Camelot
Titolo originale: “I due mondi di Rossana” © 2013 Giovane Holden Edizioni Sas - Viareggio (Lu) I edizione cartacea novembre 2012 ISBN edizione cartacea: 978-88-6396-279-6 I edizione e-book aprile 2013 ISBN edizione e-book: 978-88-6396-339-7 www.giovaneholden.it
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Romina Darman www.giovaneholden.it/autori-rominadarman.html
A Paola, perché leggendo possa divertirsi e capire qualcosa in più sulla magia della vita; a Rubeeya, perché è la persona più vicina al mio cuore,
anche se si trova dall’altra parte del globo; a Tommaso, perché è stato un vero amico, correggendomi nel momento giusto e facendomi sorridere sempre; a Giuliano, perché senza di lui la mia vita sarebbe stata di certo più noiosa e molto meno musicale; alle ragazze del gruppo sorriso, perché sono state delle meravigliose sorelle e lo sono ancora; alla mia famiglia, perché senza di loro io sarei nulla; al Gruppo Folk Marmolèda per avermi insegnato l’amore e la ione per i balli tradizionali; ai miei coinquilini, perché ogni giorno con loro è un’avventura; ai miei compagni di corso, perché con loro le lezioni si trasformano in un magico mondo incantato.
Rossana ha vent’anni, studia lingue straniere ed è al suo secondo anno da universitaria. Le lingue sono una sua grande ione, ama l’idea di poter comunicare con gli abitanti dei vari Paesi stranieri che visita spesso. Secondo lei ognuno di loro ha qualcosa di importante da insegnarle. È una ragazza molto semplice e umile, è cresciuta in un piccolo paese di montagna che ama molto, ma adora anche viaggiare, vedere luoghi nuovi, è davvero una ragazza molto curiosa. Ha molti amici e amiche, ai quali è molto affezionata. Durante gli anni del liceo ha vissuto in collegio e questa è stata l’esperienza più edificante e più bella della sua vita. Ma Rossana non è una ragazza come le altre, vive due vite contemporaneamente: una nel mondo reale e una apparentemente nella sua testa.
Questo è il lascito della sua bisnonna, un dono importante che, se non usato nel migliore dei modi, potrebbe crearle grandi problemi. Molti sono coloro che la deridono, pochi quelli che riescono a capirla e accettano questo suo aspetto. Rossana sa usare la fantasia in maniera spettacolare, è nata già inventando favole e fiabe, ma è solo al decimo anniversario dalla morte della nonna, che lei comprende finalmente qual è il suo destino e cosa comporta il suo lascito. Rossana inizia a trascrivere le storie che la nonna le raccontava quando era piccola e solo allora capisce appieno il loro significato, riesce a interpretarle più coscienziosamente. Le arricchisce con conoscenze che ha appreso e il suo scopo è quello di donarle alla sua cuginetta di dieci anni. Ogni storia rappresenta una lezione, che l’anziana signora le ha voluto trasmettere. Crescendo, la ragazza ha imparato ad applicarle alla vita di tutti i giorni, anche se non sempre con grande successo, ma spera di non aver deluso la nonna, che per lei è stata una figura fondamentale della sua infanzia. Ognuno degli amici, che conosce durante il periodo del liceo, fa parte della sua vita esteriore, quella reale, ma molti entrano anche nell’altro mondo, in quello della fantasia, che fino ai suoi quattordici anni non era stato toccato. Sono dei ragazzi e delle ragazze talmente unici, che con le loro peculiarità rendono ognuno dei suoi giorni migliore. Il mondo fantastico di Rossana era stato abitato fino ad allora solo da fate, folletti, streghe e maghi, ora invece aveva conosciuto degli esseri umani, che rendevano il suo mondo reale migliore e la ispiravano. I due mondi si incontrano e da questo momento si rendono migliori l’un l’altro. Rossana impara così ad aprirsi, a sognare a occhi aperti, ma giudiziosamente, non si lascia più andare a mondi irreali, cerca di rendere reali i suoi sogni. Il mondo che le ha lasciato la sua nonna, però, non l’abbandonerà mai, resterà vicino a lei e diventerà il suo rifugio, soprattutto quando la realtà si farà troppo brutta, troppo difficile da digerire. Nella sua vita entrano anche persone che cercano di cancellare questo mondo, che cercano di trattenerla sempre in quello reale, ma loro non capiscono l’importanza della fantasia, dell’immaginazione e così lei si allontana da essi, deve proteggere il suo dono finché non sarà pronta per poterlo usare, finché non avrà imparato lei stessa come funziona. Il 26 dicembre 2011 finalmente arriva, portando con sé il verdetto finale. Questa è la data del decimo anniversario dalla morte della bisnonna e sta a cavallo fra l’anno dei novantanove e quello dei cento anni dalla nascita dell’anziana
signora. Rossana ha la possibilità di decidere se continuare o meno a mantenere il suo dono: se deciderà di abbandonarlo, sarà per sempre. In un mondo come quello attuale è difficile per lei prendere una decisione, ama profondamente il lascito di sua nonna, ma allo stesso tempo gli altri non lo apprezzano e lei viene spesso considerata come una bambina che non sa quello che fa, solo perché ha ancora la capacità di sognare. È proprio in questo giorno che scoprirà la verità sulla sua bisnonna: era una guardiana della fantasia, una strega dei sogni. Conosco bene Rossana e credo fermamente che farà la scelta giusta, è una brava ragazza, anche se non ha fiducia in se stessa. Quando arriverà il 14 gennaio, giorno del decimo compleanno della sua cuginetta, dovrà presentarsi davanti al Consiglio, che si occupa del controllo e della regolamentazione del mondo delle streghe dei sogni. Perché è proprio questo il lascito di sua nonna e lei è l’unica a poterlo raccogliere nella sua famiglia, è l’unica che ha le doti giuste. Sono le streghe dei sogni a controllare la fantasia e ad assicurarsi che essa venga usata nella maniera corretta, chi la usa male sono ad esempio i ladri, che ideano piani sorprendentemente perfetti, ma che così facendo sminuiscono il loro dono. Rossana ha venti giorni per decidere. In questi venti giorni ripenserà a tutte le storie della nonna, quelle che le raccontava per farla addormentare, ma che in realtà nascondevano grandi lezioni di vita. Ogni sera rifletterà su una storia in particolare, usandola per addormentarsi, ciò l’aiuterà a scegliere se continuare a portare avanti questo lascito così importante, ma anche così pericoloso. Cosa direbbero i suoi amici, se sapessero che è una strega? Io so già che decisione lei abbia preso, in fondo sono la sua migliore amica, ma mi farebbe piacere raccontarvi come è andata a finire questa storia così particolare, grazie all’aiuto delle lettere che ha scritto alla nonna volata in cielo, e grazie ai racconti dell’anziana signora, che lei stessa ha attualizzato.
Novembre 2012 Romina Darman
Sottoguda, 26 dicembre 2011
Cara bisnonna, mi hai giocato davvero un bello scherzo. Oggi, a dieci anni dalla tua morte, ho ricevuto una lettera un po’ sospetta, anche per una ragazza come me, abituata a cose magiche. Santo cielo, potevi anche dirmelo che eri una strega! Quando ho letto la lettera del Consiglio delle streghe dei sogni, mi è preso mezzo infarto! Poi mi sembrava di conoscere questo segreto da anni, di averlo conservato perché nessun altro poteva, ma all’inizio ero davvero terrorizzata. Mi hanno detto che entro il 14 gennaio dovrò decidere se assumermi la responsabilità del tuo lascito o se are subito il testimone a Primula, la mia cuginetta, che ha 10 anni, la stessa età che avevo io quando sei volata in cielo. Nonna, mi manchi davvero molto, soprattutto in questo momento, non ho la minima idea di cosa io debba fare. So che dovrei prendermi questo impegno, non sarebbe un sacrificio troppo grande, amo usare la fantasia e vegliare sul suo utilizzo nella zona del Veneto, mi farebbe piacere, ma allo stesso tempo ho paura, come farò a nascondere tutto questo ai miei amici? Ho paura che non mi accetterebbero, però tu mi hai insegnato che fra amici ci deve essere sincerità, quindi non so cosa fare, sarà una decisione sofferta. Inoltre non voglio che Primula si prenda sulle spalle un peso così grande, so che non è giusto, lei in fondo non c’entra molto con te, c’entra solo con me e non vorrei mai che lei dovesse are i prossimi dieci anni a chiedersi come mai le accadono determinate cose. Sai bene di cosa sto parlando, alle streghe dei sogni accadono cose strane. Da un momento all’altro puoi trovarti in un’altra città, solo per aver desiderato di andarci, riesci a entrare magicamente nei libri, solo perché ti sembrano estremamente coinvolgenti. Pochi giorni fa ho desiderato rivedere Parigi dall’alto della Tour Eiffel e indovina un po’? Sì, hai indovinato, dopo pochi secondi mi sono ritrovata in cima alla torre e ho potuto nuovamente osservare dall’alto il meraviglioso profilo della capitale se. È un dono bellissimo, ma anche pesante, nonna, e tu lo sai. Hai fatto i conti per tutta la vita con questo potere, ma io imparerò mai a gestirlo? Ho talmente tante domande, che mi frullano in testa. Ho preso una decisione per auto-aiutarmi ad affrontare questa cosa: ogni giorno trascriverò una delle tue storie. Solo con gli anni ho capito il vero significato di ognuno dei tuoi racconti. Oggi ho scelto La principessa smarrita, era uno dei
miei preferiti quando ero piccola e tu eri la mia compagna di giochi prediletta. Quando ero piccola mi hai praticamente cresciuta tu, perché mamma e papà erano sempre al lavoro e la nonna non aveva mai tanto tempo, perché faceva ancora qualche lavoretto come sarta per i vicini, così restavi tu a occuparti di me. Ricordo ancora i giochi e il tuo profumo, sei stata una figura davvero importante nella mia vita e solo diventando grande e studiando, ho capito cosa avevi ato nella tua di vita. I tuoi occhi hanno visto due guerre mondiali, nella seconda hai perso tuo marito, solo a causa dei desideri incomprensibili e folli di un dittatore. Sia tu, sia il bisnonno, avete conosciuto cosa significhi il sacrificio. Lui ha sacrificato la sua vita, credendo di farlo per la sua patria, tu hai sacrificato te stessa per mandare avanti una famiglia, che a quel tempo comprendeva ancora i tuoi genitori e i tuoi suoceri, oltre a tua figlia. Mi sento in colpa al solo pensiero di non riuscire a mantenere alto l’onore del tuo nome di fronte al Consiglio, ma credo tu comprenda che è difficile per me, nel mondo attuale, riuscire a convivere con un dono così grande e così pericoloso, devo sempre inventare un sacco di storielle al limite del credibile per giustificare le mie assenze improvvise, non so come controllarlo. Qualcuno me lo insegnerà prima o poi? Nel frattempo cercherò di recuperare tutti i tuoi aneddoti e insegnamenti, credo mi aiuteranno a prendere la giusta decisione. Ho scelto questo racconto per primo, anche per poter riflettere un po’ sul senso del sacrificio, nel caso della protagonista della tua storia, il suo sacrificio non era proprio giusto per tutti, infatti faceva soffrire il ragazzo che amava, ma questo non sarebbe un mio problema, non ho nessun amato al momento e forse è meglio così, almeno non influenzerà la mia scelta. Credo che la lezione, che tu volevi trasmettermi tramite la tua storia, fosse di mettere il prossimo davanti a noi e che un piccolo sacrificio, se è per il bene degli altri, non può essere che positivo. Però è davvero difficile fare sempre la cosa giusta. Credo tu volessi prepararmi per un possibile futuro già predestinato, non sarà facile rispettare tutti i tuoi precetti, sai bene che sono testarda e non sempre riesco a rispettare le regole, ma ci proverò, questo te lo prometto. Ora vado, volevo vedere un film, sperando non sia troppo coinvolgente, non vorrei ritrovarmi nella televisione, prima di potermene rendere conto. Ti voglio bene, tua Rossana.
La principessa smarrita
C’era una volta, molti anni fa, un regno felice, molto felice. In qualsiasi stagione si andasse a visitarlo vi splendeva sempre il sole e quelle poche volte che pioveva, i suoi abitanti riuscivano comunque a trovare qualcosa per cui rallegrarsi. Questo accadeva soprattutto perché il re, che lo governava, era un sovrano buono e paziente, che cercava di risolvere tutti i problemi dei suoi sudditi e ascoltava ogni persona che venisse da lui con un dilemma, che fosse il più ricco o il più povero, lui tentava di risolverlo. Re più giusto non avrebbero potuto desiderare e ciò faceva brillare di luce propria anche il suo regno. Il re aveva anche una regina, bella, ma non solo, era una donna molto virtuosa, era anche lei molto buona, amava il suo re e il suo regno e avrebbe sacrificato la vita, pur di salvarlo dal male che c’era a quel tempo e che regnava sovrano. Aveva capelli dorati e occhi verdi come i prati che ricoprivano la gioiosa valle di Sotapiz nelle estati più serene. L’inverno, invece, cadevano metri e metri di neve e i bambini si divertivano molto a giocare con il soffice manto, avevano inventato davvero una miriade di giochi e quell’inverno la regina sorrideva maggiormente nel vederli divertirsi tutti insieme, infatti quell’estate avrebbe dato alla luce un erede e non vedeva l’ora di vederlo o vederla correre con gli altri fanciulli. Se a voi sembra strano in realtà non lo è, infatti a Sotapiz ogni bambino era uguale, anche i figli del re. Per imparare a governare in modo giusto, il sovrano desiderava che fossero liberi di stare con chi più desiderassero, ciò non accadeva però nel caso del matrimonio, che veniva deciso alla nascita del piccolo o della piccola. L’erede era, cioè, destinato a sposare chi il proprio padre avesse deciso. La valle era tutta in fermento per il nuovo arrivo, tutti speravano che fosse una bella bambina, infatti nel regno vicino di Domof era appena nato un bel bambino, figlio del re e della regina di quella valle, lo avevano chiamato Giglio, poiché aveva la pelle candida come i più bei gigli bianchi. Sembrava un po’ cagionevole di salute, ma il dottore aveva confidato al re che per il bel bimbo si prospettava un futuro più sano di quello di un abete millenario. Il re di Domof
aveva allora contattato il re di Sotapiz e gli aveva proposto di unire i loro regni in una pace lunga e duratura con un matrimonio se il nascituro fosse stato una bella bimba e questo fu quel che accadde. Al principio dell’estate la regina di Sotapiz diede alla luce una bella bimba, alla quale venne dato il nome di Rosalpina. La regina e il re concordarono subito sul nome dopo averla vista: aveva la pelle candida come la neve, le guance rosee come i nontiscordardimé appena sbocciati, prima che prendano il loro caratteristico colore azzurro, non aveva molti capelli e quei pochi erano chiari come i primi raggi di sole, che illuminano la valle facendo scomparire le ultime tenebre. Dopo il battesimo, che avvenne di lì a qualche mese, i due re si incontrarono portando con loro i due eredi, sembrava impossibile che i due bimbi potessero capire qual era il loro destino, ma in realtà lo compresero subito, il piccolo Giglio allungò subito le braccia per toccare il viso tondo e roseo della piccola Rosalpina e lei gli mostrò subito un sorriso sdentato, ma tra i più dolci, quando le piccole mani fredde del principino le sfiorarono le gote. I due re arrivarono alla conclusione che, quando entrambi avessero raggiunto il diciottesimo anno di età, si sarebbero sposati. Questa decisione fu accolta con gioia da entrambi i regni, che si assomigliavano tanto per paesaggio, per clima, per popolazione, per tradizioni, per cultura, ma soprattutto per la bontà dei propri regnanti. Vi fu però qualcuno che non apprezzò molto tale decisione e questa era la duchessa di Selva Oscura. Anche lei aveva avuto da poco una figlioletta, molto bella certo, ma che non sarebbe mai riuscita a eguagliare la piccola Rosalpina, inoltre suo marito non aveva grandi ambizioni e non voleva di certo mettersi in mezzo alle decisioni dei due re, che gli avevano concesso quel piccolo ducato in cambio dei servigi da lui resi. La duchessa invece desiderava che i due re non andassero più d’accordo, per fare in modo che la sua bella bimba, che aveva chiamato Rosaspina, potesse divenire regina. Era una donna egoista, egocentrica e ambiziosa e già dai primi mesi la piccola stava imparando da lei l’arte di dare ordini, mordendo chiunque non le portasse il latte o le togliesse il suo giocattolo prediletto. Più il principino Giglio, più la principessina Rosalpina crescevano, più diventavano saggi e belli, seppur ancora bambini cercavano sempre di porre fine alle liti fra adulti e fra bambini, con quelle poche parole che conoscevano, riuscivano a far tornare il sorriso sul viso di valligiani e fanciulli del villaggio, con cui spesso giocavano. Ogni tanto le madri li facevano incontrare ed era sempre una grande festa, erano così belli da vedere insieme, ma ancora così piccoli.
Rosalpina diventava davvero ogni giorno più bella, a tre anni aveva già conquistato i cuori di tutti gli abitanti nel suo regno e anche nel regno del piccolo Giglio, si preannunciava già un sereno e roseo futuro per le due valli e i loro abitanti. Bastava guardare in viso la piccola per capire la bontà che aveva nel cuore, era puro, non c’era malvagità in lei, nemmeno una piccola parte. Aveva le sembianze di un angelo, aveva i capelli lunghi e biondi, quasi dorati, erano soffici e la sua mamma, la regina, la pettinava tutte le mattine e tutte le sere prima di andare a letto, spesso glieli legava in una lunga treccia, che le scendeva lungo la schiena, i suoi occhi erano divenuti sempre più azzurri, come il cielo più sereno, nei giorni più felici, ma quando il tempo decideva che era ora di piovere, anche i suoi occhi si rabbuiavano e diventavano grigi e tristi. Questo accadeva anche nei momenti in cui era lei a diventare triste, ma fortunatamente erano pochi e la piccola sorrideva sempre. L’unica volta che pianse per un giorno intero non fu per un capriccio, ma perché Tobia, il cane del re, ormai anziano, aveva lasciato il mondo terreno per andare in un posto più felice, dove avrebbe potuto correre per l’eternità. Giglio aveva la medesima bontà di cuore, aveva smesso di piangere da un bel po’ di tempo, era proprio diventato un piccolo ometto. Aveva capelli corvini e con dei bei ricci mascolini, i suoi occhi erano verdi e profondi più dei laghi di montagna, dai quali avevano preso la loro bella tonalità. Su questa storia idilliaca stava però per scendere una grave sventura, infatti c’era qualcuno che invidiava tutta questa gioia e voleva porvi fine, solo per ottenere per sé dei vantaggi e questo qualcuno era la duchessa di Selva Oscura, che aveva architettato un piano nei tre anni trascorsi dalla nascita di Rosalpina e ora era pronta a metterlo in atto. Il marito la scoprì presto e tentò di impedire per la prima volta alla moglie di fare ciò che voleva, lei allora lo spinse con l’inganno a cercare un regno tutto loro da governare, in cambio lei non avrebbe attuato quel piano diabolico. Il duca partì sicuro che lei avrebbe rispettato la parola data, ma appena lui fu abbastanza lontano, la duchessa attuò il suo malefico inganno con l’aiuto di un cavaliere appena giunto da Oriente, che si era innamorato perdutamente di lei e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di mettersi in buona luce con tale perfida signora, era affascinato da cotanta malefica personalità. Il giorno seguente, giorno del terzo compleanno della piccola Rosalpina, riuscì a rapirla, mentre giocava con i bambini del villaggio, le fece perdere i sensi colpendola sulla testa e, convinto di averla uccisa, ne abbandonò il corpo vicino a un torrente, il torrente Rivapiana, e si allontanò. Nessuno avrebbe riconosciuto
la piccola, poiché quando giocava con i figli dei contadini indossava sempre abiti poveri, l’unica cosa che avrebbe potuto distinguerla era un medaglione che portava al collo con sopra disegnata una Stella Alpina, il suo fiore favorito. Ma il cavaliere non lo aveva notato e quindi non lo aveva neppure nascosto. Appena il re e la regina furono avvisati del fatto fecero subito partire le ricerche della figlioletta, anche il re di Domof li aiutò, ma purtroppo non ottennero alcun risultato. La speranza di ritrovarla nei loro cuori non morì mai, ma le ricerche furono sempre vane e alla fine decisero solo di sperare in un miracolo della Divina Provvidenza. Un’ombra oscura era scesa sulla valle di Sotapiz e i suoi abitanti faticavano più di prima a sorridere, il re aveva perso tutta la sua gioia di vivere e anche se continuava a governare in modo giusto, si vedeva bene quanto soffrisse. La regina anche era distrutta, ma continuava a guardare avanti crescendo gli altri suoi figlioletti, un bimbo e una bimba, che erano nati negli anni seguenti alla piccola Rosalpina. Il ricordo della primogenita, però, non li abbandonò mai, lei li guardava sorridente dal quadro che il pittore del villaggio aveva realizzato poco prima della sua scomparsa. Era raffigurata in mezzo a un prato, mentre osservava da vicino una Stella Alpina. Anche il principe Giglio continuava a chiedere a sua madre di andare a trovare Rosalpina, la regina non aveva avuto il coraggio di dirgli che probabilmente era morta e per questo lui continuò a sperare di rivederla. Chi invece non perse tempo nelle ricerche e a piangere fu la duchessa di Selva Oscura, che presentò sua figlia Rosaspina al re di Domof come pretendente a diventare la futura moglie del principino, facendo leva soprattutto sul fatto che suo marito, il duca, l’aveva abbandonata, anche se ciò non era vero. Il re voleva accettare la sua proposta, soprattutto per la pena che gli faceva l’idea di una donna abbandonata, mai avrebbe pensato che lei fosse la colpevole della scomparsa della piccola Rosalpina. Dopo aver consultato il re di Sotapiz, accettò di far diventare Rosaspina la futura moglie di Giglio. Nel frattempo, dei contadini, che vivevano sulle montagne, avevano ritrovato Rosalpina, l’avevano portata a casa loro, ma non avendo molti contatti con la civiltà, ed essendo rimasti sempre fra i monti, la notizia della scomparsa della figlia del re non giunse loro prima di un anno, quando scesero per fare rifornimenti di stoffe e di spezie per affrontare l’inverno, proprio come avevano fatto l’anno prima, quando avevano trovato la piccola. Rosalpina crebbe sempre più bella fra le sue montagne, aveva perso
completamente la memoria e non ricordava nulla dei primi tre anni della sua vita, l’unico oggetto che la teneva legata al suo ato era il medaglione. I suoi genitori addottivi le avevano raccontato a otto anni la storia di come l’avessero trovata, ma lei aveva già intuito di non essere davvero figlia loro. Anche se non era la loro bambina, i due contadini non le fecero mai mancare nulla, men che meno l’amore. Convisse sempre felicemente anche con i suoi fratelli e le sue sorelle. In mezzo ai monti nessuno andò mai a cercarla e nel regno divenne come un fantasma. Era ormai un ricordo vago e lontano, quando scese per la prima volta nel fondovalle per i soliti rifornimenti invernali. Appena arrivata al villaggio i suoi genitori addottivi vennero a sapere che la regina di Domof cercava una fanciulla di circa quattordici anni per essere educata e diventare la dama di compagnia di sua figlia Primula, che ne aveva dieci. I due contadini decisero che per Rosalpina era giunto il momento di tornare in mezzo alla civiltà, andarono così al castello e la presentarono con il nome che le avevano dato quando l’avevano trovata, cioè Margherita. Sapevano che in realtà lei stava male senza la gente, avevano capito che era abituata a stare in mezzo a tante altre persone e per il suo bene presero questa decisione. Nessuno avrebbe potuto riconoscere in quella giovane contadina la futura erede al trono di Sotapiz: si era fatta una bella giovine, dai capelli dorati, lunghi fino alla vita e raccolti in una folta treccia, gli occhi erano gli stessi, ma avevano visto tante altre cose, erano cresciuti con lei. La sua bellezza colpì subito la regina, che vide in lei un’ottima compagna di giochi per la figlia e decise di prenderla sotto la sua ala protettrice. Purtroppo non la riconobbe seppur l’avesse vista tante volte, se lo avesse fatto sarebbe stata la sua salvezza. I due contadini le raccontarono che era una trovatella, ma il pensiero che potesse essere Rosalpina non le attraversò neppure la mente, anche perché i rapporti con il regno di Sotapiz si erano affievoliti ormai, non che fossero peggiorati, anzi, erano sempre buoni, ma non c’erano stati più momenti di incontro ormai da undici anni. Anche Giglio aveva quasi dimenticato Rosalpina, ogni tanto la sognava di notte, ma era solo questo: un sogno lontano. Nel suo futuro c’era invece Rosaspina, che lui simpaticamente chiamava Spina quando era solo con la sorellina, perché quella ragazzina era proprio come una spina nel fianco, faceva sempre i capricci ed era una gran piagnona e la madre la difendeva, affermando che una principessa non poteva essere tale se non era indifesa. Giglio a quel punto si allontanava e si perdeva nei suoi sogni, chiedendosi dove fosse
Rosalpina e se fosse anche lei come Spina, così capricciosa, ma mai avrebbe pensato di trovarsela nel castello senza riuscire a riconoscerla. Il giovane principino la sentiva sempre vicina ed era l’unico a essere fermamente convinto che prima o poi lei sarebbe tornata e allora lui avrebbe potuto liberarsi di quella ‘spina’ nel fianco e della sua insopportabile madre, che ormai si era stabilita saldamente al castello e non sembrava volersene andare. La duchessa era una spina peggiore della figlia, ma suo padre, il re, non voleva sentire ragioni, quando lui avrebbe compiuto diciotto anni avrebbe dovuto sposare Rosaspina. Questa gli sembrava più una maledizione, che una soave promessa di gioia eterna. La regina accolse Margherita con tutto l’affetto di una madre verso la figlia e lei ne era onorata, iniziava però a essere confusa, infatti le sembrava di ricordare quel luogo, quel castello, ma era tutto sfuocato. Mentre cercava di recuperare i suoi ricordi infantili, si impegnò molto in tutte le attività che la regina le proponeva per diventare una buona dama di compagnia. Imparò a leggere e scrivere insieme alla piccola Primula, riceveva poi lezioni di ricamo e di cucito. Era davvero molto brava in tutto e la buona sovrana era davvero felice della sua scelta, ma quella ragazzina aveva qualcosa di speciale, non era come tutti gli altri figli di contadini, aveva un portamento quasi regale, era ben educata, imparava in fretta ed era portata per tutte le materie, che lei aveva voluto farle imparare, lei e Primula erano diventate da subito grandi amiche e si confidavano i segreti più intimi come se si conoscessero da sempre. Era meraviglioso vederle leggere insieme sotto la grande quercia, che regnava sovrana in mezzo al cortile del castello. A loro si aggiungeva a volte anche Giglio, cosa assai strana per un ragazzo della sua età, che si diverte soprattutto a esercitarsi con la spada e con il cavallo. Ma Giglio aveva i suoi buoni motivi per star loro vicino, adorava stare a sentire Margherita, mentre leggeva le storie dei libri della loro biblioteca, nella sua voce aveva qualcosa di particolare, che lo attraeva, che lo rendeva felice, come non lo era stato da molto tempo. Anche a lui sembrava di conoscerla da sempre, ma perché era così felice quando era insieme a lei? Spina divenne sempre più gelosa di quella ragazzina, che le rubava la scena e presto la regina si trovò in mezzo a due fuochi: da una parte la duchessa, che voleva l’allontanamento di Margherita dal castello, perché stava separando Giglio e la sua piccola duchessina, dall’altra c’erano Primula e il principino, che minacciavano di scappare dal castello se avessero cacciato la loro giovane amica. Il re accorse allora in aiuto della moglie e disse, che, date le capacità mostrate dalla giovane, sarebbe potuta restare, ma avrebbe aiutato gli altri
domestici del castello, in questo modo non avrebbe rubato spazio a Rosaspina, ma sarebbe comunque rimasta. Era anche lui molto colpito dalla bellezza della giovine e non avrebbe voluto dover prendere quella decisione, ma fu sorpreso, infatti Margherita fu ben felice di aiutare gli altri abitanti del castello, già lo aveva fatto svariate volte e per lei non era un problema, anzi, si divertiva ad aiutare le sarte a fare i begli abiti per il sovrano e la sua famiglia, ad aiutare nelle cucine e nelle stalle, ma anche le cameriere alla sera a preparare le camere per la notte. Al mattino era la prima ad alzarsi, con il suo bel sorriso sempre sul viso, andava a svegliare le altre donne di servizio e poi andava a svegliare prima Primula e poi insieme andavano da Giglio. Era quello il momento più bello della giornata. Infatti al mattino le due ragazzine andavano a fare i dispetti al principe per svegliarlo, ma lui si svegliava comunque con il sorriso, anche se lo facevano alzare a suon di cuscinate, Margherita per lui era come il sole dopo un periodo lungo e piovoso, era tutto, era ciò che rendeva migliore la giornata, se solo fosse stata una principessa e non una semplice contadina. La sera anche era un bel momento per loro, inizialmente cenavano tutti insieme, ma poi Margherita venne allontanata anche dal tavolo commensale del re, poiché Rosaspina aveva protestato, non era giusto che una serva mangiasse con loro, ma non era comunque riuscita a cancellare il momento magico di ogni sera. Dopo che tutti erano sistemati nelle loro camere, Giglio e Margherita andavano in camera di Primula e lì era nata l’abitudine del racconto dei sogni d’oro. Margherita aveva una grande fantasia e ogni sera raccontava una storia ai due principini per augurare loro la buona notte. I due poi andavano a dormire, mentre lei andava ad aiutare le sarte a rammendare gli abiti rovinati. Spina aveva scoperto questo loro piccolo rito e andò a raccontarlo al re, lui anche lo conosceva, ma non gli pareva fosse una brutta cosa, però Rosaspina con i suoi pianti e i suoi strepiti riusciva sempre a farsi accontentare, così il re proibì a Margherita di entrare nelle camere dei principini e ai figli di uscirne dopo che le cameriere se ne fossero andate. I tre bambini iniziarono a soffrire della lontananza che Spina era riuscita a creare fra loro. Potevano solo salutarsi da lontano, senza avere più un contatto, la tristezza era tornata a regnare dopo due anni di grandi sorrisi. Margherita capì che era stata lei a rompere gli equilibri di quel mondo, andò allora a parlare con il re, lo trovò con la regina e parlò sinceramente con il cuore in mano ai due sovrani: “Io Vi devo solo ringraziare, mio re e mia regina, Voi mi avete trattato come una figlia, ma io ho capito che con il mio arrivo ho rovinato definitivamente un equilibrio, che Voi avevate raggiunto. Credo dunque che sia meglio per tutti che io torni dai miei genitori fra
le montagne. Io Vi sarò grata per sempre, per l’eternità, per tutto ciò che avete fatto per me e pregherò perché con la mia partenza qui torni la serenità. Se posso, vorrei solo chiederVi ancora un ultimo favore, non voglio che i principini sappiano della mia partenza, andrò via domani mattina presto, prima che loro si sveglino, ma se posso chiederVi un’ultima cosa, preferirei che loro non sapessero dove si trova la casetta dei miei genitori fra le montagne”. Il re le rispose che avrebbe rispettato i suoi desideri e poi abbracciò quella piccola figura che aveva un cuore così puro da mettere il bene degli altri davanti al proprio. La regina fece lo stesso con le lacrime agli occhi e le donò il libro di fiabe che preferiva, dicendole che così avrebbe potuto leggerlo ai suoi fratelli e alle sue sorelline. Il mattino dopo la videro allontanarsi a piedi dal castello, nell’aurora, che donava alla sua figura un’aura angelica. Una nube di tristezza tornò sovrana nel castello, non si sentiva più cantare, non si vedevano più i principini sorridere, solo Spina e sua madre sorridevano di nascosto, ma chi ne soffriva di più era Giglio, che appena fu svegliato dalla cameriera corse dal padre per avere notizie di Margherita, lui gli raccontò la verità, ma come aveva promesso alla fanciulla non gli rivelò il luogo dove lei sarebbe tornata. Giglio partì allora in sella al suo cavallo. Erano ati ormai due anni dall’arrivo della ragazza al castello e lui non riusciva a rinunciare a lei. Il re tentò di fermarlo, ma fu inutile. Spina allora iniziò a protestare, come sempre del resto. Era lei la sua futura sposa, perché lui rincorreva la figlia di un contadino? Ma c’era una cosa che nessuno sapeva, Giglio aveva riconosciuto in Margherita lo stesso spirito di Rosalpina, aveva riconosciuto il medaglione, ma non era certo che fosse proprio quello, andò quindi nel regno di Sotapiz a chiedere al re di vedere i quadri di Rosalpina, l’aveva già fatto più volte, ma ormai erano anni che non li vedeva più. Per il re era sempre un dolore osservare le immagini della figlia, ma quando Giglio notò il medaglione al collo della piccola, si rese conto che era lo stesso di Margherita. Non disse nulla al re, per non illuderlo, ma adesso era deciso più che mai a ritrovarla. Chiese allora al re se nel suo regno vi fosse una famiglia di contadini che abitava sui monti e che non scendeva mai, se non al principio dell’autunno. Il re rispose di sì e gli spiegò dove si trovava. Mentre usciva, Giglio incontrò il principino Giacinto e la principessa Biancarosa, assomigliavano moltissimo a Margherita, erano praticamente identici. Giacinto avrebbe sposato sua sorella Primula appena avessero raggiunto i diciotto anni di età, almeno loro sarebbero stati felici, si volevano davvero molto bene e lui era felice che Giacinto diventasse suo cognato. Ma ora aveva fretta, li salutò velocemente e poi se ne andò alla ricerca della sua bella
principessa, ma perché non aveva pensato subito che potesse essere lei? Rosalpina nel frattempo aveva deciso di non tornare a casa subito, sapeva che Giglio l’avrebbe cercata là, infatti l’aveva visto andare verso il castello del re di Sotapiz. Quel re era davvero sfortunato, aveva perso la figlia e nessuno sapeva dove lei fosse, povero, povero re. Decise di andare verso Selva Oscura e poi di scappare verso il mare e trovare una famiglia di nobili presso cui lavorare, in fondo aveva imparato molto a Domof. ando però vicino al castello del duca di Selva Oscura, vide il torrente Rivapiana, il rumore in quel punto era molto forte, non era mai stata così a valle, le sembrava però di conoscere quel luogo. E poi ricordò tutto. Stava giocando lì a tre anni quando quel cavaliere la rapì, ricordò i suoi veri genitori, ricordò Giglio e i suoi fratellini appena nati. Ricordò tutto, anche l’accordo fra suo padre e il re di Domof, ma decise comunque di non tornare indietro, aveva visto ciò che era accaduto la prima volta e sentì che se il destino e Dio l’avevano voluta lontana dai due regni per due volte, il suo destino era quello di restarne lontana per sempre, questo era il suo futuro, non si sarebbe mai fatta trovare da Giglio, era giusto che lui sposasse Rosaspina, era la ragazza giusta, in fondo aveva un cuore buono anche lei, aveva solo bisogno di tante attenzioni, che Giglio le avrebbe saputo donare. Rosalpina trovò presto lavoro presso il castello del re di Streme e qui visse in pace col suo cuore per un anno. Il re le volle molto bene e lei da tuttofare divenne presto dama di compagnia delle principessine. Era davvero molto buona, ma sorrideva poco e i suoi occhi iniziavano a spegnersi sempre più. Quando disegnava, dipingeva spesso alte montagne, distese verdi, animali in mezzo a prati e a boschi ameni. A volte, nei giorni in cui era più malinconica, disegnava il viso di un giovane fanciullo dagli occhi verdi e dai capelli corvini. Aveva una voce meravigliosa, ma non cantava mai, solo se le bambine insistevano. Alla sera addormentava le principesse raccontando loro favole meravigliose, che inventava sul momento e di cui loro erano le protagoniste. Rosalpina si era davvero affezionata alle piccole, ma le mancava la sua famiglia. Un giorno giunse al castello il Duca di Selva Oscura, che dopo anni di viaggio aveva deciso di tornare, poiché lui una terra già l’aveva e non ne desiderava altre. ando per il regno di Streme chiese ospitalità per la notte al re, che lo accolse con gioia. Quando però il duca vide Rosalpina la riconobbe subito, per la somiglianza con la madre da giovane e per il medaglione, si inchinò: “Mia principessa, mia moglie allora è riuscita nel suo intento. Aveva progettato il vostro rapimento e la vostra uccisione per poter far sposare nostra figlia
Rosaspina al principe Giglio. Dovete scusarla, è una donna buona, ma molto, molto ambiziosa. Vi prego, tornate con me nel vostro regno, spiegherò io tutto al mio sovrano, vostro padre”. “Non vi preoccupate, Duca di Selva Oscura, io non le porto rancore. Mi trovarono due contadini e furono loro ad allevarmi, la Divina Provvidenza ha provveduto a me, ma non tornerò dove voi mi chiedete. Lì ormai si è stabilito un equilibrio, l’ho già spezzato una volta, non lo spezzerò un’altra facendo soffrire tutti. Il re di Streme è molto buono, mi tratta come una figlia e io sto bene qui. Lasciate che tutti continuino a credere che io sia morta, solo così staranno bene.” “Mia principessa, devo dissentire, ma se è questo ciò che volete, io lo farò.” Il re di Streme si fece raccontare tutta la storia della piccola Rosalpina e decise di tenerla sotto la sua protezione finché lei non avesse deciso di allontanarsi da lui. Lei lo ringraziò e tornò alla vita di tutti i giorni. Giglio, però, non aveva mai smesso di cercarla e purtroppo non era il solo. La duchessa, avendo sentito il suo racconto, aveva richiamato il suo sicario e lo aveva mandato alla ricerca della giovane Rosalpina: se era viva, non lo sarebbe rimasta a lungo. Il duca di Selva Oscura giunse presto a casa e quando arrivò davanti alla moglie, non riuscì a trattenere la rabbia per ciò che aveva fatto. Raccontò tutto ai due sovrani, la Duchessa venne imprigionata e Rosaspina tornò a casa con suo padre, Giglio decise allora di andare a Streme a cercare la sua principessa, purtroppo qualcun altro l’aveva trovata prima di lui. Quando giunse dal re con la sua sorellina Primula, il sovrano gli disse che un losco cavaliere era venuto a prendere Rosalpina e lei lo aveva seguito senza fare storie. Non sapeva davvero dove fossero andati, forse verso la foresta. Giglio ripartì subito a cavallo, sua sorella non volle sentire ragioni e lo seguì con un altro destriero. Giunti vicini a una radura videro un uomo di carnagione scura, che stava legando ai piedi di una fanciulla delle pietre nei pressi di un laghetto, Giglio si avvicinò di soppiatto, ma non abbastanza velocemente, infatti lui la gettò nel lago. Rosalpina riuscì a gridare solo poche parole: “Che il mio destino sia compiuto! Hai finalmente terminato il tuo lavoro!” Giglio era sconvolto, no, quello non era il suo destino, lui l’amava e la voleva al suo fianco per il resto della loro vita, non poteva andare a finire così. Colpì sulla
testa il sicario orientale, facendolo svenire e mentre sua sorella lo legava stretto stretto a un albero, lui si tolse l’armatura. Si assicurò che il cavaliere fosse legato bene e mandò sua sorella a chiamare le guardie del re, che li avevano seguiti a distanza, temendo per la loro sicurezza. Li vide avvicinarsi con la coda dell’occhio, mentre si tuffava per salvare Rosalpina. La trovò svenuta in fondo al lago, quella ragazza era una pazza, tagliò le corde che le tenevano legate le pietre alle caviglie e la riportò in superficie. Lei però non ricominciava a respirare, lui allora la prese fra le sue braccia, non sapeva cosa fare. In quel momento arrivò un dottore, chiamato da Primula. Non c’era più battito nel cuore di Rosalpina. Giglio era disperato: “Faccia qualcosa! Dio, non abbandonarci proprio ora che ci siamo ritrovati!” Il dottore propose di tentare comunque il tutto per tutto, le strappò il corpetto, per permettere all’aria di entrare meglio, iniziò a premerle ritmicamente lo stomaco, cercando di far fuoriuscire l’acqua, per far risvegliare la principessa. Non accadeva nulla, il dottore continuò speranzoso, ma niente. Giglio ormai si era arreso, la strinse forte a sé e la baciò teneramente sulle labbra, nelle fiabe che raccontava Rosalpina normalmente era un bacio a far risvegliare la principessa, poiché era la magia più potente. Ma quella non era una fiaba, non accadde nulla o per lo meno non accadde nulla subito. Dopo pochi minuti, Rosalpina si risvegliò sputacchiando acqua da tutte le parti, anche in faccia al giovane Giglio, che piangeva per la gioia di riaverla. Lei allora gli disse: “Mio principe, ma allora le mie storie non vi hanno insegnato nulla! I principi non piangono mai”. Giglio non ci stava a essere preso in giro: “Le tue storie insegnavano anche che dire le bugie è una brutta cosa e che c’è sempre speranza, non ci si deve mai lasciar morire o lasciare che altri ci uccidano, vero Rosalpina?” La giovane capì che lui l’aveva scoperta, ma non fece in tempo a dare le proprie spiegazioni, perché lui le mise una mano sulle labbra, prima che riuscisse a proferire parola. Le accarezzò il viso, aveva sempre le mani fredde, ma un po’ più grandi di quelle di diciassette anni prima, lei gli sorrise, lo stesso dolce sorriso, ma questa volta non era sdentato. Sapevano di essersi sempre appartenuti, erano successe molte cose, erano cresciuti e ora lui sapeva bene cosa fare, la strinse forte a sé e le disse: “Cosa credevi di ottenere morendo per mano
di quell’uomo? Pensavi che saremmo stati tutti meglio? No, mia cara, io ti avrei cercato sempre, fino alla mia morte. E lo sai perché? Perché ti amo e il nostro destino è questo, vivere insieme per sempre, per l’eternità, è questo che Dio vuole per noi, non la tua morte”. Sembrava però, che qualcuno non lo avesse capito e questo qualcuno era Rosaspina, che, rubata la spada al padre, si avventò contro i due giovani gridando: “Se io non potrò averlo, non lo avrai neanche tu!” Fortunatamente la spada pesava troppo e le scivolò dalle mani, tagliandole la gonna, ma senza ferirla. “Guarda cosa hai fatto. Tu, piccola principessa senza corona, disastro naturale, sciagura umana! Il mio povero vestito! È tutta colpa tua, Rosalpina!” Le guardie la bloccarono prima che potesse fare altro e la portarono via insieme al sicario. Era giunta lì con il padre avendo sentito del ritrovamento di Rosalpina e accecata dalla gelosia aveva fatto quello che aveva fatto. “Non abbiamo proprio pace io e te, ma a me basta averti,” le disse Giglio. Le guardie si allontanarono insieme al resto della gente che era accorsa a vedere cosa stesse accadendo, erano rimasti soli (o quasi). Rosalpina si era fatta davvero una bella donna, anche con gli abiti rovinati aveva l’aspetto di un angelo, la treccia si era sciolta e ora i lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle, gli occhi stavano riprendendo la loro naturale luminosità. Anche Giglio ormai era un uomo fatto, le spalle larghe e forti, i capelli scuri e ricci, i suoi grandi occhi verdi e il suo sorriso da ranocchio, bastava un bacio per farlo diventare un bel principe. Erano felici insieme, avevano appena scampato parecchi pericoli, lei era lì, finalmente al suo fianco, non ce la fece più a trattenersi. La abbracciò stretta, le sorrise, lei gli sorrise, le scostò dolcemente una ciocca di capelli dorati dietro l’orecchio e la baciò. Come detto i due non erano soli, come credevano di essere, Primula li osservava da un po’ più avanti, li lasciò ancora un po’ tranquilli guardando altrove e poi disse ad alta voce: “Lo sai che a papà non piacerà il fatto che tu l’abbia baciata due volte di seguito prima del matrimonio vero?” Giglio si girò verso di lei e iniziò a rincorrerla per tutta la radura, non riuscendo mai a prenderla, Primula si nascose dietro a Rosalpina, mettendola fra lui e il suo inseguitore.
Lui allora la sollevò dicendole: “Scusa cara, ma devo dare una lezione a una piccola peste,” prese Primula e iniziò a farle il solletico, finché lei non ne poté più e chiese pietà, allora lui la liberò da quella stretta giocosa. Tornarono poi tutti e tre verso il castello di Streme. Rosalpina riabbracciò finalmente i suoi veri genitori, fu una scena molto commuovente. I due re acconsentirono al matrimonio immediato di Giglio e Rosalpina, che non volevano vivere un giorno in più lontani. Tornati a Sotapiz il re organizzò un magnifico matrimonio per la figlia, per salutarla, dato che sarebbe poi andata a vivere nel castello di Domof. Vi furono tanti canti e balli, soprattutto valzer e polke e il ballo che preferiva la principessa, il ballo della montagna. Tutti furono invitati al matrimonio, il re di Streme, i contadini che l’avevano accudita a lungo e anche il povero Duca di Selva Oscura, che si era risposato con una donna più buona e con la quale visse in pace, dimenticando la precedente duchessa. Il matrimonio fu bellissimo, il sole era tornato a splendere sulle due valli, Rosalpina e Giglio erano le due persone più felici al mondo e distribuivano sorrisi regali a tutti. Le due valli vissero in pace per molti anni ancora. E vissero per sempre felici e contenti, tutti o quasi tutti: la duchessa e sua figlia furono obbligate a lavorare per il resto della loro vita nelle stalle del castello di Streme, che aveva centinaia di animali da accudire, che sentivano subito la malvagità o la bontà di un cuore. Diciamo che ricevettero molti calci nel didietro da parte di molti cavalli e mucche. La Divina Provvidenza, anche questa volta, era stata giusta con tutti.
Sottoguda, 27 dicembre 2011
Cara bisnonna, quanti pensieri mi hai lasciato per la testa! Sono molto confusa, soprattutto dopo aver trascritto e riletto la tua storia. Più ci penso, meno capisco cosa devo fare. Giusto perché tu lo sappia, non sono finita nella TV mentre guardavo il film, avevo troppe idee che mi frullavano per la mente, come tante farfalle che volano
di fiore in fiore. Oh no, non dovevo pensarlo, e ora come faccio a far sparire queste farfalle? La situazione peggiora di giorno in giorno, spero si risolva appena avrò deciso se accettare o meno il tuo lascito. Da una parte mi affascina essere una strega, ma dall’altra mi terrorizza, mi sta già creando molti problemi. Sai nonna, vorrei tanto che Lady Butterfly fosse qui in questo momento. Lei saprebbe aiutarmi e di certo accetterebbe questo mio nuovo status. Lady Butterfly è la mia migliore amica, te la ricordi? Era la mia vicina di banco in prima elementare, poi si era trasferita e non avevo più avuto sue notizie. Arrivate alle medie ci siamo ritrovate e questo mi ha riempito enormemente di gioia, poi siamo state due anni in collegio insieme e alla fine lei ha preso una strada tutta nuova. È uno spirito libero e ama molto viaggiare, così è partita per gli Stati Uniti, è stata via un anno nel quale ha imparato davvero molto, al suo rientro a momenti non la riconoscevo, era cambiata davvero molto fisicamente, ma nello spirito era sempre la stessa Fly. Finita la maturità è ripartita e non si è più fermata, ora abita a Riga e lavora in un centro sociale, sempre in contatto con le persone che hanno più bisogno di lei, è proprio il suo lavoro ideale, ha sempre avuto uno spirito da crocerossina. Per fortuna mi basta una mail e lei è di nuovo lì, vicina a me. Lady Butterfly è la tua versione più giovane, ha sempre saputo chiaramente cos’era giusto e cosa sbagliato, mi ha aiutata molto e sostenuta in questi anni, non vedo l’ora di poterla abbracciare di nuovo. È stata forse la figura più importante nella mia vita, ovviamente dopo te, mamma e papà. È stata lei a farmi capire davvero l’importanza di avere fiducia in me stessa, non ne ho ancora molta, ma mi ha aiutata tantissimo e poi mi ha anche aiutato a capire che ogni problema ha una sua soluzione. Basta fermarsi un attimo, fare un respiro profondo e poi ripartire, riflettendo su ogni modo possibile per risolvere un qualsiasi dilemma. Tale soluzione deve essere però giusta e noi dobbiamo agire sempre nel bene e per il bene, questo è ciò che mi hai insegnato tu. Ci stavo giusto pensando oggi, mentre ricordavo un’altra delle tue storie, Ardesia dal cuor di pietra. Se Ardesia avesse avuto più fiducia in se stessa e se avesse riflettuto maggiormente, prima di accettare l’aiuto della strega cattiva, forse le cose sarebbero andate in maniera diversa. Tu però mi hai insegnato che il destino ha un proprio ordine e delle proprie motivazioni, quindi ho pensato anche a questo trascrivendola e ho capito che se Ardesia non avesse sbagliato, non avrebbe mai scoperto che il suo amore per Granito era ricambiato. Mi hai sempre detto che c’è un senso nascosto in ogni cosa che ci accade giornalmente. Nell’ambito della storia, se lei non avesse tentato di morire, stupidamente aggiungerei io, Granito non avrebbe probabilmente mai avuto il coraggio di confidarle di essersi innamorato di lei. Quindi la nuova lezione è che a tutto c’è rimedio, a tutto c’è
una soluzione, basta fermarsi a rifletterci un po’ sopra. Ora però dovresti spiegarmi, di grazia, come ho fatto oggi ad arrivare a Monaco di Baviera, solo per aver desiderato un bretzel al cioccolato appena sveglia. Il problema non è tanto questo, infatti una visita a Monaco mi avrebbe fatto piacere, se non fossi stata in pigiama e babbucce, però. È stato sconvolgente, anche perché sono finita in mezzo a una bufera di neve e tornata a casa, non è stato facile trovare una scusa per giustificare il fatto di essere ricoperta da capo a piedi da uno spesso strato bianco. Non è normale, dato che sarei dovuta essere a letto, mentre da un secondo all’altro mi sono ritrovata nel bel mezzo della Marienplatz, mentre suonava il Glockenspiel. Fortunatamente mi ha raggiunta subito Frau Babete, la guardiana della Baviera, le ho spiegato chi fossi e perché mi trovassi lì, così lei mi ha riportata a casa. È stato bello chiacchierare con lei, mi ha spiegato parecchie cose, sulla magia e sul mondo delle guardiane della fantasia. Mi ha anche proposto di restare in contatto, mi insegnerà qualche trucco per non finire troppo nei guai con i miei poteri, è davvero una signora molto gentile. Per fortuna che ho studiato anche tedesco, mi ha raccontato di non conoscere tanto bene l’inglese e per niente l’italiano. È stato un incontro davvero felice. Immagino che questo sia il motivo per cui il destino mi ha voluta a Monaco oggi, ma resta il fatto che io faccia ancora fatica ad accettare tutto questo. Ora vado a riposare un po’, quest’avventura è stata piuttosto stancante, ti scriverò presto, ti voglio bene, tua Rossana.
Ardesia dal cuor di pietra
Tutto quello che sto per narrarti accadde molti, molti anni fa, nella terra della Magnifica Comunità di Rocca Bruna, una valle splendida, ricca di torrenti che scorrono in fondo a strapiombi rocciosi alti alcuni metri, decorata da migliaia di prati verdi ancora oggi incontaminati, dove gli animali selvatici possono vivere tranquilli e in pace con l’uomo.
Ardesia era una giovane ragazza di vent’anni, che ormai da sette era innamorata di un giovane abitante della valle vicina. Il ragazzo aveva occhi verdi e splendenti, capelli ricci e corvini e un sorriso meraviglioso e contagioso, era un suo grande amico, ma lei non riusciva a fare a meno di pensare a lui come al suo principe azzurro. Il giovane non era privo di difetti, questo è vero, ma chi non lo è? A lei non importava, aveva più volte tentato di dimenticarlo, ma non vi era mai riuscita. Un giorno la strega malvagia del luogo, conoscendo i suoi sentimenti, si propose di preparare per lei una pozione d’amore. Ardesia, inizialmente titubante, si fece poi convincere. La strega sapeva che lei non avrebbe mai avuto il coraggio di usarla, così tralasciò di avvisarla del fatto che, se lei non avesse usato la pozione, alla fine, il suo cuore sarebbe diventato di pietra. Vi starete chiedendo che interesse avesse nel fare ciò, ma la ragione è molto semplice: anche lei era innamorata di Granito, così si chiamava il ragazzo, ma sapeva anche che a lui interessava Ardesia. Per questo aveva deciso di fare finta di aiutarla, in modo che lei non potesse più amare. La malefica Dormina era conosciuta per la sua cattiveria e in molte avevano avvertito Ardesia di non fidarsi di lei, ma la giovane era troppo ingenua per riconoscere dietro un favore la malignità. Così le diede fiducia, ma non era ancora certa di sentirsi pronta a usare un tal mezzo per far innamorare di sé il giovane Granito. Ardesia avrebbe dovuto versare la pozione di nascosto nel bicchiere del giovane, ma quando farlo? Poi le venne in mente che di lì a poco tempo ci sarebbe stata una festa, non c’era miglior occasione se non quella, in mezzo alla confusione avrebbe fatto cadere accidentalmente qualche goccia del liquido malefico nel suo calice. Il giorno giunse, quella sera c’era una banda davvero incredibile, che intratteneva con successo tutti gli spettatori, erano già in molti sulla pista da ballo, fra i quali anche Granito e una giovane damigella, dalla bellezza indiscutibile, ma con atteggiamenti da gran donna, come se al mondo lei fosse la più bella. Ardesia era ferita, non sopportava la vista di Granito, che ballava insieme a una giovane molto più bella di lei e di cui probabilmente era innamorato, ma sapeva che prima della propria felicità era più importante quella del giovane cavaliere, così decise che non avrebbe usato la pozione, rovesciò quindi tutto il contenuto della boccetta nel vaso di una pianta lì vicino.
Nello stesso momento in cui lei compì quest’azione svenne. Quando si risvegliò vide accanto a sé molti dei suoi amici, ma non Granito, sapeva di averlo perso per sempre, ma era felice che almeno lui vivesse con serenità il suo amore. Ardesia inizialmente non sentì alcuna differenza fra i giorni prima della festa e quelli seguenti, ma con il are del tempo si accorse che faticava sempre di più a provare gioia, tristezza, amore, odio, era come se fosse stata anestetizzata, come se qualcosa bloccasse la fuoriuscita dei suoi sentimenti. Tornò dunque dalla strega, la quale ridendo, le confessò tutti gli effetti della pozione magica che le aveva donato: ora aveva il cuore di pietra. Ardesia non credeva alle sue orecchie, era disperata. I sentimenti erano sempre stati tutto per lei, il cuore era l’unico organo che valesse davvero nella sua testa, aveva sempre seguito il cuore, era come se fosse morta, era come se le avessero rubato l’anima. Ardesia vagò per giorni senza meta, nessuno dei luoghi della sua infanzia le faceva più alcun effetto, se prima quasi piangeva di fronte al magico profilo di una montagna, ora non sentiva più nulla, arrivò presto in cima a un burrone, sentiva che l’unica cosa da fare per porre fine a quella vita ormai insensata era solo una: gettarsi fra gli speroni di roccia sottostanti. Non si era però resa conto che da quando era sparita tutti avevano iniziato a cercarla, compreso Granito, che era uno dei più preoccupati e fu proprio lui a raggiungerla per primo e ad afferrarla prima che si buttasse di sotto. La strinse forte e poi le chiese se fosse pazza: “Cosa diavolo ti a per la testa?! Perché hai tentato di buttarti di sotto?” “Non provo più nulla…” “Come fai a dire di non provare più nulla?” “La strega mi aveva dato una pozione per farti innamorare, ma poi ti ho visto con quella ragazza e l’ho gettata via, perché se è lei che ti rende felice allora è meglio che tu possa provare amore per davvero e non a causa di una pozione.” “Ma non capisco… perché ti sei fatta dare quella pozione?” “Granito, sono sette anni che sono innamorata segretamente di te, per questo ho
chiesto alla strega la pozione, ma lei non mi aveva avvisata che se io non l’avessi usata il mio cuore sarebbe stato tramutato in pietra.” “Cosa?! Io la uccido, io la disintegro! Io ti amo Ardesia, non ho mai avuto il coraggio di dirtelo, ma io ti amo, dal più profondo del mio cuore.” Ardesia era stupita, ma ancora non sentiva nulla e quel cuore di pietra era come un macigno sulla sua anima, si divincolò dalle braccia di Granito. “Lo vedi, non mi fa effetto quello che dici, io ti amo, io so di amarti, ma è come se non avessi più un cuore!” “Ardesia, guardati dentro, io lo so che un cuore ce l’hai ancora, non è possibile che un gesto di amore incondizionato come il tuo venga sconfitto dalla malvagità di quella perfida strega.” “Granito, la sciocca sono stata io a chiederle quella pozione magica e pagherò per i miei errori, è giusto così. Devo essere responsabile e assumermi le mie colpe.” “Andiamo dalla strega e chiediamole di farti tornare normale. Ci sarà un modo.” “Anche lei è innamorata di te, Granito, non ci darà mai l’antidoto, mai.” “Questo non è comunque un buon motivo per gettarsi in un burrone, la vita è troppo preziosa per gettarla così.” “Lo so, ho continuato a sbagliare, sono una pasticciona, non faccio altro che combinare guai.” “Smettila! Tira di nuovo fuori il coraggio e la forza che hai sempre avuto.” Granito aveva ragione, Ardesia doveva affrontare quella situazione di petto e andare dalla strega a farsi dare l’antidoto. Doveva riprendersi da quel momento così negativo. Doveva solo avere di nuovo fiducia in se stessa. Il problema è che non aveva la minima idea di come trovare l’antidoto. Fu Granito ad avere un’idea brillante. Lui, con il suo ascendente sulla strega, l’avrebbe distratta, mentre lei avrebbe rubato il libro di pozioni e incantesimi alla vecchia malvagia. Il mattino dopo si recarono alla casa sul Picco dell’Aquila, dove viveva la strega. Granito bussò alla porta, Ardesia aveva paura per lui, ma il giovane l’aveva più
volte tranquillizzata. Il ragazzo entrò, propose alla strega di andare a fare una eggiata, così la tirò fuori dall’antro, dando tempo alla giovane di entrare a rubare il libro: lo trovò quasi subito e scoprì anche che c’era effettivamente un antidoto, ma era piuttosto difficile da preparare. Granito stava tornando e lei riuscì a fuggire appena in tempo, si erano accordati in modo da ritrovarsi nella radura lì vicino. Dopo poco arrivò anche il ragazzo. “Allora? Hai trovato l’antidoto?” “Sì, ma non è così facile e lei si accorgerà presto di non avere più il libro.” “Fammi leggere… Per annullare l’incantesimo il giovane, a cui era destinato l’antidoto, dovrebbe dichiarare il proprio amore alla giovane nel giorno del solstizio d’inverno, donandole un mazzo di fiori, composto da rose, nontiscordardimé, primule, campanule e violette. Il solstizio d’inverno è oggi, ma come faccio a donarti quei fiori?” “Non ne ho idea… Ma sei sicuro di volermi aiutare?” “Non dire stupidaggini, certo che ti voglio aiutare, ti amo, davvero. Ma non è possibile trovare in inverno quei fiori.” “Lo so. Senti, non importa, davvero, io vivrò lo stesso, grazie a te ho ritrovato il coraggio e la forza per andare avanti. Non mi arrenderò e soprattutto non chiederò più aiuto alle streghe.” “Soprattutto questo. Ti amo.” “Ti amo anch’io, Granito.” Granito la strinse a sé e dal libro degli incantesimi spuntò un mazzo di fiori, proprio quelli richiesti dall’incantesimo. Dal petto di Ardesia fuoriuscì un cuore di pietra, il cuore salì in alto, molto in alto, fino ad arrivare al Picco dell’Aquila, dove viveva la strega. Il cuore si ingigantì e si trasformò in un cubo vuoto e si avvolse tutto attorno alla casa della vecchia megera, intrappolandola definitivamente nel suo stesso antro. Ardesia tenne il libro, un po’ per ricordare che a tutto c’è rimedio, basta avere coraggio e fiducia in se stessi, ma soprattutto per aiutare tutte le ragazze, che come lei subivano le angherie di streghe malvagie. Granito la chiese in sposa e con l’arrivo della primavera si celebrarono le loro
nozze. Fu una festa grande per tutto il villaggio, perché, dopo quell’avventura, tutti erano felici che i due giovani li avessero liberati definitivamente dalla strega malvagia, che senza libro era anche senza poteri. Tutti li festeggiarono gioiosamente e ricordarono per anni quella grande lezione: solo chi ha il coraggio di affrontare i propri errori e non si lascia andare, vincerà tutte le proprie battaglie.
Sottoguda, 28 dicembre 2011
Cara bisnonna, spero tu stia bene, oggi ho sentito Frau Babete via mail, mi ha chiesto di recarmi nuovamente a Parigi, perché Madame Alphonsine desiderava scambiare due parole con me. Ero abbastanza sorpresa, comunque ho deciso di partire immediatamente. Ho detto alla nonna che sarei uscita per una breve eggiata e poi ho desiderato solo mangiare una vera crêpe se con Nutella e cocco e così mi sono ritrovata a Place de Clichy, nella città più romantica del mondo. Amo Parigi, me ne sono innamorata la prima volta in cui l’ho visitata. Madame Alphonsine mi aspettava vicino alla libreria, che si trova di fronte alla crêperie. L’ho individuata quasi subito, come se avessi un radar per rintracciare le altre guardiane. Mi ha portata un po’ in giro per la città, così ho potuto mangiare una buonissima crêpe. Siamo salite sulla Tour Eiffel, mi mancava la tipica skyline di Parigi, sullo sfondo c’era il Sacré-Cœur, girando attorno alla cima della torre ho potuto rivedere la cupola dell’Hôtel des Invalides e la Senna. Madame Alphonsine era stupita che io sapessi parlare se e che conoscessi, almeno in parte, la città. Ci sono stata una sola settimana per uno stage con la scuola, ma mi era piaciuta molto, quindi alcuni luoghi mi sono rimasti più impressi di altri. Anche con Madame ho parlato dell’essere guardiane, tutte mi hanno parlato molto bene di te, nonna, non ti hanno conosciuta di persona, ma a quanto pare eri una delle migliori streghe dei sogni. Sei una donna davvero incredibile, mi riservi sempre nuove sorprese. Dopo un paio d’ore sono tornata a casa, più tranquilla e più felice, viaggiare mi piace molto ed è stato un piacere rivedere le Point Zero, ci ho rimesso sopra il piede, così potrò tornare di nuovo prestissimo a Paris.
Sai, tornata a casa, ho ripensato a tutte le storie che mi hai raccontato e ne ho scelta un’altra da trascrivere, Musica nel cuore. L’ho scelta perché parla di una grande ione, che ha il protagonista, quella per la musica. Il suo amore è così grande, che gli infonde il coraggio di affrontare il mago più potente del mondo, per poter riportare la musica nelle vite della gente normale. L’ho scelta anche per poterti parlare di Sir Green. Sir Green è un ragazzo fantastico e affascinante a modo suo. È identico al protagonista della tua storia, ha una grande ione per la musica, suona il violino, il pianoforte e la batteria, è un musicista davvero poliedrico. L’ho conosciuto quando tu ormai te ne eri andata, ci ha presentati Lady Butterfly. Abbiamo partecipato allo stesso corso di teatro per realizzare un musical, mi è sembrato subito diverso da tutti gli altri ragazzi, che avevo conosciuto fino a quel momento, e avevo ragione, lui, rispetto agli altri, è rimasto nella mia vita per tutto questo tempo. Mi ha aiutata tanto, soprattutto negli anni del liceo, quando sembrava che tutto andasse storto, lui c’era. Mi ha consolata talmente tante volte, che fatico a tenerne il conto. È sempre stato un ottimo amico, ora studia scienze ambientali e non lo vedo praticamente più. Ciò che mi ha sempre affascinato di Sir Green è la sua inesauribile energia vitale, mette tanta ione in tutto quello che fa, così tutto gli riesce al meglio, del nostro gruppetto di amici dello stesso anno è stato il migliore alla maturità, in questo ultimo periodo, dopo il liceo, non si è mai arreso e alla fine ha realizzato il suo sogno di occuparsi dell’ambiente e seppur sia un corso di laurea fra i più impegnativi, ha continuato a seguire la sua ione per la musica, senza perderla mai. Ma la cosa migliore l’ho tenuta per ultima: sa ballare, anzi, mi correggo, balla divinamente. Danza su qualsiasi musica, dal ballo liscio alla salsa, dal tango alla samba. Sai, è stato il mio primo ballerino, il problema è che credo di averlo spaventato, perché al primo ballo gli ho pestato un piede. Vergogna e onta per la nostra famiglia, penserai tu, avresti pure ragione, ma da quella volta sono migliorata, te lo giuro. Faccio ancora danni qua e là, ma va sempre meglio, prima o poi riuscirò a ballare con lui senza combinare qualche guaio, o almeno spero. Sai, mi piacerebbe portare anche lui e Lady Butterfly a Parigi uno di questi giorni. Credo che potrebbe piacer loro molto, è una città talmente splendida, prima o poi li convincerò a seguirmi, fosse l’ultima cosa che faccio. Immagino che Sir Green piacerebbe molto anche a te, è un ragazzo speciale, che mette tanta ione in tutto quello che fa, è un amico fantastico, che rende ogni giorno migliore, ogni momento con lui è un’avventura, ha la capacità di rendere tutto speciale e unico. Non è un ragazzo qualsiasi e ha la capacità di stupirti sempre,
nel bene e nel male. Ovviamente ha qualche difetto, ma sono tutti perdonabili, vedo in lui tanto di quello che manca a me: ione, costanza, franchezza e un briciolo di pazzia. Assomiglia molto ai grandi direttori d’orchestra, con una chioma folta e un’energia elettrica negli occhi, mentre dirigono tutti gli altri maestri, creando con le loro mani una melodia incredibile, è un’energia esplosiva, oserei dire magica, credo sia questo il potere della ione e non mi stupisco più di nulla dopo averlo visto in azione su di lui. Ora ti lascio, nonna, ormai Madame Alphonsine mi ha preso in simpatia e continua a scrivermi moltissime mail. In realtà gliel’ho chiesto io per allenarmi con il se, ma credo le sia sfuggita un po’ la mano. Ti scriverò prestissimo, ti voglio bene, tua Rossana.
Musica nel cuore
C’era una volta un regno molto, molto felice, i suoi abitanti erano contadini, ma bastava loro poco per essere davvero sereni: una pace assicurata, una casa, una famiglia e dei figli sani. Era uno di quei regni dalle antiche tradizioni, che venivano tramandate di generazione in generazione e non venivano mai recepite come antiquate e polverose, ma erano sempre accolte con gioia anche dai più giovani. I nonni insegnavano da subito ai nipoti ad amare la propria terra, le proprie montagne, il cielo sereno del giorno e quello stellato della notte, ma soprattutto dovevano amare la propria cultura, antica come lo era il mondo. La parte della tradizione che piaceva di più ai giovani era di certo quella che si riferiva alla musica e alla danza. I balli nelle feste paesane erano i momenti più felici per tutti, dal più anziano del villaggio al neonato, erano tutti coinvolti, tutti desideravano solo onorare con la danza le cose più semplici: la montagna, le stagioni, il mulino che produceva la farina. Erano balli allegri dalla musica vivace, i giovani danzando formavano delle figure, che, se viste dall’alto, rappresentavano i fiori che sbocciano, le ruote del mulino e molto altro. Ogni momento era buono per tirar fuori la fisarmonica e qualche altro strumento per suonare e stare tutti insieme in allegria.
I giovani danzando si innamoravano, perché si sa: le cose migliori accadono quando si balla, le amicizie si fortificavano e le persone tornavano a sudare nei campi con una nuova forza dentro. Era questo l’effetto di quella musica. Purtroppo vicino a questo regno abitava un re, invidioso di tutta questa serenità, che approfittò della morte del re del regno di Ledoj e del fatto che il sovrano non avesse avuto eredi, per impossessarsi di quelle terre. Emanò poi una legge per cui tutti gli strumenti musicali andavano distrutti, bruciati, nessuno avrebbe più potuto suonare, danzare o cantare. Chiunque avesse infranto quella legge assurda sarebbe stato mandato in esilio o imprigionato a vita. Gli anni trascorsero, ma il re non si addolcì mai, appena sentiva anche solo una nota, indagava finché non trovava il colpevole e lo condannava. Le pene si erano sempre più indurite e ora si rischiava anche la tortura. La musica mancava molto in questo regno, che doveva tutta la sua gioia a essa. Alcuni giovani decisero allora di andare via dal regno e scoprire cos’era la musica, erano infatti nati e cresciuti con i racconti dei nonni su questa cosa strana, che sembrava dare tanta felicità alla gente, ma che pareva scomparsa, pareva tanto, troppo lontana. Dopo aver scoperto cos’era la musica nessuno volle più lasciare le nuove abitazioni per riscoprire il vecchio grigiume, solo uno di loro decise che sarebbe tornato per riportare la musica nel suo regno. Questi era uno dei discendenti del re precedente, era il figlio del cugino del vecchio re, a cui sarebbe spettato il trono, se questo perfido signore non lo avesse conquistato con la forza. Il nome di questo giovane era Noal, era un ragazzo alto, alto, con i capelli corvini e gli occhi verdi come le foglie in primavera, era molto sensibile e molto attaccato alla sua cultura e sentiva che la musica era parte della sua cultura. Fu proprio per questo amore e per la sua sensibilità, che lui decise di viaggiare per le altre valli, per capire meglio cosa fosse la musica e come riportarla a Ledoj. ò i mesi studiando, imparò a suonare gli strumenti musicali, iniziò a studiare canto, imparò anche lo jodel, che era una delle tipologie di canto più famose nel suo regno. Gli fu insegnato anche come insegnare musica, in modo che, tornato a casa, potesse diffonderla nuovamente. Noal sentiva che quella era proprio la sua strada, che quello era proprio il suo destino, la musica era la sua vita, ora che l’aveva trovata non l’avrebbe più abbandonata e si ripromise di riportarla a Ledoj anche a costo della vita, poiché una vita senza musica, secondo lui, non valeva la pena di essere vissuta.
Dopo un anno che era lontano, tornò nel suo regno, nulla era cambiato, a parte il fatto che la gente era sempre più triste e depressa, non ce la faceva più a sopportare il fatto di dover rinnegare le proprie tradizioni, in poche parole: se stessa. Noal iniziò a produrre strumenti musicali di nascosto dal re, in una grotta poco lontana dal villaggio durante la notte, di giorno invece lavorava come falegname, così nessuno si sarebbe insospettito nel vederlo allontanarsi spesso. Iniziò poi a invitare i ragazzi più giovani presso la grotta, insegnò loro a suonare e cantare. Purtroppo, dopo poche settimane, la musica iniziò a essere udita fino al castello e il re si insospettì. Noal stava rischiando davvero molto, ma non voleva arrendersi, ormai i ragazzi stavano imparando e mancava davvero poco perché riuscissero a suonare tutti insieme, in armonia. Era orgoglioso dei progressi che avevano fatto, ma allo stesso tempo preoccupato, sapevano cosa rischiavano, ma lui si sentiva responsabile per loro, decise allora di trasportare la sede della banda fuori dal regno, chiese al re vicino se potesse offrirgli una sala dove provare, ma il re temeva la furia del proprio vicino e non accettò. Tutta la popolazione era in subbuglio, sentivano che la musica stava tornando, si sentiva di nuovo nell’aria la gioia che portava, la gente non voleva più riperderla e si iniziò a organizzare una rivolta, ma il re non si fece trovare impreparato e sedò la rivolta sul nascere. Noal venne catturato e portato nelle segrete del castello. Tutti si sentirono persi senza di lui, era lui la loro guida, il loro direttore. Decisero allora di cercare di liberarlo quella notte stessa. Il giorno seguente prepararono un piano, avrebbero combattuto non con le armi, ma con gli strumenti musicali, avrebbero così fatto impazzire il re. Anche le guardie erano ormai stanche di quella vita, stanche di dover rinunciare alla loro stessa natura, si armarono allora anche loro di trombe, tamburi e flauti. Tutti si recarono poi al castello sull’imbrunire e iniziarono un concerto che commosse profondamente il giovane Noal, avevano ritrovato la loro musica, la loro melodia. Il re si affacciò allora alla finestra, non poteva credere ai suoi occhi, anche le sue guardie più fedeli lo avevano tradito per un paio di note, non capiva proprio cosa ci trovassero in quel fracasso, ma ciò che è peggio è che la gente aveva ricominciato anche a danzare, questo proprio non poteva sopportarlo. Sguainò la spada e scese la scala a chiocciola fino alla cella dove teneva Noal, lo prese e lo
portò fuori, tenendo la sua spada contro il collo del giovane, come se da un momento all’altro volesse sgozzarlo. Tutti gridarono inorriditi, ma Noal non era preoccupato e gridò alla folla: “Morire per la musica sarà per me la morte più eroica, ma voi dovete ricordare sempre quel che vi ho insegnato, voglio lasciare questa terra con la certezza che la musica non scomparirà mai più dal mio regno, ma soprattutto da voi, dai vostri cuori”. La gente era a dir poco infuriata, il re era sempre più preoccupato. Commise in quel momento un errore che gli fu fatale, per paura della folla infatti lasciò Noal, nel tentativo di fuggire, ma le persone vedendo libero il giovane iniziarono a lanciare tutto ciò che ava loro per le mani verso il malvagio sovrano, una pietra lo colpì al petto e gli fece perdere l’equilibrio. Il re cadde dal camminamento, finendo in un carro colmo di letame, venne poi preso in consegna dalle guardie e portato nelle segrete del castello. La gente inneggiò allora verso Noal, tutti volevano che lui fosse il nuovo re, poiché era effettivamente l’erede più prossimo del vecchio re. Noal alla fine, dopo grande insistenza, accettò e vi fu una grande festa, con un banchetto, balli e canti. Noal si occupò di reinserire la musica fra le materie insegnate nelle scuole, anche in quelle dei piccoli paesi. Sotto il suo regno tutti furono felici, il sorriso e il sole erano tornati con la musica. La cultura in generale e quella musicale in particolare non sparirono mai più da quelle terre e ancora oggi si ballano le stesse danze che Noal aveva salvato con il suo coraggio. Il suo sogno più grande fu dunque esaudito e ancora oggi ricordiamo quel giovane impavido, che non temeva neanche i sovrani più malvagi.
Sottoguda, 29 dicembre 2011
Cara bisnonna, oggi Edvige mi ha telefonato, vorrebbe che festeggiassimo insieme il capodanno, a me farebbe davvero molto piacere, soprattutto perché verrebbero anche Floh e Fanny: te le ricordi, nonna? Sono le mie più vecchie amiche. A proposito di amiche, oggi ho avuto il piacere di conoscere una tua vecchia compagna
d’avventura: Frau Christabel. Sai, sto cercando di usare i miei poteri magici, così ho desiderato intensamente di vedere nuovamente gli Alpaca dello Zoo Salzburg, in realtà avevo voglia in generale di fare un giro fino a Salisburgo. Appena arrivata, sono stata subito raggiunta da Frau Christabel, si aspettava di vedermi lì, così ci siamo teletrasportate fino alla Getreidegasse e abbiamo eggiato lì intorno, mi ha anche concesso una visita veloce allo Spielzeugmuseum e poi alla Haus der Natur. Salisburgo a Natale è davvero meravigliosa, non mi ero resa conto di quanto mi mancasse questa città, finché non ci sono tornata. Sto sorprendendo un po’ tutte le tue colleghe guardiane, ma in fondo, fino a ora, ho sempre visitato città in cui ero già stata prima. Christabel mi ha sgridato e ha ragione, non dovrei usare per me stessa i miei poteri, ma sto cercando di capirne il funzionamento, così mi ha subito perdonata. Dopo qualche ora sono tornata a casa, ma nessuno si è accorto della mia assenza, sembrava che fossi stata lontana solo pochi minuti, mentre ero stata da Frau Christabel per tutto il giorno. Mi aiuta molto parlare con loro, scopro nuovi aneddoti su di te e sui miei doveri e poteri, se accettassi il ruolo di strega dei sogni. Mi ha avvisato che potrei trovare anche delle streghe cattive sulla mia strada e non sempre pronte ad accogliermi sotto i migliori auspici. Mi ha spiegato che le streghe cattive potrebbero cercare di portarmi via i miei poteri, per studiarli e cancellare la fantasia dal mondo intero. Questo complica non poco le cose, vorrei poterle aiutare in questa lotta, ma ho paura di combinare più danni che altro. Comunque ho parlato con lei anche a riguardo dei miei amici, secondo lei, dopo aver preso una decisione, potrei anche dir loro tutto, ma solo se sarò sicura che possano mantenere il segreto, secondo lei averli vicini mi potrebbe aiutare ad affrontare con più serenità il mio compito. Mi ha rassicurato molto e poi mi ha detto che potrei cercare di far apparire delle cose per allenarmi, invece di continuare a teletrasportarmi, dato che è così pericoloso. Parlando di amici, mi sono ricordata di non averti ancora raccontato nulla di Sir Lion. Sir Lion era il compagno di stanza di Sir Green, quando viveva in collegio. È un ragazzo fantastico, è stato il mio sostegno per tutti e quattro gli anni del liceo, da quando siamo diventati amici. Lui è la mente fredda del gruppo, è il più realista. Sir Lion è la mia coscienza, quando sbaglio mi riprende subito, mi sgrida, ma quando vede che ho capito, mi sorride. È il fratello maggiore che non ho mai avuto, ma che avrei sempre desiderato avere. Te ne ho parlato, anche per la storia che ho deciso di trascrivere oggi: I cavalieri del sorriso. Sir Lion dopo la maturità ha iniziato a studiare le società orientali, soprattutto dal punto di vista economico. Ciò che mi piace più di lui è la sua caparbietà, non si arrende mai,
non si butta mai giù di morale, trova sempre l’appiglio, che lo aiuta ad andare avanti, se fosse un animale sarebbe probabilmente un’araba fenice, che rinasce dalle sue ceneri, lui è proprio così. È davvero un ragazzo da ammirare, nonna, davvero molto, per questo te ne ho parlato, assomiglia molto a uno dei due protagonisti della tua storia, che non si sono mai arresi, finché non hanno visto il sorriso tornare sul viso della loro nuova amica. Sir Lion e Sir Green sono stati i miei cavalieri del sorriso in molti momenti in cui non vedevo la luce alla fine del tunnel, loro sono stati quel raggio di sole, che squarcia il cielo plumbeo dopo una terribile tempesta. Sono tutto per me e se li perdessi, non so davvero cosa farei, probabilmente reagirei come Vaniglia, mi metterei a scavare a mani nude nella neve per liberarli da una valanga. Loro sono il motivo per cui vale la pena andare avanti, per cui vale la pena lottare contro tutto e tutti. Li adoro, sono la mia vita, sono il mio tesoro in fondo al mare, da trovare e ripescare, ma soprattutto da custodire vicino al cuore. Sono amici come loro che mi hanno ridato la capacità di sognare, sono loro le persone più importanti della mia vita. Ora scappo, vado a cercare di far apparire una bella tazza di cioccolata calda fumante. Ti scrivo prestissimo, ti voglio bene, tua Rossana.
I cavalieri del sorriso
C’era una volta un regno molto, molto felice, ma la cui principessa perdeva molto spesso il sorriso. Vedeva il bicchiere mezzo vuoto e non mezzo pieno, notava tutti i giorni di pioggia ma mai quelli di sole, vedeva il male nel mondo e mai il bene, asciugava le lacrime di tutti, caricandosi della loro tristezza, ma non raccoglieva mai i sorrisi che le donavano le stesse persone da lei consolate, del ato ricordava solo i momenti più brutti e mai quelli meravigliosi. I suoi genitori, il re e la regina, non sapevano davvero più cosa fare, neppure la sua migliore amica Dalia sapeva più come prenderla, cercava in tutti i modi di farla sorridere, ma non ci riusciva proprio. Vaniglia, questo era il nome della principessa, amava cantare nei boschi che ricoprivano la valle, soprattutto perché gli uccellini cantavano poi con lei, amava ballare con gli orsetti lavatori e con mamma orsa, ma era da molto che non muoveva più un o di danza.
Il suo stato nostalgico era iniziato molto tempo prima, quando la sua buona bisnonna era volata in cielo e da quel giorno per lei tutto era cambiato e lei stessa si era chiusa in un silenzio quasi totale, sorrideva poco o niente, non provava più piacere nelle cose semplici, solo aiutare gli altri l’aiutava in parte a riottenere un po’ di luce nei suoi occhi. Tutto quel dolore che teneva dentro le faceva però molto male, la sua pelle non era più rosea come un tempo, i suoi occhi una volta azzurri come il cielo più sereno, ora erano grigi, come le nubi che promettevano la tempesta, ma non una tempesta comune, una di quelle che duravano per giorni. I suoi capelli, una volta dorati e lucenti, ora erano opachi e sembravano ricoperti da uno spesso strato di polvere, che lasciava solo intravedere lo splendore di un tempo. Il re e la regina non sapevano davvero più cosa fare, finché un giorno non arrivarono nel loro regno due bellissimi cavalieri, il principe Rosmarino e il principe Biancospino, erano due grandi amici, dal cuore d’oro, ma erano anche due grandi pasticcioni, una ne pensavano e cento ne facevano e ogni volta che combinavano un guaio si mettevano a litigare su di chi fosse la colpa, erano buffi, ma dolcissimi. Avevano deciso di iniziare a viaggiare per i vari regni fino a raggiungere il mare, ma avevano preso la strada sbagliata e il destino li aveva portati nel regno di Marmorino. La sorte sovente vede più lontano dell’uomo, il fatto che si fossero persi non era casuale, la loro missione, seppur non lo sapessero, era quella di far tornare il sorriso alla principessa Vaniglia. La giovane quella mattina si trovava nella sua camera, che dava sul Sentiero dei Mille Desideri. Dalia, la sua migliore amica, era con lei e stava cercando di convincerla a organizzare una festa danzante per il suo compleanno, che sarebbe giunto il mese seguente, ma Vaniglia non voleva neppure ascoltarla ed evitava il suo sguardo di rammarico guardando fuori dalla finestra. Fu proprio in quel momento che notò due giovani cavalieri che si avvicinavano al castello. Sembrava che stessero litigando furiosamente, uno dei due, quello vestito di verde, brandiva una mappa con aria minacciosa verso l’altro, vestito di blu, che gli stava facendo segno, che se non l’avesse finita di gridargli contro, lo avrebbe picchiato. Iniziarono a litigare sempre più furiosamente, arrivarono alle mani, ma una pietra, un po’ troppo sporgente, fece perdere loro l’equilibrio e iniziarono a rotolare e come una valanga travolsero due guardie, che stavano cercando di fermarli e di separarli, si fermarono solo alla fine della discesa, davanti alla porta del castello. Le guardie dopo essersi rialzate, li rincorsero e li catturarono,
probabilmente avevano creduto che fossero dei malviventi e ora li stavano portando dal re. Vaniglia era davvero preoccupata per i due cavalieri, scese le scale di corsa fino al salone, dove era certa avrebbe trovato suo padre. I due giovani stavano correndo un bel rischio, infatti il re voleva imprigionarli all’interno delle segrete del castello, credendo che fossero nemici. Vaniglia intervenne giusto in tempo: “Padre, io ho visto la scena dall’alto del bastione, è stato tutto un incidente; vi prego, non fategli del male”. “Ma figliola, hanno attaccato due guardie e stavano cercando di buttare giù la porta del castello per poter entrare.” “Padre mio, scusate se dissento, ma i due cavalieri si erano messi a litigare appena in cima alla collina, una pietra ha interrotto la loro lite, poiché li ha fatti cadere e rotolare lungo tutta la china.” “Non so se tu abbia ragione, figlia mia, effettivamente rotolare contro una porta è uno strano modo per abbatterla. Li metterò alla prova, ti curerai tu di loro e se fra due mesi vedrò che si sono comportati bene, li lascerò liberi. Dovranno però dimostrare di avere il cuore puro.” Vaniglia accettò di buon grado la decisione del padre, i due giovani potevano diventare una buona compagnia, anche i due cavalieri acconsentirono. Lei li accompagnò allora nelle loro stanze e curò loro le ferite che si erano procurati durante la discesa a rotta di collo. Si fece raccontare la loro storia, scoprì allora che erano due principi, il principe Rosmarino di Verdefoglia e il principe Biancospino del Bosco Antico. Erano in viaggio per raggiungere il mare, ma purtroppo avevano sbagliato strada e a questo punto del racconto iniziarono nuovamente a litigare. Dalia rideva di gusto nel vederli così presi dai loro insulti, tanto che non si accorgevano neppure delle ferite doloranti e del buffo scoiattolo che stava alla finestra, che iniziò a saltellare su e giù sul davanzale, come per imitarli. A quel punto i due si accorsero della sua presenza e tentarono di acchiapparlo, ma senza risultati e Biancospino rischiò di cadere giù dalla finestra, se Rosmarino non lo avesse afferrato per le gambe appena in tempo. Vaniglia si spaventò molto e li sgridò per la loro incoscienza, i due ragazzi non capivano proprio come mai lei non sorridesse, come mai fosse eternamente triste.
Lasciarono are i giorni, nel frattempo entrarono sempre più nelle grazie del re, che iniziava a capire cosa aveva visto in loro sua figlia. Decisero allora che era giunto il momento di sdebitarsi con la principessa, si misero d’accordo finalmente sulla loro missione: far tornare il sorriso alla principessa triste. Chiesero anche aiuto a Dalia, sapendo che era la sua migliore amica. Decisero di organizzare una gita tutti insieme fra i boschi, dopo che la giovane aveva raccontato loro la ione di Vaniglia per la natura, per il canto e per la danza. Avevano infatti pensato di alloggiare per un po’ di tempo presso una famiglia di montanari, che li aveva ospitati qualche mese prima, quando il loro viaggio era appena iniziato. La casetta era in una bella radura, vicino a un laghetto dalle limpide acque, la vista da lì era davvero meravigliosa, gli animali popolavano numerosi la foresta che attorniava la casupola e il fienile. Si persero più e più volte lungo la strada, poiché Biancospino e Rosmarino continuavano a litigare su quale fosse il sentiero giusto per raggiungere la casa. I due giovani erano due principi davvero affascinanti, il primo era alto, con i capelli corvini e gli occhi verdi, come le foglie in estate, il secondo era un po’ più alto, con i capelli biondi, tagliati corti e ritti in testa, che gli aveva procurato il soprannome di Riccio, aveva gli occhi castani, come quelli dei cerbiatti più vivaci. Vaniglia credeva fermamente nel fatto che la loro presenza fosse positiva, si sentiva di nuovo viva, sentiva di nuovo il calore umano scorrerle nelle vene. Era quasi di nuovo felice, ma sorridere le risultava ancora difficile, la sua bocca aveva le estremità rivolte verso il basso da troppo tempo. Alla fine, dopo un giorno di viaggio, riuscirono a raggiungere la casetta dei montanari, avrebbero dormito tutti insieme nel fieno, avrebbero fatto lunghe eggiate, tutto sarebbe stato meraviglioso. I due principi erano decisi a portare a termine la missione che si erano prefissati. La prima sera la arono all’interno della casupola a giocare e a scherzare, scoprirono presto che Vaniglia soffriva moltissimo il solletico e dunque avevano trovato un primo modo per farla ridere e ci riuscivano benissimo, arrivò a ridere fino alle lacrime, ma questo era solo il primo o, non doveva sempre ridere perché obbligata, doveva ricominciare a sorridere. La mattina seguente andarono a fare una lunga eggiata, trovarono presto un piccolo stormo di pettirossi, che cantavano allegramente, i due principi si misero allora a fare a gara con gli uccellini, ma a loro mancava quella nota cristallina, tipica delle voci femminili; Dalia si rifiutò di emettere anche un solo fischio e Vaniglia si opponeva fermamente all’idea di cantare. Rosmarino la minacciò
allora di farle il solletico per due ore di seguito se non avesse cantato, dopo varie insistenze alla fine dovette cedere. La principessa aveva una voce davvero meravigliosa, melodiosa, proprio la nota d’alta freschezza che mancava al canto dei due giovani. Cantarono per tutto il pomeriggio e una specie di sorriso iniziò a formarsi sul viso di Vaniglia, si vedeva che cantare la faceva star bene, ma non ancora abbastanza per sorridere sia con la bocca, sia con gli occhi. Quella sera tornarono stanchi ma felici alla casupola, aiutarono la mamma con la cena e con alcuni dei lavori di casa da terminare. Vaniglia iniziava a sorridere sempre più, sembrava che quella scampagnata le stesse facendo bene. Il giorno seguente uscirono di buonora con il cestino per il pranzo da fare nel bosco, i pettirossi con cui avevano cantato il giorno prima li raggiunsero durante il cammino. A loro si erano aggregati tanti altri simpatici uccellini e altri animali, come dei vivaci cerbiatti, degli scoiattolini davvero buffi con le code folte tutte ordinate e degli orsetti lavatori, memori delle antiche danze. L’allegra compagnia camminò a lungo, arrivarono in cima alla montagna, da lì potevano godere di uno spettacolo meraviglioso, davvero mozzafiato. Si vedevano gli alti picchi e il o, che l’inverno era bloccato da metri e metri di soffice neve. Iniziarono ben presto a giocare con l’eco, facevano a gara a chi cantasse più forte e poi ascoltavano le loro voci, che si diffondevano lungo la valle andando a sbattere da una parete rocciosa all’altra, doveva vincere chi riusciva a produrre l’eco più duratura. Vaniglia vinse più e più volte, aveva una potenza nella voce, che nessuno avrebbe potuto immaginare lei avesse, una gioia di vivere e di gridare al mondo che esisteva anche lei, che nessuno le aveva mai visto esprimere da molto tempo. Tornarono poi indietro, verso la radura, dove si fermarono a mangiare i panini che la gentile signora, che li ospitava, aveva preparato per loro. Diedero un po’ di pane anche agli uccellini, che per ringraziarli iniziarono a canticchiare un allegro motivetto, molto simile a un valzer veloce, di quelli vivaci che un tempo piacevano tanto alla principessa. Era un invito, gli animali si ricordavano di lei, di quando danzava per il bosco, cantando e ridendo felice con la sua bisnonna. Lei però non voleva conceder loro anche questa vittoria, questo ricordo lo voleva lasciare lì com’era, la faceva soffrire troppo e lo aveva nascosto in un cassetto ben chiuso e coperto di ragnatele. Purtroppo non aveva fatto i conti con Rosmarino e Biancospino, che erano decisi a vedere danzare la famosa principessa triste. Biancospino decise allora di provare lui a convincerla e con l’aiuto di Dalia la fece alzare con la forza, aveva
braccia lunghe e magre, non aveva la stazza di uno di quei cavalieri che facevano la giostra e che portavano armature pesanti, ma aveva la forza di un orso infuriato, e un orso infuriato, credete a me, ha molta forza e anche molta decisione. Vaniglia non riuscì a dirgli di no, soprattutto dopo aver visto quegli occhi verdi che la sfidavano e a una sfida non si dice mai di no. Si alzò e rivolse lo sguardo in alto, verso il cielo. Era lo stesso di molti anni fa, come quello sereno che l’aveva vista felice con la sua bisnonna, che l’aveva vista serena correre per i boschi, mentre l’anziana signora le insegnava ad amare la sua cultura, le sue origini, ma soprattutto la natura. Anche il canto e la danza facevano parte della natura: gli scoiattoli danzano a modo loro sui rami, e così facevano gli stambecchi tra le rocce e i picchi più alti e così facevano anche le aquile rincorrendosi nel cielo, volando alte sopra le cime degli alberi più maestosi della foresta. Fu in quel momento che ricordò ciò che la sua vecchia bisnonna le diceva: “Mia piccola Vaniglia, un sorriso è come un piccolo raggio di sole dopo la più terribile delle tempeste, è la luce della speranza, è la luce dell’amore”. E lei quella speranza l’aveva persa, aveva perso l’amore, l’amore per la vita. Erano stati quei due ragazzi a ricordarglielo e sapeva che non li avrebbe mai ringraziati abbastanza per questo. Si alzò e danzarono allegramente più di un motivetto che gli uccellini decisero di dedicar loro, sentiva di nuovo la vita tornarle dentro, come un fuoco che riscalda la casa durante l’inverno e che si diffonde fino a raggiungere anche i meandri più nascosti e più oscuri. E quella luce, quel calore, raggiunsero il suo cuore e per la prima volta riuscì a far fuoriuscire le lacrime che teneva dentro e che non aveva mai versato per la morte dell’anziana signora. Ora stava meglio, meglio davvero e sorrideva, piangeva e sorrideva. Biancospino non capì subito cosa le stesse succedendo, ma ormai iniziava a conoscerla, allora l’abbracciò stretta e quando intuì che si era calmata le disse: “Guarda che se continui a piangere così mi bagnerai tutto”. Lei allora gli sorrise, il più bel sorriso che avesse mai donato a una persona, lo abbracciò a sua volta e disse una sola parola: “Grazie”. Ma era la parola giusta. Tornarono alla casupola e arono i tre giorni seguenti a ridere, a rincorrersi, a scherzare, a giocare, a cantare e a ballare. Vaniglia era finalmente tornata quella
di un tempo, per i due principi era irriconoscibile, ma Dalia aveva ritrovato la sua vecchia amica. Rosmarino e Biancospino continuavano comunque ad azzuffarsi e un giorno caddero anche nel lago, ma questa fu solo l’occasione per una bella nuotata e tutto si concluse tra cori di risa e schizzi d’acqua ghiacciata. Quando tornarono al castello, il re quasi si commosse riabbracciando sua figlia, che finalmente sorrideva felice; ringraziò calorosamente anche i due giovani principi e Dalia per esserle sempre stata vicina. Diede allora la libertà ai due principi, anche se i due mesi non erano ancora trascorsi, poiché aveva capito che erano davvero due giovani dal cuore d’oro. Biancospino e Rosmarino decisero di ripartire, l’avventura li attendeva dietro l’angolo. Vaniglia si rattristò nel vederli andar via, ma sapeva che sarebbero tornati, glielo avevano promesso e loro le promesse le mantenevano, inoltre sapeva che lasciar andare un amico è sì doloroso, ma anche giusto, gli amici non ci appartengono, devono essere liberi di poter spiccare il volo, anche se ciò ci fa soffrire, l’egoismo non fa parte dell’amicizia. Aspettando il loro ritorno dipinse dei ritratti dei loro volti e lavorò a maglia due belle sciarpe, per proteggerli dall’inverno che stava giungendo. Avevano infatti detto che sarebbero tornati verso la fine dell’autunno e ormai novembre stava giungendo al termine, ma di loro non c’era ancora traccia. Una coltre di neve, spessa alcuni metri, aveva già ricoperto i prati, ma all’orizzonte non si vedevano altro che nuvoloni scuri e i due giovani non arrivavano. Vaniglia e Dalia iniziavano a essere preoccupate per loro, decisero allora, un giorno, di avventurarsi fino al o che avevano attraversato i loro amici un paio di mesi prima e dal quale sarebbero dovuti tornare, il re era contrario e si arrabbiò molto quando scoprì che erano uscite senza il suo permesso. Arrivate in cima, con non pochi problemi data l’alta neve, trovarono la strada sbarrata da una valanga, lì vicino notarono uno zaino a loro familiare, era quello di Rosmarino. Erano terrorizzate per quello che avrebbero trovato, avevano paura di non rivederli mai più, erano convinte che i loro amici fossero stati travolti da una slavina. Il vuoto si impadronì dei loro cuori e le lacrime iniziarono a rigare i loro visi, ma non si persero d’animo, la speranza è l’ultima a morire. Corsero subito a chiamare dei contadini che vivevano poco distante da lì e si fecero aiutare nelle ricerche. Uno di loro disse che la valanga era scesa nella notte e che le probabilità di trovarli ancora in vita erano pochissime. Scavarono
fino a che non scese la notte, al tramonto alcuni restarono con la principessa, che volle continuare a scavare anche con le tenebre, voleva almeno trovarli, erano stati la sua fortezza, il suo sostegno, l’avevano aiutata e per tornare da lei, ora, potevano essere morti. Vaniglia non voleva accettare di aver perso qualcuno a cui voleva bene, no, non poteva neanche pensarci. Dalia nel frattempo era tornata al castello per avvisare il re di quello che era accaduto, il sovrano decise allora di recarsi anche lui sul luogo della sventura. Arrivato, aiutò subito sua figlia con la vanga e con le mani, spostando neve e blocchi di ghiaccio, mai si era visto un re lavorare con i suoi sudditi, ma vedendo la luce che sua figlia aveva negli occhi, non riuscì a restare fermo, era una luce che non le aveva mai visto prima, una forza inaudita. All’alba riuscirono a scorgere l’altra parte del o e lì, in mezzo ai primi raggi di luce, videro un grosso cumulo di neve dal quale spuntavano i lembi di una coperta. Vaniglia si avvicinò, trovò una galleria scavata nel mucchio e dall’apertura intravide i due principi addormentati, che ronfavano allegramente, i visi distesi, sembravano illesi, salvo che per qualche graffio. Vaniglia pianse, pianse di gioia, erano ancora vivi, era un miracolo, un miracolo meritato, loro le avevano donato di nuovo il sorriso. I due giovani, sentendo tutto quel rumore fuori dal loro rifugio precario, si svegliarono di soprassalto e si trovarono subito sommersi da una miriade di stoffe, da un cespuglio di capelli biondi e dalla neve, Vaniglia con un balzo era entrata per la cavità e li aveva abbracciati, solo che nella foga aveva praticamente distrutto l’entrata a causa degli abiti ingombranti che indossava. Riemersero dopo un po’ dal mucchio di neve e Rosmarino disse a Biancospino: “Ho scoperto qualcosa di più sconvolgente di una valanga, che inizia sempre per V, tu sai cos’è?” “Lasciami pensare… Vaniglia!” Risero tutti insieme, anche il re si sentiva sollevato e decise che per quella sera avrebbe organizzato un grande ballo. Tornarono tutti insieme al castello, si scaldarono un po’ davanti al camino nella stanza della principessa nella torre più alta, poi si prepararono per la festa. Ballarono per tutta la sera, risero tanto, soprattutto perché Vaniglia non la finiva di travolgere i due principi e Dalia con i suoi abbracci, era davvero felice, felice anche più di prima, perché quando si perde qualcosa o qualcuno, se ne comprende il vero valore.
Da quel giorno le serate davanti al camino furono un momento di grande serenità, Vaniglia leggeva loro delle storie meravigliose oppure le inventava e quelle erano le più belle, perché le recitava e si muoveva per la stanza gesticolando e muovendosi come in una danza. È questa l’immagine che restò più a lungo nei loro cuori, quando a primavera le loro strade si separarono nuovamente. Biancospino e Rosmarino ripartirono verso un nuovo viaggio, sempre litigando, sempre azzuffandosi, ma ormai Vaniglia sapeva che quello era il loro modo di volersi bene. Ogni inverno tornavano e svernavano presso il castello di Marmorino, ormai arrivavano puntualmente allo stesso modo in cui erano giunti la prima volta, rotolando giù per la collina, perché le pietre del sentiero li facevano inciampare come per dispetto a ogni o, anche se cercavano di evitarle, iniziarono addirittura a pensare che fossero incantate, ma ciò accadeva solo con loro. Vaniglia e Dalia avevano imparato ormai a preparare sempre stracci e acqua per curare le ferite che si sarebbero procurati nella caduta e il re faceva sempre finta di volerli arrestare, ma dopo pochi minuti li abbracciava affettuosamente. Questa amicizia durò per sempre, Vaniglia aveva ricominciato a sorridere e non aveva smesso più, tutto grazie ai due cavalieri del sorriso, come chiamava lei i suoi migliori amici. Non desiderava altro che il loro bene e imparò che c’è sempre qualcosa per cui sorridere nella vita, ognuno trova la felicità in cose diverse, lei l’aveva trovata in loro, non c’era nulla che la rendesse più felice che stare con quei due mattacchioni. Questa è la vera amicizia: stare con gli amici e vedere solo loro, desiderare per loro solo il meglio che il mondo può offrire ed essere convinti che con loro nulla di brutto potrà mai accadere, sono i nostri angeli custodi.
Sottoguda, 30 dicembre 2011
Cara bisnonna, anche oggi ho fatto un bel viaggetto fino a Barcellona, avevo già chiesto aiuto a Frau Christabel, perché mi mettesse in contatto con Bruja Dulcinia, ci siamo messe d’accordo per trovarci all’entrata della Sagrada Familia, sotto all’entrata
con il viso di Cristo, che ci osserva in qualunque punto noi ci troviamo. Piacerebbe anche a te questa chiesa così particolare. È una struttura non ancora terminata, perché la sua costruzione dipende dalle offerte dei fedeli. Quando si entra, sembra di eggiare in una foresta, è davvero magica, è uno dei tanti progetti di Gaudì, ma in fondo, in tutta la città si può sentire la sua presenza. Dulcinia è una guardiana davvero curiosa, è una donna fantastica, mi ha portato sulla Rambla, c’erano gli stand dei venditori di fiori, che erano una presenza davvero meravigliosa, anche se fa freddo hanno sempre qualcosa di speciale da mostrare ai anti. Siamo poi arrivate fino al porto, dove mi ha offerto chocolate y churros, che è un dolce tipico spagnolo, davvero delizioso e adatto al periodo invernale, anche se si può assaporare tutto l’anno. Avrei voluto assaggiare anche tapas e paella, ma dovevo tornare a casa e avrei dovuto pranzare. Bruja Dulcinia mi ha insegnato alcuni incantesimi e mi ha parlato più in particolare dell’associazione di streghe cattive anti-fantasia. Mi sto preoccupando sempre di più, ma non mi farò influenzare nella mia decisione finale da tutto questo. Tornata a casa ho sentito Edvige per domani, alla fine ceneremo a casa sua e poi l’ho praticamente pregata in ginocchio di andare insieme a trovare le vecchie compagne del collegio, anche per festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo. Oggi ho anche deciso di affrontare un argomento un po’ delicato per me, come ben sai, quello dell’amore, in particolare ho deciso di trascrivere il tuo racconto C’erano una volta Odio e Amore. Credo fermamente che esistano molti tipi differenti d’amore e che le forme più pure e più magiche siano quelle dell’amore fra genitori e figli e l’amore, l’affetto fra amici. Trovo limitante parlare dell’amore per antonomasia, quello a cui pensano subito tutti, quello fra due sconosciuti, che li colpisce come un fulmine a ciel sereno. Sono stata innamorata per molto tempo dello stesso ragazzo, ma accorgendomi che questo amore era impossibile ho cercato di aprirmi verso nuovi orizzonti, purtroppo non ho avuto molta fortuna, anche perché so bene come dev’essere il ragazzo che può farmi innamorare. Deve essere poliedrico, deve rendere ogni giorno speciale, deve sapermi sorprendere e dopo ciò che ho vissuto quest’anno deve amare la natura, deve rispettarla, deve apprezzare i voli pindarici, ma soprattutto deve saper rispettare le donne. Ho scoperto di essere una femminista, nonna, non me l’aspettavo, credevo di essere una di quelle ragazze che hanno bisogno di essere salvate dal principe azzurro, ma non lo sono. Quest’anno ho avuto una storiella di un mese e mezzo con un ragazzo, che avevo conosciuto da pochissimo tempo. All’inizio mi sembrava tutto bellissimo,
mi trattava bene, sembrava che fossimo entrambi innamorati, ma non lo conoscevo davvero. A poco, a poco si è rivelato per quello che era, purtroppo rappresentava tutto ciò che io non riesco ad apprezzare. Amava sì la natura, ma per fare bracconaggio, rispettava le donne, ma solo se erano pronte a dargli dei figli e a essere donne senza alcun sogno per il futuro e senza spina dorsale. Non dovevano ambire a una vita splendida, ma a un tenore di vita medio-basso, non credo che i soldi facciano la felicità, ma credo che per mantenere i figli in maniera adeguata si debbano avere almeno le spalle ben coperte. Nonna, io non ce l’ho fatta, la scintilla si è spenta al suo primo tentativo di rendere più seria la cosa, mi ha spaventata, continuava a chiedermi quando avrei finito con l’università per stare sempre con lui, seppur io gli avessi chiaramente spiegato che volevo laurearmi sia alla triennale, sia alla specialistica e che avrei voluto trovare un lavoro degno per il livello che avrei raggiunto e non sarei mai andata a lavorare con lui, dopo aver studiato tanto, ma per lui l’istruzione non è mai stata una cosa importante, come la lettura. Nonna, mi dici come avrei potuto rispettare tutte queste aspettative? Avrei dovuto rinunciare a tutto il mio mondo, a tutto ciò che amavo. In quel mese e mezzo non ho più visto i miei amici, ero fuori dal mondo, ma soprattutto lui mi aveva tolto la mia fantasia, mi aveva tolto il desiderio di credere nella magia. Io ero e sono tutto il contrario di ciò che lui voleva da una ragazza. Amo la mia vita, amo i miei amici, amo i miei libri e amo la magia, lui mi aveva tolto tutto, non intenzionalmente, ma lo aveva fatto. Inizio a pensare che fosse uno stregone dell’Organizzazione, perché non ho mai conosciuto una persona così negativa e così fissata sulla realtà, negando la magia e la fantasia. Io ero abituata a persone positive, vitali, piene di idee, entusiaste della vita, non ce la facevo, non ero proprio adatta a lui, credo che un giorno troverà la sua ragazza ideale, ma quella persona non sono io. No di certo. Credo che in amore ci debba essere magia e fantasia, ho bisogno di sentirmi dire cose sempre diverse, sogno di avere vicino una persona allegra e vivace, fantasiosa, piena di immaginazione, orgogliosa di essere in vita, che mi sappia apprezzare, anche se ho così tanti difetti, ma che soprattutto sappia rispettare me e le altre donne. Sto cercando di capire come funzioni il mio secondo mondo e ho bisogno di tanta positività in questo momento, tanta, tanta positività. La magia c’era già in precedenza nella mia vita, ora ce n’è quasi troppa, ma è come l’acqua per il pesce e l’aria per il pettirosso, morirebbero senza. La magia è fondamentale, secondo me è fondamentale nella vita di tutti noi. Doroteo combatte la magia oscura in nome dell’amore, in questo caso nel tuo racconto c’è sia la magia positiva, sia quella negativa, ma io sostengo che la magia ci deve essere comunque, ci aiuta a vivacizzare le nostre vite, a rallegrare le nostre giornate. L’immaginazione ha lo stesso importante valore e per coloro che non hanno
poteri magici fa le veci della magia. Credo quindi che ci sia un pizzico di magia in tutti noi e vive in determinati momenti della nostra vita, quelli più speciali. Forse sto delirando, è davvero tardi, ci sentiamo presto, ora è meglio che io vada a dormire, ti voglio bene nonna, tua Rossana.
C’erano una volta Odio e Amore
C’era una volta, tanti anni fa una bellissima principessa dai capelli corvini e gli occhi nocciola, i suoi genitori la chiamarono Aria, nella speranza che da grande potesse essere libera come lo è l’aria nell’aurora, quando tutto tace e c’è quella leggerezza che ci fa sentire padroni di noi stessi, che ci fa credere di essere liberi, senza nessun legame, liberi di volare via, andare lontano, almeno con la testa. Era davvero una principessa bellissima, come mai se ne erano viste prima, era la più bella di tutti i regni vicini, questo attirò l’ammirazione di molte persone, ma anche l’astio di altre. Lì vicino infatti viveva una vecchia strega, che si manteneva giovane grazie a delle pozioni magiche, dopo aver convinto un giovane a sposarla ebbe da lui un figlio, lo trattò come un principino e desiderava che Aria un giorno lo sposasse. Il bimbo crebbe bello e forte, ma anche estremamente viziato e capace solo di criticare le altre persone senza pensare mai prima di parlare. Quando Aria ebbe raggiunto la maggiore età suo padre decise che la figlia doveva essere libera di scegliersi lo sposo che realmente amava e quando la strega le presentò suo figlio lei non ne volle sapere di sposarlo e suo padre la sostenne. La perfida maga allora si arrabbiò moltissimo e la condannò a un destino molto triste, ogni volta che lei si fosse innamorata di un giovane, questi sarebbe fuggito e nulla avrebbe potuto rompere questo incantesimo. Era un destino crudele quello che attendeva Aria, suo padre cercò allora altri maghi molto potenti, perché la aiutassero, ma nessuno riuscì mai a sciogliere quel perfido incanto. Un giorno ò di lì un giovane, il principe di un regno molto, molto lontano: era davvero un bel ragazzo, biondo, con gli occhi azzurri, azzurri come il cielo a primavera. Aria se ne innamorò subito, ma dopo poco lui
ripartì, proprio a causa dell’incantesimo. Il principe Doroteo era un giovane di buon cuore e anche lui era rimasto molto colpito da Aria, voleva rimanere, ma c’era come una forza invisibile che lo portava ad allontanarsi da lei. Decise di partire, forse così si sarebbe schiarito le idee. Aria da quel giorno fu sempre molto triste, non riusciva a pensare ad altro che a lui. Era davvero infelice, guardava sempre fuori dalla finestra con sguardo vacuo, sperava che Doroteo tornasse, ma allo stesso tempo non voleva illudersi troppo. Guardava sempre il ritratto che aveva fatto al giovane in un pomeriggio estivo sotto un bellissimo tiglio. Aria amava molto disegnare ed era molto creativa, ogni oggetto poteva diventare qualcosa di meraviglioso. Tutti erano stupiti dalle sue capacità e dalla sua bellezza e tutti erano dispiaciuti per il destino che le era riservato. La gente iniziò a protestare davanti alla casa della vecchia strega, che stanca per tutto quel rumore decise che avrebbe spezzato l’incantesimo solo se Aria avesse sposato suo figlio. La giovane principessa si trovava a quel punto davanti a un bivio: sposare un uomo che non amava per essere libera senza poterlo essere realmente, oppure essere destinata a restare sola per sempre con la speranza che Doroteo tornasse. Non sapeva davvero che fare, ma sposare quel giovane la faceva sentire male, aveva paura di vivere sempre nel rimpianto, ma allo stesso tempo anche di restare sola in eterno. Iniziò allora a dedicarsi agli altri, almeno vicino a lei avrebbe avuto qualcuno, ma in fondo al suo cuore le mancava molto quel principe da sogno che l’aveva fatta innamorare. Iniziò ad avere per amici gli animali del bosco e i bambini più piccoli le si avvicinavano, le chiedevano di raccontare delle storie e lei lo faceva davvero con piacere, prendeva da una scatola degli oggetti apparentemente normali e riusciva a trasformarli nei personaggi dei suoi racconti. Vederli sorridere era un bellissimo regalo per lei, anche se aveva sempre un fondo di amarezza, desiderava innamorarsi, trovare la serenità. Trascorsero i mesi e per il regno arono molti giovani, ma Aria pensava ancora a Doroteo. Il re decise allora di andare dalla strega, le chiese pietà, sua figlia si stava consumando a poco a poco, soffriva e lui non sopportava più di vederla star male. La perfida maga però non accettò di aiutarlo, il re la cacciò allora dal suo regno insieme al figlio, che nel frattempo aveva anche lui iniziato a praticare la
Magia Nera. Non voleva più avere nulla a che fare con la stregoneria, che nel suo regno divenne proibita. Doroteo nel frattempo aveva viaggiato a lungo, ma sentiva che aveva lasciato dietro di sé qualcosa di importante, o meglio qualcuno, sentiva di aver lasciato il suo cuore sotto a quel tiglio, ma non capiva cosa lo trattenesse dal tornare indietro, dal tornare da Aria. Si decise allora ad andare a far visita alla maga Brina, che abitava in cima alla montagna più alta del regno di Verdefoglia. La maga gli consigliò semplicemente di smetterla di pensare e di farsi guidare solamente dal cuore. Il suo consiglio era davvero all’apparenza molto semplice, ma era difficile, davvero difficile. Cuore e cervello ci guidano insieme lungo tutta la nostra vita, ma è impossibile scollegare uno dei due per lasciare all’altro la precedenza, non sapeva come fare. La maga Brina gli disse allora: “Doroteo, ragazzo mio, chiudi gli occhi, senti il vento che muove le foglie? Con gli occhi aperti lo sentiresti solo con il cervello, solo razionalmente, ma se chiudi gli occhi lo senti anche con il cuore, senti le sensazioni che trasporta dentro di te, senti un’eterea tranquillità. Questa è la magia più grande, nessuno può impedirti di provare queste sensazioni! Ora chiudi gli occhi, pensa all’amore in generale. Se ti viene subito in mente Aria segui le sensazioni che ti salgono al cervello, segui ciò che dice il tuo cuore. Aria è stata vittima di un perfido incantesimo, ma se il vostro amore è sincero allora l’incantesimo sarà sconfitto. Doroteo, pensaci bene: non è forse l’amore l’incantesimo più potente e più inspiegabile? Ha una forza mistica enorme, non c’è nulla di uguale all’amore, non c’è nulla che abbia la stessa forza, che allo stesso tempo rivoluziona e rende meravigliosa la vita delle persone. Ora vai e segui la via che ti indica il cuore”. Doroteo ripartì subito verso il regno di Aria, sentiva che quella era la strada che voleva davvero percorrere. Lo raggiunse in pochi giorni, il problema ora era ritrovare la bella principessa, il primo luogo che gli venne in mente fu il tiglio, sotto al quale si erano seduti prima che l’incantesimo fe effetto. Arrivò velocemente al giardino dove c’era quel meraviglioso albero, la trovò lì sotto, mentre stava disegnando un nuovo quadro, era un meraviglioso paesaggio, con al centro il tiglio. Le si avvicinò, ma non fece in tempo neppure ad abbracciarla che Mefi, il figlio della strega cattiva, li raggiunse: “Se io non posso averla, neppure tu l’avrai!” E così dicendo le scagliò contro un maleficio letale, ma Doroteo si pose con lo
scudo fra il mago malvagio e la sua bella, parte dell’incantesimo si riflesse sullo scudo e si schiantò sul muro che circondava il giardino, creando una crepa. Una parte però colpì il giovane principe, che cadde a terra. Il mago venne arrestato e imprigionato, Aria iniziò a piangere, stringendo fra le braccia il corpo di Doroteo. Sentendo il suono delle lacrime della povera principessa, la maga Brina giunse a vedere cosa stesse accadendo, quando vide la scena disse subito ad Aria: “Mia cara, tu hai dimenticato una cosa fondamentale: l’amore è la forza più grande nel nostro mondo, è l’incantesimo più grande!” Aria non sapeva cosa fare, lo abbracciò semplicemente, in quel momento le sue lacrime toccarono il viso di Doroteo e lui si risvegliò magicamente. La prima cosa che il giovane fece fu baciarla dolcemente, poi rimasero abbracciati a lungo sotto il loro tiglio. La maga Brina benedì allora quell’amore con petali di rose bianche e rosse. Il re accettò gioiosamente Doroteo come un figlio e benedì anche lui quell’amore che aveva fatto tornare il sorriso sul viso di sua figlia. I due si sposarono presto, ebbero anche vari figli, che godettero delle meravigliose favole inventate dalla mamma, mentre il papà per farli addormentare, non riuscendo a inventarle, raccontava loro sempre la stessa storia, quella di una principessa meravigliosa e di un principe coraggioso che avevano scoperto la grande forza dell’amore e la concludeva dicendo: “Figli miei, ricordate sempre che il male avrà in eterno un antagonista più forte di lui: l’amore. L’amore è la cosa più potente che esista e nessuno può cancellarlo, perché finché c’è vita c’è amore e finché c’è amore il male soccomberà sempre”.
Sottoguda, 31 dicembre 2011
Cara bisnonna, oggi sono stata da Ms Edwina, si è messa in contatto con me ieri sera e mi ha chiesto di andare da lei a Londra. Ms Edwina è la presidentessa del Consiglio delle streghe dei sogni, è una donna davvero molto seria, ma è anche molto simpatica. Mi ha fatto piacere fare quattro chiacchiere con lei, mi ha anche portato al museo di Madame Tussauds, era una vita che volevo andarci e poi mi ha fatto il regalo più grande, mi ha accompagnata fino a Salisbury, dove ero stata
in viaggio studio in seconda liceo. Ms Edwina ha detto che le faceva davvero piacere fare un giro fin lì, fino alla grande cattedrale gotica. Per fortuna che esiste il teletrasporto! Mi ha donato anche un libro di incantesimi, così che io possa allenarmi e combinare sempre meno guai. È un volume davvero unico, ha la costola verde scuro, come la copertina, che riporta l’immagine di una stella alpina in mezzo a del vischio. Ms Edwina mi ha detto di cercarne il significato, in questo modo avrei capito qualcosa in più sulla vita, così mi sono fiondata su internet appena arrivata a casa e ho scoperto che la stella alpina simboleggia il coraggio, mentre il vischio il superamento delle difficoltà e la vittoria. Ha davvero un bel significato e credo che farò mia questa lezione. Verso le tre ho iniziato la preparazione per questa sera, credo che porterò con me il libro degli incantesimi, non credo sia una buona idea lasciarlo a casa, dove la mamma potrebbe trovarlo in qualsiasi momento. Per fortuna ho trovato un incantesimo di rimpicciolimento. Comunque, prima di andare, trascriverò un’altra delle tue storie, per l’ultimo dell’anno ho scelto Ora che siamo lontane. L’ho fatto per chiudere in parte un cerchio e per parlarti di altre amiche, che emergono dal mio ato: sono le ragazze che sono state in collegio con me. Sono tutte delle giovani meravigliose, con una vitalità non indifferente. Con loro ho trascorso i cinque anni migliori e peggiori della mia vita. Peggiori, perché è stata dura stare in collegio cinque anni, non è affatto facile, infatti le suore che lo gestiscono pensavano anche alla nostra educazione e pretendevano molto, a volte più dei genitori, ma sono stati anche i migliori, perché lì dentro nascono le amicizie più strette e durature che una persona possa avere in vita propria. Ci si aiuta a sopravvivere, nascono delle tacite alleanze fra compagne, come se ci fosse una sorellanza segreta, fondata fra le mura di quell’edificio. Ora che sono lontana da loro, capisco cosa significassero per me, sono entrate nella mia vita come un uragano e ora non escono più dalla mia testa, non a giorno senza che io pensi a loro almeno una volta. La prima notte in appartamento mi sono mancate moltissimo, avevo finalmente una camera tutta per me, ma era così vuota, così fredda, senza aver loro tutte intorno. In collegio dormivamo tutte insieme in una grande camerata stile militare, dovevamo gestirci quattro docce e otto lavandini in ventotto, è stata dura, ma è stato anche molto bello. Sono stati gli anni più belli della mia vita. In qualsiasi momento io fossi giù di morale, loro c’erano, ogni volta che avevo bisogno di conforto loro c’erano e se anche io non avevo bisogno d’aiuto loro c’erano comunque, sono
state la mia fortezza, il mio rifugio, per tutti questi anni. Fra di noi sono nati dei legami fortissimi, infatti lì dentro o si diventa sorelle, amandosi, o ci si odia fino alla morte. Eravamo divise in tre gruppi da venti ragazze ciascuno, ora invece ci sono solo due gruppi e le ragazze dormono in camerette da tre e quattro, ma almeno non sono sole, come me, mi sento davvero isolata in quella stanza, così l’ho ricoperta da cima a fondo di foto delle mie amiche e di luoghi che ho visitato in ato. Ogni gruppo aveva una suora responsabile, la nostra era piuttosto anziana, era severa, ma alla fine ci eravamo molto affezionate a lei. In collegio ho imparato a controllare un po’ di più il mio carattere irruento, sai bene che mi arrabbiavo facilmente, invece lì ho imparato a riflettere prima di parlare. È stata davvero una bella esperienza, i momenti migliori erano il pranzo e la sera. Pranzo e cena, perché mangiavamo tutte insieme in refettorio ed era sempre una festa, la sera invece era bella, perché era in quel momento della giornata che tutte ci rilassavamo e ci lasciavamo andare a giochi e musica. Io ero una delle maggiori vittime delle sessioni di solletico assassino, puntualmente finivo per terra, scalciando come una tartaruga che è finita con la pancia in su e non riesce più a girarsi sulle zampe, poi giocavamo a pallarenna, una nostra invenzione; era una specie di pallavolo, ma senza rete e con un peluche di una renna a forma di palla al posto del pallone. A volte ideavamo delle scenette, che provocavano grandi risate e non erano sempre approvate dalla suora, che cercava di mantenere l’ordine. I momenti più magici restano però quelli in cui stavamo tutte attorno al letto di Maggie, che sapeva suonare la chitarra, e cantavamo tutte insieme. Quei cinque anni mi sono rimasti nel cuore e non ci sarà nulla che potrà eliminarli dai miei ricordi. Ho davvero adorato quelle ragazze, le mie ragazze, le più grandi ci aiutavano a crescere, le più piccole riempivano le nostre giornate con i loro sorrisi e la loro gioia. Quando sono arrivata in quinta ero felice di andare via, ma con l’arrivo di settembre si è impossessata di me una grande malinconia; ancora oggi mi mancano tanto le mie fanciulle, per questo ogni tanto vado a trovarle, sperando che faccia loro piacere. Questa sera spero di vederle, mi piacerebbe celebrare l’inizio dell’anno nuovo con loro, sono i miei tesori e non potrei chiedere di meglio. Sarebbe meraviglioso, davvero. Ora vado, nonna, ti scriverò presto, ti voglio bene, tua Rossana.
Ora che siamo lontane
C’era una volta, molti anni fa, un castello caduto in disuso. L’imperatore decise che quel maniero sarebbe stato trasformato in collegio e affidato alla guida di alcune suore, tutte le figlie dei re, che avessero voluto essere istruite, sarebbero potute andare a vivere lì per cinque anni, dai 14 ai 19 anni. Uscite da lì sarebbero state pronte per prendere marito, per essere delle buone mogli e per saper governare al meglio un castello. Con gli anni nacquero molte leggende su quel luogo incantato, molte riguardavano i fantasmi dei vecchi abitanti, altre stanze del collegio che non andavano mai visitate, come la soffitta, altre ancora riguardavano le amicizie che si formavano. Molti anni fa fui anche io abitante di quell’edificio e mi fu raccontata la storia della principessa di Val Fredda, ritengo che sia una storia degna di nota e per questo ve la racconto. Brina, così si chiamava la principessa di Val Fredda, era una giovane dai capelli dorati, aveva pelle bianca di perla e occhi chiari, come i cieli sereni invernali. Il padre era molto orgoglioso della figlia, ma desiderava che le venisse data anche una buona educazione, poiché un giorno avrebbe dovuto sposare il principe di Val Buia. Brina non era per nulla felice di quella scelta, perché Bat, il suo promesso sposo, aveva fama di essere un giovane maleducato, privo di ogni scrupolo e malvagio. Il giovane frequentava in quel periodo l’accademia per cavalieri, che si trovava a poche leghe dal collegio delle giovani principesse. Ovviamente, chi frequentava le due istituzioni, non erano solamente eredi al trono, ma anche la progenie dei consiglieri dei re, i figli dei ricchi commercianti e gli eredi dei vassalli. Brina non era molto felice di quella nuova sistemazione, era abituata a stare sola e trovarsi di colpo a dover vivere con altre sessanta ragazze, le creava qualche problema. All’inizio infatti dimostrò tutto il suo caratteraccio, ma dopo alcuni mesi imparò come si conviveva e con il are degli anni aveva accumulato un tal numero di sorelle, da far invidia alla famiglia più numerosa. Erano molte le ragazze che avevano ato quelle porte e molte le erano state accanto nei momenti più tristi. Ogni anno le suore organizzavano un gran ballo, al quale erano invitati tutti i
giovani cavalieri, di modo che i promessi sposi potessero conoscersi meglio, prima che il matrimonio deciso alla loro nascita avesse luogo. Era proprio grazie a quei balli, che Brina conobbe la vera essenza di quel malvagio giovane che era Bat. Il ragazzo picchiava tutti quelli che osavano avvicinarsi a lei, anche se erano a tre metri di distanza e figurarsi cosa faceva se la invitavano a danzare! Diventava tutto rosso, iniziava a grugnire e a emettere altri suoni molto strani. Tutti lo temevano e provavano grande pietà per la giovane principessa. L’ultimo anno in cui Brina frequentò il collegio, all’accademia giunse un giovane, figlio del consigliere del re di Val Fredda. Il ragazzo si era appena trasferito dall’accademia della valle per poter terminare i propri studi in una scuola più rinomata. Il giovane Artemisio era un ragazzo molto coraggioso, aveva imparato dal padre a essere giusto, pacato, a rispettare le leggi e come comportarsi di fronte alle fanciulle. Brina e Artemisio erano grandi amici, fin da quando il re aveva scelto il padre del ragazzo come consigliere. Avevano spesso giocato insieme, poi erano cresciuti e si erano persi un po’ di vista, mantenendo i contatti tramite lunghe lettere. L’ultimo anno trascorse tranquillo, Brina conobbe tre nuove giovani amiche: Floh, Emilia e Ginevra, erano tre ragazze molto a modo, molto dolci, che riempivano le sue giornate e le impedivano per qualche momento di pensare a ciò che l’aspettava, a un matrimonio che puzzava già di disastro imminente. A sostenerla vi era anche la giovane Ninfea, che tutte chiamavano Ninì. Brina si sentiva molto fortunata ad avere delle amiche come loro, non si sentiva mai sola e la maggior parte delle volte sembrava lei la più piccola e le altre le più mature. Le rincorreva per abbracciarle e loro fuggivano spaventate, ma pur sempre ridendo, era come un rito sacro, come una danza dell’allegria. Purtroppo per lei giunse anche l’ultimo ballo di fine anno, Brina sapeva che l’inverno seguente avrebbe dovuto sposare Bat e il dolore che le arrecava tale certezza era incommensurabile. Decise allora che non si sarebbe fatta rovinare il suo ultimo ballo da quel giovane maleducato, decise che voleva danzare e non solo con le ragazze, questa volta voleva ballare anche con i giovani cavalieri. Infatti Bat glielo aveva sempre impedito, quel giovane era troppo geloso, meritava una lezione. Si era anche accorta che tendeva a volerle dare degli ordini e se lei non ubbidiva subito si infuriava, inoltre prendeva in giro il collegio, perché secondo lui le donne non andavano istruite. Brina aveva cercato più volte di parlarne con suo padre, ma il re aveva sempre concluso il loro colloquio dicendo che una promessa era una promessa e che lei avrebbe dovuto sposarlo
comunque, anche se era un malefico maschilista narcisista. Brina non ci stava a rispettare tutte le regole e tutti i paletti che il suo futuro sposo le aveva imposto, così decise che quella sera avrebbe danzato, che sarebbe stata con le sue amiche e che non lo avrebbe degnato nemmeno di uno sguardo. La giovane principessa si vestì con l’abito che le aveva donato suo padre per quell’occasione. Era un abito dal corpetto stretto, che in vita si apriva in una gonna morbida e vaporosa di colore blu scuro. Lasciò i capelli sciolti sulle spalle e non volle indossare nessuna tiara, quella sera voleva dimostrare che tutti erano uguali e che la sorellanza era la cosa migliore che una giovane principessa potesse desiderare di avere nella sua vita. Vedendola arrivare con i capelli sciolti e senza i gioielli, che lui le aveva donato, Bat iniziò già ad arrabbiarsi: “Tu piccola ingrata, come ti permetti di presentarti così a un ballo? Dove sono i gioielli che ti ho donato? Dov’è la tiara? E poi come osi portare i capelli sciolti e una tale scollatura nell’abito, quando fra meno di sei mesi saremo sposati? Vergognati!” Bat commise però il fatale errore di gridare a pieni polmoni quelle parole, le suore giunsero subito in difesa della giovane: “Principe di Val Buia, la preghiamo di non rivolgersi così alla principessa di Val Fredda. L’abito le è stato donato dal padre, il re, quindi questa critica dovrebbe rivolgerla al suo futuro suocero e per quanto riguarda i gioielli, noi preferiamo che le ragazze si sentano tutte le une uguali alle altre, per questo Brina ha deciso di non indossarli e noi appoggiamo appieno la sua scelta”. “Suor Gioia, la prego, così lo farà solo infuriare maggiormente e corre il rischio che la sua ira colpisca anche lei.” “Non importa, principessa, il giovane qui presente non deve aver studiato abbastanza le buone maniere.” Bat era sempre più infuriato, ma non osò proferire altra parola contro Brina, o per lo meno non lo fece più a voce alta. Continuò comunque a seguirla come un’ombra alle spalle. Fu quando lei si avvicinò agli altri cavalieri, che ricominciò a brontolare. I ragazzi erano intimoriti dalla presenza di Bat, ma Brina era così gentile, che una parola con lei la scambiavano volentieri. Dopo pochi minuti Floh, Ninì e le altre chiamarono il principe di Val Buia, invitandolo a prendere una boccata d’aria con loro, ma invece di uscire con lui, lo chio
semplicemente in cortile, così che non avesse più modo di importunare la giovane principessa e le lasciasse vivere almeno per una sera il sogno di essere libera. Libera di fare ciò che più desiderava, libera di parlare con chi voleva lei, ma soprattutto libera di ballare anche con i cavalieri. Erano piccole libertà, ma così importanti per lei. I ragazzi si sentirono subito più liberi di invitarla, soprattutto poté finalmente essere invitata da Artemisio: “Finalmente mi posso avvicinare a lei, principessa. Lo avrei fatto anche prima, ma i miei compagni mi hanno trattenuto. Concedetemelo, vossignoria: quel giovane non è proprio adatto a voi”. “Artemisio, ti prego, non darmi del lei, ti conosco da quando non riuscivi ancora a tenere in mano una spada.” “Non rivelare queste cose davanti a tutti, Bribri, sai benissimo che tutti credono che io sia nato brandendo una spada.” “Artemisio, preferirei che ti dedicassi maggiormente allo studio delle relazioni internazionali e della legislazione, piuttosto che all’arte della guerra, non vorrei mai che ti accadesse qualcosa di brutto.” “Lo so, so che pensi che non sia abbastanza forte, ma in questi anni sono cambiato molto, sono diventato molto più forte di quanto credi. Dai, ora vieni a ballare un po’ con me. Sono ancora capace, sai?” “Non ho mai detto il contrario, so bene che sei il miglior ballerino di tutto l’impero.” “Così mi metti in imbarazzo, però.” I due amici risero felici insieme, solo Bat stava già pensando alla sua vendetta. Come si permetteva quel senza titolo di portargli via la fidanzata? Perché stavano ridendo? Lo stavano forse deridendo? Maledisse più e più volte quelle fanciulle impudenti, che lo avevano chiuso fuori, se fossero mai diventate sue suddite le avrebbe imprigionate per impudenza verso la corona. Nessuno poteva prendere in giro il grande Bat, senza subirne le conseguenze. Alla fine della serata, quando finalmente fu libero, andò dritto da Brina, la prese per un braccio e la trascinò via. La portò a Val Fredda e chiese subito udienza al re.
Quando il sovrano vide lì la figlia si preoccupò subito: “Brina, ti senti bene? Come mai sei qui?” “È qui perché è un’impudente. Ha ballato tutta sera con il vostro giovane servitore, senza degnarmi di uno sguardo in tutta la sera, inoltre non ha indossato nemmeno i gioielli che le ho donato. E voi, sire, cosa pensavate di fare donandole un abito tanto scollato? Quando mio padre lo verrà a sapere, non ne sarà per nulla felice, ve lo posso garantire. Ora voglio, anzi pretendo, che voi la teniate chiusa a chiave nelle sue stanze, senza che possa ricevere visite fino al giorno del matrimonio, che avverrà il 25 dicembre.” “Come puoi chiedermi questo?” “Posso eccome, altrimenti farò in modo che mio padre vi dichiari guerra. O vostra figlia, o la guerra. E un’altra cosa: non potrà neppure ricevere lettere che non siano approvate da me. Arrivederci.” Bat uscì trionfalmente dal castello, mentre dietro di sé aveva lasciato dolore e vuoto. Brina si rivolse subito al sovrano: “Padre mio, io vi giuro che ho solo danzato con Artemisio, era molto che non lo vedevo, è un amico e io gli voglio molto bene, ma so bene che è il figlio del vostro consigliere, è solo un amico. Padre, non voglio che gli accada nulla di male a causa di quel brutto ceffo. Padre mio, come avete fatto a consegnarmi nelle sue mani?” “Brina, le ragioni di Stato superano quelle di cuore. Capisco che tu non volessi far nient’altro che ballare con Artemisio, ma non dovevi farlo, soprattutto se sapevi che avrebbe tanto infastidito Bat. Non voglio più sentire una parola uscire dalla tua bocca, mi sono sentito totalmente umiliato da un piccolo moscerino che crede di aver imparato già tutto dalla vita. Ora vai nelle tue stanze, non ne uscirai per nessun motivo e non riceverai né visite, né lettere fino al 25 dicembre. Mi hai molto deluso.” “Ma padre…” “Niente ma, Bribri, ora vai.” L’aveva chiamata Bribri, quindi non doveva essere così arrabbiato, forse voleva solo evitare che orecchie indiscrete sentissero ciò che pensava realmente. Il re
aveva avuto ragione a comportarsi così, infatti Bat era rimasto in ascolto fuori dalla porta. Dal mattino dopo la vita di Brina cambiò radicalmente e sapeva che sarebbe stato solo un assaggio di quello che avrebbe dovuto subire dopo le nozze. Aveva sentito molte voci parlare basso e fitto fuori dalla porta della sua stanza, ma a nessuno fu permesso di entrare; Bat impose anche la presenza di una sua guardia all’esterno di tale porta, per assicurarsi che nessuno entrasse senza il suo consenso, lui stesso si trasferì nella torre nord del castello. Nei mesi che seguirono Brina poté parlare a malapena con la madre e il padre, riceveva sovente le visite di Bat, ma era lui a parlare per la maggior parte del tempo, mentre lei doveva solo stare ad ascoltarlo e se solo osava proferire parola, veniva sempre zittita da un commento caustico sulla stupidità che affliggeva tutte le donne. Brina aveva anche smesso di mangiare, infatti la presenza di Bat si era imposta anche in cucina. Lui desiderava che la sua futura sposa avesse il vitino di una vespa e per questo aveva richiesto che la principessa fosse sottoposta a una rigida dieta. Dopo aver udito tale notizia, Brina si sentì tanto umiliata da smettere di mangiare. Il padre iniziò a preoccuparsi davvero per la salute della figlia e così chiamò un medico, ma Bat non voleva lasciarlo entrare, poiché la principessa stava giungendo ad assumere la forma fisica che lui desiderava. A questo punto il re si infuriò davvero e chiese l’allontanamento immediato del principe dal suo castello. Mancavano solo pochi giorni alle nozze e lui non voleva che il giovane vedesse la figlia. Bat accettò: in fondo, dopo il matrimonio, Brina sarebbe stata sua proprietà privata e avrebbe potuto farne ciò che più voleva. Il medico visitò Brina, ma sembrava che la ragazza non avesse nulla, se non si considera il fatto che aveva perso tutta la sua vitalità. Il re decise allora di fare un regalo anticipato alla figlia, chiamò tutte le sue amiche più care e Artemisio, perché assero quei pochi giorni insieme. La lontananza da loro aveva distrutto la principessa e forse si sarebbe rimessa un po’ rivedendoli. La sorpresa più grande e meno gradita l’ebbero però loro, entrando nelle stanze non videro più la loro vecchia compagna d’avventura, ma una donna sola, magrissima, dal viso smunto. Quei mesi lontana dai suoi amici, dai suoi tesori inestimabili, l’avevano trasformata in un cadavere. Le ragazze erano terrorizzate da quella visione. Dov’era l’amica che le rincorreva per abbracciarle, dov’era quella ragazza piena di vita e piena di giochi nuovi da fare insieme? Dov’era
l’anima della festa? Artemisio tremava per la rabbia, Bat aveva superato qualsiasi limite, come si era permesso di ridurre così un essere vivente, con che coraggio l’aveva ridotta in quello stato? Floh le si avvicinò e l’abbracciò, aveva quasi paura di romperla tanto era magra. “Bri, come stai?” “Non c’è neanche un fiocco di neve fuori, neanche uno.” “Bri, cosa sta succedendo?” “Non sembra nemmeno Natale, Floh, non sarà mai più Natale.” “Non dire così, Bri, combatti, rivoltati contro di lui!” “Floh, non posso, c’è di mezzo il bene del regno, non posso rischiare che scoppi una guerra, sareste tutti in pericolo!” “Vi difenderei io!” disse una voce da dietro le spalle di Floh. “Oh Artemisio, so bene che lo faresti, ma se tu dovessi morire soffrirei ancor più, preferisco sacrificare la mia libertà, piuttosto che le vostre vite!” “Io lo uccido, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia, ma giuro che Bat non vivrà ancora a lungo. Ti ha ridotta in uno stato pietoso.” “In realtà è solo in parte colpa sua, sai bene quanto io odi le carote e le mele cotte. Ebbene, negli ultimi mesi mi faceva portare solo quelle e solo ultimamente le ho mangiate, le odio davvero.” “Oh, Bribri, ma perché sei così ostinata?” “Artemisio, la morte piuttosto che le mele cotte!” Risero tutti, in fondo Brina non aveva perso tutto il suo carattere, era sempre lei. Chiacchierarono ancora un po’ insieme, iniziavano a capire le ragioni che l’avevano portata ad acconsentire a sposare quell’essere malvagio, ma ciò non vuol dire che le accettassero, la sorellanza doveva intervenire. Uscite dal castello, le ragazze iniziarono a organizzare un piano per sabotare il
matrimonio. Innanzitutto chiamarono a raccolta le sorelle, che avevano conosciuto Brina, tutte furono ben disposte ad aiutarla nel momento del bisogno, infatti erano tutte contrarie a quelle nozze, a nessuno piaceva l’idea che Bat diventasse re di Val Fredda. Erano state tutte invitate al matrimonio, anche se il giovane principe era contrario non poté opporsi, infatti era stato il re in persona a volere fortemente la loro partecipazione. Le giovani coinvolsero anche Artemisio, che si doveva occupare della sicurezza alle nozze reali. Il 25 dicembre giunse fin troppo velocemente, quel mattino Brina indossò l’abito da sposa, che la ricopriva totalmente, non c’erano né ricami, né pizzi, le sembrava di indossare un sacco di iuta bianco. Bat aveva anche richiesto che indossasse anche un velo, dal quale riusciva a malapena a vedere dove metteva i piedi. La principessa fu poi portata in una sala vicina alla chiesa, lì avrebbe aspettato di poter entrare. Le si avvicinò una figura maschile, solo dopo aver sentito la voce capì che era Artemisio: “Bribri, quando ti faranno la domanda se vuoi prenderlo come tuo marito, devi svenire, la sorellanza è qui per salvare il regno. Ti prego, svieni, fallo per noi, per il tuo popolo. Vedrai che andrà tutto bene”. “Artemisio, non posso.” “Sì, che puoi, fallo e renderai libero anche il regno da questa minaccia.” “Giurami che andrà tutto bene.” “Te lo giuro.” Le diede un veloce buffetto sulla guancia e tornò al suo posto, prima che qualcuno potesse vederlo. Dopo pochi minuti arrivò il re, la prese sottobraccio e l’accompagnò verso il suo destino. Bat aveva richiesto decorazioni grigie e nere, come lo stemma del suo regno, sembrava più un funerale che un matrimonio. Avanzando lungo la navata, Brina sentì chiaramente un fischiettio sommesso, troppo basso perché altri lo udissero, era coperto dalla musica, solo lei poteva percepirlo, era il richiamo della sorellanza, erano le ragazze arrivate a salvarla. Fischiare aveva procurato loro parecchi guai con le suore, che sostenevano fosse un’attività prettamente maschile, ma più le sgridavano, più loro si divertivano, così era diventato il loro richiamo. Brina arrivò più serena all’altare, lasciò andare avanti la cerimonia
tranquillamente, ma quando venne il momento della promessa, lei svenne. Bat si infuriò, la scosse con forza, poi la rigettò a terra, facendole sbattere la testa sulla pietra fredda. Tutti erano orripilati dal suo atteggiamento, primo fra tutti l’imperatore, padre di Ninfea. “Svegliatela immediatamente! Dobbiamo sposarci! Devo avere un regno tutto mio da governare! Inutili donne, deboli, senza spina dorsale, buone solo per procreare!” “È qui che ti sbagli, Bat! La sorellanza si dichiara contraria a questo matrimonio. Padre mio, imperatore dei Sette Regni, ti prego, abbi pietà della principessa Brina e della Val Fredda. Il principe Bat non può diventare re, lo vedi come si è comportato con Brina? Non è adatto a governare saggiamente un regno, manca di saggezza, è troppo superbo ed egoista per essere un buon sovrano.” “Come ti permetti, principessina dei miei calzari, tu sei degna solo di baciare i miei stivali infangati! E ora svegliate questa piccola ingrata.” In quel momento Artemisio corse vicino a Brina, la sollevò piano e la portò verso la panca dell’imperatore. Il signore dei Sette Regni si scostò, perché il giovane potesse stendere la principessa su un luogo meno freddo e più morbido con dei cuscini. La principessa allora si risvegliò: “Imperatore, mi devo scusare con voi, sono svenuta appositamente, perché voi poteste vedere il vero carattere oscuro del principe Bat, il problema è che sbattendo la testa, poi sono svenuta realmente”. Risero tutti, compreso l’imperatore, ma la furia di Bat fu inarrestabile, distrusse con la spada l’altare e le due sedie per gli sposi, poi cercò di avventarsi anche su Brina, ma Artemisio fu più veloce di lui e lo disarmò, le guardie intervennero immediatamente e lo bloccarono con delle catene. “Principessa Brina, ciò che avete fatto non è eticamente giusto, ma capisco che non abbiate avuto altre possibilità, quindi vi perdonerò, anche perché credo che dietro a tutto questo ci sia la vostra sorellanza. Ragazze, uscite allo scoperto, vi ho sentite perfettamente prima, mentre fischiavate.” “Padre, vi prego, perdonateci.” “Certo che vi perdono, in fondo voi cercavate solo di difendere un’amica e un
regno. Ero cieco, credevo che voi giovani aveste bisogno di un compagno per regnare, forse mi sbagliavo. Credo ancora che sia importante per voi avere un uomo al vostro fianco sul trono, ma inizio a credere che entrambi debbano avere eguali poteri. Re Filippo, vi prego, accettate le mie più sentite scuse, ho sbagliato a chiedervi di far fidanzare vostra figlia con il principe Bat, dovrete scegliere insieme il miglior candidato a guidare il vostro regno dopo la vostra dipartita, ascoltate anche vostra figlia e io ascolterò più la mia.” “Vostra Maestà, cosa facciamo del giovane Bat?” “Sarà mandato in esilio, non voglio che una tale persona malvagia abiti il mio impero. Artemisio, avete dimostrato grande coraggio, mi farebbe davvero piacere se voi accettaste un piccolo regno da governare, non molto lontano da qui.” “Vostra Grazia è troppo buona.” “No, è giusto così.” In realtà le cose si conclo in maniera un po’ diversa. Artemisio sposò proprio Ninfea, la figlia dell’imperatore, con grande gioia di tutti gli abitanti dell’impero, perché, come aveva detto Brina, il giovane era molto più capace nelle questioni teoriche che in quelle pratiche. Brina trovò molto presto un compagno, un re, che sapeva rispettare le donne, che riconosceva le loro capacità e che non fu mai geloso di lei, anche se ballava con altri cavalieri ai balli organizzati dalla sorellanza, infatti Brina tornava sempre da lui per l’ultima danza, era anche lui un ottimo ballerino. La sorellanza difese sempre l’onore delle donne, soprattutto quello delle consorelle e nessun principe, cavaliere o uomo in genere osò opporsi a loro, perché unite erano davvero invincibili. Bisogna però dire che ciò che era davvero invincibile, infrangibile fra loro era l’amicizia, nessuno poté mai spezzarla, neppure piegarla un pochino. La lontananza le rendeva più forti, ma quando erano unite erano uno spettacolo meraviglioso. Questa è la storia di quel collegio, la sua magia: riesce a unire ragazze sconosciute, fino a farle diventare come sorelle, è la magia dell’amicizia.
Sottoguda, 1 gennaio 2012
Cara bisnonna, non hai idea di cosa sia successo ieri sera o forse lo sai già, ma io voglio raccontarti la mia versione. Verso le sette sono andata da Edvige per aiutarla con i preparativi per la festa, poi abbiamo cenato con Fanny e Floh e alla fine sono riuscita a convincerle ad andare a festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo con le altre compagne della sorellanza. Nel frattempo però Hannibal, il ragazzo di cui ti ho parlato un paio di giorni fa, il mio ex per capirci, mi ha mandato un SMS, chiedendomi di vederci per iniziare insieme l’anno nuovo, ovviamente non gli ho risposto, io volevo festeggiarlo con le mie amiche e con le persone che mi volevano bene davvero. Tutto sembrava finito lì, abbiamo preso la macchina e siamo partite, le abbiamo trovate quasi subito, fortunatamente vanno sempre nei soliti due o tre locali. è stata subito festa, ho sentito la gioia partirmi dal cervello e scaricarsi attraverso il corpo fino ai piedi, come una scossa, quando le ho viste. Mi donano nuova vita e mi sembra di essere un po’ come Frankenstein, che dorme finché il fulmine non lo colpisce. Comunque le ho abbracciate e ci siamo scatenate in mezzo alla pista. Hanno una gran fantasia, sai nonna, inventano sempre nuovi i, sarà per quello che amo così tanto stare con loro, inizio a entrare sempre più nell’ottica della guardiana. I problemi sono iniziati poco prima della mezzanotte, infatti è stato in quel momento che ho visto entrare nel locale Hannibal, non so come abbia fatto a trovarmi, ero andata a festeggiare in un’altra valle, sapeva che avevo amiche là, ma come aveva fatto? Il punto è che in quel momento stavo chiacchierando con Sir Green e Hannibal è sempre stato geloso di tutti i miei amici maschi, in più era convinto che fosse lui il ragazzo di cui ero stata innamorata prima di lui, perché aveva visto sue foto appese in camera mia. Così ho cercato di nascondermi e, quando è arrivata la mezzanotte, siamo usciti per vedere i fuochi d’artificio. Credevo di averlo seminato, ma mi sbagliavo, avevo appena fatto gli auguri a Sir Green e lui era ancora vicino a me, mentre Hannibal si avvicinava. In quel momento ho desiderato essere lontana da lì e così ho ripensato al pomeriggio ato a Londra e di colpo mi sono ritrovata sul London Eye insieme a Ian. Lui era sconvolto, non credeva ai suoi occhi, io non sapevo come fare a spiegargli ciò che era successo, non sapevo neanche io come avessi fatto a trasportarlo con me, poi ho visto che lo tenevo per mano,
probabilmente gliel’avevo stretta inconsciamente. Avrei voluto spiegargli tutto, ma in quel momento è apparso Hannibal fra di noi, ha tirato un pugno in piena faccia al mio povero migliore amico, che si è ritrovato steso a terra, poi si è girato verso di me. Solo allora ho capito quello che avevo sempre sospettato: Hannibal era uno stregone delle tenebre, un anti-fantasia. La cosa mi ha sconvolto talmente da non rendermi conto che lui stava per colpire anche me. In quel momento Sir Green lo ha colpito alle spalle e con una corda lo ha legato a uno dei pali interni della cabina. Per fortuna in quel momento non c’era nessuno che avrebbe potuto vedere la scena, infatti erano tutti di sotto a godersi i fuochi sparati dal Big Ben. Dopo essermi assicurata che fosse legato bene, ho preso di nuovo la mano di Ian e l’ho trasportato con me fino a Salisburgo, ho solo desiderato un posto tranquillo dove potergli parlare, così ci siamo ritrovati vicini al Museum der Moderne sul Mönchsberg. Questo è stato più o meno quello che ci siamo detti: “Cos’è successo? Dove siamo? Chi era quello?” “Ian, mi dispiace davvero molto. Ti risponderò subito, ma prima devo avvisare Ms Edwina.” “Chi è Ms Edwina? Rossana, cosa mi nascondi?” “Ian, Ms Edwina è la presidentessa del Consiglio delle streghe dei sogni. Io sono una delle guardiane della fantasia o perlomeno dovrei diventarlo per eredità. Ora siamo a Salisburgo, prima eravamo a Londra, temo di aver desiderato fuggire dal bar dove stavamo festeggiando con gli altri, a causa del soggetto della tua terza domanda. Il ragazzo che hai visto si chiama Hannibal, è con lui che ho avuto quella storia durante l’anno appena finito.” “Bel ragazzo ti eri trovata!” “Tutti possono sbagliare, ho abbassato la guardia e a quanto pare ho fatto male, credo faccia parte dell’Organizzazione malvagia, che vuole cancellare la fantasia dal nostro mondo e se ci riuscisse sparirebbero tutte le arti, compresa la musica.” “Tu sai che questa cosa è inverosimile.” “Lo so, ma mi devi credere, non ti mentirei mai.” “E di grazia, perché mi hai trasportato con te?”
“Avevo paura che ti fe del male.” “E perché avrebbe dovuto?” “Perché è convinto che io sia innamorata di te, Ian. Ho tante foto in camera, ce ne sono anche di tue e lui è convinto tu sia più di un amico, mi dispiace, non volevo che tu venissi a saperlo così.” “Che sei innamorata di me o che sei una strega guardiana?” “Non sono innamorata di te! Mi dispiace non averti detto prima che sono una strega.” “Lo sapevo, era per ironizzare un po’ su questa situazione incredibile. Mi ci abituerò.” “Io non mi sono ancora abituata, non so ancora usare bene i miei poteri e combino sempre qualche guaio.” “Lo vedo, ma non mi stupisce, sei sempre la solita pasticciona, dai, sorridi. Ora potresti farci tornare indietro? Credo che gli altri si preoccuperanno non vedendoci.” “Sì, scusami.” Così siamo tornati indietro, gli altri si sono accorti della nostra assenza, ma hanno pensato che fosse stata una fuga romantica, ci hanno presi un po’ in giro, sanno che è impossibile, che siamo solo buoni amici e poi abbiamo continuato a festeggiare, come se nulla fosse successo. Anche se mi sono resa conto che Sir Green continuava a fissarmi, come se io fossi un’altra persona. Questa mattina ho trovato una mail di Ms Edwina, in cui mi diceva di aver sistemato lei tutta la situazione e ora il Consiglio starà di certo interrogando Hannibal. Non sono ancora una guardiana e già hanno iniziato a perseguitarmi. Poi mi è arrivato anche un messaggio piuttosto ironico da parte di Sir Green: Alla mia streghetta preferita tanti tanti auguri per un felice anno nuovo pieno di magia. occhio al 5 gennaio, non vorrei che ti scambiassero per la befana. Sembra l’abbia presa bene, speriamo. Per fortuna avevo con me il libro degli incantesimi ieri sera, così ho trovato il modo di inviare un messaggio magico a
Ms Edwina, in modo che trovasse subito Hannibal. Dopo tutte queste emozioni vorrei solo riposarmi, per questo ho pensato di trascrivere un’altra delle tue storie, ho bisogno di capire, nonna, ho bisogno di ripetere un’altra delle tue lezioni, sperando che possa aiutarmi. Okay, lo ammetto, in realtà ho scelto È scomparso l’amore, perché ha una lezione più facile da capire e perché ho bisogno di confessarti una cosa, so che tu non mi giudicherai in maniera troppo negativa. Nella storia il figlio dello stregone malvagio, che ha fatto sparire l’amore, decide di aiutare l’amica, per cui prova un tenero affetto, sa che il padre finirà nei guai, ma spera che lui si penta per quello che ha fatto, così aiuta la ragazza a riportare l’amore nel regno. Il problema, nonna, è che io questo coraggio non l’ho mai avuto, in tutti questi anni non ho mai combattuto per l’amore, ho negato di essere innamorata, perché preferivo avere questa persona vicina come amico, avevo paura che, confessandogli la verità, lo avrei perso per sempre. Io gli voglio bene davvero e ho paura che mi allontani definitivamente e così anche ieri sera gli ho mentito, gli ho raccontato l’ennesima bugia. Ora devo andare a studiare, nonna; ieri sera me ne sono successe di tutti i colori, sono davvero stanca. La lezione di oggi è quella di avere maggior coraggio e di combattere per i propri sentimenti, l’ho imparata, ma non riesco ad applicarla, questo per oggi è davvero tutto, ti scrivo presto, ti voglio bene, tua Rossana.
È scomparso l’amore
C’era una volta tanti anni fa un re, che regnava su un regno molto felice e gioioso, in cui tutti sapevano cosa significasse la parola amare e questo era di certo un sentimento che non mancava nelle loro vite. Il sovrano aveva una moglie molto, molto bella, che in primavera aveva dato alla luce una bambina. Sembrava che nulla potesse andare storto, ma il male è infinito e arriva a insinuarsi anche nell’armonia più perfetta. Tutta questa serenità aveva infatti suscitato l’invidia di uno stregone che abitava lì vicino, non era cattivo, ma la
perdita di sua moglie lo aveva portato a odiare tutti coloro che amavano ed erano amati. Desiderava che nessuno potesse mai più provare quella sensazione di benessere totale. Accecato dal dolore aveva invaso il regno della Querciallegra, aveva rinchiuso il re Bartolomeus nelle segrete del castello con la moglie, mentre alla piccola Marie cancellò completamente la memoria e l’affidò alla famiglia del fabbro. Cancellò poi da quel regno l’amore, nessuno ricordava più cosa volesse dire quella parola, sapevano che era di certo una cosa bella, riuscivano comunque a essere felici, ma era come se fosse stato tolto loro qualcosa di fondamentale, qualcosa che rendeva davvero piena quella gioia, sentivano che c’era un vuoto. Lo stregone aveva anche un figlio, un bel bambino dai capelli ricci nero-corvino e gli occhi color nocciola, come quelli dei cerbiatti e proprio come quelli della sua povera defunta madre. Il ragazzo aveva il cuore buono, non conosceva l’odio del padre. Anche il mago era stato così un tempo e lo era anche allora, l’unico problema era che l’invidia e la rabbia lo avevano accecato. La piccola Marie crebbe sempre più bella, il fabbro e sua moglie le vollero bene come se fosse figlia loro, ma lei sentiva che non erano i suoi veri genitori, seppur loro non glielo avessero mai confidato. La casa di Febus si trovava poco distante dal castello, per questo, all’insaputa dello stregone, Marie e Robert avevano iniziato fin da fanciulli a giocare insieme, crescendo avevano stretto un forte legame di amicizia, si volevano bene e avrebbero sacrificato la propria vita, l’uno per l’altra, ma non riuscivano ad attribuire un nome a ciò che stava accadendo loro con il are degli anni. Avevano raggiunto ormai i diciotto anni di età quando decisero di fare un viaggio insieme, era molto che sognavano di vedere nuovi luoghi, ma ciò che li univa sembrava così sbagliato. Non dissero nulla ai loro genitori fino al giorno prima della partenza. Il fabbro non vedeva nulla di male nel fatto che i due ragazzi si frequentassero, ma era il re che non accettava questo rapporto e fece in modo di cacciare Marie dal regno. Così facendo non si rese però conto che la giovane, uscendo dai confini, avrebbe riscoperto cosa fosse l’amore. La principessa trovò rifugio presso un cugino di Febus, in un regno poco distante e qui visse per alcuni anni. Scoprì molte cose, conoscendo l’amore ricordò anche il suo ato. Il primo impatto con la realtà fu traumatico per lei, ma poi fu felice di aver capito cosa mancava nel suo cuore, con cosa riempire quel vuoto. Finalmente capì anche cosa provava realmente per Robert.
Ora, ciò che desiderava più al mondo era tornare nel suo regno, cercare i suoi genitori, liberarli, sconfiggere lo stregone e riprendersi la sua vita, ma ciò, lo sapeva, avrebbe ferito Robert, alla fine quel mago malvagio era suo padre. Non sapeva cosa fare, era arrivata a un bivio, ma alla fine decise che far tornare l’amore nel regno era per il bene di tutti, aveva messo i suoi sudditi davanti a ciò che provava, l’amore per Robert non era diminuito, ma sentiva che pensare solo a se stessa non era la cosa giusta da fare. Dopo aver salutato il cugino di Febus, che l’aveva ospitata, partì verso i confini del suo regno. ò attraverso i boschi fino al villaggio principale, il problema ora era come fare a far ricordare alla gente cosa fosse l’amore. Iniziò a radunare di nascosto gli abitanti nella foresta, cercò di spiegar loro cosa fosse l’amore, ma era difficile descrivere a parole quella sensazione di pienezza, di completezza a cui porta l’amore. Sapeva che però nel profondo dei loro cuori quel sentimento c’era ancora, ma non aveva idea di come fare a farlo riemergere. Capì allora che da sola non sarebbe mai riuscita a farcela, decise quindi di chiedere aiuto a Robert. Lo aspettò nella foresta, poiché sapeva che sarebbe ato di là per la sua eggiata quotidiana, le avevano detto che, dal giorno in cui era partita, lui aveva continuato a sperare di poterla rincontrare un giorno, se avesse mantenuto le sue abitudini. E per fortuna che le aveva mantenute! Marie lo riconobbe immediatamente, lo prese da parte tirandolo per il mantello e lo portò in un anfratto lì vicino. Anche Robert la riconobbe, la strinse a sé, ma lei si liberò da quell’abbraccio, seppur con renitenza verso se stessa. La giovane prese coraggio e gli raccontò tutto ciò che aveva ricordato e ciò che aveva visto fuori dal regno, il ragazzo era sconvolto, era una nuova visione del padre, che lui non riusciva proprio a concepire, con lui era stato sempre un buon esempio, un padre amorevole. Purtroppo sapeva che ciò che Marie gli aveva raccontato era verità, infatti una sera, mentre girovagava per il castello, era finito nelle segrete dove aveva trovato il re e la regina, ma lui non sapeva cosa fare, aveva paura di fare un torto a suo padre. A quel punto anche lui si trovò di fronte a un bivio, non sapeva se andare contro il padre, salvando tutti i sudditi del regno, oppure se restare al suo fianco. Non sapeva cosa fare, aveva Marie davanti a sé, a venti centimetri da lui, si sentiva come pervaso da una scossa elettrica, non capiva cos’era, ma era una sensazione bellissima: decise dunque di seguire il suo cuore e di aiutare la principessa. Marie gli espose la sua idea: “Robert, tu mi devi aiutare a organizzare una festa. Devi convincere tuo padre a dare un ballo per tutti i sudditi, dovresti trovare una
scusa, una scusa qualsiasi. Il cugino di Febus mi ha raccontato che si è innamorato di sua moglie durante una festa, mentre ballavano, ha detto che è una delle cose più romantiche che possano accadere a una persona”. “Va bene Marie, ti aiuterò, ma tu mi devi promettere, giurare, che se tuo padre riuscirà con il nostro aiuto a ottenere nuovamente il trono non farà uccidere il mio. So che ha fatto molto male alla gente, ma io lo rispetto e con me è sempre stato una figura di riferimento, è tutto quello che ho, ti prego, fa che non gli accada nulla di male.” “Tranquillo, non ti preoccupare, questo sarà il mio dono per l’aiuto che mi stai dando. Ti giuro che non gli accadrà nulla.” “Marie, ma tu mi hai dimenticato? Non vuoi più tenermi compagnia?” “Robert, io mi sono ripromessa di mettere la mia gente prima di me, appena questa storia sarà finita ci penseremo, d’accordo?” “Sì, va bene, capisco.” Robert però non resistette e l’abbracciò di nuovo, questa volta lei non gli sfuggì, aveva bisogno di sentirlo vicino, gli dava forza, era il suo pilastro, il suo sostegno. Il giovane riuscì a convincere facilmente il padre, gli disse che voleva cercare una compagna e quale miglior modo se non con un ballo con tutti i sudditi? Lo stregone a quel punto non poté negargli la possibilità di trovarsi una moglie, ricordava infatti quando aveva conosciuto la donna che aveva tanto amato. Il ballo venne organizzato in poco tempo, vennero spediti tutti gli inviti e tutti risposero accettando, era una novità non da poco per i giovani, mentre per gli anziani era come tornare indietro nel tempo, erano tutti elettrizzati. Robert era nervoso, non aveva mai ballato, non aveva idea di come si fe, chiese dunque aiuto a Marie, era lei che gli aveva chiesto aiuto e ora era lei a doverlo aiutare. Marie ne fu ben felice, alla fin dei conti il ballo le serviva da copertura per poter entrare nel castello e salvare i suoi genitori. A quanto pareva però Robert non aveva bisogno di insegnanti, sapeva già ballare benissimo, era come se lo avesse fatto per tutta la vita. Fu in quel momento che lui capì cos’era quella scossa che aveva sentito, capì finalmente cos’era quel sentimento che provava per Marie: era amore. Lui era innamorato di quella ragazza e prima lo
era stato della bambina, di quella bambina dai boccoli biondi e dagli occhi azzurro cielo. Quella sensazione era nuova, sentiva di volerla per sé, desiderava profondamente che quel ballo durasse in eterno, che quel momento diventasse incancellabile. Robert però doveva tornare al castello, mentre Marie, con l’aiuto della sua madre adottiva, si preparava per il ballo. Il suo abito era meraviglioso, blu come il cielo di notte e cosparso di brillanti come stelle luminose che risplendono nell’oscurità. Sperava che lo stregone non l’avrebbe riconosciuta, ma ne dubitava, per questo si procurò un mantello con cappuccio e una maschera per coprirsi il viso. Giunta al castello, venne presentata allo stregone come la nipote di Umbertus, il macellaio. Robert la riconobbe subito senza problemi, le si avvicinò e le tolse dolcemente il mantello dalle spalle e lo consegnò al cameriere che si trovava lì vicino. La banda iniziò subito a suonare e iniziarono tutti a danzare. D’un tratto sembrò che un fulmine fosse sceso sul castello e avesse riattivato l’interruttore dell’amore, lo stregone non capiva come fosse potuto succedere tutto ciò, lanciò allora un potente incantesimo sulla folla, che riprese subito la sua forma amorfa. Robert e Marie avevano nel frattempo approfittato del momento di disattenzione del mago per scendere nelle segrete. Quando la ragazza raggiunse i suoi genitori si commosse e grossi lacrimoni le rigarono il viso. Suo padre abbracciò finalmente le sue due donne, la figlia era ormai cresciuta e a quanto pareva era diventata una brillante giovane futura regina. Robert si accorse presto che lo stregone li aveva scoperti e seguiti, gli tese allora una trappola e lo colpì sul capo con una lanterna che aveva trovato lì vicino. Aveva colpito suo padre e si sentiva terribilmente in colpa, ma era per il suo bene, forse così sarebbe rinsavito. Risalirono tutti le scale, lasciando per il momento il mago nelle segrete, ma non sapevano ancora come rompere il nuovo incantesimo da lui lanciato. Robert si era rabbuiato e Marie capiva quanto doloroso doveva essere stato per lui quel gesto, era stato irrispettoso verso l’uomo che lo aveva cresciuto, gli si avvicinò e lo abbracciò stretto: “Robert, non ti preoccupare, vedrai che tuo padre capirà appena avrà ripreso a essere un uomo normale”. “Marie, è stato un trauma per me vedere questo aspetto di mio padre. Con me è sempre stato magnanimo, non capisco davvero perché abbia voluto irrigidire
così il suo cuore.” Marie era turbata, rattristata poiché Robert stava male e lei soffriva con lui, erano ormai una cosa sola. Mentre discutevano non si erano resi conto che lo stregone si era risvegliato più irato di prima. Entrò nella sala brandendo la sua spada e si avventò sul figlio gridandogli contro tutto il suo odio: “Tu, figlio ingrato! Come hai potuto tradire tuo padre, colui che ti ha cresciuto, colui che ti ha amato per primo!” “Padre, perdonami, ma tu hai voluto cancellare l’amore, come hai potuto?” “Tu non sai di cosa parli, figliolo! L’amore porta solo dolore. È meglio che tu muoia piuttosto che vivere in questo mondo di ingiustizie!” Stava per colpire suo figlio, ma Marie non poteva sopportare l’idea che Robert morisse per mano del padre, era inconcepibile e poi senza di lui non avrebbe potuto sopravvivere. Gli si parò davanti e lo stregone la colpì in pieno petto, proprio a livello del cuore. Sangue rosso iniziò a scorrere a fiotti, era il colore dell’amore, il colore della ione che provava per Robert. Solo allora lo stregone si risvegliò come da un incubo, comprendendo che cancellare dal regno l’amore non lo avrebbe fatto soffrire meno per la mancanza della moglie. I sudditi nel frattempo avevano assistito a tutta la scena e si erano anche loro risvegliati dal torpore. Quel gesto di puro amore aveva fatto ricordare loro cosa fosse quel sentimento, ma questo non avrebbe mai potuto riportare in vita la loro principessa, che per amore stava morendo davanti gli occhi di tutti. Robert si era chinato su di lei e l’abbracciava stretta al suo petto, cercando di fermare il flusso di sangue, ma il viso di Marie era sempre più pallido, stava piano piano perdendo la vita, tentava di aggrapparvisi con tutte le sue forze, ma si sentiva sempre più debole. Il mago avrebbe voluto far qualcosa a quel punto, si era ravveduto, aveva compreso i suoi errori, ma sembrava troppo tardi. Robert iniziò a piangere, Marie raccolse allora le ultime forze, gli accarezzò il viso e gli asciugò le lacrime: “Morire per amore, tesoro mio, è la morte più dolce, sappi solo che ti amo più della mia stessa vita. Sentiti libero di innamorarti ancora, anzi non dimenticare mai cos’è l’amore”. Robert la baciò dolcemente, sembrava che tutto fosse perduto, ma la forza dell’amore è molto più grande di quanto la natura umana possa immaginare. Un
raggio di luce investì in pieno il corpo quasi esanime della giovane principessa, il bacio le aveva dato nuova linfa. Il flusso di sangue si era fermato e il suo viso aveva riacquistato il suo bel colore rosa vivace. Marie era come rinata. Il re, suo padre, decise allora di concedere la mano della figlia a Robert e di perdonare il vecchio stregone, che pentito decise di trasferirsi altrove, seppur tornò sovente al castello a trovare il figlio. Marie sposò presto Robert con la benedizione di entrambi i padri, lo stregone arrivò addirittura a dire che sua moglie sarebbe stata orgogliosa di lei. Il matrimonio fu veramente da favola, l’abito di Marie era meraviglioso e lo sposo non aveva occhi che per lei, era come una calamita con il ferro. Dopo quest’avventura vissero per sempre felici e contenti, soprattutto dopo aver saputo di cosa è capace il potere dell’amore e dopo averlo riportato nella valle. L’amore non sparì mai più da quel regno e la storia di Marie e Robert viene raccontata ancora oggi.
Sottoguda, 2 gennaio 2012
Cara bisnonna, oggi sono ancora piuttosto turbata per quello che è accaduto. Ms Edwina mi ha inviato una mail informandomi, che domani vorrebbe vedermi, ha bisogno di me per interrogare Hannibal, ma non so se me la sento di rivederlo. Se non ci fosse stato Sir Green non so cosa avrei fatto, mi stava per colpire, ancora prima che io potessi rendermene conto. Questo pomeriggio mi sono impegnata e ho letto e provato alcuni degli incantesimi del librone. Sento di non avere altra possibilità, Hannibal mi ha scelta, prima che io sapessi di essere una guardiana, dovrò accettare per forza, ma questo fatto di non avere scelta mi fa sentire sempre peggio. Non so davvero cosa fare, ormai non penso ad altro, non riesco nemmeno più a studiare per l’università, eppure tu sai quanto io ami quello che sto facendo. Mi sento l’umore sotto le scarpe. È stato un inizio d’anno davvero difficile, ma prima che mi dimentichi, volevo farti sapere che ieri mattina sono stata svegliata da un bel coretto di: “Bondì, la bona man a mi!”
So che ti farà piacere saperlo. La nostra tradizione preferita è ancora viva e vegeta, li ho perdonati subito per avermi svegliata, in fondo io ero come loro da piccola e di certo non avrei mai immaginato di poter continuare a mantenere, almeno in parte, il mio status di bambina. Ammettiamolo, questo fatto di essere una guardiana della fantasia comporta il restare fanciulli dentro, perché io per prima devo saperla usare nel modo più giusto, è come essere bambini, ma con la consapevolezza di un adulto di avere un dono grande e impegnativo. Per oggi ho scelto un altro dei tuoi racconti, Chi mai ti sposerà. Quello che mi interessa di questa storia è il fatto di essere sempre se stessi. Sai quanto è difficile per me, ho sempre paura di non essere accettata, ho davvero poca fiducia in me stessa e in questo momento, far vedere a tutti chi sono realmente, mi risulta ancora più difficile. Anche se Sir Green è un caro amico ho paura di rivederlo, tremo al solo pensiero che possa fingere di non conoscermi e non gli darei torto, fatico io ad accettare il fatto di essere una strega guardiana, figurati cosa penserà lui. Oh nonna, perché è tutto così difficile! Se solo avessi più fiducia, ma non sono una di quelle ragazze che vanno in giro sculettando e muovendo le anche per far girare tutti i ragazzi che incontrano per strada, io tendo a essere più la ragazza invisibile e mi piace questa mia entità trasparente, odio attirare l’attenzione. Però mi piace essere abbracciata e ho paura, che dopo questa rivelazione, lui non vorrà più avermi vicino. Nonna, io non riesco a vivere senza i miei amici, la paura di non essere accettata mi sta bloccando, ho paura di perdere quei momenti con lui o con Lady Butterfly o con le altre amiche, ognuno dei loro abbracci sa di casa, quando sto con loro mi sento libera di esprimermi, ma ora ho paura, mi sembra di essere una sconosciuta anche per me stessa. È davvero importante in questa società non essere troppo fuori dagli schemi, non sei accettato se hai qualcosa di anormale rispetto ai canoni tradizionali da essa decisi e non credo che essere una strega rientri in questi modelli. Tu come hai fatto? Come hai fatto a tenere tutto nascosto? Ms Edwina ha detto che, se io volessi, potrebbe cancellare la memoria di Ian, ma io non me la sento, mi fa piacere che almeno qualcuno conosca la verità, anche se ho paura che non mi rivolgerà più la parola. L’amicizia è basata sulla sincerità e almeno su questo gli ho detto la verità, poi è normale avere dei segreti. Ho letto sul libro che bisogna avere nervi saldi e sangue freddo per ottenere i risultati migliori negli incantesimi e anche una buona, se non ottima, fiducia in se stessi. Ma siete sicuri di aver dato il dono alla persona giusta? Io continuo ad avere dei dubbi. Comunque la lezione che ho ripetuto oggi, grazie alla tua storia, è che essere se stessi porta sempre buoni frutti. Nonna, ora devo proprio andare, ti scrivo
domani, sperando di avere notizie più liete, ti voglio bene, tua Rossana.
Chi mai ti sposerà?
C’era una volta molti anni fa una bella famigliola, era la famiglia reale del regno di Soldor. Il re e la regina avevano da poco avuto una bella bambina e decisero di chiamarla Aura, infatti attorno a lei era come se ci fosse un’aura di gioia, che trasmetteva a tutti coloro che le stavano attorno. La bambina crebbe sempre più bella, aveva lunghi capelli corvini e due occhi castani e vivaci come quelli dei cerbiatti quando corrono liberi per i boschi. Aura però aveva sempre la strana tendenza a ficcarsi in una miriade di guai. Adorava rincorrere i conigli nel bosco e poi donava loro delle carote per ringraziarli della gara, giocava spesso con gli scoiattoli sugli alberi, arrampicandosi come un’amazzone, adorava nuotare con i pesci nel lago vicino al castello e salire sui picchi più alti tentando di acchiappare le aquile. Puntualmente tornava a casa con gli abiti sporchi di terriccio, con i capelli decorati da un ammasso di foglie e con il grembiule spesso strappato. La mamma regina era disperata ogni volta che la vedeva arrivare, non sapeva più come fare con quella bambina birbante. Aura era davvero una bimba dalle mille risorse, riusciva dal più piccolo pezzo di legno a ricavarne magnifiche sculture grazie all’aiuto del falegname di corte, di cui era diventata molto amica, per lui era come una figlia, ma il re era davvero preoccupato, come avrebbe potuto trovare un pretendente se era così selvatica? A chi avrebbe lasciato il trono? La speranza è che crescendo lei avrebbe acquisito caratteristiche più femminili. Gli anni avano e la piccola Aura era ormai diventata una giovane donna, era davvero meravigliosa con i suoi capelli lunghi fino alle spalle, più giù non li aveva mai voluti, si sarebbero impigliati nei rami quando si arrampicava sugli alberi insieme agli scoiattoli, aveva imparato a ricamare e aveva un bel portamento, ma tornava ancora a casa con le vesti strappate e con i capelli decorati da mille foglie. Gli altri re facevano fatica a vederla come una buona sposa per i loro figli, non vedevano in lei la regina ideale per i loro regni e il re
di Soldor era sempre più disperato, cercava in tutte le maniere di educarla a diventare una migliore principessa e meno selvatica, meno maschiaccio, ma non ci riusciva e dopo pochi giorni Aura tornava a essere quella di sempre. Sua madre si era spenta pochi anni prima, in seguito a una gravidanza finita male, era infatti morta dando alla luce il suo fratellino Maximilian. Aura era diventata come una madre per lui, era molto materna nei confronti del piccolino, lo educò nel migliore dei modi e suo padre non capiva chi fosse realmente sua figlia, a volte era la solita ragazza selvaggia, altre volte era talmente femminile che lui si chiedeva se avesse davanti la stessa persona. Spesso e volentieri Aura costruiva dei giochi per Maximilian, che ormai era diventato un piccolo ometto. A separarli c’erano circa otto anni e dopo che la balia lo aveva svezzato, era stata lei a occuparsene. Un giorno Aura aveva costruito un bellissimo aquilone colorato per Max, lo stavano provando nella radura vicina al bosco, quando l’aquilone si incastrò nel ramo più alto di una maestosa quercia. Aura era abituata ad arrampicarsi su qualsiasi albero e quindi non ci pensò su due volte e iniziò la scalata. Era arrivata praticamente in cima all’albero e aveva ormai afferrato l’aquilone, quando il ramo che aveva sotto i piedi si spezzò e iniziò a volare giù, se fosse finita a terra sarebbe di certo morta. Fortunatamente, in quel momento, ava di lì un giovane a cavallo, che vedendo quella montagna di stoffa che volava aprì le braccia e lei ci finì precisa come un orologio svizzero. Il ragazzo aveva meravigliosi occhi azzurro cielo e capelli biondi, come se il sole gli avesse coperto il capo con i suoi raggi. Aura lo ringraziò e lui le propose di accompagnarla fino al castello. Scese da cavallo e si avvicinò a Max facendolo salire sul cavallo, insieme alla sorella maggiore. Il giovane avrà avuto all’incirca vent’anni e Aura ne era rimasta colpita, sentiva le farfalle volarle nello stomaco, quel giovane era di una bellezza unica, sembrava l’essere più perfetto sulla faccia della terra. Il ragazzo si chiamava Bartolomeus. Aura se ne era innamorata nel primo istante in cui lo aveva visto, ma il re non era molto convinto, non sapeva chi fosse quel giovane, né da dove venisse. Lo rendeva felice il fatto che sua figlia fosse innamorata, perché l’amore era la miglior cosa che potesse capitare a una persona, ma aveva paura che quel giovane fosse un malintenzionato. Iniziò allora a indagare su Bartolomeus, scoprì che era un bravo ragazzo, ma che aveva perso il suo regno quando il padre era morto e un perfido signore, che viveva lì vicino e che aveva finto di essere un amico del re, aveva conquistato con la forza
il suo territorio e ora controllava il suo popolo grazie all’imposizione del terrore. Re Apollus decise allora di aiutarlo, ma prima voleva metterlo alla prova, non voleva che quelle genti assero da un dittatore a un altro. Gli propose di restare lì al castello per un po’. Bartolomeus accettò di buon grado e lo ringraziò più e più volte. Andava spesso a eggiare con Aura e con Max, aiutava i contadini nella raccolta dei frutti dagli alberi più alti, si divertiva a realizzare delle sculture in legno insieme ad Aura e al falegname, accompagnava la giovane in giro per i boschi e l’aiutava a liberare i cerbiatti dalle trappole dei bracconieri. Il re era stupito dalla bontà di quel ragazzo e dal rapporto che si era venuto a instaurare con sua figlia. Decise ufficialmente di aiutarlo a riprendersi il suo regno. Si organizzò con i re suoi vicini per liberare il territorio del giovane Bartolomeus. Tutti furono felici di aiutarlo perché nessuno sopportava più la presenza di quel signore che invadeva le terre altrui e che sperava di impadronirsi di tutti gli altri regni per creare un unico grande impero. Bartolomeus decise di combattere con loro, infatti, a dispetto della sua giovane età, era davvero molto maturo. Lasciarono are l’inverno e poi in primavera partirono verso il regno della Grande Quercia. Aura si sentiva male a vederlo partire con l’armatura e con la spada, aveva paura che potesse morire. Decise allora di affidare Max alla moglie del falegname e partì anche lei, seguendo da lontano l’esercito di suo padre. L’esercito, a un certo punto, si fermò e lei decise di salire su un albero per vedere meglio, vedeva chiaramente Bartolomeus e anche suo padre, ma non si era resa conto che anche i nemici potevano avvistarla, infatti la videro ben presto, la colpirono da lontano con una freccia e lei cadde in mezzo al bosco ferita. Svenne sul momento, un po’ per la caduta, un po’ per il sangue che stava perdendo. La lotta nel frattempo imperversava sul fianco della collina, dove c’era il castello di Grande Quercia. L’esercito di suo padre non era però ancora riuscito ad assaltare la fortezza. Due cerbiatti trovarono il corpo di Aura e la portarono il più velocemente possibile alla tenda medica dell’esercito di suo padre. Quando re Apollus vide il corpo inerme della figlia era davvero disperato, i suoi figli erano tutto per lui. Bartolomeus fu presto avvisato, ma non avrebbe mai immaginato che la giovane di cui parlavano fosse Aura, quando la vide pallida sulla brandina ne restò molto colpito. Decise che se mai lei fosse guarita l’avrebbe sposata, lo
disse anche ad Apollus e lui ne fu felice, adesso aveva un motivo in più per aiutare Bartolomeus a riconquistare il suo regno. Il giorno seguente attaccarono la fortezza, ma non riuscirono ancora a conquistarla. Ci vollero due mesi prima di riuscire a penetrare e altri due per sconfiggere definitivamente il terribile signore. Tutti gli abitanti festeggiarono con gioia il ritorno di Bartolomeus, ma lui era ancora preoccupato, perché in quattro mesi Aura non si era ancora risvegliata. La fece portare all’interno del castello, in una delle stanze non danneggiate da quella guerra. Era talmente bella, non poteva morire, doveva risvegliarsi assolutamente. Stava ormai arrivando l’inverno e Aura non si era ancora risvegliata, Bartolomeus, Apollus e Max la vegliavano giorno e notte, avevano consultato moltissimi medici, ma nessuno riusciva a curarla. Aura sembrava addormentata, era serena, anche se a volte si muoveva nervosamente, come se stesse avendo degli incubi. Era ormai arrivato Natale e avevano perso qualsiasi speranza di rivedere in piedi la loro amata. Re Apollus si sentiva in colpa per non aver controllato maggiormente sua figlia e per non essere stato più severo con lei. Quella sera si trovarono tutti vicino all’albero di Natale, fuori nevicava fitto e la sala era illuminata da un fuoco scoppiettante nel camino e da una serie di meravigliose candele rosse. Erano tutti cupi, si aspettavano solo che la principessa li avrebbe lasciati da un momento all’altro. La notte di Natale è però una notte magica, è la notte in cui tutti sono più buoni e in cui il Bene regna sovrano sul Male. Aura si risvegliò di colpo, senza capire dove si trovasse, sentì però delle voci che le sembravano familiari. Arrivò presto nella sala dove stavano cenando i suoi cari, quando entrò nella stanza riuscì a malapena a dire: “Ma dove mi trovo?”, prima di cadere. Era troppo debole per stare in piedi, ma si era risvegliata. Bartolomeus si alzò immediatamente ribaltando la sedia, corse verso di lei e la prese fra le sue forti braccia. Stringendosela al petto, l’accompagnò fino al divano che troneggiava vicino al caminetto. L’appoggiò dolcemente fra i morbidi cuscini porpora. Le accarezzò il viso e le spostò dolcemente una ciocca ribelle di capelli corvini dietro all’orecchio. Le chiese subito: “Ti ricordi di me? Ti ricordi anche cosa ti è successo?” “Certo che mi ricordo di te, come potrei dimenticarti, Meus. Sei l’uomo più
dolce che io abbia mai incontrato. Comunque mi ricordo solo che uno dei nemici mi ha ferito con una freccia e sono caduta dalla quercia.” “Ma perché ci hai seguito? Sei stata un’imprudente, una pazza!” “Mi dispiace! Scusami. Io non volevo spaventarvi, ma avevo paura che ti fero del male, che tu morissi. Mi sarei sentita persa se avessero ucciso te o mio padre!” “Aura, non dovevi farlo. Io mi so difendere. Come credi che mi sia sentito nel vederti su quella brandina?! Mi sono sentito morire! Avrei preferito morire io, piuttosto di vederti in quelle condizioni. Ti amo, ti amo davvero profondamente.” Anche Apollus si rivolse alla figlia: “Tesoro mio, so che ti sei appena ripresa, ma io sento di doverti sgridare. Ho già perso tua madre, perdere anche te sarebbe stato troppo. Devi pensare prima d’agire, sei sempre stata una selvaggia, ma questa volta hai superato qualsiasi limite!” “Scusami, padre mio, io non volevo, ma ero preoccupata per voi!” A quel punto si avvicinò anche Maximilian: “Sorellona, ho avuto tanta paura per te. Non farmi più spaventare in questo modo. Promettimi che non lo farai mai più! Che non ti arrampicherai mai più su un albero, a meno che sotto non ci sia Bartolomeus pronto a prenderti al volo!” Max aveva capito come sdrammatizzare la situazione, tutti si misero a ridere e il clima tornò nuovamente gioioso. Aura era pentita, più per aver fatto star male i suoi cari, che per aver rischiato la propria vita per assicurarsi che loro stessero bene. Apollus li lasciò soli, sapeva che era giunto il momento di lasciar andare sua figlia, ormai si fidava ciecamente di Bartolomeus. Il giovane la strinse forte a sé e le disse: “Tesoro mio, giurami che non mi farai mai più spaventare a questo modo! Giurami che non mi lascerai mai”. “Te lo giuro, io non volevo.” La giovane principessa pianse nuovamente, lui allora la strinse ancora più forte, come se avesse paura che potesse volare via da un momento all’altro e poi le accarezzò il viso e guardandola nei suoi occhi profondi le chiese: “Aura, da
quando mi sei caduta fra le braccia per la prima volta credevo tu fossi un angelo, che Dio mi aveva mandato dal cielo. Non ho ancora cambiato idea, mi sei stata donata per due volte, questa notte è stata la seconda e ora io non voglio rischiare più di perderti, voglio che tu sia mia per sempre. Mi vuoi sposare?” Aura era sorpresa, ma gli rispose subito di sì. Bartolomeus la baciò dolcemente e andò subito a chiamare Apollus e Maximilian per festeggiare tutti insieme. Appena giunse la primavera venne organizzato un meraviglioso matrimonio, tutto era ricoperto di tulle bianco e l’abito da sposa di Aura era meraviglioso, di taglio semplice, aveva anche un velo bianco lunghissimo. Il bouquet di rose bianche era l’ultimo tocco per rendere tutto ancor più perfetto. Purtroppo, mentre Aura tentava di sistemarsi il velo, appena terminata la cerimonia, questo venne trasportato via dal vento e rimase impigliato nei rami di una meravigliosa quercia maestosa. Corse subito per riprenderlo, iniziò ad arrampicarsi sull’albero, aveva ormai raggiunto il velo, quando inciampò in uno dei nastri che le cingeva la vita e che le scendeva fino alle caviglie. Scivolò e sarebbe caduta a terra, se sotto l’albero non fosse accorso in suo aiuto un meraviglioso cavaliere vestito a festa, Bartolomeus la strinse fra le braccia: “Certe cose non cambiano mai, vero tesoro mio?” Aura divenne color porpora, sapeva che Meus era arrabbiato, ma alla fin dei conti era così che la loro storia era iniziata ed era così che sarebbe continuata, con lui sempre pronto a prenderla al volo. Da quel giorno non vi furono più guerre e Aura visse sempre felice e contenta con il suo amore Bartolomeus, anche se ogni tanto le capitò ancora di essere sgridata dal marito, insomma, non poteva essere sempre pronto a prenderla al volo, anche se ormai aveva come un radar per capire quando la sua dolce mogliettina si stava per mettere nei guai.
Sottoguda, 3 gennaio 2012
Cara bisnonna,
oggi sono andata a Londra da Ms Edwina, mi ha annunciato che Hannibal è riuscito a fuggire, prima che riuscissero a interrogarlo. Mi ha anche chiesto spiegazioni su cosa fi a Capodanno sul London Eye, a quel punto le ho dovuto raccontare tutto ciò che è successo. Le ho parlato di Hannibal e lei mi ha chiarito le idee. All’inizio, quando avevo iniziato a vederlo, lui non aveva capito chi fossi, io non avevo ancora sviluppato molto i miei poteri, poi si è reso conto di avere per le mani una guardiana e allora ha cercato di legarmi a sé definitivamente, ma non c’è riuscito. Mi ha spiegato che ogni strega dei sogni ha una specie di radar per i maghi cattivi, si deve essere attivato in quel momento e io gli sono sfuggita, per un po’ mi ha lasciato in pace, credeva di essersi sbagliato, ma quando i miei poteri si sono attivati definitivamente, mi ha cercata di nuovo e poi siamo finiti a Londra. Secondo Ms Edwina è importante che io avessi portato con me Sir Green, perché se non ci fosse stato lui, probabilmente Hannibal sarebbe riuscito a farmi del male, ma c’era lui e mi ha protetta; secondo lei Ian è un ragazzo da tenere in conto nella nostra battaglia, essendo così apionato di musica e ballo, potrebbe essermi di grande aiuto, soprattutto ora che non ho ancora ben chiare le mie potenzialità. Ms Edwina è stata molto cortese, mi ha anche portata a bere una tazza di tè caldo e a degustare alcuni pasticcini davvero deliziosi al caffè Pâtisserie Valerie a Soho, in fondo erano le cinque, ci meritavamo il nostro tea time. Poi mi ha accompagnata da Tesco, volevo riscoprire le abitudini degli inglesi e secondo me è nei supermercati che puoi davvero curiosare nella cultura di un popolo, in Italia ad esempio abbiamo scaffali interi di pasta. Da Tesco puoi veramente trovare di tutto, mi ricordo che durante il mio viaggio studio avevo acquistato lì delle vivaci matite colorate, ricoperte di piume dello stesso colore. Siccome si sta avvicinando il compleanno di mia cugina, sarei voluta andare di nuovo anche a Salisbury, ricordo che, un po’ nascosto dalla via principale, c’era un bel negozietto, bisognava attraversare un ponticello su un canale non molto ampio per arrivare alla porta d’entrata. Era delizioso, ma non ne avevo il tempo, così sono tornata subito a casa, concedendomi giusto un’occhiata ai tipici book shops di Museum Street. Sono un po’ preoccupata nonna, io non vorrei coinvolgere Sir Green in tutta questa faccenda, ma temo che dovrò farlo. Ms Edwina è convinta che Hannibal cercherà di fargli del male per arrivare a me. Secondo lei siamo in pericolo entrambi, non sanno ancora perché lui stia cercando proprio me, ma sembra che io abbia qualcosa che l’Organizzazione vuole molto. Mi sembra di essere immersa in una di quelle storie di spionaggio, che ho letto tempo fa, non so se
sono più eccitata o più spaventata per questa situazione. Non vorrei mai che i miei amici finissero nei guai a causa mia. Sono troppo importanti per me per metterli in pericolo. Non so che fare, so solo che devo imparare a difendermi anche con la magia e così mi sono messa a studiare il libro, speriamo bene. Comunque, tutto questo mi ha fatto venire in mente Ho una missione impossibile, credo sia la mia storia preferita in assoluto, è davvero avventurosa e mi piace moltissimo l’idea che una ragazza sia così indipendente, così libera e che finalmente faccia un lavoro da uomo. Marianne è una ragazza straordinaria, so che è impossibile che una donna, a quel tempo, fosse tenuta tanto in considerazione, ma mi piace molto l’idea che una ragazza sia così intraprendente, così coraggiosa. Ha il senso dell’onore, sa cosa è giusto e cosa è sbagliato. Resta fedele all’imperatore, perché sa che così resterà nel giusto, anche se apparentemente il suo migliore amico Sebastian è una spia nemica. La ragazza protagonista assomiglia molto a te, so che non vorresti che io lo dicessi, ma sono certa che tu eri coraggiosa quanto lei, se non di più. Prima o poi spero di diventare come te e di iniziare ad affrontare le difficoltà di petto, come hai fatto tu in ato. Lo so che non eri perfetta, ma per me rasentavi davvero la perfezione. Del tuo racconto mi piaceva molto lo stile avventuroso, che mi sembrava così lontano dal mio mondo, ora invece si è fatto molto più vicino. Inizio a pensare che tutti i tuoi racconti servissero a prepararmi a questo, oltre che a farmi addormentare quando ero piccola. Vorrei tanto essere una giovane indipendente come alcune delle protagoniste delle tue storie, mi impegnerò per esserlo, te lo prometto, sarà un altro dei miei propositi per l’anno nuovo: trovare il coraggio di affrontare di petto gli ostacoli, che la vita mi mette davanti e non scappare più come una paurosa codarda. Credo che stamperò questo racconto e lo appenderò in camera, in modo da avere sempre di fronte a me il mio punto di arrivo. So da dove partirò, ma non dove arriverò, sono davvero curiosa, so che sarà un percorso accidentato, il coraggio non è una delle mie doti, ma ce la farò. Devo farcela. Sto prendendo davvero in seria considerazione di accettare il tuo lascito, anche perché a questo punto come potrei tirarmi indietro? Anche Sebastian ha dimostrato grande coraggio nella storia, ha rischiato la sua vita per salvare Marianne, ha mentito a un uomo molto potente, che avrebbe potuto tranquillamente ucciderlo, ma lui non ha pensato neanche un momento di
tradire la sua giovane amica. È sempre stata una storia davvero meravigliosa e fa riflettere sul fatto che né la potenza, né la ricchezza ci portano ad avere degli amici, ma la sincerità, il coraggio, la coerenza, l’ammettere i propri errori e soprattutto avere fiducia nell’altro. Senza fiducia il racconto sarebbe andato a finire molto diversamente, se Sebastian si fosse lasciato corrompere, il male avrebbe trionfato e l’amicizia avrebbe perso il suo valore. Invece no, l’amicizia ha trionfato e il potere si è dimostrato un elemento molto ambito nella vita di un uomo, ma che porta solo sventure e non di certo alla felicità. È l’amicizia invece che ci dona gioia, per questo, quando abbiamo un amico a cui teniamo e che magari è in difficoltà, dobbiamo aiutarlo, ricordandoci che un amico vale molto di più di un esame andato bene, molto più di un concerto, molto più di una serata in discoteca, molto più di un amore temporaneo, perché gli amici non se ne vanno, se sono veri, ci restano sempre vicini. Trascrivendo questa tua storia, mi sono sentita come Marianne quando vede Sebastian sacrificarsi per lei: Ian ha fatto la stessa cosa per me. E avrebbero fatto lo stesso anche Sir Lion e Lady Butterfly, ne sono certa, ma io merito tutti questi sacrifici? Questa è una delle domande che mi frullano in testa da un po’. Voglio molto bene ai miei amici e l’altro giorno ho avuto paura di perderne uno, purtroppo mi sono resa conto solo dopo del pericolo che ha corso. Lui non ha poteri magici, è un ragazzo normale, per quanto un giovane come lui possa essere definito normale. Ha grandi doti e non ultima la capacità di sacrificarsi, ma io non voglio che lui corra ancora dei rischi, non so come Ms Edwina possa pretendere che io lo coinvolga in questa folle missione, non capisco come potrebbe aiutarmi, è già tanto se mi parlerà ancora. Ho tante incertezze, nonna, vorrei davvero che tutto si risolvesse in un paio di battute come le tue storie, ma mi sembra così impossibile. A volte penso di essere io a complicare tutto e ad attirare la sfortuna, poi rifletto e mi dico che sono proprio una stupida ragazzina e mi chiedo se crescerò mai. Ora devo proprio andare, meglio che torni ai miei libri, magari anche a quello di incantesimi, ti scrivo domani, ti voglio bene, tua Rossana.
Ho una missione impossibile
C’era una volta, nel periodo dei cavalieri, dei maghi, delle streghe e dei grandi feudatari una giovane che era stata educata in un ferreo collegio sulle Alpi. In questo luogo le avevano insegnato come diventare una spia e un giorno avrebbe servito un potente re oppure, se tutto fosse andato nel migliore dei modi, sarebbe diventata una delle spie al servizio dell’imperatore. La giovane era piuttosto anonima dal punto di vista dei lineamenti, la contraddistingueva solamente una folta e lunga chioma bionda, che le era stata più volte utile per cercare di soffocare i nemici o comunque per bloccarli. Normalmente portava i capelli raccolti in una treccia, così sembrava che non fossero poi così lunghi. La frangia, invece, l’aiutava a nascondere i profondi occhi azzurri, molto simili alle acque dei laghi montani. La chiamata arrivò presto, dovette lasciare quel clima di famiglia, che aveva trovato in quel collegio, per andare nella grande città: era stata chiamata dall’imperatore in persona per iniziare il servizio presso la sua famiglia, dopo che aveva scoperto che era una delle migliori del suo corso. L’imperatore voleva che lei diventasse la guardia del corpo di sua figlia Rosalba. Marianne ne fu ben contenta, era un onore servire il proprio sovrano. La giovane spia sapeva che la sua era una missione importante, aiutare il proprio sovrano era il desiderio di tutte le ragazze che avevano studiato con lei, ma era quasi impossibile riuscire a soddisfarlo, poiché la figlia era una vera e propria strega, aveva già fatto degradare e fuggire una trentina di spie, ben più forti e più preparate della giovane alpina, ma allo stesso tempo gli altri non avevano avuto la sua rigida istruzione, per questo il re la scelse, perché era la sua ultima speranza. La principessa aveva diciassette anni e iniziava a voler uscire con i giovani, in particolare con un aitante contadino del villaggio, il tipico artista mancato. Non era ben piazzato come tutti gli altri giovani villani, ma aveva un chioma corvina incolta e freschi occhi verdi intriganti. Rosalba se ne era innamorata al primo sguardo, ma l’imperatore sospettava che lui fosse una spia nemica, infatti si era fatto conoscere come un orfano dell’ultima guerra, ma era vestito troppo bene per non avere genitori e sembrava anche troppo ben educato. La missione di Marianne si complicava dunque con l’andare del tempo: oltre che proteggere la principessa, ora doveva occuparsi di una probabile altra spia, forse anche più preparata di lei, ma di una cosa era certa, non l’avrebbe lasciato giocare la propria partita in piena tranquillità.
Sebastian era una spia molto affermata nel suo regno, ma ora era ricercato dalle guardie del suo re, poiché sembrava lo avesse tradito. In realtà aveva scoperto che il vassallo dell’imperatore, sovrano del Borgo di Sale, era in realtà un malvagio e sanguinario condottiero, che stava tramando insieme allo stregone delle Alte Cime per spodestare re Albert. Avendo saputo di tale complotto, Sebastian aveva deciso di avvisare l’imperatore, ma non poteva presentarsi a lui come spia recidiva, il re non gli avrebbe mai creduto, doveva trovare una soluzione. Aveva poi sentito che presto al castello sarebbe arrivata Marianne, una giovane spia alpina. Quel nome non gli era nuovo, si rese poi conto di conoscerla molto bene, da circa dodici anni come minimo. Si erano conosciuti a scuola, ora avevano entrambi ventidue anni, era da molto che non vedeva più quei meravigliosi occhi azzurri, ma non poteva perdersi in ricordi in un momento così critico, non sapeva neppure se lei si ricordasse di lui, pensò però che tentar non nuoce, così decise di avvicinarsi alla principessa, in modo da poter contattare la giovane spia, quando sarebbe giunta in città. Marianne giunse presso alla reggia dell’imperatore, era colpita da tutto quello sfarzo, ma non poteva perdersi in quell’abbagliante splendore, così si presentò subito al re. Albert III era un imperatore magnanimo, sempre sorridente e con una lunga barba lanuginosa, che iniziava a tingersi di grigio. Era un uomo dalle molte doti, purtroppo in ato non era riuscito a riconoscere i propri nemici e così ora si ritrovava a doverli combattere rafforzati dagli anni. Era molto preoccupato soprattutto per la situazione di Borgo di Sale, poiché era venuto a conoscenza che una delle spie del vassallo di quel territorio era arrivata nelle vicinanze della città, ma non sapeva come fosse fatta e dunque non poteva nemmeno cercarla, questa fu la terza missione affidata a Marianne in meno di tre ore. Lei però non poteva immaginare cosa la stesse aspettando. Sebastian nel frattempo aveva inviato un messaggio alla principessa, mentre la sua nuova guardiana sistemava le proprie cose nella stanza accanto alla sua, Rosalba ne fu lieta, quel giovane la voleva rivedere, era un ragazzo così ispirato, così bello. Quella sera, quando cercò di uscire inosservata dal castello, il cuore le batteva forte: “Ti prego, cuore mio, rallenta il tuo battito, non vorrai che qualcuno ci senta uscire dal castello?” Purtroppo per lei Marianne era molto più furba ed era rimasta sveglia a sorvegliarla, quando aveva notato sulla polvere del davanzale delle impronte di
piccione lasciate da poco. Era una giovane molto sveglia e anche se lei non ne era convinta, era anche un’ottima spia. Marianne seguì la principessa fino a una radura, lì notò che l’aspettava il giovane descrittogli dal re. Quando lo vide non lo riconobbe subito, le ci volle qualche minuto per rendersi conto che era Sebastian. Lei sapeva che era una spia al servizio del re di Borgo di Sale. Aveva immaginato che il giovane che tanto aveva insospettito l’imperatore fosse una spia nemica, ma mai avrebbe pensato di dover affrontare uno dei suoi migliori amici. Quel momento di sorpresa le fece commettere un grave errore, infatti si mosse troppo bruscamente e il ramo sul quale si era appollaiata si ruppe, facendola rotolare sul terreno duro del sottobosco. Sebastian la riconobbe immediatamente per la sua folta chioma bionda. Lei lo stava osservando da sotto la frangia, gli occhi azzurri le brillavano, erano ati anni da quando lo aveva visto per l’ultima volta, almeno tre, ma lui non era cambiato molto, aveva le spalle un po’ più larghe, gli era cresciuta una leggera barba scura e ispida sul viso da ragazzino, i ciuffi neri gli incorniciavano il viso in quel modo sublime, che non aveva dimenticato, ma ciò che catturò davvero la sua attenzione furono gli occhi, si erano come raffreddati, non brillavano più come in ato, si erano spenti. Questo la turbò molto, ma non le impedì di reagire prontamente. Prese per un braccio la giovane principessa e le disse che era ora di rientrare. Rosalba iniziò allora a gridare, entrambe le spie le misero una mano sulla bocca per zittirla, le loro mani si sovrapposero, Marianne allora disse: “Vorrei parlare con lei, giovanotto, a proposito di questi incontri notturni. Preferirei che, finché io sarò la dama di compagnia della principessa, essi avvenissero almeno sotto il mio controllo. Mi dispiace, ma è indispensabile la mia presenza per la sicurezza della nostra futura sovrana, se non le dispiace troppo avrei anche un altro favore da chiederle, vorrei scambiare due parole con lei nel giardino del castello fra mezz’ora, quando avrò riportato la principessa nelle sue stanze”. “Per me non c’è problema, gentile dama. Se posso, qual è il suo nome?” “Marta. E il suo?” “Santo. La posso seguire mentre riaccompagna la sua protetta?” “Volentieri, così potrò controllare entrambi. Non posso chiedere di meglio.” “Posso dire qualcosa anche io? Marta, perché volete parlargli in privato? Non
potete farlo davanti a me?” “Mi dispiace, mia principessa, ma è un ordine di vostro padre che io gli parli da sola, solo per assicurarmi che non sia una minaccia per la vostra incolumità.” “Allora va bene, tanto lui è Santo di nome e di fatto.” Rosalba venne accompagnata in camera sua, ignara di tutto ciò che le accadeva attorno, delle bugie che l’avevano avvolta negli ultimi dieci minuti, ma questa era la vita delle spie. Marianne si fermò invece a parlare con Sebastian, i due sapevano bene che quello che li aspettava di lì a cinque minuti avrebbe cambiato definitivamente le loro vite. La ragazza iniziò subito l’interrogatorio: “Come mai non hai cercato di mutare aspetto? Sono certa che i tuoi informatori ti avranno avvisato su chi fosse la nuova guardia del corpo di Rosalba”. “Volevo parlarti, è per questo che mi sono avvicinato a lei.” “Volevi parlarmi o uccidermi?” “Parlarti, te lo giuro, non lavoro più per il malvagio Axel. Volevo trovarti e informarti che sta progettando insieme ad Altus di uccidere l’imperatore.” “Come faccio a crederti? Come faccio a sapere che non mi stai raccontando una bugia?” “Anne, lo sai benissimo come capire se ti sto raccontando o meno una bugia, ci conosciamo da così tanto tempo.” “Lo so, ma ho paura che tu abbia imparato troppo bene il tuo mestiere.” “Non riuscirei mai a mentirti, mai davvero. Ti ho voluto troppo bene per riuscire a ingannarti così facilmente.” “Bastian, io devo pensare innanzitutto alla sicurezza della principessa e ad aiutare re Albert a scoprire eventuali congiure. Io non so se posso fidarmi di te.” “Senti, qui ci sono troppe orecchie ad ascoltarci, andiamo più giù, verso il frutteto, lì saremo più tranquilli. Fidati, ti prego.”
Marianne non sapeva che fare, lo guardò allora negli occhi, sembravano sinceri, lo seguì. Arrivati al frutteto lui andò a sedersi ai piedi di un ciliegio. Per terra c’erano tutte le sue foglie e loro ci si sedettero in mezzo. Sebastian iniziò subito il suo racconto: “Anne, ascolta questa storia senza interrompermi. Due anni fa si è conclusa la mia istruzione, mi sono bastati due anni per diventare una spia, nel collegio dov’ero io le lezioni erano molto intense e dopo questo periodo si è già pronti a iniziare la prima missione. Fui preso sotto l’ala protettrice dal signore di Borgo di Sale, era un vassallo fedele, un uomo buono e magnanimo. Un giorno però Altus fece in modo che il suo consigliere più fedele gli si rivoltasse contro e riuscì a far accusare il vecchio sovrano di infedeltà. L’imperatore, credendo di fare il bene del proprio popolo, tolse il regno al vecchio re e lo consegnò al consigliere. Io assistetti a quel aggio di consegne, ma il nuovo sovrano ci minacciò di morte se non gli avessimo giurato fedeltà assoluta. Lo dovetti fare, di conseguenza mi trovai nelle fauci del leone, ero terrorizzato, era la mia prima missione e già faticavo a portarla a termine. Non sapevo che fare e decisi di restare, magari il miglioramento ci sarebbe stato, invece la situazione è precipitata con il are del tempo, i sudditi sono completamente sottomessi, le spie sono controllate tramite magia, non c’è più libertà, non esiste più la vita, c’è solo un senso di morte. Dopo un anno sono riuscito a fuggire, mi sono liberato dell’incantesimo che mi teneva legato a quel regno, mi sono tuffato nel fiume della libertà prima di arrivare qui, mi sono solo portato dietro gli strascichi dei ricordi negativi. Anne tu non hai idea di quello che sta succedendo lì, devi convincere il nostro imperatore ad agire velocemente, il popolo si sente abbandonato, devi aiutarmi, ti prego”. “Bastian, non so cosa dire. Io ti credo, ma allo stesso tempo non so come introdurre l’argomento all’imperatore, dovresti venire tu a parlarci, si metterebbe di certo subito in moto. Vedrai, vieni anche tu al castello con me, re Albert è ancora sveglio, ci ascolterà di certo.” Marianne riponeva tutte le speranze in quell’incontro, il re si fidava di lei, ma non completamente di Sebastian, decise allora di fare una visita ufficiale a Borgo di Sale, ma pensò di partire in anticipo, di travestirsi e di trascorrere alcuni giorni in incognito, in modo da vedere la realtà e l’apparenza del suo vassallo. Durante questo viaggio volle accanto a sé entrambe le spie, aveva chiesto alla ragazza di controllare il giovane, in modo che non potesse fare il doppio gioco. Nel periodo in incognito, re Albert vide cose che avrebbe preferito non vedere, il
popolo era nella degradazione più totale, solo il castello mostrava una ricchezza esplosiva. Marianne capì allora come mai gli occhi di Bastian fossero diventati così vuoti e vacui. Il territorio era nella più completa depressione e proprio quella impediva al popolo di protestare contro il potere. Nei giorni in cui la visita dell’imperatore divenne ufficiale, tutto sembrava cambiato, sembrava che la gioia fosse tornata improvvisamente, ma in realtà era imposta, era tutto falso, sembrava di vivere in un mondo parallelo, in un incubo. Marianne era sconvolta, conosceva da anni Sebastian e capiva come mai fosse così depresso, come mai i suoi occhi avessero perso la loro vitalità. L’imperatore decise che appena tornato a casa, avrebbe agito contro il signore di quelle terre. In quello stesso momento il re di Borgo di Sale decise di iniziare ad avanzare verso il centro dell’impero per deporre l’imperatore stesso. Sebastian fu presto scoperto dai suoi vecchi compagni e una sera, mentre era nel frutteto con Marianne, lo catturarono e lo portarono via imprigionandolo, dopo averlo picchiato riducendolo quasi in fin di vita. La giovane spia aveva fatto appena in tempo a nascondersi, quando arrivarono. Pianse lacrime amare per non averlo potuto aiutare, ma gli aveva promesso di non intervenire e di stare nascosta, almeno uno dei due doveva restare libero, inoltre se l’avessero vista le avrebbero fatto di peggio. Marianne però non gli aveva promesso di non seguirlo, era convinta che essere in due era meglio che essere da soli, lo aveva appena ritrovato e non poteva lasciarlo morire senza tentare di liberarlo. La giovane spia avvisò il re e poi partì seguendo da lontano, senza farsi vedere, gli uomini al servizio del malvagio Axel. Sapeva che stava rischiando molto, ma l’amicizia che la legava al ragazzo era troppo forte per lasciarlo solo. Aveva ancora impressi nella mente i suoi occhi spaventati, quando aveva udito i i delle spie nemiche. Marianne era molto migliorata nell’arte dello spionaggio e non la scoprirono. Si sentivano già al sicuro, non si preoccuparono di essere seguiti. La giovane spia ne approfittò per fare un giro del castello inosservata e per origliare un paio di conversazioni, che le fecero capire di doversi muovere in fretta e prendendo tutte le precauzioni necessarie. Decise di liberare Sebastian al più presto, fortunatamente il castello di re Albert non era poi così lontano. Scese nelle segrete e lì trovò la cella dove avevano rinchiuso il ragazzo, cercò di chiamarlo, ma lui sembrava non sentirla, sentì dei i e andò a nascondersi. “Allora Bastianuccio, va un po’ meglio? Hai deciso da che parte stare? Spero tu
abbia scelto bene, re Axel saprà ricompensarti se gli fornirai notizie sul re Albert, se capisci quello che intendo.” “Ho capito, Brian, tranquillo, ho capito. So il nome della nuova spia del re, ma lo dirò solo a lui, sappi che è appena uscita dal collegio per spie delle Alpi, è ben temprata, ma è ancora inesperta, non sa riconoscere le bugie, non sa riconoscere l’arte di una vera spia. Fammi parlare con lui, portami da lui.” “Bene, vedo che vuoi collaborare, prima verrai curato, poi parlerai con lui.” Marianne lo seguì in tutto il suo percorso di guarigione, re Axel lo avrebbe ricevuto dopo la festa data in onore del fidanzamento di Sebastian e sua figlia, infatti per legarlo ulteriormente a sé, lo aveva obbligato a sposarla. La giovane spia lo osservava da lontano, ormai aveva la certezza che lui l’aveva sentita nelle segrete e che sentiva la sua presenza all’interno del castello. Il giovane sapeva però che per lei era davvero pericoloso, per questo decise di agire e la festa era la situazione migliore, sapeva che se lui avesse davvero dimostrato affetto verso la principessa, lei si sarebbe sentita colpita nel profondo e si sarebbe allontanata da quel luogo di dolore. Quella sera, quando venne annunciato il loro fidanzamento, abbracciò teneramente la giovane. Marianne sentiva il cuore spezzarsi e l’ultimo filo di speranza fu spazzato via, quando lui baciò la principessa davanti a tutti, sembrava davvero che fosse innamorato di lei. Marianne osservava la scena da dietro le tende, si era confusa con le altre donne di servizio. Solo a un certo punto lui, mentre ballava con Adalgisa, la guardò fisso, uno sguardo vuoto, quasi a dirle che lei non contava nulla, tanto valeva che se ne andasse, ma Marianne vedeva anche che quell’amore era pura falsità. Aveva ragione Bastian, lei le sapeva conoscere le bugie negli occhi del giovane, anche se le mascherava bene. Decise a quel punto di seguire proprio il suo istinto da spia e di cercare di origliare anche l’incontro fra Bastian e Axel. Anche questa volta il suo istinto la consigliò nel modo giusto. “Allora, mio caro Bastianuccio, cos’hai scoperto a casa del nostro caro imperatore? Hai detto di aver conosciuto la sua spia personale, una giovane donna appena uscita dal collegio per spie sulle Alpi.” “Sì, certo, ma conosco solo il suo nome di copertura, si fa chiamare Marta, purtroppo è una donna molto sospettosa e non mi ha lasciato entrare troppo nelle
grazie della principessa Rosalba, è riuscita a scoprirmi prima che arrivassi a lei, così l’intervento dei miei colleghi è stato tempestivo, mi avrebbe fatto ghigliottinare in pochi giorni.” “Bene, sono felice per te, Bastianuccio, e per mia figlia, che ha trovato un giovane aitante. In preparazione al matrimonio ti sollevo da ogni impegno e missione, così ti potrai concentrare solo sulla tua futura sposa.” “Grazie mille mio re, vi sarò sempre fedele.” “Ne sono certo, Bastianuccio, ne sono certo.” Sebastian se ne andò, apparentemente felice, ma Marianne sapeva che in realtà dentro ribolliva dalla rabbia, non sopportava quel soprannome. Nel frattempo il re chiamò il capo delle sue spie e mise sotto controllo le stanze del giovane. La ragazza sapeva che era ora di andare, riuscì a fuggire indisturbata e tornò al castello di re Albert, gli riferì tutto ciò che aveva scoperto mentre spiava re Axel e diede così un grande aiuto al proprio regno, ma il sovrano vedeva che era infelice, che c’era qualcosa che la turbava. Non era per nulla sicura dei reali sentimenti di Sebastian, sentiva che lui era fedele all’imperatore, ma le restava sempre un fondo di dubbio. L’imperatore comprendeva le sue perplessità, ma decise di rimandare quel problema, almeno finché non avesse salvato il suo regno. Marianne lo comprendeva molto bene e ricominciò anche lei il suo lavoro a pieno ritmo. In fondo aveva un compito importante ed era giusto per tutti che si ricomponesse alla svelta. La principessa un po’ si arrabbiò quando venne a conoscenza del fidanzamento di colui che credeva il suo futuro sposo, ma non conosceva la vera identità del giovane e dopo pochi giorni trovò un altro ragazzo meno pericoloso di cui innamorarsi. Dopo un paio di giorni re Albert, al comando del suo esercito, marciò sul regno di Borgo di Sale, prendendo così in contropiede re Axel. Il malvagio sovrano non capiva come l’imperatore avesse compreso le sue intenzioni, Sebastian non poteva essere stato, poiché lo aveva messo sotto stretto controllo e nemmeno le altre spie potevano aver rivelato tale segreto e poi gli venne un’illuminazione, capì che la spia di cui gli aveva parlato Sebastian era riuscita a intrufolarsi nel castello e ad ascoltare i suoi piani. Axel si arrabbiò molto, ma Altus non poteva più aiutarlo, poiché la grande congrega dei maghi dell’impero lo aveva già
scoperto, processato e condannato a vivere il resto della sua vita senza poteri. È proprio in questo periodo che la magia opprimente, da lui lanciata su Borgo di Sale, stava perdendo a poco a poco i suoi effetti e il popolo si stava riprendendo piuttosto velocemente. Quando re Axel iniziò la guerra con re Albert non si erano però ancora ripresi del tutto, per questo non si opposero e ascoltarono il proprio sovrano senza rivoltarsi. Marianne decise di seguire l’imperatore in questa guerra e decise di chiedere il permesso di stare in prima linea al suo fianco, il re era un po’ perplesso, ma vedendo la determinazione nei suoi occhi, accettò di buon grado, non avrebbe potuto chiederle di spiare in modo migliore i nemici se non dalla linea più avanzata. La giovane gli fu infatti di grande aiuto, scoprì i punti deboli del fronte nemico. Sebastian l’aveva già avvistata da giorni, quando la scoprirono anche le altre spie, che cercarono immediatamente di colpirla con frecce e lance, ma il giovane in qualche modo riuscì a distrarli e a far fuggire l’amica. Dopo un paio di volte che accadde ciò, gli altri iniziarono a sospettare di lui e venne spostato su un’altra linea. Anche Marianne si era accorta di essere stata avvistata e si fece sempre più prudente. Il giorno della grande battaglia lei si trovava vicina al fiume, questa volta stava cercando di convincere alcuni soldati nemici ad ammutinarsi, quando le altre spie la notarono e si mossero velocemente per catturarla. Dopo averla presa e bloccata con delle corde, la osservarono da vicino: “Perché hai deciso di fare la spia? Saresti stata una bellissima sposa”. “Ah ah ah, ora ti insegneremo noi a cercare di imbrogliare le vere spie. Hai avuto troppa fortuna fino a ora, signorina, troppa davvero.” “Sei stata davvero impertinente, però prima di portarti dal re potremmo divertirci un po’ con te. Sei davvero carina, se tu volessi, potresti diventare la sposa di uno di noi.” “Mai! Meglio morire che stare con un traditore dell’impero come voi!” “Piccola imbrogliona impertinente, te la insegno io l’educazione.” La spia che aveva parlato per ultima prese un bastone in mano per assestarle un colpo in testa, ma in quel momento entrò nella tenda Sebastian. Il giovane notò subito l’amica e il bastone che pendeva come una condanna sulla
sua testa, disse allora: “Il re vi vuole vedere immediatamente. Mi ha anche chiesto di interrogare personalmente questa piccola imbrogliona. Potete andare”. Dopo che furono usciti, Sebastian la liberò e le fece una ramanzina epica: “Anne, ma sei forse pazza? Tu saresti dovuta restare in paese come tutte le altre donne. Cos’è ato per la testa a re Albert per farti combattere fra le prime linee? Io ti avevo vista già dopo la prima settimana!” “Ma gli altri no!” “Ovvio, perché gli altri non sentono come me la tua presenza, io non ho bisogno di vederti per sapere che ci sei.” “Bene a sapersi, chissà poi perché, non ti importa più nulla di me. C’ero alla festa, sai?” “Lo so bene, ci siamo guardati negli occhi, volevo solo che tu andassi via di là, prima che ti scoprissero. Ovviamente gli ho dovuto rivelare la tua identità, ma quando sono stato ben sicuro che tu fossi partita da un po’.” “Bugiardo! Non è vero che gli hai rivelato la mia vera identità! Perché hai messo così a rischio la tua vita?! Perché?! Sei forse pazzo?!” Sebastian non sapeva più cosa rispondere, come aveva fatto a non rendersi conto che c’era anche lei durante la conversazione con Axel o forse voleva che lei ci fosse e quindi faceva solo finta di non sentire la sua presenza, forse voleva davvero che lei sapesse che l’amava. La guardò negli occhi e la stava per baciare quando sentì le guardie sempre più vicine, dovevano fuggire, subito. Fece uscire Marianne da uno spazio fra la tenda e il terreno, osservò il suo corpo sinuoso sgusciare fra il tessuto e la terra umida e poi ò per la stessa fessura anche lui, si allontanarono di soppiatto e si voltarono verso il campo nemico solo quando ne furono abbastanza lontani. Nella fuga non si erano però accorti che una delle spie di Axel li stava seguendo. Quando furono quasi in salvo la spia estrasse arco e frecce, ne scagliò due, nessuna delle due andò a segno. Marianne si spaventò molto, l’unico istante in cui si fermò, si vide piovere addosso una freccia lucente, riuscì a evitarla rotolando di lato, nel frattempo però la spia ne aveva scagliata un’altra e stava per colpire Sebastian. Marianne agì d’impulso, doveva proteggerlo, si lanciò dunque sulla traiettoria della freccia e fece da scudo con il proprio corpo al giovane amico. Sebastian era sconvolto dalla scena che seguì. La spia gridava festante, ma il suono delle sue risa era attutito dal suo dolore.
Marianne giaceva a terra, il suo corpo era inerme, la freccia l’aveva colpita fra la spalla e il cuore, gemeva fra le lacrime, mentre lui cercava di trasportarla al campo di re Albert il più velocemente possibile. Quando l’imperatore lo vide arrivare con la giovane fra le braccia si sentì morire, ormai si era affezionato alla giovane spia e ora, fra le braccia di Sebastian, sembrava ancora più giovane di quanto non lo fosse realmente. L’imperatore chiese di interrompere per un giorno la guerra per occuparsi dei feriti. Axel la prese come un segno della debolezza e della futura sconfitta del suo sovrano. Si sentì allora ancora più forte e invincibile, ma non aveva fatto i conti con la fine dell’incantesimo di oppressione sul suo popolo, ma soprattutto sulla reazione che un grande dolore portava nell’uomo. Lo porta infatti a compiere azioni anche irrazionali, ma che sono forti e colpiscono nel profondo. Mentre i medici cercavano in tutti i modi di salvare la vita di Marianne, l’imperatore e Sebastian avevano ideato un piano infallibile per far terminare quella guerra insensata. Il giovane avvicinò i soldati nemici e li convinse a rivoltarsi. Con i propri soldati in protesta, che si unirono al nemico e gli attacchi tempestivi e continui dell’esercito imperiale, Axel dovette arrendersi, venne catturato insieme ai suoi fedelissimi e furono portati nelle prigioni reali su un’isola deserta e lontana dalla civiltà. Non avevano nessun mezzo per tornare nell’impero e non potevano dunque più nuocere a nessuno. Sebastian continuò ad andare a visitare Marianne tutti i giorni, ormai non era più obbligato a sposare Adalgisa e aveva già chiesto la mano della giovane ai suoi genitori e a re Albert: tutti erano d’accordo, ma solo nel caso che anche lei avesse accettato. Dopo un mese di convalescenza Marianne riuscì finalmente ad alzarsi dal letto, in quei giorni però Sebastian era via in missione di pace per l’imperatore. Re Albert voleva affidargli il territorio di Borgo di Sale, ma il giovane voleva prima parlarne con la donna, che doveva diventare la sua compagna per la vita. Al suo ritorno fu organizzata una grande festa, anche per la guarigione definitiva di Marianne. Quando la ragazza scese la scalinata centrale, che portava al salone da ballo, tutti erano estasiati alla sua vista, per la prima volta portava i capelli sciolti, che le scendevano lungo tutta la schiena, l’abito era di un meraviglioso azzurro cielo, la gonna era fatta di molti veli sovrapposti e frusciava sul pavimento a ogni suo
o. Sebastian l’aspettava alla base della scala, le fece l’inchino e poi la prese sottobraccio. Re Albert era felice a quella vista, era come se vedesse sua figlia. Le danze iniziarono presto, Sebastian la invitò prima che altri potessero farlo, sapeva quanto lei amasse ballare, dopo alcuni giri di valzer, polka e tango, la invitò a uscire un momento in giardino. Fuori faceva freddo, Sebastian le appoggiò sulle spalle il proprio mantello, poiché tremava dal freddo, ormai era quasi Natale, ma non aveva ancora nevicato. Sapeva quanto Marianne amasse l’inverno e la neve, per questo pregava da giorni di poterle fare la proposta in mezzo a una coltre bianca. Marianne non sapeva cosa aspettarsi da lui, non lo capiva più. Gli occhi gli brillavano di nuovo, ma in maniera diversa, aveva paura di illudersi inutilmente, era da quando lo aveva conosciuto che ne era innamorata, ma lui era stato sempre molto rigido e freddo e se lei si avvicinava troppo normalmente lui si chiudeva a riccio. Anche quando gli chiedeva di ballare faceva di tutto per scappare, solo quando beveva il sidro caldo la invitava a danzare con lui, ma a quel punto invitava quasi tutte. “Come mai mi hai invitata a ballare prima? Non ti ho visto bere sidro caldo. Di solito con quello diventi più gentile con me, riesci anche a farmi qualche complimento.” “Sei proprio perfida, insomma, vuoi proprio che ti dica le cose anche se le sai benissimo.” “Spero tu stia scherzando.” “Certo che no, lo sai benissimo, Anne, che non ho bevuto sidro questa volta, semplicemente sono arrivato al punto di perderti prima di chiarire i miei sentimenti per te. Io mi sono innamorato e non ti voglio perdere più, voglio che tu mi stia sempre vicina d’ora in poi, così che io possa controllare che non ti faccia coinvolgere in altre guerre.” “Io in realtà non credo di volermi fare di nuovo colpire da una freccia per salvare te, quindi sei tu che devi stare fuori dai guai.” “Ma hai sentito quello che ti ho detto, Anne?! Io ti esprimo i miei sentimenti e tu riesci solo a farmi sentire in colpa. Lo sai bene che sarà sempre il mio più grande rimpianto quello di essermi fatto salvare a rischio della tua stessa vita. Ti amo,
diamine! Ti amo e non riesco a farti uscire dalla mia testa, lo vuoi capire?!” Marianne per un po’ stette lì a guardarlo negli occhi, quegli occhi verdi che stavano perlustrando i suoi in cerca di qualche segno d’affetto nei suoi confronti, lei allora li chiuse, non voleva che lui vedesse quanto profondo e radicato era il suo di amore, non voleva che lui scoprisse la verità. Il suo viso fu però colpito da un soffice fiocco di neve. Riaprì allora gli occhi e guardò il cielo che stava facendo cadere quei piccoli cristalli freddi, che al tempo stesso portavano così tanta serenità. Riuscì solo a dire: “Nevica! Non è uno spettacolo meraviglioso? Ehi, perché non guardi la neve?” “Perché se guardo questo spettacolo riflesso nei tuoi occhi, il tutto mi sembra ancora più splendido.” Sebastian l’aveva davvero colpita questa volta, non era da lui farle certi complimenti, lo osservò meglio, sorrideva, un sorriso malizioso, un sorriso che la sfidava a rispondere, lei preferì allora non proferire parola, ma chiudere gli occhi e baciarlo. Il giovane si rivoltò: “Ma insomma! Perché devi sempre fare la parte dell’uomo, tu?! L’uomo sono io!” “Sei sempre il solito criticone, ma ti amo comunque. Sono anni che ti amo così come sei.” “Anni?! Sei proprio pazza, ti ho trattato nei modi peggiori.” “Ma è così che si capisce di voler davvero bene a una persona: quando la perdoni qualsiasi cosa lei faccia.” “Ti amo, per questo volevo farti una domanda.” Si inginocchiò sulla coltre bianca e fredda che la neve aveva creato per lui, le prese la mano e le pose la fatidica domanda: “Mi vuoi sposare?” Marianne era sorpresa: “Sì, lo voglio”. Poi si accoccolò vicina a lui, lui la strinse a sé. “Certo che questa situazione è davvero strana, dopo così tanti anni, solo ora ho capito quanto tu sia preziosa per
me.” “C’est la vie. La vita si diverte a giocare così con noi poveri umani.” Restarono lì stretti l’uno all’altra per un po’, poi rientrarono e diedero la lieta notizia a tutti. Re Albert ne fu davvero felice e propose ai due giovani di occuparsi del regno di Borgo di Sale. I due dapprima ebbero paura: come si faceva a governare un regno? Ma re Albert era convinto delle loro capacità, così li convinse. Furono i migliori regnanti che la regione avesse mai avuto. Non si occuparono più di spionaggio, ma non dimenticarono mai le loro peripezie, fortunatamente non vi furono più guerre per molti e molti anni. Vissero tutti felici e contenti, in armonia fra loro, ma soprattutto ballarono molto e, cosa ben più importante, insieme, infatti Sebastian non smise mai più di invitare Marianne per ogni danza.
Sottoguda, 4 gennaio 2012
Cara bisnonna, questa mattina ho cercato di mettermi in contatto con Sir Green, ma nessuno lo ha più visto da ieri mattina, quando è partito presto per andare a sciare, ho subito inviato una mail a Ms Edwina, così mi ha dovuto confessare che Hannibal lo ha rapito. Hanno avvistato ieri sera lo stregone malvagio a Barcellona, Bruja Dulcinia lo ha notato in compagnia di un altro giovane dai capelli corvini e dagli occhi chiari. Dopo aver saputo questo sono partita immediatamente, sono comparsa vicina alla casa Batllò, sapevo che se fossi stata io a presentarmi in Spagna di persona, Hannibal si sarebbe di sicuro fatto vedere, infatti l’ho visto subito in mezzo alla folla e con lui c’era proprio Ian. Li ho seguiti fino al porto e poi verso l’acquario. Credevo di averlo perso di vista, invece era entrato nell’edificio e l’ho ritrovato nella zona del tunnel. Sopra le nostre teste avano squali e razze. Mi ha detto cose che non avrei mai voluto sentire; te lo giuro, nonna, è stato terribile. Ha esordito dicendo: “Finalmente sei tu a inseguirmi, mi sento onorato”. “Hannibal, lascia andare Ian, lui non c’entra nulla con noi e nemmeno con il nostro mondo,” ho ribattuto.
“Non è vero, lui c’entra eccome. Io mi ero innamorato seriamente di te, ma tu continuavi a pensare a lui. Poi ho scoperto che eri una guardiana, ti avevo trovata, dopo dieci anni di ricerche l’Organizzazione poteva mettere le mani sui tuoi poteri, ma tu non mi volevi più e io ho capito subito perché. C’era ancora lui nei tuoi pensieri, negalo se puoi!” “No, non posso, non potrei mai rinnegare la nostra amicizia! Tu non puoi capire cosa significhi essere amici e non lo capirai mai, ma non è di certo colpa sua. Poi non capisco perché l’Organizzazione voglia i miei poteri, io non sono ancora una strega.” “Ah ah ah, mi auguro tu stia scherzando! Tu sei la strega più potente del mondo magico, sei ancora così innocente, ero attratto dalla tua purezza, volevo violarla io, volevo portarti a essere adulta, invece non me ne hai dato la possibilità, sei voluta restare bambina. Io volevo dimostrarti quanto è bello essere adulti, quanto si vive meglio senza fantasia, ma il tuo radar ti ha salvata, così ho pensato di rubarti la cosa che più ami al mondo e non te la restituirò, finché tu non mi consegnerai il tuo libro degli incantesimi e tutti i tuoi poteri.” “Io te li consegnerei volentieri, odio avere una doppia vita, soprattutto se serve a far del male ai miei amici, ma non posso, non li conosco ancora, come faccio a darti qualcosa, che non ho ancora capito di avere?” “E allora tu continua a tenerti i tuoi poteri, ma se ti sparirà qualcos’altro, pensa a cosa farebbero loro per te e se tu stai facendo tutto ciò che puoi per loro. Secondo me dovresti vergognarti, loro darebbero la vita per te, tu nemmeno i tuoi poteri. Sei infantile e codarda. Non sei degna nemmeno di un occhio della tua povera defunta bisnonna, lei ha sacrificato tutto per tua nonna.” Non sapevo più che dire e me lo sono lasciata scappare con il povero Sir Green in stato di incoscienza. Lo aveva rimpicciolito in modo da poterlo tenere in tasca, nonna, sono davvero sconvolta, non so che fare. In questo momento vorrei solo non avere due vite, vorrei non aver mai conosciuto la magia. Dopo l’incontro con Hannibal sono tornata subito a casa, i genitori di Ian sono convinti che lui sia andato a fare un viaggio esplorativo sulle montagne del Perù, grazie a uno stage che gli è stato offerto dall’università per studiare la flora e la fauna di quella zona del Sud America. Non so come Ms Edwina abbia fatto a convincerli, ma credo sia l’unico modo per evitare che si preoccupino, mentre
cerchiamo di ritrovarlo. Ero così vicina a lui, eppure sono stata così stupida da farmelo scappare. Non ho mai desiderato tanto come oggi di non aver alcuna dote magica, pensavo sarebbe stato bello, pensavo che con questo dono avrei potuto migliorare il mondo, soprattutto proteggendo la fantasia, invece sono riuscita solo a mettere in pericolo il mio migliore amico. Hannibal mi ha detto molte cose, che hanno allungato di alcuni punti la lista che già avevo per i quesiti senza risposta. Nonna, perché non sei qui con me? Tu sapresti trovare la soluzione a questo garbuglio di guai. Nonna, cosa devo fare? Ho trovato anche l’incantesimo per consegnare i miei poteri ad Hannibal, ma sento che non è la cosa giusta, vorrei poter salvare Sir Green senza dover rinunciare al tuo lascito, ma come mi hai sempre insegnato, solo i cattivi ottengono tutto, senza perdere nulla. Vorrei che la vita reale fosse come le tue storie, in fondo Gioia ha ottenuto tutto alla fine, l’amore, la libertà, non ha rinunciato a nulla, il punto è che lei ha avuto il coraggio di combattere, io questo coraggio non ce l’ho avuto. Ha ragione Hannibal, io sono una codarda, non avrei mai dovuto lasciarlo parlare, avrei solo dovuto colpire il vetro, fare in modo che gli cadesse in testa uno squalo e liberare Ian, ma no, io sono la solita sciocca, le cose mi vengono in mente sempre dopo, santo cielo, perché non ho coraggio? Il tuo racconto parla però di una ragazza che lotta per ottenere una vita reale, una vita normale, perché io non posso averla? Hannibal ha detto che l’Organizzazione vuole la mia magia, perché sono una strega potente, ma io non lo sono! Faccio solo un sacco di pasticci con gli incantesimi, nonna, non capisco più nulla. Non sai quante volte in queste ore ho desiderato essere nata normale, la magia ha messo nei guai il mio migliore amico, nonna, lui sta rischiando la sua vita a causa mia. Io non lo sopporto, non lo sopporto proprio. Questa storia, che mi avevi raccontato, mi spinge a pensare che lottare per la normalità sarebbe meglio, sarà anche più noiosa, ma almeno chi ci ama correrebbe meno rischi. Non lo so, nonna, ho sempre meno certezze, ora cerco di dormire un po’, forse mi schiarirò le idee, ti scrivo domani, ti voglio bene, tua Rossana.
Isolata per stregoneria
C’era una volta, molti anni fa un castello, nel quale vivevano un re, una regina e la loro figlioletta appena nata. Il re era orgoglioso della piccolina e la chiamò dunque Gioia, la piccola sorrideva sempre ed era davvero molto dolce, il sovrano si aspettava che alla maggiore età sua figlia non avrebbe avuto problemi a trovare un bel principe che la sposasse. Non aveva però previsto che una strega malvagia, che era stata da lui rifiutata in gioventù, si sarebbe presentata alla loro porta e avrebbe lanciato un potente e malvagio sortilegio: la bimba, ogni qual volta si fosse innamorata, sarebbe stata rivestita da una lastra di vetro e il giovane, per il quale il suo cuore avesse iniziato a battere, avrebbe visto in lei solo i suoi difetti e l’avrebbe odiata profondamente. Il re era disperato, sua figlia avrebbe potuto sposare chiunque, ma senza esserne innamorata e per lui l’amore era stato tutto nella sua vita. La bimba crebbe piena di buone doti, purtroppo non era molto bella, aveva i capelli lunghi e biondi, gli occhi azzurri, che cambiavano colore con il cambiamento del tempo, ma il suo problema era il fisico: infatti, proprio come sua nonna, aveva le forme molto morbide, era un po’ cicciottella. Di certo il suo buon carattere compensava, anche se aveva ogni tanto delle crisi di nervi e poteva arrabbiarsi davvero facilmente per le cose serie, a cui teneva. I problemi non iniziarono però fino a che lei non raggiunse i tredici anni, quell’anno conobbe un ragazzino, dagli occhi chiari e i capelli corvini, se ne innamorò, anche se non capiva bene cosa le stesse accadendo. Sentiva le farfalle nello stomaco, soprattutto quando lui l’abbracciava, divennero buoni amici, ma sembrava che qualcos’altro non sarebbe potuto nascere. A volte Liam, questo era il nome del ragazzino, non le rivolgeva la parola per giorni, poi tornava e l’abbracciava senza alcun motivo e lei soffriva, ci stava male, si sentiva come isolata dal resto del mondo, perché lui in quel momento era per lei tutto il suo mondo. Era piccolina, ma si era già innamorata. Gli anni avano e appena lei si dimostrava innamorata di un ragazzo, questi la allontanava, e lei ogni volta si sentiva un mostro e piangeva per ore. Puntualmente, ogni volta che si innamorava di un altro, Liam si faceva più affettuoso, più carino con lei e di conseguenza lei ricadeva nel suo primo amore, a quel punto lui si allontanava di nuovo e lei era sempre più a terra rispetto alla volta precedente. Era più forte di lei, non ce la faceva a dimenticarlo, a cancellarlo dalla sua mente. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, suo padre decise finalmente di
raccontarle tutta la verità. Le parlò della strega cattiva e del sortilegio da cui era stata colpita, quando era ancora in fasce. Gioia non poteva credere alle sue orecchie, iniziò a piangere, non sarebbe mai riuscita a coronare il suo sogno di sposare un uomo di cui era innamorata, non avrebbe mai avuto il suo grande amore, tanto valeva farsi strappare il cuore dal petto. Inoltre il ragazzo che amava era sempre più irraggiungibile, a ogni ballo lui danzava solo con le altre, a esclusione di qualche rara volta. Quando ballavano insieme tutto le sembrava perfetto, il mondo intorno a loro non esisteva più, c’erano solo loro, era come una magia, ma una magia di quelle buone, questa volta. Per lei Liam era tutto, ma sembrava che lui non si interessasse a lei e Gioia non sapeva se fosse per l’incantesimo o proprio perché lei era brutta, si chiudeva allora in se stessa e soffriva in silenzio per non far sentire in colpa il padre. Gioia adorava davvero molto danzare, ma quando, a causa dell’incantesimo e della sua scarsa bellezza, nessuno la invitava, si arrendeva e accettava di danzare anche con qualche arzillo nonnino, che la invitava e lei, per non sembrare scortese, acconsentiva, ma mentre ballava, vedeva Liam danzare con altre giovani del villaggio, molto più belle di lei e si sentiva morire, sapeva però di doversi fare coraggio e di sorridere davanti alle avversità, qualunque scelta lui avesse fatto, lei l’avrebbe accettata, erano amici da talmente tanto tempo. Da piccola le era sempre stato detto che l’amore è più forte di qualsiasi sortilegio o malocchio, questo significava forse che lui non l’amava? Che lui la odiava? Sebbene Gioia fosse consapevole dei doveri di un’amica, non riusciva a far a meno di essere triste, quelle poche carezze che lui le offriva erano il balsamo che leniva le sue ferite, ma erano anche il suo tormento nei lunghi periodi in cui lui non le parlava. Furono due balli in particolare, che lei ricordava con più malinconia: il primo e l’ultimo, che avevano fatto assieme, le sensazioni che aveva provato in quel momento erano bastate a sollevarla per pochi secondi dal dolore, che le aveva procurato il sortilegio della strega cattiva. Si era finalmente sentita come una vera principessa, si sentì bella e accettata almeno per una volta. Perché non veniva in suo soccorso una fata madrina come quella di Cenerentola? Invece no, doveva arrangiarsi da sola. Il primo ballo che avevano fatto insieme, lei gli aveva pestato i piedi, perché non era ancora esattamente capace di ballare, ma lui era stato davvero molto dolce e non l’aveva neppure sgridata, alla fine della serata si erano salutati con un
abbraccio e lei in quel momento si era davvero sciolta e poi c’era stato l’ultimo ballo, era a una festa molto importante. Lui l’aveva fatta ballare senza che lei glielo chiedesse, già questo l’aveva sorpresa e l’aveva resa davvero felice, avevano danzato insieme a lungo, lui le aveva sorriso per tutto il tempo, con i suoi begli occhi luminosi e profondi, le aveva accarezzato dolcemente il viso e le aveva anche fatto dei complimenti. Gioia dopo quella serata era davvero al settimo cielo, ma poi precipitò di nuovo nella triste realtà, tutta colpa di quel sortilegio, ma si sarebbe mai infranto? La strega cattiva si era resa conto dell’amore che la giovane provava nei confronti di Liam e gongolava all’idea che lei stesse ando quello che aveva vissuto lei stessa, non aveva però calcolato il fatto che la giovane era più forte e meno vendicativa di quanto lo fosse stata lei in vita sua. Il sortilegio, però, distruggeva sempre più le certezze di Gioia sull’affetto del giovane amico. Liam infatti l’aveva a malapena salutata, non le aveva rivolto la parola, le si era avvicinato solo quando Diana, una sua cara amica, era andata a sedersi vicina a lei. Sembrava eternamente arrabbiato con lei, non le sorrideva e i suoi occhi esprimevano solo un profondo disprezzo, quasi a livello dell’odio. Lei ne soffrì moltissimo, ma non si sarebbe arresa così facilmente, almeno in nome della loro amicizia. Tornata a casa si sedette e scrisse alcune parole su di un foglio, aveva deciso di partire per cercare un contro-incantesimo, che l’avrebbe liberata da quel sortilegio malvagio, che altrimenti l’avrebbe perseguitata a vita. Annodò le lenzuola e si calò giù dalla finestra, si avviò verso il bosco e si rifugiò in una torre, che assomigliava alla prigione di Raperonzolo, quello era sempre stato il suo rifugio segreto, lì almeno poteva riflettere indisturbata. Dove avrebbe potuto cercare aiuto per cancellare quell’incantesimo così nefasto? La mattina dopo partirono però le ricerche, ma nessuno l’avrebbe trovata, questo pensava Gioia; sentiva lo scalpiccio degli zoccoli dei cavalli delle guardie di suo padre, ma erano poi spariti tutti e lei alla fine si era addormentata sul marmo freddo. Non sentì nulla, né l’alba che giungeva, né un cavallo che stava arrivando sotto la sua finestra e neppure un giovane cavaliere che si arrampicava sulla torre, poiché non aveva notato la piccola porta nascosta dietro l’edera. Quando Liam giunse in cima alla torre, trovò la giovane amica addormentata, le scostò una ciocca di capelli dal viso, sembrava quasi serena, ma si capiva che era rimasta sveglia tutta la notte a riflettere. Il ragazzo aveva saputo dal re del sortilegio che aveva colpito Gioia, non riusciva ancora capire se l’amasse davvero, ma sentiva che non poteva starle lontano. Sapeva di averla trattata male, ma era confuso anche lui, l’aveva sempre vista solo come un’amica,
raramente l’aveva immaginata al suo fianco come sposa, ma quelle poche volte in cui ci aveva pensato, aveva sentito il calore invadere il suo petto e il cuore aveva iniziato a battergli più forte. In quel momento provò il desiderio di baciarla, c’era qualcosa che lo tratteneva, ma non era abbastanza forte, così affrontò quel blocco, voleva capire cosa provasse davvero per lei, si avvicinò al suo viso, la sua pelle profumava di buono era bianca, tranne le guance, che erano rosee. Alla fine le diede un bacio sulle labbra, il bacio che la liberò dal malvagio incanto. Gioia si svegliò di soprassalto, era sorpresa, esterrefatta, non sapeva cosa pensare, poi si ricordò di aver sentito che qualcuno l’aveva baciata e poi una sensazione nuova, si sentiva finalmente libera, ma cos’era successo? “Che ci fai tu qui?” “Sono venuto a cercarti, ti aspettavi forse che ti lasciassi morire qui di fame?” “Non volevo spaventare tutti, ma volevo partire alla ricerca di un controincantesimo per il sortilegio della strega malvagia.” “Tuo padre me ne ha parlato, ma come hai pensato di poterlo trovare da sola? E poi non hai pensato ai pericoli che stavi correndo? Sei sempre la figlia del re, dopotutto!” “Senti, questi non sono esattamente affari tuoi. Io volevo solo sconfiggere la strega, non posso lasciare che lei condizioni così la mia vita! Perché devo pagare per un errore che non ho commesso? Ora lasciami andare, devo trovare la strega del Picco Bianco, solo lei può aiutarmi. Vai, torna al castello, di’ a mio padre che sto bene, ma che non posso tornare. Lasciami sola, questa è una faccenda fra me e la strega malvagia.” “Non dire baggianate, tu ora vieni via con me!” La prese di peso e la trascinò giù per le scale. Gioia cercò di divincolarsi dalla sua stretta, perché non capiva le sue ragioni? Liam la fece salire a cavallo e poi salì anche lui, Gioia iniziò a tirargli pugni e calci, era furiosa, lui allora si fermò, era felice di averla lì vicino, ma voleva chiarirsi le idee e così girò il cavallo e tornò verso il bosco, verso la capanna del saggio della valle. Arrivato fece scendere la giovane e si avviarono insieme verso la porta, Liam bussò e un vecchio dalla lunga barba bianca venne ad aprirgli: “Vi stavo aspettando”. Li fece entrare. Nel caminetto scoppiettava un vivace fuocherello, il saggio era
come avvolto da un’aura di sapienza e Gioia si sentiva in soggezione davanti a lui, ma il vecchio le sorrise e allora lei si rilassò. L’anziano saggio iniziò subito a parlare: “So perché siete qui, non ho bisogno di spiegazioni, lo leggo nei vostri occhi, ma purtroppo non ho una risposta alla vostra domanda, non so se l’incantesimo è stato cancellato definitivamente con il bacio, solo la strega che lo ha prodotto potrà dirvelo con certezza, io purtroppo non posso dirvi più di questo, cioè che l’amore è la magia più forte al mondo, sta a voi scoprire se esista anche nel vostro caso o se sia solo fantasia”. “Quindi lei pensa che dovremmo andare dalla strega malvagia?” “Sì, principe Liam, credo che questa sia l’unica soluzione. Mi dispiace non potervi dire di più, questo è tutto ciò che so.” Liam prese per mano Gioia e, dopo aver salutato il vecchio saggio, l’aiutò a salire nuovamente sul suo destriero. I due si volsero poi verso il sentiero che portava alla casa della vecchia strega. Era una catapecchia che cadeva a pezzi, dal camino usciva del fumo. L’atmosfera intorno al luogo era spettrale e di lì a poco avrebbero scoperto che era anche pericoloso stare lì intorno. Dalla porta uscì improvvisamente la strega, una vecchia ricoperta di stracci. Appena li vide li aggredì con una scarica di fulmini, il loro cavallo si spaventò molto, si impennò e li fece cadere entrambi a terra: “Tu, come hai osato tentare di sciogliere il mio sortilegio? Ora la mia ira si scatenerà su di te, impudente di un ragazzino che non sei altro!” La strega iniziò a lanciare incantesimi e sortilegi a destra e a manca, colpendo gli alberi e i sassi dietro i quali avevano cercato di rifugiarsi i due giovani. Gioia era disperata: “È tutta colpa mia se tu ti trovi in questo guaio, scappa, lascia che uccida me, tu non c’entri nulla! Vai! Fuggi via!” Ma Liam non voleva muoversi, gli sembrava di vederla per la prima volta, gli pareva di non conoscerla affatto. Nella sua testa era sempre stata una bambina bisognosa di cure, mai una donna, figurarsi una donna coraggiosa. Gioia a quel punto, vedendo che lui non si muoveva, decise di uscire allo scoperto, si avviò con coraggio verso la strega, le arrivò di fronte; la vecchia malvagia fu sorpresa da questo gesto e le disse: “Cosa credi di fare, ragazzina, di sconfiggermi magari? La mia magia ti ucciderà, non sopravvivrai a nessuno dei miei incantesimi, già con il primo cadrai morta a terra. Ti do un po’ di tempo per
fuggire se vuoi, vai, su, scappa”. Gioia sentiva una forza inaudita prorompere in lei: “Puoi anche uccidermi se vuoi, non mi importa, una vita senza amore e colma di odio non vale la pena di essere vissuta, rischierei di finire come te: vecchia, zitella, inacidita e malvagia. Questo non è ciò che voglio per me, se non posso amare ed essere amata allora tanto vale che tu mi uccida, qui e subito”. Gioia chiuse gli occhi aspettando di non sentire più il suo corpo da un momento all’altro, magari sarebbe diventata l’angelo protettore degli innamorati, chissà, magari avrebbe aiutato qualcuno a vivere l’amore, che lei non aveva potuto avere. Dopo un po’ sentì un grido raccapricciante, che non era di certo suo: aprì allora gli occhi e vide davanti a lei Liam. Il giovane le aveva fatto da scudo contro l’incantesimo della strega malvagia. La vecchia maga non aveva calcolato che il sacrificio per amore era una delle magie bianche più forti contro la sua magia nera. Il sortilegio era infatti rimbalzato sul giovane, come su di uno specchio e poi aveva colpito la maga che lo aveva lanciato, togliendole tutti i suoi poteri e riducendola a una semplice vecchia signora. Liam era però crollato a terra e non si rialzava più. Gioia aveva paura che fosse morto, ma dopo un po’ lui si risvegliò dicendole: “Non ti sei ancora liberata di me, spero solo non ti dispiaccia troppo”. Lei allora gli accarezzò il viso e lo strinse forte al suo petto. In quel momento giunsero le guardie del re, che arrestarono la strega ormai innocua e la portarono nelle segrete del castello, Gioia e Liam ritrovarono il cavallo e invece di ritornare subito al castello, andarono a fare una lunga eggiata sulle montagne, volevano stare un po’ tranquilli dopo tutte quelle emozioni e non c’era miglior luogo della cima di qualche monte, dove il silenzio e la serenità regnano sovrani. Sapevano di dover tornare per dare alcune spiegazioni al re, ma in quel momento volevano solo stare abbracciati a vedere il sole sorgere e illuminare tutta la valle. Dopo un paio d’ore tornarono verso la valle, Liam spiegò al re come aveva ritrovato la sua bambina, raccontò poi del vecchio saggio e della lotta con la strega, gli parlò del coraggio di sua figlia e poi gli chiese di poterla sposare. Il re fu ben felice di accettare, il sortilegio era stato spezzato e l’amore, almeno per
questa volta, aveva trionfato. Da quel giorno in poi la valle visse nella più completa serenità, la strega non poteva più nuocere e la sua storia veniva usata come modello per insegnare ai bambini che vendicarsi non è bene e che porgere l’altra guancia portava a risultati migliori, perché la sofferenza veniva sempre ricompensata. Gioia e Liam ne erano l’esempio lampante, infatti la loro felicità e il loro amore erano il premio più ambito ormai da tutti.
Sottoguda, 5 gennaio 2012
Cara bisnonna, prima di raccontarti quello che è successo oggi, volevo darti una buona notizia: anche la tradizione dei pagaruoi è ancora viva e vegeta! Ti ricordi quando il papà mi preparava il mazzo con i rami, che poi la sera andavo a bruciare vicino al falò, recitando tutte quelle filastrocche, che mi avevi insegnato? Era un rito propiziatorio, perché il raccolto nel nuovo anno fosse ricco. Quando ero piccola, però, la vedevo solo come il partecipare al rogo di una strega malvagia, la donaza, che minacciava di mangiare tutti i bambini che stavano fuori la sera oltre il tramonto. Era come diventare dei cavalieri giusti, che salvano il popolo dal drago cattivo e questo mi dava sempre grande speranza per il dono della Befana, perché, anche se avevo fatto qualche marachella, mi sarebbe di certo stata perdonata, visto che avevo salvato il mio popolo. Invece ora sono io la strega e fino a questa mattina mi sentivo pure cattiva. Fortunatamente Ms Edwina mi ha contattato per darmi una buona notizia, avevano individuato Hannibal a Salisburgo, così mi sono preparata psicologicamente, ho infilato in borsa il mio libro degli incantesimi e mi sono teletrasportata nel bosco vicino alla fortezza di Hohensalzburg. Hannibal era stato visto proprio nel cortile della fortezza, in effetti mi stava aspettando vicino alla cappella, era ancora presto e la fortezza non era ancora stata aperta al pubblico. Gli ho detto di restituirmi Ian e solo dopo gli avrei consegnato i miei poteri, non mi ha ascoltata e ha iniziato a correre, non l’ho nemmeno rincorso, ho subito lanciato un incantesimo barriera. “Non puoi andare da nessuna parte, libera Sir Green, altrimenti ridurrò anche te a una formica.”
“Ti sei svegliata finalmente, ora inizi ad assomigliare di più alla tua defunta bisnonna, ma sei ancora troppo debole, questo scudo si può infrangere in un secondo.” “Non mi importa, tu non te ne andrai da qui con Ian!” “Tu sei innamorata di lui.” “No! È il mio miglior amico, gli voglio moltissimo bene, voglio solo che possa tornare a casa sua e dimenticare tutto questo!” “Sei una strega buona, perderai tutto, anche lui. Tu credi davvero che lui amerà mai una guardiana o che comunque vorrà starle vicino come amico? No, te lo scordi!” “Non mi importa! Io voglio solo che lui torni a casa sano e salvo! Foglie di quercia fatata e mossa dal vento, che Ian torni a Londra in un solo momento!” È stata una cosa fantastica, nonna, un vento fortissimo ha iniziato a soffiare da dietro le mie spalle verso Hannibal e a un certo punto il suo cappotto, con Ian dentro, è volato via ed è sparito. Dovevi vedere la faccia di quel malvagio! Che soddisfazione, nonna, era sconvolto. Nel frattempo è arrivata anche Frau Christabel, che l’ha portato via. Io invece sono volata a Londra, a Trafalgar Square ho incontrato Ms Edwina, mi ha portato subito da Sir Green: era ancora piccolo piccolo, ma almeno era vivo. La guardiana mi ha promesso che lo avrebbe ritrasformato lei stessa, ma prima che torni in forze eranno alcuni giorni; nel frattempo Hannibal è stato messo sotto torchio e ha rivelato alcune cose davvero interessanti. L’Organizzazione cercherà di rapire qualcun altro fra i miei amici, ma lei mi ha promesso che, qualsiasi cosa accada, tutto il Consiglio sarà pronto ad aiutarmi. Inizio a sentire la magia come se fosse parte di me, mi piace far valere la giustizia. So che è sbagliato festeggiare per le disgrazie altrui, ma in fondo tu me l’hai sempre detto che in ognuno di noi convivono bene e male, proprio come nell’allegra storia, che ho deciso di trascrivere questa sera Tre combina guai. Dalia è una ragazza dal cuore d’oro e sa bene cosa sia giusto e cosa sbagliato, è ovvio però che ognuno di noi può avere dei momenti negativi e che a volte dobbiamo commettere degli errori per imparare come sbrogliare anche le matasse più
ingarbugliate. Ognuno di noi impara dai propri errori, ma la cosa più importante è avere l’umiltà di riconoscere di aver sbagliato e di chiedere scusa, soprattutto se abbiamo ferito qualcuno che ci sta a cuore. È una lezione che ognuno di noi dovrebbe imparare prima o poi nella propria vita. Se invece non riconosciamo i nostri errori e non chiediamo perdono, allora resteremo in fallo e decideremo, noi stessi, di rimanere nella sfera dei cattivi. È dunque una nostra scelta, se essere buoni o cattivi. Non dipende da una questione di DNA in che sfera ci troviamo, tutto dipende solo dalle nostre scelte, tutto dipende dai nostri comportamenti e atteggiamenti. Non tutti se ne accorgono e se sbagliano e restano nella sfera dei cattivi, danno sempre la colpa agli altri o al fatto che sono nati così, non hanno l’umiltà di rendersi conto che tutto è nelle loro mani e che se volessero, potrebbero essere migliori, potrebbero essere buoni, ma per loro è più facile essere cattivi. I malvagi non devono infatti abbassarsi a chiedere perdono, non si preoccupano degli altri, ma solo di se stessi e se vengono colpiti, non soffrono poi molto, poiché pensano a come potrebbero vendicarsi di questa o quella persona che li ha sgridati, che li ha derisi o che semplicemente li ha battuti in una gara. Credo che questo sia anche il problema di Hannibal, in lui non c’è solo il male, ma anche il bene, solo che non vuole affrontare gli ostacoli, non vuole provarci, è più facile essere cattivo, perché i buoni devono sempre rinunciare a qualcosa per poter vincere e spesso è la propria dignità, devono essere umili e ciò è incomprensibile per un ragazzo abituato all’egocentrismo e a non abbassarsi mai a stipulare dei patti. Oggi mi sento meglio, è stata una prova davvero tosta questa, domani tornerò a Londra, voglio parlare dei miei antenati con Ms Edwina, voglio conoscere meglio questo mondo. Ti scrivo presto, nonna, ora vado a dormire, ti voglio bene, tua Rossana
Tre combina guai
C’erano una volta, in un regno molto, molto lontano, perso fra le montagne più maestose che qualsiasi essere possa immaginare, tre principesse, molto, ma molto pasticcione. Si chiamavano Reve, Mosi e Cyfran.
Avevano poco più di otto anni ed erano tre autentiche birbanti. Mosi era la prima nata, aveva capelli biondi e occhi azzurri, veniva poi Reve, che aveva i capelli castano chiaro e gli occhi nocciola da vero cerbiatto furbacchione e infine c’era Cyfran, mora e con gli occhi nocciola. Le tre gemelline avevano anche delle sorelle maggiori, a dire la verità ne avevano davvero parecchie, molte già sposate o che comunque ormai vivevano lontane dal castello, altre che abitavano ancora con loro. La maggiore in casa in quel momento era Dalia: la giovane aveva raggiunto ormai la maggiore età, ma non aveva ancora trovato marito, di certo ciò non era dovuto alla sua intelligenza e neanche totalmente al suo aspetto, infatti aveva capelli biondi e occhi azzurri, che compensavano le sue forme così morbide. La loro famiglia era davvero numerosa, la maggior parte delle figlie aveva una gemella, la loro mamma aveva infatti dato alla luce più di trenta bambine nel giro di dieci anni, era una cosa incredibile, per questo era così famosa sull’intero globo terrestre. La loro mamma si chiamava Giovanna, era una donna forte, con la salute un po’ cagionevole dopo tutte le bimbe che aveva dato alla luce. Dopo la nascita delle sue ultime tre figlie era diventata sempre più stanca e irascibile, ma voleva loro molto bene. Naturalmente Dalia si trovava così sulle spalle il peso di tutta la sua famiglia e della gestione del castello, proprio a causa della malattia che aveva colpito sua madre nell’ultimo periodo. Dalia copriva spesso le piccole marachelle delle sorelline, non aveva infatti voglia di sentir gridare la mamma dal letto, perché sentiva cadere un vaso dei fiori o perché gli animali scorrazzavano per il cortile rincorsi dalle tre birbe. La mamma pretendeva tanto dalle figlie maggiori e in particolare da lei, poiché era la più grande in quel momento all’interno del loro palazzo. Reve, Cyfran e Mosi non capivano però come mai lei non si fosse già sposata, come avevano fatto le altre sorelle più vecchie di lei: Miela, Aire, Asibel e le altre erano uscite una alla volta da quel castello, ognuna accompagnata da un giovane cavaliere, che si era conquistato la loro mano con atti di puro coraggio. Un giorno scoprirono però il motivo per cui Dalia non accettasse alcun pretendente, avevano infatti intercettato una missiva che giungeva da oltre mare da parte di Bera, la gemella di Dalia, che si era da poco sposata con un giovane duca. Nella lettera Bera le diceva di smetterla di pensare a Loan, perché lui non l’avrebbe mai considerata più di una semplice amica, doveva smetterla di rifiutare tutti i pretendenti solo perché non erano lui, altrimenti sarebbe rimasta zitella a vita, come diceva anche un loro vecchio amico: Tim Tomton.
Le tre gemelline conoscevano bene Loan: era un bel giovane, alto, moro, occhi verdi come le foglie degli alberi a primavera, pelle chiara come la luna quando è piena, spalle larghe capaci di sostenere una montagna, capelli corvini e mossi, come se il vento li sfiorasse continuamente con il suo soffio; molte giovani erano innamorate di lui, ma le tre principesse non credevano che anche la loro sorellona lo fosse. Era un giovane spigliato, figlio del re e della regina di Cittalta ed era un loro caro amico, era famoso per aver vinto molti tornei e per essere uno dei migliori cavalieri di tutti i regni, inoltre si divertiva ad andare per i vari villaggi raccontando favole ai bambini nel tempo libero. Mosi, Cyfran e Reve avrebbero davvero voluto aiutare Dalia, ma se lei avesse saputo che avevano letto una delle sue lettere senza permesso, di certo si sarebbe arrabbiata moltissimo e quindi non fecero nulla, almeno per il momento. Dalia adorava molto eggiare per i boschi, raccogliere fiori nelle radure, osservare gli animali da lontano e ogni tanto qualche coniglietto le si avvicinava, lei allora gli accarezzava dolcemente le lunghe orecchie, ma qualsiasi cosa fe non riusciva a togliersi dalla testa Loan, era diventato quasi un’ossessione, ma a lei non andava proprio di ammetterlo ed era decisa a dimenticarlo, credeva di non meritarsi un ragazzo così dolce, così perfetto. Le sue sorelline la osservavano da lontano e vedevano la tristezza nei suoi occhi, decisero allora di chiedere al giovane cosa ne pensasse della loro sorellona, se lui avesse dato loro qualche speranza, avrebbero escogitato uno dei loro piani perfetti per fare in modo che si incontrassero e che potessero parlarsi. Il giorno stesso, appena Loan giunse al loro villaggio per il solito racconto quotidiano, loro lo avvicinarono: “Mie care principesse, cosa posso offrirvi oggi?” “Principe Loan, noi volevamo farle una domanda, possiamo?” chiese Reve. Lui acconsentì subito, provava una grande simpatia per quelle furbacchione. “Principe Loan, noi stavamo cercando un giovane eroe per la nostra sorellona, lei cosa pensa di Dalia?” Loan arrossì, non si aspettava di certo una domanda di quel tipo, ma rispose comunque: “È una delle mie migliori amiche, le voglio bene e credo che dobbiate stare tranquille, un bravo eroe arriverà prima o poi anche per lei. E ora, se non volete ascoltare una storia, filate via, prima che il lupo venga a mangiarvi! Non dovete immischiarvi negli affari dei grandi, birbacchione che non siete altro!”
Le bambine se ne andarono, ma erano ormai certe che forse la loro sorellona un po’ gli interessava e ora non mancava altro che creare un piano speciale e geniale. Le tre principessine si accoccolarono sul prato, sotto a un magnifico salice piangente con carta e matita e iniziarono a confabulare. Dalia sapeva che stavano progettando qualche malefatta, ma era una così bella giornata che non valeva la pena bloccarle, che marachella potevano aver mai progettato? Nulla di realmente maligno, solo qualche guaio credendo di far tutto a fin di bene come sempre. Si avviò verso la strada più panoramica della valle, era una così bella giornata di sole che non voleva perderne neanche un raggio. Arrivò ben presto al laghetto alpino situato vicino al castello, aveva davvero molta voglia di farci un bagno, ma non si fidava, aveva paura che arrivasse qualcuno, alla fine però l’acqua vinse sulla sua timidezza e decise che un tuffo veloce non le avrebbe di certo fatto male. Indossando solo la sottoveste si tuffò nell’acqua cristallina. Aveva appena fatto un paio di giri attorno alle rive e stava per uscire quando sentì un rumore di zoccoli, a quel punto andò sulla spiaggetta a recuperare i suoi abiti il più velocemente possibile e poi si nascose dietro una roccia. A cavallo arrivò un cavaliere meraviglioso e quando le fu più vicino si rese conto che era Loan, ma cosa ci faceva nel bosco? E poi perché proprio in quel momento? Pensò che fosse solo una coincidenza, non avrebbe mai creduto che ci fosse lo zampino di quelle tre birbe. Appena Loan si allontanò, lei uscì dal suo nascondiglio, si rivestì e tornò verso il castello. Dalia, tornata a palazzo, decise di iniziare a pulire un po’ le stanze della madre, anche per tenerle un po’ compagnia. Chiese alla balia delle sorelline dove fossero finite, ma non ne aveva idea, le aveva viste uscire, ma non erano ancora rientrate. La madre era felice di vederla, ma poco dopo iniziò a riprenderla, poiché non puliva bene i vetri o perché secondo lei aveva lasciato della polvere sulla mensola, dove il padre teneva i suoi libri. Dalia le dava ragione e silenziosamente rilavava i vetri e ripuliva la mensola, non la contraddiceva mai, aveva paura che una semplice arrabbiatura avrebbe potuto esserle fatale. Il re si raccomandava sempre con lei, perché non rispondesse male, perché non la fe agitare, ma a volte la giovane non ce la faceva e allora sua madre iniziava a gridare e il padre accorreva prendendosela con lei, perché non era matura, perché aveva sempre la testa fra le nuvole, perché non li aiutava ed era in quei momenti che Dalia si sentiva male, si sentiva oppressa e si rifugiava nella sua fantasia, lì il mondo era perfetto, lì lei era sposata e non viveva più con i genitori, sua madre era ancora in forze e l’amava più di ogni altra cosa e soprattutto era orgogliosa di lei.
Dalia uscì dalla stanza ed entrò in quella delle sorelline per riordinare tutti i loro giochi, che erano sparsi ovunque. Ci impiegò quasi tutto il pomeriggio per sistemare quel disastro, ma alla fine era davvero soddisfatta del risultato. A quel punto andò a cercare le tre pesti, le portò a casa e le obbligò a fare un bagno lungo e profumato, non aveva idea di cosa avessero combinato, ma erano ricoperte di fango e foglie di vario genere. Sembrava che fossero state nel bosco, ma decise di non volerne sapere di più. Cenarono tutti insieme e poi si assicurò che tutte le sue sorelline fossero a letto, rimboccò loro le coperte e raccontò la storia della buona notte. Dalia era un vero genio nel raccontare fiabe e favole e le piccoline adoravano i suoi racconti, erano un qualcosa di meraviglioso, di unico, aveva un’immaginazione fuori dal normale e nessuno la batteva. Appena uscì dalla loro stanza, le gemelline si alzarono dal letto e tirarono fuori la loro mappa e il loro piano geniale. Il primo tentativo era andato male, infatti non si erano nemmeno incontrati, ma per il giorno seguente avevano progettato di farli incontrare sulla eggiata panoramica, quale luogo migliore se non quello?! La mattina seguente si alzarono di buonora, andarono a svegliare la loro sorellona, mentre Nerei andò a proporre a Loan di fare una eggiata con lei. Nerei era una delle giovani a cui lui insegnava a suonare qualche strumento, infatti, seppur di nascosto dai suoi genitori, aveva imparato a suonare il liuto. Le quattro sorelle si avviarono con le loro vittime verso il luogo prescelto per l’incontro, si incontrarono e i due sembrarono felici di essersi incontrati, ma solo come buoni amici, le piccole erano deluse, ma Nerei se lo aspettava, lei aveva solo tre anni meno di loro, ma capiva benissimo che i due giovani avevano caratteri talmente simili e sapeva che erano entrambi talmente timidi che, anche se il sentimento ci fosse stato, non lo avrebbero mai ammesso. Ma Reve, Cyfran e Mosi non lo accettavano, volevano vedere la loro sorellona finalmente felice, con gli occhi luccicanti, come li avevano le loro sorelle già sposate. Dalia e Loan chiacchieravano allegramente, mentre le quattro bambine si rincorrevano. Il giovane aveva la capacità di farla sorridere anche nei momenti in cui lei era più triste, sapevano che lui e Tim erano stati delle figure presenti quando la loro mamma si era sentita male e sapevano anche che Dalia doveva loro molto. Continuarono a eggiare ancora per un po’, poi lui le riaccompagnò al castello, diede un bacio sulla guancia a tutte le piccoline e fece il baciamano a Dalia. Le invitò tutte il giorno dopo per l’ora del tè e poi si ritirò verso il suo palazzo. Dalia ormai aveva capito che le sue sorelline erano le menti dietro a tutti quegli incontri inaspettati con Loan, decise quindi di parlar loro, perché la cosa la metteva davvero in imbarazzo: “Piccole pestifere che non siete altro,
finitela di cercare continuamente di farmi incontrare con Loan o mi arrabbierò molto con voi. Noi siamo solo amici, finitela, cosa vi aspettate, che succeda qualcosa solo perché ci incontriamo? Ci siamo incontrati per anni senza che nulla accadesse, perché ora dovrebbe accadere qualcosa?” Le piccole si rattristarono all’idea di essere state scoperte: “Noi volevamo solo vederti felice!” “Ma io lo sono già, siete voi che rendete ogni mio giorno migliore, siete i miei tesori e a me bastate voi.” Loro sapevano che nelle sue parole c’era un filo di amarezza, ma per il momento sapevano anche che era meglio far sbollentare un po’ la sua rabbia. Comunque avevano un invito e lei non avrebbe potuto rifiutarlo. Quel pomeriggio si prepararono con cura e poi si recarono al palazzo di Cittalta, Loan le aspettava nelle sue stanze, aveva fatto preparare dei buonissimi biscotti e del tè bollente davvero squisito con un filo di miele. Fu davvero un bel pomeriggio, Loan era gentilissimo con tutte, ma sembrava che qualcosa lo bloccasse nei confronti di Dalia, la trattava in modo diverso, era freddo e non la guardava nemmeno negli occhi. Le piccoline erano sempre più deluse, ma Dalia lo capiva, aveva sempre così tante preoccupazioni per la testa e spesso si rattristava e si chiudeva in se stesso, chiudendo le porte a chiunque bussasse per entrare. Loan poi le riaccompagnò al castello, aveva paura che nel buio potessero farsi del male, magari cadendo. Quando arrivarono alle porte del palazzo, il re gli andò incontro e lo invitò al ballo di primavera, che si sarebbe tenuto come ogni anno la prima domenica di maggio, quando le sere iniziavano a essere nuovamente accarezzate dal sole. Loan accettò di buon grado l’invito, infatti il loro ballo era uno dei più belli al mondo. Dalia era un po’ preoccupata per Loan, non sapeva che problema avesse in quel momento da risolvere. Voleva davvero aiutarlo, ma anche lei aveva mille cose per la testa. Infatti ormai veniva considerata la colonna portante della casa, aveva tutte le responsabilità che sua madre non poteva più prendersi sulle proprie spalle. Doveva pensare lei a tutto e ogni tanto aveva bisogno di sentirsi ancora piccola, ancora bambina. Reve, Cyfran e Mosi nel frattempo avevano convinto anche le altre sorelle ad
aiutarle per farli mettere insieme, non capivano perché fosse così difficile per loro dirsi che si volevano bene, non capivano ancora le ragioni dei grandi, ma forse un giorno le avrebbero imparate. Escogitavano sempre nuovi piani, che erano sempre più assurdi e difficili da realizzare, erano arrivate a pensare di rubare un oggetto a entrambi e di nasconderlo nello stesso luogo, in modo che, per recuperarlo, dovessero incontrarsi, ma Dalia non stava più al gioco, anche perché era venuta a sapere che Loan aveva iniziato a fare visita sempre più spesso alla principessa di Lagazzurro. Non voleva più illudersi, non voleva più star male. Le sorelline però non potevano immaginare che per lei vederlo peggiorava solo le cose in quei momenti, iniziarono ad andare sempre più spesso al castello di Cittalta, cercavano di tenere occupato Loan, in modo che non potesse andare da Bella, così si chiamava la principessa di Lagazzurro, ma lui riusciva sempre a sfuggir loro. Quando Loan incontrò il re di Sassogrigio, padre delle principessine, decise di chiedergli come stava Dalia, dato che le sue sorelline erano spesso a casa sua, pensava che lei non si fosse sentita bene e non potesse più controllare le piccoline. Il re si arrabbiò molto con la figlia, ma al principe non disse nulla, gli chiese di perdonare l’invadenza delle figlie, ma appena il giovane si fu allontanato corse dalla figlia maggiore, tutta la sua furia colpì Dalia con parole molto dure, la giovane a quel punto fuggì piangendo dal castello, il padre, troppo occupato a badare alla moglie e a tutte le sue richieste, non si era mai reso conto del peso che faceva gravare sulle spalle della ragazza ormai da qualche anno. Dalia fuggì lontano, fino a giungere alla casupola di un vecchio signore scorbutico e mezzo cieco, che quando sentì che qualcuno era entrato nella sua terra, si armò di arco e frecce e uscì dalla casa. Fortunatamente capì subito che era stata una ragazza ad aver invaso la sua proprietà, così le si avvicinò e le chiese cosa stesse succedendo e perché si fosse permessa di varcare il cancello, che c’era all’entrata del suo giardino. La ragazza gli raccontò cosa le fosse accaduto e dopo aver sentito la sua storia, il vecchio si infuriò con lei, perché secondo lui erano tutte baggianate, tutte sciocchezze, i mali della vita erano altri, non erano di certo un amore non corrisposto o un padre severo. Dalia si vergognò molto e si allontanò dalla casupola, prendendo la strada per il bosco, se fosse sparita di certo nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, nessuno sarebbe andato a cercarla, era solo una sciocca ragazzina. Aveva paura di tornare al castello, non voleva affrontare i problemi che l’attorniavano, aveva ragione il vecchio, erano davvero sciocchi e temeva che tornando tutti si sarebbero infuriati con lei.
Nel frattempo il re aveva fatto chiamare le sue figlie più piccole e aveva chiesto loro come mai andassero sempre a disturbare Loan, a quel punto le principessine gli raccontarono i loro piani e i loro tentativi falliti di far fidanzare i due giovani. Il re rise davanti a ciò che le bambine gli raccontavano e si pentì di aver sgridato così duramente Dalia, si recò quindi nelle sue stanze per scusarsi con lei. Fuori la notte allungava le sue ombre sulla valle, mentre il re scopriva con orrore che di sua figlia non vi era traccia. Mandò subito le guardie a cercarla e poco dopo partì anche lui, ma l’oscurità impediva loro qualsiasi ricerca e così tornarono tutti al castello. Le principessine si sentivano in colpa per ciò che era accaduto, sapevano che il padre aveva sgridato la loro sorellona, ma non era di certo quello un buon motivo per scappare. Mandarono subito una missiva a Loan, speravano che lui potesse farla tornare, ma il giorno seguente mandò in loro aiuto solo alcune delle sue guardie. Si scoprì ben presto che la giovane era ata per la casa del vecchio burbero e che lui l’aveva sgridata a sua volta. Le bimbe avevano paura di non veder più tornare la loro sorellona e quindi uscirono anche loro a cercarla, ma prima che arrivassero all’entrata del bosco, videro arrivare Loan a cavallo, aveva fra le braccia qualcosa che assomigliava a un groviglio indistricabile di stoffe, ma che in realtà era Dalia. La ragazza era caduta in un burrone ed era svenuta, il giovane principe l’aveva cercata per tutta la notte da solo e l’aveva trovata all’alba. Appena le vide sgridò Reve, Cyfran e Mosi per essere uscite senza permesso e caricò anche loro sul cavallo, mandò ad avvisare il re di aver trovato la figlia e poi portò tutte al castello. Un medico si occupò subito di Dalia, dicendo che era stata fortunata e che non si era fatta nulla di grave. Quando il re arrivò volle subito delle spiegazioni dalla figlia maggiore, che gli porse subito le proprie scuse: “Padre, io stavo tornando a casa, dopo aver capito la mia stupidità, volevo chiedervi perdono per tutte le mie malefatte, ma poi sono scivolata sull’erba umida e sono finita in quel burrone, non sapevo che fare e mi dispiacevo di sapere che voi avreste sofferto sapendomi lontana durante la notte e che vi sareste arrabbiato, poiché non ero qui ad aiutarvi a badare alle mie sorelle minori. Vi chiedo perdono, padre mio”. Il re, a quelle parole, si commosse e la perdonò, poi ringraziò anche Loan per il suo aiuto. Il principe fu invitato a cena, ma decise di andare via senza neanche salutare Dalia. La giovane sapeva di averla fatta grossa, ma si riprese velocemente, aveva visto la morte in faccia e aveva deciso che non avrebbe mai più sprecato neanche un momento della sua vita, voleva viverla appieno e aveva
anche deciso di prendere coraggio e di parlare a Loan e lo avrebbe fatto in occasione del ballo organizzato dal padre. La sera della festa giunse velocemente e nulla sembrava andare per il verso giusto, le era giunta voce che Loan avrebbe annunciato il suo fidanzamento con Bella quella sera, le sue sorelline cercavano in tutti i modi di aiutarla, ma combinavano un guaio dopo l’altro: Reve aveva spaventato a morte un gruppo di anatre ando vicino al laghetto gridando e queste per dispetto l’avevano rincorsa per tutto il giardino, finché non era caduta in una pozza melmosa sporcando il suo vestito e il bucato appena stirato dalla sorella. Dalia non la sgridò, non era del tutto colpa sua, ma la riprese con un sorriso, dicendo che forse era meglio se si fosse fatta un altro bagno, mentre lei lavava nuovamente quegli abiti. Cyfran invece voleva preparare un corona di fiori per lei, ma ando vicino a un vespaio lo urtò, facendolo cadere e fu rincorsa da una miriade di vespe e si dovette tuffare nel laghetto per sfuggir loro, tornò così al castello ricoperta di foglie e completamente bagnata. Mosi invece volle andare a osservare da lontano Loan, per cercare di capire se avrebbe portato Bella al ballo, ma mentre lo seguiva cadde e si sbucciò entrambe le ginocchia, il principe si accorse allora della sua presenza e la portò al suo castello, dopo aver salutato frettolosamente la principessa di Lagazzurro. Mosi ebbe allora la possibilità di confermare i suoi sospetti, cioè che Loan non era innamorato di Bella. Mentre lui le curava le ferite, la giovane principessina si mise a fargli una raffica di domande, ma lui rispondeva sempre con un rigido silenzio. Allora anche Mosi si zittì. Loan era un giovane di poche parole, dopo che ebbe finito di medicarla parlò: “Siete delle piccole birbanti tu e le tue sorelle, non è vero? Povera Dalia che vi deve sopportare sempre. Sei una gran chiacchierona, ma perché mi vorreste come cognato? Io non posso rendervi felici, come non potrò mai rendere felice vostra sorella. Lei è fragile, non sopporterebbe tutti i problemi a cui devo far fronte nel mio regno. Capisci piccolina, io non vorrei mai che lei, anche nel matrimonio, si sentisse sulle spalle troppe responsabilità, come quelle che ha ora. So che lei mi capirebbe, ma lei ha sempre bisogno di affetto e di attenzioni e soffrirebbe con un giovane come me, con i miei silenzi e tutto il resto. Non è colpa sua, ma ormai sente di doversi far carico dei problemi di tutti, però non può continuare così, non ha le spalle abbastanza larghe”. Mosi allora si arrabbiò molto, non le pareva un buon motivo per non sposare sua sorella: “Loan, credevo che tu fossi più intelligente. Ora puoi anche andare dal
mio papà a dirgli che ti ho detto delle cose brutte, ma la mia sorellona starà di sicuro meglio con te, che senza di te, perché non lo capisci? Sei peggio di quell’asino di Marson lo stolto! Ti ho visto mentre guardavi Bella, non la osservi allo stesso modo in cui guardi mia sorella! Sono una bambina, ma a volte credo che voi preferiate le bugie alla verità, anche se a noi dite che la verità è la cosa più importante. Prima che Dalia fuggisse noi abbiamo raccontato tante bugie e per colpa nostra lei è finita in un burrone. State male tutti e due e faresti star male anche Bella, perché non sareste mai felici! E adesso me ne vado, perché mi hai fatta proprio arrabbiare, Loan, se ti vedrò di nuovo non ti saluterò più!” Per lei quella minaccia era la più grave, Loan invece un po’ ne rise, ma poi ripensò a ciò che aveva detto la piccola, era tutto vero, una bambina di otto anni gli aveva detto tutto ciò che lui pensava nella sua testa, ma non aveva il coraggio di esprimere, la sua sfacciataggine era stata fastidiosa, però doveva ammettere che aveva ragione, ma come poteva una bambina capire le ragioni di Stato?! In realtà non le capiva neanche lui. Arrivò la sera, che tinse tutto il paesaggio di un bel colore arancio e pesca. Le bambine avevano tutte il cuore che batteva forte sotto le loro vesti dai colori sgargianti, Dalia aveva fatto proprio un bel lavoro di cucito per i loro abiti. Suo padre diede subito inizio alla festa, ma la figlia maggiore era in ritardo, gli ospiti erano già tutti arrivati e lui fu presto raggiunto dal re di Cittalta, che desiderava parlargli e non pensò più a dove potesse essere finita Dalia. Ben presto però vide scendere dalle scale una bella giovane donna, che indossava un meraviglioso abito blu, che andava sfumando dal corpetto senza maniche verso la gonna, che si faceva sempre più chiara fino a giungere all’azzurro. I capelli dorati erano racchiusi in uno chignon, decorato con dei fiori di campo freschi, alcune ciocche le erano però sfuggite e ora le incorniciavano il viso insieme alla vaporosa frangia, che le donava, in parte, un’aria ancora da bambina. Dalia era davvero bellissima, aveva come un’aura magica attorno, tutti si girarono a osservarla, ma lei non aveva occhi che per un bel giovane, alto, moro, dagli occhi profondi, che le si avvicinò, le baciò la mano e la invitò a ballare, si vedeva che erano ancora molto giovani e che amavano molto danzare, soprattutto i balli più veloci e ritmati, ma quando giunse l’ora di un valzer un po’ più lento non si scomposero e continuarono a danzare. I due re erano orgogliosi dei loro rispettivi figli, che bello sarebbe stato se avessero formato un’unica famiglia, ma erano buoni amici da sempre, quindi perché la situazione sarebbe dovuta cambiare? I due re di certo non immaginavano che fra i due stesse nascendo qualcosa di più, ma a notarlo furono le tre piccole birbe, che quando i due uscirono in giardino, vollero
seguirli per assicurarsi che le loro sensazioni fossero giuste. Loan si sedette vicino a Dalia su un dondolo ricoperto di edera e glicine, attorno a loro c’erano piante di ogni sorta: peonie dalle tinte pastello, un ibisco meraviglioso, bianco e magenta, c’erano poi miriadi di rose e il prato era ricoperto da fiori di campo: margherite, nontiscordardimé, garofani e tante altre piante arricchivano il paesaggio di colori meravigliosi. Loan colse una rosa profumatissima, dai petali vellutati, così perfetta e così fragile allo stesso tempo, era di una tonalità fra rosa e rosso, gliela donò, poi le si sedette accanto, restando in silenzio per un po’ di tempo. Dalia fu la prima a parlare: “Loan, io devo essere sincera con te, almeno per una volta, però tu devi giurarmi, che qualsiasi cosa io ti dica, nulla fra noi cambierà e resteremo comunque amici, giuramelo!” “Lo giuro, ma posso dirti anch’io una cosa prima?” “Ti prego lasciami finire, ho paura di non ritrovare il coraggio, se non mi confido subito con te. Io credo nella nostra amicizia, ci ho sempre creduto, ma dopo essere finita in quel burrone, ho capito che dovevo dirti cosa provo davvero. Loan, io mi sono innamorata di te, praticamente da subito, da quando per la prima volta mi hai sorriso, dalla prima volta in cui mi hai abbracciata per consolarmi, ho provato e riprovato, credimi, a ricacciare dentro di me questo affetto, ma dopo un po’ tornava fuori, io so che per te sono solo un’amica e voglio restarlo, ma penso che la sincerità sia fondamentale, è per questo che ti ho confessato tutto. Ora non odiarmi, te ne prego.” Loan sorrise e lei rivide lo stesso sorriso di tanti anni prima, ogni volta che lo vedeva le si scioglieva il cuore e la tristezza ava in un baleno. Loan strinse le sue mani fra le proprie, le avvolse come per proteggerle e poi le disse: “Dalia, non voglio dimenticare ciò che mi hai detto, perché anch’io credo di essermi innamorato di te, ma volevo proteggerti, proteggerti da me, non volevo farti soffrire, non volevo che tu mi vedessi com’ero veramente, con i miei difetti e con tutti i miei pensieri. Tu avresti bisogno di una persona, che non ti sottoponesse a stress continuo, tu hai bisogno di sentirti protetta, ho paura di non riuscire a renderti felice, sai bene anche tu quanto delle volte io assomigli a un lupo che vaga solitario, ho bisogno di libertà, so che con te sarei felice, ma non voglio che tu stia male, non voglio che tu ti accolli troppi pensieri, troppi problemi, ne hai già tanti, troppi, per la testa ora”.
Dalia non riusciva a credere alle sue orecchie, aveva sempre pensato che lui la considerasse solo una semplice amica e neanche una delle sue più care, disse allora: “A me non importa, quando avrai bisogno dei tuoi spazi te li prenderai e non mi vedrai mai arrabbiata per questo, non è un prezzo alto da pagare per averti, mi basta solo un abbraccio ogni tanto, ti prometto che sarò come un silenzioso fringuello, che canterà solo su tua richiesta. Ti prometto che non cercherò di accollarmi tutti i tuoi problemi, ma mi farebbe piacere esserti vicino e, se posso, aiutarti”. “Ma io non voglio questo, non voglio che la mia sposa sia sottomessa, la mia sposa è mia pari, non inferiore, non è inferiore a me nessuno degli esseri sulla terra, nemmeno l’ultima delle termiti, figurati la mia sposa. Amore significa rispetto, tu potrai fare tutto ciò che vorrai e se accetterai di are con me il resto della tua vita, io ti giuro che ti proteggerò e che ti rispetterò sempre e ringrazierò ogni giorno Dio per avermi fatto dono di una sposa così dolce e assennata, ringrazierò Dio per averti protetta fino a oggi per poi donarti a me e sarò allora l’uomo più fortunato al mondo, non dire più queste sciocchez…” Loan però non finì la frase, lei lo fissava con i suoi occhi azzurro cielo e lui non riuscì più ad andare avanti, lo avevano catturato, le accarezzò il viso e la baciò dolcemente, si era dimenticato di finire il discorso, ma non gli importava. Poi sentirono un rumore che proveniva da dietro ai cespugli, non occorreva neppure che si avvicinassero per capire chi si era nascosto lì dietro. “Reve, Cyfran, Mosi venite fuori da lì dietro!” Dalia si girò dopo averle chiamate, per vedere le tre spie uscire dal loro nascondiglio. Le tre bimbe le si avvicinarono, Loan le guardò con finta rabbia e poi le abbracciò tutte e tre in un’unica grande stretta. “Se non ci foste state voi, non avrei mai avuto il coraggio di dire a vostra sorella ciò che le ho detto, quindi grazie, birbantelle che non siete altro. Mosi, oggi sei stata davvero illuminante!” “Perché, cosa ti ha detto?” gli chiese preoccupata Dalia. “Mi ha semplicemente sgridato come la mamma fa con un figlio.” “Mosi, lo sai che non devi dire cose cattive ai grandi, sai che devi avere rispetto e non essere maleducata!”
Dalia non sopportava che la sua sorellina cercasse di fare la donna adulta, i bambini sono bambini e lo devono restare! Mosi si scusò con sua sorella, che l’abbracciò forte, dicendole: “Per questa volta ti perdono, ma la prossima volta che qualcuno mi dice che sei stata maleducata, non la erai liscia, bimba sei e da bimba devi comportarti!” Mosi le promise che non lo avrebbe fatto più e poi rientrarono tutti insieme nella sala da ballo. Loan prese per mano Dalia e la condusse dai loro genitori, appena giunti vicini ai loro padri, chiese la mano della giovane principessa al re di Sassogrigio, che gliela concesse di buon grado. Di lì a un mese i due giovani si sposarono e vissero felici e contenti per il resto della vita, litigando un po’, ma solo per poi poter far pace stringendosi in un abbraccio e facendosi forza l’un l’altro. Le tre birbe invece crebbero, diventando sempre più belle e sagge, si sposarono anche loro e furono sempre le ospiti più gradite al castello di Cittalta.
Sottoguda, 6 gennaio 2012
Cara bisnonna, ieri sera mi sono davvero divertita molto alla festa per i pagaruoi, ho servito tè caldo tutta la sera, ma ne è valsa la pena, almeno non ho sentito tanto freddo. È sempre una bella festa, quella dell’Epifania, ma è anche vero il detto, che tutte le feste porta via. Per un po’, infatti, la valle tornerà al suo antico silenzio, tranne per le frotte rumorose e chiassose di turisti, che invadono ogni inverno le piste. Anche se quest’anno non c’è tanta neve, ne sono comunque arrivati in massa da ogni parte del mondo. Questo è forse l’unico lato positivo dei turisti: la multiculturalità, che ognuno di noi, vivendo qui, ha la possibilità di conoscere, ma non è sempre facile rispettare gli altri da questo punto di vista. Quando si viene da luoghi tanto diversi, si corre sempre il rischio di avere dei forti pregiudizi, nati ormai secoli fa. Oggi invece sono stata a Londra da Ms Edwina, Sir Green è tornato alle sue dimensioni naturali e sta molto meglio, ma non può ancora tornare a casa, quando mi ha vista sembrava spaventato, ma poi mi ha sorriso. “Ian, mi dispiace per tutto quello che è successo, non volevo che ti fero del
male, non volevo davvero.” “Tranquilla, il lato positivo è che mi sto facendo una vacanza pagata a Londra a gennaio, avevi ragione, è una città meravigliosa.” “Ian, mi stai nascondendo qualcosa.” “Ho avuto paura, credo sia normale, o non posso essere umano?” “Scusami, mi dispiace.” “Scusami tu, sono molto stanco. È difficile convivere con il fatto che sei una strega.” “Lo è anche per me, ma ora ti lascio riposare, devo parlare con Ms Edwina. Sir Green, non volevo coinvolgerti in tutta questa faccenda, tu non c’entri nulla con quest’altro mondo, dovresti essere felice sulle piste da sci in questo momento, non qui in mezzo alle guardiane, ti prometto che mi farò perdonare e se preferisci chiederò al Consiglio di cancellarti la memoria, così non ricorderai nulla.” “Questo no! Farò fatica a digerirlo, ma preferisco ricordare tutto, ho la strana sensazione che finirò di nuovo coinvolto in cose di streghe molto presto.” “Spero proprio di no, ora vado, riposati, ci vediamo presto.” “Sii prudente, Ross!” “Come sempre.” L’ho salutato con un bacio sulla fronte e poi mi sono resa conto di quello che avevo fatto, ma ormai era troppo tardi, quindi ho cercato di svincolare senza guardarlo negli occhi, mentre Sir Green si rimetteva a dormire. Ho poi avuto modo di chiedere alcuni chiarimenti a Ms Edwina riguardo a ciò che mi aveva detto Hannibal. “Ms Edwina, Hannibal mi ha detto delle cose, riguardo a me e alla nonna, io vorrei che lei mi spiegasse meglio tutto quello che riguarda la mia famiglia.”
“Credo sia giunto il momento. Rossana, tu devi sapere che un tempo non c’era solo il Consiglio, ma avevamo anche una sovrana, era la strega più potente del nostro mondo, ma era anche una donna saggia, in molti cercavano di rubarle i suoi segreti, che lei aveva trascritto in un diario. La regina veniva scelta dagli anziani in base alle proprie qualità e ai propri difetti. La maggior parte delle regine fu scelta all’interno della stessa famiglia e dovevano assicurarsi che la fantasia restasse costante in tutti i secoli, infatti su di essa si basa anche la magia. Noi non possiamo utilizzare i nostri poteri, se la gente smette di sognare, di immaginare nuovi mondi. Le streghe dei sogni si attorniano normalmente di persone vivaci, fantasiose e poliedriche. Rossana, quasi tutte le regine facevano parte della tua famiglia. Avevano tutte le stesse caratteristiche ideologiche, ma tu, tu assomigli anche fisicamente alla prima regina, la più potente. Ogni cento anni si presenta a noi questa giovane futura regina, normalmente vivevano sapendo quale fosse il loro destino, ma la tua bisnonna, calcolando che tu avresti avuto tutti i poteri, decise di tenerti lontana fino a che tu non avessi potuto assumere questo onere. So bene che non hai ancora deciso cosa fare, ma mia cara, devi capire appieno la situazione prima di decidere. Ora, la tua bisnonna è stata l’ultima regina e poi ha preferito eliminare l’idea di regno e ha lasciato tutto il potere in mano al Consiglio. Era un periodo molto difficile, quello della guerra, e lei non se l’è sentita di dividersi fra i due mondi, era un impegno troppo grande, ha continuato a essere una guardiana, ma non aveva più potere decisionale. Ha poi cercato di educarti al meglio tramite le sue storie, il Consiglio vorrebbe istituire nuovamente il regno, sappiamo che stai studiando relazioni internazionali, sembra un segno del destino, non credi?” “Nel caso in cui io accettassi tutto questo, dovrei abbandonare il mondo reale?” “Non necessariamente, solo nei momenti in cui saremo davvero in pericolo, ma la relazione fra entrambi i mondi è talmente stretta, che non potresti comunque chiuderti solo in uno dei due. Immagino che tu stia pensando ai tuoi amici.” “Sì, non voglio perderli, sono la mia vita. La nonna mi ha insegnato che i buoni devono rinunciare a qualcosa per vincere, ma io non riuscirei mai a rinunciare a loro, a quel punto preferirei riconsegnarvi tutti i miei poteri, piuttosto che non rivederli mai più.” “Rossana, non li perderai, potrai continuare a vivere nel mondo reale. Tutte le streghe possono viaggiare da un luogo all’altro, ma solo tu puoi decidere di non far are che pochi secondi dalla tua partenza. Sei l’unica ad avere questo
potere, capisci, sei la strega più potente dell’ultimo secolo, anche nello scontro con Hannibal lo hai dimostrato. Grazie al libro della prima strega stai imparando a usare la magia e grazie al rio dei racconti di tua nonna stai imparando delle lezioni, che ti saranno utili nella tua vita, ma anche per governare con giustizia il regno magico. Lo dovrai proteggere dall’Organizzazione, tutti noi abbiamo fiducia in te, ora è tutto nelle tue mani.” “Grazie per aver chiarito tutti i miei dubbi Ms Edwina, ora devo andare, lascio Sir Green alle sue cure, buona giornata.” “Buona giornata anche a te, darling.” Questo è stato più o meno il nostro dialogo, nonna, perché mi hai tenuto nascosto tutto questo? In realtà conosco già la tua risposta, mi sarei montata la testa, avrei cercato da subito di usare i miei poteri, invece così sono maturata con le tue lezioni, anche se ancora non riesco a rispettarle tutte e probabilmente li ò meglio. Spero di non deluderti nonna, comunque oggi ho deciso di trascrivere un altro dei tuoi racconti, che io ho amato molto, Il monte dell’amicizia. È una delle storie migliori, l’ho amata molto, perché parla dell’amicizia, per me è davvero il sentimento più bello che esista nell’intero universo. I quattro principi della tua storia venivano da altrettanti regni confinanti e riuscivano comunque a essere molto legati. I loro padri però, a causa di un uomo tanto abile quanto malvagio, avevano iniziato una guerra e non volevano che i loro figli si frequentassero ancora. Ciò mi fa riflettere anche sulle colpe dei padri, quante volte nella storia i figli hanno subito le colpe dei padri? Tutte le loro decisioni sbagliate sono ricadute sulla nuova generazione, senza che loro si accorgessero di agire nel male. I genitori cercano sempre di dare solo il meglio ai propri figli e di creare per loro un futuro migliore di quello che hanno avuto, ma a volte non si rendono conto che quello di cui hanno bisogno i figli non è quello di cui avevano bisogno loro alla stessa età. I bisogni cambiano, proprio come i desideri, ma ciò che la tua storia mi ha insegnato è che, in qualsiasi epoca noi ci troviamo, il bisogno di avere amici fedeli, su cui poter contare, non cambia mai, è sempre lì, è sempre lo stesso. A volte, però, i padri se ne dimenticano e pensano più in grande, quando in realtà più grande e più forte di un’amicizia non c’è nulla.
È proprio per questo che, se mi chiedessero di rinunciare ai miei amici, preferirei rinunciare alla magia. So che dovrei pensare al regno, alla sopravvivenza della magia e meno ai miei interessi personali, ma loro sono tutta la mia vita, non ce la farei mai a resistere senza di loro. È così complicato vivere a cavallo fra due mondi. Ora vado a studiare, ti scrivo presto, ti voglio bene, anche se mi hai nascosto così tante cose, tua Rossana.
Il monte dell’amicizia
C’erano una volta, molti anni fa, quattro regni confinanti, i re erano sempre stati in pace e i loro figli erano nati nello stesso anno ed erano stati sempre grandi amici, da quando si erano conosciuti, non si erano mai separati. Purtroppo, come in tutte le storie di pace, c’è qualcuno al quale la pace non sta bene, in questo caso era un re, che era stato deposto dalla Lega dei Quattro, che avevano così annesso il suo regno ai loro, dividendolo in quattro parti uguali. Tutto era accaduto, perché i quattro si erano resi conto che il quinto re era diventato davvero malvagio e che stava progettando di scatenare una guerra con gli altri sovrani dei regni vicini, in modo da conquistarne i territori, una volta che si sarebbero distrutti a vicenda. Per vendicarsi mantenne il suo antico progetto, il re malvagio aveva deciso di mettere i quattro re uno contro l’altro e di allearsi con il più forte, in modo da riconquistare il suo regno a discapito degli altri. Nessuno si aspettava da lui un ritorno così perfidamente coerente con il ato e li avrebbe di certo colti di sorpresa, spiazzandoli e riuscendo così nel suo piano. I quattro figli dei re, due bimbe e due bimbi, continuavano nel frattempo a giocare insieme tranquilli, avevano solo dieci anni quando il piano iniziò a essere attuato. Il re malvagio si recò al castello del re di Sassalto, che era il più potente dei quattro e lo avvisò che gli altri tre stavano tramando contro di lui, poiché il suo regno era molto più ampio degli altri. Il re inizialmente non gli credette, ma più il vecchio perfido glielo ripeteva, più lui iniziava a crederci, lusingato soprattutto dai servigi che lui gli offriva. Proibì allora a suo figlio
Riccioscuro di continuare a frequentare i suoi migliori amici. Il ragazzino ne soffrì molto, ma Fiordaliso, la figlia del re di Valfresca, trovò il modo di comunicare con lui tramite biglietti inviati via piccione viaggiatore. Il padre però se ne accorse e fece portare via alla figlia tutti i suoi amici volatili, in modo che lei non potesse più parlare con Riccioscuro. Ormai era ufficiale: erano nemici. La prima parte del piano era riuscita, ora il malvagio Barbanera doveva mettere in atto il seguito. Si propose di diventare spia per il re di Sassalto, presso il re di Stradalonga, padre di Lavanda e gli fu subito dato il permesso. Il re di certo non immaginava che la sua spia avrebbe fatto il doppio gioco, infatti Barbanera disse al re di Stradalonga che quella del re di Sassalto era tutta una messinscena, poiché era in realtà alleato con gli altri due re contro di lui; in questo modo portò la zizzania anche fra gli altri tre re, ora doveva solo recarsi agli altri due castelli e fare lo stesso gioco anche con i re di Valfresca e di Monsanto. Nel giro di quattro anni riuscì a mettere l’uno contro l’altro tutti i re della Lega e ora doveva solo aspettare che scoppiasse la guerra. Si avvicinò dunque nuovamente al re di Sassalto, poiché sapeva che era lui il più forte dal punto di vista militare. I quattro figli, che nel frattempo erano cresciuti ed erano divenuti giovani donne e uomini, si sentivano isolati, volevano vedersi, volevano abbracciarsi e consolarsi a vicenda, i giorni felici sembravano così lontani, erano divenuti quasi irreali. Ricordavano i balli e le feste in comune fra i quattro regni, il sorriso sul viso dei loro padri, che ora, al principio di una probabile guerra, era ormai sparito. Lavanda, Fiordaliso, Riccioscuro e Leondoro riuscirono a scriversi un’ultima lettera prima dello scoppio del conflitto. Decisero di incontrarsi di nascosto sulla montagna sulla quale si incontravano i confini dei quattro regni. Fu giusto la notte prima dell’inizio dei combattimenti, si incontrarono nella grotta Maggiore, si abbracciarono e si fecero forza l’un l’altro. Decisero, che appena tornati a casa, avrebbero parlato con i loro genitori, infatti chiacchierando avevano scoperto tutti i sotterfugi e tutte le bugie di quel malvagio di Barbanera. Era quasi giunta l’alba, quando dovettero salutarsi e andare ognuno per la propria strada con la remota speranza di ritrovarsi un giorno, finita quell’assurda guerra. In quel momento i primi soldati della fanteria avevano già iniziato la carica, con al seguito la cavalleria. Giunti ai rispettivi castelli ognuno di loro confidò al proprio padre il doppiogioco di Barbanera, ma nessuno li voleva ascoltare, erano solo bambini, a
quel punto per difendersi raccontarono del loro incontro segreto. Tutti i genitori si arrabbiarono moltissimo con loro, anche perché avevano rischiato di restare uccisi nei combattimenti, furono dunque tutti puniti per aver disubbidito a un ordine molto chiaro e categorico. Quella notte decisero tutti di fuggire, senza sapere cosa fosse successo agli altri e come se si fossero dati appuntamento, si ritrovarono uno dopo l’altro all’interno della grotta Maggiore. Lì si accamparono per la notte, accesero un piccolo fuoco, sperando che non li scoprissero vedendo la luce da lontano. Si addormentarono tutti abbracciati per riscaldarsi e per confortarsi. Al mattino le ragazze si svegliarono presto, si alzarono e andarono nel bosco a raccogliere frutta fresca e dell’acqua dalla sorgente che sgorgava lì vicino. Quando tornarono indietro i ragazzi le sgridarono, perché uscire dal loro rifugio era davvero molto pericoloso, soprattutto con i soldati che combattevano e poi entro poco i loro genitori avrebbero di certo mandato delle guardie a cercarli. Accettarono però di buon grado la colazione. I ragazzi si sentivano protetti, poiché la grotta si trovava molto più in alto rispetto al fronte dove si combatteva, ma avevano comunque sempre molta paura. Quando i loro genitori si accorsero della loro fuga si spaventarono molto, avevano paura che fossero morti o che fossero stati catturati dai nemici. Ogni re credeva che solo il proprio figlio fosse fuggito e di certo non si sarebbero mai parlati, avevano troppa rabbia dentro e continuavano a essere influenzati da Barbanera che guidava i combattimenti di tutti e quattro gli eserciti, mettendo sempre più l’uno contro l’altro i rispettivi re. Non sapevano, quindi, che i quattro ragazzi stavano tutti insieme nella grotta Maggiore e nemmeno ò loro per la mente di interrompere i combattimenti per cercare i rispettivi figli. I principi stettero ben nascosti per alcuni mesi, ormai l’estate era quasi alla fine e loro non sapevano come avrebbero potuto affrontare autunno e inverno, i combattimenti si sarebbero interrotti nei mesi invernali, ma loro non potevano di certo tornare a casa. Un giorno, andando in avanscoperta, Riccioscuro e Leondoro scoprirono una piccola capanna in cui viveva un simpatico vecchietto, che riconoscendoli gli propose di accoglierli in casa sua per l’inverno in cambio di alcuni lavoretti. Loro andarono dunque a chiamare Lavanda e Fiordaliso e arono i mesi più freddi con il vecchio. Svariate volte le guardie dei quattro re arono di là nella speranza di trovare i loro giovani principi, ma il vecchio li faceva sempre nascondere sotto il letto e diceva ai soldati che lui non aveva visto alcun giovane. Dopo di che rimproverava i quattro ragazzi, poiché stavano facendo penare molto i loro genitori, invece di essere a casa per convincerli a finire quella guerra così insulsa. Capiva però anche i motivi dei quattro principi e
dunque non insisteva più di tanto. Quando tornò la primavera, tornò anche la guerra e i ragazzi ritornarono verso la grotta, avendo paura che li avrebbero scoperti più facilmente se fossero rimasti a casa dell’anziano saggio. Effettivamente notarono che le visite dei soldati alla capanna del vecchio erano sempre più frequenti. arono così alcune stagioni, avevano ormai raggiunto tutti e quattro la maggiore età e le ricerche delle guardie erano sempre più rare, fino ad annullarsi negli ultimi mesi. Il conflitto però continuava a imperversare e non c’era modo di farlo finire. I quattro ragazzi arrivarono dunque a prendere una decisione drastica: il loro esilio doveva finire, come doveva finire quell’assurda guerra, sarebbero scesi tutti insieme a valle e si sarebbero posti fra gli eserciti bloccando la battaglia. Di certo i soldati si sarebbero spaventati vedendoli arrivare, ormai pensavano fossero morti assiderati. Il giorno seguente partirono all’alba, prima che lo scontro ricominciasse e arrivati sul campo, dove erano accampati i vari eserciti, si appostarono. Quando i primi soldati si svegliarono e li videro lì in mezzo si spaventarono e mandarono a chiamare i loro rispettivi re, che arrivarono di corsa; ormai avevano perso la speranza di ritrovare i propri figli ancora vivi dopo quattro anni. Quando li videro si commossero, ma i loro figli non volevano avvicinarsi a loro a meno che non li avessero prima ascoltati. I quattro ragazzi raccontarono tutto ciò che avevano scoperto su Barbanera e chiesero loro di terminare immediatamente il conflitto. I quattro re mandarono a chiamare l’accusato, ma scoprirono che era fuggito e questo bastava per capire chi avesse ragione e chi torto. Mandarono tutti delle guardie a cercarlo, arrestarlo e rinchiuderlo in prigione. Firmarono immediatamente anche un trattato di pace. A quel punto i loro figli acconsentirono a spiegar loro cosa avevano fatto in quei quattro anni, dove erano stati. Quando parlarono della grotta i quattro re si illuminarono. Infatti c’era una leggenda, che veniva tramandata da secoli da padre a figlio e che parlava di due ragazzi e due ragazze, che avevano fermato la guerra scoppiata fra i loro quattro regni e anche loro avevano trovato rifugio proprio in quella grotta, per questo la montagna che la ospitava si chiamava Monte dell’Amicizia. I quattro giovani furono sorpresi, ma la storia si ripete sempre e questa è una grande e appurata verità. Barbanera fu presto arrestato e imprigionato, i quattro principi ben presto formarono delle famiglie per conto proprio, ma la loro amicizia non si spezzò
mai e a ricordare il loro legame c’era la montagna con le sue pietre millenarie, che avrebbero ricordato anche ai posteri l’importanza e la bellezza di questo sentimento, soprattutto se era un sentimento sincero. I loro regni godettero di una lunga e serena pace, la montagna restò lì a ricordare a tutti che, di fronte a un’amicizia sincera e forte come la loro, non bisognava farsi influenzare da altre persone esterne al gruppo, come avevano fatto i loro padri. Le voci maligne fanno solo del male, non giovano a nessuno, perché prima o poi le bugie saltano fuori. Le bugie hanno sempre le gambe corte e non vale la pena di are la vita immersi nelle menzogne, poiché fanno male agli altri ma anche alla stessa persona che le inventa, poiché crea attorno a sé una rete, da cui è difficile uscire indenni.
Sottoguda, 7 gennaio 2012
Cara bisnonna, sembra che lì fuori si stia preparando la più grande tempesta che il mondo abbia visto da anni. L’Organizzazione si è fatta viva con il Consiglio: se non libereranno Hannibal, loro inizieranno a rapire tutti i nostri cari, cercando di eliminare così i più toccati dalla fantasia, facendola gradualmente sparire dal mondo, cancellando così la magia positiva e facendo regnare solo quella negativa, che si nutre di pensieri tristi. Devo prepararmi, sarà una dura battaglia, per questo oggi sono rimasta qui a studiare incantesimi e poi ho trascritto un’altra delle tue storie, Vite separate. Mi sono allontanata solo pochi minuti per andare a trovare Sir Green, avevo bisogno di distrarmi, così ho indossato il mio caldo cappotto e poi sono volata via. La giornata è stata piuttosto fresca, ma dato che Ian stava meglio, io e Ms Edwina lo abbiamo portato a fare un giro per Londra. Non l’aveva mai visitata e così si è divertito molto. Fuori l’aria era pesante, era la calma prima della tempesta. Nel pomeriggio Ms Edwina ci ha lasciati soli, doveva recarsi a una riunione del Consiglio, così l’ho portato fino alla House of Parliament. Mi ha chiesto come stavo, ma io ero più preoccupata per la sua, di salute, che per la mia. Poi, guardando il Big Ben, ha detto che era più affascinante la notte di Capodanno. “In fondo non è un brutto dono quello che hai, insomma, essere tuo amico
potrebbe avere i suoi vantaggi.” “Se gli svantaggi, come essere rapiti da un mago malvagio, non sono eccessivi.” “Smettila di essere così negativa!” “Non sono negativa, sono realista! Poteva farti seriamente del male e non si sarebbe fatto tanti problemi a trasformarti in una mosca, per poi schiacciarti!” “Smettila di preoccuparti per tutto. Siamo a Londra, una città meravigliosa, in fondo questo contrattempo ha avuto i suoi lati positivi. E poi guarda, inizia a nevicare! È tutto così magico; non è vero, principessa?” “Cosa?” “Ho sentito tutto ieri, rinunceresti davvero al trono per noi?” “So che posso sembrare un’egoista, ma siete tutto per me.” “Ross, non è per questo che te l’ho chiesto, a me sembra davvero molto carino da parte tua. Ovviamente il regno perderebbe una grande regina, ma noi non ti lasceremo mai, ti sosterremo sempre, così tu potrai continuare a vivere serenamente a cavallo fra i tuoi due mondi.” “Ian, sei un tesoro! Mi sei mancato molto in questi ultimi tempi.” Poi mi ha abbracciata e mi sono sentita finalmente a casa. Dopo un po’ ci siamo avviati verso Hyde Park, mentre la neve ci ricopriva con il suo soffice candido manto. Sembrava tutto così tranquillo, abbiamo preso un tè veloce e poi l’ho riaccompagnato da Ms Edwina, rimarrà da lei fino a che non avrò preso la mia decisione definitiva, per fortuna i suoi genitori si sono convinti che sta seguendo quello stage molto importante in Perù. Tornata a casa ho trascritto la tua storia, in cui raccontavi di un ragazzo e una ragazza separati dalla guerra. La guerra, nonna, tu l’hai vissuta sulla tua pelle e immagino che tu abbia provato spesso il desiderio di fare come Gardenia, di correre in mezzo alle trincee a dare una lezione di vita a tutti quegli uomini folli. Studiando ho imparato che, durante la prima guerra mondiale, il confine ava proprio per il nostro piccolo villaggio. I libri di storia non ne parlano, figurarsi se
potrebbero interessarsi alle nostre piccole zone sperdute, ma meglio così, almeno si salvano in parte dall’uomo, che le ha dimenticate. Se il confine fosse ancora quello e se scoppiasse di nuovo una guerra, credo che vorrei anche io fare ciò che ha fatto Gardenia. Vedi, molte delle mie migliori amiche abiterebbero al di là di quel confine, sarei separata da loro e dovrei ritenerle nemiche. Ma perché? Ora capisco i motivi che hanno spinto molti soldati a nascondersi in quei giorni, rischiavano di uccidere parenti e amici che per sventura erano nati dall’altra parte di un confine, che nel 1912 era quasi invisibile. Su quelle montagne avevano tagliato insieme l’erba, le avevano vissute, erano la loro casa e i loro amici-nemici erano in realtà molto più vicini a loro dei politici che avevano deciso quella guerra a Roma e Vienna. Quei soldati si sarebbero strappati il cuore dal petto piuttosto che dover fare ciò che altri hanno fatto alle loro terre. Infatti la maggior parte di loro furono mandati su altri fronti, per evitare insubordinazioni. Si sentivano di certo divisi nell’anima: da una parte volevano salvare la propria vita, dall’altra quella dei propri amici. Nonna, perché la vita delle volte sa essere così crudele? Io non potrei scegliere, tengo troppo alle mie amiche e agli amici che abitano nelle altre valli, come si può imbracciare un fucile contro i compari con i quali il giorno prima si beveva e si giocava a carte in osteria? Ma di certo, quei politici, non avevano pensato alle conseguenze delle loro decisioni sulla popolazione. No, loro avevano pensato solo a conquistare territori, ad avere più potere e ad assicurarsi che altri non potessero batterli economicamente o militarmente; cosa importava se fossero morti dieci soldati o due milioni? L’importante è che loro non perdessero il proprio primato. Ma ne è valsa davvero la pena? In quella guerra, come in tutte le altre, non c’è stato davvero un vinto o un vincitore. Tutti, dopo la fine del conflitto, hanno dovuto porre rimedio ai danni subiti, riconvertire le fabbriche e l’economia in generale, ricostruire e ridare fiducia ai propri cittadini. La popolazione, infatti, vedendo gli orrori della guerra, aveva perso fiducia nei propri condottieri e seppur avessero vinto, restava nei loro occhi il male, lo sconcerto per le nuove tecnologie militari che riuscivano a uccidere migliaia di persone in poco tempo, restava la paura. Nonna, so che tu queste cose già le sai, le hai vissute, ti hanno ferita e hanno cercato di toglierti la tua forza e la tua identità, ma so per certo che non ce l’hanno fatta, so per certo che sei andata avanti comunque, lo so, perché ti ho vista, perché ti ho conosciuta. Forse se anche i politici seguenti avessero voluto conoscere le donne come te, che più di tutti, insieme ai soldati, hanno subito la guerra, allora, forse e dico forse, avrebbero capito. Ma la voglia di potere in loro è troppo grande e nulla può fermarli, solo la morte potrebbe, ma non lo fa. Questo è il triste destino
dell’uomo comune, ma io ho fiducia, spero che un giorno arrivi a governarci un uomo giusto, in fondo me lo hai insegnato tu, che la speranza è l’ultima a morire. Ora vado a dormire, si sta avvicinando la battaglia, devo essere pronta e riposata, ti scriverò domani, ti voglio bene, tua Rossana.
Vite separate
C’era una volta una giovane dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri di nome Gardenia, era molto davvero molto bella, ma aveva anche moltissime buone qualità. Viveva in una casetta rustica, in una valle suggestiva fra le Dolomiti, che in quel periodo era ancora indipendente dal resto della regione con la quale confinava. I suoi genitori mandavano spesso la giovane al di là del confine per lavoro, ma anche per studiare, infatti seppur di povere origini, avevano cercato di mettere da parte un piccolo gruzzoletto per permettere alla figlia un futuro migliore, rispetto a quello che avevano avuto loro. Gardenia aveva dunque fatto nuove amicizie e fra queste c’era un giovane di nome Silver, era il figlio del re di quella regione, ma nessuno lo sapeva, infatti aveva deciso, prima di prendere il posto del padre, di vivere in incognito per alcuni anni, in modo da conoscere meglio la popolazione del proprio regno, per poi poterlo governare nel modo migliore. Silver e Gardenia ormai si conoscevano da un po’ di tempo e fra loro c’era sempre stato un qualcosa più di un’amicizia, ma erano entrambi troppo timidi per confessare quello che provavano l’un per l’altra. In quel periodo il re della regione intendeva espandersi proprio verso la valle di Gardenia, sarebbe dunque scoppiata una guerra e il sovrano della Val del Ren aveva deciso di far rientrare tutti gli emigranti che in quei giorni si trovavano lontani dal suo regno. Gardenia dovette quindi fare ritorno a casa, suo padre nel frattempo si era molto avvicinato al re e ormai ne era diventato il consigliere, di
conseguenza non accettava il fatto che lei avesse delle amicizie nel regno di Lefov. Quando Silver venne a conoscenza dell’accaduto, si infuriò molto con il padre, ma nulla poté fare contro la sua volontà. Una notte decise allora di andare a trovare di nascosto la giovane Gardenia. Silver era un giovane alto, dalle spalle larghe, con i capelli corvini e sempre apparentemente spettinati e gli occhi profondi e azzurri, come il cielo limpido dell’inverno, erano dolci e le infondevano una gran serenità. Il giovane teneva molto al suo regno, ma anche alla sua cara amica e così non ci pensò due volte a fuggire per andare a trovare la giovane. Si incontrarono in una gola stretta e profonda, scavata dal torrente Ren, che scorreva veloce fra i massi, addolcendone i profili aguzzi. Gardenia era sorpresa nel vederlo lì, a cavallo del suo destriero color grigio cenere, era ormai quasi notte e la gola era illuminata solo dai raggi della luna. Gardenia si sentiva come in un sogno, ma sapeva che i sogni sono come un soffio di vento, brevi, ma che portano sollievo a chi li culla nella propria mente. Silver era molto silenzioso e aveva le sue buone ragioni per esserlo. Gardenia sapeva che mentre rifletteva non andava disturbato, quando vide che era tornato in sé, iniziò a illustrargli le mille meraviglie di quella gola stretta, cercava di alleggerire l’atmosfera. Lui stava in silenzio, apparentemente perso in quell’ambiente spettacolare, sembrava assorbirne i suoni e la magia che emanava. Lui adorava molto anche la musica e cercava di trasformare tutti i suoni della natura in arie indimenticabili. Era un ragazzo molto introverso, ma allo stesso tempo riusciva ad accattivarsi le amicizie di molti grazie alle sue buone maniere. Il cielo stellato era lo stesso in entrambi i regni, ma la persona con cui stava a guardarlo non era più la stessa, ora per suo padre era una nemica e lo stesso valeva per il padre di lei. Salutandosi Gardenia lo abbracciò come se quella fosse stata l’ultima volta in cui ne avrebbe avuto l’occasione, Silver si allontanò sempre più turbato in sella al suo destriero, non sapendo quando avrebbe potuto rivederla. Il giorno dopo le truppe iniziarono l’avanzata verso i confini, la guerra scoppiò e fu più burrascosa che mai, già dopo la prima battaglia si contarono i primi feriti. Quella fu la prima notte che Silver e Gardenia arono lontani, entrambi guardavano verso il cielo, stellato come sempre, ma vedevano dall’alto un terreno bagnato dal sangue di uomini umili e senza colpe, che combattevano per il desiderio delirante dei loro condottieri di conquistare nuovi territori.
Gardenia si sentiva sola senza Silver e il resto dei suoi amici, decise anche di cercare di inviargli una lettera tramite piccione viaggiatore, ma non le giunse risposta. Il piccione aveva raggiunto Silver, ma lui non riusciva ad avere nemmeno un minuto per risponderle, il padre lo teneva infatti occupato nel controllo delle linee nemiche da uno dei picchi più alti della valle. In uno di quei giorni sventurati Silver decise che era giunto il momento di porre fine a quella stupida guerra, di farla finita con quell’inutile massacro. Decise di andare personalmente in prima linea per cercare di convincere i soldati a rivoltarsi contro il re e contro la guerra. Allo stesso tempo Gardenia aveva deciso di arruolarsi come infermiera anche lei in prima linea. In questo modo poteva vedere direttamente come stessero andando le sorti della guerra. Vedeva i risultati dell’avidità dei potenti e le conseguenze delle loro azioni sui più deboli. Silver cercò più volte di dissuadere il padre a continuare quel massacro, ma non fu mai abbastanza convincente. Il giorno seguente si recò dunque in prima linea. Si vestì con abiti borghesi, riuscì a raggiungere facilmente il confine, superò con o fermo la trincea e solo allora si rivelò. Tutti i soldati ne furono stupiti, il figlio del re si era appena interposto fra le due linee e rischiava la vita per fermare la guerra. Tutti abbassarono le armi, anche i soldati della Val del Ren, impressionati da quel gesto. In quel momento Gardenia uscì dall’ospedale da campo e quasi le prese un colpo quando vide Silver elevarsi come una statua sulle trincee. Non riuscì a trattenersi e decise di avvicinarsi a lui. Gardenia avanzò piano fra i soldati, sempre guardando fisso Silver, senza mai staccare il suo sguardo da quello del giovane principe, aveva le lacrime agli occhi. Li separavano solo pochi metri quando una freccia sibilò nell’aria, la stava per colpire, ma Silver si interpose salvandole la vita, mettendo così a repentaglio la propria, infatti la punta di ferro lo colpì in pieno petto. Silver cadde a terra ferito, a scoccare la freccia era stato il re in persona, suo padre, che vedendo poi il figlio a terra, iniziò a gridare disperato. Gardenia era esterrefatta, erano arrivati al limite della decenza. Si inginocchiò vicina a Silver, respirava appena, non sapeva se ce l’avrebbe fatta, lo fece portare via, verso il suo ospedale da campo, quando suo padre la criticò, lei ebbe la forza finalmente di reagire. Corse verso il centro del campo di battaglia e arrivata su di uno sperone di roccia fra le due trincee pronunciò queste parole: “Solo il delirio di due uomini pazzi poteva provocare tanto male, solo la loro pazzia poteva andare a ferire il proprio popolo e a toccare anche i propri figli, il sangue del loro
sangue. Nulla può valere la vita di un uomo, forse amore e amicizia, non di certo avidità, invidia o altri bassi desideri umani. Chiedo ai due re di stilare un trattato di pace, credo che un territorio in più non valga la vita del proprio figlio. Vergogna vi coprirebbe se non doveste porre fine a questa pazzia”. I due re furono molto colpiti dal coraggio della giovane e dalla sua avventatezza e irruenza, ma si accorsero di aver già lasciato che troppi innocenti morissero, decisero di terminare quell’eccidio, nella speranza che il giovane Silver guarisse. Gardenia si occupò personalmente delle cure al giovane, fece in modo che i due migliori medici dei due regni collaborassero alla guarigione del principe, in modo da dare il buon esempio a entrambi i re. Silver migliorava di giorno in giorno e dopo un lungo mese di convalescenza riuscì a rimettersi in piedi. Decise allora di chiedere la mano di Gardenia a suo padre. L’anziano consigliere accettò di buon grado, anche su consiglio del re, in modo che quel matrimonio fosse l’inizio di un lungo periodo di amicizia e di pace. Il matrimonio avvenne sotto i migliori auspici in una chiesetta fra i due regni. Gardenia e Silver vissero per sempre felici e contenti, sapendo di aver collaborato alla pace dei loro due regni, i sogni dureranno anche solo quanto un soffio di vento, ma se aiutato, il vento spira forte e i sogni possono poi rimanere sospesi nell’aria, proprio come il loro, che rimase sospeso nell’aria in eterno. Tutt’oggi la pace fra le due valli regna sovrana e nulla può spezzarla, poiché protetta dall’amore e dalla forza dei due giovani.
Sottoguda, 8 gennaio 2012
Cara bisnonna, l’Organizzazione ha iniziato a rapire persone care ai membri del Consiglio, è sparita la migliore amica di Ms Edwina, di Bruja Dulcinia e di Frau Christabel. Nonna, sono molto preoccupata per loro, non sono più tanto giovani. Il problema è che gli altri stregoni delle tenebre non sono sciocchi quanto Hannibal, sanno nascondersi bene e ormai hanno deciso di combattere questa guerra, stanno
cercando di indebolirci, non vogliono più solo i miei poteri, ma quelli di tutte le streghe dei sogni. Temo per la vita dei miei amici, non a giorno in cui io non pensi a Lady Butterfly, a Sir Lion e a tutte le altre ragazze. Non so come difenderli, non posso confidare a tutti chi sono realmente. Questa mattina sono andata a trovare Ms Edwina, era davvero molto depressa per il destino della sua vecchia amica, la capisco, ma ho cercato di farle forza, deve essere very strong, come dice lei, per vincere la guerra e liberare Ms Simon. La stavo aiutando a preparare il pranzo, quando è comparso Ian. Si era appena svegliato, aveva la sua folta chioma leonina tutta scompigliata, mi ha fatto davvero ridere, temo però che lui se ne sia accorto, anzi, ne sono certa, perché poi mi ha rincorsa per tutta la cucina cercando di farmi il solletico. Quel momento di pazza normalità ha fatto sorridere Ms Edwina e così ha dimenticato per qualche minuto la brutta situazione in cui ci troviamo in questo momento. Sir Green continuava a farmi ridere e ho dovuto chiedere pietà, perché mi liberasse dalla sua morsa letale. In quel momento hanno suonato alla porta, era Frau Christabel. L’anziana strega è entrata in casa come una furia, era davvero arrabbiata con quelli dell’Organizzazione per aver rapito anche Frau Yvonne. Per tirarla su di morale ho preso il mio iPod e ho fatto partire la playlist di sole canzoni tirolesi. Un piccolo sorriso è ricomparso a illuminarle il viso, non avevo però previsto la reazione di Ian, avevo dimenticato la sua natura di ballerino. Ha iniziato a far volteggiare ognuna di noi a turno, le due guardiane erano sorprese da cotanta bravura, era come se fossero tornate indietro nel tempo al periodo della loro giovinezza, ai grandi balli fastosi del Consiglio. Ridevano felici, mentre Sir Green le faceva girare a rotta di collo. Poi ha fatto ballare anche a me, era da molto che non danzavamo più insieme, mi è sempre piaciuto il suo modo di guidarmi, così delicato, ma allo stesso tempo così deciso, ho sempre amato anche il suo profumo, ne usa sempre di buonissimi, mi è sembrato di avere un dejà vu quando mi ha guardata negli occhi, ma poi la musica è finita e io ho spento l’iPod, il pranzo era pronto. Abbiamo mangiato fish and chips, Ms Edwina è davvero un’ottima cuoca. Dopo pranzo, per lasciare le due vecchie amiche un po’ da sole, ho portato Ian a fare un altro giro per la città, questa volta siamo andati a Buckingham Palace, c’era una gran folla di turisti e per non perderlo mi sono appigliata al suo cappotto e meno male, perché in quel momento ho notato un membro dell’Organizzazione, allora l’ho tirato indietro. Lui ha capito che c’era qualcosa che non andava: “Che succede?”
“Ci sono quelli dell’Organizzazione, dobbiamo andarcene subito. Ho un’idea, hai voglia di fare quattro salti?” Così l’ho trascinato fino alla prima fermata della metro e, dopo aver cambiato i nostri abiti con una magia, siamo andati al famoso tè danzante della domenica all’Old Finsbury Town Hall. L’ambiente era davvero allegro e abbiamo trascorso un magico pomeriggio a ballare valzer e foxtrot, è stato meraviglioso, ma quando si parla di ballo tutto diventa fantastico. Nella sala c’erano persone di tutte le età, che riassaporavano i piaceri di un’epoca ormai lontana. Verso le cinque, dopo il tè, l’ho riaccompagnato a casa, Ms Edwina ci ha guardati sconvolta, così le ho spiegato cos’era successo, mi ha fatto i complimenti per la mia brillante idea, avevo trovato un rifugio perfetto e poi non ha potuto fare a meno di scattarci una foto ricordo, ha detto che sembravamo appena riemersi dagli anni Quaranta. Ho parlato un po’ con lei e abbiamo pensato che fosse meglio trasferire Sir Green in un’altra città e così per i prossimi giorni starà da Madame Alphonsine a Parigi. Sono molto felice per lui, avrà l’occasione di vivere in una città meravigliosa. Si è già ripreso, ma non ancora completamente, sono convinta che stare un po’ in Francia gli farà bene. Okay, lo ammetto, mi piace l’idea di trascinarlo in giro per una città che ho tanto amato, ma non è solo questo, vorrei che ci fossero anche Sir Lion e Lady Butterfly. Sono anni che vorrei poter fare un viaggio tutti insieme, ma non è mai stato possibile, così mi accontenterò di trascinare di qua e di là Ian, deve assolutamente vedere Parigi dall’alto della Tour Eiffel e assaggiare i falafel nel quartiere ebraico, il Marais, e gustarsi una buona crêpe cocco e Nutella a Place de Clichy. Okay, forse sto esagerando, ma devo farmi perdonare questa disavventura, che poteva pagare con la vita. Verso sera l’ho accompagnato a Parigi, Madame Alphonsine mi ha trattenuto a chiacchierare un po’, mentre lui si sistemava e mi ha dato un’idea brillante, mi ha detto che potrei sorvegliare Sir Lion e Lady Butterfly creando degli uccellini che volino sempre vicini a loro. Così ho preso il mio libro degli incantesimi e ho cercato la magia che lei mi aveva suggerito, dopo averla eseguita mi sentivo davvero più tranquilla. Poi li ho salutati e sono tornata a casa; non me la sentivo di cancellare il tempo, così sono comparsa in camera mia e ho convinto i miei che avevo ato tutto il giorno in camera a leggere e che per pranzo mi ero dimenticata di dir loro che ero stata invitata a casa di Edvige, così non hanno più fatto domande, si sono un po’ arrabbiati, ma almeno mi hanno creduto. Sai bene che non mi piace raccontare bugie, ma questa era bianca, non me la sento di parlargli dell’altro mondo, almeno non per ora.
Per oggi ho deciso di trascrivere la storia Un giorno soltanto, l’ho interpretata a modo mio, come sempre, ma oggi sono stata ispirata dalla mia giornata all’insegna del ballo. Ogni stagione ha la sua magia, l’inverno è forse il periodo più magico dell’anno, ma ho riscoperto anche l’estate e credo che tu ne conosca il motivo. Infatti credo che tu ti ricordi della festa per la fine dell’estate che organizzano in Val di Fassa. Ogni anno cresce e diventa sempre più bella e sempre più magica. Sai bene quanto io ami ballare i nostri balli, quelli tipici, che non hanno nulla a che fare con le nuove musiche. È una di quelle feste che ci fa ricordare cosa ci sia di bello nel ato. Amo molto ballare e amo le nostre tradizioni, me le hai fatte conoscere tu per prima e me le hai fatte amare proprio tu, nonna, e ti devo ringraziare per questo. Ti ricordi quando mamma e papà mi portavano al tendone per farmi addormentare? Sembra impossibile, ma con quella musica alta dormivo come un ghiro. Quella musica mi fa ancora battere forte il cuore, mi rende davvero felice, mi rasserena le giornate più cupe e piovose. Sai nonna, c’è una novità, tre anni fa ho iniziato a ballare con il gruppo folk. So che ti fa piacere e spero che da lassù, ogni tanto, tu ti possa godere le nostre esibizioni. Ogni tanto combiniamo qualche guaio, ma in fondo ci divertiamo sempre molto e ridiamo tanto. È la musica e la tradizione che ci uniscono, come questa ione mi unisce anche a tutte le mie amiche più care. In questa storia mi hai parlato sì della magia dell’amore, ma anche della magia di un giorno speciale, la magia del giorno di festa, come se fosse la festa della valle, la sagra più importante a cui partecipavi tu da giovane. Credo che con questa storia tu volessi insegnarmi che alcuni momenti della nostra vita sono magici, anche senza l’ausilio della nostra magia, soprattutto per le persone con cui li viviamo, perché sono speciali loro stesse, perché non sono comuni, perché non sono banali e tutte le volte che partecipo a quella festa, tutte le volte in cui ballo, accade sempre qualcosa di meraviglioso, di magico, proprio come oggi in quella sala da tè. Mi fa sentire bene, mi sento almeno per una volta diversa, speciale oserei dire e lievemente carina. Adoro davvero i nostri balli tipici e danzare mi rende felice, anche se non sembro propriamente una libellula, delle volte mi sento come tale, mi sento finalmente libera. Avevi ragione quando dicevi che il ballo è magico e anche nella storia che sto per narrare, l’unico momento in cui i due ragazzi riescono a essere liberi, l’unico momento in cui possono davvero essere loro stessi, è proprio un ballo, il più importante del regno, ma anche il più bello e allegro.
C’è poi l’amore: in questo caso l’amore supera letteralmente tutte le barriere, anche quelle magiche. Anche questa volta il bene vince e il male viene sconfitto definitivamente. Sarebbe davvero bello, nonna, se anche nella realtà fosse così. So che parlando in questo modo ti sembro una di quelle ragazze che vedono il bicchiere sempre mezzo vuoto, ma a volte sento di dover vedere la realtà anche in maniera un po’ più negativa, soprattutto per tenere i piedi per terra. Ma non dimenticherò mai la magia della danza e questo te lo prometto. I momenti più belli della mia vita sono stati proprio quelli in cui ho ballato, non riesco mai a smettere di sorridere quando ballo, è più forte di me. Sembrerò anche una sciocca a sorridere continuamente, ma non sono mai capace di smettere. Mancano sempre i ragazzi, ma fra ragazze ci arrangiamo senza problemi, anche se farsi guidare da un vero cavaliere è tutta un’altra cosa, soprattutto se sa ballare bene. Credo che tu sappia tutte queste cose, senza bisogno che io te le spieghi. Le hai provate prima di me, nonna, e a me fa davvero piacere poter vivere, qualcosa che tu hai di certo vissuto a tua volta. Mi piace pensare che ogni volta che danzo, tu sia lì con me; avere un amore in comune vuol dire molto per me, davvero. Nonna, spero di conoscere ulteriormente la magia della danza e che non mi abbandoni mai, come non ha abbandonato te, neanche quando ormai le gambe faticavano a reggerti e tu comunque mi prendevi per mano e dopo tanta insistenza, giocavi con me o mi facevi fare qualche o di ballo, sono i ricordi più belli che ho di te, mi manchi molto. So che in realtà abbiamo in comune molto più di quello che credo, ma nel mondo reale sono questi i ricordi di te che ho. In questa riflessione ho voluto tralasciare l’altro mondo, per un momento mi volevo sentire di nuovo ‘normale’. Ora vado a dormire, è stata una giornata piuttosto intensa e domani devo andare a Parigi, il Consiglio si riunirà lì per discutere sull’organizzazione della difesa. Ti scriverò prestissimo, ti voglio bene, tua Rossana.
Un giorno soltanto
C’erano una volta un bel bimbo e una bella bimba, William e Floh, erano destinati a stare insieme per tutta la vita, così almeno aveva predetto la Strega
Bianca, sovrana di tutto il regno della magia. Purtroppo, come in tutti i regni felici, c’è sempre qualcuno che, invidioso di tanta gioia, decide di agire, di fare qualcosa per rovinare tutto ciò, per distruggere ciò che rende gli altri entusiasti, ciò che li fa sognare. La Strega Cattiva, in questo caso, si chiamava Grandine e come una grandinata colpì in pieno gli abitanti della valle. I due bambini erano talmente piccoli, che non si resero conto della stregoneria che li aveva colpiti. Avevano poco, tranne l’affetto delle loro famiglie, non erano ricchi, erano figli di un mugnaio e di un falegname, ma i loro genitori insegnarono loro, che la cosa più importante era stare bene, stare insieme e crearsi una famiglia. Loro però non capivano ancora che il sogno dei loro genitori di vederli sposati, con una famiglia in crescita, non si sarebbe mai realizzato. La Strega Cattiva aveva infatti lanciato un incantesimo terribile: anche se i due, divenuti grandi, si fossero incontrati, non si sarebbero potuti innamorare, aveva creato come uno scudo fra loro. I due bambini giocavano spesso insieme, ma i loro genitori provavano un dolore infinito pensando al loro futuro rovinato dall’invidia di una vecchia megera. Dopo poco tempo la famiglia della piccola Floh si trasferì in un’altra valle, suo padre sentiva che era ciò che doveva fare, che forse così sua figlia avrebbe trovato un altro ragazzo di cui innamorarsi, quando sarebbe cresciuta. Il povero falegname però sbagliava, infatti Floh divenne una giovane donna bellissima, ma non dimenticò mai il suo compagno di giochi, le mancava molto e sarebbe voluta tornare a trovarlo. Infatti un giorno decise di tornare nel suo vecchio villaggio, vide molti giovani, ma non riuscì a riconoscerlo. Anche William aveva tentato di cercarla, ma senza risultati. I due giovani non si arresero mai, ma piano piano persero la speranza e le loro ricerche andarono affievolendosi, fino a che non si incontrarono una sera, a una festa comune a tutto il regno, voluta dalla Regina Bianca, che nel frattempo era riuscita a ridimensionare l’incantesimo: i due ragazzi si sarebbero potuti innamorare solo se si fossero visti in un giorno specifico, in questo caso quello della festa di fine estate, gli altri trecentosessantaquattro giorni si sarebbero invece sempre trattati come sconosciuti. Quella sera si videro attraverso tutta la folla che c’era, si sorrisero da lontano, si
riconobbero e poi si corsero incontro. Si strinsero forte l’uno all’altra e quando la Strega Bianca li vide, sorrise dentro di sé, ma era un sorriso amaro, infatti quella gioia sarebbe durata solo una notte. Li chiamò poi vicini a lei e spiegò loro della stregoneria e del loro destino. Floh e William erano felici anche solo per essersi ritrovati e decisero di are insieme quel poco tempo che restava loro per quella notte. Danzarono a lungo, ma quando arrivò il momento di separarsi fu davvero difficile per loro, poiché sapevano che non sarebbero riusciti a riconoscersi per un altro anno. Si abbracciarono e lui le accarezzò il viso dolcemente prima di salutarla e di allontanarsi nell’alba, che stava nascendo al di là delle montagne. Floh pianse a vederlo andar via, ma il giorno dopo già non ricordava più nulla, sentiva solo il calore che le aveva lasciato dentro quella sensazione, quella strana sensazione, non capiva perché fe così male ora, perché la gioia più grande poi si trasformava in dolore? Arrivò l’inverno e metri di neve li separarono, ogni tanto pensavano a quella bella serata: pur non ricordando il nome dell’altro, sentivano ancora l’eco delle sensazioni provate. La primavera portò con sé fresche novità, infatti Floh diventava ogni giorno più bella e sempre più corteggiata. Suo padre desiderava che si sposasse con uno dei giovani del loro villaggio, non voleva che pensasse più a William, per lui era una perdita di tempo e non sopportava di veder soffrire sua figlia, secondo lui, inutilmente. La Regina Bianca continuava a tentare di annullare quel malvagio sortilegio, aveva anche fatto catturare la Strega Cattiva, ma questa non voleva collaborare e godeva nel vedere che nemmeno la strega più potente del loro regno riusciva ad annullare il suo potente incanto. William nel frattempo doveva subire le imposizioni del padre, che lo voleva vedere sposato con la figlia del podestà del loro villaggio, in modo da innalzare il titolo della famiglia. La bellezza del ragazzo aveva infatti rapito la giovane, che capricciosa com’era, insisteva con il padre per imporre a William di sposarla. Un padre cerca sempre di accontentare la propria figlia e il podestà aveva offerto al mugnaio una notevole somma di denaro come dote in cambio del proprio figlio e il vecchio, avido com’era, era deciso ad accettare. Le due madri invece continuavano a sperare, come la Strega Bianca, in un miracolo, che però sembrava tardare a giungere.
Durante l’estate il ricordo della serata dell’anno precedente divenne sempre più acuto, forse perché si avvicinava il momento del loro nuovo incontro. Iniziarono a ricordare i tratti del viso dell’altro e più ricordavano, più il resto attorno a loro spariva. La Regina sentiva la magia diffondersi nell’aria e decise che avrebbe preparato la festa di fine estate in modo che potesse durare dalla mezzanotte della notte prima, fino alla mezzanotte della giornata seguente, in modo che i due giovani potessero restare insieme almeno ventiquattr’ore e non solo per una sera. La Strega Bianca sperava che rendere più lunga la festa, potesse rendere più duraturi i loro ricordi. Floh, nel frattempo, si preparava con l’aiuto della madre, ma come sottofondo avevano le grida del padre, che non voleva più che sua figlia vivesse in un mondo di illusioni, era ora che tornasse alla realtà e che smettesse di credere che un giorno quello scudo magico si sarebbe frantumato in mille pezzi. Ma Floh pensava solo al calore degli abbracci di William, alla bellezza del suo sorriso e dei suoi occhi luminosi, così verdi e così splendenti. Il giorno della festa finalmente arrivò, Floh non si aspettava certo che quel giorno sarebbe stato il peggiore della sua vita. Il padre di William infatti annunciò il fidanzamento del giovane con la figlia del podestà. Floh era sconvolta, aveva aspettato per tutta l’estate quel momento e ora si era trasformato in un terribile incubo. William non la degnò di uno sguardo e ballò tutta la sera con Ginevra. Floh decise allora di andare via, la Strega Bianca non capiva come un padre non ascoltasse il volere di un figlio, non sapeva più cosa fare. Fu in quel momento che William si girò, la vide andar via piangendo, notò le lacrime che rigavano il viso della giovane, i suoi bellissimi occhi azzurri erano diventati ancora più meravigliosi. La riconobbe, ma sentiva il peso della promessa fatta a suo padre e non si allontanò da Ginevra nemmeno per un secondo. Era giunta l’alba, la festa sarebbe continuata fino alla mezzanotte, la figlia del podestà se ne andò a casa per risposare almeno per un po’, William invece non sapeva cosa fare, se andare a cercare Floh o se tornare anche lui a casa. Stava ancora riflettendo sul da farsi, quando arrivarono alcuni uomini e sentì da loro che la figlia del falegname era scomparsa e nessuno la trovava. Il giovane li fermò e chiese loro se stessero parlando di Floh e loro gli risposero affermativamente. William iniziò a correre quasi senza rendersene conto, aveva anche iniziato a piovere, ma le sue gambe andavano da sole, non sapeva dove lo stessero portando, non riusciva a riflettere o pensare ad altro se non trovare Floh.
Il padre lo vide correre via, provò a seguirlo, a riprenderlo perché ora doveva sposarsi con Ginevra, ma William non si fermò e continuò a correre. Corse per tutto il giorno, ma non la trovò, solo al tramonto si fermò per un paio di minuti a riflettere su dove potesse essere finita Floh. Improvvisamente ricordò che da piccoli andavano sempre a giocare vicino a un gazebo che a lei piaceva molto, era tutto in legno sostenuto da sette colonne intarsiate e decorate con delle rose meravigliose. William corse verso il luogo in cui si trovava il gazebo, vicino a uno splendido lago, che gli ricordava sempre gli occhi di Floh. Vi arrivò in pochi minuti e lì, la trovò rannicchiata sul dondolo: non piangeva più, ma il suo sguardo era perso nel vuoto, come se fosse lontana anni luce. Le si avvicinò silenziosamente, l’abbracciò da dietro, stringendola forte al suo petto. Era come un pulcino spaventato da un terribile temporale. Appena la ragazza lo vide ricominciò a piangere, soffocava i singhiozzi, ma grossi lacrimoni le scorrevano lungo le guance rosee. Lui la strinse ancora più forte, al punto quasi di farle male. “Non farlo mai più, mi hai spaventato terribilmente!” Lei non gli rispose, ma si aggrappò a lui come se fosse il raggio di sole in fondo a un tunnel lungo e buio. “Su, su, ora sono qui, a tutto. Però smettila di piangere, altrimenti formerai un ruscello, che ci farà scivolare e finire nel lago.” Quella battuta la fece sorridere, si scostò un po’ da lui per guardarlo nei suoi profondi occhi verdi, lui le sorrise felice. Floh rabbrividì per il freddo, era stata fuori tutto il giorno sotto la pioggia, il suo bell’abito di sangallo era tutto bagnato, fortunatamente aveva smesso di piovere e mentre il sole tramontava, l’arcobaleno nasceva sopra allo specchio d’acqua cristallino. William la prese per mano e insieme si sedettero sul dondolo, stettero lì a lungo abbracciati, parlarono di molte cose, anche del loro futuro e su come fare per convincere i loro padri del loro amore, ma non sapevano cosa avrebbe potuto far cambiar loro idea, erano entrambi molto testardi. Si stava avvicinando la mezzanotte, ma non volevano separarsi, William le propose di provare a stare insieme fino all’alba seguente per vedere cosa sarebbe accaduto, così rimasero lì e poco dopo si addormentarono, mentre il vento li cullava dolcemente sospingendo il dondolo. La mezzanotte stava quasi per
giungere, quando si risvegliarono. Si guardarono negli occhi, lui le accarezzò delicatamente il viso e poi la baciò. In quel momento scoccò la mezzanotte, sentirono la campana suonare i dodici rintocchi. Si guardarono nuovamente negli occhi e si strinsero forte l’una all’altro, in quel momento una folata di vento fece oscillare più velocemente il dondolo, caddero entrambi a terra, ma le loro mani restarono saldamente legate. All’improvviso sentirono un rumore, come uno specchio che si infrange: fu in quel momento che capirono che l’incanto si era spezzato, non sapevano come ciò fosse potuto accadere, ma era avvenuto. In quel momento la Strega Bianca comparve all’interno del gazebo: “Sapevo che quest’incanto si poteva spezzare e il destino ha voluto darci una mano. Avevo dimenticato il potere del gazebo dei desideri. Il numero sette qui si ripete continuamente: sette sono le colonne, sette sono le rose per ogni colonna, sette sono gli scalini, sette sono i cespugli di rose che lo circondano e sette sono i colori dell’arcobaleno che ieri sera lo sovrastavano. Ragazzi, finalmente siete liberi di amarvi, tale libertà non vi doveva essere tolta, ma ricordate che c’è sempre speranza e che l’amore è un sentimento talmente grande e puro, basato sull’altruismo, che nemmeno il male più oscuro potrà mai sconfiggerlo e tutti, anche i malvagi, dovrebbero ricordarlo, finché c’è vita, c’è speranza”. Tornarono tutti insieme al villaggio, la Strega Bianca annunciò la fine del malvagio incanto, il podestà capì che la ragion di Stato non funzionava più e che sua figlia avrebbe dovuto accettare il successo del vero amore. Ginevra, grande sognatrice accettò questo fatto, anche perché durante la giornata il destino le aveva fatto incontrare il figlio del podestà del villaggio vicino, che di lì a un anno sarebbe diventato suo marito. William e Floh si sposarono la primavera seguente, in una bellissima giornata di sole, la valle era già in fiore e tutto stava rinascendo, questa nuova spinta vitale era l’ideale per gettare le basi di una nuova famiglia. Floh nel suo abito bianco era meravigliosa, mentre suo padre l’accompagnava all’altare era davvero nervosa, ma appena William le sorrise con quel suo sorriso sincero e i suoi occhi verdi e profondi capì che tutto sarebbe andato bene e che loro avrebbero vissuto per sempre felici e contenti.
Sottoguda, 9 gennaio 2012
Cara bisnonna, oggi è stata una giornata piuttosto sconvolgente. Questa mattina ero partita con la chiara idea in testa di andare a trovare Ian e di mostrargli Parigi, città che amo profondamente, ma che devo ancora imparare a conoscere davvero, così ho detto ai miei che sarei stata fuori tutta la giornata per andare a trovare la mia vecchia suora. Sono arrivata lì prestissimo, così sono andata a comprare un paio di croissant per la colazione. Madame Alphonsine mi stava aspettando sulla porta di casa, con due uccellini sulla spalla, erano i due guardiani di Sir Lion e Lady Butterfly. Un freddo gelido si è subito impossessato di me, Madame mi ha informata immediatamente che le streghe dei sogni si stavano occupando di Ted, ma che nessuno poteva andare da Spring, così le ho lasciato la colazione per Ian e sono partita subito per Riga. Il pettirosso, che le avevo inviato, mi ha portata a casa sua: tutto era sottosopra e sembrava non ci fosse più nessuno, ma ho subito notato un fruscio provenire da dietro la porta della cucina, così sono andata verso quella stanza e ho lanciato un incantesimo di blocco. Ho aperto la porta e mi sono trovata davanti a un giovane mago oscuro e a Spring, così ho liberato la mia amica dalla stretta dello stregone e ho chiamato Frau Christabel, che mi aveva avvisato di stare arrivando sul posto con dei rinforzi. “Come ci sei riuscita, Rossana?” “Ho solo lanciato un incantesimo immobilizzante.” “Il punto, mia cara, è che nessuno è mai riuscito a bloccare così un mago oscuro, normalmente il freddo e le tenebre sono i loro aiutanti, non i nostri. A proposito, purtroppo devo darti una cattiva notizia. Ted è stato rapito, la squadra che è stata inviata per salvarlo è stata sbaragliata, i maghi delle tenebre erano molti di più, non solo uno. Noi crediamo che loro fossero convinti che tu saresti rimasta nella tua giurisdizione, invece eri già a Parigi. Puntavano ancora a te, mi dispiace, Rossana. Vedrai che ritroveremo Sir Lion molto presto.” “Certo, Frau Christabel, lo spero davvero molto. Odio il fatto che i miei amici continuino a essere in pericolo, sono stanca. Secondo lei potrei cercare di fare un incanto scudo per il resto delle mie amiche?” “Ci puoi provare, ma non so se funzionerà, poche sono le streghe che ce l’hanno fatta.”
“Io voglio almeno tentare. Venti che soffiate in tutto il mondo trasportando segni di fantasia, vi prego create uno scudo attorno alle mie sorelle, così che nessuno le possa portare via! E ora possiamo solo sperare che abbia funzionato. Frau Christabel, io tornerei a Parigi e porterei con me Spring, se per lei non è un problema.” “È un’ottima idea, Rossana. Vai pure, io porto via questo stregone, ad Hannibal farà piacere avere compagnia.” Così sono tornata a Parigi, portando con me una Lady Butterfly davvero sconvolta. Per fortuna si era già presa una settimana di ferie per tornare in Italia, almeno non dovrò inventarmi altre bugie. Arrivate a destinazione, Madame Alphonsine si è subito presa cura di lei, quando si è tranquillizzata un po’ ho preso coraggio e le ho raccontato tutta la verità sulla mia seconda vita, anche Ian mi ha aiutata, poi l’abbiamo lasciata riposare e siamo usciti per una eggiata sul lungo Senna. Erano circa le undici, il sole sembrava aver deciso di restare nascosto per quel giorno, faceva davvero freddo. “Hanno preso Ted, vero?” “Mi dispiace, Ian, non sono riuscita ad arrivare in tempo per salvare anche lui. Mi sento davvero in colpa, ma non ce l’ho fatta. Prima che tu me lo chieda, ho lanciato un incantesimo al resto delle nostre amiche, perché uno scudo impedisca a chiunque di rapirle o di far loro del male, spero funzioni.” “Ross, so che hai fatto il possibile, credo sia ora che tu ti riposi un po’, prendiamoci il pomeriggio libero dalla magia, facciamo i turisti, come se fossimo venuti qui un mese fa. Fammi da cicerone in giro per la città. Ci divertiremo.” “D’accordo, però non ho voglia di are il mio tempo in metrò, emo il Velib.” “Il cosa?” “Le bici a noleggio. Su, forza, andiamo!” Così abbiamo noleggiato due bici e abbiamo iniziato a vagare per Parigi. Adoro perdermi nelle grandi città, girare senza una meta precisa. L’ho portato comunque a vedere la Tour Eiffel, promettendogli che al buio saremmo saliti in
cima. Dall’alto Parigi è meravigliosa, chissà poi con tutte le luci della notte che brillano. Poi l’ho portato a Notre-Dame e gli ho fatto calpestare per bene Le Point Zero, dal quale vengono misurate tutte le distanze delle strade di Francia. C’è una leggenda, secondo la quale chiunque metta un piede su questo punto, tornerà di sicuro a Parigi. Tornando verso l’Ile de la Cité, sul ponte appena dietro la cattedrale, abbiamo trovato un artista di strada, che stava suonando un valzer con la fisarmonica. Ian gli ha lanciato qualche monetina e poi mi ha invitata a ballare, aveva anche ricominciato a nevicare, è stato davvero un momento magico. Per l’ora di pranzo ho portato Sir Green al Marais a mangiare le falafel, sono delle palline di ceci inserite insieme ad altre verdure e salse varie in una specie di piadina, è un piatto davvero delizioso. Poi siamo andati a visitare il Sacré-Cœur e il quartiere di Montparnasse, abbiamo eggiato ancora un po’ lì nei dintorni e dopo aver ripreso la bici siamo andati fino agli Champs-Elysées, tutta la via era illuminata a giorno dalle luci, l’Arc de Triomphe si stagliava su tutta l’avenue. Quando il sole ci ha definitivamente salutati, ho portato Ian sulla Tour Eiffel: era senza parole, lo spettacolo era davvero meraviglioso. Verso le sette l’ho riaccompagnato a casa, Madame Alphonsine aveva preparato la zuppa di cipolle e mi ha chiesto di fermarmi a cena con loro, dopo grande insistenza alla fine ho accettato. Sono tornata a casa felice e triste allo stesso tempo, spero di ritrovare al più presto Ted, non sarò serena finché lui non sarà a casa sano e salvo. Per rilassarmi un po’ ho trascritto un’altra delle tue storie, Ora o mai più. È un altro dei tuoi racconti in cui parli del ballo. Il racconto parlava proprio della nascita di gruppi di ballo. So bene, che non è quella reale, ma la storia che mi avevi raccontato era davvero originale, mi è sempre piaciuta così tanto. Da quando sono entrata nel gruppo folk ho iniziato a vedere le cose in maniera diversa, te lo giuro, ogni sabato mi alzo e vado a dormire con un grande sorriso stampato sulle labbra, perché so che avrò le prove. Adoro ballare con loro, sono un gruppo così vivace e colorato. Quando ci esibiamo con i nostri costumi, sento di rappresentare qualcosa di importante, qualcosa che non tutti conoscono, ma che dovrebbero conoscere davvero. La nostra storia, le nostre tradizioni sono talmente particolari, talmente belle, che è un peccato che siano sconosciute alla maggior parte degli abitanti del mondo. I balli coreografati, che facciamo con il folk, sono davvero molto originali, sono costruiti sui i base di balli come il valzer, la polka e la pairis, ma sono comunque molto particolari. Molti si basano su elementi della natura, come la montagna, la primavera, l’autunno, poi ci sono altri basati su persone o caratteri
particolari della gente e poi ci sono quelli che ricordano i tipici lavori di una volta. Mi piacciono davvero molto tutti, non ce n’è uno che io preferisca in modo particolare. Amo molto anche osservare gli altri gruppi folk mentre ballano, alcuni sono più vivaci e gioiosi, un po’ come noi, altri sono più seri e composti, ma il mondo che rappresentano merita tutto il nostro rispetto. Un po’ di rivalità fra i vari gruppi c’è sempre, ma come c’è quella fra le varie valli. Ci si critica magari per le scelte dei costumi, per esempio noi abbiamo un costume diverso da quello usato dai ladins, ma solo perché usiamo fazzoletti e grembiuli azzurri, invece che neri a fiori colorati. In altre valli invece non cambiano. Amo molto scoprire sempre cose nuove sulla storia delle valli vicine e della nostra, c’è talmente tanto da imparare, da conoscere, nonna. Poi ci sono i vari dialetti, sai, non ho mai smesso e mai smetterò di parlare il mio, anche se alcuni mi prendono in giro per questo, non mi importa, davvero. Sono curiosa invece di tutte le differenze fra i vari dialetti della zona, mi piace sentir parlare gli altri e cercare di associare i suoni a lingue straniere, per conoscere il sostrato e le influenze linguistiche che le varie popolazioni hanno subito nei vari anni. So che sono un po’ uscita dal nostro discorso iniziale sui gruppi folk, ma credo che tutto sia collegato e devo solo ringraziare te, se mi sono apionata tanto a tutto questo mondo; in molti ne sono disinteressati, per questo le tradizioni si perdono. I matrimoni sono però ancora molto simili a quelli ati, ai quali hai partecipato anche tu. Gli aspetti goliardici delle nostre tradizioni non sono andati persi, anzi, ora un comitato ha iniziato a occuparsi della valorizzazione del nostro territorio, anche per ricordare ai propri abitanti la bellezza di determinate tradizioni ate, come quella dei carri di carnevale e del ballo post-sfilata. Poi hanno istituito una nuova manifestazione: tutti i giovedì sera di luglio e agosto c’è una specie di mercatino per le vie del paese, dove vengono dimostrati tutti i lavori di una volta. è una manifestazione bellissima, si cerca di unire il vecchio al nuovo e c’è tanta, tanta musica. Ho conosciuto talmente tante persone nuove e simpaticissime grazie a queste serate, che tu non immagini neppure. Grazie al gruppo folk, invece, mi sento sempre parte della mia valle, anche se ormai da sette anni vivo lontana da casa per la maggior parte dell’anno. È un’occasione per sentirsi vicini senza esserlo davvero fisicamente. Quello che mi piace della storia è che avevi trovato un modo divertente in cui sperare che i giovani risolvessero in maniera diversa le varie tenzoni; purtroppo non l’hanno ancora trovato e preferiscono i pugni alle giravolte, ma forse arriverà un giorno in cui si decideranno a capire che un buon ballo è migliore di un calcio, infatti lascia di certo meno segni sui loro visi, non lascia occhi neri. La
speranza, come sempre, è l’ultima a morire. Ora vado a dormire, spero un giorno di riuscire a conciliare questi miei due mondi, ti scriverò presto, ti voglio bene, tua Rossana.
Ora o mai più
C’era una volta, molti anni fa, una forte rivalità fra due gruppi di ballo di due valli vicine, sentita forse più fra i vecchi che fra i giovani, ma comunque ancora molto forte. Ogni volta che si incontravano a qualche festa era scontro aperto, iniziavano a ballare e ogni o era come uno schiaffo, un pugno o un calcio verso gli altri, che rispondevano a suon di giravolte. Lo spettacolo era garantito, non erano mai arrivati alle mani e questo rappresentava il loro fascino più grande, ma come mai il loro rapporto era di odio e rispetto allo stesso tempo? Per rispondere a questa domanda, bisogna andare a ritroso di alcune centinaia di anni, al tempo di dame e cavalieri, quando ancora la danza era l’unico svago di cui i giovani disponevano al posto dei nostri nuovi mezzi super-tecnologici. In quel periodo i due gruppi di ballo ancora non esistevano, infatti tutti sapevano ballare e anche chi non sentiva per nulla il ritmo, cercava di fare per lo meno qualche o di danza. Era anche l’unico modo che i ragazzi avevano per conquistare le dame più ambite: un ottimo ballerino era sempre un buon partito. In quel periodo però, la rivalità fra i migliori delle due valli era molto forte, spesso si rubavano le giovani a vicenda e ciò scatenava vere e proprie risse. Una sera una di queste lotte andò troppo in là, poiché uno dei giovani sbatté la testa contro un albero e dovette essere portato urgentemente dal medico di corte; ad aggravare la situazione fu che quel giovane era il principe ereditario della valle di Lungofiume. Il giovane fu presto curato, ma da quel momento in poi i rapporti peggiorarono, ogni volta che si incontravano, arrivavano ai pugni prima ancora di vedere se l’altro avrebbe tentato di ballare con una delle ragazze della propria valle. Le giovani tentarono di sedare il risentimento, ma non c’era modo di calmarli e si ritrovavano sempre sedute sui bordi della pista, invece di poter
ballare allegramente. Iniziarono dunque a ritrovarsi di nascosto dai loro partner per progettare un modo per farli smettere di picchiarsi continuamente. Una sera provarono a ballare fra di loro, scatenando l’orrore degli anziani, ma senza ottenere alcun risultato presso i propri compagni, troppo occupati con pugni e calci. In quel tempo era appena entrata in quella compagnia di amiche ballerine anche una nuova giovane della valle di Roccaerbosa. Era la figlia del consigliere del re, una giovane brillante negli studi e che ammirava le coppie svolazzare sulla pista da ballo con le vesti dei giorni di festa e con dei bellissimi sorrisi allegri stampati sui loro volti. Li aveva sempre invidiati e non vedeva l’ora di poter ballare anche lei con i grandi. Quando venne a sapere della triste situazione che si era creata, decise di inventarsi velocemente una soluzione e così, quando fu invitata alla prima riunione delle giovani dame di quell’anno, portò con sé anche il suo piccolo progetto. Propose alle altre di organizzare una gara di ballo, per sistemare una volta per tutte quella questione così spinosa. Le ragazze erano tutte d’accordo, i giudici sarebbero stati i re delle due valli, oltre ad altri tre sovrani vicini: sarebbe stato uno spettacolo unico, Rosabianca lo sapeva. La gara aveva molte regole, soprattutto per l’incolumità dei giovani partecipanti, per esempio non si sarebbero potuti prendere a botte fino al giorno della gara e i re speravano anche dopo. Il re di Lungofiume era stato molto comprensivo, soprattutto quando il figlio gli spiegò che aveva sbattuto la testa dopo essere scivolato senza che nessuno lo toccasse, ma questa spiegazione non era bastata ai suoi amici. La gara si sarebbe svolta di lì a un mese, dovevano prepararsi per bene, non potevano di certo perdere. Ogni sera si trovavano nelle rispettive sale da ballo dei propri castelli per allenarsi. Le varie prove di abilità sarebbero state di certo difficili e non avevano idea di cosa aspettarsi da parte dei loro re, sapevano solo che non sarebbe stato per nulla facile vincere. Rosabianca era felice che almeno per un periodo non avrebbe dovuto aiutare nessuno ad alzarsi da terra dopo un pugno, per poi doverlo anche curare, poiché il medico di corte ormai era troppo preso dai casi più malmessi. Allo scadere del mese venne organizzata una grande festa, tutti gli abitanti delle cinque valli, i cui re dovevano fare da giudici, furono invitati. I giovani erano
tutti in fibrillazione per quella gara, non sapevano cosa aspettarsi. Per distinguere le coppie delle due valli avevano deciso di creare degli abiti nuovi e di colori simili, le giovani li avevano cuciti sotto la supervisione del sarto del villaggio. Erano tutte agghindate come se fosse Natale, i giovani per quell’occasione avevano cercato di eliminare le tracce di terra sui visi e sotto le unghie e ora sembravano tutti dei principi. La gara iniziò con un valzer piuttosto vivace. Una delle regole era che non potevano colpirsi in alcun modo l’un l’altro durante la gara. La tensione era nell’aria, ma dopo i primi balli, si resero conto che era più divertente quello di prendersi a pugni e così i sorrisi tesi si trasformarono in vere e proprie risate gioiose, i pugni chiusi dietro alle schiene delle dame si rilassarono in aperte mani amichevoli. Ogni giravolta era un frusciare musicale di stoffe, i capelli delle giovani erano legati in trecce fissate in modi unici e meravigliosi o semplicemente lasciate libere di girare nel vento con le loro proprietarie, proprio come vuole la tradizione. I giovani ogni tanto dovevano tenersi il cappello con una mano, perché tendeva a volare via, se giravano troppo velocemente. Erano balli allegri e pieni di vita, proprio come loro, ma arrivò a un certo punto una prova a sorpresa: le dame di una valle dovevano are ai ballerini dell’altra. La tensione cominciò a farsi sentire nuovamente, ma Rosabianca non voleva che tutta l’atmosfera creata si rovinasse con il primo soffio di vento più forte, così chiese al suo cavaliere di scegliere il ‘nemico’ a cui affidarla. Quella piccola libertà sembrò al giovane una propria presa di potere e così tornò a riacquisire la propria sicurezza. Così fecero gli altri, si scelsero a vicenda, i giovani cercarono di accaparrarsi le dame migliori dell’altra valle e dopo qualche battuta amichevole, se le consegnarono. Rosabianca finì per ballare con il figlio del medico di corte di Lungofiume, che aveva qualche mese più di lei. Era un cavaliere davvero affascinante, con quei capelli corvini mossi dal vento e i suoi profondi occhi verdi. Con i nuovi ballerini avrebbero dovuto danzare per tutto il resto della gara e dopo un inizio incerto, ricominciarono a divertirsi, forse anche più di prima. Fecero nuove conoscenze, nuove amicizie e si divertirono moltissimo, creando uno spettacolo meraviglioso ed esplosivo. Il pubblico li fissava ammirato, non volava una mosca, un silenzio pressoché perfetto e affascinato regnava su di loro dal primo ballo, ma i ragazzi ormai non sentivano più di star facendo una gara, danzavano per divertirsi, non per vincere. I re se ne resero presto conto e ne furono ben felici. Quello scambio di coppie era stata un’idea brillante, avevano fatto capire
loro che, se anche si fossero rubati le ballerine a vicenda, non sarebbe stato poi così negativo. Rosabianca da parte sua era felice di aver conosciuto il giovane Rovere, era un po’ spinoso come giovane, ma sembrava davvero un bravo ragazzo, inoltre era il miglior ballerino con cui lei avesse mai danzato: la faceva girare come una trottola, fino a che lei non capiva più nulla, aveva un sorriso meraviglioso, pieno di vita e di promesse di bei momenti da trascorrere insieme. Quando giunse il momento di separarsi continuarono a guardarsi da lontano, i loro rispettivi partner se ne resero conto, ma non sembravano troppo interessati, in fondo anche loro erano stati bene ballando insieme. La gara si concluse con un pareggio, nessuno protestò, i due re si strinsero la mano e chiesero ai giovani di sottoscrivere un accordo pacifico: “Ogni qualvolta noi vorremo risolvere una tenzone, non emo più i pugni, ma i i di danza, non emo più i calci, ma le giravolte, non emo più gli schiaffi, ma la musicalità dei nostri movimenti. Ma soprattutto, in nome della musica e delle nostre danze tradizionali, rispetteremo ciò che dicono i nostri cuori sul giusto e lo sbagliato: sbagliato è colpirsi, giusto è danzare”. Si strinsero tutti la mano e poi iniziò la festa vera e propria, alcuni si fermarono per chiacchierare amichevolmente con gli antichi nemici, ma nessuno serbava in cuore alcun vecchio rancore. Mentre il cavaliere di Rosabianca chiacchierava con il principe di Lungofiume, Rovere ne approfittò per invitarla a ballare. Il suo partner non ebbe nulla da ridire e così ballarono insieme per tutta la sera. Era stata la notte più bella di tutta la loro vita, andarono tutti a letto felici, questo era il potere della danza: nessuno si prese più a pugni per un motivo di scontro, usarono sempre la danza e dopo aver ballato tutta la sera, nessuno aveva più voglia di litigare e dimenticavano così la causa della loro discussione. Questa pace fu suggellata anche da alcuni amori, come quello di Rosabianca e Rovere. I due infatti, dopo essere maturati abbastanza e dopo aver portato a termine i loro apprendistati e aver iniziato a lavorare, lei come infermiera e lui come medico, si sposarono e crebbero insieme una loro famiglia. Anche altri seguirono il loro esempio, altre coppie restarono invece le stesse dell’inizio di quella serata e non cambiarono compagno di ballo. La magia della danza si propagò poi nei secoli, è per questo che ora ogni
discussione viene ancora risolta con una gara di ballo e questo è forse il modo migliore, ma soprattutto il più divertente.
Sottoguda, 10 gennaio 2012
Cara bisnonna, anche oggi sono stata a Parigi, prima però sono ata per Londra, volevo chiedere a Ms Edwina se aveva notizie di Ted o delle loro amiche, ma a quanto pare l’Organizzazione si sta nascondendo, per preparare il colpo finale da assestare alla parte buona del regno magico. Mi ha detto che stanno indagando, ma allo stesso tempo preparano la difesa, nel caso in cui presto inizi la Grande Battaglia, come la chiama lei. Preferirei non sentire certe notizie, ma se mi dovrò prendere la responsabilità di regnare sul mondo magico, dovrò ascoltare tutto ciò che mi verrà detto. Abbiamo parlato un po’ delle varie strategie che potremmo applicare in caso di guerra, poi mi ha salutata, donandomi una stella alpina, sapevo bene che voleva farmi coraggio, a volte i fiori parlano ancor prima dell’uomo. Mentre stavo uscendo è arrivato un telegramma, l’Organizzazione aveva inviato un ultimatum al Consiglio: se non avessero accettato di consegnare i propri poteri alle forze del male, loro li avrebbero attaccati entro due giorni. Ero davvero sconvolta, ma non troppo sorpresa, in fondo me l’aspettavo. Ms Edwina disse che mai e poi mai avrebbero rinunciato ai propri poteri, se lo avessero fatto, il mondo sarebbe peggiorato a vista d’occhio. Aveva ragione, ma come fare? Una guerra era completamente sbagliata, molte persone, troppe, avrebbero sofferto per questo. Me ne sono andata da Londra con la morte nel cuore, arrivando a Parigi con la speranza che le cose migliorassero. Arrivata in città sono andata a comprare delle paste in una boulangerie vicina a Place de Clichy, dove andavamo sempre nelle pause durante lo stage fatto al liceo, poi sono tornata subito da Madame Alphonsine. Ian era già sveglio, mentre Spring si riprendeva un po’ alla volta. Sir Green aveva voglia di fare quattro chiacchiere, così abbiamo iniziato a discutere, mentre lui faceva colazione: “Alphonsine mi ha detto dell’ultimatum dell’Organizzazione. Ross, so bene cosa stai pensando, ma non puoi neppure consegnar loro i tuoi poteri, sarebbe la fine per il nostro mondo e anche per quello magico”.
“Ian, lo so, ma non so cosa pensare, in questo momento la mia testa è vuota, non so davvero che fare.” “Fermati un attimo, fai un bel respiro profondo e poi rifletti. Lo stress che stai subendo è davvero eccessivo, ma io ho fiducia in te, ce la puoi fare. E se vorrai io sarò sempre al tuo fianco, io sono qui, basta che tu me lo chieda.” “Ian, io non voglio che tu venga coinvolto in situazioni pericolose, morirei se ti succedesse qualcosa, sono già così in pena per Ted.” “Ma non c’è un incantesimo nel tuo libro per scoprire dove si trova in questo momento?” “Oh cielo, hai ragione! Perché non c’ho pensato prima! Vediamo… Okay, l’ho trovato. Fiori di pesco, mare di cristallo, che il cuore mi guidi a Ted, come in un ballo! …Funziona! Ora so dov’è! Devo andare, ci vediamo prestissimo e spero che saremo di nuovo in quattro al mio ritorno.” “Vengo con te, non ti lascerò andare da sola, è troppo pericoloso.” “No, tu resterai qui a badare a Spring, conosco la guardiana di Barcellona, sarà lei a guardarmi le spalle. Non voglio che ti accada nulla di male, Ian, davvero, è meglio che tu rimanga a Parigi!” “Va bene, ma sii prudente. Rossana, se per caso rischierai la tua vita e loro non riusciranno a ucciderti, sarò io a farlo al tuo ritorno. E questa è una promessa, Ross, non sei l’unica che morirebbe, se accadesse qualcosa a uno dei suoi amici.” “Non mi accadrà nulla, te lo prometto.” Stavo già uscendo dalla porta di casa, quanto Ian mi ha raggiunta e mi ha stretta forte al suo petto, ho sentito il suo profumo, così confortante. Sarei voluta restare lì in eterno, ma sapevo di avere una missione, così sono uscita senza guardarmi indietro, se lo avessi fatto sarei scoppiata a piangere. L’incantesimo mi aveva fatto vedere chiaramente nella mia testa dove Ted si trovasse: era nel Parco Güell, appena sopra Barcellona, si trovava nel boschetto vicino alla meravigliosa terrazza panoramica realizzata da Gaudì. Avevo avvisato Bruja Dulcinia del mio arrivo e di dove fossi diretta, ma sapevo che
sarebbe stata più dura questa volta, infatti l’Organizzazione era già sul piede di guerra. Da te, nonna, ho imparato tanto, non tutto ma gran parte, e credo fermamente che i tuoi insegnamenti mi siano utili anche per produrre gli incantesimi. Ho trovato subito Ted, dormiva fra le radici di un albero, sotto di noi si estendeva la città di Barcellona, in tutta la sua bellezza al mattino presto, quando tutto è ancora addormentato. Sentivo la presenza di altri maghi lì intorno, ma in quel momento la mia priorità era quella di mandare Sir Lion a Parigi da Madame Alphonsine. Così ho lanciato un incantesimo al suo corpo raggomitolato, che è sparito in un istante. Stavo pregando che fosse arrivato a destinazione, quando sono comparsi alcuni maghi dell’Organizzazione, che hanno lanciato un incanto incrociato per intrappolarmi. Delle corde hanno tentato di legarmi, ma io sono riuscita a schivarle all’ultimo, con un incantesimo di scudo, poi ho cercato di tornare a Parigi. Purtroppo, all’improvviso una delle corde mi ha avvolto il piede e ci è voluto davvero poco tempo, prima che riuscissero a imprigionarmi completamente. Mi hanno lanciato quasi subito l’incanto ruba-poteri, mi sentivo sempre più debole, sapevo di dover resistere, ma tutto si stava annebbiando. In quel momento ho sentito un messaggio vocale di Madame che mi avvisava della comparsa di Ted a Parigi, sapevo che se non avessi risposto, avrebbero pensato che fossi in pericolo, così ho raccolto tutte le mie forze e le ho detto che sarei tornata presto. Le corde si stavano chiudendo sempre più strette attorno al mio collo, ma ero serena, almeno tutti i miei amici erano al sicuro. Poi nella mia testa ho udito la voce sconvolta di Ian, Sir Lion doveva essersi svegliato appena in tempo per vedere che mi stavano legando e glielo doveva aver detto, Sir Green era davvero arrabbiato, se fossi tornata mi avrebbe uccisa. La sua voce però mi ha dato la forza necessaria per reagire, i miei amici mi volevano bene, anche se ero una strega: perché avevo sottovalutato l’amicizia, dopo tutte le tue lezioni? Mi sono sentita davvero una stupida. A quel punto ho desiderato intensamente di essere con loro a Parigi, non volevo altra cosa al mondo che stare un po’ con loro. Così, senza che i maghi dell’Organizzazione potessero capire ciò che stava accadendo, sono sparita e mi sono ritrovata nella cucina di Alphonsine. Ian era girato di schiena, stava continuando a camminare avanti e indietro di fronte alla porta. “Non avrai mica pensato che sarei entrata dalla porta di casa!” “Rossana! Giuro che ti uccido, sai quanto mi sono preoccupato non vedendoti
tornare con Ted?! Sono morto per la paura, sciocca ragazzina che non sei altro!” “Calmati, ora sono qui e sto bene, ho solo avuto un contrattempo!” In quel momento è entrata in cucina Madame Alphonsine: “Da quello che ho capito da Ted e Bruja Dulcinia, ne hai avuto più di uno. Sei stata un’incosciente, ti stavano portando via tutti i poteri!” “Ma non ci sono riusciti. Madame, so di aver sbagliato e me ne pento, ma dovevo salvarlo, non potevo restare qui con le mani in mano e non potevo neanche chiedere a Bruja Dulcinia di occuparsene, non è più giovanissima e avrebbe rischiato molto più di me. La sua vita vale più della mia.” “Rossana, è qui che ti sbagli, se accetterai il tuo ruolo la tua vita varrà molto più di quella di tutti noi messi insieme, sei la nostra principessa, la nostra futura regina, è ora che tu te ne renda conto. Anzi, è quasi giunta l’ora che noi tutti iniziamo a usare il tuo vero titolo.” “Madame Alphonsine, la prego, non lo dica nemmeno, non voglio che nessuno mi dia del lei o che usi un titolo, non mi piacciono, non li approvo.” Madame Alphonsine si è arresa ed è tornata a curare Ted, ma lo sguardo di Ian è stato terribile, non lo avevo mai visto così furioso. Mi sono sentita morire, ero davvero stanchissima e quella era la goccia che stava per far traboccare il vaso, mi sentivo malissimo, mi veniva da piangere e allo stesso tempo mi stavo arrabbiando, così sono uscita dalla cucina sbattendo la porta e sono andata a eggiare sul lungo Senna; c’erano tutte le bancarelle dei bouquinistes in piena attività. Mi piace molto questo lato di Parigi, quell’atmosfera ha il potere di tranquillizzarmi, così mi sono seduta su uno dei muretti che arginano la Senna. Avevo bisogno di stare sola, di riflettere. Nel giro di due settimane la mia vita è cambiata così tanto, non sapevo più chi ero; non che ora vada meglio, nonna, ma è stato il culmine, il momento peggiore della mia vita. Era ormai ata l’ora di pranzo, quando ho avvertito una presenza alle mie spalle, era Sir Green. Si è accorto che lo avevo visto, così si è seduto al mio fianco. Avevo paura di guardarlo, avevo paura di rivedere quel suo sguardo fulmineo. Dopo un paio di minuti mi ha messo un bicchiere di carta sotto il naso, era tè caldo. “Grazie.”
A volte un gesto vale più di mille parole, ma io, in quel momento, avevo bisogno di parole, lui lo sapeva, ma siamo entrambi talmente orgogliosi. Sapevo di aver sbagliato, ma lui che diritto aveva di arrabbiarsi a quel modo? In fondo ero riuscita a portare Ted a Parigi sano e salvo ed ero riuscita a tornare anch’io, seppur con qualche graffio. “Non ti sembra il caso di andarti a far vedere da un medico? Sei piena di escoriazioni, non vorrei che ti sentissi male proprio oggi che Parigi ci sta regalando il sole.” Era il suo goffo modo per scusarsi e il mio non è stato migliore: “Tranquillo, non è nulla. Sto bene”. Mi ha toccato la spalla, proprio nel punto che mi faceva più male, e io non sono riuscita a evitare che un’espressione di dolore attraversasse il mio viso. “Fortuna che stavi bene.” “È solo una botta, nulla di grave.” A quel punto ho preso coraggio e l’ho guardato: non sembrava più arrabbiato, solo estremamente stanco. Avevo esagerato, lo avevo fatto preoccupare molto, ero stata davvero un’incosciente, ma ormai il guaio era fatto. “Mi dispiace, mi dispiace per tutto quello che hai dovuto are negli ultimi dieci giorni e mi dispiace per oggi, sono stata una stupida.” “Non ti devi scusare, anch’io mi sono impegnato a complicare le cose. Sei sotto stress e io ho solo peggiorato la situazione. Ora basta, pace fatta, vieni qui, fa freddo e tu stai tremando.” Ian mi ha attirato a sé e mi ha abbracciata stretta contro il suo forte petto, fra le sue braccia mi sembrava di essere a casa. Siamo rimasti lì a guardare i bouquinistes, che procedevano con i loro affari ancora per un po’ e poi il mio stomaco ha iniziato a brontolare, così Sir Green mi ha sorriso ed è andato a comprare delle baguette. Dopo aver mangiato siamo andati a fare una eggiata fino a Place des Vosges e poi mi ha trascinato fino al Musée d’Orsay e dopo anche al Louvre, alla fine avevo i piedi che mi facevano malissimo. “Perché per questa sera non resti qui con noi? Non staresti meglio qui, finché
questo discorso della guerra non sarà finito?” “Probabilmente hai ragione, ma non ho abiti con me. Però potrei tornare a casa, così avviso anche i miei genitori e poi torno qui. Vado subito, aspettami vicino alla Sorbonne, torno subito.” Sono volata a casa, ho preparato la valigia in pochi minuti e poi ho detto ai miei che Edvige mi aveva chiesto di andare con lei a Verona per qualche giorno, i miei hanno storto un po’ il naso, ma alla fine non hanno detto poi molto. Prima di andare alla Sorbonne sono ata a casa di Alphonsine per lasciare la valigia e poi sono corsa fino all’università parigina più rinomata. Ian mi aspettava lì vicino, l’ho colto alle spalle, coprendogli gli occhi, ma ha capito subito che ero io. Abbiamo ato la sera a girare a vuoto per Parigi, è stato meraviglioso. L’ho portato ancora all’Hard Rock Café e poi sul bateau mouche. La città di notte è davvero meravigliosa, poi a un certo punto mi sono ricordata una cosa, che mi ha fatto gelare il sangue, mi ero dimenticata che la crociera sulla Senna fosse basata sulla Parigi degli innamorati, mi sono vergognata così tanto di averlo trascinato su quel battello, soprattutto quando siamo ati sotto il ponte degli innamorati: eravamo attorniati da coppiette felici, che figura! Ma quando gliel’ho fatto notare, scusandomi è scoppiato a ridere e mi ha detto che mi preoccupo sempre troppo per nulla. Tornati a casa, Madame Alphonsine ha fatto i salti di gioia, quando ha capito che mi sarei fermata da lei. Mi aveva già preparato il secondo letto nella stanza, che aveva dato a Spring, finalmente ho potuto spiegare meglio anche a lei la mia situazione. Non era molto sorpresa per il fatto che io fossi una strega, aveva sempre sospettato che io fossi magica. Mi sono davvero divertita molto a chiacchierare con lei, poi le ho detto che era meglio che si riposasse un po’, così ne ho approfittato per farmi una tazza di tè in cucina e per trascrivere un’altra delle tue storie, La banda di Streme. Mi ha fatto venire una certa malinconia per Venezia, mi manca la mia vita universitaria così tranquilla, mi sembrava che quella fosse vivace, invece c’è sempre di peggio. Per raccontarmela, credo che tu avessi preso ispirazione da uno dei tuoi viaggi a Venezia. La nonna mi parla spesso di te e di quando da giovane eri stata in laguna per fare da balia ai figli di un’amica di famiglia. Mi piace pensare che tu sia stata negli stessi luoghi in cui ora trascorro anche io le mie giornate. Come sai, ormai studio a Venezia da due anni. Mi piace davvero molto come città, è magica quanto la nostra bella valle. È una città dalla quale ci si può aspettare di tutto, dietro a ogni angolo si può trovare una sorpresa, ogni
calle può sbucare in un campo meraviglioso o su un canale trafficato da barche. Ogni ponte è una scalata verso qualcosa di fantastico, sembra di vivere un’avventura a ogni o, perché a ogni o non sappiamo cosa la città ci riservi. Anche le sedi universitarie sono molto particolari, si a da palazzi antichi a vecchie saonerie, a magazzini. Ogni campiello è sorprendente e ogni giorno potremmo fare un percorso diverso, giungendo nello stesso luogo di sempre. Quest’anno ho scoperto anche Burano, è un’isola davvero meravigliosa, con tutti quei colori mi sembrava di stare vicino al polo, dove le case sono colorate per distinguerle dal bianco candido della neve. Inizialmente non volevo andare a Venezia, poi il destino mi ha voluta lì, forse per sentirmi ancor più vicina a te. La storia di pirati che mi raccontavi da piccola mi è sempre sembrata così lontana da me, i paesaggi, che dovevo immaginare, erano così distanti dal mio mondo, che faticavo a figurarmeli nella testa, ma poi ci sono stata con mamma e papà e allora ho iniziato a essere più facilitata e ora che ci vivo, non ho più alcun problema. Capisco perfettamente il fascino che il mare aveva esercitato anche su di te, saggia donna di montagna. In questo tuo racconto ora ritrovo molto della magia del mare, della magia di una città marittima. Questa storia mi piace molto, perché parla di sorellanza, di un rapporto davvero forte e resistente a tutto fra giovani donne. Una relazione che resiste anche ai cambiamenti più drastici, ammettendo di aver bisogno di rinnovare il proprio regolamento. Il mio desiderio più grande è che anche le amicizie che ho costruito in questi anni, proprio come accade alle consorelle della storia, durino in eterno, resistendo anche ai cambiamenti più grandi che avverranno nel nostro mondo negli anni (o al fatto che esistano più mondi). Voglio molto bene alle mie amiche e l’idea della sorellanza mi ha spinto a pregare che la magia che evidentemente legava le consorelle, legasse anche me e le mie sorelle, cioè le mie compagne di collegio. Quello che abbiamo vissuto noi è un po’ come quello che vissero le piratesse, sono avventure che lasciano il segno, che non sono da sottovalutare, che ci guidano verso la maturità. Con questo racconto ho imparato che le decisioni degli altri vanno rispettate, anche se ciò ci porta lontano da chi amiamo e che i cambiamenti vanno accettati, anche se ci costa ammettere che potrebbero migliorare la nostra vita. Per fortuna i miei amici sembrano aver accettato la mia natura di strega, meno male. Ora vado a dormire, ci aspettano dei giorni davvero duri, ti scriverò presto, ti voglio bene, tua Rossana.
La Banda di Streme
Era una notte buia e tempestosa, quando Sayuri raggiunse le sue compagne della sorellanza alla taverna San Michele nel porto di Streme. I capi della sorellanza erano tre: Sayuri, avvenente piratessa dai capelli corvini, che in testa portava sempre un cappello donatole dal capitano Spauracchio; Gaivie, capitano donna della nave corsara RuRuo, conosciuta per il suo polso fermo e per essere l’imbattuta vincitrice di tutte le lotte a braccio di ferro, anche con marinai della marina grandi e grossi; e infine Gabi, piratessa proveniente dai Mari del Sud, amante degli animali, ma non altrettanto degli uomini. La sorellanza era nata secoli prima per unire tutte le navi pirata governate da donne, non erano molte, ma erano le più temute, erano pericolose almeno quanto lo furono le sirene per tutti gli sventurati, che erano attratti dal loro canto e che finivano alla deriva con nave ed equipaggio. Erano tutte donne bellissime, dall’aspetto intrigante, ma allo stesso tempo fatale. Molti erano stati ingannati dal fatto che fossero piratesse, le avevano sottovalutate, le avevano derise e dopo pochi secondi si erano trovati privati della nave, del carico e anche dei loro cari mutandoni. Nessuno le aveva mai sconfitte e la loro fama si era diffusa in tutti i mari e in tutti gli oceani del mondo, tutti le temevano, ma nessuno sapeva da dove derivasse la loro forza e di certo loro volevano tenersi stretto il loro segreto. In quella sera era stata organizzata l’annuale riunione della sorellanza, bisognava decidere la spartizione dei mari da controllare fra le tre capitane, inoltre c’erano nuove leve da educare e far diventare invincibili, non era mai facile capire chi ce l’avrebbe fatta e chi no, ma normalmente non avevano grandi problemi. Nel loro equipaggio non figuravano mai uomini e se ve ne erano, o erano prigionieri o mozzi di poco valore, sottomessi a tal punto che avevano perso ogni loro carattere virile. Dalla vita le tre donne avevano imparato che a volte gli uomini erano solo un impiccio e spesso portavano a lotte fra sorelle e ciò faceva loro infrangere il primo voto del giuramento, che ogni consorella doveva pronunciare, se scelta per entrare a far parte del gruppo, cioè quello di mettere sempre al primo posto le sorelle e di combattere chi tentava di separarle. Questa
legge vigeva dalla nascita della sorellanza e nessuno aveva mai pensato lontanamente di modificarla, ma si sa, c’è sempre una prima volta. Fra le nuove leve vi era una giovane, che sembrava davvero una causa persa, ma aveva grande tenacia e loro non se la sentirono di non ammetterla nella sorellanza, anche sua madre era stata una grande piratessa assieme alla madre di Gabi, era una consorella per diritto di nascita, ma sembrava molto più a una di quelle damine che loro privavano sempre di oro e gioielli, il suo nome era Luce. Luce era la tipica ragazza che tutti credevano essere una rammollita, capelli biondi, quasi bianchi, occhi chiari, ma si rivelò presto un osso duro per tutti i marinai e le tre piratesse ne erano orgogliose. Era davvero un ottimo secondo e la affidarono alle cure di Nike, una delle piratesse più anziane, non per età, ma per pratica di navigazione. Pochi giorni dopo le navi della sorellanza ripartirono e Luce fu compresa nell’equipaggio di Nike. Avrebbero navigato per un po’ tutte insieme e poi ogni veliero avrebbe preso la propria rotta. La loro nuova missione era scoprire dove si trovassero i sette tesori di re Nettus. Il sovrano di Streme li aveva fatti nascondere dalla sua marina su sette isole differenti e piuttosto distanti fra loro, il tesoro era però stato sottratto alle fondatrici della sorellanza secoli prima e ora il nuovo re, Nettus X, aveva deciso di far recuperare il tesoro e aveva sguinzagliato per i sette mari i suoi marinai migliori, in cambio avrebbe dato loro parte del bottino, infatti nemmeno lui sapeva dove si trovasse. Sayuri, Gaivie e Gabi avevano invece dei sospetti, infatti avevano trovato da poco una mappa risalente a quell’epoca; in realtà l’avevano rubata nelle biblioteche reali, e sapevano per certo che il documento riguardava il tesoro della sorellanza. Si divisero dunque su sette navi e ognuna avrebbe cercato una parte del tesoro. Sapevano che presto avrebbero incontrato i marinai del re, ma a loro non importava, tutti le temevano e si sarebbero di certo tenuti alla larga. Purtroppo non sempre le cose vanno come vogliamo noi, infatti la nave di Nike venne attaccata dai marinai del re, a capitanarla era un forestiero che non aveva idea di quel che faceva. Diede ordine di sparare con i propri cannoni contro la nave pirata, ma aveva svegliato il can che dorme e si ritrovò assaltato da un marasma di piratesse inferocite: si difesero come poterono, ma alla fine dovettero soccombere, perché quelle arpie, così le definì, erano troppo forti. Il capitano Lanfur non voleva però sottomettersi a delle donne e mentre Luce lo portava via la colpì. Fu un attimo, la ragazza cadde a terra e lui tentò la fuga, ma dopo averla guardata negli occhi si bloccò, sembravano due pietre rubate al cielo
divenute poi occhi. Anche Luce si bloccò, gli occhi del capitano erano profondi come il mare nella Fossa delle Marianne, scuri e luminosi allo stesso tempo. Dopo poco però la giovane si risvegliò da quello stato di trance e lo legò prima che potesse colpirla nuovamente, era pur sempre una consorella e la sorellanza veniva prima di tutto, ma quel giovane capitano non le sembrava poi tanto una minaccia. Aveva un viso dai lineamenti dolci e una leggera barba gli incorniciava la bocca, mentre in testa aveva un cappello piumato, che nascondeva i suoi folti capelli corvini. Era quanto di più bello lei avesse mai visto, ma sua madre di certo non sarebbe stata orgogliosa di quei pensieri, in fondo suo padre era un marinaio di poco conto, fuggito subito dopo la sua nascita e da allora sua madre era diventata una cinica piratessa, che aveva insegnato a sua figlia che gli uomini erano tutti una marmaglia di rammolliti senza spina dorsale e che doveva ben guardarsi da loro. I giorni arono e arrivarono sempre più vicine all’isola, dove doveva esserci il tesoro. Purtroppo il destino a volte è davvero crudele e ingiusto, infatti vicino all’isola era ancorata la nave del terribile e sanguinario pirata Bendanera. La sorellanza non era mai stata in buoni rapporti con lui e di certo la sua ciurma non temeva quelle quattro donnicciole. Nike non sapeva cosa fare e inviò tramite piccione un messaggio a Sayuri e aspettò per giorni la sua risposta, che giunse con l’ordine di aspettare rinforzi e di agire solo nel caso in cui Bendanera si fosse allontanato con il tesoro. Purtroppo dopo pochi giorni videro il pirata che lasciava l’isola con un baule con sopra il simbolo della sorellanza: un teschio nero su fondo bianco, teschio con fattezze decisamente femminili. Nike decise di agire, sapeva che Bendanera era nemico anche dei marinai del re e quindi sperava che i prigionieri non tentassero di allearsi con lui. Ordinò di abbordare la nave del pirata e di metterla a ferro e fuoco. Le sue piratesse combatterono valorosamente, ma sembrava che quei pirati fossero invincibili. Luce stava infilzando con la spada uno dopo l’altro i nemici che si trovava di fronte, sprezzante del pericolo e delle ferite, non si era però accorta che Bendanera era proprio dietro di lei e che con la spada sguainata stava per aggredirla. In quel momento qualcosa, o meglio qualcuno, si mosse alle sue spalle, mentre Bendanera si avvicinava calando su di lei un fendente, il giovane capitano Lanfur si mise fra la ragazza e il pirata. Luce sentì il rumore di una spada che infilza un corpo, ma non era il suo, era quello del povero Lanfur, che le aveva fatto da scudo di fronte all’ira del malvagio pirata. Il giovane capitano
cadde a terra agonizzante, mentre Luce colpì Bendanera alla testa. Il pirata perse i sensi e lei lo legò immediatamente, poi lasciò lui e i suoi uomini sull’isolotto senza nave e senza viveri, ci sarebbero voluti anni prima di riuscire a costruire una nuova nave con cui salpare. Luce aveva sentito una forza nuova nascere dentro di lei, aveva provato un odio diverso verso quel pirata, non aveva mai sentito tanta rabbia verso qualcuno, era come se Lanfur fosse per lei più importante di se stessa o di una delle sue sorelle e questo le sembrò terribile, dato che le sorelle dovevano venire prima di tutto il resto. Anche Nike era colpita nel profondo da ciò che era accaduto durante la battaglia; si diresse subito verso Streme in modo che Lanfur potesse essere curato al più presto, non era mai accaduto che un prigioniero uomo sacrificasse la propria vita per una piratessa che lo aveva catturato e messo ai lavori forzati, soprattutto se si considera il fatto che lui era il comandante della nave che loro avevano assaltato. Dopo un mese giunsero anche le altre consorelle, i membri della Banda di Streme si erano riuniti nuovamente. Il tesoro era stato completamente recuperato, ma le leggi della sorellanza erano state messe a dura prova, infatti il gesto di Lanfur aveva messo in crisi tutte le loro certezze sugli uomini. Dovevano essere degli esseri malvagi, privi di coscienza, invece il giovane capitano aveva dimostrato loro che l’uomo era capace di sacrificio, di gesti d’amore e di rispetto, come quelli su cui si basava il rapporto fra le varie consorelle. Luce era ancora stordita, non capiva, tutto ciò in cui aveva creduto fino ad allora era caduto, come un castello di carte alla prima folata di vento. Sentiva di provare amore e devozione verso colui che l’aveva salvata, stava al suo capezzale giorno e notte, come se anche lui fe parte della sorellanza. Allo stesso tempo temeva il giudizio delle sue sorelle, in fondo erano tutte abituate a relazionarsi con uomini come Bendanera, con altri pirati, che non conoscevano di certo la morale o la misericordia, erano tutte confuse da quel sacrificio. Dovette are ancora un mese prima che Lanfur si risvegliasse e potesse ricominciare a camminare normalmente, fortunatamente il colpo infertogli dal vecchio pirata non gli era stato letale. Luce ava ogni momento con lui, lo aiutava quando il dolore era più forte e lo consolava quando lui avrebbe voluto fare sforzi maggiori, ma non ci riusciva. Sayuri, Gaivie e Gabi nel frattempo decisero che era ora di modificare il codice della sorellanza alla luce dei nuovi avvenimenti, riconsiderarono gli uomini, che non vennero più visti come nemici mortali, ma solo come altri esseri, che potevano essere amici o nemici, come lo
erano le altre donne. Luce decise che la sua avventura da piratessa sarebbe finita lì, ma fu sempre ricordata come colei che aveva capito per prima che la malvagità, come del resto anche la bontà, poteva risiedere in tutti. Lanfur si riprese sempre più velocemente grazie alle sue cure e poi le chiese la mano e lei fu ben felice di diventare una semplice moglie, ma i racconti di pirati le furono sempre utili per addormentare i propri figli e la sua storia fu ricordata per generazioni. Le tre piratesse decisero che nei loro equipaggi sarebbero stati ammessi gli uomini anche come secondi, purché avessero dimostrato doti nobili e avessero giurato eterna fedeltà alla sorellanza e rispetto alle consorelle. Da quel giorno nulla all’interno del loro mondo fu più lo stesso, ma avevano imparato che non sempre le antiche leggi hanno ragione e che a volte rinnovarsi è molto, molto meglio. L’alleanza fra le consorelle e altri marinai durò per secoli, all’inizio fu ovviamente dura per le piratesse accettare quegli uomini, ma alla fine si rivelò il migliore dei doni che il destino potesse fare loro, poiché i marinai furono quasi tutti leali con loro e quei pochi che non lo furono sappiamo per certo che furono abbandonati su un’isola deserta e si pentirono amaramente di non aver portato loro rispetto, poiché il rispetto di una donna/piratessa vale più di mille dobloni d’oro, infatti sono loro il terrore di tutti i mari: le consorelle della Banda di Streme! Rispettatele e avrete tutti i tesori che desiderate in terra, traditele e vi ritroverete abbandonati a voi stessi su di un’isola deserta. Lunga vita a Sayuri, Gaivie e Gabi, signore dei sette mari!
Parigi – Salisburgo, 11 gennaio 2012
Cara bisnonna, oggi è stata una giornata relativamente tranquilla, è la calma prima della tempesta. Tutto era sereno, se escludiamo il risveglio di questa mattina. Mi sono alzata presto e sono andata in cucina per preparare la colazione per tutti, ma soprattutto per farmi una tazza di tè, qualcosa di caldo mi aiuta sempre a svegliarmi. Non mi ero resa conto di essere uscita dalla stanza senza vestirmi, così mi aggiravo silenziosamente in camicia da notte e calzettoni, una cosa improponibile. È stato in quel momento che Ian è entrato in cucina con addosso
solo i boxer. Quando ci siamo resi conto della presenza l’uno dell’altra, siamo scoppiati a ridere. Che situazione imbarazzante, nonna! Ormai ci eravamo visti, non valeva nemmeno la pena vestirci, così abbiamo fatto colazione insieme ridotti in quello stato sconvolto. Poi ho portato tè caldo e brioche in camera a Spring, mi faceva piacere coccolarla un po’, dovevo farmi perdonare parecchie cose. Abbiamo chiacchierato un po’, poi abbiamo deciso di fare un giro, così siamo andate a recuperare Ian e a salutare Ted, ormai Sir Green gli aveva spiegato tutto e lui, seppur un po’ sconvolto, aveva accettato la situazione. Credevo che proprio lui avrebbe faticato molto di più ad accettare questa storia della magia, ma alla fine credo di averlo sottovalutato. Seppur lui sia una persona con i piedi saldamente a terra, sa bene quando è ora di spiccare il volo per la fantasia. Dopo essere usciti di casa, abbiamo deciso di andare a Versailles, nessuno di loro due l’aveva mai visitata, così ci siamo concessi una super mattina a fare i turisti, nel pomeriggio invece siamo tornati a l’Ile de la Cité, dove abbiamo visitato la Sainte Chapelle e la Conciergerie. Nel pomeriggio ci siamo dati allo shopping più pazzo, io e Spring ci siamo divertite moltissimo a are da un negozio all’altro, Ian un po’ meno, però siamo riuscite a trascinarlo anche alle Galeries Lafayette, lì non abbiamo acquistato nulla, ma ci siamo divertiti un sacco. È stata una giornata perfetta, sapevo bene che per un po’ non ci sarebbero più stati molti momenti di serenità, così ho proposto loro di cenare fuori, volevo ripagarli almeno in parte per tutto quello a cui avevano dovuto rinunciare a causa mia in questi giorni. Mi sono permessa io di ordinare anche per loro, in modo da poter assaggiare un po’ di tutto, ho preso della quiche, della bouillabaisse e della ratatouille. Era tutto ottimo, avevo quasi pensato di portarli in brasserie, ma mi sentivo in colpa, così ho scelto uno dei primi ristorantini tranquilli che abbiamo trovato a Montmartre. Era davvero un locale delizioso, se fosse stata estate, sarebbe stato meraviglioso mangiare fuori, ma il freddo ce l’ha impedito. È stata comunque una bella serata, ma sapevo che sarebbe terminata presto, avevo deciso di partire l’indomani all’alba, prima che tutti gli altri si svegliassero. So bene che l’Organizzazione vuole me, quindi ho pensato di andare lontano da loro per proteggerli, ne ho già parlato anche con Madame Alphonsine e lei ha concordato con me sul fatto di recarmi a Salisburgo, la città è ricca di magia positiva e sarà solo un bene per tutti, almeno proteggerò i miei amici. Finita la cena, siamo andati a teatro, ho trasformato i nostri abiti sportivi in modelli di pura haute couture, di certo più
adatti per l’occasione, eravamo tutti e tre così eleganti. Questa sera c’era un bellissimo spettacolo del Ballet royal du Danemark, è stato a dir poco fantastico e l’interno dell’Opéra national de Paris era maestoso. Ero davvero senza parole, sono uscita dall’edificio quasi in lacrime per l’emozione, è stata una serata davvero splendida. Ho riaccompagnato a casa Ian e Spring, poi ho finto di andare a letto anche io, ma sono subito ripartita per l’Austria, dove Frau Christabel mi stava aspettando con il resto del Consiglio. Era ora di pensare seriamente alla battaglia. Abbiamo fatto una riunione di alcune ore e ora sono a letto. Per oggi ho deciso di trascrivere la tua storia, Bugie dalle gambe corte. Il racconto serve a dimostrare che qualsiasi bugia noi diremo, prima o poi salterà fuori, perché, anche se a fin di bene, non dovremmo mai dirle. Artemisia non voleva ferire suo padre, ma per questo lei soffriva ed è bastato un amico, che la conosceva davvero bene, per scoprire la rete di bugie che lei stessa aveva creato. So che a quel tempo era impossibile per una donna avere certe libertà e anche essere istruita quanto Artemisia, ma mi piace pensare che tu mi abbia raccontato questa storia per farmi capire che se una persona vuole davvero raggiungere i propri obiettivi, lo può fare. A quel tempo essere istruiti era un privilegio e in fondo lei era la figlia del re, quindi aveva a disposizione a corte i migliori maestri del regno, seppur fosse difficile che insegnassero a una donna materie prettamente maschili, ma mi piace l’idea di poter attualizzare la tua storia. Sai, purtroppo, nella mia vita ho incontrato dei tipi come Diamante, apparentemente preziosi, ma che poi si sono rivelati dei maschilisti misogini, che non avevano altro scopo nella vita, se non quello di sposare una donna completamente sottomessa al loro potere e volere, ma tu e la mamma mi avete istruita troppo bene per poter sopportare un simile trattamento. Non ho mai potuto capire chi ridicolizza lo studio e lo considera inutile. Avere un’istruzione aiuta a crearsi delle idee proprie, ti apre la mente, come leggere. Non dico che leggere sia obbligatorio, ma aiuta di certo ad aprire i propri orizzonti, soprattutto in una società ancora in parte chiusa, per certi aspetti, come quella dei piccoli paesini, dove i cambiamenti non sono mai visti di buon occhio. Io amo le mie tradizioni, nonna, tu lo sai bene, ma non sopporto quei ragazzi di vent’anni, che ci sono ancora in giro, che pretendono che le ragazze pensino solo a mettere su famiglia, prendersi cura dei figli, ma che non devono interessarsi alla propria istruzione. Io non ce la faccio, avrei voglia solo di picchiarli con l’enciclopedia britannica. Okay, lo so, è sbagliato, nonna, ma siamo nel 2012 e non è possibile
che dei ragazzi così giovani pensino di poter imporre alle donne di oggi la struttura della famiglia patriarcale, che va contro ogni idea di pari opportunità, per le quali le donne hanno lottato dall’inizio del secolo ato. Non lo accetto, non è possibile che ci siano ancora certi soggetti che pretendono di controllare le proprie compagne, come controllano un cane. Sono poi quelli che si rendono protagonisti di storie di cronaca nera, perché tornano ubriachi dall’osteria e picchiano le compagne, per il semplice fatto che hanno osato rivolgergli la parola. Nonna, in questo secolo, noi donne abbiamo conquistato molto, se un uomo conservatore come mio padre mi paga l’affitto dell’appartamento perché io possa studiare, perché io possa crearmi una mia cultura, non capisco come un ragazzo che dice di amarti, si permetta di proporti a momenti di abbandonare gli studi o comunque di terminarli al più presto per sposarlo, fare dei figli e stare a casa a badare alla famiglia, mentre lui fa un lavoro, che ama. Così lui sarà completamente soddisfatto, poiché ha tutto ciò che ha sempre desiderato, mentre tu dovresti rinunciare ai tuoi sogni per lui, questo non è amore. Non lo sopporto e basta, è inconcepibile nel 2012 ricevere certe proposte! Voglio assolutamente che mia cugina legga questa storia e che capisca, che non deve assolutamente farsi mettere i piedi in testa da persone di questo tipo. Deve pensare alla sua istruzione, ai suoi sogni, se poi questo è il suo sogno, ben venga, non c’è nulla di male nell’occuparsi di casa e figli, ma non deve comunque essere sottomessa a un tale essere ignobile. Per fortuna ho conosciuto anche altri ragazzi, completamente diversi da questa tipologia di uomo di Neanderthal, che non sa neanche cosa significhi primitivo. Molti dei miei amici, anzi la maggior parte, sono ragazzi con i quali posso discutere di tutto, che non mi ritengono inferiore a loro, ma mi trattano come loro pari, com’è giusto che sia. A volte sono io a sentirmi inferiore, ma non perché sono una donna, no, il fatto è che sono dei grandi studiosi e io non posso far altro che ammirarli. Sono persone con grandi sogni e che hanno grandi orizzonti e che trattano le loro compagne di Facoltà come se fossero vasi di porcellana. Con loro scherzano, studiano, parlano, discutono delle più svariate materie e di viaggi, delle cose del mondo, con loro vivono le loro giornate, basando tutto sul rispetto reciproco, rispettano i loro no e i loro sì. Gli esseri spregevoli di cui ti parlavo prima, invece non riescono a capire il senso della parola no e della parola sì, soprattutto se queste sono il contrario di ciò che volevano sentirsi dire, la stupidità umana a volte non ha proprio limiti. Ora cercherò di dormire un po’, domani sarà una giornata molto dura e allo
stesso tempo molto importante. Ti scriverò appena avrò un po’ di tempo. Ti voglio bene, tua Rossana.
Bugie dalle gambe corte
C’era una volta, molti anni fa, una giovane ragazza, aveva il coraggio di un leone e una forza interiore degna del più feroce leopardo, ma fuori sembrava fragile, come un vaso di porcellana da proteggere. Quel vaso era però pieno di aspirazioni, pieno di idee, pieno di sogni. La giovane Artemisia sognava un giorno di diventare indipendente, sognava un mondo in cui donna e uomo fossero uguali davanti alla legge e davanti all’intero universo. Quel momento sembrava però estremamente lontano, lei viveva infatti nel tempo dei cavalieri, in cui le donne erano considerate semplicemente come pegni d’amore, come dame in pericolo da salvare e poi da sposare. Artemisia non desiderava nulla di tutto ciò, amava chiacchierare con i giovani studiosi che frequentavano la biblioteca reale, lei stessa aveva imparato a leggere e aveva assaporato le parole dei più svariati autori, assorbendone tutte le conoscenze. Sapeva a memoria poemi, aveva imparato nuove lingue, studiava con ione, ma il padre, il re Sasso, non approvava nulla di tutto ciò, avrebbe preferito vederla in pericolo e salvata da un giovane cavaliere senza idee proprie, piuttosto che immersa in uno di quei tanti libroni impolverati. Artemisia desiderava profondamente l’amore, ma quello vero, quello in cui uomo e donna si rispettano vicendevolmente e in cui lei può esprimere le proprie idee. Si era innamorata ormai da molto tempo di uno dei giovani adepti del professor Anticus, erano diventati molto amici, con lui poteva parlare di qualsiasi cosa e non la sottovalutava per nulla, solo perché era una dama, vedeva in lei la determinazione che lui non aveva, il coraggio di combattere per le proprie idee, il coraggio di buttarsi in amicizie considerate disdicevoli per una donna del suo rango, ne era profondamente colpito, ma se si fosse dichiarato di certo il re lo avrebbe cacciato e addio mecenate. Artemisia ormai credeva che lui non la considerasse nemmeno e appena suo
padre le fece sapere che un cavaliere senza macchia e senza paura aveva chiesto di poterla conoscere, lei decise di accontentarlo. Il loro primo incontro fu davvero brillante, lei parlò molto di tutte le materie che aveva studiato, mentre lui si limitava ad ascoltarla e a complimentarsi con lei per la sua cultura. Il cavaliere Diamante dopo poco ripartì, Artemisia ne soffrì, credeva di essersi davvero innamorata, ma quando il giovane tornò per trascorrere con lei un po’ di tempo e per chiedere la sua mano al re, lei si rese conto di non avere nulla in comune con quell’uomo, anzi era il suo opposto. Portava le armi con orgoglio, aveva combattuto solo battaglie fasulle, mai una vera guerra, le sue uniche ioni erano il suo piccolo appezzamento di terra, la sua piccola casetta e la sua spada. Artemisia si sentiva sempre più oppressa da quella compagnia, iniziò a rifiutare il cibo, poiché lui una volta aveva accennato al fatto che non era poi così bella, iniziò a trascurare i suoi amici, poiché lui insisteva per stare insieme e se lei osava solo nominarli, lui li criticava, come criticava i suoi vicini di casa. Se cercava di affrontare uno dei tanti argomenti di storia che l’avevano tanto interessata, lui cercava di cambiare subito discorso parlando di caccia o dei suoi amici o peggio sparlando dei suoi compagni. Artemisia non ce la faceva più, sentiva di starsi perdendo, ma cosa fare? Non poteva di certo dire a suo padre che non voleva sposarlo, lo avrebbe ucciso, infatti re Sasso lo considerava davvero un buon partito e anche lei all’inizio lo aveva fatto, ma poi lui aveva iniziato a parlare di matrimonio immediato e di avere subito dei bambini. Artemisia aveva solo vent’anni, c’erano ancora così tante cose che voleva imparare e poi il giovane aveva detto una cosa che l’aveva colpita e ferita allo stesso tempo nel profondo: “In fondo se non c’ero io per te e tu per me, chi ci sarebbe dovuto essere? Io mi accontento!” Non era capace di dirle qualcosa di davvero carino, la deprimeva, la faceva soffrire enormemente, in più credeva fermamente che le donne non dovessero essere istruite, era una perdita di tempo per lui, infatti dovevano stare a casa ad allevare i figli e a occuparsi della gestione della casa. Artemisia fingeva, raccontava molte bugie a se stessa e agli altri, diceva di essere contenta e innamorata, ma solo per far felice suo padre e per non ferire il giovane, che sembrava aver sofferto tanto in ato per amore, ma così facendo aveva creato una rete non indifferente di bugie attorno a lei. Una sera decise di andare a eggiare sola nel giardino del castello, aveva bisogno di stare un po’ per conto suo, aveva bisogno di sentire solo il suo respiro. Dopo poco si accorse che Diamante la stava seguendo, così si avviò in
mezzo al frutteto, stava cercando un rifugio, quando sentì una mano posarsi sulle sue labbra e un forte braccio serrarle la vita. Finì in mezzo a un cespuglio piuttosto ampio di bacche, fortunatamente era ormai autunno e quindi frutti non ce n’erano più, ma le foglie costituivano ancora un manto abbastanza spesso da creare un nascondiglio perfetto. Artemisia guardò spaventata chi l’avesse rapita e si accorse che era Giglio, il giovane studioso e suo grande amico. Lui la strinse forte a sé, poi si accorse della sconvenienza del suo gesto e la liberò da quel rifugio per lei così gradito. “Mi scusi principessa, ma era l’unico modo ormai per vedervi. Ho sentito che vi sposerete fra sette giorni con cavalier Diamante e volevo potervi parlare in privato prima del grande giorno.” “Mi avete molto spaventata, amico mio, ma sorpresa non è più gradita al mio cuore, che questa.” “Principessa, io vedo che nei vostri occhi non alberga più la vivacità di un tempo, cosa vi succede? Con me potete essere sincera, sapete che io sono una tomba.” “Certo mio caro Giglio, lo so bene, di voi mi posso fidare e mi confesserò con voi anche questa volta. Io non lo amo, non amo Diamante e non potrò mai amarlo, il mio cuore è occupato da altro. Dai miei studi, dal desiderio profondo di scoprire il mondo e l’universo, dai miei amici, ma soprattutto è innamorato da sette anni di un altro giovane. Ogni volta che Diamante mi stringe fra le sue braccia, penso ai dolci abbracci di un altro, ogni volta che mi chiama, vorrei udire la voce di un altro gentil uomo.” “Capisco, ma perché non ne parlate con vostro padre?” “Ho paura di ferirlo, mio caro Giglio, ma voi perché mi avete attirata fra questi cespugli?” “Mia cara principessa Artemisia, desideravo solo sapere come vi sentivate, non vedevo più luce nei vostri occhi sinceri e ciò mi addolorava, essendo io un suddito affezionato della corona di vostra maestà.” “Grazie per la vostra dedizione, messere, ma ora sarà meglio che entrambi torniamo alle nostre stanze. Mi farebbe comunque piacere se aveste l’accortezza di accompagnarmi per un pezzo di strada, così potremo discutere un po’ dei
vostri ultimi studi in campo politico.” “Ma certo, come desiderate.” I due si incamminarono insieme gaiamente, tanto che non si accorsero di essere seguiti dal cavalier Diamante, che, annegato nella sua gelosia dilagante, stava già tramando vendetta nei confronti del povero Giglio. Il giorno seguente Diamante avvicinò un servitore e chiese maggiori informazioni su chi fosse quel giovane aitante moro e dagli occhi azzurri, che aveva visto la sera prima con la sua futura sposa. Dopo aver scoperto tutto ciò che gli serviva, lo denunciò al re. Non accettava che un altro giovane potesse pretendere la compagnia della giovane, seppur lui non ne fosse davvero innamorato, lei doveva essere una sua esclusiva. Re Sasso non sapeva come comportarsi, Giglio era un bravo ragazzo, un grande studioso che sarebbe di certo diventato un ottimo consigliere per qualsiasi re, era anche un amico d’infanzia della sua primogenita, ma per quanto amasse la figlia, decise di allontanarlo dal suo castello, lo aiutò comunque a trovare un altro potente e buono mecenate. Il ragazzo se ne andò il giorno seguente. Ad Artemisia fu impedito di salutarlo, così lo osservò andare via dall’alto della torre con le lacrime agli occhi. Ora non aveva più nulla, Diamante aveva allontanato tutti i suoi amici sostituendoli con i suoi compagni più fidati e con le loro fidanzate, che non desideravano altro che sposarli e avere insieme a loro almeno cinque figli. Artemisia andava peggiorando, aveva ricominciato a soffrire di attacchi d’ansia, come pochi anni prima. Quella volta ad aiutarla c’erano però Giglio e tutte le sue amiche più care, ora era sola e tutti la credevano felice. Re Sasso iniziò a vedere sempre più la disperazione farsi strada negli occhi della figlia, soprattutto dopo le parole che gli aveva detto Giglio prima di partire: “Ricordate, mio re, le bugie hanno le gambe corte e presto lo scoprirete anche voi”. Il giorno prima delle nozze arrivò e il re decise che fosse venuto il momento di parlare chiaramente con sua figlia: “Artemisia, mia cara, sei sicura che sia quello che vuoi?” “Certo padre mio, se fa felice voi, farà felice anche me.” “Vedo che sei infelice, non sei capace di raccontare bugie, aveva ragione Giglio, le bugie hanno le gambe corte.” “Padre mio, non posso più tirarmi indietro, lo devo sposare, rischieremmo una
guerra con il sovrano da lui servito, se io non lo fi. Capisco la ragion di Stato che vi ha portato a considerarlo un buon partito, la capisco e la rispetto, ma vi prego non parliamone più, è già difficile così per me, non rendiamo tutto ancora più doloroso.” “Va bene, figlia mia, ma questa notte non dormirai nella torre, verrai nelle mie stanze, come quando eri più piccola, come se nulla fosse cambiato.” “Ne sono molto onorata, padre mio, ma preferirei restare sola. Vi chiedo scusa, sono molto stanca, vorrei andare a riposare se non vi dispiace.” “Vai pure, figlia mia, vai pure.” Artemisia si allontanò e il re decise allora di mandare a chiamare proprio Giglio, era l’unico che potesse farla ragionare, era l’unico che potesse davvero consolarla. Il giovane futuro consigliere politico arrivò sul far della sera, mentre Diamante era alla locanda a festeggiare le sue imminenti nozze con i suoi compari. Artemisia era già addormentata da un po’, quando sentì un rumore molto forte, qualcuno aveva urtato contro il suo scrittoio entrando nella stanza. Artemisia indossò la vestaglia e si avvicinò alla porta, che nel frattempo si spalancò: era Diamante completamente ubriaco. “Tu piccola dama di second’ordine, sono venuto a prendermi in anticipo cosa mi spetta di diritto.” “Ma siete pazzo! Aiuto! Aiutatemi, vi prego!” “Non gridare e baciami!” Diamante la strinse con forza bruta e la baciò. Artemisia era davvero molto spaventata, non sapeva cosa fare, voleva solo fuggire lontano da quell’uomo, che dopo solo un paio di boccali diventava tanto sfacciato. In quel momento si risvegliò come da un brutto incubo. Ritrovò la sua energia interiore, ritrovò la sua combattività, il suo coraggio. In qualche modo sfuggì dalle braccia di quell’omone e lo colpì con un manoscritto molto pesante che stava leggendo in quei giorni. Diamante cadde a terra svenuto, mentre lei correva verso le stanze del padre, terrorizzata che quel bruto potesse risvegliarsi.
Diamante si risvegliò fin troppo presto e iniziò a rincorrerla, l’aveva quasi presa quando lei raggiunse lo studio del padre, sperava di trovarlo lì, ma invece non c’era, ora era nuovamente in trappola, gridò a più non posso, con tutta la forza che aveva in corpo, poi notò la botola che suo padre usava per sgusciare nelle cucine, quando durante la notte gli veniva un languorino. Con una mossa felina riuscì a scivolarci dentro e a fuggire da quel malvagio, sapeva che lui l’avrebbe seguita, ma sperava che l’effetto sorpresa durasse un po’ di più. Arrivata in cucina corse a perdifiato fino alla sala del trono, qui trovò il padre in piedi, vicino al camino , spaventato dalle grida di poco prima. Artemisia gli si gettò fra le braccia, ancora con il libro fra le mani e raccontò tutto al re. Di colpo entrò anche Diamante dalla porta ancora spalancata. Re Sasso era furente e quando il cavaliere lo vide, reagì istintivamente estraendo la spada dal fodero, il re fece altrettanto. In quel momento un altro giovane sbucò dalla porta, purtroppo non era armato e non riuscì a difendersi dal fendente che lo colpì al fianco destro. Diamante lo aveva subito riconosciuto, era il giovane che voleva rubargli la madre ideale dei suoi figli. Era accecato dalla gelosia. Quando Artemisia riconobbe nel giovane il suo più caro amico, nonché amato Giglio, fu accecata a sua volta dalla rabbia, prese uno dei vasi di fiori che stavano nella sala e lo gettò in testa a Diamante. Il cavaliere cadde a terra svenuto per la seconda volta, il re chiamò le guardie e lo fece portare nelle segrete per essere imprigionato, poi si avvicinò alla figlia. “Tesoro mio, sei stata davvero coraggiosa, forse un po’ avventata, ma coraggiosa.” “Artemisia!” La voce giungeva flebile dal corpo del giovane Giglio che giaceva sul dorso. La principessa gli si avvicinò e si rese conto che era ancora vivo. Iniziò a piangere. “Cosa posso fare per medicarti, per curarti?” “Non molto.” In quel momento estrasse da sotto la camicia un grosso librone che era stato appena infilzato al posto suo, mentre il suo fianco era stato a malapena graffiato. “Vedi che riesce a proteggermi anche da lontano, mia principessa? Questo era un vostro dono.” “Anche questo purtroppo.”
Il vaso che era andato in frantumi lo aveva infatti portato Giglio da uno dei suoi viaggi in terre lontane al re, come simbolo di riconoscenza. Risero felici tutti e tre insieme. Il re capì finalmente molte cose, il giorno seguente approfittò del banchetto previsto per le nozze e lo riciclò come festa per il ritorno del giovane Giglio. Diamante venne rimandato nel suo regno e di lui si seppe solo che era caduto in disgrazia, che lo avevano assunto come schiavo in una grande magione e che aveva sposato la più stupida delle contadine che lavorava lì. Re Sasso prese con sé Giglio come suo consigliere e amico fidato. Artemisia e il giovane politico viaggiarono a lungo, studiarono ancora molto e poi, quando si sentirono pronti, si sposarono e regnarono sempre con grande giustizia sul regno. A governare era in realtà la saggia regina, mentre il suo fedele compagno si occupava delle relazioni con gli altri regni, dato che quella era la sua vera vocazione e la sua più grande ione. Nessuno si lamentò mai di essere governato da una donna, poiché lei si dimostrò sempre all’altezza di tale ruolo e l’importante di un governatore non è se questi sia uomo o donna, ma che guidi il regno in modo giusto e saggio. Sembrerà banale, ma vissero sempre felici e contenti, ebbero sette figli e a ognuno insegnarono a essere rispettosi verso il prossimo e a essere sempre sinceri con gli altri, ma soprattutto con se stessi, poiché avevano imparato a loro spese che le bugie, oltre a far del male, hanno sempre le gambe corte.
Salisburgo, 12 gennaio 2012
Cara bisnonna, la battaglia si è appena interrotta, è notte fonda e ci siamo accordati per una breve pausa di un’ora, per recuperare i feriti e per ricaricare i poteri. Li abbiamo convinti dicendo loro che se non ci concedevano un’ora per curare i feriti, non avrebbero mai ottenuto i nostri poteri al massimo delle loro capacità. La battaglia è iniziata questa mattina all’alba. Avevo visto giusto ieri: appena l’Organizzazione ha scoperto che io ero a Salisburgo si sono fiondati qui, facendo pochissimi danni nelle altre città delle streghe dei sogni, è stata davvero una fortuna.
Mancano due giorni alla mia risposta ufficiale al Consiglio, ma credo di aver preso questa decisione già venti giorni fa, quando ho deciso di imparare a usare i miei poteri. Sì, nonna, ho deciso di prendermi l’impegno di guidare il regno magico. Sento che è il mio destino quello di proteggere la fantasia, è davvero importante che essa continui a regnare sul mondo, non oso immaginare cosa accadrebbe se essa scomparisse. Perderemmo la speranza di vedere un giorno un mondo migliore, è anche per questo che voglio combattere questa guerra e vincerla. Prima di iniziare a scriverti ho riletto il libro degli incantesimi da cima a fondo, ho trovato qualcosa di interessante, speriamo funzioni. Comunque, questa mattina hanno attaccato nello stesso momento tutte le città, tutte le guardiane hanno lanciato degli incantesimi scudo. Quando gli stregoni dell’Organizzazione si sono resi conto che nessuno di quegli incantesimi era stato realizzato da me, tranne quello lanciato su Salisburgo, sono volati tutti fin qui, hanno assediato la città, così abbiamo dovuto far cadere tutti i suoi cittadini in un sonno profondo e ristoratore, quando riusciremo a salvarli si risveglieranno di certo più rilassati e felici per tutti i sogni fantasiosi che abbiamo inventato per loro, in questo modo non vedranno nulla e saranno al sicuro nei loro letti. Prima che arrivassero i nemici, ho convocato una riunione del Consiglio e abbiamo deciso un piano di difesa. La città vecchia è stata costruita attorno alla casa della nostra antenata, quindi il cuore pulsante della città è magico, è nato sulla magia. Mi sono recata nella biblioteca generale delle guardiane, che si trova in una stanza segreta nella fortezza di Hohensalzburg, lì ho trovato molti libri, che mi sono tornati utili durante la battaglia. In uno di storia antica ho letto che, se le guardiane combattono nella città della loro prima regina o comunque in luoghi magici legati alle streghe dei sogni, i loro poteri si rafforzano molto, speriamo che questo ci avvantaggi rispetto ai nostri nemici. Nonna, ti prego, aiutaci anche tu dall’alto, stammi vicina. Sento che ce la possiamo fare, dobbiamo solo farci coraggio l’un l’altra, non siamo esseri abituati alla guerra, ma per difendere la fantasia siamo pronte a tutto. La battaglia è stata molto equilibrata, il problema è che noi abbiamo preferito radunarci attorno alla città vecchia e abbiamo perso molto terreno. Le guardiane sono tutte piuttosto anziane, le giovani sono in numero limitato, mentre l’Organizzazione ha molti stregoni giovani dalla propria parte. Avremmo bisogno di più energia, ma sembra che le persone abbiano smesso di sognare, di immaginare, di usare la fantasia, è terribile. Se solo riuscissimo a convincere la metà della popolazione del mondo a sognare, riusciremmo a batterli senza problemi. Nel libro di storia dei poteri ho letto che la nostra forza magica dipende da quante persone sono ancora capaci di usare la fantasia, è triste, i nostri poteri sono al minimo, vuol dire che nessuno sogna più.
Il problema è che così, quelli avvantaggiati sono i nostri nemici, se la gente non immagina più, vuol dire che ha perso la speranza ed è proprio di questo che si nutre la magia nera. Abbiamo combattuto tutti a suon di incantesimi, spero solo che domani vada un po’ meglio, siamo tutte stanche, spero che le altre guardiane resistano, se solo trovassi un aiuto in questa biblioteca gigantesca. Mi mancano molto i miei amici, è in questo momento che avrei più bisogno del loro sostegno, ma sarei un’egoista se li avessi portati qui, li avrei solo messi in pericolo e di certo è questa l’ultima cosa che desidero per loro. Mi vergogno un po’ a dirlo, ma ho chiesto a Madame Alphonsine di rinchiuderli nella sua casa parigina, mi sento in colpa, ma era l’unico modo perché loro non la seguissero. Spero che stiano bene, li immagino a bere un tè caldo e a fare una scorpacciata di croissant anche per me, è questo che mi fa andare avanti, l’idea che loro siano al sicuro, che stiano bene e che si divertano insieme, sono già stati fin troppo in pericolo negli ultimi tempi e ciò che mi fa stare peggio è che è colpa mia. È quasi ata l’ora, vado a vedere come stanno le streghe ferite, spero davvero di scriverti presto, dandoti notizie migliori. Ho trovato comunque il tempo di trascrivere un’altra storia, È uno spettacolo questa vita. Mi ha fatto coraggio riarlo, è una storia meravigliosa. Mi è piaciuta davvero, perché parla di un amore impossibile, cioè quello fra Margareth e Johann, che alla fine ha avuto il lieto fine che i due giovani meritavano. So bene che nella realtà storica un giovane tagliaboschi e la principessa, figlia del re del suo regno, non si sarebbero mai potuti sposare, anzi, neanche si sarebbero guardati probabilmente, ma mi piace pensare a questa storia come se fosse reale. Sarebbe meraviglioso, se fosse accaduto davvero. Ho amato molto questo racconto, perché va contro il razzismo, va contro le differenze di classe e le snobba. È davvero molto importante il messaggio che mi hai voluto trasmettere tramite questo racconto, immagino che tu me lo avessi narrato in previsione del mio ruolo futuro. Grazie a te so che quello che sto facendo è giusto, è certamente il modo migliore di combattere questa guerra, stando al fianco delle altre streghe, come loro pari, anche se io non mi sento ancora pienamente all’altezza del ruolo che mi aspetta, anzi mi sento inferiore rispetto alle altre guardiane, che hanno di certo più esperienza di me. L’amore può superare anche la differenza di classe, ancora oggi non ce la fa o se ci riesce le malelingue criticano sempre la parte povera. Sembra infatti che se un uomo ricco sposa una donna povera o il contrario, sia solo per i soldi e non per amore.
Ovvio che questi dubbi vengono anche a me se c’è anche una grande differenza d’età fra i due e se il più ricco è anche il più vecchio. Però mi piace l’idea di una principessa dei poveri, non sono molti i sovrani che si abbasserebbero a tanto, per conoscere meglio le problematiche del proprio popolo; solo i governanti, che hanno provato per primi la povertà sulla propria pelle, potrebbero desiderare tale rapporto, ma anche loro correrebbero il rischio di farsi corrompere dal potere e dal denaro. I tuoi racconti hanno sempre avuto quel qualcosa in più, che oltre alla gioia per il lieto fine, lasciava anche qualcosa su cui riflettere. Hai sempre cercato di farmi pensare, in modo da formarmi idee che fossero solo mie, non hai mai cercato di impormi le tue e questo lo apprezzo molto, soprattutto adesso, che mi rendo conto che molti non hanno avuto questa fortuna e ora non sono capaci di formulare un pensiero personale. Per questo vorrei che la mia cuginetta potesse leggere queste storie, perché capisse l’importanza di determinati aspetti della vita, che a molti sono oscuri, vorrei che imparasse a riflettere, divertendosi con i tuoi migliori racconti. È davvero importante per me aiutarla, in fondo io ho avuto te e vorrei davvero essere per lei quello che tu sei stata per me. È uno spettacolo questa vita è una storia meravigliosa, piena di buoni propositi e questo è proprio il momento migliore dell’anno per leggerla, fa venire davvero voglia di cercare di essere persone migliori, in fondo Margareth ha ricevuto molto in cambio del suo impegno. Non parlo solo di cose materiali, ma soprattutto della gioia nei sorrisi dei bambini, ai quali ha ridonato in parte la loro infanzia, della gioia negli occhi dei grandi, che sono stati aiutati, le cui case sono state riparate, dando loro la possibilità di vivere in condizioni migliori, seppur sempre in povertà. Non ci vuole molto per rendere felice il prossimo e tutti dovremmo capirlo. Un gesto disinteressato, come quello della principessa di questo racconto è stato importante per molti, è stato sorprendente. Nessuno se lo sarebbe mai aspettato da una giovane del suo rango e già i suoi tentativi avevano reso un po’ più felici i suoi sudditi, ovviamente gli aiuti materiali del re hanno migliorato ulteriormente il loro stato. Di certo non possiamo pretendere di aiutare persone di cui non conosciamo le problematiche, rischieremmo solo di peggiorare la loro situazione, invece di aiutarle realmente. È difficile aiutare gli altri, capire davvero di cosa hanno bisogno, ma dopo ci sentiremo meglio, ci sentiremo noi stessi più ricchi, anche soltanto per aver raccolto un solo chicco di grano senza pretendere nulla in cambio. Imparare la gratuità di un dono è davvero difficile, è una lezione che molti rifiutano, poiché
la vedono come una perdita, invece è una grande vittoria, si vince la riconoscenza delle persone, ci si sente apprezzati per qualcosa di buono. È così bello sorprendere le persone, è così bello poterle aiutare. Non bisogna comunque dimenticare se stessi, come potremmo aiutare gli altri, se noi stessi non veniamo aiutati, ma se riceviamo un dono, esso sarà ancora più grande se lo condivideremo con gli altri. Riceveremo in cambio grandi sorrisi e calorosi abbracci di ringraziamento. È proprio il calore di un abbraccio di un amico, che nessuno può comprare. Questo è il bello dei sentimenti, non sono legati al denaro. Provo pena per chi cerca di conquistare una donna dimostrando di avere il portafogli gonfio, ma il cuore e la testa vuoti. Un ragazzo di questo tipo non vale neanche l’unghia di un piede di un altro, che magari soldi non ne ha, perché è uno studente squattrinato, ma che dimostra il suo affetto anche solo cucinando un dolce, dedicando alla sua fidanzata una canzone e anche se è stonato, il suo gesto sarà di certo più apprezzato. Ovviamente ci sono donne a cui il portafogli interessa eccome, ma chi sarà davvero felice? Non dico che la povertà significhi felicità, sarei un’ipocrita e incoerente se lo fi, penso solo che, se in una coppia o in un’amicizia ciò che la tiene in piedi sono i soldi, non durerà che la lunghezza di un soffio di vento e sarebbe già molto. Ora devo proprio andare, nonna, ti scriverò presto, promesso, ti voglio bene, tua Rossana.
È uno spettacolo questa vita
C’era una volta, molti, molti anni fa, una dolce fanciulla dalla lunga chioma bionda, dai celesti occhi azzurri e dal gentile sorriso avvolgente. La giovane era la figlia del re di Altamontagna, una valle molto stretta, ma verde e rigogliosa, ricca di cultura, di usi e costumi, di gioia di vivere e di felicità. Vi era però ancora una grossa differenza fra le famiglie nobili e i popolani e la principessa un po’ ne soffriva, infatti vedeva correre felici i figli dei contadini, senza paura di sporcarsi, mentre lei non poteva muovere un o senza che la sua balia la minacciasse con sculacciate, se avesse solo toccato la terra o l’erba. Crescendo capì che, se un giorno avesse voluto regnare al posto del padre, avrebbe dovuto cambiare le cose. Quando ebbe vent’anni chiese il permesso al
re di potersi relazionare con il popolo, senza che gli altri sapessero che lei era la principessa. Il sovrano le concesse quindi di organizzare uno spettacolo con i bambini del villaggio, che con la loro innocenza non l’avrebbero trattata come la loro futura regina, ma come una di loro, ma non poteva far finta di essere una popolana, sarebbe stato disdicevole. Margareth ne fu ben felice, finalmente poteva vedere il loro mondo, sentiva che questa nuova avventura l’avrebbe portata a diventare una persona migliore, sapeva bene che un giorno il padre le avrebbe lasciato il posto, infatti nel loro regno la carica poteva are al primogenito, che fosse maschio o femmina non cambiava il loro destino. Il giorno seguente iniziarono le prove, Margareth aveva deciso di realizzare una piccola recita da lei inventata e che sarebbe stata messa in scena alla festa di Natale del re e i bambini avrebbero poi partecipato al banchetto. La principessa era decisa a rendere la cosa nel modo più divertente possibile, ma non aveva fatto i conti con i ragazzini del villaggio, infatti erano delle vere e proprie pesti e lei non sapeva più come gestirle. Il primo giorno diede loro le parti, le bambine erano entusiaste, ma i bambini continuavano a farle dispetti, a tirarle le lunghe ciocche di capelli, a farle lo sgambetto. Margareth però non si arrendeva, sperava che un giorno la sua costanza sarebbe stata premiata. Cercò di parlare con loro e un po’ alla volta scopriva le loro storie, le cattive condizioni in cui vivevano quei bambini e le loro famiglie. Tornata al castello dopo il primo mese di prove, andò diretta dal padre che si trovava nelle sue stanze a studiare delle mappe per decidere dove costruire il suo nuovo castello estivo. Margareth parlò al sovrano dei problemi che aveva notato giù al villaggio, ma sembrava che lui non volesse nemmeno ascoltarla, prendeva tutto come un suo capriccio. Allo stesso tempo i genitori dei bambini la vedevano proprio come il loro re, pensavano che mandando i piccoli alle prove avrebbero accontentato l’ennesima richiesta assurda della loro futura sovrana. Margareth però non si arrese, i bambini iniziavano ad apprezzarla, conquistò anche i ragazzini più grandi. Aveva infatti imparato a conoscere i loro punti deboli e li sapeva usare a proprio vantaggio. L’ultimo da conquistare era Markus, un giovanotto di dieci anni, che non ne voleva sapere di darle la propria fiducia. Un giorno la principessa arrivò alle prove con un bellissimo tamburo e con due bacchette. Markus ne era affascinato, ma non voleva farlo vedere. Margareth gli si avvicinò, glielo pose davanti.
“Sai Markus, nella banda del villaggio avrebbero davvero bisogno di un bravo giovane che suoni il tamburo, tu che ne dici?” Markus non riuscì a trattenersi e alla fine cedette anche lui. “Effettivamente sono piuttosto bravo con il tamburo.” “Ottimo, le prove sono tutte le domeniche prima della Santa Messa, pensi di farcela?” “Sì, certo, dato che non devo più fare il chierichetto ho tempo di andare alle prove!” “Ne sono davvero felice e il parroco lo sarà certamente più di me.” Margareth era riuscita a capire ciò che piaceva ai bambini osservandoli e loro erano felici di quelle attenzioni. Quel giorno aveva portato loro anche un dolce, per premiarli, dato che ormai erano diventati davvero dei bravi piccoli attori. La principessa stava anche cercando di insegnare loro a cantare, faceva un po’ fatica, perché tutti gli altri li prendevano in giro quando li sentivano fare i gorgheggi, soprattutto i fratelli maggiori. Il fratello di Markus era particolarmente accanito su questo punto, continuava a dirgli che se avesse continuato così di certo non sarebbe diventato un uomo forte e utile nei campi. Questa per il figlio di un contadino era una grande offesa. Quando lo raccontò a Margareth lei andò su tutte le furie e chiese al ragazzino di portarla immediatamente da suo fratello, che in quel momento stava spaccando la legna. Appena arrivati vicino alla loro casetta, lei notò che conosceva molto bene quel giovane spaccalegna, era uno dei bambini che lei osservava dalla finestra della sua stanza. Johann era diventato ormai un uomo, un po’ magro rispetto ai suoi fratelli, ma era un giovane molto affascinante, aveva capelli corvini spettinati, vivaci occhi verdi, spesso lo notava gareggiare nella corsa con i suoi amici e vinceva quasi sempre, era un vero campione. Margareth si avvicinò a lui tenendo per mano Markus, ma arrivati vicini al giovane, il bambino le lasciò la mano e andò verso di lui, mettendosi a raccogliere la legna e a impilarla lì vicino. “Finalmente hai capito qual è il tuo posto Markino, altro che a gorgheggiare con quella viziata figlia del re. E questa bella contadinella chi è?”
“Chiedilo a lei!” “Chi sei?” “Mi chiamo Margareth e sono la viziata figlia del re.” “Markus, dannazione, dovevi dirmelo. Vostra Altezza, mi scuso formalmente per quello che ho detto.” “Mi è concesso di chiedere il vostro di nome?” “Non mi condanni a morte per una parola di troppo, Vostra Altezza, la prego.” “Non è assolutamente quello che voglio fare, vorrei solo sapere il vostro nome messere.” “Johann, mi chiamo Johann.” “Bene Johann, le posso chiedere un favore? Potrebbe essere sempre così sincero con me? Non lo fa mai nessuno e io vorrei sapere davvero cosa pensa la gente.” “Noi poveri popolani non possiamo che parlare bene dei nostri sovrani.” “Ecco, è proprio questo che non voglio, vorrei un dialogo sincero, vorrei che lei mi informasse dei problemi del villaggio e se la gente è felice.” “Mia signora, come può essere felice? Il raccolto è stato più scarso rispetto alle scorse estati e stiamo tutti cercando di risparmiare per paura che le forniture finiscano troppo presto.” “Capisco, mi dispiace davvero per questa situazione, cercherò di parlarne con mio padre, ma l’ultima volta che gli ho parlato di tetti che perdevano, lo ha preso come l’ennesimo dei miei capricci, io sono stanca di essere considerata una bambina viziata e lei mi deve aiutare.” “Mia principessa, farò ciò che posso, ma lei di certo non ci aiuta togliendo dai campi braccia utili per il lavoro.” “Ma Johann! Sono bambini!” “Sì, ma possono comunque aiutare.”
“Capisco, allora facciamo così. Innanzitutto messere lei mi darà del tu, mi considererà come una sua pari e io mi impegnerò per portare da un pomeriggio intero a un paio d’ore le prove e verrò ad aiutarvi anch’io.” “Ma vostra Altezza, voi non potete entrare nei campi con noi, è disdicevole.” “Non credo proprio. Io voglio imparare a conoscere i vostri problemi prima di salire al trono.” “E allora va bene, ma darle del tu, non so se ci riuscirò.” “Lo dovrà fare invece, Johann, altrimenti aumenterò le prove.” “Va bene, ci proverò ma non ti prometto nulla.” “È già un inizio, grazie mille, Johann. Ora vado, devo rientrare a castello, ci vediamo domani subito dopo pranzo, lascerò che i bambini vi aiutino e poi a metà pomeriggio faremo le prove. Se vi va, Markus, le faremo all’aperto invece che alla scuola.” “Sì, che bello! Grazie principessa Margareth.” “Prego Markus, a domani, buon riposo.” “Buon riposo anche a voi principessa, buon riposo.” Johann la guardò andarsene completamente stravolto e stupito da quell’incontro. Margareth cercò di parlare al padre, ma non c’era verso di convincerlo ad aiutare i contadini. La giovane allora decise di cercare di aiutarli da sola, si sarebbe messa alla prova in modo definitivo. La mattina seguente si alzò presto, prese l’abito più vecchio e rovinato che avesse e si recò al villaggio. Osservò la vita risvegliarsi, il sole iniziava a riscaldare con i suoi raggi i tetti delle case, quando i primi contadini si alzarono, le donne presero gli abiti sporchi e li portarono al fiume per lavarli, lei le seguì e chiese loro se poteva aiutarle. Le donne inizialmente erano titubanti, ma Johann che aveva aiutato sua madre a trasportare i panni, sussurrò qualcosa nel suo orecchio e lei le offrì alcuni stracci da lavare. Margareth lavorò di buona lena, l’acqua era fredda, ma non si spaventò. Le altre contadine erano stupite dalla loro principessa e dopo pochi minuti iniziarono a darle dei consigli su come
togliere le macchie più ostinate, su come lavare gli abiti senza dover grattare troppo, rischiando di rovinarli. Finito il lavoro al fiume le seguì al villaggio, le aiutò a stendere il bucato e poi le seguì nei campi, le insegnarono a zappare la terra e le spiegarono come avveniva la semina e la pulitura dei campi dalle erbacce. All’ora di pranzo era ricoperta di terra dalla testa ai piedi, le contadine tornarono a casa per preparare una zuppa leggera con un po’ di pane per i mariti e i figli, che sarebbero tornati di lì a poco. Margareth seguì sempre la madre di Johann, che scoprì si chiamava Maria, la aiutò a cucinare e poi stava per andarsene mentre gli uomini entravano, quando la donna la fermò e le offrì una scodella di zuppa e un tozzo di pane. La principessa mangiò di gusto e le parve di non aver mai mangiato un piatto più buono e saporito. Maria le spiegò che era merito delle spezie, ma la giovane sapeva che era merito del lavoro fatto quel giorno. Dopo aver pranzato con loro decise di fare un giro per il villaggio vuoto per cercare di capire quali fossero le riparazioni da effettuare. Aveva ringraziato calorosamente la famiglia di Markus ed era convinta che nessuno l’avesse seguita, ma Johann sentiva che si sarebbe ficcata in qualche guaio e aveva ragione. Mentre camminava sentì miagolare da un albero. Sul ramo più alto c’era un gattino che non riusciva più a scendere, Margareth iniziò allora la scalata. Aveva preso il gattino e stava cercando di scendere, quando improvvisamente il ramo sul quale poggiava il piede si ruppe. Il volo le sembrò eterno, chiuse gli occhi per paura dello schianto, ma non sentì mai il terreno bloccare la sua caduta, infatti a fermarla erano state le forti braccia di Johann: “Ma lei per caso è ammattita a causa del troppo sole preso nei campi?” “Johann!!! Le ho detto di darmi del tu!” “Sei impazzita per caso, Margareth?!” “No, volevo solo salvare questo gattino.” “Questo gattino non vale la tua vita, capisci? È il gatto di Virginia.” “Lo so, per questo ho cercato di tirarlo giù, ogni volta che scappa e che si arrampica fin su in cima lei piange, soffre e io non sopporto che qualcosa ferisca quel piccolo angioletto.” “Lo sapevo. Sei pazza davvero!”
“No e adesso mettimi giù! Mettimi giù! È un ordine!” “Ma se mi hai detto di darti del tu, adesso mi dai ordini?! Lo sai, vero, che fra amici non si fa?” “Sì, lo so, ma questo era un caso particolare, scusami, lo so che sono una piccola viziata e un problema per tutti.” Margareth iniziò a piangere, più per la tensione che per altro. Johann la mise giù e poi l’abbracciò, sapeva che avrebbe rischiato di finire nei guai se l’avessero visto, ma in quel momento non gli importò. “Su, su, Margareth, guarda che così mi sporchi di terra. Sei tutta sporca, dal capo ai piedi, cosa dirà tuo padre?” “Nulla, altrimenti gli proporrò di venire con me domani e probabilmente mi darà anche lui della pazza.” Rise forte, una risata che valeva quanto un raggio di sole dopo un brutto temporale. Johann era colpito dalla sua forza e dalla sua costanza in quella missione quasi impossibile, ne era davvero ammirato: “Mi aiuteresti a riparare il tetto? Dato che ti piace così tanto arrampicarti”. “Certo! Andiamo subito!” “Sì, però promettimi che non verrai sul tetto con me, ma che starai in fondo alla scala a armi gli attrezzi.” “Va bene, al massimo se tu dovessi cadere, ti prenderò al volo.” Johann rise e poi l’accompagnò fino a casa di Virginia per restituire alla piccolina il suo gatto. La madre della bambina era sorpresa di sapere che era stata la principessa a recuperare l’animale, la ringraziò molte volte, la invitò a entrare, ma Margareth rispose che doveva andare a riparare un tetto. La signora era sorpresa, entrò in casa sconvolta e disse ciò che aveva visto e sentito a suo marito, che non restò poi così sorpreso, poiché il re aveva fatto la stessa cosa quando erano giovani anche loro, forse il sovrano se ne era dimenticato, ma a quanto pare c’era sua figlia a ricordarglielo. Margareth aiutò Johann a riparare il tetto e a metà pomeriggio radunò tutti i bambini attorno alla radura dove il giovane stava tagliando la legna, era il posto ideale per insegnare ai bambini a cantare, i rumori della natura avrebbero
contribuito al loro coro di voci bianche. Johann era stupito dall’armonia che Margareth aveva ricavato da un insieme stonato di voci cigolanti. E poi c’era la sua di voce, una voce melodiosa, piena di speranze, di dolcezza, di amore per la vita. Quando arrivò il tramonto salutò tutti e tornò al castello. Quando il re la vide arrivare sporca di terra la mandò arrabbiato a lavarsi, ma il sorriso che aveva sua figlia sulle labbra gli ricordò una scena, avvenuta molti anni fa, ma molto simile, in cui lui era il protagonista e al suo posto attuale c’era suo padre. Lui stava tornando dal villaggio, dove aveva aiutato i contadini, dopo mesi che cercava di relazionarsi con loro. Era sorpreso che sua figlia ci fosse riuscita in minor tempo, un grande orgoglio gli riempì il petto, quella era una sua creatura, forse avrebbe dovuto ascoltarla di più. Così il giorno seguente l’accompagnò nei campi e aiutò anche lui i contadini e dopo aver preso visione dei loro problemi, promise loro di cercare di risolverli nel minor tempo possibile. Margareth era felice di quella svolta, non ne era stupita, sapeva che suo padre aveva un cuore grande, proprio come lo sapeva il padre di Virginia. Mentre Margareth si occupava dei bambini, il re riuscì a trasformare il villaggio, attuò molti miglioramenti e i contadini furono davvero felici di collaborare con la restaurazione. Johann era sempre vicino alla principessa quando aveva un po’ di tempo, l’aiutava con i bambini se erano troppo irrequieti, le mostrava il bosco e le sue meraviglie e le insegnava cosa volesse dire essere un contadino. Re Benedikt era orgoglioso della figlia, ma non apprezzava le attenzioni che il giovane popolano riservava alla sua primogenita, infatti la vita di Margareth era stata già decisa alla sua nascita e lei avrebbe dovuto sposare il secondogenito del sovrano della valle vicina, per concedere una pace sicura e duratura ai due regni. La principessa non si era resa conto che i suoi sforzi erano dunque vani e che sarebbe stato il suo futuro marito a governare il regno, ma quando ne parlò con Johann, il ragazzo la confortò dicendo che forse il principe sarebbe stato un buon sovrano. Quando il re venne a saperlo si infuriò, convocò il giovane e gli proibì di avvicinarsi di nuovo a sua figlia. Il ragazzo dovette giurarlo, ma il suo nuovo atteggiamento di distacco uccideva Margareth e il suo atteggiamento positivo nei confronti della vita. Il re si accorse del dolore che aveva negli occhi, ne soffriva anche lui, ma proprio non poteva permettere che lei si innamorasse di un popolano. Non
poteva, eppure sentiva che avere un re di un ceto più basso forse sarebbe stato utile al suo regno. Margareth non accettava quella realtà, non capiva perché il padre fosse stato così buono con loro per poi mostrarsi così razzista, non capiva la ragion di Stato che gli impediva di avere vicino un caro amico, così buono, onesto e migliore di tanti nobili. Una notte, verso la fine di novembre, i fiocchi iniziarono a scendere lenti, Margareth era sempre più depressa. Fu quella notte, osservando la neve, che capì che voleva essere libera di stare con chi avesse voluto e così indossò il mantello, uscì dalla finestra e iniziò a scendere lungo il rampicante, dopodiché fuggì nel bosco. La mattina dopo tutti si misero alla sua ricerca, ma sembrava che fosse sparita nel nulla, nessuno sapeva dove fosse, neppure Johann, erano tutti molto preoccupati, ma il più preoccupato di tutti era il re, suo padre, si sentiva in colpa per l’accaduto, sapeva di averla ferita allontanandola dal giovane tagliaboschi. Margareth nel frattempo aveva trovato riparo nella radura dove aveva conosciuto per la prima volta il fratello di Markus, lì c’era un anfratto fra le rocce della montagna, era accogliente, ma avrebbe dovuto trovare un’altra sistemazione, non poteva di certo vivere in eterno nel bosco. La mattina seguente tutto era bianco, la giovane principessa decise allora di raggiungere uno dei villaggi di confine, lì avrebbe chiesto di lavorare in casa di una famiglia numerosa in cambio di ospitalità. Johann, che conosceva bene i boschi, decise di cercarla lì, notò delle tracce nella neve e le seguì. Fortunatamente aveva il o molto più veloce di quello di Margareth e riuscì a raggiungerla in meno di due ore. Appena le arrivò abbastanza vicino le afferrò un braccio e la bloccò, il suo sguardo era truce e non prometteva nulla di buono. “Ma allora sei pazza davvero! Vorrei sapere cosa ti è ato per la testa, quando sei scappata in quel modo dal castello! Potevi morire assiderata, qualche animale selvatico avrebbe potuto aggredirti. A questo non avevi pensato, vero?” “Johann, come fai ad accettare che mio padre ci divida? Siamo amici, perché dovrebbe farlo? Ha aiutato tutti quelli del villaggio, perché cambiare così atteggiamento?” “Perché ha visto più in là di noi. Sa bene come andrebbe a finire se lui ti desse il
permesso di vedermi.” “Che cosa stai blaterando?” “Te lo devo spiegare io?” “A questo punto direi di sì.” “Margareth, fra noi stava nascendo qualcosa di più di un’amicizia, è per questo che ho accettato la decisione di tuo padre, lo fa per il tuo bene e per il bene del nostro regno. È giusto che tu sposi il principe del regno vicino, a cui sei stata promessa appena nata. Io sono solo un semplice boscaiolo, capisci? Fra noi non ci potrà mai essere nulla. Nulla.” I suoi occhi si spensero davanti a quella verità, sapeva di fare la cosa giusta, ma si sa, al cuor non si comanda. Mentre pensava a questo non si era reso conto di quanto fossero vicini. Lei si liberò dalla sua presa e appoggiò la testa al suo petto, abbracciandolo. Ne fu sorpreso, ma poi l’abbracciò anche lui. “Non sapevo che anche tu provassi questo per me. Johann, io ho bisogno di te, almeno come amico. Un matrimonio combinato non è mai stato il mio sogno. Ho paura, ho paura davvero Johann.” “Non preoccuparti Margareth, se vorrai io sarò sempre qui, anche solo per due chiacchiere, forse tuo padre capirà se gli spiegheremo che la nostra vuole restare solo una bella amicizia, che ne dici?” “Dico che non saprei come fare senza di te, sei un ragazzo unico. Almeno tu potrai sposare chi vuoi.” “Non è proprio del tutto vero. Io non ho un matrimonio combinato davanti a me, ma non posso sposare la ragazza di cui mi sono innamorato. Ora che siamo io e te, soli, voglio essere sincero. Ho sempre paura di parlarti, sei la prima ragazza che mi incute così tanto timore, non solo perché sei la mia principessa, ma anche perché sei intelligente, sei buona, hai un gran cuore e sai tante cose che io non so.” “Anche tu ne sai tante.” “Non interrompermi, signorina. Io faccio fatica ad aprirmi, ma mi hai colpito davvero, soprattutto per quello che hai fatto con i bambini. Ho capito allora che
diventerai una regina magnifica e magnanima, sarai perfetta e poi la corona ti donerà di certo, riuscivi a illuminare chi ti stava intorno anche l’altro giorno coperta di terriccio dei campi. Anche mia madre era molto colpita, come tutte le altre donne del paese.” “Johann, io non so che dire. Ho sempre pensato che tu eri un ragazzo speciale, fin da quando ti osservavo dall’alto della torre, mentre giocavi con gli altri bambini quando eravamo piccoli. E poi ti ho conosciuto davvero, all’inizio mi sembravi come tutti gli altri ragazzi che conosco, i nobili altezzosi, ma mi sbagliavo e poi sei un po’ pazzo anche tu, non hai nemmeno un mantello per coprirti.” “Ero troppo preoccupato per un’amica che era uscita di senno e che era scappata in mezzo alla bufera di neve.” “Scusa, sono stata davvero una sciocca.” “Mi sa che dovrai scusarti anche con tuo padre.” “Hai ragione. Andiamo da lui ora, mi sa che dovrò dargli alcune spiegazioni.” Dicendo questo riprese il cammino, ma nella direzione opposta a quella che aveva intrapreso inizialmente. Poi però scivolò sul ghiaccio, Johann per aiutarla perse anche lui l’equilibrio, caddero in mezzo alla neve. Scoppiarono a ridere, una risata liberatoria. I loro visi erano vicini l’uno all’altro, il momento era magico, la neve ricominciò a cadere, lui cercò di toglierle alcuni fiocchi dai capelli e poi la baciò. Quando riaprirono gli occhi capirono che quello sarebbe stato l’ultimo momento che avrebbero potuto trascorrere da soli. Johann l’aiutò a sollevarsi, si ripulirono dalla neve e ricominciarono il cammino in mezzo alla coltre di neve, che scendeva dal cielo. Le loro mani erano ancora intrecciate quando raggiunsero il bordo del bosco, ma quando intravidero i primi uomini che la stavano ancora cercando, le loro mani si dissero addio, sciogliendosi da quell’abbraccio. Il re venne subito chiamato e corse incontro alla figlia. Ringraziò subito Johann e poi si voltò arrabbiato verso la figlia, la sgridò davanti a tutto il villaggio e per lei non ci fu punizione peggiore che essere accusata di essere una bambina stupida e viziata. Margareth si allontanò depressa, sapeva di essere stata irrazionale, ma allo stesso tempo sentiva che era l’unico modo per ribellarsi. Quella sera suo padre arrivò nelle sue stanze per parlarle, si sedette vicino a lei sul letto.
“Margareth, mi sono preoccupato molto per te, ti prego, non farlo mai più.” “Padre, ti assicuro che so di aver fatto un gesto irrazionale, non so neanche io cosa mi sia ato per la testa.” “Tesoro mio, sei innamorata, l’ho letto nei tuoi occhi mentre lo guardavi riparare i tetti giù al villaggio. Vorrei poterti dire che vivrai con lui per il resto della tua vita e vorrei davvero che fosse così, perché ti saprei felice, ma non posso permetterlo, sei promessa sposa al figlio del nostro vicino, capisci?, rischieremmo una guerra se tu non lo sposassi, perché vuoi are il resto della tua vita con un tagliaboschi.” “Padre, ora ho capito cosa devo fare, ne ho parlato anche con Johann, vorremmo solo restare amici, solo restarci vicini come amici per sostenerci l’uno con l’altra. Ti chiedo solo questo, per il resto sarò felice di rispettare le vostre decisioni.” “Figlia mia, apprezzo il tuo sacrificio. Per me potrete restare amici, a meno che tu non capisca che ciò ti fa soffrire.” “Grazie per la tua comprensione, padre mio, grazie davvero.” La mattina dopo venne annunciato il suo fidanzamento con Adalgiso, il principe del regno vicino. Il re incontrò anche Johann, lo propose come delegato del popolo nel Consiglio reale, così che lui potesse continuare a vedere Margareth senza dover dare troppe spiegazioni e potendo consigliarla da una posizione più importante. Il matrimonio si sarebbe tenuto di lì a un mese. Entrambi i regni erano in fermento, Johann aiutò Margareth in tutti i aggi delle sue nozze, l’aiutò a scegliere i fiori e l’abito da sposa, lei era felice di poterlo avere accanto, non avrebbe mai scordato il loro bacio, ma sapeva che per il bene del suo popolo non avrebbe dovuto pensarci ed essere fedele sempre al suo futuro marito. Arrivò Natale, la recita dei bambini era stata un successo e tutto il villaggio era stato invitato al banchetto. Il re aveva così ritrovato uno dei suoi migliori amici d’infanzia: il padre della piccola Virginia. Era un uomo molto saggio e notò subito che Margareth era molto dimagrita, aveva perso la sua luce, la sua brillantezza. Ne parlò con il re e lui gli spiegò tutta la faccenda. Il padre di Virginia non era molto convinto che fosse la scelta giusta, sapeva infatti della
fama da dongiovanni del giovane Adalgiso e gliene parlò. Il re iniziò allora delle indagini accurate sul secondogenito del re vicino, lo stesso padre del ragazzo ammise che suo figlio fosse ancora troppo immaturo per un matrimonio di così grande importanza. Entrambi concordarono di sottoscrivere un trattato per mantenere la pace fra i due regni, senza bisogno di un legame matrimoniale per sancirlo. Il re di Altamontagna tornò presto al suo castello e convocò subito in gran segreto i membri del Consiglio tranne quelli appena ammessi al gruppo, chiese la loro opinione su un’unione fra sua figlia e un giovane di origini popolane, ma che era avanzato di livello grazie alle sue capacità. Non tutti furono concordi, ma lui non se ne stupì, molti nobili puntavano a vedere la loro progenie legata alla famiglia reale, ma la maggior parte capì di cosa parlava e alla fine accettarono all’unanimità. Il re convocò poi Johann e lo informò della decisione presa dal Consiglio. Il giovane era spiazzato, ma accettò di tenere il tutto segreto a Margareth, che lo avrebbe scoperto solo il giorno delle nozze, di certo per lei sarebbe stata una bella sorpresa. L’unico punto su cui Johann fu irremovibile fu il cambiamento dell’abito della sposa, infatti lui l’aveva visto e portava sfortuna. Il re convinse allora le sarte a inscenare un incidente, l’abito non era ancora finito, che andava già sostituito. Margareth non ne fu molto contenta, ma il secondo abito era ancora più bello del primo. Il giorno delle nozze arrivò presto e la principessa indossò l’abito mentre fuori nevicava, la neve fioccava come quella mattina in cui Johann l’aveva ritrovata nel bosco. Chissà dov’è quel ragazzo, si chiedeva Margareth, aveva promesso di andarla a trovare per aiutarla a sistemarsi il velo, ma non si vedeva e ormai erano arrivate le sue sorelle ad aiutarla ed era ora di andare in chiesa. Suo padre l’aspettava all’entrata della cattedrale. “Sei bellissima, tesoro mio.” “Grazie papà, ma Johann, tu l’hai visto?” “Sì, certo, lo vedrai presto anche tu.” Il re sorrise, lui sapeva perché il giovane non fosse andato a trovarla, ma non poteva di certo dirglielo. Entrarono mentre il coro iniziò a cantare la marcia nuziale. Avanzarono piano verso l’altare, il velo era lungo alcuni metri e in parte le copriva il viso. L’abito
era di un bianco candido, creato con seta importata dalle Indie e ricamato a mano dalle sarte, fra le mani aveva un mazzetto di agrifoglio profumato a farle da bouquet. Il suo sposo l’aspettava all’altare, era di schiena, aveva gli stessi capelli folti e spettinati di Johann, che coincidenza. Appena arrivarono davanti al vescovo, il re tolse il velo dal viso della figlia, la baciò dolcemente su una guancia e mise la sua mano in quella del giovane, che solo allora si voltò, e Margareth vide due freschi occhi azzurri e ci si tuffò dentro. Era proprio Johann. La principessa non capiva, ma suo padre le sorrise sicuro e lei dopo circa un’ora e mezza si ritrovò a fianco il giovane che amava, che l’amava e con cui avrebbe ato felicemente tutto il resto della sua vita. Di certo dopo le nozze ottenne tutte le spiegazioni dovute, ma l’importante fu che la coppia regnò in armonia e con saggezza per molti, molti anni e quelli furono anni felici per quella regione, furono anni gloriosi e ricchi, nessuno soffrì la povertà e soprattutto non ci furono guerre.
Salisburgo, 13 gennaio 2012
Cara nonnina mia, quello che è accaduto oggi ha davvero dell’incredibile, sono sconvolta, ma non ti rovinerò la sorpresa, ti racconterò tutto dall’inizio. Ieri, dopo aver finito di scriverti, sono salita nella sala che abbiamo adibito a infermeria, prima era usata come sala per la mostra sulla prima guerra mondiale, ma noi abbiamo fatto svanire temporaneamente tutti gli oggetti e abbiamo inserito dei lettini da ospedale da campo. Mentre salivo le scale ho sentito un boato, i nemici erano riusciti a far saltare in aria la funicolare con un incantesimo distruttivo, non avevano rispettato l’accordo e avevano invaso tutta la città vecchia, assediando la fortezza, credevamo di essere spacciate. Sono uscita su una delle torri più alte, eravamo circondate. Ms Edwina mi ha raggiunto: “Rossana, devi prendere tu il comando, io non me la sento, sono davvero molto debole. Tesoro, solo tu puoi aiutarci a superare questa crisi, solo tu puoi farci vincere questa guerra. Ho piena fiducia in te”. “Se solo gli uomini ricominciassero a sognare! Il problema è che l’unico momento dell’anno in cui tutti i popoli hanno maggiore speranza è il Natale, ma
ormai è ato. Se solo ricominciassero a sognare…” Stavo perdendo anch’io ogni speranza, ma dovevo essere forte, dovevo andare avanti. Così ho ordinato di riempire i cannoni in mostra con incantesimi di ogni genere, ho cercato di confortare tutte le guardiane e di infondere loro coraggio, così ho lanciato un incantesimo musicale, la musica mette sempre di buon umore. Anche le altre hanno collaborato a quell’incantesimo, e le stanze della fortezza si sono riempite di meravigliose melodie. Gli stregoni dell’Organizzazione si sono bloccati sulla collina, erano sconvolti, non credevano che potessimo davvero pensare alla musica in quel momento, ma non avevano pensato al fatto che ci trovavamo nella città di Mozart. Poi mi è venuto in mente un altro uomo importante nato in quella città: Georg Trakl. È un poeta molto conosciuto, è morto a ventisette anni durante la prima guerra mondiale al fronte. Trakl aveva scritto molte liriche durante il suo periodo in prima linea, ciò che è rimasto di lui mi ha colpita moltissimo quando ho studiato letteratura tedesca ed è stato in quel momento che ho pensato di nuovo lui: aveva perso la vita combattendo, le sue poesie erano colme del buio, della mancanza di speranza e del dolore, che pervadeva il clima al fronte. Non volevo che quell’atmosfera cupa si diffondesse anche fra le nostre fila, sarebbe stato terribile. Ricordavo bene l’angoscia provata leggendo quei testi. Nelle poesie precedenti descriveva la Salisburgo del periodo precedente al 1914, era un’esplosione di colori e di suoni, poi i suoi testi hanno perso le loro tonalità, sono diventati sempre più cupi. Voglio ricordare solo le prime, ci possono aiutare. Dall’inizio della battaglia il cielo si era oscurato e tutto era grigio. Ho cominciato a pensare ai testi, ai colori che ho conosciuto nelle varie città visitate, ai colori che emanavano i sorrisi dei miei amici, pensando ai loro occhi ho avuto una nuova idea, con un incantesimo ho cercato di ridare colore alla fortezza e agli abiti delle guardiane. Poi ho guardato giù, verso i piedi della collina, da dove salivano i nemici. Ho riflettuto un po’ su cosa potesse fare più male a dei nemici guidati dal buio e dalla sofferenza, così ho lanciato l’incantesimo del cielo sereno e del sole luminoso, una magia antica e potentissima che avevo letto nel libro degli antichi sortilegi. Foglie verdi di primavera, fiori sbocciati sotto il sole dorato, che il cielo splenda su questo mondo fatato! Fortunatamente ha funzionato, il cielo è tornato a essere azzurro e i nemici sono stati colpiti dai raggi del sole e hanno dovuto far comparire degli ombrelli, hanno cercato di riportare il grigiume, ma sono riusciti a ottenere solo un acquazzone estivo. Le guardiane erano stupite quanto i nostri nemici, non ne capivo il motivo, ma non avevo tempo da perdere, così ho lanciato altri incanti e
la città ha ricominciato a risplendere, non mi ero però resa conto che alcuni nemici erano riusciti ad avvicinarsi in volo alla torre, fra di loro c’era Hannibal, lo avevano liberato. Fu proprio lui a colpirmi alle spalle, non aveva nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia per uccidermi. Che codardo, vigliacco e senza spina dorsale, come avevo fatto a innamorarmi di uno così, non lo so proprio. Il problema è che mi aveva colto di sorpresa, mi aveva colpita e stavo rischiando di cadere dalla torre, sarebbe stato un volo di molti metri, inoltre sarei caduta proprio in mezzo ai nemici. Pensavo davvero di stare per spiccare il volo, quando una mano forte ha afferrato la mia, attraverso la pioggia non capivo chi fosse, ma poi il mio salvatore ha parlato: “Sei sempre la solita incosciente, non posso girarmi due minuti, che ti ficchi già in qualche pasticcio”. Non capivo, non era possibile, eppure… Dopo un po’ ho visto due occhi verdi e profondi che conoscevo fin troppo bene: era Ian Green, l’ultima persona che mi sarei mai aspettata di trovarmi davanti in quel momento. Stavo per abbracciarlo, quando ho notato che Hannibal, alle sue spalle, stava per lanciarci contro un sortilegio: l’ho subito bloccato e avvolto in lunghe funi magiche e così ho fatto anche con i suoi compari in volo. Dopo un po’ ho notato che con Ian c’erano anche Spring e Ted, ero sorpresa, volevo chiedere loro come avessero fatto ad arrivare fin lì, ma non era quello il momento delle spiegazioni. La guerra ha preso un’altra piega, da quel momento in poi le guardiane si sono sentite rincuorate da quell’apparizione. Tutte hanno combattuto valorosamente, verso sera sembrava che i nemici stessero per prendere possesso della fortezza, ma noi abbiamo resistito con coraggio, solo allora mi sono accorta che anche i miei amici riuscivano a lanciare piccoli incantesimi, facevano comparire armi e funi, era una cosa strana e affascinante allo stesso tempo. È stato in quel momento, che mi è venuta la migliore delle mie idee. Ho pensato di risvegliare gli abitanti di Salisburgo e di regalare loro uno spettacolo pirotecnico, la meraviglia che i fuochi provocano nell’animo delle persone di certo li avrebbe stupiti, li avrebbe portati a riflettere su chi li avesse sparati, dato che la fortezza era chiusa al pubblico in quella settimana, li avrebbe portati a immaginare. Ho messo subito in atto il mio piano e il bello è che ha funzionato! Oh nonna, non sai che gioia! Le guardiane si sono subito rafforzate e abbiamo colpito e legato la maggior parte dei nemici e gli altri sono svaniti senza lasciare traccia, la paura è una brutta bestia da affrontare. Gli stregoni catturati li abbiamo subito imprigionati in una fortezza magica, che si trova sotto il Tamigi, da lì non potranno fuggire facilmente. Abbiamo poi riportato la città alla normalità e infine ci siamo concesse un buon
sonno ristoratore all’interno della fortezza di Hohensalzburg, il giorno dopo avrei chiesto alcune spiegazioni ai miei amici, ma in quel momento avevamo tutti bisogno di dormire. Ora sono le due di notte, in realtà è già il 14, ma volevo descriverti com’è andata ieri, così ho preferito mettere il 13, come data. Ho deciso di trascrivere la penultima storia, mi aiuterà a rilassarmi, non riesco a dormire. Il racconto che ho scelto è Nel bosco in trappola, parla di magia, ma usata in maniera positiva. Poi c’è anche un cane, il miglior amico dell’uomo. Oggigiorno la gente li abbandona, come se fossero oggetti, ma non si rendono conto che anche i cani hanno dei sentimenti e in questo caso me lo hai dimostrato, facendo in modo che, in realtà, il cane fosse un mago che era stato trasformato in animale da una strega malvagia. La magia, non c’è meraviglia più grande e irreale. Credo fermamente che il concetto di magia dovrebbe essere sempre presente nella nostra mente, è un elemento talmente meraviglioso e fantastico, io non potrei davvero farne a meno. Ho letto moltissimi libri di magia e sono quelli che ho amato di più. Fino a venti giorni fa credevo che la magia non esistesse, ma secondo me non c’era nulla di male nel credere che qualcosa di magico potesse sempre accadere. La magia è nell’aria in momenti come Natale, c’è un’atmosfera speciale e accadono fatti inspiegabili, tutti sono più buoni, c’è uno spirito diverso. Ma la magia risiede anche nei sentimenti. Non è magico l’affetto disinteressato fra due amici? Non è forse magico l’amore di una madre per i propri figli? Tutto è magia, l’esistenza del mondo stesso è magia, il cielo azzurro, la neve, il sole, tutto può essere magico, basta crederci. Basta credere fortemente in qualcosa e quella diventa reale. Ma chi riesce a vedere la magia, deve usare questa sua capacità solo in maniera positiva, se la usasse in maniera negativa la magia si allontanerebbe da lui, perché la magia, quella vera, risiede solo nei buoni, non ha nulla a che fare con la cattiveria, la disprezza. Nella tua storia si parla proprio di questo, la strega cattiva viene sconfitta, perché cerca di usare la magia per uccidere, è come per tutti i fatiscenti guaritori. Sono falsi, perché la medicina non ha nulla a che fare con la magia, la magia è lo spirito positivo che aleggia nell’aria in determinate occasioni. Oppure quando delle finte streghe dicono di poter predire il futuro, nessuna strega promette a un umano di predire il futuro, va contro le nostre leggi, solo alcuni possono vedere la magia nella realtà, ma non è un discorso di avere dei poteri, la magia risiede nella fantasia, nell’immaginazione, per questo i bambini sono tutti magici, non hanno poteri, ma sanno usare la loro mente per creare la magia, quando iniziano a perdere questa capacità, iniziano a perdere il vero senso della magia e acquisiscono quello nuovo di potere, solo pochi continuano a portare nel proprio
cuore il concetto di magia e solo queste persone diventeranno guardiane. La magia non è legata al potere, è legata all’innocenza, alla fantasia, alla purezza di cuore. Questa è la vera magia, perché nessuno riesce da adulto ad avere un cuore puro, magico è invece chi riesce a mantenere tale qualità. Sono in pochi coloro che sanno cosa vuol dire realmente magia, sono in pochi quelli che riescono a capire che essa esiste anche nella realtà. Solo le persone che hanno sofferto, solo le persone che non hanno nulla da perdere, solo quelle che da piccole non avevano grande compagnia, solo queste sono le persone che riescono a capire il vero senso della magia, le altre parlano di magia solo quando la vedono nei film, solo quando qualche mago fa incantesimi, ma la magia è molto di più e tu lo sai bene nonna, perché mi hai insegnato tu il vero senso di questa parola. Mi hai insegnato che la magia non risiede necessariamente solo negli incantesimi e nei maghi, di cui parlano i libri o i film, ma c’è anche nella realtà, basta solo saperla trovare. Risiede nelle cose semplici, come il sorriso di un bambino o di un innamorato, sta nell’abbraccio sincero fra due amici, sta nell’aiutare un’altra persona, senza chiedere nulla in cambio, sta nel legame fra i membri della stessa famiglia: questa è la magia che tu mi hai insegnato a riconoscere, questa è la vera magia, quella che vive anche nel nostro mondo. La magia sta anche nel ballo, nel canto, in tutte quelle arti che sono astratte, ma che sul nostro cuore hanno un’influenza incredibile. Nonna, mi manca il tuo punto di vista sulle cose. Il papà è così realista, che rischia di sotterrare ogni mia fantasia, vorrebbe che io tenessi maggiormente i piedi per terra, ma non ce la faccio proprio, è più forte di me, la fantasia mi cattura, mi prende e mi trasporta in mondi lontani, mi fa sognare spiagge esotiche e montagne altissime, mi fa provare sensazioni, che non ho mai provato prima, se questa non è magia, che cos’è? Io comunque non ce la faccio a rinunciarci, è troppo importante per me, è parte di me, se mi chiedessero di smettere di sognare, di smettere di sentire questa magia, sarebbe come se mi chiedessero di rinunciare a una parte di me, un braccio, una gamba, una mano, il cuore o il cervello. Nessuno vi rinuncerebbe. So che molti per questo mio atteggiamento mi ritengono ancora una bambina, ma a questo punto preferisco essere una bambina, piuttosto che un adulto senza alcun briciolo di immaginazione, la cui vita sarà sempre estremamente piatta e noiosa. Ora vado anch’io a riposare, domani sarà una giornata meno pesante, ma non meno difficile. Ti voglio bene, tua Rossana.
Nel bosco in trappola
C’era una volta, molti anni fa, una giovane fanciulla, figlia di un mugnaio, che viveva ai margini di una selva fosca e buia. La giovane aveva anche un cagnolino, che si chiamava Geronimus, il cane era un animale molto speciale. Le era stato affidato dalla nascita da una fata in modo che la proteggesse. La ragazza era stata trovata vicino a una grande quercia, quando aveva solo pochi mesi, la moglie del mugnaio l’aveva raccolta e portata a casa propria. Celeste aveva tre fratelli, uno più grande, Thomas, e due minori, due gemellini pasticcioni, Guillermo e Julian. Celeste era molto felice con la sua famiglia adottiva, ma da quando aveva saputo la verità sulla sua nascita, voleva conoscere la sua vera madre, solo per sapere come mai l’avesse abbandonata. Era il suo più grande desiderio, sapeva bene che nessuna madre abbandonerebbe un figlio senza un motivo importante, ma provava comunque un senso di risentimento e di amarezza nei confronti dei suoi genitori naturali. Celeste eggiava spesso con i suoi fratellini vicino alla foresta, sempre seguiti da vicino da Geronimus, si divertivano a giocare a nascondino con le lepri e i caprioli, adoravano danzare festosamente al canto dei pettirossi, amavano molto giocare con i piccoli orsi, quando mamma orsa lo permetteva loro. Il cane li osservava da lontano, assicurandosi che Celeste fosse al sicuro, quello era il suo compito, ma non sapeva minimamente chi glielo avesse affidato. Un giorno, verso la fine dell’estate, Julian e Guillermo si persero nella selva mentre inseguivano un piccolo coniglietto bianco. Celeste avvertì subito i suoi genitori e insieme a Thomas partirono per cercarli, chiedendo a lei di restare in casa, nel caso in cui fossero tornati. La giovane non riusciva però a star tranquilla e quindi, quando Geronimus la tirò fuori di casa, prendendola per il grembiule, lei non ci pensò su due volte e si avventurò a sua volta nel bosco, seguendo il suo intelligentissimo segugio. Si stava facendo buio e tutti gli alberi assumevano forme inquietanti, ma Celeste desiderava solo ritrovare i suoi fratellini. Geronimus continuava a correre fra le radici, fino a che non arrivò a una radura, illuminata ormai solo dagli ultimi raggi del sole. Da lontano si vedevano due figurine, sedute vicino a un grosso masso. Celeste si avvicinò e si rese conto che erano proprio Guillermo e Julian: la giovane era davvero felice di
averli ritrovati, i due bambini però sembravano intenti a chiacchierare con qualcuno e quando si avvicinò a loro vide che dentro a una prigione di rovi c’erano una bambina e un giovane, che poteva avere all’incirca l’età di Thomas. Celeste si avvicinò loro, prese per mano i due gemelli combina guai e poi si rivolse al ragazzo intrappolato: “Buonasera, mi chiamo Celeste, voi chi siete e perché siete imprigionati?” “Buonasera Celeste, io mi chiamo Sebastian e questa è mia sorella Amanda, siamo due maghi della Valle degli Incanti. La strega malvagia che ha spodestato la nostra regina ci ha intrappolati qui dentro, perché non potessimo trovare la principessa scomparsa, che è l’unica che può salvarci.” “La principessa scomparsa?” “Sì, era molto piccola, quando Strega Grimil la rapì e la lasciò in una selva oscura. C’era infatti una maledizione che pendeva sulla sua testa, cioè: La figlia della regina Serenia sarà l’unica a poter sconfiggere Grimil, solo lei potrà toglierle tutti i poteri e rinchiuderla per sempre nel Deserto Infinito, dal quale nessuno potrà mai fuggire. Grimil, dopo aver udito tale profezia, ha deciso di sbarazzarsi della principessa e poi ha conquistato il regno, rinchiudendo nelle segrete la regina Serenia. Noi siamo i figli del Primo Ministro e siamo riusciti a fuggire solo poco tempo fa dal regno, nella speranza di trovare la principessa Celestia; purtroppo i seguaci di Grimil ci hanno trovati prima che potessimo fare qualsiasi cosa e lei in persona ci ha intrappolati.” “Vorrei tanto potervi aiutare, ma io non ho poteri magici purtroppo.” “Sorellina, non mentire, ti abbiamo vista più di una volta rigenerare i fiori morti della mamma, perché ha il pollice nero, come la pece.” “Non è vero, non è magia, basta un po’ d’acqua.” “Sì, ma non quando sono tutti secchi.” “Celeste, posso chiederti un favore?” “Certamente Sebastian.” “Grazie. Allora, prova a pronunciare queste parole: Per tutti i petali di una rosa
fatata, che questa prigione venga subito cancellata!, e poi muovi il polso disegnando un cerchio in senso antiorario e tenendo la mano morbida e aperta.” “Ci provo, ma non so come potrebbe funzionare.” “Abbi fiducia in te, Celeste.” “D’accordo. Per tutti i petali di una rosa fatata, che questa prigione venga subito cancellata!” La prigione sparì in un lampo e i due maghi avevano riottenuto finalmente la libertà. Geronimus ricordò in quel momento chi era lui e chi era in realtà Celeste e si trasformò nuovamente in umano, l’incantesimo di Serenia era svanito. I ragazzi erano tutti sconvolti, tutti tranne i due maghi: “Padre! Finalmente sei tornato!” “Ragazzi miei, solo ora ricordo tutto! La regina Serenia mi ha salvato trasformandomi in segugio e dicendomi di seguire Grimil in ogni suo movimento, è così che sono sempre restato con la principessa, ma la mia memoria era stata cancellata dalla stessa Grimil, che mi aveva scoperto, ma ora, vedendo la giovane Celestia fare quell’incantesimo ho ricordato tutto. E vostra madre come sta?” “Papà, non ti preoccupare, la mamma è forte, è una gran donna. È rimasta tutto il tempo con la regina. Ora dobbiamo assolutamente tornare nella valle per liberare tutti.” “Figliolo, credo che prima sia meglio che la principessa assimili la notizia e che impari a usare i suoi immensi poteri.” Celeste, o meglio, Celestia era sconvolta da quelle notizie, da sempre aveva desiderato nel suo cuore di conoscere la verità sulle sue origini, ma mai avrebbe immaginato un ato di quel tipo. Una strega, lei era una strega. Ma non era per nulla una cosa buona, le streghe erano figure malvagie, erano il male in persona. “Principessa Celestia, so a cosa sta pensando. Lei crede che le streghe siano tutte cattive, ma non è così, dipende tutto da come ognuno di noi si comporta, dalle scelte che facciamo. In ognuno di noi c’è bene e male, ma siamo noi a decidere
cosa far prevalere e ciò vale anche per chi ha i poteri magici.” “Mr Geronimus, io credo di essere un po’ confusa… perché non si potevano liberare da soli i suoi figli, se hanno anche loro poteri magici?” “Perché la strega che ha fatto l’incantesimo era molto potente e perché era una prigione magica, che quindi annullava tutti i loro poteri.” “Capisco, ma come farò a spiegare tutto ai miei genitori? Come farò a imparare l’arte della magia per salvare il vostro, il mio regno? Credo che vi siate sbagliati tutti, io non posso essere la principessa che voi state cercando, io sono la figlia di un mugnaio, una trovatella, un’orfana.” “Voi siete la principessa, solo voi potete salvarci.” “Sebastian, la prego, io sono una semplice contadina, nulla di più.” “E l’incantesimo allora?” “Un miracolo, un colpo di fortuna.” “No, principessa, la prego, lei è una strega, maga se preferisce. Nella nostra valle lo siamo tutti e per i vostri genitori adottivi sembrerà tutto normale, come se avessero saputo tutta la storia dall’inizio, di questo non vi dovete preoccupare, ve lo prometto.” “Geronimus, siete stato un cane davvero fedele, quindi vi credo.” “Principessa Celestia, mi occuperò io stesso, con l’aiuto di mio figlio, della vostra educazione magica, da domani inizieremo le lezioni. Ora andiamo, i vostri genitori saranno di certo in ansia.” Tornarono tutti verso il mulino, i genitori di Celeste e Thomas furono felici di rivederli e chiacchierarono tranquillamente di Valle degli Incanti, come se la conoscessero da sempre, proprio come aveva detto Geronimus, non chiesero nemmeno cosa fosse accaduto al cane, tutto sembrava normale. Thomas discorreva allegramente di incantesimi e di campi da arare con Sebastian, come se lo avessero fatto fino al giorno prima. Dopo cena andarono tutti a dormire, ma Celestia non riusciva proprio a prendere sonno, così uscì un
attimo per prendere una boccata d’aria, si sedette in mezzo al prato per osservare il cielo stellato. Dopo un po’ arrivò anche Sebastian: “Principessa, cosa fate qui da sola? È pericoloso”. “Per favore, Sebastian, chiamatemi Celestia e datemi del tu.” “E allora anche voi, cioè tu.” “Sebastian, io non so nulla della valle, come posso aiutarvi se non conosco nemmeno il regno?” “Non ti preoccupare, appena ci tornerai, ti sembrerà di non essertene mai andata.” “Dici sul serio?” “Certamente, poi papà ti insegnerà tutto quello che c’è da sapere sulla magia. Lui è uno dei migliori maghi del mondo, naturalmente dopo il nostro re.” “Come mai è la regina a governare il regno e non il re?” “Purtroppo il re è sparito ancor prima che Grimil prendesse il potere, ancora prima di te, quindi non abbiamo più sue notizie da anni e la regina ha dovuto governare da sola la valle, forse è anche per questo che è riuscita a difendersi con meno efficacia. Le mancava il forte sostegno del mago più potente dell’universo.” “Secondo te lo ritroveremo? Ritroveremo mio padre?” “Certo, non preoccuparti, vedrai che andrà tutto per il meglio.” Le parole di Sebastian la rincuorarono, il giovane si alzò offrendole aiuto per alzarsi a sua volta e poi rientrarono in casa insieme. Il mattino dopo iniziarono le lezioni di magia. Geronimus era davvero intransigente: “Principessa, innanzitutto dovete concentrarvi intensamente su ciò che desiderate accada tramite l’incantesimo, poi dovete riflettere sulle parole da usare, le parole sono davvero molto importanti e non vanno sottovalutate.
L’importante è anche che voi creiate una rima. Ora proviamo qualcosa di semplice, per esempio provate a far apparire un mazzo di margherite”. “D’accordo, ora ci provo. Uccelli cinguettanti, magie fiorite, che qui appaia un mazzo di margherite!” “Ottimo, principessa! Brava davvero! Ora proviamo qualche altro incanto.” Celestia era davvero un’ottima maga, fece alcuni errori ovviamente, ma nulla di irrimediabile. I problemi insorgevano soprattutto quando Sebastian arrivava ad assistere il padre, la giovane si deconcentrava e combinava qualche guaio. Sebastian finì più di una volta ricoperto di edera, farina o piume, ma la conseguenza più grave era solo un forte dolore addominale, dovuto alle troppe risa. Ci vollero due mesi prima che la principessa riuscisse a padroneggiare al meglio la magia, ma fu comunque un lasso di tempo piuttosto breve rispetto a quello impiegato normalmente da un normale apprendista mago. Geronimus era molto orgoglioso della sua allieva, come del resto lo erano anche i suoi genitori e i suoi fratelli. Arrivò però il momento per lei di partire, la sua famiglia la lasciò andare, ma con un grande dolore e un grande vuoto nel cuore. Il viaggio durò alcuni giorni, quando arrivarono in vista della valle si fermarono. Dovevano ideare un piano per penetrare, senza essere visti, nelle segrete del castello, dove era tenuta prigioniera la regina Serenia. Celestia pensò che, se loro si fossero travestiti, nessuno li avrebbe riconosciuti, così assunsero l’aspetto di alcuni mercanti, che avevano notato sulla strada e che si stavano allontanando dalla valle, così che se qualcuno avesse chiesto loro chi fossero, avrebbero potuto dire di essere commercianti che si erano dimenticati di un affare in sospeso o qualcosa del genere. Il piano andò a gonfie vele, la regina Grimil non si aspettava un attacco, era convinta di essere al sicuro, soprattutto dopo aver intrappolato i due giovani figli di Geronimus. Stava tranquilla seduta sul suo trono, mentre dava ordini a destra e a manca e gongolava nel leggere il terrore negli occhi dei suoi sudditi. Di certo non credeva che la sua più acerrima nemica sarebbe penetrata nel castello attraverso un aggio segreto, che portava direttamente alle prigioni. Celestia, insieme ai suoi compagni di viaggio, aveva trovato l’imbocco del aggio
all’esterno delle mura di cinta e vi era entrata usando un incantesimo di apertura, per far sì che il masso che ostruiva il aggio si togliesse dall’imboccatura, utilizzò poi un incantesimo di illuminazione per far luce nell’angusta galleria. Sebastian e Geronimus erano sempre più sorpresi da come, in pochi mesi, la principessa fosse riuscita a padroneggiare l’arte magica. Con loro c’era anche Thomas, che non voleva lasciare sola in questa avventura la sua sorellina, ma non sapevano che anche i due pestiferi gemellini li avevano seguiti, senza che loro se ne accorgessero. Arrivarono presto alle celle, c’erano dei soldati a sorvegliarle, ma non ci volle molto a legarli con corde magiche da lontano. Quando i due uomini riconobbero la principessa, le chiesero di essere slegati per poterla salutare come si deve, sembravano sinceri e così lei li slegò. I due liberarono subito la regina dalla sua prigione e si unirono al gruppo per aiutarli a sconfiggere Grimil. Li avrebbero portati come prigionieri alla regina malvagia, così che potessero aggirarsi tranquilli per il castello, senza essere fermati dai veri seguaci della strega. Arrivarono velocemente alla sala del trono e qui trovarono Grimil, la donna stava ascoltando le richieste dei suoi sudditi e tutti coloro che non avevano un dono per lei finivano trasformati in rane, ciuchi, corvi o altri animali, non proprio apprezzati dalla maggioranza della gente. Proprio in quel momento, la strega stava per trasformare il fabbro del villaggio in ciuco, ma per la fortuna dell’uomo la principessa interpose fra lui e la strega uno scudo magico, così l’incanto rimbalzò e tornò verso chi lo aveva lanciato. Grimil era però una maga molto capace, malvagia ma capace, così riuscì a evitare di trasformarsi lei stessa in asino. Solo in quel momento, la strega si accorse della presenza di un gruppo sospetto in mezzo alla folla. Cercò subito di distruggerli, ma Celestia li protesse tutti con delle magie molto azzeccate e che non fallirono. La maga allora si infuriò davvero e trasformò tutti i sudditi presenti in galline e galli, riuscì a lanciare un incantesimo di incatenamento a tutti gli altri, solo Celestia restò libera, Grimil voleva ucciderla definitivamente, non voleva dover più sentir parlare di lei. La principessa era forte, ma sembrava che non lo fosse abbastanza per difendere se stessa e i suoi cari da quella vecchia megera. Solo nel momento in cui sentì di star perdendo tutte le forze, udì la voce di suo padre: le diceva di tenere duro, di essere forte, perché lei era davvero una grande maga e ormai anche una donna. Quelle parole la rincuorarono e lanciò subito un incantesimo di annullamento: “Magie buone, cuori degli amati, che tutti gli incanti di Grimil siano annullati”.
Non rendendosene conto, Celestia aveva annullato tutti gli incantesimi fatti dalla vecchia strega, mentre sperava solo di annullare quello sui presenti. I sudditi ripresero le loro sembianze, i suoi amici furono finalmente liberi e dal nulla comparve suo padre, il re di Valle degli Incanti. Grimil infatti lo aveva rinchiuso in un candelabro, chi mai avrebbe pensato che il re fosse sempre stato lì vicino? Mentre la famiglia si riuniva, la megera cercò di colpirli alle spalle, ma proprio in quel momento Guillermo e Julian colpirono la strega, facendole cadere un vecchio calderone, che avevano preso nelle cucine, in testa. Grimil svenne, ma dopo pochi secondi si riprese e catturò i due gemellini: “Ho i tuoi fratellini, Celestia, ora dovrai arrenderti, se non vuoi che facciano una brutta fine”. “D’accordo Grimil, io mi lascerò colpire da te, ma tu, ora, devi lasciarli andare.” “Va bene, non c’è problema.” La strega lasciò andare i due bambini e poi iniziò a eseguire l’incanto peggiore che possa esistere, quello che porta alla morte di un’altra persona. Solo le streghe più cattive osavano pronunciarlo, perché uccide l’anima di chi lo esegue, la rende sempre più oscura e malvagia: “Ragni pelosi, serpenti velenosi, che la morte ti avvolga in pochi secondi dolorosi! Ah, ah, ah. Ho ucciso la principessa!” “No! Celestia! Ti prego, non puoi morire proprio ora! Tu, brutta, vecchia megera, io ti distruggerò!” “Stupido maghetto da quattro soldi, cosa credi di fare!” Grimil scagliò un incanto su Sebastian e lo fece volare dall’altra parte della sala del trono. Fu in quel momento che Celestia si risvegliò, era riuscita appena in tempo a creare uno scudo magico protettivo, la forza dell’incantesimo di Grimil l’aveva però sfiancata e la giovane era svenuta. In quell’istante, vedendo il suo giovane amico volare sopra le loro teste, Celestia sentì una forza magica inaudita scorrerle nelle vene, si concentrò e prima che la strega malvagia si rendesse conto che lei era ancora viva, pensò a un incanto per rinchiuderla definitivamente nel Deserto Infinito: “Grimil, questo non dovevi farlo!” “Ma come fai a essere ancora viva, tu piccola vipera insolente?!”
“Finché c’è bisogno di me, io non mi farò di certo uccidere con tanta facilità. E ora preparati a finire nel Deserto Infinito! Foglie di quercia in primavera, saggi che padroneggiano i mille saperi, che Grimil sia privata di tutti i suoi poteri!” “No! Come ti permetti, piccola rana senza cervello! Ora ti distruggo!” “Gigli bianchi, rose profumate, fiori vivaci di un prato fiorito, che Grimil sia rinchiusa per sempre nel Deserto Inifinito!” “No!” La vecchia strega sparì in un lampo, lasciando dietro di sé solo una nuvola di polvere. Celestia non stette lì a festeggiare in mezzo alla sala con gli altri, ma corse subito verso il corpo del povero Sebastian, che era svenuto. Sapeva bene che la magia non poteva sostituirsi alla medicina, ma allo stesso tempo non poteva lasciarlo morire. Geronimus le si avvicinò: “Principessa, sapete i pericoli che correte voi stessa a tentare un tale incanto, lasciate che continui il suo viaggio, morirà da eroe. Le ferite che ha sono troppo gravi”. “Non importa se rischierò la mia vita per salvare la sua, non importa davvero. Migliaia di anni fa la magia è nata e dalla medicina è stata accompagnata, che ora si uniscano per insieme salvare questa vittima da Grimil colpita e affondata!” Celestia svenne dopo aver pronunciato queste parole, mentre Sebastian iniziò a riprendersi, sempre più velocemente. Vedendo la principessa per terra inerme credette che fosse morta, poi Geronimus gli spiegò l’accaduto e il giovane si arrabbiò molto, ma sapeva che la principessa era forte, doveva riprendersi per forza. La giovane fu portata nelle sue stanze, il re e la regina, con l’aiuto di Geronimus, sistemarono il castello e organizzarono grandi festeggiamenti per quando la principessa si fosse ripresa, ai quali invitarono anche la sua famiglia adottiva, che l’aveva amata e curata per tutti quegli anni. Dopo circa due settimane la principessa si era ripresa completamente e si tenne la più grande festa che Valle degli Incanti avesse mai visto. Thomas, Guillermo e Julian furono premiati con una spilla a forma di stella magica, che li avrebbe sempre protetti, e vennero invitati a vivere con i loro genitori al castello, Geronimus riprese il suo ruolo di fedele consigliere del re, i sudditi erano tutti felici per il ritorno dei loro veri sovrani, perché avevano sempre governato il mondo magico con bontà e saggezza. Celestia venne chiesta in sposa da Sebastian, il re accettò di buon grado, ma solo se la figlia fosse stata d’accordo.
La giovane, dopo aver esitato un po’ per tenere l’amico sulle spine, gli disse di sì, in fondo era dal primo giorno in cui lo aveva incontrato che sentiva per lui qualcosa in più del semplice affetto che si prova per un amico. Di certo per Sebastian non sarebbe stato facile essere il principe consorte, poiché Celestia aveva un carattere piuttosto forte, ma imparò subito come trattare con lei e anche la giovane addolcì un po’ quel lato della sua personalità, così da riuscire a governare a loro volta in armonia per molti, molti anni. Per quanto riguarda Grimil, la vecchia strega visse sempre nel Deserto Infinito, nessuno dimenticò mai tutto il male che aveva portato e per questo restò sola, senza che nessuno andasse a liberarla, fino alla fine dei suoi giorni. Ancora oggi Valle degli Incanti è un luogo magico e felice, speriamo che nessun altro mago o strega cattivi cerchino di distruggere tale armonia, sarebbe un peccato, se anche loro dovessero imparare la lezione, che se un uomo vuol essere malvagio, soffrirà sempre di una forte solitudine, perché non avrà mai amici, ma solo seguaci che lo temeranno e per questo non lo contraddiranno mai.
Salisburgo, 14 gennaio 2012
Cara nonnina mia, oggi è stata una giornata meravigliosa. In questi venti giorni sono successe talmente tante cose, mi sembra di essere invecchiata di alcuni anni, ma in realtà non è trascorso neppure un mese. Le tue storie mi hanno aiutata molto a capire come gestire i miei poteri, ma anche come prendere una decisione riguardo al regno magico. Comunque inizierò a raccontarti tutta la mia giornata dall’inizio. Questa mattina mi sono alzata piuttosto tardi, eravamo tutti molto stanchi, sono stata comunque fra le prime a svegliarsi. Sono andata a comprare la colazione per tutti, poi ho alcuni bollitori per il tè, non c’era modo migliore per iniziare la giornata. Un po’ alla volta sono arrivati gli altri, abbiamo mangiato tutti insieme, felici che la battaglia fosse finita dopo soli due giorni, sappiamo tutti che questo era solo l’inizio, perché di certo l’Organizzazione progetterà una terribile vendetta, ma in quel momento ho desiderato solo vivere il momento e godermelo fino in fondo. Dopo colazione abbiamo risistemato la fortezza, così potranno riaprirla già domani.
Dopodiché ci siamo trasferite ad Hellbrunn, Frau Christabel ha convinto i responsabili a concederle la villa per un paio di giorni, non ho idea di come abbia fatto, ma credo che c’entri un pizzico di magia. Ero comunque felice. Ho parlato con Ms Edwina, mi ha chiesto cosa avessi deciso di fare riguardo alla corona, così le ho dato la bella notizia, cioè che avevo deciso di diventare la loro regina, se tutti fossero stati d’accordo, ovviamente, non voglio di certo prendere il potere come un dittatore, non sono quel tipo di persona, non sarò mai una monarca assoluta, così lei è andata subito a consultare il Consiglio. Abbiamo pranzato tutti insieme con bretzen, bratwurst e crauti. Nel primo pomeriggio Frau Christabel mi ha chiesto di parlare un po’ con lei, così siamo andate a eggiare nei giardini, fra i laghetti. Mi ha spiegato molte cose: “Rossana, oh cielo, forse dovrei chiamarti mia regina e darti del lei”. “No, Frau Christabel, preferisco che lei continui a mantenere con me il tono confidenziale, non mi girerei nemmeno se lei mi chiamasse regina o qualcosa del genere.” Abbiamo riso insieme, poi l’ho presa sotto braccio, così si è sentita più serena e ha ripreso il tono confidenziale. “Rossana, durante la battaglia, credo ti sarai posta varie domande. Siamo rimasti tutti molto sorpresi dai tuoi incantesimi. Non è tutto merito dei libri che hai letto, ma soprattutto dei tuoi grandi poteri e della vicinanza della casa della tua ava. Sei una strega molto potente, molto potente davvero, ma anche piena di buone doti. Credo sia merito dei racconti della tua bisnonna. Sai, siamo felici che tu abbia accettato il ruolo di nostra sovrana, ti prometto che la tua vita nell’altro mondo non cambierà, aumenterà solo il tuo sesto senso, ti servirà per controllare l’utilizzo della fantasia e se essa è minacciata dalla magia nera, sentirai anche se il suo potere è in calo o se è proprio in pericolo, ma non ti devi preoccupare per il resto, vivrai in entrambi i mondi senza alcun problema e questa è una promessa. Poi ti sarai chiesta come abbiano fatto i tuoi amici a raggiungerti, so che Madame Alphonsine in realtà li ha aiutati, sapeva che il loro o sarebbe stato vitale per te, ma ha semplicemente detto loro che la fantasia ha un potere inimmaginabile, basta solo essere capaci di usarla nel modo giusto. Hai scelto davvero bene le tue amicizie, hanno usato l’immaginazione in maniera perfetta, sono riusciti a svanire da Parigi, sconfiggendo tutti i gli incanti di Madame Alphonsine e sono arrivati qui, nel luogo giusto, al momento giusto. Ci hanno sorpresi, ma ci sono segreti di magia antica, che non hanno spiegazione, quindi non so darti una spiegazione
scientifica. Ma in fondo è questa la magia della fantasia. Questa città stessa è magica e nasconde moltissimi segreti, tutti da scoprire, è per quello che ne sei così attratta, ora ti lascio, devi prepararti e poi ora sta arrivando qualcun altro che vuole parlarti. Ci vediamo alla festa dell’incoronazione, mia cara.” Frau Christabel si è allontanata, mentre arrivavano Ian, Spring e Ted. Ho subito chiesto loro se stessero bene, fortunatamente erano tutti in forze. Ci siamo abbracciati stretti l’uno all’altra, era così bello averli vicini, ormai anche loro facevano parte del mondo magico e lo sapevano, devo dire che ne sono stati piuttosto felici. Siamo andati a fare un giro allo zoo, li ho portati subito verso l’orso bruno e gli alpaca, mi piace così tanto osservarli. Sono così belli, così tranquilli, ma siamo dovuti tornare presto alla villa, dovevo ancora decidere che incantesimo fare per la mia incoronazione, è una tradizione così importante. Avrei voluto fare lo stesso incanto della prima regina, ma mi hanno impedito di cercarlo. Nel frattempo l’edificio è stato decorato a festa e i giochi d’acqua sono stati accesi e poi congelati e le guardiane hanno anche creato una bellissima pista da pattinaggio, per chi non avesse voluto ballare, era un’idea davvero originale. Ero molto nervosa, un’ora prima dell’inizio della celebrazione Ms Edwina e Madame Alphonsine sono venute a portarmi conforto e mi hanno aiutata a prepararmi, le migliori sarte-guardiane avevano cucito per me un meraviglioso abito blu notte, cosparso di una polvere brillante, che sembrava polvere di stelle. L’abito era formato da un corpetto rigido e da una gonna di tulle, mi avevano poi donato una stola, sempre blu notte. Le scarpe erano dello stesso colore, ma con poco tacco, avevo paura di cadere e ruzzolare giù per tutti i gradini scendendo le scale. Madame Alphonsine mi aveva poi raccolto i capelli in uno chignon, decorato con fiori di campo, ma alcuni ciuffi li aveva lasciati liberi, in modo da incorniciare il viso. La cerimonia è stata molto solenne e l’incantesimo che ho scelto è stato un successo, ho fatto comparire moltissimi tipi di fiori in tutta la sala, soprattutto stelle alpine e vischio, sembrava di stare in un magnifico giardino a primavera, poi ho fatto in modo che il soffitto diventasse trasparente, così che tutti potessero vedere il cielo che ci sovrastava in quella notte così magica. Ho fatto poi scendere neve dal cielo, che cadendo si trasformava in petali di rosa, che hanno ricoperto tutta la sala. Ms Edwina poi mi ha confessato, che la mia ava aveva fatto lo stesso incantesimo: coincidenza o destino? Non voglio saperlo, la magia
è un mistero, è unica e irripetibile. È stata proprio Ms Edwina a incoronarmi, eravamo tutte molto emozionate, poi sono iniziate le danze. Io mi sentivo però un po’ giù, avevo bisogno di stare da sola, di riflettere, quello era un nuovo inizio, così sono andata a eggiare nel parco e sono arrivata fino al pavillon, dove era stata girata una delle più belle scene di The Sound of Music. Sono subito entrata, era davvero emozionante stare lì dentro, nella mia mente scorrevano le scene del film, così mi sono seduta lì in mezzo a respirare profondamente quell’aria incantata. A un certo punto ho sentito un rumore di i. Sapevo già chi era, senza aver bisogno di girarmi. “Mia regina, mi concedete una parola?” “Anche due, se eviti di chiamarmi regina, Ian.” “Come hai fatto a capire che ero io? Non ti sei nemmeno girata!” “Il tuo profumo, i tuoi i, l’aura che ti gira intorno, tutto mi dice chi sei.” “Mi fai paura così. Sei davvero bella questa sera.” “Grazie…” “So che vorresti stare da sola, ma posso stare qui con te per un po’? Questo è il padiglione di Tutti insieme apionatamente, vero?” “Sì. Sai, mi fa piacere, che anche voi, tu, Ted e Spring, facciate parte del mio nuovo mondo, mi sarei sentita sola senza di voi.” “E noi senza di te.” A quel punto una musica si è diffusa in tutto il padiglione, era la stessa del musical, sapevo che era opera di Sir Green, cercava di tirarmi su, di farmi allontanare dai miei tristi pensieri. Ian mi ha invitato a danzare, non ne avevo molta voglia, ma per educazione ho accettato, una regina deve sempre assecondare le persone che le stanno intorno, soprattutto se sono cari amici. Era così bello stare lì con lui, il mio migliore amico. Qualcosa di magico stava accadendo. Quando la musica è terminata i nostri visi erano così vicini, sentivo il suo profumo più forte che mai e poi lui ha fatto una cosa inaspettata: si è avvicinato ancora di più, le punte dei nostri nasi si sono
sfiorate appena e poi mi ha baciata. Era un bacio dolce, delicato, ma allo stesso tempo era pieno di ione, di affetto, era il bacio perfetto. Ero sconvolta, in senso positivo, ma sconvolta. Poi mi ha accarezzato il viso, ero sconcertata, ma non muta: “Perché l’hai fatto?” “Volevo sapere com’era baciare una regina magica.” “Ma Ian!” “Non è niente, era solo l’impulso di un momento, siamo amici, capita a volte. Comunque è stato bello, no?” “No, per nulla, è stato orrendo.” “Ma come? Così mi ferisci!” “Amico mio, non va, proprio non va, devi allenarti di più.” “Sciocca ragazzina, io sono un grande baciatore! Guarda che lo so che ti è venuta la pelle d’oca. E poi vedila da questo punto di vista: se davvero sono così imbranato avrò diritto ad allenarmi e per farlo ho bisogno di un’amica da baciare, così non sfigurerò con le mie compagne di corso, che avranno l’onore di stare al mio fianco.” “Sei proprio il solito ranocchio maldestro, che crede di saltare con eleganza. Comunque è vero, avevo la pelle d’oca, ma per il freddo.” Non volevo confessargli, che era stato il più bel bacio che avessi mai ricevuto, non volevo dargli quella soddisfazione, ma soprattutto non volevo rovinare la nostra amicizia. Era stato così strano, non volevo che nella nostra amicizia cambiasse qualcosa, a me piace così com’è. Siamo così giovani ancora, non vale la pena preoccuparci troppo di avere qualcuno d’amare per sempre e se qualcosa mai nascerà, ci penseremo poi, per ora voglio solo godermi il momento. Il problema è che lui conosce il mio punto debole, così ha iniziato a rincorrermi per farmi il solletico e farmi confessare la verità, ma ho resistito. Per fortuna dopo qualche minuto sono venuti a chiamarci Ted e Spring per una pattinata al chiaro di luna, così siamo usciti dal padiglione, aveva anche iniziato a nevicare, ci siamo tutti avviati a braccetto, ho sentito che quello era un nuovo inizio e non poteva essere migliore, avevo appena fatto un o verso il futuro insieme alle
tre persone più importanti della mia vita. Ora trascriverò l’ultima storia, È quasi Natale, per questo nuovo inizio non potevo sceglierne un’altra, questa è proprio perfetta. Cara nonnina mia, in questi venti giorni mi hai guidata anche da lontano, mi hai fatta crescere e maturare con i tuoi racconti, che mi hanno dato molti spunti di riflessione, è tutto merito tuo se ora sono dove sono. Spero che da lassù tu sia felice e che tu sia almeno un po’ orgogliosa di me e delle mie scelte, ti voglio bene, non ti dimenticherò mai. La storia in sé non parla del Natale, ma si svolge in questo periodo dell’anno. Anche questa è una delle mie storie preferite, in realtà mi piacciono tutte le storie in cui le donne abbiano un ruolo centrale e non siano ive, non siano le tipiche dame in pericolo, che hanno bisogno di essere salvate da un cavaliere. Amo i racconti in cui le giovani cercano di risolvere i propri problemi da sole, anche se commettono degli errori, riescono comunque a salvare se stesse, i loro amici o innamorati e il loro regno. Sembro una femminista, vero nonna? In parte lo sono in realtà, mi piace l’idea che la donna sia indipendente, che lavori, che decida da sola il suo destino, che non sia succube dell’uomo che ama, ma che riesca a imporsi, che dimostri la sua intelligenza e le sue capacità. Le donne devono avere veramente pari opportunità rispetto all’uomo, non desidero altro che questo per il mio futuro e quello delle altre donne. Tu hai dimostrato di potercela benissimo fare da sola a crescere una famiglia, mostrando che avere un uomo al proprio fianco è importante, ma non essenziale. Vorrei proprio sapere perché così tanti uomini sono convinti che le donne da sole non valgano nulla, noi valiamo eccome, ecco perché amo così tanto i personaggi delle tue storie. Queste ragazze dimostrano di apprezzare l’amore, di sentirne il bisogno, ma sono pronte a rinunciarvi, pur di poter salvare il proprio regno. Amano comunque i loro compagni, che in generale le rispettano, e quelli che non le apprezzano vengono ritenuti figure negative e fanno sempre una brutta fine. Con le tue storie mi hai insegnato molto: l’amore per le mie tradizioni, il rispetto nei confronti del prossimo, l’importanza delle amicizie sincere, saper riconoscere la magia anche nella realtà, la bellezza interiore e l’importanza dello studio, di una buona istruzione. Nonna, non so se fosse davvero quello che pensavi anche tu, ma io credo di sì, eri una gran donna e vicino a una grande donna ci deve essere sempre un grande uomo, ma devono essere alla pari, in fondo anche Dio ha creato la donna da una costola dell’uomo e non dalle ossa
del piede, proprio per renderla suo pari, perché allora dovrebbe essere ritenuta inferiore? So che in molti non ritengono la religione una buona spiegazione, ma io ritengo che sia solo una delle tante. Le donne non sono né migliori, né peggiori dell’uomo, sono uguali, sono sue pari e questo dovrebbe entrare nella testa di tutte le donne e di tutti gli uomini del mondo, perché troppe volte le donne subiscono ancora i desideri degli uomini, vengono spesso sottomesse e in molte non si ribellano per paura, ma questo è sbagliato, è completamente sbagliato. Uomini e donne sono uguali, ma quando ci sarà davvero questa parità? Io spero che avvenga al più presto. Sai nonna, spero un giorno di trovare anche io il mio Sebastian, il mio Johann, uno qualsiasi dei protagonisti maschili delle tue storie, insomma, spero di trovare un ragazzo che sappia rispettarmi e che rispetti anche le altre donne, un giovane che riconosca l’importanza di una buona istruzione, anche per le donne. Spero che esista un ragazzo del genere e che non rimanga segregato solo nella mia fantasia e nei tuoi racconti. Mi hai dato tanto, nonna, sei stata la mia prima compagna di giochi, la più importante. Sei stata una figura di riferimento, un modello, e lo sei ancora, nonna, lo resterai per sempre. Resterai per sempre nel mio cuore e nel cuore del resto della nostra famiglia. Sei stata una grande donna, una grande mamma, una grande figlia, una grande nuora, una grande nonna. Saresti stata anche una meravigliosa trisavola, ma anche se non sarai qui, ti prometto che i tuoi trisnipotini conosceranno la tua storia, conosceranno i tuoi racconti, cercherò di insegnare loro tutto ciò che tu hai insegnato a me, e spero di trovare un padre per loro che sia all’altezza di questo compito. È puntando al cento, che raggiungi almeno il novanta, e il novanta va più che bene. So che il destino non sarà poi così clemente con me, ho un ruolo davvero difficile da gestire e non so se troverò chi vorrà starmi accanto per tutta la vita, sopportando il dualismo fra i miei, i nostri, due mondi, ma per il momento le persone che amo vivono con me a cavallo fra realtà e magia e questo basta a rendermi felice. Odierei dover raccontare loro un sacco di frottole, per giustificare le mie fughe improvvise, invece così sanno tutto e mi aiuteranno, perché ormai è evidente che anche loro hanno acquisito dei poteri magici e di questo sono ancora più felice. Ora ti lascio, i ragazzi stanno arrivando. Abbiamo deciso di trascorrere tutti insieme la prima notte della mia nuova vita, dormiremo tutti insieme nella mia stanza, ma che questo resti un segreto fra di noi, perché le altre guardiane non sarebbero molto d’accordo, non si addice a una principessa organizzare un pigiama party a cui aderiranno anche dei maschi; ma in fondo anche le principesse a volte
sbagliano e non si comportano proprio benissimo, no?! Vado, ti scriverò al più presto, ti voglio bene, tua Rossana.
È quasi Natale
C’era una volta un regno molto felice, che si trovava vicino a un grande mare cristallino. Un sovrano buono e magnanimo vi regnava con grande giustizia e nessuno dei suoi sudditi era infelice. Il re aveva anche un figlio piuttosto giovane, avrà avuto all’incirca vent’anni, era un ragazzo molto gentile, bruno e con gli occhi chiari. Il giovane Sebastian non aveva mai conosciuto la guerra e non avrebbe mai saputo come affrontarla nel caso in cui suo padre, ormai molto anziano, fosse morto. Nel castello viveva anche una giovane, figlia del consigliere del sovrano, morto da pochi mesi, la giovane Anne aveva qualche anno in meno di Sebastian, era bionda e aveva degli splendidi occhi azzurri. Purtroppo le si leggeva nello sguardo il grande dolore che l’aveva toccata. Il re aveva cercato di aiutarla in tutti i modi, le aveva dato la possibilità di avere un’istruzione, seppur fosse una donna. Il sovrano sapeva che era una giovane molto intelligente, avrebbe potuto sostituire suo padre facilmente e lui sarebbe stato ben felice di averla al suo fianco come fedele consigliera. In quel periodo il re aveva dovuto nominare un nuovo consigliere, purtroppo non si rese conto di aver scelto l’uomo sbagliato. Transilvar era un uomo malvagio e pieno d’odio nei confronti del suo sovrano e si era fatto nominare solo per potere controllare da vicino le mosse del re e per poter fare in modo che prendesse le decisioni sbagliate. Sebastian trovava spesso Anne in biblioteca, assorta nella lettura di qualche libro riguardante i regni confinanti o semplicemente qualche romanzo. La salutava ogni volta cordialmente, ma lei sembrava sempre così lontana. Il padre gli aveva chiesto di starle vicino in quel periodo difficile, ma crescendo si erano allontanati molto e sembrava che la loro amicizia fosse finita per sempre, non capiva il perché, avevano trascorso insieme il periodo più bello della loro vita. Anne da parte sua sentiva che Sebastian sarebbe divenuto un giorno re, capiva
anche che serviva un certo distacco, perché lui la prendesse sul serio quando sarebbe diventata la sua consigliera, seppur Transilvar non avrebbe rinunciato facilmente al suo posto. Anne temeva che quell’uomo un giorno avrebbe messo nei guai il regno con i suoi vicini, non le piaceva per nulla e decise di tenerlo sotto stretto controllo. Anne osservava tutti i suoi spostamenti e più vedeva, più quell’uomo la preoccupava, sentiva che sarebbe successo qualcosa di negativo da un momento all’altro. Il fattaccio avvenne circa un paio di settimane dopo, il re doveva ricevere la visita di uno dei sovrani regnanti delle montagne. Anne era preoccupata, non erano persone facili da comprendere, inoltre ciò che per loro era educato per gli altri era maleducato, come soffiarsi il naso in pubblico. Transilvar informò invece il suo re che le regole di comportamento da rispettare erano le stesse, così il sovrano, purtroppo raffreddato, si soffiò il naso di fronte al suo collega, che se ne andò immediatamente indignato. Anne decise allora di parlare a re Fabian della sua scoperta, ma Transilvar glielo impedì, cacciandola dalla sala. Qualcosa si risvegliò in Anne, il desiderio di ottenere giustizia le aveva ridato vitalità, ora sapeva che la sua vita aveva uno scopo e per portarlo a termine doveva ottenere un colloquio con il re; purtroppo lui era molto occupato e Tansilvar non lo lasciava mai solo. Su Sebastian non poteva contare perché in quel momento si trovava lontano per un corso di giostra. La giovane decise di aspettare il ritorno del vecchio amico e di chiedere aiuto a lui, ma al suo rientro il giovane subì il lavaggio del cervello da parte di Transilvar e quando incontrò Anne la salutò a malapena: il vecchio malvagio lo aveva convinto che lei fosse solo un’oca giuliva e che era capace solo di ammaliare i giovani sventurati come lui. Anne non sapeva davvero più che fare, decise allora di scendere nelle cucine, le piaceva molto cucinare quando era triste, confusa o depressa. Il cuoco ormai la conosceva bene e lasciava che creasse qualsiasi cosa le asse per la testa. Dopo circa un quarto d’ora entrò qualcuno in cucina, era Sebastian. Quando la vide cercò di uscire, ma lei ormai lo aveva visto: “Può restare, vado via io, se la mia presenza le sembra inopportuna”. “Ma no Anne, è solo che… Insomma… Transilvar mi ha raccontato delle cose sul tuo conto e sai che il dubbio è l’assassino di qualsiasi rapporto.”
“Lo so, mio principe, ma io le giuro che amo il mio regno e il mio sovrano, che mi ha aiutato molto, quindi non capisco perché lei dovrebbe dubitare sulla mia fedeltà.” “Smettila di darmi del lei, siamo cresciuti insieme.” “Il problema è tuo, Sebastian, non mio, io credo in te più che in ogni altro, diventerai un grande sovrano, ma se riporrai la tua fiducia nelle persone sbagliate finirai nei guai, in grossi guai.” “Anne, santo cielo, di cosa stai parlando!” “Del nuovo consigliere di tuo padre, è lui che lo ha messo nei guai con il re del Nord, non di certo io, so benissimo che non ci si può soffiare il naso davanti a un nordico, come so molte altre cose, le ho lette, le ho studiate, quell’uomo trama qualcosa alle vostre spalle, Sebastian.” “Sei la solita, dubiteresti anche di tuo padre a volte.” Il volto di Anne si rabbuiò e Sebastian capì di aver sbagliato decisamente esempio, se ne pentì e cercò di avvicinarsi a lei per abbracciarla e per scusarsi, ma lei si scostò furente: “Scusami, Anne, non volevo, sono stato uno stupido, mi dispiace per tuo padre e per averlo nominato in questa situazione”. “Lo conoscevi e conosci me, ma preferisci fidarti di un uomo che non hai mai visto prima, che se ti dicesse che questi biscotti sono avvelenati, tu gli crederesti, anche se li hai già mangiati centinaia di altre volte.” Sebastian si avvicinò al vassoio con i biscotti e ne prese una manciata divorandone uno dopo l’altro. Anne allora rise, non era di certo l’atteggiamento più consono a un principe, quello di avere la bocca piena di biscotti. Risero insieme, come non facevano da molto tempo. Dopo aver inghiottito tutti quei dolci l’abbracciò stretta al suo petto: “Scusa se ho dubitato, non lo farò più, lo giuro, comunque non sono tanto buoni…” “Ma come ti permetti!” “Sono meravigliosi! Ora spiegami questa cosa di Transilvar.” “Sono quasi certa che sia stato lui a dire a tuo padre che il bon ton era lo stesso
nei due regni. Non sembra molto grave, ma in realtà lo è, perché tuo padre lo ha fatto fuggire con il suo comportamento.” “Lo avevo immaginato anche io, ma servono prove per parlarne con mio padre. Non mi fido neanche io di quell’uomo, ma per osservarlo più da vicino devo ottenere la sua piena fiducia.” “Quindi lo hai fatto apposta a non parlarmi più dal tuo ritorno?” “Sì e no. Ultimamente mi sembrava che tu volessi stare sempre da sola, che non volessi più parlare con me.” “No, assolutamente, è che quando tu sarai re e se mai io sarò la tua consigliera, non vorrei mai che tutti dicessero che mi hai nominata solo perché ero tua amica.” “Non ci pensare nemmeno, davvero, se ti sceglierò sarà per le tue capacità, non per l’amicizia che ci lega, anche se questa contribuisce al fatto che io sia certo della tua fedeltà alla corona.” I due si congedarono, Sebastian prese ancora un sacchetto dei biscotti di Anne e poi uscirono insieme. Erano entrambi molto più sereni dopo quell’incontro, la giovane tornò rinfrancata ai suoi studi, mentre il principe andò a fare una eggiata a cavallo. Transilvar si era molto insospettito scoprendoli entrambi felici, decise di intervenire pesantemente sulla loro relazione. Vedeva nei loro occhi l’affetto che provavano l’una per l’altro e che lui non aveva mai provato in vita sua, era un uomo malvagio e non conosceva l’affetto, seppur i suoi genitori lo avessero molto amato. Era stato un bambino molto viziato, tutto ciò che voleva gli era sempre stato dato, non capiva dunque la gratuità del dono e dell’amore verso il prossimo. Decise di convincere il re che il principe aveva bisogno di un corso intensivo per cavalieri in montagna, mentre la giovane studiosa aveva bisogno di capire cosa fosse l’umiltà, poiché la vedeva sempre più superba, il re la inviò allora in aperta campagna presso un signore, amico di Transilvar, il quale aveva chiesto a questo suo conoscente, di nascosto dal sovrano, di trattarla come una schiava. I due giovani si salutarono affettuosamente prima di partire e poi presero strade molto diverse, ma che li avrebbero di certo fatti crescere. Anne giunse ben presto
alla fortezza del vassallo di re Fabian, qui venne subito introdotta nelle cucine e dovette subito rimboccarsi le maniche. I servitori erano tutti sorpresi che una giovane abituata alla vita agiata sapesse cucinare, lavare e rassettare come faceva lei e da quel momento, vedendo anche la sua determinazione a non perdere la propria dignità, la aiutarono molto, le furono vicini. Sebastian stava invece studiando la nobile arte dei cavalieri, si impegnava molto e i suoi maestri erano orgogliosi di lui, lo avrebbero lasciato tornare a casa anche subito, vedendo che ormai era già un cavaliere, ma Transilvar aveva ordinato loro di tenerlo lì occupato fino a nuovo ordine del sovrano. Re Fabian da parte sua soffriva per l’assenza dei suoi due tesori, non vedeva l’ora che tornassero, ma sembrava che quel momento non sarebbe mai arrivato ed era quasi Natale. Transilvar decise allora di portare definitivamente il suo piano al livello massimo: convinse il re che era giunta una dichiarazione di guerra da parte dei regni vicini e che era necessario rispondere con la violenza. Re Fabian non condivideva per nulla l’idea del suo consigliere, ma, su sua pressione, alla fine accettò e dichiarò a sua volta guerra ai regni montani. Quando Anne e Sebastian ricevettero tale notizia, ne furono molto addolorati e cercarono subito di tornare a casa, il giovane non ebbe problemi, il suo maestro era d’accordo con lui, che in quel caso suo padre aveva bisogno di averlo al suo fianco, ma il signore, che aveva reso schiava Anne non voleva proprio liberarla, così la notte seguente, con l’ausilio delle tenebre, la ragazza cercò di fuggire da quella prigione, una guardia la scoprì, ma lei con un colpo da maestra lo stese con una padellata in testa. Si pentì subito di averlo colpito, la violenza è sempre sbagliata, ma era una causa di forza maggiore, per il bene del suo regno doveva tornare a casa. Anne camminò per tutta la notte, ma giunta quasi al castello si vide la strada bloccata da un gruppo di guardie montane, che la catturarono e la portarono dal loro sovrano, re Julian. Il signore dei monti era un uomo molto magnanimo e paterno, quando si trovò davanti quella giovane fanciulla si preoccupò subito per la sua salute, poiché la vedeva spaurita e denutrita. Le offrì una buona colazione e poi iniziò con lei una lunga chiacchierata: “Mia cara fanciulla, cosa ci facevi lì fuori da sola nel bel mezzo di un assedio?” “Mio buon sovrano, cercavo di tornare al castello di re Fabian per impedire
questa guerra. Il vecchio consigliere del re, mio padre, è morto da quasi un anno ormai e il re ha voluto al suo fianco un uomo meschino di nome Transilvar. Il principe Sebastian e io abbiamo da subito dubitato di quel vecchio, ma il re non ha voluto sentire ragioni e su consiglio di quell’uomo ci ha spediti ai due confini opposti del regno. Io sono fuggita nella notte dal luogo dove Transilvar mi aveva mandata per lavorare come una schiava. Mio buon re Julian, la prego, farò qualunque cosa lei mi chieda, ma non attacchi il castello, mettendo in pericolo vite innocenti. Sono certa che Transilvar ha tramato contro voi e contro re Fabian per farvi combattere, non so con che scopo, ma questo è ciò che penso. Il mio sovrano non è mai stato propenso alla guerra, mai.” “Lo so, mia giovane fanciulla. Dobbiamo pensare a un piano per incastrare il malvagio traditore. Ho già sentito parlare di lui, ha fatto lo stesso a ovest e alla fine è riuscito a rendere succube il re che ha vinto la guerra e ora controlla lui tutte quelle terre.” “Se posso permettermi, perché non chiedete a re Fabian di avere un incontro diretto? Oppure io potrei portargli un messaggio scritto, in cui gli spiegate che voi non volete combattere contro un amico.” “Ottima idea, allora ti libererò e ti consegnerò una lettera per il mio vecchio e sventurato amico. Grazie mia cara…” “Anne, Vostra Maestà, mi chiamo Anne Marie Janvier.” “Ottimo, ora vai con questo messaggio, spero di ottenere presto una risposta positiva per terminare prima che inizi questo sciocco fraintendimento.” Anne partì immediatamente verso il castello, la fecero entrare subito, ma appena giunta nella sala del trono Transilvar la catturò e la portò di persona nelle segrete, rinchiudendola in cella con un cavaliere dal viso tumefatto; fortunatamente era riuscita a nascondere il messaggio sotto il corpetto, prima che il malvagio la prendesse. Anne si guardò intorno alla ricerca di una via di fuga: “L’ho già cercata io, mademoiselle, purtroppo non l’ho trovata”. “Sebastian?” “Anne? Che ci fai qui? Ma come ti hanno ridotta quei malviventi? Appena
uscirò di qui toglierò a quel vassallo il suo titolo, Dio solo sa quanto odio provo verso chi ti ha così maltrattata.” “Sebastian, io sembro quasi una regina rispetto a te, che cosa ti è successo?” “Transilvar mi ha fatto catturare e torturare prima che potessi raggiungere mio padre. Che Dio lo protegga quando uscirò di qui, giuro che lo ucciderò.” “Sebastian, smettila di proferire queste bestialità. Lo sai che non devi giurare certe cose. Lui sarà punito perdendo il suo potere e vedersi debole sarà la punizione più grande per un uomo così malvagio. Ora cerchiamo di uscire di qui, forse riusciremo a convincere la guardia a liberarci. Lo conosco bene, sarà meglio che mi dia retta, altrimenti rivelerò alla sua fidanzata ciò che ci sta facendo, lo lascerebbe subito. Gustavo!” “Cosa vuoi, prigioniera?” “Gustavo, non dire sciocchezze, qui c’è il tuo principe sofferente, probabilmente sei uno di quelli che lo ha ridotto così, non ti vergogni?” “Ma Anne, Transilvar ha detto che siete entrambi impazziti e che volete uccidere il re!” “Non pensarle nemmeno queste sciocchezze! Chi è che conosci meglio: me o Transilvar?” “Te, ovviamente.” “E allora, mio caro Gustavo, liberaci, altrimenti qui scoppierà la guerra e rischierai di perdere tutto ciò a cui tieni davvero e se non lo farai e io riuscirò comunque a uscire, andrò a raccontare tutto a Margherita e sai come la pensa sui traditori.” “Va bene, ma se vi fate scoprire sarò destinato alla gogna.” “Non succederà, stai facendo la cosa giusta e Dio ti ripagherà, vedrai.” “Anne, ti prego, salvaci da questa guerra, non voglio perdere Margherita.” “Stai certo che farò l’impossibile per voi, siete fra i miei più cari amici.”
Anne e Sebastian uscirono dalla cella, salirono verso la sala del trono e cercarono di raggiungere le stanze del re senza farsi notare. Più di una volta rischiarono di essere visti dalle guardie, per fortuna raggiunsero presto un aggio segreto che Anne usava da piccola, quando voleva osservare suo padre mentre lavorava nel suo studio, adorava osservarlo mentre era intento su un mucchio di incartamenti. Sebastian era stupito dalla conoscenza che aveva Anne del castello, lui non sapeva dell’esistenza di tutti quei aggi, la seguì ammirato. Davanti a sé vedeva un po’ una giovane studiosa intraprendente, un po’ la sua vecchia amica d’infanzia, era confuso, ma sapeva che in quel momento doveva lasciarsi guidare, perché solo lei poteva salvare il regno. Anne camminò ancora per alcuni minuti e poi gli fece segno di avvicinarsi piano e silenziosamente. Sebastian si mosse lentamente e senza far rumore, arrivando fino a una piccola finestrella, dalla quale si vedeva suo padre seduto dietro al suo imponente tavolo da lavoro, sembrava estremamente triste e sconsolato. Transilvar era vicino a lui e stava cercando di convincerlo ad attaccare l’altro esercito, anche se l’inverno era alle porte e le notti erano sempre più fredde. I due giovani decisero di stare nascosti finché il malvagio non si fosse allontanato dalla sala, ma sembrava che Transilvar non volesse proprio lasciare solo re Fabian, solo quando lui glielo chiese apertamente, se ne andò sbattendo la porta. Il sovrano sembrava invecchiato almeno di dieci anni in quei pochi mesi che erano stati lontani. I due ragazzi uscirono dal loro nascondiglio e si avvicinarono al re, non volevano che si spaventasse, così Sebastian gli pose una mano sulle labbra, mentre Anne usciva dal aggio segreto. Dopo che fu certo che il padre non avrebbe gridato, Sebastian lo liberò dalla sua presa: “Cosa ci fate voi due qui?” “Padre mio, non siete felice di vederci?” “Certamente, ma mi avete spaventato a morte. Non dovreste stare qui, siete in grave pericolo, scoppierà presto una guerra, siamo stati attaccati.” “Sire, se posso, ho avuto modo di parlare con re Julian, lui mi ha detto di non avervi mai dichiarato guerra. È scritto tutto qui, in questo suo messaggio.”
Re Fabian lesse attentamente la missiva del suo vecchio amico, ne fu estremamente stupito, ma allo stesso tempo era felice di non dover combattere una guerra insensata, aveva sempre pensato che la violenza portava solo il male e l’odio e non risolveva mai nulla. Purtroppo la porta si aprì improvvisamente e da essa entrò Transilvar: “Cosa ci fate voi qui? Guardie, riportateli in cella!” “Fermatevi immediatamente. Consigliere, come vi siete permesso di ordire questo complotto alle mie spalle? Vi giudico colpevole di tradimento verso la corona e verso il regno, verrete esiliato a vita e ringraziatemi se non vi manderò alla gogna!” “Mio povero sciocco sire, non sapete che state facendo il male del vostro regno, voi e il vostro pacifismo da quattro soldi. Ve ne pentirete, io cerco solo di fare in modo che la legge del più forte venga rispettata e voi siete troppo debole, per questo ora soccomberete!” “No!” Transilvar aveva sfoderato la spada e si era fiondato verso re Fabian, Sebastian aveva fatto da scudo con il proprio corpo al padre, non era riuscito a difendersi. La rabbia di Anne era troppa, quell’uomo andava fermato: prese la spada dal fodero dell’amico ferito e si avventò sul malvagio consigliere. La rabbia e le vecchie lezioni di scherma, apprese nel corso della sua formazione, ebbero la meglio su Transilvar. Lo disarmò e per bloccarlo fece saltare il suo cinturone, lasciandolo letteralmente in mutandoni. Tutti risero fragorosamente vedendo i due stuzzicadenti, che sostenevano il corpo del vecchio perfido. Anne non apprezzava ciò che aveva fatto, ma per questa volta usare un’arma era stato giusto. Transilvar venne imprigionato e dopo alcuni giorni mandato in esilio al di là del Grande Oceano. Dopo che il medico ebbe curato Sebastian, fu Anne a prendersi cura di lui, mentre il re seguiva i suoi consigli per riappacificarsi con il suo vecchio amico re Julian. Essendo quasi Natale, lo invitò a fermarsi per alcuni giorni al castello per poter festeggiare insieme questo momento di pace, armonia e fraternità. Re Julian accettò di buon grado e insieme stilarono un nuovo accordo di rispetto reciproco e di amicizia. La sera di Natale festeggiarono tutti insieme con un grande banchetto, della
buona musica e una piccola rappresentazione teatrale, che vide coinvolti tutti: dal sovrano al più povero dei contadini, come voleva tradizione. Sebastian chiese Anne in sposa al padre, il re gli rispose dicendo che per lui andava più che bene, ma che era alla giovane che doveva davvero porre quella domanda, lui non l’avrebbe di certo mai obbligata, era ormai una donna di tutto rispetto. Anne accettò, volendo però scegliere lei i futuri consiglieri del marito. Sebastian non ebbe nulla in contrario, anche se la sorpresa più grande per tutti fu che il popolo volle lei come consigliera del re e da quel momento in poi, anche il popolo poté avere un margine di intervento sulla scelta del consigliere, che in ogni caso doveva prendere in considerazione le parole del capo villaggio su qualsiasi decisione dovesse prendere. Anne divenne l’eroina di quel regno e le capacità di una gentil dama, almeno in quel regno e in quello montano vicino, non furono mai più messe in dubbio.
Ringraziamenti
Il primo ringraziamento va proprio alla donna che con i suoi racconti ha ispirato questi, la mia bisnonna Sara, che ormai è diventata un angelo e ci continua a osservare e proteggere dal cielo. Il secondo va ai miei genitori, esempi di rispetto reciproco e di amore. Mr & Mrs Darman, i miei meravigliosi mamma e papà, che sono riusciti a insegnarmi a tenere i piedi per terra, ma mi hanno anche concesso di volare alta nel cielo della fantasia. Il terzo a mia nonna Silvia, che mi ha fatto conoscere sua madre, la donna di cui ho parlato fino a ora, dopo la sua morte. È stata lei a farmi conoscere il suo coraggio e la sua forza interiore. Il quarto va ai miei migliori amici, esempi di grande amicizia e solidarietà, sono stati la mia ancora di salvezza, per tutti gli anni in cui sono stata in collegio, grazie davvero Rubeeya, Giuliano e Tommaso. Un altro ringraziamento va alle mie compagne di collegio e alla suora che si occupava di noi. Ho trovato una nuova grande famiglia, con i litigi, le risa e i momenti di ilarità e gioia prorompente, sono davvero molte le ragazze che dovrei nominare, quindi parlerò in generale del Gruppo Sorriso, il Gruppo di Suor Giovanna. Chiunque ne abbia
fatto parte può capire, molto più di altri, alcuni punti particolari di questi racconti. Vorrei ringraziare la mia piccola cuginetta: se non ci fosse stata lei, probabilmente non avrei mai scritto un libro. Vorrei che lei apprendesse davvero alcune delle lezioni che io ho imparato dalle storie della mia bisnonna, quindi grazie Paola. Grazie anche a tutta la parte buona della mia famiglia, zii, ma soprattutto grazie ai miei magici cugini. Grazie al magico Gruppo Folk Marmolèda per avermi regalato e per continuare a donarmi momenti di pura gioia attraverso i nostri bellissimi balli. Un ringraziamento va poi ai miei coinquilini, che mi sopportano ogni giorno ormai da un anno e mezzo, al resto dei compagni della casa studentesca e ai miei compagni di corso, che rendono ogni lezione qualcosa di magico e irripetibile, grazie a tutti. Un ultimo ringraziamento va a tutti coloro che non rientrano in queste categorie, ma che sono comunque entrati nella mia vita in un modo o nell’altro e che la rendono migliore e, senza alcun dubbio o riserva, più felice.
Romina Darman è nata il 2 luglio 1991 ad Agordo (BL) e ha sempre vissuto in un piccolo paese di montagna in Val Pettorina, sulle Dolomiti. Da due anni vive a Mestre e studia Lingue e Civiltà Moderne e Contemporanee all’università Ca’ Foscari di Venezia. Appena può torna fra le sue montagne, dove ha ancora i legami più stretti, famiglia e amici, e dove fa parte di un gruppo folkloristico che riproduce i balli di un tempo e cerca di mantenere vive le tradizioni del luogo. Ama viaggiare e visitare paesi nuovi, ma soprattutto ama leggere, scrivere, disegnare e danzare i balli tradizionali che si fanno alle feste di paese. I due mondi di Rossana, frutto di molteplici ioni, è la sua prima pubblicazione.