Il Sogno Di Sara t6p5c

Iolanda Stella Corradino

Il sogno di sara

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Table of contents

Uno Due Tre Quattro Cinque Sei

Uno

Sette luglio 2010. Sara ricorda ancora perfettamente ogni istante di quella giornata. Il calore estivo napoletano faceva aderire i sottili abiti alla pelle in una maniera da toglier quasi il respiro. I pochi temerari anti che scorgeva dal balcone della radio presso cui lavorava sembravano morire affannandosi alla ricerca di un po’ d’ombra. Il suo ventre pullulava. Una nuova vita vi era custodita ma presto la felicità condivisa con gli amici ed i familiari avrebbe lasciato il posto ad una tristezza, ad un dolore che ancora oggi non ferma le lacrime che segnano, fuoriuscendo incontrollate, il viso di Sara invecchiato di qualche anno. L’arsura di luglio porta inevitabilmente a sentirsi più fiacchi, più pigri, o forse è una caratteristica innata a chi come Sara è cittadina del mediterraneo, napoletana di nascita, greca per origini. Lei quel giorno si sentiva giù, ed apparentemente non ne aveva motivo: sposata da poco, con una brillante carriera giornalistica avviata ed un marito che adorava.

Con Fausto si erano conosciuti nel giugno del 2006, Sara intervistava lui, organizzatore di eventi per il partito giuglianese della falce e martello, che all’epoca dei fatti si occupava di un referendum che voleva forzatamente abrogare alcuni articoli costituzionali. L’intervista, lui bancario e politico per ione, gliela concesse solo via mail, salvo chiederle di conoscersi dopo qualche mese. A settembre, precisamente. S’incontrarono in piazza Matteotti, Sara doveva intervistare un parlamentare, al governo da appena 100 giorni. Il ricordo dell’aria festante di quel settembre 2010 resta impresso nelle menti di Sara e Fausto ancora oggi, ad otto anni di distanza. Le loro anime, quel giorno, si sono incrociate ed amate ancor prima dei loro occhi, fino a decidere che insieme avrebbero dovuto percorrere il lungo cammino della vita.

Due

Mai avrebbero, però, pensato che una delle prime prove insieme, come coppia, dovesse essere talmente ardua non solo a superarsi ma anche a dirsi. In quella torrida mattinata di luglio del 2010 si consumava dentro Sara una lenta e dolorosa morte. Il bimbo che portava da poche settimane in grembo, e che amava come fosse già venuto al mondo, era morto. Se ne sarebbe accorta solo nel primo pomeriggio quando i dolori lancinanti al basso ventre e le macchie di sangue non avrebbero lasciato più dubbi. Era il suo primo aborto. Le lacrime scendevano giù senza sosta, senza freno il dolore che provava aveva deciso di uscire dal petto bagnando la fronte, le guance, le mani. A Fausto era riuscita ad inviare solo un messaggio: Ho delle macchie di sangue. Chiamo mia madre per contattare la dottoressa e poi vado subito a casa nostra. Ho tanta paura, corri da me. Quando una coppia sa di aspettare un figlio a immediatamente dallo stato di ‘marito e moglie’ a quello di genitori. Anche senza ancora vederlo quel bimbo. Loro si sentivano genitori dal primo ciclo mancato e non vedevano l’ora, da giovani sposi, di iniziare questa nuova avventura. Fausto ha avuto da subito nei confronti di Sara un senso di particolare protezione. Sarà perché hanno otto anni di differenza, sarà perché quando ami qualcuno così profondamente ti viene naturale proteggerlo come se fosse un prezioso Swarovski, pronto a rompersi al primo colpo. Anche in quest’ occasione, lui fu premuroso e avvolse Sara in un abbraccio senza fine, quando si incontrarono a casa, verso le 15 di quel triste giorno. Nonostante le parole cercassero di nasconderlo il suo viso cereo mal celava la tristezza, il dolore, il senso di smarrimento. La dottoressa che chiamò Sara per avvisarla dell’accaduto le parlò di selezione naturale. «A volte capita- disse la dottoressa Tammarota- che un feto sia impossibilitato ad impiantarsi per un motivo a noi inspiegabile, la chiamano selezione naturale. Noi che crediamo in Dio sappiamo che ha in riservo per noi grandi cose». Sarà. Sara

però vedeva solo tutto nero. Ritrovò la Tammarota dopo poco. Dovette recarsi a Pozzuoli per il pap-test e le ecografie uterine che di rito si eseguono in questi casi. Doveva anche controllare il suo seno: da marzo 2006 portava, infatti, ospite nella mammella sinistra un tumore benigno, un fibroadenoma. Mai come quel giorno parlare con il suo oncologo sembrava la fuga più piacevole dall’incontro con il suo utero ‘inospitale’ che si sarebbe consumato nella stanza accanto. Ma mentre lui parlava di una crescita costante ma lenta della sua massa adenomatosa, Sara pensava solo a quel che invece non sarebbe mai cresciuto, al bambino che avrebbe voluto avere tra le braccia e che invece aveva visto scivolare giù dalle sue gambe alle pareti del water. Sì, è andata così. Straziante ed atroce. La sensazione di muco che scendeva la spinse a visitare il bagno della radio e subito notò le macchie. I colleghi la scortarono a casa. Il tempo di salire, piangendo, i tre piani che portavano nella sua nuova abitazione. Corse in bagno. Alzò la gonna. Si sedette. Sentì un tonfo. Non resistette e guardò in basso. Una palla poco più grande di un fagiolo giaceva inerme nell’acqua del water colorata di rosso. “No”. Urlò, secca, con una voce che a sua madre sembrò tanto pungente, penetrante e piena di rabbia da farla correre in bagno ad abbracciarla. Lei aveva già capito cosa stava accadendo. Sara, invece, ancora oggi non capisce. O forse una ragione non la vuole proprio trovare. Eppure in tanti, specialisti o semplici amici, hanno cercato, in base alle loro competenze, di trovare una risposta, il busillis, la causa scatenante.

Tre

Ricorda ancora che il ricercatore che dall’agosto 2010 si occupava del suo tumore benigno quando gli raccontò dell’aborto, le disse: «Sei giovane, ci saranno mille motivi che hanno potuto scatenare un aborto. Certo, il tumore, l’aborto ma cara mia ho tanti pazienti che come te vengono dalla cosiddetta terra dei fuochi, son zone altamente inquinate ed in America stiamo studiando proprio l’aumento dei tumori in quei territori. Comunque- la salutò sorridente De Laurentiis- sii contenta: hai avuto un aborto spontaneo, senza necessità di raschiamento e il tuo tumore è benigno. Dobbiamo fare solo una routinaria biopsia». Nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa di positivo fece sue le parole di Michelino De Laurentiis, l’oncologo. Solo un aborto spontaneo. Solo una routinaria biopsia. Avevano parlato spesso di aborto durante i loro tre anni di fidanzamento. “Come puoi imporre a qualcuno di tenere per forza un figlio?” le diceva Fausto, iniziando il loro dibattito. Sara, però, cristiana cattolica, ferma nei propri valori senza mai trascendere nel bigottismo, gli rispondeva sempre allo stesso modo: “la vita è un dono prezioso e va rispettata sin dalla sua formazione cellulare. Non riuscirei mai ad ammettere l’uccisione di una vita umana”. Fausto ridacchiando le elencava una serie di casi “Violenza sessuale, ragazze madri, persone che non sanno come mantenere un figlio. L’aborto è una forma di libertà”. Sara chiudeva il discorso ferma: “La violenza sulle donne è un atto omicida di per sé, ci lede nell’intimo privandoci della nostra dignità ma il povero piccolo che ne nasce non per questo merita la morte. In questo come negli altri casi che mi hai elencato, io opterei per l’adozione. Libertà è vivere, non morire”. In quei giorni, però, con un aborto nel cuore Fausto ripensava alle parole di un tempo e si ritrovava, sorprendendosi di come la vita ti porti a cambiare così radicalmente opinione, d’accordo con Sara. Anche se solo un embrione quel bimbo loro lo avevano amato da subito, e quell’aborto li univa in un dolore pari ad una morte violenta. In quei giorni Fausto comprese il significato delle parole che la sua Sara da fidanzati gli ripeteva: “L’aborto è per me l’uccisione di una vita umana”. Loro erano morti dentro, come quel figlio era morto qualche

settimana prima. I mesi arono via veloci. Il tempo inesorabilmente trascinava via il dolore, ma non il ricordo. I mesi, le stagioni, cambiavano, e Sara e Fausto arrivarono a festeggiare il battesimo di una bimba nata ad amici di famiglia. La piccola Rosa festeggiava il suo ingresso tra i figli di Dio. Era il 18 dicembre 2010. Sara e Fausto si presentarono raggianti alla festa per la dolce bimba dagli occhioni azzurri. E ne avevano ben donde. Da due mesi Sara portava in grembo un bimbo. L’ultimo controllo lo aveva fatto il 25 novembre, ancora a Pozzuoli. Tutto procedeva per il verso giusto. Quel giorno festeggiarono felici circondati da amici che come sempre in presenza di una donna incinta diedero vita al ‘toto sesso’ . La pratica più diffusa e che vede tutti impegnati nel tentativo di indovinare il sesso del nascituro. A chi le chiedeva se avesse o meno preferenze di sorta, Sara rispondeva che le bastava sapere che c’era, suo figlio. Il resto era a dir poco superfluo. La sera, dopo la festa, Sara e Fausto corsero in un centro commerciale in cui, con un collega lei presentava una serata di gala. Era felice, coccolata da chi la circondava e serena. Certo, correva in bagno con una frequenza incredibile e non certo perché ne avesse bisogno. L’esperienza di luglio l’aveva segnata così tanto che trovava quasi calmante la reiterata pratica della banalissima minzione. Tutto filava liscio, in bagno non aveva alcuna spiacevole sorpresa e così dopo la presentazione Sara e Fausto tornarono felici a casa, pronti a riposarsi dopo una giornata molto stressante. E lì di nuovo. Nell’istante in cui Sara si alzò in piedi, vide delle macchie scure di sangue. Era ormai al terzo mese di gravidanza e le sembrava assurdo quel che stava vedendo. Urlò a Fausto di mettere di nuovo la giacca e di correre al Pronto Soccorso di Giugliano, la loro città. Percorsero i pochi chilometri che separano la zona del cimitero cittadino dall’ospedale in un silenzio talmente surreale da far percepire i reciproci pensieri l’uno all’altra. Ancora una volta. Ma cosa ci sarà mai che non va? Fausto riuscì a sillabare un “Stai tranquilla, magari ti sei sbagliata”. Sara scese al Pronto Soccorso e subito raggiunse il ginecologo di guardia

spiegandogli quanto accaduto. Il dottore le chiese di stendersi e di prepararsi ad un controllo ecografico. Avvenne una cosa molto strana. Non dal punto di vista medico, quel che avveniva nel suo grembo era talmente avvilente per Sara che gridare al miracolo risulterebbe blasfemo. Eppure le parole che usò quel medico, in quella gelida notte dicembrina, furono forse fondamentali per darle la forza di reagire. «E’ praticamente un miracolo- le disse, cercando con gli occhi l’assenso dell’infermiera che gli faceva da assistente- il feto è morto alla quinta settimana. Lei lo porta morto in utero da circa due mesi. È un miracolo che lei non sia morta di setticemia». L’infermiera assentiva. Sara, però, era ormai altrove. Cercava gli occhi di suo marito di là dal vetro. Li trovò. Scese una lacrima e la sua testa oscillando da destra a sinistra gli fece capire che non c’era più nulla da fare. «Domattina corra qui. Dobbiamo fare un raschiamento urgente». Quella notte, tornati a casa, Sara e Fausto si abbracciarono come mai prima. Tutta la notte la trascorsero così, l’uno nelle braccia dell’altra, nel tentativo di ricordarsi che erano ancora loro due: i due ragazzi che in piazza Matteotti in una serata di settembre si erano scambiati imperiture promesse. Appena il sole sorse Sara si preparò per scendere e subire quel raschiamento che a luglio le avevano detto di aver fortunatamente evitato, grazie ad un aborto spontaneo. Mentre si vestiva però scoppiò in un pianto incontrollato. Ripeteva continuamente la stessa frase: “Eri dentro di me, eri qui, ed ora non ci sei più. Perché?”. Oggi, a quattro anni di distanza, Sara dice di rendersi conto che quella domanda retorica non cercava alcuna possibile risposta, ma era solo uno sfogo irrazionale. Si sentiva inutile, incapace dell’unica cosa che è innata per una donna: l’essere madre. Giunsero in ospedale, Sara trovò subito il medico della sera prima che la portò in una sala con cinque letti diversi. Le diede una pillola che avrebbe dovuto facilitare la fuoriuscita del feto. ò un’ora. Nulla nel suo corpo era cambiato. Si dice che gli Ospedali siano luoghi strazianti. Quello, in quel giorno, per lei lo fu davvero. Accanto a Sara c’era una donna in travaglio. ‘Santo Dio, pensò, quanto si può essere indelicati a mettere una donna in travaglio accanto ad un’altra che deve subire un raschiamento’. Iniziò a piangere, silenziosamente. Poi forse quel che a lei sembrava un pianto silenzioso divenne in realtà piuttosto forte; l’infermiera si avvicinò a Sara chiedendole cosa ci fosse che non andava.

Pensò che uscita di lì avrebbe parlato con qualcuno alla sanità regionale per chiedere di istituire un corso di tatto e buone maniere per infermiere. Ovviamente non rispose. Arrivò il suo turno. Fausto le diede un dolce bacio sulle labbra salutandola con un “quando uscirai sarò qui”. Tirò un sospiro di sollievo. In sala operatoria Sara incontrò l’anestesista che parse un po’ sorpreso sentendole dire che non aveva mai subito prima d’ora un’operazione e che quindi ignorava qualunque possibile reazione all’anestesia. La mise subito a suo agio. Le chiese di parlargli di lei. Sara raccontò che era sposata da poco, che era giornalista presso un quotidiano online dell’area nord e faceva la speaker in una nota radio. Rimase basito, però, quando chiedendole l’età e la sua situazione clinica gli spiegò che aveva 25 anni, un tumore al seno e che quello era il suo secondo aborto. Entrarono tutti gli altri: medici, infermiere, giovani assistenti. Era arrivato il momento. Si salutarono con il ginecologo e l’infermiera che aveva conosciuto la notte precedente. Parlavano di palestra, tra di loro. Dopo sarebbero andati ad allenarsi. “Per loro- pensò Sara- io e la morte di mio figlio siamo solo una momentanea interruzione in una giornata di lavoro ed hobby”. Si sentiva morire. Poi l’anestesista le disse che le avrebbe fatto sognare qualcosa di meraviglioso. Le parlò di un film, Inception, uscito da poco nelle sale. Lui avrebbe fatto dormire Sara come Di Caprio dormiva in quel film, sognando nello stesso tempo, durante la fase di stasi celebrale, una vita parallela. Lei conosceva bene quel film. Erano andati a vederlo qualche sera prima con Fausto e due loro amici, Antonio e Salvatore, con i quali ancora stavano dibattendo alla ricerca della chiave interpretativa. Le venne da sorridere al pensiero di finire in qualche mondo parallelo che non conosceva. Poi l’anestesista disse a Sara che era pronto e le chiese di pensare ad un momento molto felice della mia vita, di ricordarlo in quel momento: “Portalo con te” le sussurrò nelle orecchie. “Ah- disse Sara tra sé e sé- nulla di più semplice, il mio momento molto felice è impresso nella mente in maniera così nitida!”

Quattro

Siamo in una calda mattinata di primavera. È il primo di maggio del 2010. Sara porta un abito bianco con ricami in pizzo ed un velo stupendo che le contorna il viso. Fausto è in abito nero, bello e dolce al contempo. Davanti a loro, l’amico di una vita, padre Alfonso, ricordandogli che sposare di primo maggio non gli era mai capitato, chiede a Sara e Fausto di scambiarsi gli anelli. Il loro ‘si’ risuona forte nella volta dipinta di San Pasquale Baylon. Si guardano sorridenti e prima di uscire Fausto prende il viso di Sara tra le mani baciandolo dolcemente. Pioggia di coriandoli e riso, che ridendo quella sera si toglieranno di dosso a fatica. La mente, in quei momenti in cui Sara era dormiente e non capace di capire cosa stesse accadendo, la riportò agli alberi di aranci sotto cui pranzarono per festeggiare le loro nozze. Riaffiorano agli occhi i colori, il suono delle risate degli amici lo sente vivido nelle sue orecchie. Riesce addirittura a rivedere suo cognato e suo fratello che prendono un pallone e chiedono agli sposi di metter su una partita di calcio. E la caduta sul campo di un caro amico di Fausto…Dio, che bella giornata. Di colpo Sara si ritrova sveglia, sente le sue parti intime talmente doloranti da non riuscire a percepirne i confini fisici. Apre gli occhi e si ritrova nella stessa stanza in cui era all’ingresso. Con la stessa donna ancora in travaglio. Accanto a lei, però, ora riesce a scorgere la sagoma di Fausto che le stringe la mano sinistra. La destra è ferma nel letto con una flebo nel punto centrale del braccio. Nell’istante in cui suo marito le chiede come sta, mentre cerca di dirgli che a parte i dolori al basso ventre sta bene, Sara si rende conto che del sangue fuoriesce in maniera copiosa dall’ago che portava nel suo sangue i liquidi post operatori della flebo. La sacca era terminata ma nessuno l’aveva chiusa. La chiude da sé. Il lenzuolo ormai è rosso e il braccio di Sara già visibilmente emaciato. Fausto vorrebbe andare su tutte le furie, ma l’arrivo del ginecologo lo ferma. Il medico dimette Sara e le chiede di tornare poi, finite le perdite, al suo studio per un controllo e per avviare le indagini che avrebbero consentito di capire come mai soffriva di questa strana poliabortività. Fausto sentenzia la scarsa deontologia del medico appena varcata l’uscita: “Si,

allo studio privato. Perché non qui? Perché non prenderesti cento euro per dirci di fare delle analisi? Ma dai!”. Arrivarono a casa della madre di Sara, a Qualiano, che li aspettava con un brodo caldo. Il suo stomaco ormai era chiuso. Se per gli altri era finito un triste episodio, nella testa di Sara continuavano a ronzare le parole che dalla mattina si ripeteva senza soluzione di continuità: “Perché non riesco a far quello per cui naturalmente dovrei esser predisposta? Ieri ero felicemente incinta. Oggi sono vuota, troppo vuota”. Dormì l’intero pomeriggio. Si svegliò sentendo il corpo di Fausto accanto al suo. Gli chiese di tornare a casa loro. Voleva un po’ di tempo da soli, solo loro due, per parlare, piangere assieme, pianificare il da farsi. Giunti a casa Sara ricordò che la sua testimone di nozze aveva un’amica ginecologa. La chiamò chiedendole di fissare un appuntamento. Avrebbe incontrato la sua nuova ginecologa ai primi di gennaio. Sara e Fausto si sentivano stranamente sollevati. Qualcosa, o forse solo la voglia di non arrendersi, la speranza che sola resta nel vaso di pandoriana memoria, diceva loro che tutto si sarebbe risolto per il meglio.

Cinque

I mesi successivi li arono, su richiesta della nuova ginecologa di Sara, tra endocrinologi, centri specializzati e laboratori di analisi. Fu in un pomeriggio di febbraio che qualcosa cambiò radicalmente. Sara e la sua testimone di nozze, Martina, erano insieme, sedute di fianco, nello studio della dottoressa. Lei, col suo camice bianco e gli occhiali che come uno specchio riflettevano le mille e più bomboniere di nascita esposte sul mobile dell’ingresso al suo studio, guardò Sara e azzardò una diagnosi per lei incomprensibile: “Penso si tratti di una mutazione genetica. Un piccolo elemento del tuo sangue o del tuo DNA è diverso dal normale e non riesce a farti portare avanti le gravidanze. Basterebbe, se così fosse, fare delle particolari iniezioni che consentirebbero a te ed al bambino di arrivare sereni al parto”. Le analisi successive confermarono la teoria della giovane ginecologa. L’ematologo confermò poi a Sara che era trombofiliaca e che una proteina del suo sangue era troppo alta, mentre aveva una particolare mutazione genetica di un fattore noto come Mthfr, tipico nelle popolazioni del mediterraneo. Sara era così felice che lo avrebbe gridato al mondo. Quel giorno festeggiarono senza sosta, con i genitori di Sara e con Fausto. Certo all’apparenza c’era poco da festeggiare eppure aver individuato finalmente il problema e sapere cosa fare per portare avanti una gravidanza li rendeva tutti così felici. Purtroppo, però, in Sara, ma se ne rese conto solo dopo, nei mesi se non nelle settimane seguenti si sviluppò un’atroce caccia alla gravidanza. Inconsapevolmente ora voleva solo restare incinta, voleva solo mettere alla prova i risultati laboratoriali e avere un figlio. Nei due mesi seguenti, ogni qual volta si presentava un minimo ritardo nella comparsa del ciclo mestruale Sara ricorreva al test di gravidanza. Per poi ripiombare nello sconforto alla lettura dell’ennesimo ‘non incinta’. Fausto si rese conto subito della strana psicosi da bambino e decise che dovevano fare un viaggio insieme, per staccare la spina. Edimburgo in marzo è bellissima. I colori del tramonto che si stagliano sugli edifici in pietra del West End fanno sognare. Fausto era felice per questo viaggio insieme. “Staccare la spina per qualche giorno farà bene ad entrambi” aveva

detto prima di partire. Sara però non riusciva veramente a staccarla quella spina. Mentre insieme percorrevano il Royal Mile che univa la parte storica della città scozzese alla New Town, lei continuava a pensare al figlio che avrebbe voluto portare con loro, negli stupendi viaggi che avevano in programma. I negozi per bambini, il museo dell’infanzia, erano lì a ricordarle quelli che Sara definiva “i suoi fallimenti”. Ma Fausto non si arrendeva, continuava a cercare in tutti i modi di distrarla, di farla sentire importante, di farle capire che per lui era essenziale, e che per ora bastava che fossero insieme, felici, il resto poi sarebbe arrivato. Alla fine di quei cinque giorni insieme, in Scozia, sembrava quasi che il vento prepotente delle Highlands avesse spazzato via dalla mente di Sara quell’angoscia pesante che da mesi si trascinava dentro e che pian piano la stava portando ad una non-vita. Sì perché, di fatto, Sara da quel dicembre in cui aveva subito il raschiamento all’utero, si trascinava nella vita a i pesanti e lenti. Non sorrideva più. Accennava forse, qualche volta, a una smorfia del viso simile a un sorriso. Ed il suo sorriso a Fausto mancava più di ogni altra cosa al mondo. Sin dal loro primo incontro Fausto ripeteva ogni giorno a Sara che era follemente perso del suo sorriso. “Nessuno potrà mai dirti di no se sorridi così, con la bocca, con gli occhi, col cuore”, le diceva. Fausto temeva quasi di chiedere a Sara come si sentisse, come erano stati quei giorni insieme in Scozia. Il terrore che si tornasse a parlare di gravidanze mancate, rivivere quel dolore che era così atrocemente vivo in lui, era forte. Fu solo una volta atterrati a Roma che Sara si accorse che qualcosa era cambiato. Le due ore e mezzo di viaggio e la scarsa fiducia nei bagni aerei, avevano portato la sua vescica ai limiti della pienezza. A Fiumicino corse in bagno. Le era venuto il ciclo mestruale. Ma con sua grande sorpresa scoppiò in un pianto di gioia, liberatorio. Quello che fino ad ora era stato un momento tragico, la ricomparsa del ciclo che annunciava una non avvenuta fecondazione, ora le sembrava la cosa più naturale del mondo. Aveva finalmente capito, grazie soprattutto alle parole ed alla silenziosa premura di Fausto, che prima di esser madre lei era una donna, giovane e bella, pronta ad agguantare la vita per il bavero della giacca, come era stato a dicembre, quando per poco non aveva rischiato la morte.

Corse fuori dal bagno e incrociando lo sguardo di Fausto sorrise, piangendo. Gli si avvicinò, aiutandolo a prendere i bagagli dal rullo trasportatore e gli disse con una voce così serena che Fausto aveva quasi dimenticato: “Amore mio, scusami se in questi mesi non ci sono stata per te. Sono tornata. Sto bene e sono felice, felice di avere te”. Fausto era così felice, così sollevato, che accantonati i bagagli a terra, prese Sara per il braccio ed iniziò a ballare. Un ballo scomposto, senza senso, senza regole, dal quale però traspariva tutta la loro felicità. Erano riusciti finalmente a buttarsi alle spalle il momento più brutto della loro vita insieme. Nei mesi successivi Fausto e Sara continuarono la loro vita serenamente. Facevano progetti, arredavano giorno per giorno la loro casa rimasta priva di vita dal luglio dell’anno prima. Fausto continuava il suo lavoro in banca e Sara aveva intanto lasciato la radio per insegnare in un liceo privato della zona. La sua vera vocazione, dati gli studi universitari e la specializzazione in lettere. Continuava a scrivere ed organizzare la presentazione di eventi. Nell’estate di quel 2011 a Giugliano si sarebbe svolto un bellissimo festival Jazz, in piazza, all’aperto, che Sara non vedeva l’ora di presentare. Lei e Fausto adoravano il jazz. Sara veniva da una famiglia di musicisti: il padre ed il fratello suonavano il piano e scrivevano canzoni che cantavano meravigliosamente. Sara stessa amava suonare il violino e trovava nel canto una pratica liberatoria. Fausto, dal canto suo, amava dire che la musica gli aveva salvato la vita. Era inevitabile che insieme alimentassero questa reciproca ione. Qualunque luogo promuovesse buona musica, nel raggio di 100 chilometri, li vedeva protagonisti. Adoravano ascoltare e commentare le esibizioni dei gruppi che ascoltavano e così, la preparazione per quel festival jazz, finalmente nella loro città, li entusiasmava non poco. Ne parlavano con tutti. Anche agli amici di una vita, Arianna e Aniello, con cui spesso si ritrovavano insieme con le figlie dei due, pronte ad ascoltare i racconti di Sara e Fausto. Anche in quella sera di maggio Sara e Fausto erano con Arianna ed Aniello. Nell’attesa che arrivassero le pizze per la cena, Arianna chiacchierava con Sara del più e del meno. Ma guardandola negli occhi Arianna non poteva non notare un particolare per lei segno di qualcosa di molto evidente. “Hai messo le lentine?” chiese Arianna a Sara, “o sei influenzata?” . Sara sembrò sorpresa da quelle domande e rispose sorridendo con un “No, nessuna delle due, ma perché mi chiedi queste cose? Che devi dirmi?”. Arianna iniziò a parlare cautelandosi con un preambolo che lasciava intuire già il contenuto della sentenza che di lì a poco avrebbe emanato. “So bene- iniziò Arianna- quel che hai ato e che ti

sei buttata alle spalle con la forza che ti contraddistingue da quando ti conosco”. “Ma c’è qualcosa nei tuoi occhi e…” si interruppe. Non sapeva se continuare o meno. Sara era impaziente di capire cosa vedesse Arianna in lei quella sera. “Dimmi pure- cercò di tagliar corto Sara- tanto mica potrai dirmi qualcosa di atroce?!”. “Hai gli occhi lucidi, la carnagione luminosa: secondo me sei incinta”. Sentenziò Arianna. La frase di Arianna creò un improvviso silenzio in casa. Tutti la percepirono. Fausto si girò di colpo. Aniello lanciò uno sguardo alla moglie a metà tra il critico ed il disarmato. Ma quel che colpì tutti, indistintamente, fu la risposta di Sara. Non si era accorta dell’improvviso silenzio, degli sguardi puntati su di lei ed in attesa di una reazione. Gli altri, forse anche lo stesso Fausto, temevano una reazione violenta o quantomeno eccessiva da parte di Sara. Ma lei sorrise e con voce sottile ma profonda rispose con un “Ah si? Ne sono convinta anch’io da qualche settimana. Devo solo fare il test”. Quella sera a tavola non ne parlarono più. Ma tornati a casa Fausto tornò subito alle parole sentite tra sua moglie ed Arianna. A lui Sara aveva detto che notava qualcosa di diverso da qualche giorno ma, ed era comprensibile, nessuno dei due voleva sbilanciarsi in un affermazione di gioia che da un lato avrebbe ammesso tacitamente che per quanto volessero nasconderlo stavano aspettando insieme che il miracolo della vita si compisse. Il giorno dopo Sara decise di entrare, dopo tanti mesi di assenza, in farmacia per un test di gravidanza. Era a Qualiano, non volle perder tempo ed anziché tornare a casa fece un salto da sua madre, con la scusa di volerla salutare dopo esser ata da un’amica che abitava in zona. “Corro un attimo in bagno, mamma”- annunciò Sara dopo aver salutato entrambi i genitori. Arrivò nel primo dei due bagni della casa paterna e pian piano tolse dall’astuccio il test di gravidanza. Ne aveva comprati due, nel malaugurato caso che nell’impeto dell’apertura il test si rompesse. Seguì le istruzioni. Sul foglio illustrativo c’era scritto che dopo qualche minuto la clessidra avrebbe smesso di lampeggiare sul display digitale e sarebbe comparso il risultato del test di gravidanza. Sara non sapeva se voleva guardare o meno. Posizionò il test sul marmo del davanzale, lavò le mani. Erano ati solo trenta secondi ma corse a guardare. Con stupore la clessidra non campeggiava più nel led del display. “Ecco, era rotto”, pensò Sara ed invece dopo qualche secondo lesse nitida la scritta “Incinta 1-2”. Era incinta, da circa due settimane.

È strano come a volte quanto più ti accanisci alla ricerca spasmodica di un qualcosa, pare non arrivi mai, per sorprenderti poi d’improvviso quando ormai non ci pensi da tempo. Per Sara era stato così. Da quel marzo ad Edimburgo la sua vita era cambiata in meglio. Era tornata la serenità, la felicità nel suo viso e nella vita di Fausto e sua. Ora una felicità nuova bussava alle loro porte. Consapevole che ormai sapeva cosa avrebbe dovuto fare con la sua nuova ginecologa e le sue cure ad hoc, la notizia di una gravidanza non l’angosciava più. Fausto era a lavoro, in piena attività. Ma Sara proprio non poteva aspettare la pausa pranzo per dargli la conferma che tanto aspettavano. Così gli scrisse un messaggio: “Amore mio, c’è una piccolina in arrivo. Siamo incinti”. Fausto la chiamò immediatamente a casa di sua madre, e Sara esplose in una gioia tale da render chiaro alla madre il motivo della corsa in bagno e della improvvisa telefonata di suo genero. “Mi hai scritto che è una piccolina. Questi test sono talmente precisi al giorno d’oggi che ti dicono il sesso in anteprima?” chiese Fausto. “Sono convinta che sarà una bimba. Ma qualora mi sbagliassi che importa” rispose Sara.

Sei

La prima visita ginecologica la fecero insieme, nello studio vicino alla clinica di Villaricca presso cui prestava servizio la ginecologa e dove, quindi, Sara avrebbe partorito. Era stata in quelle zone diverse volte, da bambina e si era innamorata delle ville ricche di verde che osservava dalle inferriate mentre con sua mamma eggiava per raggiungere il nosocomio in cui il papà era ricoverato per i tanti interventi subiti all'intestino ed all’addome. In quel momento però tutto le appariva nuovo, diverso. Diversi erano i suoi occhi che guardavano quel paesaggio proiettandosi più in là di qualche mese e vedendosi a percorrerlo prima con un carrozzino e poi mano nella mano con una bimbetta dallo sguardo furbo e gli occhi vispi. Dalla prima visita emergeva che tutto andava per il meglio. Sara avrebbe dovuto farsi iniettare ogni giorno dell’eparina e fino al terzo mese di gravidanza avrebbe dovuto assumere degli ovuli di progesterone. Ma nessun sacrificio sembrava tanto duro da sopportare. Ad ogni rinuncia corrisponde generalmente una considerevole contropartita. In questo caso la contropartita era la loro piccola bimba. A settembre arrivò la conferma, Sara aveva ragione. Era una femmina. Confezionò lei stessa le bomboniere regalo per la nascita: delle piccole scarpette rosa di lana, al cui interno mise dei sacchetti di confetti per gli ospiti che avrebbero fatto visita in clinica e poi a casa al nuovo trio ed alla nuova arrivata. Sistemarono casa per il nuovo arrivo. Culla, carrozzina, porte-enfant. Tutto era pronto ormai. Anche le piccole tutine e vestitini che avrebbero accompagnato le prime fiere uscite della piccola. Si ricoverarono insieme Sara e Fausto. Avevano deciso che quello doveva essere un momento tutto loro e che si sarebbero fatti forza assieme. A causa della trombofilia gli ematologi avevano consigliato a Sara un taglio cesareo. Per lei poco contava il modo, voleva solo avere tra le braccia la usa piccola. Lidia venne al mondo alle 11:25 del 14 gennaio del 2012. Quando Sara la vide tutta ricoperta di vernice caseosa e con la boccuccia in costante movimento, le diede un profondo bacio e le sussurrò “Benvenuta al mondo, angelo mio, ti stavamo aspettando”. La ginecologa era emozionata quanto Sara nel comunicare

subito a Fausto, in attesa con la fiumana di amici e parenti al di là della sala parto, che la piccola Lidia era nata. Fausto la abbracciò, ringraziandola per quanto aveva fatto per loro. Appena arrivata in stanza, dalla sala operatoria, Sara cercò Fausto chiedendogli un abbraccio. Il parto era stato indolore ed anche ora che la parte sub addominale si stava risvegliando dall’anestesia, Sara avvertiva il dolore ma lo riteneva più che sopportabile. Dopo poco irruppe Arianna in camera. “Ragazzi non avete scritto nulla neppure su facebook, mi sono preoccupata. Insomma, è nata la piccola Lidia?”. Scoppiarono a ridere. Lidia era lì, nella stanza con loro, osservava tutti con sguardo curioso ed occhi pronti a conquistare il mondo. “E’ uno spettacolo” disse commossa Arianna. La prese in braccio. Sara e Fausto le comunicarono quel giorno che sarebbe stata lei la madrina di battesimo della piccola Lidia, lei per prima si era accorta che Lidia era lì, negli occhi e nel cuore di Sara. Ce l’avevano fatta. Erano una famiglia serena e felice. Dopo qualche giorno tornarono a casa, insieme, tutti e tre. Finalmente. Si adattarono subito alla nuova presenza e la piccola Lidia fece di tutto per farsi amare alla follia, tra sorrisi abbozzati, pianti notturni e coccole tra mamma e papà. Quell’inverno fu particolarmente rigido. Sara che da sempre era meteoropatica, mal sopportava le temperature ferree che, in quel caso, con una bimba appena nata, le impedivano di concedere a lei ed a Lidia anche brevi eggiate. Arrivò la neve, che mancava da almeno trent’anni. Anche il cielo, pensarono Fausto e Sara, voleva festeggiare in qualche modo l’arrivo di Lidia. Decisero così che arrivata la bella stagione avrebbero recuperato il tempo perduto, concedendosi eggiate, escursioni nei boschi e tra le montagne e lunghe vacanze al mare. Avevano la possibilità di trascorrere alcuni giorni in Calabria, dai genitori di Fausto ma con una bimba appena nata e l’ansia che contraddistingue tutti i neogenitori, preferivano evitare il lungo esodo estivo della serpeggiante SalernoReggio Calabria. Cercarono luoghi vicini per le vacanze estive, prenotando per luglio nel Cilento. Sara ci era stata molte volte da bambina e amava quelle zone. Per la loro storia, per i miti di Enea, Palinuro e Nettuno che hanno origine in quei luoghi. Il padre di Sara era di origini greche e faceva della mitologia il suo pane

quotidiano, facendola diventare anche una delle ioni principali di sua figlia. Così mentre con Fausto s’incamminavano lungo le coste di Marina di Camerota, Sara raccontava alla piccola Lidia di Palinuro, nocchiero dell’eroe virgiliano che trovò la morte cadendo in mare di notte, tradito dal dio Sonno, mentre conduceva la flotta verso l'Italia. Sara spiegava di come Palinuro fosse stato poi catturato dalla gente del posto e di come il suo corpo fosse stato buttato in mare. “E’ per questo che quel promontorio (indicò Sara dai vetri dell’auto) si chiama Capo Palinuro. Pensa che fu il dio Nettuno a chiedere alla bellissima dea Venere, in cambio della salvezza della flotta di Enea, almeno una vittima. Ed ecco che il povero Palinuro ci andò di mezzo ”. La piccola Lidia sorrideva come se comprendesse le storie raccontate dalla mamma. Fausto annunciò che erano arrivati a Pisciotta, a breve sarebbero giunti al residence scelto nei mesi precedenti per le due settimane di vacanza. Furono delle settimane piacevolissime. Il mare era una tavola. C’era una piccola conca ricavata con gli scogli e che aveva formato una sorta di piscina naturale per cui, anche se altrove le acque erano agitate, loro riuscivano a godersi la tranquillità del mare che sembrava piacere tanto alla piccola Lidia, felice di sguazzare tra le braccia di mamma e papà nelle acque cilentane ricche di mito e storia. Lidia divenne ben presto la mascotte del villaggio presso cui soggiornavano. Nonostante avesse poco più di cinque mesi la sua simpatia era già esuberante e contagiante e spesso cercava, a suoni e gesti, di attirare l’attenzione dei piccoli compagni di viaggio, convincendoli in un linguaggio tutto infantile a concederle un bacio o una carezza. Le fresche sere di Palinuro concedevano un piacevole ristoro al caldo mattutino. Fausto era entusiasta della loro scelta. Sara era raggiante, ma avvertiva degli strani dolori. Sapeva che si avvicinava il momento del capoparto, la ripresa della fertilità dopo la ‘pausa’ concessa al ventre femminile da una gravidanza. Attribuiva quindi al ritorno imminente delle perdite ematiche quella sensazione di gonfiore, di pesantezza intestinale, di cambio repentino di umore. Le mamme che aveva conosciuto al corso pre-parto e che non erano al loro primo figlio, le avevano già raccontato che poi sarebbe arrivato il capoparto, che spesso poteva presentarsi come un ciclo mestruale un po’ più doloroso, a causa anche delle dimensioni dell’utero che aveva subito uno stress non da poco. Ovviamente anche i punti del taglio cesareo si facevano sentire non poco. Ma Sara ormai si era data la sua spiegazione. E dati i trascorsi, il dolore non lo sentiva quasi più, tanto era compensato dalla gioia di veder crescere giorno dopo

giorno, insieme a Fausto, la loro piccola Lidia. Dopo sei giorni di attesa il capoparto, però, non si era presentato. E i dolori persistevano. Meno forti ma meno comprensibili per Fausto che ne subiva il racconto costante. Sara iniziava a capire di cosa si potesse trattare. Riconosceva i sintomi. Pesantezza, gonfiore, ed una fame non più- almeno per lei- attribuibile all’intensa attività marina e di animazione estiva. Sara non sapeva se credere a quel che il suo inconscio da giorni le suggeriva e se fidarsi o meno del suo istinto. Quel che stava accadendo era per lei così incredibile che il solo ammetterlo a voce alta le sembrava ne sminuisse l’intensità. Appena svegli, il 7 luglio 2012, Sara guardò Fausto negli occhi e cacciò fuori la sua verità nascosta: “Sono incinta, di nuovo”. Fausto non riuscì a reagire ma dopo qualche minuto cercò di capire se si trattava di una mera sensazione o c’era dell’altro. Lidia aveva solo cinque mesi. Era così presto. Certo, pensò tra sé Fausto, quale grande ricompensa, due figli in così breve tempo dopo due perdite altrettanto ravvicinate. Ma a Sara mostrava la più totale indifferenza, aveva di certo paura di deludere le sue aspettative e non voleva si illudesse troppo. Fu allora, dopo l’ennesimo tentativo di depistaggio da parte di Fausto, che Sara prese una decisione. Fece pranzare la piccola Lidia. Chiese a Fausto le chiavi dell’auto e si recò alla prima Farmacia del paese. Acquistato quel che le serviva tornò all’appartamento e in bagno aspettò il verdetto. Lo lesse ma lo inserì direttamente il piccolo oggetto di plastica in un sacchetto. Lo portò a Fausto e glielo porse accompagnandolo con un sorriso quasi di soddisfazione. “C’è un regalo per te, amore mio” disse Sara. Lidia batteva le manine in attesa che il suo papà scartasse la carta che avvolgeva il dono. Fausto sbigottì. Sul display di plastica lesse ancora una volta uno splendido messaggio: ‘Incinta 3+’. Da oltre un mese Sara e Fausto avevano dato vita al loro secondo figlio, il piccolo Piero, che dal 28 febbraio 2013 avrebbe poi fatto compagnia alla dolce Lidia. Solo due anni dopo, ancora a luglio, si compiva non solo un viaggio estivo che aveva portato ristoro a membra ed animo, ma il meraviglioso viaggio verso la vita di Sara, Fausto, Lidia e Piero.