EZIO FALCONIERI
IL PARCO OSBORNI
Youcanprint Self-Publishing
I fatti, i luoghi e i personaggi di questo romanzo sono immaginari.
titolo: IL PARCO OSBORNI autore: Ezio Falconieri e-mail
[email protected] copertina: Ezio Falconieri alberi rigogliosi, involontari testimoni di un brutale duplice assassinio, radicati in terra che gronda sangue. Che, prima o poi, vorrà vendicarsi.
ISBN | 9788891114136 Prima edizione digitale 2013
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Breve sinossi
Nilde e Gilberto Osborni conducono vita serena coi loro figli, in una comoda casa padronale corredata da un grande parco verde.
Nel corso di una festa tra amici, avviene un brutale duplice omicidio che sconvolge, per la sua efferatezza, l'opinione pubblica e, ancorpiù, la vita delle famiglie interessate.
I sospetti si accentrano su un mentecatto che non disdegna nutrirsi con la carne delle sue vittime, ma le indagini risultano lunghe e infruttuose; sembrano risolversi solo in seguito alla confidenza di un bambino.
Tanti sono i personaggi che primeggiano nella storia e ognuno ne diviene protagonista di un pezzo; a modo suo e nel suo spicchio, assume un ruolo predominante dando al racconto un'impronta personale.
Buona parte della vicenda si svolge in ambito universitario ed ha come legante l'interpretazione dei segni riportati su un antico manoscritto in lingua aramèa, emerso fortuitamente dopo l'incendio di una biblioteca in un paese straniero.
Non secondarie, nell'economia del romanzo, appaiono le scene a spunto sensuale che fanno da appetitoso contorno all'essenza del romanzo: fatti e personaggi fatui e stucchevoli, ma anche altri che si inseriscono gradevolmente nelle varie fasi del racconto.
1
Gilberto Osborni era intento ad ammirare le minuscole neonate delle sue piante grasse: erano una sua creatura. Dieci giorni prima aveva posato i semi sulla speciale composta, l'apposito terriccio che aveva in precedenza accuratamente preparato e sterilizzato da mesi e di cui custodiva la particolare composizione; questa veniva modificata e aggiornata di anno in anno sulla base delle sue osservazioni, di studi e confronti. Le piccolissime piantine erano appena spuntate da un paio di giorni e lui ne aveva auspicato la germinazione osservando con una lente di ingrandimento l'apparire del puntino verde tra i granelli di sabbia sparsi sulla superficie del terriccio. Anche ora scrutava la superficie del terriccio alla ricerca dei nuovi puntini verdi che, secondo le sue previsioni ed esperienze, avevano la possibilità di apparire ancora entro una decina di giorni.
-
-< Sì, Gil; tra un minuto vengo a vederli. Finisco di leggere il capitolo…> rispose la giovane moglie.
Gilberto e Leonilde erano sposati da dodici anni; avevano tre figli, Nastasia di vent'anni nata da una precedente e burrascosa relazione tra Gil e una servotta di casa, Leandro di undici anni e Leopoldo di nove anni. Loro, i coniugi Osborni, si erano innamorati lentamente e senza nemmeno saperlo, lì nella casa di famiglia di lui: una grande casa con parco sulla strada provinciale tra Santo Spirito e Giovinazzo, a una quindicina di chilometri da Bari.
Nata la piccola Nastasia e scacciata la mammina, la bimba era stata affidata alle
cure di una prosperosa nutrice ladina che se ne era occupata per quattro anni, prima di tornarsene al suo paesello transalpino. Leonilde, giovanissima puericultrice, era stata assunta da nonna Cloe per proseguire nell'accudimento della piccina e, occhiata dopo occhiata, sfioramento dopo sfioramento, l'interesse tra Gilberto e Leonilde si era tramutato in simpatia, in tenero affetto, in tiepido amore e in sfrenata ione.
Determinante fu la spinta di mamma Cloe, vuoi per il manifesto e amorevole attaccamento di Leonilde alla bambina, vuoi per dare una sistemata al disordinato vivere di Gilberto ormai quarantenne; il matrimonio risolse le ansie di Cloe rallegrata, e non poco, dall'arrivo del nipotino Leandro. La previdente nonnina, però, non fece in tempo a gingillarsi col terzo nipotino Leopoldo: non aveva retto all'emozione di sentirlo scalpitare nel pancione di Leonilde, schiattando improvvisamente per andare a raggiungere in cielo la buonanima del marito.
-< Come sono piccole!> aveva esclamato Nilde, accorsa di fianco al marito per vedere le nuove plantule.
-< Beh, dalle il tempo; domani avranno sicuramente compagnia. Poi, man mano, si svilupperanno. Ora… ma dov'è Nastasia? vorrei che le vedesse anche lei.>
-< Nastasia? credo che sia vicina a tornare; aveva lezione fino all'una. Ma ecco Felix coi ragazzi: deve aver atteso prima Leandro e poi ato a rilevare Poldo. Per fortuna le due scuole sono vicine. Pasqua!> gridò: -< E' pronto? i bambini vengono sempre con una fame…>
-< Sì, signora; tra due minuti porto in tavola.> gridò da lontano la domestica.
-< Felix, tutto bene?> chiese intanto al nuovo venuto.
-< Celto, signola; i signolini sono andati a lasciale gli zaini.>
Felix era un domestico tuttofare: cameriere, aiuto di cucina, sbrigafaccende e, all'occorrenza anche autista; era originario dello Sri-Lanka da dove era arrivato come clandestino. Incontratolo per caso, era stato assunto in prova per qualche mese e poi regolarizzato come dipendente con permesso di soggiorno. Doveva avere qualche ascendenza cinese e faticava a pronunciare la erre; e non solo… poi sembrava non avere alcun interesse per il sesso femminile.
Pasqua, una florida donna giovinazzese, lo trattava con leale fraternità chiamandolo a condividere le fatiche della cucina e della casa tutta; lei aveva famiglia a Giovinazzo dove abitava. Arrivava a casa Osborni puntualmente alle sette di tutti i giorni e, altrettanto puntualmente, cercava di tornare a casa sua alle diciannove: tutti i giorni sul suo Ciao, un vecchio motociclo di altri tempi.
Un altro personaggio che aveva libero accesso a casa Osborni era Sto', un vecchissimo contadino che veniva a curare il parco un giorno a settimana; curare, così per dire. Era curvo quasi ad angolo retto per lo strenuo lavoro di campagna svolto da tutta una vita, così ripeteva come un ritornello: si limitava a spazzare il viale e ad osservare la vegetazione indicando ai proprietari i lavori di manutenzione occorrenti e a incaricare tra i suoi conoscenti le persone adatte a svolgerli.
-< Ciao, mamma.> i due figlioli all'unisono, baciando Nilde.
-< Ciao, bambini; bacetto a papà e a lavare le mani.> impose la mamma,
indicando Gil con un gesto del capo. I ragazzi corsero dal papà e Poldo: -<Sono nati?> chiese.
-< Sì, eccoli qua; sono i primi. Sono in attesa dei fratellini.>
-< Come sono piccoli…> osservò Leandro.
-< Be', pensa a come eravate piccoli voi il primo giorno… e ora, dopo vari anni… ma anche loro, fra qualche anno, saranno come le madri lì sul terrazzo. Ma la specie è quella, diventeranno grandi quanto una moneta da due euro o poco di più.>
-< E Nastà? non c'è ancora?> chiese il ragazzo, pensando al pranzo.
-< No, starà arrivando.> si intromise Nilde: -
aggiunse, nel sentire un tocco di clacson.
I ragazzi si affrettarono verso il bagno, incrociando la sorella, mentre entrava:
-< Ciao a tutti, il traffico, oggi… mi ha fatto fare tardi!> baciò i genitori e, insieme, si avviarono nella sala da pranzo e presero posto attorno al tavolo.
-< Che buon odorino,> osservò, annusando il profumo che proveniva dalla cucina: -
chiese.
-< Qualcosa di buono! Pasqua ha detto che è una sua ricetta. Le faremo i complimenti, se sarà veramente buono.> disse Nilde.
-< Sì, sì, brava Pasqua; abbiamo una fame…> dissero i ragazzi, nel sedersi e facendo il segno di croce.
-< Certo, ma mentre Pasqua porta la minestra, come è andata oggi a scuola?> volle sapere la mamma.
-< Tutto OK.> rispose Leandro.
-< Non ho capito; parla in italiano. Sai che non mi piacciono le espressioni straniere; un "bene" è più semplice e musicale.> Gil ci teneva al corretto modo di esprimersi.
-< Sì, papà; anch'io sono andato bene all'interrogazione.> disse Poldo, alzando la forchetta nel vedere Pasqua con il vassoio.
-< Meglio così; allora, buon appetito.> tagliò corto Nilde, raccogliendosi un attimo in preghiera mentale.
-< Spero che vi piaccia; è una vecchia ricetta di mia madre.> disse Pasqua, iniziando a spadellare nei piatti.
-< Beh, l'odore è buono; i complimenti a dopo.> chiuse Nastà, nell'assaporare il primo boccone.
In pochi minuti il pranzo ebbe termine; l'appetito non era mancato, e il buon sapore… neanche.
2
Era stato il nonno di Gilberto a far costruire la villa e contornarla col parco verde; uomo di grande iniziativa, aveva impiantato alla periferia del capoluogo pugliese uno stabilimento, sì, un'industria ai primi del novecento, che fabbricava sapone. Utilizzava soda, olio di scarto dei frantoi olivicoli, sego animale, del sale e saponina e chissà cos'altro; colava la mistura calda in forme a parallelepipedo che lasciava nelle celle frigorifere perché la mistura si solidificasse distaccandosi dalla forma. I pezzi di sapone pesavano trecento grammi ciascuno e venivano impiegati dalle massaie per il bucato, allora esclusivamente a mano e anche con il cospicuo impiego della cenere che proveniva dai focolari. Non tralasciava, per la pulizia delle persone, di fabbricare del sapone più fine utilizzando anche olii di importazione, di palma e di cocco, a cui aggiungeva delle essenze profumate e colorazioni tenui: la stessa procedura delle attuali saponette.
Il papà di Gilberto aveva continuato a gestire la fabbrica fino al 1970 allorché la diffusione delle lavatrici elettriche fece proliferare grandi nuove industrie di detersivi in polvere e anche liquidi rendendo quasi invenduto il sapone prodotto; infine, i maggiori costi per adeguamenti salariali e assicurativi ne provocarono l'assoluta non remuneratività e fecero maturare la decisione di chiudere la fabbrica.
La famiglia Osborni, da allora, aveva vissuto ancora in un certo benessere, ma attingendo ai risparmi accumulati negli anni più floridi, vendendo delle proprietà e gestendosi in maniera meno dispendiosa. Anche Gilberto, di tempra assai diversa da quella del nonno, non aveva affatto cercato di crearsi un lavoro, un'attività, e si era adagiato in quell'andazzo utilizzando i residui di quelle rendite; si dedicava, in sostanza, soltanto a coltivare il suo hobby.
A 53 anni non faceva assolutamente niente per far fronte alle continue e
crescenti spese necessarie alla tenuta di quel tenor di vita e pensava da incosciente: "finché dura…"
La vita di ogni giorno, in quella casa, scorreva così, monotona e insulsa: Nilde si era adeguata limitandosi al controllo superficiale dell'andamento delle cose e bilanciando l'hobby del marito con la lettura di riviste pettegole e di romanzetti rosa. Aveva provato anche a scrivere qualcosa di suo: qualche novella, qualche raccontino d'amore, ma il deludente giudizio di Clara, la sua amica a cui aveva sottoposto le bozze, l'aveva scoraggiata a proseguire il tentativo. Lei, una bella donna di circa trentacinque anni, di buona cultura e proveniente dal ceto proletario locale, aveva toccato il cielo con un dito quando la signora Cloe aveva benedetto la sua intesa matrimoniale con Gilberto. Poco più che ventenne, aveva pensato che, avendo risolto il suo problema di sopravvivenza oltre che di assetto affettivo e sociale, avrebbe potuto indirizzare il proprio futuro verso programmi più soddisfacenti, almeno dal punto di vista complementare e partecipativo ad attività di contorno alla sua vita di moglie, di mamma e di padrona di casa; vuoi però per la mancanza di stimoli validi, vuoi per le notevoli difficoltà congiunturali a intraprendere una nuova qualsiasi attivita lavorativa e di soddisfacimento morale, ma vuoi principalmente per l'ignàvia e l'esempio del marito, aveva prima rimandato l'attuazione di qualsiasi progetto a tempi migliori per poi rimanere assuefatta al deleterio clima del dolce far niente. Al dilà di qualche amica con cui intratteneva sporadici rapporti telefonici e, comunque, superficiali, le sue ambizioni si erano assopite e il suo tempo veniva utilizzato per le attenzioni al suo corpo, per la supervisione della sana crescita dei suoi figli, e per un superficiale controllo dell'andamento della casa che era quasi interamente scaricato sulla servitù. Certo, non mancava qualche impulso affettuoso verso il marito il quale ricambiava con sufficiente trasporto le premure che riceveva, e il resto del suo tempo lo dedicava alle letture: riviste scandalistiche e romanzetti rosa.
-< Dedicati a qualcosa!> le consigliava l'amica Clara.
-< Sì, hai ragione; ci penserò.> rispondeva, evasiva.
La cugina Gilda, donna pia e vicina alla chiesa rionale:
-< Nilde, vieni in oratorio; fà assistenza ai bambini o agli anziani!> la invitava.
-< Vedrò, se trovo il tempo…> già, tempo che non riusciva mai a trovare.
Anche Leandro, pur se egoisticamente, cercava invano di interessarla a qualche ricerca sul computer: attualità o storia. Lei rimandava:
-< Sì, dopo; comincia tu, per ora. Fra poco vengo ad aiutarti.> e il "fra poco" durava ore, almeno finché il ragazzo non avesse terminato da solo la ricerca. Indolente e svogliata, affrontava con scarsa lena e sufficienza quelle poche cose che non riusciva a scaricare ad altri. E né Gilberto la spronava ad attivarsi in qualcosa.
Già; Gilberto…
nato e cresciuto fannullone! non aveva mai lavorato, trovando oltremodo comodo il benessere assicurato dall'intraprendenza e lavoro del nonno e, perché no, anche del padre. Colpa anche di mamma Cloe? certo, mai un rimprovero, mai un'esortazione a far qualcosa; accondiscendeva a soddisfare ogni capriccio e richiesta del suo unico figlio e si era sempre prestata a coprire le tante bravate che Gil aveva commesso. E quando lei se ne era andata, sì, quando aveva tirato le cuoia, Gilberto aveva proseguito nella propria vacuità senza raddrizzare la spalla e prendersi carico delle incombenze della vita quotidiana, neanche di quelle più ovvie e naturali, quali l'amministrazione dei beni che il cielo o la
fortuna avevano avuto l'inaccortezza di affidargli. Era un commercialista che si occupava della gestione e lui non esercitava alcun controllo sull'operato di quel tale. Questione di tempo? o di incapacità? ma no… solo indolenza e menefrechismo.
Delle sue piante grasse, sì; di quelle si interessava… eccome!
erano frequenti le sue telefonate con Mauro Coccardini, un altro apionato come lui a voler fare germinazioni di quelle specie vegetali denominate Lithops e Conophytum; si intrattenevano per ora a scambiarsi esperienze e a descrivere i risultati dei loro successi. L'attaccamento a quelle due specie di piante grasse gli era stato trasmesso e inculcato da mamma Cloe che amava accarezzare e palpeggiare le foglie rigonfie delle piccole "cicciottine" come le chiamava; ed era solita giustificare quella sua ione dicendo:
-< Vedi Glberto, la maggioranza delle piante grasse sono offensive e scostanti: con le loro spine feriscono chi vuole interessarsi a loro allontanando ogni tentativo di contatto. Le poche specie senza spine, e queste due in particolare, sono molto amichevoli e cordiali, vellutate e morbide al tatto. E sono anche interessanti e attraenti per la loro forma e per la loro origine esotica. E non solo: la loro breve fioritura annuale è unica, colorata e prepotente. Invitano ad ammirarle, capirle e amarle.>
E Gilberto aveva fatto propria la ione materna per quelle fragili piantine non limitandosi a curarle e mantenerle, bensì attivandosi alla germinazione dei semi e tentando anche esperimenti di ibridazione allo scopo di ottenere incroci e varianti. Aveva anche cercato di coinvolgere la moglie in quell'hobby e le aveva dedicato una sorta di incrocio chiamandolo col nome "Nilde"; un incrocio dall'apparenza simile a qualla della pianta madre, ma che lui si sforzava di descrivere facendo notare alcune minuscole differenze dalla specie tipo, differenze appena percettibili e forse oggetto di semplice variabilità intraspecifica. Avendo però notato la totale indifferenza della moglie a quella
ione, aveva rinunciato a interessarla limitandosi tutt'alpiù a informarla dell'andamento delle semine e delle germinazioni, giusto per evitare che cadesse tra loro il silenzio più assoluto.
Anche i due figlioli sembravano non subire il fascino della ione paterna: i loro commenti alle notizie sulle nascite delle plantule si limitavano a semplici espressioni manierate di presa d'atto di quanto avveniva nei vasetti di semina, al pari di un qualsiasi avvenimento domestico. Gilberto era perciò isolato col suo hobby e lui, ormai, persa ogni speranza di far proselitismo in famiglia, vieppiù si isolava corrispondendo con chi, come lui, subiva il dominio di quella sana attrattiva. Con periodici messaggi su facebook cercava nuovi adepti coi quali corrispondere, si era iscritto a un'associazione specifica, ma l'unico perditempo come lui era Mauro Coccardini, un ex nobile siciliano evidentemente con l'innato vizio a intaccare, decimare, sfruttare un patrimonio lasciatogli dagli avi; sì, di tanto in tanto dialogava con qualche altro apionato, ma quasi tutti, pur contagiati dall'hobby, lo consideravano appunto come tale, senza dargli il primo posto tra le proprie attività, avendo ben altri impegni e necessità contingenti che obbligavano a non trascurare il lavoro come fonte di sostegno alla famiglia.
Con Coccardini dunque, sfaccendato suo pari, Gilberto trascorreva ore al telefono; parlavano a lungo delle loro semine, del tipo di terriccio adoperato per avere risultati soddisfacenti e di ogni altra cosa inerente la migliore riuscita, pur riservandosi qualche particolare delle loro esperienze di cui erano gelosi. E litigavano pure! già, perché Gilberto sosteneva che le semine dovessero farsi in primavera, quando la temperatura e la luce solare erano le più vicine alle condizioni di propagazione naturale di piante della stessa specie nel loro ambiente originario, il Sudafrica e in particolare la Namibia, mentre Coccardini optava per semine effettuate in ogni periodo dell'anno, purché venissero imitate artificialmente le condizioni di umidità, temperatura e di illuminamento caratteristiche delle zone di origine. Le discussioni erano piuttosto accese tra loro: Gilberto insisteva sulla memoria genetica delle specie, per cui era meglio seminare nel periodo quando le condizioni erano più vicine a quelle di germinazione naturale nei posti di origine; Coccardini, al contrario, si accaldava nel difendere la teoria che proveniendo ormai tutti i semi che loro adoperavano da piante sufficientemente acclimatate al nostro clima, avevano dimenticato le
condizioni naturali e il periodo in cui si propagavano originariamente: era quindi sufficiente fornire ai semi condizioni artificiali abbastanza vicine a quelle originali per ottenere piantine anch'esse acclimatate al nostro clima. Le concitate diatribe su questo tema finivano sempre con un:
-< Mi faccia il piacere…> e talvolta:
-< Ma vaffanc…>
Però, la telefonata successiva cominciava sempre con:
-< Caro amico, come va?…>
3
Nastasia aveva ereditato dalla madre tratti somatici e fattezze popolane, peraltro ingentilite dall'ambiente di vita, dall'educazione ricevuta e dagli studi. Era sostanzialmente una bella ragazza che, come tutte le donne, cercava di migliorare il proprio assetto estetico con sapienti tocchi ed espedienti di trucco e acconciatura.
Frequentava il secondo anno presso il Dipartimento di lettere e storia dell'Univarsità di Bari intendendo specializzarsi nel restauro dei codici antichi; come esercitazione stava riproducendo con buona approssimazione una porzione di un rotolo del Mar Morto affidatogli dall'insegnante e il cui originale si riteneva ascendesse all'antica biblioteca di Alessandria distrutta nel 300 d.C.
Il suo carattere non si differenziava molto da quello delle sue coetanee: non insensibile ai complimenti e ad un controllato divertimento.
E già! perché l'anno prima aveva partecipato a una festa di un'amica, matricola universitaria e, forse per un aperitivo in più o per qualcosa scivolata nel suo bicchiere, il suo autocontrollo si era ottenebrato e si era trovata all'improvviso già donna senza sapere a chi o a quanti di quegli scalmanati suoi colleghi dovesse lanciare il suo anatema per aver profanato la sua verginità. Per il suo imène lacerato le era rimasto un acuto dolore fisico oltre che morale.
Della disavventura non ne aveva parlato in casa, pur avendo il dubbio che la mamma ne avesse avuto sentore controllando in bagno qualche traccia del malfatto. Alcuni giorni di silenzio e di vergogna; e poi la convinzione che "prima o poi doveva pur accadere", le suggerì di essere più cauta e guardinga nei
rapporti con l'altro sesso, scatenando in lei una sorta di avversione per quell'atto così naturale se indotto da amore reciproco, ma anche così doloroso e insoddisfacente, se casuale, forzato e brutale. Assai meglio e più piacevole, pensò convinta, i toccamenti con le proprie dita che, con dolcezza e precisione, raggiungevano quell'osannato punto procurandole quelle gradevoli sensazioni, al contrario della violenta intrusione nella sua intimità e la dolenzìa del suo inguine ripetutamente battuto da quello dei suoi incogniti stupratori. Di quella convinzione ne aveva fatto virtù: e vuoi per diletto che per abitudine ed esercitazione, ogni mattina appena sveglia e anche in varie occasioni durante il giorno si trovava con una mano sotto il suo grembo alla ricerca di quel punto e non di altri per stuzzicare la sua libido e ritrovare, diceva a se stessa, la calma e la tranquillità per affrontare gli studi e, principalmente, per assaporare il piacere del sesso, quella leccornìa tutta femminile di produzione personale.
Mamma Nilde, ovviamente, nicchiava su quelle intime manualità di Nastasia, ricordando le proprie, specie prima del matrimonio e, in cuor suo le simpatizzava e diceva: "Be', almeno non prende malattie ed evita gravidanze"; e dal suo punto di vista del tira a campare, poteva aver anche ragione.
Di fatto, Nastasia si comportava come un'ospite perenne della casa; era grata, certo! però, da quando la nonna Cloe aveva ritenuto di informarla che la mamma Nilde non era la sua mamma naturale, lei bimba dodicenne, si era in qualche modo sentita esclusa da quella famiglia, un'intrusa, un'abusiva… era rimasta debitrice e affezionata a Nilde, sua mamma di fatto, che l'aveva fatta crescere con le cure e l'affetto di una vera mamma, ma non aveva perdonato alla mamma naturale di non averla mai cercata e farsi conoscere, e neanche alla famiglia Osborni di non avere conservato una foto della stessa; e l'aveva molto delusa il comportamento della nutrice che prima di Nilde le aveva dato il proprio latte e l'aveva accudita nei primissimi anni di vita, nutrice di cui aveva un lontanissimo e sbiadito ricordo.
Rimproverava al padre e a nonna Cloe di non ricordare e di non aver conservato nomi e recapiti di quelle due donne che si erano prese cura di lei nei primissimi
tempi della sua esistenza, mamma e nutrice, che avrebbe voluto conoscere e, comunque, ringraziare; pur se le loro prestazioni erano state lautamente compensate e retribuite. Stigmatizzava accusando le due donne di non essersi mai premurate di cercarla o di avere sue notizie, loro che conoscevano dove chiederle e trovarle; sì, al di là del suo comportamento sempre corretto e controllato verso tutti, la ragazza covava una specie di risentimento specie verso il padre per averla tenuta all'oscuro delle protagoniste della sua origine e infanzia.
Ne usciva indenne solo mamma Nilde che l'aveva sempre amata e allevata come una vera figlia; la scusava perché si era occupata di lei piccina, ma solo dopo che le due prime donne erano state allontanate e che, quindi, non le aveva conosciute e non poteva sapere come rintracciarle.
Anche il rapporto con i fratelli, pur cordiale e affettuoso, era in sostanza superficiale e distaccato: rispondeva svogliatamente alle loro domande di scuola e non li riteneva consanguinei al centopercento. Aveva però due amiche: Alessia Rocci, la più intima, anche lei studentessa universitaria, e Rosalba Stano, un'amica di scuola elementare che abitava dalle parti di Monopoli; con loro si sentiva di tanto in tanto per telefono.
E i ragazzi? loro erano Osborni per intero. Erano stati allevati con le cure e l'affetto che solo la mamma sa dare; anche Gilberto era molto affezionato a loro, e loro ricambiavano l'affetto ricevuto adeguandosi però all'andamento della casa; sia per il loro genoma che per l'esempio dei genitori, vivevano adagiati nella bambàgia. Svogliati e scarsamente attivi, sia Leandro che Leopoldo non rispondevano alle esortazioni di mammà a fare sport o altre attività di movimento tanto benefiche a tutti. A scuola non andavano male, ma non partecipavano volentieri alla lezione di educazione fisica e mai a gare tra ragazzi. Leandro, undicenne, iniziava ad accusare la baraonda ormonale e gli stimoli sessuali, che soddisfaceva autonomamente non curandosi della presenza o meno del fratellino; questi, non ancora pressato da quegli sfoghi, vi assisteva con curiosità e il più delle volte con indifferenza. Aveva solo nove anni e
quell'esigenza pubertale gli era ancora latente.
Entrambi erano non interessati all'hobby paterno:
-< Sono cose da vecchi!> commentavano. Come se loro si interessavano alle attività dei ragazzi… ma neanche un po'.
4
Di Felix non si sapeva molto: senza uno straccio di documento di provenienza, aveva dichiarato di essere nato nello Sri-Lanka in un villaggio a nord di Colombo, un certo tempo prima. Dopo strani calcoli fra periodi, cicli e lune l'Ufficio Immigrazione aveva ritenuto attendibile una certa data che attribuiva al giovane l'età di ventotto anni, pedissequamente riportata anche nel libretto di lavoro e sulla patente di guida che Gilberto, chissà come, si era adoperato ché gli fosse concessa. Dopo aver constatato sia la prudenza che una certa padronanza di guida, gli era stato consentito di accompagnare i ragazzi alla vicina scuola e, fortunatamente, in quasi due anni, non si era verificato alcun incidente. Il giovane era un tipo tranquillo, non aveva alcun amico e sembrava non subire alcuna attrattiva per le donne; nei periodi di non lavoro rimaneva in casa limitandosi a eggiare nel parco le cui piante lo incuriosivano poiché erano alquanto diverse da quelle dominanti nel suo paese. Era buono, modesto e servizievole; garbato e dolce con tutti, lo si sentiva molto poco e la sua presenza in casa ava inosservata, forse per il fatto che si era sicuri di trovarlo sempre lì, al suo posto. Accumulava le paghe che riceveva e non le spediva ai parenti dei quali non aveva mai parlato perché, forse, inesistenti: riponeva metodicamente il denaro in un cassetto nella sua stanzetta.
Non aveva mai raccontato delle sue disavventure per giungere in Italia ritenendosi pago e soddisfatto della vita che conduceva, del suo lavoro e della sua stanzetta. Mostrava riconoscenza per Gilberto e per tutta la famiglia Osborni che, con l'assunzione, l'aveva ospitato, dato fiducia ed evitato il rimpatrio.
Talora i ragazzi lo vedevano assorto e imbambolato:
-< Felix, a cosa pensi?> gli chiedevano.
-< Stavo pregando.> rispondeva, confuso.
-< Ma a chi preghi? a quale dio?> chiedevano.
-< A quello di tutti!> rispondeva.
La tuttofare Pasqua si era presentata anni addietro chiedendo un lavoro qualsiasi. Nilde aveva scoperto che avrebbe potuto utilizzarla anche in cucina, la qualcosa avrebbe risparmiato a lei, alle mani e ai capelli il tanfo degli sgradevoli odori di alcuni ortaggi e del pesce, e avrebbe consentito di ammannire ai suoi congiunti dei pasti più saporiti; la donna era sposata con un tipaccio, così diceva, e abitava a pochi chilometri di distanza. Era perciò pratica del governo di una casa, delle incombenze di cucina ed era autonoma utilizzando una vecchia bicicletta. Il periodo di prova fu favorevole e venne assunta con le mansioni di domestica, non meglio definite. Non aveva figli e ciò la rendeva sempre disponibile, specie da quando aveva portato a casa la prima paga e il marito l'aveva dotata di uno sgangherato motociclo ricavato chissà dove. Sembrava ben contenta del suo lavoro, forse perché le dava l'occasione di assentarsi dalla propria casa e non subire le angherìe del marito, eterno avvinazzato. Ogni sabato chiedeva a Nilde:
-< Domani avete bisogno di me? vengo volentieri.> e ciò, sia per sottrarsi anche la domenica al caratteraccio del marito; ma anche per probabile suggerimento dello stesso che sperava nel compenso straordinario, che lui avrebbe sprecato nella bettola.
Pasqua aveva un buon carattere; quasi sempre sorridente, non si sottraeva a nessuna fatica. Di buona tempra e abitudini, sgobbava a rassettare e pulire quella grande casa, e non solo: si occupava appieno della cucina, dalla prima colazione
alla cena. Lei decideva cosa preparare, dava la lista a Felix che si occupava di acquistare le vettovaglie e lo utilizzava sia in cucina come aiuto cuoco e sguattero che per collaborare nella pulizia della casa e del terrazzo, notata la devozione del giovane per Gilberto e per ciò che questi prediligeva. Preparata la cena, correva a casa a sfacchinare nuovamente; per fortuna era sorretta da un buona salute sopportando volentieri quel faticoso andazzo. E né si era mai lamentata per le probabili ceffonate propinate da quel bruto di marito che si ritrovava.
-< Sono caduta dalla bicicletta.> diceva talvolta, alla domanda che Nilde le volgeva distrattamente; eppure, i lividi e le escoriazioni dovevano pur dolere.
Con Felix era cordiale e comprensiva; come una sorella maggiore, lo consigliava su come limitare i disagi del lavoro. Rassettava a volte la stanzetta del giovane e bucatava al bisogno la divisa stirandola con garbo.
Temistocle il giardiniere: da trent'anni, o forse più, osservava le piante del parco. Aveva almeno ottant'anni e camminava assai curvo aiutandosi con una sorta di bastone: si trattava di un ramo d'albero, dritto e sottile che lui, chissà quanti anni prima, si era procurato e adattato. Adattato consumando una rigonfia nodosità al palmo della mano e resa lucida e levigata dal continuo strofinìo della pelle sul legno; lungo meno di ottanta centimetri, finiva a punta tenuta sempre in ordine con dei rii del suo coltello, un coltello a lunetta, da potatore. La punta, diceva, serviva per un miglior aggrappo nel terreno e per infilzare foglie secche cadute fuori posto; ma a sentir lui, era anche un'arma offensiva contro piccoli rettili e roditori nemici dell'uomo e degli alberi, che restavano infilzati da quell'aculeo. Per l'uso su un pavimento però, Sto', era così chiamato per brevità e abitudine, portava in saccoccia un tappo, un tappo cavo in legno che lui calzava a pressione sulla punta, così da non appiattirla e non rigare l'impiantito.
Gli piaceva raccontare; a Leandro e a Poldo diceva della guerra, la seconda guerra mondiale che lo aveva visto combattere tra i fascisti contro i partigiani.
Fatti certamente non vissuti da lui, ma sentiti da non so chi: in quegli anni era troppo piccolo per aver partecipato a quegli episodi, un bimbetto. A volte diceva di luoghi ed episodi accaduti durante la guerra di Grecia, ancora molti anni prima. Sbalordiva i ragazzi raccontando con verosimiglianza e al limite della credibilità, fatti cui solo la mente vergine dei bambini poteva dar credito.
-< Se incontrate un omaccio tutto nero, vestito di nero e con occhi rossi, rifuggite da lui. E' mio figlio e anche un gran mascalzone.> forse era vero o forse no, ma i bambini ci credevano. E riprendeva:
-< Chissà da chi ha preso; forse rincarna mio nonno, che era un bravaccio, un bandito che svaligiava le carrozze e uccideva tutti. La sua banda si rifugiava sulle montagne della Calabria o della Basilicata, comunque nel regno dei Barboni…> e giù a raccontare le gesta del suo avo, gesta truculente e inverosimili che la sua fantasia tarocca gli presentava in quel momento.
Chissà chi era e quale ato aveva; gli Osborni se l'erano trovato lì e gli portavano rispetto e gratitudine per la sua canizie e per i consigli alla buona gestione degli alberi. Non prendeva soldi e, all'occorrenza, invitava qualche suo conoscente che riteneva idoneo a talune necessità degli alberi; conosceva aratori, potatori disinfestatori… insomma gli specialisti delle varie occorrenze. Si preoccupava di acquistare i prodotti necessari che affidava agli esecutori con le istruzioni e i suggerimento di impiego. Non si sapeva dove e come vivesse: apriva il cancello entrando settimanalmente a ispezionare le piante e dava a Gilberto le indicazioni dei lavori da fare. Be', forse si arrangiava facendo una piccola cresta sul costo dei prodotti acquistati e sui compensi chiesti dalle persone che chiamava a eseguire i lavori. Ma nulla traspariva a Gilberto che, pur immaginando, era comunque soddisfatto che ci fosse qualcun altro a preoccuparsi di quel settore.
Sto' era educato e garbato con tutti; appena un po' burbero quando l'aveva storta, ma quasi sempre non provocava reazioni e lamentele; sì, sostanzialmente… era
un bravuomo.
Cani, in casa non ve n'erano; e neanche nel parco. Curarsi di loro no, neanche a pensarci. Erano tutti così affaccendati al loro far niente, tranne i dipendenti.
Gatti sì, più di uno. Entravano nel parco attraverso il cancello e di là uscivano, una volta resisi conto dell'inutilità dei loro miagolii; dalla cucina usciva solo buon odore, ma mai qualcosa da addentare. I più perspicaci stazionavano presso le siepi, attenti ad ogni squittìo: agguantavano con bravura e fortuna il loro sorcetto andandoselo a gustare lontano dai colleghi invidiosi. Simile sorte capitava in primavera a qualche uccellino scacciato dal proprio nido: appena caduto in terra veniva raccolto dai gatti più pigri e destinato come i sorci al proprio desinare.
5
Gilberto era indeciso se chiamare Coccardini o attendere ancora che il gentiluomo siculo fosse lui a chiamarlo: l'ultima loro telefonata si era conclusa in modo piuttosto burrascoso e si erano mandati reciprocamente e senza mezzi termini a quel paese.
La discussione era vertita, questa volta, sul modo di risolvere un inconveniente capitato a qualche vasetto delle plantule di Gil appena germogliate: la superficie del terriccio di tre vasetti presentava una leggera lanugine, come un velluto rasato biancastro che lasciava intravedere appena i puntini di un verde tenero dei semini in germinazione. Gil, lente di ingrandimento e apposito manuale di coltivazione, aveva comparato le immagini diagnosticando una grave infestazione fungina e specificandola come da fusarium. La diagnosi era pur stata accettata e condivisa da Coccardini, la distanza non consentiva una visione diretta e fu per l'amico in Sicilia giocoforza aderirvi. Sulla terapia, però, era sorta la più accesa discussione: Gil aveva sostenuto che il parassita sarebbe stato estirpato facendo asciugare il terriccio per alcuni giorni e ripristinare l'imbibizione dal basso con acqua piovana addizionata con solfato di rame al 0,01%, come gli aveva anche suggerito Sto'; Coccardini, invece, consigliava di non usare più l'acqua piovana, che aveva probabilmente contenuto il micelio infestatore, ma solo acqua demineralizzata e che, comunque, secondo lui il risultato sarebbe stato più positivo cospargendo la superficie del terriccio direttamente col carbendazim che avrebbe agito anche e specificatamente sulle piantine.
Mandatisi bellamente al diavolo, i due avevano interrotto la rovente telefonata e non si erano sentiti da alcuni giorni. Nella prossima telefonata Gilberto avrebbe cantato vittoria sostenendo di ave debellato la micosi adoperando il proprio metodo, pur avendo, invece, utilizzato il carbendazim propugnato da Coccardini.
Chi avrebbe telefonato per primo? dopo la pensosa attesa, fu Gilberto a chiamare Mauro; lui aveva da comunicargli di avere salvato la germinazione bugiardamente con acqua piovana e solfato di rame. L'amico, con iniziale freddezza, aveva accolto la notizia rimanendo, però, fedele al proprio metodo; il rapporto tra i due era stato salvato e si sarebbero preparati cordialmente alle future barruffe telefoniche. Per loro buona sorte non avevano altri pensieri più contingenti e le discussioni sui loro Lithops assumevano un valore primario. Coccardini non aveva famiglia e Osborni, pur avendola, era come se non l'avesse!
-< Gil, > la moglie lo scosse; sparì il sapore raggiante lasciatogli dalla telefonata e il suo viso assunse un aspetto assorto:
-< Gil, Felix ha mal di gola, una tonsillite che non vorrei contagiasse i ragazzi. Puoi andare tu a prenderli da scuola?> chiese Nilde, con tono preoccupato.
-< Ma di che ti preoccupi, i ragazzi sono forti e resisteranno ai germi.> si schermì Gilberto.
-< Ma non è meglio non rischiare".
-< Ma è così importante ciò che devi fare?> chiese Nilde.
-< Certo, devo controllare…> e la voce di Gil si spense in un furfuglìo.
-< Va bene, vado io!> disse Nilde, contrariata.
-< Ciao papà, ma cos'ha Felix?> chiese Leandro, appena arrivato da scuola.
-< Non so, chiedi alla mamma.> rispose Gil, ricambiando distrattamente il bacio dei ragazzi.
Affiorò così la totale indifferenza di Gilberto ai problemi della famiglia, anche ai meno importanti.
A superare la delusione del ragazzo che si aspettava una risposta paterna più ampia e pertinente, Pasqua gridò dalla porta:
-< Su, ragazzi, lasciate gli zaini e lavate le mani: si mangia!>
Leandro e Poldo corsero allegramente verso la cuoca e chiesero cosa c'era di buono.
-< Sorpresa; sù, fate presto.> intervenne mamma Nilde che aggiunse:
-< Gil, l'invito è anche per te. E' pronto.>
6
La violenta ventosità di quella notte era capitata improvvisa e inattesa; le alte chiome degli alberi, scosse dal vorticoso soffio dello strano maestrale, si erano alleggerite dei pesi superflui, foglie morte e nidi di uccelli, che erano stati dispersi anche a notevole distanza trasportati dal veloce valzer del vento. Sto', quella mattina, si era premurato di effettuare una visita straordinaria al parco per rendersi conto dei danni provocati dall'inconsueto marasma d'aria che continuava a lanciare gli ultimi sibili calanti che a lui parevano strenui ululati di una furia ormai in fase di acquietamento. Vari rami non avevano resistito e si erano spezzati rovinando al suolo; avevano lasciato al loro posto chiare ferite irsute sul fusto che sgocciolavano resina, quasi lacrime lagnose contro quella forza, prima ondeggiante e poi trascinante: imploravano un taglio netto di livellamento a parziale ristoro del danno subìto. In compenso, le chiome ballavano più allegre e leggere mostrando colori più freschi e luminosi. Sto' guardava il giovane fogliame senza più quel velo di vecchiume dalla tonalità spenta e ingrigita; sì, guardava e approvava quel processo di rinnovamento che nessun uomo aveva mai richiesto, ma che la lungimirante Madrenatura spontaneamente organizzava; e Sto' ammirava quasi con compiacimento quelle chiome tirate a nuovo, il verde cupo dei pini e dei cedri, quello più tenero dei platani e delle betulle: udiva quel beato stormire , quella dolce melodia che faceva bene al cuore. Osservava anche i tronchi degli alberi, i pezzi di scorza strappati dal vento che lasciavano vedere il vestito nuovo e più colorato, meglio intonato alla giovane stagione primaverile. Guardava e valutava anche il terreno letteralmente coperto dallo strato di aghi, foglie, rametti e nidi vuoti; sì, tanti nidi vuoti sbalzati dall'alto dei rami; il cui contenuto, i pulcini implumi, finito ahimé a sfamare i tanti gatti sicuramente ancora a ringraziare il cielo per quella manna a sorpresa, caduta a nutrirli: doveva pur esserci un dio dei gatti affamati…
-< Signor Gilberto, > disse, sfogliando il taccuino sul quale aveva annotato gli appunti di quanto aveva constatato: -< dieci giornate di contadino comune per scopare il terreno e portare a discarica, due giornate di potatore per medicare le ferite ai fusti, venti viaggi di motocarro, scale, medicazioni con poltiglia bordolese, tamponi di sacco per i tagli, diritti alla discarica… ci vorranno…>
stava per dire la cifra stimata a tre zeri pieni, ma Gil lo stoppò:
-< Sto', va bene, come al solito mi farai sapere tutto alla fine del lavoro; ti occupi di tutto tu, vero?> e, come al solito, Gil scaricò ogni cosa sul vecchio.
-< Ma sì, se ritiene così, d'accordo signor Gilberto.>
-< Un gran danno, netto e imprevisto. Va bene! pagherò dopo.> osservò Gil.
-< Be', signor Gilberto, imprevisto… no; a primavera e autunno almeno, occorre una pulizia. E poi… pensi all'effetto, tutto bello e giovane. I suoi amici la invidieranno.>
-< Sì, però la spesa sarà mia!> chiuse Gilberto, guardando verso l'alto per l'insistente cip-cip: le mammine disperate, chiamavano invano i loro pulcini, che non avrebbero più risposto loro.
o dopo o e impiegando qualche ora il vecchio Temistocle se ne tornò nel suo rifugio: doveva organizzare il lavoro nel parco Osborni e contattare i suoi amici che gli avrebbero consentito di risistemare quello che la bufera di vento aveva sconvolto. Il suo rifugio era ubicato sul litorale di Fesca, zona a nord dell'abitato di Bari, in una vecchia casamatta costruita durante la seconda guerra mondiale per ospitare uno o due cannoncini a tutela di un tratto della costa o anche come punti di osservazione a scrutare l'eventuale aggio di unità navali nemiche nel basso Adriatico. Anche questa costruzione demaniale, come tutte le altre simili, aveva forma circolare con diametro esterno di circa cinque metri, con basse pareti a fortissimo spessore in cemento armato e una copertura a cupola ribassata; caratteristiche erano le due fessure orizzontali che
permettevano l'ispezione del mare e la fuoriuscita delle canne da fuoco dei cannoncini e mitraglie per rintuzzare eventuali sbarchi invasivi. L'interno aveva un diametro di tre metri e un'altezza assai limitata che consentiva a una persona di stare in piedi a malapena.
Lo stato di abbandono e il totale disinteresse del demanio per quelle istallazioni non più utili nella nostra epoca di radar e di satelliti, suggerì a Sto' di occuparla eleggendola a sua dimora abituale una cinquantina di anni addietro; vi aveva, anno dopo anno, piantato paletti in legno, raccolti da un vigneto disusato e tra i quali aveva steso alla menpeggio reti da pollaio e altre da pesca infracidite dal mare e abbandonate dai pescatori, ricavando una piccola aia di qualche decina di metriquadri quale regno all'aperto del suo unico figlioletto Bernardo. I due vi avevano vissuto come natura comanda: mare, erbe spontanee, lumache, vermi e quant'altro; di tutto insomma, e di ogni espediente, finché il giovane Bernardo non era finito in carcere rimanendovi per più di vent'anni: era successo che aveva fatto amicizia con una bimbetta nomade di nemmeno otto anni, bimbetta che era sparita all'improvviso. La denuncia dei genitori rom aveva fatto convergere i sospetti su Bernardo che, pur non avendo mai confessato, venne condannato alla lunghissima pena per aver rapito e mangiato la piccola amichetta, sì, ucciso, spezzettata e degustata la bimba. Non fu dato di sapere se il cannibalismo era stato consumato da solo o con la commensalità del padre; comunque, Sto' a un certo punto era capitato nel parco degli Osborni e improvvisando o millantando qualche competenza, aveva carpito o guadagnato la buonafede dei proprietari che, andosela nel tempo, continuavano a fiduciarlo. Del figlio Bernardo, pare avesse accennato ad un suo amico bracciante dicendogli che, una volta libero si era impossessato di un trulletto abbandonato, che era stato di un pastore da tempo deceduto.
Due settimane dopo il parco era tornato pulito e curato; Gilberto, sentito il parere di Nilde, fece venire il suo amministratore con la somma da dare a Sto'; artefice della nuova vita che stava risvegliandosi su quelle chiome verdi.
Le mammine alate poi, si erano consolate e avevano accettato la cinguettante
corte degli impenitenti maschietti, attivandosi all'alacre allestimento del prossimo nido. Il nuovo fervore di piena primavera rallegrava il parco, la casa e l'ambiente tutto: era la vita che continuava…
7
Felix attendeva in macchina nel vialetto di casa Osborni. Vide la signora Leonilde chudere la porta alle spalle e corse ad aprire la portiera posteriore destra e a richiuderla dopo che la signora si fu accomodata. Aveva visto la procedura in tanti film e quella fu la volta buona per metterla in pratica; benché non avesse la divisa scura e il cappello con la visiera, ma la semplice giacchetta a righine bianche e blu da domestico, eseguì l'operazione con sufficiente bravura. Rientrò in macchina e indugiò a respirare l'aria dell'abitacolo pervaso dal persistente profumo di fiori esotici diffuso dalla signora, attese qualche attimo ché la sua padrona trovasse una posizione più comoda e rilassata:
-< Da che palte andiamo, signola?> chiese, guardando nello specchietto retrovisore.
-< Andiamo in città, Felix; lasciami in centro presso l'Ateneo, ti dirò esattamente dove fermarti, ma dobbiamo essere lì tra un quarto d'ora.> disse, guardando il suo orologetto da polso.
-< Sì, signola; ci salemo.> affermò, aprendo il grande cancello col telecomando. Si immise sulla 16Bis prendendo per Bari, senza più parlare. Anzi, di tanto in tanto biascicava qualcosa nel suo strano linguaggio natìo, finché rallentò nei pressi dell'Ateneo:
-< E ola?> chiese.
-< Sì, lasciami qui e torna a casa. Mi farò accompagnare dalla signora Clara
all'ora di pranzo. Avverti il signor Gilberto.>
-< Senzaltlo, signola.> e si avviò.
Nilde si diresse verso il Bar della Posta dove aveva appuntamento con Clara; scrutò verso l'interno attraverso la vetrata e la vide seduta a un tavolinetto, con una tazzina da caffè davanti. La raggiunse sedendosi di fronte e fermò un cameriere di aggio:
-< Mi porti un caffè, per favore.> e all'amica:
-< Cinque minuti di ritardo; scusami.> disse.
-< Be', allora mi pagherai il caffè.> annuì sorridendo Clara .
Clara era una vecchia amica di scuola; le altre si erano disperse e Nilde si sentiva raramente con alcune di loro. Clara aveva sposato un funzionario di banca e aveva un figlio, Romualdo, di otto anni che frequentava la vicina Scuola Mazzini; abitava lì a due i e, allo sguardo interrogativo dell'amica, spiegò:
-< Nilde, ti ho fatto venire per un consiglio; mio marito per la Santa Pasqua vuole farmi un regalo. Mi ha invitata ad andare a sceglierlo in una gioielleria di via Sparano; mi accompagni?>
-< Ti accompagno sì, anche se non mi reputo competente.>
-< Due teste scelgono meglio di una sola. Lui mi ha solo detto di contenere la spesa entro due o tremila euro.> aggiunse.
-< Be', allora andiamo pure.> Nilde si alzò lasciando del denaro sul tavolino per i caffè.
-< Sì, ché all'una devo prendere Romualdo da scuola.> si incamminarono per immettersi in via Sparano. E poi:
-< Nilde, non ti girare, speriamo non ci abbia viste.> invano, disse Clara. Infatti, dal marciapiede di fronte:
-< Ehi, voi due… dove ve ne andate sole solette?> le chiamò la loro amica Teodora, una di quelle che Nilde non vedeva da tempo.
-< Ciao, abbiamo fretta!> gridò Clara, agitando la mano a mo' di saluto.
-< Va bene; telefonami.> di rimando, Teodora.
-< Sì, aspetta… putt…> accennò Clara, a denti stretti.
-< Com'era conciata… carica come una di quelle.> disse Nilde, con disgusto.
-< Non come, ma da puttana; non lo sai?> caricò Clara.
-< No! ma che dici…>
-< Beh, come la chiami una che si fa mantenere da un uomo sposato e con tanto di figli?> Clara, disse implacabile.
-< Se credi a tutto quel che si dice… la gente è cattiva.>
-< Ma in questo caso, dice la verità. Me lo ha anche presentato; la ospita in un suo appartamento in via Melo e le dà ben tremila euro al mese. Più tutti i regali…>
-< Ah, vende cara la sua merce… io sapevo di Carlotta, che…> accennò Nilde.
-< Quella poi… è prostituta proprio. A letto con tutti: cinquanta, cento euro a botta.> rincarò Clara.
-< Poverina; dopo che il marito la lasciò, non è riuscita a trovare un lavoro.> Nilde la scusò.
-< E vabbè, diciamo così; vieni, entriamo là.> e indicò una gioielleria.
Ci misero una buona mezzora per decidersi sul regalino:
-< Oh, è quasi l'una; devo correre a scuola, mi accompagni?> esclamò Clara, ponendo il pacchetto nella borsa.
-< Certo, e che, mi lasci qui? devi accompagnarmi a casa!>
-< Ah, allora… lascio Romualdo a casa e prendo la macchina. E non me l'hai detto prima!>
-< Beh, se ti è difficile telefono a Gilberto.> accomodò Nilde.
-< Difficile, no! ad averlo saputo prima… ma ecco; stanno uscendo.> disse Clara, indicando i primi scolari. E, guardandosi in giro:
-< Tutto risolto; ho visto la macchina di Mariano, sarà venuto lui a prendere il bambino.> e infatti, lo vide e lo chiamò:
-< Mariano, hai fatto bene; dobbiamo accompagnare Nilde a casa sua. La tua macchina è più veloce.>
-< Volentieri;> disse il marito avvicinandosi. Un bacetto alla moglie e una stretta di mano a Nilde: -< sono uscito qualche minuto prima e… >
-< Ma', Nilde mi ha accompagnata a scegliere il tuo regalo…> disse, mostrando il pacchettino.
-< Ah, allora oltre che un piacere, è un dovere riportarla a casa. Così farò un salutino anche a Glberto.> chiuse Mariano.
-< Ecco Romualdo, sta uscendo. > agitò il braccio per attirare l'attenzione del bambino.
-< Ciao mamma, ciao papà; oh, buongiorno signora.> disse il piccino, baciando i genitori.
-< E io, non me lo merito?> Nilde si chinò, mostrando la guancia.
In macchina, parlarono di scuola, del traffico e dell'appetito. Malgrado la macchina veloce, ci misero mezzora per scorgere il cancello aperto e Gilberto sul terrazzo ad attenderli. Mariano scese per salutare velocemente Gilberto, che a sua volta si avvicinò alla macchina per salutare Clara e accogliere Nilde con un bacetto.
Argomento di discussione durante il pranzo fu il regalo di Mariano alla moglie; Gilberto, sentendosi in colpa, si vide costretto a promettere a Nilde di uscire prossimamente con lei per fare altrettanto: era da tanto che non le faceva un regalo…
Una promessa ghiotta per Nilde; aveva già in mente cosa farsi regalare. Nella gioielleria dov'era stata con Clara aveva adocchiato una parure… in oro bianco con pietre di acquamarina e lapislazzuli; lei ne aveva già una simile con pietre d'ambra che, però, aveva indossata solo un paio di volte. Le occasioni per mostrarla non erano capitate con molta frequenza, ma lei si riprometteva di incrementarle costringendo Gilberto a frequentare le amicizie e il circolo Unione. Dovevano scuotersi da quella sorta di torpore pantofolaio che li aveva presi da qualche tempo: Gilberto con i suoi Lithops e lei con le riviste e romanzetti si erano alquanto impigriti.
Tanto, i ragazzi erano autonomi nel trascorrere il tempo da soli, fra televisione, computer e ricerche scolastiche non avrebbero per niente accusato la mancanza dei genitori per qualche ora. E poi, c'era sempre Felix che aveva instaurato un buon rapporto e si prestava ad ogni scherzo o vessazione da parte dei "signolini".
Avrebbero anche potuto organizzare delle serate mondane lì in casa; specie con l'approssimarsi della stagione estiva e il terrazzo così grande…
Sì, c'era il tempo per dar corpo a quell'idea che cominciava a serpeggiare nella mente: bastava volerlo, e lei ormai lo voleva.
8
Felix fermò la macchina a un incrocio con via Sparano, ma era in doppia fila e si disse preoccupato.
-< Resta qui, se vedi qualche vigile, fa un giro dell'isolato e ritorna, sempre qui.> disse Gilberto.
-< Sì, cercheremo di far presto.> aggiunse Nilde. E al marito: -< Cosa avevi in mente di regalarmi?> chiese, melensa.
-< Mah… cosa ti piacerebbe? hai tutto, ormai. Ma scegli, o…> ma Nilde lo bloccò.
-< Ho quasi tutto, ma con Clara vidi delle cosette…>
-< Ah, hai già le idee chiare, allora.> Gil la strinse per le spalle: -< Bene, così non perdiamo tempo. Dove le hai viste?>
-< In quel negozietto lì, in fondo.> disse Nilde, indicandolo.
-< Ah, un negozietto; ma è una gioielleria… furbacchiona. Beh, se proprio ti sono piaciute quelle cosette… andiamoci pure.>
-< Ecco Gil, amore mio;> disse, fermandosi dinanzi alla vetrina: -< quella parure celestina.> disse, stringendosi al marito.
-< Ah, ma sono quattro gioielli…> esclamò Gilberto tentando invano di leggere il numero sul targhettino capovolto.
-< Beh, non importa; andiamocene.> disse Nilde imbronciata.
-< Ma cosa dici; dai, entriamo.> invitò pentito, Gil.
-< Le sta proprio bene; mette in risalto la sua splendida carnagione.> incensò con professionalità, il gioielliere: -< Col suo magnifico decollete, poi, sembra fatta apposta per indossarla.>
Gilberto, ormai invischiato, cavò dalla tasca il pacchetto delle banconote e, con fare interrogativo, anche il libretto degli assegni, ritenendo insufficiente il contante. Il gioielliere sbirciò il targhettino, finse di fare alcuni calcoli e scrisse su un taccuino la cifra finale, mostrandola fugacemente a Gilberto; contò le banconote porte da Gil e attese che terminasse di scrivere l'assegno a saldo. In ultimo, scelse da un cassetto una custodia portagioie e impacchettò il regalo che Nilde infilò nella sua borsa.
Felix li adocchiò con sollievo; era rimato indisturbato nello stesso posto.
-< Felix, abbiamo fatto prima possibile!> disse Nilde, raggiante.
-< Prima di così… dai, ancora due minuti.> prese la moglie sottobraccio pilotandola verso un bar. Però:
-< Oh Nilde; chi si rivede.> Teodora veniva incontro con la mano tesa; era col suo uomo che presentò all'amica e a Gil:
-< Ma vedi chi c'è, Gilberto!> esclamò Gaspare, il benefattore di Teodora.
-< Weh, Gas; il mondo è piccolo eh?> rispose Gil, un po' confuso. E poi, alla moglie: -< Eravamo amici; altri tempi!> I due si scostarono continuando a rivangare le loro baldorie e malefatte di una volta; Nilde e Teodora, alcuni complimenti reciproci sugli abbigliamenti e poi:
-< Sono fortunata; anni che non ci vediamo e poi… due volte in qualche giorno… come mai dinuovo da queste parti?>chiese Teodora. Nilde, con malcelata soddisfazione: -< Mio marito ha insistito tanto per regalarmi una bellissima parure, quattro pezzi stupendi che erano in vetrina lì da Trozio.>
-< Ah, ha voluto compensarti per qualche lavoretto speciale che lo ha soddisfatto particolarmente.> Teodora con malignità.
-< Ma cosa dici… lavoretto speciale; siamo sposi normali. Senza grilli e fantasie.> asserì vegognosa Nilde.
-< E allora, figuriamoci se ti industri un po'; cosa ti regala? il Duomo di Milano?
> stuzzicò Teodora.
-< Ma cosa devo industriare, ma va… mi va bene così.>
-< Ma pensa come ti andrebbe meglio se… > interruppe i suoi tendenziosi consigli, all'avvicinarsi dei loro uomini: -< sì Nilde, ti telefonerò a breve; il tuo numero è sempre lo stesso, vero?>
-< Certo, la vita cambia, ma il numero rimane.> disse Gilberto, pensando di aver detto chissà cosa di profondo.
Felix cercò di accellerare l'andatura; era quasi l'una e non voleva che i "signolini" aspettassero fuori dalle loro scuole.
-< Grazie, Gil; sono molto contenta.> disse Nilda all'orecchio del marito: -< Non ti pentirai di questo magnifico regalo?>
-< Ma no; sai che per me il denaro ha un valore relativo. Quello che desidero è che tu sia felice.> si riscattò Gilberto.
-< Sì, amore mio; io sono tanto felice; e lo sarai ancor più tu… altro che le tue piante grasse.> ammiccò Nilde sottintendendo chissà quali delizie e pressandosi al marito.
-< Ah, ecco il signolino Poldo!> Felix indicò il bimbo e gli si fermò davanti.
Poldo baciò i genitori sedendosi tra loro.
-< E anche il signolino Leandlo.> completò dopo poco il ceylonese: -< Ola, a casa?> chiese, guardando nel retrovisore.
-< Sì, sì; abbiamo fame.> urlò Leandro.
Finito il pranzo, Nilde richiamò i ragazzi che giocavano:
-< Bimbi… dieci minuti e poi a studiare!>
-< Uffà, sempre la stessa storia!> sbuffò Leandro.
-< Io non ve lo direi più se vi vedessi farlo di vostra iniziativa. Sù, che io e papà dobbiamo parlare.>
-< E sì, voi a parlare e noi a studiare!> Poldo con vocina lieve e delusa.
Mandati i ragazzi a fare i compiti, Nilde e Gil si sedettero sul divano:
-< Amore mio, son tutt'orecchi; di cosa parliamo?> chiese Gil, curioso.
-< Ecco, caro Gil; siamo sposati da dodici anni e viviamo bene, tranquilli e sereni. Tu hai le tue piante e io le mie letture; eppure, la nostra vita è monotona, non ha spunti, né scosse. Ripeto: io sono contenta con i nostri figli, la casa, il benessere… ma mi chiedevo se la nostra vita non sarebbe più bella e interessante se la rendessimo un po' più varia? che ne pensi?> guardò intensamente il marito facendogli una carezza.
-< Certo, tesoro mio; hai pienamente ragione. Bisogna variare le nostre intimità per renderle più interessanti; era a questo che ti riferivi in macchina facendomi pregustare nuove delizie sessuali, vero? Sì, spazio alla fantasia; siamo una coppia affiatata, rendiamola ancora più legata regalandoci qualche variazione. Era a ciò che ti riferivi?> disse Gilberto cominciando ad andar su di giri.
-< Beh, sì; anche a quelle cose.> ammise Nilde abbassando lo sguardo e arrossendo.
-< E allora… vuoi accennarmi cosa ha partorito la tua fantasia o iamo subito alla sperimentazione pratica?> Gil le prese le mani e la baciò sul collo.
-< Nulla di specifico, caro;> Nilde gli offrì le labbra: -< ci sto pensando. Sono iniziative un po' fuori… noi che siamo sempre tradizionali…> la donna palesava difficoltà a esprimersi.
-< Va bene, pensaci pure; ma un po' alla svelta; vedrai che all'atto pratico è l'istinto che ti guida; è tutto più facile e piacevole.>
-< Sì Gil; sono tua moglie e troveremo l'accordo giusto per esaltare il nostro rapporto, non mi sono mai rifiutata. Ma era anche ad altro che stavo pensando.>
disse Nilde, guardandolo.
-< Dimmi cara; dimmi cosa frulla in questa testolina!>
-< Be', ho pensato che abbiamo una bella casa, un grande terrazzo, una sufficiente possibilità economica, e allora…>
-< E allora?> sollecitò Gilberto.
-< Non sarebbe bello dare dei ricevimenti agli amici?> l'aveva detta di botto, come per liberarsi da un peso.
-< Ah, non mi avevi mai accennato a questo tuo desiderio. Pensavo che non volessi che altri disturbassero la nostra vita.>
-< Temevo che tu fossi contrario. Sai, mi hai fatto questo regalo straordinario stamattina; si aggiunge agli altri gioielli che ho. Ma quando li indosso? per la strada non posso portarli, a chi li mostro? non ti farebbe piacere che i nostri amici li ammirassero e ti apprezzassero con una punta d'invidia?> Nilde, con logica studiata.
-< Come no! io so che già mi invidiano per il tesoro di moglie che possiedo.> Gil abbracciò e baciò la sua donna.
Proseguì:
-< E' che io sono un egoista; non voglio dividerti con nessuno. Sai quanti sguardi verecondi… ma sì, che crepino di invidia i nostri amici, solo che occorre che qualcuno ci pensi a organizzare le feste. Lo fai tu? magari con Clara… progettate tutto perché riescano al meglio.> Gilberto aborriva ogni sorta di impegni; era d'accordo su ogni cosa, purché fossero altri a occuparsene; e poi, il bel ricordo dei ati bagordi non era completamente sopito e l'idea dei futuri festini esercitava una buona attrattiva.
Nilde l'aveva spuntata! con larvata sottomissione aveva ottenuto l'assenso alle sue nuove iniziative: sessuali e mondane.
9
Due giorni dopo, puntuale, telefonò l'amica Teodora: -< Ciao Nilde, sono Dora; come stai?> -< Bene, bene Dora e tu?>
-< Ah, benissimo. Sai, Gaspare mi ha detto della festa che volete fare e ti ringrazio molto per l'invito; siete stati così carini a ricordarvi di noi. Tuo marito e Gaspare ne hanno combinate tante, insieme, e l'invito lo ha reso così contento… anch'io sono contentissima. Hai da fare? no, vero? be', ti voglio raccontare alcune cosette intime, sì, di me e di Gaspare. Dai, mettiti comoda.> Teodora la prendeva per le lunghe; Nilde pensò di appartarsi in bagno, col telefono portatile, prevedendo il genere di cosette intime che Dora le avrebbe raccontato. Ed eccola:
-< Nilde, dimmi prima tu: di cosa ha voluto compensarti tuo marito con quel bel regalo? a me puoi confessarlo: di qualcosa di speciale? dì la verità a Dora tua.>
-< Ma no; assolutamente nulla di speciale. Non era affatto un compenso, ma un semplice regalo che ha voluto fare a sua moglie.> Nilde fu un po' evasiva, pur se infuriata per l'invito che Gil aveva fatto all'amico; lei non avrebbe mai invitato Dora alla festa.
-< Ah, ché ti vergogni? non vuoi dirmi come lo hai condizionato, qual è stata la tua specialità che l'ha indotto a regalarti quel po-po' di gioielli? così la provo anch'io con Gaspare.>
-< Ma nulla, Dora; proprio nulla di speciale. Noi siamo una coppia normale; tutto secondo tradizione.> Nilde si stava spazientando, ma non voleva essere scortese con l'amica.
-< Vabbè, non me lo dire; io le mie cosette te le dico ugualmente. Puoi provarle e… vedrai che risultati. Quanti altri regali ti farà tuo marito!>
-< Dora, tienile per te; io sono soddisfatta così.> ma quella, come se non avesse sentito:
-< Allora, senti: io sono golosa, mi piace il dolce e una sera Gaspare mi porta una marmellata biologica di amarene; ci sediamo sul letto e io non resisto, prendo con due dita la marmellata dal vasetto e me la mangio tutta. Puoi immaginare come mi combino: sgocciolavo marmellata dappertutto, sul seno, sulla pancia… mi alzo per andare a lavarmi e Gaspare mi fa: -< Aspetta, fammela almeno assaggiare. Mi dispiace, dico io, è finita; potevi dirmelo un attimo prima. E lui: non ti preoccupare, mi basta quella goccia. E si avvicina leccando un frammento di marmellata sul seno; poi mi spinge sul letto e dice: buona, proprio buona. E a a leccare quella caduta sulla pancia; io lo lascio fare e lui, come un cane da caccia, continua a leccare, e giù, più giù fino alla patat… insistendo lì per un certo tempo. E non ti dico… il dolce della marmellata condita dal mio afrore intimo fu per lui una miscela esplosiva… mi capisci? e alla fine mi dice: brava, mi è piaciuto moltissimo. E sfila dal portafoglio due da cinquecento: comprati qualcosa, mi dice.>
-< Dora, ma cosa mi racconti! non mi piace sentire le tue cose intime. Dandoti il denaro ti ha trattato come una…>
-< Be', io te le ho dette lo stesso; e poi… sai come mi sono sentita donna, quando…> continuava Dora.
-< Io mi sento donna anche senza che mio marito faccia il cane da caccia; hai finito? be', ciao.> Nilde voleva troncare quelle confidenze indecenti, ma Dora:
-< Come sei puritana. Ho voluto solo suggerirti qualche espediente per avere altri regali; e non solo, rinforzerai l'amore del tuo uomo e… ti sentirai più donna. E' molto piacevole, credimi.>
-< Dora, io non ti riconosco più; eravamo così amiche e ci confidavamo così con innocenza…>
-< Certo, Nilde; è che mi sento tua amica che ti ho confidato… ho ritenuto di darti qualche spunto, qualche esempio da prendere per il tuo bene, o meglio… per il tuo benessere.> Dora non demordeva.
-< Bene, Dora. Ti ringrazio per la buona intenzione, ma tali consigli non li gradisco. E' chiaro?> disse Nilde con fermezza.
-< Ho capito, anche se ti credevo più aperta e moderna. Per finire, ti dico solo che ho la dispenza stracolma di vasetti di marmellata di tutti i gusti possibili, Gaspare me ne porta ogni volta; ed ho anche un guardaroba di primordine e la cassetta dei gioielli ben piena. Oltre al fatto che tra me e lui va tutto a gonfie vele. Mi è rimasto un ultimo particolare, che non ti dico ora, visto come l'hai presa; te lo dirò un'altra volta. Ciao, amica bella.> e interruppe.
- Ma guarda quella! - borbottò Nilde, andando a rimettere a posto il telefono: -è proprio una spudorata. Viene a dire a me delle loro porcherie… prendile ad esempio, mi ha detto. E ché, mi ha preso per una maialona come lei? e allora faceva tanto la santarellina… certo, ne sono ati di anni e tutti cambiano. Però fino a quel punto…
-< Ma', mi aiuti a fare una ricerca? devo trovare qualcosa su Nerone.> le chiese Poldo.
-< Nerone? va bene. Vediamo subito.> e avviò il computer.
-< Brava, mamma; che è successo? hai sempre da fare…>
-< Hai ragione, d'ora in poi troverò il tempo anche per le tue ricerche.> rispose Nilde, con una punta di pentimento, e poi:
-< Ecco, Nerone era un imperatore romano che nell'anno 60 dopo Cristo fece incendiare buona parte di Roma e ne dette la colpa ai cristiani… poi, forse per il pentimento, si suicidò. Be', vedi, è tutto scritto qui; se vuoi, puoi ricopiare. Ma è meglio che leggi tutto prima e poi fai un riassunto.> e andò sul divano a leggere, lasciando il bambino da solo, alle prese col compito.
La telefonata di Teodora l'aveva innervosita; voleva leggere per pensare ad altro. Leggeva, leggeva senza capire cosa; non riusciva a concentrarsi. Dora, con le sue stupidaggini… doveva mandarla al diavolo subito, senza che cominciasse a raccontare; però, se era stato Gilberto a dir loro della festa… e sennò chi altri? ne avevano accennato tra loro solo lei e Gil, ma come gli era venuto di invitarli? lei non si sarebbe mai sognata di metterli in elenco, anche per non scontentare Clara
che aveva una brutta considerazione per Dora. Sì, Gilberto l'avrebbe sentita: invitarli senza consultarsi con lei! come li avrebbe presentati agli altri amici: la mia amica Dora e il suo amante? e Gilberto, invece: il mio amico Gaspare e la sua mantenuta Teodora? i loro amici erano pochi, ma persone ammodo, sposati e senza dicerìe e pettegolezzi alle loro spalle, come l'avrebbero presa? chi va con lo zoppo impara a zoppicare, avrebbero sogghignato. E giù a spettegolare contro lei e Gilberto, amici di quei due.
-< Gil, come ti è venuto di parlare della festa al tuo amico Gaspare?> Nilde apostrofò all'improvviso il marito.
-< Beh, che male c'è; è un mio amico che non mi telefonava da non so quanto tempo…> rispose Gilberto, sorpreso.
-< Il male c'è; e se me ne avessi parlato, ti avrei ricordato che…>
-< Ma cara, lui è amico mio, lei è amica tua, quindi… e poi, non mi avevi detto che volevi mostrare le tue cose, i nuovi gioielli a tutti? non capisco perché non avrei dovuto.>
-< Innanzitutto ne avevamo appena parlato senza decidere tempi e modi; anzi, sto pensando proprio di annullare l'iniziativa.>
-< No.. perché vuoi rinunciare? cos'è successo?>
-< Perché, perché… ti sei chiesto come presenteresti quei due agli altri amici?>
Nilde era furibonda.
-< Semplicemente: vi presento Dora e Gaspare, due nostri amici. Mi sembra che…>
-< Già, risolvi tutto semplicemente; e Rosa, e Michele, e Rita, e Giacomo, e tutti gli altri non si chiederebbero come mai alcuni li presenti come Beatrice e Maurizio Renzosi e quei due li presenti senza cognome?>
-< Ma cosa vai a pensare… vieni qua che sei proprio infuriata per niente.> e l'attirò a sé: -< Vieni che ti voglio baciare, amore mio. Quendo t'arrabbi diventi più dura; dischiudi quelle labbrucce e baciami come sai fare, sù.> e un bel bacio suggellò il loro amore.
-< Ma se me l'avessi detto…> disse Nilde, rabbonita.
-< Hai ragione, però Gaspare mi ha telefonato ed ero contento; non ho ritenuto che fosse una cosa grave invitarli.>
-< Va bene, Gil; ormai è fatta. Speriamo che Clara non s'arrabbi; sai, quella è capace di mandare tutto a monte!>
-< E no… sarebbe un peccato; ora che mi sono convinto della bontà della tua proposta… a proposito, stai pensando al regalino per mé? mi avevi promesso una cosa bellissima…> e l'attirò nuovamente baciandola sul collo.
-< Buono… ci sto pensando, non mettermi troppa fretta!> aggiunse, con un sorriso malizioso.
L'accordo era stato ristabilito e il sereno era tornato tra i due.
10
Ottima fu la cena e soso fu lo spettacolino televisivo; un sorsetto al cognac nel bicchiere di Gil conciliò il sonno a Nilde che si addormentò subito, lasciando lo speranzoso marito ancora a bocca asciutta.
Ma l'effetto soporifero dell'alcol non durò molto e la donna si ritrovò sveglia e meditabonda sugli episodi della giornata. Non che fosse stata una giornata particolarmente interessante: andamento nella norma, tranne la telefonata di Teodora.
L'incontro a distanza dell'altro giorno quando era con Clara, l'altro incontro ravvicinato di due giorni prima con l'amica Dora e il suo uomo, e la telefonata dell'oggi; tutto ravvicinato e accellerato in pochi giorni, dopo anni e anni di dimenticanza. E il commento impietoso di Clara sul modo di vivere della comune amica, e le scabrose intimità che Dora le aveva raccontato per telefono…
quelle impudicizie sciorinate senza alcun ritegno, anzi, con ripetuto invito a tenerle come esempio per sperimentarle con Gilberto. Come si era permessa quell'amica a esternarle quelle oscene confidenze e a consigliare di copiarle per il proprio soddisfacimento e per spremere regali e denaro da Gil? Puritana, l'aveva chiamata, era l'innato suo senso morale a escludere dal proprio panorama erotico azioni e procedure diverse da quelle sacrosante ammesse dal senso comune e dalla Chiesa. E' vero che lei, prima del matrimonio, e talvolta anche dopo, aveva indugiato in pensieri peccaminosi che si erano conclusi sempre con intensi toccamenti che lenivano i suoi bollori e i latenti desideri di donna non sufficientemente soddisfatta; ma lei, pentita, aveva frettolosamente provveduto a confessarsi ripromettendosi, invano come è naturale, di evitare ogni tentennamento e scacciare i cattivi pensieri.
Rinnovando tali proponimenti, lentamente si riaddormentò.
-< Ciao, amore, ieri sera ti addormentasti di sasso!> Gil salutò la moglie, svegliandola dolcemente con una carezza.
-< E sì, quel goccio d'alcol mi provocò un sonno…>
-< Già; mi dispiacque svegliarti e rimasi a contemplarti, come un babbeo!>
-< Poverino il mio maritino; ti meriti un bacetto, vieni.> e lo baciò sulla fronte.
-< Tutto qui? mi ero preparato a ben altro…>
-< Ma è un chiodo fisso, il tuo! Sii paziente e sarai premiato.>
-< Sì, mi sembra il vangelo secondo Leonilde.> e risero.
-< Dai, cara; va in bagno. Io vado di là e ti aspetto per la colazione.> e andò sul divano a sbirciare il giornale. E poco dopo, nel sedersi per il caffè:
-< Cara, anche oggi ci siamo svegliati tardi; i bambini sono già a scuola.
Menomale che provvede a tutto Felix; dobbiamo dargli un premio, ogni tanto.>
-< Be', gli compreremo una divisa nuova; tanto, dei soldi non sa cosa farsene.> Nilde, con senso pratico.
-< Così la metterà per la festa. Hai già deciso la data?>
-< No, non ho ancora parlato con Clara; penso, tra un paio di mesi, siamo ancora a fine marzo. Un giovedì, visto che il sabato possono avere altri impegni, col circolo o col teatro…>
-< E' giusto; quando farete l'elenco, fammelo vedere, dovessi ricordare qualcun altro da aggiungere!> Gilberto ci stava prendendo gusto.
Quel pomeriggio, il cielo si era rabbuiato all'improvviso; solitamente, a metà marzo, il clima invernale si raddolciva lasciando presagire il tepore della primavera, ma da mezzogiorno uno strato di nuvole dense e grigie aveva mangiato, boccone dopo boccone, l'azzurro che aveva dominato per tutta la mattinata. Anche il sole aveva perso luminosità virando a un inusuale pallore. Tra piccoli squarci le nubi minacciose occhieggiavano lingue nere trabordanti dalla soprastante oscurità e il tutto rendeva il paesaggio appiattito, triste e senza ombre, ad esaltare un'uniformità scolorita e amorfa, senz'anima, senza vitalità. Nuvole ancor più pesanti e tetre avanzavano da lontano, urtandosi tra loro e rumoreggiando con cavernosi borbottii.
-< Felix, Pasqua, affrettatevi a chiudere le persiane!> sollecitò Nilde: -< altrimenti la pioggia sporcherà tutti i vetri.>
Gilberto aveva già risistemato i vetri sulle sue unità di germinazione che lasciava semiscoperte dal momento che le piccole plantule erano spuntate.
Nastasia doveva andare a lezione e s'era annodato attorno al capo un fazzoletto impermeabile prevedendo l'imminente pioggia.
-< Prendi anche l'ombrellino.> le urlò mamma Nilde: -< e copriti bene; l'inverno non vuole ancora lasciarci.>
I ragazzi, alle prese coi loro compiti di scuola, videro le luci tremolare sui quaderni:
-< Mamma, papà, la luce se ne sta andando.> gridarono.
-< Beh, spegnete lumetti e computer e riposatevi; Li riaccenderete appena ata la buriana.> fu la logica risposta.
Intanto le prime gocce di pioggia si spiaccicarono sul terrazzo con un rumore scoppiettante per poi attutirsi, sostituite da un'acquarugiola fina fina e silenziosa.
-< Madonna mia, come torno a casa? speriamo che spiova presto.> Pasqua si preoccupava del rientro sul suo trabiccolo.
-< Non ti spaventale per poche gocce, tla poco si asciughelà tutto.> la rincuorò Felix, memore delle costanti stagioni alluvionali del suo paese. Forse era stato vittima anche dello tsunami, l'immane onda marina che aveva devastato buona parte della costa cingalese. Lui non ne aveva mai parlato, ma probabilmente quel terribile maremoto aveva causato la distruzione della sua famiglia costringendolo a migrare verso l'Italia.
-< Felix, hai chiuso i vetri della macchina?> chiese Gilberto.
-< Sì signole! li chiudo semple.>
-< Bravo, anche se non piove; i gatti saltano dappertutto.>
La pioggia continuò fina fina per tutta la notte; il mattino dopo, il mondo si risvegliò terso e pulito, e anche il sole si riaffacciò caldo e rosato. Pareva contento di rallegrare la giornata all'umanità.
Pasqua era appena arrivata e già si attivava a preparare la colazione per i bambini; Felix li aveva svegliati pian piano e:
-< Sù, dite la pleghielina al vostlo Dio, così, con le mani giunte.> come aveva disposto la signora Nilde; e anche lui dava l'esempio ai ragazzi giungendo le mani, in un gesto forse per lui consueto, ma con significato diverso, e comunque non dedicato al nostro Supremo, pur se Dio di tutto l'universo e perciò anche suo.
Gilberto venne invece svegliato dal ritmico ticchettìo del bastone di Sto' sul pavimento del terrazzo e si preparò in fretta per l'impazienza di andare a verificare le sue piantine; aveva però maldestramente provocato il risveglio anche di Nilde che lo salutò con dolcezza e quasi con riconoscenza. Avrebbero così fatto in tempo a salutare i ragazzi prima che Felix li accompagnasse a scuola.
Il vecchio Sto', preoccupato che la sfuriata di pioggia potesse aver provocato qualche danno agli alberi, si era incamminato all'alba dal suo rifugio:
-< Signor Gilberto, ho assistito a un'aurora meravigliosa; il levante era d'un rosso intenso e poi, gradatamente, è cambiato in rosa e ancora in arancione. E pian piano è diventato d'oro. Uno spettacolo che mi lascia sempre affascinato. Dopo tutti quei tuoni, temevo che vi fossero danni agli alberi. Per fortuna non c'è stato un vento forte e ho notato solo qualche raro nido vuoto per terra. Li toglierò via subito, subito.> disse, dimostrando che anche le persone non particolarmente istruite fossero sensibili alla bellezza degli straordinari fenomeni della natura.
-< Sto', vieni dentro; ché facciamo colazione insieme. Devi esserti alzato molto presto, e il sole non è ancora caldo.> disse Gil.
-< Solo un caffè; se c'è. Grazie, signor Gilberto.> rispose.
Talvolta Gil aveva qualche spunto di cordialità. Dopo avrebbe chiesto scusa a Nilde che non impazziva per l'odore di sigaro di Sto', e specie durante la colazione… ma ormai l'aveva detto.
Comunque Gilberto era abbastanza contento quella mattina: aveva dormito bene
e aveva constatato che le sue piante avevano ben sopportato quel temporale; e che il vetro aveva protetto alla perfezione le minuscole plantule nei germinatoi.
La giornata cominciava bene: Gil continuò a leggere il giornale che gli riservò, però, qualche amarezza: il nuovo Governo non aveva ancora mantenuto l'impegno preso durante la campagna elettorale, cioè di ridurre le imposizioni fiscali. E nuove difficoltà finanziarie ne allungavano i tempi di previsione. D'altronde, la sua teoria del "campa caval…" superò alla svelta la punta di malumore appena affiorata ed ecco che si dedicò a impiantare una nuova unità di germinazione: aveva appena ricevuto dal portalettere una busta con una ventina di semi di Lithops salicola inviati da un apionato, anche lui aderente alla stessa associazione. Sì, avrebbe aggiunto altri vasetti con semi di nuove varietà, tanto, ancora per un paio di settimane, il tempo atmosferico sarebbe stato propizio alla semina.
Nastasia era rientrata dall'Università, piuttosto contenta per aver strappato un 28 con un esame del quale temeva il peggio; si recò subito in cucina per rifocillarsi con una fettina di torta alle more. Trasmise il buonumore ai genitori e si complimentò con Pasqua per l'odorino invitante delle vivande che stava preparando.
Felix stava uscendo in macchina per andare a riprendere i due ragazzi da scuola, mentre Nilde si accingeva a rispondere a una telefonata di sua cugina Gilda. La cara ragazza era solita ricordare per telefono i prescritti doveri religiosi; telefonava un paio di giorni prima della ricorrenza pasquale e di quella natlizia, così da dare il tempo di recarsi in chiesa per la preventiva confessione. Anche quella volta Nilde non si sarebbe sottratta. L'indomani, giorno di inizio delle vacanze scolastiche, si sarebbe fatta accompagnare in chiesa con i bambini e possibilmente con Gilberto, per ottemperare a quell'obbligo.
-< Beh, bambini; ultimo giorno oggi?> chiese mamma Nilde.
-< Sì, finalmente; dì a Felix di non svegliarci più.> disse Poldo; Leandro fu più esplicito: -< A quell'ora è ancora quasi buio.>
Il pranzo fu gradito e sostanzioso; al termine, Nilde accusò una strana sonnolenza e Gil le suggerì di mettersi a letto perché, forse, aveva preso umido e covava un incipiente raffreddore. La donna seguì il consiglio, mentre Gilberto andò a leggere sul divano.
Nilde, al caldo del letto, prese sonno svegliandosi un'ora dopo; fu grata al marito perché si sentì meglio dopo quell'ora di riposo e rimase così a pensare: Gil accennava spesso al "regalino" che lei aveva promesso; ma quale poteva essere il regalo che lo avrebbe acquietato? il suo pensiero non andava oltre l'eventuale intensificazione dei loro normali amplessi, ma era quello che il marito pregustava? pensò anche di chiedere a Gil il tipo di "regalo" che si aspettava; però… e se Gilberto le avesse chiesto un qualcosa che lei non avrebbe mai concesso perché assolutamente contraria al proprio senso morale? il suo rifiuto non avrebbe indisposto l'uomo peggiorando il loro buon rapporto? no, meglio un qualcosa scelto da lei, magari al limite del comune senso del pudore: ma cosa offrirgli? carezze, baci profondi e amplessi più o meno castigati erano "la solita minestra"; aveva letto in uno di quei libretti d'amore che l'aiutavano a trascorrere il tempo, di una protagonista che aumentava l'attaccamento e la focosità del compagno di letto mormorandogli durante le loro intimità parolacce, volgarità e allusioni porno… ma lei non sapeva e non voleva dirle; e poi, avrebbe rovinato in Gilberto l'immagine che aveva di lei, donna seria e morigerata, la madre dei loro bambini.
Lei s'era sbilanciata con Gil accennando a un contentino straordinario; e si stava appunto sforzando di trovare qualcosa da aggiungere ai loro rapporti intimi che appagasse lui, che cementasse meglio il loro rapporto, che incentivasse il desiderio e la foga negli amplessi, ma che non offuscasse la pulizia del concetto di donna pura e moralmente altolocata che il marito aveva in lei. E poi, non secondario, era il proprio senso di autostima, quel sottile filo di considerazione
per se stessa, al disopra delle bassezze e fragilità di tante altre donne.
E sì, lei aveva la presunzione di essere uno scalino al di sopra di altre: dal punto di vista intellettivo… forse era nella media, ma dal lato morale, beh, in base ai vari pettegolezzi e confidenze che abbondavano nei discorsi delle amiche, non si sentiva inferiore a quelle, anzi; lei era sempre controllata e prudente nell'emettere giudizi e nel divulgare le proprie esperienze e sensazioni intime, che, peraltro,si sforzava di tenere sempre a freno. E anche dal punto di vista fisico, il confronto con le sue coetanee, amiche e non, la soddisfaceva a sufficienza, sia per la cura della quantità e qualità del cibo che per le continue attenzioni che poneva al suo aspetto estetico; bagni, massaggi, maschere e shampo erano per lei consueti. Con tale pensiero, inconsciamente si tastò i seni ben turgidi e sodi, si accarezzò i fianchi, i glutei e l'addome reputandoli in forma eccellente, anche l'interno delle cosce non presentava mollezze. Le venne spontaneo tastarsi anche la vagina: qualche peletto di troppo? ma no! tutto in ordine, si disse; ricontrollò ripetutamente muovendo la mano nelle varie direzioni rimanendo soddisfatta del controllo. Sì, la verifica positiva del suo corpo le dette benessere e si riassopì; il silenzio, il tepore delle coltri, quel a e ria con le dita sulla sua zona erogena primaria ebbero l'effetto di suscitare in lei il latente desiderio di ritoccarsi: ed eccola in quella specie di dormiveglia spostare la mano ad accarezzarsi, a inseguire col ritmico movimento delle dita quell'impeto, quel bisogno di appagamento che spinge l'umanità alle azioni meno lecite e forse più turpi… e Nilde ormai immersa con serena beatitudine nella sua femminilità mai sopita, indugiò a lungo in quel piacevole lavorìo. E non si accorse, intenta e frastornata nel suo torpore, che la porta della stanza si era dischiusa e due occhi curiosi cercavano di investigare.
-< Nastà, va a vedere come sta la mamma; è già l'imbrunire…> aveva detto Gilberto, preoccupato.
E Nastasia vi era andata; aveva aperto la porta delicatamente per non disturbarla e si era bloccata nel vedere il leggero tremolìo della coperta. Era rimasta a lungo, indecisa se farsi sentire dalla mamma o richiudere la porta in silenzio; richiuse la
porta alle sue spalle rimanendo, però, a contemplare la donna. La vedeva beata, serena e sorridente, mentre la coperta continuava a tremare; ogni tanto i sospiri di Nilde acceleravano… e il suo sorriso si accentuava.
La ragazza non staccava gli occhi dal viso della mamma; voleva andar fuori per lasciarla ai suoi sussulti, alle sue gioie, ma non riuscva a muoversi, a staccare la sua attenzione da quella stupenda espressione di Nilde… e dalla coperta che tremava. Nastasia voleva molto bene la mamma; pur sapendo di non essere sua figlia naturale, l'amava profondamente, appunto perché si era presa cura di lei in modo così intenso ed esclusivo. In quel momento, vedendola assai felice, ne fu molto contenta e, quasi a voler condividere quella felicità, sentì una vampata calda al viso e quasi venir meno le proprie forze. Si appoggiò allo stipite della porta aggrappandosi con una mano al bordo del cassettone, attendendo di riprendersi un po'.
E Nilde sorrideva beata… e il tremolìo della coperta non si fermava. La ragazza parve sentisi meglio, ma non si mosse; era affascinata, rapita dal viso della mamma, rilassato e lieto e, con uno strano impeto, volle unirsi alla mamma nel gioire delle stesse sensazioni: la mano libera si mosse e quasi senza comando, slacciò il bottone della cintura degli jeans e si infilò nello slip scorrendo sul pancino e le sue dita esperte si insinuarono con la consueta maestrìa fin giù alla ricerca del sospirato punto d'attacco. Nastasia, socchiuse gli occhi sbirciando però il viso sognante della mamma, e ad imitazione e condivisione, iniziò a titillarsi lungamente; rallentando o accellerando il movimento così da far coincidere le proprie fasi d'ansimo con quelle di Nilde per immedesimarsi nello stesso sentire e con l'afflato delle identiche sensazioni intime. ò del tempo; e quando si sentì rasserenata e tranquilla come dopo ognuna di quelle sue frequenti digitazioni, si acquietò, si riassettò e scivolò silenziosamente fuori dalla stanza, lasciando Nilde a proseguire il suo persistente sogno di donna.
-< Tutto bene, papà; sta molto meglio. Verrà tra poco.> disse in risposta allo sguardo interrogativo di Gilberto.
Fu il rincorrersi dei ragazzi a svegliare Nilde: ogni sonnolenza o malessere era scomparso. E ridivenne la Nilde di sempre.
11
-< Ciao mamma, come stai?> Poldo corse ad abbracciarla.
-< Bene, sì, mi sento proprio bene!> Nilde lo rassicurò.
- Lo immagino! ora sto meglio anch'io.- pensò Nastasia. -< Be', eravamo tutti un po' in pensiero per te, cara.> aggiunse Gil:
-< Pasqua ha detto che fra poco sarà pronta la cena. Per te, sta preparando un consommé leggero e chiarificato.>
-< Ma pa', ha detto che sta benissimo; a che serve?> disse Nastasia.
-< Bene; mangerà quello che vorrà.> tagliò corto Gilberto.
A fine cena, il brodino venne rispedito in cucina, confermando il star bene di Nilde che disse alla figlia:
-< Nasta', versalo nell'acquaio, così Pasqua non se la prende.>
-< Beh, ora giochiamo.> propose Leandro: -< Prendo le carte napoletane.>
-< Giocate voi; io vedo il telegiornale.> si defilò Gilberto.
-< E io vado a studiare.> aggiunse Nastasia, poco convinta.
-< Va bene, bambini; io gioco con voi. Ma solo mezzora.> Nilde volle accontentare i ragazzi, ma la sua mente ricordava le bellissime ore di riposo trascorse nel dopopranzo; l'avevano ristorata, rimessa a nuovo, insomma.
Leandro e Poldo continuarono a giocare da soli, mentre la loro mamma telefonò a Clara:
-< Ciao Clara, come stai?>
-< Oh, ciao Nilde, bene. E tu? tutto bene?>
-< Sì, benissimo. Senti, con Gilberto avremmo deciso di ricevere i nostri amici, una festicciola per un giovedì, magari.
Che ne dici?> chiese. -< Che ne dico? che è una bell'idea. Di quale giovedì si tratta? così me lo annoto sul calendario.>
-< Pensavamo… a fine maggio o subito dopo; così possiamo star fuori sul terrazzo.>
-< O anche nel parco; > e dopo un po': -< ma siamo al 10 aprile, non è un po' presto per gli inviti?>
-< Forse; però vorremmo fare una bella cosa, anche per festeggiare il compleanno di Gilberto: sono 54.>
-< Allora sì… fammi sapere la data giusta; verremo senz'altro.> aggiunse Clara.
-< Veramente… Gil e io avremmo pensato di chiedere il tuo aiuto!>
-< Il mio aiuto? in che senso?> l'amica titubò, preoccupata.
-< Se mi dai una mano a organizzare il tutto. Ti va?>
-< Ma tu sei più brava di me. Che aiuto ti posso dare?>
-< Ti prego! sai che io mi sono un po' estraniata… magari se ci vediamo anche domani; vengo a trovarti così facciamo un elenco. Tu li conosci gli amici, va bene?>
-< Nilde, tu puoi venire quando vuoi… domani, hai detto? ecco, domani… devo are dalla gioielleria per la riparazione di un gancetto. Se puoi, ci vediamo lì, alle 12, va bene?>
-< Sì, va bene. A domani, ciao.>
La vetrina era stata rinnovata e Clara era lì davanti ad ammirare la nuova esposizione.
-< Ciao, Clara, pensi a nuovi acquisti?> Nilde salutò l'amica.
-< Ma no, stavo solo guardando! ciao, sei puntualissima.> esclamò guardando l'ora.
-< Beh, mi sono mossa per tempo ed eccomi qua.>
-< Io ho già ritirato la catenina. Ma guarda quell'anello con l'acquamarina; è bello, però duemila euro…> Clara indicò l'anello.
Nilde lo guardò con interesse; sembrava appartenere alla parure che le aveva regalato Gil, la stessa pietra, la stessa fattura in oro bianco: -< Sì, è davvero bello; sembra far parte di un insieme che mi ha regalato Gil poco tempo fa.>
-< Beh, se non ce l'hai, bloccalo e fattelo regalare, no? io ho detto al gioielliere che il prezzo mi sembrava eccessivo per una pietra artificiale; lui dice che il
valore è dato dalla perfezione del taglio e dal ricamo che ha attorno. Boh?>
-< Eh, duemila euro… dove li prendo? ma quasi quasi lo blocco almeno per due giorni; sennò pazienza. Ne metterò un altro.> ed entrò accordandosi col gioielliere per i due giorni.
-< Ecco, Clara; sediamoci qualche minuto a quel tavolino. Ordiniamo un… aperitivo.>
-< Va bene.> e si sedettero.
-< Senti, io ho buttato giù una ventina di nomi di amici; vedi se ne ricordi altri, così cominciamo a definire qualcosa.>
Clara esaminò la lista e aggiunse altri sei nomi:
-< Sì, io aggiungerei i Clarizi, i Manzini e poi Cossi, Murelli, Deronzi e forse i Testani. Poi, vedi con Gilberto se siete d'accordo.> restituì l'elenco:
-< Be', grazie dell'aperitivo; devo are a prendere Romualdo da scuola. Fatti sentire. Ciao.> e Clara corse via.
Nilde chiamò col cellulare Felix che attendeva lì intorno da qualche parte, e riò dalla vetrina: - E sì, è proprio bello; ma non posso nuovamente chiedere a Gilberto. - pensò, rinunciando all'idea di farselo regalare, forse barattando dei
gioielli ati di moda… ma ecco la macchina e Felix che si sporgeva dalla portiera per chiamarla.
-< Eccomi, Felix; torniamo a casa.>
-< Sì, signola; devo fal plesto pel i signolini.> aggiunse.
-< Sì, bravo; vedi di accellerare.>
La giornata trascorse nella normalità più assoluta; fu solo a fine serata che Nilde sottopose al marito l'elenco degli invitati alla festa completa dei nomi aggiunti da Clara. Gilberto l'approvò senza obiettare, tranne che mancava dall'elenco il suo amico Gaspare:
-< Hai dimenticato di inserire Gaspare e Teodora, come mai?>
-< Hai ragione; però, se li avessi inseriti, Clara avrebbe disapprovato e forse disertato alla festa. Tanto, li hai già invitati…>
-< Per me, va bene. ricordati di informarli sulla data, l'avete già decisa?>
-< No, amore; vorrei prima saggiare la disponibilità della musica. Penso comunque, per i primi di giugno.>
-< La musica? vuoi proprio fare le cose in grande, allora…>
-< Beh, si tratta di festeggiare il tuo compleanno, no?>
-< Già, il mio compleanno; sto invecchiando, eh?>
-< Ma cosa dici… i compleanni sono le pietre miliari della vita; vanno tutti ricordati e festeggiati.>
-< E' vero, però ogni compleanno ci allontana dalla nascita e ci avvicina alla m…>
-< Ma non pensare queste cose; abbiamo ancora tutta la vita davanti…>lo incoraggiò Nilde.
-< E poi, ci sei tu a occuparti di me e di ogni cosa. Come potrò mai compensarti per quanto fai?>
-< Ma io ti amo; per me è tutto spontaneo, anche perché sono sicura del tuo amore. Tu mi ami, vero?>
-< E me lo chiedi? se sei già sicura, perché me lo chiedi?>
-< Perché voglio sentirtelo dire ancora, sempre.> e si strinse a lui, offrendosi per un bacio. Dopo, fu sul punto di dirgli dell'anello che aveva visto dal gioielliere; si trattenne pensando che Gil stava ancora aspettando il "contentino" per la parure e che, parlando dell'anello, glielo avrebbe ricordato. E lei non aveva ancora deciso come tener fede alla promessa: sì, doveva proprio sbrigarsi a trovare cos'altro poteva offrire di sé, che avrebbe fatto felice il suo Gilberto. Solo dopo, avrebbe potuto parlare dell'altro anello.
Dormì poco quella notte; si scervellava nel cercare cos'altro potesse concedere al suo Gil: era sempre stata fedele e sottomessa, mai si era rifiutata al suo dovere coniugale, aveva sempre soggiaciuto alle richieste libidinose del marito collaborando volentieri alla loro sedazione nei limiti della normalità, ora, dopo la sua inopportuna promessa, era sorta l'aspettativa di Gilberto a qualcosa di speciale. La sua morale, però, si ribellava a offrire al marito un tipo di amplesso diverso, come ricordava di aver appreso da alcune amiche di gioventù che volevano evitare rischi di gravidanze. No, il rapporto doveva essere secondo la tradizione, al massimo… qualche piccolo accessorio, qualche preliminare in più, che poi lei già aveva concesso.
-< Ché, non dormi?> le aveva chiesto Gil, sentendola sveglia.
-< Sì, caro; mi sto addormentando.> aveva risposto con voce falsamente assonnata.
E intanto… pensa e ripensa, le ritornò alla memoria la telefonata di Dora con il suggerimento della marmellata. No e poi no! disse a se stessa. E dinuovo a pensare; tutto vano. Le si affacciò nuovamente l'amica Dora e la sua marmellata… ma era una sconcezza, diamine. Non riuscendo ad addormentarsi, la subdola idea di Dora turbinava nella sua testa e provò ad approfondirla, giusto per stancarsi un po' e aiutarsi a dormire. Però, immedesimandosi nella parte di Dora, lei non offriva niente, mangiava solo della marmellata che, sgocciolando sul suo corpo, attivava l'iniziativa del suo uomo che si eccitava come se la cosa
fosse un semplice preliminare all'amplesso. Iniziativa dell'uomo, dunque, lei restava ivamente a subire l'azione del compagno lasciando a lui, perciò, ogni colpa della trasgressione. Era certo un ragionamento stiracchiato che non spostava di molto il problema morale, trattandosi di un anormale adescamento. Ma Nilde non ne scartò del tutto la fattibilità, sia pure all'estremo limite della spudoratezza.
Rimase quasi contenta di aver trovato quella specie di soluzione al suo problema; l'avrebbe dispiegata meglio e forse adattata con fantasia a sé e a Gil. Comunque, riuscì finalmente a trovar sonno.
Ci mise due giorni per convincersi che quella specie di soluzione potesse essere adottata per lei e suo marito, e che, pur con dubbi, titubanze ed estremismi, avrebbe salvaguardato in qualche modo il suo senso morale e anche l'immagine di brava moglie che Gilberto aveva di lei. Lasciare a Gilberto la libertà di prendere l'iniziativa, di farsi conquistare o meno dall'invitante pot-pourry alla marmellata non la salvava certo dalla provocazione, dall'induzione a trasgredire ciò che è ritenuto normale, comunque le sembrò che fosse per lei un agire meno grave che proporre e iniziare atti non conformi al semplice rapporto maritale: cambiava la forma, ma non la sostanza! tantopiù che, da settimane, non aveva trovato altro modo per dare a Gil la sospirata "ricompensa". Poi, come aveva detto l'amica Dora, l'istinto e la fantasia avrebbe corollato l'essenza dell'atto.
Ormai, presa la decisione, doveva renderla eseguibile; con determinazione ricercò un neglige adatto, una vestaglietta aperta e semitrasparente tra il vedi e non vedi, e ordinò a Felix di acquistare l'oggetto dell'inciucio cioè un boccaccetto di marmellata; al momento, un inconsueto desiderio, una golosità improvvisa avrebbe trainato l'evolversi della tentazione che avrebbe irretito e stimolato il maritino a prendersi finalmente il suo "contentino".
Nilde aveva elaborato un ragionamento addomesticandolo alla sua morale, che ne usciva un po' scalfita, ma in qualche modo salvaguardata; e poi, pur se
sconfinava un tantino dai sani preconcetti adottati finora… "tra moglie e marito… tutto era consentito", almeno secondo un detto popolare.
12
Tre giorni dopo Gilberto svegliò la moglie con "dolci baci e languide carezze", per dirla in tono operistico:
-< Buon giorno, amore mio; sei stata stupenda!> disse, riferendosi alla notte trascorsa: -< E' stato un "regalo" magnifico e graditissimo. Grazie.>
-< Pochissima cosa rispetto ai bei gioielli che mi desti. Ho cercato di sdebitarmi offrendoti un po' di me. E l'ho fatto anche per me stessa, per un desiderio di novità ; dopo tanti anni delle solite cose ho creduto di dare una svolta.>
-< Un po', dici? tutta te stessa mi hai donato; ti ho sentita senza i soliti controlli interiori, ti ho sentito volar via, finalmente libera.>
-< Si, amore; è vero. Prima, mi è parso di toccare il cielo; e dopo, ancora. Quanta foga ci mettevi… grazie a te. Mi sentivo non più legata e costretta, ma felice di dare e di prendere.>
-< Sei stata straordinaria, tesoro; hai pensato a lungo, però è stato un regalone indovinatissimo. Brava e grazie.> e la baciò ancora con enfasi. E lei si sentì nuovamente pronta, non solo disponibile alla tacita proposta del marito, ma intimamente vogliosa di un ulteriore amplesso.
-< Dopo la meravigliosa fine del ieri, un ottimo inizio dell'oggi!> osservò
Gilberto.
-< E' vero! ora… bagno e colazione. Prima io, sono tutta impiastricciata di marmellata.> e corse in bagno e dopo:
-< Dai, tocca a te. Ti aspetto in cucina.>
Consumata la colazione, si sedettero sul divano.
-< Mi sento come in una seconda luna di miele; ho sposato un'altra donna!> disse Gilberto con allusione.
-< Io sono la stessa donna, però ho fatto nuove scoperte; sia in te che in me stessa.>
-< Spero siano state esaltanti, le tue scoperte.>
-< Sì, sono state bellissime.> e poi, ronfando come una gattina in amore, si pressò al suo uomo sussurrandogli:
-< Sai, non credevo che ce l'avrei fatta; le novità mi spaventano un po'. Devo dirti una cosa.> disse con fare accattivante.
Gilberto la guardò con nuovo interesse; e Nilde gli sciorinò la faccenda dell'anello.
-< Be', e ché, hai bisogno di chiedere? tu sei padrona di mé e di quello che è mio. Sù, telefona a quel negozio e blocca tutto ciò che vuoi. Poi andiamo a ritirarlo.> era ormai facile preda di Nilde.
-< Oh, grazie caro; un altro bel regalo… e io?>
-< E tu me ne farai un altro uguale a quello di ieri.> la tacitò subito Gilberto.
-< Allora, ti è molto piaciuto! pensavo proprio di ripeterlo, anche per rifare un altro regalo a me stessa.>
-< Bene; bisogna dar credito al detto latino "repetita juvant".> concluse Gilberto.
L'anello completò la parure già regalata a Nilde.
-< La indosserò alla tua festa; sarà l'invidia di tutte le amiche. Grazie, amore.> e si lasciò baciare con effusione.
Gilberto aveva appena controllato i suoi vasetti di semina; aveva riscontrato con piacere che dei venti semi di Lithops optica ne erano germogliati ben diciotto. Il successo ottenuto con quella difficile varietà lo premiava di tutte le operazioni e cure adottate per la buona riuscita della semina. Erano ate varie settimane da
quando le plantule avevano mostrato le appena percettibili foglioline e ora tendevano a irrobustirsi; la crescita dei Lithops, molto lenta per natura, avrebbe necessitato di altre cure e attenzioni. Gilberto non lesinava le sue premure e ritenne, per precauzione, di vaporizzare le piantine e il terriccio con una soluzione antifungina.
Volle anche ricevere i complimenti dell'amico siciliano e gli telefonò:
-< Caro Coccardini, tutto bene? la volevo aggiornare sui risultati delle mie semine.> esordì con sussiego.
-< Ah sì; benissimo. Anche per me le cose non vanno male. Ho anch'io qualche notizia lusinghiera.> l'amico, di rimando.
-< Le mie piantine sono spuntate da più di un mese e stanno molto bene: le salicole sono 16 su 20 e le optica sono ben 18 su 20. Un bel risultato, non ritiene?>
-< Sì, certo; è una buona resa. Io devo dire che con le mie weberi solo una su venti non ce l'ha fatta; e poi, ho avuto 20 su 20 con i Conophytum ectypum. Sono proprio soddisfatto.>
-< Be', sì; col germinatoio artificiale… è tutto più facile. Bravo! ma io, tutto al naturale: luce, umidità e temperatura. Ci vuole molta più attenzione.> e giù a una nuova discussione sui due diversi metodi adottati.
Nilde, vedendo che la discussione era abbastanza animata e temendo che si riscaldasse ancor più, si avvicinò a Gil dicendo a voce alta: -< Gilberto, ci stanno aspettando!> dando così l'incentivo a terminare la telefonata.
-< Hai fatto bene, cara; quel presuntuoso si gloriava dei suoi risultati ottenuti nel germinatoio artificiale. Voglio vedere quando metterà i vasetti all'aria aperta quante piantine si salveranno!>
-< Si, ma non ti devi infervorare tanto; non vale la pena.>
-< Hai ragione, amore; devo infervorarmi solo quando…>
Pasqua li interruppe, annunciando che il pranzo era pronto.
-< Cara, come vanno i preparativi della festa?> chiese Gil quella sera.
-< Credo bene; anzi, vedi la bozza degli inviti. Se va bene, domani ne faccio stampare una trentina e in settimana li spediamo.> rispose Nilde, andogli un foglio.
-< Ah, avete fissato per il 3 giugno?> esclamò Gil leggendo il foglio: -< allora vanno spediti subito. Siamo a metà maggio…>
-< Ma sì, tre o quattro giorni… e partiranno. Magari, se domani può venire Clara, così definiamo la posizione dei tavoli e qualche altro particolare; meglio
se ci sei anche tu, non trovi?>
-< Ci sarò, ci sarò; ma tanto, ci sarai tu per me.>
-< No, Gil; è meglio essere in più; così sarai più sicuro.>
-< Certo; definiremo tutto domani. Hai parlato con l'elettricista? il terrazzo vorrei che fosse ben illuminato, mentre la luce a sfumare verso il parco.> osservò Gilberto.
-< Sì, verrà lunedì; nel frattempo stabiliremo la posizione dei tavolini, della musica e della guardarobiera; andrà bene Pasqua per quel lavoro. Ho già stabilito con la pasticceria per una settantina di persone, se qualcuno viene con l'autista; porteranno tavoli, sedie e tovaglie il giorno prima.>
-< Hai detto che portassero anche quelle ampolle per le candele? una per ogni tavolino.> aggiunse Gilberto.
-< Sì, sta tranquillo; dal fioraio ne ho ordinato duecento di candele. Verrà qualche giorno prima per definire la scenografia di sua competenza.>
-< E alla musica, avete pensato?> chiese Gil, con apprensione.
-< Ci abbiamo, ci abbiamo pensato; Clara doveva chiedere a quel pianista del circolo, sennò ho chiesto al pasticciere: loro sono sempre a contatto con
qualcuno. Purché sia moderato, soft, come dicono i giovani.> lo rassicurò Nilde.
-< Dirò a Sto' di venire; che stia al cancello per non far entrare ragazzi o zingari. Lui o qualche suo amico.>
-< Ma ora sta tranquillo; riserva le tue domande a domani. Abbiamo ancora tanti giorni per definire meglio ogni cosa.>
I giorni avano veloci; e i vasetti di marmellata semivuoti si accumulavano a decine negli armadietti della cucina. L'uso del "giochino alla marmellata" era diventato ormai consuetudine degli incontri ravvicinati di Nilde e di Gil. La donna aveva adoperato tutti i gusti in commercio riscontrando la preferenza di entrambi per quello all'arancio e per quello ai frutti di bosco. L'accordo della coppia era divenuto ormai perfetto e la ritualità del "gioco" aveva superato le residue remore di ritrosìa e pudicizia di Nilde che aveva fatto proprio il detto popolare: "tutto diviene accetto a tavola ed a letto" alternato all'altro: "la donna trova il proprio ruolo, in cucina e sotto il lenzuolo". Lei riusciva a tenersi a bada sia a tavola che alla cucina, per il resto invece, aveva abiurato i sani princìpi morali che rimanevano solo come scorza, come aspetto esteriore per il prossimo, ma non per sé e per Gil. L'intesa raggiunta tra loro era perfetta, non che prima vi fosse disaccordo; ora, però, il limite al lecito, prima invalicabile, era stato spostato in avanti a comprendere anche il "giochino alla marmellata".
13
Si era all'antivigilia della festa; ogni cosa era stata risolta e, tranne una sola coppia che aveva disdettato la partecipazione perché colpita da un recentissimo lutto, era perciò previsto un pienone.
La scelta del giorno non festivo e la favorevole data dal clima tiepido aveva consigliato gli invitati a confermare la propria venuta; gli Osborni gongolavano, prefiggendosi di incrementare i loro rapporti mondani con tanti amici trascurati da tempo.
-< Gil, ha telefonato il prefetto Tunarelli; ha chiesto se poteva portare insieme anche la figlia e il genero, appena tornati dal viaggio di nozze. Io ho detto di essere felice di conoscerli. Ho fatto male?>
-< No, cara; hai fatto benissimo. Chi ha sposato la ragazza?>
-< Me l'ha detto: il figlio dell'ambasciatore se a Roma.>
-< Saranno giovani! così abbassiamo l'età media.>
-< Sì, molto giovani; lei sedici e lui diciott'anni.>
-< Due bambini… come mai così giovani?>
-< Non gliel'ho chiesto. Immagino… dopo una scappatella.>
-< Già, sarà stato così.>
Tutto era pronto; scenografia, luci, tavolini, musica e personale. Sto' avrebbe portato anche il figlio per controllare il parcheggio delle auto.
-< La signora Dora vuol parlare con lei.> Pasqua porse il telefono a Nilde:
-< Ciao Dora, ché, non puoi venire?> chiese Nilde, speranzosa.
-< Certo che vengo; volevo consigliarmi con te su quale vestito indossare. Farà caldo, vero?>
-< Penso di sì; comunque, puoi portare un giacchino leggero che lascerai in macchina, per ogni evenienza.>
-< Sì, l'avevo pensato; e poi, raccontami dei giochini alla marmellata, li hai fatti? avevo ragione che sono molto piacevoli?>
-< No, e non voglio parlare di quelle cose; ciao.>
-< Eih, aspetta; come sei suscettibile… io ti devo raccontare di una variante meravigliosa!> insisteva Dora.
-< No, non voglio saperla. Non m'interessa.>
-< Perché? ti accontenti solo della marmellata? sono sicura che hai provato tutti i gusti possibili.>
-< Ti dico di no! và al diavolo con queste cose.>
-< Allora, quando verrò lo chiederò a tuo marito.>
-< Non ti permettere, sai?>
-< E allora, dimmi: quali marmellate ha gradito di più tuo marito?>
-< Uffà! arancio e frutti di bosco. Ecco, purché la finiamo con queste sconcezze. Ciao.> Nilde voleva conservare un dignitoso distacco da quegli argomenti.
-< Ma che gratitudine! io voglio ravvivare l'amore tra te e tuo marito, e tu…>
-< E' già abbastanza vivo. Non preoccuparti, che ci penso io a tenere in piedi il mio matrimonio.> Nilde si mostrava scontrosa.
-< Però un consiglio in più non guasta.> Dora insisteva.
-< E finiscila! tienili per te quei consigli. Beh, ora ho da fare.> tagliò corto, pur rodendosi dalla curiosità.
-< Vabbè, come vuoi; ti racconterò quando ci vediamo. Ciao.> Nilde si chiedeva di quale variante voleva parlarle l'amica. Quei giochi erano già bellissimi… quale poteva essere la variante meravigliosa?
Arrivò il giorno fatidico; tutto si svolse normalmente fino al termine del pranzo.
L'elettricista fece una specie di collaudo di quanto aveva predisposto il giorno prima e il fioraio scaricò le sue fioriere e corbeilles, stese vari tappeti rossi e lasciò in un angolo una trentina di portafiori da piazzare uno per ogni tavolino. Il mattino il pasticciere aveva sistemato i tavolini, quasi tutti sul terrazzo mentre alcuni li aveva posizionati sotto gli alberi del parco riservandosi di allestire tutti i tavoli prima dell'arrivo degli ospiti. Anche il musicista aveva portato la pianola elettronica e Pasqua aveva stirato il suo grembiule e la divisa di Felix. Nilde era in moto perpetuo: girava tra i vari tavolini correggendo la loro posizione con piccoli spostamenti e dando le disposizioni finali a Pasqua, a Felix e ai camerieri.
Anche Sto' aveva preso possesso della sua postazione a lato del cancello e il figlio Bernardo, un omaccione imponente, era pronto a indicare alle macchine in arrivo la posizione prevista per non intralciare le manovre alle altre auto; era
arrivato col suo trabiccolo a tre ruote che aveva parcheggiato fuori, sull'altro lato della strada.
Gli Osborni avevano indossato gli abiti che Pasqua aveva apprettato nei giorni precedenti: Gilberto in gessato blu, Nastasia con un fresco vestito color carne, i ragazzi con aria seccata e insofferente sfoggiavano il loro abbigliamento di festa, e Nilde, agghindata al massimo nel suo abito color panna si era caricata dei suoi gioielli, quelli che Gil le aveva regalato due mesi prima; un trucco leggero e aria raggiante da padrona di casa.
Alle 19 il musicista aveva avviato un nastro registrato che diffondeva attraverso un paio di casse sonore la musica di sottofondo che avrebbe accolto gli ospiti.
Costoro cominciarono a venire alle 20 come previsto; Sto' vedeva l'invito mostrato dal guidatore e, scostandosi, indicava la direzione del parcheggio.
Il primo ospite era stato Filippo Parelli: Nastasia l'aveva invitato all'insaputa a Nilde e a Gil. La ragazza lo presentò ai genitori come il giovane assistente di un docente universitario; v'era del tenero tra i due? chissà!
Ecco il questore Ronagli e signora; scelsero un tavolino sul terrazzo e Felix si affrettò ad accendere la relativa candela. Poi, la famiglia Tunarelli: i genitori vollero un tavolino in piena luce mentre la figlia e il genero scovarono il tavolino più distante e lontano dalle luci, nel parco. E poi Teodora e Gaspare che si indirizzarono a un tavolino a mezza luce; il professor Giucoli e signora preferirono anch'essi un posto semilluminato; e poi Clara e Mariano che gradirono un tavolo sul terrazzo, e così via tutti gli altri invitati. Alle 20,40 quasi tutti i tavolini erano stati occupati e Felix si era attivato ad accendere le relative candele; l'effetto scenografico era davvero magnifico e Gilberto e Nilde ne ammiravano la felice composizione tra luci, fiori e candele.che lasciavano
risplendere le acconciature delle signore i cui gioielli riflettevano una miriade di raggi luminosi.
Gli invitati sembravano gradire i dolci motivi cantati dal musicista e, anzi, qualche coppia stava azzardando alcuni i di danza in uno spiazzo centrale del terrazzo lasciato libero dai tavolini; una specie di caposala avvertiva i camerieri quali tavolini erano da rifornire di rustici, dolciumi e bevande. Anche Nilde e Gilberto avevano il loro daffare: dopo aver ricevuto tutti gli invitati al loro ingresso, si alternavano ai vari tavolini intrattenendosi per qualche minuto con gli ospiti che sembravano davvero a proprio agio e si alzavano al bisogno per muovere qualche o di danza o per brevi eggiate nel parco.
Di tanto in tanto, Nilde rientrava in casa per rendersi conto dell'abbondanza dei rifornimenti o per riposarsi qualche minuto sul divano; in una di quelle occasioni venne seguita da Dora:
-< Dai, fermati un minuto;> disse, abbracciandola a lungo: -< sei proprio bella, e così morbida e flessuosa… sù, lasciati baciare, ché mi piaci molto.> e la baciò sul collo cercando anche le labbra, ma Nilde si divincolò, seccata: -< Ma cosa fai… non sono di quel tipo!> e l'amica, strafottente, le prese le mani e:
-< Ah, no? "tentare non nuoce" dice il proverbio. Beh, sediamoci due minuti; così ti racconto ciò che non volesti sentire per telefono.
-< Ma non voglio sentire neanche adesso; sono cose intime tue e… tienile per te.>
-< Se lo preferisci, dico a tuo marito che hai appreso da me della marmellata…>
-< Ma sei pazza!>
-< Allora stammi a sentire; devo proprio dirti l'ultima nostra esperienza.>
-< Ma perché mi tormenti con queste cose? non voglio saperle.> Nilde non voleva sembrare curiosa, ma lo era molto.
-< A qualcuno devo raccontarla: o a te o a tuo marito.>
-< Ma hai altre amiche; dillo a loro.>
-< A Clara le ho già dette, ora tocca a te. Decidi!> e Nilde, con finto malincuore:
-< Beh, racconta! ma in fretta però.> disse, pur di tacitarla.
-< Brava; ascolta e vedrai che se lo fai, ti piacerà molto di più della marmellata.>
-< Uffà; ancora con 'sta marmellata… be', sbrigati.>
-< Sì, una sera non avevo più marmellata e, prima di metterci a letto, volevo qualcosa di dolce per l'alito, no? trovai nel frigo solo della panna e me la portai a
letto per gustarla lì. Ovviamente, mi sbrodolai tutta e quella caduta sul petto, al calore del corpo, mi sgocciolò giù giù.>
-< Vabbè, e andasti a fare una doccia…>
-< Macchè doccia; senti: Gaspare, credendo che l'avessi fatto apposta, cominciò a leccarmi tutta e la cosa gli piacque tanto che mi rigirò sul letto come una pagina di un libro, per raccogliere con la lingua le gocce che erano scivolate dietro. E io… non ti dico come rimasi estasiata: fu una cosa fantastica e rimasi a gemere e contorcermi inchiodata lì, bocconi sul letto. E non ti dico lui… un forsennato: si avventò su di mé e… mi prese così come stavo. Per lui… fu stupendo. E per mé… non so cosa dire: fu celestiale.> disse, soddisfatta.
-< Be', ora che me l'hai detto, sei contenta?>
-< Certo; da allora alterniamo i giorni alla panna .. con i giorni allo yogurt. Fallo anche tu e toccherai il cielo.> disse, e non sapeva che Nilde il cielo l'aveva già toccato con la marmellata.
-< Va, sei una maialona! le tue porcherie raccontale alle altre, magari a Clara.>
-< Già, a Clara… quando le dissi della marmellata sai cosa mi rispose?>
-< Di andare all'inferno! ti zittì in malo modo, no?>
-< Ma neanche per sogno: mi disse che lei l'aveva già sperimentato, solo che brindando non so a cosa, le cadde lo shampagne addosso. E il marito fece il resto, tutto come fa Gaspare o come fa tuo marito.> disse, acida.
Ritornarono fuori e ripresero ciò che avevano interrotto.
-Hai capito la porcona? - pensò Nilde, riferendosi a Clara - si finge tanto seria e puritana, ma a letto…non scherza neanche lei.
Gilberto era molto contento di come stesse procedendo la serata: una parte del salotto buono della città e della provincia era lì a casa sua e pareva si divertisse molto. Merito dell'idea di Nilde e del suo dedicarsi a organizzare la festa.
Nastasia e Filippo, l'assistente universitario, sembravano aver intavolato una lunga e impegnativa discussione; di tanto in tanto si alzavano e eggiavano nel parco soffermandosi attorno al cipresso nero e parlando animatamente. Tornavano a sedersi per pochi minuti, sorseggiavano qualcosa e nuovamente girovagavano sotto gli alberi, continuando a discutere.
Intanto era scoccata la mezzanotte e il clima tiepido induceva qualche barbone e alcuni sfaccendati che portavano a so i loro cani, a stazionare lungo la recinzione per gustarsi la musica e il gradevole odore delle vivande portato dalle leggere zaffate di vento.
Ogni tanto, su indicazione di Nilde, Felix portava fuori gli avanzi di alcuni rustici e dolci ritirati dai tavolini per dar spazio alle nuove portate. Il tutto finiva nelle sacche dei barboni o, i frammenti, nelle fauci dei cani; così la festa, oltre che per gli invitati, veniva estesa anche a chi sostava lungo la strada.
E la notte trascorreva piacevole, intervallata dallo sbatter d'ali degli uccelli notturni, sorpresi dalle inconsuete luci e sonorità della festa.
14
Filippo aveva preferito lasciare sulla strada la sua piccola utilitaria per evitare il confronto con le lunghe e lussuose auto degli invitati; ci teneva tanto, comunque, alla sua macchinetta, l'unica che il suo modesto stipendio gli consentiva di mantenere. Durante l'ennesima eggiata nel parco con Nastasia si spinse fin sulla strada per dare un'occhiata di controllo alla sua auto: -< Bene, è ancora lì.> disse, compiaciuto, alla ragazza. E nel frattempo la discussione tra i due continuava con fervore; si sedettero sul muretto che reggeva la lunga inferriata di recinzione, senza rinunciare al continuo parlare di quello che sembrava un loro problema esistenziale.
A far loro compagnia erano rimasti solo un paio di barboni insonnoliti, ma che aspettavano che Felix portasse loro altri avanzi. Dopo un po', Nastasia rientrò a prendere qualcosa da mettersi sulle spalle mentre Filippo l'attendeva seduto sul muretto. Lei tornò dopo vari minuti con un vassoietto di dolci: -< Ti ho portato dei…> rimase interdetta, non vedendo l'amico dove l'aveva lasciato.
-< Filippo!> gridò: -< Pippo, dove sei?> disse, poggiando la guantierina sul muretto; questa divenne subito preda dei due barboni che credevano l'avesse portata per loro. La ragazza si guardò in giro e non vide Filippo; non vide nemmeno Sto' e chiese ai due barboni se sapevano qualcosa, ma prima che questi rispondessero, ecco arrivare di gran carriera una macchina dei carabinieri e fermarsi, con stridor di freni, lì davanti. Ne discese un appuntato che intimò:
-< Fermatevi, chi ha telefonato? chi di voi è Parelli Filippo?> vedendo i due poveracci che cercavano di allontanarsi. Ne scese un altro milite che li bloccò ripetendo: -< Chi di voi ha telefonato?> al diniego dei due, guardò interrogativamente Nastasia che rispose: -< Non ne so nulla, anzi, avevo lasciato un mio amico lì seduto e non lo vedo.>
-< Uno ha telefonato al 112 denunciando che dentro stavano ammazzando qualcuno; chi è stato quell'incosciente! ha detto di chiamarsi Parelli Filippo. Chi è?>
-< Ma… è il nome del mio amico; lì dentro è solo una festa…> azzardò Nastasia.
-< E il suo amico, dov'è? ha telefonato lui. Dov'è ora?>
-< Non so; la sua macchina è ancora lì, la vede?>
-< Nardullo, va a vedere se è in quella macchina;> ordinò al milite; -< e portalo qui!>
-< Una festa, eh? sarà stato un ubriaco.> commentò l'appuntato. La ragazza obiettò:
-< Ma che ubriaco; dentro c'e un prefetto, il questore…>
Il milite Nardullo stava tornando: -< Non c'è nessuno.>
-< Be', e dove è andato! allora dobbiamo ispezionare.> disse, forse impressionato da quanto aveva detto Nastasia.
-< Bisceglia, accendi il faro.> disse al milite-autista che diresse il fascio di luce nel parco, attraverso l'inferriata: una figura umana apparve appesa per una gamba a un ramo di un sicomoro.
-< Bisceglia, non farteli scappare quei due; bloccali all'inferriata.> e a Nardullo: -< Prendi la torcia, andiamo dentro; poi, chiudi il cancello!> gridò al milite. Alla luce del faro, però, uno dei barboni fece per raccattare da terra un telefonino, ma gli fu impedito dal carabiniere: -< Non si può toccare nulla.> lo redarguì.
Nastasia e i due carabinieri si affrettarono a entrare nel parco e si avvicinarono a quel corpo penzolante: la ragazza lanciò un urlo. L'aveva riconosciuto: il corpo dell'uomo, che sgocciolava ancora sangue dalla gola tagliata, era del ragazzo se genero del prefetto Tunarelli. Alla luce della torcia, il milite Nardullo aveva visto un luccichìo nell'erba e s'era inchinato per vedere meglio; si ritrasse subito chiamando il superiore e indicando il braccialetto che mandava riflessi bianchi e verdi. Nastasia, sbirciando sopra la spalla dell'appuntato, notò che il gioiello cingeva il polso di un braccio nudo, quello giovane di una donna; l'arto era lì, ma del corpo non v'era traccia. Nastasia si fece largo tra alcuni invitati che s'erano incuriositi vedendo la luce intermittente blu dell'auto dei carabinieri e attratti dall'urlo di Nastasia; stavano curiosi, a una certa distanza, come imbambolati, spettrali nei loro abiti della festa. La ragazza raggiunse i genitori e, raggelata dallo spavento, indicò con la mano il luogo del macabro rinvenimento senza riuscire a rispondere agli interrogativi di Nilde. I due corsero a rendersi conto dell'accaduto e tornarono assai mesti sul terrazzo fermando con la mano il musicista che ignaro, continuava a diffondere melodie, ormai fuori luogo. E i coniugi Tunarelli se la godevano, intanto, nell'osservare le piroette, appena interrotte di alcuni amici; come dire loro del tremendo fatto di sangue avvenuto lì a due i, che li aveva privati della loro unica figlia e del giovanissimo genero? erano appena tornati dal viaggio di nozze e si aspettavano una lunga vita dorata e spensierata… e invece, all'improvviso la tragedia! e già, perché anche Gil e Nilde avevano riconosciuto il ragazzo se e anche il braccio della mogliettina: Nilde si era complimentata con la fanciulla per il bel gioiello, regalo della mamma di lui. In un innaturale silenzio carico di tensione, Gil e Nilde
andarono a sedersi al tavolino dei Tunarelli e cercarono, con un garbo dolce e delicato, pur se mai sufficiente e persuasivo per quel tipo di notizie, a preparare gli sfortunati genitori al pessimo destino che aveva unito i due ragazzi nelle gioie dell'amore e nella triste morte; e aveva unito alle due giovani vittime anche loro, i genitori carichi di speranza e di affetto, che venivano privati di colpo dei loro beni più cari e delle previste gioie che i futuri nipotini avrebbero dispensato. Ed ecco un urlo sovrumano e improvviso raggelare tutti; la signora Tunarelli aveva inteso lanciare il grido del suo immane dolore per poi accasciarsi esanime, sorretta a malapena da Nilde, mentre il marito restava inebetito, immobile sulla sedia, con lo sguardo fisso nel vuoto, a fissare forse chissà quali ombre. Lo strazio dei due aveva fatto alzare diversi invitati che sostavano attorno, non ancora consci di quanto avvenuto, pur se impressionati dalle varie macchine di altre pattuglie di carabinieri appositamente chiamate dal milite Bisceglia.. Gilberto sentì il dovere di ragguagliare alla meglio i presenti, raccolse le proprie forze e il microfono del musicista: -< Gentili ospiti, signore e signori, io e mia moglie vi ringraziamo molto per aver accettato il nostro invito e per essere presenti qui. Qualche minuto fa è purtroppo accaduta una grave disgrazia che mi costringe a interrompere questa festosa riunione. Sono sicuro che vi unirete a noi per esprimere alla famiglia Tunarelli le massime espressioni di solidarietà per la immensa disgrazia che l'ha colpita. Grazie… buona notte!> si meravigliò di come era riuscito a mettere insieme quelle poche parole e ritornò al tavolino dei Tunarelli dove uno degli invitati, il medico prof. Neviri, aveva preso dalla sua macchina la propria borsa professionale e stava praticando ai poveri coniugi le iniezioni del caso e quant'altro ritenuto utile al loro ristabilimento; sollecitò infine alcuni volenterosi ad accompagnare i due all'interno e farli distendere su un divano.
Nel frattempo che i carabinieri facevano i loro rilievi, giunse il sostituto procuratore dott. Scaglini che invitò i presenti a rimettere le proprie deposizioni ai militi prima di poter lasciare casa Osborni; gli autisti degli invitati, già interrogati dai militi, non avevano visto e sentito nulla perché si erano riuniti quattro a quattro in alcune macchine e lì avevano gozzovigliato con quanto Felix aveva portato loro.
Fu solo verso le cinque che riuscì ad andar via l'ultimo invitato e fu, invece più
tardi, al mutare del rosso dell'aurora nel dorato del giorno, che lo stuolo di carabinieri e il furgone dell'obitorio si allontanarono lasciando solo due militi a presidiare il parco..
Ma gli investigatori sarebbero tornati dopo qualche ora: avevano ancora da raccogliere vari particolari e interrogare a fondo gli Osborni e i loro dipendenti.
Fu ancora più tardi che svanì l'effetto soporifero del calmante iniettato dal prof. Neviri; i coniugi Tunarelli si svegliarono quasi contemporaneamente ritornando, pian piano con la memoria, a quanto era accaduto durante la notte. Erano stati amorevolmente vegliati da Nilde che aveva spiato il loro risveglio.
-< Buon giorno, cari amici.> esordì Nilde.
-< Già, buon giorno.> rispose la signora Tunarelli, scoppiando in un singhiozzare senza fine; il marito le stese addosso anche la sua copertina lasciandola sfogare.
-< Venga dottore che le indico il bagno.> invitò Nilde.
Poi fu la volta della signora, e infine Gilberto e Nilde li accompagnarono in cucina dove era stata approntata la colazione.
Uno dei carabinieri rimasti si offrì di accompagnare a casa i due: avrebbero provveduto di là a trasmettere la ferale notizia ai consuoceri. I giornali non avevano avuto il tempo di diramare il triste avvenimento e sarebbe stato il
prefetto a trovare le parole di circostanza e comunicare di sentirsi in comunione con loro per aver perso i loro figli.
15
L'appuntato Carigli che era intervenuto per primo quella notte, ritornò con un ufficiale, il capitano Denora del ROS, appena giunto da Parma. Carigli spiegò che era arrivato tre minuti dopo la telefonata al 112 perché era del distaccamento di Santo Spirito e in quel momento stava perlustrando appunto la strada costiera. Appartenendo le due vittime a famiglie importanti, figli del prefetto Tunarelli e dell'ambasciatore se Departés, il Comandante di zona aveva sollecitato il comando del reparto operativo speciale ché assumesse l'indagine, tantopiù che sembrava coinvolto anche l'Antiterrorismo.
-< Ma no! addirittura…> aveva esclamato Gilberto.
-< Proprio così;> aveva risposto l'appuntato: -< dall'interrogatorio di due barboni che sostavano questa notte fuori al cancello, abbiamo appreso che nel momento in cui il giovane stava telefonando al 112 si era fermata una macchina nera, ne erano scesi due figuri con la barba e, sentita la telefonata, avevano rapito l'uomo allontanandosi in gran fretta. I due con la barba ci avevano dato da pensare che fossero mediorientali; infatti, portati i due barboni in caserma sono state mostrate varie fotografie di ricercati con la barba e quelli hanno riconosciuto entrambi i due rapitori: sono due terroristi siriani controllati da qualche tempo dai nostri agenti dell'Antiterrorismo.>
-< Ecco il collegamento con l'Antiterrorismo.> affermò il capitano Denora: -< Ora i nostri agenti, che seguivano i due siriani, sono a Bitonto appostati presso dove questi abitano e aspettano che i due escano per irrompere nella casa e liberare il rapito.>
-< Lo facciano presto; è un amico di nostra figlia e…> disse Nilde: -< se sanno dov'è, irrompessero subito!>
-< Lasci fare a loro. Per l'incolumità del giovane, è bene che i due non ci siano; potrebbero reagire sparando al rapito.> spiegò il capitano.
-< Quindi, fu quel Filippo… il rapito, a telefonare al 112?>
-< Sì, trovammo il suo cellulare che gli era caduto mentre cercava di divincolarsi; abbiamo verificato che la telefonata partì da quell'apparecchio.> precisò l'appuntato.
-< Se non vi dispiace, vorremmo parlare con i vostri dipendenti; c'era qualcuno di loro al cancello?> chiese il capitano.
-< Beh, sì; c'era Sto'; si chiama Temistocle, ma lo chiamiamo Sto'. E' un vecchietto che viene a curare gli alberi, ma non è un nostro dipendente, né sappiamo come si chiami o dove abiti.> Gil proseguì: -< Si offrì di guardare il cancello per impedire a zingari e curiosi di entrare; però non l'abbiamo più visto.>
-< Signor Osborni, gli autisti di alcune macchine ci dissero di un omone che, all'ingresso, indicava dove posteggiare l'auto.> chiese interrogativamente l'appuntato,
-< Sì, doveva essere il figlio di Sto'; non l'ho mai visto e non so quale faccia
abbia. Fu Sto' a proporlo e io accettai; gli avremmo regalato qualcosa.> ammise Gilberto.
-< Mmm… i due poveracci, sì i barboni dissero di aver visto un uomo grande uscire per due volte con un grosso sacco nero di plastica, quelli per la spazzatura. Dissero che era andato a depositarli nel suo carruccio, un vecchio motore a tre ruote che sostava di fronte, al dilà della strada; dopo il secondo sacco, aveva faticato non poco a mettere in moto il suo carretto, poi era partito e non era più tornato.> il graduato si fermò.
-< E allora?> lo spronò il capitano.
-< Beh, congetture, capitano; solo congetture. E' ipotizzabile che i due sacchi contenessero pezzi del corpo della donna uccisa: il braccio lasciato lì forse non entrava nel bustone… oppure era stato dimenticato.> azzardò l'appuntato.
-< E' orribile, ma può essere; certo che il corpo della ragazza non è stato trovato nel parco, ma solo quel braccio.> il capitano Denora proseguì: -< Se così fosse, sgozzate le due vittime, l'assassino avrebbe sezionato la ragazza e messi i vari pezzi nei sacchi, poi avrebbe appeso il corpo dell'uomo all'albero accingendosi a sezionare anche quello, come procedono i macellai con le loro povere bestie; forse avrà pensato di portare prima al sicuro i pezzi della donna ripromettendosi di tornare per completare lo spezzettamento anche del giovane, ma portati i due bustoni sul suo triciclo avrà notato che non v'era posto per altri bustoni e si è allontanato. Certo, ci sono molti forse… ma è un inizio per partire.>
Nilde, a sentire quella macabra descrizione, si aggrappò al marito, sentendosi venir meno.
-< Ci scusino, stavamo fantasticando a voce alta e…> il capitano e l'appuntato, avvezzi per professione a quei discorsi, zittirono, confusi. Poi chiesero a Gilberto notizie dei dipendenti.
-< Ne abbiamo solo due: una domestica di nome Pasqua Roveni, che abita a Giovinazzo; viene alle sette e va via alle 19. Ieri sera venne incaricata di fungere da guardarobiera per gli ospiti.>
-< E l'altro?> volle sapere il capitano.
-< L'altro è Felix Mugiri, almeno quello è il nome italianizzato; è un cingalese con permesso di soggiorno. Un giovane tuttofare che accompagna i nostri bambini a scuola e aiuta Pasqua nelle faccende di casa.> Gilberto cercò di precisare.
-< Li abbiamo interrogati questa notte; non hanno visto e sentito niente.> disse l'appuntato.
-< E gli altri componenti della famiglia?> insistè il capitano.
-< Nostra figlia Nastasia è all'Università; i bambini Leandro e Leopoldo sono a scuola. Torneranno tutti per il pranzo.> disse Gilberto.
Il capitano Denora volle andare sul luogo dell'eccidio; Nilde non ritenne di accompagnare i tre uomini: era abbastanza provata dalla crudezza della descrizione appena sentita.
I tre raggiunsero il sicomoro; il posto era remoto e seminascosto. I due militi lasciati a custodire la zona della mattanza scattarono in piedi, salutando militarmente l'ufficiale.
Il capitano, notato il pezzo di corda ancora annodato al ramo, ordinò di staccarlo con cura, imbustarlo e portarlo in laboratorio. Ricevette le scuse dell'appuntato che farfugliò:
-< I necrofori avevano tagliato il cappio attorno alla caviglia del corpo, ma stamani eravamo tutti esausti e … sù, mettete i guanti e sciogliete quel nodo.> disse in tono imperativo ai militi.
Sul terreno, al posto della larga macchia di sangue, vi era un'ampia chiazza di suolo nudo: l'erba intrisa del sangue delle due vittime era stata brucata dagli insetti, dai roditori e dai gatti che si erano nutriti avidamente di quell'insolito miscuglio.
Il capitano volle vedere l'esterno dell'inferriata di recinzione; si soffermò su un anello a calce bianca sull'impiantito: indicava dove era stato reperito il cellulare di Filippo. Denora stette alcuni minuti a imprimersi il sicomoro e ad immaginare quello che il giovane aveva visto mentre telefonava. Poi salutò Gilberto ripromettendosi di tornare nel pomeriggio per sentire Nastasia e i bambini. Andando via, gridò ai due carabinieri nel parco:
-< Voi potete tornare nei vostri ranghi; non c'è più niente da sorvegliare.>
Tranne il cerchietto bianco all'esterno e la chiazza di erba rasata sotto il sicomoro, tutto era tornato alla normalità a casa Osborni; normalità solo apparente, perché il ricordo vivo e persistente di quella notte coi due corpi orrendamente macellati sarebbe rimasto incancellabile e avrebbe aleggiato continuamente sotto quegli alberi.
E il dolore dei parenti delle vittime? sarebbe sempre stato continuo e straziante: i Tunarelli avrebbero vissuto per il resto dei loro giorni senza la loro unica figlia. Altrettanto immutabile sarebbe stato il dolore dei famigliari del rampollo se.
E lo spirito dei due sposini? non avrebbe continuato a vagare in eterno tra gli alberi di quel parco? entrambi ancora adolescenti, avevano cercato di estraniarsi da quella festa di adulti, loro avevano la loro ben più grande festa nel cuore! avevano appena coronato il loro sogno d'amore e si erano appartati in fondo al parco per farsi moine e raccontarsi le loro segrete intimità, i loro progetti, le loro speranze… la loro vita stava sbocciando e una mano maledetta aveva di colpo strappato le loro esistenze, infranto i loro sogni, cancellato le legittime aspirazioni, sopìto le aspettative e i desideri dei loro cari…
per loro l'avventura umana da poco cominciata, era già terminata: improvvisamente e così tragicamente…
16
I giornali non si erano limitati a dare la notizia pura e semplice: si erano sbizzarriti fornendo ampio spazio a quella che sembrava una esecuzione impensabile e diabolica. Come poteva essere accaduto il duplice delitto all'interno di un parco annesso a una residenza rispettabile e nel bel mezzo di una festa cui erano intervenuti solo i bei nomi del jet-set di Bari e provincia? e pur avendo preso le precauzioni del caso con i controllori all'ingresso e al parcheggio?
Grande fantasia avevano posto i giornalisti nell'infiorare le scarne notizie diffuse dal Comando dei carabinieri contornandole di storie fantascientifiche; ogni e qualsiasi tentativo di attingere i particolari direttamente dagli Osborni era stato frustrato: il cancello era sempre sbarrato e il camlo disattivato. Anche al telefono era stata applicata la segreteria automatica che recitava: " i titolari della linea telefonica 0000000000 non sono disponibili a fornire alcuna notizia e invitano i curiosi a rivolgersi al Comando dei carabinieri di Bari".
L'avvocato Marifedi, amico di famiglia, aveva suggerito a Gilberto l'isolamento assoluto per almeno dieci giorni e sia Nastasia che i bambini comunicavano con i colleghi di studio tramite un cellulare anonimo prestato dal legale per aggiornarsi sui compiti e lezioni. Anche Pasqua e Felix avevano avuto precise istruzioni a non rispondere ad alcuno, in caso fossero stati avvicinati fuori per la strada. Vana era stata l'intrusione di un fotografo che aveva proditoriamente scavalcato la recinzione con l'intento di riprendere l'interno del parco e il sito della festa: era caduto in malo modo fratturandosi una gamba. Grande divulgazione, però, avevano avuto le foto esterne dal parco e della recinzione: tutti conoscevano ormai come fosse fatta l'inferriata o il cancello di casa Osborni: una pubblicità capillare e gratuita!
Anche dell'ambasciatore di Francia a Roma fu data pubblicità: al diplomatico se Claude Departés furono tante le partecipazioni pubbliche di condoglianza espresse dalle autorità politiche e dell'Istituzione.
Fu solo dopo alcuni giorni che venne resa nota la notizia della liberazione di Filippo Parelli, l'assistente universitario rapito. Il blitz organizzato dagli agenti era riuscito appieno: visti uscire i due siriani dal loro covo, avevano fatto irruzione nell'alloggio liberando il malcapitato amico di Nastasia. Al rientro dei due rapitori, gli agenti avevano avuto facilmente ragione di loro arrestandoli. Costoro, come era prevedibile, rimasero ostinatamente in silenzio, dando l'occasione ai giornali di inventarsi interpretazioni stellari sul motivo del rapimento. La teoria più accreditata fu quella che i due avessero in progetto di trasferire forzatamente l'universitario nel loro paese per mettere a conoscenza i docenti di quelle università su studi e procedure attuate nelle università italiane. Teoria miseramente demolita dallo stesso dottor Parelli, che non faceva parte di qualsivoglia team scientifico, ma svolgeva semplicemente la normale attività di assistente in una materia letteraria di dominio pubblico, come era perfettamente noto ai vari studenti mediorientali dell'università di Bari.
La ridda di congetture animò i giornali per un bel pezzo, per poi, come per tutte le panzane non suffragate da certezze, finire lentamente nel dimenticatoio.
arono le settimane e i mesi e tutto tornò nella più piatta normalità. La vita a casa Osborni si svolgeva come sempre, ma con la sola eccezione che Sto' non s'era fatto più vedere; il vecchietto era stato solo testimone oppure complice del duplice assassinio? oppure vittima anche lui di quel figlio pazzo e malandrino?
E gli investigatori s'erano forse dimenticati di quella tragedia, subissati da altre e più impellenti indagini? O forse stavano procedendo silenziosamente nel loro lavoro pensando di fornire esaurienti notizie solo dopo aver concluso il caso?
Gilberto aveva di tanto in tanto telefonato al capitano Denora e all'appuntato Carigli per sapere qualcosa: entrambi, trincerati in un più o meno comprensibile silenzio, si limitavano a dire che le indagini erano ancora in corso e non potevano, perciò, esprimersi sul loro stato.
Scuse puerili, pensava Gilberto, che aveva l'impressione che gli investigatori volessero solo prendere tempo.
La famiglia Osborni sembrava ormai assuefatta a quell'aria di dopotragedia; il parco, in un primo tempo scansato e obbrobriato da tutti, col caldo della piena estate aveva ripreso la funzione di dare refrigerio e riposo; e ognuno lo utilizzava al bisogno, Gilberto e Nilde per la siesta, Nastasia per riare gli appunti delle lezioni, i bambini per rincorrersi e giocare. Gilberto aveva incaricato un altro giardiniere, Maso, di occuparsi del parco; come prima incombenza, aveva disposto l'abbattimento del sicomoro. Aveva dovuto chiedere la specifica autorizzazione non solo al capitano Denora, ma anche al sostituto procuratore dottor Scaglini. Venne così rimosso il grande albero che, giocoforza, ricordava la disgraziata tragedia. E divenne la terza vittima di quel barbaro massacro.
-< Perché, anzichè quell'albero, non avete fatto tagliare quello magro e lungo che è uguale a quello dei cimiteri?> aveva chiesto Poldo.
-< Perché, come diceva Sto', quell'albero è una rara varietà di Cupressus nigra e ha la caratteristica di essere più scuro dei suoi simili; è quasi nero ed è più alto di tutti gli altri. Quello che è stato tolto era malato e avrebbe potuto far ammalare tutto il parco> spiegò Gilberto, tanto per acquietare il bambino.
Ma l'abbattimento dell'albero della tragedia fu, per Gilberto, per Nilde e per Nastasia solo un'eliminazione finta: visiva, sì, ma in sostanza quella macabra esperienza era impressa nella loro memoria e il ricordo sarebbe rimasto
incancellabile. Tantopiù che, allo stato delle cose, l'assassinio non aveva spiegazioni di sorta e che avrebbe potuto avere quali vittime Nastasia e Filippo anziché la Tunarelli e il marito Departés. Anche Nastasia e Filippo si erano addentrati nel parco, quella notte, anche loro erano giovani e animati nella conversazione, avrebbero potuto essere capitati loro nelle mire dell'omicida, invece dei due sposini adolescenti. Ogni qualvolta che Gilberto o Nilde avevano di fronte Nastasia il loro sangue si raggelava e l'abbracciavano, come per scongiurare lo scansato pericolo; e non è che per la ragazza fosse molto diverso: solo che la giovane età, la distrazione dello studio e forse l'indole caratteriale ne allentavano la tensione. Ma anche lei ci aveva pensato, eccome!
17
Le laconiche e pragmatiche risposte degli inquirenti non sedavano la giustificata e interessata curiosità di Gilberto; pur avendo ripreso con approssimata tranquillità l'andamento delle sue cose, lui era pur sempre ossessionato dal triste ricordo di quella notte, iniziata con brio e spensieratezza, e poi culminata con l'impressionante duplice omicidio e con la sparizione di Filippo Parelli. Senza un perché!
Anche Nilde, malgrado l'apparente tranquillità, aveva nel pensiero la visione, il ricordo vivido del giovane Departés appeso per una gamba e preparato per lo squartamento; ricordava anche quel braccio staccato col ninnolo luccicante al polso, e quel sangue, tanto sangue ancora sgocciolante dalla gola dello sposino…
Nastasia, dal canto suo, cercava di distrarsi per affievolire l'orrore del ricordo di quella notte: lei era stata la prima ad avvicinarsi a quello scempio; e doveva fare sforzi davvero sovrumani per concentrarsi su altri diversivi.
Pasqua, ligia alle disposizioni ricevute da Nilde, non si era mossa dalla sua postazione di custodia dei soprabiti degli ospiti; quindi, non aveva avuto modo di vedere quei resti umani e, pertanto, la sua condizione era quasi normale.
Anche Felix, che aveva già portato a letto i due bambini stanchi e sonnacchiosi, non s'era avvicinato al luogo della carneficina; d'altronde forse ne sarebbe rimasto scosso, ma meno degli altri, perché probabilmente già a suo tempo provato da chissà quali scene vissute nel suo paese e durante il periglioso percorso verso l'Italia.
Solo il parco sembrava aver digerito e dimenticato la barbarie di quella notte; l'incalzare dell'autunno stava provvedendo come ogni anno al parziale rinnovo del suo aspetto: le chiome degli alberi stavano perdendo l'intenso colore verde per are, per alcune, a un semplice calo di tono, e per altre invece, a un colore grigiastro che avrebbe virato al marroncino. Poi, il normale avvicendarsi della stagione avrebbe spogliato i loro rami stendendo sul terreno il grande tappeto di foglie morte. L'ottobre influenzava anche l'umore degli uccelli: avevano perso il brio del loro cinguettare e diradato la loro voce che dava, ormai, di stanchezza dopo l'allegra vivacità dell'estate. Non da meno il sole: aveva raffreddato l'intensità e la luminosità dei suoi raggi, che alternava con periodi di mascheramento denotando pigrizia e indifferenza. Si atteneva cioè al normale ritmo e avvicendamento delle cose di Natura.
Gilberto non trascurava, però, le sue pianticelle; la semina primaverile dei Lithops aveva dato risultati soddisfacenti e ora aveva deciso di affiancare loro anche la semina di alcuni Conophytum dei quali sono non lontani parenti, alla pari del suo amico Mauro Coccardini che alternava quelle semine da vari anni. Aveva ottenuto i semi e le istruzioni da un consocio dell'associazione a cui faceva capo; questa raccoglieva un buon numero di cultori delle piante grasse, e diffondeva tra gli apionati semi e metodi di coltivazione. Gil aveva deciso di utilizzare la capacità dei semi di Conophytum a germinare anche in quella stagione e non voleva essere da meno del suo amico siciliano. Per spirito di antagonismo, aveva anche deciso di tenere segreto l'esperimento: glielo avrebbe comunicato se e solo dopo aver ottenuto buoni risultati di germinazione.
Fu in risposta alla sua rituale domanda agli investigatori sullo stato delle indagini che Gilberto apprese che uno dei due siriani in prigione era stato trovato inspiegabilmente ucciso e l'altro, per evitare che fe la stessa fine, era stato trasferito segretamente in altro carcere.
Un'altra vittima era stata immolata! da chi e perché? forse da qualche sicario incaricato da un servizio segreto, per il timore che non avrebbe resistito a
rivelare perché avevano rapito l'ignaro Filippo Parelli. E che l'uccisione di uno potesse servire da avvertimento per l'altro. Entrambi avevano rispettato, comunque, il loro intento di non parlare. A nulla erano serviti i continui e stringenti interrogatori a cui erano stati sottoposti.
La germinazione dei Conophytum bilobum soddisfece le aspettative di Gilberto; i puntini verdi risaltavano sul marrone del terriccio e lasciavano pregustare i complimenti che Coccardini gli avrebbe elargito. Gilberto gioiva nell'immaginare l'amara rabbia concorrenziale del collega siciliano nell'apprendere il successo di quella ulteriore esperienza; per verificare la completezza del successo di quella nuova semina sarebbe occorso, però, controllare nel tempo il numero delle plantule che avrebbero resistito, pur protette e curate, ma fuori del loro ambiente naturale.
L'inverno si affacciò prepotente; i rami dei plàtani erano nudi e gli ippocastani mostravano i loro frutti spinosi. Il sole, divenuto avaro dei suoi raggi caldi e luminosi, faceva capolino sempre meno frequentemente tra gli spiragli delle basse nuvole grigie e dava al paesaggio un aspetto triste e spento che il raro cinguettare dei pettirossi non riusciva a ravvivare.
E venne il Natale; e il vecchio anno, esausto e scoraggiato dai tanti brutti avvenimenti accaduti, terminò il suo percorso dando spazio al suo successore.
Un mese dopo, i pròdromi di un timido risveglio primaverile concedevano a tratti la fugace piacevole aria di vigilia alla bella stagione che, nel rispetto dei tempi canonici, sarebbe arrivata dopo almeno due mesi. Sempre più spesso da levante gli sprazzi di luminoso celeste si inserivano tra le basse nuvole scure facendosi largo ad annunciare l'imminente cacciata del cattivo tempo.
La rituale domanda che Gilberto rivolgeva agli investigatori ebbe, ahimè, una
ulteriore tragica risposta: anche il secondo terrorista siriano era stato barbaramente assassinato! a nulla era valsa la segretezza del carcere in cui era stato rinchiuso: la longa manus di un servizio segreto era riuscita senza scrupolo ad arrivare fino a lui e a sopprimerlo con il veleno nel cibo.
Una mano ignota e crudele aveva agito ancora, assassinando un altro essere umano!
Cadde così la tenue speranza degli investigatori che avevano caldeggiato il ripensamento di quel recluso; neanche il più flebile cenno ai motivi del rapimento era uscito dalle sue labbra e, ciononostante, era stato ugualmente sacrificato.
Già un anno era ato da quel tremendo 3 giugno che aveva funestato le famiglie Tunarelli e Departés, alterando il normale andamento della vita di casa Osborni.
I due siriani uccisi avevano portato con sé i segreti della loro missione e nuovi argomenti di interesse e di lavoro dei giornalisti e degli investigatori avevano sostituito quelli di un anno prima. Tutto pareva ormai dimenticato tranne che per le due famiglie tanto duramente colpite dal loro cocente dolore.
Per Gilberto e Nilde, coinvolti loro malgrado nella triste vicenda, il tremendo impatto di quella notte era ancora presente. Forse un tantino affievolito per la normale limatura operata dal tempo, ma tuttora vivido e bruciante, tanta parte avevano avuto per lo svolgersi della tragedia: la loro casa, la loro festa, il loro albero testimone e succubo del delitto, i loro due incaricati custodi del cancello e del parcheggio ritenuti quali unici responsabili del crimine; già, il coinvolgimento di Gil e Nilde era stato laterale, ma decisivo e determinante. Sentivano naturalmente il peso della propria colpa: indiretta, è vero, ma
sostanziale. Durante quell'anno, il loro comportamento era stato corretto, irreprensibile: le ripetute telefonate di vicinanza e di mesta partecipazione alle famiglie delle vittime avevano salvato la faccia e… in qualche modo l'immagine degli Osborni. In cuor loro, però, rimaneva un vuoto, una insoddisfazione per il rischio patito da Nastasia e da Filippo quali probabili candidati al posto delle vittime, nonché per l'assenza di un qualsiasi perché. Ora che i due terroristi avevano portato seco i motivi del rapimento di Filippo, la pena di Gilberto e di Nilde era aumentata e si chiedevano se e quale potenziale rischio poteva esserci ancora per Nastasia! era anche lei nel mirino dei terroristi?
E la loro angoscia si accentuava ad ogni ingiustificato ritardo nel rientro della ragazza.
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L'apparente tranquillità di Nilde e di Gilberto agiva da sedativo per Nastasia; lei aveva già ringraziato la sua buona stella per essere sfuggita con Filippo all'attenzione del bruto omicida. Si doleva, è vero, del feroce assassinio dei due giovanissimi sposini, ma non riusciva a spiegarsi il rapimento di Filippo; e se non fosse rientrata in casa a prendere i dolcetti e fosse rimasta fuori con l'amico, avrebbero forse rapito anche lei? l'interrogativo la preoccupava non poco, ignorando il motivo che aveva spinto i due siriani a impossessarsi di Filippo Parelli.
Tempo dopo, una notizia trasmessagli dal capitano Denora, riaprì un barlume di speranza in Gilberto:
in seguito a una telefonata intercettata dall'apposito servizio degli agenti di controllo, l'Antiterrorismo aveva arrestato il capo di una cellula straniera che si accingeva a effettuare un atto terroristico che avrebbe provocato morti innocenti e danni. Nel covo romano dell'arrestato era stato rinvenuto diverso materiale interessante, cioè varie missive in lingua araba e numerosi cellulari, materiale al vaglio dei tecnici investigatori che speravano di trovare notizie sulla rete internazionale tanto pericolosa e sulle attività già espletate o ancora da effettuare. Denora si augurava che venisse trovato anche qualche riferimento al covo di Bitonto e, forse, un probabile accenno al rapimento Parelli.
Il lungo e meticoloso lavoro svolto dagli agenti esperti nella perquisizione portò alla scoperta di molte cellule eversive nelle principali città italiane, ma non evidenziò alcun riferimento al rapimento di Filippo Parelli. Altrettanto infruttuoso si rivelò, nella fattispecie, l'esame dei cellulari; le conversazioni intercettate e tradotte, partite o ricevute, si intrattenevano su aspetti morfologici di piante e animali, su accenni fantastici e fiabeschi oppure favolistici. Per
poterli decifrare si sarebbe dovuto possedere un codice con i vari significati, e i molti terroristi arrestati non ne ammettevano l'esistenza e insistevano sul fedele significato letterario dei loro colloqui telefonici. E gli investigatori, pur convinti che doveva esserci necessariamente il codice segreto, continuavano a lambiccarsi il cervello per trovare parole plausibili in sostituzione dei termini adoperati nelle conversazioni. Lavoro lunghissimo, complesso e purtroppo inutile, che non dette alcun riferimento certo ad eventuali episodi già verificati o soltanto progettati. Come poteva, ad esempio, interpretarsi "la zebra dalle strisce rosse sostava stanca nella grande strada" oppure "l'orco cucinò perfettamente i due bambini" o ancora "la volpe si accorse che l'uva era alta e non saltò neanche a raccoglierla"…boh?
Le indagini si arenarono nuovamente; ad oltre un anno di distanza quattro omicidi, un rapimento e un albero abbattuto rimanevano ancora senza un perché; e in più, rimanevano validi e attuali i dubbi, le paure, le angosce della famiglia Osborni. Per non parlare dell'immenso dolore dei Tunarelli e dei Departés che, comunque, non sarebbe mai potuto essere lenito.
Qualche mese dopo, il capitano Denora telefonò a Gilberto:
-< Sono di aggio per Bari e mi chiedevo se, pur essendo domenica, posso are a salutarvi?>
-< Certo, come no capitano; ci farà molto piacere.> rispose Gilberto, meravigliato.
Il capitano trovò l'intera famiglia Osborni riunita in salotto; si intrattenne con tutti rammaricandosi dello stallo delle indagini relative al fattaccio avvenuto nel parco:
-< E' gente fanatica, dura ed esperta; pur avendo loro promesso qualche facilitazione, nei limiti s'intende, sono fermamente intenzionati a mantenere i loro segreti. Sostengono di essere semplici cultori della letteratura italiana, perciò le loro conversazioni vertevano su quei temi; d'altronde, sono quasi tutti iscritti a facoltà letterarie di università italiane. Sono davvero ossi duri, preparati e… resistenti. Infarciscono gli interrogatorii di nomi di piante, di animali, di orchi, di fatti mitologici e favolistici… si troverebbero bene a discutere con voi bambini: ore e ore a parlare di queste cose.> e si fermò, quasi attendendo una risposta.
-< Anche Sto' ci parlava di queste cose fantastiche; peccato che non viene più qui.> disse Leandro, con rammarico.
-< Sì, peccato; ci parlava spesso dei suoi atti eroici e del figlio che era un orco… > attaccò Poldo: -< diceva: scappate se lo vedete, altrimenti quello vi mangia! ci metteva paura.>
-< Ah, diceva così? e voi ridevate?> scherzò Denora, che subito dopo, ricordatosi di un'urgenza, salutò e andò via.
Improvvisamente, una piccola luce si era accesa nella mente del capitano, una lucetta, un lampo appena percettibile: doveva pensare ed elaborare un'ipotesi, un abbozzo di teoria. Doveva tastare la lontana possibilità che le strampalate frasi delle conversazioni dei terroristi tra loro e con i mandanti non fero parte di un codice, bensì si riferissero a fatti ed elementi reali; se non tutte le frasi, forse qualcuna, detta in un particolare contesto, sì. Doveva pensare, esaminare, scalfire… partire, appunto, dal presupposto che le varie frasi non fossero tutte di significato oscuro e incomprensibile, ma che almeno qualcuna di esse fosse stata detta al di fuori del codice per non aver trovato in esso i termini specifici di riferimento. Su ciascuna frase occorreva un'analisi faticosa e lunghissima che lo
tenne sveglio e laborioso tutto il pomeriggio e l'intera notte, pur concentrandosi esclusivamente sulle conversazioni dei due siriani uccisi in carcere e nel periodo di ore tra il rapimento di Parelli e il loro arresto.
L'investigatore, con sovrumana pazienza, secondo un filo conduttore che gli aveva in mente la lucetta nel parlare con i due piccoli Osborni, prese ad esaminare la prima frase selezionata e alla zebra dette il corrispondente significato di macchina (la zebra corre nel deserto inseguita dai predatori e la macchina che i due adoperavano correva seguita dagli agenti dell'antiterrorismo; la zebra a strisce rosse poteva riferirsi a una macchina costruita in Corea o Vietnam, paesi comunisti; che sostava stanca sulla larga strada, cioè che era stata fermata dopo essere stata seguita a lungo sulla strada principale). Questa fu, dopo tanti tentativi, la traduzione della prima frase in metafora. La seconda frase (l'orco cucinò perfettamente i due bambini era stato il lampo nella mente del capitano mentre Poldo parlava del figlio di Sto', frase che venne adattata così: l'orco = il figlio di Sto' uccise e preparò per andarseli a mangiare i due giovanissimi) cioè, cominciò a spezzettarli per portarseli via i due più giovani della festa, così come era effettivamente avvenuto. La terza frase invece venne interpretata in questo modo: la volpe = lo studioso Parelli, non poteva saltare giù e riacquistare la libertà perché il covo era troppo in alto. Il ragionamento logico di Denora era certo molto azzardato: legava il rapimento dell'universitario all'uccisione dei due sposini come se i due episodi fossero stati elaborati dai due terroristi siriani; occorreva sviluppare l'idea, non essendovi altro, e cominciare a tessere il canovaccio, impostare la base e, se vi fosse stato qualche riscontro, proseguire l'indagine arricchendola di particolari e di motivazioni.
Con questo intento, il capitano corse a Roma recandosi subito a interrogare dinuovo uno degli arrestati, il capo della cellula romana. Lungo l'autostrada si fermò a una stazione di servizio; una pioggia improvvisa e violenta gli consigliò di fermarsi lì per un po'. E sotto il tamburellare della pioggia si assopì per qualche tempo; poi stette nuovamente a ricollegare tra loro le frasi interpretate, ma aveva bisogno che fossero confermate dal terrorista:
-< Buon giorno Ahmin, vogliamo continuare il discorso del vostro codice delle metafore?>
-< Ma quale codice… non esiste alcun codice; ve lo ripeto.>
Ahmin parlava perfettamente l'italiano, come i suoi colleghi e non c'era bisogno di alcun interprete. Aveva sempre l'aria assonnata e sognante, vera o finta che fosse.
-< Quindi, sei sempre deciso a non rivelarmi perché i due della cellula di Bari avevano rapito il giovane Parelli?>
-< Ma che ne so… ma di quale cellula parlate? io non so niente. Studio e basta.>
-< Ma perché ti ostini a negare? perché non ci agevoli il lavoro, così avrai diversi vantaggi.> Denora insisteva.
-< Non voglio vantaggi; nelle vostre carceri si sta così bene… e poi, non so di che cosa parlare. Uffa, sono stanco.>
-< Sì, come la zebra a strisce rosse.> l'investigatore notò, a quelle parole, un impercettibile segno di attenzione in Ahmin.
-< E dalli con 'sta zebra. Che io sappia, la zebra ha solo strisce nere e non rosse; cosa vi inventate?>
-< Senti, quello ti telefonò il 3 giugno dell'anno scorso e ti parlò della zebra a strisce rosse. E' tutto registrato.>
-< Io non conosco quel tipo di zebra. Forse era una poesia del suo paese… o era ubriaco. Beh, io sono stanco.>
-< Non vuoi parlare? e niente vantaggi. Allora chiederò al tuo vice… ah già, al tuo amico Rambad; lui ha famiglia e gli farebbe piacere avere il permesso di riabbracciarla, no?>
-< Forse, chiedete a lui. Ma anche lui non sa niente.>
- gente tosta - pensò Denora - ma noi non siamo da meno!
Volle reinterrogare l'altro terrorista Rambad sperando di trovarlo più malleabile:
-< Ciao, Rambad, come va?>
-< Benissimo, grazie.>
-< Ho visto fuori, tua moglie e Zoray, la tua bambina; volevano venire a trovarti, ma senza permesso non possono entrare.> cominciò il capitano.
-< Ma perché… perché! è la mia famiglia.>
-< Sì, lo so; ma sono le nostre leggi. Non si può.>
-< Un minuto solo; per favore!> implorò Rambad.
-< Non è possibile! occorre un permesso speciale del giudice.>
-< E non posso averlo? solo per un minuto.>
-< Sai come sono i giudici? ogni eccezione deve avere una contropartita. Solo con uno scambio posso pregare il magistrato di concedere il permesso.>
-< Uno scambio? cosa significa; io non ho niente da dare.>
-< Beh, una cosa potrebbe convincere il giudice: se tu mi indichi dove posso trovare il vostro codice delle metafore, posso pregare il giudice, ma devo dargli qualcosa in cambio.>
-< Ma cosa posso dargli io? se sto in prigione…>
-< Puoi dargli delle informazioni.>
-< Io non ho alcuna informazione. Ma fatemi vedere la mia famiglia; vi prego… >
-< Dipende da te; dimmi del codice.>
-< E che devo dire… quale codice?>
-< Ci risiamo. Allora, niente codice, niente famiglia. Non perdiamo più tempo.> Denora era spazientito.
-< Un minuto solo; fatemela vedere, per favore…>
L'investigatore volle tentare l'ultima carta:
-< So che avete giurato di non dire niente e che, se parlate, quelli vi ammazzano. Allora… facciamo così: a me interessa risolvere quell'episodio del 3 giugno dell'anno scorso a Bari.>
-< Ma se io stavo a Roma… cosa ne so di Bari.>
-< Certo che ne sai qualcosa; quelli di Bari vi telefonarono e vi dettero notizie di
ciò che avevano fatto. Noi abbiamo scoperto alcune cose; io adesso te le racconto e tu non parlare così mantieni il tuo giuramento. Se le cose andarono come te le racconto annuisci con la testa, se ci siamo sbagliati me lo fai capire sempre muovendo la testa verso l'alto; se siamo vicini alla soluzione mi fai un cenno con la mano. Va bene?>
Rambad rimase in silenzio; stava riflettendo se muovendo la testa veniva meno al giuramento o se, non parlando, lo rispettava.
Denora incalzò: -< Deciditi; conto fino a cinque e poi vado via. E addio famiglia!> e cominciò a contare. Al quattro Rambad abbassò il capo, con una smorfia amara: ci stava.
-< Vedo che hai deciso; bene. Sta a sentire: ti prometto che ti farò avere il permesso di vedere la tua famiglia, e non dirò al giudice che hai parlato. Va bene?>
Rambad sorrise, speranzoso.
Il capitano gli raccontò l'interpretazione della frase con la zebra: e il terrorista annuì ripetutamente. Gli disse della spiegazione data alla frase con l'orco e Rambad abbassò il capo e si strinse nelle spalle per dire che le cose potevano essere andate così. Udita, poi, l'interpretazione della frase con la volpe, un nuovo annuire fece comprendere a Denora di aver intuìto giusto. Tutto bene, per lo svolgimento dei fatti; ma il perché? senza che fosse chiarito il motivo di tutta la faccenda, si era risolto un bel niente!
-< Bravo Rambad, domani andrò dal giudice per farti dare il permesso: vedrai
tua moglie e tua figlia per un minuto. Ma tu ti accontenti? oppure vorresti un altro permesso per dieci minuti?>
-< Sì, sì, magari!> rispose, esultante.
-< E allora, io mi sono chiesto il perché del rapimento di quello che voi chiamate "la volpe". Se sei d'accordo, io ti espongo qualche mia ipotesi e tu, senza parlare, mi fai capire se ho indovinato oppure no! vado avanti?>
-< Sì, va bene.> esclamò Rambad; ormai era in ballo e tanto valeva…
-< Vedo che hai ben capito come comportarti. Allora: il rapimento del dottor Parelli era stato ordinato dal servizio segreto?>
Quello scosse la testa energicamente.
-< Ho capito; proviamo a dire: forse perché aveva visto ciò che non avrebbe dovuto vedere?>
Rambad dondolò la testa per far capire che il motivo era quello, ma anche per altro.
-< Quindi, non solo perché aveva visto qualcosa, ma anche perché stava telefonando ai carabinieri?>
Rambad annuì. Denora si chiese cosa poteva importare ai terroristi di ciò che aveva visto Parelli, tanto da rapirlo? e per farne cosa, ammazzarlo forse? e perché? tanto, loro avrebbero potuto allontanarsi tranquillamente, e poi, erano pur sempre seguiti dagli agenti dell'antiterrorismo.
Gli si accese un'altra lucetta e chiese ancora:
-< Erano interessati perché l'orco uccidesse i due ragazzi?>
L'interrogato annuì. E ancora:
-< Avevano commissionato loro il duplice omicidio?>
Rambad chinò nuovamente la testa.
-< Ma perché? forse per il fatto che uno era se e l'altra era italiana?> era un'idea come un'altra, che ebbe l'assenso di Rambad. - Quindi, - pensò Denora fu un atto di terrorismo bell'e buono, forse per vendetta al fatto che Francia e Italia si erano dichiarati contro la repressione che i governativi stavano operando in Siria.
-< Un'ultima domanda: i due ragazzi furono uccisi perché erano figli di persone importanti sia si che italiane?>
Sì, il terrorista aveva annuito anche quell'ultima volta. Ecco che quell'ideuzza partita dalle poche parole di un bambino, prese corpo divenendo la spiegazione della tragedia consumata il 3 giugno del 2010 a casa Osborni.
Denora riportò i risultati conseguiti al magistrato che li condivise e rilasciò i sospirati permessi alla famiglia di Rambad. Potè anche rassicurare la famiglia Osborni sul timore di eventuali pericoli ipotizzati per Nastasia: aveva accertato che l'uccisione degli sposini Tunarelli-Departés era stata mirata e rientrava in un piano vendicativo dei terroristi verso le patrie dei due; mentre il rapimento di Filippo Parelli era stato casuale e il giovane assistente non era di alcun interesse per alcun servizio segreto.
Risolta l'indagine sull'infelice notte di quel 3 giugno nel parco degli Osborni, il capitano lasciò che i carabinieri della caserma di Santo Spirito si attivassero da soli a scoprire dov'erano finiti Sto' e il suo caro figliolo, nonché i resti umani della sposina. Il corpo dello sfortunato maritino era stato restituito ai suoi genitori pochi giorni dopo l'omicidio, ma quello della ragazza dov'era finito?.
19
La simpatia tra Nastasia e Filippo si tramutò presto in un legame sentimentale più profondo; i due giovani si incontravano ormai frequentemente al di fuori dell'ambiente universitario e sia Nilde che Gilberto guardavano con favore l'eventuale concretizzarsi di un vincolo più stabile e consistente tra i due. Vuoi per dare alla figliola un sereno sbocco affettivo che per propria tranquillità nel sapere che la ragazza sarebbe stata comunque non sola, ma costantemente sotto la vigile attenzione di Filippo. Sorridevano contenti nel vedere che i due, dopo ogni diverbio oratorio su argomenti di studio, si riappacificavano teneramente con paroline, carezze e abbracci.
Gilberto continuava le semine dei suoi Lithops e Conophytum e non perdeva occasione per litigare con Mauro Ciccardini per poi, alla successiva telefonata, dimenticarsi della precedente diatriba e riparlare dei loro argomenti. Talvolta venivano interessati altri apionati della stessa associazione a esprimersi per dirimere le divergenze tra i due. E dopo tanto baccagliare, per fortuna "tutti i salmi finivano in gloria", come recitava il vecchio detto.
Intanto l'appuntato Carigli, seppur subissato dai successivi impegni che la zona di sua competenza gli scaricava addosso, non aveva dimenticato gli interrogativi rimasti aperti dopo il punto fermo fissato dal capitano Denora sulle responsabilità dei terroristi per l'efferato omicidio e per il rapimento del dottor Parelli.
Cosa era capitato a quel vecchietto, giardiniere del parco, e a suo figlio? e che ne era stato dei resti del corpo della Tunarelli? i due, nessuno li aveva più visti in giro; solo vari mesi dopo una pattuglia in perlustrazione notò un motorino a tre ruote, arrugginito e bruciacchiato in uno spiazzo incolto: era quello dell'orco? forse. Era senza targa come quello che guidava l'omaccione, ma abbandonato
com'era, poteva aver subìto danneggiamenti e asportazioni; di Sto' non se ne seppe più niente. E ancora mesi dopo, il solerte appuntato Carigli fece il rituale giro di telefonate ai vari nosocomi alla ricerca di notizie sui ricoverati che avevano presentato qualche anomalìa nei documenti di ricovero: dalla segreteria di un istituto per patologie psichiatriche di una vicina città rivierasca seppe di un paziente ricoverato qualche settimana prima senza documenti; per il tipo di malattie dei ricoverati in quella struttura era frequente che i pazienti non si trovassero più i documenti. Ma il particolare che fece allarmare l'appuntato fu il venire a conoscenza che, per un banale litigio, l'anonimo paziente aveva staccato con un morso l'orecchio a un altro ricoverato mangiandoselo con gusto. La notizia fu ritenuta interessante da Carigli che pensò bene di recarsi presso quell'ospedale per accertarsi sulla possibile identità di quel paziente.
Apprese che un addetto al volontariato l'aveva scorto mentre girovagava su un tratto di costa tra Giovinazzo e Molfetta: gridava a squarciagola frasi sconnesse come "babbo, babbo, dove sei finito? non ti trovo più" e raccoglieva sassi scagliandoli in giro con violenza; avvertito l'ospedale, era stato faticosamente recuperato da quattro infermieri e ricoverato, dimostrando pericolosità per la gente. Per l'appuntato, i vari elementi di cui era venuto a conoscenza su quell'uomo, potevano considerarsi concordanti a identificarlo come l'orco, il figlio di Sto', ma volle un'ulteriore conferma: scattò una foto di quel paziente e la mostrò ad alcuni chauffeurs che quel famoso 3 giugno vennero indirizzati alla zona di parcheggio nel parco, dall'omone figlio di Sto'.
Fu solo dopo la conferma che la foto mostrata loro corrispondeva all'improvvisato posteggiatore che ebbe la certezza dell'identità di quel povero pazzo. Assai verosimilmente il mentecatto aveva divorato i resti della sposina uccisa e, forse dopo un diverbio con il vecchio padre, suo commensale di quella carne adolescente, l'aveva violentemente soppresso; l'aveva sepolto in qualche posto? o se ne era nutrito? il tragico interrogativo non avrebbe mai avuto risposta.
Alla luce dei precedenti riscontri e supposizioni, il sostituto procuratore dottor
Scaglini, dopo un ulteriore lasso di tempo, non potè che dichiarare chiuso il caso, pur in presenza di alcune incertezze.
Come pure, malgrado l'accanimento posto per la esauriente definizione del caso, il solerte appuntato Carigli dovette arrendersi alla mancanza di ulteriori indizi e ritrovamenti.
La non integrale risposta a tutti i quesiti lasciò insoddisfatti gli Osborni che si erano, in qualche modo, abituati a considerare Sto' legato indissolubilmente al parco; e Gilberto conservò la segreta speranza di un benvenuto ritorno del vecchietto che gli aveva evitato per tanto tempo di occuparsi degli alberi; Maso, che gli era subentrato, pur essendo altrettanto competente non aveva l'autonomia del predecessore e Gilberto veniva interessato frequentemente nelle decisioni e si distraeva malvolentieri dal proprio hobby. Ai due ragazzini, poi, mancavano i fantastici racconti del vecchio giardiniere e ne rimpiangevano le spacconate che invece avevano alimentato la loro fantasia.
20
L'assetto di casa Osborni permase così per alcuni mesi: i giornali non davano più alcun accenno al triste avvenimento che aveva costituito l'argomento interessante per tanti lettori. Anche gli amici, che nei primi tempi telefonavano con stancante frequenza, avevano lentamente rarefatto le loro attenzioni; non tutti però. Gilberto, come al solito, si sentiva quasi giornalmente con Mauro Coccardini per il loro hobby, Nilde si intratteneva spesso con Clara e con Gilda, la cugina bigotta e, talvolta, pure con Teodora che non tralasciava di stuzzicarla sui contatti intimi con i loro uomini. Leandro e Poldo, nei loro rapporti con gli amici di scuola, non avevano subìto variazioni; per loro, che del triste avvenimento ne avevano solo sentito parlare, non era cambiato alcunché.
Nastasia s'era rasserenata dopo aver saputo di non essere oggetto di interesse per alcun servizio segreto; lei e Filippo non dovevano temere attentati alle loro persone né alla loro libertà. Il tragico episodio nel parco era stato predisposto e mirato per le due vittime e il rapimento era stato occasionale. Lei continuava la sua storia con Filippo e non trascurava lo studio e la preparazione degli esami; si era iscritta a un gruppo di ricerca per la decifrazione di antiche iscrizioni in linguaggio aramaico profondendovi buona parte del suo tempo. Si era intensamente apionata a quegli studi particolari riuscendo a conseguire anche qualche piccolo successo. Si era distinta nel gruppo di ricerca ed era stata additata dal docente come esempio per gli altri studenti.
La ragazza leggeva avidamente ogni notizia riguardante le eventuali scoperte e novità sull'interpretazione degli scritti primitivi nelle lingue antiche del medioriente e fu appunto in una rivista specializzata pervenuta nella biblioteca del Dipartimento Lettere e Storia che apprese di una recente scoperta: durante i gravi disordini avvenuti in Siria in occasione della ribellione contro il regime del presidente Assad era stata assaltata la biblioteca nazionale di Aleppo che custodiva documenti antichi di valore inestimabile. Pare che nel parapiglia susseguente all'incendio dello storico edificio, a detta del cronista, fosse venuto
fuori un antichissimo "rotolo del Mar Morto", uno dei primi documenti scritti in lingua aramaica e cirillica su un lungo foglio di papiro che nessuno aveva avuto modo di vedere prima e di tentarne la traduzione. La notizia aveva subito interessato gli studiosi di tutto il mondo e molti di essi si erano già prenotati per recarsi lì ad Aleppo e prendere visione del documento; la cosa sarebbe stata possibile, però, non appena fosse tornata una certa calma civile.
Nastasia si infervorò immediatamente nel coltivare l'idea di partecipare all'esame del manoscritto inserendosi in uno dei gruppi a cui il prezioso documento sarebbe stato mostrato. Dopo notevole insistenza presso il suo docente, riuscì ad ottenere una lettera di beneplacito dell'Università di Bari che auspicava l'inserimento di Osborni Nastasia in uno di quei gruppi di ricerca attraverso i vigenti accordi internazionali sugli scambi culturali denominati "Erasmus".
E un bel giorno, mentre Pasqua serviva il pranzo:
-< Be', buon appetito; che poi, devo dirvi una cosa.> disse.
-< Se è importante, diccela subito.> osservò Leandro.
-< Per me è importante. Ma ora mangiamo.> rispose Nastasia, lasciando in tutti la curiosità insoddisfatta. Prima della frutta, però:
-< Ecco; ho deciso che andrò all'estero per alcuni mesi.>
-< Ah, e noi? ci porti insieme?> chiese il piccolo Poldo.
-< Ennò, caro; io vado a studiare!> e gli carezzò i capelli.
-< Come mai, questa decisione improvvisa?> domandò Gilberto: -< non ne avevi mai parlato!>
-< E' vero. Ma ci stavo pensando da tempo; solo che ora le cose si sono concretizzate.>
-< E i tuoi studi qui? li sospendi?> chiese Nilde.
-< No mamma, li continuerò. Il professor Cerulli è d'accordo perché io vada ad espletare una ricerca importante per il mondo intero, almeno per quello del settore che mi interessa. Ecco!> e fece leggere le credenziali ricevute dal Dipartimento e dal professor Cerulli.>
-< Oh, in Siria… ma c'è la guerra! No, cara; non ora, almeno.> aggiunse Gilberto.
-< Ma di che ti preoccupi, papà; starò molto attenta a non immischiarmi. Pensa… se riuscissi a partecipare a quella ricerca! il mio nome su tutte le riviste specializzate… e la laurea sarà sicura, e a pieni voti: "Nastasia Osborni ha scoperto il significato di un antico documento in aramaico." Ci pensi? nella lingua di Gesù!> e illustrò dall'inizio il nascere dell'idea: -< Avrò bisogno solo delle spese di viaggio; lì mi arrangerò in una famiglia e farò parte di un gruppo di studio internazionale.>
-< Ma come farai ad abituarti a quella gente, al cibo diverso, ai tanti pericoli…> Nilde era davvero preoccupata.
-< Mamma, sta tranquilla; starò molto attenta. E vi telefonerò quasi ogni giorno.> disse Nastasia, con entusiasmo.
-< E Filippo? viene con te?> chiese Gilberto.
-< Ma no! almeno… non subito. Poi… chi lo sa!> e poi:
-< E' una cosa che piace a mé. Se è per i soldi, posso chiederli a Filippo… lui capirà!>
-< Ma cosa dici… è per i pericoli; proprio in Siria. E proprio adesso, poi!> osservò Gilberto.
-< Ma quali pericoli… e anche qui ci sono pericoli, no?> osservò la ragazza, a mente dello stupro di cui era rimasta vittima.
-< Sì, ma siamo sempre in Italia!> aggiunse Nilde.
Quella specie di conflitto oratorio durò a lungo senza che la ragazza indetreggiasse d'un millimetro dal suo intento:
-< E poi, mamma, papà: è già tutto deciso> disse a chiusura:
-< Ci andrò e basta! Convincetevi.> e troncò la discussione, mostrando tutta la fermezza del suo carattere.
Nilde volle fare un ultimo tentativo: quella sera disse a Filippo, venuto a rilevare Nastasia per una eggiata:
-< Nastasia ci ha messo al corrente della sua decisione di andare in Siria; noi siamo molto preoccupati per la situazione lì…>
-< Certo; anch'io lo sono. Ma lei si è tanto incaponita che non c'è stato verso di convincerla.>
-< Ma lei, Filippo; non può tentare ancora…>
-< Purtroppo no! signora. E' stata categorica. Lei vuole andare lì a tutti i costi. Anche rinunciando al nostro rapporto; ha detto.> disse con rammarico il giovane.
-< Ma lei le ha spiegato i tanti rischi… in un paese islamico…>
-< Certo, signora. Però, in effetti… dipende da lei; se è attenta e prende tutte le
precauzioni… gli scambi di studenti avvengono da molti anni e se ci si limita a studiare, basta essere riservati e avere un po' di attenzione.>
-< Ma senza nessuno che le stia vicino… lei non poteva accompagnarla?> insistè Nilde.
-< Ecché, non mi sarebbe piaciuto? ma con quel mio modesto impiego da assistente, precario per giunta; come faccio ad assentarmi? per il mio futuro, non ho altre possibilità.>
-< Certo, però, che i rischi ci sono…>
-< Beh, come dovunque. Ma Nastasia ha la testa sulle spalle; e il professor Cerulli potrà andarci quasi ogni fine settimana. E' anche lui molto interessato a quella ricerca. Io mi riprometto di correre a trovarla se vi saranno dei ponti o degli scioperi; vedremo.> a Nilde, Filippo sembrò piuttosto remissivo, tanto che:
-< Senta, Filippo; ma lei ci tiene a Nastasia?>
-< Più della mia stessa vita! perciò posso apparirle accondiscendente. Ma Nastasia ha detto chiaramente che rinuncerebbe a ogni cosa… anche a mé, pur di andare lì. E lei capisce che… no; non posso rinunciare per nulla al mondo a lei.> e si strinse nelle spalle, a conferma della sua costrizione a fare buon viso…
Restava a Nilde un ultimissimo tentativo per dissuadere Nastasia dal suo progetto, o almeno a rimandarlo a tempi migliori.
Il giorno dopo volle accompagnare i bambini a scuola per poter poi andare a trovare il professor Cerulli, all'insaputa di Nastsia.
Accompagnò Leandro alla scuola media, ma un improvviso e inusitato sciopero le impedì di lasciare Poldo alla sua scuola. Lo portò con sé all'università e attese che arrivasse il professor Cerulli:
-< Buon giorno, professore; sono la mamma di Nastasia Osborni, la studentessa del gruppo di ricer…>
-< Sì, signora; buon giorno. Mi dica pure…>
-< Ecco, è a proposito del preannunciato viaggio in Siria di mia figlia; lei è al corrente, vero?>
-< Sì, certo; la ragazza ha insistito tanto e io mi sono premurato di trovarle ad Aleppo una sistemazione in una famiglia. Sarà una grande occasione per lei; è una cara ragazza molto portata per quel tipo di ricerca e ne ricaverà sicuramente dei vantaggi, a livello universitario, s'intende.>
-< Ma professore, noi siamo molto preoccupati per lei, dato il momento… con tutti quei disordini. Perché non le consiglia almeno di rimandare… non le sembra?>
-< Cara signora, qualche rischio c'è dappertutto: in Francia, in America…
dovunque. Ma Osborni è una ragazza molto assennata e prudente; io se potrò, andrò lì ogni settimana a verificare lo stato dello studio e anche quello suo personale. Stia tranquilla. Al minimo dubbio le dirò di rientrare immediatamente.>
-< Ma non poteva rimanere in Italia? anche qui c'è tanto ancora da studiare…> Nilde cercava un aiuto in tutti i modi.
-< E' vero, però "nemo profeta in patria" non crede?>
-< Ma', che significa?> chiese Poldo, curioso.
-< Caro piccolo; è una frase latina del vangelo di Luca che Gesù disse a quelli di Nazaret. Significa " nessun profeta è ben accetto nella sua patria". Nel caso di tua sorella, non diventerebbe mai famosa se studiasse solo in Italia.> spiegò il professore a Poldo.
E Nilde tornò a casa, delusa e senza aver concluso nulla.
21
A casa trovò Gil intento al suo hobby e quasi indifferente ai problemi contingenti:
-< Sono andata a parlare col professor Cerulli, se convinceva Nastasia a rimandare.>
-< Ebbene?>
-< Ha detto che Nastasia è irremovibile dalla sua intenzione. E che, comunque, è per il suo futuro. Migliorerebbe la sua posizione; e che sarà un'ottima referenza se decidesse di intraprendere la carriera universitaria.>
-< Quindi, un buco nell'acqua…>
-< Già; lui vi andrà ogni settimana e la controllerà. Così ha detto.>
-< Bah; speriamo bene… le abbiamo tentate tutte!>
-< Sì, Gil; non so cos'altro fare. Ha la testa così dura…>
-< Pazienza, cara; saprà salvaguardarsi, vedrai.>
-< Almeno avrà una casa dove andare; certo, dovrà abituarsi a quegli usi, a quei cibi. Si deve vaccinare, vero? è meglio.>
-< Sicuramente; almeno contro la malaria, il vaiolo… non so. Chiederò al professor Neviri: è un amico e mi consiglierà per il meglio. E poi, Nastasia ha una tempra forte e resisterà a tutto.>
A pranzo, Nilde e Gilberto ormai rassegnati, chiesero alla figlia:
-< Allora, hai proprio deciso di partire ora?>
-< Certo; per il viaggio… c'è la Jetcost, abbastanza economica; solo che parte da Milano per l'aeroporto di Aleppo. Ora sto aspettando di sapere se da Roma c'è qualche volo; magari non per Aleppo, dove ci può essere qualche disordine, ma per Hatay a una novantina di chilometri, che pare più tranquilla. Di là posso prendere una corriera per Aleppo: 500 o 600 euro mi basteranno per andare e tornare.>
-< Dovrai fare le vaccinazioni…>
-< Sì, lunedì andrò al porto di Bari dove le fanno e ti rilasciano un tesserino. Mi porterò qualche maglione perché Aleppo e sulle colline e farà un po' freddo.>
-< Quindi, hai pensato a tutto!> disse Nilde.
-< Beh, alle cose più importanti, almeno.>
-< Non ci farai stare in pensiero? telefonaci ogni giorno, mi raccomando!> disse Gilberto, e aggiunse: -< Ti darò duemila euro in contanti che li potrai cambiare lì nell'aeroporto dove andrai. E anche la mia carta di credito; ci saranno anche lì i bancomat.>
-< Di sicuro; e poi, vi farò sapere. Mi farò una bell'esperienza.>
-< Già; anche noi ci faremo l'esperienza del batticuore.> disse Nilde.
-< Ma no! state tranquilli ché saprò cavarmela. Imparerò l'arabo: è molto utile oggi. E se potrò, anche un po' di aramèo.>
-< Imparerai ad andare sui cammelli?> chiese Poldo.
-< Forse. Ma io vado in una grande città, mica nel deserto.>
-< E lì ci sono pure le scimmiette?> domandò Leandro.
-< Penso di sì; quando ti telefonerò te lo dico. Va bene?>
-< Con Filippo, come sei rimasta?> chiese Gilberto.
-< Filippo, Filippo… bene. Ora devo fare quella ricerca; poi, chissà… vedremo.> rispose, alzando le spalle.
-< E col professor Cerulli?> volle sapere Nilde.
-< Lui è un uomo superlativo; mi ha incoraggiato tanto. Mi verrà a trovare spesso e mi darà una mano nella ricerca.>
Gilberto si chiese se quella frase fosse solo di normale stima e gratitudine di un'allieva verso un proprio docente, oppure celasse qualcosa di diverso, una dedizione più profonda; Nilde a cui rimise l'interrogativo gli rispose:
-< Ma Gilberto, a cosa vai a pensare… quello avrà almeno settant'anni!>
-< Hai ragione; ma il fascino del pelo bianco dove lo metti?>
-< Va, va Gilberto; pensa alle tue piantine. E' meglio!>
In pochissimi giorni Nastasia aveva predisposto ogni cosa: aporto, credenziali, vaccinazioni e cellulare. Nilde l'aiutò per il guardaroba, e Gilberto per le cose di banca e il contante.
Il professor Cerulli consigliò un volo da Roma a Hatay, dove l'aeroporto era, al momento, più tranquillo; di là Nastasia avrebbe potuto proseguire per Aleppo con il treno o, meglio, con un autobus di linea, forse meno turbolento e affollato.
Il giorno stabilito, Gilberto e Nilde accompagnarono Nastasia all'aeroporto Wojtyla di Bari-Palese; qui la ragazza si unì ad altri quattro studenti anch'essi diretti a Roma. Provenivano dalla stessa università di Bari, facevano parte dello stesso scambio culturale Erasmus, ma con un diverso corso di laurea e destinati a studiare in università di nazioni diverse.
Saluti, abbracci, ripetute raccomandazioni di rito e Nastasia scomparve dietro la porta dell'accesso n°3; Gilberto asciugò le immancabili lacrimucce di Nilde e attesero venti minuti per vedere l'aereo decollare verso Roma.
-< Mi aspettavo di vedere Filippo ; mi chiedo come mai non sia venuto?> chiese Gilberto alla moglie.
-< Nastasia mi ha detto che è stata lei a volerlo salutare ieri sera; non l'ha fatto venire apposta. Lo comanda come fosse un cagnolino: lui è molto innamorato, lei meno.>
22
Nastasia telefonò l'indomani pomeriggio; era appena arrivata a casa Al Naras ed era stata ben accolta. Il viaggio era stato tranquillo fino a Hatay: lì aveva preso l'autobus che aveva dovuto allungare il tragitto su altra strada per evitare di incontrare i soliti ribelli che presidiavano la strada principale. L'indomani si sarebbe presentata all'università di Aleppo e, con quelle credenziali, poi sarebbe andata alla biblioteca nazionale.
-< Riesci a farti capire da quella famiglia?> le chiese Nilde.
-< Abbastanza: con qualche parola d'Inglese e con i gesti… per ora va tutto bene.>
-< Ma hai mangiato qualcosa?>
-< Beh, qualcosa in aereo; ora la mamma qui in cucina sta
preparando una focaccina su una pietra bollente, con una crema di aringhe affumicate. Per il resto, ti dirò domani. Ciao.>
-< Sai Gil, mi è sembrata stanca.> disse Nilde al marito.
-< E che vuoi farci; non è stato un viaggio rilassante!>
-< Bah; l'ha voluto lei. Cosa possiamo farci?>
-< Già, non è più una bambina.> osservò Gilberto.
-< Ma per noi genitori, lo è sempre!> concluse Nilde.
Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, Nastasia riuscì anche quel pomeriggio a parlare con i suoi:
-< Ciao mamma, state bene?>
-< Sì, piccola mia; e tu? tutto bene?>
-< Certo, benissimo mamma; aspetta che ti dico.>
-< Sì, un attimo, chiamo papà e metto il viva-voce.>
-< E' meglio, così non ripeti…>
-< Ecco papà; dicci tutto, cara.>
-< Ieri sera mangiammo pollo con erbe profumate, credo anche menta, stamattina latte più caffè o tè con biscotti che fanno in casa con riso e farina. La signora Suana è molto brava in cucina.>
-< Non come me, vuoi dire!>
-< Che c'entra; tu sei diversa. Suana è una massaia.>
-< Va bene; e a pranzo cosa vi ha preparato?>
-< Ah, sì; la mejadra.>
-< Il nome non mi ispira molto.> osservò Gilberto.
-< Invece è buona; la base è di riso e lenticchie rosse con molta cipolla fritta e curcuma. Stasera mangeremo una minestra di carne di vitello con salsa di pomodoro.>
-< Ma i bovini non sono animali sacri?> chiese Nilde.
-< Ma', tu confondi la Siria con l'India; qui solo il maiale non
si mangia perché sono quasi tutti musulmani. Anche questa famiglia lo è, credo sia sunnita.> precisò Nastasia.
-< Sunnita?>
-< Così penso. I sunniti sono un gruppo religioso musulmano; pregano cinque volte al giorno su un tappetino rivolto verso sud. E mangiano con la mano, solo la destra; niente posate.>
-< Pure tu, con le mani?>
-< No, io no! i cristiani usano le posate; ma loro si lavano le mani con cura prima di mangiare, fino al polso. Suana sta molto attenta ché i figli si lavino bene anche dopo aver mangiato.>
-< E dimmi, hai dormito bene? hai la tua stanza?>
-< Beh, sì; ho dormito benissimo. Ero così stanca… il letto era comodo, era di Moira, che è andata a studiare a Perugia. La stanza… no: la divido con Crisia, una bambina di dodici anni che è tranquilla; è un po' più che una bambina, qui le ragazze crescono in fretta. E poi c'è Ramset, un maschietto di cinque anni che dorme nella stanza dei genitori; ah, lui il signor Einhan veste all'europea e fà il tassista: ha una macchina beige e marrone, un po' scalcinata… cioè non nuova e lucida. Sa anche qualche parola in Italiano, i saluti, hotel, ristorante… euro. Qui usano una lira siriana, come moneta, ma accettano tutte le monete: euro, dollari, sterline, franchi…>
-< Bene; sei andata all'università?> volle sapere Gilberto.
-< Come no; per far prima, mi ha accompagnato il signor Einhan col taxi e ho imparato la strada. Ho fatto tutto: ho la lettera di presentazione per la biblioteca, che non è molto lontana. Domani ci andrò, e vi farò sapere. Beh, ora devo leggere un giornale che mi ha portato il signor Einhan: è scritto in Arabo, ma ha la traduzione in Inglese che lo capisco un poco. Ciao, a domani.>
Nilde abbracciò Gilberto, era commossa:
-< E' una cara ragazza; mi manca!>
-< Meno male che è capitata bene; almeno così sembra.>
-< Però… è così lontana; chissà se ha telefonato a Filippo.>
-< Penso di sì; ma chiamalo tu, per sapere…>
Quella sera Nilde ebbe una telefonata dall'amica Teodora:
-< Ciao Nilde, beh? è partita tua figlia?>
-< Sì, due giorni fa. Grazie.>
-< Allora, sei più libera! perché non vieni a trovarmi? così parliamo un po'.>
-< Non è che sia più libera; tutto come prima. Ci sono i bambini che m'impegnano non poco.>
-< E che volevo stare un poco con te; mi sei molto simpatica e poi, ti volevo aggiornare su alcune cose. Dai, vieni…>
-< Quando potrò, ti avverto; se sono le solite cose… me le hai già ripetute e ne sono stufa. Be', ciao.> la salutò con tono seccato.
-< Sai, ti volevo dire qualche novità; ho chiamato Carlotta.>
-< Carlotta? chi è?>
-< Come, chi è; la nostra amica di scuola. Quella che fa la vita. Lei campa con quel lavoro. Pensa che non mi aveva riconosciuto e, sulle prime, credeva che io volessi are un'oretta con lei. Non è che io non ci abbia mai pensato… sarà diventata molto esperta per certe cose, però, tra tutte le amiche io preferisco te, mi vai molto più a genio.>
-< E tu no; ciao.>
-< Aspetta, che ti dico… io le chiesi qualche espediente… sì, qualche nuovo modo per stuzzicare gli uomini, lei dovrebbe avere tanta esperienza, ti pare?>
-< No, Dora; non mi interessa sapere niente. Ciao.>
-< Uffa, come sei diventata; sai cosa mi ha detto?>
-< No, e non lo voglio sapere. Ora devo andare di là.>
-< Ma che fretta! mi ha detto che ogni uomo è un caso a sé ed ha gusti personali. Pensa che un giovane era andato da lei con un terrore per l'aids e che però non riusciva a soddisfarsi con il preser…>
-< E smettila con queste cose! mi stai scocciando.>
-< Va bene, finisco di dirti. Per il timore di malattie non voleva ne sesso orale e né manuale… e allora, ecco come…>
-< E dalli; ciao.>
-< Sì ecco, lei suggerì di provare… sotto un'ascella, figurati. E quello fu contento, finalmente. Hai capito, gli uomini?>
-< Sì, li ho capiti. Ciao.> e troncò quella conversazione. Ma lei aveva capito anche le donne e specie quella! amica, sì, ma da tenere molto alla larga; per quella, uomo o donna andavano tutti bene, anzi, preferiva alternare la loro compagnia… era proprio una viziosa, anormale e viziosa.
23
Nastasia aveva presentato alla segreteria della biblioteca nazionale la lettera avuta dall'università di Aleppo; benché l'impiegata si sforzava di farle capire il percorso da seguire per incontrare lo studioso addetto a quel còmpito, Nastasia scuoteva il capo per indicare che non aveva capito. Dopo una mezzora di spiegazioni e di scuotimenti di testa le due donne non riuscivano ancora a intendersi:
-< I'm italian, io italiana, italienish, de Italie.> ripeteva inutilmente Nastasia. Lì parlavano soltanto l'Arabo. A quel punto l'impiegata, vanificato ogni tentativo di farsi capire, parlottò un poco con la collega, poi prese la mano di Nastasia cominciando a tirarla in una direzione; l'avrebbe accompagnata lei da colui che doveva ricevere i ricercatori. Ma ecco are nel corridoio un'altra giovane donna che si fermò incuriosita dalla scena; breve parlottìo tra le due siriane e, finalmente:
-< Buon giorno, io parlo Italiano; venga che l'accompagno.> finalmente, sospirò Nastasia. Certo, l'accento non era perfettissimo, ma era un Italiano ben comprensibile.
-< Oh, buon giorno; grazie. Sono proprio contenta che lei parli bene l'Italiano.>
-< Sono stata otto anni a Roma e lì ho imparato. Io mi chiamo Pushian; quando ha bisogno chiami Pushian. Ora la porto dal direttore; lui parla molto poco l'Italiano, poco l'Inglese e… non so.> la guidò al piano di sopra e bussò ad una porta; qualche parola ad alta voce e aprì la porta lasciando entrare Nastasia; poi si allontanò tornando alle sue occupazioni.
-< Ciao pa', sono contenta.> disse quel pomeriggio Nastasia.
-< Ciao Nastasia; anche noi, di sentirti. Tutto a posto?>
-< Sì papà; questa mattina sono andata alla biblioteca per presentarmi al direttore; nessuno parlava Inglese o Italiano, solo Arabo. Dopo tanto, pensa un po', una donna che è stata a Roma otto anni mi ha condotta dal direttore; lei parla bene l'Italiano, si chiama Pushian. Il direttore sa solo poche parole d'Inglese; prende sempre il vocabolario ad ogni parola. Comunque… ha detto che gli altri studenti del gruppo di ricerca devono ancora arrivare e posso consultare tutti i volumi della biblioteca finché non arrivano tutti.>
-< Be', così ti ambienti un tantino. Lì, fa freddo?>
-< No, freddo no; solo la notte, dalla sera al mattino. E ma'? sta bene?> chiese la ragazza.
-< Sì, sta bene. Te la o subito. Ciao.> e dette la cornetta a Nilde che, dopo le solite notizie, chiese di Filippo.
-< Sì ma', ci siamo sentiti ieri sera; tante domande… e io a rispondere.>
-< Beh, sai com'è fatto; tu lo tieni in ansia… ma lui ti vuole molto bene.>
-< Lo so; e Leandro e Poldo come stanno?> tagliò corto.
-< Stanno bene; chiedono sempre di te e degli animali che vivono in Siria. Se puoi, fà delle foto e mandale per mail; così li accontenti.>
-< Se mi capita… ma in città vedo solo cani randagi e gatti, e anche polli e piccioni; come da noi, insomma. Se qualche volta vado al lago Al Asar… ma non credo che vi siano coccodrilli…>
-< Vabbè, vedi tu; stai imparando qualche parola araba?>
-< Solo qualche saluto; per ora. E' una lingua difficile.>
-< Certo, e chi la capisce… ma vedi se col vocabolario…>
-< Già; non so se c'è una scuola privata di lingue occidentali! chiederò in giro. Forse a Damasco… ma è molto lontano.>
-< Io chiederei all'università ad Aleppo: ci sarà pure una facoltà di lingue. Se non l'Italiano, almeno l'Inglese o il se dovranno insegnarlo.>
-< Sì, è un'idea; chiederò lì; magari mi farò aiutare da Pushian, se avrà un momento libero. Le chiederò di accompagnarmi la prima volta.>
-< Ci sarà un modo… se non l'università, dove altrimenti!>
-< Ah, dimenticavo; il signor Einhan ha detto che sabato o domenica faremo una gita sul fiume. Si farà prestare la barca da un suo amico.>
-< Bene; ma copriti. Sta attenta che sarà piuttosto umida l'aria. Porterà tutta la famiglia?>
-< Sì, andremo tutti, tranne Moira, naturalmente; lei è a Perugia… pensa, che bello: sull'Eufrate l'antico fiume della Bibbia…>
-< O forse sarà il fiume Oronte; quasi ti invidio, cara.>
-< Non so esattamente; il Tigri sarà più lontano, credo…>
-< Prendi un quaderno e scrivi le tue impressioni; e fà delle foto. Potranno servire ai bambini per le loro ricerche.>
-< Sì, farò così, mamma. Ciao.>
Per Nastasia, la gita era stata bellissima: un'intera giornata sulla barca. Avevano mangiato le focaccine di riso e farina che mamma Suana aveva preparato da casa e condito con una salsa un po' piccante. Una giornata spensierata e tutti che cantavano le loro musiche e cantilene, accompagnate dallo sciabordìo dei remi che si tuffavano ritmicamente nell'acqua; pareva che il dondolìo della barca
seguisse le cadenze musicali, oppure era chi cantava che calcava l'accento delle melodie sul ritmo delle onde contro lo scafo…
Fu comunque una giornata fantastica! Einhan calcolò abbastanza bene il tempo e, quando il caldo sole stava scomparendo dietro le colline e i suoi ultimi raggi color del rame arrossavano ancora persone e cose, la barca toccò il pontile di partenza e l'amico pescatore legò la corda lanciata da Einhan a una bitta in legno: aveva atteso lì chissà da quanto tempo col suo fez sul capo, forse un po' preoccupato per la scarsa abilità marinara di Einhan.
E la famiglia Al Nasar, era ormai buio, scherzando e cantando riprese in macchina la strada del ritorno a casa.
Il direttore accolse il gruppo di studenti con cordialità e sorrisi; dopo qualche minuto lesse un breve saluto in Inglese, che aveva faticosamente preparato per l'occasione: non più di trenta parole forse sgrammaticate, ma comprensibili. Poi chiese il nome a ciascuno dei presenti, che provvìde a spuntare da un elenco: erano in venti a comporre quel gruppo di ricerca. Di molte nazioni e persino un australiano; gli italiani erano ben quattro: oltre a Nastasia, Guido da Torino, Carlo da Firenze e Luna da Roma. Venne deciso che la lingua maggiormente parlata e compresa dai più fosse l'Inglese; poi, ognuno si sarebbe arrangiato a modo suo.
Per sorteggio, furono composti cinque gruppi di lavoro a cui sarebbero stati affidati da tradurre due righi ciascuno del famoso rotolo: due righi di volta in volta, dopo che ogni gruppo avesse completato lo studio dei due righi precedentemente studiati. L'intero lavoro sarebbe stato coordinato, diretto e controllato dal professore universitario di lingue antiche Ebrahim Lutosud appositamente designato dal ministro alla ricerca e istruzione. Il docente consegnò a ciascun ricercatore un foglio scritto in Inglese, con la descrizione del rotolo e di una piccola storia del suo ritrovamento.
Componevano il gruppo di Nastasia il professor Francois Leben dell'università di Lione il più esperto e perciò capogruppo, Romundo Rubirosa da Oporto e Maldivar Opossì da Giacarta.
Il direttore distribuì a ciascun sottogruppo alcune fotografie del primo tratto del rotolo, rotolo che avrebbe poi potuto essere visionato direttamente solo su richiesta del prof. Lutosud; augurò a tutti un buon lavoro che sarebbe stato svolto in una grande sala appositamente sgombrata da preesistenti attrezzature. Ogni sottogruppo avrebbe fruito di un lungo tavolo, di un computer, di un dizionario Arabo-Inglese e di un ingranditore ottico-fotografico che Leben cominciò a maneggiare dimostrando una buona pratica in quel tipo di ricerca.
Nastasia non provò particolare simpatia per i suoi compagni di ricerca: il professor Leben poteva avere sessant'anni e un'aria da topo con occhiali, e denti anneriti dalla nicotina, mentre Rubirosa il giovane studente portoghese, era di una presunzione tale da scoraggiare ogni attaccaparola; l'indonesiano Opossì era piccolissimo e scuro di pelle, con un difetto di pronuncia che rendeva il suo parlare indecifrabile.
-Speriamo che siano almeno bravi e collaborativi nello studio del rotolo - si augurò la ragazza; le erano stati appioppati dal sorteggio e doveva tenerseli, rimpiangendo però le lunghe discussioni accademiche con Filippo.
I primi giorni di studio furono abbastanza proficui: erano riusciti a dare un significato a vari segni che potevano costituire insieme qualche parola dei due righi avuti da studiare. Segni incompleti e smangiati dall'usura e dal tempo, che forse si prestavano a interpretazioni diverse. Occorreva però decifrarli tutti per poterli collegare a quelli dei righi precedenti e dei righi seguenti per giungere a significati di senso compiuto. Il capogruppo si diceva entusiasta e incitava gli altri a non demordere: il lavoro era lungo e ripetitivo per ogni segno, e solo alla
fine dei vari settori o periodi si sarebbe potuto sapere se la traduzione dell'insieme aveva un nesso logico o meno.
Dal foglio avuto dal professor Lutosud, Nastasia apprese che quel documento era lungo sette metri ed era stato trovato nel 1947 nella prima delle dieci grotte di Qumran, a nord del Mar Morto; era stato prima analizzato col metodo del radiocarbonio 14 dimostrando di risalire al primo o secondo secolo a.C. e poi era stato sottoposto ad una speciale spettrografia che gli aveva dato un'anzianità di circa 350 anni a.C. e si trattava di un documento unico su papiro, scritto in lingua aramèa antica con alcune parole tradotte in alfabeto cirillico. Era rimasto ignorato per sessant'anni ed era spuntato fuori solo dopo l'incendio della biblioteca di Aleppo. Gli altri rotoli trovati lì nelle grotte di Qumran erano sparsi in vari musei tra cui il Rockfeller di Gerusalemme e altri, in varie parti del mondo.
Un giorno, Nastasia rivide Pushian, la giovane donna che parlava l'Italiano; finalmente poteva esprimersi nel proprio idioma!
-< Dimmi Pushian, come posso fare per imparare qualcosa della vostra lingua?> chiese, speranzosa: -< C'è un istituto privato dove posso iscrivermi, o una facoltà di lingue all'università?>
-< Scuole private… non le conosco. Forse l'università: ma solo per studenti arabi iscritti al corso di lingue, credo. Ma tu sei iscritta a una università straniera e a un corso diverso… non credo che sia possibile frequentare come privato un'università pubblica.>
-< Ma come posso fare? tu in Italia sei stata otto anni per parlare Italiano, ma il mio soggiorno qui sarà solo di qualche mese…>
-< Senti: non so che tipo di Arabo vuoi imparare, quello comune che parliamo noi oppure quello dei professori. Per l'Arabo di cultura ci vuole molto tempo e un professore, e… non so. Per quello comune, quello pratico forse…>
-< Sì, sì quello di ogni giorno, quello pratico; dimmi…>
-< Per l'Arabo comune la cosa è più semplice. Io imparai l'Italiano parlando con la gente, coi vicini di casa, andando a fare la spesa… i prezzi, le insegne… ma per leggere libri o scrivere lettere, è molto più difficile…>
-< Già; ma ci vuole tanto tempo, però…>
-< Io posso farti una proposta;> disse, dopo averci pensato un po' e guardato in giro con sospetto: -< non so se ti piacerà.>
-< Sì dimmi, sarà sempre qualcosa…> Nastasia pregò Pushian.
-< Io qui in biblioteca guardo il cancello, porto le carte da una stanza all'altra, scopo e tolgo la polvere… voi chiamate "usciere" mi pare. Sono vedova e ho una bambina, e lavoro dopo tanto pregare a tutti. Se vuoi, possiamo parlare insieme: tu in Italiano e io ripeto in Arabo tante volte. Dopo il lavoro, la sera, a casa mia possiamo provare; se va bene continuiamo, oppure smettiamo.>
-< Grazie, grazie Pushian; è proprio quello che volevo proporti io. E' logico che ti compenserò; brava dimmi, dove abiti?>
-< Sì, è vicino; ma la prova è gratis. Una settimana e basta.>
-< Andrà bene, grazie. Io sono Nastasia.>
-< Nastasia? va bene. quando chiudo il cancello tu aspettami. Ti indico dov'è casa mia.>
-< Sì, Ti aspetto al cancello. Grazie Pushian, grazie.>
24
-< Ecco, siamo arrivate; è quella casa mia.>
-< Ah, è vicinissima alla biblioteca.>
-< Beh, te l'avevo detto. Vieni, ti faccio conoscere mia figlia.>
Entrarono nella casupola, e Pushian sbarrò la porta alle sue spalle:
-< Sai, tre donne sole… un bel boccone per i fuoriusciti. Ce ne sono tanti che si aggirano di sera…>
-< Che buon odore… alloro e menta, mi pare.> disse Nastasia.
-< Sì, è il sapone… quella volta lo feci così; cambio profumo ogni volta.>
-< Come? lo prepari tu il sapone?>
-< Sì, ogni sei mesi, mia madre lo faceva sempre; quello che vendono nei negozi non è così… naturale. Questo è il vero sapone di Aleppo: olio di oliva, olio di
alloro, soda e acqua. Poi aggiungo menta oppure origano o ginepro per il profumo. In Italia no, lo compravo; quello di Marsiglia come lo chiamate voi. Somiglia al nostro, ma non è proprio uguale. Te ne darò un pezzo.>
-< Grazie, grazie Pushian; so che voi avete imparato a farlo molto prima di noi europei. Anche la mia famiglia aveva una fabbrica di sapone a Bari, ma ora è chiusa da molti anni! Ma tua figlia, dov'è?>
-< Sì, è così, mi pare che qui cominciarono a fare i primi saponi più di mille anni fa. Ah, la mia bambina sta di là, dietro la tenda; non viene se non la chiamo.> qualche parola e la bimba venne fuori; una bella bambina bruna di circa otto anni.
-< Questa è Zoray, > disse abbracciandola: -< lei capisce l'Italiano, ma non lo parla bene; solo qualche parola.>
Nastasia accarezzò la bambina:
-< Io mi chiamo Nastasia; sono italiana e… ho due fratellini un po' più grandi di te.>
La bimba sgranò i suoi occhioni neri:-< Buona sera.> disse. E la mamma, guardando fuori da una finestra:
-< E' meglio che vai; altrimenti è troppo buio. Hai un'arma?> disse Pushian a Nastasia.
-< Un'arma? no, che arma…>
-< Tieni, di dò un coltello; me lo darai domani. Se ti ferma un ubriaco…> e le dette una specie di pugnale.
Nastasia salutò e si avviò per uscire; vide la fotografia di un uomo con poca barba: -< E' tuo marito?> chiese.
-< Sì, è morto in Italia.>
-< Oh, mi dispiace… per un incidente?>
-< Diciamo così… non proprio. Ma ti dirò un'altra volta. Va adesso; a domani.> e richiuse la porta alle spalle di Nastasia.
-< Ciao mamma, sono proprio contenta…>
-< Ah sì? per la ricerca?> chiese Nilde.
-< No; anche, però ho trovato chi mi aiuterà a imparare qualcosa in Arabo.>
-< Benissimo; e chi è? raccontami.>
-< E' Pushian, ricordi? quella donna che è stata a Roma per otto anni…>
-< Sì, me ne parlasti; vi siete accordati?>
-< Accordati… ne abbiamo parlato. Andrò a casa sua dopo la biblioteca; lei lavora là, fa una specie di usciere. E' brava, mi ha fatto vedere la casa; ha una figlia che si chiama Zoray ed ha otto anni, più o meno… una bella bambina che sa qualche parola, sì un po' di Italiano, ebbè, ha vissuto a Roma fino a un anno fa…. sai, fanno il sapone in casa; com'è profumato!>
-< Perché? non si vende nei negozi?> chiese Nilde.
-< Sì, ma lei lo fa come sua madre gliel'ha insegnato; me ne darà un pezzo.>
-< E quindi, andrai da lei tutti i giorni?>
-< Sì, per una settimana, proveremo. Se saremo contente… ci metteremo d'accordo sul costo.>
-< Be', e la ricerca? va bene?>
-< Sì, va bene; ma è molto complicata; il nostro gruppetto è di quattro studiosi: uno è professore a Lione, gli altri sono studenti del Portogallo e dell'Indonesia. E poi c'è un supervisore di tutti i gruppetti che è un grande professore israeliano.>
-< Ma sta attenta; papà è sempre preoccupato, e anch'io. Dice che lì, la guerra non risparmia nessuno; pensa… che sta anche trascurando i suoi Lithops, dice.>
-< La guerra, la guerra… non credo che arriverà nella biblioteca; vedo tante guardie in giro… forse a Damasco… lì c'è il Governo e anche i rivoltosi. Qua stiamo un po' più tranquilli, penso.>
-< Ho sentito Filippo; è molto preoccupato anche lui…>
-< Tienilo buono, quello. Stesse calmo e tranquillo. Beh, ti saluto, mamma; anche papà e tutti.>
Gilberto chiese notizie a Nilde:
-< Beh, come sta? che dice?>
-< Sta bene; ha detto di non preoccuparti. Appena sente parlare di Filippo, chiude.> rispose la moglie.
-< Bah, sono fatti suoi; si regoli come crede.>
-< Così dici? però, sono anche fatti nostri; non ti pare?>
-< Già; i fatti sono anche nostri, ma lei li dispone.> concluse Gilberto, per niente convinto. E la mano di Nilde sfiorò il viso di Gil con una carezza, tanto per rabbonirlo.
Si era già a dicembre; un altro anno si accingeva a terminare il suo percorso, carico dei tanti giorni, del tanto sole, ma anche di una buona dose di pioggia e di freddo. Come ogni suo simile che l'aveva preceduto, l'anno era stato dispensatore di qualche buon evento, purtroppo alternato agli immancabili accadimenti negativi; un anno da ricordare non con nostalgia come, peraltro, altri da un po' di tempo a questa parte. Alti e bassi dunque, con prevalenza di questi ultimi quasi come era ormai consuetudine.
Per la famiglia Osborni, il bilancio pendeva verso il bello: i bambini avevano ricevuto una buona valutazione scolastica e frequentavano l'anno successivo con buona lena; Nastasia era in regola con gli esami universitari e stava svolgendo l'impegnativa ricerca in Siria che le avrebbe dato prestigio e notorietà, Nilde e Gilberto… beh, la salute era buona, il resto lo era meno .
Le ricorrenti piogge, il vento e le saltuarie gelate si abbattevano su ogni cosa: i muri subivano in silenzio, quasi imperturbabili, la sferza delle intemperie. Al contrario gli alberi, schiaffeggiati dalla violenza di quell'impietoso turbinìo, si ribellavano ululando il loro disagio; all'interno di casa Osborni il lamento del parco si fondeva col ticchettìo delle tremolanti persiane maltenute dalle ferraglie arrugginite, a cui si univa il sibilare rabbioso del vento attraverso le connessure non più perfette delle finestre il cui legno, rinsecchito e distorto dal tempo, non riusciva ad opporre una valida barriera. Poco ospitale si presentava anche l'atmosfera fosca e scarsamente luminosa, che sembrava voler confermare l'arrivo della stagione del riposo pretesa dalla Natura; che se ne appropria per poi
prepararsi ad un risveglio meno sonnacchioso.
Mentre per gli esuberanti Leandro e Poldo, la loro gioventù reclamava l'immediato ritorno della bella stagione, per Nastasia il disagio era meno accentuato in virtù della posizione geografica della sua attuale permanenza. Invece i più maturi Nilde e Gilberto sembravano più inclini a uniformarsi alle esigenze della Natura, ritenendo la stasi invernale propizia a ripristinare le forze e la vitalità necessarie per l'anno a venire. I collaboratori della casa, dal canto loro, accusavano il normale sacrificio che le condizioni atmosferiche ponevano loro, ma il vincolo lavorativo suggeriva di avere la necessaria pazienza e sopportazione. Altrettanta sopportazione dimostravano giocoforza i normali abitatori del parco: uccelli, gatti e roditori accettavano, pur borbottando a modo loro, le imposizioni disposte dalla Natura, tanto, sapevano che al termine del disagio sarebbe sopravvenuto il beltempo, così come, da sempre, voluto dal buon Dio.
Con la cattiva stagione, per Nilde e Gilberto arrivarono anche le cattive notizie: gli amici Tunarelli non avevano resistito a vivere ancora a Bari e il prefetto aveva chiesto di essere trasferito ad altra sede; il ricordo della giovanissima figlia uccisa nel parco degli Osborni aveva suggerito loro di andare a vivere in un posto diverso e avevano preferito una sede nella lontana Valle d'Aosta; analoga richiesta aveva fatto l'Ambasciatore se a Roma Departés che aveva accettato un posto a Parigi: in Italia aveva perso il giovane figliolo, anche lui ammazzato nel parco barese.
Entrambe le notizie rammaricarono gli incolpevoli Nilde e Gilberto e ravvivarono in loro il ricordo del tristissimo avvenimento.
25
Le modeste lezioni di Pushian vertevano ad arricchire il poverissimo bagaglio di lingua araba posseduto da Nastasia. Oltre a un più esteso repertorio di saluti e di vocaboli Nastasia imparava a leggere le insegne dei negozi e dei vari cibi, i numeri e il prezzario dei tanti prodotti di uso comune; e anche alcune brevi frasi di utilizzo quotidiano. Durante le "lezioni" la ragazza prendeva appunti specie sulla pronuncia e sulla fonetica delle varie parole che, poi, ripeteva a casa Al Nasar esercitandosi con Einhan e con la piccola Crisia.
La settimana di prova aveva soddisfatto entrambe e si erano accordate su una sorta di compenso settimanale che, a detta di Pushian, era accantonato per costituire un piccolo gruzzolo a dote della figlioletta quando Allah le avesse consentito di trovare marito.
Fu qualche tempo dopo che Nastasia, alla fine di una lezione, ebbe modo di chiedere alla donna come fosse morto il giovane marito:
-< Ah, è morto in carcere a Roma; il mio Rambad si è ammazzato in prigione.>
-< Mi dispiace molto; ma con quale accusa era stato arrestato?> chiese Nastasia.
-< Dissero che era un terrorista! non so; lui era stato mandato a Roma dal nostro Ministero con altri studenti e si iscrisse all'università La Sapienza, dette anche alcuni esami di letteratura italiana. Ma improvvisamente venne arrestato con Ahmin, un suo amico. Poi, un giorno andai a trovarlo con Zoray e mi dissero che si era ucciso, non so perché.>
-< E' molto triste. E poi hai preferito tornare qui in Siria?>
-< Beh, io sarei rimasta anche a Roma; ormai ci eravamo abituate. Ma quelli dell'Ambasciata disposero così: fecero tutto loro e ci trovammo qui ad Aleppo. Mi aiutarono anche a trovare da lavorare alla biblioteca, visto che non riuscivo da mé a tirare avanti… insomma, ecco la mia storia.> concluse Pushian.
-< Mamma, questa sera Pushian mi ha raccontato la sua storia, almeno quella degli ultimi anni.> Nastasia si affrettò ad aggiornare i genitori.
-< Ah, sì? è una storia bella?>
-< Tutt'altro; mi disse che il marito era morto in carcere a Roma; stasera mi ha detto che s'è ucciso, si è suicidato circa due anni fa: era stato arrestato perché sospettato di essere terrorista, ma lui studiava all'università La Sapienza.>
-< Anche i due siriani che rapirono Filippo e ordinarono quel massacro nel parco erano iscritti all'università, a volte lo studiare è solo un paravento.>
-< Però, povera donna… con una bambina da allevare… sola.> la ragazza commiserava la situazione di Pushian.
-< Sì, sono casi tragici… ma almeno lavora; ha di che mangiare…> osservò Nilde.
-< Questo, sì; ha anche una casa, piccola e pulita. Però…>
-< Dimmi, Nastasia; e la ricerca?>
-< Bah, bene, ma ci fa sudare parecchio.>
-< E il professor Cerulli? è venuto a trovarti?>
-< No, mamma; quello è sempre indaffarato: le lezioni, gli esami, le riunioni… quando vorrà venire, qui mi trova…>
-< E?…> Nilde si interruppe.
-< E Filippo? volevi dire?>
-< Sì, ti telefona?>
-< Sì, mamma; mi chiama spesso. Anzi, ieri mi ha detto che verrà a trovarmi forse sabato prossimo. Si fermerà sabato e domenica; devo ricordarmi domani di chiedere a Pushian se può farlo dormire a casa sua; altrimenti devo trovare un albergo…>
-< Meglio l'albergo; un uomo in casa di una donna sola… sai le malelingue.>
-< Però Pushian guadagnerebbe qualcosa… anziché l'albergo. Io glielo chiedo, poi deciderà lei.>
-< Beh, vedi tu; e per mangiare?> chiese Nilde.
-< Per mangiare è più semplice; o il ristorante oppure posso dirlo a Suana dove sto io: le dico di preparare la mejadra che qua è un piatto nazionale, poi domenica… non so, sentirò lei.>
-< Oppure ve ne andate in qualche posticino… carino. Avrete tante cose da raccontarvi, no?>
-< E sì; è quasi un mese che non ci vediamo…Beh, ciao ma'.> e interruppe la telefonata.
-< Nilde, cos'ha detto?> chiese Gilberto alla moglie.
Nilde l'aggiornò sulla telefonata di Nastasia; e Gilberto:
-< Ti ha detto il nome del siriano suicida?>
-< No, e né io gliel'ho chiesto. Perché? è importante?>
-< Affatto; mi sono ricordato che quel capitano… mi parlò di un terrorista che si era suicidato e volevo vedere se si trattava dello stesso… la prossima volta glielo chiediamo.>
Infatti, alla telefonata successiva:
-< Nastasia, papà mi chiedeva se tu conosci il nome del marito di Pushian o del compagno arrestato con lui; gli è venuto il dubbio che potessero essere gli stessi arrestati a Roma dopo che avvenne quel brutto episodio qui.>
-< Sì, mamma; il marito si chiamava Rambad e l'amico… aspetta, fammi ricordare… sì, ecco si chiama Ahmin… o un nome simile.>
-< Bene, glielo dirò; beh? e Filippo viene?>
-< Sì, mamma; arriverà domani. Ho sistemato tutto: dormirà da Pushian; per mangiare… deciderà lui. Einhan ci porterà a fare un giro per la città e… poi vedremo.>
-< Mi fa piacere che ti venga a trovare qualcuno; come mai il professor Cerulli… >
-< Mamma, se non può venire… tanto, non mi interessa proprio. Avrà i risultati
alla fine della ricerca.>
-< Almeno una telefonata, però…>
-< Io non lo chiamo di certo; se vuole, chiamasse lui!>
-< Be', Nastasia; sta attenta. Ora è venuta Clara col marito, fammi andare… ciao.>
Nilde appuntò su un foglietto i due nomi datile da Nastasia; li avrebbe ati a Gilberto dopo che Clara se ne fosse andata. Gli amici si trattennero a conversare un paio d'ore, mentre Romualdo, il loro figlio, stette a giocare con Leandro e Poldo utilizzando la play-station; andati via:
-< Gil, mi son fatta dare i due nomi da Nastasia; eccoli.> disse Nilde, dandogli il foglietto.
-< Ah, Rambad… Ahmin? sì, mi pare siano i nomi che mi disse il poliziotto. Ma vedi gli scherzi del caso…>
-< Pensi che possano sorgere problemi per Nastasia?>
-< Ma no! quali problemi… non c'è alcun collegamento; e poi, cosa c'entra Nastasia? fu un'iniziativa dell'Antiterrorismo e dei Carabinieri, mica nostra…>
-< Ha detto che domani arriverà Filippo; mi è sembrata raddolcita verso di lui. Sentiremo dopo… ora pare che ce l'abbia con Cerulli, ché non s'è fatto sentire.>
-< Forse lei si era illusa un po' troppo; quello avrà tanto da fare…>
Filippo era arrivato ad Aleppo; nelle loro conversazioni telefoniche, affrettate e un po' confuse, non avevano definito dove si sarebbero incontrati. Ritenendo che il domicilio di Nastasia fosse non distante dall'università, Filippo s'era fatta indicare la strada da un tale in divisa, forse un vigile urbano, e aveva, però, trovato il grande edificio semideserto: vi erano alcuni uscieri e addetti alle pulizie, ma quel giorno non c'era attività didattica. Il giovane dovette chiamare Nastasia:
-< Pronto, buon giorno cara, io mi trovo all'ingresso dell'università, mi puoi indicare come raggiungerti?> chiese con una certa emozione.
-< Oh, hai ragione; no, non muoverti che vengo io. Ti raggiungo tra poco; ma che distratta che sono! cerco un taxi e sono là. Aspettami.> e uscì, incamminandosi verso l'università, nella speranza di incontrare un taxi. Non fu fortunata; fece tutta la strada a piedi e, pur con o sostenuto, ci mise quasi mezzora.
E il suo Filippo era lì, poggiato a un pilastro del cancello come una cariatide, col suo borsone per terra e attento ad ogni taxi che ava.
-< Filippo!> gridò la ragazza da lontano.
-< Nastasia!> le fece eco il giovane, correndo verso di lei.
L'abbraccio fu lungo e commovente tra gli sguardi sorpresi e compiaciuti dei rari anti; non si vedevano da cinque settimane e iniziarono a recuperare. Seguirono le scuse, le spiegazioni e le proposte; ma camminando, proponendo e discutendo, finalmente ò un taxi e Filippo fece per fermarlo, ma Nastasia:
-< No, è inutile; eccoci arrivati.> e indicò dove soggiornava, cioè la casa della famiglia Al Nasar.
Presentò in qualche modo Filippo a Suana e ai bambini: coi gesti e con qualche parola fece capire che anche Filippo era uno studioso italiano e che si sarebbe fermato ad Aleppo solo due giorni. Suana, nel pieno rispetto della tradizione, mostrò i preparativi del desinare e invitò l'ospite a sedersi attorno al tavolo con loro in attesa che tornasse il marito per pranzare. Sarebbe stato di grande scortesia un rifiuto a dividere il cibo con loro. Einhan fu puntuale; fece la sua preghiera con moglie e figli, si lavò la mano destra e invitò tutti a mangiare allegramente. Poi sturò una fiaschetta di sidro in onore dell'ospite e brindarono tutti festosamente. Più tardi avrebbe lasciato Nastasia e Filippo in centro; avrebbero eggiato, ammirato e parlato dei fatti loro. E a una certa ora li avrebbe ricondotti a casa per la cena. Disse che l'indomani avrebbe portato tutti, prima in una moschèa e poi in un certo posto a mangiare e a danzare; il suo taxi serviva anche in quelle occasioni. Aveva deciso così, e non si poteva che obbedire. Ma quella disposizione non dispiacque affatto a Nastasia e a Filippo: avrebbero potuto ugualmente continuare le loro disquisizioni, di scienza o di amore, come avrebbero voluto.
E così avvenne; i due camminavano e parlavano. Discutevano su ogni cosa soffermandosi di tanto in tanto in stasi oratorie e per dare spazio alle loro effusioni affettive; subito, però, riprendevano i loro argomenti di discussione. E
ciò fino all'ora del rientro per la cena. Il pollo fritto all'origano e menta, ammannito da Suana, fu molto gradito e complimentato da Nastasia e da Filippo rendendo visibilmente felice la cuoca.
A casa di Pushian le cose andavano ugualmente bene; e forse meglio per l'uso dell'Italiano. La donna aveva spostato per Filippo il letto di Zoray nell'altra stanza, tanto la bambina avrebbe dormito molto volentieri con la mamma. Peccato che sia solo per una notte! - aveva di certo pensato Zoray.
L'indomani, secondo il programma, Nastasia e Filippo assistettero alle cantilene propiziatorie nella moschèa e, poi, lungo strade panoramiche, Einhan condusse il taxi a fermarsi all'ora di pranzo nello spiazzo davanti a un piccolo ristorante: lo strascicato suono di una specie di chitarra strimpellata da un ragazzo accompagnò le varie portate di intingoli di carne e verdure, vere specialità locali che, visti e non visti, vennero velocemente divorati dagli affamati gitanti. I grandi soffici cuscini li accolsero per la sacrosanta siesta, a smaltire il generoso pranzo e, ancorpiù, le abbondanti libagioni; finché una nenia musicale li destò e li coinvolse in un ballo che diveniva sempre più turbinoso. L'orchestrina improvvisata con strumenti tipici li impegnò per qualche ora. Poi Einhan ricordò a malincuore l'orario della partenza di Filippo; e il taxi riprese la sua corsa verso la città.
I due fidanzati ebbero modo di scambiarsi le ultime confidenze:
-< Ah, quando sono con te dimentico tutto; mi fermò la tua amica… quella Alessia. Ti manda un abbraccio e tanti baci; te li trasferisco subito…>
-< Grazie Pippo; menomale che ti sei ricordato. Ringraziala se la vedi, e ricambia i baci: forse li accetta volentieri da te. Però, mi dispiace che la tua visita qui sia durata così poco…> disse Nastasia.
-< A chi lo dici! dispiace a te; ma a me dispiace molto dippiù. Tu hai le tue distrazioni con lo studio… per te vale il detto: "lontan dagli occhi, lontan dal cuore".> di rimando, Filippo.
-< E chi lo dice? è ché, mi conforta lo studio? soffro anch'io la lontananza e la solitudine; soffriamo entrambi e ci consoleremo vicendevolmente da lontano, come scrisse Dante sia pure in un contesto diverso: "aver compagno al duol, scema la pena".>
-< Già; in chiave più moderna: "in due si soffre meno".>
-< Se si è insieme… ma noi siamo così distanti… per te varrà l'adagio: "occhio che non vede, cuore che non duole", ma per me, qui sola…> aggiunse Nastasia. E così via; detto contro detto, motto contro motto, proverbio contro proverbio… ed ecco profilarsi una nuova discussione: anziché baci e abbracci, fu l'accendersi di una nuova diatriba tra i due. Avvenne solo negli ultimi istanti che Nastasia e Filippo arono insieme, cioè ai saluti affettuosi che, guardandosi negli occhi, scoppiarono a ridere dicendo contemporaneamente:
-< E menomale che "tutti i salmi finiscono in gloria…"> e suggellarono con un bacio quell'ultimo motto.
26
Il giorno dopo, la vita continuò col solito ritmo: Filippo era tornato a Bari riprendendo il suo assistentato, e Nastasia si era riconcentrata sulla ricerca. La breve pausa di fine settimana aveva giovato a entrambi. Filippo aveva rinsaldato il proprio vincolo affettivo con la ragazza, fugando i dubbi su un abbandono definitivo; e Nastasia, con altrettanta soddisfazione, aveva riallacciato un canale di comunicazione, fino ad allora sussistito… a singhiozzo.
Appena potè, Filippo telefonò a casa Osborni fornendo le notizie rassicuranti sulle condizioni di Nastasia e sul ritrovato accordo sentimentale tra loro. Sia Nilde che Gilberto se ne rallegrarono, sperando che la loro figliola avesse finalmente trovato un certo assestamento psicologico, sconvolto dopo il disorientamento seguìto al barbaro omicidio nel parco.
La telefonata serale di Nastasia rinfocolò la loro speranza:
-< Mamma, tutto bene! ho riannodato i contatti con Filippo. Mi sono accorta che non mi è indifferente e comincio ad amarlo.>
-< Bene, Nastasia. Solitamente un po' di lontananza non guasta, anzi rafforza i vincoli sentimentali. Mi ha già telefonato informandomi del bel finesettimana trascorso lì con te. Se la tua ricerca non si concludesse presto, quasi quasi, verremmo a trovarti, sì, tutti e quattro.Più in là vedremo. Ha detto Filippo che ti ha visto ben ambientata e benvoluta da tutti; ci ha detto della gita di ieri e del ballo.>
-< Ah, sì; è stata una bella giornata. Einhan ogni tanto ha qualche buona idea e ci porta in giro col suo taxi.>
Per Nastasia, le giornate avano senza problemi; senonché una sera mentre era in casa di Pushian per le solite lezioncine di lingua araba, un ripetuto bussare alla porta costrinse la donna ad affacciarsi. Venne sospinta a lato da due uomini che entrarono di prepotenza nella casa; uno ispezionò l'ambiente e l'altro si pose alle spalle di Nastasia. Pushian spiegò alla ragazza che i due erano militari che periodicamente facevano dei controlli; anche quella volta se ne sarebbero andati subito. Colui che sembrava il capo parlò con Pushian chiedendo chi fosse Nastasia; evidentemente non soddisfatto, volle vedere i documenti e, dopo un po', decise di condurla in caserma per farla interrogare dal suo superiore. A nulla valsero le spiegazioni di Pushian che, con la sua insistenza, indispose maggiormente il militare. La ragazza italiana venne portata in una caserma e presentata all'ufficiale che cominciò ad interrogarla in Arabo. Poiché non aveva risposte nella sua lingua, consegnò Nastasia a un soldato che la rinchiuse in una camera di sicurezza; avrebbero richiesto un interprete per procedere all'interrogatorio, così le parve di capire da qualche parola in inglese profferita dal soldato. Questo le portò dei biscotti, una bottiglia d'acqua e una coperta per la notte e, dalle parole di saluto che le rivolse, Nastasia capì che forse la notte non sarebbe bastata perché fosse trovato l'interprete. Scacciò i pensieri pessimistici, tanto… mordicchiò i biscotti e attese, attese che la notte asse in fretta; e sperò che Pushian raccontasse l'accaduto al direttore della biblioteca e che questi si recasse lì in caserma per spiegare la presenza dei ricercatori ad Aleppo. Pensò alla sua casa, ai famigliari, a Filippo… e si assopì. Si svegliò al rumore di ferraglia: la serratura della porta e il cigolìo dei cardini le fecero sperare che avessero deciso di liberarla. Era invece il solito militare che le portava altri biscotti, thè e latte; altro saluto e la porta che si richiudeva alle sue spalle.
Fu verso mezzogiorno che la porta si riaprì; un trapezio di luce si stampò sul pavimento incrociandosi con l'unico raggio di sole che riusciva a are tra le sbarre della finestrucola: la piatta luce giallastra della lampadina nel corridoio e la più intensa e vitale linea luminosa spinta dal sole a penetrare in quella scura stanzetta di caserma. Vitale anche per la miriade di impalpabili granellini di
polvere che lasciava scorgere nel suo spessore.
Una nera figura d'uomo ritagliata nel vano della porta faceva un cenno a seguirla e diceva in un Italiano impuro, ma almeno comprensibile: -< Venite, venite con mé.>
Nastasia seguì l'uomo con un certo timore, ma allo stesso tempo speranzosa che la sua prigionìa stesse per finire:
-< Dove mi portate?> azzardò all'uomo.
-< Venite e dite la verità!> fu la risposta.
La stanza dove venne condotta era nuda: un tavolo al centro con tre sedie da un lato e due dall'altro. Un fluorescente a mezza altezza rischiarava tavolo e sedie e lasciava in ambigua penombra tutto il resto; l'uomo indicò una sedia alla ragazza e lui si sedette sull'altra. Nastasia non riusciva a scorgere le pareti, celate da uno scuro grigiore e da diffuse nuvolette di tabacco bruciato il cui odore stazionava, greve e nauseante, nella stanza a dimostrazione del suo uso recente; sforzando i suoi occhi, la ragazza scorse solo un puntino rosso in lontananza, spia di una telecamera in funzione. Sul tavolo, una cartelletta di cartoncino, un microfono e una scatola scura che sembrava essere un registratore.
L'uomo abbozzò un mezzo sorriso e fece un cenno d'attesa con la mano, a voler rassicurare la ragazza; dopo due lunghi minuti entrarono due uomini che occuparono due delle tre sedie rimaste libere. Uno, in divisa da ufficiale, si sedette al centro, si tolse il cappello e aprì la cartelletta mostrando il cellulare e i documenti di Nastasia oltre a un foglio scritto per metà; ò la cartella all'altro
e attese che questi consultasse i documenti. Poi scambiò alcune frasi con l'altro e, ottenuto un cenno d'assenso, accese il registratore e tramite l'interprete chiese:
-< Signorina, fornite le vostre generalità complete e il vero motivo perché siete venuta in Siria e siete qui ad Aleppo.>
-< …. e sono iscritta all'università italiana di Bari dove frequento il corso di lettere e di restauro dei manoscritti antichi. Lessi su una rivista che qui, dopo l'incendio della biblioteca, era stato rinvenuto un Rotolo del Mar Morto del quale non si conosceva l'esistenza e feci domanda di poterlo studiare per cercare di tradurlo. Ho utilizzato il protocollo internazionale degli scambi culturali denominato Erasmus ed ebbi le varie credenziali per poter scambiare il mio soggiorno qui con quello della studentessa siriana Moira Al Nasar che invece sta studiando in Italia presso l'università di Perugia. Tra i miei documenti trovate anche l'autorizzazione del direttore della biblioteca di Aleppo a far parte del gruppo internazionale di studio del Rotolo e qui abito nella casa di Al Nasar Moira.> rispose Nastasia.
-< Sì, tutto quello che avete detto è scritto nei vostri documenti. Ma ora diteci il vero motivo per cui siete venuta qui.>
-< Come ho già detto, io mi interesso della decifrazione e del restauro dei libri antichi; sto ora studiando con un gruppo di ricercatori universitari di tutto il mondo alcune frasi del Rotolo del Mar Morto trovato per caso nella biblioteca di Aleppo. Questo è l'unico motivo per cui sono venuta qui da quasi due mesi.> ripetette pazientemente Nastasia. Ma la spiegazione non parve soddisfare l'ufficiale che, con tono alterato:
-< Signorina, diteci il motivo, quello vero, altrimenti marcirete nelle nostre prigioni finché non confesserete. E' chiaro?>
-< Ma questo è il vero motivo per cui sono venuta ad Aleppo, ve lo giuro!> disse spaventata la ragazza.
L'ufficiale cambiò argomento:
-< Quello che ci avete detto è il motivo burocratico, quello ufficiale; avete detto di abitare a casa della famiglia Al Nasar, allora perché andate tutte le sere nella casa dove vi ha trovato l'agente del servizio segreto?>
-< Perché la signora Pushian parla anche Italiano e fu la prima persona che mi aiutò a trovare il direttore della biblioteca; vado a trovarla per amicizia e per imparare qualche parola della lingua araba.> spiegò Nastasia.
-< Questa è una scusa; noi crediamo che voi andate in quella casa per scoprire qualche segreto che il marito di Pushian può aver detto alla moglie quando erano a Roma.> insistette l'ufficiale.
-< Segreto? ma quale segreto, cosa m'importa di ciò che Rambad diceva alla moglie?> obiettò Nastasia.
-< E' proprio quello che vogliamo sapere. Perché vi interessate a parlare con quella donna? cosa volete sapere? appartenete al servizio segreto italiano? sù, rispondete e dite la verità; noi abbiamo tanti mezzi per farvi parlare.> minacciò l'ufficiale.
-< Ma io vi giuro… sono una semplice studentessa universitaria. Ma quale servizio segreto…> rispose implorando la ragazza, davvero spaventata.
L'ufficiale, per niente soddisfatto, si alzò in piedi calcandosi il cappello e, con sguardo truce, indicò la porta mormorando poche parole alla guardia che s'era affacciata; questa afferrò Nastasia per un braccio e la ricondusse nella stanzetta di sicurezza.
Lì la ragazza riò l'intero fraseggio dell'interrogatorio: aveva risposto con la sacrosanta verità alle domande rivoltele, ma non era stata creduta.
E venne assalita da un profondo scoramento.
27
Uscita Nastasia con i due militari, Pushian si era chiesta cosa poteva fare per prestare un qualche aiuto all'amica italiana. Era ormai buio e tutti gli impiegati della biblioteca erano andati via. Ricordò che quando era a Roma Rambad le disse che, in caso di necessità, doveva rivolgersi all'Ambasciata siriana. Doveva fare altrettanto per l'italiana? avvertire l'Ambasciata italiana a Damasco? sì, sarebbe stato giusto e opportuno, ma quali erano le esatte generalità dell'amica da comunicare al rappresentante diplomatico italiano? lei avrebbe potuto conoscerle solo l'indomani, chiedendole al direttore che avrebbe consultato il suo carteggio. Già; l'indomani…
E intanto? prese una decisione: raccomandò alla piccola Zoray di non aprire la porta assolutamente a nessuno e uscì, sperando di non incontrare uomini ubriachi o malintenzionati. Quasi furtivamente corse ad avvertire la famiglia Al Nasar dell'accaduto; le sembrò doveroso dare la notizia a coloro che attendevano il rientro della ragazza perché sarebbero stati preoccupati per l'assenza inaspettata. Einhan non era ancora rientrato e la notizia fu raccolta da Suana.
Pushian non poteva fare altro, quella sera; d'altronde, aveva lasciato sola la figlioletta e le premeva rientrare di corsa a casa.
Einhan apprese sgomento la notizia; senza nemmeno cenare si recò alla caserma dove chiese di un graduato che conosceva da tempo; ebbe conferma del fermo di Nastasia e delle difficoltà di interrogarla quella sera per la mancanza di un interprete. Cosa poteva fare? tornò a casa e telefonò alla figlia Moira a Perugia, informandola della circostanza e pregandola di prendere qualche iniziativa al riguardo. Ma a quell'ora… bisognava attendere il domani.
Il giorno dopo Pushian si affrettò a raccontare l'accaduto al direttore e insistette perché avvertisse l'Ambasciata italiana a Damasco; non poteva far altro.
Il buon Einhan, dal canto suo, volle portare al gendarme amico un involto di cibo preparato appositamente da Suana perché lo asse alla prigioniera, in sostituzione dei soliti biscotti e acqua.
Moira Al Nasar invece, tramite la segreteria dell'università di Perugia, si mise in contatto con l'università di Bari; raccontò la disavventura della ragazza che aveva conosciuto solo per telefono, insistendo perché avvertissero il ministero degli esteri, cioè La Farnesina, perché si attivasse a risolvere diplomaticamente il caso.
I genitori di Nastasia, non avendo la solita telefonata serale da Aleppo, avevano chimato ripetutamente il cellulare della figliola ricevendo per tutta la notte la risposta da voce maschile e in Arabo. Molto allarmati, si erano recati dal professor Cerulli proprio mentre questi veniva informato dalla segreteria della notizia ricevuta da Perugia. Fu il professore a telefonare a La Farnesina e a fornire i pochi particolari raccontati da Moira. Cerulli telefonò anche all'Ambasciata di Damasco e si impegnò a partire l'indomani mattina per la Siria con lo scopo di presenziare alle iniziative dell'Ambasciata italiana, così come gli era stato assicurato per telefono dal funzionario.
La notizia portata da Pushian al direttore venne comunicata al professor Ebrahim Lutosud capodelegazione dei ricercatori. I due si recarono alla caserma dov'era rinchiusa Nastasia e riuscirono a parlare con l'ufficiale senza, però, cavare il cosidetto ragno dal buco; fu loro anche sconsigliato di procurare un legale alla ragazza poiché la cosa avrebbe ingigantito il caso. Ottennero soltanto di farsi scorgere dalla prigioniera giusto per darle la sensazione di non essere completamente sola e che vi fosse qualcuno a seguire la faccenda.
Giunto intanto a Damasco, il professor Cerulli si fece ricevere dall'Ambasciatore che gli comunicò:
-< Caro professore, sono al corrente del caso; ne siamo stati informati dal direttore della biblioteca nazionale di Aleppo e abbiamo anche ricevuto sollecitazioni e istruzioni da Roma; stiamo attivando i soliti canali diplomatici e attendiamo le risposte alla nostra richiesta di immediato rilascio della reclusa.>
-< Signor Ambasciatore, la studentessa è una stimata ricercatrice e ha tutti i documenti perfettamente in regola; è ad Aleppo in base agli accordi internazionali sugli scambi culturali…>
-< Sì, professore; sappiamo bene. E stiamo valutando con un legale i i necessari. Stia tranquillo e rassicuri i parenti della studentessa.>
-< Cercherò; ma veda che nel frattempo sia assicurato un trattamento adeguato e conforme al rango internazionale del gruppo di ricerca.>
-< Non le nascondo, professore, che quello del trattamento è il primissimo punto che consideriamo; ma cosa vuole… siamo in un paese dove siamo visti non come amici per le prese di posizione del Governo di Roma sui risvolti della cosidetta primavera araba.>
-< Capisco; ma i diritti umani…>
-< Professore, le dico solo che seguiremo con molta attenzione questa storia.
Rassereni tutti.>
-Sì, rassereni tutti; facile a dirsi… - borbottò Cerulli nell'uscire dall'Ambasciata. Sarebbe andato di corsa ad Aleppo; giacché c'era… e si rammaricò di non aver trovato il tempo di andarvi in precedenza.
-< Dear Director, haw do you do?> Cerulli salutò in Inglese il direttore della biblioteca; ma dall'impacciato tentativo di risposta, capì la grande difficoltà di dialogare. Lo capì anche il direttore che si ricordò che l'usciera Pushian gli aveva detto del perché la ragazza le fe visita ogni sera. Alzò l'indice sorridendo, per dire: un minuto. Poi chiamò la donna a cui spiegò la presenza del professore, impegnandola a tradurre il colloquio.
Pushian, quindi, in Italiano:
-< Io parlo anche Italiano perché sono stata otto anni in Italia; era da mé che si trovava Nastasia quando fu arrestata. Io avvertii il direttore e la casa dove lei abita.>
-< Ah, benissimo; io sono il docente dell'università di Bari che ha aiutato Nastasia a venire qui. Vuole chiedere al direttore come posso fare per vedere la signorina Osborni? >
-< Abbiamo già tentato io e il professor Lutosud; non lo permettono.> tradusse Pushian, di rimando.
-< Beh, andiamoci in tre; può darsi che… si commuovano. Saluterò volentieri il professor Lutosud; non gli parlo da tanto!>
-< Sì, certo; allora andiamo a trovarlo.> disse il direttore.
Ed eccoli dal celebre professore:
-< Caro Lutosud, come stai?> disse Cerulli in Inglese.
-< Oh, vecchio Cerulli; io ti vedo bene. Sei venuto per la tua ricercatrice?> rispose quello.
-< Sì, ma volevo anche vedere te e, se lo permetti, il Rotolo.>
-< Hai già visto mé; il Rotolo lo prendo subito, ma non toccarlo. Posso darti le foto, però; e anche l'inizio del lavoro di interpretazione. La Osborni s'è data da fare, ma non è facile…>
-< Dammi ciò che vuoi; ma poi dovremmo andare a trovarla, povera ragazza.>
-< Noi non ci siamo riusciti.> disse, indicando il direttore:
-< Forse tu sei più fortunato… andiamoci pure.>
No! il professor Cerulli non fu più fortunato; l'ufficiale si mostrò seccato e quasi scortese. Disse di essere stato sollecitato da più parti e specie dal proprio comandante a sua volta interessato dal ministro siriano agli affari esteri, a definire urgentemente la posizione della ragazza italiana, e che tutta quella pressione rafforzava in lui il sospetto sulle vere intenzioni della Osborni; ribadì che non poteva concedere permessi di visita finché non avesse avuto la confessione che si aspettava. Il professor Lutosud riportò in Inglese a Cerulli il sunto di quanto aveva detto l'ufficiale e l'unica concessione ottenuta dal professore italiano fu quella di affacciarsi per un attimo allo sportellino della porta della cella di sicurezza per controllare il buono stato della reclusa.
Cerulli riuscì appena a scorgere Nastasia e a dirle: "coraggio"; un gendarme richiuse immediatamente lo sportello.
Ma quell'unica parola e la fugace visione del suo professore ridette fiducia alla ragazza, che apprezzò molto la presenza del docente, risollevando il proprio morale che era precipitato in grave prostrazione: non era sola e abbandonata in quella disavventura.
Assicuratosi dell'interessamento dell'Ambasciata italiana alle sorti di Nastasia, Cerulli volle far visita alla famiglia Al Nasar per ringraziarla del contributo dato sia da Einhan che da Moira; chiese e ottenne dal direttore di farsi accompagnare da Pushian per quella circostanza così da poter tradurre i suoi ringraziamenti. Ritenne inutile prolungare il suo soggiortno ad Aleppo e decise di ripartire. Dovette attendere il giorno dopo e accettare l'offerta umilmente proposta da Pushian di are la notte da lei, utilizzando il letto della piccola Zoray. Il docente apprezzò la spontaneità della donna che, peraltro, gli era subito risultata alquanto simpatica e il mattino dopo, nel salutare, lasciò anche del denaro come regalino per la bambina.
Appena a Bari, il professore si premurò rassicurare Nilde e Gilberto; questi avevano, però, già deciso di partire per Aleppo ed ebbero da Cerulli l'opportuno riferimento di Pushian che avrebbe potuto dar loro quell'assistenza necessaria a chi non conosce la lingua del paese.
Si misero in viaggio con la viva speranza di riportare a casa la loro figlia, pur non sapendo dove andare e come muoversi in un paese che, per il suo recente ato di tumulti e di stragi, forse non dava alla libertà e alla vita di una studentessa straniera quell'importanza che invece aveva per i suoi genitori.
Nilde avrebbe voluto che si unisse a loro Filippo, giusto perché c'era già stato qualche settimana prima e che avrebbe forse potuto essere loro di sia pur minimo aiuto; avrebbe potuto anche dar forza e fiducia a Nastasia che si sarebbe sentita attorniata di maggiori attenzioni. Il giovane, però, molto a malincuore, dovette rinunciare ad andare assieme, per gli stringenti impegni del suo lavoro precario.
Nilde e Gilberto sbarcarono all'aeroporto di Damasco e, lasciati i bagagli in albergo, si recarono all'Ambasciata italiana dove ebbero dal funzionario le rituali assicurazioni che si stava seguendo il caso e che, per il momento, non v'erano novità. Ebbero un bel dire e sollecitare; alla fine, tornando in albergo, dovettero riconoscere le difficoltà di movimento lamentate dal diplomatico e che, promesse a parte, erano rimasti con un pugno di mosche.
Erano giunti in Siria con un preciso scopo, e non si fecero distrarre dal folklore, dai monumenti, dalle anticaglie: questi avrebbero potuto rientrare tra gli scopi di un eventuale e futuro viaggio turistico. Ma al momento, ben altri erano i pensieri che occupavano il loro interesse.
L'indomani furono ad Aleppo, l'importante seconda città siriana; lasciarono i cosidetti armi e bagagli in albergo facendosi condurre alla biblioteca nazionale.
Il direttore, ormai consapevole delle sue limitate capacità colloquiali con persone straniere, e nella fattispecie italiane, chiamò Pushian per tradurre l'essenza del loro parlare. La donna si presentò ai coniugi Osborni e, su suggerimento del direttore, ribadì la bellezza, la bravura e la cortesia di Nastasia - come se ve ne fosse bisogno - e raccontò come e perché la ragazza fosse stata arrestata.
Il direttore permise che Pushian accompagnasse i due italiani alla gendarmeria dov'era trattenuta la ragazza, nella speranza che ne consentissero l'incontro; un taxi li condusse alla caserma e l'ufficiale, sulle prime, fu irremovibile. Le insistenze di Nilde, però, riuscirono a strappargli il consenso all'incontro, ma per soli cinque minuti e alla presenza di una guardia. Con infinita commozione, Nastasia abbracciò i genitori e Pushian, non trattenendo copiose lacrime; disse delle premure della famiglia Al Nasar verso di lei per il buon cibo che giornalmente le preparava Suana e che Einhan riusciva a farle giungere attraverso l'amico gendarme. Poi Gilberto le dette la notizia che Rambad, il marito di Pushian, era proprio quel recluso siriano arrestato a Roma in seguito all'allarmante rapimento di Filippo e di cui gli veva parlato il capitano del ROS Carabinieri; stranamente e per puro caso, quel suicidio era legato in qualche modo all'intera faccenda accaduta nel parco di casa Osborni.
Ripetuti abbracci e lacrime chio l'incontro; il gendarme non volle trasgredire l'ordine ricevuto e Nastasia tornò nella sua celletta, triste sì, ma rinfrancata dalla dimostrazione di affetto che quella visita le aveva confermato.
Pushian, usciti dalla caserma, accompagnò Nilde e Gilberto a casa Al Nasar e, assieme alla gratitudine dei due accettò una piccola somma di denaro che Nilde insitette a regalarle, prima che la donna se ne tornasse in biblioteca.
Cordialissima fu l'accoglienza di Suana; pur non comprendendo una sola parola di quanto i due le dicessero, ringraziò confusa, ovviamente nel proprio linguaggio e, con gesti spontanei fece visitare la casa e la stanza che Nastasia divideva con la piccola Crisia. Cercò di metterli a loro agio indicando a Nilde il
bagno e poi sospingendoli delicatamente verso un divano.
-< Nilde, accomodiamoci; se andiamo via subito, si offende. Qui bisogna accettare … l'ospitalità è sacra!> e si fermarono lasciando che asse un po' di tempo fra gesti, sorrisi, carezze alla bambina e scambio di parole incomprensibili col piccolo Ramset.
Rientrò finalmente Einhan con le sue pochissime parole di Inglese, se e Italiano che conosceva; fu una specie di liberazione per tutti. Anche Nilde e Gilberto rievocarono le loro scarse cognizioni scolastiche di Inglese e di se, giusto per non rimanere completamente muti e si alzarono dal divano iniziando a salutare per andar via.
-< No, you stay; you stay here, please.> ripeteva Einhan. E intanto, la moglie aveva già predisposto un fagotto di cibo dicendo:
-< Nastasia…> e aveva disposto sul tavolo sei posti, comprendendo i due ospiti.
-< Cosa facciamo?> chiese Nilde a Gilberto.
-< Sono gentili. Restiamo.> rispose, avviandosi al tavolo, e poi, poggiando una mano sulla spalla di Ramset:
-< Okay, tankyou; tankyou very much.> rivolto a Einhan.
Il pranzo fu a base di carne, patate e verdure piccanti accompagnato da pane azzimo e laban, un latticello acidulo. Al termine, lavatesi le mani, Einhan e Ramset presero il fagotto di cibo:
-< For Nastasia.> disse, e andarono a portarlo in caserma. Suana indicò ancora il divano a Gilberto e, con la bimba, liberò la tavola dalle stoviglie offrendo il narghilè e sigarette turche; ne Nilde né Gilberto fumavano. Il narghilè poi…
Al ritorno di Einhan, Suana servì tè e biscotti; e visto che Gilberto si era nuovamente alzato iniziando a salutare i bambini, scambiò qualche parola col marito che chiese a Nilde: -< Go to hotel?> e, al cenno affermativo, si offrì di condurli col taxi.
Gilberto e Nilde si scambiarono delle occhiate: cosa fare per tanta ospitalità ricevuta? al cenno di Gilberto di prendere il portafogli, Nilde scosse la testa e si slacciò dal collo una collanina di corallo rosa agganciandola attorno al collo di Suana. La donna, compiaciuta e commossa per quel gesto inatteso, pur con notevole impaccio abbracciò Nilde e salutò ripetutamente Gilberto.
Il tragitto verso l'albergo fu più lungo del previsto; Einhan volle mostrare alcuni scorci della città: rovine, giardini, paesaggi… che illustrava a modo suo mescolando parole arabe, inglesi, si ed altre ancora; rendendo assolutamente incomprensibile la sua descrizione. Ma quella fu la sua maniera di manifestare il proprio imbarazzo e commozione per il gesto di amicizia rivolto da Nilde a Suana.
28
Nilde e Gilberto tornarono a casa; il giorno dopo eccoli a tempestare di telefonate Filippo, il professor Cerulli, La Farnesina e l'Ambasciata a Damasco. Ché almeno si sbrigasse il servizio segreto siriano a espletare le indagini su Nastasia… e ché, nel frattempo, le fosse anche consentito di utilizzare il proprio cellulare per i normali contatti con la famiglia!
Filippo era disperato; il professor Cerulli si dichiarò impotente a ottenere la facilitazione richiesta; La Farnesina avrebbe risollecitato l'Ambasciatore siriano a Roma; l'Ambasciata italiana a Damasco aveva già raccomandato al ministero degli esteri siriano di rispettare gli accordi internazionali sui diritti umani.
Dopo due settimane, però, nulla era accaduto!
Ma una sera, alle 18:
-< Pronto, sono Nastasia…
Le tantissime pressioni ricevute avevano consigliato l'ufficiale della gendarmeria di Aleppo a consentire che Nastasia potesse contattare esclusivamente la famiglia; il telefonino le sarebbe stato consegnato tutti i giorni alle ore 18 per soli 15 minuti. Ovviamente, l'interprete avrebbe ascoltato la telefonata e tradotto il contenuto che sarebbe stato esaminato dall'intelligence del servizio segreto.
Non era molto, ma era già qualcosa… qualcosa per scambiarsi saluti e pensieri, qualcosa per sentirsi più vicini, qualcosa per ridarsi vicendevolmente fiducia…
E quei contatti telefonici serali si rivelarono essenziali per dare a Nastasia fiducia nella verità e nella giustizia umana, e altrettanta fiducia a Nilde e a Gilberto; uno scambio osmotico di pazienza e di speranza che transitava alternativamente dai genitori alla figlia e dalla figlia ai suoi genitori.
Dovettero are altri due mesi perché l'esame delle conversazioni telefoniche tra Nastasia e i genitori convincesse gli esperti del servizio segreto siriano di aver preso un abbaglio sull'attività spionistica della ragazza italiana; e se anche persisteva qualche remoto dubbio nella mente del sospettoso e diffidente ufficiale della gendarmeria di Aleppo, le innumerevoli pressioni e sollecitazioni degli organi diplomatici italiani non davano alle autorità siriane i presupposti legali di trattenere ancora Nastasia nella sua condizione di sospettata, non essendo riusciti a mettere insieme la benché minima prova a suo carico.
E' pur vero che nel tempo si erano appena attenuate le rigorose prescrizioni sull'isolamento della reclusa; le era stato permesso di poter ricevere la breve visita di Suana e Einhan, e poi anche quella di Pushian col direttore della biblioteca. Erano state visite di pochi minuti e sempre sotto il vigile controllo delle guardie; avevano avuto il merito, però, di contribuire alla stabilità psicologica della ricercatrice che era stata molto provata dal dover are da sola e nell'angusta cella di sicurezza le festività del Natale.
Trascorsi comunque oltre tre mesi di quell'assurda prigionìa, Nastasia venne rimessa in libertà e affidata a un rappresentante dell'Ambasciata italiana in Siria perché fosse rimpatriata entro il giorno dopo, in quanto colpita da un decreto di espulsione dal paese e con l'obbligo di non rimettervi più piede.
Eccola col perentorio foglio di via, due giorni dopo finalmente a casa! tutti felici e commossi per quella soluzione a lieto fine; a lieto fine? non completamente, per Nastasia costretta a rinunciare alla decifrazione dell'antico manoscritto del Mar Morto! la speranza annullata, il sogno infranto, il successo cancellato. Si era, però, riappropriata della sua vita, della sua libertà, della vicinanza dei suoi cari; e la casa, e l'ambiente, e lo studio, e Filippo…
E non solo: il suo pensiero riandava alla breve e intensa esperienza di gruppo per i primi tentativi di interpretazione di quei preziosi segni sull'antico papiro arrotolato, all'affettuosa famiglia Al Nasar che l'aveva accolta in casa e trattata alla pari di Moira la congiunta andata a studiare nell'università perugina, alla cara Pushian che tanto si era prestata ad aiutarla nel difficile ambientamento a quella cultura non familiare. Sì; assieme al riprendere la sua vita di sempre, aveva il convincimento di essere tornata più cresciuta per le conoscenze e l'esperienza maturata ad Aleppo e, perché no, anche nella caserma di gendarmi.
Nel suo impeto di gratitudine, avendo recepito il sintomo di scontento di Pushian per quei controlli ingiustificati delle guardie e per la vita senza sbocchi che la donna menava, le aveva promesso di aiutarla a ritornare in Italia non appena le avesse trovato un'occupazione. Aveva solo bisogno di un po' di tempo per riacclimatarsi al consueto andamento delle sue cose e, con rinnovato impegno, si sarebbe messa in gareggiata.
Gradatamente, tornò a percorrere i lunghi corridoi del dipartimento di lettere e storia al secondo piano dell'Ateneo barese e a frequentare sia le lezioni delle varie materie di studio che il gruppo di ricerca che faceva capo al professor Cerulli; aveva anche riallacciato gli affettuosi contatti con le vecchie amiche Alessia e Rosalba.
Aveva poi riconsiderato il rapporto coi fratellini Leandro e Poldo divenendo assai meno distaccata, e mostrandosi più disponibile a coadiuvarli nelle ricerche scolastiche; anche con Gilberto era diventata più dolce e comprensiva,
apprezzando le sue sollecitudini che, pur sembrando superficiali e apparenti, erano invece davvero paterne e sincere. Dovette riconoscere che la sensazione di assenza e svagatezza di suo padre era connaturata al carattere e che l'immediato precipitarsi con Nilde in Siria le aveva dimostrato l'effettivo attaccamento che il genitore nutriva per lei, la figlia primogenita.
Riprese anche le rituali frequentazioni di Filippo che tutte le sere si recava a trovarla con la sua piccola auto, divenendo nuovamente il suo riferimento dialettico-culturale e affettivo. Il giovane l'amava profondamente e lei, a modo suo, ne ricambiava il sentimento, pur con la capricciosità e le variazioni del suo carattere. Era perciò tornata a essere la Nastasia di sempre, ma più matura e stabile; un rammarico la rodeva però: l'aver dovuto interrompere il lavoro di ricerca ad Aleppo. Ci aveva tenuto tanto a far parte di quel team internazionale, vi aveva profuso la sua volontà, la sua energia, la sua abnegazione… e un ridicolo sospetto, una caparbietà di quell'ufficiale delle guardie siriane l'aveva costretta a sospendere ciò che rappresentava la sua aspirazione maggiore, riuscire a decifrare i segni dell'antica lingua aramèa tracciati su quel papiro.
-< Non te la prendere,> le aveva ripetuto Filippo: -< sai quante altre occasioni avrai nella vita?>
-< Forse; però avevo cominciato bene col mio gruppetto.> ammetteva lei, con una punta d'amarezza.
Anche Nilde e Gilberto la confortavano:
-< Vedi, che anche a Timbuctù in Mali, hanno incendiato la biblioteca nazionale che custodisce moltissimi tesori, libri antichissimi, pergamene… in lingua islamica-africana ajmane solo che è un posto più pericoloso che Aleppo, e raggiungerla non è facile. Ed è anche une delle sette meraviglie dell'umanità. Ci
sarà tanto da scoprire nel mondo! abbi pazienza…>
-< Certo, ma lì c'ero già; e mi era ormai inserita…>
Dopo qualche mese una rivista letteraria pubblicò una notizia di origine se sul lavoro del gruppo di ricerca di Aleppo:
-< Leggi qui,> le disse il professor Cerulli: -< hanno decifrato solo poche parole e già cantano vittoria! perché non ti dedichi a controllare l'esattezza della traduzione e a proseguirla per conto tuo? io ho le fotografie del Rotolo datemi da Lutosud, se vuoi, andiamo avanti per conto nostro.>
-< Possiamo provare, professore.> gli rispose Nastasia:
-< Dopotutto, era sulle fotografie che si lavorava. Possiamo benissimo ricominciare.> una nuova fiammella alimentò il desiderio mai sopìto della ragazza.
L'indomani Cerulli fece fare un doppione delle fotografie del Rotolo e le consegnò a Nastasia:
-< Buon lavoro, considera che nel gruppo di ricerca ci sono anch'io; partiamo dall'inizio e chissà se non riusciamo a dare un'accellerata e, forse, un'interpretazione diversa. Ci terrei proprio a surclassare il lavoro dell'equipe di Lutosud.>
-< Professore, posso inserire in questo gruppo una mia amica? Alessia è iscritta al dipartimento di scienze dell'antichità e frequenta il corso di archeologia: è brava e può esserci utile.>
-< Ma certo; ben venga Alessia e tutti coloro che possono darci una mano. Poi… ti sei più sentita con quella donna siriana, sì, quella Pushian?> chiese Cerulli, con interesse.
-< Ah Pushian? a tale proposito… quando ha tempo, vorrei parlarle, professore.> colse l'occasione Nastasia.
-< Va bene; ora ho lezione. Magari, domani…>
Appena a casa, Nastasia telefonò ad Alessia e le chiese:
-< Vuoi far parte del mio gruppo di ricerca? ci occuperemo col professor Cerulli di interpretare un rotolo del Mar Morto, finora non conosciuto.>
-< Ah, quello per cui andasti in Siria?>
-< Sì, proprio quello; visto che il gruppo di ricerca specifico va a rilento… vogliamo provarci noi qui. Che ne dici?>
-< Volentieri; se non ci sono problemi al tuo dipartimento.>
-< No; Cerulli è d'accordo. Gliel'ho già detto.>
-< Bene; allora ci vediamo domani lì, nello studio del gruppo.> e poi, a Gilberto:
-< Papà, sai? riprendo a studiare quel papiro di Aleppo. Il professor Cerulli mi ha dato le foto; sarebbe stato meglio l'originale, ma quello era intoccabile anche lì, in biblioteca.>
-< Benissimo; come vedi… occorre insistere un po' in tutte le cose. Ora potrai farti valere… datti da fare.>
-< Già; ho coinvolto anche Alessia, che studia archeologia.>
-< E allora… buon lavoro; anche Filippo parteciperà?>
-< Non so; se vorrà, potrà inserirsi anche lui.>
-< Io partirei con calma; smaltirei prima l'ansia per quello che hai ato ad Aleppo. Mi prenderei una piccola vacanza, e poi ricomincerei a pensare a quel papiro.>
-< Hai ragione; però siamo in inverno… dove vado? magari più in là. Ora sono impaziente di riprendere…>
Nastasia ne parlò anche a Filippo; il giovane, pur disponibile a parole, non trovò le ore, il tempo necessario a dedicarsi a quell'impegno, preso com'era dall'assistentato e dal rapporto di precarietà. Si dichiarò d'accordo con Gilberto nella necessità che la ragazza rimandasse di qualche tempo ogni sovraccarico di studio, onde poter riprendersi appieno dalla disavventura siriana.
Capitò davvero a proposito la telefonata dell'altra sua amica, Rosalba che, invitandola al proprio fidanzamento con Federico, le suggerì di trattenersi per un paio di settimane nella fattoria di famiglia presso Monopoli; si era ai primi di marzo e il sole giocava a rimpiattino nell'approssimarsi della primavera che, nella zona, arrivava precocemente. Sarebbe stata sua ospite, visto che la stagione agrituristica non era ancora avviata e avrebbe potuto rilassarsi completamente distraendosi con gli animali e andando a cavallo. E il sabato sarebbe andata con lei in discoteca, accompagnata da Federico e da altri amici.
Nastasia fu molto tentata dalla proposta dell'amica, aveva ventidue anni e la voglia di dimenticare quei tre mesi d'inferno trascorsi nella cella di Aleppo; a convincerla del tutto fu Nilde che dette a Rosalba per scontata l'accettazione della proposta. Si unì anche Filippo a spingerla verso la vacanza: la distanza di soli quaranta chilometri della fattoria dal capoluogo gli avrebbe consentito di unirsi alla ragazza e accompagnarla in discoteca.
-Tanto, - pensò Nastasia - le due settimane sarebbero ate presto e lei, al rientro, avrebbe recuperato facilmente quel tempo applicandosi allo studio con maggiore determinazione.
29
La Fattoria era un ampio caseggiato semirurale disposto a C con al centro uno spiazzo lastricato, un tempo adibito ad aia; al momento era destinato a parcheggio con un pozzo centrale circondato da un'aiuola a roseto. Pur conservando l'aspetto esterno di un cascinale agricolo era stato restaurato e ammodernato dando una disposizione degli ambienti più razionale, con tutti gli impianti tecnologici moderni e una strada di accesso comoda e ombreggiata da filari di fronzuti platani.
Nastasia, forte delle indicazioni di Rosalba, non ebbe difficoltà a raggiungerla: bianca di calce e con una merlatura sopra il primo piano che la caratterizzava come masseria fortificata, alla pari delle tante sue simili sparse nel territorio pugliese.
Al primo piano erano state ricavate una trentina di stanze con bagno, sia singole che doppie oltre ad alcuni locali di servizio per guardaroba e ripostigli; il pianterreno era destinato parte a scuderia con una decina di box e una grande stalla per sellami, attrezzi e fienile: vi erano alcuni ambienti per servizi e spogliatoi al personale, una grande sala ristorante con altra saletta, toilettes, un'ampia cucina, una comoda dispenza con varie celle frigo e anche un acquaio per rigovernare le stoviglie. In ultimo vi era una comoda lavanderia, la centrale termica e vari locali di servizio e di deposito, oltre al bar e all'amministrazione.
In definitiva, un ottimo complesso, attrezzato per agriturismo nelle buone stagioni e per ristorante e sala ricevimenti in tutto l'anno. Nelle adiacenze del cancello d'ingresso, una costruzione d'epoca a un solo piano comprendeva l'abitazione del guardiano e un locale per deposito di attrezzi agricoli e quarantena di animali.
Rosalba Stano accolse l'amica con grande effusione; lei era coetanea di Nastasia e aveva dovuto interrompere gli studi alla licenza media per aiutare suo padre nella gestione della fattoria. Era una ragazza belloccia, tendente al biondo e all'abbondanza, con un viso portato naturalmente al sorriso. Da figlia unica, aveva perso la mamma da una decina d'anni e collaborava efficacemente con papà Duilio sia per la tenuta della contabilità che per la supervisione degli animali e dell'ampio appezzamento agricolo e floricolo che circondava la fattoria.
Quella sera presentò a Nastasia il fidanzato che, come ogni giorno, partecipava alla cena per stare un po' con lei. Aveva circa trent'anni e aveva messo su un'agenzia di investigazioni private che agiva prevalentemente nell'ambito industriale con sede in Monopoli e con un ufficio distaccato a Brindisi. Parlando con lui, Nastasia seppe che si era arruolato giovanissimo nella polizia di stato, ma che tre anni prima si era dimesso per costituire la sua agenzia; si dimostrava simpatico e chiacchierone raccontando del suo lavoro, senza però fare mai nomi. Rosalba l'aveva conosciuto in una discoteca, si erano frequentati e… eccoli fidanzati.
Duilio invece, il padre di Rosalba, poteva avere l'età di Gilberto, e in un certo senso gli somigliava: poco ciarliero e sempre assorto, accennava ai vari suoi problemi lasciandoli a mezz'aria, senza mai definirli come se chi l'ascoltava fosse già al corrente e stesse per dargli la soluzione. I pochi argomenti che affrontava erano escussi con parole frettolose e veloci che spesso si sovrapponevano l'una all'altra rendendo faticoso capirle. Si puliva ogni minuto i vetri dei suoi occhiali con un fazzolettino di carta che infilava nel taschino della giacca riprendendolo continuamente per togliere un impossibile pelucco dalle lenti. E poi, chi interloquiva con lui era distratto da un suo tic: il suo baffetto di destra si alzava assieme alla porzione di labbro ogni qualvolta pronunciava la t e la s, e ciò rendeva il suo discorrere scoppiettante e sibilante per l'aria che attraversava la fessura tra due suoi denti.
Quella prima sera di Nastasia nella fattoria dell'amica finì con l'assistere tutti a un telefilm nel bar, concludendosi con un generale buonanotte condito da ripetuti sbadigli.
Uno squillante e prepotente chicchirichì sostituì il trillo della sveglietta; l'impudente galletto siamese era solito svegliare all'alba sia le pollastrelle che gli ospiti della fattoria; e continuò imperterrito nel suo richiamo finché il guardiano non era corso a minacciarlo.
Il nuovo giorno parve sorridere a Nastasia: un impertinente raggio color rame penetrò attraverso le tapparelle e, quasi a farlo apposta, stampò la sua lamina sul viso della ragazza; non le restò che rispondere a quell'omaggio del sole stiracchiandosi e affacciandosi alla finestra. La pungente aria mattutina, però, le consigliò un rapido rientro.
Dopo la colazione volle cimentarsi con una mezzora di eggiata a cavallo: aiutata da uno stalliere, montò su una cavalla baia non più giovanissima. Si chiamava Parisienne la cavalla, ed era tranquilla e obbediente; erano ati forse dodici anni che Nastasia non montava a cavallo: aveva imparato da bambina su un vecchio ronzino stanco e apatico che la portava in groppa per il parco di casa. Wagliò andava solo al o e non rispondeva ad alcun comando, si fermava a sua discrezione per riprendere fiato e per essere incoraggiato dalla zolletta di zucchero che la bimba gli dava con la manina sotto i lunghi denti color senape; di galoppo nemmeno a parlarne, sia perché il parco non era sufficientemente ampio e libero, ma principalmente per il fatto che lui non aveva mai cambiato la sua andatura calma e sonnolenta di quando trainava, la domenica, il calesse del padre di Gilberto. Solo un'ora alla settimana il padrone saliva sul calesse e si lasciava trasportare senza nemmeno preoccuparsi di sostenere le redini, tanto Wagliò agiva di testa sua e non si sognava affatto di rispondere ai comandi… e poi, al padrone piaceva così: salito sul biroccio, lasciava che il cavallo gironzolasse a proprio piacimento tra gli alberi del parco; sapeva che non v'era pericolo di incidenti essendo il parco recintato, e si affidava con occhi chiusi alla fantasia del ronzino, al mollèggio delle balestre sui mozzi e
al sordo battere degli zoccoli sul terreno. Un'ora di raccoglimento per pensare ai casi suoi e alla non più florida fabbrica di sapone.
Nastasia sul dorso di Parisienne non si sentiva un'amazzone; lasciava che la cavalla procedesse al o e, come il nonno, lasciava che i suoi pensieri vagassero, o meglio, rivangassero sui fatti più salienti del suo breve ato. La cavalla, abituata al tempo normalmente predisposto per lo so dei turisti, s'era fermata di botto davanti ai box e la ragazza, aiutata dal premuroso stalliere, era scesa di sella per correre nella stalla a togliersi gli speroni peraltro non utilizzati: la mattina era ancora fredda e umida, e Nastasia si affrettò a rifugiarsi nel più ospitale bar.
Qualche pomeriggio dopo, ecco l'arrivo di Filippo; era sabato ed era prevista l'andata in discoteca. Di solito, il gruppetto era costituito da Rosalba e Federico a cui si univa un'altra coppia: Costanza e Martino. Quella sera si sarebbero uniti anche Nastasia e Filippo. Dopo aver cenato, Rosalba e Nastasia con Federico e Filippo si recarono a "La Bolgia", un capannone in periferia alla città, con un'enorme scritta luminosa su cui batteva ritmicamente un potente raggio bianco emesso da un grande riflettore comandato elettronicamente a scandire una musica indiavolata. Parcheggiarono nell'ampia zona antistante dove v'erano già un centinaio di auto e se ne aspettavano almeno il doppio, a giudicare dallo spazio rimasto ancora libero. Federico rintracciò col cellulare l'amico Martino che era lì in macchina da qualche parte:
-< Ciao Marti', chiudi la macchina e ci vediamo a fare i biglietti.>
-< Sbrigatevi, ché noi siamo già all'ingresso.> gli rispose Martino.
-< Eccoli là.> esclamò Rosalba, vedendo l'agitare della mano di Costanza.
-< Ma guarda come s'è vestita…> le disse Federico, nel vedere il vestitino a tubo di Costanza: -< è tutto d'oro…>
-< Oro o argento… ognuno si veste come crede.>
Costanza aveva due o tre anni meno di Rosalba, bella e appariscente con una voce nasale e stridente e con una cadenza dialettale piuttosto marcata; Martino era di poco più grande, diplomato all'Istituto Industriale e di belle speranze, cioè in cerca di occupazione. Come tutti i ventenni, cercava di sembrare più alto rialzando i capelli al centro a mo' di cresta; era simpatico e spiritoso con battute pronte e alquanto spinte. Con Costanza costituiva una coppia di ragazzi d'oggi, spensierata e desiderosa di divertirsi.
Le tre coppie occuparono un divano angolare quasi in penombra: erano arrivate abbastanza presto e in tempo a scegliersi dove stare. In ossequio al nome del locale, la musica era a un volume infernale e non consentiva di parlare, se non urlando. Dopo aver visitato le toilettes, Rosalba e Costanza coi loro maschietti uscirono all'aperto per parlare e per fumare, lasciando Nastasia e Filippo che, mani nelle mani, si guardavano compiaciuti. Le ripetute uscite degli altri non dispiacevano certo ai due ospiti che restavano a contemplarsi, frastornati da quell'inverosimile rumore. Di tanto in tanto, musica permettendo, si alzavano per raggiungere la zona di ballo e vi rimanevano quasi immobili, pressati dai tanti altri ragazzi che si dimenavano come scalmanati. L'effetto trascinante della musica unito a quello delle bevande rendeva i più giovani, mentre ballavano, ipereccitati e prepotenti, al limite della litigiosità. Fu appunto durante una vorticosa giravolta che Martino entrò in collisione con un paio di altri ragazzi; volarono parole grosse e qualche spintone, ma con l'intervento pacificatore di Federico e di altri, il diverbio parve acquietarsi e tornò la calma.
Una calma solo apparente, in verità; infatti durante un'uscita all'aperto di
Federico e Martino con le loro ragazze, la musica s'interruppe e il disk-jokey chiese se nel locale vi fosse un medico per una necessità all'esterno; poi il frastuono riprese subito e fu allora che Rosalba rientrò di corsa, facendo segno a Nastasia e Filippo di seguirla fuori. Ed ecco tra le auto, il freddo fascio intermittente di luce che batteva, quasi a schiaffeggiarlo, sul corpo di Martino disteso sul pietrisco del parcheggio; il povero ragazzo roteava lo sguardo inebetito alla ricerca di non so quale aiuto. La grande macchia di sangue si allargava senza posa a lato del corpo e, col are dei minuti, le palpebre del ragazzo calavano a spegnere quello sguardo, come a dimostrare l'allontanarsi della vita da quel corpo fino ad allora vitale e pulsante.
Federico, poggiato sul cofano di un'auto, si premeva con la mano insanguinata un fazzoletto su una spalla e continuava a rincuorare Martino gridandogli di tener duro, di non addormentarsi ché l'ambulanza era in arrivo. Costanza era ormai una semplice cosa: seduta per terra affianco a Martino, con le mani rosse di sangue, guardava il ragazzo disperandosi e chiamandolo senza posa con la voce divenuta roca e sommessa. E la gente… tanta gente intorno, visi di ragazzi, curiosi e attòniti, di giovani donne punteggiati con brillantini… tutti addobbati per l'occasione di festa e…. finalmente, ecco l'ambulanza col suo terrificante ululato. Gli addetti raccolsero velocemente il corpo esanime infilando la barella in quel cofano maleodorante di medicine; aiutarono a salire anche Federico e sparirono col loro automezzo lasciando a spegnersi la lunga scia della lugubre sirena.
Solo allora giunse la pantera dei carabinieri; la macchina si fermò davanti all'ingresso e un giovane buttafuori, indicando il gruppetto di giovani ancora nel parcheggio:
-< Là, è successo là; l'ambulanza è già andata via.>
-< Ci dispiace, ma non abbiamo potuto fare prima; da via San Domenico… il traffico…> gridò l'autista, dirigendo la macchina verso il luogo indicato.
Trovarono Rosalba imbambolata in piedi, Costanza ancora seduta per terra che ripeteva rauca e come un disco rotto:
-< Martino, Martino, Mart…> all'infinito.
I giovani presenti si allontanarono subito vedendo i carabinieri; lasciarono soli Nastasia e Filippo vicino a Rosalba e a Costanza. Si avvicinò anche il buttafuori e, poi, il titolare del locale.
Il capopattuglia dei carabinieri, un maresciallo, assicuratosi che Costanza non fosse ferita, annotò sul taccuino le generalità del titolare e la sua dichiarazione:
-< Io ero nel mio ufficio, appena lui > indicando il buttafuori: -< mi ha avvertito, ho telefonato al 112 e al 118; poi sono corso dal disk-jokey per far chiedere se vi fosse qualche medico nella sala. Non ho fatto sospendere la musica per evitare che i giovani si riversassero tutti insieme fuori; poteva succedere qualche altro guaio grosso… sa, la calca… c'erano almeno duemila persone…> il maresciallo ò al buttafuori:
-< Io ero attento alla porta; i ragazzi spingevano per entrare e li tenevo buoni per far controllare i biglietti. E' venuto un giovane che barcollava, prima ho creduto che fosse ubriaco, poi ho visto il fazzoletto sporco di sangue alla spalla e quello mi ha detto di chiamare l'ambulanza perché c'era un ragazzo ferito - fa presto, ché è grave. - mi ha detto. E io sono andato di corsa dal direttore.>
-< Quindi, non era presente al ferimento?> chiese il maresciallo.
-< E no! io stavo attento alla porta; quelli volevano entrare…> rispose giustificandosi, il giovane.
-< E allora! chi ha visto qualcosa?> chiese il carabiniere guardando Filippo.
-< Forse lei…> rispose quello, indicando Rosalba, che intanto aveva aiutato Costanza a rialzarsi.
-< Sì, io…> cominciò Rosalba, mostrando difficoltà a parlare. Al comando del maresciallo, un milite andò in macchina e tornò con una bottiglia d'acqua dandola alla giovane.
-< Sì, io ero con loro: con lei> e indicò Costanza: -< con Federico, il mio fidanzato che è stato ferito alla spalla, e con Martino, il suo ragazzo che, non so, sembrava molto grave lì per terra.>
-< Sì, ma cosa è successo?> insistette il maresciallo.
-< Eravamo usciti, loro fumavano e sono venuti due o tre da un lato e un paio dall'altra parte per non farci scappare. Uno ha detto - e mò v' dim' ci sa fa' (e ora vediamo cosa sai fare) - ha tirato dalla tasca un coltello, di quelli a scatto, e ha cominciato ad agitarlo per l'aria. Noi abbiamo gridato e Federico e Martino ci hanno protetto. Ma quelli che ridevano… e quello come un pazzo, che menava colpi col coltello e ha ferito prima Federico e poi ha assalito Martino colpendolo alla pancia… che è caduto subito a terra. Poi, sempre ridemdo come scemi se ne sono andati, con quello matto che continuava a ridere e ad agitare il coltello in
aria, come una bandiera…. terribile.> Rosalba si fermò; non ce la faceva più a parlare, e si appoggiò a Nastasia.
-< E lei, cos'ha visto?> chiese il maresciallo a Filippo.
-< Assolutamente niente; noi eravamo nella sala, abbiamo sentito che chiedevano un medico e, vedendo che loro non rientravano… ci siamo alzati per uscire a vedere, in quel momento è venuta a chiamarci lei, Rosalba, e siamo usciti di corsa e abbiamo visto un gruppo di curiosi. Ci siamo avvicinati e… abbiamo visto Martino a terra e…>
-< Allora, siete amici… siete venuti insieme?>
-< Sì, noi quattro con la mia macchina; quella.> disse appena Rosalba, indicando un'auto.
-< E quella dovrebbe essere la loro, mi pare.> aggiunse Nastasia, indicandone un'altra.
-< Ma il feritore, lo conoscevate?>
-< No! è la prima volta che veniamo qui a Monopoli.>rispose Filippo, mentre gli altri scuotevano la testa.
-< E neanche qualcuno di quel gruppo, la targa della loro auto… niente?>
-< No, no; è così scuro qui!> disse il buttafuori: -< e poi, tra tanta gente… chi se li ricorda?>
-< E se vi mostriamo delle foto, li riconoscereste?>
-< Posso provare; forse Federico, ché l'ha visto da vicino… non so.> rispose Rosalba.
-< Federico… Martino… non conoscete i loro cognomi?>
-< Sì, ecco: Federico Maggini che è il mio fidanzato, e Martino Rondi che è il… ragazzo di lei.> disse Rosalba, indicando Costanza: -< Loro sono di Bari e sono miei ospiti alla Fattoria.> precisò.
-< Quindi, nessuno li conosceva; la signorina è stralunata e non posso interrogarla ora… e, come si chiama la signorina?>
-< Lei? Costanza, Nusini Costanza. Siamo tutti di Monopoli.> completò Rosalba.
-< Finiti i rilievi?> gridò il maresciallo a un carabiniere.
-< Sì, maresciallo!> gli rispose quello.
Il graduato rilesse velocemente i suoi appunti e:
-< La signorina, l'accompagnate voi?>
-< Va bene.> rispose Rosalba, che s'era un tantino ripresa dallo shock.
-< Ma domani, tutti in caserma. Alle diciassette, chiedete del maresciallo Matilasso.>
Rosalba fermò l'auto sotto l'abitazione di Costanza e accompagnò la ragazza su a casa; tardò a scendere vari minuti:
-< Ho dovuto spiegare ai suoi lo stato in cui si trova; la mamma le ha dato un'aspirina e l'ha messa a letto. Poverina!> e dopo un minuto, la macchina si fermò nel cortile dell'ospedale::
-< Io vado a chiedere…> disse Rosalba.
-< Aspetta; ti accompagno.> disse Nastasia. Si unì anche Filippo e andarono a chiedere all'accettazione dove ebbero la tristissima notizia che Martino Rondi era morto in ambulanza e che stavano aspettando i parenti già avvertiti dal poliziotto di servizio.
Maggini Federico era stato ricoverato al primo piano; lì seppero che la ferita era stata suturata e che il paziente era stato sedato. La ferita non era grave e la prognosi era di cinque giorni s.c. Seppero anche che lo stesso Maggini aveva telefonato alla famiglia e l'aveva rassicurata; Rosalba volle, comunque, chiamare i suoi futuri suoceri confermando lo stato di Federico che avrebbero potuto venire a trovarlo l'indomani.
-< Ma guarda cosa doveva capitarci.> disse Nastasia.
-< Mi dispiace; e chi poteva prevedere una tragedia simile?> Rosalba era davvero mortificata per i suoi ospiti, ma assai più rattristata per il decesso di Martino e per le condizioni di Costanza.
Nessuno parlò più finché giunsero alla Fattoria. Il signor Stano, il padre di Rosalba, stava chiudendo l'ufficio per andare a dormire, vedendoli guardò l'orologio: l'una e mezza!
-< Non vi aspettavo così presto… e Federico?>
-< Papà, Federico non c'è.> rispose Rosalba. E bla, bla, bla: raccontò l'accaduto.
-< E tu? tutto a posto?> chiese alla figlia.
-< Sì, tutto a posto, papà.>
-< Meno male; domani vado a parlare col primario.> e poi: -< Ah, è pure domenica! be' parlerò con qualcun altro.>
30
Nastasia non chiuse occhio tutta la notte; la scena di quel ragazzo così allegro e burlone mentre moriva lì per terra non l'aveva abbandonata nemmeno un attimo. E quella ragazza, Costanza, inebetita a ripetere il nome… sicuramente un colpo orribile; lei, caruccia col suo vestitino dorato, non poteva certo aspettarsi un epilogo di serata così… così drammatico.
Sarebbe stato meglio che fosse rimasta a casa - pensò - anziché fare quella vacanzina un po' forzata e in una stagione non proprio propizia; magari il mare le sarebbe piaciuto dippiù, in Tunisia o a Sharm el Sheik. All'ombra di un ombrellone avrebbe potuto meglio rilassarsi e pensare alle sue cose. Comunque, ormai stava lì con la sua amica Rosalba e, sia pure per un giorno, con Filippo; doveva andare dai carabinieri per sottoscrivere il verbale delle sue dichiarazioni, che, pur se inutili, le aveva fatte e andavano firmate.
Altrettanto insonne era stata la nottata per Rosalba e per Filippo: a colazione s'erano presentati coi segni della mancanza di sonno e giustamente impressionati per lo stupido omicidio di Martino, il brillante ragazzo di Costanza. Erano tutti anche preoccupati per lo stato in cui avevano lasciato la giovanissima Costanza: il suo tremore, il continuo e delirante ripetere il nome del suo ragazzo, faceva presumere probabili conseguenze psicologiche. L'aver assistito al ferimento, all'abbandono della vita del proprio ragazzo che si spegneva accanto a lei, poteva causare danni irreversibili alla mente, assai fragile in quell'età ancora adolescenziale. Pensavano anche allo strazio dei genitori di Martino, svegliati all'improvviso per apprendere che il loro figlio non c'era più: era uscito contento e gioioso pregustando la bella serata e… non sarebbe mai più rientrato! non avrebbe più dato loro quei tanto temuti, e anche accettati problemi assai diffusi tra i ragazzi della sua età. Non avrebbero più sorriso alle sue battute, al suo entusiasmo, alla sua esuberanza; solo il ricordo li avrebbe confortati e rattristati allo stesso tempo, il ricordo buono o cattivo, ma pur sempre del loro ragazzo. Un ricordo che sarebbe stato loro per sempre.
-< Rosalba, perché non telefoni a Costanza? così sappiamo come sta!> Nastasia ruppe il mesto silenzio che li avvolgeva: -< e anche ai genitori di Martino?>
-< Sì, hai ragione. Ma i genitori di Martino staranno già all'obitorio. Non vogliamo andarci insieme?>
-< Sì, è meglio. E' molto triste, ma non possiamo fare altro; vengo anch'io.> propose Filippo.
-< Un attimo; telefono prima a casa di Costanza.> e dopo:
-< Costanza dorme ancora; meglio così.> disse Rosalba.
Assai mesta fu la scena all'obitorio; i genitori erano uno straccio, e non da meno il fratellino, pur se per il fatto che fosse ancora un fanciullo sembrasse meno provato. Il magistrato non aveva ritenuto di far eseguire l'esame autoptico essendogli chiara, anche dalle testimonianze acquisite, l'ora, la causa e la dinamica del decesso; aveva perciò disposto per la sepoltura. E il corpo di Martino, freddo e immobile, era lì nella bara, pronto per quell'ultimo atto così doloroso per i superstiti, ma comunque necessario, che lo avrebbe portato a consumarsi lentamente come lentamente sarebbe sfocato il ricordo negli amici. Gli avevano sistemato alla meglio un abito scuro, un abito non suo che lui sembrava accettare con impaccio e sopportazione; viso e mani pallidissime, e un leggerissimo sorriso gli increspava le labbra di cera, quasi a voler continuare il tono canzonatorio che gli era caratteristico. Un abbraccio e frasi di circostanza per i parenti; cos'altro si poteva dire o fare… e furono lasciati là, a piangere il loro ragazzo, in attesa degli altri parenti meno prossimi e degli amici che avrebbero profuso altri abbracci e altre parole, tante parole ad alimentare le loro
lacrime e la loro disperazione.
Una seconda sosta, per fortuna meno triste la fecero al primo piano dell'ospedale: Federico li accolse con sollievo; l'ospedale non era certo l'ambiente adatto a risollevargli lo spirito. Aveva appreso della fine dell'amico Martino ed era rimasto profondamente turbato.
Tornati alla Fattoria, Nastasia sentì il bisogno di chiamare Nilde; e con lei sfogò la sua tristezza. Accennò anche al larvato desiderio di tornarsene a casa, ma la mamma la dissuase: - erano cose, esperienze di vita che andavano affrontate per irrobustire il proprio carattere - le disse. E Nastasia decise di restare ancora, anche per far compagnia a Rosalba, la cui preoccupazione per la ferita di Federico non si era placata.
Nel pomeriggio furono impegnati dai carabinieri; arono prima a rilevare Costanza da casa sua: la ragazza era stata accompagnata dal padre all'obitorio, ma alla vista della bara s'era data indietro. Un blocco mentale l'avava fatta crollare tra le braccia del papà che l'aveva riportata a casa. Dal maresciallo Matilasso era ancora inebetita e dette risposte strane alle varie domande. Gli altri sottoscrissero il verbale e, dopo aver riaccompagnato a casa Costanza, tornarono mesti e muti alla Fattoria: il loro giovanissimo amico Martino non l'avrebbero più rivisto, non avrebbero più sorriso alle sue battute! Dopo poco, Filippo salutò Rosalba, s'intrattenne un po' con Nastasia per cercare di lasciarla più serena e, vista la minaccia di temporale che oscurava il cielo, prese la via di ritorno a Bari. Era felice per aver ato un giorno con la sua Nastasia, ma assai triste per Martino; l'aveva appena conosciuto, ed era già morto.
Per la ragazza, la settimana successiva trascorse con sufficiente tranquillità: Federico, dimesso dall'ospedale, aveva ripreso a intrattenersi la sera con Rosalba. Anche il tempo fu abbastanza clemente consentendo alle due amiche qualche eggiata a cavallo e lo scambio di confidenze; però il fatto di sangue che aveva caratterizzato la sera del sabato, pesò sull'umore delle due ragazze,
tantopiù che l'indagine dei carabinieri per rintracciare il giovane assassino non pareva approdare a nulla. Troppo vaghe erano state le descrizioni dei presenti al fattaccio, e anche l'esame delle tante foto mostrate dal maresciallo non era stato fruttuoso: molti "somiglia", "può essere", "forse". Non v'era stato un riconoscimento deciso e gli inquirenti non avevano piste valide da seguire.
Nastasia era tornata a casa; le due settimane trascorse con Rosalba le avevano dato modo di rilassarsi, ma non quanto ci si aspettava; l'assurdo omicidio di quel ragazzo l'aveva tenuta in apprensione, vuoi per la salute mentale di Costanza che pur conosciuta per poco tempo le aveva provocato una grande pena, e vuoi per la stessa Rosalba che era sempre preoccupata per il ristabilimento di Federico. Li aveva salutati promettendo loro che sarebbe tornata presto, sia pure per qualche giorno soltanto.
L'aria di casa le dette nuova vitalità riaccendendo l'entusiasmo per il ritorno all'università e allo studio delle fotografie del rotolo antico. Fu beneaccolta dai colleghi del gruppo di ricerca e dal professor Cerulli, e si immerse nuovamente nel lavoro di interpretazione dei segni sul papiro, questa volta con l'aiuto dell'esperto docente. Ebbe finalmente occasione di parlargli di Pushian, per la quale il professore aveva dimostrato un certo interesse:
-< Ecco,> - gli disse -< con me è stata molto buona e io mi sento in obbligo con lei; vorrei aiutarla facendo in modo che realizzi i suoi desideri.>
-< Penso anch'io che sia una brava donna; ma come pensi di poterla aiutare? mandandole del denaro?>
-< No, professore; col suo lavoro lì riesce a campare. Ho capito che non sopporta il regime di oppressione, di controlli a cui lei, come tutti i siriani, sono sottoposti; mi è sembrata nostalgica di quando viveva in Italia.>
-< Tu pensi che qui sarebbe più contenta?>
-< Penso proprio di sì, professore; e anche per Zoray, la sua bambina che lì è sempre chiusa in casa per timore che venga rapita e…> prese fiato: -< io penso che se lei volesse, professore, un qualsiasi impiego presso l'università…>
-< Ah, Osborni; hai pensato così? ma credi che sia facile con tanti nostri disoccupati che vorrebbero fare gli uscieri o anche le pulizie?>
-< Io non pensavo a quelle mansioni, professore; quella donna ha una discreta cultura e… parla l'Italiano oltre che l'Arabo. Pensavo che potrebbe essere piuttosto utile come lettrice in lingua araba o per illustrare agli studenti gli usi, le abitudini e il modo di pensare dei mediorientali.>
-< Ma al nostro dipartimento noi insegniamo letteratura italiana…>
-< E' vero, però lei è amico di tanti professori della facoltà di lingue straniere, no?>
-< Vedo che le hai pensate tutte! be' lascia pensare un po' anche mé. Ma non credere che siano cose dall'oggi al domani.>
-< E chi lo pensa… però basta avviarle, ché prima o poi arrivano!>
-< Vedremo, vedremo Osborni; poi ne riparliamo.>
-< Sei tornata contenta. Cos'è successo all'università?> chiese Gilberto.
-< Nulla di particolare, papà; ho parlato al professor Cerulli di quella donna di Aleppo.>
-< Chi, Suana? perché, la conosce Cerulli?>
-< No Suana; Pushian, la ricordi? quella che…>
-< Sì, sì la ricordo; ci accompagnò dalla biblioteca alla casa di Al Nasar, sì, quella che parla Italiano. E allora?>
-< Gli ho chiesto se poteva essere utile all'università come lettrice di lingua araba. Mi è sembrato possibilista, ecco.>
-< Ma credi che quella donna voglia tornare in Italia, dopo la morte del marito?>
-< Penso di sì; qui c'è più libertà, senza tanti sospetti e controlli.>
-< E senza bombardamenti…>
-< Perché? continuano a bombardare?>
-< Già; e per colpire i ribelli distruggono tutto… e quanti morti. Il telegiornale coi reportages non parla d'altro.>
Nastasia pensò di telefonare a Pushian per avere conferma della sua volontà di tornare in Italia. Così, tanto per sapere se bisognava insistere con Cerulli o lasciar perdere. Pushian si era dimostrata un'amica, occupandosi di lei, ospitando Filippo e Cerulli, e dedicando un po' del suo tempo anche ai genitori nella loro breve puntata ad Aleppo. Se non fosse stato possibile presso l'università, l'avrebbe fatta assumere in casa sua da Gilberto, magari come guardarobiera, ma qualcosa avrebbe fatto.
In fondo, malgrado il suo periodo di prigionìa, era rimasta grata a tutti quelli che aveva conosciuto lì ad Aleppo, anche a quell'ufficiale sospettoso e intransigente che, in fondo, faceva il suo dovere e che, pur a tratti, aveva dimostrato comprensione e simpatia.
Certo, privilegiava Einhan e Suana che l'avevano ospitata e trattata come una figlia; avrebbe mandato loro un bel regalo per i piccoli Crisia e Ramset, e anche per Moira che da Perugia aveva smosso mezzo mondo in occasione dell'arresto.
Sì, anche il direttore della biblioteca si era preoccupato per lei assieme al professor Mutosud; aveva avuto dimostrazione che, al dilà delle usanze, delle religioni, delle culture, il senso di umanità era vivo e operante tra tutti gli esseri umani e quella constatazione la riempiva di gioia e soddisfazione.
31
Un buon mese era ato dal rientro a casa di Nastasia, dopo la brutta esperienza alla discoteca di Monopoli; si era sentita spesso con Rosalba e, nell'ultima telefonata, le era parso che l'amica sentisse il bisogno di confidarsi con lei, ma non per telefono. Decise quindi di andare a trovarla e are qualche giorno lì alla Fattoria.
Poco più di mezzora di macchina e abbracciò l'amica; il prorompere della primavera rendeva la Natura meravigliosa per colori e luminosità, e l'udito era deliziato dal melodico richiamo degli uccelli, che gai e svolazzanti tra rami e foglie esprimevano piena contentezza per la tiepida stagione, testimone delle danze preliminari e dei loro accoppiamenti. E il sole sembrava sorridere, bonario e sornione, al risveglio generale sollecitato dai suoi caldi raggi che si insinuavano in ogni fessura, in ogni spiraglio, in ogniddove.
-< Ti aspettavo;> le disse Rosalba, abbracciandola: -< anche per farmi perdonare la brutta riuscita della tua visita precedente.>
-< Ma va; mica fu colpa tua… e poi, il periodo lo scelsi io.>
-< Allora? hai ripreso a frequentare l'università? e i tuoi studi sul papiro, vanno avanti?>
-< Sì, tutto come prima; e qualche altro segno sul rotolo l'abbiamo decifrato. Non è per niente semplice.>
-< Sei, quindi, soddisfatta? ti vedo anche bene!>
-< Sì, abbastanza e non mi lamento.> poi aggiunse: -< E tu, come stai? è cominciato il lavoro qui?>
-< Come sto… bene, più o meno. Il lavoro? è appena cominciato; sai, con la buona stagione… abbiamo fatto il lavoro preparatorio, come ogni anno e… non disperiamo, siamo appena agli inizi e mi pare che già vada bene.>
-< Oh, buon giorno Nastasia. Bentornata.> il signor Stano l'aveva vista e si era avvicinato: -< è venuta sola o col signor Filippo?>
-< Da sola, solo un paio di giorni … e scappo via.>
-< E perché?… Rosalba l'aspettava con una certa ansia. Le fa bene stare in compagnia.>
-< Anch'io volevo rivederla; l'altra volta la lasciai piuttosto abbacchiata. Lo eravamo tutti…>
-< Allora, qualche giorno insieme farà bene a entrambe.> e si allontanò per le sua faccende.
Rimaste sole, Nastasia e Rosalba andarono a sedersi al bar: eano tante le chiacchiere, i pettegolezzi, le confidenze che avevano da scambiarsi. L'argomento principale? i loro uomini o fidanzati!
Entrambe soddisfatte, ma Rosalba manifestò qualche pur minima perplessità:
-< Federico è sempre buono e affettuoso, ma da quando è uscito dall'ospedale è un po' più distratto, è meno attento verso di me; viene tutte le sere come prima, però il giovedì e il sabato… non si trattiene fino a tardi, va via prima e…>
-< Ma tu, glielo hai chiesto il perché? dove va?>
-< Sì, che gliel'ho chiesto; va agli ingressi delle discoteche e aspetta di vedere quello che lo ferì…>
-< E uccise Martino. E i carabinieri?>
-< Niente; nessuna notizia. Sembra che se ne siano dimenticati.>
-< Ma no! solo… che, dove vanno a cercarlo?> disse Nastasia.
-< Beh, dai; prendiamoci un tè, o vuoi qualcos'altro?>
-< No, vada per il tè.>
La sera, a cena arrivò Federico:
-< Buona sera; oh, Nastasia… come stai?>
-< Bene, anche voi… vi vedo bene.>
-< La salute… è l'umore che…>
-< Già; ma con il bel tempo dovrebbe migliorare, no?>
-< Speriamo!>
-< Ma sì; notizie dai carabinieri? dai, aggiornami sulle indagini.> chiese Nastasia.
-< Le indagini? si sono arenate. Io vado con Matilasso alle discoteche; aspettiamo in macchina, chissà si faccia vivo. Solo io potrei forse riconoscerlo… Martino è morto e solo io ero davanti a lui e potrei… Rosalba e Costanza erano dietro di noi e poi… non lo ricordano proprio.>
-< Tu pensi che… prima o poi si farà vivo. Vero?>
-< Beh, è giovane, e vorrà divertirsi.>
-< E questi appostamenti possono durare a lungo, però.>
-< Questo è il problema; non per me, ma per il maresciallo, che ha sempre da fare.>
-< E tu l'hai convinto a unirsi a te.>
-< Cos'altro può fare… più a il tempo e peggio è.>
-< Ma nessuna pista… nessun'idea…> chiese Nastasia.
-< Un piccolo barlume io cel'ho; mi auguro che… ma non avrò pace finché lo scoverò, quel farabutto.>
-< Sù, buona cena, ché si fredda.> sollecitò il signor Stano.
Quel are alcuni giorni insieme giovò alle due amiche: Nastasia, col suo immergersi nella natura e con la eggiata a cavallo tralasciò il suo pensiero fisso: l'interpretazione dei segni sul papiro, e Rosalba riacquistò un po' di buon umore, con la soddisfazione di suo padre.
Quel sabato era venuto Filippo a trovare Nastasia, avevano cenato e Federico era scappato via per il suo appostamento; coi pochi ospiti dell'agriturismo si erano tutti riuniti nel bar per seguire lo spettacolo televisivo. Al termine, stavano scambiandosi la buona notte quando squillò il telefono. Il barista, indeciso se rispondere o meno, guardò interrogativamente il titolare; il signor Stano, pensando a una probabile prenotazione, prese il telefono:
-< Pronto, qui è la Fattoria…> ma dopo un attimo, ò la cornetta a Rosalba: < E' Federico, per te.> disse.
Si udì una frase a voce altissima uscire dalla cornetta; l'udirono tutti come fosse "a viva voce": -< L'abbiamo preso, quell'assassino. L'abbiamo preso… ciao, domani ti dico.> e chiuse.
Quelle poche parole gridate dall'altro capo del telefono, strapparono un "evviva" a coloro che sapevano. E ancor più sereni e sorridenti, abbracciati per le spalle l'uno all'altro come in una parata, si avviarono ciascuno verso la propria stanza.
-< L'incubo è finito!> esclamò Rosalba salutandoli.
-< Finalmente!> risposero gli altri, all'unisono.
Per Rosalba non fu una notte tranquilla: non riuscì a prendere sonno, morsa com'era dalla curiosità di sapere.
Anche Nastasia e Filippo non è che avessero dormito molto. Il ricordo di quella sera li aveva attanagliati da più di un mese: quel ragazzo per terra… e poi, nella bara…
Erano anche loro curiosi di sapere come si erano svolte le cose… avrebbero atteso con ansia che venisse Federico e raccontasse…
E Federico venne, contento e soddisfatto, a ricevere gli apprezzamenti e i complimenti di Rosalba e degli altri; e come fosse un eroe, raccontò le fasi delle sue gesta:
-< In ospedale ero confuso, non ricordavo nulla; dopo alcuni giorni, però, pensa e ripensa, feci mente locale ricostruendo pian piano la sequenza delle varie scene da quando la macchina di Rosalba entrò nel parcheggio de La Bolgia. Ricordai che un posteggiatore mi indicò dove lasciare la macchina…>
-< E' vero, ma poi sparirono tutti.> disse Filippo.
-< Sì, ma mentre ci incamminavamo verso l'ingresso, io che sapevo che se non davo la mancia a quello, avrei trovato un bel graffio sulla carrozzeria, gli detti un euro ed entrammo nel locale. Però, poi, mi sono ricordato che quello era un povero vecchio senza gambe e stava su una carrozzella. Siccome voi sapete che io ero poliziotto, alla scuola imparai che in un'indagine non bisogna trascurare nulla e che il minimo dettaglio può essere importante.>
-< Ebbene?> chiese il signor Stano: -< qual'era il dettaglio?>
-< Appunto, quello della carrozzella. Io tornai lì nel parcheggio nei giorni dopo, finché trovai quel tale e pregandolo, anzi, regalandogli dei soldi, lo portai a far mente locale a quella sera: visto che lui non poteva muoversi come gli altri posteggiatori, probabilmente doveva essere rimasto lì vicino e aver visto ciò che era successo e perciò forse poteva riconoscere l'assassino.>
-< E' giusto. Embè, l'ha riconosciuto?> domandò Rosalba.
-< Glielo chiesi. Lui mi disse che era rimasto nella sua zona, ma di vedere… no, mi disse che appena vedeva ciò che aveva in mano… ma che l'orecchio gli funzionava bene.>
-< E cosa aveva sentito?>
-< Disse che dopo le grida delle donne, cioè di Costanza e Rosalba, aveva sentito un po' più lontano, mentre quelli si allontanavano, uno che rideva e un altro che gli diceva: Giaco, u si' acc'dut (l'hai ucciso) e il primo continuava a ridere. Poi, quando vennero i carabinieri, tutti scapparono e anche lui riuscì ad allontanarsi. Gli feci ripetere tante volte quello che aveva sentito, specie il nome Giaco che poteva riferirsi a Giacomo. Nessuno degli schedati dei carabinieri aveva quel nome e poi, poteva aver cambiato pettinatura o tinto i capelli o fatto crescere la barba… perciò, sarebbe stata un'impresa impossibile trovare tra tutti i giovani pugliesi uno che si chiamasse Giacomo, che quella sera fosse lì a La Bolgia e che potesse somigliare a quel delinquente.>
-< E come hai fatto?> ancora Rosalba.
-< Senti, avevo pregato amichevolmente Matilasso o il suo vice di stare in
macchina con me il giovedì e il sabato, perché se fossi riuscito a riconoscere il farabutto, non potevo certo arrestarlo io che non sono niente; avevo ben stampati in mente il naso e gli occhi di quello e, per tante sere, forse può anche essermi ato vicino, ma io non l'ho riconosciuto.>
-< Specie se ha cambiato pettinatura…>
-<Appunto; allora ieri sera ho voluto tentare ancora; vidi uno che poteva avere l'altezza e i lineamenti giusti, ma non ero sicuro. Allora, dal finestrino aperto chiamai "Giaco": se quello si fosse girato il maresciallo l'avrebbe fermato. Ma quello non si girò e perciò non poteva essere lui. Poi arono due giovani: uno mi sembrò che avesse lo stesso naso, gli stessi occhi, la stessa altezza e l'andatura somigliante; lo lasciai are e dopo qualche metro gridai "Giacò" mi venne così con l'accento sulla o, ma non l'avevo fatto apposta. Quei due si girarono entrambi e io e il maresciallo balzammo fuori dalla macchina e li bloccammo: erano rimati immobili per la sorpresa. Dai documenti, quello più alto e biondino si chiamava Nicola; l'altro, quello che secondo mé somigliava al tizio, dette la patente e potemmo constatare che il suo nome era…>
-< Giacomo!> esclamarono gli altri.
-< Nient'affatto! quel tale si chiama… indovinate un po'?>
-< E che ne sappiamo… come si chiama?>
-< Si chiama "Giacobbe"! ecco. E il resto venne da sé>
-< Tutto è bene… sù, un brindisi al bravo Federico!> gridò il signor Stano riempiendo i bicchieri.
-< Ciò che finisce bene.> chiosarono gli altri.
-< Anche se per Martino e Costanza… è finita male.> disse Federico, con una punta di amarezza.
Era già buio quando Filippo salutò per tornarsene a Bari; sì, era tornata un po' di serenità sui volti di tutti, ma il risultato raggiunto aveva, come sempre, due facce: da un lato il trionfo della giustizia con l'arresto di un assassino che non avrebbe più potuto far del male e… dall'altro lato il disagio di una famiglia che avrebbe pianto per quello stesso giovane: non sarebbe stata più orgogliosa di lui come prima.
E sarebbe rimasto per sempre il grande dolore della famiglia di Martino per la perdita di quel bravo ragazzo, perdita stupida e immeritata la cui rassegnazione non sarebbe mai venuta; per Costanza, invece, sarebbe stato molto più facile se non il dimenticare, almeno l'accantonare, l'affievolire. La sua giovanissima età avrebbe attutito l'attuale dolore con l'innata spensieratezza dei ragazzi: "chiodo scaccia chiodo" recita l'antico detto, fortunatamente sempre valido.
32
I pochi giorni ati da Nastasia alla Fattoria erano stati, per lei, abbastanza soddisfacenti: aveva visto Rosalba e Federico meno tesi dopo l'arresto di Giacobbe e, approfittando della stagione compiacente, aveva goduto delle lunghe eggiate a cavallo che le avevano consentito di coordinare i suoi pensieri e intendimenti sia in ambito affettivo che nell'ambito universitario.
Il rientro a casa era stato festeggiato sia dai famigliari che da Pasqua, da Felix e anche da Maso che aveva sostituito lo scomparso Sto' e la guardava con rispetto, ma anche con malcelata attenzione; la ragazza si era accorta di quel tortuoso interesse, ma pensava di sapere ormai come difendersi dai vogliosi sguardi degli uomini. Anzi, reagiva quasi con sfida a quegli sguardi inopportuni e, come fosse un gioco, accentuava il mostrare le sue rotondità, tanto, sarebbe bastato un secco rimprovero, una vivace sgridata per far tornare la giusta distanza tra chi dispone e chi esegue. Trascurava forse di considerare quanto debole sia il vincolo della rispettosa sudditanza di fronte a un irrefrenabile desiderio sessuale degli uomini; eppure… la sua prima esperienza, pur indesiderata, era stata così traumatica per lei che si era ripromessa di non…
Ma avrebbe sempre dovuto ricordare che la presunzione di padronanza, di carattere fermo, di abilità nel sapersi districare da situazioni scabrose quasi mai aveva buon gioco in tali circostanze; e le migliaia di casi di violenza sulle donne, a qualsiasi scopo, ne dovrebbe costituire valido insegnamento.
-< Bentornata! ti vedo più riposata; dove sei stata?> chiese a Nastasia la cara amica Alessia.
-< Sono stata a trovare Rosalba Stano, la ricordi? solo pochi giorni, purtroppo.>
-< Certo che la ricordo; non di persona poiché è ato tanto tempo, ma me ne hai parlato spesso. Come sta?>
-< Beh, discretamente; l'ho lasciata meglio di come l'ho trovata. E qui? avete fatto qualche progresso col rotolo?>
-< Non proprio; solo vari tentativi, ma di progressi…> disse Alessia, con rammarico.
-< Pazienza! non bisogna scoraggiarsi; certo che non è facile…>
-< Parli come il professor Cerulli; ma a sgobbare siamo noi!> obiettò Alessia.
-< Ci sono anch'io, mica solo voi. Sù, andiamo avanti.>
-< Sei tornata decisa eh?>
-< Alessia, ti sei spompata; se ti manca la volontà, tanto vale rinunciare.>
-< Non sono ancora a questo punto, cara.> chiuse Alessia.
E, con gli altri studenti, ripresero i loro tentativi. Nastasia cercava di infondere fiducia al gruppo:
-< Dai, proviamo così…> suggeriva.
-< Ma non va; e se fosse…> diceva Marco, poco convinto.
-< No, no; invertiamo la costruzione della frase…> proponeva Nico. Prova e riprova: niente.
-< Ma no; ripartite da zero!> imbeccò il professor Cerulli.
-< E sì; chi comanda non suda.> osservò sottovoce Alessia.
E così, provando e spingendo, avano inutilmente le giornate. Solo tentativi e nessun progresso…
-< Se fosse facile… dai, riprovate.> Cerulli cercava di rincuorare il gruppo.
Anche Nastasia, dopo l'entusiasmo iniziale, vedeva scemare la sua fiducia; sarebbero mai riusciti a trovare un'interpretazione alternativa a quella data dal gruppo di Aleppo? ed ecco riapparire in lei gli scatti di nervosismo, i dubbi, le tante incertezze, le fragilità del suo essere donna. Era convinta che un solo o
avanti, un piccolo successo avrebbe ri la fiducia in se stessa, ma intanto… non stava invece rinunciando a un periodo della sua vita, a una breve parentesi di benessere e soddisfazioni di cui la vita è quasi sempre avara, ma che sembrava essere stata generosa con lei?
specie la sera, prima di addormentarsi lasciava che il pensiero rivivesse quegli ultimi mesi: malgrado l'episodio della prigionìa, aveva ricevuto ad Aleppo prove di considerazione, di altruismo e di affetto, tornata a casa si era sentita circondata di stima e cordialità dal professor Cerulli e dalle amiche Alessia e Rosalba: a quest'ultima era grata per la buona ospitalità ricevuta che specie nell'ultimissima circostanza, complici anche il caso e il bel tempo, aveva risvegliato in lei la bella sensazione di sentirsi privilegiata rispetto ai tanti derelitti. Sì, la primavera e quegli ultimi pochi giorni di pace, le avevano ricordato di essere donna, una giovane donna dalle esigenze che suonavano la carica!
il senso di appagamento che aveva provato nel lasciarsi dondolare dalla cavalla Parisienne e dal piacevolissimo massaggio che una cucitura sporgente al centro della sella le aveva provocato proprio sotto il cordone perineale, rilassandola a lungo;
e anche il prolungato palpeggiamento dei seni e dei glutei che Filippo da qualche tempo praticava nel salutarla, anziché l'istintivo moto di ribellione la induceva a un gradevole consenso, rinfocolando una fiammella sensuale evidentemente mai sopìta del tutto.
La femmina in lei indugiava nei ricordi e nelle fantasie e, come ogni sera, attendeva il placarsi dei bollori e il sonno ristoratore.
E il mattino, schiudendosi al nuovo giorno, si svegliava ricaricata a puntino per affrontare le nuove fatiche e col giusto entusiasmo a riprendere quella ìmproba
ricerca; e in lei, come in nessun altro, "la speranza era proprio l'ultima a morire".
-< Buon giorno professore.>
-< Oh, buon giorno, buon giorno Osborni; ho esaminato l'interpretazione di quel rigo. Mi sembra più azzeccata di quella di Mutosud, bravi… andate avanti, ma sempre agganciandovi al precedente e rifacendovi alla logica di quegli uomini.>
-< Certo, professore; ha parlato con Aleppo? dove sono arrivati?>
-< Sì, ho sentito Mutosud; mi è parso di capire che lì si sono arenati al periodo successivo. Se ci muoviamo, forse soriamo.>
-< C'era quel professorino se nel mio gruppetto; lui sosteneva che alcuni segni riportati sul rotolo, sembravano essere stati poi inseriti nella scrittura araba, come pure i numeri. Non so se hanno appurato questa cosa; fui arrestata e…>
-< Beh, certo; può essere. Abbiamo degli scritti in Arabo da confrontare? altrimenti li chiederò al collega di lingue.>
-< Sì, qualcosa l'abbiamo; anche il dizionario. Sarebbe stata utile la consulenza di quella Pushian, non crede?> azzardò Nastasia.
-< Perché no! a proposito, accennai quella proposta di assumerla lì a lingue
straniere; non fu scartata. C'è solo da lavorarci un po'; ad esempio… se ci fosse una sua domanda di impiego qui… potrebbe essere un inizio a cui agganciarci.>
-< Bene; la chiamerò stasera e le chiederò di scriverla in Arabo con la traduzione in Italiano. Poi vediamo se l'Italiano è corretto o gliela faccio modificare.>
-< Sì, facciamo così.> fu d'accordo il professor Cerulli.
E la sera, si dichiarò molto d'accordo anche Pushian; l'avrebbe scritta e spedita l'indomani a casa Osborni; Nastasia avrebbe letto la traduzione e, se l'avesse trovata corretta, l'avrebbe portata al protocollo dell'ateneo altrimenti avrebbe apportato le modifiche e Pushian l'avrebbe riscritta. Almeno, cominciava a muoversi qualcosa.
Anche Filippo convenne su quella procedura; avrebbe potuto scriverla Nastasia in Italiano e Pushian copiarla e tradurla in Arabo, ma sarebbe stata meno spontanea: ogni lingua ha un modo proprio di comporre le lettere e… sì, la procedura scelta lo trovò pienamente d'accordo.
Una buona settimana dopo giunse la busta a Nastasia. Sulla parte in Arabo non ci capì assolutamente un'acca, mentre a quella in Italiano, apportò qualche correzione ad alcuni congiuntivi e alla punteggiatura. Non riuscì a rispedire la lettera per e-mail all'indirizzo della biblioteca, e fu un bene: avrebbe accellerato i tempi, ma avrebbe fatto conoscere a tutti l'intenzione della donna. Scelse di spedirla a casa di Pushian per posta ordinaria: sarebbe forse ata inosservata ai verificatori del servizio segreto siriano.
La domanda riscritta da Pushian arrivò tre settimane dopo e Nastasia la portò
subito a protocollare per la segreteria dell'ateneo.
Purtroppo i mesi avano invano e l'organo decisionale del dipartimento di lingue non si esprimeva sulla domanda.
Dal canto suo Nastasia, pur con l'obiettivo d i andare avanti nella ricerca che aveva intrapreso, non trascurava lo scopo primario dei suoi studi: la laurea in lettere con specializzazione in restauro dei libri antichi. Proseguiva a studiare conseguendo ottime votazioni agli esami delle varie materie.
Fu all'approssimarsi del nuovo anno scolastico che ricordò al professor Cerulli di sollecitare la risposta alla domanda di assunzione inoltrata da Pushian, e dopo qualche giorno:
-< Osborni, sono riuscito a sbloccare la domanda di Pushian; il consiglio di facoltà ha apposto il visto di urgenza e la sta inviando alla segreteria generale per l'assunzione a tempo determinato: un anno scolastico. Poi vedremo di rinnovarla anno dopo anno.>
-< Grazie, professore; vuol chiamarla lei stasera? o la chiamo io per darle la notizia.>
-< No, chiamala tu. E' meglio che io non appaia proprio; non so, però, fra quanto tempo le arriverà l'assunzione… sono cose lunghe.>
-< Be', l'importante è che le arrivi; ha atteso tanto che …>
-< Sì, ma è meglio che resti in contatto con te; che ti telefoni appena la riceve e si prepari: i visti anche per la bambina… non so.>
-< Certo; glielo dirò, ma non è affatto una sprovveduta.>
Pushian fu assai contenta della notizia:
-< Allah ha ascoltato la mia preghiera; e mi ha fatto trovare un'amica vera come te; che ha costruito una catena di brave persone che si sono interessate a mé e a Zoray; e che ci consentiranno di vivere meglio in Italia e continuare a pregare e ringraziare la grande saggezza di Allah…> e così ancora con altre frasi simili.
-< Sì, va bene Pushian; cerca di informarti sui documenti che servono per venire in Italia. E fammi sapere se serve altro che possa fare io.>
-< Sì, andrò a informarmi; e la grande scienza di Allah mi illuminerà e mi indicherà dove rivolgermi, e mi aiuterà. Grazie, amica cara.>
Nastasia era soddisfatta di aver messo in moto quell'iniziativa a favore della donna siriana; pensò anche di mandarle il denaro per il viaggio, ma la sfiducia negli uffici postali di quel paese e la censura del servizio segreto la dissuasero da quell'invio.
Tre sere ancora e giunse la telefonata di Pushian:
-< Allah è sempre stato generoso con me, ma non ha ascoltato la mia ultima richiesta e non ha suggerito la risposta giusta a chi doveva darmela.>
-< Ho capito, Pushian; cos'hai saputo?>
-< Che non ci sono aporti. I permessi possono essere richiesti solo dalle università per i loro studenti che vanno a studiare fuori, e che occorre fare richieste un anno prima.>
-< Ah,… e allora?>
-< E allora devo partire ugualmente senza permesso.>
-< E come farai? se non hai il permesso non puoi prendere l'aereo…>
-< No, l'aereo no; forse trovo i posti in una barca. Sto cercando e poi ti faccio sapere. Almeno in questo prego che Allah aiuti me e Zoray, come fece dieci anni fa per me e Rambad.>
-< Come farai per il denaro? ce l'hai?>
-< Ho solo una piccola somma di Zoray, ma venderò casa a qualsiasi prezzo; e spero in Allah!>
Ed ecco un nuovo inverno; a fine gennaio 2013 un'altra telefonata di Pushian avvertiva di essere finalmente in Italia: era sbarcata alla chetichella con la bambina e un centinaio di altri poveri derelitti in un posto del meridione e, col buio, stavano dirigendosi a piedi, a gruppi di due o tre per volta, verso Crotone, così aveva letto su un cartello stradale.
-< Prendi un treno o un autobus per Bari; hai denaro?> chiese Nastasia, preoccupata.
-< Molto poco, solo per mangiare.>
Nastasia decise rapidamente:
-< Senti Pushian, quando sei a Crotone va alla stazione, nella sala d'aspetto, e aspettami là; almeno starete al caldo. Io verrò a prenderti dalla stazione entro domani, non so quando, per la strada potrò trovare neve o pioggia. Ma tu aspettami là, in sala d'aspetto. Hai capito bene? intanto, con il denaro che hai compra da mangiare… e aspettami. Ciao.> e poi, rivolto a Gilberto:
-< Papà, Pushian è arrivata. Sta a Crotone e ora vado a prenderla.>
-< A Crotone? ma è molto lontano e Felix… non so se è in grado di arrivare fin là. E il treno? non può prendere il treno?>
-< No papà; non ha soldi e se l'arrestano senza biglietto, chissà… la rinchiudono
in un centro di clandestini. E la bambina la spediscono in un orfanotrofio… no. Vado a prenderla.>
-< Aspetta, telefono alla stazione di Bari e chiedo quando c'è il treno per Crotone. Col treno è più sicuro; e se c'è neve sulle strade?> obiettò Gilberto.
-< Be', io preparo un po' di roba; tu telefona alla stazione.>
e dopo vari minuti:
-< Ecco, bisogna prendere il treno per Taranto, lì aspettare circa un'ora e prendere un altro treno per Crotone. Ma non c'è un diretto e non si sa se saranno necessarie delle soste in qualche altra stazione. Per Taranto ci sono vari treni abbastanza frequenti.>
-< Io sono pronta; hai soldi contanti?> chiese Nastasia.
-< Sì, eccoli; ma avverti Felix per la macchina; ora ti accompagno alla stazione di Bari, così mi fermo a un bancomat e te ne dò altri di soldi.>
Alla stazione trovarono la solita confusione tra turisti, pendolari, barboni ed extracomunitari; a Gilberto, pigro per natura, prese il sopravvento l'affetto paterno: non poteva mandare la sua figliola tra quel marasma di gente e, poi, così lontano! non sola, almeno.> così, con un tempismo e un notevole sforzo per lui, prese una decisione storica e chiamò Nilde col cellulare:
-< Nilde, vedi che non me la sento di far partire Nastasia sola; con tanta gente… non mi sento tranquillo.>
-< Embè? non la fare partire!> suggerì la moglie.
-< E ché, ti ascolta, forse? no, Nilde: io vado con lei. Torneremo o domani notte o dopodomani; vediamo… prima possibile. Ti rimando Felix con l'auto, tu sta attenta alle cose della casa; chiudi tutti gli accessi!>
-< Va bene Gil, come vuoi; e… pensami.>
-< Sempre amore; certo che ti penserò. Ciao.> e a Nastasia:
-< Ecco fatto! mi presterai uno dei tuoi maglioni, se avrò freddo stanotte.>
-< Uno, due… quanti ne vuoi; ne ho portati in più per quelle due. Grazie papà; mi sento più sicura con te.> e gli stampò un bacio sulla guancia:
-< Ora, pensiamo a Filippo.> e informò il fidanzato su quel viaggio improvvisato, rassicurandolo che l'accompagnava Gilberto.
33
Fu molto commovente l'affettuoso abbraccio di Nastasia a Pushian e a Zoray; la donna che l'attendeva fuori la stazione della città calabrese, baciò le mani a Gilberto e figlia e disse che nella notte erano stati scacciati dalla sala d'aspetto tutti quelli senza biglietto e avevano dovuto arrangiarsi in un angolo di panchina all'aperto.
Gilberto sospinse il gruppetto all'interno di un bar le due siriane intirizzite si rifocillarono a dovere.
Purtroppo, le rigide istruzioni impartite ai poliziotti ferroviari per rispettare le pur giuste esigenze dei viaggiatori, avevano costretto quei poveracci a are all'addiaccio la fredda notte invernale.
Gilberto si pose il problema del ritorno a Bari e contattò l'addetto alla biglietteria: tutti i posti prenotabili risultavano glià prenotati e si preannunciava un assalto alle vetture ancora più forsennato di quello avvenuto alla stazione di Bari; la crisi finanziaria lamentata dall'ente ferroviario non consentiva l'opportuna manutenzione a moltissime vetture, che rimanevano inutilizzate nei depositi rendendo insufficienti quelle che costituivano i convogli. Gilberto cercò un'alternativa al treno: trovò fortunosamente un pulman gran turismo che tornava al suo terminal di Taranto. Lì, avrebbero preso un altro pulman oppure il treno che forse avrebbero trovato meno affollato, visto il maggior numero di convogli in partenza da quella città.
Approssimandosi la stazione di Bari, Gilberto telefonò a Nilde perché mandasse Felix con l'auto a rilevarli; Nastasia intanto aveva svegliato Pushian e Zoray che
avevano dormito per tutto il viaggio e, finalmente, presero le loro cose e scesero dal treno per recarsi nel bar a prendere qualche merendina. Dalla vetrata sulla grande piazza Moro, Gilberto scorse la propria auto che si fermava all'ingresso; fece segno a Felix di attenderli ed eccoli verso casa.
Su indicazione di Nilde, Pasqua aveva preparato un pranzo a base di couscous con carne, ritenendolo più gradito alle due siriane e, solo al termine del pranzo, Pushian dette la stura al racconto del viaggio rocambolesco effettuato con la sua bambina. Aveva svenduto la casa a un prezzo pari a novemila euro interamente versati al capobarca; due mesi era durato il viaggio perché avevano dovuto sostare per giorni in varie località dell'Egitto e della Libia per trovare le giornate giuste ad attraversare il Mediterraneo. Poi il vento e le correnti avevano portato lo scafo contro gli scogli di un'isola greca e, dopo un'altra sosta per riparare alla meglio il fasciame della barca, avevano approfittato di una giornata di bonaccia per percorrere il Mar Ionio ed essere abbandonati in acqua, presso una spiaggia. Da lì, dopo varie ore di cammino su viottoli e stradine per sfuggire ai "caporali" che li avrebbero dirottati a lavorare gratis chissà dove, una decina di loro si erano allontanati alla spicciolata da tutto il gruppo e lei aveva potuto telefonare a Nastasia. Gilberto completò il racconto a Nilde e ai ragazzi, avendolo vissuto in prima persona e mandò tutti a dormire: Nilde aveva predisposto una brandina nella stanza di Felix per Zoray, mentre il domestico avrebbe dormito su un lettino di fortuna sistemato nel capanno degli attrezzi, una volta stalla di Wagliò, il vecchio ronzino del padre di Gilberto. Era una sistemazione momentanea in attesa di trovare un minialloggio per Pushian in prossimità dell'ateneo di Bari.
La mattina successiva la sorpresa al professor Cerulli:
-< Buongiorno professore, con ritardo, ma eccola qua.> disse Nastasia, scostandosi per mostrare Pushian.
-< Oh, buon giorno…. che sorpresa!> esclamò il professore con notevole imbarazzo; si sollevò dalla sedia rimanendo a mezza altezza, indeciso se alzarsi
per salutare l'ospite oppure restare seduto col consueto riserbo tra il docente e una subalterna.
Lo smosse Pushian, avvicinandosi e inchinandosi fino a terra come ringraziamento per il daffare all'assunzione come lettrice. Cerulli l'aiutò a rialzarsi e la fece accomodare davanti alla scrivanìa:
-< Sono molto contento nel rivederla, signora Pushian. Benvenuta qui a Bari.> disse fissandola; mostrò notevole interesse per la scollatura che la donna evidenziava sotto il cappotto. Nastasia le aveva fornito l'abbigliamento necessario; però, per le più mature rotondità della donna, avrebbe necessitato di qualche aggiustamento.
-< Lei e Zoray hanno fatto un viaggio avventuroso.> disse Nastasia, notando l'imbarazzo del professore.
-< Ah, sì? mi auguro che i suoi disagi siano finiti.> disse Cerulli, mentre Nastasia invitava Pushian a dire qualcosa.
-< Professore, Allah la ricompenserà per tutto.>
-< Allah? ah, sì, sì; ma ora, mi dica: quando vuole cominciare a…> chiese, guardandola in viso; aveva notato che la donna si era riassettata il cappotto per coprire la scollatura.
-< Anche adesso…> e aggiunse: -< se è possibile.>
-< Beh, un minuto, ché telefono a Murmurro, vedo se c'è; è lui il professore di Arabo. Magari…> rivolgendosi a Nastasia:
-< andate a prendervi un caffè, intanto…>
Al loro ritorno: -< No, non c'è; ha lezione domani. Nastasia, portala dal gruppo di ricerca e falle vedere se può aiutarci…>
Pushian approvò, per quanto a suo sapere, i righi già interpretati e si limitò a dare qualche suggerimento per alcuni segni; ma a suo dire, il metodo più opportuno era quello già seguìto: di provare, provare e riprovare ancora con parole nuove.
Filippo volle anche lui salutare Pushian; venne appena libero e abbracciò la donna e Nastasia.
-< Sì, Osborni; ho chiamato Murmurro, ci aspetta… venga Pushian, così lo conosce.> Cerulli, l'indomani.
Il dipartimento di lingue straniere era a duecento metri dall'ateneo; entrarono da via Corrubi e salirono al primo piano:
-< Caro Murmurro, ecco la tua lettrice di Arabo; come ti dissi, è siriana e parla Italiano. Ti può essere utile per traduzioni e per illustrare ai tuoi studenti gli usi e costumi degli Arabi.>
-< Benissimo; purtroppo io dico loro quello che leggo sui libri. La signora potrà dare notizie dirette di vita vissuta.>
-< Embè, è appena arrivata ieri da Aleppo; vita pericolosa lì, per i bombardamenti e per i disordini, e viaggio ancora più pericoloso. Non le hanno rilasciato i documenti di viaggio ed è arrivata come clandestina.>
-< Però ora, con la lettera di assunzione dell'università avrà i documenti italiani, no?> osservò Murmurro. Il professore di Arabo aveva un'età indefinibile: forse cinquantenne, aveva occhi, baffetti e capelli nerissimi; era napoletano e aveva studiato l'Arabo presso il locale Istituto di Lingue Orientali divenendo assistente di Arabo in quella università specializzata. Aveva partecipato al primo concorso possibile per il posto di docente qui a Bari e vi si era trasferito.
-< Immagino che troverà un'abitazione da queste parti, o rimarrà a casa di Osborni?> chese Cerulli a Pushian.
-< Nastasia è molto buona, ma io preferisco avere una casa mia, se la trovo.>
-< Certo, mi sembra giusto.>
Intervenne Murmurro: -< Ma la signora ha famiglia?>
-< Ho solo una bambina di nove anni; mio marito è morto.> precisò Pushian.
-< Perché le lezioni cominciano puntualmente; tenga l'orario.> proseguì Murmurro, dandole un foglio: -< anzi, venga; andiamo in segreteria, così ufficializziamo la questione. Sa, il professor Cerulli ha insistito tanto perché fosse un rapporto di lavoro ufficiale…>
Espletata la formalità, la segretaria:
-< Ha una foto?> ma vista l'aria smarrita di Pushian, aggiunse: -< beh, me ne porti due domani, ché le preparo il tesserino.>
-< Bene, ora venga… che la presento ai ragazzi.> disse il professor Murmurro: < Lei dica in Arabo solo una decina di parole di saluto e ringraziamento. Nella prossima lezione leggerà una mezza pagina in Arabo e la tradurrà pian piano in Italiano.>
-< Sì, va bene; per me è un lavoro nuovo.> disse Pushian.
-< Non si preoccupi; il professore le starà vicino.> la incoraggiò Cerulli guardando Murmurro.
-< Uh, san Gennaro, ma certo; non sarà difficile.> assentì il professore.
-< Allora, io vengo domani alle nove al suo studio.> confermò Pushian a Murmurro; e insieme, si recarono nell'aula di lezione. Qui il professore presentò Pushian e la invitò a scrivere qualcosa alla lavagna. La donna scrisse una frase in
Arabo su due righe e la tradusse in Italiano:
-< Cari studenti italiani, mi chiamo Meddhjn Pushian e sono molto felice di collaborare col professor Murmurro a farvi capire la lingua araba e a farvi conoscere gli usi e le tradizioni arabe, con l'aiuto di Allah. Buon giorno.>
Cerulli l'aveva attesa fuori dall'aula; si assicurò che Pushian avesse ben capito il percorso dall'ateneo allo studio di Murmurro e la riaccompagnò da Nastasia al gruppo di ricerca.
Fatte le foto e acquistata della biancheria anche per Zoray, Nastasia la riaccompagnò a casa costeggiando il mare; per Pushian, vissuta sempre ad Aleppo città in zona montuosa e a Roma, il mare aveva un fascino particolare visto dalla terraferma: esternò il suo entusiasmo con gridolini di gioia. arono anche da un "Halal", il negozio di cibi arabi per acquistare alcune spezie e vivande.
A casa, Pushian chiese e ottenne il permesso di provvedere a preparare un pranzo arabo, mettendo a riposo Pasqua, ma solo per quel giorno.
Preparò, aiutata da Zoray, una minestra a base di riso, carne di agnello e salsa di pomodoro che, disse, era gradito anche dagli italiani, lo condì con olio d'oliva, curcuma, zafferano e cumino, poi insalata fresca con limone e olio; preparò il "za'tar" con menta e timo, e anche abbondante tè aromatico oltre al caffè alla turca, chiudendo con frutta e noci.
Dopo la preghiera di mezzogiorno, portò in tavola l'immancabile bacinella, sapone e asciugamano per la pulizia delle mani:
-< I nostri tavoli sono molto bassi, ma non importa. Stiamo a casa vostra e dobbiamo adattarci; ci consentirete di non usare le posate: noi prendiamo il cibo col pane, così vuole Allah, che noi alla fine ringraziamo con il bismì Allah . Se volete, dopo leggerò il vostro destino nel residuo del caffè, come mi insegnò mia madre.>
-< Sì, sì; così ci dirai se saremo promossi.> dissero in coro Leandro e Poldo.
Pushian si chiedeva quale interesse poteva avere un professore di ruolo di una grande università italiana per lei; l'aveva raccomandata ai colleghi perché l'utilizzassero per le loro lezioni, si era preoccupato con insistenza perché venisse assunta qui a Bari con un lavoro apprezzabile e con uno stipendio dignitoso, l'aveva accompagnata dal collega Murmurro e l'aveva attesa una mezzora per riaccompagnarla da Nastasia…
Lei era una donna adulta quasi trentenne, e capiva certo il pensiero di un uomo se la guardava in un certo modo; e aveva notato, al dilà del fare cortese di Cerulli, il lampo di desiderio che traspariva da quegli sguardi posati su di lei. Ne era lusingata e appagata per l'interesse che stimolava in quell'uomo, ma era curiosa di sapere, lei di estrazione etnica e sociale alquanto diversa da lui, se l'attenzione di cui era oggetto fosse solo eggera e temporanea oppure era sufficientemente radicata e poteva forse concretizzarsi in un rapporto più consistente e duraturo. Aveva spesso subìto, in ato, quel tipo di interesse da vari uomini, sia ad Aleppo che a Roma, ma lei, moglie e madre devota, l'aveva sempre stigmatizzato e ignorato; ora, conscia della sua posizione precaria e con una figlia a carico, sentiva il desiderio di una maggiore stabilità, ma non conosceva se in quell'uomo poteva persistere la eventuale simpatia che dimostrava e né l'effettiva praticabilità di un rapporto più solido. Avrebbe appurato, chiedendo magari a Nastasia, se il professore aveva vincoli affettivi già consolidati o meno, stante per lui il divieto religioso e sociale a sviluppare un altro rapporto duplicativo. La fantasia della donna galoppava scompostamente e anzitempo, però… come si poteva fargliene colpa? gli ultimi anni erano stati duri
e spietati per lei e un pur minimo barlume di speranza in un futuro meno ostico andava custodito con gelosia.
34
Pushian svolgeva il suo lavoro con coscienza e puntualità. Obbediva alle disposizione e ai suggerimenti del professor Murmurro, spiegando agli studenti quei particolari di inflessione vocale richiesti dalla lingua araba parlata. Si dilungava anche nello spiegare gli usi e le abitudini degli arabi, difficilmente divulgati dai comuni libri di cultura araba.
Filippo si era premurato a trovarle un alloggio in via Corrubi, vicinissimo all'ateneo e a due i dal dipartimento di lingue straniere; due stanzette più cucinotto e bagno, al secondo piano di un grande stabile non moderno, ma ristrutturato. Filippo aveva saputo che due laureandi della Capitanata dividevano quel minialloggio e, in occasione del conseguimento della loro laurea, si era fatto indirizzare al proprietario definendo una regolare locazione a nome di Pushian Meddhjn. La donna ne fu felicissima sia per liberare la stanzetta di Felix che per non costringere Nastasia ad accompagnarla giornalmente fino all'ateneo e viceversa. Ma ne fu ancora più felice per l'indipendenza che le dava l'alloggio proprio, che avrebbe pulito e curato per sé e per Zoray: aveva ricevuto il primo stipendio e si sentiva ormai padrona di se stessa, col suo lavoro e con la sua casa.
Allo stesso suo piano, vi erano altri due alloggi: in uno vi abitavano due fidanzatini, mentre l'altro era abitato da un uomo, un egiziano che la impensieriva. Aveva notato che quello riceveva ogni giorno varie donne di colore che le sembravano essere prostitute; nulla di strano, come peraltro le era capitato quando viveva a Roma con Rambad; però l'egiziano le aveva parlato un giorno, dicendole di poterle far guadagnare un po' di denaro in più. Pur avendolo tenuto alla larga, temendo che l'uomo volesse reclutarla come le altre ragazze, Pushian temeva per Zoray e non usciva mai di sera per evitare di incontrare l'uomo lungo le scale buie dello stabile.
-< Se trovassi un altro alloggio…> confidò una volta a Nastasia: -< mi sentirei più tranquilla e sicura, anche per la bambina.>
-< Sai, non è facile trovare casa da quelle parti, eppoi, chi ti dice che la nuova abitazione sarebbe più sicura? quelle sono persone che possono avvicinarti dovunque… se quell'uomo dovesse parlarti ancora, puoi andare dai carabinieri e fargli un atto di diffida.>
-< Spero che non serva. E il tuo professore, come sta?>
-< Chi, il professor Cerulli? sta bene; spesso mi chiede di te. Gli sei simpatica… >
-< Sì? è proprio un signore… fossero tutti come lui…>
-< Già; prima era più allegro e spiritoso; ma da quando gli è morta la moglie…>
-< Ah, gli è morta? ma non ha figli?> chiese Pushian, con interesse; era riuscita a sapere ciò che voleva, senza neanche averlo chiesto.
-< No; non avevano figli. Vive da solo, poverino, in una grande casa.>
-< Mi dispiace…> osservò Pushian, forse mentendo.
Aprile stava concludendo i suoi giorni e il profumo della primavera riempiva l'aria accarezzando ogni cosa, dandole un aspetto luminoso e rinnovato; il sole stagliava decisamente le ombre aumentando il contrasto tra i pieni e i vuoti, mentre l'odore del verde ormai prorompente si diffondeva dall'antico giardino Umberto I nelle strade limitrofe, fino alla casa di Pushian. Il festoso cicaleccìo degli uccellini spandeva attorno l'allegria e ricordava il celebre brano musicale immortalato da Vivaldi.
Fu appunto una di quelle mattine che Pushian, uscendo di casa si ritrovò nel pianerottolo semibuio; aveva lasciato Zoray a dormire e richiuse la porta a chiave dall'esterno come faceva da sempre. Nella fretta per andare al lavoro, inciampò in qualcosa di scuro e morbido; credette fosse un sacco nero della spazzatura lasciato dall'addetto alla pulizia delle scale e accese la luce per scansarlo. Un suo urlo di spavento, però, echeggiò nella tromba delle scale: non aveva inciampato in un sacco di spazzatura dimenticato, bensì nel braccio di un corpo umano che, scalciato involontariamente da lei, aveva aderito a un corpo d'uomo disteso sul pavimento, il corpo esanime dell'egiziano protettore di prostitute. Aveva sentito il grido di Pushian e si era affacciata alla porta anche la fidanzatina che abitava accanto; insieme, scossero quel corpo:
-< Signore, si svegli… ché, si sente male?> chiesero, preoccupate; il corpo rimaneva immobile e… muto. Un nuovo scuotimento non dette alcun esito; il viso e le mani erano dello stesso color bruno olivastro, quello solito dell'uomo, solo che pareva appena virato sul cenere. Ed era freddo! aveva indosso il tradizionale kaffetano a righe e giaceva a pancia in giù.
-< Non dorme, non è malato… è proprio morto!> esclamò Pushian, alzandosi.
Il parlottìo delle due donne aveva fatto accorrere alcuni inquilini che curiosavano a una certa distanza; uno di essi, anziano e con aria saputa:
-< Non toccatelo; ora chiamo polizia e 118.> avvertì, e telefonò col suo cellulare.
Pochi minuti dopo, ecco gli addetti dell'ambulanza con la barella: uno di essi, il medico, tastò la giugulare, con una lampadina gli scrutò una pupilla, gli infilò il sensore dello stetoscopio sotto la camicia… e infine scosse la testa e rimandò i barellieri giù in ambulanza. Poi, seduto su un gradino, consultò il suo orologio e riempì un modulo che consegnò al tizio dall'aria saputa: -< Troppo tardi.> borbottò e andò via.
Ecco la polizia: il caposquadra lesse il foglio atogli dal saputello e mandò l'agente a prendere un faro e la cartella dalla macchina: -< Fà salire anche Bux.> disse con aria di comando. Poco dopo l'agente tornò con gli attrezzi e, mentre si guardava in giro alla ricerca di una presa elettrica che non c'era, ecco lo sbuffante agente Bux che disse con sopraffiato: -< Queste scale… uffà. Allora, che facciamo, ispettore Gargiola?>
-< Che facciamo, che facciamo… prima le foto e poi le misure di posizione. Come al solito.>
La fidanzatina, vedendo l'altro agente che girava invano con la spina del faro tra le mani, gli indicò la porta della sua casa:
-< E' dentro, sulla destra.>
Intanto, il numero dei curiosi era aumentato, e anche il loro mormorìo; uno di essi chiese a Gargiola: -< Ma com'è morto?>
-< Lo stabilirà l'autopsia. Sù, tornate in casa.> esortò invano.
L'agente Bux aveva scattato alcune foto e chiese al capo:
-< E ora?>
-< E ora, le misure.> e indicò alcuni punti da cui partire; telefonò al medico legale e alla procura. E poi a voce alta:
-< Chi di voi sa qualcosa? o ha sentito qualcosa?> a quelle domande anche i curiosi più resistenti si rintanarono nelle loro case; rimasero solo Pushian e la fidanzatina che disse subito di non sapere e né di aver udito nulla. L'ispettore si rivolse a Pushian:
-< E lei? nome e cognome per favore.> e si preparò a scrivere sul suo taccuino; ma sentito un nome non abituale, chiese:
-< Come? come si scrive?>
Pushian gli indicò la targhetta sulla porta: -< Così.> disse, lasciando che Gargiola copiasse il nome. E poi le chiese:
-< Di dov'è? mi dica quello che sa o che ha sentito.>
-< Sono siriana, nata ad Aleppo; ho un regolare permesso di lavoro con l'università degli studi di Bari.> e gli dette il tempo di scrivere. Proseguì: -< Abito qui con la mia bambina e stavo uscendo per andare al lavoro, ma il mio piede ha urtato il corpo che non avevo visto lì per terra. Ho gridato per lo spavento ed è uscita la signora da casa sua.>
-< Ma del morto, che cosa sa? come si chiama?>
-< Non so molto; abita là, ma non so il suo nome. So che riceve in continuazione delle ragazze, delle donne giovani quasi tutte scure di pelle; una volta mi ha chiesto in Arabo se volevo guadagnare dei soldi, ma io gli dissi che avevo già un lavoro, gli dissi di no. Basta. Non so altro; ora dovrei correre al lavoro.>
-< Ma un minuto; che tipo di donne erano?>
-< Beh, ho detto che erano giovani e… e appariscenti come si dice in Italiano.>
-< Cioè… erano prostitute?> insisteva l'ispettore.
-< Non so, così sembravano.> Pushian guardò l'orologio con apprensione.
-< Sì, signora; per ora può andare. Se avremo ancora bisogno…>
-< Va bene; buon giorno.> e scappò via.
35
Pushian finì la sua giornata di lavoro e, prima di rientrare a casa, ò dal negozio, dal "Halal" dove acquistò carne congelata di cammello, laban, bulgur, legumi e semolino; aveva intenzione di preparare un pranzo speciale per Zoray: < Sempre riso e curry…> si era lamentata la bimba.
Salì le scale: tutto libero e sgombro. Solo sul pianerottolo di casa era rimasta la sagoma del corpo dell'egiziano segnata col gesso e semicancellata dal successivo lavaggio.
-< Zoray, hai aperto la porta a qualcuno?> chiese.
-< No, a nessuno. Ho sentito un gran movimento di gente che parlava dietro la porta…>
-< Sì, non ti preoccupare; c'erano diversi operai per alcune riparazioni.> disse, ritenendo che a volte le bugie sono d'aiuto…
-< Allora, prepariamo il pranzo?> chiese Zoray: -< cos'hai comprato dall'Halal?>
-< Cose buone; ti faccio un pranzo diverso.>
-< Ah, il laban… buono! perché è bianco, mamma?>
-< Perché è un latte inacidito. Come lo yogurt, ti piace?>
-< Sì, ne berrei tanto…> Zoray si leccò le labbra a pensarci.
Nel pomeriggio, nuovamente l'ispettore Gargiola:
-< Signora Meddhjn, vogliamo completare il verbale?>
-< Ancora… le ho detto tutto, no?>
-< Non so; dovevo chiederle se quelle donne di cui mi ha detto… le ha mai sentite parlare? cosa dicevano?>
-< Quando andavano via, ridevano e salutavano; quasi tutte dicevano: ciao caro, grazie. E scendevano le scale.>
-< Ma lei ricorda se si trattenevano a lungo nella casa?>
-< Ma non lo so; pochi minuti… io mica mi mettevo a spiare. Con tutto il da fare che ho…>
-< Lei che le ha sentite parlare, come le sembra che parlassero? in Italiano, in se, in Inglese?>
-< Boh; io quando le sentivo, salutavano soltanto. Le sentivo solo salutare in Arabo.>
-< Ah, solo in Arabo? ma erano di pelle bianca o…>
-< Senta, le ho detto che non spiavo e non mi interessava se a quello piacevano le donne bianche o di altro colore; quando ne ho vista qualcuna era di pelle scura. Credo che fossero africane. Finito?>
-< Beh, sì; ma lei è sempre convinta che fossero prostitute quelle ragazze con cui quell'uomo si intratteneva?>
-< Ispettore, l'aspetto era quello, mi pareva. Poi, non so se si intratteneva con tutte… mi sembravano troppe, ecco!>
-< Ho capito; io rispetto il segreto dell'indagine. Però, per sua tranquillità, le dico solo che forse lei si sbaglia: abbiamo ispezionato l'appartamento di Marthes, si chiamava così, e abbiamo visto un sofisticato baracchino…>
-< Baracchino?…>
-< Sì, un'apparecchiatura per parlare ai camionisti o a chi ha il ricevitore. Quasi tutti i camionisti parlano, specie di notte, tra loro e con un centralino-radio. E, da quello che abbiamo trovato, pensiamo che quello si limitasse solo a parlare con chi l'ascoltava, fossero camionisti o prostitute… sì, predicava in Arabo e in alcuni dialetti africani. Citava l'Islam, il Santo Corano, lo Shari°ah, ma anche la Bibbia e i testi dell'Induismo. Noi pensiamo che parlasse a quelle donne per toglierle dalla strada, e non per servirsene. Abbiamo trovato tanti oggettini e figure sacre.>
-< Lei mi sta dicendo che era un uomo buono e non un peccatore o protettore di prostitute?>
-< Già; questa è l'impressione che abbiamo avuto. Forse quelle ragazze lo ringraziavano per i consigli o per qualche regalino.>
-< Quindi, quando mi chiese se volevo guadagnare qualche soldo, forse voleva che parlassi dal suo centralino!>
-< Forse; chi lo sa!> concluse l'ispettore.
Pushian rimase di stucco! - come è facile sbagliarsi, guardando le cose superficialmente; avrebbe giurato che quelle ragazze fossero prostitute, e così le sembrava ancora che fossero. E lui, quel Marthes, che aveva dato l'impressione di volerla reclutare per avviarla sui marciapiedi… e invece, anziché un protettore di prostitute era un predicatore del Corano che cercava di diffondere il Bene, magari consigliando loro di cambiar genere di vita. - Un grosso errore - pensò fermarsi alle prime apparenze. - e tornò alle proprie occupazioni.
Solo qualche settimana dopo incontrò il coinquilino dall'aria saputa che le disse:
-< Sa, signora: hanno arrestato l'assassino di quell'egiziano. Fu un marocchino ad ucciderlo; sì, era un pappone geloso che Marthes convincesse le sue prostitute a cambiar mestiere.>
Nella sua permanenza a casa Osborni, Pushian non aveva mai sentito parlare del famoso 3 giugno 2010, il giorno tristemente famoso per quell'avvenimento che aveva segnato la vita dei parenti delle due giovani vittime; Né Nastasia le aveva mai accennato qualcosa in proposito. Una data da dimenticare, certo; ma anche una data da ricordare. Incancellabili erano state le conseguenze di quel fattaccio: i due sposini trucidati, le loro famiglie trasferite, il parco creduto portatore di disgrazie, Nilde e Gilberto evitati dalle amicizie e scansati da quelle più superstiziose, Sto' sparito, il sicomoro sacrificato, Leandro e Poldo non più incantati dai racconti fantasiosi del vecchio giardiniere… tutto un seguito di fatti concatenati a dare drammaticità a un semplice atto di terrorismo ordito da un servizio segreto straniero. Per non citare la morte dei due siriani arrestati per il rapimento di Filippo, il suicidio di Rambad, il grande rischio corso dallo stesso Filippo, e la prigionìa di Nastasia ad Aleppo. Già: "una tira l'altra" e poi l'odissea di Pushian dal rientro in Siria al ritorno in Italia… e così via, sperando che la jella fosse finita.
Zoray quando viveva a Roma, aveva qualche amica con cui parlare e giocare; Rambad l'aveva iscritta alla prima elementare dove la bambina avrebbe imparato un po' d'Italiano, visto che in casa lui e Pushian parlavano solo in Arabo, e avrebbe familiarizzato con le sue coetanee. Lì, infatti, la piccola aveva imparato anche a leggere varie parole, i numeri e iniziato a fare i conti; nelle vicinanze di casa non vi era alcuna scuola per stranieri e, per comodità, frequentava quella scuola elementare. Vi andava volentieri per emulare le altre bambine e adeguarsi al loro linguaggio e ai loro giochi. Aveva dovuto sospendere la frequentazione della scuola, morto il padre, per il forzato rimpatrio in Siria. Ad Aleppo, l'affannarsi di Pushian a trovare qualche lavoro aveva rimandato l'iscrizione della bimba nelle scuole locali, e menomale che la nonna, la madre di Pushian, uccisa
senza motivo da un ubriaco, aveva lasciato loro la vecchia casa presso la biblioteca; Pushian, vedova e sola, aveva preferito non farle frequentare alcuna scuola, impressionata dall'apprendere le tante brutte storie che imperversavano in quella città. Incidenti stradali, molestie di ubriachi, rapimenti di bambini, aggressioni e rapine… tutto moltiplicato rispetto a dieci anni prima, quando lei era partita con Rambad; e anche circolavano vari gruppi di facinorosi che inneggiavano alla rivoluzione contro il regime di governo che, a loro dire, li opprimeva privandoli di quelle libertà che trapelavano da resoconti televisivi e giornalistici sulle condizioni di vita in altri paesi.
Pushian vagheggiava in cuor suo di poter presto ritornare in Italia o recarsi in altro paese dove la vita scorreva più tranquilla, e intanto cercava di dare alla figliola quel po' di istruzione che il suo tempo e le sue cognizioni le permettevano.
Zoray era per lei figlia, confidente e amica: con lei sola parlava, le diceva le sue cose e i suoi pensieri. E la bimba assorbiva quelle confidenze con pazienza, per poi riversare alla mamma le proprie innocenze, i propri giochi, i suoi pensieri, le sua fantasie e i suoi sogni. Ascoltavano a vicenda l'una le ansie dell'altra; e mentre Pushian era in grado di filtrare le sue, porgendole a Zoray calibrate e plausibili, questa esprimeva le proprie così come la sua spontanea ingenuità le presentava; e raccontava alla mamma i suoi sogni, le paure che la spaventavano la notte… e Pushian le ascoltava e cercava di dar loro un significato, un presagio.
Alcune volte era accaduto che l'interpretazione data al sogno della bambina aveva avuto un certo riscontro con alcuni avvenimenti successi qualche giorno dopo; poche volte Zoray aveva avuto e raccontato una specie di premonizione: aveva sognato tre anni prima uno di quei funerali arabi. La salma portata su una barella a spalla di parenti e amici: e qualche giorno dopo recandosi al carcere per far visita a Rambad, avevano appreso del suo suicidio. Il più delle volte, però, Pushian non dava peso ai sogni di Zoray attribuendoli a indigestioni o a turbe psicologiche eggere, caratteristiche dell'età della bambina. Altre volte la
bimba si era rifugiata, assai spaventata, nel letto della mamma, e il sogno raccontato si era verificato pochi giorni dopo. Suggestione? credulità? forse sì…
Lo stesso sogno, tre notti di fila, aveva costretto la piccola Zoray a correre terrorizzata nel letto della mamma: il sogno iniziava mostrando un calendario con un dito che indicava un giorno 3 di giovedì; poi appariva uno scheletro vestito all'europea tutto in nero che eggiava col bastone sotto la luna, piegato a metà; si fermava e guardava a lungo con le occhiaie vuote la recinzione di una villa, poi agitava minaccioso il bastone proseguendo nel suo cammino.
Effetto delle cenette abbondanti? forse sì…
Ebbene, giorni dopo, chiacchierando al telefono con Nastasia, questa disse a Pushian che il giovedì precedente, di notte Filippo l'aveva riccompagnata a casa dopo una festicciola fra amici e lei, nel richiudere il cancello alle sue spalle, aveva visto un uomo magrissimo e tutto nero che camminava piegato col suo bastone davanti alla recinzione; s'era fermato e aveva agitato in alto il bastone per poi continuare a camminare. Nastasia le aveva detto che, lì per lì, anche per il ticchettìo del bastone sul marciapiedi, le era parso di aver riconosciuto il loro vecchio giardiniere che era sparito tre anni prima.
L'agitare il bastone era un gesto di minaccia? oppure era un cenno di saluto? si trattava di una semplice coincidenza col sogno di Zoray? forse sì…
Nastasia disse ai genitori sia del sogno raccontatole da Pushian che la sensazione propria, il giovdì, di aver creduto di riconoscere in quella sagoma nera il vecchio Sto' che camminava col ritmico battere del suo bastone sul pavimento.
-< E' stato giovedì notte, vero?> chiese Gilberto.
-< Sì, c'era Filippo mentre richiudevo il cancello; ma lui non ha visto nessuno.>
-< Anche quel fattaccio avvenne di giovedì notte!> osservò Nilde, con un brivido insolito in quella stagione.
-< Ma che vai a collegare… piuttosto, chiedi a Pasqua cosa si mangia?> Gilberto volle opportunamente evitare che si continuasse su quell'argomento; gli sembrò ridicolo il riferimento pur se in cuor suo aveva collegato per primo i due avvenimenti. -< E tu, Nastasia, non bevesti qualche bicchiere di troppo?> chiese alla figlia, prendendola in giro. -< Nient'affatto, papà. Non bevvi proprio nulla.> rispose piccata la ragazza.
- E allora, il sogno della bimba, ciò che Nastasia dice di aver visto, la coincidenza dei giovedì…- pensò Gilberto - è tutta una baggianata da ridere; stupidaggini, fesserie. Certo… però, come dicono a Napoli: "non è vero, ma ci credo!"
Gilberto rimurginò per vari giorni: il giovedì successivo però:
-< Pasqua, stasera ho deciso di portare la signora a mangiare una pizza. Sì, porto mia moglie in pizzeria, quindi… niente cena.>
-< Neanche per noi?> insorse Leandro.
-< Per voi sì; Pasqua vi preparerà un bel brodino.>
-< Push, che schifo. Un brodino…> si ribellò Poldo.
-< Papà scherza; ho visto che Pasqua preparava l'arrosto. Vi va?> addolcì Nilde, ammiccando a Nastasia.
Poi chiese al marito:
-< Come ti viene… che festa è?>
-< Nessuna festa; è solo un mio recondito desiderio. Non posso, forse?>
-< E i desiderii nostri? mai…> osservò Poldo, rassegnato.
36
La pizzeria era affollata; malgrado la stringente crisi economica, le pressanti lamentele da ogni parte e le prossime scadenze fiscali, la gente era spinta da ogni pulpito ad aumentare i consumi per consentire il rilancio dell'economia nazionale, oltre che europea.
Prevaleva, comunque, un malessere serpeggiante, lo stato di sfiducia nei poteri dello stato, nelle banche, nella magistratura; quello più grande, però, era lo stato di fiducia nel futuro che mancava. L'assenza di garanzie nel posto di lavoro e nella stabilità delle imposizioni fiscali induceva i più a dilapidare ogni minima risorsa o risparmio, ad approfittare di ogni occasione per godere, trarre vantaggio di quelle piccole cose ancora consentite. Sembrava che tutti volessero dar fondo ad ogni possibilità, tanta era la convinzione di essere giunti all'ultima spiaggia. Errore madornale che interrompeva ogni collegamento col domani, tagliava ogni ponticello con l'avvenire, con un futuro che ci sarebbe comunque stato; amenoché non fosse finito il mondo, come gli sconsiderati mass-media avevano impunemente strombazzato sei mesi prima agganciandosi a una improbabile profezia annunciata dai cattivi profeti Maja ben cinquemila anni fa.
Con diverso spirito, Nilde e Gilberto si erano recati in pizzeria; il loro scopo ufficiale era quello di vedere gente, di interrompere la sequela abitudinaria delle cene in casa. Ma il vero scopo di Gilberto, e Nilde l'aveva intuito, era quello di trattenersi fuori casa fino a tardi, per poi verificare al rientro la eventuale presenza anomala di persone, entità, impressioni e sensazioni che erano state sognate dalla piccola Zoray e constatate da Nastasia. una settimana prima.
Con tale intento avevano lasciato scorrere la mezzanotte e si erano intrattenuti ancora nel locale, perché rivivesse, oltre che il giovedì, anche l'ora del eggio di quell'essere che era stato raffigurato da Nastasia come Sto'.
Gilberto, pur deridendosi per quella prova che aveva ritenuto imporre a se stesso, credeva nelle affermazioni di Nastasia: una pura sensazione? un'allucinazione? lui voleva sfatarla, qualsiasi cosa fosse; e riconquistare la tranquillità psicologica per sé e per i suoi cari.
Tornarono a casa all'ora in cui era rientrata Nastasia il giovedì precedente e Gilberto, sistemata l'auto nel viale, ritornò sui suoi i per richiudere il cancello rallentando volutamente l'operazione così come aveva fatto la figlia che s'era fermata qualche secondo a parlare con Filippo attraverso il cancello. Non vide nulla e nessuno; quasi deluso, tornò indietro verso la macchina per aprire la portiera e far uscire Nilde… al cui sguardo interrogativo sollevò le spalle come per dire "niente". Ecco, però, un battere; prima, indistinto e in lontananza, ma gradatamente più nitido e marcato, come se si avvicinasse. Gilberto si raggelò sorpreso, lasciò la portiera spalancata e, come un automa, ripercorse il viale fino al cancello facendosi raggiungere da Nilde. E lì, vide… vide l'uomo in nero, assai curvo che avanzava col bastone, sul marciapiede di fronte, al dilà della strada; quello s'era fermato un attimo a guardare il cancello. Gilberto si scoprì ad emettere un grido inarticolato verso l'uomo: -Sto'- avrebbe voluto chiamare… ma il fiotto di voce che gli uscì, disse poi Nilde, era rauco e incomprensibile. A quel richiamo, l'uomo aveva alzato il bastone agitandolo e poi aveva ripreso a ticchettare, allontanandosi lentamente e affievolendo il battere con lui.
-< Hai… hai visto?> chiese tremante Gilberto alla moglie.
-< No! cosa dovevo vedere?>
-< Ma… quello; Sto'. Era lui…> Gilberto era stralunato.
-< Va, va; tu e la tua immaginazione!> lo zittì Nilde.
-< Come… non l'hai visto? quando ha agitato il bastone?>
-< Ma che dici… la pizza t'è rimasta sullo stomaco; dai, andiamo a dormire ché è tardi.> Nilde non aveva visto né sentito alcunché.
Il povero Gilberto bevve docilmente il bicarbonato, ingoiò anche la pillola sedativa che Nilde gli ingiunse di prendere… ma non riuscì ad addormentarsi, e con lui neanche la moglie, scossa e preoccupata dallo scalciare irrefrenabile del marito: provato e allucinato, continuava a ripetere che - sì, era lui, era proprio lui, Sto' col suo bastone… -<
Ma lei non aveva visto e nemmeno udito nulla! cosa stava succedendo? stava impazzendo anche Gilberto con quella fandonia? le si affacciò un'idea:
-< Senti, Gil,> gli disse il giorno dopo: -< tu insisti nell'affermare di aver visto il vecchio Sto' e di aver udito il suo o scandito dal bastone. Ma io non ho visto niente e non ho sentito altrettanto; anche Nastasia è convinta di aver visto quell'uomo e sentito battere il bastone, però Filippo nega di aver visto o sentito qualcosa. Io, pur essendo certa della vostra buonafede, mi sento scettica ad accettare le vostre affermazioni. Vorrei tanto credervi; perciò ti propongo di ripetere l'esperienza della pizza, per giovedì prossimo, che guarda un po', è il primo giovedì del mese di giugno come lo fu quel triste giorno del 2010. Oltre al giorno fatidico avremo anche il mese in cui accadde l'omicidio e la sparizione del giardiniere; invertiremo i nostri ruoli cioè, sarò io attrice e tu sarai spettatore. Se vedrò e sentirò anch'io, saremo in tre e dovremo credere… all'incredibile, altrimenti non ne parleremo più. D'accordo?> fu la condizione posta da Nilde.
-< Perfettamente! cara.> assentì Gilberto.
I giorni arono veloci ed ecco il primo giovedì di giugno. Si ripetè il solito rituale, solo che alla chiusura del cancello dopo aver parcheggiato l'auto, provvide Nilde seguita da Gilberto. Data l'ora, il silenzio incombeva sulla casa, sul parco e sulla strada; fu solo lo stridore delle cerniere del cancello a rispondere al battito d'ali di una civetta che, disturbata dai fari dell'auto, aveva cambiato il ramo d'appoggio trasferendosi da un leccio a un abete. Sulle prime, Nilde non percepì nulla; fu solo dopo qualche secondo che iniziò a sentire un sordo battere in lontananza; e lentamente quel rumore diventava più intenso e nitido a scandire il lento avanzare di un uomo che strascicava i piedi picchiando ritmicamente col bastone sul pavimento. La scena raccontata da Nastasia e da Gilberto si presentò agli occhi esterrefatti di Nilde; un tremito di paura e di apprensione le percorse la spalla… l'ombra nera le apparve al lato opposto della strada, ma aveva contorni evanescenti e si muoveva sollevata dal marciapiedi, sospesa e sfumata. Il ritmo del bastone, però, duro e preciso, divenne sempre più assordante per poi lentamente scemare dopo che quell'entità aveva agitato la sua arma e si allontanava a mezz'aria.
Nilde si accostò al marito per farsi cingere le spalle: aveva visto e sentito… e lo spavento era tanto!
-< E tu? l'hai visto? sembrava che volasse.> chiese a Gil.
-< No. Non ho visto nulla e né sentito nulla.> rispose Gil.
-< Eppure… era lì che scivolava nell'aria; e quel rumore… toc, toc, toc. così forte. Era il suo o; il o di Sto'.>
Entrarono in casa; senza una parola, si rifugiarono nel letto a guardare il soffitto con gli occhi sbarrati nel buio e nel silenzio della notte. A sentire il grido lugubre della civetta che gufava il suo presagio.
E così si ritrovarono il mattino, Nilde con lo sguardo incredulo e spaventato, Gilberto muto. Ma poi, con l'espressione furbetta: -< Che ti dicevo?> azzardò lui; senza aver risposta.
Sia Nastasia che Gilberto e anche Nilde avevano, con minime sfumature di differenza, avuto la medesima visione tutti alla stessa ora e tutti di giovedì; tutti avevano assistito alla stessa scena accaduta in sogno alla piccola Zoray alcuni giovedì prima, e non solo: la scena era apparsa sempre a una coppia di cui solamente una persona aveva visto e sentito, mentre l'altra non aveva percepito alcunché. Nastasia, certo presa dallo studio e dal rapporto con Filippo, aveva dato un certo peso alla faccenda; Gilberto, attribuendosi il compito di capofamiglia, pur abbastanza impressionato, aveva creduto di non alimentare il panico tra i suoi. Chi aveva invece una enorme tremarella era proprio Nilde; vuoi per una sensibilità accentuata oppure per la mancanza di altri diversivi importanti, la donna ne era rimasta profondamente scossa. E di tale fenomeno parlò qualche giorno dopo con Gilda, la cugina bigotta e assidua frequentatrice della propria parrocchia; questa le suggerì di far benedire la casa, il parco e anche il tratto di strada prospiciente, nonché di sottoporsi al sacramento della confessione. Inoltre, prese l'iniziativa di segnalare la cosa a un sacerdote esorcista che avrebbe liberato casa, parco e strada dalle eventuali presenze diaboliche.
Nilde, con o senza il consenso di Gilberto, si dichiarò favorevole alle procedure consigliate e il prete esorcista si presentò con la buona cugina Gilda due settimane più tardi in una giornata grigia e, munito di stola, messale e aspersorio, recitò le sacre formule per ricacciare negli inferi tutte le eventuali entità importune. Furono recitate lunghe preghiere e litanìe secondo il rito codificato da Papa Leone XIII integrate dalle formule del famoso padre Amorth; a sancire la liberazione di quei luoghi dalle presenze indesiderate, si accompagnò al padre
esorcista anche il sole che illuminò a luce piena lo svolgersi della cerimonia inviando all'improvviso il suoi caldi raggi attraverso un ampio spiraglio tra la cortina di nuvole.
Vennero così rasserenati gli Osborni e gli immobili sottoposti all'esorcismo rimasero depurati dalle preesistenti entità nocive; ma permàsero i vari interrogativi, cioè:
- il collegamento tra il sogno di Zoray e la scena osservata davanti alla recinzione del parco Osborni;
- l'indicazione del "3 giovedì" sognata dalla bimba; si riferiva forse alle tre persone e alle tre volte in cui la scena era stata osservata?
- la comune attribuzione della figura vista, al vecchio giardiniere Sto';
- l'agitare in alto del bastone era di minaccia o di saluto?;
- la scena s'era ripetuta nello stesso giorno della settimana e alla stessa ora della sparizione di Sto';
- quale motivo aveva il fatto che la scena si era presentata sempre a una coppia, ma a percepirla era stata solo una persona per volta;
- e le piccole differenze della stessa scena? l'uomo visto da Nastasia camminava
sul marciapiedi limitrofo al parco, quello visto da Gilberto camminava sull'altro marciapiede, mentre l'uomo visto da Nilde scivolava a mezz'aria lasciando però sentire i colpi del bastone sul pavimento.
Quel sogno a Zoray non si ripetè più; e anche agli Osborni non capitò più di assistere alla stessa scena.
La cugina Gilda fornì a Nilde l'unica risposta dettata dalla sua fede: -< L'esorcismo è riuscito a respingere i satanassi all'inferno; e quelli s'erano portati appresso anche gli interrogativi.> una risposta ingenua che però non dava spiegazioni plausibili per le logiche umane, che avrebbero continuato a scervellarsi.
Alla fine di giugno, terminò anche il tempo di lavoro di Pushian; e la donna tornò a preoccuparsi del futuro suo e di Zoray:
-< E ora, cosa sarà di me e di Zoray? il grande Allah guarda da un'altra parte… e mi farà tornare in Siria?> chiese a Nastasia.
-< Tranquilla, vedrai che tornerà a guardare verso di te e risponderà alle tue preghiere. Chiederò al professor Cerulli di sollecitare Murmurro a richiedere che ti riassumino per un altro anno. O forse… è meglio che lo chieda tu. Dai, domani vieni al gruppo di ricerca e glielo chiediamo insieme.> la incoraggiò Nastasia.
-< Va bene. Se tu dici che è meglio così… a domani.>
37
-< Buon giorno, professor Cerulli; le ho portato la mia amica. E' un'anima in pena.> esordì Nastasia.
-< Ma no… e perché? cos'è successo alla cara Pushian?>
-< E' che il professor Murmurro ha chiuso il corso di lezioni e lei ha paura di tornare in Siria, se non le rinnovano il contratto.>
-< Tornare in Siria? mai. Come farebbe Murmurro senza di lei? mi ha detto che è molto soddisfatto; di cosa si preoccupa questa signora?> disse Cerulli, prendendo la mano della donna.
-< Se resto senza lavoro…> cominciò Pushian.
-< Non c'è da preoccuparsi; chiamerò Murmurro, ché si dia da fare! contenta?> e le fece una carezza.
-< Che ti dicevo? il professore si interesserà a farti avere un nuovo contratto.> intervenne Nastasia.
-< Grazie; spero che me lo consegnino presto!> disse Pushian, con tono di
preghiera.
-< Ma certo; non domani, ma in tempo utile!> concluse il professor Cerulli, guardando l'orologio e mostrando fretta.
Tornata a casa, Pushian notò un certo movimento nell'appartamento dove abitava l'egiziano Marthes: gli operai di una ditta di traslochi stavano sgombrando la casa. Il proprietario, che doveva avere potenti santi in paradiso, era riuscito in brevissimo tempo a rientrare in possesso dell'immobile facendo trasferire le mobilia del defunto in un deposito comunale; avrebbe così potuto rifittare subito l'appartamento, insistentemente richiesto da molti studenti per la vicinanza ai vari dipartimenti universitari.
Già nello stesso pomeriggio iniziò la processione dei giovani interessati alla locazione; e due giorni dopo, nuovi arredi avevano riempito l'appartamento e due freschissime studentesse si presentarono come nuove inquiline sia a Pushian che ai fidanzatini.
Restava solo l'amara considerazione che ogni traccia o ricordo di Marthes era scomparso. Come con un colpo di spugna era stato cancellato il vissuto di un uomo, buono o cattivo che fosse, ma pur sempre un rappresentante dell'umanità: scaduto il suo tempo vitale, nessuno ne avrebbe più parlato, nessuno l'avrebbe più ricordato. Era finito nell'immenso dimenticatoio delle inutilità! mani febbrili e interessate avevano frettolosamente portato via gli oggetti che lui aveva usato, avevano rinnovato l'aria che lui aveva respirato, avevano deterso quello che lui aveva toccato, avevano sostituito quello che lui era stato. Marthes era tornato ad essere "il nulla".
Intanto, il gruppo di ricerca aveva rallentato la propria attività: il periodo di stasi delle lezioni aveva convinto gli aderenti a dedicarsi a ricostituire il proprio fisico
e il proprio spirito, a godersi cioè, qualche mese di vacanza. Nastasia, pur non dimenticando i vantaggi che avrebbe conseguito se fosse riuscita a proseguire la ricerca sul rotolo, pareva adeguarsi al lento progresso dell'intero gruppo, confidando in un exploit all'inizio del nuovo anno scolastico.
Il professor Cerulli aveva rarefatto le sue visite al gruppo, pur continuando a blandire Pushian con speranze e promesse; e lei, come in un gioco, lo manteneva tiepido con qualche allusione o ammiccamento, forte dell'esperienza maturata nell'eterno tira e molla tra il maschio e la femmina. In cuor suo, era sempre viva la speranza che il docente potesse risolvere in via definitiva i problemi esistenziali di lei e di Zoray, speranza che alimentava notando in Cerulli scoppiettanti scintille di desiderio. E lei aspettava che si tramutassero presto in vivido incendio, pur convinta che sarebbe occorso parecchio tempo perché il professore si decidesse a farle una proposta concreta.
L'uguale tecnica, del copri e scopri, del dare e non dare era usata da Nastasia; lei, con innato calcolo e astuzia, lasciava che le avide mani di Filippo palpeggiassero il suo corpo in ogniddove, ma lo stoppava di botto allorché, cotto a puntino, lui cercava il colpo vincente, la conclusione dell'atto universale del perfetto connùbio tra l'uomo e la donna. E altrettanto intento, quasi fosse un allenamento sportivo, metteva nel mostrare il più o il meno del proprio corpo al voglioso e concupisciente sguardo di Maso, non rendendosi conto che il giardiniere poteva non ubbidire ai comandi di blocco che lei era solita impartire, come le riusciva con Filippo: la diversa educazione, il differente sentimento devozionale, il non uguale impeto nel dominare le proprie ioni, poteva riservarle amare sorprese.
L'estate sfolgorava con la sua luce, coi suoi colori e con gli odori propri: i prepotenti raggi del sole scaldavano ogni cosa e dove non riuscivano a penetrare vi soffiavano il loro alito cocente diffondendo un'ansimante calura e ravvivando colori e ioni; e le fragranze proprie delle campagne aumentavano il tripudio di sensazioni col profumo dei fiori, con l'aroma delle erbe e perfino con l'odore del fumo che il seccume della vegetazione sprigionava incendiandosi in piena
autonomia.
Anche nel parco Osborni l'estate la faceva da padrona; le fitte chiome degli alberi tentavano però di impedire al sole di raggiungere i tronchi e il terreno così da lasciar loro una moderata frescura. E ne godevano anche Nilde e Gilberto, Nastasia e i bambini che in quella penombra stemperavano ciò che di tossico avevano accumulato nell'anno precedente. Il parco li accoglieva volentieri e li rigenerava, quasi a scusarsi per l'involontario massacro di cui era stato testimone e vittima tre anni prima; già, anche vittima, perché privato di un suo valido e antico componente: il sicomoro che era stato abbattuto per aiutare gli Osborni a dimenticare, ma aveva lasciato al suo posto uno spazio vuoto che aiutava però il parco a ricordare.
Dimenticare… ricordare… è il continuo alternare delle volontà dell'uomo; il sottoporre la verità a flettersi a seconda dei bisogni di ciascuno. Ma l'accaduto non era modificabile: era la verità. E il dimenticare o il ricordare sono solo finzioni: tentativi dell'uomo a sottomettere la verità ai propri voleri.
La Natura non dimentica; lo sapeva bene Gilberto che faceva germinare i suoi semi secondo la loro atavica memoria. Al contrario dell'amico Coccardini che, forzando il ritmo naturale, ne creava un altro artificiale. Si trattava, però, di un'amnesìa temporanea che sarebbe scomparsa appena i semi fossero stati lasciati liberi di germinare a loro piacimento e senza artifici.
Nilde aveva un imperativo personale: custodire, difendere e incrementare il rapporto matrimoniale con Gilberto. Il riposo all'ombra nel parco la induceva a esercitare la memoria: a dimenticare… a ricordare… come tutti, cercava di dimenticare alcune piccole mancanze e trascuratezze accumulate verso il marito, mentre cercava di ricordare le dedizioni, gli episodi e le iniziative che Gilberto aveva apprezzato; e nel vagare della sua mente si sforzava di memorizzare qualche fatto accessorio che era o sarebbe stato gradito al suo uomo, legandolo più strettamente a lei.
Ecco ricordarsi di una confidenza dell'amica Teodora, una confidenza e consiglio che aveva ritenuto assolutamente superflui e oltremodo impertinenti, ma che ora si soffermava a considerare come ulteriore possibilità di incremento degli amplessi suoi col marito. Ricordò l'esperienza alla marmellata suggerita da Dora: l'aveva scartata subito, ma l'aveva poi riconsiderata e applicata con immenso soddisfacimento proprio e del suo Gilberto. Successivamente, l'amica porcellona le aveva consigliato una variante che Dora e Gaspare avevano sperimentato con risultati straordinari: lei aveva rifiutato di prenderla in considerazione, ma visti gli eccellenti effetti dell'uso della marmellata - disse a se stessa perché non provare anche la variazione proposta dall'mica, che di quelle faccende era vera intenditrice?
Dal pensare al fare, Nilde ci mise molto poco: aggiunse alla nota della spesa per Felix anche gli ingredienti per le nuove esperienze e la sera dopo, complice il gran caldo, prelevò dal frigorifero il barattolo di panna fresca e, seduta a letto, ne mangiò un bel po' svuotandone il residuo sul suo corpo nudo. A contatto della pelle calda la panna perse consistenza e scivolò dal petto verso il basso procurandole la benefica sensazione di frescura. I suoi beati sospiri furono l'esca per la bramosìa di Gilberto che si avventò su quel nuovo dessert cibandosene ghiottamente; non ne lasciò nemmeno una goccia rovistando profondamente in ogni piega; ancora avido e sempre più eccitato dai gemiti della donna, accolse come invito un leggero movimento d'anca di Nilde e l'aiutò decisamente a girarsi boccon. Raccolse infine le ultime stille scivolate sul retro gustando con grande lussuria il loro sapore e in preda a furioso parossismo si avvinghiò a quel corpo, così disponibile e invitante, liberandosi di ogni ritegno.
Nilde, estasiata da tanto impeto, lasciò che lui fe scempio di lei. Aveva già imparato a volare alto nelle precedenti esperienze e, ormai senza più inibizioni, volò sempre più in alto. E Gilberto l'aiutò e la sospinse a librarsi ancora, per superare anche il cielo.
caro lettore, la morale è alla pagina seguente.
Elsa, oltre il mio cielo!
morale
questo libro ha una morale? oppure, la suaa morale è immorale? ho pensato a lungo soffermandomi sul motto di Machiavelli: il fine giustifica il mezzo ed ecco qua la mia morale: il fine di una moglie? conservarsi il marito e irrobustire il matrimonio il mezzo per conseguirlo? ecco il libro, basta leggerlo! ogni espediente può essere la mossa vincente. Ho obiettato: ma siamo oltre il senso morale! e mi sono presto risposto: forse sì, ma l'unione
che si rinsalda, è al primo posto. morale… immorale… son solo due parole e la scelta dell'una sull'altra potrebbe lenire il dolore di tutte le mogli, che forse rimarrebbero sole!
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