerì la ragazzina, con lo sguardo di un cacciatore che ha appena perso la sua preda. «L’hanno cercata per anni senza mai trovarla. Secondo me non ne vuole sapere di farsi trovare, hai sentito cosa dicono in paese?» ribatté Dennis «da piccola ha letto di tutto su come sopravvivere nel bosco e cavarsela da sola. È evidente che è diventata così brava da non lasciare tracce». «Ma è necessario smascherarla!» Il silenzio calò sui due ragazzi e sulle loro menti eccitate da tutte quelle scoperte. «Forse potremmo fotografarla» suggerì Dennis. «Come, secondo te? Non hai visto com’è veloce?» ribatté Pam. «Non mi stupisce che il vecchio caprone non sia mai riuscito ad acciuffarla in tutti questi

anni». «Bisognerebbe portare tutti qui di nascosto» propose allora Dennis «così le persone la vedrebbero con i loro occhi». «Già, ma chi sarebbe disposto a venire? A quanto pare nemmeno quello scemo del conte si è mai dato da fare per scoprire la verità sul fantasma». «Del conte non possiamo fidarci. Bisognerebbe far venire quassù qualcuno che conosce Stella molto bene, ad esempio Lorenzo» azzardò Dennis. «Potrebbe essere un’idea! Però ci serve uno stratagemma» suggerì Pam, incrociando le braccia sul petto. Di nuovo si misero a riflettere, facendo vagare lo sguardo tra i libri, in cerca di ispirazione. Solo allora si resero conto che quanto era successo li aveva distolti dal motivo principale per cui avevano trascorso la notte in biblioteca: la ricomparsa della polvere. «In ogni caso» riprese Dennis «abbiamo accertato che l’ipotesi del fantasma, anche se forse non è un fantasma, è vera». Pam si alzò ed esaminò gli scaffali: niente polvere. «La polvere, invece, non è ancora tornata sugli scaffali» disse ad alta voce «perciò Stella non c’entra nulla! Il fantasma e la polvere sono due problemi diversi». Stavano ancora rimuginando quando li sorpresero i primi raggi di sole. Non si erano accorti del trascorrere veloce del tempo e il sopraggiungere della luce li colse del tutto impreparati. La prospettiva di una sgridata storica, che li avrebbe confinati a vita in punizione, li convinse a ritornare all’albergo. Si diedero un pizzicotto per tenersi svegli e si imposero di muoversi. La luce era strana, del colore dell’oro, e si faceva largo tra gli angoli e i ripiani degli scaffali con lentezza. Dai piani sottostanti giunse un sonoro borbottio: Pam e Dennis pensarono subito a Melvil. Lanciarono un’occhiata alla finestra, ma scartarono subito l’idea di usare la quercia per arrivare in giardino, come aveva fatto Stella. Scivolarono pertanto silenziosi lungo le scale e si appostarono all’imbocco del primo piano.

Nella biblioteca regnava un’atmosfera da sogno. I ragazzi si fecero ombra sugli occhi con le mani e solo allora si accorsero che nella luce danzavano milioni e milioni di granelli di polvere. Osservarono le stanze in fondo, dove pernottava Melvil, ma le porte erano chiuse. Tuttavia i borbottii aumentavano sempre di più. «È stata qui...». I due amici tesero le orecchie e cercarono di trattenere il fiato. «È stata qui, è stata qui! Tutte quelle stelle alpine in giardino, è stata qui! Mi fa diventare matto» borbottava una voce stranissima, che alternava suoni acuti a suoni gravi. All’inizio non riuscirono a localizzare la fonte del suono, poi si resero conto che proveniva dall’ingresso. «Chi diavolo sarà?» domandò Pam. «Forse Melvil?» ipotizzò Dennis. «Non sembra la sua voce» rispose l’amica. Dennis, nel frattempo, aveva notato che più la luce si faceva intensa, più aumentava la polvere. Forse stavano per scoprire il segreto della biblioteca? La porta d’ingresso si spalancò e vi si disegnò l’ombra di un uomo. La luce era incredibilmente forte e costui era avvolto da una strana foschia. Si muoveva a scatti, come un manichino e la nebbiolina si spostava con lui. In mano aveva una valigia. «Stelle alpine dappertutto, stelle alpine dappertutto» ringhiava lo sconosciuto. «È Melvil?» chiese Dennis stropicciandosi gli occhi. «Guarda» lo invitò Pam, allungando il braccio e indicando il nuovo arrivato. La foschia era in realtà una nuvola di polvere. A ogni o dell’uomo misterioso la polvere cresceva, per poi calare come un sudario sugli scaffali,

appiccicandosi alle copertine dei libri. La luce era intensa e tutto avveniva in modo confuso, ma era evidente che fosse lo sconosciuto a trascinare la polvere con sé. arono alcuni minuti e finalmente, quando il chiarore diminuì, Pam e Dennis riconobbero il signor Melvil. Il bibliotecario era più spaventoso che mai, con gli occhietti porcini iniettati di sangue e i capelli grondanti forfora. Avanzava gobbo, digrignando i denti e dopo il suo aggio, la biblioteca era polverosa e lercia. «È maledetto davvero» stabilì Dennis. Pam annuì con il capo, ma non volendo ritrovarsi a quattrocchi con il bibliotecario maledetto, suggerì al compagno di scheggiare verso il portone d’ingresso, che era rimasto aperto. I due amici cercarono di non pensare a nulla, se non a muovere le gambe il più velocemente possibile e schizzarono come razzi fuori dal nascondiglio. Attraversarono il giardino, superarono il cancello e a grandi falcate ripercorsero la strada dell’albero caduto. Corsero finché non si ritrovarono nella hall dell’albergo di Virna. Senza dire una parola e non badando più di tanto alla prudenza, si separarono e si chio nelle rispettive stanze. Avrebbero discusso più tardi dell’incredibile notte appena vissuta.

Capitolo X

IL PIFFERAIO MAGICO La mattina stessa, Dennis e Pam dovettero svegliarsi comunque di buonora per non destare sospetti. Tuttavia, le profonde occhiaie insospettirono Virna e Loretta. Le due donne non immaginavano certo che i ragazzi avessero ato l’intera nottata in biblioteca, ma avevano annusato nell’aria odore di malefatte. I due amici cercarono di tenersi il più possibile in disparte, decidendo addirittura di trascorrere la giornata al Centro Ricreativo. Dopotutto era un luogo tranquillo, dove avrebbero potuto confabulare con calma. Tollerarono di partecipare alle attività di gruppo, dove ebbero l’occasione di sonnecchiare e riacquistare un po’ di energie. In questo lasso di tempo Dennis pensò che era un peccato non stringere vere amicizie con i ragazzi del Centro. Durante l’ora di eggiata all’aria aperta, Dennis e Pam si isolarono per discutere dei misteri di cui erano venuti a conoscenza. «Avevamo tre ipotesi da verificare» esordì Pam «e abbiamo scoperto che sono tutte e tre più o meno vere: ogni primo del mese compare un fantasma, anche se finto; sulla biblioteca è caduta la maledizione di Ranganathan ed è proprio il signor Melvil, che è maledetto, a spargere la polvere sui libri». Dennis emise un lungo «Uhm» poi disse: «Insomma, dobbiamo fare due cose: la prima è smascherare Stella, la seconda è spezzare la maledizione di Ranganathan. Il problema è come riuscirci». «Ricordi cosa diceva la terza legge?» chiese Pam misteriosa. «A ogni libro il suo lettore. Credo che l’unico modo per spezzare il maleficio sia convincere le persone ad andare in biblioteca». «Fosse così semplice!» «Pensaci, sveglione: potremmo prendere due piccioni con una fava» affermò Pam, picchiettando l’indice della mano destra sulla tempia. «Se la notte in cui compare Stella riuscissimo a portare gli abitanti di Boscoamaro in biblioteca, non solo smaschereremmo il finto fantasma, ma finalmente i libri incontrerebbero i lettori!» continuò la ragazzina. «Dovremmo convincere le persone ad andarci e spingerle a prendere in prestito

dei libri. Senza contare che Stella potrebbe vedere la folla e starsene alla larga» ribatté Dennis, un po’ scoraggiato. «È un rischio che dobbiamo correre. Forse basta organizzarsi per bene e fare in modo che le persone arrivino in biblioteca dopo che Stella è apparsa». Con questi problemi da risolvere, i due si separarono per i corsi pomeridiani. Pam fece il corso di musica con il flauto e Dennis si appisolò al cineforum. Quando giunse la sera, prima di rincasare per cena, Pam si precipitò raggiante da Dennis. «Ti è venuta qualche idea?» domandò questi con po’ di invidia. Pam annuì e soffiò forte nel flauto, costringendo Dennis a tapparsi le orecchie. «Hai mai sentito la fiaba del pifferaio magico di Hamelin?» domandò lei, agitando il flauto come una bacchetta magica. «Quella del pifferaio che liberò la città dai topi?» chiese Dennis. «Sì, ma siccome poi non lo pagarono, lui si vendicò: si mise a suonare il flauto, ipnotizzò tutti i bambini e li portò via per sempre. Gli adulti li cercarono ovunque, ma non li ritrovarono più». «Non mi piace questa fiaba, ma che c’entra con noi?» chiese il ragazzo. «Gli adulti sono dei pigroni, non fanno mai nulla di loro iniziativa. Tuttavia, si danno sempre un gran da fare quando ci sono di mezzo i bambini. Credo che dovremo sfruttare questa loro debolezza, come ha fatto il pifferaio» sogghignò Pam. A quel punto, spiegò per filo e per segno il suo piano a Dennis, il quale più ascoltava e più si convinceva che l’amica fosse pazza, ma anche geniale. «È un bel piano» confessò. «Ovvio» si lodò Pam. «Però ora ci serve un pifferaio. Non possiamo farlo noi: non abbiamo tutte le informazioni che ci servono».

Le labbra di Pam si allargarono in un sorriso smagliante, mettendo in mostra i denti da coniglio. Prese lo zainetto ed estrasse un libro che Dennis conosceva molto bene. «Avremo bisogno di un alleato potente e credo di conoscere la persona giusta». L’amico capì subito a chi si riferiva e sorrise. «Forse avremo successo» disse Pam. «Certo che l’avremo» annuì Dennis. I due ragazzi scoppiarono a ridere e si diedero il cinque con entusiasmo. Poi imboccarono la strada di casa, correndo come pazzi. Arrivarono all’albergo, ma andarono oltre, verso l’inizio del paese, dove c’era la casa di riposo. Avevano fretta: dovevano ingaggiare il loro pifferaio.

Lorenzo era inquieto e il suo viso smunto era più magro e affilato che mai. Si sfregava le mani sudaticce e l’ansia lo costringeva a camminare avanti e indietro lungo il corridoio. Aveva appena trasgredito a una delle regole più importanti della casa di riposo «Fai piano»: controllare sempre la posta dei pazienti. Perché mai l’aveva fatto? Cosa gli era saltato in mente? Voleva che lo licenziassero? Non aveva pensato che quel lavoro era tutto ciò che aveva? Si era lasciato fregare come un pivellino. Purtroppo per lui quei due bambini avevano giocato d’astuzia, soprattutto la ragazzina con i capelli rossi con la faccia da folletto, la figlia di Virna. Erano arrivati alla casa di cura chiedendo di lui e poiché nessuna regola impediva ai visitatori esterni di parlare con il personale fuori dall’orario di visita, nessuno si era preoccupato di fare domande. L’infermiere era stato così avvisato e si era precipitato fuori dalla clinica, dove i ragazzi lo aspettavano. Era rimasto sorpreso nel vedere Dennis della Brilla&Splendi e il suo acuto sesto senso lo aveva messo in guardia. La figlia di Virna aveva preso la parola, chiedendogli di consegnare una lettera a una paziente della clinica. Lorenzo aveva afferrato il foglio e aveva fatto la mossa di aprirlo, ma i due ragazzi l’avevano fermato inorriditi. «Dobbiamo controllare la posta dei nostri pazienti» aveva spiegato l’infermiere. Non si ingannava: c’era sotto qualcosa di strano. I ragazzini si erano guardati l’un l’altra e Lorenzo aveva scorto nei loro gesti i segni di una tenera amicizia.

Una di quelle amicizie che permettono a due persone di capirsi senza bisogno di parlare. «Certo, è giusto» aveva detto il folletto «ma noi ti stiamo chiedendo di consegnare la lettera non a una tua paziente, ma a una tua amica». Ah, il tasto giusto! Lorenzo era fin troppo sensibile alla questione amicizia. Da un po’ non ne stringeva una, ma il ato gli aveva insegnato che certi legami sono sacri. Era rimasto fermo a scrutare il foglio piegato, corrucciando le sopracciglia. Che fare? «Perché lei non è solo il suo infermiere, è soprattutto un suo amico, dico bene?» aveva affermato, con grande serietà, il ragazzo della Brilla&Splendi. «Non dipende dalla mia volontà» aveva risposto Lorenzo, che si rispecchiava parecchio in Dennis. «Nessuno mancherebbe di rispetto a un amico, sbirciandogli la posta» avevano aggiunto in coro i ragazzini. «Non è questione di rispetto, ma di lavoro» aveva risposto l’infermiere. «L’amicizia è più importante del lavoro» aveva ribattuto Pam «noi abbiamo fiducia in te, sappiamo che non ci deluderai». Lorenzo non aveva dato loro una risposta chiara, aveva solo detto che ci avrebbe pensato. Si era quindi infilata la lettera in tasca e aveva invitato i ragazzi ad andarsene. Questi si erano allontanati lanciandogli continue occhiate da dietro le spalle. Lorenzo non aveva consegnato subito la lettera, perché apparteneva alla schiera di persone introverse e molto riflessive che devono analizzare i fatti da ogni punto di vista. Rischiava grosso e a volte, anche agendo con le migliori intenzioni, si può portare qualcuno alla rovina. Alla fine, però, aveva consegnato la lettera. Poco dopo, una risata cristallina l’aveva fatto sussultare, così si era fatto coraggio entrando nella stanza.

«Tutto bene, signora Lilly? Ha finito di leggere la lettera?» domandò, ma restò attonito. La signora Lilly sedeva allo scrittoio, con la lettera abbandonata sulle ginocchia. Si stringeva il mento con una mano, mentre con l’altra accarezzava il foglio delicatamente. Sembrava ringiovanita di colpo: il viso incorniciato dai lunghi capelli d’argento era luminoso e bello, aveva riacquistato colore e perfino le rughe si erano attenuate. Le sue labbra non riuscivano a trattenere il sorriso e i suoi profondi occhi erano lucidi di lacrime. Lorenzo sbatté le palpebre. «Che succede?» domandò infine meravigliato. Lilly fece spallucce e rise, mentre con la voce rotta dalla commozione diceva: «L’avresti mai detto, Lorenzo? Sono stata ingaggiata come pifferaio!»

«Come?» domandò lui spiazzato. Tuttavia non badò più di tanto alla stranezza dell’affermazione, perché era stregato dall’immagine che aveva dinanzi agli occhi: la bibliotecaria della sua infanzia. La vecchietta cinica e stanca della casa di riposo era tornata la donna intelligente, vitale, romantica e stramba dei bei vecchi tempi. La signora Lilly si portò una mano al cuore: «Non mi sentivo così bene da chissà quanti anni». Era una notizia sorprendente! Non che Lilly si fosse mai lamentata, ma era chiaro a tutti che si fosse spenta. Complice anche il fatto che suo figlio si vergognava di lei. L’infermiere, a quel punto, non ricordava nemmeno più perché avesse esitato a consegnarle la lettera. «Vorrei chiederti un favore, mio caro Lorenzo, ma sei libero di rifiutare» sussurrò Lilly. Subito Lorenzo pensò a tutte le occasioni in cui l’ex bibliotecaria l’aveva aiutato. Si ricordò della sua infanzia, quando andava ogni giorno in biblioteca, quando poteva stare con Stella.

«Mi dica cosa vuole che faccia e lo farò» sentenziò e si accorse di sorridere come un bambino. «Sarai l’aiutante del pifferaio di Boscoamaro» rise Lilly.

Capitolo XI

UN CERTO RANGANATHAN Il mese di luglio a Boscoamaro trascorse normalmente, ma solo in apparenza. In realtà accaddero cose fuori del comune. Fin dai primi giorni, infatti, i bambini trovarono nei loro zainetti dei bigliettini e sui loro cellulari strani SMS, tutti firmati da un certo Ranganathan. Qualcuno di loro sapeva di Ranganathan dai propri nonni o dai genitori, mentre altri non l’avevano mai sentito nominare. Per prima cosa i ragazzi pensarono a uno scherzo. Ciò che Ranganathan scriveva, tuttavia, era davvero straordinario e sempre appropriato. Per esempio, scriveva di cucina a chi sognava di fare il cuoco, parlava di viaggi sulla luna a chi aveva deciso di diventare astronauta, oppure raccontava di amori struggenti, di orgoglio, ragione e sentimento, a chi si era fidanzato per la prima volta. Inoltre, Ranganathan spediva loro anche pezzi di racconti e citava sempre il libro da cui li aveva presi. In principio, «Ranganathan» lasciò i ragazzi inquieti e perplessi. Chi era? Cosa voleva? Come faceva a recapitare i messaggi? Molti ne furono addirittura impauriti e furono tentati di parlare di ciò che stava succedendo con i loro genitori. Ma, temendo di fare la figura degli stupidi, si trattennero. In fondo era dai tempi di Stella Piano che non succedeva niente di pericoloso a Boscoamaro! Più luglio si avvicinava ad agosto, più i biglietti aumentavano, più nasceva in loro un altro sentimento: la curiosità. Dopo aver ricevuto un messaggio, restavano sempre con la stessa domanda sulle labbra: «E poi?» «Se solo potessi saperne di più» pensava qualcuno. C’era chi aveva provato a scrivere al numero da cui partivano i messaggi, ricevendo risposte evasive. Ranganathan si era insinuato nelle loro giornate in punta di piedi e ne era diventato ben presto il centro. A quel punto, parlare con gli adulti era impensabile. Se avessero mostrato i biglietti ai loro genitori, quelli di sicuro avrebbero fatto in modo di interrompere la corrispondenza. Chi, poi, avrebbe soddisfatto le loro curiosità? Chi avrebbe spedito loro tutte quelle frasi interessanti? Il bisogno di confidarsi li spinse a parlarsi l’un con l’altro e in men che non si dica, Ranganathan finì sulla bocca di tutti. Chi poteva essere? Come faceva a sapere tutte quelle cose? Perché le condivideva con loro? Solo una cosa era sicura: andare al Centro Ricreativo era meno noioso, perché c’era sempre

qualcuno che aveva una storia da raccontare. «Ah ah!» aveva riso Geremia «davvero quel prete si è messo a sfidare a duello i mulini a vento?» «Non era un prete, scemo, era un nobile pazzo!» gli aveva risposto un bambino di nome Federico. «E poi il capitano ha affrontato la balena. Fatti sotto, Moby Dick!» aveva esclamato Marco, sollevando in aria la forchetta e imitando un arpione. Pam e Dennis osservavano il compiersi del loro piano in silenzio. Anche loro dicevano di ricevere biglietti da Ranganathan e ne discutevano con i loro amici. Invitavano tutti alla prudenza: gli animatori non dovevano accorgersi di ciò che stava accadendo o sarebbero stati guai. In fondo, si facevano in quattro per recapitare i messaggi di nascosto e non volevano che il piano andasse a monte. In realtà, qualche animatore aveva intercettato alcuni biglietti, ma non scorgendovi nulla di sensato o pericoloso e pensando che si trattasse solo dei deliri di qualche adolescente svitato, li aveva semplicemente cestinati. I più giovani degli animatori, inoltre, ricevevano a loro volta un buon numero di messaggi. Cercavano di non badarci, ma l’incantesimo di Ranganathan stava avendo la meglio anche su di loro. Lorenzo si era rivelato un ottimo alleato per Dennis e Pam: fungeva da tramite con la signora Lilly, che si occupava di scrivere gli ormai celebri messaggi. La missione fu così divertente che arrivò il venti del mese in un batter d’occhio. Era giunto il momento di are alla seconda fase del piano: dopo aver dato tanto buon cibo ai suoi topolini, il pifferaio magico ora li avrebbe lasciati a digiuno. E così, dopo il venti, nessun ragazzo ricevette un messaggio. Non una frase, non un saluto, nemmeno il più misero bigliettino: tutti furono presi dallo sconforto. Si sentivano traditi, abbandonati, frustrati! Cos’era accaduto al re naufrago che Geremia stava seguendo tra le acque del Mediterraneo? Era riuscito a tornare a casa da sua moglie? E che fine aveva fatto la bambina caduta nella tana del coniglio? E, sempre parlando di conigli, quei coraggiosi coniglietti sfuggiti alla profezia, avevano raggiunto la loro collina promessa? L’isola del tesoro esisteva davvero o era solo l’invenzione di un gruppo di pirati con troppo rhum in corpo?

Tutte queste domande e molte altre ancora tormentavano i ragazzi di Boscoamaro. Erano degli assetati, degli innamorati respinti che non facevano altro che sospirare e torturarsi. Gli adulti, ignari dell’impennata di gioia che aveva animato i loro figli, non si accorsero nemmeno della tristezza che ne seguì. Finalmente, Dennis e Pam arono alla terza fase del piano. «Ranganathan mi ha scritto!» Gli occhi nella mensa del Centro Ricreativo si volsero in massa verso il dispettoso folletto dai capelli rossi con la stringa di liquirizia penzoloni tra le labbra. Era il trenta di luglio. «Figurati» sbottò Geremia, rigirando con il cucchiaio la minestrina insipida che aveva nel piatto. «Sei la solita bugiarda, Pam» aggiunse Federico. «No, è vero, mi ha scritto! Ha scritto anche a Dennis» esclamò lei, incrociando le braccia sul petto. Lo stormo di occhi si volse allora verso il ragazzo timido e impacciato della Brilla&Splendi. Lui, intanto, fingeva noncuranza, con il viso chino sulla fetta di torta che stava divorando. «Come?» domandò, quasi cascasse dalle nuvole. «Pam dice che Ranganathan ti ha scritto» ribadì Geremia. «Pam dice cavolate» sbottò Dennis, facendo spallucce. «Ma è vero!» sentenziò Pam, puntando l’indice contro Dennis. «Ho visto i biglietti in camera tua!» Dennis sollevò il capo e sbraitò: «Come ti sei permessa di guardare in camera mia, brutta strega?»

«La stanza è più mia che tua, visto che alloggi nell’albergo della mia famiglia, scroccone!» «Allora è vero?» chiese Marco. «Vero cosa?» biascicò Dennis. Si stava divertendo un sacco a fare il finto tonto. «Uffa! E’ vero che Ranganathan ti ha scritto?» chiese Geremia, sistemandosi gli occhiali. «Ah, quello… beh… sì!» Gli occhi di Geremia si illuminarono e un brusio si sollevò dal resto dei presenti. I ragazzi, tenendo d’occhio gli animatori, si strinsero in cerchio e tesero le orecchie. «Cosa ti ha detto? Ti ha parlato del delitto? Quello del cane, il mastino, era un vero fantasma?» chiese concitato Federico. «Parlava del ciclope?» cambiò argomento Geremia. «Io voglio sapere se l’orfano ha avuto la doppia razione di cibo» si intromise una ragazzina di nome Viola. «Io invece voglio sapere del ritratto» sbuffò qualcun altro. «Il sottomarino! Il Nautilus!» «Il centro della Terra!» «La pozione!» «Il mostro! Lo scienziato!» I ragazzi erano un fiume in piena. «No, no, non mi ha scritto niente di simile» sospirò Dennis, facendo il misterioso. «Allora, cosa? Cosa ti ha scritto?» lo interrogò una voce collettiva.

Dennis prese fiato, in modo forse un po’ troppo teatrale, ma provò un brivido di piacere quando si accorse che tutti lo fissavano. Si frugò nella tasca dei jeans e ne estrasse un biglietto appallottolato. Lo scartò lentamente, godendosi le espressioni impazienti e innervosite dei suoi amici, poi... «Ranganathan ci invita ad andare in biblioteca» esclamò secca Pam, anticipandolo e rovinandogli la scena. «Accidenti!» sbottò Dennis, ma in fondo gli veniva da ridere. Un mormorio confuso si diffuse nella sala, tanto che gli animatori dovettero richiamarli all’ordine. «Sei davvero bugiarda» disse Geremia, ma si bloccò nel costatare l’aria seria di Dennis. «È proprio come dice lei» confermò quest’ultimo «Ranganathan ci incontrerà domani notte, in biblioteca». «Ranganathan sarà nella nostra biblioteca? Domani notte?» chiese Viola. «Ma è un luogo orribile!» «Perché la biblioteca? I miei genitori dicono di non andarci per nessuna ragione al mondo». «Là c’è il caprone, Melvil…». «Perché di notte e non di giorno?» «Forse Ranganathan è un pazzo!» «Pazzo sarai tu, non offendere Ranganathan!» «Dai, è strano...». «Ranganathan è strano, ma non pazzo!» Mentre la confusione cresceva, Pam scattò in piedi e giocherellando con il flauto di legno, disse: «Ecco perché Ranganathan ha scritto solo a me e a Dennis».

«Perché, scusa?» sbuffò Marco risentito. La ragazzina ridacchiò e disegnando nell’aria ampi cerchi, miagolò petulante: «Perché noi già ci andiamo in biblioteca e non abbiamo paura, come ce l’avete voi, fifoni!» «Chi hai chiamato fifone?» si offese Marco. «Nessuno di noi ha paura!» sbottò Viola. «Ah no?» ridacchiò Pam «secondo me invece ce l’avete: ve la fate tutti nei pantaloni». «Non è vero!» sentenziò Geremia. «Beh» iniziò Pam «in questo caso sfido chiunque di voi a venire in biblioteca con me, per dimostrare che sbaglio». Detto ciò, socchiuse gli occhi come un gatto sornione. Nessuno vuole sentirsi dare del fifone e Pam stava giocando questa carta molto bene. Di sicuro qualcuno dei presenti, pur di dimostrare di avere coraggio, non sarebbe mancato all’appuntamento con Ranganathan. «Non abbiamo paura» borbottò Geremia imbronciato. «Si tratta di buon senso, quel posto mette i brividi». «Il bibliotecario mette i brividi!» aggiunse qualcun altro. Dennis fece un colpetto di tosse, poi disse: «Credo che Ranganathan sostituirà il signor Melvil». «Come?» si sollevò un coro di voci. «Penso che Ranganathan sia un bibliotecario e che sostituirà Melvil» spiegò Dennis. «Come sai queste cose?» gli chiesero i suoi amici. «Vedete, il mese scorso, mia madre...» iniziò Dennis, fingendosi imbarazzato «mia madre ha scritto del signor Melvil all’Associazione Biblioteche».

«L’Associazione Biblioteche?» ripeté Viola. «Sì» annuì Dennis improvvisando «l’Associazione Biblioteche è il capo supremo del mondo bibliotecario. Decide tutto e ha anche il potere di giudicare i bibliotecari». «Come un tribunale» precisò una ragazzina smorfiosa che si chiamava Vanessa. «Cos’hanno risposto a tua madre?» chiese qualcun altro. «Hanno risposto che il vostro bibliotecario è un criminale e hanno deciso di cacciarlo via» rispose Dennis. «Era ora!» «Nella risposta a mia madre, c’era un elenco di nomi di possibili nuovi candidati, tra cui Ranganathan. Si tratta di un discendente del famoso Ranganathan di cui parlano i vostri genitori». «Sul serio?» «Ranganathan sarà il nostro nuovo bibliotecario» si intromise Pam solenne «ecco perché ci ha mandato tutti quei biglietti: voleva farsi conoscere prima di piombare qui all’improvviso». «Un bibliotecario?» riprese Geremia «spiegatemi come ha fatto a mandarci i biglietti!» Fino ad allora, infatti, Geremia aveva creduto che Ranganathan fosse una specie di sciamano o un mago. «Credo sia in combutta con il conte Piano» spiegò Pam, portandosi un dito davanti alle labbra. Mentre inventava quell’impossibile collaborazione, avvertì un senso di nausea, ma doveva sfruttare la fama del conte per tranquillizzare i suoi amici. «Balle!» ribatté Federico, un po’ rude. «Ci puoi credere o no, ma io ho il sospetto che solo il conte possa essere così intelligente da riuscire a recapitare quei messaggi» affermò Pam, mentre la

nausea cresceva. «Il conte odia la biblioteca» squittì Omar, uno dei bambini più piccoli. «No, il conte odia il caprone, il signor Melvil» specificò Pam e per qualche secondo calò il silenzio. «Quindi, voi andrete a incontrarlo?» si informò Federico. «Io sì, di sicuro» dichiarò Pam alzando le mani al cielo. «Io ci devo pensare» sussurrò Dennis. «Perché di notte?» riprese Omar. «Già, perché di notte?» fecero eco delle voci confuse. «Forse ci aspetta una sorpresa!» esclamò Pam. «Una sorpresa?» «Sì, forse Ranganathan e il conte Piano stanno architettando una festa a sorpresa per il cambio del bibliotecario» specificò Pam entusiasta. «Può essere» soppesò Vanessa. «Facciamo così» suggerì Pam «chi non è un fifone e vuole venire con me si faccia trovare all’albero caduto poco prima di mezzanotte. Io non ho paura del caprone perché il mio papà l’ha sistemato per le feste in più di un’occasione e chi verrà con me sarà sotto la mia protezione». «Forse io verrò» balbettò Dennis. Dennis e Pam si lanciarono un’occhiata d’intesa e poi ammirarono il frutto del loro lavoro: i bambini e i ragazzi di Boscoamaro, per la prima volta nella loro vita, stavano valutando la possibilità di andare in biblioteca.

Capitolo XII

“A OGNI LIBRO IL SUO LETTORE” Il trentuno luglio fu un giorno terribilmente caldo. Non tirava un alito di vento e la calura aveva intrappolato ogni cosa, rendendola pesante e flaccida. Bruno era alle prese con la messa a punto del suo possente camion, visto che doveva ripartire al più presto. Virna, per far piacere al marito, si era truccata di tutto punto, ma il sole le aveva sciolto rossetto, mascara e fondotinta. Il risultato, anche se Bruno aveva giurato di non averla mai vista così bella, era degno di un film dell’orrore. Loretta, d’altro canto, si era regalata un giorno di ferie e riposava sotto il gazebo, impegnata in una snervante partita a carte con Ernesto e Arturo. Il signor Dewey non si era più fatto vivo e Loretta doveva ammettere che parte della sua tristezza dipendeva anche da questo. «Tieni duro, mamma» mormorava Dennis, guardandola da lontano «stanotte tutto finirà». Con il sopraggiungere della sera, il caldo si smorzò. Dennis e Pam erano sereni. Verso le nove chiesero ai loro genitori di potersi recare a un’attività serale speciale del Centro Ricreativo. Visto che per tutto luglio erano stati bravissimi, il permesso venne loro accordato e i due si allontanarono dall’albergo senza imprevisti. Naturalmente, la loro vera meta non era il Centro. Giunti nei pressi dell’albero caduto si fermarono e ripeterono il patto solenne, condito dal rito dello sputo sulla mano. «Sei sicuro di potercela fare?» chiese Pam a Dennis. «Certo: verrà Lorenzo ad aiutarmi». «Siamo certi che verrà? È un coniglio!» affermò la ragazzina incerta. «La signora Lilly l’ha convinto, me l’ha scritto in un biglietto» disse Dennis. Dopo un attimo aggiunse: «Piuttosto, siamo certi che loro verranno? E che lei verrà?» Pam alzò gli occhi al cielo e pregò: «Grande Ranganathan aiutaci tu!» Dennis si sedette sul tronco come un guerriero spossato dalle fatiche della battaglia. Sbirciò Pam di sottecchi e la trovò piuttosto graziosa, nonostante

l’aspetto arruffato da folletto selvatico. In quel mese si era calmata, anche se era diventata più distaccata. Aveva tanti nuovi grilli per la testa e al Centro Ricreativo trascorreva sempre più tempo in compagnia di altre ragazzine. Presero coraggio si divisero: Pam si appostò vicino all’albero caduto, mentre Dennis riprese il cammino diretto in biblioteca. A differenza di ciò che aveva fatto credere a Pam, aveva una paura incredibile. Doveva farsi forza, non lo aspettava un compito facile: trovarsi a tu per tu con Melvil! Il bibliotecario poteva essere molto pericoloso. D’altro canto, era maledetto. Il ragazzo si impose di non pensare a nulla e si concentrò sulla strada che lo separava dal compimento del suo destino.

La notte del trentun luglio si prospettava per tutti impegnativa, anche per Lorenzo. Il giovane infermiere, infatti, si apprestava a fare qualcosa che avrebbe potuto compromettere per sempre la sua carriera. Per l’intera giornata si era domandato perché si fosse fatto coinvolgere. Già consegnare posta all’interno e all’esterno della clinica era un fatto gravissimo, figurarsi poi far uscire di nascosto un paziente. Se li avessero scoperti, non solo l’avrebbero licenziato, l’avrebbero fatto arrestare. Non aveva idea di cosa stesse accadendo: a cosa servivano i bigliettini e i sotterfugi? Lilly era stata molto vaga, ma vederla tanto in forma aveva avuto un effetto positivo su di lui: per la prima volta, dopo tanto tempo, non aveva sentito l’esigenza di mettersi a setacciare la montagna alla ricerca di Stella. Lilly gli aveva anticipato, ben due settimane prima, i suoi propositi di fuga, affinché lui potesse decidere se aiutarla o tirarsi indietro. Anche l’ex bibliotecaria, come Dennis e Pam, aveva giocato la carta dell’amicizia: gli aveva chiesto di aiutare una vecchia amica a realizzare un piccolo desiderio prima di morire. L’infermiere aveva ceduto, ancor prima di scoprire che questo desiderio consisteva nel visitare di nascosto la biblioteca. Verso le dieci, quindi, quando tutti i vecchietti stavano riposando nei loro alloggi, Lorenzo, con il cuore in gola e l’animo in tormento, sgattaiolò nella camera di Lilly, entrò di soppiatto e spalancò la finestra. La signora sedeva sul letto, vestita a festa, con un diadema tra i capelli e uno scialle di seta sulle spalle. Era emozionata come una bambina e batteva le mani entusiasta.

«Presto, presto, caro Lorenzo!» lo incitava. «Sì, arrivo» disse il giovane, porgendole la schiena. La donna gli strinse le braccia intorno al collo e lui se la caricò sulle spalle. «A Melvil non piacerà» mormorò l’infermiere, mentre cercava di uscire dalla finestra, senza far rumore e senza rischiare di far male a Lilly. «Ah, lui bisognerà rinchiuderlo» esclamò la donna, come se fosse un’ovvietà. «Cosa?» «Non mi permetterebbe mai di visitare la biblioteca». «Ci denuncerà!» «Non credo. È solo un uomo confuso, secondo me una notte di reclusione potrebbe aiutarlo a schiarirsi le idee» sbottò Lilly «ti aiuterà Dennis nell’impresa, poi, strada facendo, ti spiegherò il piano, stai tranquillo. Andrà tutto bene». Uscire dalla clinica non fu difficile, in fondo nessuno era mai fuggito e quindi nessuno si era mai preoccupato di fare dei turni di guardia. A differenza di Lorenzo, la signora Lilly si stava divertendo un sacco.

Mentre Lorenzo e Lilly si stavano dirigendo in biblioteca, Dennis era già arrivato a destinazione. Si era appostato accanto alla fessura nascosta dall’edera ed era pronto a entrare in azione. Aveva con sé tutto l’occorrente: il doppione della chiave della stanza di Pam, che la ragazzina aveva fatto di nascosto, una tavola di legno, chiodi e martello. Sarebbe stato abbastanza veloce? Sarebbe stato abbastanza forte? Il ragazzo guardò la grande quercia ed estrasse dalla tasca la tessera della biblioteca di Stella. Sondò il cielo, che era limpido e trapuntato di stelle.

«Ti prego, Ranganathan, fai che Stella venga in biblioteca» disse e, raccogliendo il materiale, saltò in cortile. Sgattaiolò fino alla stanza di Pam e posò tutto per terra, eccetto la chiave, poi cercò di pensare a come svegliare il bibliotecario. Si avvicinò al vialetto e fece una buona scorta di sassi. «Mia madre mi ucciderà!» esclamò. Pensò intensamente a quanto odiasse Melvil, afferrò il primo sasso, caricò il braccio, puntò una finestra e... CRASH! I vetri schizzarono in ogni direzione e il sasso colpì qualcosa all’interno, producendo un tonfo sordo. In biblioteca si accese una luce lontana, accompagnata da una serie di borbottii. «Melvil, ti pentirai di aver scatenato la maledizione sulla biblioteca» sussurrò Dennis. Afferrò delle zolle di terra e fango dal giardino e si mise davanti al portone d’ingresso. Il portone si aprì e apparve il volto incartapecorito di Melvil: era furibondo. Aveva gli occhietti rossi e i suoi denti da lupo luccicavano minacciosi. «Che diavolo combini, delinquente?» sibilò l’uomo, ma non aveva ancora finito la frase che SPLAH: una bella palla di fango gli si spiaccicò sul muso. «Ma... maledizione» ringhiò il bibliotecario, ma un’altra palla di fango lo zittì all’istante. Melvil, fuori di sé dalla rabbia, uscì in giardino e corse in direzione del ragazzo roteando il pugno in aria. Era l’occasione giusta: Dennis, caricando come un ariete, si gettò furibondo verso Melvil. Il bibliotecario restò basito e rallentò, così il ragazzino ebbe il tempo di aggirarlo e di infilare la porta d’ingresso. «Cosa? Guarda che roba! Te le insegno io le buone maniere! Delinquente, canaglia, farabutto!» urlò Melvil, mentre voltava i tacchi ed entrava a sua volta in biblioteca. Dennis intanto correva a zigzag tra gli scaffali, sollevando nuvole di polvere. Correre nella semioscurità non era facile, ma lui era pieno di energia. Il bibliotecario, tuttavia, era veloce e in più di un’occasione rischiò di acciuffarlo. Quando fu in prossimità della stanza di Pam, Dennis vi entrò senza esitare. Melvil, credendolo in trappola, rise di gusto, aprì lentamente la porta della stanzetta, entrò e cercò a tastoni l’interruttore della luce. L’aveva quasi trovato,

quando Dennis saltò fuori dal buio, gettandogli una manciata di polvere negli occhi. Melvil barcollò e il ragazzo riuscì a dargli una spallata, che lo fece cadere sul pavimento. Il bibliotecario era in trappola! Dennis uscì, chiuse la porta e infilò il doppione di Pam nella toppa. Una volta rinchiuso Melvil, corse in giardino per sbarrare la finestra dall’esterno. Doveva fare in fretta! Fortunatamente si rese conto di essere stato anticipato. In giardino, infatti, Lorenzo stava inchiodando un’asse alla finestra. Dall’interno Melvil gridava e piagnucolava: «Ammutinamento! Ammutinamento!» «Perché lo sto facendo?» si domandava Lorenzo, ad alta voce. Sotto sotto, però, come testimoniava un mezzo sorrisetto, stava provando una grande soddisfazione nel rinchiudere il vecchio caprone. Dennis sospirò rincuorato e si ripulì il sudore della fronte con il braccio. «Sei stato in gamba, ragazzo mio. Bisognerà riparare i danni, ma se stanotte andrà come speriamo, faremo il bene della biblioteca» disse una voce femminile e Dennis si volse lentamente. Seduta sotto la quercia c’era la signora Lilly che applaudiva e rideva divertita. La donna spalancò le braccia e Dennis non esitò ad abbracciarla. Gli sembrava di conoscerla benissimo. «Sta andando tutto a meraviglia» disse Dennis e Lilly gli diede una pacca sulla spalla. «Siete stati bravissimi! Ma la notte è lunga e ci sono tante cose da fare». Dennis annuì e chiese: «Qui ci pensate voi?» «Sì, non temere, io e Lorenzo penseremo a sistemare la biblioteca. Tu hai un altro importantissimo compito». Si abbracciarono di nuovo, Lilly gli diede un buffetto sulla guancia e si salutarono. Dennis sfrecciò via, senza più voltarsi indietro. Stava ripercorrendo la via dell’albero caduto, quando decise di nascondersi tra i cespugli. Erano le undici ate e lui voleva vedere se i ragazzi del Centro Ricreativo avevano abboccato all’amo. Dopo un po’ udì delle voci e diede una sbirciatina. Il suo cuore prese a

battere all’impazzata: in mezzo alla via, a piedi nudi, armata di torcia elettrica c’era Pam e dietro di lei una folla di bambini e ragazzi. C’erano Federico, Geremia, quasi tutti i loro amici del Centro e perfino qualche animatore. I giovani di Boscoamaro non avevano mancato l’appuntamento. «Perfetto» si disse Dennis orgoglioso «ora vediamo di andare a recuperare gli adulti» e si incamminò verso il paese. «Perfetto» stava pensando a sua volta Pam «sta andando tutto secondo il piano». La ragazzina non avrebbe potuto sperare in un successo più grande. Quando giunsero in prossimità del cancello di ferro battuto, però, si alzarono i primi lamenti. «Piantatela di fare i fifoni» esclamò Pam «Ranganathan ci attende!» Ranganathan, però, era impotente dinanzi al gracchiare dei corvi, al frusciare dei rami e al guizzare delle ombre. E come mai le finestre erano tutte rotte? Erano forse delle urla quelle che si sentivano da lontano? Pam non sapeva più a cosa appigliarsi quando l’occhio scivolò su un biglietto colorato abbandonato tra i sassi. Intravide subito un barlume di speranza. «Guardate» esclamò raccogliendo il biglietto «è di Ranganathan!» «Fa vedere» si intromise Geremia, confermando quanto detto dalla ragazzina. I ragazzi si accorsero che tutto il prato era disseminato di biglietti dai colori vivaci. «Guardate là!» urlò Viola indicando la quercia. Vi era stato legato un enorme striscione con scritto: «Benvenuti, dite “amici” ed entrate, firmato il vostro Ranganathan». «Ehi, è una delle frasi che mi aveva spedito Ranganathan» disse felice Federico. «Ho mentito ai miei genitori per venire, non posso più fuggire» sospirò Vanessa,

mentre raccoglieva i biglietti sparsi qua e là. «Bravo Ranganathan!» sentenziò Pam e invitò tutti a seguirla. Con Pam in testa, la colonna di ragazzini entrò dal portone principale. La terribile lavagna nera era stata accuratamente ripulita e qualcuno vi aveva disegnato con il gesso delle immagini buffissime, che fecero ridere a crepapelle alcuni di loro. C’era ancora, però, chi aveva timore e i bambini più piccoli si stringevano gli uni agli altri. Giunti nell’atrio, sentirono in lontananza un uomo sbraitare e battere contro una porta, ciò li sconvolse. Improvvisamente, però, partì una musica di sottofondo che riuscì a coprire i rumori molesti. Nel salone si accesero le luci e ovunque risaltarono i colori vivaci di allegri cartelli con inviti e non più divieti. Certo ce n’era anche qualcuno che invitava all’educazione e al rispetto, ma senza minacce. La biblioteca, pur essendo ancora sporca e polverosa, era stata addobbata a festa. Per terra era steso un vecchio tappeto, con sopra dei cuscini e qua e là mucchietti di caramelle. Alcuni libri erano stati tolti dagli scaffali e lasciati aperti sul pavimento. Nel centro del salone, infine, elegantemente seduta su una sedia con un libro in mano, c’era la signora Lilly. «Benvenuti, ragazzi» salutò con un sorriso. «Io ti conosco» disse Marco «sei l’ex bibliotecaria». I ragazzi allora si arono l’un l’altro informazioni apprese a suo tempo sul conto di Lilly, che erano per la maggior parte tutt’altro che buone. «È la madre pazza del Sindaco!» Pam sentì il sangue ribollirle nelle vene, ma sapeva che non era colpa dei suoi amici se pensavano quelle cose orribili. Le chiacchiere e le malelingue spesso sono più forti della verità e rovinano le persone. La ragazzina cercò di mantenere il buon umore e chiese: «È già arrivato Ranganathan?» Lilly mostrò il cellulare: «Purtroppo mi ha scritto che è in ritardo, ha preso un treno da Mumbai, che è stato assalito da una banda di briganti. Niente di grave, Geremia, non fare quella faccia. Sul treno c’erano anche molti guerrieri Indù e di

sicuro proteggeranno il nostro amato saggio». I ragazzi presero a borbottare tra di loro. «Intanto che facciamo?» chiese una bambina, ma l’occhio si era già appoggiato su un libro. «Intanto, potreste dare un’occhiata in giro» suggerì Lilly e strizzò l’occhio a Pam. «Ottima idea!» esultò Pam, che afferrò uno dei libri sul pavimento. «Libri?» sbottò Geremia inorridito e anche gli altri ragazzi parvero delusi. Tuttavia qualcuno aveva già iniziato a leggiucchiare pezzi di frasi. «I libri fanno male» disse Viola. Pam allora alzò il volume e lesse un paragrafo che parlava di un certo Odisseo che imbrogliava il suo nemico, un Ciclope. Geremia non credeva alle sue orecchie! «Non era a te che interessava il Ciclope?» chiese Pam. «Sì, ma...». La ragazza gli lanciò il libro e Geremia, cacciandovi dentro il naso, senza accorgersene si immerse nella lettura. «Ehi, quella è la bambina caduta nella tana del coniglio!» esclamò Vanessa attirata da un’illustrazione sulla pagina di un albo illustrato. I presenti, pian piano, si fecero forza e presero in mano i libri, come se li vedessero per la prima volta. Di tanto in tanto Lilly suggeriva a qualcuno di andare a curiosare su questo o quello scaffale. Ranganathan, inoltre, era stato abile nel disseminare indizi e cartelli che potessero aiutare i ragazzi a trovare ciò che più interessava loro. «Che dice qui?» domandò timidamente una piccola bambina, che evidentemente non sapeva ancora leggere bene. «Se vuoi te lo leggo io» propose Lilly.

La bambina esitò, ma il sorriso di Lilly era così rassicurante e materno che la piccola, annuendo, le ò il libro. Appena l’ex bibliotecaria iniziò a leggere, accadde una specie di magia: i bambini tesero incuriositi le orecchie e lentamente sgattaiolavano intorno all’anziana signora. In men che non si dica, tutti i ragazzi avevano un libro in mano e avevano anche cambiato opinione su Lilly. Il tempo ava e sembrava che tutti si fossero scordati di Ranganathan. I libri erano diventati i veri protagonisti della serata e avano di mano in mano, pronti a incontrare i loro lettori. Il tempo ava e la polvere diminuiva. Pam si avvicinò timorosa a uno scaffale e vi strisciò l’indice della mano. «Incredibile!» esclamò felice. Si volse verso Lilly, che le strizzò l’occhio. Pam si affrettò a tirare le tende delle finestre in modo da non far trapelare la luce soffusa all’esterno. Era quasi l’ora della sperata apparizione di Stella e non bisognava spaventarla. Ora che tutti leggevano, Pam spense la musica e invitò gli amici al silenzio. Nel resto della biblioteca regnava la quiete. Anche Melvil non si lamentava più. Pam incrociò le dita sperando nell’arrivo di Stella.

Lorenzo attendeva al buio nella stanza di hobbistica al terzo piano. Si era chiuso a chiave all’interno. Lilly gli aveva ordinato di andare lassù in attesa di un segnale, che però tardava ad arrivare. L’infermiere, in fondo, trovava piacevole starsene nascosto nell’ombra, lontano dai misfatti. Cosa stava succedendo? Aveva visto dalla finestra arrivare uno sciame di ragazzini e fino a poco prima c’era un gran baccano ai piani di sotto, mentre ora tutto era silenzioso. Che stava combinando la signora Lilly? Si guardò intorno e pensò alle dicerie che correvano in paese sulle apparizioni di un presunto fantasma. Lorenzo non aveva mai creduto a queste cose e non si era mai dato la briga di controllare di persona il terzo piano della biblioteca. Era già abbastanza ossessionato dal ricordo di Stella e voleva evitarsi ulteriori dispiaceri.

«Mi licenzieranno di sicuro» mormorò. Si appoggiò al muro e chiuse gli occhi, quando un leggero tonfo lo costrinse a spalancarli di nuovo. Restò incredulo e basito, mentre il cuore accelerava il suo battito: dalla finestra rotta era entrato qualcuno. Si accucciò e afferrò un libro per difendersi, poi allungò il collo per vedere meglio. Una figura si muoveva agile tra gli scaffali: una ragazza con un abito bianco fatto di stelle alpine intrecciate, che stringeva al petto dei libri. Aveva un viso di porcellana, mani affusolate e lunghi capelli neri legati da fermagli di foglie. La si sarebbe detta una fata! Lorenzo era ipnotizzato da lei. La giovane si avvicinò alla porta e vi appoggiò l’orecchio. «Spero che stavolta non ci siano strane sorprese» mormorò tra sé e sé con voce d’usignolo. Si infilò un paio di spessi occhiali ed esaminò i libri. «Di recente non riesco a scegliere i libri con calma e anche stanotte mi dovrò sbrigare. Domani lavoro e la strada per Collelanoso è lunga» disse. Non si era ancora accorta di Lorenzo, impegnata com’era. Quando la giovane si fermò vicino a uno dei mobili, intenta a leggere i titoli dei libri sui ripiani, Lorenzo poté scorgerne i lineamenti. Ciò che vi riconobbe, gli tolse il fiato! Era Stella? Ci furono dei nuovi rumori dai piani sottostanti e la ragazza si volse agitata verso la porta. Si diresse veloce alla finestra ma qui si bloccò, visto che nella biblioteca era tornato il silenzio. «Forse è solo Melvil» sussurrò e tornò agli scaffali. Lorenzo, cercando di non fare rumore, si avvicinò alla finestra e vi si parò davanti, in modo da non permettere alla giovane misteriosa di fuggire. «Stella!» esclamò ad alta voce, quasi senza rendersene conto e lei si girò di scatto. La ragazza divenne paonazza, sgranò gli occhi e vedendosi sbarrata la solita via di fuga, si precipitò alla porta. Provò ad aprirla ma era chiusa a chiave.

«Ti prego, aspetta! Sono Lorenzo!» gridò l’infermiere. Lei, presa in trappola, iniziò a correre tra gli scaffali. Lorenzo seguiva i suoi movimenti, ma non voleva spostarsi dalla finestra. «Perché fai così?» gridò disperato. Alla fine la giovane fece un o falso e inciampò. A quel punto Lorenzo scattò verso di lei e riuscì ad afferrarla saldamente per le spalle. Lorenzo la osservò perplesso, mentre in lui cresceva la certezza che fosse proprio Stella. «Stella? Sei Stella, vero?» Lei scoppiò a piangere e tra una lacrima e l’altra fece un lieve cenno d’assenso con il capo. «Non mi riconosci?» chiese l’infermiere «sono Lorenzo, eravamo amici un tempo, ti ricordi di me?» La punta di tristezza nella voce del ragazzo dovette fare breccia nel cuore di Stella, che nascose il viso tra le mani, singhiozzò ancora e di nuovo annuì con il capo. «Certo che mi ricordo di te» sussurrò. Lorenzo ora poteva vederla con chiarezza: era senz’altro Stella, in carne e ossa. Era bella come la ricordava, anzi ancora più bella. «Sei viva?» si accertò l’infermiere. «Già, eccomi qui» rispose lei, facendo un timido sorriso. Lorenzo rifletté un secondo: «La storia del fantasma… sei tu che ti aggiri in biblioteca?» Stella sorrise con tristezza e confessò: «La storia del fantasma mi ha aiutato a venire qua indisturbata». «Com’è possibile che nessuno ti abbia mai smascherato?» chiese Lorenzo, ma si

ricordò che lui per primo non aveva dato peso a quella storia. Probabilmente nessuno si era mai accertato della realtà dei fatti. «Sono abile nel fuggire» spiegò Stella. «Sarei dovuto venire prima, in quel modo ti avrei trovato già da tempo» si rammaricò Lorenzo, che, con un po’ di timore, lasciò andare la ragazza. Lei lanciò uno sguardo alla finestra ma alla fine si accasciò al suolo sconvolta. «Io non volevo essere trovata». «Perché? Dove sei stata?» chiese l’altro, stropicciandosi gli occhi, credendo di sognare. Dopo tutti quegli anni! Dopo tutte le sofferenze, i pianti e la disperazione, eccola lì, la sua dolce Stella smarrita. «Mi sono nascosta» dichiarò Stella, con una scintilla di astuzia nei grandi occhi di cerbiatta. «Perché ti sei nascosta?» domandò l’infermiere, incredulo. «Ero arrabbiata con mio padre e con tutto Boscoamaro. Odiavo quell’orribile rete televisiva» disse la ragazza e il suo bel viso si rabbuiò. «Questo lo so, ma ti sembra una buona giustificazione?» ribatté Lorenzo, che ora sentiva nascere un po’ di rabbia. Stella era sempre stata molto introversa, egoista e strana, capace di cose bizzarre. «Tu non puoi capire» lo rimproverò Stella. «Certo che non capisco!» «Me ne sono dovuta andare dopo la morte della mamma! Non sopportavo più la tristezza che c’era in casa mia. Mi distruggeva vedere mio padre impegnato soltanto nel crearsi un piccolo impero a Boscoamaro». «Guarda che tuo padre era disperato e quando sei scomparsa, è sprofondato ancora di più nella solitudine» disse Lorenzo. «Non è vero! Ha smesso subito di cercarmi» piagnucolò Stella.

Lorenzo si avvicinò lentamente e la guardò con gli occhi lucidi. Era molto arrabbiato con lei. «Non ha mai smesso di cercarti, credimi, e nemmeno io. Ti ho cercato per dodici anni! Dov’eri finita?» Con queste semplici parole riuscì a far scoppiare la ragazza in un pianto a dirotto. «Per un po’ ho vissuto tra i boschi» raccontò lei «poi ho capito di non poter vivere come un animaletto selvatico, ma non volevo tornare a Boscoamaro. Quando mi sono accorta che l’interesse per la mia scomparsa era ato e che le ricerche erano finite, mi sono fatta coraggio e ho iniziato a vagare attraverso i paesini della montagna alla ricerca di un lavoro. Alla fine sono riuscita a trovare un impiego in una libreria a Collelanoso e sono rimasta lì. In quel paese sono tutti molto discreti e nessuno mi ha mai fatto domande sul mio ato». «Sei stata a Collelanoso per tutto questo tempo?» Stella annuì imbarazzata: «Il nascondiglio migliore di tutti, proprio lì, alla luce del sole». «Pensare che ho setacciato la montagna per trovarti!» «Volevo una nuova vita. Purtroppo, non ho mai potuto fare a meno della biblioteca di Boscoamaro. Vengo qua ogni mese, sai...». Lorenzo, che sentiva dentro di sé un misto di rabbia, incredulità e gioia, scoppiò a piangere e a ridere nello stesso tempo e strinse Stella a sé. Stella divenne rossa e tremò, ma dopo un attimo di incertezza si lasciò cullare da quel caldo abbraccio. «Ti ho sempre voluto bene, Stella, e non voglio perderti mai più». «Davvero?» «Certo». «Anch’io, Lorenzo».

Lorenzo e Stella si guardarono impacciati. A dire il vero, l’infermiere era furioso con lei: come aveva potuto comportarsi in modo così irresponsabile ed egoista? Eppure la rabbia non era nulla in confronto alla gioia di averla lì tra le sue braccia. Una sensazione di pace era calata sul terzo piano della biblioteca e pian piano si stava diffondendo in tutto l’edificio.

Capitolo XIII

IL BIBLIOTECARIO MALEDETTO Il conte Piano era andato a letto molto presto quella sera: odiava il caldo e si era rintanato nella sua villa con i condizionatori a tutto spiano. Nonostante in paese fosse una leggenda, di recente tendeva a starsene da solo. Le sue giornate trascorrevano all’insegna della noia, per non parlare delle nottate, interminabili e insonni. Solo l’odio per la biblioteca lo teneva attivo. Il letto matrimoniale gli sembrava immenso, freddo, triste e così, alla ricerca di compagnia, aveva la mastodontica televisione con lo schermo ultrapiatto che aveva in camera. Guardava e riguardava le registrazioni delle sue nozze. Sua moglie in abito bianco era bellissima e spesso lui fermava il filmato sui suoi primi piani per poterne ammirare il sorriso. Bei tempi quelli. «Nicole, mia cara, oggi la mia troupe ha girato un nuovo servizio televisivo» stava raccontando all’immagine sorridente sullo schermo. «Ah, il nostro impero! Te l’ho promesso, no? Ti ho promesso che un giorno avrei creato la cosa più bella in assoluto e ce la farò». L’uomo si rigirò nel letto, spostando di lato il pon pon della cuffia che aveva sul capo. Sul comodino teneva una fotografia di Stella. «Piccola» disse con un sorriso «non temere, ti vendicherò, ah se ti vendic...». L’uomo stava finalmente sprofondando nel sonno, quando qualcuno scamlò alla sua porta, facendolo cadere giù dal letto per lo spavento. Il conte cercò di ignorare lo scocciatore, ma quello si era incollato al camlo. Corse alla porta con l’intenzione di dirgliene quattro, ma poi si ricordò di essere il celebre conte Tebaldo Piano de Montis e che a un VIP del suo calibro, l’ira non si confaceva. Si diede una sistemata davanti allo specchio, si lisciò i baffetti, infilò la vestaglia e aprì il portone con un sorriso da pubblicità. Si ritrovò davanti il visetto tondo, banale e noioso di un ragazzetto sui dieci anni. «Sì?» domandò l’uomo, mantenendo il sorriso. «Salve, sono Dennis della Brilla&Splendi, si ricorda di me?» «La Brilla&Splendi, dici?» ripeté il conte con un’espressione un po’ infastidita. Ah, sì, ora si ricordava di quel moccioso.

Dennis aveva un’aria orribile ed era tutto sporco di fango. «Che cosa posso fare per il giovanotto della Brilla&Splendi?» chiese il conte, mentre il suo sorriso fittizio si spegneva pian piano. Che cosa voleva quello scocciatore a tarda notte? «Conte, è terribile! Lei mi deve aiutare» balbettò Dennis, muovendo gli occhi a destra e a sinistra e congiungendo le mani sul petto. «Calmati, ragazzino, spiegami cosa succede». «Sono stato il testimone di un crimine!» confessò Dennis con enfasi. «Un crimine?» ripeté il conte. «Il bibliotecario... il bibliotecario, il signor Melvil, ah, è terribile...» si mise a singhiozzare Dennis, strizzando gli occhi per buttare fuori qualche lacrima. Nel sentire “Melvil”, il conte scattò sull’attenti. Quel nome gli procurava sempre un impeto di repulsione. Che diavolo aveva combinato il caprone? Dennis afferrò il conte per il colletto della vestaglia e lo scosse. Poi, gridando come un isterico, aggiunse: «Melvil ha rapito tutti i bambini!» «Ragazzo, calma! Che vai dicendo?» chiese l’altro cercando di liberarsi dalla presa. «Voleva rapirci e ci ha attirato in biblioteca con uno stratagemma! Lei conosce la fiaba del pifferaio magico?» «Che?» «Lasci perdere, a ogni modo: il bibliotecario ha detto di volersi vendicare di Boscoamaro per quello che gli è stato fatto, così ha deciso di far sparire tutti i bambini. Io sono riuscito a fuggire, ma i miei amici...». Il conte Piano per prima cosa pensò che il ragazzo della Brilla&Splendi fosse un tantino squilibrato. Di che blaterava? Il bibliotecario aveva rapito i bambini? Tutti i bambini?

«Sei sicuro di non aver avuto un incubo?» Dennis cercò di apparire ancora più sconvolto: si mise le mani nei capelli e saltellò sul posto come se fosse stato morso da una tarantola. «Magari si fosse trattato di un incubo» piagnucolò «quel bibliotecario è pazzo da legare». «Dai, ora rilassati» disse il conte, preoccupato «entra in casa, faremo un paio di telefonate e andremo ad accertarci dell’accaduto». Gli abitanti di Boscoamaro, assonnati e seccati, finsero di gradire le telefonate del conte che, nel cuore della notte, chiedeva notizie dei loro figli. Furono però assaliti dal panico, costatando che i loro ragazzi non erano effettivamente in casa. La polizia, che si trovava a Collelanoso, venne allertata e gli abitanti di Boscoamaro, capeggiati dal conte e dal Sindaco Araldi, si organizzarono in squadre e partirono alla volta della biblioteca. Il Sindaco, inoltre, dovette sorbirsi lamentele a non finire e ciò rese il conte di ottimo umore. Loretta abbracciò Dennis chiedendogli cosa fosse capitato e lui, dovendole mentire, sentì il suo cuore spezzarsi. Bruno, saputo che anche Pam era sparita, saltò sul camion con Virna, armata di mattarello, e partì a tutta birra verso la biblioteca. Gli abitanti di Boscoamaro presero rastrelli, battipanni e scope. Ernesto e i suoi compari indossarono i vecchi elmetti da soldati e si unirono alla spedizione. Tutto il paese fu mobilitato e una folla inferocita si riversò in strada. Gli uomini spostarono l’albero caduto che intralciava la carreggiata e marciarono uniti come un esercito. Nessuno si fece intimidire dal cancello sbarrato e a rompere le catene pensò il camion di Bruno, liberando il aggio. Urlando a gran voce il nome di Melvil, spalancarono il portone ed entrarono nell’edificio. «Dove sono i nostri figli?» gridarono tutti in coro. «Shh!» li sgridò una voce di donna «vi sembra il caso di fare tutto questo rumore? È una biblioteca!» Gli abitanti si fermarono attoniti: i loro ragazzi dormivano beati sul pavimento, stesi su dei materassi. Sembravano tranquilli e avevano dei libri aperti in grembo. I bambini più piccoli sonnecchiavano accanto alla signora Lilly, che aveva gli occhiali sul naso e un’infinità di albi illustrati sotto braccio.

«Che succede qui?» gridò il conte Piano, inorridendo. Il Sindaco, riconosciuta sua madre, cercò di nascondersi tra la folla. «Dov’è Melvil?» domandò il conte, fuori di sé dall’ira. «È quella pazza di Lilly!» si intromise Ernesto «è complice di Melvil!» «Taci, vecchio gallinaccio» sbottò Lilly autoritaria. «Come osi parlarmi così, donna?» gracchiò Ernesto. «Come osi tu, babbeo! Ce l’hai con me perché ti ho dato il due di picche cinquant’anni fa, è ora che ti metta il cuore in pace!» Ernesto divenne verde dalla vergogna e i suoi compari gli diedero di gomito, lasciandosi sfuggire delle risatine. Loretta, insieme a Dennis, si fece largo tra gli abitanti. La donna, per un attimo, credette di avere le traveggole: la biblioteca era pulita! Non c’era la minima traccia di polvere! Anzi, quel luogo solitamente triste e spaventoso, aveva un’aria serena e addirittura invitante. Gli scaffali non erano più sommersi di ragnatele e il pavimento risplendeva. «Che significa?» mormorò, sentendosi svenire. Dennis le mostrò il libro della signora Lilly che aveva nello zaino. «Significa che io e Pam avevamo ragione» confessò. Loretta corrucciò lo sguardo, come per esigere spiegazioni. «Leggi il capitolo sulle leggi di Ranganathan e capirai» le suggerì Dennis. «C’entrate qualcosa tu e Pam in questa strana storia?» domandò Loretta, indicando i bambini stesi sul pavimento. Dennis non rispose, ma afferrò la mano di sua madre. Loretta non capì il motivo di quel gesto, ma le si sciolse un nodo in gola. Anche alcuni abitanti si erano accorti del cambiamento della biblioteca.

«La biblioteca sembra diversa!» disse Arturo «ma ci vedo poco e potrei sbagliarmi». Lilly sorrise e aprendo le braccia come per abbracciare l’intero edificio, esclamò: «La maledizione di Ranganathan è stata spezzata, i libri hanno incontrato i loro lettori». «Quante fandonie, ancora quella storia!» sbuffarono i vecchietti. Il conte Piano divenne paonazzo e lanciò un’occhiataccia ai suoi operatori. Che cosa significava quella faccenda? I cameraman fecero spallucce, innocenti. «Che meraviglia: la biblioteca è pulita» si intromise Virna. «Non era così bella da dodici anni» aggiunse Bruno, lanciando uno sguardo ammirato a Loretta. «Credo che dovremmo ringraziare la nostra amica Loretta per questo» concluse Virna. Loretta sgranò gli occhi. Gli abitanti di Boscoamaro la osservavano intimoriti. Bisbigliavano tra di loro, sembravano spaventati e increduli al tempo stesso. «Nessuno ci era mai riuscito prima» disse Arturo. «La Brilla&Splendi ha superato se stessa» sussurrò il Sindaco, estasiato. Nel frattempo, Bruno e Virna avevano localizzato Pam, che dormiva vicino a Federico e a Geremia. «Meno male» disse Bruno «Pamela sta bene, altrimenti Melvil avrebbe dovuto fare i conti con il mio camion, per mille posti di blocco!» Con dolcezza si chinò su Pam e la prese in braccio. «Sveglia, principessa» sospirò. Geremia si mosse inquieto e mugugnò: «Principessa, imperatrice... che fine... che fine ha fatto l’imperatrice bambina? Oh, accidenti, mi sono addormentato!» Detto ciò si svegliò di scatto, inforcò gli occhiali senza nemmeno accorgersi

della gran folla presente in biblioteca e si rituffò nel libro che aveva davanti al naso. «Devo essermi addormentato anch’io» sbottò Federico e afferrò l’enorme volume su cui stava dormendo. Tra lo stupore generale, tutti i ragazzi si destarono. Gli adulti erano disorientati: i loro figli non sembravano per nulla terrorizzati! Pam aprì gli occhi e notando che la polvere se n’era andata, lanciò un grido di gioia e corse ad abbracciare Dennis. «Ce l’abbiamo fatta!» gridò «Sì!» annuì Dennis. «Avevamo ragione noi: la biblioteca era vittima della maledizione di Ranganathan!» Gli abitanti di Boscoamaro tesero le orecchie. In loro, però, si era fatta strada la convinzione che il miracolo fosse dovuto alle capacità di Loretta, l’impiegata migliore che la Brilla&Splendi avesse mai spedito nel loro paesino. Solo quest’ultima era perplessa, mentre leggeva il libro che Dennis le aveva ato. Egli la guardò e disse: «Mamma, hai sempre fatto un lavoro eccellente, ma non potevi nulla contro la maledizione». I genitori, intanto, cercavano di convincere i loro figli a rincasare, ma questi non ne volevano sapere di andarsene. I bambini più piccoli, inoltre, si erano appiccicati a Lilly come ventose e imploravano nuove storie. Lilly lanciò un’occhiata al Sindaco, che abbassò lo sguardo e si arricciò i baffi. Nel frattempo era sopraggiunta anche la polizia di Collelanoso, che cercava di riportare tutti all’ordine. La confusione era incredibile. A quel punto il conte Piano, che aveva seguito la scena in disparte, si avvicinò alla troupe televisiva e afferrò un microfono. Con un sonoro: «Uno, due, tre, prova» richiamò l’attenzione generale. «Che sta succedendo qui?» sbraitò con la voce amplificata. «La smetta di fare il buffone!» lo riprese Lilly.

«Voglio parlare con Melvil!» sentenziò il conte «qua si tratta di alto tradimento, un imbroglio in piena regola! Cari concittadini, non fatevi ingannare!» «Se cerca Melvil, è chiuso là dentro» disse Lilly con semplicità, indicando la stanza di Pam. Il bibliotecario, però, non fiatava più da un bel pezzo. «Perfetto! Vieni fuori Melvil» ordinò il conte «dobbiamo parlare. Forza!» «Prima dovresti parlare con qualcun altro» ribatté Lilly enigmatica. Il conte la guardò con disprezzo e supponenza. Forse la carenza di sonno non faceva bene al suo autocontrollo, tanto che si lasciò sfuggire: «Si può sapere che hai combinato, vecchia pazza?» Lilly ne fu ferita, ma contro ogni sua aspettativa, una voce si alzò dalla folla in sua difesa: «Razza di pallone gonfiato, non permetterti di parlare in questo modo a mia madre!» «Cosa?» domandò il conte incredulo. Scostando Ernesto e i suoi compari come birilli, il Sindaco Araldi si avvicinò al conte, con il petto gonfio e il naso che fumava dalla rabbia. «Sono arcistufo di te, conte dei miei stivali! Ma chi ti credi di essere? Ho tollerato la tua arroganza solo perché sei il beniamino dei nostri concittadini, ma ora basta! Non sei degno nemmeno di pulire le scarpe a mia madre!» disse. «Bravo il Sindaco!» esultò Bruno e altri si unirono al coro. Araldi, con aria fiera, si avvicinò a Lilly e le circondò le spalle con un abbraccio. Lilly singhiozzò e sorrise. «Nessuno si può permettere di offendere questa donna» continuò il Sindaco «è uno degli esponenti più importanti della nostra comunità, se non il più importante in assoluto». «È follia!» ululò il conte. «Sei tu il folle!» si intromise una vocetta flebile flebile, lo squittio di un topolino. Il conte, nell’udirla, lasciò cadere il microfono, che si schiantò sul

pavimento producendo un fastidiosissimo suono acuto. Tutti però erano troppo occupati a fissare la giovane con l’abito di stelle alpine che avanzava nel salone in compagnia di Lorenzo. Il conte sbiancò, iniziò a tremare e cadde sulle ginocchia. «Stella?» La ragazza fu scossa da un principio di pianto, fece per fuggire, ma Lorenzo l’agguantò e la tenne stretta a sé. Non potendo più darsela a gambe, la giovane fu costretta a reggere la miriade di occhi fissi su di lei. «Stella? È Stella? E’ uguale alla signora Nicole» esclamarono gli abitanti in coro. I poliziotti si lanciarono occhiate smarrite. Non stavano capendo niente, ma gli abitanti di Collelanoso erano famosi per farsi i fatti propri e non chiesero nulla. «È un fantasma?» balbettò Ernesto, nascondendo la faccia nell’elmetto da soldato. «Il fantasma!» gridò Arturo, con l’aria di chi ha sempre avuto ragione «visto? Lo sapevo che c’era un fantasma qua!» «Il fantasma di Stella Piano!» «Non dite fesserie, non ha catene, né altre cose da fantasma» sentenziarono i ragazzini. «Che mi investa una signora in bicicletta, se non è Stella» sussultò Bruno e Virna emise un urlo di sorpresa. Loretta osservava la scena con occhi spalancati. Dennis, ora che poteva vedere chiaramente il viso della giovane, sussultò quando si accorse che la ragazza altri non era che la commessa della libreria di Collelanoso. «La commessa della libreria?» lo anticipò Pam. «È vero, è lei!» annuì Bruno «come ho fatto a non notare la somiglianza con Stella?»

Stella, scostando il viso dalla spalla di Lorenzo, inforcò gli enormi occhiali neri che cambiavano di poco il suo aspetto e, asciugandosi le lacrime, dichiarò: «Sono io, in carne e ossa, sono Stella Piano de Montis». «Sei viva?» si accertò Araldi. «È rimasta nascosta a Collelanoso per dodici anni» spiegò Lorenzo. Un mormorio di stupore e indignazione attraversò la folla, mentre la polizia cercava di raccapezzarsi in quel marasma e la troupe televisiva riprendeva il tutto con eccitazione. Il conte si trascinò verso la figlia, protendendo le braccia. «Stella, Stellina!» piagnucolava. Era una scena tutto sommato un po’ pietosa e chi era solito considerare il conte al di sopra della gente comune, si vide costretto a ridimensionare l’opinione che aveva di lui. Anche Stella, nel vedere suo padre tanto fragile, provò pietà e senso di colpa. Si fece coraggio e si chinò su di lui, allungando una mano affusolata. Il conte, forse per paura che la figlia fosse trasparente, si allontanò e scoppiò in un pianto dirotto. «Perché hai smesso di cercarmi?» chiese Stella. «Non ho mai smesso di cercarti!» singhiozzò il conte e lanciò un’occhiata alla sua troupe. «È vero» disse uno dei cameraman esausto «sono anni che ci sguinzaglia sul monte con le telecamere, pur di trovarti. Chi poteva immaginare che eri a Collelanoso?» Stella e il conte si misero a piangere all’unisono, ancora più forte. «Che ne dite di parlare davanti a una ricca colazione?» propose Virna commossa. Il conte non aveva la forza di opporsi, così i vecchietti lo sorressero e accettarono per lui la proposta dell’ostessa. Detto fatto, un vasto gruppo di persone, tra cui Lorenzo, Stella, il conte, la

polizia e la troupe, uscì dalla biblioteca. Molti ragazzi, però, restarono nell’edificio, convincendo i loro genitori a fare altrettanto e a dare un’occhiatina ai libri. Anche Pam, Dennis, Loretta e Bruno restarono in biblioteca. «Questa storia di Ranganathan è assurda» esclamò Loretta. «Al mondo succedono cose assurde» rise Lilly. «Sarà vero? La polvere è scomparsa perché le persone sono venute in biblioteca?» si accertò Loretta. «A quanto pare» annuì Lilly. «La polvere non tornerà più?» «Noi cercheremo di non farla tornare» sentenziò l’ex bibliotecaria, ando un libro a uno dei bambini. «Sì, ci impegneremo affinché non torni» intervenne Araldi «e inizieremo licenziando Melvil! Non importa se il conte si opporrà alla mia decisione, il Sindaco sono io e ho il dovere di fare il bene della comunità. A proposito, dov’è Melvil?» «Ah, già, è ancora rinchiuso» ricordò Dennis. Non temendo più il bibliotecario, il ragazzo estrasse la chiave dalla tasca e aprì la porta della stanza di Pam. Era l’alba e la biblioteca si mostrava in tutta la sua nuova bellezza. Dennis e Pam incrociarono le dita qualche secondo, ma la luce non portò con sé il solito polverone. Per un attimo tutti si distrassero a contemplare lo spettacolo degli scaffali puliti e delle persone che leggevano sparpagliate qua e là nel grande salone. Nonostante la porta aperta, però, Melvil non si azzardò a uscire. Dennis si sarebbe aspettato di vederlo correre fuori come un matto, invece nulla. «Signor Melvil, può uscire» lo invitò Dennis, ma nessuno rispose. «Non sarà morto?» si preoccupò Pam e Dennis inorridì al pensiero di avere un

morto sulla coscienza. Prese l’iniziativa e spalancò la porta. Entrarono guardinghi nella stanza e scorsero qualcuno nascosto dietro gli scaffali. Si intravedevano delle gambe e delle braccia robuste, braccia color caramello. «Signor Melvil?» chiamò Dennis. I ragazzi però non osavano muovere un solo o di più. Anche Loretta, Bruno, Araldi e la signora Lilly si ammassarono sull’uscio. «Esca, Melvil!» ordinò Araldi con voce ferma. «Forza Melvil, vieni fuori» aggiunse Lilly. «Per favore, andatevene» implorò una voce maschile, che però non somigliava per nulla alla voce bassa e distorta del bibliotecario. Era una voce giovane e gentile, che costrinse Loretta a corrucciare lo sguardo. «Ehi! Hai chiuso Melvil qua dentro o qualcun altro?” chiese Pam a Dennis. «Chi altro vuoi che abbia rinchiuso?» rispose il ragazzo disorientato. Il gruppetto mosse qualche o all’interno della stanza. A quel punto l’uomo nascosto dietro gli scaffali scattò in piedi con il viso rivolto alla finestra per non farsi vedere in faccia. Era molto più alto di Melvil! Aveva spalle larghe e gambe lunghe e dritte. «Non è Melvil!» costatò Pam, mentre Dennis non capiva più cosa stesse succedendo. Infatti si ricordava chiaramente di aver rinchiuso il bibliotecario là dentro. Lilly sorrise e invitò l’uomo misterioso a non avere paura: «Forza, caro, mostraci il tuo viso». «Per favore, non credo sia il caso» implorò lui, scuotendo il capo. Loretta conosceva quella voce. «Voltati!» grugnì Araldi. A quel punto l’uomo misterioso si girò pian piano e si spostò vicino alla finestra.

Per un istante la luce lo investì impedendo agli altri di vederlo chiaramente. Poi, quando i suoi tratti si fecero più definiti, Loretta iniziò a sentire il cuore battere più forte. «Le sorprese non sono ancora finite» rise Lilly. Dennis e Pam si lasciarono sfuggire un grido di sorpresa: dinanzi a loro non c’era il vecchio Melvil ma il signor Dewey! «Dewey?» domandò Loretta con voce acuta. L’uomo sospirò, poi si sedette a braccia incrociate e a capo chino. Era ricoperto da un leggero strato di polvere e i suoi bei capelli riccioluti erano grigi. Dennis sgranò gli occhi. «Che significa?» esclamò inorridita Loretta. «Semplice: significa che lui è Melvil» spiegò Lilly e Dewey si limitò ad annuire. «Macché! Quello è il signor Dewey!» ribatté Pam. «Dewey è un nome finto. L’ho preso in prestito da un grande bibliotecario del ato: Melvil Dewey» spiegò Melvil arrossendo «visto che mi chiamo Melvil di cognome, mi sembrava uno stratagemma carino». «Questo è l’aspetto che aveva fino a dodici anni fa, quando era il mio assistente» concluse Lilly. «Che mi scoppi una gomma in autostrada! Mi ricordavo che dodici anni fa era un po’ diverso, ma non così tanto» ululò Bruno. «È peggio di Dottor Jekyll e Mister Hyde!» rabbrividì Pam. Dewey sollevò lo sguardo: c’era un velo di tristezza nei suoi occhi. Con un grande sforzo era possibile sovrapporre i tratti duri di Melvil ai suoi. «Allucinante» esordì Araldi «ora che lo guardo meglio... ma certo! Ha ragione Bruno: il nostro bibliotecario era diverso un tempo, era uguale a questo giovanotto».

«Oh, insomma, lei è Melvil?» si accertò Loretta, con il cervello in fumo. «Temo di sì» ammise il bibliotecario, scuotendo il capo per liberarsi dai residui di polvere. «La maledizione ti aveva ridotto male» costatò Pam, lasciandosi sfuggire una risatina. «Non posso negarlo» concordò Melvil. Loretta era incredula, non sapeva più che dire e anche Melvil taceva, chiuso in se stesso. Quando però vide i ragazzi nella sala principale, impegnati a leggere libri, iniziò a dar di matto! Si alzò e si precipitò fuori, Bruno e Araldi dovettero afferrarlo di forza per trattenerlo. «Non dovete leggere!» gridava il bibliotecario «morirete! Morirete!» Alcuni bambini si spaventarono e lasciarono cadere i libri al suolo. Un po’ di polvere si sollevò dal pavimento e Melvil parve improvvisamente più brutto e più vecchio. Bruno e Araldi gli misero una mano sulla bocca e lo trascinarono all’interno della stanza. Bruno costrinse il bibliotecario a sedersi e lo invitò a calmarsi. «Non capite? I libri fanno male!» gridava Melvil. SCIAF! Lilly gli rifilò uno schiaffone, incredibilmente potente per una donna della sua età. «Non dire assurdità!» gli intimò. Massaggiandosi la guancia, Melvil esclamò: «I libri ci hanno portato alla rovina! Guarda come si riducono i ragazzi che leggono!» e detto ciò indicò Pam. SCIAF! Stavolta fu Bruno a rifilargli uno schiaffo che aveva la forza di un autotreno in corsa. «La mia Pamela è perfetta! I libri le fanno benone» disse e Pam si sentì molto

lusingata. «La biblioteca rende tutti infelici» piagnucolò il bibliotecario disperato. SCIAF! SCIAF! SCIAF! Loretta gli rifilò ben tre schiaffoni: di palmo, di rovescio e di nuovo di palmo. Melvil parve rinsavire: i suoi occhi annebbiati tornarono brillanti. «Loretta» sussurrò «non ho mai incontrato una donna più energica di te!» Loretta arrossì, gli diede un ultimo schiaffone, strinse i pugni e riprese a sgridarlo. «Sei tu che hai reso tutti infelici» asserì. Melvil abbassò il capo e sospirò: «Non volevo rendere infelice nessuno». «Hai reso infelice soprattutto te stesso, al punto da tirarti addosso una maledizione» sottolineò Lilly. «Adesso ci dovete una spiegazione! Si può sapere com’è andata?» domandò Bruno. «Voi non potete capire» iniziò Melvil «non potete capire cosa provi un bibliotecario che suggerisce il libro sbagliato a un bambino! Sono imperdonabile: per colpa del mio cattivo giudizio, ho condannato una povera ragazzina alla morte. I libri fanno male! Dovevo impedire che succedesse un’altra disgrazia. Sapevo della maledizione e ne parlai col conte. All’inizio era solo un trucco: era lui che mi aiutava a ricoprire i libri di polvere, ma a un certo punto la cosa ci è sfuggita di mano». Tutti si guardarono: Melvil ancora non sapeva che Stella era viva! «Se ti riferisci a Stella, tesoro, sappi che è viva e vegeta» dichiarò Lilly. «Eh?» chiese Melvil stringendosi la testa tra le mani. «Impossibile! Il suo fantasma infesta la biblioteca e mi perseguita da ben dodici anni!» «Ma quale fantasma!» sbottò Pam «quella che ti perseguitava era Stella in carne e ossa!»

«Cosa? Non può essere viva» balbettò Melvil. «Ti assicuriamo che è viva» dissero tutti in coro e Melvil sembrò colpito da un fulmine a ciel sereno. Tuttavia, non era ancora convinto, così Lilly suggerì a tutti di contattare Lorenzo e di raggiungerlo in fretta. Uscendo dalla stanza di Pam, però, il gruppetto si trovò addosso gli sguardi curiosi di ragazzi e genitori, attirati dal fracasso. Melvil serrò le labbra, abbassò il capo e Loretta provò pena per lui. «Ranganathan?» mormorò una bambina. Dennis e Pam trattennero il fiato e Melvil sollevò la testa. «Certo, è lui!» esordì Geremia raggiante. «Finalmente» rise Vanessa. Melvil era al centro dell’attenzione: i suoi tratti indiani avevano risvegliato l’interesse dei ragazzi. Araldi, Bruno e Loretta non capivano cosa stesse succedendo, mentre Pam e Dennis si scambiarono un breve sorriso. I loro amici credevano che Melvil potesse essere Ranganathan? «Ti aspettavamo!» riprese Geremia «come hai fatto ad arrivare così presto, nonostante i briganti?» «Cosa? Di cosa state parlando?» farfugliò Melvil, mentre una morsa gli serrava lo stomaco. «Te l’avevo detto, Geremia, di non preoccuparti» s’intromise Lilly, prendendo la palla al balzo «eccolo qui, il nostro Ranganathan, è arrivato!» Melvil sussultò e d’impulso si volse verso Loretta: la donna gli sorrideva, con gli occhi lucidi. Pam, Dennis e Lilly, inoltre, gli si avvicinarono per infondergli coraggio. «Ti prego, Ranganathan» implorò una bambina allungandogli un libro «leggici una storia!» «No, vi sbagliate: non sono Ranganathan» ribatté Melvil, prendendo il libro che

gli veniva porto. In lui stava nascendo uno strano sentimento: da dodici anni non gli capitava di stare al centro di un gruppo di ragazzi, con un libro in mano. «Non sei il signor Ranganathan?» chiesero i ragazzi delusi. Melvil guardò il libro: la copertina era tiepida, perché qualche bambino l’aveva tenuta stretta tutta la notte. Inspirò e cercò lo sguardo di Lilly. «Coraggio» lo incitò l’ex bibliotecaria. «Ciò che voglio dire è… che sono solo il discendente del grande Ranganathan» disse Melvil, stupendosi di se stesso. «Ragazzi, lasciate che vi presentiamo il signor Dewey» disse Araldi, appoggiando le mani sulle spalle di Lilly «discendente di Ranganathan e nostro nuovo bibliotecario». La stanza si riempì del suono degli applausi e Melvil finalmente si lasciò sfuggire un sorriso. «Forza, ragazzo mio» lo incitò Lilly «devi fare il tuo lavoro: leggi una storia a questi bambini e poi ti porteremo a vedere Stella». Melvil, trattenendo a stento la commozione, annuì e aprì il libro.

Nel frattempo, all’albergo “da Virna” si stava svolgendo un banchetto in grande stile. Stella sedeva accanto a Lorenzo ed era al centro dell’attenzione generale. Il conte non le staccava gli occhi di dosso un secondo. «Mi dispiace, papà» disse Stella «volevo tornare, ma ero così spaventata, così arrabbiata!» «Dispiace di più a me» cinguettò il conte. I suoi collaboratori non l’avevano mai visto così remissivo e docile. «Eri tutto preso dal tuo progetto televisivo» si lamentò Stella. Il conte sospirò: «Avevo promesso a tua madre che avrei creato la cosa più bella

al mondo». A quel punto Lorenzo si intromise ed esclamò: «È Stella la cosa più bella del mondo, quindi direi che è riuscito benissimo nell’impresa». Stella arrossì, il conte impallidì e gli altri commensali emisero gridolini di approvazione. Il conte guardò Stella e pensò che Lorenzo aveva ragione, così si alzò, si avvicinò e l’abbracciò stretta. La scena scatenò la commozione generale e applaudirono perfino i poliziotti, che non avevano capito ancora nulla, ma non si erano fatti sfuggire l’occasione di mangiare da Virna. Dopo un po’, Dennis, Pam, Loretta, Bruno, Araldi, Lilly e un uomo misterioso varcarono la porta d’ingresso. Nessuno riconobbe Melvil, eccetto il conte, che si irrigidì ma preferì non dire nulla. Melvil, da parte sua, era altrettanto incredulo: si trovava faccia a faccia con Stella Piano! Araldi, che ormai, aveva trovato in se stesso il coraggio di agire, prese l’iniziativa e annunciò: «Signor conte, Stella, Lorenzo, amici tutti, vi presento il signor Dewey, il nuovo bibliotecario di Boscoamaro!» «Ehi, guardate un po’: è il nostro amico Dewey!» gridarono i vecchietti felici. «Un nuovo bibliotecario?» sbottò il conte ma Stella gli rifilò una gomitata. «Certo: domani ci occuperemo delle pratiche di assunzione» sentenziò Araldi, stringendo sua madre tra le braccia «abbiamo cacciato via Melvil e abbiamo colto l’occasione per assumere al volo questo giovanotto. Qualcuno ha qualcosa in contrario?» «No no!» esultò Ernesto «è nostro caro amico e gioca a carte molto bene». Melvil, o Dewey, si lasciò sfuggire un sorriso. «Avete fatto in fretta a sostituire Melvil» disse ridendo Lorenzo. «Non siamo persone che amano perder tempo» dichiarò Araldi, facendo l’occhiolino a sua madre. Durante il banchetto, Dewey e Loretta restarono un po’ in disparte.

«Eri davvero tu il vecchio caprone?» domandò la donna, che ancora faticava a credere all’intera vicenda. La storia della maledizione faceva a pugni con il suo spirito pratico. «Temo di sì» annuì lui. «Ah, lo sai che mi hai reso la vita impossibile?» Lui arrossì e si grattò il capo: «Lo so, ma non ero padrone delle mie azioni. Dentro di me, però, ero incredibilmente dispiaciuto». Loretta sorrise, suo malgrado, incrociò le braccia dietro la schiena e chiese: «Davvero?» «Certo! Desideravo scusarmi con te e parlarti diversamente. Per questo, quando mi sono accorto di avere di nuovo le mie sembianze, sono venuto all’albergo. Volevo vederti». «Perché?» «Sei la donna delle pulizie più testarda e più in gamba che abbia mai incontrato!» Loretta arrossì e diede una leggera spallata al bibliotecario. Dennis e Pam li osservavano dall’altro capo della stanza. «Dewey era il caprone, chi l’avrebbe mai detto?» disse Pam. «Io l’avevo detto che era un tipo losco» rispose Dennis, ma non c’era irritazione nella sua voce. «Non ti danno fastidio? Melvil e tua madre, intendo» chiese Pam. «Uhm, no, non più di tanto» confessò il ragazzo, scrollando le spalle. «Abbiamo salvato la biblioteca» esultò Pam a bassa voce, cambiando discorso. «Abbiamo fatto molto di più» sentenziò Dennis e invitò Pam a guardarsi intorno. Tutti ridevano, Araldi stringeva sua madre tra le braccia, Loretta chiacchierava amabilmente con Dewey, Bruno e Virna erano così innamorati da sembrare due

novelli sposi, il conte Piano era il ritratto della gioia, Stella e Lorenzo erano una coppia perfetta. Dennis e Pam si sorrisero l’un l’altra, si sputarono sul palmo della mano e se la strinsero. Patto solenne, amici per sempre.

Capitolo XIV

STELLE A BOSCOAMARO Finita l’estate le campane della chiesa di Boscoamaro suonarono a festa per ore, dando un allegro annuncio nuziale. Gli abitanti del paese erano ammassati sul sagrato con il riso tra le mani e la felicità negli occhi. Dennis, con i capelli laccati e il completo gessato, stava cercando di posizionare al meglio la telecamera, seguendo i consigli dei cameraman del conte Piano. Federico, Marco e Geremia aiutavano il signor Bruno ad addobbare il camion, adibito ad auto degli sposi. Virna si muoveva inquieta tra i presenti, chiedendo a tutti eventuali allergie alimentari e controllando e ricontrollando il menù del pranzo. Araldi, con la fascia di Sindaco sul petto, salutava i cittadini dall’alto della gradinata. Accanto a lui c’era Lilly, attorniata da un gruppetto di bambine, acconciate come bambole. Poco distante, tra un sospiro e l’altro, la osservava un impacciato Ernesto, con un mazzolino di margherite in mano. I suoi compari cercavano di incoraggiarlo a dichiararsi e Lilly ridacchiava, facendogli l’occhiolino di tanto in tanto. C’erano anche tutti gli altri anziani della casa di riposo, in compagnia dei giovani animatori del Centro Ricreativo. «Ce l’avete fatta a posizionare quella telecamera?» chiese una voce da elfo e Dennis, sbuffando, si girò nella sua direzione. «Quasi, brutta streg...» rispose, ma si bloccò di colpo. Quale meraviglia quando invece del selvatico elfo dagli indomabili capelli rossi, si trovò dinanzi una splendida fatina dalla chioma liscia e ramata. «Che c’è?» domandò Pam, notando lo strano sguardo dell’amico. Pam era vestita a festa: indossava un abito color pastello, molto femminile, si era lisciata i capelli e si era perfino cosparsa di profumo. Sorrise, mostrando i denti da coniglio fissati al filo metallico dell’apparecchio. «Ce l’abbiamo quasi fatta» concluse Dennis, un po’ imbarazzato. «Bene, perché gli sposi stanno per uscire» disse lei, dondolando sulle scarpette rosa. Non le piaceva più scorrazzare in giro scalza? «Durante il pranzo sarai al tavolo con me, Marco, Federico e Geremia?» chiese Dennis, accorgendosi di avere le guance in fiamme.

«Non saprei» rispose Pam, indicando un gruppo di ragazze ben vestite che chiacchieravano poco distanti. «Vanessa mi ha chiesto di sedermi al tavolo con loro». «Ah...» sbuffò Dennis, provando una strana fitta di gelosia «come vuoi, allora». In quel mentre arrivò Loretta, con una busta di riso in mano. La seguiva Melvil in un elegante completo indiano. Il bibliotecario si era completamente trasformato. Loretta riempì di riso le mani di Dennis, mentre a Pam diede delle stelle filanti. «Presto, presto, gli sposi stanno per uscire!» esultò poi, saltando dall’emozione e appoggiando la testa sulla spalla di Dewey. Dennis appoggiò l’occhio all’obiettivo della cinepresa e attraverso un cerchio graduato vide spalancarsi le porte della Chiesa. Stella e Lorenzo uscirono, accolti da un boato generale: lei era splendida nel suo abito da sposa fatto di stelle alpine e anche lui, nonostante la solita aria malaticcia, non era affatto male. La pioggia di riso e stelle filanti li investì e loro scoppiarono a ridere dandosi un bacio. Il conte Piano, che li seguiva, sostenuto dai suoi collaboratori, non riusciva a trattenere le lacrime e ripeteva ad alta voce: «Ecco, Nicole, la cosa più meravigliosa che abbiamo fatto, eccola!» Araldi si precipitò a offrirgli il suo fazzoletto e il conte si abbandonò a un pianto a dirotto. La sua troupe televisiva era commossa quanto lui, tanto che le riprese si rivelarono tremolanti. Dopo la cerimonia arrivarono anche la polizia e gli abitanti di Collelanoso per rendere omaggio agli sposi. Il pranzo fu incredibile: Virna aveva dato il meglio di sé e Bruno non faceva altro che lodare la sua maestria e la sua incredibile bellezza. Melvil era di nuovo felice. Aveva ripreso a fare il bibliotecario e stava ritrovando la gioia di un tempo. Certo, non era facile, ma pareva che la maledizione di Ranganathan l’avesse lasciato in pace. Nessuno in paese lo aveva ricollegato al vecchio Melvil, o almeno nessuno aveva dato segno di averlo riconosciuto. Inoltre, Araldi, si era fatto in quattro per aiutarlo. Dennis e Pam si divertirono un sacco quel giorno, ma non parlarono molto. Di tanto in tanto si lanciavano un’occhiata impacciata. Tra una risata e l’altra, una

portata e un brindisi, giunse in fretta la mezzanotte. Lilly chiese a Virna di salire in terrazza per godersi un po’ di quiete e aria fresca. Il Sindaco l’accompagnò di sopra e si accertò che non prendesse freddo. La donna lo pregò di lasciarla un attimo sola e lui si allontanò. Dalla terrazza di Virna, ora che gli alberi erano stati potati, si poteva scorgere la biblioteca. La vecchia villa, in via di ristrutturazione, riposava tranquilla sull’altura. Sembrava che dormisse il sonno ricco di promesse di un neonato. Lilly sospirò e si portò una mano all’altezza delle labbra. Si baciò la punta delle dita e le mosse nell’aria in direzione della biblioteca. «Sogni d’oro, amica mia» disse e le parve che l’aria di Boscoamaro fosse diventata finalmente più dolce.

FINE

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LA MALEDIZIONE DI RANGANATHAN

di sca Navoni

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