Tommaso Bucciarelli
Il fuoco dell’agio
Il fuoco dell’agio
di Tommaso Bucciarelli
Ottobre 2014
ISBN 978605032367
Autopubblicato con Narcissus.me
www.narcissus.me
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Versione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
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UUID: 9786050323672
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Capitolo 1
L’arrivo all’Ordine
Perfectville viveva la sua giornata più bella dell’anno. Faceva caldo, ma non troppo. Il cielo era sereno, e una leggera brezza accarezzava la cittadina come il soffio di una mamma sul viso del suo neonato. La mappatura regolare delle strade stranì l’ambasciatore che veniva dal sud: “Non c’è una maledetta curva in questo postaccio!”, bofonchiò l’omone grattandosi la lunga barba grigia mentre teneva la testa fuori dalla carrozza in movimento trainata da cavalli. Perfectville si presentava al visitatore come era suo solito apparire: era la capitale dello Stato dell’Ordine, ed era ubicata esattamente al centro del Paese. In tempi remoti erano stati fatti calcoli di una esasperante precisione, atti a determinare da quale punto si dovesse partire per costruire la città.
La Storia dell’Ordine
La Storia narra di due gemelli che percorsero i confini dello Stato a piedi, partendo dal sud ed in direzioni opposte, per poi rincontrarsi al nord. (La storia del luogo non approfondisce come tali confini fossero stati definiti. Essi v’erano già prima della nascita della capitale. E questo è un punto sul quale non torneremo). I due gemelli camminarono per mesi senza mai fermarsi. I i erano il motivo per il quale erano partiti: dovevano misurare lo Stato, quindi ogni mille i
lasciavano un segno di modo che, nel caso avessero perso il conto o si fossero dovuti allontanare per urgenze di qualsiasi tipo, avessero un punto dal quale ripartire. Instancabili, i due mangiavano e bevevano camminando. La gente che incontravano era per lo più cordiale e socievole. Loro no. Si nutrivano di quel che la terra o gli abitanti dei paesini che attraversavano gli offrivano. Naturalmente non ringraziavano mai. È naturale per chi conosce le usanze dello Stato dell’Ordine, dove dire “grazie” è una perdita di tempo. Le cose si fanno perché si deve, nell’Ordine. Questo però non era ancora lo stato delle cose, in quello Stato, all’ordine dei tempi. Ho forse creato confusione? Sta di fatto che allora ringraziare era ancora cosa gradita. Furono loro, i gemelli, ad avviare il processo che estinse il “grazie”. Si chiamavano Precisino e Freddino, ed erano ovviamente figli della stessa madre, ma di padre incerto. Il loro cognome fu preso come sostantivo per l’unità di misura nazionale. Al compimento della missione infatti, i due sommarono i i dell’uno con quelli dell’altro, stabilendo che lo Stato dell’Ordine avesse un perimetro di-non-so-quanti Giusto-i. In poco tempo, ed in maniera alquanto misteriosa, i fratelli Giusto raggiunsero il potere. Con caratteristiche diverse, ma figlie dello stesso ideale, governarono a turno lo Stato. Chi governava era chiamato Primer, l’altro era chiamato Opposter, ma questa era una legge esistente da prima della loro elezione. Venivano eletti in maniera democratica: si poteva votare solo per uno o per l’altro. Ogni due anni si tenevano le elezioni e la propaganda dell’uno e dell’altro durava due anni. Su questa legge s’appoggiarono tramite il loro genitore, che fu Primer. La gente credeva a quello che i due promettevano, anche se non riuscivano quasi mai a mantenere gli impegni. Questo perché si dovevano continuamente difendere dalle calunnie che l’uno subiva dall’altro e che l’altro subiva dall’uno. Ma il popolo comprendeva la difficoltà dei governanti e continuava a sperare che i problemi della fame, del lavoro, della sanità e dell’istruzione venissero risolti nella legislatura seguente. Precisino e Freddino in realtà non si odiavano, anche se erano perennemente in
competizione. In fin dei conti erano due gemelli che si spartivano un giochino. La pensavano alla stessa maniera su tutto, anche se fingevano di essere completamente diversi. Riuscivano a proporre lo stesso provvedimento mascherandolo. Ben presto lo Stato si divise in due nette correnti politiche differenti: quella del Qua e quella del Là. Precisino era di Qua e Freddino di Là. Una delle prime riforme portate a compimento fu l’abrogazione delle curve. Precisino la presentò alla Stanza del Bisbiglio nei primi tempi della sua democratica reggenza come Amministratore del Bisbiglio. “Se si curva ci si piega, se ci si piega si cade”. Questo lo slogan. L’Opposter fu chiaro: “È assurdo quel che dice il Primer, non vuole che ci si pieghi per non cadere, quando sappiamo tutti che il pericolo del piegarsi è quello dello spezzarsi, che è una conseguenza ovvia. Io dico no alle curve”. Le curve vennero così abolite nel mandato successivo, quello di Freddino. Un lavoro estenuante per i poveri addetti alla manutenzione delle strade, che dovettero distruggere tutte le curve sostituendole con angoli più o meno ottusi. Durante i primi mesi dell’era senza curve, gli incidenti furono innumerevoli: le carrozze uscivano fuori strada molto spesso e le morti di giovani alla guida di queste vetture erano tantissime. Fu il primo, vero, immenso successo di Freddino: “Lo avevo detto, le curve erano da abolire. Rifare le strade ha portato lavoro e occupazione. Si è guadagnato anche in educazione stradale: ora tutti devono andare più lentamente, in modo da non mettere a rischio la propria vita. Alle volte è nella difficoltà che si trova la giusta via”. Il popolo fu entusiasta: più lavoro e più sicurezza con una sola mossa. La città di Perfectville venne quindi costruita seguendo questa concezione. Guardandola dall’alto era un’interminabile incastro di quadrati e rettangoli, con qualche raro triangolo sparso. I Giusto promulgarono in seguito anche altre leggi; tra le più importanti c’era quella dell’istruzione mirata: i figli dovevano crescere studiando il lavoro del padre e, obbligatoriamente, dovevano scegliere se seguire le orme del genitore ereditandone il mestiere o, ove ce ne fosse stato bisogno e possibilità, fare domanda per un posto da impiegato statale.
Si presentò però il problema delle donne, inadatte a determinati tipi di lavoro del genitore. Troppo esili, con un ciclo mensile che le debilitava per alcuni giorni o, quando questo spariva, con la noia della maternità. “Le donne non lavoreranno mai più. Sarà l’uomo, con il sudore della fronte a mantenere la razza femminina, portando a casa i soldi necessari affinché lei possa adempiere ai doveri di una buona moglie o figlia”, sentenziò Freddino, in un momento in cui era lui il Primer. La replica di Precisino non tardò: “Le donne hanno il diritto al lavoro, come chiunque altro. Propongo che vengano retribuite per legge dai loro mariti, a compensare il lavoro che faranno in casa. Saranno così realizzate e utili alla società, senza dover imparare altri mestieri se non quelli casalinghi”. Fu così che durante il mandato di Precisino le donne smisero di lavorare al di fuori della casa. La storia ha naturalmente dei punti che si mescolano alla leggenda; fatti improbabili che sono divenuti parte di un qualcosa che è più serio. È infatti impensabile per chi conosce l’Ordine, credere che in questo posto non sia mai stata utilizzata la parola “grazie”.
La carrozza con il delegato a bordo sobbalzò, facendo imprecare l’omone grassoccio. Poi si ricompose assumendo nuovamente l’aria bonaccia che lo contraddistingueva. “Buon uomo, cerchi di non prender buche, per gentilezza. La panca sulla quale mi siedo è dura alquanto e non ci siamo mai fermati. Mai, per tutto il lungo viaggio!”. Il cocchiere, che era partito il giorno prima da una cittadina al confine con lo Stato dell’ambasciatore, e che quindi era dell’Ordine, non si voltò quando rispose con sufficienza: “A Perfectville non ci sono buche, straniero”. Poi trangugiò un qualche liquido da una bottiglietta grigia. L’omone cacciò nuovamente la testa fuori dal finestrino e guardò curioso indietro cercando cosa avesse causato lo scossone. Notò un bastone molto grande in terra. Era sicuramente stato quello! Poi vide i cespugli del giardino di
una delle case lungo la strada muoversi. Guardò nuovamente il bastone e rimase stupito quando vide un uomo in divisa che lo raccoglieva per metterlo su un calesse. La strada era nuovamente pulita. “Non si può dire che non si diano da fare”, pensò, sussurrandolo appena mentre si lisciava la barba e abbozzava un sorriso. Voltarono a destra ed egli tornò a curiosare. Le case che vedeva in città erano tutte identiche. Poche tonalità differenziavano le mura color crema l’una dall’altra. Un giardino circondava le villette che avevano tutte i tetti neri; c’era una piccola stalla in tutti i giardini grazie alla quale, verificando la presenza del cavallo, si poteva intuire se il padrone della villa fosse o no in casa. Infatti solo gli uomini potevano cavalcare, alle donne non era concesso; quindi, per uscire a fare spese si dovevano prenotare il giorno prima dal capo-facchino di zona, che ava lentamente e continuamente tutto il giorno e tutti i giorni nel quartiere di sua competenza, segnando i servizi che le donne da sole non potevano fare per il giorno successivo, e per le quali lo Stato aveva messo a disposizione giustappunto dei facchini. I facchini erano una parte fondamentale dello Stato, in quanto lavoravano per il Ministero dei Multiservizi ed effettuavano tutti i tipi di lavoro utili per la comunità: pulivano le strade, regolavano il traffico, spegnevano gli incendi, arrestavano i malfattori, cucinavano alle mense statali, aiutavano le donne, curavano le persone e molto altro. L’importante era che non avessero alcuna competenza specifica, in quanto facevano tutto tutti, con una logica perfetta: la rotazione. Era parte della democrazia lavorativa, per i governatori. Il facchino era l’unico lavoro che potevi tentare, se non amavi quello che ti stava insegnando tuo padre. L’omone s’aggiustò il fiocco rosso che legava i sui lunghi e ricci capelli mentre continuava a guardare con curiosità tutto ciò che lo circondava. Le strade erano piene di manifesti con le facce di due persone. Una delle due era quella che l’aveva mandato a chiamare. Il suo nome era Primer. I volti apparivano secchi e spigolosi, come la maggior parte delle persone che aveva notato sino ad allora.
Nessun sorriso da quand’era nell’Ordine. L’altro doveva chiamarsi Opposter, come scritto a volte sopra e a volte sotto il manifesto. “Manca molto?”, chiese l’ambasciatore. La risposta arrivò dopo qualche secondo, stancamente. “Poche centinaia di Giusto-i, straniero”. “Giusto-i? E cosa diamine sono i Giusto-i?”. “È più ignorante di quanto pensassi”. “È più stronzo di uno stronzo”, avrebbe voluto rispondere l’omone, ma sorrise al sol pensiero e si accucciò nuovamente sulla panca. Pochi minuti dopo vide un’enorme costruzione che si stagliava verso l’alto. Bianca, regolare e lucida. La carrozza si fermò di fianco a una lunghissima scalinata, con due gigantesche statue ai lati. Sotto una di esse, che raffigurava un uomo calvo con l’indice alzato dinnanzi al viso, c’era scritto “Precisino Giusto”. Sotto l’altra, che raffigurava un uomo dai capelli lunghi e lisci e le mani dietro alla schiena, c’era scritto “Freddino Giusto”. Una era Qua, l’altra era Là. L’ambasciatore tirò su la tunica che indossava e scese le scalette della carrozza. Con la bocca semiaperta, continuava a studiare quell’edificio che esibiva il nome di Palazzo dell’Ordine proprio sopra l’entrata. Il Primer porta l’ordine. È legge quel che vuole il popolo e che valuta il Primer. Tutti sbagliano, alcuni in malafede. Il Primer è umano e se inciampa è solo per aver guardato troppo il popolo. Queste erano solo alcune delle targhe appese alle mura che costeggiavano la larga scalinata.
L’omone si stiracchiò, poi si girò verso il cocchiere e fece per salutare, ma quello fischiò e frustò i cavalli ripartendo per chissà dove. “Questi sono tutti matti”, disse mentre sistemava il fiocco rosso sulla testa ed esplodeva un peto.
La dichiarazione
L’ambasciatore cominciò a salire la scalinata, fermandosi di tanto in tanto a leggere le targhe che erano esposte senza comprenderne appieno i significati. Quando sembra che tutto vada male, ricordiamo che potrebbe sempre andar peggio. Certe decisioni possono prenderle solo i governanti. Il popolo è mediamente più ignorante dei politici. “Bah...”, commentò l’omone ansimando per la fatica dell’arrampicata; poi si voltò e vide i facchini che pulivano le strade, tutti impeccabili nelle loro divise nere con una striscia gialla verticale al centro e con una solerzia che da lontano li faceva sembrare formichine fluorescenti. Continuò a guardare basito: “Ma quanti sono? E in quanti fanno quello che potrebbe fare uno solo?”, pensò. Ricominciò la salita e gli venne in mente che sino ad allora, da quando erano entrati in città, non aveva visto persone eggiare. Tutti lavoravano e la maggior parte di loro indossava la divisa nera e gialla. La scalinata finì ed egli si trovò dinnanzi al portone d’entrata del palazzo. Bussò con forza e dall’interno una voce chiese: “Chi sei?”. “Vengo dal sud, sono stato chiamato da Primer”. La porta si aprì e tre facchini si presentarono alla sua vista. A parlare fu l’unico con indosso un cappello e una medaglia appuntata sul petto: “Sei in ritardo di ben quattro minuti! Ti sembra accettabile?”.
“Ecco... In ritardo? Di quattro minuti? Sono stato preso e portato qui. Ho viaggiato di notte e avevo detto che sarei arrivato in mattinata. Quattro minuti sono tanti? Sa, da noi gli orologi non li utilizziamo granché”, rispose l’ambasciatore. “Inqualificabile! La tua battuta è fuori luogo. Abbi almeno la decenza di seguirmi in silenzio”. “Ma quale battuta? Io non...”. “Mi segua!”, ordinò il capo-facchino di palazzo, spezzando qualsivoglia spiegazione. L’omone obbedì. Camminarono e salirono le scale, per poi camminare ancora e salirne altre. L’ambasciatore non disse nulla durante il tragitto per paura della suscettibilità dell’uomo col cappello. Non commentò lo sfarzo ostentato che riempiva il palazzo, tanto meno la glacialità degli sguardi dei facchini. Sembrava che tutti avessero una gran fretta correndo Qua e Là senza fermarsi, senza parlarsi. E Qua e Là sono i due termini più appropriati e non casuali. Infatti in ogni piano della struttura c’era una netta divisione in parti uguali: metà piano aveva le mura gialle con pavimento e soffitto neri e la scritta, ripetuta più volte, “Qua” sulle pareti; l’altra metà aveva le mura nere e pavimento e soffitto gialli con la scritta “Là”. D’un tratto l’omone notò un sorriso. Era il primo da che era partito. Ed era addirittura di una donna! “Caspita, è la prima donna che vedo da stamattina!”, pensò. Ella gli veniva incontro salutando con un cenno della testa tutti i facchini e mostrando tutti i denti che aveva a disposizione. Era molto bella, portava una minigonna e una camicia stretta aperta sul davanti, che lasciava intravedere un generoso seno. L’ambasciatore ci lasciò per qualche secondo gli occhi, e quando gli sguardi dei due si incontrarono lui la salutò cortesemente. Il cenno con la testa standard e il sorriso mantenuto fu la risposta muta della donna. A mano a mano che salivano, le belle donne aumentavano, mentre diminuivano i facchini, facendo posto ad un’altra categoria di persone: avevano una specie di
tuta indosso, chi di colore nero chi di colore giallo. Sembravano meno seri dei facchini e di sicuro avevano meno fretta. Erano i politici. Arrivarono infine all’ultimo piano del palazzo. La scritta “Primer” capeggiava la porta d’ingresso all’unica stanza del livello. Quattro facchini la sorvegliavano con sguardo truce e fucili in vista, perfettamente distribuiti alla destra e alla sinistra dell’entrata. Fecero un saluto militare al capo-facchino che guidava l’ambasciatore, consistente nell’aprire le braccia in aria allargando contemporaneamente le gambe con un saltello ed emettendo un “Eh!”. Aprirono la porta, finemente decorata e pesantissima, senza mai cambiare l’espressione del volto. Il capo-facchino entrò rapidamente, mentre l’omone si soffermò un istante a fissare uno dei facchini che aveva aperto la porta. Occhi negli occhi, sorrise, poi d’improvviso saltò aprendo le braccia in aria e strillando “Eh!”, con il facchino che ebbe un sussulto di paura che lo fece sbattere alla porta. Grasse risate per l’ambasciatore. Quando vide che gli altri tre facchini gli puntarono quei bastoni di legno e ferro con un buco dall’aspetto minaccioso come terminale, la risata gli si strozzò in gola. “Lasciatelo entrare”, ordinò una voce dall’interno dell’enorme stanza, echeggiando nel marmo che componeva i rivestimenti. Dall’estremità opposta, un uomo iniziò ad avvicinarsi, seguendo il tappeto giallo che lo conduceva alla porta. La testa era ben alzata, le mani dietro la schiena e il o fiero. L’omone guardava la scena con aria trasognata. Quell’uomo gli veniva incontro con un capannello di persone che lo seguiva a debita distanza, formato da politici gialli e neri e da un uomo in borghese. “Lei è Primer?”, disse innocentemente l’omone all’omino, decisamente basso, che guidava la fila.
“Io sono ‘il’... Primer. Il mio nome è Freddino III. Quello che vede di Qua è Precisino IV. Qual è il suo nome?”. “Ah... ecco. Io sono Bongio Lellino ehm... I”. “Si accomodi”, disse il Primer facendo un ampio movimento con il braccio. “Andiamo al tavolo delle trattative”. Si avviarono, seguiti da quel gruppo di persone in un silenzio assordante. Mentre camminavano, Bongio teneva la testa talmente immobile da apparire ingessata, muovendo qua e là (o Qua e Là) gli occhi. “Fortunatamente non puzza. A causa del suo aspetto trascurato ne avevo avuto il timore. Veste sempre in maniera così orrenda?”, disse il Primer con un sorriso che contagiò tutti i presenti. “Ecco... io non puzzo... diciamo.. quasi mai. Ehm... e mi vesto sempre così. Mi trova orrendo? Sa, io non valuto mai la mela dall’aspetto, ma dal sapore”. Il Primer tornò serio, di riflesso anche tutti gli astanti. “Si sieda”. Dopo aver spostato la pesante sedia di legno, Bongio sedette. “Lei è l’ambasciatore dello Stato del Sud, giusto?”. “Ecco... si... ehm... Stato. Un secondo solo”, e l’omone estrasse dalla tunica un libretto. Puntò il dito alla prima pagina cercando qualcosa. “Stato... Stato... Stato”. I presenti si guardarono con aria interrogativa. “Sì, eccolo. Dunque. Mi avevano avvertito che me lo avreste chiesto ma sa, ho una memoria che... anzi non ce l’ho proprio!”, sorrise. “Ecco, noi non siamo un Stato. Diciamo che noi e voi viviamo in una terra vastissima circondata dal mare. Voi siete l’Ordine, lo si può ben leggere nelle scritte sulle altissime mura che dividono le nostre vite da tempo immemore, e siete uno Stato. Noi siamo il
resto. Ma se volete possiamo mettere una maiuscola e trasformarci in Resto. Tanto per comodità”. Il Primer lo guardò stupito. “Non abbiamo mai tenuto rapporti, come ben dice lei, Bongio I, ma non sapevo che non vi classificaste neanche Stato”. “In realtà quella parola, al pari di molte altre, è stata dimenticata nel momento in cui ha perso il suo valore. Noi conosciamo lo stato di una cosa, non la cosa di uno Stato. In effetti dopo che ci ha mandato a chiamare dal suo... ehm... come si chiama? Facchino? Gli anziani mi hanno dato questo libretto, che contiene alcune delle parole fuori uso da centinaia di anni nelle nostre zone”. L’omone sfogliò qualche pagina. “Qua leggo: fucili, soldi, moneta, razzismo, re, imperatore, sudditi, schiavi...”. Il Primer sgranò gli occhi e lo interruppe “Dia qua quel libretto!”, e lo strappò al buon Bongio. Poi lesse per qualche decina di secondi mentre un ghigno si faceva spazio sul suo viso. “Quindi, Bongio I, se io le dicessi che l’ho convocata per dichiararle guerra, lei non comprenderebbe. Giusto?”. L’ambasciatore scosse la testa in segno di diniego. “Fatemi capire bene, voi non avete armi, non avete classi sociali o politiche e siete privi di qualsiasi governo?”. “Ecco... non so cosa sia la politica; per quanto riguarda il governo conosco quello delle bestie. Ogni tanto sento qualche contadino che dice ‘Vado a governare le galline’, non so se si riferisce a quello”. “E per chi lavorate? Chi pulisce le strade o le sorveglia? Chi ferma i criminali o spegne gli incendi? Chi cura gli ammalati e vi dà l’istruzione?”. L’omone lo guardava come si guarderebbe un alieno e rispose, sperando che l’ovvietà della risposta non fosse imbarazzante per il Primer: “Ecco... Noi”. Ci fu qualche istante di silenzio.
“La parola violenza la conosce?”, disse quasi sottovoce il Primer. Bongio accennò un sì con la testa, visibilmente scosso. “Bene, torni al suo Resto o come diamine lo chiama, e avverta che entro una settimana apriremo dei varchi nelle mura. Dica a tutti che tra sette giorni voi avrete un governo. Vi porteremo la democrazia. Verremo armati e emo violenza nei confronti di chiunque tenti di fermare il progresso. Uccideremo chi non accetterà la nostra forma di governo e vi trasformeremo in persone civili, che lo vogliate oppure no. Avrete tempo una settimana per imparare i nostri usi e costumi e soprattutto le nostre leggi, che diventeranno anche le vostre. Non lavorerete più per voi stessi, ma per lo Stato. Voi non sapete cosa significhi vivere nell’agio. Voi non sapete quanto possa essere gratificante ricevere uno stipendio”. Una vena si gonfiò sulla tempia del Primer. “Voi non lo sapete ed è nostro dovere educarvi e rendervi normali!”. Anche sul volto dell’altro uomo in borghese era comparso un sorriso malefico. Bongio era impietrito. Aveva compreso appieno il discorso del Primer, a parte quando aveva usato la parola “governo”. Ma forse, inconsciamente, aveva compreso anche quella, in quanto si sentiva come una bestia in gabbia.
Gli O.D.
Bongio scendeva la scalinata del palazzo e rifletteva. Alzando gli occhi vide la carrozza che si avvicinava lungo la strada proveniente dalla sua sinistra. Continuando a scendere a quella velocità la carrozza si sarebbe fermata davanti a lui proprio nel momento in cui avrebbe sceso l’ultimo scalino. Fece un altro o fissando la carrozza. Poi si fermò.
Si fermò anche la carrozza. Riprese a scendere, ma molto piano. La carrozza ripartì, molto piano. Bongio ebbe allora una sensazione di bruciore al viso. Gli sembrò di dover piangere, ma di lacrime non v’era sentore. Fece gli ultimi scalini di corsa saltandoli a due a due, e vide che la carrozza correva disperatamente. Ma la parola “disperatamente” non sarebbe adatta. Forse sarebbe più esatta “sapientemente”. Arrivarono alla meta perfettamente (quanti “-mente” dove ne appaiono poche) in sincronia. Bongio si sentì all’interno di un meccanismo che gli toglieva il respiro. Chiuse per pochi istanti gli occhi e si immaginò di camminare in equilibrio sulla lancetta di un enorme orologio che segnava le 11:45. Lui si trovava su quella dei minuti . La pacca sulle spalle che lo fece tornare alla realtà fu come lo scatto che portò la lancetta dalle 11:45 alle 11:46. Aprì gli occhi e vide il cocchiere. “Salga presto. La devo portare al Ministero dei Multiservizi”. Le poche persone che avano avevano tutte la stessa divisa e camminavano regolarmente. Anche se tra una persona e l’altra c’erano molti metri, si muovevano come se fero parte di una lunghissima fila. L’ambasciatore quasi vedeva degli individui inesistenti tra un uomo e l’altro. Sembravano perle di una collana, distanti gli uni dagli altri ma costretti a inseguire il filo. Il modo in cui s’allontanavano momentaneamente dal filo immaginario, chi per togliere un barattolo dalla strada chi per consegnare la posta, era meccanico ed irreprensibile. Sembrava seguissero delle rotaie. Bongio ebbe un principio di voltastomaco, ma gli ò subito.
Si rivolse al cocchiere con un’espressione contrita: “Grazie”. Lui lo guardò perplesso: “Cosa?”. “Ecco... niente”. Salì sulla carrozza e fece un lungo respiro. Il Primer aveva ordinato che l’ambasciatore fosse portato al Ministero dei Multiservizi perché gli venissero spiegate le basi della Costrizione, ovvero le leggi fondamentali dello Stato dell’Ordine. Bongio avrebbe dovuto prendere appunti e, una volta tornato nel suo “Stato”, si sarebbe prodigato a insegnarle ai suoi compaesani. Gli era stato ordinato di fare così. Le ruote rotolavano sulla strada mentre nella testa dell’omone c’era un traffico disordinato; tutto il contrario di quello che lo circondava. Il via vai di carrozze gli dava l’impressione di una circolazione arteriosa scandita da un cuore. Un cuore enorme. E gelido. “Questo è il mio futuro?”, sussurrò. Volse lo sguardo al cocchiere e, attraverso la finestrella che gli dava modo di comunicarci, lo vide bere nuovamente dalla bottiglietta grigia. Si toccò la barba e s’accorse che la sua mano tremava. Che strana sensazione. Avvertiva il peso del cielo sulle spalle e vedeva lievemente annebbiato. Anche i suoni erano più distanti. Non gli piaceva. Finirono le case ai lati della strada e si trovarono a are in mezzo a un bosco. Il Ministero dei Multiservizi era appena fuori città. “Decentrare gli organi importanti. Il cervello è in alto, via via si scende e si trovano polmoni, fegato e tutto il resto. Così sarà per i Ministeri, dalla capitale verso sud”. Questo disse un vecchio Primer. E così fu.
Bongio non si sentiva bene. Niente affatto. Di colpo si udì un tonfo e la carrozza sobbalzò inclinandosi sulla destra. L’omone venne sbattuto sullo sportello mentre il cavallo continuava a camminare. Il cocchiere arrestò la vettura già di per sé frenata. Una ruota era andata distrutta. Dai cespugli e da dietro gli alberi sbucarono una ventina di ragazzini, sporchi e sorridenti. “Maledizione!”, esclamò il cocchiere. Lo sportello della carrozza cedette al peso dell’omone e si aprì, facendo cadere a terra il goffo eggero. A quel punto Bongio non respirava più molto bene. Una parte della banda di ragazzini tirò uova marce al vetturino, strillandogli frasi irripetibili e sollazzandosi della propria impresa. Altri si avvicinarono all’omone che era sul punto di perdere i sensi. Lo presero in cinque, di peso, e lo trascinarono nel bosco. Lo misero a sedere poggiandogli la schiena sul tronco di un albero. Egli posò la propria mano sul torace e sentì il battito del suo cuore che galoppava irrimediabilmente. Tentò un paio di lunghi respiri, ma non ne ebbe la forza. Respirare era divenuto d’improvviso difficilissimo. Era come se si trovasse immerso con l’acqua alla gola e una mano invisibile lo spingesse giù, per poi lasciarlo tornare a respirare; e poi ancora giù. Senza appigli. Inerme. Uno dei ragazzini che lo avevano portato lo guardò dritto negli occhi. Avrà avuto quindici anni, non di più. Bongio lo guardò come si guarda una finestra, attraversandolo senza capire quel che accadeva. Il battito aumentava e gli faceva male il petto. “Aiutami”, riuscì a dire. “Mi sa che ha bisogno del Pacificatore”, disse il giovane.
Arrivò un secondo ragazzino che si mise al posto del primo. Gli guardò la faccia, poi gli mollò un ceffone. L’omone ebbe un sussulto. Ora, quella mano che prima lo spingeva verso il basso per annegarlo, lo stava prendendo per i capelli e lo tirava su. Riuscì a inquadrare il viso del secondo ragazzo. Una fitta peluria s’appoggiava al labbro superiore del giovane, mentre la bionda chioma dai lunghi boccoli dava risalto alla carnagione scura e agli occhi accesi che lo fissavano intensamente. “Datemi il Pacificatore con un cucchiaio”, ordinò il biondino. Sbucò una mano che gli ò una bottiglietta grigia. Versò una goccia microscopica del liquido che conteneva nel cucchiaio. “Apri la bocca, Fiocco Rosso”, disse sorridendo. Bongio non se lo fece ripetere. Anche fosse stato veleno sarebbe stato sempre meglio di continuare quell’agonia. Mandò giù con un acuto deglutire. In pochi istanti il battito del cuore rallentò, la vista riprese a essere nitida e le orecchie si stapparono. Prima di cadere in un morbido sonno udì lontana la voce del cocchiere che gridava: “Maledetti Orfanelli Disordinati!”.
L’uomo dell’Ordine
“Non riesco a credere che sia così facile!”. La stanza vuota ed enorme restituiva un’eco forte e sincera. L’unica macchia di verità assoluta nel candore ordinato della truffa pubblica che riempiva l’aria. “Te l’avevo detto. Le spie che avevo mandato m’avevano in parte informato: quelli sono dei veri e propri citrulli! Non hanno armi né eserciti. Nemmeno un
leader!”. Il Primer ciondolò la testa in senso affermativo. Visibilmente gioioso. “Sai che non è stato facile trovare pirati che s’assumessero il rischio d’avventurarsi in quelle terre selvagge con tutte le leggende che girano su quei posti. Chiunque abbia superato le mura in tutti questi anni non è mai tornato! La curiosità li ha uccisi”, continuò l’Opposter vedendo il suo avversario-collegafratello-amico-nemico eccitato. “Ho dovuto costringere dei pirati a portare con loro i miei uomini più fidati, attraversando al largo le mura per poi approdare su quelle terre ostili. E sai quanto quei briganti del mare siano superstiziosi e sensibili alle storie di fantasmi che girano su quei posti”. “Lo so bene...Hanno contribuito ad aumentarne la malefica fama i nostri predecessori...”, rispose il Primer. “E fecero bene. Abbiamo letto entrambi i testi. Sappiamo bene il perché”. “Loro però non avevano scoperto le qualità del Docrosto”, aggiunse beffardo l’Opposter. Nuovo ciondolio del capo pelato del Primer. “E tutto grazie al mio uomo, Rufus”. “Sicuro che ci si possa fidare di quel pazzo esaltato?”. “Oh, certo mio caro. Rufus non è un uomo dell’Ordine. Lui è l’Ordine. La gente si fida, il popolo lo adora e ne ha paura allo stesso tempo. So che non ti garba un granché quel tipo, perché è grazie a lui che ho vinto per ben quattro volte di seguito le elezioni. Otto anni al governo. Poi hai giocato sporco, amico mio”, disse l’Opposter ridacchiando. “Hai ucciso cinque donne solo perché avevano parlato male delle tue prestazioni sessuali! Io avrei giocato sporco?”, rispose Freddino a quella che non era una domanda. “Come se tu non avessi mai ucciso nessuno per futili motivi...”.
Il Primer lo interruppe deciso: “Non conta quel che fai né come lo fai, ma quel che fai sapere al popolo”. L’Opposter chinò il capo in segno di resa e il Primer Freddino continuò: “Le hai uccise dicendo che erano streghe venute dall’altra parte delle mura. Hai sparato a cinque donne e lo hai fatto in pubblico durante un mio discorso”. L’Opposter Precisino digrignò i denti e, mantenendo una parvenza di calma, rispose: “Tu le hai spinte a farlo. Forse le hai pagate”. “Ma amico mio, sai bene che questo è possibile. Fa parte del gioco. Sono le prove che non hai. E sono le prove che servono alla gente per poter giudicare. È naturale che poi io abbia cavalcato il tuo errore. Nessuno vuole un Primer sanguinario. Tantomeno impotente. La tua storia sulle streghe era un tentativo troppo misero di coprire i fatti”. “Io non sono impotente!”, gridò battendo il pugno sul tavolo Precisino. Ed anche stavolta l’eco fu sincera, come lo specchio quando ti riflette con indosso una maschera. “Sai che non mi interessa. È importante quel che crede il popolo”. Il silenzio scese come il coperchio della cesta sui panni sporchi e fu interrotto solo dal bussare deciso alla porta di un facchino. Il Primer ordinò di entrare. “Signore, i politici sono già tutti nella Stanza del Bisbiglio. Aspettano solo il vostro arrivo”. “Annunciaci. Arriviamo”. Il facchino saltò, salutando come si conviene e gridando l’“Eh!” d’obbligo; poi girò i tacchi e s’avviò con o spedito. I due potenti signori s’avviarono seguendo a debita distanza il facchino. Lungo il corridoio parlottarono ancora di cose che non ci è dato sapere, né ci interessano.
Arrivati alla Stanza del Bisbiglio, il Primer fece strada all’Opposter che si sistemò sul Qua. Freddino si portò di fronte alla platea politica. La sua poltrona era sistemata al centro di quella specie di teatro che era la Stanza, in modo che tutti potessero vederlo. Il basso e supremo Primer, serio non poco, s’avvicinò al leggio che era a un paio di Giusto-i dalla poltrona. Vi poggiò un foglietto, inforcò gli occhiali e sbirciò le prime righe. Poi riprese il foglietto e, con fare spettacoloso, lo strappò. Sul volto dell’Opposter, seduto nella prima fila della parte dedicata al Qua, comparse un punto interrogativo. “Signori, sono qui oggi per rendervi partecipi della scelta che ho dovuto fare per il bene dei nostri amici, delle nostre mogli, dei nostri figli. Per il bene dell’Ordine”. Un brusio s’alzò nella Stanza durante la pausa d’effetto del Primer. “Già in ato ci siamo dovuti stringere e sacrificare per il bene della democrazia e della civiltà. Quando quei due Stati del nord non vollero sottostare alle nostre leggi, dovemmo battagliare. Ingaggiare delle guerre non volute, ma indispensabili. E quegli uomini che morirono in difesa dell’Ordine sono tutt’oggi, a distanza di molti anni, considerati eroi. Voglio che ricordiate che io come Primer voglio solo la pace ed il benessere, e...”. Il discorso continuava pressappoco come prestabilito, ma l’Opposter non capiva il perché di quel gesto iniziale. “... continueremo ad essere liberi. Io voglio la pace, ma l’Opposter ha studiato la situazione. Ha mandato i suoi uomini fidati nello Stato del sud, che da oggi chiameremo Resto. Essi ci hanno messo al corrente di strani movimenti militari in quelle zone. Tra l’altro, come sappiamo bene, la zona è famosa per strane storie d’occulta natura. Si pratica la stregoneria e il cannibalismo. Questo è ciò che ci ha tenuti alla larga per tanti anni”. L’Opposter pensò: “Vuole la pace? Ma cosa dice? Vuole dare tutto il merito della guerra a me? Cos’ha in mente?”.
“Oltre alle manovre militari, gli uomini dell’Opposter hanno scoperto un’altra cosa”. Altra pausa. Altro vociferio. Il Primer aspettò il completo silenzio. “Nelle zone più a sud dello Stato del Resto c’è un materiale che, anche in piccole dosi, una volta brucia per giorni. Giorni interi. Pensate ai risvolti pratici di un materiale di questo tipo. Si potrà vendere a caro prezzo sia nello Stato dell’Ordine che nelle due colonie del nord, quelle che chiamiamo Stati, come chiamo e chiameremo il Resto. Case, palazzi e mezzi pubblici sempre caldi. Senza più le fatiche del portarsi dietro quei pesantissimi, ingombranti e precari fusti di legna. Un bruciatore leggero e quasi perpetuo”. Sorpresa nei volti dei politici. Incertezza in quella dell’Opposter. “Ebbene, tra gli uomini che l’Opposter ha mandato in questa campagna osservativa, c’è anche lui. Inutile tenerlo nascosto...”. L’Opposter strabuzzò gli occhi. “Rufus. L’uomo dell’Ordine. Quello che lavora nell’ombra anche se è nel deserto. Quello che fa rispettare la legge. Il mito che si tramuta in leggenda. Rufus!”. Un applauso del lato del Qua abbracciò il discorso del Primer. Nel Là c’era perplessità, la stessa che aleggiava nei pensieri dell’Opposter, che fingeva entusiasmo. “Sta tessendo le lodi del mio operato e del mio uomo. Non immaginavo che avrebbe rivelato che si trattava di lui. Dove vuole arrivare?”, pensò. “Sappiamo tutti che Rufus non è un simpatizzante del mio partito. Egli rappresenta l’Ordine per il popolo, ma se lui non è nostro simpatizzante non è detto che il Qua non possa ammirare e rispettare l’uomo che da sempre si prodiga per qualsiasi governo. Per l’Ordine!”. Rimase un poco in silenzio.
“Bene. Mi fido di Rufus e, stanti queste premesse, posso affermare di aver vagliato tutte le ipotesi. Lo Stato del Resto va civilizzato! Deve partire l’operazione ‘Ordinizzazione’. Lo vuole la democrazia. Salveremo e daremo un sistema legislativo funzionante a un popolo che è stato più sfortunato del nostro. Un popolo che rischiamo di ritrovarci in casa, visti gli strani movimenti sotto le mura. Un popolo che non conosce l’utilità dei materiali che possiede. Un popolo che ha bisogno di una guida e di una ripulita. La lotta sarà dura, ma lo facciamo innanzitutto per i nostri figli. Non possiamo farli crescere nella costante paura di un attacco da parte di quegli indigeni guerrafondai. Chi picchia per primo picchia due volte. L’Ordine è in guerra! Oggi abbiamo incontrato l’ambasciatore dello Stato del Resto e lo abbiamo informato. L’Ordine... è tutto!”. All’ultima affermazione tutti i politici della Stanza si alzarono in piedi gridando “Eh!”.
Disordinati
“È veramente bruttino”, esclamò uno dei ragazzini che circondavano l’omone. Al suono di quelle parole Bongio aprì appena gli occhi. Sentiva ancora in bocca un retrogusto dolciastro e rassicurante.
“Dove sono? Chi siete voi?”, disse immediatamente l’omone. “Ohi ciccio, sia chiaro: qui le domande cominciamo col farle noi! Ti abbiamo prelevato per sapere un po’ di cose. Vieni dallo Stato del sud vero?”, disse il biondino che gli aveva fatto ingoiare quel succo poco prima d’addormentarsi. “Stato? Ecco... mi sento molto strano. Datemi un attimo per riprendermi. Io... ecco, non vengo da nessuno Stato...”. “Cazzo! Abbiamo assaltato la carrozza sbagliata! Piggy, è lui, vero?”. “Ma sì, ma sì”, disse un ragazzino cicciottello, con gli occhiali e la faccia poco furba. “L’ho visto bene. Ho lanciato un bastone alla sua carrozza prima che arrivasse al Palazzo proprio per farlo affacciare e vederlo bene. Ciccione, con la barba bianca e il fiocco rosso in testa”. “Aspettate un attimo, fatemi finire”, incalzò l’omone. “Intendevo dire che il mio non è uno Stato, ma... si vengo dal sud. Da oltre il muro”. Un grido di gioia s’alzo per il bosco. Tutti i ragazzini saltavano e ballavano dalla felicità. Poi il biondino tuonò: “Silenzio! Sentiamo cos’ha da raccontarci”. Si misero tutti intorno a lui, seduti e ordinati (se così si può dire). Dapprima un leggero brusio. Poi il silenzio s’affermò nel mucchio. Solo i rumori del bosco s’udivano; lo scricchiolare degli alberi e gli uccelli che cinguettavano felici. Visi ansiosi attendevano. Bongio li guardò confuso. Ancora qualche istante di silenzio poi azzardò: “Che cosa dovrei dire?”. Il biondino rispose: “Come cosa? Vogliamo qualche storia. Avrai visto streghe e fantasmi. Forza, racconta”. Bongio sorrise: “Mio giovane amico, non sono abituato a parlare con chi mi tira giù dalle carrozze in movimento senza farmi neanche la cortesia di presentarsi”. Il biondino sorrise, poi assunse un’aria ufficiosa: “Il mio nome è Ralph e sono il capo degli Orfani Disordinati”.
“Ho sentito bene? Disordinati?”. Il viso di Bongio s’illuminò: “Porca vaccaccia, allora c’è anche gente normale in questo posto!”. Gli orfanelli risero per l’epiteto assurdo riferito alla “porca”. “Da noi”, disse Ralph “o cresci seguendo le orme di tuo padre divenendo un operaio o lavori per lo Stato. Ma se i tuoi genitori muoiono o ti abbandonano, allora vieni intrappolato nelle Case degli Orfani, dove vieni educato e mantenuto a spese dello Stato. Ovviamente, compiuti i quattordici anni, vieni integrato nel Ministero dei Multiservizi e cominci a lavorare per loro, restituendo a rate e con gli interessi tutto quello che i contribuenti hanno speso per il tuo mantenimento. Noi siamo quasi tutti fuggiti da quelle galere che chiamano Case degli Orfani, altri sono scappati dalle loro famiglie perché non volevano fare il lavoro del padre né quello che gli imponeva lo Stato”. Bongio ciondolava la testa in avanti, fingendo di capire tutto quello che Ralph diceva. Ma non era così. “Ehm... ecco... e di preciso cos’è una galera e quegli interessi per... ehm... come hai detto, rate?”. Risate degli Orfani. “Mi pare di capire che più che dall’altra parte del muro tu venga da un altro mondo, Fiocco Rosso!”. Nuove risate si univano alle vecchie. Anche l’omone abbozzò un sorriso incerto mentre vedeva tutte quelle bocche spalancate, alcune con qualche dente in meno, che esprimevano liberamente le loro emozioni. Tutti quei bambini intorno a lui. C’erano anche dei piccolissimi che non potevano aver più di tre anni. Sembrava che per ognuno di questi più piccini ce ne fosse al fianco qualcuno più grande. Nel disordine di quei sorrisi di quei denti discontinui, tra quelle folte chiome sporche e quei vestiti stracciati, Bongio notò una sorta d’organizzazione quasi involuta, ma persistente. E s’accorse che qualcosa mancava.
“Scusate, ma le bambine? Loro non vengono mai abbandonate o non tentano la fuga?”. Le risa cessarono di colpo. Ralph si portò la mano sulla fronte e la pulì dal ciuffo di capelli che vi si era accomodato. “Non esistono bambine Orfane”, rispose il biondino. Un nuovo silenzio s’affermò nel gruppo. Un silenzio diverso. Anche il bosco sembrava non voler parlare, né gli uccelli cantare, mentre gli alberi cigolavano mossi da una folata di vento freddo proveniente da nord. “Perché?”, chiese l’omone. “È la legge”, rispose Piggy, sistemandosi gli occhiali. “Ma voi, se ho ben capito, siete dei fuorilegge in questo posto. Neanche voi dovreste esistere, ma ci siete!”, commentò Bongio facendo attenzione che quello che diceva avesse un senso logico. “Noi ci siamo perché un bambino se è maschio e non lo si vuol tenere, può essere portato alla Casa degli Orfani pagando 100 monete allo Stato”, riprese Piggy. “Per quale motivo dei genitori non dovrebbero voler crescere un figlio?”. Ralph intervenne stizzito: “Perché i figli costano!”. Piggy continuò: “Farli crescere sfamandoli è una spesa che la maggior parte delle famiglie non può sostenere. Preferiscono perderli da piccolissimi che farli morire di stenti”. “Questa è la scusa di quei bastardi!”, esternò Ralph, mentre fissava il vuoto con la testa china. “Che ci fanno diventare proprietà dello Stato!”. “Continuo a non capire. Le bambine cos’hanno di diverso?”. Fu Piggy a rispondere: “Le bambine vengono abbandonate molto meno dei
bambini. Loro sono più preziose. Una volta raggiunta una certa età, vengono messe a lavorare, portando bei soldi a casa. Solo nel caso in cui non si riesca a farle crescere quel poco che basta per farle lavorare, si portano alla Casa degli Orfani e in quel caso si ricevono 150 monete”. “Quindi per i bambini si paga, mentre per le bambine si viene pagati con quelle cose che voi chiamate ‘monete’. Ma non ho visto donne lavorare in giro per la città. Anzi, non ne ho viste proprio. Le uniche che ho incontrato erano in quel Palazzo dell’Ordine”. “Infatti”, disse Ralph. “Le donne non fanno lavori classici nell’Ordine”. Bongio rimase perplesso. “L’unico lavoro che gli è consentito è quello di prostituta”, aggiunse Ralph, tornando a fissare il vuoto. “Cos’è una prostituta?”. “Scopate dalle vostre parti?”, chiese Ralph. “Ehm... ecco... certo”. “Le donne qua lo fanno per soldi”. “Non perché sono attratte dall’uomo?”. “Raramente, quando sono fortunate e trovano uno che oltre a pagarle gli piace”, sentenziò Piggy. “E quelle nelle Case degli Orfani?”. “Loro, se sono belle, vanno a Palazzo e fanno le puttane per i politici, se sono abili fanno le troie per lo Stato, mentre se sono brutte vengono messe in vendita. Le comprano gli uomini soli ai quali serve qualcuno che rassetti casa e cucini. Vengono chiamate mogli”. “Ma quelle non se le scopano quasi mai i mariti...”, disse ridendo un ragazzino tutto brufoli. “... che per scopare utilizzano le prostitute con le quali poi fanno i figli. In effetti siamo quasi tutti figli di puttana in questo Stato”, puntualizzò
serio Ralph. “Porca vaccaccia! Ma il concetto di famiglia è inesistente da voi?”. “Una donna brutta è inutile”, pronunciò Piggy. “Lo disse Precisino II e aveva ragione. Non può lavorare, non serve a scopare e soprattutto non porta soldi!”. “Ma cosa diamine sono questi soldi? Sembra che tutto giri intorno a loro! E l’amore... esiste ancora l’amore in questo posto?”. “Se è riferito al rapporto tra uomo e donna esiste, è logico. Dipende da quanto sei disposto a pagare”, rispose saccente Piggy. “Voi non sapete cosa sia l’amore?”, disse sconvolto l’omone. Intervenne Ralph: “Ce lo spiegherai. Forse è parola usata solo nel sud. Ma non parliamone oggi”. Bongio rimase di stucco, pensando agli sforzi con cui i poeti del sud avevano tentato romanticamente di spiegarlo.
Motivazioni politiche
Il Primer era seduto alla scrivania nel suo ufficio. Addentava un sigaro e controllava dei documenti fingendo interesse persino a se stesso. Sembrava non essere attratto da nulla e trattava chiunque tentasse di cucire un rapporto, quantomeno verbale, con sufficienza e disgusto. Irruppe d’improvviso l’Opposter, che aprì senza bussare la porta laterale, quella che collegava il suo ufficio con quello del Primer. “Cosa hai in mente? Perché hai stravolto il discorso che avevamo concordato?”, disse l’Opposter inquieto. Il Primer aspirò del fumo per poi sbuffare con calma, abbozzando un sorriso prima di dire: “Mio caro, tu non sai fare politica”.
“Ma cosa vai blaterando?”. “Oggi ti ho dimostrato come far piacere una guerra al popolo, come risultare simpatico agli elettori, come ingraziarsi parte dei tuoi politici e soprattutto come far divenire Rufus, da tuo uomo di fiducia, un uomo del governo dell’Ordine!”. L’Opposter sedette. “Se avessi tentato di prendermi tutti i meriti dell’operazione sorvolando sul tuo importante ruolo, l’avresti fatto tu domani facendomi are per fesso. E sai bene che non lo sono”. “Hai anticipato le mie mosse”, commentò l’Opposter guardando il pavimento e riflettendo sulle parole del Primer. “Ma questo non rientra nei patti! Quando si tratta di decisioni importanti stabiliamo insieme il discorso. Insieme!”. Alzò molto la tonalità della voce pronunciando l’ultima parola. “Io non mi butto in pasto ai tuoi giornali! Avresti fatto la figura della parte attiva del governo, quando sei all’opposizione. E nei nostri patti non c’è scritto che ci si possa far fregare. Ammettilo. Ho fatto un favore a entrambi: io mi sono risparmiato una figuraccia domani, e tu hai avuto la tua gloria nel giorno della dichiarazione di guerra”. L’Opposter si tocco il mento poi disse perentorio: “Forse hai ragione. Con il discorso che avevamo stabilito ci avresti solo rimesso, ma la storia di Rufus ‘uomo del governo’?”. “Vorresti forse dire che non fa parte della sua storia? È sempre stato fedele all’Ordine, pur nutrendo un’evidente simpatia nei tuoi confronti”. “È un uomo del Là! Mettitelo bene in testa! So che hai provato a comprarlo in tutti i modi, ma lui ha quella cosa che non si può acquistare con i soldi: lui ha fede in me!”. Il Primer sorrise. Spense il sigaro nel portacenere e guardò fuori dalla finestra: “Tutto ha un prezzo nell’Ordine. Tutto”. “Non Rufus! Lui no!”, disse gelido e sicuro il secondo uomo più potente dello Stato.
Tre colpi al portone s’intromisero nella discussione. “Avanti”. Entrò un facchino decisamente basso e decisamente indeciso. Partì con o svelto verso i due ‘democraticamente eleggibili’ per poi rallentare a metà percorso e accelerare di nuovo. “Signori, chiedo scusa se disturbo, ma ho pessime notizie. Anzi, non pessime, ma pessima. È una sola”. “Stiamo aspettando”, disse con calma il Primer. “Si tratta dell’ambasciatore dello Stato del Resto. È stato rapito. Sono stati gli Orfanelli Disordinati. Non sappiamo il motivo, né dove si trovino in questo momento”. Il volto del Primer arrossì di colpo: “Cosa?”, urlò. “Un banda di ragazzini ha abbattuto la scorta di facchini e si è presa quel ciccione?”. “No, signore. Veramente la scorta non c’era. Il cocchiere non è stato informato dell’abbisogna di una scorta e ha prelevato l’ambasciatore da solo”. L’Opposter si alzò in piedi: “Com’è possibile che non sia stato informato? Quell’uomo mente! E non ha pensato che una persona così importante non potesse essere lasciata sola?”. Il Primer guardò l’Opposter e gli fece cenno di sedersi con la testa. “Fucilate quell’uomo!”. “Eh!”, rispose il facchino col saltello, poi girò i tacchi e uscì, chiudendo la porta dietro di sé. Mise una mano nella tasca interna della divisa ed estrasse la bottiglietta di Pacificatore. Ne ingollò un quarto di bottiglia e la vena che batteva sulla sua fronte sotto uno strato denso di sudore cominciò a rallentare il ritmo. “Cosa faremo ora?”, domandò l’Opposter.
“Semplice. Tra una settimana attaccheremo e ci prenderemo ciò che è nostro”.
Nessun muoia
Di colpo tutti i coperchi delle decine di lanterne nella stanza s’alzarono grazie a un meccanismo manuale, fatto di corde e ruote. Le lanterne avevano quattro facce; tre di vetro trasparente e una specchiata e rivolta verso la fiamma. Gli specchi indirizzavano la luce sulla parete più lontana, l’unica senza lanterne. Un uomo era in piedi dando le spalle a quella parete. Piangeva e tremava nervosamente. “Sono un uomo buono. Lo giuro. Ti prego di credermi. Nessuno m’aveva avvertito di aspettare la scorta. Per me quell’uomo era solo un ciccione da trasportare. Porto la carrozza da tanti anni. Sono solo una comparsa in questa storia! Non ho neanche un nome. Sono solo ‘il cocchiere’. Chi udirà la storia si sarà già dimenticato del mio ruolo o mi avrà confuso con l’altro cocchiere, quello che aveva portato quel ciccione al Palazzo. Io sono buono. Uccidi lui. L’altro cocchiere. Magari puoi dare un senso anche all’uccisione. Inventa qualcosa, autore. La mia è una morte inutile!”.
“Nessuna morte è inutile”, tuonò una voce severa, ma bellissima. “La morte è parte della vita. Di ogni vita!”. Il cocchiere si guardò intorno cercando di capire da dove venisse la voce, poi si lasciò andare buttandosi a terra in ginocchio. Un’altra voce fuori campo pronunciò perentoria: “Puntate!”. Il cocchiere cercò la sua bottiglietta di Pacificatore all’interno della giacca, anche se sapeva di non trovarla. Gli era stata sequestrata. Fu un riflesso involontario. “Mirate!”. Sentì la bocca asciugarsi di colpo, il cuore in petto galoppare e le orecchie implodere. Guardò verso la luce che gli impediva di vedere quelli che sarebbero stati i suoi assassini. “La mia è stata una vita da comparsa. Una vita da Nessuno in questa vita assurda. Dici che nessuna morte è inutile, ammettendo un certo raziocinio nel criterio delle scelte, poi costruisci un mondo totalmente privo di logica. Esco di scena ucciso da fantasmi che non vedo; un esercito di comparse trasparenti che la luce di chi comanda non mi permette neanche di identificare. Un Nessuno ucciso da Nessuno”. La voce bellissima tuonò nuovamente: “Hai avuto motivo d’essere in queste poche righe. Ringraziami!”. “Non so cosa sia il ‘grazie’”. Silenzio. “Fuoco!”.
La fede è del cibo
S’era fatta oramai l’ora di cena, e Bongio aveva domandato quanto più possibile dell’ordinamento sociale dello Stato dell’Ordine. I ragazzini improvvisavano tavoli ovunque nel bosco. L’ambasciatore si sentiva lievemente nervoso; avvertiva un leggero senso d’oppressione che l’aveva colto dal momento in cui s’era avvicinato a Perfectville per non abbandonarlo più. Il picco era stato raggiunto in carrozza, ma quel retrogusto d’ansia non si decideva ad abbandonarlo. “Cos’ha questo posto? Perché non mi sento a mio agio da che sono qui?”. Raph lo guardò con la sua aria matura, quella che tradiva in tutto e per tutto la sua effettiva giovinezza, accennando un sorriso dopo l’interminabile secondo di serietà che precedeva sempre ogni sua risposta e nel quale sembrava entrarti in testa senza bussare, sbattendo la porta, insolente e forte, a imporre la sua tenace sensazione di superiorità. Ma con quel breve sorriso, eccoti a tuo agio, di fronte a una personalità importante che ti agevolava dopo aver stabilito i ruoli; dopo aver presentato il conto salato di un’età che gli stava stretta. E Bongio sembrava soffrire ivamente questa sua violenza incosciente e incolpevole. Rispettava quel ragazzino come leader e come uomo, privo di qualsiasi interesse nell’opporsi al giovane, lontano da quella gara virile che definisce i ruoli di una società civile che, proprio alla ricerca di quella civiltà e in nome della stessa, finisce per imbrutirsi risultando l’abbozzo razionale di un’idea che la stessa logica affossa. “È colpa delle città, Fiocco Rosso. Più ci si avvicina, più l’aria sembra pesante e la vita uno spreco. È per questo che ci avviciniamo raramente ai centri troppo abitati. Certo, anche perché siamo ricercati, ma il motivo principale è che noi, in mezzo a quelle persone, ci sentiamo fuori posto, proprio come te. Non ho mai capito il perché. Lo sento... credo”. Bongio sedette. “Quel liquido che m’avete fatto ingurgitare quando stavo male serve a rendere meno pesante l’aria. Questo è quello che mi fai capire”.
“È una medicina che si chiama Pacificatore. È una delle cose che lo Stato dell’Ordine a gratuitamente al popolo...”, rispose Ralph spostando lievemente il viso, in modo da non ottenere né offrire lo sguardo all’ambasciatore. “E c’è pure chi si lamenta del nostro governo!”, disse uno dei ragazzini che ava vicino a loro tenendo un pollo per la gola. Bongio fissò per qualche istante quel ragazzino, poi gli venne naturale una domanda: “Parlate spesso di Stato e popolo evidenziando un distinguo mentre...”, cominciò a frugare nella sua borsa di tela “... ecco, nel libro che m’hanno dato prima di venire qui si legge che ‘lo Stato è formato dal popolo’”. Ralph lo interruppe: “Sì, ma c’è un governo che ha potere”. “Il governo? Ancora questa parola che da noi è solo un verbo. Chi è che fa parte di questo governo?”. Arrivò Piggy e prese la parola: “Il governo è formato dai politici, che sono scelti dal popolo per rappresentarli nella Stanza del Bisbiglio. A comandare la Stanza sono i Primer, in alternanza Precisino e Freddino, capi dei rispettivi partiti. Una volta vecchi, scelgono chi diverrà loro successore”. Bongio rimase perplesso: “Mi state dicendo che, alla fine dei giochi, chi prende le decisioni per tutti è un solo uomo?”. “Naturalmente. Ma i soli due uomini che prendono decisioni vengono scelti dal popolo. Popolo che sceglie tutto a parte il fatto d’avere l’obbligo naturale di dover scegliere solo uno tra loro due. Esclusivamente loro due, perché la plebaglia non può avere l’accortezza di scegliere tutto quello che vuole”. Piggy sorrise mostrando il viso a tutti i presenti. “Prendono decisioni nel loro e nel nostro interesse”, affermò in maniera semipolitica Piggy. Ralph era rimasto in silenzio e guardava i due dubbioso. L’ambasciatore non era totalmente convinto della risposta del ragazzino grassoccio, che sembrava essere certo che quello fosse il modo giusto di guidare un popolo. Il nodo fondamentale che non riusciva a sciogliere era proprio il fatto
di poter condurre una moltitudine di persone, di decidere per gli altri. Ma non azzardò altri commenti e s’alzo fingendosi sazio di sapere. La fame, che non voleva né poteva nascondere, era quella che bussava al suo stomaco e che s’era accentuata alla vista del pollo. S’alzò e si diresse verso un tavolo ricavato dal tronco di un albero segato chissà quando. Poggiò le sue morbide quanto enormi natiche su un ammasso di pietre che abbozzavano una sedia, e iniziò a respirare i profumi della cucina del bosco. Qua e là v’erano falò accesi, messi adeguatamente in sicurezza in modo da non attentare al verde che li circondava. I giovani erano organizzatissimi con pentoloni, padelle e forchettoni. Una ventata riempì il naso da pugile di Bongio, raccontandogli di pomodori freschi ati con aglio e funghi. Ne fu estasiato. Cominciò a sublimare i sapori delle pietanze che mangiava dalle sue parti, descrivendo piatti e ingredienti esotici dai nomi improbabili, che i ragazzi non avevano mai udito. Arrivò il momento di mangiare. L’ambasciatore addentò la prima portata prima con gli occhi che con la bocca, ma rimase deluso: odori e presentazione delle cibarie sembravano d’eccellenza, ma il gusto era insipido. Provò altre due portate prima di lamentare la sgradita sorpresa a Ralph che sembrava aspettare il suo giudizio. “Non sa di nulla. Probabilmente è colpa mia, non comprendo la vostra arte culinaria”. In quel momento uno dei ragazzini lo prese per le spalle e lo tirò a sé, facendolo cadere sulla schiena. “Ora di culi-in-aria c’è solo il tuo, Fiocco Rosso!”. Esplose una fragorosa risata nel bosco, e più i ragazzini ridevano, più la sgraziata creatura con quei coscioni all’aria non riusciva ad alzarsi, corrotto dalle risa lui stesso. Quando poi i giovani scoprirono che l’ambasciatore non portava
le mutande, il delirio s’impossessò di tutti i tavoli. Perfino gli animali del bosco sembravano ridere di quel goffo essere che appariva come una tartaruga rovesciata. Nell’ilarità generale alcuni ragazzini presero Piggy per le braccia, obbligandolo a terra; l’antipatico cicciottello scalciava a destra e sinistra, scimmiottando inconsapevolmente Bongio e chiedendo a gran voce l’intervento di Ralph, che in realtà appariva alquanto divertito. La compagnia tornò ben presto ai tavoli, continuando a consumare l’insipido rancio dall’aspetto e dall’odore accattivante. Con le labbra ancora sporche di sorriso, Ralph si rivolse a all’ambasciatore, che aveva ormai raggiunto una posizione decorosa nuovamente seduto: “Cos’era quella cosa che hai nominato prima?”. “Scusami, culinaria è sicuramente una parola che non conoscete e riguarda...” “No, quella prima”. “Ecco... non mi pare d’aver detto nulla che voi...”. D’un tratto si voltò, fissando un punto non ben precisato del terreno. Un’intuizione l’aveva folgorato. Da quando era entrato nello Stato dell’Ordine non aveva mai visto oggetti o ascoltato suoni che potessero in qualche maniera essere ricondotti all’... “Arte! Cazzo, qui non conoscete l’arte! Com’è possibile che io non me ne sia accorto prima? Non ci sono quadri, né musica. E i libri? Ditemi che conoscete i libri!”. Il viso del povero ambasciatore era paonazzo. Ralph non capiva di cosa parlasse e seguiva la gestualità delle sue mani come un gatto. “Ma certo, è ovvio”, continuò Bongio. “Ecco il perché del cibo insipido. Voi non conoscete l’arte! La massima espressione d’amore dell’uomo. Tutto ciò che fate è raziocinio d’un cane di fronte a una ciotola piena. Quindi non credete in niente?”. Ralph faticava a comprendere le parole dell’uomo, e gli sembrava quantomeno
stravagante udire un discorso di tale serietà da un ciccione che si presentava con un fiocco rosso sul capo. “Ma miei cari ragazzi, l’arte è fede, e senza fede siete persi”. “Arte!”, gridò Piggy da lontano, per poi avvicinarsi, ancora titubante nei i, a causa dell’affronto subito solo pochi minuti prima dal gruppo. “Me ne parlarono di questa cosa. Sentii due adulti che constatavano quanto fosse stato ridicolo credere che una cosa del genere potesse essere utile a una comunità. I libri di cui parli sono quelli che noi chiamiamo ‘manuali’, i quadri sono dei disegni come quelli dei segnali di divieto che sono sparsi per le città e la musica... quella è solo rumore organizzato”. “Ecco... no, per l’amor del cielo, no! Non è così! I libri raccontano storie, proprio come quelle che chiedevate a me appena sveglio...”, disse Bongio fomentato dalle parole di Piggy. “E come fa un manuale a raccontare storie?”, disse un bimbetto sui nove anni. “Ecco... qualcuno le scrive. Ci mette ingegno e volontà e... poi... no, ma i quadri... non sono segnali! I quadri sono, sono...”. Bongio si guardava intorno girando su se stesso, cercando un volto che accennasse, degli occhi che restituissero interesse, ma nulla. “La musica! Quella è immediata, t’accarezza e...”. Piggy sentenziò: “Molti anni fa un Primer disse che l’arte non si mangia, e aveva ragione. Il popolo ha bisogno di cibo e di case, non di rumori, disegni o gente che si traveste: ho sentito parlare anche degli attori, persone che fingono realtà che non esistono. Impostori!”. Girando su se stesso, Bongio incontrò lo sguardo di Ralph. Una lacrima s’affacciò sullo zigomo dell’ambasciatore. Il viso nel quale si rifletteva cercava qualcosa al quale appigliarsi. Un’idea, una parola, un gesto; ma rimaneva sospeso nel nulla, e Bongio si sentiva impotente. Gli tornò alla mente quella sensazione d’esser sulla lancetta dei minuti di un enorme orologio. Erano le undici e cinquanta ora.
Raccolse le forze e si rivolse alla luna parlandole come se fosse stata una persona e immaginando di guardarla negli occhi “L’arte è il Dio di tutti, anche degli agnostici. Come si spiega Dio a chi vive solo nell’oggi?”.
Terra straniera
Nella sua nuova tunica Gipsy non si sentiva affatto a suo agio. Troppo colorata, troppo larga, troppo crespa. Aveva deciso, al ritorno dalla sua giornata di pesca, che avrebbe chiesto alla madre di cominciare prima possibile a cucirgliene un’altra. Non gli interessava granché come si presentasse dal punto di vista estetico (perché mai avrebbe dovuto?), ma piuttosto era la comodità ciò che esigeva. Certo, se non fosse stata così colorata avrebbe anche evitato le battute sarcastiche degli altri compagni di scuola. Ma lui voleva che fosse comoda, la tunica. O, perlomeno, cercava di convincersi che fosse per quella inadeguatezza che odiava la veste che la madre aveva confezionato per lui, dedicandole tempo e riempiendola di colore, visto che l’amore non sapeva tesserlo. “La voglio più leggera, mamma! Questo tessuto mi graffia la pelle”, pensava di dirle. “Sì, d’accordo non è pesantissima, ma non lo vedi che è larga e rischio d’inciampare?”. Non era granché convinto. “Mamma... questi colori! A scuola mi prendono in giro! Che posso fare?”. Rifletté per qualche istante, poi decise di non dire nulla alla madre. Corrucciò lo sguardo verso il sole, diede un’occhiata al galleggiante immerso nell’acqua e socchiuse delicatamente gli occhi. Tornò ad aprirli che il sole stava tramontando. Si stiracchiò e ritirò la canna da pesca, controllando l’amo e constatando che l’esca era stata mangiata. Era andato a pesca per portare un bel pesce al villaggio e per dividerlo con Lana, la ragazzina per la quale faceva qualsiasi cosa.
Diede un’ultima occhiata al mare prima d’arrendersi a tornare a mani vuote, poi un riflesso dell’acqua richiamò la sua attenzione, portando il suo sguardo a nord. Allora lo vide. A poche centinaia di metri dalla riva c’era l’ombra d’un enorme galeone, il più grande che lui avesse mai visto, ed erano in arrivo decine di barche pronte a entrare nel piccolo golfo che abbracciava la spiaggetta nella quale si trovava. Gipsy rimase immobile per diversi secondi indeciso sul da farsi. Aveva sentito storie di pirati che aggredivano le imbarcazioni al largo, depredandoli del pesce che avevano pescato, ma sembravano per lo più leggende, racconti di pescatori ubriachi. E mai nessuno aveva visto i fantomatici pirati avvicinarsi alla riva. Mentre le remate avvicinavano le barche alla riva, Gipsy pensò di scappare verso il villaggio, avvertendo tutti che c’erano i pirati!. Si voltò e abbozzò un paio di i, poi una folata di vento gli appiccicò la tunica al petto. Ne sentì la morbidezza, l’abbraccio. Pensò a come lo avrebbero preso in giro i compagni se quelli non si fossero rivelati pirati, bensì ambasciatori di chissà quale terra lontana. Pensò alle risa dei compagni. E se invece avesse accompagnato gli stranieri al villaggio? Proprio lui! Anche se fossero stati pirati cosa avrebbe potuto temere? Non aveva nulla e non poteva perder nulla. I pirati erano meno minacciosi delle risa a scuola. Tornò sui suoi i. Con i piedi scalzi s’avventurò e attese l’arrivo delle barche. Si avvicinavano sempre di più. Avevano vesti lavorate e strani cappelli. No, non potevano essere pirati: nei racconti si parlava di gente sporca, trascurata. Erano ambasciatori! Il viso gli si riempì di gioia. Corse in acqua agitando il braccio e sorridendo. La prima persona che vide fu un uomo completamente avvolto in un mantello nero, con il bavero alzato e il volto coperto; solo gli occhi si riuscivano a distinguere.
Era ormai a pochi metri. Gipsy gridò entusiasta: “Benvenuti!”. L’uomo alzò un braccio ed estrasse un bastone che allungò al ragazzo. Lui fece per raggiungerlo allungandosi quanto più poteva, con l’acqua che gli bagnava la tunica fin sopra la vita, felice come il giorno in cui incontrò per la prima volta Lana e la vide in tunica rossa, con quei suoi capelli neri che le incorniciavano il viso. Poi un dolore lancinante al petto, e il respiro si bloccò. Gipsy non comprese se avesse udito prima il colpo, che ancora rimbombava nella sua testa, o se avesse avvertito il dolore che gli bruciava il costato prima ancora del rumore. Aveva visto il bastone dell’uomo in piedi sulla prua della barca muoversi di scatto, e ora quel poco di luce che il sole regalava luccicava lungo la canna di quello strano bastone, che non sembrava di solo legno. Gipsy era stato colpito da qualcosa e la sua tunica s’era sporcata di sangue. Il dolore gli riempiva la testa, mentre il respiro tardava a tornare e lui si spingeva indietro verso riva, aiutandosi con le onde che lo cullavano con una delicatezza inopportuna. Sentiva la sabbia cedere sotto i suoi talloni, mentre camminava goffamente al contrario e veniva superato dalla barca che si arenava, e dalla quale iniziavano a scendere uomini dall’aria seria. Gipsy non respirava. Non ci riusciva. Provava a prendere aria, ma il petto non si gonfiava e il panico bloccava ogni suo tentativo di reazione, concedendogli solo quell’affannosa corsa lenta, a o di gambero, alla ricerca di una salvezza irrazionale. Quando la schiena toccò il bagnasciuga, l’ultimo lampo di speranza si spense negli occhi del giovane. Quel che poteva l’aveva fatto: s’era spinto fino a terra, compiendo quel tragitto di pochi metri come se fosse servito a qualcosa. Un pizzico d’aria soffiò nei polmoni e gli consentì di vedere la figura d’un uomo che gli si avvicinava. Provò ad alzare un braccio, ma il tentativo fallì prima ancora che concretizzasse il pensiero e il suo corpo supino cominciò a tremare.
L’uomo aveva una sorta di sciarpa e un cappello che gli lasciavano visibili solo gli occhi inespressivi. Gipsy cercò umanità in quello sguardo che non tradiva emozioni e vi trovò un sorriso, poi s’accorse che l’uomo era una donna e che quel cappello altro non erano che neri capelli lunghi. Anche la sciarpa non c’era più, e al suo posto le rosse labbra di Lana gli suggerivano frasi che lui non comprendeva. Le onde lo cullarono altre tre volte; alla quarta smise di tremare e quando l’acqua si ritirò, gli occhi di Gipsy erano sbarrati, come se il mare avesse rubato l’anima del giovane con una delicata carezza. L’uomo che lo guardava si chinò verso il corpo senza vita e mise la mano tra i lunghi capelli del cadavere. “Rufus, Signore...”. Egli si voltò. “Signore, gli uomini sono tutti a terra. Stabiliamo la base a riva?”, disse il soldato che chiamava l’uomo che era in piedi, con la schiena lievemente piegata e che continuava a fissare Gipsy. Rufus fece cenno di sì con la testa, poi guardò il contenuto della sua mano. Il fiocco rosso era asciutto.
Quella città senza nome
Lana era intenta a stendere i panni appena lavati sulla corda nel retro della casa in pietra, costruita dai genitori e terminata poco prima della sua nascita. Aveva gli occhi socchiusi a causa degli ultimi raggi di sole che la giornata stava regalando agli abitanti della comunità; era già visibile la luna nel cielo, e la ragazzina andò a cercarla sul profilo delle montagne a sud, con un’espressione seria ma rilassata. Le piaceva quel momento nel quale il giorno e la notte si rincorrevano. I capelli lisci e scuri di Lana erano raccolti in una coda legata da un cordino nero
che li tirava, dando risalto agli occhi grandi e puliti della giovane quindicenne. Era sola nel giardino che attorniava la villa dove abitava lei con la sua famiglia. Lana camminava nel prato e guardava in direzione della strada che portava al mare. Attendeva con ansia che comparisse Gipsy, e che la faccia ospitasse il solito sorriso che riempiva spesso il suo viso. Lei attendeva il suo miglior amico, per vedere con quale pesce sarebbe tornato. Poi volle stupire se stessa e si avviò nella casa, accelerando il o. Spinse la porta e si poggiò sul divano. Provò a chiudere gli occhi, ma si rese conto che la sua mente aveva iniziato a galoppare in cerca dei ricordi del suo amico bellissimo. A Lana piaceva Gipsy, con quel fisico robusto e il fiocco rosso sempre in testa. Accarezzò il cuscino del divano sul quale era sdraiata tenendo gli occhi chiusi, poi allontanò la mano dal divano per distendere il braccio e sentì sulle sue dita una capigliatura che era lontana dalla sua testa. Aprì immediatamente gli occhi e guardò in quella direzione, sperando di vedere Gipsy che le avesse fatto una sorpresa e si fosse nascosto vicino al divano per darle il bentornato, invece trovò un loro amico che si era introdotto nella villa. “Cosa fai qui?”, gridò Lana. “Stasera mi sento solo. Prima che faccia definitivamente buio, cercavo la compagnia della ragazza più bella del luogo. Lana, sei bellissima e lontano da te non voglio stare”. “Ma... sei impazzito?”, rispose Lana, intensificando il suo sguardo serioso. “Vieni da me a farmi questa dichiarazione d’amore quando sai benissimo che io sto sempre con il tuo amico Gipsy, e che non credo di voler bene a nessuno quanto ne voglio a lui!”. Sergio abbassò lo sguardo e indirizzò la vista al lato di Lana. “Lo sai che Gipsy mi sta simpatico. Lui è simpatico a tutti. E lo giudicano bello anche in tanti, soprattutto in tante. È un ragazzo fortunato, simpatico e bello. Io non sono venuto a sfidare il suo cuore, ma ad aprire il mio a chi lo merita. Gipsy ha già avuto tanto nella sua vita. Se tu diventassi la sua donna non avrebbe più nulla da chiedere e si sentirebbe... completo”.
Lana toccò il mento di Sergio con le dita della sua mano e gli fece girare la testa in direzione del proprio viso. “Lui si sentirebbe completo se divenissi la sua compagna, ma sarebbe la stessa cosa, forse, anche per me. Io forse lo amo”, e gli occhi di Lana brillarono, accompagnando questo evento con un sorriso. Sergio abbassò nuovamente gli occhi. Guardò la vita magra di Lana che aveva una tunica rossa a vestirla. Lo fece per pochi secondi, poi tornò a incrociare il suo sguardo e le disse: “Lui mi è simpatico, ma se avesse anche te sarebbe troppo! Se non ti piaccio significa che lui è enormemente fortunato. Ma sappilo, prima o poi la fortuna in questa vita termina!”, poi si voltò e si diresse verso la porta. “E ricorda che Sergio sarà sempre qua. Se sarai fortunata anche tu, ti aspetterò”. Poi aprì la porta e s’avviò verso la festa della compagnia nella quale vivevano. Molti, i luoghi pieni di case, li chiamano “paesi” o “città”. Questo era un posto enorme e pieno di alloggi, indi per cui si dovrebbe chiamare “città”, ma questo non era ancora un termine usato in questo Stato del Resto. I cittadini restii non sapevano ancora di vivere in quello che era considerato uno Stato del Resto, quindi non conoscevano neanche il nome di quello che gli stranieri reputavano uno Stato. Non sapevano neanche il Resto, e scusate la lettera maiuscola, ma in questo caso non sarebbe neanche un errore esagerato. Lana smise per qualche minuto di pensare a Gipsy, fino a che la sua assenza non cominciò a turbarla. Stava accettando il fatto di amarlo e, per non attenderlo molto di più, s’incamminò verso il mare indossando il suo sorriso, per accoglierlo giustamente nel momento in cui lo avrebbe incontrato. Si era avviata perché non voleva attenderlo, né, soprattutto, farsi attendere da Sergio. La testa di Lana si riempì di pensieri mentre camminava. Lei non voleva attendere né farsi attendere. Camminò per ben un’ora, incontrando tanti compagni della sua compagnia (la chiamerò Compagnia d’ora in poi) che la salutavano felici di vederla. Poi fece un tratto di strada in cui non incontrò nessuno. Stava per arrivare al mare e là vicino c’erano poche case. Mentre camminava tenne lo sguardo a quello che era un sole che stava per sparire dietro il mare, giudicando lo spettacolo bellissimo. Amava i tramonti. La sua vista venne distratta e rapita dallo spuntare di molti uomini che
camminavano verso di lei. Lana notò che erano persone con vestiti puliti e vide che erano coperti dagli stessi colori. Rimase incuriosita e li attese praticamente immobile. Rufus arrivò di fronte a lei e disse: “Sei del Resto. Io sono dell’Ordine. Dimmi che per te è un piacere vedermi o ti farò sparare dai miei uomini. Siete in guerra e tu sei la prima persona ancora viva a saperlo!”. Lana scosse la testa per far spazio alle idee e disse: “Sono del resto di cosa?”. Rufus s’arrabbiò e gridò: “Eh! Puntatela e sparategli appena vi darò l’ordine!”. Mentre lo diceva pensò che gli dispiaceva uccidere una così bella ragazza senza aver approfittato del suo corpo in maniera gratuita. Lana alzò la voce e disse: “Cosa significa ‘sparare’? Poi mi hai detto che sei dell’ordine e vuoi dare un ordine a questi uomini... perché? I tuoi amici fanno tutto ciò che chiedi? Ma siete pirati? O venite dall’altra parte della muraglia?”. Rufus comprese che la ragazza poteva essere ancora utile, perché in quel luogo non sapevano neanche il nome dell’Ordine e del Resto. “Potresti essere fortunata. Ti lascerò vivere finché farai quello che voglio. Dovrai parlare ai tuoi concittadini di noi, prima di noi. E cercare di spiegargli che loro dovranno imparare a ubbidirci per fare il nostro e soprattutto il loro bene. Noi siamo dello Stato che si chiama Stato dell’Ordine! Tu potresti diventare la nostra voce amica per divenire il massimo governo del Resto. Portaci alla tua città. Ed è importante che tu mi dica anche il suo nome”. Lana: “La città? Cos’è la città? E vorreste governare cosa?”. “Dimmi dov’è il tuo villaggio. Dove sono le case? Mi fai incazzare, stupida bambina! Portaci da quelli che comandano qua. E quando dico ‘qua’, non pensare alla politica. Voglio i comandanti delle case nelle quali abitate!”. “Io posso portarvi alle case”, rispose Lana “ma comandanti qui non ce ne sono. Non c’è neanche quella che chiami politica”, e il suo viso divenne triste perché non era abituata a sentire voci così alte rivolgersi a lei. Rufus la guardò con un occhio che tremava per la rabbia: “Va bene, portaci in quella città senza nome”. Gli uomini e Lana cominciarono a camminare verso la compagnia... anzi, forse è
meglio chiamarla con la “c” maiuscola: Compagnia. “Dove diamine è questo villaggio o paese o città o come accidenti lo chiamate il posto con le case?”,disse Rufus già furente d’aver sprecato tanto tempo per iniziare una guerra. “Guarda, quel posto sarebbe una compagnia, e manca poco”. “Ah... bene. La Compagnia sarà quindi il primo posto nel quale dovremo convincere i tuoi compaesani a divenire parte del nostro popolo”. S’accese sempre più il riflesso della luna, e s’avvicinò la notte. L’esercito ordinario, mentre avanzava, osservava i luoghi che scoprivano per la prima volta. A tutti piaceva molto, e attendevano con trepidazione il momento in cui avrebbero invaso Compagnia. Rufus notava questa emozione negli occhi dei suoi uomini, e disse: “Entreremo in quella città senza sparare troppo. All’inizio dovremo incutere paura a questi imbecilli”. Egli pensava davvero quello che diceva, e questo era un suo vizio: dare gli ordini per le cose in cui credeva; ecco un motivo per il quale era divenuto un personaggio così importante nell’Ordine. Cominciarono a vedere le case, ma all’interno non vedevano nessuno. Le case erano vestite di colori accesi, tutte senza mura o cancelli che ne obbligassero l’entrata. Gli uomini guardarono ma non dissero nulla. Ogni volta che i soldati vedevano qualcosa di strano volgevano lo sguardo verso il capo Rufus per vedere come reagiva; ma a lui non c’era nulla che suscitasse emozioni particolari. In realtà non ne dimostrava mai da quando era in vita. Riusciva a tenere tutti i sentimenti dentro di sé, senza tradirsi mai. Per lui il tradimento comportava la morte. Cominciarono a vedere qualche persona poco prima di entrare in una piazza. Tutti quelli che li videro si domandarono chi fossero questi stranieri, e a qualcuno venne la paura che fossero pirati. Le donne e le ragazze trovarono qualche uomo interessante, anche se vestito male, e gli si avvicinarono sorridenti iniziando una discussione che non prese il via con nessuno degli ordinati. Loro guardarono le donne e a molti quelle vestite pochissimo piacevano, ma rispettavano l’ordine del capo e non parlavano con la bocca, ma gli sguardi non erano muti e, anche se non accennavano sorrisi, il loro interesse era evidente. Sentirono la musica. “Bell’uomo, mi faccia ballare”, era la frase più adoperata
dalle restie nei primi momenti in cui la musica li sorprese. Rufus cercava quelli che apparivano gli uomini più inclini a essere comandanti, ma quelli che vedeva erano tutti vestiti in maniera assurda e colorata. Quando arrivarono al centro della piazza, il capo alzò le braccia e attese che la musica terminasse; poi gridò un “Eh!”, richiamando l’attenzione di quasi tutti i presenti. “Sono Rufus, l’uomo dell’Ordine. Con chi posso parlare per quanto riguarda il vostro Stato? Chi comanda qui?”. Uno dei restii s’avvicinò a Rufus. “Comanda... cosa? Ognuno fa quel che vuole nel rispetto degli altri”. Dietro questo uomo di una trentina d’anni ne comparse uno della stessa età che disse: “Forse qualcosa avrei capito io. Spesso parlo con quei pirati che a volte vanno dall’altra parte della muraglia. Loro sono riusciti a scendere a terra qualche volta, a differenza nostra, e hanno sentito anche come sono organizzati. Capire non l’ho capito molto, ma sembrano stranissimi rispetto a noi e alla vita!”. Rufus si rivolse a quest’uomo: “Siamo venuti a portare la democrazia! Voi non la conoscete perché siete ignoranti, ma vi farò divenire una nazione ordinata, che potrà decidere chi comanda tra le nostre due personalità politiche. Voi non sapete che...”, e l’uomo che aveva parlato prima tentò nuovamente di farlo: “Da quello che m’hanno detto i pirati noi non riusciremo mai a decidere nulla. Decideranno tutto loro”. Rufus spostò lo sguardo verso un suo soldato e fece un gesto affermativo con la testa. Il soldato prese in mano il fucile, mirò all’uomo, e in pochissimi secondi gli sparò. Tutti i presenti restii saltarono, impauriti dal colpo, e videro quel trentenne che cadeva a terra. Morto. Rufus guardò nuovamente tutti e disse: “Una volta era una città senza nome. Da oggi si chiama Compagnia!”.
La muraglia è una scelta
Erano oramai quasi dieci giorni che Bongio e gli Orfanelli Disordinati
viaggiavano verso sud, evitando le dritte strade dell’Ordine e tenendosi ben lontani dalle città, camminando sempre al riparo dagli sguardi indiscreti dei facchini che ben sapevano la taglia di 50 monete a bambino che pendeva sulle teste del gruppo. “Hai fatto bene a rimanere con noi, Fiocco Rosso”, disse Ralph. “Ecco... certo, certo. Solo che per un uomo della mia stazza, capirai... non è così facile camminare così tanto e alle volte correre per fuggire da questi uomini che vogliono ucciderci. Risulta strano per me. Nella mia terra, che io qualche giorno fa ho nominato incosapevolmente il ‘Resto’, non c’è nessuno che vuole uccidere nessuno. Gli uomini più pericolosi che puoi incontrare sono i rarissimi pirati, che vivono in mare e ogni tanto tornano a terra e vogliono mangiare”. Intervenne Piggy, tirando il braccio a Bongio. “E questi pirati vogliono uccidervi per avere cose da mangiare? Cioè, vengono dal mare, sbarcano e... ma non c’è nessuno che gli impedisca di uccidervi ed entrare nel vostro Stato?”. “Ma loro non uccidono nessuno. Almeno io non ho mai saputo nulla di queste fantasiose avventure in quello che definisci il nostro Stato. Ecco... loro... loro, i pirati intendo, vogliono mangiare e cercano di conquistare le donne. E... ecco... qualche volta riescono pure a rimediare l’abbraccio di qualcuna”, disse sorridendo Bongio. “Vengono dal mare nel vostro Stato e si fanno pure le vostre donne. E poi mangiano. Cazzo! Manca solo che gli cuciniate e gli diate qualche moneta vostra”, disse Piggy ridendo e guardando Ralph, che accennò una risata. “Avete questo vizio assurdo di riconoscere proprietà inesistenti in questo... come si chiama? Ah... Ordine! Dite sempre ‘vostro’, ‘nostro’... e non capite che molte cose non hanno un padrone! Le donne fanno parte della terra allo stesso modo di noi uomini. E non sono nostre, né vostre. Le donne e gli uomini devono essere liberi”. “Vuoi che tutti siano liberi, Bongio? Ti senti quindi il padrone di tutto”, disse Ralph tornando serio ed enfatizzando sicurezza. “Sappi che chi vuole troppa libertà rende gli altri schiavi”.
Bongio accese gli occhi e assunse uno sguardo stupito: “Come? Se io sono libero e voglio che tu sia libero non posso trasformarti in uno... com’è che li chiamate qui... ah ecco... schiavo!”. “Sarebbe un lavoro immenso per tutti cercare di rendere questa cosa possibile in uno Stato. Come si farebbe ad avere un esercito?”, disse Piggy che si stava infastidendo nel sentire parlare Bongio in questo modo. Ralph invece cercava di capirlo, guardando entrambi. “Da noi non lavora nessuno per essere libero. Del Resto, e lo dico con la erre maiuscola, è naturale essere liberi”. Piggy fece un gestaccio verso l’omone e continuò a camminare; Bongio lo guardò, alzò un poco lo sguardo e vide il muro, riuscendo perfino a leggere la scritta ‘Ordine’, sebbene fossero ancora distanti. “Ecco... siamo alle mura! Guardate!”, urlò l’omone; poi finse una corsa per due i e tornò a camminare. “Ora sarà pieno di uomini dell’esercito”, disse Ralph guardando l’omone. “Quelli ci spareranno non appena ci vedranno, accidenti”. Bongio lo guardò più serio di prima e disse: “M’avete già spiegato in cosa consiste ‘sparare’ e ho sentito dei colpi quando scappavamo. Questi vi sparano anche quando non siete con me? Ma voi cercate di rimanere liberi. In fondo tra noi e voi non cambia poi molto”. “Sto cercando di capire se siete più pazzi voi o noi”, disse Ralph. “È pazzo chi non capisce entrambi, ecco! Ed è anche schiavo!”. “Tu un po’ pazzo lo sei, Fiocco Rosso”, disse col volto allegro Ralph, pensando ai discorsi privati che avevano fatto negli ultimi giorni. “Vi sembro pazzo soltanto perché non baso tutto sul lavoro del cervello. Sono libero anche di pensare, senza obbligare il mio cervello a lavorare solo sul mio benessere e desidero il meglio per tutti noi”. Ralph voltò lo sguardo e continuò a pensare, poi cercò di convincersi a tornare a camminare verso i rischi e comprese che non lo faceva solo per lui, ma per tutti.
“Forse sono pazzo anch’io”, disse a bassa voce. Bongio non riuscì a sentirlo, ma il fatto d’apparire pazzo a una popolazione ch’era sconosciuta lo rese un po’ triste e s’immaginò aggrappato a quella lancetta con la terra sottostante che lo chiamava. Ma lui non voleva cedere e lasciare la presa. Mancavano due minuti a mezzogiorno e lui era, nella sua testa, vicinissimo alla lancetta dell’ora che rischiava, solo in maniera immaginaria, di schiacciarlo. I ragazzini e l’omone s’avvicinarono alla muraglia, nascondendosi un po’ qua e un po’ là, dietro agli alberi che riempivano la distanza. Vicino alla muraglia c’era una sorta di foresta e sopra il muro, che era alto almeno venti metri, c’era un aggio all’aperto nel quale si davano il cambio i soldati che controllavano la foresta dell’Ordine e ogni tanto quello che avevano scoperto dalla voce del Primer qualche giorno prima si chiamava Resto ed era probabilmente in guerra con loro.
Quella che sa ancora poco
La nave terminò il suo viaggio e iniziò ad attraccare nel famoso porto dello Stato dell’Ordine. Lana era stata portata da Rufus e da qualche soldato dell’Ordine sotto esplicito ordine di Precisino, l’Opposter del Primer, che voleva a sua disposizione qualcuno del Resto con il quale parlare. Del resto era ovvio. La giovane ragazza era curiosa ma anche impaurita dal modo di fare di quegli stranieri, che nei giorni scorsi aveva visto comportarsi in maniera assurda rispetto a come aveva imparato a vivere lei. Loro si sentivano padroni di tutto nella Compagnia e facevano fare quello che loro volevano ai suoi compagni e ai suoi familiari, obbligandoli e intimorendoli con quei bastoni che loro chiamavano fucili e che tutti avevano capito che potevano anche uccidere se sputavano un colpo in direzione di qualcuno. Quindi i soldati puntavano, ordinavano, e i compagni del Resto, intimoriti, facevano ciò che loro gli chiedevano. All’inizio i soldati impiegarono un po’ di tempo a farsi comprendere e molti compagni furono feriti, anche perché i soldati usarono il fucile come un bastonemattarello per picchiarli. Qualche altro colpo, oltre a quello che uccise il primo
detrattore, partì, ma mirarono agli arti e, nonostante non ne uccisero immediatamente altri, i colpiti soffrirono e qualcuno non risultò salvo completamente neanche dopo i primi giorni d’aggressione dell’Ordine al Resto. Nel Resto nessuno si abituava rapidamente a obbedire agli ordini perché erano allenati a rispondere a domande che avessero una logica a favore di tutti. E loro la logica ordinata non la comprendevano. Lana era stata trattata meglio rispetto agli altri perché era stata protetta dalle indicazioni date ai soldati di Rufus. Il sole era nella mattinata e Lana riuscì a vedere una città che abbracciava il mare e tanti uomini vestiti tutti in maniera simile. Anzi, uguale. I facchini presero la corda che venne lanciata a terra dai soldati e la legarono. Di corde ne vennero lanciate altre cinque, con le quali venne avvicinata la nave al molo e Lana si diresse verso il ponte per sbarcare. Rufus era alle sue spalle e la guardava con la voglia che attacca il padrone. Lui voleva possedere il bel corpo della ragazza pur sapendo che lei era molto giovane. L’aveva imbarcata e scelta come relatrice anche per riuscire ad avere qualche momento di solitudine con lei che, secondo Rufus, era l’unica restia che poteva comprendere le leggi dell’Ordine per poi spiegarle a tutta la popolazione del Resto. In effetti non pensava fosse l’unica, ma era la migliore da portarsi dietro per accontentare le sue voglie che non erano solo fisiche, ma anche emotive. E questo lo faceva pensare spesso negli ultimi giorni; erano sentimenti strani per lui. Lana fece il o che la trasferì nell’Ordine mentre molti sconosciuti la guardavano con espressione seria. Rufus la fece camminare per pochi metri, poi alzò il braccio chiamando il facchino che guidava una carrozza e che lo aspettava da qualche ora all’ombra di un albero. Il facchino venne subito e, appena fermò la carrozza, lui scese in maniera ordinata e spedita, gridando il solito “Eh!”. Rufus indicò l’entrata a Lana che montò subito a bordo e si mise seduta. Poi entrò Rufus e si sedette di fronte a lei, dando le spalle al facchino che si mise subito a frustare i due cavalli per portarli il più velocemente possibile dall’Opposter. Lana guardò l’uomo che aveva di fronte, poi spostò la sua vista verso le strade
della città. Rufus la guardò e le disse : “Ti piace Porto, stupida ragazza?”, e lo disse come al solito senza sorridere per niente. “Il porto non è brutto, ma le case hanno tutte colori tristi e...”. “Ho detto se ti piace Porto, non il porto, stupida!”. Lana lo guardò perplessa: “Cioè?”. “Questa città si chiama Porto e la tua Compagnia, è chiaro?”. Rimase qualche secondo perplessa, poi: “Se sta bene a te, deve stare bene a tutti?”. “Ti odio, ma ti voglio, stupida ragazza”. “Cosa vuoi di me?”, disse Lana con aspetto interrogativo. “Quando potremo, mi darai il tuo corpo”. Lana rimase allibita ma non disse nulla, tornando ad ammirare le strade e cercando di dimenticare la frase che aveva appena sentito. Arrivarono presto nel palazzo nel quale li aspettava l’Opposter. Lana vide la struttura e la reputò pessima. Non v’era arte nel modo in cui era fatta e le venne in mente che sinora non aveva visto arte in nessun luogo a Porto. E non le era capitato di vedere neanche donne durante il tragitto. Scesero dalla carrozza e iniziarono entrambi a salire la scalinata che portava all’entrata del palazzo. Salendo, lei si voltava a destra e a sinistra per capire bene in quale luogo era stata condotta. Dietro di loro Lana vide che il facchino fece ripartire i cavalli allontanando la carrozza. Rufus era vicino a lei, ma questa presenza non la tranquillizzava, e non era solo impaurita per la cosa che le aveva detto prima; lei non lo reputava la persona ideale che la accompagnasse a scoprire un territorio nuovo e così triste. Arrivarono, dopo un corridoio che sorprese Lana perché aveva le murature gialle e il pavimento e il soffitto neri, a una porta con due soldati ai lati, e dietro di loro comparivano le scritte ‘Qua’ e ‘Là’. La ragazza non ne aveva sentito parlare per niente, neanche da Rufus, che in qualche maniera sembrava spiegarle quali
fossero i gesti ordinati e quali fossero le leggi da rispettare, in maniera niente affatto gentile. “Cosa sono questo Qua e questo Là?”. “Ora parlerai con l’Opposter, lui ti spiegherà tutto quello che gli chiederai, ma fallo in maniera gentile ed educata!”. “Uhm... esattamente come ti sei comportato tu nei confronti dei miei compagni o nei miei confronti?”. Lo disse sorridendo e sentendosi superiore a quello che voleva comandarla. I due soldati fecero il solito gesto quando riconobbero Rufus e gridarono “Eh!”. Aprirono la porta e fecero entrare entrambi, scrutando con attenzione Lana. Fecero qualche o e videro venirgli incontro l’Opposter Precisino. “Oh... Rufus, bentornato. E questa ragazzina chi è?”, disse lui guardandola. “Questa è Lana. A mio avviso la testa migliore che hanno nella Compagnia. Ti ho portato lei perché immagino possa comprendere quello che hai da dirle e possa riferirlo, in maniera corretta, ai suoi compagni restii”. “Ma lei è giovane. Ed è donna! Possibile che non ci sia un uomo che abbia un po’ di sale in zucca?”. “Questa è intelligente. E bella. Io l’ho portata a te; poi me la porterò al letto”. “A me non piaci per niente, Rufus del cavolo! Per niente! E non mi stai neanche simpatico! A me piace un ragazzo di... come lo chiamate? Ah sì, del Resto. Si chiama Gipsy. Potrei diventare la sua compagna. Tu non farti illusioni. Io non ti voglio!”, disse Lana mostrando un po’ di rabbia. “Chi cazzo sarebbe questo Gipsy? Stupida!”. “È un bel ragazzo che non si copre il volto esageratamente come fai tu. Ha sempre un sorriso e quel bel fiocco rosso che gli lega i capelli. Tu invece hai sempre quel berretto in capo! Lui è mille volte meglio di te, ed è anche molto più giovane”.
Rufus, mentre Lana parlava, mise la mano nella sua tasca e prese il fiocco del ragazzo ucciso al loro arrivo nel Resto. Lo tirò fuori e lo mostrò alla ragazza. “È questo il fiocco di cui parlavi?”. “Incredibile! Questo è il suo! C’è anche quella lettera ‘L’ che gli ho cucito sopra io! Ma dove l’hai preso? Lui non si è fatto vedere mai da quando siete arrivati a Compagnia. L’ultima volta che l’ho visto era andato a pescare e... aspetta, voi siete venuti dal mare mi hai detto. Forse vi ha visto prima di noi altri ed è scappato”, disse Lana parlando di quello che aveva pensato diverse volte da quando aveva visto gli stranieri nella sua compagnia. Anzi Compagnia. Rufus fece quello che non aveva mai fatto sino ad allora davanti a Lana. Sorrise. E le disse: “Gipsy è stato il primo a vederci e a provare a parlarci. Ma io l’ho visto incamminarsi velocemente verso di noi e l’ho ucciso con il fucile”. Lana sbarrò gli occhi e non disse nulla. Poi fece movimenti morbidi con la testa, in avanti e indietro, infine perse la sensibilità alle gambe battendo la schiena e la nuca a terra. Svenne. “Ma non potevi aspettare un po’ per diglielo, Rufus? E potevi farlo in maniera più delicata!”. “Senti Precisino. A me non devi dare ordini, ma suggerimenti!”. “Scusa Rufus, ma questi erano suggerimenti. Anche se il tono sembrava quello degli ordini. La faremo riprendere, poi le parlerò”. Rufus si voltò e s’incamminò verso l’uscita del palazzo. Aveva ricordato di dover are dal Primer.
Un futuro
Freddino Giusto, il Primer, era nella stanza del suo palazzo. Aveva mille cose per la mente e un solo nome con il quale confabulare.
Bussarono alla porta ed entrò un facchino. “Eh! Primer. Abbiamo visto Rufus che è arrivato al palazzo con la carrozza. Lo faremo entrare nella sua stanza?”. “Sì! Ma bussate prima di farlo entrare”. Sentì la felicità immotivata crescere dentro di lui. Freddino attendeva Rufus con ansia. Dopo pochi minuti si fece avanti, lo fece entrare e lo accolse con un quasi sorriso. Fece lo stesso Rufus, rimanendo più distante del Primer da un sorriso lampante, che trasmette contentezza nel vederlo. I due s’avvicinarono ed esordì Freddino: “L’hai portato qualcuno del Resto? Ci sta parlando Precisino?”. “Gli ho portato una ragazza. Speriamo ci parli soltanto perché è anche molto bella e la reputo mia”, disse Rufus avvalendosi di quella proprietà anche con lo sguardo, appesantendolo con il movimento a scatti della pelle su un lato del naso. “Perché una donna? Non m’avevi mai detto che da quei tonti comandassero le femmine”, chiese Freddino. “Non comandano le femmine e a te, ossia il Primer del mio Stato, ho detto sempre tutto”. “Va bene Rufus, sai che ho rispetto nei tuoi confronti. Io devo sempre sapere tutto! Conosci il mio ruolo. Io comando!”. Rufus abbassò la testa e la dondolò su e giù per simulare un sì e un’approvazione. Freddino volle fargli un’altra domanda: “Ma Precisino lo ha capito che prendi molti ordini anche da me? E cosa sa del Docrosto?”. “Gli ho detto quel che mi hai autorizzato a dirgli, Primer. Non sa le tue ipotesi sull’utilizzo di questo materiale”. A Freddino comparve nuovamente un abbozzo di sorriso: “Stiamo organizzando il futuro, mio caro Rufus. Io comanderò ancora per molti anni e tu potresti essere
una sorta di secondo, ovviamente non ufficiale. Con il Docostro potremo fare anche quella cosa che stanno studiando gli scienziati da quando gliene hai portato un po’ sotto mio ordine. E mi hanno detto nuovamente quello che volevo sentirgli dire, e cioè che questo materiale potrà far camminare una... aspetta che non ricordo il nome...”,Freddino s’accarezzò il mento e pensò. “... Locomotiva! Quella che trasporterebbe le carrozze senza cavalli! Quindi potremo far viaggiare la gente e i materiali in tutto lo Stato. E faremo rotaie anche nel Resto e in quei due stati del nord. Fingeremo una comunità felice sotto il mio volere. E il Docostro diverrà il materiale più costoso di tutti gli Stati, così potrai guadagnare molte monete anche tu come ti ho promesso!”. “Dicesti che potevo prendere il 20%. Ma questa storia del ‘secondo non ufficiale’ cosa significa? Dovrò uccidere Precisino e diventare l’Opposter?”. Freddino tornò estremamente serio: “Quello è il mio fratello! Così dicono. Non ho certezze ma sappiamo tutti così da quando siamo nati, e la verità è quello che fai credere al popolo. Non ti dirò mai d’uccidere il mio ufficiale fratello. Dicono che questa cosa non sia mai successa da quando la nostra famiglia Giusto governa l’Ordine!”. Rufus dimostrò che sentiva d’aver sbagliato idea con gestualità accentate, anche se in realtà non lo pensava. “Era solo una domanda Primer. Lei lo sa che ho buoni rapporti con Precisino e... anzi, per lui e per il popolo io sono un Là! Quindi sarebbe questa la verità, Primer”, e abbozzò nuovamente un quasi sorriso. “La verità è quello che vogliamo noi! Il Primer e l’Opposter, ma a noi servono voti per diventare Primer e quello che facciamo credere al popolo è a nostro favore!”. Rufus fece ancora sì con la testa e Freddino disse: “Lo sai che nel nostro Stato comanda il Primer, ma si diventa importanti anche se si è ricchi. E questa è la tua strada”. “Potrei divenire più ricco dell’Opposter?”. “Penso che questo possa accadere. Farò in modo che Precisino abbia il 10% delle monete sul Docostro”.
Lana si svegliò dopo un’ora e vide Precisino seduto su una sedia accanto al letto. Lui la aspettava con gli occhi ben aperti, fissandola. E quando Lana mosse la testa, vide anche un facchino con un camice bianco che guardò l’Opposter con un’aria interrogativa e lui che gli fece, con la mano, il segno d’andare via. Il facchino ubbidì. “Ha ucciso davvero Gipsy quell’uomo di nome Rufus?”. “Sei svenuta per questo, ragazzina?”. “Se è vero, voi siete dei pazzi!”, e Lana tornò a piangere, mischiando sofferenza e rabbia. “Non pensare a quello che è successo e a quello che non hai più. Pensa a quanto diverrà bello il Resto ora che fate parte del nostro popolo”. “Noi non ne facciamo parte liberamente. Ci state costringendo! E avete ucciso il mio amore!”. Terminò la frase singhiozzando e tornò a piangere. “‘Il mio amore’... Ma non avete detto che non possedete nulla? Rufus non ha ucciso una persona tua. Ha ucciso un ragazzo che sembrava pericoloso”, disse Precisino. “Per lui non era possibile sembrare pericoloso! Lui rideva spesso, non come fate qui che siete tutti tristi! E poi non ho detto che era la mia persona, ma il mio amore”, e il pianto sbottò nuovamente. “E cosa sarebbe questa cosa che chiami ‘amore’? Qualche scienziato me ne ha parlato, ma non l’ho mai capita. Ora non ne sei più schiava”. Lana si asciugò gli occhi con la mano: “Non sei schiavo quando lo hai. Sei totalmente vivo! E libero!”. “Sei viva anche adesso, ragazzina. E sei libera.Ti impedisco solo di fare del male in maniera insensata agli altri del mio popolo”. “Io non farei male a nessuno. Perché dovrei farlo?”, disse Lana inorridita.
“Non lo so... Per vendetta, o per rubare. Noi qui abbiamo delle proprietà e vietiamo di rubarle”. “Questa cosa ce la disse Rufus. Ma a me sembra pazzo anche questo rischio! Se non hai nulla di tuo non rubi nulla agli altri che non sono proprietari!”. “Scoprirai la bellezza della proprietà grazie a noi, ragazzina. E perderai la paura d’essere schiava di quelli che chiamate sentimenti. Anche noi li abbiamo i sentimenti, ma non ne siamo mai succubi. Lana, dovrai ascoltarmi e vedrai che il tuo modo d’essere incastrata nella ricerca di libertà mina le condizioni di molte persone in un popolo. Un popolo che si affidi alla legge. Anche tu ora sarai nell’Ordine. Tu sei dello Stato!”. Lana, con gli occhi ancora bagnati e la pelle intorno al suo sguardo arrossata, cercò d’ascoltarlo, ma si sentiva impossibilitata a farlo con esattezza ed erano i pensieri su Gipsy a legarla. Forse l’uomo che aveva di fronte non era totalmente pazzo e su qualcosa aveva ragione. Forse. Lei si sentiva imprigionata dal ricordo di quello che sarebbe dovuto divenire il suo uomo, ma ormai sapeva che questo non sarebbe più potuto accadere. “Io non ti capisco... e credo che tu ti stia approfittando di una persona debole per dare forza al tuo piano. Ma io posso tornare la ragazza che ero senza stravolgere la mia mentalità”. Precisino prese qualche secondo fissandola seriamente; poi s’alzò e le diede le spalle camminando e fermandosi davanti la porta. “Ragazzina, cominciamo dalle cose serie. Nell’Ordine le donne non lavorano, fanno solo quel che serve agli uomini che tornano a casa stanchi”. Lana guardava la schiena di Precisino con il viso di chi non vuole comprendere le parole di chi la obbliga a smettere di vivere il suo sogno. “Dimmi che c’è la possibilità che quello che avete ucciso non sia Gipsy, il mio amore...”. “Quando non ho certezze non rispondo, ma credo che Rufus non avrebbe mai
detto una bugia”.
Il saluto
Il gruppo di Disordinati e Bongio s’avvicinavano all’enorme muro che si presentava sulla loro rotta. Erano nascosti sotto l’ombra dell’infinità di alberi e cespugli che riempivano la zona. Molti erano sdraiati e guardavano tutti verso la cima della muraglia che conoscevano bene. I giovani l’avevano vista molte volte e sapevano che dall’alto i soldati sorvegliavano e potevano sparare. Vagamente la conosceva anche Bongio che, dal Resto, l’aveva vista cercando sempre di capire cosa ci fero lì sopra quelle sagome d’uomo che ogni tanto aveva visto. Ora lo sapeva. Gli avevano detto del rischio i Disordinati. Erano tutti immobili e impauriti da qualche minuto. Si erano fermati prima di attraversare un fiumiciattolo largo un paio di metri. Bongio fissava l’acqua e aveva visto che era profonda pochi centimetri. Sapeva che dovevano sorare quell’acqua per poi scavalcare la muraglia e tornare a parlare con i suoi compagni e, soprattutto, con la sua famiglia. Voleva vedere la sua compagna e i loro figli e, guardando l’acqua, iniziò a riflettere sulla sua vita e sull’incontro che aveva fatto da pochi giorni. Gli uomini non erano tutti come quelli che aveva conosciuto e si chiese quando avrebbe potuto incontrare altre società. “La vita scorre. È importante dare vita al fiume giusto per l’umanità”, disse Bongio a voce bassa, riferendosi più a se stesso che a Ralph che gli era vicino e lo osservava, mentre l’ambasciatore aveva lo sguardo fisso verso l’acqua. Bongio spostò il viso verso Ralph, e lo fece lentamente prima di dire: “Ecco... È preferibile girare alla larga dai pericoli, ma io ho bisogno di essere curato e capito, oltre al fatto di dover raccontare tutto quello che m’ha imposto il Primer. E lo so che non ho malattie, ma devo esser liberato dai mali che m’hanno scaraventato gli ordinati. Quindi è giusto dire che devo esser anche curato, mio giovane amico.
Chi vi governa vuole, e ha dichiarato di volerlo fare, essere anche il nostro padrone, allargando quella che i vostri governanti ritengono una stalla. Io sento di dover portare questa notizia ai miei compagni. Ma non aver paura per il tuo popolo. Noi, che io sappia, non abbiamo mai usato violenza nei confronti di quelli che voi chiamate soldati, quelli che provarono a entrare nella terra che si trova oltre il vostro muro. Loro sono venuti con le navi e si sono integrati senza problemi con la nostra popolazione. Ed ora si sentono liberi e felici. È vero che non sono mai stati tanti, ma qualcuno ce n’è. Ed io un po’ ci ho parlato. Ecco, non troppo, perché a loro del ato non piace parlare, ma qualche domanda sul vostro... come lo chiamate? Ah, Stato. Beh, quella l’ho fatta, e ho scoperto che prima non li chiamavate soldati, ma pirati!”. Ralph lo interruppe alzando la mano verso il viso di Bongio: “Fiocco rosso, quelli è probabile che non siano mai stati soldati, ma ve lo hanno detto per restare bugiardi. Io ho parlato qualche mese fa con alcuni di loro e sono tipi bugiardi e vogliosi di monete. Sempre!”. Bongio fece segno di no con la testa e sorrise: “Loro le monete le vogliono solo dove servono, e da noi non servono. E poi non sono bugiardi! Sono persone strane che amano il mare. E non credo che non siano stati mai soldati, perché ci hanno parlato dei fucili, anche senza averli. Loro non sono bugiardi, ma liberi. Ora lo sono!”. “Ma torneranno a essere schiavi del mare quando arriveranno gli ordinati nel Resto. O forse inizieranno a essere parte di una popolazione civile come la nostra. È quello che faranno anche i tuoi amici e parenti nel vostro Stato. Anche loro rispetteranno l’ordinazione imposta dal Primer e dalle monete”, disse Ralph, quasi non riconoscendo l’idea che stava esponendo. “Vedi, caro amico, voi di questa cosa che chiamate ‘monete’ siete schiavi. V’ho sentito spesso parlare di come rimediare una cosa che non si mangia e non cura gli ammalati. Volete le monete in tutti i modi”. “Le monete non si mangiano, ma ti fanno comprare il cibo. E non curano, ma ci fanno comprare le medicine”, argomentò sicuro il giovane. Bongio sorrise ripetendo il no con la testa: “Pensate che la felicità si possa solo comprare? Pensate che senza monete non si possa vivere? Pensate che senza governo non si possa organizzare alcunché? Come vedi io sono vivo e la
sensazione che ti ho raccontato, quella d’essere schiacciato da due lancette di un orologio, la sto provando solo da quando sono nell’Ordine. E ora, in questo preciso momento, è una sensazione estrema”. Bongio si alzò in piedi, spostando lo sguardo verso il muro. “Ma cosa fai, Fiocco Rosso! Ti do nuovamente il Pacificatore e vedrai che questa orrenda sensazione erà”. Bongio fece un o in avanti e girò la testa verso Ralph: “Non voglio più prendere quella cosa. Se entro nel Resto di sicuro starò meglio. Tornerò perfettamente e moralmente in vita. Ti saluto Ralph. Proverò ad andare da solo per non mettervi in pericolo”. Bongio salutò con la mano aperta Ralph, si girò completamente verso il muro ed effettuò qualche o nell’acqua, guardando i due alberi che gli erano davanti e immaginandoli come le due lancette che lo stavano schiacciando. Poi vide che i due fusti iniziarono a muoversi e a stringersi e lui si sentì nel mezzo, con la stretta all’inizio tra le gambe, poi sulla schiena e sul petto. Alzò la testa a guardare il cielo, che vide di colori stranissimi e accesi. E gli parve di iniziare a volare, con la stretta che lo sosteneva e il cielo che s’avvicinava. Poi sentì quella lancetta dietro al collo e mosse la testa in quella direzione, battendo il cranio sulla lancetta ma non sentendo dolore. A lui piacque volare e allargò le braccia come se fosse nell’acqua alta, come se nuotasse verso l’uscita dal mare. Ralph vide il saluto dell’ambasciatore e il suo primo o verso il Resto; poi sentì un colpo e vide delle gocce di sangue schizzare da dietro la testa dell’uomo che cadde a terra subito. Anzi, cadde nell’acqua del fiumiciattolo che dovevano superare. Strillò: “No! Bongio! Gli hanno sparato! Presto scappate o nascondetevi!”. Lo disse agli altri Orfanelli Disordinati cercando di nascondersi sempre meglio nel cespuglio nel quale era e continuando a guardare Bongio che era oramai morto.
Capitolo 2
Cercare qualcosa
Ralph era al mare e cercava di farsi un bagno per smettere di riflettere sui ricordi che spesso gli affioravano e che, fortunatamente, per i suoi nuovi ideali, non aveva mai dimenticato. Erano ati solo tre anni da quando aveva visto la morte di Bongio, l’uomo che riteneva lo avesse informato al meglio per la vita popolare planetaria, e che aveva iniziato a visitare il Resto. Aveva così scoperto che i racconti e le storie che giravano nei confronti della popolazione oltre la muraglia erano idiozie. Ralph si trovava ancora in compagnia dei suoi amici Orfanelli Disordinati, con la recente aggiunta di persone che vivevano da sempre nel Resto ed erano ancora costretti a fuggire alla vista dei soldati, perché non riuscivano a sentirsi a proprio agio nella Costrizione dell’Ordine. I nuovi entrati nel gruppo erano contrari alla dittatura democratica dello Stato che li aveva invasi (se risulta giusto il termine ‘invasi’) e avevano trovato negli Orfanelli gli ideali compagni del momento storico che stavano vivendo, perché nel loro gruppo le regole praticamente non esistevano, anche se erano eccessivamente fissati con i capitali monetari. Ma i restii riuscivano a sorvolare quella che per loro era una pecca. In realtà in parte avevano cominciato ad apionarsi minimamente ai soldi anche loro, cercando di limitarne l’ausilio; avevano capito che nella nuova civiltà che si stava instaurando senza soldi non si campava, a meno che non si riusciva a fare quella cosa della quale non sapevano neanche il significato prima che gli ordinati li avessero invasi: rubare. Una parte della vita di Ralph non era cambiata affatto. Quello che non aveva prima dell’incontro con Bongio era l’odio puro nei confronti del Primer e dell’Opposter e amava sempre più parlare con i restii. Soprattutto con quelli che non dimostravano enormi cambiamenti nei modi di fare rispetto ai pensieri di Bongio.
Ralph nuotò verso gli scogli e in poco tempo uscì dall’acqua arrampicandosi su uno scoglio. Si mise seduto e apprezzò il calore che il sole gli stava regalando. Guardò verso i suoi amici e vide che giocavano sulla spiaggia lontani da lui. Chiuse gli occhi e tornò, anche se svogliatamente, a riflettere su ciò che ricordava sempre. Quello che chiamava Fiocco Rosso era stato ucciso da un soldato, che lo aveva scambiato per uno dei suoi amici e gli aveva sparato da una distanza considerevole. Pensò a quello che qualche testimone gli raccontò in merito alla difesa del soldato che non s’era comportato come gli avevano imposto i suoi superiori: gli avevano ordinato di sparare solo ai bambini e di cercare di catturare Bongio, senza ucciderlo. Lui, davanti ad alcuni testimoni, disse che l’ordine che gli era stato dato non era esattamente quello e che lui rispettò ordinatamente e fedelmente l’imposizione del suo superiore.Aggiunse che era lontano dal gruppo di ragazzini e che voleva “solo sparare a qualcuno sulle braccia ma erano distanti. Ho provato a farlo ma sono stato sfortunato; il primo che ho visto non era un Orfanello Disordinato, ma quello che ora mi dite non avrei dovuto uccidere. Era lontano da me e io, con lui di spalle, non potei riconoscerlo. L’ho ammazzato così Bongio. Non fatemi del male...”. Quel soldato fu forse ucciso lo stesso giorno in una stanza strana, senza nessun testiomne che assistesse all’esecuzione, per ordine di qualcuno che non spiegarono mai a Ralph chi fosse. Il giovane tentò di scoprirlo, ma i molti che incontrava sulla terra del Resto e quei testimoni che erano presenti prima e dopo il fatto (alcuni anche con il fucile in mano) non seppero mai rispondere, dicendogli spesso che la voce che aveva dato quell’ordine era splendida e che non sembrava ostile. Ralph smise per un attimo di pensare ai ricordi e sentì un’emozione, quella che conosceva bene, crescergli al livello della pancia. Il tempo era bello, il mare calmo e gli amici non troppo distanti. Tornò a pensare a quello che Bongio gli insegnò a immaginare: una terra senza comandanti. Egli si era piano piano predisposto verso questo ideale, anche se ricordava che Bongio diceva: “Gli ideali sono la gabbia del pensiero libero”; quindi cambiò parola nel suo pensiero e la trasformò in ‘idea’. Ralph aveva girato molto del Resto con il gruppo. S’alzò in piedi e iniziò a camminare verso gli amici con quell’emozione che si ampliava sempre di più nella sua pancia: la voglia di libertà che s’estendeva, ma trovava delle mura che
erano le ideologie scomposte della restante popolazione, anche del Resto. Perché le voglie del ato del popolo erano minimamente cambiate con l’avvento dell’Ordine. Ralph camminò spedito per incontrare i suoi amici e smettere di pensare, ma si imbatteva in una continua partorita crescita di annotazione morale, alla quale non riusciva a dare un finale liberatorio. Bongio era stato molto per lui, ma gli aveva anche dato una limitazione che gli appariva perenne e che negli ultimi giorni sentiva molto più potente. I muri che immaginava sembravano imbattibili. E a Ralph venne in questo marasma una domanda: “Bongio mi ha insegnato a cercare d’essere libero, ma mi ha addossato anche una schiavitù mentale? Egli ha costruito la mia gabbia e mi ha chiesto se volevo entrarci così da essere l’unico responsabile della mia schiavitù?”. Raggiunse gli amici e disse loro: “Ragazzi, stare troppo tempo qui non ci conviene. Lo sapete che i soldati girano spesso vicini al mare. Soprattutto la sera e la notte. Dobbiamo tornare a cercare qualche nascondiglio ottimo”. Uno dei ragazzi disse: “Ma non ci hanno mai preso. Di cosa hai paura Ralph?”. “Non ci hanno mai preso, ma ad alcuni di noi li hanno uccisi! Non voglio che succeda di nuovo!”. Il ragazzo sorrise: “Sì, lo so io cosa cerchi, ragazzo bello che piace alle donne e non ne è mai sazio!”. Sorrise anche Ralph e gli altri che sentirono questa battuta, non considerando affatto che scherzare riferendosi anche ad amici che erano stati uccisi non era una cosa giusta, e gli Orfanelli Disordinati fu dalla morte di quello soprannominato Fiocco Rosso che si misero a studiare, solo a parole, il termine ‘ordine’, ed erano arrivati a pensare che l’ordine non fe sempre giustizia. Non tutti la pensavano allo stesso modo però. Ralph vide Piggy accendere il fuoco in un posto distante da lui perché quel golosone voleva prepararsi il pranzo e gli gridò: “Piggy, cosa stai facendo? Ho detto di andarcene che qui è pericoloso!”.
“Ohi, ragazzo fortunato con le ragazze, tu non dai ordini! Che poi gli ordini hai detto che non ti piacciono più di quanto non ti piero prima!”, e sorrise. Ralph non rispose immediatamente, ma fissò serioso il fuoco. D’un tratto gli si accese lo sguardo e pensò: “Ho un’idea!”.
Nessun muoia
Di colpo tutti i coperchi delle decine di lanterne nella stanza s’alzarono grazie a un meccanismo manuale fatto di corde e ruote. Le lanterne avevano quattro facce, tre di vetro trasparente e una specchiata e rivolta verso la fiamma. Gli specchi indirizzavano la luce sulla parete più lontana, l’unica senza lanterne. Un soldato era in ginocchio nell’enorme stanza e aveva gli occhi accecati dalle luci che lui non capiva da dove provenissero. Immaginava, senza vedere, che fosse di fronte a soldati che lo stavano puntando con il fucile. D’un tratto udì una straordinaria voce ferma e decisa. “Perché lo hai fatto, soldato?”. Lui iniziò a sentire la voglia d’un Pacificatore. “Signore... io ho fatto quello che m’è stato ordinato”. La voce fu chiara e precisa. “Questa è la verità, soldato?”. Lui piegò la testa verso il basso e rispose. “Un superiore mi disse di uccidere tutti”.
La voce: “Il nome lo sai?”. Il soldato: “No. Il nome non lo so e lui non volle che io lo sapessi”. La voce: “Quindi hai preso l’ordine da uno sconosciuto?”. Il soldato: “Ho preso ordini da un superiore che è quello che li dà a tutti”. La voce: “Bene. A me basta così. È la tua fine!”. Il soldato: “La prego! Sono un soldato attivo e faccio sempre ciò che mi ordinate senza pensare. Come volete voi!”. Silenzio. “Fuoco!”.
Miscugli di parole e comparse
Sergio scese dal treno quando arrivò a Perfectville. Era contento di essere giunto nella capitale dello Stato più importante della Unione in cui erano entrati a far parte lui e tutti quelli del Resto. Durante il viaggio gli era sembrato tutto incredibile: essere per la prima volta trasportato da un treno, il vedere dal finestrino gli scorci di strade tutte dritte, il sentire quel modo di parlare secco e deciso degli ordinati e il vedere finalmente una città molto attesa nei suoi propositi; tutti gli ordinati gli avevano parlato bene di Perfectville e lui voleva scoprire perfettamente la bellezza di un luogo che, ne era sicuro, non aveva mai neanche sognato. Alla stazione cominciò a studiare l’ambiente che ospitava tutti e rimase deluso dal vedere tutti gli aggeggi, sistemati con cura, senza dare accesso alla fantasia di chi guarda. Gli uomini gli parevano tutti quelli che aveva conosciuto nella sua Compagnia, i facchini. Quasi tutti vestiti in maniera simile se non uguale. Lui aveva una tunica e l’aveva scelta di colore grigio chiaro perché sapeva che nell’Ordine odiavano i colori accesi che erano nel Resto.
Vide alcuni facchini chiusi in quelle che sembravano gabbie enormi, con il vetro trasparente a riunire i vari punti di ferro che le componevano e smistavano fogli di carta e banconote. Chiese a un ante: “Scusami, cosa fanno lì dentro?”. Il ante, con espressione infastidita: “Quelli fanno ciò che voi non capite: lavorano! E vèstiti meglio, che con questa cosa sembri un pazzo”, e s’allontanò senza tornare più a guardarlo. Sergio capì che avevano ragione tutti gli ordinati che erano venuti a vivere a Compagnia, quando gli dissero di presentarsi con pantaloni e maglia. Girò per le vie che erano intorno alla stazione e vide la mancanza d’arte che gli avevano riferito sia gli ordinati che i restii. Dopo poco sentì un fastidio alla pancia. Sapeva che sarebbe successo perché l’avevano avvertito anche di questo. Prese il Pacificatore dalla tasca e lo bevve per la prima volta in vita sua. Sentì che il dolore andava sparendo e che si andava tranquillizzando. Camminò sentendosi quasi ubriaco e iniziò ad apprezzare le strade pulite e dritte della città. Sergio sperava di incontrare quelle donne delle quali gli avevano parlato quelli dell’Ordine, ma sapeva di avere pochi soldi e voleva chiedere un favore alle prostitute; voleva il sesso e sperava in quello che avevano definito quasi impossibile gli ordinati: che loro fossero non troppo attaccate alle monete e che lo fero perché era un piacere per entrambi. Sergio vagò intorno alla stazione per quasi un’ora, poi decise di allontanarsi guardando sempre con aria sorpresa la città che svelava ai suoi occhi l’ordine che presentava. Ad un certo punto vide una bella donna, cosa che non gli era mai finora successa a Perfectville, e le si avvicinò. La donna era vestita in maniera strana per Sergio: indossava una minigonna e la camicia stretta che lasciava intravedere il suo seno; lui le sorrise e si fermò davanti a lei. Attese qualche secondo con la vergogna che gli si dipingeva in faccia mentre la donna lo guardava. “Buon pomeriggio, ragazzo. Dovrai vestirti in maniera più seria. Sei nella città nella quale non sei mai stato”, disse la donna. “Come fai a saperlo?”. “Se vai in giro vestito in maniera così orribile sono certa che tu provenga dal
Resto. Ma imparerai. A far tutto”. “Come ti chiami, bella donna?”. “Che io sia bella non devi ricordarmelo, e il mio nome non ti servirà a nulla. Immagino che tu non abbia monete”, e la donna indirizzò lo sguardo altrove dimostrando che diceva solo cose ovvie. “Perché, bisogna pagare anche per sapere un nome?”, disse Sergio tenendo botta alla donna. “Dimmi, perché ti sei fermato dinnanzi a me sorridendo”. Sergio tornò ad arrossire: “Ecco... io non ho visto donne da quando sono sceso dal treno. Poi il mio sguardo ha incontrato la tua presenza e mi sono avvicinato a te. A me le belle donne piacciono e volevo parlare con chi meritava pienamente il mio sguardo”. Voleva essere onesto Sergio. “Senti giovane, non hai incontrato mai le donne perché non sei ato mai vicino alle case delle prostitute. Quella che è alle mie spalle è la villa principale della prostitute, con all’interno colei che è divenuta presidentessa della nostra professione libera”. “Mi parli insegnandomi quello che devo sapere! Ma tu fai la prostituta?”. “A me piace dare piacere agli uomini, e faccio quello che devo”. Seria tornò a incontrare lo sguardo del giovane. Sergio sorrise, abbassò la testa e la guardò come se fosse molto più basso di lei, nascondendo i suoi occhi con la fronte. “Lavoreresti anche con me?”. La donna divenne seria e disse: “Io sono una femmina e le femmine non lavorano nell’Ordine!”. E lo disse con un accento di rabbia e nell’ultima frase alzò il volume del tono che era stato quasi meccanico sino a quel momento. Sergio continuava a sorridere: “Questo lo so. Ma io voglio fare sesso e non so né come chiederlo né a chi chiederlo”. “Dimmi quanti soldi hai, giovane”.
“Ho dieci monete, ma mi hanno detto tutti che sono poche...”. “Certo che sono poche! Oggi non avrai il corpo da nessuna”, e si girò camminando verso la villa con o lento ed elegante. Sergio pensò qualche secondo guardandola e guardandosi intorno con la speranza d’essere solo, ma era circondato da persone che camminavano serie e sole. E nella sua mente se lo chiese come se dovesse scoprirlo: “Sono solo?”. Sergio sentiva di dover scoprire ogni cosa nell’Ordine. Non si sentiva troppo infastidito dalla presenza di quegli uomini perché non lo guardavano. Camminò velocemente dietro alla donna e, mentre lei era di spalle, disse: “Ma nella villa ci posso entrare?”. “Certo, ma non sperare di trovare qualche pazza che ti faccia il regalo del suo corpo per dieci monete! Dobbiamo dare quel che è giusto allo Stato”. Gli parlò senza girare mai la testa mantenendo le spalle rivolte al suo viso. Sergio cercò con lo sguardo l’entrata della villa senza chiedere più nulla a quella donna che era divenuta strana per lui nei suoi comportamenti e vide un cancello. Vi si avvicinò notando due figure che erano una alla destra e una alla sinistra dell’entrata. Avevano dei fucili in mano, e quando Sergio gli si fece più vicino, quelli inclinarono i fucili che erano poggiati a terra in maniera di sbarrargli la strada. “Quella donna... una prostituta... mi ha detto che posso entrare”, disse Sergio a quei due. “Stabiliamo noi chi possa farlo. Hai soldi?”. “Sì, ma non molti”. “Allora non entrerai!”. I due continuavano a guardarlo, ma era come se con gli occhi la loro vista corresse senza fermarsi al corpo di Sergio. Lui vide una carrozza dietro al cancello con un facchino seduto che dava l’aria d’attendere qualcuno. E quel qualcuno uscì dalla porta della villa. Era un’altra donna. Anzi, una ragazza, molto più giovane di quella donna con la quale aveva parlato. Salì sulla carrozza e il facchino frustò i cavalli mentre i soldati aprivano il cancello.
La carrozza ò vicino a Sergio che spiò all’interno per vedere la ragazza. Non appena la vide in faccia sbarrò gli occhi, ma lei non lo guardò minimamente. Lui urlò: “Lana!”, e lei si voltò mentre la carrozza s’allontanava.
I propositi del Resto
Ralph e tutti gli Orfanelli Disordinati erano intorno a un tronco che fungeva da tavolo, ed erano nascosti dal buio procurato dai rami degli alberi della foresta nella quale si erano avventurati. Ormai era sera e i giovani aspettavano la cena che stavano cucinando i restii, che erano considerati da tutti gli ordinati i migliori cuochi che avessero mai conosciuto. Ralph volle andare a parlare con i restii che facevano parte del gruppo di Disordinati. “Voi ragazzi, avrete un ottimo futuro negli Stati uniti dell’Ordine. Sapete cucinare bene e trattate in maniera straordinaria noi che potremmo risultare vostri clienti. Potrete aprire i vostri ristoranti. Nel Resto o nell’Ordine. E i soldi non vi mancheranno mai, perché siete in grado di riempire sia la pancia che la testa dei vostri futuri clienti”, disse Ralph con un sorriso stampato sul volto. Credeva a quello che diceva e sperava che anche gli altri credessero agli argomenti che proponevano. Dietro di lui comparve Toshio, un giovane ordinato che era da pochi mesi che faceva parte del suo gruppo. Lui come nomea li conosceva da tanto, ma si era sempre tenuto a distanza da quelli che giudicava delinquenti giovanissimi. “Parli sempre bene, mio giovane e intelligente amico, ma spesso ti dimentichi di invogliare gli Orfanelli a combattere le malvagità e i soprusi di chi dirige il nostro Stato d’origine: l’Ordine”, esordì Toshio, che dalla voce riusciva a far trasparire l’ottima concezione nei confronti di quello che tutti ritenevano il capo del gruppo senza che lo stesso Ralph lo avesse mai chiesto. “Io non parlo di combattimenti, perché non mi piacciono le guerre. I restii ci hanno insegnato anche ad amare e a comprendere gli errori di tutti”. “Sì ma...”.
“Tu appari troppo buono. Troppo e inconcepibilmente!”, disse Piggy comparendo all’improvviso tra i due. “Io non mi sento ‘troppo’ buono. Mi sento più aperto rispetto alla tua concezione di libertà: sei libero se non obblighi nessuno a credere d’esserlo, mio caro Piggy”, disse Ralph senza mostrare neanche un minimo di rabbia. “Quel pazzoide di Bongio t’ha riempito la testa in pochi giorni, e ora? Dov’è lui?”, pronunciò Piggy. “Lui vive nella mia testa. E io faccio il possibile per far raggiungere l’equilibrio a tutti gli Stati”, rispose immediatamente Ralph. “Per farci raggiungere l’equilibrio serve la guerra. Dovremmo rimediare i fucili che hanno i soldati per eliminare il male”, disse serioso Toshio, che con le sue idee era sempre stato in accordo con Piggy, e aveva con il tempo messo in discussione quello che era a suo modo di vedere un compito assurdo e ingiustificabile: Ralph comandante o capo del gruppo. Eppure lui (il ‘capo’) aveva detto sempre a entrambi, in presenza del resto dei Disordinati, che non si riteneva tale. “Non voglio uccidere un uomo per raggiungere la mia libertà. Sono libero se disobbedisco...”, disse Ralph. “E se quelli che ti danno gli ordini minacciano di ucciderti? E se poi lo fanno? Faresti la fine del vecchio Bongio”, disse Toshio mostrando un volto carico di soddisfazione per le parole che aveva detto. Ralph si concentrò per qualche secondo e poi disse: “Non voglio risponderti né continuare a parlarvi. Penso spesso, e molte cose trovano una soluzione nella mia testa. Un giorno la farò arrivare anche a voi, ma adesso non posso”, si girò e tornò alla tavolata composta dal tronco d’un albero crollato almeno un anno prima. Dove cucinavano, i restii e gli ordinati, che volevano farsi chiamare sempre Disordinati, ebbero delle brevi discussioni, e Ralph era per tutti uscito perdente dallo scontro dialettico con gli altri due. Anche se molti restii comprendevano le parole e i termini di quello che consideravano più di tutti un comandante degli Orfanelli ai quali si erano aggiunti. Anche se loro non avevano ancora perfettamente capito cosa significassero le parole ‘comandante’ e ‘capo’. Le
sentivano spesso da quando erano entrati obbligatoriamente a far parte degli Stati uniti dell’Ordine e per l’idea che se ne erano fatti attribuivano questo ruolo a Ralph. I guerrieri crescevano anche se non v’erano accordi lampanti. Tutti volevano essere liberi, e alcuni dei restii cominciavano ad appoggiare l’idea dell’utilizzo di quella cosa che prima non avevano mai usato: la violenza. La maggior parte dei restii ancora non la capiva, disprezzandola. Ma i cambiamenti si stavano pian piano mostrando.
La volontà
Lana era arrivata al palazzo che ospitava l’uomo che la attendeva e, appena scesa dalla carrozza, s’era fermata a pensare, in piedi e di fonte all’entrata, a quello che le era successo poco tempo prima quando stava uscendo dalla Villa principale delle prostitute, luogo del quale risultava responsabile. “Quello era Sergio...”, pensava la giovane ragazza che il tempo aveva reso bellissima. Dopo essersi soffermata per pochi secondi, tornò ad accendere lo sguardo che s’era smarrito e avviò la marcia che le spettava per entrare al palazzo dell’Opposter. Camminò notando la solita infinità di presenze di soldati e facchini che circondavano la pesante personalità di Precisino. Arrivò nella stanza che conteneva l’Opposter e vi entrò superando l’“Eh!” dei soldati che erano di guardia sulla porta. “Oggi ti aspettavo prima!”, disse Precisino appena la vide, mostrando uno sguardo serio a Lana. “Volevo parlarti di cose che ho sentito dire su di te. Si dice che tu faccia compagnia a Freddino. Lui è il Primer ancora per un po’, spero per poco, quindi non mi dà troppo fastidio. Quel che volevo chiederti è come ti sembra dal punto di vista sessuale”, e lo disse tradendo un sorriso. “Ogni tanto lo vedo il Primer, come fanno tante persone. Lui è l’eletto da parte del popolo e ha la mia fiducia. Altre cose non debbo e non voglio dirtele.
Dovresti sapere che la legge mi vieta di darti informazioni di quel genere”. “Così non mi dici nulla? Che lo vedi lo sa chiunque. Ma ci hai scopato? Dimmelo... Io non sono un ‘nessuno’, sono l’Opposter!”, imbastì Precisino. “E perché dovrei dirti se lo vedo da sola? Io del Primer non dico nulla. È una delle leggi che m’avete insegnato. Vuoi solo parlare con me oggi?”, disse Lana, portando i suoi capelli dietro l’orecchio per scoprire il suo bel viso. “Oggi voglio parlare, mia cara e silenziosa amica. Tu mi riempi le orecchie solo quando ti ordino di concedermi il tuo corpo. E mi piace come lo fai”. Lana abbassò la testa continuando a fissare il volto di Precisino: “E io te lo concedo sempre, ma non sarò mai la tua donna. Sono una donna per uomini importanti che mi fanno vivere nel miglior modo possibile. Tu sei forse, e ripeto il ‘forse’...” sorrise “... il più importante, ma non sarai mai il solo”. Precisino abbassò lo sguardo è voltò il viso: “Sei sicura di non volermi dire niente?”. “Io non posso dire niente, di nessuno, per legge. Pensa se potrei dire qualcosa del Primer. Non voglio rischiare la vita!”. Mentre parlavano bussò alla porta un facchino che entrò quando l’Opposter gli diede il consenso vocale. “Eh! C’è Rufus che vuole vedere Lana. Ha detto se la manda da sola. Lui vuole vedere solo lei”, esordì il facchino. “Quando è con me vi ho detto di non farla mai richiedere da nessuno! Siete forse stupidi?”, disse l’Opposter arrabbiato. “NeancheRufus è ‘nessuno’, ed è per questo che è venuto il facchino. Decidi tu cosa fare, ma non fare niente a un tuo servo che è venuto a chiedere una cosa che gli ha ordinato quello considerato l’uomo dell’Ordine”, disse Lana senza alzare troppo la voce. Precisino abbozzò un sì muovendo la testa e diede le spalle a Lana e al facchino, che aveva le gambe ancora tremanti per la paura che s’era accesa in lui dopo il rimprovero che aveva udito provenire dalla bocca dell’Opposter.
“Opposter, posso andare?”, disse Lana, sempre con un tono di voce più basso. “Vuoi farti scopare da Rufus? Vai dove cazzo vuoi, ma ricorda che all’Opposter devi dire più cose perché prima o poi tornerò Primer e comanderò tutti!”. Lana si girò, fece un cenno al facchino, e iniziò a camminare dietro a lui. Uscì dalla stanza senza salutare Precisino, cosa che fece con il massimo rispetto il facchino. Lana venne portata in un’altra stanza, lontana da quella in cui era l’Opposter e nella quale c’era Rufus che esordì, all’arrivo della ragazza, con le solite parole che la salutavano. “Ciao, stupida ragazza”, appunto. “Volevo vederti. Ora eri con Precisino, e non voglio chiederti cosa stessi facendo, ma sappi che è meglio che non ti debba più mandare a chiamare da quello che rispetto ma non apprezzo. Io sono Rufus. Io sono l’ordine”. “Con la lettera maiuscola o minuscola?”, rispose Lana sorridendo. “Potrei dire entrambi, ma non lo dirò. Ora non è così. Il Primer è la massima espressione dell’Ordine, tu delle prostitute, io rappresento il popolo. Valiamo tutti in maniera differente, ma Freddino vale più di tutti”. “Perché volevi vedermi, Rufus? Hai forse deciso di toccarmi nuda?”, disse Lana spostando la sua veste sulla spalla, dando l’impressione di spogliarsi. “Quello no! Ma le mie voglie sono importanti per tutti e ti ho insegnato ad aspettare che ti chieda qualunque cosa. Con i tuoi vestitini e il tuo intimo fai sentire tutti bene. Pensa che disastro sarebbe se deste fuoco ai vostri indumenti! Voi prostitute siete l’agio dell’Ordine, e io vi farò sempre guadagnare bene. Nonostante quello che fate non sia un lavoro”.
Idee s’accendono
Toshio aveva cercato Ralph tutta la sera, anche se si era messo a parlare sempre
con tutte le persone che aveva incontrato riuscendo a fingere anche a se stesso che non fosse così importante. Ma lui voleva parlare con Ralph. Era notte e tutti i ragazzi s’erano addormentati tranne Toshio e un ragazzo restio d’origine, che stava facendo la guardia per proteggere gli amici del gruppo, per fare in modo che potessero dormire in tranquillità. Quando lo incontrò, Toshio gli disse: “Antonio, lavori bene”, e lo disse sorridendo. “Hai visto per caso Ralph? Voglio parlargli”. “Vuoi continuare con il discorso che avete iniziato all’ora di pranzo?”, disse Antonio, rivelando uno sguardo simpatico. “Voglio parlare a quello che viene considerato da tutti una sorta di capo del nostro gruppo”. “Oggi vi ho sentito e il dialogo non m’ha entusiasmato. Avete parlato di guerra e io non amo la guerra”, e lo disse guardandolo negli occhi e facendo quello per il quale incuriosiva tutti: viso rilassato e allegro che ogni tanto diveniva serio e riflessivo. “So che tipo sei, e non la amo neanche io. Ma devo convincere voi, che non la volete, che è l’unica strada da percorrere. Se vogliamo la libertà, bisogna pagarla con la violenza”. “Io non amo neanche pagare”, disse Ralph spuntando alle spalle di Toshio, e con il buio non lo aveva visto neanche Antonio. Colui che lo cercava si girò e lo vide rimanendo tranquillo. “Ciao Ralph. Io lo so che non vuoi mai pagare, ma questa è la vita”. “La vita, questa, così termina. Se spari con un fucile a una persona, quella muore. Se vuoi sostituisci la parola ‘quella’ con ‘questa’ e vedrai che il risultato non cambia”, disse Antonio. Toshio lo guardò con un’aria che rendeva l’idea d’incomprensione. “Parli sempre in maniera complessa, e riesci a scherzarci. Non posso dire che non mi piace, ma quando parliamo dei nostri piani importanti forse dovresti intervenire solo riferendo frasi totalmente comprensibili”, disse Toshio.
Gli rispose Ralph: “La comprensione totale è difficile, ma l’ironia spicciola rende i discorsi su quelli che definisci ‘piani’ più leggeri’”. “Come vuoi battere gli Stati uniti dell’Ordine? Con una leggerezza incomprensibile?”, disse Toshio senza abbozzare il solito sorriso che gli appariva sul volto. “Gli Stati si chiamano dell’Ordine. Io voglio disobbedire senza creare violenza, e ho già un’idea. Ne ho parlato qualche giorno fa con Antonio. Dovremo decidere se è una mossa fattibile e non rischiosa. Bisogna comunicare col popolo e fargli capire che noi ci possiamo aiutare tutti, senza doverci imporre come rivoluzionari solo noi del gruppo”. “Sì, Ralph...”, si allacciò Antonio. “L’unica rivoluzione possibile è quella interiore di ogni persona”. “E quale sarebbe l’idea della quale avete parlato per non usare la violenza? Voi volete vincere con le stranezze. Spiegatemi cosa volete comunicare al popolo”, disse Toshio alzando la voce. Gli altri due si guardarono incerti per qualche secondo, poi Ralph: “Dobbiamo studiare questa idea. Quando ne avremo convinzione te ne parleremo”. “I vostri ideali sono strani. Non credo che vi convinceranno e, anche se fosse, non convincerete noi... forse”, accennò Toshio. Antonio, mantenendo il suo atteggiamento serioso, disse: “Gli ideali sono la gabbia del pensiero libero. Ralph mi ha detto che Bongio diceva spesso questo. E noi vogliamo libertà. Sempre”. Ralph sorrise e diede una pacca sulla spalla ad Antonio: “Le tue frasi mi riempiono sempre la testa, Antonio. Ma il tuo nome completo com’è? Intendo nome e cognome. Non me lo hai mai detto. Tu potresti divenire uno scrittore nel futuro dell’Ordine, anche se ora ancora non esistono perché non esistono scuole che espandano la nostra cultura”. “Non l’ho mai detto perché altrimenti lo avreste confuso spesso con il nome. Di cognome faccio Gaetano, e so che da voi è anche un nome. Da noi non c’è mai stata questa distinzione tra nome e cognome. Avevamo tutti due nomi, e usavamo spesso quello che ci piaceva di più o ci chiamavano gli altri con quello che piaceva di più a loro”.
Ralph vide Toshio fare diversi cenni negativi e abbassare lo sguardo; poi disse: “Libertà, anche nel portare un nome. Mi sembra una cosa giusta. Vedo che non sei d’accordo Toshio... com’è il tuo di cognome?”. “Mi chiamo Toshio Benelli. E non lo dico riferendomi al ato. Nome e cognome sono giusti e utili. Tu credi di non averli più entrambi?”. “Io sarei Ralph Manto, ma vorrei essere Ralph Lellino perché in parte mi sento figlio di Bongio. Fu lui ad accendermi dal buio societario”. Toshio disse: “Per essere una luce vera tu ora dovresti trovare il modo di distruggere il Primer e l’Opposter con una rivoluzione che metta tutti noi in grado di farti essere un uomo che sostiene e decide l’economia degli Stati uniti dell’Ordine, per non far mancare più i soldi al popolo. Tu come capo a me andresti bene. E so che ti comporteresti nel miglior modo possibile per tutta la popolazione. Eliminiamo quelli che ci comandano e cerca la soluzione che ti permetta di avere enormi quantità di monete”. “Non devo pensare per me. Io voglio pensare a tutti. Rispettando le scelte degli altri ma prendendone alcune; il che potrebbe non rendere felici proprio tutti, ma scegliere è parte integrante della libertà. E farò le mie scelte per quanto riguarda me: io non comanderò mai nessuno!”. Toshio abbassò il capo e non accennò neanche un sorriso.
L’attesa del capire
Sergio erano diverse ore che attendeva davanti alla villa il ritorno di Lana. Voleva parlare per chiederle diverse cose sulle sue attitudini nell’Ordine e sperava che lei gli regalasse quella mansione della quale era divenuta responsabile a Perfectville e in tutto lo Stato. Anzi, in tutti gli Stati. Mentre attendeva, vide due ragazzi che parlavano a bassa voce coperti nella loro figura da un albero. La cosa lo incuriosì perché sapeva che l’Ordine vietava per legge il conversare in maniera privata di due o più uomini agli occhi di altre persone. In questa maniera volevano evitare una qualche rappresaglia popolare
nei loro confronti i due che potevano, in maniera democratica, venire eletti. Sergio s’avvicinò in maniera silenziosa cercando di non attirare la loro attenzione, ma uno dei due giovani lo notò e allargò le palpebre facendo capire anche all’altro che c’era una presenza e quindi un pericolo per loro che stavano infrangendo una regola. Gli diedero entrambi le spalle e cominciarono una fuga mascherata con lentezza, senza dirsi nulla. “Ragazzi, volevo parlare con qualcuno, ma qui non c’è nessuno che lo fa. Non sono un tipo fastidioso, sto solo cercando di capire questa città. Non ci sono mai stato... vengo dal Resto”, disse in maniera morbida ed educata Sergio. I due si voltarono e uno gli rispose: “Sei davvero uno dei restii? Dal tuo abbigliamento lo comprendo, ma te lo chiedo per certezza”. “Io sono del Resto. È la verità”. I due si guardarono e uno disse all’altro: “Dici che ci si possa fidare di lui?”. L’altro lo guardò e si riferì a Sergio: “Vieni con noi a casa mia. Là potremo parlare in maniera più... libera”, e abbassò sensibilmente la voce per pronunciare l’ultima parola. Sergio fece un cenno di sì con la testa e iniziò a seguirli. Pensò di preferire ascoltarli che cercare di iniziare un colloquio improbabile con Lana. I tre camminarono per diverse centinaia di metri (anche se dovrei usare l’unità di misura dell’Ordine che è i Giusto-i), poi arrivarono nella villetta di uno dei due ragazzi che aprì la porta, entrando con modalità padronali, e fece entrare gli altri due. I tre si misero seduti sul divano che occupava il centro del salone e Sergio iniziò a parlare, nonostante si sentisse a disagio per tutti quei Giusto-i camminati nel silenzio vocale dei tre. “Penso non sia sbagliato chiedervi i nomi a tutti e due. Come vi chiamate?”, disse con tonalità che voleva rendere tranquilla. “Io sono Alfredo, il padrone di casa, e lui è Marco”.
“Bene. Anche se non me lo avete ancora chiesto vi dirò che mi chiamo Sergio”, che riusciva a riempire la stanza nella quale erano di un’aria serena con la voce rispettosa e amichevole. “Sergio, lo sai perché ti abbiamo portato qua? Noi stiamo cercando gente che si unisca a noi. E ormai lo facciamo senza nasconderci troppo. Dobbiamo muoverci per far sapere che le cose non ci stanno più bene e...”, l’altro ragazzo, con la faccia impaurita, gli mise una mano sulla spalla dicendogli: “Non dobbiamo ancora fidarci, Alfredo!”. “Questo è del Resto, Marco. Loro ci aiuteranno senz’altro per la nostra rivoluzione. Molti di loro sono nel nostro gruppo segreto dei Disordinati!”. Sergio dimostrò stupore e, alzando leggermente la voce, disse: “Rivoluzione? Ma c’è gente che la vuole davvero?”. “Noi vogliamo la libertà ordinata! E ci impegneremo in una guerra per questo. Abbiamo parlato con Toshio e Piggy...”. Marco lo interruppe: “Non dire i nomi!”. Pochi istanti di silenzio e Alfredo riprese: “Lui deve sapere e dire tutto. È giovane come noi, quindi è come quello che vogliono i Disordinati perché gli uomini troppo grandi sono divenuti come macchine che fanno quello che gli viene imposto; è del Resto, quindi non è abituato alle leggi e non sa ancora rispettarle ed è sicuro che non sia né del Qua né del Là, come eravamo noi prima”. “Voi eravate politici? Ma se siete giovanissimi. So che per entrare in politica si debbono avere almeno 23 anni!”, disse Sergio. “Noi non siamo mai entrati in politica”, rispose Marco. “Però appoggiavamo entrambi il Là di Freddino, che sembrava essere il Primer esatto contro la solita corrente politica. Ci sembrava l’uomo giusto per rendere viva la nostra voglia di ribellione! Il partito del Là è sempre stato così. Poi abbiamo capito, grazie a Toshio, che non era ideale neanche la scelta del Là, che finge d’essere quello che non è. Con i Disordinati formeremo un partito serio con a capo Ralph Manto, che è quello che decide ora cosa fare nel nostro gruppo!”. “Ralph? Ho sentito alcune volte questo nome nel Resto. È un ricercato dai soldati e so che vogliono ucciderlo”.
“Noi vogliamo che sia lui il Primer”, disse con un viso pieno d’orgoglio Alfredo. “La democrazia non dovrebbe farci decidere chi comanda solo tra quei due. Se divengono, e diverranno con la rivoluzione tre, tutti potremo scegliere meglio”. “Io non voglio siano tre, voglio che sia Ralph l’unico a decidere e l’unico a essere Primer!”, disse Marco, guardando male Alfredo. “Parlo anche io...”, disse Sergio. “Non mi sembrate del tutto convinti, e da quel che m’hanno spiegato gli ordinati che vennero per primi nel Resto, democrazia significa potere al popolo. E quello che vi sento dire non assomiglia né alla democrazia che mi hanno descritto, né alla libertà che volete. Ma non sono contrario ai Disordinati. Voglio solo capire bene le idee di quello che volete sia il nuovo partito e conoscere Ralph. Voi quando ci avete parlato l’ultima volta?”. “Noi non ci abbiamo mai parlato, ma Toshio e quasi tutti quelli dei Disordinati lo elogiano...”, rispose Marco. “... e le tue parole mi confermano che fosse meglio non dirti nulla. Dovrai imparare o ti dovremo uccidere!”. Sergio s’impaurì e vide Marco alzarsi e prendere, da dietro il divano, un fucile. “Io non sono contro di voi. Abituatemi a divenire un Disordinato!”, disse Sergio che ora dimostrava la sua paura anche e stranamente dalla tonalità della voce. “A parte che tu, Marco, non potresti prendere il mio fucile! Non ti farò mai più vedere dove lo nascondo! E non pensare di decidere tutto tu, siamo a casa mia, decideremo democraticamente”, disse Alfredo alzandosi e dirigendosi verso la finestra. Sergio tentò di riallacciare i rapporti e di non rischiare la vita dicendo: “Voi credete entrambi in Ralph e seguite i Disordinati. Siete fatti per vivere insieme in maniera pacifica. Non litigate”. “La pace è quella su cui basa tutti i suoi discorsi Ralph, dicono. E non vedo l’ora di sentire i suoi discorsi provenire dalla sua bocca. Sento solo quello che raccontano gli altri. E Marco la pensa come me”, disse Alfredo sorridendo. “Dite che lui voglia la pace, eh? Ma non è del Resto... del resto non sarebbe possibile che ipotizzasse di fare una rivoluzione se lo fosse. E la pace l’avrà amata tramite Bongio che era il padre di un mio amico, poi ha conosciuto Ralph e so che l’hanno ucciso”.
“Tu conoscevi Bongio Lellino? Davvero?”, disse Marco mostrando la sua sorpresa e incrociando lo sguardo di Alfredo che si specchiava nel suo volto. “Sì. Bongio era un uomo bravissimo, che riusciva a spiegare tutto quello che era complicato in maniera semplice. Ma nel Resto le cose complesse prima quasi non esistevano. Ora ci sono perché è l’estremo ordine dell’Ordine che diviene intollerabile”. Marco guardò Alfredo, poi tornò a fissare gli occhi di Sergio e disse: “Ho capito che ci diverrai utile a capire”, disse Marco.
Chissà se...
Lana guardava Rufus in attesa d’ascoltare cosa avesse da dire. “Non vuoi fare sesso e non parli da dieci minuti. Perché m’hai fatto venire qua velocemente mentre ero dal Primer?”. Rufus continuò a guardare fuori dalla finestra e rimase in silenzio per qualche secondo. Poi rispose. “Avevo voglia di parlare con chi tenta di capirmi... e tu sei piccola, ma intelligente. Voglio iniziare un cambiamento importante perché io sono l’uomo dell’Ordine, quindi rappresento il popolo... ed è giusto che cominci”. “Cosa vuoi fare, Rufus?”, s’affrettò a dire la bella ragazza. “Quello che adoro di più pensando a Freddino, che al momento è ancora il Primer”. “Ma io so che tu sei sempre stato collocato nel Là, come preferenza politica”, imbastì Lana. “Sì. In effetti io sarei idealmente un uomo politicamente più legato ai cambiamenti. E risulta a tutti, da sempre, che il Qua è un partito molto più legato ai principi del ato. Io voglio che l’Ordine e tutti gli Stati uniti da noi
divengano più liberi. E, per far questo, Precisino non mi pare l’uomo giusto. Lui si poggia sugli ideali del ato e non comprende i giochi di potere politici appieno, perché come tutti quelli nati nella famiglia Giusto non ha mai dovuto lottare per comandare; doveva e deve superare solo le mosse di Freddino che, nella politica, è molto superiore a lui. Ed è una cosa logica che il Primer sia lui, perché riesce a farsi votare con tanta stima dalla maggior parte della popolazione. Da certi punti di vista lo stimo anche io. Lui potrebbe governare, ma è del Qua”. Lana guardava sbigottita Rufus che le aveva detto tutte queste cose mantenendo lo sguardo al panorama, non splendido, che mostrava Perfectville. “Grandissimo uomo, tu mi hai sempre colpito. Sei un maschio che adora i cambiamenti, e a noi donne piacciono molto quelli come te. Quello che pensi di fare potrebbe essere una cosa che interessa anche me e tutta la popolazione del Resto; persone che, come sai, conosco bene. Addirittura più di te. Perché bisogna che tu ammetta che esiste qualcuno che ti è superiore... ehm... solo da qualche punto di vista”. “Piccola e stupida ragazza, con chi ti credi di parlare? Io so tutto, e anche che può esistere qualcuno che sia lievemente superiore a me da qualche punto di vista. E lo so che ti piaccio. Ma io non voglio pagare per scoparti. In futuro te ne parlerò meglio”. Lana si sentì incredibilmente felice (cosa assurda in questo caso) per quello che aveva sentito e volle, quasi meccanicamente, dirgli qualcosa. “Io ti odiai quando ti conobbi. Ma con il tuo fare sei riuscito a farmi entrare nei meccanismi legislativi dell’Ordine che ora mi piacciono. Non sono totalmente presa da tutte le leggi, ma tu mi ispiri perché vuoi attuare dei cambiamenti. Potresti divenire il primo uomo a consigliare il capo del Qua proponendogli modifiche nelle leggi”. “Non devi darmi consigli, stupida ragazza. Non ho bisogno delle tue parole. Voglio che tu ascolti le mie, perché devo...cioè non sei tu a doverlo fare... io devo convincermi delle mie idee”, e per dire questa cosa si girò mostrando il suo volto a Lana, che abbassò lo sguardo e sentì il fermarsi delle lacrime dentro i suoi occhi. “Scusami. Questo vizio del parlare lo porto dietro dal Resto, ma cambierò.
Perché adori i cambiamenti, vero?”, riuscì a esprimere la ragazza. “Sì, li adoro. E a quella parola ‘amore’ che usate da voi nel Resto, io non ci credo, ma state facendo impazzire anche noi dell’Ordine con questa parola che ora è usata, rarissimamente, anche dagli ordinati. Quindi posso dire che amo i cambiamenti! Ma non credere che dirò mai ‘amo te’ quando ti sono di fronte. L’amore non esiste, ma al popolo piace credere alle idiozie. Ricordo che i soldati si divertivano a raccontare e a chiedermi le storie delle streghe e dei fantasmi che si ipotizzavano esistere nel Resto.Io ci sono stato in quello Stato, e non ho mai visto nulla di queste cose. Quindi non esistono”. “Da noi credevano ad altre cose. Quelle negative no. Ma te lo avranno detto”, precisò Lana. “Sì. Mi hanno raccontato qualcosa. Eravate e siete pazzi, stupida ragazza. Ma tutto quello che scopro ho imparato a usarlo”. “E quindi...?”. “Non farmi troppe domande. Ti dirò quello che mi serve, e tu dovrai ascoltarlo perché sei la mia serva!”. “Serve... serva”, disse Lana; poi, abbassando lo sguardo, fece cenno di sì con la testa. Oramai era quasi notte e sperava di andare via a riflettere su come s’era nuovamente dimostrato Rufus, che a lei piaceva tanto perché era razionale e metodico. Rufus le fece il favore inaspettato di dirle che poteva andare e lei lo fece in maniera calma, fingendo rilassatezza. Quando entrò nella carrozza, iniziò a pensare nuovamente a quello che era stato detto dal suo grandissimo uomo che proponeva cambiamenti. Dopo pochi minuti all’interno della carrozza pensò: “Basta riflettere! Sono dell’Ordine, non più del Resto”.
Cose da fare
Era mattina e la città Compagnia nel Resto era la destinazione che si erano prefissi due elementi considerati importanti dai Disordinati: Toshio e Piggy. Piggy era riuscito a rimediare una casa che gli dava la possibilità di effettuare una riunione segreta con l’ Toshio. L’aveva chiamata ‘riunione’ Piggy, così Toshio pensava di incontrare altri ragazzi nella stanza della casa che forse non aveva mai visto, e questa fantasia lo rendeva contento. Fecero le strade all’interno della città in maniera attenta, nascondendosi spesso per non venire notati da nessuno. Soprattutto dai soldati e dai facchini che erano spesso presenti nella città alla quale avevano cambiato anche le strade, rendendole tutte dritte come avevano imparato a fare qualche anno prima per ordine del Primer. Quindi era più difficoltoso per i due ragazzi camminare in maniera nascosta, perché questi viali dritti non offrivano mai la possibilità di sentirsi nascosti nelle curve. Quando una curva è lunga ti consente di non essere visto dall’inizio della strada alla fine; in questo caso, essendo tutte dritte, era difficile tenersi nascosto. Riuscirono ad arrivare nella villetta alla quale erano destinati senza essere notati da persone ritenute pericolose per loro. Entrarono nella casa accolti dal padrone ventenne che si presentò a Toshio e salutò Piggy in maniera amichevole, dimostrando che erano conoscenti. Entrarono in una stanza e il ventenne, dopo avere detto il suo nome Luigi a Toshio, appena chiusa la stanza disse: “Vi aspettavo. E avevo paura che vi vedessero i soldati. Conosco benissimo il loro modo di fare perché io sono dell’Ordine. Comprai questa casa da una famiglia di restii subito dopo che il Primer riuscì ad accorparli negli Stati uniti. Il che risultò facile perché qua non avevano soldi. E i primi che fecero gli appartenenti in questi luoghi furono quelli, vendendo le villette a noi che siamo il futuro per loro”. “Vedo che le varie colorazioni della pareti le avete importate dall’Ordine”, disse Toshio sorridente. “Molte cose sono positive, altre dovremo cambiarle. È per questo che ho accettato che veniste qui a parlare nella mia casa. Credo al vostro progetto, e ormai siamo in tanti a credere nei possibili cambiamenti politici”, rispose Luigi, che risultava allegro e sincero.
“Ma... siamo solo noi tre? Non mi avevi parlato di riunione?”, disse Toshio guardando Piggy. “Sì. Siamo in tre, ma Luigi c’è perché ci ospita. Io volevo parlare solo con te, e lui capirà. Siamo i più considerati tra i Disordinati e dovremo imporre una struttura differente da quella della quale parla... anzi, non parla quasi mai... Ralph. Bisogna parlare per progettare un partito politico, mentre lui dice d’essere sempre contro le imposizioni per via del suo non sentirsi un politico. Centinaia di volte gli dissi di studiare un modo che lo fe entrare in una lotta verbale con i due, Freddino e Precisino. Lui potrebbe divenire un Primer, ma non gli piace. La gente lo ama, perché i Disordinati gli parlano spesso delle sue avventure e della sua personalità. Lui può essere il capo della nostra rivoluzione e dovremo convincerlo. Avevo pensato anche a indurre Antonio a essere uno che poteva farlo e sono certo che se lui avesse accettato, Ralph avrebbe ascoltato e sarebbe entrato, con immensa gioia, nei nostri ideali. Dobbiamo farlo entrare in politica e farlo eleggere Primer!”. Toshio lo aveva ascoltato senza interromperlo. Quando ebbe finito di parlare rimase alcuni secondi in silenzio, riflettendo. “Vedi, caro amico... Ralph Primer m’affascinerebbe. Ma non possiamo far divenire un governatore chi non chiede d’esserlo”, disse accantonando il silenzio Toshio. “Vedi, questo è un lavoro gratuito per lui. È sappiamo che lui non si sente comandante quindi, quando sarà eletto, saremo noi due a essere suoi consiglieri. Lui si fida di noi, e potrà farci lavorare sempre meno guadagnando sempre di più. Ralph si trasformerà da Primer in quello che ci permette di fare del bene alla gente, con la nostra bravura governatoriale”, e Piggy ne parlava in maniera entusiastica. “Faremo un favore a lui, ma lo faremo anche a noi e a tutta la popolazione. Lo so che ti sembra un discorso molto del Là, ma sai che io sono stato, pur essendo un Disordinato, un simpatizzante dei principi del Là; che, nella storia che conosciamo –quindi quello che ci hanno detto le persone più grandi di noi –, sono stati sempre quelli dei cambiamenti maggiori nell’Ordine. Ora voglio cambiare l’ordine nell’Ordine, e bisogna farlo penetrando nella politica. Abbiamo un nome importante sul quale contare. Dovremo usare violenza solo all’inizio, per avvicinarci alla Stanza del Bisbiglio e far proclamare Ralph come terzo candidato elettorale. A Perfectville sono in tanti a credere in noi Disordinati e dovremo inventare anche un nuovo nome per il nostro gruppo,
che diverrà un partito. Perché questo nome non esercita il suo ruolo d’accorpamento. Non richiama quantità esagerate di persone”. Toshio lo guardava con aria interrogativa: “Piggy, sto capendo quello che dici, ma dai per scontate troppe cose. Alla Stanza del Bisbiglio ci sono politici intelligenti che non faranno mai entrare noi e Ralph. E, quello che vogliamo far eleggere, non vorrà mai guidare un partito”. “Cambieremo anche il nome di questa cosa che chiamiamo ‘partito’ da sempre. Potremo chiamarlo l’Insieme”, disse Piggy convinto di convincere. “Quindi quello che chiamiamo ‘partito’ diventerebbe ‘insieme’? Pensandoci questo cambiamento potrebbe piacermi, ma poi non ci sarebbe il rischio che nascano altri ‘insieme’ concorrenti al nostro? Così non cambieremmo l’Ordine di poco. Lo riformeremmo!”. “Altri ne potranno nascere, ma non avranno mai il nostro potere perché convinceremo la gente a farci governare. La popolazione vuole uomini gentili come governatori, e noi siamo sulla bocca di tutti in maniera eccellente. Il nostro Insieme sarà popolare”. Toshio accennò un sì con la testa, mantenendo il viso serioso. Vicino a lui c’era un Luigi silenziosissimo ed eccitatissimo. “Ma Ralph come lo convinciamo?”, chiese Toshio. “Ralph può anche non sapere nulla. Lo facciamo eleggere dai votanti a cui piacerà il nostro ‘Insieme’. Lui non dovrà scrivere nulla nei giornali, oppure scriveremo noi al posto suo senza fargli leggere cosa gli attribuiamo di dire, non facendogli mai trovare giornali ovunque andiamo”. “Così a me sembra di sfruttare solo il suo nome, che la gente adora!”. “Non lo sfrutteremo perché diverrà lui il Primer. Lo emo per il bene di tutti. Ho anche pensato al nome del nostro ‘insieme’: Sciolti!”. “Al posto di Disordinati?”. “Certo. Insieme degli Sciolti”.
Toshio dovette riflettere dando le spalle a Piggy. Poi tornò a incrociarne lo sguardo e disse: “Io ci sto. Ma riusciremo ad arrivare alla Stanza del Bisbiglio?”. “Per arrivare lì dovremo usare le armi che hanno rimediato molti Disordinati nascosti nell’Ordine. Alcuni li hai conosciuti, e sai che riescono a non far sapere nulla dei loro ideali a facchini o a soldati. Girano liberi per le strade e vogliono che ci tramutiamo in liberi tutti. Uccideremo qualche persona, ma sicuramente meno di quelle che uccidono questi pazzi che ci governano. Poi, per entrare nella Stanza del Bisbiglio, ho conosciuto un uomo importante, che vuole far eleggere Ralph, anche se non lo conosce”. “Si trasformerà nella più grande rivoluzione della storia. Speriamo di fare tutto benissimo”, aggiunse Toshio, risultando quasi convito, ma non totalmente felice per questa rivoluzione che aveva in mente Piggy. “Della storia però, non sappiamo quasi nulla”, aggiunse.
Pensare
Sergio prese la nave il giorno dopo aver avuto il colloquio con quei due giovani a Perfectville e partì verso il Resto. Lui aveva voluto capire com’era quel posto dal quale erano partiti gli ordinati, che ora governavano loro e li avevano obbligati a seguire le loro leggi. Voleva capire quanto di buono c’era in quella popolazione perché sperava di dare uno sguardo allegro al futuro di tutti i compagni di quello che ora era chiamato ufficialmente Resto. Arrivò nel porto di Porticino, che era il nome imposto per quella città del Resto, il giorno dopo verso sera. Quando tornò a toccare terra con i suoi piedi, vide molta gente che parlava in maniera che aveva imparato fosse vietata nell’Ordine. Qua c’era ancora poco controllo, certamente pochissimo rispetto a Perfectville, quindi non si stupì affatto di vedere quella cosa stranissima per gli ordinati: la libertà di parola. Camminò per una ventina di minuti per Porticino, poi salì su una carrozza, pagò il facchino con quelle poche banconote che gli erano rimaste e si fece portare su una spiaggia che non era tanto lontana.
“Quando scendi ricordati di ringraziarmi. Tanto. Con i soldi che mi hai dato t’ho fatto fare troppa strada, ma non mi sento cattivo”, disse il facchino, restio d’origine, qualche secondo prima d’arrivare. “Ti ringrazio d’esistere, facchino”. Il facchino sorrise dimostrando felicità per l’uscita verbale di Sergio. Quando scese, iniziò a camminare verso la spiaggia e aveva una sorta di prato alberato da sorare a piedi. Dopo pochi i, spuntò alla sua sinistra e da dietro un albero Ralph, seguito da Antonio, che si avvicinò a lui mostrando fiducia nei confronti di un ragazzo sconosciuto con il quale non aveva mai parlato, e sapendo che di rischi ne correva tantissimi. “Sei un ragazzo cresciuto a Resto, vero?”, disse Ralph sorridendo. “Sì. Tu sei dell’Ordine?”. “Sono nato nell’Ordine, ma mi sento libero”. “Da come parli ipotizzo che tu sia un Disordinato”, Sergio lo disse sorridendo. Ralph stette in silenzio per qualche secondo, poi: “Il loro agire mi piace. Posso dire di esserlo. A te quello che fanno piace?”. “Direi di sì. Li sto studiando, ma io sono nato qua nel Resto e mi sembrano un gruppo strano per quello che pretendono di insegnarci gli ordinati”, disse Sergio; poi aggiunse sorridendo: “Scusa, l’ho detto così ma... per l’Ordine ho rispetto”. “Qua siamo liberi di parlare perché questa non è una delle città pericolose. Siamo nella natura che è neutra. Parlami di tutto ciò che non ti convince”. “Da come sei vestito, anzi siete... perché non sei solo, anche se parli tu soltanto... dicevo che dall’apparire non dovrei nutrire alcun timore, ma parlare di ciò che so di loro non è una cosa che piacerebbe ai loro capi”. “Capi? Ma di cosa stai parlando? Cos’hai saputo sui Disordinati?”, disse Ralph guardando anche Antonio e mostrando un viso incerto. “Ho capito che ci sono dei ragazzi che li guidano per fare quello che si sentono
di fare”, rispose Sergio. “Se loro lo sentono, perché dovrebbero essere guidati?”, disse Antonio facendo udire per la prima volta a Sergio la sua voce. “Loro... non fatemi parlare troppo di un gruppo di persone che vengono considerate illegali”. “Loro sono illegali quanto noi. Siamo Disordinati. Io mi chiamo Ralph, lui è Antonio. Se vuoi puoi dirci anche il tuo nome, così non ci nasconderemo nulla, perché immagino che noi tre non cerchiamo il male degli altri. Quando arrivai a Resto conobbi delle persone pacifiche e sincere, perché non dovevano seguire obbligatoriamente delle regole. Piano piano parte dei restii ha cambiato la mentalità e si sono accodati all’Ordine. Ma molti ancora non vogliono essere quella sorta di schiavi che il mio Stato vuole che la popolazione divenga”. “Ma sei Ralph Manto? Il capo dei Disordinati?”, e strabuzzò gli occhi. “I Disordinati non hanno un capo, ma questo disordine fa credere anche delle follie. Io sono un ragazzo che vuole ritenersi libero, quindi non posso capeggiare nessuno”. “Sì, ma lotteresti per la tua libertà e per quella degli altri?”. “Lo farò solo con la testa. Bisogna capire come procurarci il bene in maniera pacifica”. Sergio pensò qualche secondo, poi: “Io mi chiamo Sergio, e ora capisco perché tutti parlano incredibilmente bene di te. Voglio dirti che... Sì, è vero. Siamo ancora in tanti a non cercare di limitarci con la vostra legalità nel Resto. Essendo molti, quel partito del quale mi hanno parlato i giovani a Perfectville potrebbe rivelarsi una soluzione ottimale. E, spero, pacifica. Anche se m’hanno detto che all’inizio potrebbe esserci bisogno della violenza, obbligata dai soldati che fanno luce intorno alla Camera dei Bisbigli”. “Partito, violenza, luce... Quasi non ti fai capire Sergio. Se ho compreso il senso della parola luce, mi complimento con te, perché la reputo una frase artistica. E noi dell’Ordine, sai bene che l’arte non l’abbiamo mai studiata”, disse Ralph con lo sguardo serioso.
“L’arte non deve essere spiegata. Bisogna partorire un’opera che viene dalle emozioni che abitano in noi. Giusto, Sergio?”, proferì il quasi sempre silenzioso Antonio. “Vedremo”, pensò usufruendo della voce Sergio.
Rivoluzione
Erano diversi giorni che Toshio e Piggy informavano tutti i componenti dei Disordinati del loro piano. Ed eseguivano il tutto con la massima cura, ricordando a tutti di non parlare dell’Insieme (una volta sarebbe stato partito) e degli Sciolti a Ralph, ma di spingere tutti a convincere la popolazione a votare lui per tornare liberi. Informavano quelli del gruppo dei Disordinati solo di quello che avevano concordato i due nomi oramai famosi per quella parte di popolazione, senza parlare di tutto quello che avevano ideato, ma di tutto quello che gli serviva che la popolazione sapesse. Gli amanti dei Disordinati, che tra poco si sarebbero fatti chiamare Sciolti, erano aumentati ulteriormente di numero, non restringendosi più a una cerchia di giovanissimi, ma facendo subentrare anche uomini di età più avanzata. I Disordinati non erano più esclusivamente fuggiaschi da più di un anno. Loro vivevano anche nelle città senza far capire di essere aderenti a quel gruppo dichiarato illegale. Piggy era riuscito a insegnare a tutti coloro che facevano parte del gruppo a cercare di convincere i soldati a dirgli dove fossero depositati i fucili. Quando lo seppero, Piggy ordinò una riunione importante con vari appartenenti al gruppo. “Stanotte ne ruberemo tanti. Quello che dovete fare lo sapete già”, disse quello cicciottello che si sentiva un comandante dall’aria trionfale.
I ragazzi s’incontrarono intorno alle undici di sera nella periferia di Perfectville, vicino al luogo dove avevano scoperto ci fosse quel deposito. Riuscirono ad avvicinarsi in maniera silenziosa e sfruttarono gli alberi che erano intorno a quel deposito, che si trovava in mezzo a un bosco con una sola strada che portava sino al cancello. Quindi tutte le persone che volevano arrivarci dovevano farlo con una carrozza, perché era distante dalla città. Era una periferia della periferia e quelli che s’avvicinavano dovevano are una sbarra alzata da alcuni soldati che montavano là giorno e notte. Il gabbiotto era occupato da soldati a tutte le ore. I ragazzi non si avvicinarono alle mura con la carrozza ma a piedi. E si fecero quindi una camminata intensa. Una volta di fronte alle mura videro che c’erano soldati anche intorno al magazzino nel quale dovevano entrare. La notte li rendeva invisibili e loro tornarono al punto nel quale v’era la sbarra, protetta solo da tre soldati. I ragazzi si organizzarono e versarono tantissimo Pacificatore nei bicchieri dei soldati che così si distrassero. Loro non erano troppo attenti perché ritenevano impossibile che qualcuno si avvicinasse a piedi al deposito, neanche quei ladri che esistevano da sempre nell’Ordine: secondo loro non avrebbero mai rischiato l’impresa d’entrare in quel magazzino. E quelle serate tra soldati le tramutavano in una sorta di atempo tra amici, anche se nell’Ordine non c’era questa abitudine di cercare gioia procurata dalla compagnia di altre persone. In effetti loro non stavano insieme a scherzare e ridere ma, per la maggior parte del tempo, erano lontano l’uno dall’altro. Il perché è un mistero che non saprei svelare. Un paio di Disordinati, che sarebbero divenuti Sciolti, s’accorsero che i tre soldati bevvero il Pacificatore uno alla volta, finendolo in un’ora. Quando loro s’addormentarono, gli Sciolti si presero i fucili dei tre e si diressero nuovamente verso le mura. Si misero quindi in tre, nascosti dai cespugli e dal buio, a mirare tre dei soldati che circondavano le mura del deposito, ma quelli erano una ventina, tutti a diversi metri l’uno dall’altro. Dovettero decidere quindi se rischiare o meno la vita a favore dell’impresa. Molti di quei quaranta che erano partiti per dare inizio alla rivoluzione non temevano la morte, anche perché Piggy li aveva convinti che, una volta ristabilito il potere, i nomi dei primi rivoluzionari sarebbero stati ricordati a lungo, e magari avrebbero fatto delle scultore in memoria dei primi morti in onore dell’Ordine più sciolto.
Per lanciare l’attacco gli Sciolti sapevano cosa dovevano fare, perché li aveva addestrati militarmente Piggy: “Quando attaccate ricordate che chi deve sparare per primo deve prima gridare ‘Ohi’, così da fare capire a tutti gli altri di andare contro i soldati a piedi. Naturalmente deciderete anzitempo chi potrà gridare per primo l’Ohi così che gli altri con i fucili possano sparare. Se morite, lo fate per la libertà”. Lo disse prima che i ragazzi partissero per il deposito. Quello che era stato scelto per sparare per primo si innervosì; anche se lui era uno di quelli che avevano già usato i fucili rubati quando era un ladro. Era uno di quelli che lo avevano usato più volte, e non era nervoso perché aveva paura d’uccidere un uomo, cosa che aveva fatto diverse volte in ato. Era nervoso perché sarebbe stato lui a far partire la rivoluzione più grande, e forse anche l’unica, di tutta la storia. Lui era un ordinato da sempre, e non aveva capito subito i riferimenti all’importanza della storia che avevano provato a spiegare i restii dall’inizio dell’unità dei due Stati. Nel Resto si studiava molto anche quella, e non solo la grammatica e l’addestramento ai lavori come nell’Ordine. Visto che ve lo sto raccontando io, non vi dirò mai il nome di quello che sparò la prima pallottola della rivoluzione. Lo fece dopo circa quindici minuti che era seduto dietro a un cespuglio. Iniziò quello che, se ci fossero stati i restii, sarebbe da loro stato odiato. Morirono due soldati, il terzo non venne preso al primo colpo e si nascose dietro a un albero. Poi gli altri soldati vennero attaccati fisicamente, con pugnali e bastoni, dagli Sciolti che avevano quel compito. Ma ci fu il primo morto dei rivoluzionari dopo poco, perché i soldati erano bravi a sparare e, come videro avvicinarsi gli Sciolti avendo già l’attenzione destata dai primi colpi, iniziarono a sparare colpendo quasi sempre un rivoluzionario. Sì... i soldati erano una ventina, ma gli Sciolti erano quaranta, e avevano ucciso immediatamente due soldati. I rivoluzionari si sentivano spinti dalla voglia e dal futuro che li aspettava, sia economico che storico. Fecero fuori tutti i soldati in meno di dieci minuti, subendo la perdita di ventisette ragazzi. Quand’ebbero finito, si fiondarono all’interno del deposito scavalcando il cancello e, una volta dentro al magazzino, s’impegnarono a prendere la quantità di fucili che poterono caricarsi su una carrozza che era all’interno delle mura.
Terminò la prima battaglia e gli Sciolti erano rimasti in tredici. Erano tutti esaltati e fieri, e iniziavano a capire quel termine che usavano i restii: si sentivano d’amare l’ideale che gli aveva fatto rischiare la vita. Ora sapevano, quasi tutti con certezza, che l’amore esisteva. Ma non era per le donne, come gli avevano provato a spiegare quelli dello Stato occupato, era per gli ideali e per gli uomini che comandavano la rivoluzione. Si sentivano d’amare Toshio e Piggy, nutrendo un sentimento sempre maggiore nei confronti di Ralph.
Nascosti
La stanza da letto s’era accesa con la luce del giorno, e un facchino si sbrigò a vestirsi sapendo che doveva attaccare a lavorare in quello stesso palazzo nel quale aveva dormito meno di un’ora. Era quasi felice stamattina, il che lo faceva sentire stranito rispetto alle solite sveglie alle quali era abituato. A lui non piaceva lavorare e si sentiva diverso dagli altri uomini che sembravano sempre imibili alle regole che dovevano seguire per sopravvivere. Lui voleva vivere e non pensava che quelli ai quali s’erano adattati quasi tutti fossero gli atteggiamenti migliori per essere felice. Si era invaghito dei presupposti che si era prefisso quel giovane di cui parlavano in tanti, sempre in maniera quasi segreta. Dicevano da pochi giorni che stava fondando un partito, che non aveva più questo nome, ma era divenuto un insieme. E dicevano che voleva conquistare il posto che era dei Giusto da non si sa quanti lunghissimi anni. Voleva divenire Primer e doveva farlo obbligatoriamente con una rivoluzione, perché per divenire governatore dell’Ordine dovevi essere da sempre (così diceva il popolo) un Giusto. Il facchino s’era apionato a sentir parlare di quello che diceva Ralph e del coraggio che questo giovane ragazzo aveva dimostrato di avere, ponendosi contro la legge. Gli piaceva anche il contributo che gli avevano dato i restii, che erano trattati male dagli ordinati ma erano la compagnia ideale per lui. La nottata era stata imprevista, perché non aveva mai neanche lontanamente sperato di finire nella camera da letto nella quale era ora; e di are la notte con il suo sogno erotico dagli anni nei quali aveva scoperto la gioia del sesso.
Lui era un bel ragazzo che non raggiungeva i venticinque anni d’età. Si preparò in maniera rapida e perfetta, perché sapeva che non doveva dimostrare quello che aveva fatto nella migliore notte della sua vita. D’un tratto s’aprì la porta e imbucò nella stanza un cinquantenne con aria adirata. Questo signore era il proprietario della stanza nella quale era, e il ventiquattrenne aveva ato con lui la notte. La porta la richiuse sbattendola, ed i soldati che erano all’esterno urlarono il solito “Eh!”. “Freddino, perché hai l’aria di un adirato? Stanotte m’hai detto che ti sei divertito con me”, disse il facchino in piedi e completamente vestito e pronto per il lavoro. “Cazzo! T’avevo detto di non chiamarmi mai più Freddino dopo stanotte! E non sono arrabbiato con te, ma con quello che m’hanno detto sia successo stanotte”. “Scusate Primer. Posso chiederle cos’è successo?”. “La rivoluzione della quale mi hanno parlato in tanti è partita. E quegli stronzi dei Disordinati hanno assaltato il deposito della periferia rubando molti fucili”. “Ci sono riusciti?”. E il facchino tentò di nascondere quel sorriso che stava per fare, dovuto alla contentezza di quella rivoluzione che ormai era realtà. “Sì. Ma li farò trovare tutti e li ucciderò! Facendoli soffrire davanti al popolo. Come abbiamo sempre fatto nella storia dell’Ordine per impaurire coloro che facevano cose illegali e contrarie ai nostri ideali”. “Storia? Ma è vero che voi politici sapete tutto allora”. “Noi sappiamo solo quello che viene scritto dai nostri predecessori. E sappiamo che possono esserci un sacco di cretinate, perché quelle le scrivo anch’io ai politici del futuro”. “E perché vi dite tante cretinate?”. “Il nostro volere è il nostro potere”, disse Freddino fissando il facchino e facendo cenno di sì con la testa.
“Quindi quello che volete è legge. Ma a noi non avete mai detto questo. Ci dite che il potere è del popolo e noi ci crediamo da sempre”. “Oggi stai scoprendo tante cose. E hai usufruito pure del mio fisico attivamente. Sappi che ho sempre cercato di farvi coesistere con i restii perché quella nazione ci serve per il suo contenuto. Ma i maledetti Disordinati che hanno attaccato il deposito erano sicuramente, per la maggior parte, del Resto. Io li ho sempre odiati questi stranieri, ma cercavo di essere anche il loro comandante. Ho provato allacciando contatti tramite Rufus ma, a quanto pare, non ho risolto e screditato questi rischi che supponevo”. Mentre Freddino parlava, il facchino rifletteva ascoltando quello che lui diceva, guardando a vuoto tutta la camera. “Pensa che siano stati loro ad assaltare il deposito? E hanno ucciso qualche soldato? Perché io so che loro sono pacifici e non sanno lottare bene”. “Li stai difendendo?”. E Freddino esaltò la sua rabbia. “Io lo so che lei ha sempre ragione, ma non posso nasconderti che quelli del Resto, per certi aspetti, mi piacciono. Loro scopano tra uomini e tra donne in maniera omosessuale. Non è come qui che sarebbe vietato dalla legge. E io mai avrei immaginato di fare sesso con lei, Primer. Nessuno immagina nulla. Come fa a nasconderlo così bene?”. Freddino aprì la porta della stanza e fece entrare un facchino. Chiuse la porta alle sue spalle e gli disse: “Fallo!”. Quello alzò il fucile e sparò subito due colpi sul corpo dell’altro facchino. Poi si avvicinò all’uomo che ormai era a terra e gli sparò l’ultimo alla testa. “Questo imbecille era dei Disordinati ed era riuscito a entrare nella mia stanza”. Disse Freddino guardando il facchino che aveva sparato. “Ma era idiota, lo avevo fatto salire io perché avevo capito che era una spia. Ho cercato di saperne di più su quello che è successo stanotte e ho scoperto che tra i Disordinati c’erano molti restii. Dillo a tutti!”. “Tu hai sempre ragione. Sei Giusto!”. Il facchino che aveva ato la notte con il Primer non raggiunse mai i
venticinque anni.
Nessun muoia
Di colpo tutti i coperchi delle decine di lanterne nella stanza s’alzarono grazie a un meccanismo manuale, fatto di corde e ruote. Le lanterne avevano quattro facce; tre di vetro trasparente e una specchiata e rivolta verso la fiamma. Gli specchi indirizzavano la luce sulla parete più lontana, l’unica senza lanterne. Il disordinato sciolto era stato catturato inspiegabilmente e fatto entrare in quella stanza senza poter vedere nulla. Una voce stupenda si presentò accarezzando l’aria con tonalità seriosa. “Tu sei lo sciolto che per primo ha sparato il colpo facendo partire la rivoluzione. Ne sei fiero?”. “Mi scusi, ma non so come faccia a saperlo. Vorrei che lei diffonda il mio nome nell’Ordine così che io divenga famoso. Poi potrei cambiare versante politico e schierarmi con chi vuole lei. Avere un rivoluzionario famoso che diviene un ordinato farebbe aumentare i voti al Qua e Là”. “Il tuo nome non lo saprò mai!”. “Non lo saprà mai? E come ha fatto a farmi portare qui?” “Il tuo nome lo dimenticherai anche tu e sparirà nel nulla!”. “E come?”. Silenzio. “Fuoco!”.
Nella vita esistono anche...
Due sere dopo l’inizio della rivoluzione, Lana fu chiamata da Rufus che la volle nella sua villa. Lei era accesissima per l’inizio di quella che sarebbe stata una nuova era, ma non sapeva con esattezza ciò che era accaduto. Aveva letto il giornale della mattina e tutte le cose che vi erano state scritte dai giornalisti indaffaratissimi, che s’erano impegnati a capire con precisione ciò che era successo nel deposito delle armi, ma erano stati tutti obbligati dai politici che li comandarono a scrivere che l’attacco era opera non solo dei Disordinati, ma anche dei tanti restii che s’erano affiliati a questo gruppo violento. Ebbero l’ordine di far nascere e alimentare un odio nei confronti dei Disordinati e un’antipatia verso i restii che erano stati fatti crescere da quando l’Ordine era entrato nel loro Stato, migliorando il processo istruttivo della gente che viveva senza sapere che le leggi servivano a ogni comunità. I giornalisti non seppero che nel deposito erano stati uccisi diversi soldati per non ingrandire il potere, che per i politici doveva rimanere illusorio, dei Disordinati. Lana entrò nella villa dopo essere stata accompagnata in carrozza da un facchino. Voleva vedere quello che era definito da tutti “l’uomo dell’Ordine” ed era certa di essere proprietaria di un sentimento che, per gli ordinati, era inesistente: l’amore. Quando entrò nella stanza da letto di Rufus comprese immediatamente che lui era allegro e felice, iniziando a pensare che fosse giunto il momento di concedere il proprio corpo all’uomo importante per la prima volta. “Stupida bambina, oggi ti parlerò accrescendo il tuo desiderio del mio corpo! Spogliati lentamente e fai crescere anche il mio corpo. E divertiti a farlo. Voglio toccare il tuo corpo scivolando sulla tua pelle”, iniziò il colloquio Rufus, sdraiandosi sul letto e tenendo la testa poggiata sulla parete. Lana dimostrò un’immediata contentezza e si mise seduta su una sedia che era posizionata ai piedi del letto. Era praticamente con il sedere poggiato su quello che lei immaginava sempre come un palcoscenico, anche se nell’Ordine il palcoscenico non esisteva. Voleva sempre apparire un’artista, soprattutto quella sera.
Era vestita con una lunga tunica bianca, con il collo e il decolleté in grande evidenza. Lei era una ragazza con il seno abbondante, che faceva quasi sempre accendere i pensieri di tutti gli uomini che cadevano con l’occhio sulla sua scollatura triangolare. Accavallò le gambe e rimase in silenzio a incrociare lo sguardo dell’uomo, cercando di riuscire a togliere quella lieve immagine di sorriso che aveva mostrato qualche secondo prima. Quando fu totalmente seria, aprì leggermente la bocca scollando le labbra che apparivano del loro colore naturale, senza neanche l’accenno di una ata di rossetto. In pochi secondi portò le sue mani sulle proprie spalle, allargando la scollatura della tunica e aprendo i due bottoncini chinando un poco la testa, senza mai abbandonare lo sguardo dell’uomo. I seni della ragazza vennero con questo movimento totalmente coperti, con la seta dell’indumento che s’avvicinò al collo prima d’essere obbligata a scendere dalle mani di Lana. Rufus guardava eccitatissimo quella bella ragazza che si spogliava di fronte al suo sguardo, che aveva abbandonato gli occhi di lei per concentrarsi sul petto, aspettando con estrema voglia di vederne i capezzoli. Lei fece scendere lentamente la tunica, mostrando la sua carnagione scura che non s’allontanava esageratamente dal candore della seta. Si affacciarono totalmente entrambi i capezzoli, molto larghi e ancora più scuri del resto della carnagione. “Il reggiseno non lo porti? Stupida bimba, come fai ad avere i seni sempre così alti?”. “Se mi chiami bimba significa che per te sono giovane. Forse è per quello. E forse dovrai insegnarmi a fare il resto. Essendo del Resto però, potrei anche conoscerlo”, disse lei sorridendo, ma sostenendo una serietà nello sguardo che cercava d’incontrare gli occhi di lui, che invece erano ormai fissi sul petto di lei e volevano scendere verso il bacino. Lei prima aprì lentamente le sue gambe, poi fece abbandonare alle mani le posizioni che avevano assunto e le diresse verso l’orlo più in basso della tunica. Lo prese e lo incamminò in verticale a scoprire le gambe e le cosce. “Me l’avevano detto tutti quelli che con te erano stati a fare sesso, ma non credevo riuscissi a muoverti così bene, stupida bambina. Che poi ho fottuto
diverse restie, e devo dire che siete brave tutte. Ma tu sei la migliore”, disse continuando a esplorare con la vista il corpo di Lana. Lei si alzò e fece scivolare la tunica, rimanendo solo con le mutande davanti ai suoi occhi. Lui fece strisciare il suo sedere sul letto sino a sedersi dinnanzi a lei. Assunse uno sguardo serioso e, con un movimento fulmineo, portò la sua mano sulle mutandine di lei nel punto appena sotto alla pancia e gliele strappò, denunandola completamente. Vide la peluria della ragazza e si sentì eccitato in maniera che non aveva precedenti. “Mettiti in ginocchio e fai quello che sai fare, mentre io parlerò!”. Lo disse togliendosi i pantaloni e le mutande. Lei s’inginocchiò accennando un sorriso, e mise la testa tra le sue gambe iniziando con diversi baci prima di riempirsi la bocca. “Vedi... tu lo prendi tutto e anche la gente prende tutto. Tutto quello che diciamo e ordiniamo”, disse Rufus alzando la testa, mentre Lana non si fermava ma rallentava il movimento per ascoltarlo bene. “Sì... Così, piano va bene, ma non ti fermare. E sì... Continua a guardarmi mentre parlo, perché mi piace guardarti negli occhi mentre mi provochi goduria, stupida bimba. Vedi, in molti si chiedono perché io non elimini Ralph. Come faccia a non sapere sempre quello che lui voglia fare. Credono che lui sia estremamente bravo, ma non sanno che lo farò lottare con i Giusto per divenire Primer”. Lui parlava mentre lei lo faceva godere, ogni tanto fermandosi. Poi fermò la testa della ragazza e si sdraiò un’altra volta sul letto. “Montami sopra. Voglio scoparti rimanendo fermo”. Lei scese dal letto e ne ò al lato, allargando la a gamba, e iniziò a cavalcarlo lentamente accompagnando il gesto con una sonorità vocale d’estrema sensualità che evidenziava quanto ora fosse lei a godere. Tornò a guardare i suoi occhi e, mentre lo cavalcava lentamente, gli chiese: “Perché aiuti lui? Esponiti tu, diventa Primer”. Lo disse lentamente perché sentiva l’uomo dell’Ordine dentro di sé. Lui non rispose e continuò a fare quel
sesso che con lei voleva fare da tanto tempo. Ma aveva paura di non sapeva cosa. E, per lui, quando aveva un timore era sempre perché c’era un pericolo, anche se non lo vedeva nessuno. Perché l’incoscienza non faceva parte del suo essere. Lui la pensava così. Oggi era felice perché a breve sarebbe divenuto ancora più importante, quindi aveva superato quella paura e non ne aveva più. Dopo poco tempo che aveva finito l’apionante e tanto sognata unione carnale, Rufus s’era steso completamente sul letto e guardava Lana che era sdraiata al suo fianco, lasciandogli la libertà motoria, distanziandosi di una ventina di centimetri, ma continuando a fissarlo con aria compiaciuta. “Io mi sono divertito molto. Tu quante monete prendi?”. “Ma... Io non saprei chiederti nulla, perché ho fatto quel che devo con assoluta gioia”. “Stupida bimba, i soldi non sono mai stato il mio problema, perché sin da giovane ero attivo al meglio possibile. Entrai in politica all’età giovanissima di diciannove anni, proponendomi per il Là, e accesi la mente nella maniera perfetta escogitando il tutto che m’avrebbe portato a essere identificato come l’uomo dell’Ordine. Ora voglio possedere tutto ciò che serve per avere una vita perfetta. E per farlo mi esibirò a fare quel lavoro al quale non aveva pensato mai nessuno: aprire dei negozi che costruiscono i soldi, sfruttando anche il popolo in maniera legale. Sarò la perfezione degli Stati uniti dell’Ordine. Li farò costruire, li presterò a chi servono, chiedendo in cambio l’obbligo di restituire la somma che ho anticipato un poco ogni settimana. Non tutto subito, un pizzico alla settimana per una tempistica che proporrò ai miei clienti”. Lana con la faccia stupita disse: “Ma... È una cosa seria quella che stai dicendo? E in che modo guadagneresti?”. “Ogni rata avrà una percentuale del mio interesse che, visto che saranno tanti, sommandoli ne uscirà una cifra esagerata. E lo faranno in tanti, perché con Ralph mi organizzerò proponendogli il bene della popolazione. Ma forse non dovrò parlare con lui, e mi appoggerò ai giovani dei quali si fida quello che sembra un ragazzo dal carattere popolare. Forse ne parlerò con Toshio, Piggy e tutti quelli che intuirò essere persone alle quali il prossimo Primer chiederà pareri importanti”.
Rufus parlò senza mai distaccare il proprio sguardo dagli occhi di Lana, la ragazza che, con viso sorpreso, sembrava comprendere ogni parola dell’uomo.
Sciolti, ma insieme
I giorni avano durante la rivoluzione costruita e costituita dai ragazzi Disordinati e da quella parte di popolazione che si sentiva stanca e provata dall’eccessivo potere nelle mani del Primer. Tutta questa frangia non si sentiva nella democrazia. Qualche notte dopo l’attacco compiuto al deposito dei fucili, s’incontrarono Toshio, Ralph, Antonio e Piggy. Si trovavano nei boschi non troppo lontani da Compagnia ed erano ormai esperti nel viaggiare e nel muoversi al buio, dopo essere stati tanti anni sempre in fuga e l’essere stati ricercati per tutto il tempo che avevano ato insieme. Entrarono dentro una villetta di un appartenente al gruppo, in maniera ovviamente segreta, e si misero a parlare appena si sedettero intorno a un tavolo. “Dovremo parlarti dell’inizio della rivoluzione, Ralph”, disse con il sorriso Piggy. “Sì. M’aspetto che mi raccontiate quello che è successo al deposito. So che hai preso tu l’incarico senza essere costretto da nessuno. E hai convinto molti ragazzi a iniziare quella che chiamiamo rivoluzione”. “Hai ragione su tutto, ed è giusto che ti dica con esattezza quello che devi sapere”. Ralph fece una faccia quasi infastidita alle parole ‘devi sapere’ pronunciate da Piggy; Toshio fece un cenno con la testa invitandolo a proseguire a parlare e lui continuò subito. “Abbiamo tolto ai soldati una parte di quelli da noi considerati squallidi oggetti che si chiamano fucili. Perché come sai, gli uomini dell’Ordine, su comando dei
loro capi, se ci vedono ci sparano. Ma io e Toshio siamo stati efficienti nel pensare alla precauzione di togliergli una gran parte di quei fucili e di farli tenere ai Disordinati che hanno compiuto l’azione”. “Quindi lo scontro è stato duro per i ragazzi del nostro gruppo?”, disse Ralph, con uno sguardo serio. “Ebbene... Alcuni dei nostri ragazzi, che non sono di un gruppo ma di un Insieme, sono stati colpiti dai fucili dei soldati e sono morti”, disse Toshio, temendo le urla di Ralph e Antonio, che aveva di fronte al tavolo; ma i due rimasero in silenzio, con il primo che si alzò, diede le spalle a tutti e si fermò davanti alla finestra, e il secondo che non mosse neanche una palpebra continuando a fissare colui che aveva parlato. Piggy disse a quello che avevano eletto come capo dei Disordinati, senza niente che avesse la parvenza di elezioni: “Lo so che è una notizia tosta, amico. Ma loro lo hanno voluto fare, rischiando perché credono in te”. Continuando a dare le spalle a tutti e senza voltare neanche la testa, lui disse: “Questa notizia è un duro colpo. E i soldati sono stati uccisi?”. “No”, rispose con immediatezza Toshio. “Piggy mi ha detto che sono riusciti a superarli usando le loro braccia e facendone addormentare qualcuno con il Pacificatore. I ragazzi del nostro gruppo subirono i colpi delle armi di quelli che non sono riusciti ad addormentare”. “Riesco ad accettare questo dato...”, e si voltò guardando entrambi, porgendo un volto riflessivo “... ma la libertà non costa vite”. Antonio s’intromise per la prima volta: “Un ero su un ramo è uno spunto per la rivoluzione”. Toshio sorrise in maniera plateale: “Questa è un’altra frase da segnarsi. Scrivila. In futuro ci sarà un lavoro che si chiamerà ‘scrittore’. Tu sarai il primo artista degli Stati uniti dell’Ordine”. Antonio abbassò la testa e anche sul suo volto si materializzò un sorriso. “Ragazzi, comprendo che riusciate a divertirvi anche dinnanzi a una notizia del genere.Sono morti dei nostri amici. Spero che questo non accada più, anche se so che la rivoluzione, come la intendete voi, non sarà totalmente pacifica. Cercate
di far fare il meno male possibile a entrambi i gruppi”, disse Ralph, notando per un attimo le facce degli altri e tornando a volgere lo sguardo al nulla. “Ma il loro non è un gruppo. Loro hanno dei soldati e un governo. Risulta tutto ordinato dalla legge”, rispose Piggy. “Sì. Un ordine nell’Ordine”, aggiunse Ralph. “Ma mi avete detto che state lavorando per renderci quell’Insieme che deve essere una cosa legale... Oppure no?”. “Certo! Diverrai il Primer. Ma non dovrai lavorare. I calcoli, le storie governative, gli ordini ai facchini e ai giornalisti... Di tutte queste cose ci occuperemo noi. Sempre se tu lo vuoi. Ma Antonio non credo si debba esaurire con questi compiti. Lui dovrà starti di fianco. E scrivere di te. Per le generazioni del presente e del futuro. Comunque sceglierai tu. Ti aiuteremo a divenire Primer, quindi sarai scelto democraticamente”, disse Piggy. Ralph guardò Antonio e lui annuì. “Saranno loro a occuparsi della politica, caro Antonio. Tu ti occuperai di me”. Lui rispose: “In questo momento mi sento tuo fratello”, e sorrise.
Capitolo 3
Io dico
Freddino organizzò in pochi giorni una conferenza politica nella Stanza dei Bisbigli alla quale invitò, autorizzandoli quindi ad accedere, tutti i giornalisti che volle. Solo quando volle però. Perché al principio, quando entrò e iniziò a parlare il Primer, i giornalisti furono obbligati ad attendere che i facchini ricevessero l’ordine di farli accomodare. Si mise al centro di quello che somigliava a un palcoscenico e iniziò a urlare. “Amici! Dobbiamo decidere come comportarci con quel gruppo di ragazzini Disordinati che sta crescendo enormemente e potrebbe sconvolgere il nostro sistema. Io so che si fanno chiamare da qualche giorno Sciolti. E so che vogliono fondare un nuovo partito e che al posto di partito lo vogliono chiamare Insieme. Quindi tenteranno di fare quella rivoluzione che potrà rivelarsi dannosissima per la nostra popolazione, e soprattutto per noi politici. Hanno rubato i fucili, e non è vero che non li hanno ancora usati. Loro, al Deposito, spararono a molti soldati. Li hanno uccisi senza pietà, ma questa cosa non l’ho detta né fatta scrivere ai giornalisti che, come sapete, scrivono sempre quel che vogliamo e ordiniamo noi. Oggi li farò entrare, andando contro le abitudini, per imporre ciò che è conveniente per noi. E anche per il popolo. Perché il popolo fa parte di noi, e noi di loro. Ma non deve sapere tutto, perché la troppa sapienza genera atti intimidatori dei quali solo noi che comandiamo dobbiamo usufruire. Per il bene di tutti. È per questo che i giornalisti li sto facendo aspettare fuori. Loro scrivono quello che vogliamo noi, ma se tra di loro ci fosse un Disordinato? So che loro sono anche tra la popolazione normale.
Noi dovremo batterli senza abbatterli. E dovremo anche iniziare a controllare di più gli immigrati. So di aver detto a tutti che i restii sarebbero divenuti un bene per noi, ma ho dovuto farlo perché è uno Stato che abbiamo occupato.A noi serviva qualcosa del Resto. Lo dissi apparendo il capo del Là nonostante sia un Qua convinto, ma non volevo loro immaginando che fossero un bene. Era un bene il Docostro, che ci ha reso funzionanti i treni e ci farà divenire lo Stato che s’affaccia al futuro più preparato, utilizzando navi che potranno arrivare sempre più lontano. E stiamo facendo girare più soldi di prima. Saprete quindi che io sono il Qua più giusto, perché volevo che la nostra popolazione vivesse meglio delle altre. Noi stiamo meglio del Resto, e dei due stati a nord che fanno parte degli Stati uniti dell’Ordine, e faremo arrivare a noi anche il Resto!”. Tutti i politici, sia del Qua che del Là, si alzarono in piedi e diedero inizio a un fragoroso applauso. “Non odiate esageratamente i restii e non siate troppo cattivi con loro. Devono crescere e cresceranno Qua!”. Rimasero in piedi solo quelli del Qua e applaudirono più forte di prima, mentre quelli del Là si misero seduti, ma la maggior parte aveva accettato e gradito le parole del Primer. Nonostante fossero contrarie ai loro ideali. Quando Freddino fece un gesto concordato, un facchino gridò “Eh!” aprendo le porte della Stanza dei Bisbigli. Entrò quella ventina di giornalisti che attendevano l’ordine e s’accomodarono. Freddino iniziò a parlare stavolta in maniera ufficiale. “Sono il Primer e voglio che scriviate la giustizia che è parte dei Giusto. Entrambi vogliamo che quella che si sta trasformando in una guerra civile divenga una battaglia democratica. Ci è arrivata voce che è il gruppo dei Disordinati a fomentare le violenze. Noi vogliamo che i Disordinati cessino questi atti. Noi vogliamo la pace.
Sappiamo che il capo di questo gruppo di Disordinati, che si vogliono trasformare in un partito politico dal nome Sciolti, è Ralph Manto. Bene. Accetteremo che divenga un partito, e accetteremo che venga definito un Insieme, fingendo che loro possano essere una sorta di padroni del linguaggio tramutando ‘partito’ in ‘insieme’. Non concederemo mai la nascita di altri Insieme. Il nostro sarà lo Stato governato dai partiti e, forse qualche volta ma credo mai, dall’Insieme. Loro diverranno padroni, se così li vogliamo chiamare, solo di questo atto linguistico. E il nostro è un governo democratico che non ha padroni. Lo sappiano gli Sciolti. Con i partiti lo Stato è del popolo, con l’Insieme non vale più. Sia io che Precisino batteremo Ralph Manto alle elezioni che si verificheranno tra un mese. Vi dimostreremo che il popolo, del quale facciamo parte, è dalla nostra parte. Invito pubblicamente a entrare nella Stanza dei Bisbigli il signor Manto che potrà dire quello che vuole, nei limiti della legge”. Si alzò dalla sedia Precisino e disse: “Quello che sta dicendo Freddino è vero, e io concordo su tutto avendone parlato con lui prima di oggi. Questo far partecipare alle elezioni Ralph è un atto, come ha detto il Primer, che sa molto del Là, ma lo abbiamo deciso insieme. E vinceremo noi, anche se siamo di due partiti diversi, in questa occasione sembreremo alleati per il governo, ma ci batteremo per il ruolo di Primer”. Si voltò verso Freddino e gridò: “... E vinceremo!”. Applaudirono quasi solo quelli del Là.
Comunque vada, è successo
Ralph lesse i discorsi dei governanti il giorno dopo sul giornale, mentre era seduto su un tronco in mezzo a un parco vicino Compagnia. Non doveva più nascondersi, ma era spinto dal suo ato a continuare a farlo,
perché tuttora non si fidava totalmente del Primer e dell’Opposter. Decise di non andare alla Stanza del Bisbiglio perché non aveva voglia di rendere tutto più facile per i due sfidanti, rendendo la sua uccisione un atto troppo semplice. Era con Toshio e Antonio. Dopo aver letto il giornale, e lo lessero tutti insieme, seguirono alcuni minuti di silenzio. Ralph attese che gli altri due che erano stati più lenti nella lettura finissero l’articolo per poi dire: “La Stanza del Bisbiglio è un nome assurdo. Il popolo dovrebbe sempre sentire quello che gli eletti immaginano di fare. Io non andrò nella Stanza, sia per non farmi uccidere sia perché non è una cosa che valuto giusta. Quelli che comandano debbono farsi sentire. E io lo farò in piazza”. Toshio disse: “Ma in piazza il pericolo c’è lo stesso. Può esserci qualche soldato, qualche facchino o uno che sotto l’ordine del governo, magari travestito da civile, ti uccide!”. E Ralph rispose: “Mi ucciderebbero davanti a tutti? No, non credo lo farebbero fare in pubblico. E se lo fero, il popolo crederebbe di più nell’Insieme degli Sciolti.Io non ho paura della morte imposta dagli altri. Voglio la libertà di tutti, e se serve morirò”. Pochi istanti di silenzio, con lo sguardo interessato al nulla, senza accogliere gli occhi degli altri; poi: “Ma morire per gli altri so che non è un bene. Se muoio ci sarà chi si sentirà male per la perdita di Ralph, anche se non ho famiglia. Mi spiacerebbe fare del male agli altri perché sono pacifico. Morirò, se accadrà, soffrendo esclusivamente per questo. Dobbiamo affrontare le paure. Voglio vincere quelle... che ora si chiamano Freddino e Precisino”. Antonio guardò per tutto il tempo Ralph. Poi sorrise voltandosi verso Toshio e accentuò quel sorriso stravagante che faceva fare mille domande nella testa degli altri e disse: “Io sarò vicino a lui, perché quelle paure debbo vincerle anche io. E nel pubblico ci sarà anche la mia compagna Aida, che s’appresterà a fare guardia con gli occhi. Ci vuole bene anche se qualche volta sbaglia. È giovane e bella. Ralph, ci potranno fare qualunque cosa, ma il cielo è sempre più blu”. Ralph accese gli occhi ascoltandolo e inspirò una lunga boccata d’aria al termine della quale disse esattamente quello che pensava: “Hai ragione Antonio. Tu mi
rubi i pensieri volgendoli correttamente in maniera comprensibile alla maggior parte delle persone. Ma il termine rubare non è corretto, perché i pensieri non hanno padroni. Il cielo non è di nessuno e rimarrà per sempre... più blu, perché si migliora senza l’obbligo imposto con la mancata speranza di evolvere. Toshio, vorrei che mi dicessi cosa ne pensi ora delle nostre decisioni”. “Ralph, io non decido nulla. E non deciderò mai niente. Sarai tu a imporre il tuo volere, a me e al popolo”, e lo disse pieno di entusiasmo, cercando di velarlo dietro un volto forzatamente serio Ralph riprese parola dicendo: “Assurdo. Ma ho detto di sì e così sarà. Con la democrazia che ci proteggerà. Quella proteggerà noi e il popolo... Spero”. “La democrazia è il popolo! Quindi non sono d’accordo con la tua ultima frase”. Toshio divenne serio escludendo la forzatura, contrastando liberamente quello che disse Ralph: “La democrazia deve far parte del nostro ideale”, concluse, con un abbozzo di certezza. Pensava d’aver detto una cosa importante. Antonio guardò quello considerato il capo e sorrise. Lui sorrise specchiando i pensieri dell’amico. “Gli ideali sono la gabbia del pensiero libero”, disse Ralph, come se fosse uno slogan politico dell’Insieme. Sebbene comprendessero tutti che non era un’idea veritiera.
L’ordine del Giusto giusto
S’erano alternati i compiti il Primer in carica e l’Opposter per espandere i loro ideali a quella che volevano tornasse a essere la loro popolazione. La Stanza dei Bisbigli era naturalmente pulita e ordinata e dopo pochi giorni era il turno di Precisino di parlare ai politici e ai giornalisti. “Signori, Freddino e io vi abbiamo riferito tutto, ma quello che bisogna sconfiggere alle elezioni non si è ancora fatto vedere o sentire. Io, come sapete, sono a capo del partito del Là. Io pretendo la libertà e le buone azioni da tutta la
popolazione! Pretendo anche che sia attiva la benevolenza verso le popolazioni che non sono del nostro Stato, perché negli Stati uniti dell’Ordine debbono essere considerati stranieri solo quelli che non rispettano appieno le leggi che abbiamo, democraticamente, imposto”. L’Opposter rimase alcuni secondi in silenzio leggendo il foglio che aveva preparato, che era davanti a lui, sul leggio. Poi riprese a parlare, pienamente convinto che il messaggio che stava dando fosse il migliore. “Vedete, io e Freddino non ne parlammo mai, ma abbiamo saputo che in ato l’Ordine era uno Stato religioso. Voi civili non potete saperlo, perché è da un tempo esagerato che i Primer decisero di non farvi studiare la storia. Non farvi studiare la storia è una cosa giusta! Ma questa cosa sulle religioni che esistevano centinaia di anni fa voi la avrete in mente perché sapete che si parlava di streghe e maghi perfidi, che abitavano nel Resto. La nostra religione parlava di queste streghe e maghi in maniera positiva. Erano, secondo i religiosi, giusti! Sto facendo questo discorso di fronte ai giornalisti perché è giusto non appesantirvi la testa con la storia, ma lo è anche difendervi dagli Sciolti. Ho saputo che Ralph ha impazzato le menti dei suoi collaboratori nel suo Insieme con racconti di una religione del Resto. Quello di sfruttare le religioni era un metodo per aggraziarsi la popolazione del ato nell’Ordine, ma so che potrà avere il suo effetto anche sulla gente che non è totalmente ordinata oggi. Sappiate che le streghe e i maghi io non li ho mai visti, e quindi non esistono. Perché sapete che i Giusto sanno tutto. Dovrete continuare a seguire la nostra religione, anche se non l’abbiamo chiamata così. Se voterete per noi, quelli che sanno tutto, quindi i Giusto, continueranno a darvi ordine nell’Ordine. Naturalmente saprete quel che possiamo darvi noi del Là, ma...”. Accennò qualche secondo di silenzio poi continuò a parlare. “La popolazione in ato ci chiamava dèi. Gli dèi Giusto!Voi dovrete iniziare a chiamarci così, ma questo non farà parte dell’ordinamento giuridico. Non diverrà mai una legge perché l’ho detto io che sono l’Opposter.
E voglio la libertà. La libertà è nel Là! E le religioni sono libere. Ma ricordate, solo quando non dicono cose contro la legge”. Freddino era al primo posto dello spazio riservato a quelli del Qua. Ascoltò tutto con aria inorridita. Avevano parlato qualche anno fa di questa storia sulla religione che ebbero gli antichi, e si erano domandati se gli sarebbe stata utile in futuro. Dissero entrambi di no, ma lui che era del Qua fu più categorico. Era scosso Freddino a sentire suo fratello parlare di cose che avevano deciso di non sfruttare, ma intuì presto che Precisino aveva fatto una mossa politica per esaltare entrambi. Ma per Freddino, suo fratello lo aveva fatto anche per prendere voti. Rischiava di rubargli il ruolo di Primer dopo diversi anni, ma rischiavano entrambi di perdere il potere che era da tempo immemore nelle mani giuste. Quelle dei Giusto. Precisino tornò a parlare nuovamente con aria sicura. “Io vi dico la verità degli dèi del Giusto: streghe e maghi non esistono, ma credete a quello che volete. Ricordate però che dovreste credere a ciò che potete spiegare, e che i miracoli sono quelli che facciamo da sempre noi politici che diamo al popolo l’ordine e l’efficacia mettendo in prigione solo quelli che lo meritano. Vengono giudicati da persone che non sbagliano mai perché sono addestrate in maniera perfetta, e i metodi di studio per raggiungere la perfezione in questo campo li stabiliamo noi. La politica è tutto, sappiatelo. Gli Sciolti sono Disordinati. Sappiate anche questo”.
Credere
“La mia vita è una speranza. La speranza è nella vita. Io sono pazza per le vostre idee, ma l’essere pazza da questo punto di vista mi riempie di vita. E la vita è speranza. Quindi voi mi riempite di speranza con questo giudizio. Voglio vivere. Continuate a giudicarmi pazza”. “Lana... io non ti giudico pazza. Forse non ti faccio moralmente bene, ma odio dire bugie alle persone a cui tengo”. “Accetto la tua sincerità, ma sappi che un giorno alcuni dovranno sapere che ci vediamo”, e lo disse volgendo uno sguardo serio ma tranquillo all’uomo. “Io lo so. E non sarà tra molto tempo. Tu sei la ragazza più piena d’essere che io abbia mai conosciuto”. “Io sarò l’unica donna ad avere un compito così importante nella rivoluzione? ”, senza nascondere un mezzo sorriso. “Mi fai domande alle quali sai che io non risponderò nulla. È importante lavorare segretamente. I nostri incontri sono nascosti alla vista di tutti. E quando dico tutti, voglio dire tutti. Quello che fai lo so solo io”. “Sì, ma io ora provo la cosa che voi non riuscite a capire, anche se sono certa che la proviate anche voi. Sono innamorata”, e Lana s’accese perché sapeva ciò che provava, e il dirlo non attestava come voleva il sentimento. Spiegare l’amore le risultava impossibile. “Me l’hai già detto, ma questa non è una cosa da mettere nei nostri discorsi per la gente. L’amore non esiste”. “Lo capisco. Ma l’uomo che amo ha un ruolo importante nel nostro compito. È bene che tu sappia che è così”. “L’amore devo impegnarmi per credere che esista. Voi del Resto credete a cose che limeremo con la nostra sapienza. Quello che chiamate amore è abitudine. Viviamo bene anche senza abitudini. Per questo inventammo le prostitute”. “Noi all’amore abbiamo sempre creduto. Che sia tra uomo e donna, tra uomo e
uomo e tra donna e donna, l’amore fa parte del tutto. E non bisogna per forza idealizzarlo dal solo punto di vista carnale. L’amore non è il sesso. Quale sentimento proveresti per tuo figlio?”. “Figli non ne ho. Gli vorrò bene e avrò piacere a farlo crescere quando ne avrò uno. Soprattutto, proverò rispetto per lui”. “Io voglio rispettare tutti, ma i figli voglio amarli”, rispose Lana abbassando gli occhi. “So che credete alle magie, ma io sono razionale e credo a tutto ciò che ha a che fare con la fisica”. “L’amore ha a che fare anche con la fisica. L’amore è il tutto”. “Con le vostre parole su questa magia, siete ripetitivi. Tu ne parli in maniera semplice, alcuni di voi lo trattano come una cosa senza la quale si potrebbe vivere. Io non credo all’amore, ma sono vivo. Non amo nessuno, ma sono vivo”. “Tu ami senza saperlo, Toshio”.
Nomi
Si era oramai nel pieno del periodo estivo, e chiunque aveva le ferie girava per le città dell’Ordine cercando di farsi un’idea sullo schieramento politico che voleva assumere. Anche nel Resto stavano imparando questo atteggiamento, che nell’Ordine era visto come un interesse intellettuale, mentre i restii lo giudicavano un obbligo senza virtù. Alcuni restii stavano cercando d’apionarsi al genere di vita che imponevano gli ordinati, ma si sentivano ancora lontani dall’essenza razionale che ammorbava l’entità degli ex sconosciuti che vivevano dall’altra parte del muro. Le elezioni erano previste per il 20 settembre. Mancava quindi meno di un mese all’entrare nelle cabine obbligati dai soldati e dai facchini che avevano il compito di andare a prendere tutti gli abitanti, accompagnandoli forzatamente a
votare con il fucile puntato alle spalle. E il voto non era segreto. Si doveva firmare sia all’entrata della cabina, per attestare la propria presenza, sia sul foglio nel quale si doveva sbarrare sulla parola Qua, Là o Sciolti. Il voto era un compito di tutta la popolazione degli Stati uniti dell’Ordine. Quasi tutti avevano letto le presentazioni politiche di Freddino e Precisino. Non erano pochi quelli che volevano sentire parlare l’ormai famoso Ralph dell’Insieme degli Sciolti. Il trittico alle elezioni era per tutti gli ordinati una novità. C’era una parte di questi che sentiva il tallone di ferro immaginato dall’altrettanto ormai famoso Toshio Benelli. Diceva, e faceva dire ai suoi Sciolti, che la popolazione era guidata da una sorta di fantino che non aveva idee democratiche. L’unica speranza di vedere un futuro tranquillo e sereno era votare Ralph Manto. Anche Piggy era diventato un personaggio importante. Ma lui era visto dalla popolazione ordinata come l’ispiratore della rivoluzione più razionale. Era, per la popolazione ordinata, lo Sciolto più ordinato. Era, per loro, uno un po’ di Qua. Non arono molti giorni dall’uscita del Primer nella Stanza dei Bisbigli, che Rufus ebbe il piacere di conoscere due degli Sciolti dei quali sentiva spesso parlare: Toshio e Piggy. Erano a Perfectville in una villa del potente uomo dell’Ordine, ed erano stati invitati da lui attraverso il vociare dei soldati e dei facchini che li avevano costretti, con calma e sicurezza, a presentarsi di fronte al cancello. Ma Toshio la calma e la sicurezza non poteva provarle solo con un vociare di militari che erano, sempre e comunque, armati e ordinati. “Piggy, noi siamo qui e i facchini che ci sono di fronte ci invitano a entrare. Anche questi facchini vogliono che parliamo con Rufus. Io ho un po’ paura di conoscerlo. E tu?”. “Io non ho paura di nulla. Facciamo tutto per il nostro bene. Ucciderei chi non ci capisce e ci ostacola”. Toshio rimase negativamente sorpreso e si avviò verso l’entrata lasciandosi Piggy alle spalle.
Accolti dal sempre presente “Eh!” con braccia e gambe allargate mentre gli proponevano un saltello, i due Sciolti s’avventurarono all’interno della villa di Rufus. Entrarono con l’ovvia curiosità di elementi popolari ed ex ricercati, che potevano visitare il luogo che era la cuccia di uno di quegli uomini che era tra i padroni. Furono accompagnati a un grande salone, assolutamente privo d’opere d’arte, sconosciute nell’Ordine. Si sedettero al tavolo che trovarono pronto all’accoglienza e si misero l’uno di fronte all’altro. Dopo una decina di minuti fece il suo ingresso Rufus, con la vestaglia leggera adatta al periodo estivo. “Finalmente siete di fronte a me. Avete corso questo rischio. Ma lo sapete che io potrei farvi uccidere, vero?”. Gli Sciolti si guardarono e poi rispose Toshio: “Vedi, noi siamo venuti perché sappiamo che tu non vuoi solo uccidere, ma vuoi rendere questo Stato ordinato. E sappiamo anche che sei una persona schierata con il Là. È il partito che odiamo di meno”. Rufus sorrise e prese il fucile che aveva fatto poggiare sulla parete prima di entrare. Puntò i giovani: “Forse vi ucciderò”. Tra i due fu Piggy a fare due i in direzione della porta, ma il facchino che la occupava e li rendeva prigionieri alzò esclusivamente la mano per bloccarlo. “Farò quello che mi suggerirete con i vostri comportamenti”, e abbassò il fucile, continuando a tenerlo in mano. Toshio disse: “Tu ci hai voluto qui per proporci qualcosa. Non scherzare con noi. Siamo una parte importante del popolo”. “Vedete, voi dite d’essere una parte importante del popolo, ma per il popolo io sono l’uomo dell’Ordine, quindi conto più di voi”. “Dicci cosa vuoi. Noi rispettiamo la tua autorità”, disse Piggy dimostrando la sua paura, quella che diceva di non avere prima d’entrare. “Voi siete, per quanto ne so, e sappiate che io so tutto, i ragazzi dei quali si fida il vostro capo Ralph. Ci sarebbe anche Antonio, ma quello è un pazzo quasi come Ralph e non vuole vedermi. A me serve qualcuno con il quale dialogare per
governare gli Stati uniti dell’Ordine che non sia svuotato totalmente della ragione e che comprenda i miei ideali”. Toshio chiese: “Governare? Ma tu non sei un governatore. Quando si terranno le elezioni tu non potrai essere votato. E nel Là c’è Precisino che gestisce il partito”. “Io non devo essere eletto! Aiuto il Primer a governare senza bisogno d’appoggi popolari. Se verrà eletto, aiuterò Ralph, ma per farlo ho bisogno di voi. Sarete voi a occuparvi dell’economia degli Stati uniti; e io ho in mente di far nascere dei negozi privati che creino monete sotto l’autorità del Primer, e che lo prestino a chi lo vuole. Questi mi ridaranno i soldi che gli ho fatto creare aggiungendo gli interessi, con percentuali che gli riferirò prima, tramite i facchini che lavoreranno per me. Voi, da questo movimento, guadagnerete bene, perché vi regalerò due negozi di quelli che farò aprire.Fidatevi di me”. Alzò il fucile: “O morirete ora”. “Per me va benissimo...”, disse Piggy. “E saremo liberi e ricchi come t’avevo detto!”, girandosi verso l’altro Sciolto che disse, rivolto a Rufus: “Devo capire bene. Non mi sembra una scelta libera. E noi è quello che vogliamo divenire: liberi! Dovremo parlarne con Ralph”. Rufus riprese: “Gli Stati pagheranno i negozi che chiamerò Canti per produrre soldi. E voi ne avrete uno di Canti. Il grosso degli altri sarà mio. Qualcuno lo venderò”. “Quindi non dovremmo dire nulla al nostro capo?”, riprese Toshio. Rufus fece una smorfia d’incontinenza e rispose: “Gli diremo tutto quando sarà eletto. E vi insegnerò a convincere la gente, perché le persone, per convincerle, dovete accenderle”. “Io devo pensarci. Dicci almeno il tuo nome completo, per farmi sentire a mio agio. Sei Rufus...?”. Rufus lo guardò con un semi sorriso e disse: “A quanto pare lo sai già. Lo sanno tutti i politici. Da oggi in poi chiamatemi signor Agio”. Toshio non comprese bene quello che disse l’uomo importante.
“Signor Aggio... Sei Rufus Aggio?”. “Ma la lingua non la sai a perfezione o non la senti? Devi dirlo delicatamente: Rufus Agio!”.
Ralph Manto
Erano i primi di settembre. Quale giorno fosse esattamente è difficile dirlo, ma sarebbe più importante leggere cos’era ciò che fu. L’organizzazione del discorso in pubblico di quello che incuriosiva tutti fu organizzata da Toshio che scelse il posto e, insieme a Piggy e Antonio, sparsero la voce per far riempire il posto dal popolo. Volevano che tutti potessero ascoltare Ralph Manto perché credevano fermamente in lui. Secondo loro poteva convincere tutti gli insicuri. La cornice era composta da un paio di migliaia di persone, le quali non erano abituate ad ascoltare discorsi politici da parte degli aspiranti al comando dello o degli Stati. Quando Ralph arrivò e vide per la prima volta la piazza dall’alto, poiché l’aveva vista sempre dal basso, provò tanti sentimenti ai quali non era abituato, perché non aveva mai parlato a tante persone. Capì subito che potevano udirlo quasi tutti, perché era su una sorta di balcone alto molti Giusto-i e, affacciandosi, udì il silenzio che erano abituati a osservare gli ordinati. E Ralph lo conosceva bene, perché quando erano dati dei nuovi ordini, i cittadini erano obbligati ad ascoltare dei facchini che li urlavano dal balcone, proprio come doveva fare lui ora. I balconi erano oramai in ognuna delle piazze delle città che facevano parte degli Stati... Uniti... dell’Ordine. Ma Ralph non doveva dare ordini agli ordinati. Molte volte, in un ato recente, a udire i facchini che gridavano dai balconi erano riusciti ad assistere anche lui con molti Disordinati. Naturalmente nascosti perfettamente, perché erano sempre ricercati e i nascondigli erano un loro vanto.
Era pomeriggio e faceva ancora un po’ caldo. La gente era tutta disposta in file che sembravano disegnate da un architetto e sembrava pronta ad ascoltare, come fosse il pubblico di un teatro. E il palcoscenico era il balcone, che d’artistico non aveva nulla. La sua fattezza architettonica era... ordinata. Punto. Eravamo rimasti a Ralph che s’affacciava dal balcone vedendo la piazza. Lo fece in compagnia del sempre vicino Antonio. Fu l’unico che volle accompagnare il candidato. Prima d’iniziare il discorso, Ralph rimase qualche minuto in silenzio. Immobile. Guardava la popolazione che riempiva ordinatamente la piazza. Ma il tempo camminava e, dopo i minuti di silenzio, Ralph sentì la chiamata delle persone e la voglia di parlare lo prese dal cuore. “Gente...”, disse apoliticamente, perché lui non aveva studiato per abbellire le sue parole e aveva cominciato con la parola che non avrebbe mai pronunciato un Giusto che, ipotizzava, anzi ne era certo perché gli studi erano per loro perfezione, che si dovesse sempre iniziare con la parola ‘Ordinati’. Ma torniamo a Manto. “Sono qui per parlare a voi, uomini che vogliono la libertà e donne che ci aiutano a compiere le scelte umane. Siamo un duo d’esseri che hanno la libertà radicata nella nostra entità. E so che molti di voi lotterebbero per ottenerla”. Si azzittì momentaneamente chinando il capo. “Mi sentite ora, ma non pensate di udire solo Ralph Manto. Io dirò quello che il restio Bongio Lellino mi aiutò a capire”. Altro silenzio. E alzò la testa tornando a offrire il suo sguardo al popolo. “La lotta, le guerre e la violenza... non servono. Dobbiamo usarle solo a difesa della nostra vita. Ricordando di difendere anche la vita degli altri, quindi anche di quelli che ci attaccano. Perché la vita è l’unico valore dell’umanità”. La gente riusciva a sentirlo quasi tutta, ma non comprendeva quello che stava dicendo il Ralph nel quale volevano credere. Quello del quale avevano sentito dire cose stupende. “Popolo, voi non potrete capire subito quello che dico. Dovrete provare ad affidarvi alla mia comunità. E lo potrete decidere voi, perché siamo in
democrazia, e sceglierete se è più comodo rimanere nell’organizzazione moderna e del ato o cambiare tutto, che è compito vostro”. Silenzio. Ma a differenza degli altri che parlavano dai balconi lui non leggeva alcunché. “Ricordate di sperare il futuro”. Si videro le teste della gente che si voltarono per incrociare lo sguardo della persona che stava ascoltando accanto a lei. “Lo so. Lo sento. Molti sperano nella rivoluzione, ma è meglio che sappiate che le rivoluzioni nel ato erano le guerre. E non hanno mai fatto del bene assoluto. C’è sempre stato, e ce n’è anche ora, qualcuno che le ha odiate”. Silenzio e voglia dentro il Manto. “La migliore rivoluzione è quella interiore”. La gente continuava a risultare sorpresa, ma sempre meno in maniera negativa. C’era qualcuno che, dalla mimica facciale, dimostrava interesse. “Quella interiore poi... porta a vivere in maniera pacifica quella dell’atto. Bisogna attuare la pace. Lo so. Probabilmente avrete sentito qualche Primer che ci disse di dover fare un’eventuale guerra per la pace, ma questa frase è un’assurdità. Se fate un calcolo, cioè quello che ci hanno insegnato a fare spingendoci a credere che tutto è matematico, vedrete che grammaticalmente è un ossimoro”. Tutta la gente tornò a guardare il proprio vicino, questa volta con meno dubbi. “E rispettiamo le donne. E il non farle lavorare non lo considero rispetto. Le donne non devono essere solo prostitute o mogli, ma persone libere”. Tra la gente che affollava la piazza v’erano anche alcune femmine che s’erano messe ai lati, e si sentivano importanti per il fatto d’essere state nominate da quello che lottava per divenire il nuovo Primer. Le donne non potevano votare però. E lo sapevano tutti.
Toshio ascoltava in maniera interessata, comprendendo che a livello politico certe scelte nel discorso di Ralph erano inesatte. Ma gli piaceva tutto. Sentiva che questo discorso faceva parte della rivoluzione. Pacifica e senz’armi. Quello a cui non piacevano le parole di Ralph, se non minimamente, era Piggy. “Gente, voi mi sentite e cercate di comprendere perché non vi parli dell’Insieme degli Sciolti...”, qualche altro istante di silenzio al quale aveva quasi abituato gli spettatori. “E non ve ne parlo perché voi darete il vostro voto insieme. In maniera sciolta. Nonostante l’obbligo imposto dal fucile che è alle vostre spalle, sentitevi liberi. E lo sarete. Perché il fucile potrà fare qualcosa al vostro fisico. Alla vostra vita. Ma non potrà mai cambiare la mentalità”. Silenzio, e... : “Sei stato obbligato... ti hanno messo nel mirino... non pensi al futuro...”, Ralph si girò verso Antonio sorridendo “... ma il cielo è sempre più blu!”. Molte persone non capirono la frase, ma a molti piacque. “Vi hanno parlato della mia parte religiosa, ma io non ne ho. So che la parola religione è difficilmente spiegabile ma io non ho credenze che m’allontanino molto dalla fisicità razionale. La mia fantasia viaggia tenendo aperte le porte della percezione. Non sono uno stregone. Non faccio magie. Non credo che esista qualcosa di invisibile che è superiore all’essere umano. Ma rispetto i credenti e li valuto, sotto certi aspetti, superiori a me”. Ralph volse lo sguardo, cercando gli occhi di tutte le persone che erano in piazza, non fermandosi solo agli elettori, ma guardando anche ai lati. Riprese con la voce ancora più alta. “Sogno quindi sono. E sogno spesso a occhi aperti invitando il sogno a far parte della mia vita razionale. Non smettete mai di sognare e di fantasticare. E questo non è, e non sarà mai, un ordine. È un consiglio. La fantasia vi regala l’arte. E l’arte vi regala emozioni. E l’emozione è vita. Non confondete i verbi. Voi avete studiato tutti, purtroppo obbligatoriamente, la grammatica. Non confondete i condizionali con gli imperativi... Il lavoro è un potere e un poter.
Non dovreste sentirvi obbligati a lavorare. Dovreste lavorare quando vi è utile. Ma è bello anche farlo per gli altri quando vogliamo”. Altro silenzio che stabiliva verbalmente un punto. “Voglio bontà e, quello che voglio, produco. Dovreste anche rispettare quelli che non sono ordinati. Quelli del sud, quelli del nord; quelli di qua, quelli di là. Quelli!”. Molti spettatori si sentirono affascinati e, ascoltando quel tizio strano che parlava dal balcone di una palazzina nella piazza, videro con gli occhi dell’arte una sorta di spettacolo. Loro erano la cornice della bontà espressa da Ralph Manto. E questa visione parve assurda agli ordinati, perché ormai erano cambiati. Gli occhi dell’arte trasformavano ineffabilmente ogni cosa che appariva loro tramutata dal dicitore. O da loro stessi? Forse è meglio non giudicare chi è l’artista. D’un tratto un uomo che era in prima fila alzò quello che aveva finto fosse un bastone per camminare. E non era di solo legno. Era un fucile con il quale mirò a Ralph e il gesto richiamò Antonio che lo vide in un battito di ciglia. L’uomo esplose un colpo dal fucile indirizzato verso quello che sarebbe potuto divenire il Primer, ma Antonio fece un o veloce divenendo lo scudo di Ralph. Molti soldati, che erano là per legge ordinata, mirarono verso l’uomo che aveva sparato a Manto e lo trivellarono di colpi. E lui morì immediatamente. Antonio cadde a terra non appena fu colpito e Ralph, con le lacrime agli occhi, gridò il suo nome e andò a tenere la sua testa, mentre il corpo, inerme, era riverso per terra. Prima dell’ultimo respiro Antonio Gaetano, con una scia di sangue che usciva dal lato della bocca, disse: “Mio fratello è figlio unico”.
Capitolo 4
Rivoluzione esaustiva
Oramai s’era giunti a pochi giorni dal 20 settembre. L’elezione del nuovo Primer s’avvicinava e nel popolo aumentava quell’aspettativa che non si era mai presentata prima. In ato, quello che i civili non avevano mai studiato ma avevano vissuto, quando si avvicinavano le elezioni tutti erano indecisi se votare questo o quello schierandosi per il Qua o per il Là. Ora volevano sapere di più. Volevano capire cosa sarebbe cambiato votando Qua, Là o Sciolti. E alcuni iniziarono a sentirsi schiavi della propria libertà di scelta. Rufus, appena aveva letto tutto il discorso di Ralph, era rimasto inorridito. Aveva ato la notte in compagnia di Lana, ma aveva fatto sesso in maniera sciatta, perché aveva la testa impegnata e non riusciva a procurarsi piacere. Era mattina e lui si trovava in piedi dinnanzi alla finestra dalla quale entrava un’accesa luce. Lana era sdraiata sul letto e si era appena svegliata. Lo guardava e cercava di comprendere il suo stato, ma i suoi sentimenti appannavano i suoi pensieri. Dopo tanti minuti in quella posizione Rufus si girò e disse: “Cazzo! Ralph ha sbagliato tutto. Non ha solo fatto aumentare l’incertezza della gente. Li ha anche invitati a pensare. E quelli non devono pensare, ma solo fare!”. Lana lo guardò senza sapere quale sguardo offrire dopo questa affermazione dell’uomo dell’Ordine. “Lo so che tu, donna e restia, non puoi capire quello che dico, ma ho voglia di scaricare la mia voce. Sono incazzato con chi può infastidire la mia ascesa economica e il progresso dell’Ordine”.
Lana, spiazzata, disse la prima cosa che gli ò per la mente. “Sì. Capisco ciò che dici, ma se vince Ralph tu non hai lo stesso ruolo?”. “Io avrò sempre la stessa quantità di potere, ma quello potrebbe diminuire se la gente sa tante altre cose inspiegabili. Sto per cambiare lo stato delle cose e lo Stato dell’Ordine. Potrebbe divenire tutto più difficile se la gente ricerca le verità. I Canti ci saranno comunque, e quelli daranno potere a me... e al Primer. Anzi, solo a me, perché lui crede di darlo al popolo. Anche se in verità sarebbe la storia che ha sorriso ai Giusto. Loro lottarono per far uscire quell’agio. E con loro mi riferisco ai trisavoli di Freddino e Precisino che, con quelle lotte nel ato, trovarono tutto già fatto. Ma lavorano anche loro. E bene. Lavorano politicamente parlando, che è un atto che hanno modificato negli anni per far credere al popolo di poter scegliere le basi del sistema dell’Ordine. Alcuni anni fa comparsi io che, dopo aver studiato il politichese, capii a quale ruolo potessi aspirare e lo raggiunsi. E faccio quel che devo per me e per il popolo. Qualche giorno fa, per non far fare domande alla gente che dovrà votare, ho fatto uccidere tutti i parenti delle vittime di quell’attacco al deposito dei fucili, perché le persone non devono sapere che i Disordinati hanno vinto una battaglia contro il sistema, e gli Sciolti non dovranno apparire rivoltosi bellici. Ho fatto uccidere tutti i parenti dei soldati e l’ho fatto fare in maniera nascosta. Nessuno se ne è accorto. Ai giornalisti non ho dato spazio perché non hanno queste libertà. Anzi, non hanno nessuna libertà per il bene dell’Ordine”. Lana ebbe estrema paura, perché aveva compreso d’essere l’unica che sapeva ciò che per altri non era mai successo. Si chiedeva se era in pericolo anche la sua di vita e Rufus la guardò comprendendo il suo timore fondato. “Lo capisco il tuo viso, stupida.... Ma non deciderò di ucciderti. Mi serve una bella come te da scopare, e una silenziosa ma con un po’ di testa accesa come te con la quale sfogare la mia voce”.
Nessun muoia
Di colpo tutti i coperchi delle decine di lanterne nella stanza s’alzarono grazie a un meccanismo manuale, fatto di corde e ruote. Le lanterne avevano quattro facce; tre di vetro trasparente e una specchiata e rivolta verso la fiamma. Gli specchi indirizzavano la luce sulla parete più lontana, l’unica senza lanterne. Sdraiato accanto agli imputati v’era l’uomo che aveva sparato ad Antonio. Era un cadavere. La stupenda voce accarezzò l’udito dei soldati che erano al loro solito posto, con il fucile puntato all’indirizzo delle spoglie del killer. “Che salgano coloro che hanno ucciso quest’uomo!”. Una decina di soldati s’avviarono e si fermarono con il viso verso la luce e le spalle alla parete senza lanterne; erano tra il cadavere e la parete senza luce propria. “Mi scusi, ma perché ci fa schierare in questo posto orribile nel quale solitamente fuciliamo i colpevoli?”, proferì uno di loro. Silenzio. “Voi avete ucciso un uomo!”. I soldati scambiarono occhiate incredule, poi lo stesso che aveva parlato prima continuò a far accendere la voce stupenda con una domanda anticipata da un’esclamazione. “Noi abbiamo fatto il nostro compito! Siamo ordinati! Abbiamo fatto quello che volevano i governatori proteggendo il candidato in maniera legale. In cosa pensate abbiamo sbagliato?”.
Silenzio. “Voi non sapete nulla. E non saprete nulla!”. Gli altri soldati, quelli che puntavano con il fucile il cadavere, cambiarono bersaglio mettendo sotto tiro i soldati baciati dalla luce. “Non continuerete a stare in quel posto che non vi piace”, aggiunse la voce fantastica. “Ma... Signore...”, disse lo stesso soldato urlando. Silenzio. “Fuoco!”.
Intoccabili
A Perfectville si respirava un’aria diversa dal solito, e a farlo capire con la voce finalmente libera erano quelli che entrarono a far parte dei Disordinati molto tempo prima degli altri, che si sentivano persino degli intellettuali politici dopo il discorso di Ralph. Giravano camminando non esattamente nel modo che era imposto dall’Ordine, quindi non camminavano al centro del marciapiede. E gli piaceva farlo, perché gli sembrava, e in effetti lo era, di evidenziare la loro scelta politica a favore degli Sciolti. Toshio si incontrò con Piggy in maniera privata qualche giorno dopo il discorso nella piazza. Lui era rimasto contento dalle parole che aveva pronunciato Ralph, anche se gli parvero, e gli parevano ancora, troppo liberali e poco ordinate. Si incontrarono nella casa di Alfredo permettendo al padrone di partecipare alla discussione che poteva uscirne fuori. E ammisero anche la presenza di Marco, perché entrambi avevano fatto tanto per rendere importanti gli Sciolti. E lo facevano da quando si chiamavano ancora gli Orfanelli Disordinati.
“Quel pazzo di Ralph non ha idea di quel che dice! L’Ordine è pronto ad avere un Primer sciolto, ma quello che potrà essere eletto dovrà essere ordinato in tutti i modi”. Così esordì Piggy. “Vedi, a far parte del governo tecnico dovremo essere noi. Abbiamo deciso così. Dovremmo scoprire chi dei potenti ha provato a farlo fuori con quel colpo davanti agli occhi di tutti i presenti. Naturalmente i giornali non ne hanno parlato, ma Ralph ha rischiato la vita e Antonio l’ha persa.Antonio è divenuto un elemento insostituibile e importantissimo per la rivoluzione.Voglio che sia chiamato Salvatore, perché lui ha salvato colui che diverrà la svolta degli Stati uniti dell’Ordine. Era un ragazzo che sprizzava quella che nel Resto ci hanno insegnato chiamarsi poesia. E lui era un poeta anche per loro. Per tutti i restii che lo hanno conosciuto”. Così rispose Toshio dimostrando d’apprezzare il fu Antonio ancor di più di quand’era vivo. “Io lo capisco che sei apionato dei discorsi liberali di Ralph. Anche a me certe idee piacciono, ma noi dobbiamo diventare il governo. E troveremo quello che ha costretto quell’uomo a sparare. Lo uccideremo davanti a tutti”. Toshio fece cenno di no con il suo capo. “Noi non dobbiamo uccidere, ma insegnare”. Piggy copiò il gesto negativo, esasperando un sorriso. “Non ricordi cosa organizzammo al deposito dei fucili? È stato anche grazie a quelle uccisioni che Ralph è risultato un candidato”. Toshio si voltò verso la parte libera della stanza, poi guardò Alfredo e Marco:“Ora quello che è accaduto al deposito lo sanno anche questi due. Cosa dovremmo fare?”. Piggy divenne rosso, incerto tra la rabbia e la vergogna. “Loro sono parte di noi. E sono stati importanti. Dobbiamo ringraziarli e capire che la verità esce sempre fuori”, disse il Piggy che cercava appigli al discorso.
“Bongio disse che la verità non esiste. Esistono solo le costruzioni dell’uomo”, disse Toshio che sembrò ripetere un periodo che diceva spesso qualcun altro, e lo fece continuando a non guardare Piggy e sentendosi il cuore che pulsava più veloce di prima. “Parli come quel pazzo di Ralph. Il nostro Insieme potrebbe nascondere qualche problema”. Alfredo parlò. Dopo aver ascoltato in silenzio, sentì che era giunto al momento di dare fiato alle sue trombe. Ma non doveva essere troppo duro; questo pensava. “Uccidere quei soldati faceva parte della nostra reputazione. Noi dovevamo e volevamo farlo!”. Marco disse quello che gli uscì senza sentire obblighi di silenzio. “Ora che lo so, la mia idea rivoluzionaria viene fomentata!”. Toshio li guardò tutti in viso non sfuggendo ai loro occhi. Poi si mise a pensare, e dopo poche decine di secondi ate nel silenzio con le menti di tutti che lavoravano, parlò: “Siamo tutti nell’Insieme degli Sciolti, ma pensiamo anche tutti in maniera differente. Forse, anche non conoscendola, Bongio aveva ragione sulla politica. E lui ne aveva parlato con Ralph giudicando tutto ciò che gli aveva spiegato qualcuno. Forse è meglio non sapere alcune cose. Forse è meglio non appoggiarsi alle idee. Forse...”. Un poco di silenzio. “Ne parleremo quando saremo al governo”, disse Piggy. “Se... saremo al governo”, rispose Toshio. Alfredo e Marco si guardarono e il primo volle prendere parola, certo di quello che voleva esporre. “Puoi togliere il se. Noi saremo l’Insieme che guiderà gli Stati uniti dell’Ordine perché se non basteranno le elezioni ci imporremo con l’azione fisica, tornando alle prime idee che sbarcarono nelle nostre teste che cominciarono a pretendere più libertà. Le prime mosse rivoluzionarie che hanno un perché motivato: uccidere chi non ci fa vivere”.
Piggy lo guardò e gli si stampò un sorriso sul volto. Toshio lo vide tutti e sentì una lacrima nel cuore proferendo: “Per andare avanti voi volete tornare indietro. Ralph m’ha insegnato quello che voleva con Antonio: un cambiamento. E io ci sto. Per andare avanti si può guardare indietro. Ma solo tenere gli occhi aperti”.
Segreti
Ralph s’era svegliato in quella mattina di metà settembre e aveva intuito che la sua testa era accesa senza creargli alcun fastidio. Aveva ato la notte a Compagnia, in compagnia della ragazza che aveva scoperto d’amare pochi mesi prima del suo, ormai famoso, discorso nella piazza. La conobbe perché gli fu presentata da un suo nuovo amico. Un giovane che, lui lo aveva capito, accettava le idee di entrambi i ragazzi che risultavano parte integrante della rivoluzione: se stesso e Antonio. La testa non lo infastidiva, ma la pancia lo faceva sentire pieno anche senza aver mangiato. Lui aveva sofferto per la morte dell’unico ragazzo che aveva compreso le parole di Bongio senza farle divenire un insieme di chiassosi rumori pazzoidi e credeva all’importanza di Antonio, dispiacendosi incredibilmente d’aver procurato la sua scomparsa. Tuttavia Ralph non si sentiva colpevole. Perché Antonio aveva fatto una scelta. Nel letto dove si trovava, l’eleggibile allungò il braccio verso la compagna accarezzandole il fianco. Lei si svegliò e, aprendo lentamente gli occhi, accennò un sorriso amorevole. “Mia cara, ti ho svegliato e mi spiace. Ma chiami sempre una carezza alla mia mano. E... devo dirlo, altrimenti scoppio...”, le labbra disegnarono una parentesi mentre la fronte s’abbassò, senza mai fargli perdere lo sguardo degli occhi più energici per lui. “Io ti amo. Questo sentimento ce lo hanno spiegato nel Resto, ma non è stato costruito da chi lo ha spiegato. Nel tuo caso lo hai fatto nascere in
me e m’hai fatto capire anche che amo mio padre e mia madre che non ho mai visto,ma sento d’amarli perché m’hanno procurato la vita. E i miei amici. Amo tutti per merito tuo. Anzi, scopro che li ho sempre amati perché m’hai insegnato a riconoscere questo sentimento. Anche se non fosti la prima a dargli un nome”. A lei il viso continuò a dimostrare un benessere che la accendeva ma, gli occhi energici, iniziarono a versare lacrime di piacere accompagnate dal sorriso. “Tu mi ami e io amo te. Sì, amo anche mio padre, mia madre e tanti amici, ma tu mi rendi la vita un’accesa ione”. E la ragazza sentiva di dire solo la sua verità. Lei lo amava davvero. “Ecco... Un mio amico cominciava i suoi discorsi sempre così, e lui riusciva ad apparire sempre simpatico. Io gli volevo un gran bene e lui costruì l’amore in me. Quello che tu m’hai fatto crescere. Me lo fece capire, me lo fece provare. Lui fu una grande fonte alla quale inviterò tutti ad abbeverarsi perché non è vero che lui non c’è più. Lui vive nei nostri ricordi. È stato l’energia che ha fatto implodere l’ordine dell’Ordine e lo ha fatto in poco tempo, perché fu ucciso. Vedi, amore, io sto seguendo il mio percorso, ed è stato lui ad indurmi a farlo. Sì, la strada è di tutti, ma ognuno ha la sua da seguire; ognuno ha la sua da percorrere. Per il bene di sé e degli altri. Bisogna accettare d’essere energia. Comprenderlo. Bisogna studiare il nostro essere; sia con quella cosa che è chiamata scienza, sia con il nostro Io. L’Io è la parte più importante di noi. Ed è anche la più segreta”. La ragazza era piena della gioia di Ralph e le sembrava di volare. “Io le so tutte le cose che dici, Ralph. Ma tu riesci a renderle apionanti. È anche per la tua empatia che t’amo immensamente. Tu mi capisci. Tu mi comprendi. E parli di Bongio in maniera entusiasmante. Io lo conobbi, e tu lo sai, ma riesci a parlarmene in una maniera che mi fa conoscere quell’uomo che sfuggiva alla mia piena comprensione”. Ralph chiuse gli occhi mostrando un viso rilassato. “Sì, lo conoscevi. Ma eri intenta ad apprendere più i comportamenti del figlio. Tu amavi lui”.
“Ora l’unico ragazzo che amo sei tu”. “Lana, tu sai che non m’importa quel che fai per vivere e sai che quel che pratichi con Rufus è una tua scelta per il bene di tutti. E fai bene a non raccontarmelo mai. Io lo immagino. A lui non fai del male. E non ne fai neanche a me. Sei giusta Lana. Quando ti conobbi per merito di Sergio fui enormemente incantato dalla tua fattezza, e lui devo ringraziarlo anche per le dritte che mi ha dato sugli altri Sciolti. Io farò quel che farà del bene a tutti. Lavoro per somigliarti. Voglio donare il mio amore al popolo. Sono e sarò giusto”. Lana era piena di felicità e volle far ancora più contento Ralph con una cosa che aveva subito intuito fosse quella da destinare a lui. “Amore mio, io ora navigo nel cielo. Vedo l’amore anche nei tuoi occhi ma, per quelli che ritieni i nostri compiti, ho per le mani una sorta di lettera che m’ha dato Sergio ieri. Lettera che desidero tu legga. Sergio l’ha trovata nella stanza di Toshio pochi giorni fa e l’ha presa senza chiederglielo perché vi lesse una cosa che pensò fosse meglio are a me, sperando che nel nostro incontro io la dessi a te. Sappi che Toshio non sa nulla di questo aggio della sua lettera da una mano all’altra”. Lana rimase sdraiata vicino a Ralph mostrando un viso compiaciuto. “Ma... ci sono scritte cose che mi faranno felice?”, disse lui con lo sguardo che girava per la stanza e che tornò agli occhi di Lana non appena finì la frase. “Hai paura?”, fece lei, stampando nuovamente il sorriso sulle sue labbra e abbassando un po’ il capo. “Non ho paura. Ho visto molti aspetti positivi in Toshio. Se vuoi che io la legga ala anche a me e in questo modo per me avrà finito il suo percorso”. Lana s’alzò subito in piedi e raggiunse i suoi indumenti nei quali aveva la lettera. Lo fece in maniera eccitata e Ralph si sentiva a suo agio più del solito nel
vederla così e quando prese la lettera tra le sue mani, guardò la ragazza che sentiva parte di sé in una maniera che ricordò a lei la parola che gli ordinati non conoscevano più: “grazie”. La lettera era intitolata “La vita”:
Sono qui ora, pronto a scrivere un saggio importante. Voglio comunicare e rendere visibile a me stesso quello che oggi penso, quello in cui oggi credo, e che potrà non essere uguale a ciò che la mia mente elaborerà nel futuro. Mi rivedo giovanissimo, nell’età della pubertà. Capisco quanto fossi ingenuo all’epoca. Non avevo sogni a lungo termine, ma solo la voglia di divertirmi velocemente. E non avevo paura di nulla se non del giudizio degli altri. Il mio modo di vestire, di comportarmi, di vivere, era lo specchio dell’epoca in cui vivevo. E io la ricordo molto fredda e piena di contraddizioni. Non è ato molto tempo, eppure vedo nelle nuove generazioni restie un altro spirito. Vivo la loro voglia di scappare dalla realtà. A parlare sembra un anziano signore, mentre in realtà è un ventenne a esprimere queste osservazioni. Ora il mio modo di approcciarmi alla vita non è cambiato in nulla, se non nel fatto che ho raggiunto consapevolezza. Che mi sono fermato a riflettere. Ed è forse stato questo il mio guaio, perché vedo cose che prima non vedevo a causa di chi ci toglieva la luce, quindi le riflessioni erano impossibili. Nonostante riconosca in questo momento storico una voglia maggiore di pace interiore da parte della comunità, io sono alla ricerca della felicità perduta. Di quel sorriso infantile. Di quella voglia di vivere ogni attimo nel migliore dei modi. Di non buttare neanche un secondo del tempo concessomi. Mi vanto di essere rimasto bambino nel mio io e di non aver capito nulla, perché penso che non ci sia nulla da capire. Eppure ho sempre avuto una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di
quelle persone che si sono dimostrate sicure delle loro scelte. Mentre io, di scelte, non ne ho mai fatte. Sono sempre fuggito, ritenendola una scelta. Attendo che il fatto si compia e solo dopo, lavoro sul risultato. Artisticamente, cosa che m’hanno insegnato i restii, potrei dire che in questo io vedo una sfida con me stesso, che il cercare di rimediare a giochi fatti possa stimolarmi, ed è forse in parte vero; ma credo che ciò sia dovuto per lo più alla mia enorme pigrizia. Èmagari per questo che mi piace fuggire dalla realtà. Sognare non costa fatica e non implica scelte. Ma logora. Io penso e invento in continuazione. Alle volte o nottate insonni solo perché, appena chiudo gli occhi, comincio a fantasticare, a riflettere, a simulare. Continuo a girarmi nel letto cercando pace e mi chiedo se sia possibile spegnere il cervello, dargli la pausa giusta per riposare. E alla domanda capisco che cercare la risposta è la risposta. Ed è come trovarmi rinchiuso in un cerchio, ed essere io stesso parte di esso. Inutile andare avanti, mi ritroverei sempre al punto di partenza. Malgrado riconosca tanti dei miei limiti, sono fiero del mio stato attuale. Mi accetto in tutto e per tutto. Ma i miei difetti maggiori li vedo nella mia timidezza e nella mia mancanza di memoria. In quest’ultima vedo la mia sciagura più grande. Non ricordare è un po’ come non vivere. E io non ricordo. Negli anni si sono alternate decine di persone al mio fianco. Io ho sempre curato le mie amicizie, ma ho appurato che il detto che vuole paragonare gli amici alle piante non è esatto. Rigogliosa sarà l’amicizia fortunata, che non sarà contaminata da agenti esterni. Ci vuole costanza e voglia da ambedue le parti. Èun bene prezioso e fragile. Una volta rotto è quasi impossibile ristabilirlo. Ora io, che credo fermamente in questo valore e che ci ho sempre creduto, mi trovo a invidiare gruppi di persone che neanche conosco, solo perché sento e riconosco in loro quel bene ancora vivo. Intatto.
Nelle mie amicizie qualcosa è cambiato. La colpa è probabilmente divisa in ugual misura fra me e gli altri, ma la cosa che mi fa più rabbia è che, anche impegnandoci tutti, non si riesca a vincere. A tornare quelli di pochi anni fa. Mi si dice che ormai siamo cresciuti, che è parte integrante della maturazione. Forse è come tutti dicono. Forse è la vita. Forse non c’è soluzione. Ma… Rimanere infantili allora non è una cosa così brutta. Molti pensano che sia un egocentrico. Io non ci trovo nulla di male. Ciò che mi reca dolore è sentirmi definire un menefreghista. Perlomeno penso di non esserlo mai stato in ato. Non ho nessun problema a essere giudicato per i miei difetti, a patto che essi rispecchino la realtà. Questo perché io credo di essere contento, felice delle lacune che alle volte mostro. Quasi me ne vanto. Geloso del mio carattere, a volte gioioso a volte scontroso, delle mie insicurezze, delle paure. Credo di essere all’apice del mio niente. Non pensavo che avrei raggiunto quest’età con una confusione così grande in testa. Non divido ciò che è positivo dalle negatività. Pregi e difetti di un cervello mediocremente eccellente. Vivo una vita che non sento mia e cerco di andare sempre controcorrente. No. Non voglio fare del vittimismo. Mi ritengo fortunato per ciò che mi è stato concesso. Non ho mai dovuto fare la carità, né lottare per sopravvivere. Solo scappare. Ma sono stato dotato di un’anima che si fa domande alle quali non sa rispondere. Certo non sono l’unico, ma essere uno dei tanti è già un fatto. Negativo, a mio parere, perché si dovrebbe vivere giorno per giorno, cercando di scrollarsi stupide domande esistenzialiste dalle spalle. Eppure se incontro una persona che fa vedere, o più direttamente mi dice di non aver alcun interesse a rispondersi, o che nemmeno si domanda certe cose, io mostro il petto e mi inorgoglisco. Mi compiaccio di un mio difetto. Di quello che io considero un difetto.
Nessun muoia
Di colpo tutti i coperchi delle decine di lanterne nella stanza s’alzarono grazie a un meccanismo manuale, fatto di corde e ruote. Le lanterne avevano quattro facce; tre di vetro trasparente e una specchiata e rivolta verso la fiamma. Gli specchi indirizzavano la luce sulla parete più lontana, l’unica senza lanterne. L’uomo, che tra la decina di soldati parlava prima, era in piedi dando le spalle a quella parete. Piangeva e tremava nervosamente. “Io dovrei essere morto. Perché sono nuovamente qui? Vivo? Forse sarebbe stato meglio se m’avessi ucciso. Sono un ordinato perfetto. E tu... che comandi... Chi sei?”. La voce bellissima rispose. “Tu il mio nome non dovrai mai saperlo, perché questo non fa parte della storia”. L’uomo ordinato si ò la mano sul viso e sentiva il nervosismo crescere. “E non mi ucciderai?”. “Io non voglio uccidere nessuno, anche se a volte capita che spenga la vita di tante persone per accendere la vita di tantissime altre. Il mezzo porta al fine e Toshio sa tutto quello che voglio. Lo ha imparato tramite Antonio, Ralph e Bongio, e anche studiando il fare di Precisino e Freddino. Ogni mezzo equivale a ogni sintomo, e ogni sintomo è un messaggio. Rufus rimarrà alla storia per quello che ha fatto. Tu ci rimarrai perché lo voglio io. Lana è giovane come molti altri della rivoluzione, ma quasi tutti hanno dei modi d’operare che dimostrano un intelletto superiore.
Il perché non lo devo spiegare a te. Sarai tu a spiegarlo a tutti”.
Il fuoco...
Mancavano pochissimi giorni alle elezioni e Rufus cercava spesso, soprattutto di notte, la compagnia di Lana. Molte volte le ordinava, tramite i facchini, di raggiungerlo nella sua villa. L’uomo dell’Ordine era quasi sempre più nervoso del solito. Parlava molto alla giovane e la obbligava a fare sessualmente i giochi che voleva. Negli ultimi accoppiamenti però, quel nervosismo che s’affacciava nella sua vita gli impediva di essere perennemente in erezione, ed era per questo che lui chiedeva a Lana di toccarsi spesso in maniera eccitante dinnanzi ai suoi occhi, nella speranza di riuscire a riattivare a pieno la sua sessualità. “Io ti voglio, stupida! E queste cose devi farle perché, come m’hai detto, sei entusiasmata dalla mia persona”. Lana non rispondeva quasi mai, e cercava d’accontentarlo offrendo espressioni eccitate e toccandosi con le dita la caverna strettissima del proprio piacere. Ma lei cercava di non farsi distrarre mai dal personaggio che dava vita al suo cuore come mai nessuno aveva fatto. Lana amava Ralph e sapeva che stare agli ordini dell’uomo dell’Ordine avrebbe fatto comodo agli intenti del suo amato. Ma non lo faceva esclusivamente per lui. Lo faceva per tutti. Indi per cui anche per lei stessa. E Ralph non le aveva mai chiesto di fare questo sforzo. Anzi, lei non le diceva niente della prostituzione con Rufus, anche se immaginava che il suo amato l’avesse intuito, perché per lei l’amore non nascondeva nulla. Era notte e Rufus era intento a parlare degli errori degli Sciolti. “Loro non sanno esattamente quel che voglio fare!”. Sudava mentre parlava, ma era deciso. “Io non voglio... e devo... dirgli su quale tassello conto”.
Rufus non credeva all’amore, ma provava l’incredibile per Lana, e a lei voleva sempre parlare; senza dichiarare mai quel sentimento inutile e impossibile per lui. Perché Rufus Agio pensava che non esistesse nulla che si potesse nascondere in eterno e, quindi, l’amore non esisteva perché s’era nascosto estremamente ai suoi occhi, che erano gli occhi dell’uomo dell’Ordine, gli occhi di colui che sapeva tutto. “Io farò fare i soldi. I Canti saranno tutti miei, tranne un paio. Che regalerò o agli Sciolti o ad uno dei due Giusto. Governeremo... e io lo farò con chiunque vinca... poggiandoci sui Canti che saranno, in maniera seminascosta, sotto la mia società. Anche quel paio che darò ai governatori. E i soldi che produrrò, li presterò agli Stati e li presterò chiedendo una percentuale d’interesse. Le monete non saranno mai più degli Stati uniti dell’Ordine, ma saranno dei Canti, che apparterranno tutti a me”. Lana spalancò gli occhi e aprì leggermente la bocca. E volle dire qualcosa, sempre proponendo un rispetto esagerato per lui. “Quindi... la gente farà spese e... poggerà la propria vita nelle... tue mani?”. Lana s’impaurì della frase che disse nell’istante nel quale terminò la sua ingenua domanda. Perché sapeva che, facendo vedere che aveva compreso quello che le aveva detto lui, la sua vita correva un rischio esagerato. E lei voleva vivere con Ralph. “Sai cosa ti dico, stupida? Che mi capisci troppo! Ma per me non è un rischio. Sì, lo so che è possibile che scopi con il Primer, l’Opposter o con facchini e politici che li conoscono. Ma da oggi al 20 settembre tu non potrai più uscire dalla mia villa. Starai qualche giorno qui”, sorrise. “O morirai, stupida! Lo sai quanto sono potente no?”. Lei tremò, e spostò lo sguardo verso il fucile in fondo alla stanza. Lui guardò verso il destino dello sguardo di Lana, e appena lo vide sorrise dicendo: “Cosa cazzo guardi a fare il fucile? Tu non lo sai usare e io ti ucciderò solo se provi a scappare. E i soldati o i facchini che lavorano per me hanno già avuto l’ordine di farlo al posto mio. E gli ho detto che se succede devono farti soffrire. E lo sai che sanno farlo”. Lei aveva capito gli strani piani di Rufus, ed era prigioniera senza poterli riferire
a Ralph. Oramai sapeva che tutto quello che aveva sperato per la popolazione poteva divenire impossibile e Rufus, che ora era davanti a un camino con in mano il fucile del quale aveva parlato prima, gli porgeva le spalle. E guardava il fuoco con gli occhi che gli brillavano di potere. A Lana venne in mente che nei prati quand’era nel Resto puliva spesso l’erba intorno alla sua villa, raccogliendo le foglie che cadevano dagli alberi. E si ricordò di come le pensava. Erano state in alto, erano vissute attaccate al ramo di un albero e, quand’erano divenute inutili, s’erano staccate dai rami tramite il vento. E il vento, in molti casi, era una sua ione. E dopo che erano cadute a terra tra l’erba dei giardini, erano divenute scomode. Lana guardò Rufus che era seduto con in mano il fucile. Pensò che faceva caldo, ma lui era di fronte a un camino e gli luccicavano gli occhi a guardarne la fiamma. Lui guardava il fuoco e lei pensò a cosa faceva alle foglie. Lei le raccoglieva e le infuocava tirandole in un camino. Rufus s’alzò e poggio il fucile al lato dell’enorme camino poi piegò le gambe e s’avvicinò al fuoco con il viso. Lana era in piedi e lo continuava a guardare vedendo che alle spalle dell’uomo seduto era a un paio di Giusto-i dal fucile che le avevano insegnato a usare. Paragonò Rufus a una foglia. Pensò e poi disse: “Come fai di cognome?”. Lui non si girò e rispose con una sola parola: “Agio!”. “Il fuoco è tuo, Rufus Agio. Perché è potere”. Alzò la gamba alle sue spalle e... poggiò il piede nudo, come era tutto il suo corpo, su una spranga di ferro che era di fronte a Rufus, trovandosi quindi al suo fianco. Lui si voltò vedendola e lei gli disse: “Baciami tra le cosce. Te lo chiedo perché c’è un fuoco che tu hai là, e sei padrone anche di quello”. Lui vide la grotta del piacere di Lana ed ebbe un’erezione completa. Era nel massimo del suo essere padrone quando la sentiva parlare e gli faceva vedere tutto ciò che era suo; soprattutto ciò che era suo ed era bello.
Messaggi
Il tempo era bello e Sergio camminava sul marciapiede di una strada di Perfectville con l’aria allegra, motivata dal fatto che doveva provare una cosa che desiderava da tempo. Era riuscito a guadagnare diverse centinaia di monete trovando un lavoro da non molto tempo, con l’aiuto che aveva ottenuto da Antonio, il quale era una persona che riusciva a convincere tanti con le poche parole che pronunciava unite al suo sorriso poetico. Sergio soffrì molto per la perdita di quel ragazzo poetico, di pochi anni più grande di lui, d immensamente pronto ad aiutare il prossimo; sia gli amici che gli sconosciuti. Aida, l’ex compagna di Antonio, aveva aiutato Sergio a infoltire i clienti del bar che il giovane era riuscito ad aprire pagando poco l’affitto del locale, grazie alle parole simpatiche del fu Antonio, e il nuovo lavoratore aveva speso i primi giorni a sistemarlo, adibendolo in maniera stranamente un po’ artistica per gli ordinati clienti. All’inizio vi entrarono in pochi, ma poi, con la pubblicità di Aida e quella del poeta finché rimase in vita, divenne un bar del quale dapprima usufruirono quasi solo i possibili elettori degli Sciolti, ma poi a breve iniziarono a entrarci anche i fedeli al Qua e Là, cominciando ad apionarsi allo stile particolare che riuscì a darvi Sergio, senza mai mischiare la politica in quello che lui riteneva un atto (o lavoro) artistico. Il giorno dopo l’assassinio di Antonio il giovane parlò con Aida cercando di tirare su il suo morale, nonostante lui cercasse il modo per ristabilirsi pensando sempre alle frasi emozionali del poeta defunto. Sergio disse alla ragazza: “Io ti voglio bene”, e l’abbracciò. Quando le sue labbra furono vicine al suo orecchio, a bassa voce continuò: “Lui non è sparito e ci sarà finché lo ricorderemo. Parliamone spesso perché lui merita di vivere per sempre”. La ragazza non riuscì a trattenere le lacrime che dal giorno prima sembravano essere inesauribili.
Dopo un minuto di silenzio dovuto al pianto incontenibile, Aida disse con la voce un poco più alta di Sergio: “Antonio mi rendeva sempre felice, giudicandomi bella ed esaltando i miei gesti, le mie vesti e le mie attività. Certe volte ho parlato con alcuni suoi amici che mi dissero che lui parlava spesso di me, anche se loro all’inizio non capivano mai che fossi io il soggetto al quale attribuiva complimenti incredibili. Parlava di me, della storia della mia vita, dei miei successi, delle mie perdite e del coraggio che dimostravo nel riprendermi in fretta”. Smisero d’abbracciarsi e rimasero uno di fronte all’altra, tenendosi con entrambe le mani come se stessero compiendo un girotondo. Aida aggiunse: “Lui m’ha fatto crescere. Ho perso tanto con la sua morte, ma è grazie a questa che ho capito perfettamente che voi restii non dite bugie quando parlate di sentimenti forti. Lui se n’è andato e io... Io lo amo!”. Lei lo disse urlando. Potremmo tornare a Sergio che camminava allegramente e che era arrivato davanti a un villino. Suonò il camlino fuori al cancello e venne ad aprirgli una bella ragazza poco più che ventenne, che era la prostituta che compiva il suo dovere nella stanza più comoda dell’interno. Lei gli disse: “Chi sei?”. “Bella ragazza, io sono Sergio”. “Sergio... Sì, mi hanno parlato di te. Hai le monete?”. “Sì! Quelle che ti devo le ho”. La ragazza si chiamava Giulia e fece entrare il giovane senza dire più nulla. Il giorno dopo Sergio riuscì a trovare Toshio e a parlarci. Erano per strada e trovarono un angolo nel quale parlare in maniere nascosta dai facchini e dai soldati. “Toshio, per me è un onore parlare con te. Giulia m’ha detto di cercarti e di dirti quello che lei non può perché una donna che gira liberamente per Perfectville è una cosa disordinata. Lei non vuole rischiare e ha voluto essere pagata per farti
arrivare queste parole”. Toshio non sapeva nulla, ma conosceva il nome di Giulia. “Lei deve dirmi parole? Perché?”. “Non è lei, ma Lana, che ormai è prigioniera di Rufus e non può parlarti”, disse Sergio. “Lana prigioniera? Dammi una buona notizia, ti prego!”. “Ho solo poche parole. Giulia è riuscita a entrare in una stanza vicino a quella di Lana per compiere il suo dovere con uno dei facchini al servizio di Rufus e, come saprai, loro sono amiche e Lana s’era messa d’accordo con lei per farle mandare questo foglio a me, che sono il meno ricercato. E io dovevo farlo arrivare a Ralph, ma ora è difficile trovarlo, quindi Giulia mi ha detto di cercare te, che sei lo Sciolto pubblicamente più visto negli ultimi tempi. Ci sarebbe anche Piggy, ma Giulia mi ha convinto a non fidarmi di quel ragazzo”. Toshio accennò un sorriso: “Quali sono le parole?”. “Puoi leggerle su questo foglio scritte da Lana”. Sul foglio c’era scritto: “L’idea è giusta”. Toshio disse: “Chissà di quale idea parla”. “Non lo so, ma Giulia è stata gentile. Ha voluto le monete per il servizio svolto a favore della sua amica Lana, ma per quella banconota da cento monete s’è attivata anche in una maniera che non m’immaginavo fosse possibile”. “E cos’ha fatto?”. “Mi ha regalato un po’ di sesso, ed era la prima volta che potevo fare una cosa simile”. Toshio sorrise: “Non avevi mai fatto sesso?”. “Sì... cioè no. Non lo avevo mai fatto, ma non parlavo di questo. Io non ero mai riuscito né ad aiutare in maniera così importante un ordinato, cioè quello che
potrà avere il merito del cambiamento, né a rendermi utile a Lana”.
Bongio Lellino
Erano a Perfectville tutti e tre gli eleggibili. Ed era il 20 settembre. “Siete degli idioti se pensate di poter vincere! Il popolo vuole che lo governi quelli che sanno farlo!”. Fu questo l’esordio di Precisino mentre erano tutti nel salone ad attendere che gli elettori completassero la votazione. Si trovavano nel salone che offriva il balcone alla piazza. Quello dal quale aveva tenuto il discorso Ralph. Ma non erano soli. Avevano, ognuno, la parte riservata ai politici più importanti del loro partito. O dell’Insieme, perché gli Sciolti non volevano fosse chiamato partito. Il Primer ancora in carica aveva vicino a lui una decina di politici. L’Opposter uguale. Il Primer doveva essere uno: l’eletto. L’Opposter sarebbe diventato un termine plurale? Questo se lo domandavano tutti, sia di Qua che di Là, ma erano convinti che l’eventuale terzo posto sarebbe stato degli Sciolti e che elezioni del genere non ve ne sarebbero più state. Quindi, per loro, domandarsi come poteva modificarsi il termine Opposter non risultava importante, ma ne parlavano perché era un discorso politico. E ne parlavano come se fosse un argomento importante, perché gli era stato insegnato da sempre che tutto ciò che riguardava la politica era la cosa migliore per tutti. Gli Sciolti in quel salone erano Ralph Manto, Toshio Benelli e... basta. Piggy aveva detto diverse volte che odiava stare in mezzo ai politici, e molti Sciolti pensavano che forse ne aveva anche paura. Qualche ora e tante parole ascoltate dopo l’inizio dell’attesa, Ralph chiese a Toshio se voleva andare con lui in un’altra stanza. S’avviarono, mentre Precisino e Freddino si guardarono, s’avvicinarono, e parlarono a bassa voce accostando le teste e dialogando come se suonassero il flauto, l’uno nell’orecchio dell’altro. “Dovevamo fare di più per uccidere Ralph. Non vincerà, ma non sopporto il fatto d’averlo visto per la prima volta oggi. E non voglio combattere per
l’elezione con uno che non conosco”, disse l’Opposter. “Quel facchino ci ha provato, ma ha colpito l’altro pazzo sciolto. E forse quel capo dell’Insieme ha guadagnato qualche voto in quella piazza per quello che accadde”. Ralph non aveva parlato con nessuno nel salone, né nessun politico o eleggibile aveva provato a stuzzicarlo. Quando Toshio entrò nella stanza, accanto al salone gli sparirono i dubbi sulle intenzioni di quello che, per detta di tutti gli Sciolti, era il loro capo. Smise di chiedersi il perché gli avesse chiesto di andare con lui in un’altra stanza non appena vi entrarono. Ralph si girò, mentre camminava per accomodarsi nella sala, per guardare negli occhi Toshio, e decise di cominciare a parlare in piedi non appena furono dentro la sala e vide che erano soli. L’uno di fronte all’altro. “Vedi, amico, forse dovrei iniziare questo dialogo al quale penso praticamente tutti i giorni con un’altra parola. Voglio raccontarti quello che mi disse Fiocco Rosso la notte del giorno prima che lo uccidessero. Lui parlava così... Ma non ricordo a memoria quello che disse. Ti dirò quel che sono certo abbia iniziato la mia crescita. Ecco... Così cominciava spesso le sue frasi”. Toshio immaginò che ci fosse Bongio di fronte a lui. “Ecco... Da quello che m’avete raccontato... e sai che ascolto sempre interessato tutto... voi siete legati alla democrazia perché linguisticamente equivale a ‘potere del popolo’. Ma voi siete scappati da chi vi governa, quindi da chi comanda. Quindi comandano loro. E avete tutti una persona più importante di voi. Tranne il Primer che comanda tutti. Cioè, dice di farlo, ma ci sono quelli sotto di lui che lo fanno. E quando fanno qualcosa che al popolo non piace, moltissimi dicono che è colpa loro. Di quelli che governa lui, ma fanno quello che dice il partito. Ecco... Lo so, di politica non dovrei parlare perché è complessa e, per voi, è un argomento intellettuale”. Ralph non guardava sempre Toshio negli occhi, ma fuggiva dal suo sguardo ogni pochi secondi, guardando più la cornice del giovane per impegnarsi a ricordare quello che diceva Bongio.
“Ecco... (Ralph a volte fuggiva dall’interpretazione) Questo ‘ecco’ Fiocco Rosso lo diceva tante volte... continua a pensare che sia lui a dirle queste cose. Ecco... Io capisco che abbiate trovato una maniera giustificata per accompagnare la socialità del popolo, ma non l’avete decisa voi. L’hanno decisa i governatori. È anche per questo che non v’hanno mai fatto studiare la storia. Ecco... Voi giusti non sapete nemmeno quello che ho studiato io. Meno di cent’anni fa il muro non esisteva. I nostri Stati, che io considero solo un territorio unito dalla natura, erano quindi un insieme. Il popolo era libero. L’Ordine esisteva solo nelle menti di alcuni che acquisirono potere in tanti anni. Per quello che so e ho studiato, erano loro considerati i pazzi, senza mai essere offesi, per quel termine che era ed è una sorta di malattia mentale. Qui invece voi non li provate a curare, ma li eliminate. Così m’hanno detto tutti i ragazzi Disordinati con i quali ho parlato. Quindi è divenuta per voi un’offesa, che per me e per il resto... scritto con lettera minuscola o maiuscola... non è un dispregiativo. Lo dicevano, all’epoca, perché li consideravano malati. Ecco... Non so nulla di quel che accadde all’inizio dell’Ordine, ma so che credevano che questo Stato esistesse da anni. Ora so che esiste, ma in ato e anche nel presente, i vostri soldati... che poi chiamarli ‘vostri’ per me è un’assurdità... non ci hanno mai permesso di entrare nello Stato, sparandoci. Poi i restii decisero di non avvicinarsi più... E divenimmo sconosciuti. Mi stai seguendo Toshio? Parlo come se fossi lui”. “Certo Ralph. E non parlerò finché non avrai finito. Mi interessa quello che dici”. Ralph tornò a rilassare i muscoli facciali, perché per lui imitare Bongio era ormai un qualcosa di morbido. “Ecco... Noi non abbiamo mai odiato gli ordinati, perché non li abbiamo mai conosciuti. So che per voi noi eravamo persone strane perché i vostri governatori decisero dove fare il muro in un punto che... non so, né sappiamo tutti noi restii come fecero a deciderlo. Ecco... v’hanno convinto... cioè, questo m’avete detto voi... che noi avevamo streghe, stregoni e tanti pazzi. Fin da quand’ero piccolo non ho mai sentito che ci fosse qualcuno che fe le magie. Noi eravamo, e siamo, alla ricerca
dell’equilibrio”. Toshio lo guardò stupito. “Ecco... L’equilibrio è difficile da raggiungere per tutti. Io lavoro per questo da anni e per noi di lavoro esiste solo questo. Immagino che da voi questa parola non esista. Sarà la parola che ti dirò tra poco. Lo immagino perché non l’ho ma detta a voi, giovani Disordinati”. Il silenzio s’impossessò del momento per pochi secondi, inseguito dalla curiosità di Toshio di scoprire quale fosse la parola. Ralph tornò agli occhi dell’ascoltatore più lentamente di come aveva fatto sinora, riempiendo in quel poco tempo la pozza nella sua testa con la voglia convita di pronunciare tutto quello che gli aveva detto Bongio, interpretandone benissimo non solo la vocalità periodica, ma l’esplosione ionale di quello che chiamavano Fiocco Rosso. “Noi cerchiamo l’equilibrio tramite i chakra. Noi sappiamo, attraverso i nostri studi e la nostra sensibilità tattile, che ne esistono 7. Ricorda che la sensibilità non è ciò che può essere paragonata alle magie dei maghi o delle streghe che immaginavate esistessero da noi, ma è una cosa che può essere incentivata da qualsiasi essere umano che vi si eserciti. Per questo c’è bisogno dello studio: studiare il modo d’esercitare la sensibilità, sia fisica sia astrale”. Toshio sentiva che questa rivelazione faceva parte del suo destino. “Ecco... I 7 chakra. La parola è questa: ‘chakra’! L’essere umano è energia. E questi sono come dei dischi che sono in sette punti del corpo. E loro ci rendono un tutt’uno con l’universo. Noi siamo il prana! Penso non conosciate neanche questa di parola. Siamo tutti collegati, anche con i pianeti lontani che abbiamo scoperto recentemente; e con le stelle, che ancora non riusciamo a vedere da vicino, ma il nostro sguardo s’è avvicinato ai pianeti attraverso i telescopi. Io dissi a Bongio che non era possibile che ci fosse qualcuno che li produceva, perché m’aveva detto che non esistevano lavori.
Ecco... Non esistono i lavori come li immaginate voi. La gente fa quello che la apiona. Quindi da noi esistono medici, panettieri, pescatori... Esiste tutto. Perché la gente fa quello che gli piace senza essere costretta, non come m’avete detto che avviene da voi. Il lavoro è solo per la ricerca dell’Io, indi per cui serve al raggiungimento dell’equilibrio energetico. Quelli che diventarono i divisori tra il nostro e il vostro popolo, cercarono di applicarsi alle religioni per unire la gente. Volevano fargli credere quello che serviva a loro. Noi non siamo mai stati contro le religioni. Anzi... A me interessarono. E di religiosi ce ne sono ancora da noi. Ma la loro credenza i credenti l’hanno espansa unendola all’energia. E noi li rispettiamo e in alcuni casi concordiamo con loro. È giusto che tu sappia che io non sono un credente religioso, ma mi piace parlare con chi crede. Da voi hanno cercato di eliminare le religioni dopo aver costituito uno Stato. Non so come, ma l’hanno fatto. Io dissi a Bongio che avevo sentito parlare di un Dio, ma che mi sembrava una cosa da restio, cioè una sorta di mago che era addirittura invisibile. Ecco... Come ne hai sentito parlare non lo posso sapere, perché voi non risultate nella storia che studiamo, perché non possiamo inventare la vostra. Ma sappi che immagino invenzioni incredibili dei vostri governatori. Io gli dissi come poteva essere qualcuno che insegnava. I maestri potevano essere apionati? Certo! La storia, la matematica, la scienza, la letteratura, il teatro... Queste sono ioni. E da noi siamo liberi di seguirle. Da voi ho capito che non conoscete né capite l’arte. L’arte non devi necessariamente impararla. Ecco... Sì. Devi imparare come eccitare sentimentalmente gli spettatori di romanzi, quadri o... ville. Da noi anche le abitazioni necessitano d’arte. Ci apionano così. E la ione è una parte importante nella vita. Stando qui ho sentito come utilizzate l’energia, ed è una cosa negativa. Per me
come per voi. Prendiamo quel liquido per calmarci, ma non ci fa ragionare, e gente irragionevole serve a chi governa. Se continuerete così, vi faranno ragionare sempre meno, e vi faranno credere di ragionare tantissimo per le leggi... la politica, guardando il futuro. Per il rispetto dei cittadini che, forse, in futuro diverranno non più tanto legati; e ci sarà, forse, qualcuno che li vorrà più uniti e qualcun altro più separati. Da quello che ho capito, la politica gioca su queste cose. Ragionerete su queste cose. Forse. Io non capii tutto subito. Dovetti pensarci e lo sto ancora facendo. Sto cercando l’equilibrio e lavoro ogni giorno; studiando le persone che conosco e le voglie del popolo. Toshio, ti vedo stranito. Lo capisco. Lo ero anch’io. Ma l’ho detto a te perché ti giudico uno che riesce a comprendere velocemente. Più velocemente di me... spero. Ecco... Lo so che tu mi vedi e mi senti senza capire esattamente quello che dico. Ma ci riuscirai. Questo mi disse Bongio”, fece Ralph, terminando l’imitazione. Toshio lo guardava e cercava di comprendere. Vedeva che la strada si faceva più libera. “Amo tutto quello che mi ha detto Fiocco Rosso. Credo a tutto e vorrei aver conosciuto meglio le religioni del Resto”, disse Ralph dopo qualche istante di silenzio. “Mi sono accorto Ralph, che facevi sempre queste domande sulle religioni”, disse Toshio con un viso interrogativo. “E ti sei accorto anche che loro non ne parlavano quasi mai? E i pochi che si sbilanciavano mostravano occhi accesi. Il loro credo. Bongio mi disse anche altro, e a me venne un’idea”. “E qual è?”, domandò Toshio. “Tu cosa pensi del discorso che mi fece Fiocco Rosso?”, gli rispose Ralph con un’altra domanda.
“Libero!”, disse Toshio mostrando la sua felicità. “Allora mi fido, e m’aiuterai anche tu ad aiutarci. Parte del popolo sa già la mia idea”. “Loro lo sanno... e io non ho mai sentito nulla?”. “Sì, perché hanno saputo di doverlo dire solo a chi credeva pienamente al nostro essere. E la maggior parte credo sia di restii”. Toshio aveva gli occhi sbarrati, ma dimostrava interesse, felicità e convinzione, anche se un po’ gli dispiaceva che nessuno lo avesse considerato credente nel progetto e parlò in maniera entusiasta: “Dimmi tutto. Voglio aiutarci”.
Incontri
Era la notte prima dell’elezione e in molti avevano quelli che volgarmente chiamerei attacchi di panico composti. C’era chi vagava per le strade a piedi, commettendo un’infrazione, in quanto bisognava farlo solo in caso lavorativo se non si era politici, e chi girava per la casa. Alcuni, sopratutto coloro che si ritenevano sciolti civili, erano con il viso alla finestra, ritrovandosi a dover nuotare per non affogare nei sogni a occhi aperti che non erano abituati a fare. Tra tutte le persone che s’erano praticamente ubriacate di Pacificatore c’erano anche Piggy e Sergio, che camminavano sui marciapiedi stranamente in maniera ordinata. Quello che non era in strada ma nel suo villino era Rufus. Lui s’era incamminato nei corridoi accesi dalle luci, ma non c’erano fiaccole e lui non si domandava il perché né sentiva la stanchezza, nonostante fosse da diverso tempo in piedi a camminare con una bottiglia di Pacificatore nella sua mano, che portava ogni tanto alla bocca. Lui non era abituato ad appoggiarsi a quel liquido calmante, perché si voleva (e doveva) sentire sempre tranquillo. Ogni tanto, in questa nottata, egli fermava il suo o e portava lievemente su il suo braccio con la bottiglia, per fissarla. Lo faceva e in pochi attimi spuntava un
sorriso a coronargli il viso, perché qualche anno fa fu merito suo se tutta la popolazione degli Stati uniti dell’Ordine poté usufruire di questo liquido. Era stato lui a commercializzarlo per il benessere delle persone e questo pesava in quegli istanti. Poi pensava non a quello che aveva detto per pubblicizzarlo, ma a quello che aveva pensato quando gli era venuta questa idea di metterlo sul mercato. Sapeva che la gente stava impazzendo realmente con le richieste dei governatori giustificate dalle leggi, e venne a sapere che nei due Stati del nord alcune persone erano riuscite a trovare questo deterrente dall’ansia, ma lo davano solo a pochi e ne producevano quantità minime. Rufus andò a cercarli con alcuni facchini, li trovò in poco tempo e si fece dare la ricetta, obbligando con i fucili puntati quelle poche persone. Nel giro di una settimana li trovò tutti e se ne fece dare sempre la ricetta, tanto per acquisirne la certezza. A ogni nuova conferma che la ricetta era la stessa, ordinava ai facchini di uccidere chi gliel’aveva confidata. Perché non doveva esistere prova che quello che avrebbe poi chiamato Pacificatore non era stato inventato per merito suo. Quando tornò a Perfectville, parlò di questo liquido a quello che era Primer allora, e gli disse che, oltre a una buona percentuale riservata a lui, sarebbe stato un ottimo prodotto per la popolazione e per i governatori. Il Primer, che al tempo era Precisino, accettò subito, perché aveva necessità anche di monete. Non per cose futili come mangiare, dormire ben coperto o bere, né per la propria sicurezza, in quanto i Giusto non avevano necessità di dover pagare nulla; gli servivano esclusivamente per la pubblicità elettorale e sapeva di fare una bella figura presentando il Pacificatore al popolo. “Con il Pacificatore acquisirete libertà mentale. È la libertà che v’offre il mio partito!”. Era questo che pensava di dire Precisino, ma dovette aggiungervi il nome di Rufus perché fu l’unica imposizione che volva e che riuscì a ottenere quello che tramite questo atto divenne l’uomo dell’Ordine. Prima d’aver la certezza delle entrate economiche e della fama popolare positiva attraverso l’assenso del Primer, Rufus fece uccidere i facchini che avevano ubbidito, cercando e facendo fucilare i pochi uomini degli Stati del nordi, con la scusa che fossero rivoluzionari rischiosi. L’uomo dell’Ordine quindi iniziò a costruirsi una fama dovuta alla pulizia degli Stati e ora, con il Pacificatore in mano, pensava a tutto ciò che aveva raggiunto con la sua volontà.
Rufus prese con l’altra mano un posacenere e se lo poggiò all’orecchio; poi iniziò a parlare con Ralph, immaginando che avrebbe vinto lui le elezioni, ma sentiva che lui non capiva l’esigenza ovvia per chi deve comandare: “Il potere si ha con le monete!”, disse. “Avrai bisogno in ogni caso dei soldi nella società che sto costruendo!”. Poi tornò a guardare il posacenere e comprese che l’atto che aveva eseguito era una cosa assurda, ma sapeva che Ralph l’aveva udito. Colui che sapeva tutto non poteva credere una cosa sbagliata e il futuro Primer doveva averlo sentito. “Bisogna inventare mezzi di comunicazione diversi e più rapidi”, e lo disse come se Ralph lo stesse sentendo. “Devono sentirci in tutti gli Stati. E anche oltre. Il potere s’accumula così”. S’avvicinò al letto e spinse la mano sul cuscino rimanendo in piedi. Il viaggio fu lungo un istante ma lo fece arrivare a Compagnia, in mezzo a tutte le persone restie che aveva conosciuto. Tra di loro c’era anche Lana e lui, infervorato, strillò: “Cosa ci fai qui? Devi essere nella mia villa e io non ti ho fatto fare il viaggio! Succede solo quello che io voglio che accada”. Lei gli sorrise e disse: “Ero con i miei amici del ato. Nell’Ordine, lo Stato del futuro, non siete abituati a far sentire la musica né le canzoni. A me e a tutti i restii la musica fa sognare”. Rufus scomparve e riapparve di fronte a Lana dicendole: “Voi avete la razionalità che circuisce l’originalità delle cose. Siete pazzi! Ma questa storia della musica potrebbe servire nella società che sto imbastendo”. Lana lo guardò con il sorriso che quasi sempre appariva di fronte a lui. “Ti dirò che organizzerò delle gare musicali al fine d’apionare il popolo, e so che questo li farà sentire liberi nonostante sia il governo a comandare. Ce li devi far credere. La plebe non deve immaginare nulla, e il farli sognare solo su quello che voglio io è un vantaggio. Mio e del popolo”. Rufus rise dopo aver detto ciò e, non appena tornò con il viso serio, disse: “Ci servirebbe organizzare spettacoli che si possano vedere nelle loro case. Li inventerò. Inizierò con opere di quella cosa che... come la chiamate? Ah... artistiche... che faranno vedere molte donne che si spogliano riempiendo gli occhi degli elettori. E lo farò sia per il Primer che per l’Opposter. Ma soprattutto
per me, perché più mi rendono utile, più mi fanno fare monete e aumentare il mio potere”. Rufus sentì poi dei colpi di fucile e si girò per capire chi fosse a sparargli, ma non vide nulla. Ne sentì altri e... si svegliò! Era nella sua villa ed era ancora notte. Si trovò nel letto dove si era messo non appena era rientrato. Si alzò, sentendosi rilassato, e capì che era merito del Pacificatore che aveva bevuto prima di dormire quando vide la bottiglia a terra. Poi sentì nuovamente dei colpi che provenivano dalla sua porta. C’era qualcuno che bussava. “Chi sei?”. Dall’altra parte sentì: “Eh! Sono il facchino. Ci sarebbero due persone che le vogliono parlare”. Lui prese il fucile e mirò alla porta. “Va bene. Falli entrare senza dirmi chi sono. Lo scoprirò”. Quando la porta s’aprì, comparirono Piggy e Sergio, che videro Rufus armato con il fucile puntato su di loro. Piggy disse: “Rufus, siamo noi. Io, il tuo fidato sciolto, e Sergio, che è un ragazzo che voglio farti conoscere. Era un amico di Lana quand’erano nel Resto, prima che arrivassimo noi, e credo che potrebbe esserci utile a comunicare con Ralph. Senz’altro più di Toshio, che sta divenendo esclusivamente un disordinato. Non uno dell’Insieme”. L’uomo dell’Ordine chiese: “Fammi sentire la tua voce”, e lo disse sentendo che le gambe gli tremavano non per la paura, ma per il fatto che non era abituato al Pacificatore. Sergio guardò la punta del fucile che ancora lo puntava e disse: “Io... sono riuscito a convincere Piggy a farmi incontrare te, ma sappi che non sarò quello che ti ha detto lui”. E Piggy lo fissò sorpreso e deluso. Sergio continuò: “Sì... è vero che sono amico di Lana sin dall’infanzia, ed è vero anche che Ralph l’ho conosciuto, ma... io non sono sfavorevole alle idee di
quello che potrebbe divenire Primer. E mi piace il modo di pensare di Toshio”. Tutto ciò lo disse senza timore alcuno nei confronti di Rufus. Si sentiva pieno di sé, e dopo alcuni secondi fu pieno di una pallottola che sparò Rufus. Sergio cadde con il sedere a terra tenendosi la pancia, punto nel quale era entrata la pallottola. Gli uscì subito del sangue dalla bocca e disse: “L’amore non si cancella con un colpo”. Rufus mirò alla testa e ne esplose un altro aggiungendo: “Forse con due sì”. Piggy vide tutto a bocca aperta, terrorizzato, e non riuscì a dire nulla. Rufus lo puntò e disse: “Dovrei fidarmi di te? Tu non vali nulla e non mi servi più”. Sparò nuovamente, uccidendo anche quello che aveva sbagliato; poi si sdraiò sul letto e urlò: “Ucciderò tutti quelli che vanno contro ciò che voglio!”.
... dell’Agio
I due Sciolti erano tornati nel salone, e quelli del Qua è del Là che vi erano durante la possibile elezione del Primer arono la notte tutti insieme senza scambiare mai delle parole. Almeno così fecero quelli dei partiti, nei confronti di quelli ritenuti pazzi: l’Insieme degli Sciolti; mentre tra di loro alcune ipotetiche riflessioni, schierandosi sempre e comunque qua o là, le fecero. Alle ore 10:00 della mattina entrarono i facchini che avevano avuto il compito di are la notte a contare i voti. E lo avevano fatto attraverso la comunicazione tramite fiaccolate, con movimenti già decisi prima, per far capire i numeri per tutti e tre gli sfidanti. S’impegnarono nelle fiaccolate i facchini di tutte le città degli Stati uniti dell’Ordine, facendo arrivare le cifre esatte a Perfectville dai facchini che avevano contato quei voti che erano stati contati nella città principale dello Stato Ordine. Quando entrarono nel salone erano in tre. Salutando tutti i politici che vi erano con il solito “Eh!”, uno dei facchini prese la parola, stabilendo la sua vocalità nello standard ufficiale dell’Ordine: “Miei governatori, abbiamo effettuato il conteggio dei voti del popolo che ha deciso chi sarà il nuovo Primer”. Il facchino si inginocchiò, come prevedeva la procedura da non si sa quanti anni,
allargò le braccia come se dovesse dire “Eh!”, come prevedeva la procedura da non si sa quanti anni, e disse il risultato con voce pulita:“Il nuovo Primer sarà Ralph Manto! L’Opposter sarà costituito da Precisino Giusto e Freddino Giusto!”. Tutti i presenti si guardarono con facce interrogative, ma nessuno disse nulla. Ralph sorrise e si girò verso Toshio, il quale fece i tre i che lo distanziavano e lo abbracciò. Il nuovo Primer disse all’orecchio al suo politico, mentre lo abbracciava, che voleva affacciarsi al balcone come facevano da sempre gli eletti e tenere il suo primo discorso. Naturalmente nell’Ordine non esistevano feste e non esisteva già da tanti anni il termine ‘grazie’. Solitamente i Primer s’affacciavano stabilendo che avrebbero compiuto quello che avevano promesso e che l’eletto avrebbe governato con il potere che era del popolo. I politici erano esterrefatti e gli sembrava di vivere quell’assurda posizione libera che doveva essere solo pronunciata, e non eseguita. Che poi ‘eseguire’ la libertà appare illogico, ma di logico esisteva poco nella terminologia ordinata. Non fu estratto nessuno fucile, e quando ò Ralph tra i politici per affacciarsi al balcone, i due Giusto interruppero la sua camminata mettendoglisi di fronte. Il primo a parlare fu Precisino: “Il Là ti fa i complimenti. Questa è una novità, ma la novità è un futuro. E tu sarai l’inizio del futuro. Saremo Opposter corretti. Parlo a nome del Là!”. Il secondo fu Freddino: “È il Qua a compiere il miglior complimento, perché io ero il Primer. Io ero il popolo, e lo sono stato per un lungo periodo. Ma da oggi sono il ato, quindi io e te... ‘insieme’... saremo il tempo totale degli Stati uniti dell’Ordine!”. I due avevano così dimostrato la lotta continua che facevano e che sentivano parte di loro. Ralph disse solo una parola che imparò da Bongio: “Grazie”. Sorrise e continuò la camminata ando tra i due, senza toccarli. Lo spazio fu perfetto. S’affacciò al balcone ed espose un sorriso fiero alla popolazione che era
sotto di lui. La piazza era, ovviamente, piena di gente; come lo era sempre stata dopo l’elezione di un Primer, ma stavolta era una novità, come avevano detto i Giusto, e le persone volevano vivere questa che risultava loro, in maniera politicamente scorretta, la rivoluzione che avevano attuato democraticamente. “Gente”, iniziò Ralph non appena Toshio gli comparve accanto. “Io sono qui a ringraziarvi per la vostra scelta”, e i popolani studiarono quasi tutti il viso del vicino, perché non conosceva quasi nessuno la parola ‘grazie’, nonostante l’avesse sentita nominare qualcuno che aveva incontrato un restio. Solo gli anziani appresero al volo la presentazione del discorso di Ralph. “Lo so che uso parole che non conoscono tutti, ma voglio ringraziarvi, anche perché non sosterrò nulla di quello che avrete immaginato io voglia compiere”. Il tono di Ralph era identico a quello mantenuto nel precedente discorso pubblico. “Voi avete dato fiducia a ciò che immaginavate fe parte di una rivoluzione, e avete votato per un cambiamento. E io immagino, senza esserne certo, che lo avete fatto perché v’ha esaltato l’odio per la politica”. La piazza si sentiva confusa. “Non confondetevi. O forse potete farlo. Io proverò a spiegarvi la mia scelta, ma credo che voi non abbiate apprezzato il fatto che io abbia giudicato la vostra. Voi volevate la rivoluzione?”. La maggior parte dei popolani accennò un sì con la testa. Ma non tutti. “Sì... Ma non tutti!”, continuò Ralph. Erano tutti, come prevedeva la legge, silenziosi. Ma quelli che si definivano sciolti sentirono come una corda che immobilizzava il loro corpo. Non si sentivano liberi come avevano voluto. “Molti di voi non saranno in accordo su quello che deciderò di dire ora. Quindi? Sbaglio? No, secondo la legge non posso sbagliare, perché io sono il Primer che la maggioranza ha scelto. Quindi? Se non tutti concordano con quel che dico, potrebbe essere un errore
pensare che la maggioranza abbia ragione sempre! Vi chiedo, di che forma è il nostro pianeta? Voi non potete rispondere, ma sapete quasi tutti che è rotondo. Quello che probabilmente non sa la maggioranza di voi, perché i governi non v’hanno permesso di studiare la storia, è che molti anni fa si pensava che la Terra fosse piatta. E non lo pensava qualcuno. Lo pensava la maggioranza. Forse non crederete a questo che v’ho detto, ma io sono il Primer, e non posso dire bugie. Io sono legale. Io sono la verità”. La piazza s’era persa. Ralph presentò un viso serio e convinto. “La verità pubblica non esiste! Esiste solo la verità dell’Io. Ma in alcuni casi, non la si segue, e ci si perde nella nostra moralità. Voi certamente avrete avuto queste perdite. Private. Ma immaginate che pubbliche non possano esservi. Perché pensate vi sostenga la democrazia. Meglio in tanti che solo, vero?”. Tornarono a guardarsi tutti i volti nella piazza. “Dovete credere in voi stessi, e non nella maggioranza di voi. Questa è la verità! Sì, lo so che v’ho detto che la verità pubblica non esiste, e chi lo ha pensato ha già raggiunto il gradino successivo. Non credete a nulla. Vivete il tutto. Non siate violenti con chi pensate sbagli perché siamo uomini, e l’errore è umano. Prevedo che in futuro, continuando con l’eccessivo espandersi dell’ordine, e non parlo del nome dello Stato, ci sarà la ricerca della perfezione assoluta per la perfezione, fomentando la violenza. Perché la violenza la vorrà la maggioranza”. Pochi attimi di silenzio. “Questa è la verità!”. Quasi tutti non capivano nulla, ma la gente, quindi non solo gli sciolti, sentivano la corda che immaginavano li legasse sciogliersi un poco alla volta. “Siate pacifici. Siate puliti. Convincetevi solo di quello che crea positività per
tutti. So che non riuscirò a entrare nelle vostre teste in maniera netta. Quando dimostrate la vostra conoscenza per illuminare gli ideali che v’appaiono bui ed errati, molte volte accecate quelli che immaginate siano spenti. Gli ideali sono la gabbia del pensiero libero. Questa è la verità! La maggior parte di voi non avrà capito qual è la mia verità. Ma è questo il gioco per cercare di farvi capire le mie idee. Almeno alla maggioranza. E la maggioranza crea perfezione, no?”. Ralph sorrise. “Io non sarò il Primer, perché non voglio essere un capo!”. Serio. “Non credo al governo dello Stato. Non credo alla democrazia. Non credo all’Ordine. Non credo soprattutto a quello che crea agio alla nostra vita ordinata. So che molti sono stati già invogliati dagli sciolti di cui ci siamo fidati io e Antonio, cioè quello che mi salvò perdendo la vita. Quello che se vorrete potreste chiamare Salvatore. Antonio Salvatore Gaetano. E lui sì, la vita l’ha persa, ma c’era, c’è e ci sarà per sempre fino a che lo ricorderete”. Ancora pochi istanti di silenzio. “Le monete hanno le violenze. Hanno le guerre. Hanno l’invidia. Ma sono state create dall’uomo. E ci comandano. Perché le monete pensiamo ci rendano liberi”. Punto silenzioso. “Siamo schiavi della nostra libertà. Accendete le monete, quelle cartacee.
Se volevate una rivoluzione... pensate a questo. Le rivoluzioni che non creano danni a nessuno, sono quelle interiori. Se eliminerete i soldi per un determinato periodo, entreremo nel Resto. Del resto hanno vissuto sempre bene nel Resto. E loro, come saprete, hanno la storia. Quella che hanno studiato. Qualche restio sarà pure qui e so che tanti di loro comprendono quello che sto dicendo. Pensate solo a voi stessi e prendete la decisione che decidete sia giusta. Questa è la verità. La verità non esiste. Chi lo sta dicendo lo è. Anzi... Così v’hanno insegnato. Questa è la verità!”. Alzò il più possibile la propria voce. “Vi consiglio di scegliere cosa fare e, per me, non farete del male a nessuno. Accendete il fuoco”.
Nessun muoia
Di colpo tutti i coperchi delle decine di lanterne nella stanza s’alzarono grazie a un meccanismo manuale, fatto di corde e ruote. Le lanterne avevano quattro facce; tre di vetro trasparente e una specchiata e rivolta verso la fiamma. Gli specchi indirizzavano la luce sulla parete più lontana, l’unica senza lanterne. “Padrone... Sono vivo e sono qui. Tu avevi detto ‘fuoco’, ma i soldati non mi hanno sparato. Ora?”.
S’era ritirata un poco la paura dell’uomo. “Io dissi la parola ‘fuoco’ perché volevo che l’Ordine accendesse la sua libertà. La accenderanno. Con il fuoco dell’Agio. Non ho mai fatto morire nessuno di quelli che pensi siano stati al tuo posto sinora”. “Come fai a sapere quello che faranno tutti?”, disse l’uomo che apparve stupito. “Fanno quello che dico io. Sono lo scrittore della storia”. “E noi saremmo tuoi sudditi?”, chiese l’uomo senza tremolii nella voce. “Voi siete la mia invenzione, ma prendete la vostra strada perché non deve esserci un padrone. La vita è libera. E bisogna cercare di non farsi domare, senza fare del male a nessuno. Niente violenza, e siamo liberi!”. “Sei Sciolto tu?”. No. Sono libero.
Indice
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