Manuel Desalvo
DENTRO L’INCUBO
Storie di Demantea vol. 1
Cavinato Editore International
© Copyright 2015 Cavinato Editore International ISBN: 978-88-6982-112-7 I edizione 2015 Tutti i diritti letterari e artistici sono riservati. I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
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Progetto grafico, copertina e impaginazione Rakesh Kumar Sharma
Indice
Prefazione
Capitolo 0
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Prefazione
Questo libro, iniziato per caso, è il mio primo testo a conoscere la stampa, tutti i suoi predecessori, sono rimasti intrappolati, tra le pagine di vari quaderni, oppure nella memoria di qualche vecchio computer, ormai rottamato. Se queste parole, saranno lette, da qualcuno, esclusi i miei famigliari, il merito e il mio più sentito ringraziamento, va a mia moglie, mia fonte di coraggio, di fiducia e felicità, è grazie a lei, se questa mia opera prima, finalmente è arrivata, dove le altre non sono mai giunte. Ringrazio mia madre e mia zia Cinzia, per essere state le mie prime fan. Un Ringraziamento speciale, va a Bruno Carpentieri, per avermi mostrato, in “Puerto escondido”, la faccia da “sbirro” alla quale mi sono ispirato nello scrivere “dentro l’incubo”.
Grazie a te, che stai leggendo queste righe. Ho sempre pensato che scrivere un libro, fosse un po’ come un gioco, nel quale, la mia e la tua fantasia si fondono, dando vita a qualcosa di magico. Credo che il gioco, sia al centro della vita di ogni persona e alla fine dei nostri giorni, nessuno mai pronuncerà la frase: avrei voluto giocare di meno, quindi buona lettura, buon divertimento, buon gioco.
Grazie.
Le persone e gli avvenimenti trattati in questo libro, sono completamente frutto della mia fantasia, non hanno alcuna attinenza con persone, luoghi e avvenimenti realmente avvenuti. Qualsivoglia somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni, o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.
Capitolo 0
Il fumo della mia sigarette si alza lento, mentre guardo le ultime notizie sul giornale, i Red Sox battono i Pirates 9 a 4 e hanno la strada spianata per le world series, il governatore della California torna a recitare mentre un altro attore si candida alle elezioni, come se si credessero tutti Ronald Regan. Nel mio ufficio della centrale del Federal Bureau of Investigation di Demantea, stato del Montana, USA, sezione rapine e omicidi. Una cappa di nebbia bluastra impera ad un metro e mezzo sopra la mia testa fino al soffitto, si fumo realmente troppo. Mi chiamo Jack Daniel’s Wallace, esattamente come il whisky, quell’alcolista di mio padre lo trovava davvero soso, si era presentato all’anagrafe completamente sbronzo e mi ha chiamato come la bottiglia che fino a pochi minuti prima, teneva nelle mani. Che gran padre eh?! Mia madre non l’ho mai conosciuta, se l’era filata quando ero ancora piccolo, troppo piccolo, ma dai racconti del mio vecchio ricordo che si chiamasse sgualdrina e puttana come secondo nome. Strano che con un infanzia così abbia deciso di fare l’uomo di legge, la chiamano compensazione, gli strizzacervelli, quanti ne ho incontrati, loro e assistenti sociali erano un pò come degli zii. Mi tolgo dalla bocca il mozzicone di sigaretta, ormai sto fumando il filtro, lo spengo nel posacenere stracolmo, il quale sempre più assomiglia ad un vulcano, trovo spazio a stento e molta cenere cade, spargendosi e macchiando la mia cara scrivania in noce, regalo del dipartimento della rapine ed omicidi per i miei primi vent’anni di servizio, eh già sono un vecchio. Un tempo ero un baldo giovane, fisico atletico, appena uscito dall’accademia, capelli corvini, le ragazze mi cadevano ai piedi, finché non ho conosciuto Clara, la mia dolce Clara, una giovane studentessa di lettere, la sposai e dal nostro matrimonio felice, dopo un po’ di anni ed innumerevoli tentativi, nacque Julie, la mia piccola, tutto era perfetto, forse troppo, il mio lavoro di agente era una piccola fetta del guadagno di casa, Clara era una scrittrice, con un discreto successo, i suoi guadagni ci permettevano una vita quasi lussuosa. Quando sei un detective della Federal Bureau Investigation, metti in conto che la tua vita potrebbe finire prima di quella dei tuoi cari, non pensi che possa avvenire il contrario, non prevedi che un pazzo, in cerca di soldi per l’ennesima dose, possa entrare in casa tua, che tua moglie cerchi di fermarlo e che lui per tutta risposta le sfondi il cranio con un candelabro d’argento, lo stesso, che per ironia della sorte, vi avevano regalato per le nozze anni prima e
per qualche assurdo motivo avevi sempre detestato. Tirare su una figlia da solo non è semplice, ma fortunatamente a parte lo shock iniziale e le mille sedute dallo psicologo infantile, la mia dolce Julie, ha mostrato di avere il carattere della madre, Dio solo sa quanto mi manca. Ora la mia adorata figlia condivide un piccolo appartamento a New York con quattro amici, per dividere le spese degli studi, non vede l’ora che arrivi il Natale per farmi visita e presentarmi il fidanzato Mike, mi ha mandato una foto loro, sono sempre più convinto, secondo me il caro ragazzo, abbia una gran faccia da segaiolo. Mi alzo dalla sedia, con in bocca il solito gusto marcio di quando penso a Clara, o la scrivania e apro la porta di vetro su cui vi è scritto il mio nome in lettere nere, fortunatamente James, il manutentore degli uffici, mi ha fatto il piacere di non mettere il mio nome intero, lasciando solo Jack, davanti alla mia porta almeno una dozzina di uomini e donne, vanno come schegge, su e giù, a destra e sinistra con rapporti o documenti in mano, tutti vestiti bene e seriosi. La dedizione dei novellini mi è sempre piaciuta. Io, in questo momento, ho in mente ho solo una cosa, devo pisciare. Mentre mi lavo le mani nel bagno completamente bianco e lucido della centrale, dopo aver urinato, mi guardo allo specchio di fronte al lavabo. Se fossimo in un film, avrei avuto la faccia da duro di Josh Brolin, o sarei stato bello come Matt Dillon, ma questa è la realtà, la mia è quella che vedo nello specchio, sono un vecchio, con pochi capelli in testa e due grossi baffoni di cui vado fiero, i quali distolgono l’attenzione dalle troppe rughe che circondano i miei occhi insulsi e castani, come i capelli e i baffi. Ho la pancia, più di quella che vorrei ammettere, mentre sono li a deprimermi sul mio aspetto sento il mio dannato cellulare che suona e vibra, lo tiro fuori dalla tasca dei miei pantaloni neri e rispondo.
- Wallace-
-Jack sono Barry, ho bisogno di te, un duplice omicidio. -
-Bene, sembrava quasi una bella giornata.-
-All’incrocio tra la quinta e main street-
-Abbiamo due morti ricconi allora.-
-Così sembrerebbe. A dopo.-
Barry Carlson, un brav’uomo, grande amico, anche lui da tanto tempo in servizio, come me, ma con l’obiettivo di tornarsene a casa sempre il prima possibile, ha molto più distacco confronto a me, ed in alcuni casi lo invidio, un bell’uomo, una moglie bella e benestante, tradita però più volte, con avvenenti testimoni o incontri fugaci, due figli, belli come la madre e casinisti quanto il padre.
Mi alzo controvoglia, prendo il mio vecchio impermeabile beige, compagno di molte avventure e scopro che nelle tasca destra c’è un pacchetto di sigarette pieno, di cui non conoscevo l’esistenza. Non è poi così una brutta giornata. Arrivo al parcheggio sotterraneo della centrale, in mezzo a pick-up più simili a mostri giganteschi che a macchine, scatole di sardine con tanto di targa, vedo Bobby, non è una persona, è il mezzo di trasporto più tisico e fumoso mai guidato da un essere umano. La mia Chrysler 300 color ruggine, regalo della mia Clara, per festeggiare le centomila copie vendute di un suo libro. Era un auto d’epoca già allora, ora è un ammasso di ferraglia mal tenuta, ma è la mia coperta di Linus, tenendola vicino a me, guidandola, a volte mi sembra ancora di vedere la mia bella moglie seduta a fianco che ride con i suoi enormi occhiali da sole che coprono occhi color mare. Smettila Jack, stai divagando, rimani concentrato. Faccio un bel respiro, accendo una sigaretta e salgo su Bobby, la macchina si avvia tossendo e borbottando, un denso fumo nero, esce dalla marmitta, come segno di protesta per aver interrotto il suo riposo. Ho ribattezzato la mia macchina Bobby negli ultimi anni, perché mi ricorda ogni giorno di più mio padre, tossisce, è scorbutica e si muove solo se è piena di sostanze infiammabili. Mentre penso questo percorro le vie limitrofe alla centrale, bar e tabacchini sono intervallati di altri negozi, abbigliamento e rare gioiellerie deserte, dove un uomo
elegante attende clienti, temendo che arrivino insieme a Godot. La sedicesima strada, è poco distante, la via dove sono cresciuto, ora si chiama Bush street, ma un sobborgo rimane un postaccio, in qualunque modo lo chiami. Ho ato la mia infanzia a giocare in queste strade, e chiedendomi il perché gli adulti che abitavano lì odiassero così tanto i conducenti dei macchinoni che avano davanti ai nostri occhi, diretti alla ben più ricca e sicura Main street, beh ora lo so, ma l’invidia fine a se stessa, senza voglia di migliorarsi non porta a nulla, lo pensavo allora e lo penso ancora adesso, anche se con un goccio di amarezza in più. Forse questa sarà una mentalità da sbirro, ma questo è ciò che sono, e che sarò sempre. All’incrocio svoltando a destra vedo il sushi bar dove Clara amava mangiare, dove la avevo portata più volte, la nostalgia sta per travolgermi, quando fortunatamente entro in Main street, la percorro tutta da cima a fondo, ando tutti i suoi dannati negozietti ultra chic, Valentino, Armani e Swarovski sono solo alcuni dei potenti nomi che espongono e vendono la merce nella lussuosa via, entrandovi sembra di essere sempre in un altra città, pulita, ordinata, quasi asettica, completamente diversa da il resto di Demantea. Arrivo a destinazione, nel parcheggio riservato agli abitanti del lussuoso palazzo, la mia Bobby trova spazio tra una Maserati grigia e un mostro nero su ruote, le quali arrivano all’altezza dei fanali della mia vettura. Entro nell’atrio, espongo il mio tesserino al pinguino che mi accoglie alla reception, sotto il suo sorriso abbellito da curati e pettinati baffi, noto preoccupazione e vergogna, malcelati, di certo, un omicidio non è una bella pubblicità per un posto così naif. Un grosso ascensore panoramico mi attende, sul pavimento di esso vi è inciso il nome del complesso residenziale “le magique” chissà come mai si sceglie sempre il se per imprimere classe, è una lingua che ho sempre detestato. Il baffuto receptionist, cerca di parlare sottovoce, per non spaventare i pochi clienti ignari dell’accaduto.
-La prego, agente, di lasciare le vostre armi qui, siamo in un palazzo di classe, non vorremmo spaventare i condomini avendo uomini armati all’interno- Un falso accento se, in bocca ad un uomo americano quanto il chewingum. Che odio.
-Non porto mai armi con me- Il mio mestiere è basato sul ragionamento, non sono un qualsivoglia poliziotto dal grilletto facile, la mia arma, è come sempre,
posata all’interno di un cassetto blindato della mia scrivania. La mia Colt 1911, l’arma che mi salvò più volte il culo in Vietnam, altro capitolo della mia vita, che vorrei decisamente dimenticare, come forse vorrebbe ogni americano.
l’uomo dietro al bancone si zittisce, fortunatamente, se mi avesse ancora parlato con quel maledetto falso accento, forse gli avrei strappato la lingua.
Proseguo in direzione del ascensore, una dozzina di giornalisti, sono riusciti a penetrare all’interno della hall del palazzo, e stanno intervistando qualche abitante, con molto garbo, in modo da non essere notati dalla sicurezza. Raggiungo l’elevatore senza essere fermato dalla stampa, il pavimento di questo è in marmo nero, con luci a led che lo contornano, combatto con i pulsanti della tastiera, finché dopo più tempo di quanto mi piacerebbe ammettere, capisco che si tratta di una pulsantiera a sfioro. Odio tutto questo.
Capitolo 1
L’appartamento pare lussuoso, ma non tanto come lo immaginavo. Amplio, con mobilio solido e robusto, stereo hi tech e cornici digitali praticamente ovunque, non serve neanche che veda i corpi per capire che la casa era abitata da giovani, gli omicidi sono sempre atti orribili, ma quando viene fatto male a dei ragazzi, il crimine sembra sempre più cupo. Getto la sigaretta fuori dalla prima finestra appena entrato, come al solito una dozzina di persone sono presenti sulla scena del delitto, tra poliziotti e agenti della scientifica, vestiti con le loro imbarazzanti tute bianche.
I corpi sono nel letto, lui giace nella sua posizione preferita, la donna è stata girata dopo l’assassinio, il sangue di lei è sulla spalla di lui, non solo sul materasso, il coprimaterasso appare arricciato, probabilmente dormiva in posizione fetale, si dice che quando si dorma nella suddetta posa si cerchi amore, ma è una divagazione, forza Jack stai concentrato. Non si sono accorti di nulla, due colpi di pistola a distanza ravvicinata, uno alla testa e l’altra al cuore, per ognuno. L’uomo ha il viso del figlio di papà, viso curato e denti perfetti, lei è un incanto, di sicuro una modella, o qualche mestiere simile, chi può aver ucciso un essere di cotanta bellezza?
-Lei dev’essere il signor Wallace, piacere Abigail Mason- La voce mi arriva da dietro, mi volto e vedo una donna tutt’ossa e minuta, il suo aspetto mi fa dedurre che potrebbe soffrire di un grosso disturbo alimentare oppure che il suo metabolismo abbia il motore di una Ferrari, non è comunque di brutto aspetto, a parte il naso un po’ adunco che sgrazia un viso affusolato e due grossi occhi neri.
-Si, sono il commissario Wallace, piacere.-
-Sarebbe un piacere se non ci fossero cadaveri oggi. Comunque cosa è venuto a fare qui?- È sempre bello collaborare con un clima rilassato.
-A investigare sulla scena del crimine, se nota c’è stato un omicidio.-
-Non sono in vena di battute di spirito, intendo cosa viene a fare qui, la scena del crimine la stiamo già esaminando noi della scientifica, il suo servigio è a mio parere obsoleto e inutile qui.- Parla come i classici topi di laboratorio, saccenti e maleducati.
-Non penso di essere obsoleto, ma se vuole sapere cosa stanno sbagliando i suoi ragazzi sarò ben felice di delucidarla, se proprio vuole usare paroloni, altisonanti ed accademici- Lo sguardo della ragazza mi fulmina, riesco sempre a farmi amare in ogni occasione.
-Ah, lei sarebbe in grado di risolvere il caso già ora? Ha una sfera magica dentro quel suo impermeabile precolombiano?- Sorrido, sapendo di dover diventare cattivo, la cosa un pò mi piace.
-Sa ho una figlia di una decina d’anni più giovane di lei, l’ ho cresciuta da solo, sa come facevo a capire, con sommo dispiacere che aveva baciato un ragazzo? Il rossetto irregolare, quando veniva a salutarmi appena tornata, era una visione che mi faceva ingelosire molto-
-Non trovo attinenza con il caso-
-Il cadavere della donna disteso sul letto, se nota è truccata perfettamente, a parte gli angoli della bocca, dove è presente del colore, rosso, non è sangue. Ora faccia la brava prenda dei campioni, li imbusti, li analizzi e poi faccia sapere a noi detective i risultati, si limiti a chiudere la bocca, altrimenti posso trovare almeno altri quattro difetti nei vostri metodi- Mi guarda con odio, ormai sono abituato, non sono noto per essere un simpaticone, poi si gira e torna al suo lavoro.
-Sei sempre il solito gentiluomo eh?- Una voce mi risulta beatamente famigliare, Barry mi raggiunge e si affianca a me, ben vestito come sempre, un completo color blu notte, risalta i suoi occhi, quasi del medesimo colore.
-L’entrata del palazzo sta per essere invasa dai giornalisti, ti toccherà fare due chiacchiere.-
-Perché io?-
-Beh, io ho dovuto subire una sfuriata dal capo della polizia, quando gli ho annunciato che il caso lo prendevamo noi dell’ FBI, a te tocca subire domande ripetitive a volte anche prive di senso.- Odio i giornalisti.
-Preferivo la sfuriata.-
-Stasera Mary è al cinema con i bambini, ci sono i Vikings contro gli Angels, ti vanno un paio di birre, mentre guardiamo la partita?-
-No, grazie ho da fare.-
-Lo sai che l’ultima volta che hai visto casa mia, i miei figli erano ancora nel eggino vero?-
-Sarà per un altra volta Barry, ora dobbiamo lavorare.- Sbuffa, come se fosse costretto a spaccare pietre tutto il giorno sotto il sole cocente, io mi avvicino nuovamente ai corpi, qualcosa non mi quadra, l’assassino deve aver usato una pistola particolare, entrambi non si sono accorti di nulla, mi giro verso e Barry.
-Qualche vicino ha sentito qualcosa?-
-No, nulla, niente urla, niente spari, la porta non presenta segni di effrazione, a meno che il killer non avesse le ali, non avrebbe mai potuto entrare dalla finestra-
-Ha usato una MSP, o qualche arma del genere-
-Come fai a dirlo?-
-Solo nei film, una pistola silenziata non emette rumore, nella realtà come sai, sveglierebbe tutto il palazzo o quasi, le MSP, sono realmente silenziose, dicono che emettano un rumore simile ad un peto di coniglio-
-Ovvero?-
-Hai mai sentito un coniglio scorreggiare?-
-No-
-Appunto, ma pistole del genere, costano anche parecchio, quindi il killer o ha molti soldi, oppure ha qualche conoscenza importante, in qualsiasi caso, non abbiamo a che fare con uno sprovveduto-
-Probabilmente le vittime lo conoscevano e lo hanno fatto entrare.-
-Mentre hai persone a casa, tu vai a dormire come se niente fosse?-
-Magari si fermava a dormire da loro.-
-Nessun divano letto, nessuna coperta tirata fuori, ne guanciali, no il bastardo era già in casa, li aspettava, questa è l’opera di un professionista, ci potrebbe essere di mezzo la mala.-
-Chi sono le vittime?-
Barry mi guarda come se io venissi dalla luna.
-Chi sono? Lui è un avvocato di nome Colin McKnee, ma lei è Katerine Pastore!
-Questo nome ti dice qualcosa?-
-Come non potrebbe, come fa a non dire niente a te? Katerine Pastore, l’ex modella, copertine di Vougue, Vanity Fair e altri giornali se la litigavano come cani per un osso, fino a qualche anno fa. Quanto ben di Dio sprecato.-
-Ah, magari mia figlia la conosce, io non seguo.-
-A volte, mi chiedo dove vivi-
-Parliamo di cose serie, questo è un omicidio premeditato, qualcuno di organizzato, il killer era già in casa, attendeva, voglio sapere se dei vicini, qualcuno di essi abbia avuto precedenti.-
-Di violenza?-
-No, questa non è una ritorsione o uno scoppio di rabbia, questa è l’opera di un professionista, cerca qualche affiliato alla malavita, qualcuno che sia stato dentro per omicidio-
-Questo è un quartiere d’alta classe Jack, qui sono tutti signori-
-È proprio in mezzo a loro che si nasconde la feccia-
Barry sbuffa, vedendosi are il sogno di una serata a birra e partita solo soletto.
-Cazzo, Jack, a volte sei peggio di Brown- Chuck Brown, il nostro capo, un fighetto impomatato, incapace che aveva ricevuto un bel calcio nel culo, da non so chi, per arrivare al suo attuale ruolo. Sembra godere, quando ci ordina di andare ad investigare in città distanti, o richiede rapporti lunghi e dettagliati sui casi a cui investighiamo da tempo. Una persona realmente irritante.
Ancora sbuffando, Barry acconsente alla mia richiesta, senza controbattere, la cosa mi insospettisce, ci sono solo due motivi possibili per i quali Barry accetti così di buon grado di lavorare fino a tardi, una vicina di casa delle vittime con delle tette da infarto su cui sbavare, oppure, un compito più ingrato o pericoloso da sbolognare, per poter riportare le sue chiappe sulla sua adorata poltrona.
-Io faccio due chiacchiere con il vicinato, tu potresti andare a parlare con il marito della vittima-
-Non è l’uomo a fianco a lei?-
-No la coppia è separata da tempo, ma una cosa che ti farà rizzare i baffi è questa, nonostante il matrimonio sia naufragato, il marito rimane l’unico beneficiario dell’assicurazione sulla vita della vittima, La compagnia ha fatto in fretta ad avvertirci.-
-In effetti è un buon movente, di che somma si tratta?-
-Cinquecentomila dollari- Al solo sentire la cifra la gola mi si secca.
-Un gran movente, ok, vado a fare due chiacchiere con il marito, mi dai le generalità?-
Non guarda neanche il suo taccuino, tiene gli occhi fissi su di me, aspetta mentre prendo il mio, ed estraggo la penna dal taschino.
-Michelle-
-Ok, Michelle-
-Le Roy- Mi fermo appena sentito il cognome, alzo lo sguardo e vedo quel suo sorrisetto ironico, di chi ti ha ato la più bollente di tutte le patate.
-Quel Michelle Le Roy?-
-Quel Michelle Le Roy-
-Sei uno stronzo- Fa spallucce, facendomi intendere che è consapevole di esserlo, lo saluto con una pacca sulla spalla, un pò ironica, e un pò perché alla fine a quel fannullone, con gli anni mi sono affezionato, una di quelle rare persone, che nella vita si può realmente chiamare amico.
Perlustro il resto della stanza in cerca di indizi, molte volte i killer, anche professionisti, seguono alla lettera tutti i trucchi che serie poliziesche hanno propinato per anni, ma commettono un errore molto sottovalutato. Spesso la tensione li spinge a fumare, a lasciare il mozzicone di sigaretta, o il chewingum, come se esso non avesse importanza, grossissimo errore, più di un assassino è dietro le sbarre di una cella di due metri per tre per quell’errore.
Niente sigarette, sulla moquette blu notte della camera da letto. Speranza di chiudere questo caso in breve termine, addio. Tutte e due i corpi giacciono nella posizione in cui sono stati uccisi, entrambi con il viso rivolto al soffitto, o cosi voleva fare apparire il carnefice. L’uomo dormiva in modo scomposto, le gambe sono divaricate, ma la donna, qualcosa non va, dorme prona, ma il coprimaterasso dal suo lato è arricciato, lei si trova in posizione troppo ordinaria, il corpo è stato girato, in seguito truccato, ma perché truccarla per poi sbavarle il rossetto? Se fosse un bacio, il dna inchioderebbe l’assassino, ma questo stronzo non è uno sprovveduto. Quel particolare, quel rossetto sbavato, qualcosa mi suona famigliare, ma non capisco se è un impressione o è un qualcosa, un vezzo che ho già visto in carriera. Nessun’altra cosa attira la mia attenzione, purtroppo non posso più rimandare, devo interrogare la persona con il movente più palese, colui che ha su di se gli occhi degli investigatori, malauguratamente questo tizio è un uomo di un metro e ottanta per cento chilogrammi, con la capacità di portare pugni da quattrocento chili e con il cervello di un sasso, capace di mandare a monte tutto quel talento, è triste vedere come giovani dotati di capacità simili, riescano a buttare un futuro di successo, una carriera da leggende, nel cesso, tirando l’acqua, di queste storie il mondo dello sport ne è pieno, forse è proprio per questo che chi ce la fa diventa così tanto grande e famoso, la boxe, lo sport non è fatto solo ciò che avviene all’interno del ring o di un campo, è anche ciò che succede al di fuori, solo i migliori riescono a non mollare mai. Scendo di nuovo a pianoterra con il lussuoso ascensore, frotte di giornalisti si sono fiondati dal palazzo, qualcuno ha fatto la soffiata alla stampa, il numero degli addetti stampa, si è ampliato abbastanza, da non poter più essere contenuto. Mi faccio strada con maleducazione, giungo finalmente da Bobby, mi accendo una sigaretta, sbuffo il fumo, avviando la fumosa macchina, mentre penso ancora all’indiziato, alla sua carriera, a quanto mi piaceva, quel giovane toro quando saliva sul ring, quanto picchiava, non era uno di quei pugili simili a
gatti della boxe moderna, era più simile a Fraiser, un macigno, muscoloso e tozzo, non esageratamente alto, capace di incassare anche un treno, e con violenza attaccava, senza mai paura, senza mai indietreggiare. Ero un suo grande ammiratore, come lo ero della boxe in generale, ho praticato diversi anni, prima di cimentarmi da professionista nel sollevamento sigaretta, nei pesi medi, con buoni resultati, ma il talento in realtà non l’ho mai avuto. Sorvolo questi ricordi del ato, sarà dura vedere Michelle Le Roy, ovviamente soprannominato “the king” nella vita reale, provavo ammirazione per quel ragazzo, ma per ovvie ragioni, odio chi si droga, e chi è finito come lui, non merita la mia pena.
Capitolo 2
Il pensiero di dover fare quattro chiacchiere con un energumeno come Michelle Le Roy, un sospettato che aveva tirato giù gente come Tyson, Lewis e Holifield, non mi stuzzica affatto, eppure prima regola dell’accademia recitava, mai mostrare paura o soggezione davanti ad un sospetto. Sembra facile quando lo si legge. Nei sobborghi di Demantea, il quartiere denominato dalla gente “Durden” ragazzini rubano nelle strade, prostitute già a lavoro di giorno, alcune addirittura davanti alle scuole, affiancati da pusher. Che schifo. I negozi sono gestiti da immigrati i quali, parlano a stento l’inglese, ma sanno difendersi bene, una lunga fila è sempre presente al banco dei pegni, dove molte volte la polizia chiamata viene chiamata per episodi di violenza, un negozio in mano alla mala, lo sanno tutti, ma le prove scarseggiano e i pochi testimoni pronti a fare dichiarazioni, hanno sempre qualche misterioso incidente, dove perdono la vita, o perdono la voglia di cantare. Ogni volta che o davanti a quell’esercizio un senso di vergogna ed impotenza mi pervade. Continua a guidare Jack, non ti fermare, un alto e maestoso palazzo fa da spartitraffico tra la strada principale e la diciannovesima strada, un vicolo dedito allo spaccio, sull’angolo del grosso edificio, si legge una scritta sbiadita, appena leggibile, e semi coperta dai graffiti dei ragazzini, l’insegna recita due parole scritte a lettere cubitali “The King” e sotto di essere, lettere più piccole dello stesso colore, “Le Roy” un tempo doveva essere della cromatura dell’oro, ora sembrava piscio, quell’insegna sbiadita e malconcia non poteva rappresentare al meglio la carriera del sospettato, dai ring più blasonati e ricchi ad una palestra simile ad una latrina. Come ci si può ridurre così? Parcheggio la macchina alla bene e meglio, sperando di ritrovarla li al mio ritorno, mi accendo una lucky dal mio pacchetto rigorosamente morbido, le sto finendo, dovrò ricomprarle al più presto. Entro senza troppi complimenti, si respira un aria pesante, vedo una decina di ragazzi, tutti fradici di sudore, chi alla palla veloce, chi in una corsa del perimetro della vasta palestra, un ragazzo, grassoccio ed impacciato alla corda, deve farne di salti per perdere tutta quella ciccia. Dietro al ring d’allenamento deserto, piazzato al centro della palestra, vedo Michelle Le Roy, sento i pesanti colpi che infligge al sacco. Mi avvicino, i ragazzi intenti nella corsa mi guardano straniti, il ciccione sta agonizzando, trattengo una risata.
-Nella mia palestra non si fuma.- Lo dice girato di schiena il mio sospettato, ancora intento a colpire il sacco. Lascio cadere la sigaretta ancora a metà sul pavimento, la schiaccio con il piene con indifferenza. Quel gesto, sconsiderato di maleducazione poteva costarmi la mascella, ma fortunatamente il tesserino che estraggo mi assicura l’incolumità. Le Roy si volta verso di me, con impeto, frenato solo dall’autorità che rappresento, ha una quarantina d’anni, con un fisico che neanche nei miei sogni, di ventenne all’accademia potevo permettermi, una grossa tartaruga impera sul suo addome e il sudore risplende su ogni centimetro del suo corpo, foderato di muscoli. Solo i suoi capelli brizzolati, tagliati a spazzola dimostravano la sua vera età, ma abbinati a due grossi occhi verdi, un pò contornati da rughe, lo rendevano un uomo estremamente attraente.
-Non le sto a fare le domande di rito, so chi è lei, signor Le Roy. Dove si trovava ieri mattina tra le due e le sei?-
-Solo voi sbirri la definite mattina, le due sono di notte, la mattina inizia alle otto, a casa mia. Poi, tesserino ed impermeabile, non sa che il tenente Colombo non è più di moda?-
-Peter Falk non muore mai.- Sorrido. -Risponda alla mia domanda-
-Ero qui in palestra. Perché? -
-Cosa ci faceva in palestra a quell’ora?- Si sta innervosendo, non capisco se per colpevolezza, o solo per aver davanti a se uno sbirro.
-Ci vivo, problemi? -
-Ci vive? Cosa vuol dire?-
-È la mia casa, ci mangio, ci lavoro e ci dormo, è chiaro ora?- Un pò di ragazzi, dietro di me stanno rallentando il loro regime di allenamento, lo sento, sempre meno rumori di corde e sacchi, il tono della voce sempre più alto di Michelle, li sta attirando come iene su una carogna.
-Se qui ci vive, avrà una camera, potremmo spostarci li?-
Lui si rigira verso il sacco, lo colpisce con violenza, ancora, e ancora sempre più forte, con pugni capaci di atterrare un toro.
-Non ne capisco il motivo.-
-Quand’è l’ultima volta che ha visto sua moglie? -
-La mia ex moglie vorrà dire-
-Legalmente siete ancora sposati- Sbuffa e continua a colpire il povero ed inerme sacco. -Come mai, un agente, seppur vecchio quanto il cucco, viene a chiedermi se conosco mia moglie?-
-Mi creda signor Le Roy, è meglio se andiamo a parlare in separata sede.-
-Kate, può fare ciò che vuole della sua vita, non mi riguarda, io i miei soldi me li sono sputtanati, lei è stata più furba, quando ci siamo separati, ognuno ha raccolto ciò che ha seminato, lei vive in Main Street, io in questa topaia, è tutto ciò che c’è da sapere.-
-Sua moglie è stata trovata morta, questa mattina, insieme a quello che riteniamo il suo attuale compagno-
Smette di colpire il sacco, lo sguardo attonito, fissa il parquet usurato della fatiscente palestra.
-Morta?-
-Assassinata, nel sonno, da distanza ravvicinata- Gli leggo negli occhi, un profondo dolore, non so se reale, o ben recitato, dai sui occhi non escono lacrime, ma sono colmi di rabbia e impotenza, una sensazione che ho conosciuto anche io, fin troppo bene. Solo chi ha subito un ingiustizia del genere può capire.
-Venga, andiamo nel mio ufficio- Mi conduce dentro uno stretto corridoio, il quale si ramifica, sulla destra vedo le porte degli spogliatoi, immagini di donne nude in pose provocanti ricoprono il corridoio, intervallati da fotografie incorniciate di pugili del ato, Rocky Marciano, Mohammed Alì, J.J.Braddock ed ovviamente il grande Michelle Le Roy, una cintura da campione del mondo appesa al muro come se fosse la testa di un alce. Ricordo la notte in cui la vinse, attaccato al televisore, con un bel birrone in mano tifavo per lui, mentre Clara giocava con la piccola Julie vicino a me, quando mi voltavo verso
di loro lei accoglieva il mio sguardo con un sorriso, sapeva quanto amavo la boxe, anche lei la amava e durante il gioco anche lei portava gli occhi alla tv di tanto in tanto. Quella sera festeggiammo la vittoria del mio beniamino, facendo l’amore, dopo aver messo a nanna la nostra piccola, chi se lo sarebbe mai immaginato che quel ragazzo, quel pugile che tanto stimavo, sarebbe un giorno diventato il mio principale sospettato di un duplice omicidio? Ironia di una vita crudele. Dopo una generosa rampa di scale, arriviamo a destinazione. Apre la porta a vetri del suo “ufficio”, un porcile arredato, una branda con coperte sfatte e logore risiede a fianco alla scrivania interamente coperta di bollette, fogli vari e bicchieri di Starbucks, Michelle si siede con disinvoltura, io vorrei una tuta anti ebola.
-Cosa è successo alla mia ex moglie?-
-È stata ritrovata morta nel suo letto, insieme al suo compagno, Colin McKnee, uccisi nel sonno da due colpi di pistola ciascuno. Inoltre l’assicurazione di sua moglie ha lei come unico beneficiario, questo si chiama movente, viste le sue condizioni finanziarie.-
-Come? Mi scusi, mi sta dicendo che sono indiziato? Ero in palestra, perché vivo qui, non ho nessuno che possa testimoniarlo, è vero, ma non ho ucciso io Kate, eravamo separati da tempo, vedevamo altre persone, facevamo le nostre vite, ognuno per se.-
-Non mi sembra molto sconvolto, magari, le dava fastidio il tenore di vita che poteva permettersi la sua ex, mentre lei, senza offesa, vive in una topaia-
-La povertà non mi ha mai spaventato, ero una straccione agli inizi e sono ritornato tale. Un tempo amavo Kate, ma dopo che mi ha abbandonato, mi vorrebbe vedere a pezzi? Piangere come un bambino, mi spiace deluderla, ma la
bellezza esterna di mia moglie, è in contrasto con la cattiveria che aveva dentroSi sta scaldando, non è un buon segno, non ho mandati, e la mia presenza qui è solo per tastare il terreno, non posso fare altro, se voglio un mandato devo prima parlare con Chuck, il mio capo, uno stronzetto pavido, messo li da qualcuno di potente, il pensiero di vederlo mi fa venire acidità di stomaco. Mi alzo, come se niente fosse, Michelle mi guarda interrogativo, come se non capisse cosa stia facendo.
-Continueremo la conversazione nel mio ufficio, mi segue con la sua macchina o viene con me? Le ricordo che se cerca di scappare, scatterà immediatamente l’ordine di arresto- Mento.
-Io sono Michelle Le Roy, non sono mai scappato davanti a nulla vecchio, mettitelo in testa.- La parola vecchio mi fa ribollire il sangue. Usciamo entrambi dalla palestra, dopo aver fatto uscire tutti i suoi clienti, io salgo su Bobby e lui sulla sua Jaguar, verde, incredibile, vive come un barbone e guida una macchina che, se venduta gli potrebbe garantire una casa amplia e lussuosa. La seconda cosa che mi salta in mente è che la sua vettura è in condizioni ottimali, neanche il segno di una riga, o di effrazione, con tutti i delinquenti che abitano queste strade, ma so già darmi una risposta, nei “Durden” La reputazione è tutto, e quella di Michelle fa davvero paura, incutere paura, in posti come questi, significa potere.
Capitolo 3
Entrando nella centrale, Michelle si guarda in giro, con un enorme senso di disagio, squadrando ogni persona intenta a lavorare, ostentando una sicurezza fittizia. Entriamo nel mio ufficio, la porta a vetro viene chiusa da lui, le veneziane picchiano su di essa, provocando quel suono di metalliche maracas. Michelle si siede con malavoglia, sbuffando. Chuck entra dalla porta con la sua solita faccia da culo, sorridente, i capelli impomatati e schiacciati da una brillantina a base di piombo, l’essenza di profumo dolciastro lo segue, come uno stalker con una bella donna, inonda il mio ufficio, mescolandosi alla puzza di posacenere, la quale, normalmente regna sovrana. La sua mano piccola e ben curata si porge verso Michelle, lo sguardo dell’ex campione del mondo dei pesi massimi, si posa su di essa per poi portarsi al viso del mio capo, guardandolo in modo interrogativo, non sembra un agente del FBI, sembra più un fan, ansioso di ricevere un autografo con dedica. Ci sediamo tutti, vorrei accendermi una sigaretta, ma quello stronzo di Chuck inizierebbe a parlare di sicurezza, e altre cazzate, quindi desisto, ed inizio il secondo round d’interrogatorio.
- Allora, signor Le Roy, qui possiamo parlare liberamente-
-Qualcuno mi vuole incastrare-
-Si cerca di incastrare persone potenti, aventi aziende o capitali, un qualcuno che ha qualcosa in mano, lei non ha niente, se non una topaia che si ostina a chiamare palestra, niente di più- Le mie affermazioni lo offendono, perché sa che sono solo crude e brutali verità, Chuck si guarda in giro, sembra disattento, assente, ma lo conosco è più simile ad un cobra, in attesa di attaccare una vittima, inconsapevole della sua esistenza. Sembra quasi che voglia celare un briciolo di amarezza dietro un sorriso di circostanza.
-Kate poteva fare ciò che voleva della sua vita, perché avrei dovuto ucciderla, non la sentivo più da molto tempo-
-Perché lei è il beneficiario della sua assicurazione sulla vita, lei, Signor Le Roy, se venisse riconosciuto innocente, si ritroverebbe con cinquecento mila dollari sul conto in banca, c’è gente che ha ucciso per molto meno- Glielo leggo negli occhi, non ne sa niente, è da parecchio tempo che faccio questo lavoro, è abbastanza per capire le reazioni dei sospettati, sembra spaesato ed innocente, il dolore per la perdita dell’ex moglie è celata dall’espressione di chi nella vita ha sofferto molto, forse troppo.
-Signor Le Roy, lei è un burbero, un coglione cha ha buttato la sua carriera nel cesso, ma non un assassino, di sicuro anche se lo fosse, non avrebbe quella precisione nei colpi, sarebbe più un pazzo che sfonda la porta e ammazza tutti con una chiave inglese e si fa arrestare dopo venti minuti, quindi a meno che non sappia qualcosa che noi non sappiamo, per me è libero di andare-
-Lo sa che potrei rovesciargli la scrivania addosso, dopodiché riempirla di botte, la prossima volta che mi offende, ha capito vecchio stronzo- Chuk si rizza con la schiena, come se fosse destato da un profondo torpore.
-Non c’e il bisogno di diventare violenti- L’atmosfera si surriscalda per un momento, per poi placarsi lentamente, mentre il mio indiziato mi guarda in cagnesco, dritto negli occhi, fisso. In quel momento capisco cosa intendevano i Survivor quando cantavano “eye of the tiger” e cosa poteva pensare, un malcapitato quando vedeva salire Le Roy sul ring. Ma devo mantenere il sangue freddo, non posso farmi vedere intimidito.
-Per quanto mi riguarda, lei è un uomo libero, ma non deve lasciare la città, dovremmo parlare ancora, se le viene in mente qualcosa, o il nome di qualcuno che volesse la morte di sua moglie mi chiami- Gli porgo il mio biglietto da visita, fa molto vecchio stile, io adoro il vecchio stile. Mi alzo dalla sedia e lascio soli Chuck e Michelle, in un silenzio di tomba, io ho bisogno della mia dose di nicotina. Esco dalla stazione e nel mentre mi accendo la mia meritata Lucky del pacchetto sempre più vuoto, il cellulare dalla tasca vibra e squilla. Mai un momento di tranquillità. Nel mini display leggo Julie e rispondo subito.
-Ciao papone!- La sua voce, allegra e squillante è come una ventata d’aria fresca, mi lascio andare in un sorriso e sospiro.
-Ciao tesoro, come stai?-
-Benissimo, Natale è vicino, sai che vuol dire questo?-
-Si pulce- Un altro sorriso fa capolino sotto i miei baffi, se mi vedesse qualche collega, perderei la mia fama di burbero, guadagnarla è stato faticoso e mi spiacerebbe perderla, decido di incamminarmi per comprare le sigarette.
-Senti papone, se io scendessi un pò prima? -
-Non ci sarebbe alcun problema, anzi. Ma non dovevi venire con il tuo fidanzato?-
-Oh si, ma Mike ci raggiungerà il trentun dicembre, quindi per alcuni giorni
saremo soli soletti- Speravo di essermi liberato del segaiolo, se mio suocero potesse vedere questa scena probabilmente si sbellicherebbe dalle risate. Stronzo.
-Tra due giorni arrivo papà, ho trovato un volo molto conveniente-
-Allora vengo a prenderti dopodomani all’aeroporto, a che ora?-
-Alle 17 papone, evviva-
-Ok alla 17 sarò li, ti voglio bene-
-Anche io papi, sono tanto felice. Ciaooooo- La sua voce sempre gioiosa è un balsamo per il mio umore, compro le sigarette e torno in centrale, voglio stendere un rapporto sull’omicidio di oggi, e portarlo a casa, dovrò pensare parecchio. Nel mio ufficio non c’è più nessuno, trovo un biglietto sulla mia scrivania, dove vi è scritto “A Chuck, con rispetto Michelle Le Roy” mi metto le mani sui miei pochi capelli e scuoto la testa, non ci vorrei credere, io quell’omuncolo devo anche chiamarlo capo, mi era stato proposto anni fa il posto di capo della centrale, prima dell’arrivo di Chuck, ma ho rifiutato, il dolore per la perdita di Clara era ancora troppo fresco e lo stare seduto, ogni giorno nello stesso ufficio, mi faceva venire il voltastomaco, ho sempre voluto partecipare all’azione, stare sul campo, anche se con il senno di poi, e l’età che avanza, ritengo di aver fatto una cazzata. È la vita. Scrivo il rapporto, con i ricordi ancora caldi, vi è un qualcosa però, un particolare, la donna truccata con rossetto sbavato, quel pensiero mi picchia in testa di continuo, una sensazione di deja vu, ma non riesco a collegare, lo annoto e vado avanti. Esco dalla centrale semi deserta che è già buio, siamo a dicembre dopotutto, salgo su Bobby, guido fino a casa, la mia vecchia casa. Entro e come fuori le tenebre avvolgono tutto, accendo la luce e come tutte le sere in cui rincaso, mi sembra sempre di rivedere
Clara, con il suo vestito azzurro, che scende le scale, una visione agrodolce e nostalgica, forza Jack non divagare, appena entrato in casa sul corridoio in parquet, con a sinistra la cucina e a destra l’entrata per la sala da pranzo, i miei ricordi vanno sempre a quella scala, che conduceva al piano superiore, dove erano situati il bagno e le due camere da letto, la nostra e quella della piccola Julie. Ora quella casa è vuota, abitata da un vecchio ispettore esaurito per il suo lavoro, solo, burbero e nostalgico. Che bella fine. Mi siedo sulla mia poltrona di velluto marrone, situata in mezzo alla sala, direttamente davanti alla televisione, accesa, solo per tenermi compagnia, sul tavolino a fianco a me, una birra fresca appena stappata, il fedele e sempre stracolmo posacenere, con una sigaretta accesa posata sul fianco, ansiosa di essere ripresa tra le mie labbra. Apro la cartellina dove ho radunato tutti i fogli del caso, non è molto voluminosa, con l’andare del tempo si riempirà e crescerà, fino a divenire un faldone, o forse due. Stanco e innervosito alzo gli occhi, guardo il mio vecchio lampadario ingiallito, i mobili antichi, per la miseria, sembra che la mia casa sia rimasta negli anni 80, giro ancora la testa, attaccata al muro, accanto alla dispensa vedo la macchina da scrivere di Clara, coperta da un centrino traforato venuto male, fatto all’uncinetto da lei, il are degli anni lo sta rendendo giallognolo, non più bianco candido come un tempo. Dio Clara quanto mi manchi. Il televisore attira la mia attenzione, una soap opera, recitata da cani, sta andando in onda, mi sento un’anziana megera, a guardare queste schifezze dove tutti si sposano, si tradiscono e si risposano. Dai jack, forza muoviti, cosa ti ricorda quel rossetto sbavato, cosa, cosa? Mi spaccherei la testa, per vedere se dentro riuscissi a trovare quel tassello che mi manca. è inutile, non riesco ad arrivarci, ho ato ore a spremermi le meningi invano, ora ho sonno, gli occhi mi bruciano, vado a letto, dopo tutti i lavaggi di rito, mi accendo la sigaretta della buonanotte, me la gusto sotto il piumone, appartenente ad un era precolombiana, come del resto tutto il mobilio della mia camera. Spengo la cicca nel posacenere appoggiato al comodino in tamburato, finto castagno della camera. Chiudo gli occhi, attendendo Morfeo, sperando di avere una nottata tranquilla, nessun incubo, ma, spesso e volentieri, questo mio desiderio non viene ascoltato. Mi alzo la mattina presto, accendo la sigaretta del buongiorno, dopodiché faccio una colazione con tutto ciò che trovo nel mio frigo, almeno ciò che non è scaduto. Un pezzo di formaggio, sta lentamente divenendo verde, irrora puzza per tutta la cucina. Un senso di nausea pervade la mia gola, ingurgito tutto in fretta e butto forchetta piatto e coltello nella lavastoviglie, esco di casa, un forte vento, ghiacciato e crudele mi prende a sberle. Le nuvole in cielo sono grigie, una nevicata incombe sulla città, spero solo che Julie non abbia problemi con il suo volo. Percorro tutto il viale, della quarantaseiesima, la via dove abito, grandi marciapiedi di cemento,
ricoperti costantemente di sporcizia, con alberi intervallati regolarmente, ove cani e talvolta ubriconi pisciano, lasciando un odore acre e sgradevole, palazzi enormi, abitati da qualunque ceto sociale, dal ricco con l’attico, agli studenti i quali si dividono le camere, come in telefilm come friends, ma con molta meno armonia. Arrivo da Bobby, come al solito tossisce, tentenna e sembra imprecare, ma come sempre mi accompagna a destinazione. Torno in centrale, entro nel mio ufficio, il tempo di appoggiare il mio impermeabile e Penny, una sorta di segretaria di Chuck, mi chiama all’interfono, posto sulla mia scrivania in noce. Ispettore Wallace, il capitano desidera parlarle- la voce, resa metallica dall’apparecchio, in realtà poco più di uno squittio acuto di Penny, un donnone alto e prosperoso, sulla cinquantina andante, una persona dolce, la quale, nonostante la parlata da cartone animato, è affidabile e capace. Voci di corridoio e pettegolezzi, raccontavano che Penny fornisse a Chuck, servizi ben superiori a quelli di una normale segretaria, sinceramente quelle leggende e maldicenze non mi interessavano, e avevo troppa stima di Penny per pensare che si concedesse ad un uomo così insulso. Mi alzo, esco dall’ufficio e vado verso quello del capitano, situato al centro in un piano rialzato dell’ufficio, così da poter guardare tutti dall’alto, in primis, i giovani agenti abitanti dell’alveare. Con il fiatone salgo le poche scale, dovrei smettere di fumare, con amarezza raggiungo Chuck, il quale mi attende seduto nel grande vano, dietro la porta a vetro, è in compagnia di quella donna della scientifica, non ricordo il suo nome, ma ricordo la sua magrezza quasi innaturale. Appena apro, vengo aggredito di parole.
-Questo è il grande detective, quello che mi voleva insegnare a fare il mio lavoro, capitano Brown-
-Buongiorno a tutti comunque- Chuck ha il volto l’espressione di un bimbo, appena sculacciato dalla madre, per aver rubato le caramelle. In silenzio guarda le sue mani curate e limate di fresco.
-Lei ha avuto la possibilità di collaborare e non lo ha fatto, ha preferito, dare a me e alla mia squadra titoli di incompetenza e negligenza, in più ha avuto a che fare con l’assassino e lo ha lasciato andare- Quella frase mi fa impietrire.
-Come scusi?-
-Lei, aveva l’assassino, nel suo studio e lo ha rilasciato, ha messo un killer in circolazione, lo sa?- Chuck rialza la testa, fino ad un momento prima, sostenuta dalla mani.
-Michelle Le Roy, Jack, Michelle Le Roy è stato lui ad uccidere la coppia.-
-Perché tutta questa certezza?- L’ossuta donna, mi tira sulla scrivania un dossier, proveniente dalla scientifica, una cartellina marrone, piena di fogli e foto delle due vittime. -Le faccio risparmiare tempo, ispettore, sono state trovate tracce di sperma, sul letto della coppia, e ovviamente sulla signora Pastore-
-Beh, era una coppia giovane, gli ormoni cavalcano- Cerco di sdrammatizzare.
-Non faccia l’imbecille, sa benissimo a chi appartiene il dna di quello sperma, a Michelle Le Roy-
Le mie certezze vacillano, che con gli anni, la mia capacità di ragionare sia andata a farsi fottere? Non è possibile. Incasso quel pesante colpo e prendo atto di aver sbagliato, di aver commesso uno dei più grandi errori della mia vita, se realmente ho lasciato andare un assassino, questo avrebbe potuto uccidere ancora. No impossibile, non posso aver sbagliato, non è possibile, uno come Le Roy, non ucciderebbe in quel modo. Noto l’espressione goduta e soddisfata della donna di fronte a me.
-Voglio parlare con lui-
-I nostri agenti stanno procedendo all’arresto-
-Non arrestatelo, è innocente-
-Perfavore Jack, rassegnati, hai sbagliato, non renderti ridicolo- Questo stronzo, che recita la parte dello scandalizzato, si è fatto fare anche l’autografo. Che schifoso.
-Non è una stupida prova d’orgoglio Chuck, pensi che io sia così idiota da lasciare un assassino libero, per non ammettere un mio errore? Le cose non combaciano, non può essere stato lui-
-Le prove sono schiaccianti, la prossima volta che ci incontreremo, cerchi di essere più gentile con me ed il mio team. Invece di recitare la parte del burbero detective, cerchi di svolgere meglio il suo lavoro-
-Queste affermazioni, la devono fare sentire molto importante, forse questa sera quando si guarderà allo specchio non si odierà come al solito-
-Cazzo Jack- Chuck sbatte la sua mano sulla fronte, provocando un forte rumore. La donna si avvicina a me, gli occhi lucidi. Devo aver colpito nel segno. Il suo naso, sottile e spigoloso, si ferma a pochi centimetri dal mio.
-Lei è solo un cafone, maleducato, incompetente e obsoleto-
-Sempre meglio di essere una donna divorziata, consapevole di aver lasciato tutto, per capriccio, per poi cadere vittima di un complesso autodistruttivo alimentare. Magari, insultandomi, questa sera riuscirà a specchiarsi e non odiare il suo corpo?- Uno schiaffo veloce ed ossuto colpisce la mia guancia, le lacrime, che la donna trattiene a stento, sono la conferma della veridicità delle mie parole. La verità fa molto male.
-Come vede l’obsoleto cafone è un attento osservatore- La donna esce sbattendo la porta. -Ma che cazzo ti salta in mente Jack? Vuoi prenderti una sospensione?-
-Fate pure, sono prossimo alla pensione- Esco dalla porta, mente Chuck sta urlando contro di me, parole vuote, non ha mai avuto le palle, le sue minacce contano meno del sottovaso di una pianta finta. Probabilmente, subirò una gran lavata di capo, dalle alte sfere, ma alla fine cosa possono fare? Mandarmi in pre pensionamento, sarebbe una gioia. Jack Daniel’s Wallace, stai decisamente diventando un vecchio e scorbutico brontolone, mi scappa un mezzo sorriso. Torno nel mio ufficio, raccolgo il mio impermeabile marrone, mi infilo le lucky strike nella tasca ed una in bocca, uscendo dalla centrale lasciando una scia blu, facendo sicuramente incazzare qualcuno. Ho solo un tarlo nella mia mente, come ho potuto commettere un errore così grossolano? Qualcosa non mi torna. Mentre esco dalle grandi porte della centrale, quattro pattuglie arrivano a gran velocità, si fermano davanti a me, cinque o sei uomini escono da esse, tutti ragazzi giovani e robusti, alcuni di essi riportano grandi ematomi sul viso, altri sono claudicanti e sono in pochi per essere arrivati in quattro macchina, poi capisco il motivo. Da una delle vetture, un agente fa uscire Michelle Le Roy, lui riporta una ferita sul sopracciglio sinistro, ma scalcia e si divincola, tanto che i cinque lo tengono a gran fatica, anche se ammanettato dietro la schiena. I nostri sguardi si incrociano, in lui vedo rabbia, incredulità, voglio interrogarlo di nuovo e mi precipito di nuovo dentro la centrale.
Capitolo 4
Rientrato in centrale, vedo Le Roy, scortato, o per meglio dire trascinato, nella camera per interrogatori, ad entrare con lui, Chuck Brown, incazzato oltremodo e la dottoressa della scientifica. Nella stanza degli interrogatori, quel cubo grigio arredato solo di un tavolo, tre sedie e il classico enorme specchio, che in realtà è riflettente solo all’interno del vano, dall’altra parte vi sono agenti dell’fbi, pronti a smascherare qualsiasi smorfia o reazione del sospettato, registratori di ogni sorta, per poter rivedere e riascoltare mille volte l’interrogatorio. Li, trovo Michelle Le Roy, seduto sulla scomoda e fredda sedia in metallo, adibita ai sospettati. Dall’altra parte Chuck e la Mason, ecco come si chiama, con segni di trucco sbavato dalle lacrime, entrambi urlano, mentre il loro indiziato rimane imibile, silente. Chuck nel vedermi si precipita verso di me, la dottoressa Mason mi guarda con disprezzo. Solo Le Roy sembra guardarmi con rispetto.
-No Jack, questa volta no- la sua mano sinistra spinge il mio braccio, indirizzandomi fuori dalla stanza.
-Vorrei interrogare il sospettato, niente di più-
-No, te l’ho già detto, hai avuto la tua occasione, hai sbagliato, può capitare, ma il tuo comportamento è malsano ed inadeguato, il caso lo sta risolvendo la scientifica, vai a casa, ci rivediamo dopo Natale-
-Mi stai sospendendo?- Lui si ferma, non so se messo in imbarazzo dalla mia esperienza, dalla mia fama, o semplicemente dalla mia età.
-Non mi lasci altra scelta-
-Fottiti-
Mi volto e prendo il corridoio per l’uscita, sono furente, mi faccio strada tra i giornalisti, accalcati davanti alla centrale, tutti per uno scoop, per un esclusiva, niente fa audience come un omicidio, se poi la vittima è una persona famosa, beh, li si che si fa il botto. Quanto odio questa società. Do spallate per uscire da quell’ esercito di microfoni, di loro si occuperanno Chuck o Barry, loro si crogiolano nella notorietà, anche se eggera. Vado avanti senza mai fermarmi. Salgo su Bobby, lei come me sbuffa con rabbia, ma come sempre mi porta fino a casa.
Nella mia vuota e silenziosa dimora, mi metto comodo, ripenso a tutto il caso, anche se non dovrei. Vorrei rilassarmi, godermi del riposo, ma non riesco, non è solo la sospensione che brucia dentro me, come un marchio a fuoco, ma è la frustrazione di non aver più voce in capitolo. Senza deviazioni trascino il mio culo flaccido sulla poltrona di velluto marrone. Poco lontano da me, giace il piccolo mobile bar, dove sono disposte ordinatamente una dozzina di bottiglie, tra cui liquori, amari e whisky, Jack Daniel’s, si beviamo un pò di me stesso, forse mio padre, questa battuta l’avrebbe trovata esilarante. Inizio a buttare giù qualche bicchiere, assaporandolo tra una boccata di sigaretta ed un altra. Sono il testimonial della vita sana. o un paio d’ore circa, la vista mi si annebbia, inizio a sentire quel torpore dovuto alla sbronza, sto per addormentarmi, felice, consapevole che sto per entrare in un bel sonno. Purtroppo vengo svegliato dalla suoneria del cellulare, “Great balls of fire” di Jerry Lee Lewis, una canzone che personalmente ho sempre adorato, ma da quando Julie l’ha impostata come suoneria, sul mio telefonino, ha perso un pò di attrattiva, forse perché la lego al lavoro o perché squilla molto più di quanto vorrei. Smettila di divagare Jack e rispondi al cellulare.
-Wallace-
-Jack, smettila di rispondere con il tuo cognome, non puoi dire pronto come tutti i cristiani? -
-Cosa vuoi Barry?-
-Farti morire dal ridere-
-Non sono in vena stasera, richiama in un altro secolo- Sto per staccare la conversazione, ma sento la voce del mio interlocutore alzarsi, quasi in un urlo, invocando più volte il mio nome.
-Che succede?-
-Aspetta bisbetico brontolone testa di cazzo, smettila di essere incazzato con il mondo ed ascoltami. Sai l’indiziato del duplice omicidio Mcknee-Pastore, Michelle Le Roy?-
-Non mi interessa, Barry sono stato sospeso qualche ora fa-
-È questo che ti farà morire dal ridere-
-Per ora mi sto alterando, arriva al dunque-
-Hai bevuto?-
-Solo un goccio-
-Non si direbbe-
-Hai chiamato per farti mandare a cagare?- Sento che sogghigna, dall’altra parte della cornetta, un mezzo sorriso scappa anche a me.
-Allora Chuck e la dottoressa della scientifica cercavano di lavorarsi Le Roy, per strappargli una confessione, ma lui niente, scena muta, hanno provato a chiamare anche me, solo che a guardarlo negli occhi, avevo paura che mi fe mangiare la scrivania come cena. Anche con me ha fatto il gioco del silenzio-
-Mi spiace, ma di sicuro non sono qui per aiutare, domani torna mia figlia, ho voglia di godermi un pò di riposo forzato, ti ringrazio, il fatto di sapere che Chuck non ha cavato un ragno dal buco, mi fa stare meglio, vedrai che quando chiederà di avere il suo avvocato, inizierà a cinguettare-
-È questo che tu non sai, non ha chiesto nessun avvocato, ha chiesto di te, vuole parlare solo con te. Dai il tempo a Chuck Brown, di digerire il suo fallimento, di capire di essere un pagliaccio e ti chiamerà- Addio sogni di relax.
-Mi sarebbe piaciuto vedere la faccia di Chuck- Sento Barry ridere sguaiatamente.
-Domani ti farò trovare un bel rapporto su tutte le deposizioni, vicini, conoscenti ed altro promesso-
-Pensavo lo avessi già fatto-
-Lo finirò domattina, stasera volevo portare i bambini a mangiare qualcosa fuori-
-Non ti sembra vero di scaricarmi questo barile- Ride di nuovo, in modo più amaro.
-Dai Jack, lo sai che non ti lascerei mai nella merda-
-A meno che alla televisione non trasmettano il superbowl-
-Il superbowl è sempre il superbowl- Ci salutiamo, nel contempo inizia a squillare il telefono di casa, sperando che sia Julie, alzo la cornetta e vengo aggredito dalla voce squillante, tipica delle incazzature di Chuck Brown.
-Dove sei? Ti ho chiamato più volte, e avevi il cellulare sempre occupato-
-Sono a casa, non ricordi mi hai sospeso-
-Beh, non lo sei più, riporta il tuo culo qui-
-Come mai?- So già la risposta, ma sentirla dire da lui, portebbe regalarmi un piacere indicibile.
-Sai il perché, quell’inetto di Barry ti avrà già informato su tutto-
-Non so di cosa tu stia parlando-
-Stronzo muoviti- La cornetta viene riagganciata dall’altra parte. Mi volto, un giramento di testa mi avverte di aver esagerato con l’alcool. Cerco di riordinarmi, alla bene e meglio, raccolgo tutto ed esco di casa, non girando neanche la chiave nella toppa, dubito che dei ladri, siano interessati al mio mobilio antidiluviano. Salgo al volo sul sedile in pelle di Bobby, le sospensioni cigolano, un rumore spettrale, simile al lamento stridulo, per averla svegliata a sera tarda. Metto in moto e parto, il cellulare squilla di nuovo. Esasperato dalle continue chiamate, e un pò ubriaco mi accingo a defenestrare il telefonino, quando fortunatamente mi accorgo del nome del mittente. Julie. Rispondo subito.
-Tesoro tutto bene?-
-Ciao papà!- La sua voce, squillante e allegra è sempre un tonico di lunga vita per me.
-È tardi pulcina, c’è qualcosa che non va’?
-No papà, è tutto perfetto, domani ci vediamoooooo- Vedo la mia immagine riflessa, nello specchietto retrovisore, mi rendo conto di aver l’espressione di un bimbo la mattina di Natale.
-Oh che bello, a che ora ti devo venire a prendere che non ricordo?-
-Sarò alle diciassette e trenta all’aeroporto “Son of Freedom’, mi vieni a prendere tu?- Vi sono due aeroporti a Demantea, il più grande “Son of Freedom” e il “Roosevelt” più piccolo e fuori mano, in onore del ex presidente degli Stati Uniti d’America.
-Va bene, sarò li puntualissimo-
-Papà, hai bevuto?-
-No, lo sai che sono astemio- Grandissimo bugiardo.
-Ma sei ancora a lavoro?-
-Mi hanno richiamato per un interrogatorio-
-Non ti stancare troppo, ti voglio in forma per domani, ho un sacco di cose da raccontarti, Non vedo l’ora che arrivi Mike, muoio dalla voglia di fartelo
conoscere- Sto per arrivare alla cenrtale, ma non voglio staccare la chiamata, la voce di mia figlia, è una pennellata di colore, in un mondo troppo grigio. Decido di fare un giro un pò più lungo.
-Per me, l’importante, è che sia un bravo ragazzo, che non ti faccia soffrire, ti tratti bene, e che non si droghi-
-Papi, mi conosci, lo adorerai come lo adoro io. Cambiando discorso, mi spiace che ti facciano lavorare stasera, vorrei che tu potessi andartene in pensione, rilassarti un po’-
-Lo sai piccola, mi annoierei, sono già un vecchio bisbetico così, se fossi a casa a fare niente peggiorerei, il mio lavoro mi ringiovanisce- Rido insieme a lei, mentre percorro i “Durden”, ove la mia risata, viene accolta in malomodo dai vagabondi e barboni nelle vie, se potessero, mi aprirebbero la pancia con un coltello. Il mio giro, tra mille parole e scambi di frasi d’affetto con Julie, sta per finire, purtroppo. La saluto con dispiacere, lei fa altrettanto. Domani, dovrò comprarle un bel regalo di Natale, dovrò prendere qualcosa anche per il suo fidanzato Mike, magari una bella lametta, con cui tagliarsi quella faccia da segaiolo, o una parte anatomica a lui molto cara, così per essere sicuri, che non possa fare nient’altro che comporre poesie d’amore per mia figlia. Chissà, se i genitori di Clara, hanno mai pensato così anche di me, all’epoca? O probabilmente sono io, ad essere portato nell’essere così stronzo.
Capitolo 5
È tutto il giorno che faccio avanti e indietro dalla centrale, non ne posso più, poi nel turno serale, tutte le scrivanie sono deserte, le porte esterne si possono aprire solo con il proprio badge, il salone principale è semi deserto ed illuminato solo per la metà, poche persone stanno lavorando davanti ai loro computer, all’interno dei séparé, o come piace chiamarli a me, l’acquario, o l’alveare, i quali fungono da schermi tra una postazione di lavoro ed un altra. Con quel silenzio, solo qualche lieve, quasi impercettibile rumore, proveniente dagli acquari, tutto assume un tocco più spettrale e noir. Un ragazzo entra nella stanza degli interrogatori con un caffè bollente e lo porge a Le Roy. Chuck esce di soppiatto dalla sala registrazioni, posta dall’altra parte del famoso finto specchio, per esaminare e immortalare le reazione degli indiziati.
-Sei arrivato finalmente- Annuisco, non devo fare sentire il fiato che puzza d’alcool, per una mancanza del genere si rischiano ammende troppo pesanti per poter rischiare.
-Le Roy ti sta aspettando, fai parlare quello stronzo, strappagli una confessione così andiamo tutti a dormire e lui in cella- Annuisco ancora. Noto la sua espressione decisamente incazzata, come un bimbo quando gli si rompe un giocattolo.
-Sembri fin troppo mansueto, hai la coda di paglia?-
o a fianco a Chuck Brown senza rispondere, mi fiondo nella stanza, Le Roy alza la testa, mi vede e sorseggia il suo caffè.
-Hai chiesto di me?-
-Quello sfigato è davvero il tuo capo?-
-Qui le domande le faccio io-
-Lo sai che la prima volta che sono venuto qui mi ha chiesto l’autografo?-
-Si, l’ha dimenticato nel mio ufficio- ride.
-Sembri calmo e rilassato, per essere il principale indiziato in un duplice omicidio-
-È l’atteggiamento di un innocente-
-A dire la verità sono molto più rilassati i colpevoli quando si trovano qui dentro. Veniamo al dunque, hai chiesto di me e non di un avvocato, perché? -
-Perché tu almeno hai le palle, non come quel finocchio e quel manico di scopa con i capelli- Se non fosse un sospettato gli offrirei una birra dopo ciò che ha detto.
-Sta di fatto che ci sono prove che ti inchiodano, sei consapevole di questo-
-Ti ho già detto tutto-
-No, tracce di sperma sono state rinvenute sul materasso e anche sulla tua ex moglie, tu hai fatto sesso con lei-
-Vorrei andare in separata sede a parlare, dove tutte le mie frasi non sono ed esaminate, guardo polizieschi da una vita, so benissimo che quello dietro di te ,non è un vero specchio-
-Tu non te ne vai da nessuna parte, mi hai voluto qui ed ora parli- Mi alzo in piedi e gli punto la mia espressione più truce contro la sua faccia, gli dimostro che non ho paura. Con calma e abbozzando un sorriso beffardo mi sussurra
-Ma quanto hai bevuto ispettore?-
-Forse è meglio andare nel mio ufficio- Che figuraccia.
Raccolgo tutti i fogli tra cui rapporti e documenti fotografici, resoconti della scientifica, tra cui vedo anche i miei appunti, presi dal mio ufficio, senza alcuna autorizzazione, la cosa mi fa ribollire il sangue. Le Roy si alza, gli sono state ammanettate gambe e braccia, con piccoli etti mi segue fuori dall’uscio della stanza interrogatori, Chuck nero d’ira mi afferra il braccio, cerca di strattonarmi a sé.
-Dove vorreste andare?-
-Nel mio ufficio, se non vuoi, puoi continuare tu, o vuoi sospendermi di nuovo?Mi scrollo la sua mano curata dal mio impermeabile ed accompagnato dal pugile, mi reco nel mio ufficio, con lentezza, mentre Chuck sfuria, imprecando ed inveendo contro di me parole che non capisco e che francamente non mi interessano.
Chiusa la porta del mio ufficio Le Roy si siede, io come sempre, appoggio il mio impermeabile allo schienale della mia poltrona. Accendo una sigaretta e poso il pacchetto sulla scrivania, dopo averne offerta una a Michelle, lui rifiuta con disgusto.
-Sai quelle cose ti uccidono-
-Anche le droghe, lo sai?- Zittito.
-Ora siamo in separata sede, come volevi, ora spiegami, cosa ci faceva il tuo sperma nel letto e addosso alla tua ex moglie?-
-Be, sei un adulto, non ti devo spiegare io come si fa tra uomini e donne-
-Non c’è molto da scherzare, ti riesci a rendere conto che rischi la sedia?Purtroppo a Demantea, vi è ancora la pena capitale, non è una cosa di cui andare fieri, ma la legge è la legge.
-Io, credo che tu sia innocente, lo dico davvero, ma devi parlarmi, sarò chiaro, tutte le prove indicano te, ma ci sono dei tasselli che non combaciano-
-Mi fa piacere che qualcuno lo pensi-
-Ok, allora rispondi alla domanda-
-Io e Katy, di tanto in tanto facevamo sesso, ci vedevamo di nascosto dal suo compagno-
-Perché? Cioè in fondo sei tu il suo legittimo marito, non potevate tornare insieme?-
-Si vede che tu non la conosci, al di là del viso angelico, o dei suoi occhi da cerbiatta, la sua anima era nera, era una persona cattiva, d’altronde guardami, io sono ridotto uno straccione, lei abita in main street. Quando lei ha visto la piega che stava prendendo la mia carriera, mi ha cacciato di casa, si è tenuta i suoi conti, lasciando me nella merda.-
-Non hai mai reclamato nulla?-
-Ho fatto anche io i miei errori, diciamo che non sono mai stato un marito modello, le scappatelle, le ammiratrici, avevano un certo fascino, io non so resistere alle donne-
-Beh, diciamo che anche questo non pende a tuo favore, soprattutto di fronte ad una giuria-
-Io sono innocente, non so più come dirlo-
-Forse stai parlando con l’unica persona al mondo che ti crede, sono qui perché voglio capire, perché non mi hai detto la verità fin da subito?-
Qualcosa lo scuote, la sua espressione cambia, da arrogante e saccente ex campione del mondo, a bambino appena sculacciato dalla mamma.
-Kate si era rivolta ad un avvocato, voleva farmela pagare per tutte le scappatelle, per la droga, la mia immagine colava a picco, portandosi dietro anche la sua, questo la spinse a buttarmi fuori di casa, voleva il divorzio, io non firmai le sue carte, mai. Ogni volta che me le presentava io le rifiutavo, volevo ricucire, pensavo che lei fosse la mia ancora di salvezza. Ma ogni giorno che ava, lei ed il suo legale, Colin McKnee, diventavano sempre più intimi, i giornali li immortalavano, un giorno ebbero la stupida idea di presentarsi in palestra, insieme, brandendo i documenti di divorzio, me li sventolarono in faccia, ed io ebbi una reazione prevedibile-
-Ovvero?-
-Mandai all’ospedale Colin, se la mia ex moglie, non mi avesse fermato, forse avrei fatto anche peggio-
-Non ci sono denunce a tuo carico riguardo a questa aggressione-
-No fortunatamente Katy riuscì a convincerlo, di non rovinarmi più di quanto già stessi facendo con le mie mani, ma lui preparò subito dei documenti, per un ordine restrittivo, mi disse che se mai mi fossi di nuovo avvicinato a lui, o a Katerine, avrebbe fatto partire una denuncia, per me sarebbe stata la fine-
-Ciò che mi hai appena detto, di certo non ti scagiona, te ne rendi conto. Perché, allora, se non potevi avvicinarti più a loro, andavi a letto con lei?-
-Te l’ho già detto, Kate, aveva un viso angelico, ma non era buona quanto sembrava. Io dovevo stare alla larga da loro, questa cosa la eccitava, iniziò a mandarmi qualche messaggio, iniziammo a vederci di nascosto, quegli incontri, alla mission impossible, risvegliarono in lei ioni ed ardori nei miei confronti, che pensavo fossero svaniti da tempo. Io assecondavo le sue voglie, solo per poter rendere pan per focaccia ad ambedue, avrei distrutto la loro relazione, poi avrei lasciato lei, nessuno tratta così Michelle Le Roy-
-Tu amico mio hai bisogno di uno psichiatra-
-Forse, ma non ho ucciso nessuno-
-Lo so, dopo che mi hai raccontato la tua storia ed ho capito quanto tu sia idiota, ne sono ancora più sicuro, però rimane ancora una cosa da capire, perché tua moglie ti ha lasciato come beneficiario per la sua assicurazione? -
-Io non sapevo neanche che ne avesse una-
-Stento a crederlo, tu non la amavi più, non hai versato una lacrima quando ti ho detto che era morta, secondo me sapevi della polizza-
-Come te lo devo dire? Non ne sapevo nulla. Perché continui a farmi domande, se pensi che io sia innocente?-
-Fare domande è il mio lavoro, poi non mi avessi raccontato la palla che tu la tua ex moglie non vi vedevate più da tempo, quando in verità, scopavate come ricci, a questo punto ti crederei di più. Ma nonostante tutto sono sicuro che tu non sia l’assassino perché se tu fossi un Killer, non avresti quel modus operandi-
-Cioè? -
-Non hai il sangue freddo per compiere un esecuzione del genere, quel crimine era premeditato e altamente studiato in ogni minimo particolare, tu avresti buttato giù la porta e fatto a pezzi entrambi con un ascia-
-La tua dichiarazione mi offende, ma devo ammettere che hai ragione- Abbozza un sorriso.
-Per me potresti già andare a casa adesso, Ma anche se Chuck firmasse le carte per la tua libertà stanotte, non potresti comunque lasciare la centrale prima di domattina. Non ti illudere, cercherà di tenerti dentro almeno per un giorno, lui adora stare in prima pagina, tu gliela puoi assicurare, purtroppo-
-Non sei un gran motivatore- Tiro fuori un’altra Lucky e la accendo, sbuffo il fumo in alto, guardo negli occhi quello che fino a qualche anno fa era un campione che ammiravo.
-Mai stato e non ho mai avuto l’ambizione di esserlo-
-Va beh, mi erò una notte al gabbio, non è la prima volta, speriamo sia l’ultima, Torna da tua moglie detective, sarà a casa ad aspettarti, chiedile scusa da parte mia, ma sei l’unica persona con cui avrei parlato-
-Sono vedovo, ma ti ringrazio-
-Mi dispiace-
-Non è colpa tua, ma se dovessi, un giorno risposarti, cerca di comportarti in modo adeguato, perché potresti salutarla la mattina, per andare a lavoro e non vederla mai più, una giornata così, non la auguro a nessuno-
Guardo l’orologio e mi accorgo che è quasi mattina, accompagno Michelle nella cella di detenzione della centrale, uno schifo, ma confronto a quelle delle carceri sembra una suite dell’Hilton, lui si accomoda sulla branda, senza essere a disagio, dalla sua disinvoltura, noto che per lui are la notte dietro alle sbarre è quasi un abitudine-
Porto i documenti per il rilascio a Chuck, il quale mi attende ansioso e irato nel
suo ufficio. Entro e vedo che scrolla la gamba sinistra ripetutamente, velocemente, sintomo di grande nervosismo, tiro i fogli sulla sua scrivania.
-È innocente, è scemo ma innocente-
-Come può essere innocente? Tutte le prove sono contro di lui, Wallace ti sei bevuto quel poco di cervello che avevi? Ti sei permesso di interrogare un sospettato nel tuo ufficio, senza che un superiore te ne desse il benestare, potrei sospenderti per questo-
-Teoricamente, Chuck, io sono sospeso, eppure sono qui, perché il mio superiore, non è in grado di sostenere un interrogatorio-
-Io quei fogli non li firmo-
-Fai come credi. Non è a me che devi rispondere, ho la coscienza pulita e linda-
Si alza con sdegno, la sua scrivania, come le pareti del ottagonale ufficio, è in vetro, su cui sono ordinatamente riposte penne e matite, suddivise tra loro, quasi in modo maniacale. Se potesse, mi infilerebbe quelle matite dalla punta aguzza direttamente negli occhi, ma si limita ad alzarsi, prendere il cappotto e vestirsi per tornare a casa. Esco con lui dal suo ufficio, senza rivolgerci la parola, lui se ne va, salutando solo quei pochi sfortunati che sono a lavorare attaccati alle loro scrivanie quella notte. Io sono stanco, non ho voglia di guidare fino a casa, per poi, come sempre trovarla vuota, ed essere assalito da ricordi dolci come il miele ma dal retrogusto amaro, troppo amaro. Sono a dir poco felice di rivedere Julie domani, ma le sue visite mi fanno sempre riflettere, rimembrare il ato, chiedermi in continuazione, se sono riuscito, da solo, a renderla felice, a non
farle sentire la mancanza di una madre che le è stata portata via troppo presto, non do colpa al destino, ma a me stesso, per non essere stato presente in casa nel momento in cui, un drogato ha fatto irruzione nel nostro piccolo angolo di paradiso. Guardo il soffitto dalla mia sedia, mi copro con l’impermeabile, usandolo come coperta, questi pensieri mi perseguitano, facendomi odiare il mio lavoro, motivo per il quale, quel maledetto giorno, non ero presente in casa. Su questo incubo divenuto realtà, finalmente i miei occhi si chiudono, sperando di fare sogni migliori.
Capitolo 6
La notizia dell’arresto di Michelle Le Roy è su tutti i giornali, l’uomo è una creatura subdola ed infelice. Osanna i suoi idoli ,nei loro trionfi, aspettando ansioso l’inesorabile caduta, per poi affossarli con sdegno ed un insano piacere. Questo è il punto più basso della carriera di Michelle Le Roy, gli avvoltoi volano sempre intorno ai moribondi. Verrà rilasciato in giornata, sempre se Chuck firmerà il fermo, ma finché non troveremo il colpevole, lui sarà additato come assassino, paragonato ad O.J. Simpson. Della sua reputazione sinceramente non mi interessa granché, il mio vero obiettivo è fermare un assassino a piede libero. Un mostro pronto a colpire di nuovo. Sono molto stanco, guardandomi allo specchio, posto sopra il lavandino del bagno della centrale, vedo che la mia faccia è solcata da profonde occhiaie nere. Ho ato quasi tutta la notte in bianco, ad interrogare una persona innocente, non ho voglia di tornare a casa, mi fermerò a sonnecchiare in ufficio, aspettando il rapporto di Barry, ed insieme, andremo ad approfondire le dichiarazioni, rilasciate da alcuni vicini di casa della vittima. Con il o del peggior zombie mai visto al cinema, arranco di nuovo fino al mio ufficio, mi siedo sulla poltrona, coprendomi con l’impermeabile, sopra i vestiti, appoggio i piedi sulla scrivania, e lascio che Morfeo mi prenda con se, per un paio di orette, sperando che mi restituisca al mondo in condizioni migliori, e senza questo mal di testa dovuto dall’alcool. Sono le nove, il risveglio dolce è guastato da violenti colpi di tosse, il petto mi brucia, e appena finito di maledirmi per essere un fumatore così accanito, e pensare di diminuire almeno un po’, tiro fuori una lucky, me la sbatto in bocca, dopo averla accesa prendo una bella boccata di aria blu e cancerogena. Appena spenta la sigaretta, prendo degli spiccioli ed esco dal mio ufficio, in direzione della “santa” macchinetta del caffè, devo svegliarmi, l’avvenente ragazza, immortalata sul distributore di caffè sorride, forse perché lei non ha mai dovuto bere questa brodaglia schifosa. Il salone centrale, brulica nuovamente di uomini e donne, i quali come sempre sciamano, simili api laboriose, in ogni direzione, ma alcuni di essi, a mio parere, senza alcuna meta. Bevo quel miscuglio di acqua sporca, spacciato per caffè dalla macchinetta. Barry arriva, quasi in orario, finisce di scrivere il rapporto, me lo porta dopo un paio d’ore, nel mio ufficio, svegliandomi, scopro di essermi addormentato con la sigaretta in bocca, la cenere si è riversata sul mio maglione e i jeans, la scrollo via, macchiando tutto di grigio, se Clara fosse ancora con me
mi sgriderebbe, accetterei una sua ramanzina volentieri.
-Qui c’è tutto, dichiarazioni di tutto il vicinato. Com’è andata con il campione?-
-Quello non è più campione da tempo, è un piccolo uomo, che continua a buttare nel cesso la sua vita-
-Un tempo eri suo fan-
-Era un’altra vita- Barry si siede, iniziamo a spulciare pagina per pagina il lungo rapporto, insime finiamo un pacchetto di sigarette, di solito non fuma, ma quando sono offerte, hanno un gusto in più. Continuo a guardare l’orologio, in attesa fremente dell’arrivo del volo di Julie. -Ti vedo stanco Jack-
-Non è stata una gran nottata-
-Stasera arriva tua figlia vero?-
-Si, la vado a prendere nel pomeriggio-
-Hai intenzione di presentarti con quella faccia?-
-Ne hai una di riserva?-
-Sono troppo più bello di te, il mio splendido viso sfigurerebbe su di te- Gli mostro il dito medio, lui risponde con un grosso sorriso.
-Senti, già hai ato la notte in bianco, e Julie sarà stanca dal volo, venite a mangiare da noi stasera, mangiate qualcosa e ve ne andate a casa, cosi non dovete cucinare-
-Ti ringrazio, a Julie fa sempre piacere venire da voi-
-Finalmente accetti l’invito?- Sorrido e lui fa lo stesso di rimando, chino la testa sui fogli, e leggo il rapporto, tutti gli inquilini del palazzo, hanno ammesso di conoscere poco le vittime, solo una donna, vicina di casa della Pastore, ha rilasciato dichiarazioni un po’ più dettagliate. Signora Waltz Joll, vedova, settantacinque anni, portati miseramente, almeno così appare dalle foto sul rapporto.
-Dovremmo fare visita alla signora Waltz Joll, forse ha notato qualcosa, era in contatto con la vittima-
-Si, la aiutava in casa, gli puliva i pavimenti quando la Pastore era fuori per lavoro, una signora d’altri tempi, ma al contempo rivoluzionaria, decisa a portare il doppio cognome- In pochi minuti siamo già in macchina, ascoltiamo “Donna” di Richie Valens, memoria di quando la musica era ancora musica.
-È incredibile, la macchina è talmente vecchia che non riesce a trasmettere canzoni più recenti degli anni settanta-
-Bobby si rifiuta di riprodurla, tutto qui. Dopo gli anni settanta la musica è morta- iamo per i “Durden” dove una gang, di ragazzi di colore, rigorosamente a torso nudo, intenti a giocare a basket, si ferma nel vederci are, con una canzone che valuteranno come ridicola, sempre meglio di quel rap malato e violento che ascoltano loro. Nella settima strada, poco prima di Main Street, un grosso negozio, sta aprendo per la prima volta, celebrando una pomposa inaugurazione, a cui le persone sono accorse a frotte, creando un vero ingorgo, un trio di poliziotti cerca di mantenere l’ordine senza sgualcirsi l’uniforme. iamo purtroppo davanti alla pizzeria “La Torretta” gestita dai fratelli Gennaro e Paul La Torretta, due italo americani, due boss, la taglia del loro giro vita è superata solo dal numero di traffici illegali e del numero di imputazioni a loro carico, sono intoccabili, in tempo ato avrei voluto andare nella squadra anti mafia, ma dopo la dipartita di Clara, questa mia voglia è svanita, risolvere i casi di omicidio è diventata pressoché una missione. Arriviamo al palazzo, parcheggio Bobby nel posto assegnato ai residenti, Barry si infila un sofisticato paio di occhiali da sole, mi guarda e sorride, un pò compiaciuto, un pò per ironia, non oso neanche immaginare il prezzo di quel vistoso capriccio. Però riesce a strapparmi una risata. Procedendo insieme o a o, mi rendo conto di sembrare uno straccione paragonato al mio collega, lui elegante e distinto, io con il mio solito impermeabile appaio come un vecchio maniaco sessuale. Davanti al grosso portone vi è una solitaria reporter, con troupe al seguito, impegnata in un servizio, cerchiamo di non dare nell’occhio, l’ultima cosa che Barry ed io vogliamo, è una sfilza di domande a cui non sappiamo ancora rispondere. Entriamo nell’amplio atrio del palazzo, pomposo e arredato con costosi divani in pelle e vetrine d’esposizione, con al loro interno bottiglie di pregiati vini e liquori. Che spreco, tutto quello sfarzo, quell’eleganza e alla richiesta di mostrare i video di sorveglianza, i gestori hanno dichiarato di non aver mai installato telecamere, per la privacy dei residenti. Per meglio dire, coprire scappatelle di politici, personaggi famosi o simili, i quali comprano appartamenti qui, fuorimano nella lontana città di Demantea, per le loro amichette. Saliamo sull’ascensore con la scritta “le magique” e i soliti led un po’ ovunque, sfioro il tasto del piano corrispondete, questa volta non faccio la figura del vecchio rincoglionito.
-È una cara signora, ci offrirà sicuramente un caffè con almeno mezzo dito di
residuo- Barry sorride.
-Bene, cosa ci fa una signora d’altri tempi in un posto del genere?-
-I ricchi non sono tutti stronzi sai?- Usciamo, bussiamo alla porta della signora Waltz Joll, Elisabeth Waltz Joll, vedova del costruttore Joseph Joll, colui che aveva eretto “Le Magique” e almeno un altra decina di palazzi a Demantea, e molti altri in giro per l’America, solo con gli affitti che incassava, nel giro di un mese, poteva superava il mio stipendio di un intero anno. La signora ci apre, abiti modesti, un insolito grembiule a fiori, un profumo di biscotti caserecci, di ottima fattura, innonda il corridoio. È una donna leggermente gobba, a dir la verità molto più trasandata di quanto mi aspettassi, un mare di capelli bianchi, non più lunghi di una decina di centimetri, le copre interamente la testa.
-Oh ispettore Carlson, che piacere, si accomodi-
-Gentilissima signora Joll, le presento-
-Wallace, Jack Wallace, signora Joll- Ci invita ad entrare, mobili antichi e pregiati in ogni dove, su cui sono posate molte foto di due ragazzoni alti e robusti, probabilmente i figli, ed una foto con il marito, un energumeno di almeno un metro e novanta dal viso buono, il suo aspetto lo farebbe sembrare un contadino, o un burbero muratore, non un impresario milionario con un gran gusto per l’arredamento. I muri sono quasi del tutto coperti da arazzi e quadri di artisti famosi, il profumo di biscotti pervade il mio naso e il mio stomaco risponde, ricordandomi di non aver fatto ancora colazione, anche se sento ancora una buona quantità di nausea dovuta all’alcool ingerito ieri sera, prima del ritorno in centrale. La vedova procede a piccoli i, le sue ciabatte mentre strisciano sul pavimento riproducono un po’ il suono caldo di un disco in vinile mentre gira per la prima volta. Procedendo sempre dritti entriamo in una cucina
utile e pratica, meno pregiata confronto al resto della casa. Una vera casalinga, sa che una cucina deve essere comoda e duttile, la bellezza sta nei piatti che escono da essa, non dai pensili o le colonne che la compongono.
-Volete dei biscotti? Sono appena fatti-
-Con piacere signora, grazie- Barry non si fa pregare, e con la fame che ho neanch’io, in più hanno un profumo delizioso. Dal forno, riposto sotto i fornelli, la signora Joll estrae una teglia ricolma di biscotti con scaglie di cioccolato, posa essa su un piano in legno e inizia a riunire i dolci in un unica e capiente ciotola. Dopodiché, li mette al centro del tavolo e ci invita a sederci e a mangiare, mentre ci versa due bicchieri di caffè. Mi ricorda le colazioni con cui era solita svegliarmi Clara, i suoi biscotti erano la fine del mondo.
-Ho letto sul giornale che avete arrestato l’assassino di Katrine, quanto dolore che mi ha dato sapere che l’avevano uccisa- Gli occhi della donna si riempiono presto di grossi lacrimoni, un dolore sincero e spontaneo.
-Andava a fare le pulizie in casa sua-
-Si, cara ragazza, non meritava quella fine-
-Lei è una signora dalla vita agiata, perché andava a fare la domestica? - Pongo la domanda e prendo un biscotto ancora fumante dalla ciotola e lo assaggio. Semplicemente delizioso. -Non facevo la domestica, aiutavo solo quella ragazza, aveva una vita così movimentata. I miei figli li vedo poco, abitano lontano, o le mie giornate da sola, Katrine è sempre stata molto gentile, abbiamo iniziato a tenerci compagnia, lavare i suoi pavimenti, o pulire i suoi mobili erano solo
favori che le facevo. Non sono lavori ad essere degradanti, lo sono se non li si svolge con la giusta dignità- Ascolto la perla di saggezza della vedova, sorpreso dalle parole di una donna così ricca, capisco la grande differenza che vi è tra i signori di un tempo, e gli arricchiti dei giorni attuali. Prendo la tazza dove la signora mi ha versato il caffè e lo bevo, incrociando lo sguardo con Barry, il quale sgrana gli occhi e scuote in modo impercettibile la testa, ma purtroppo è tardi quando capisco e una golata di caffè bruciato e imbevibile è già in viaggio per il mio stomaco, lasciando dietro di se un sapore orribile, quasi da nausea. Barry sogghigna, mentre mi caccio in bocca un altro biscotto, sperando invano di togliere quell’orribile gusto.
-Ha già letto che abbiamo arrestato l’assassino, il signor Le Roy, lo conosceva?-
-Veniva a trovare Katerine a volte, sempre quando il compagno di lei non era presente, quando lui entrava a casa, diciamo che si sentiva, per tutto il piano. Sembra così strano che sia stato lui ad ucciderla-
-Cosa ne pensava di Colin McKnee? Il compagno?-
-Un borioso avvocatucolo, niente di più, lei non lo amava più, mi ha confessato più volte di essere intenzionata a tornare insieme al suo ex marito, il pugile, prima che quest’ultimo la uccidesse, lo amava ancora-
-Sono fiero di annunciarle signora, che Michelle Le Roy è innocente, il suo arresto è stato solo un abbaglio, molte prove conducevano a lui, ma abbiamo ragione di pensare che lui sia del tutto estraneo ai fatti- Non specifico che nessuno, a parte me, è sicuro dell’innocenza di Le Roy.
-Ma allora, chi è stato?-
-Non lo sappiamo ancora- Barry si schiarisce la voce, sempre con grande educazione, non è un grande lavoratore, non brilla per intuizioni geniali, ma riesce a mettere a proprio agio tutte le persone con cui ha a che fare, in questo lui è il migliore, per questo l’ho voluto con me, quando il mio ex collega è andato in pensione.
-Signora Joll, mi ripeta, non ha notato niente di strano il giorno dell’omicidio, o magari il giorno prima?-
-Il giorno dell’omicidio l’ex marito di Katy era venuto a trovarla, per poi uscire due orette dopo, prima dell’arrivo del compagno di lei. L’avvocato sospettava l’infedeltà di Kate, litigarono, succedeva spesso, sempre più frequentemente, verso le undici hanno smesso, penso per andare a dormire. La mattina seguente sapevo che lei avrebbe avuto sfilate solo nel pomeriggio, quindi come solito ho suonato alla sua porta per prenderci un caffè insieme, naturalmente non ho ottenuto risposta, perché lei ormai era già morta- Due grosse e pesanti lacrime ricominciano a sgorgare dagli occhi dell’anziana signora, la quale con voce rotta e singhiozzante continua il suo terribile racconto.
-Pensai che fosse uscita, magari con qualche amica, o stesse ancora dormendo, sono rincasata, non la vidi per tutto il giorno, nel pomeriggio le avrei pulito i pavimenti come d’accordo, avevo un mazzo di chiavi di emergenza di casa sua, nel caso avesse dimenticato le sue, aprii la porta, la chiamai ma nessuno rispose, iniziai come sempre a pulire il pavimento, ma quando giunsi in camera da letto vidi…- Le lacrime mutano in un pianto disperato, di orrore e sgomento.
-Signora, mi dispiace doverle fare ricordare cose così dolorose, ma devo farle altre domande- Non ho tatto, ma ho un assoluto bisogno di risposte.
-Va bene-
-Perché una signora benestante come lei, lavava i pavimenti alla vicina- I suoi occhi si alzano, fissandomi, quasi come offesa dalla mia domanda.
-Detective….- Non ricorda il mio nome.
-Wallace-
-Detective Wallace, lei come tanti pensa che la mia vita sia stata solo sfarzo e lusso vero? Pensa che essendo la moglie di un imprenditore di successo, io non abbia mai alzato un dito in vita mia vero? Sono nata povera, esattamente come il mio Joseph, quando era giovane lavorava i campi ed io con lui, nel lontano Nebraska. Joseph aveva progetti, ambizioni, molto superiori al raccolto di un campo, si mise a studiare, divenne imprenditore, partendo dal niente ed io sempre al suo fianco, crescevo i nostri figli, badavo alla casa, per poterla fare risplendere il più possibile, solo per lui. Non ho mai avuto una domestica, né una tata, ho tirato su i miei figli, ando anche mio marito, quando le cose sembravano andare male. Purtroppo il tempo a, i miei figli sono andati via da Demantea e con gli anni il mio Joseph è spirato, che Dio l’abbia in gloria. Mi sono trovata da sola, senza più nessuno a cui badare, finché non ho conosciuto Katy, così bella, così gentile, lei, non sapeva neanche da che parte cominciare a fare le faccende domestiche, con le sua bellezza non ne aveva mai avuto bisogno, decisi di aiutarla, finché la mia schiena avrebbe retto lo avrei fatto, non ho mai chiesto un dollaro né a Katy né a Colin, non ho bisogno di soldi, diciamo che la moneta con cui mi ripagavano era un po’ del loro tempo, ci si sente soli quando i tuoi figli ti fanno visita solo per battere cassa-
-I suoi figli dov’erano il giorno del omicidio? -
-Il maggiore era a Toulse, il minore fa il cuoco a Indianapolis, entrambi sono almeno due mesi che non li vedo-
-Quanto invece che non li sente?-
-Pochi giorni fa, ma se volete ho i loro tabulati telefonici-
-Come mai li ha lei?-
-Perché pago le loro bollette- Si farebbe di tutto per i figli, ma questi due avrebbero bisogno di una sana dose di sberle, ben date.
-Vi posso dare i loro numeri di telefono, ma sono sicura che non si siano neanche avvicinati a Demantea-
-Certo li faremo controllare signora Joll, ma stia tranquilla, non vi è il minimo sospetto su di loro-
-Mi chiami Margareth- Barry come al solito ha fatto colpo.
-Non si ricorda nient’altro di quelle giornate? -
-Mi dispiace, vi ho detto tutto ciò che sapevo- La signora Joll è sincera, probabilmente era stata l’impicciona del condominio, ma la compagnia di Kate Pastore l’aveva sedata, divenendo una figura quasi materna per la vittima. Una chiacchierata inutile, alzandomi dalla sedia avverto le gambe cedere, stanno risentendo della pessima nottata, devo svegliarmi, il caffè della signora Joll ha avuto solo la capacità di privarmi del senso del gusto per le prossime dodici ore. Usciamo da quella casa con più domande di quando vi siamo entrati, potevo starmene a dormire, avrei di sicuro risolto il problema del mal di testa, dovuto alla stanchezza, che mi sta massacrando le tempie. Saluto Barry, lui si dirigerà in centrale, solo per scrivere il rapporto su ciò che abbiamo o meglio, che non abbiamo scoperto oggi. Io salgo su Bobby e mi dirigo verso l’aeroporto “son of freedom” dove tra poco più di un ora atterrerà la mia amata bambina. Mi fermo, lungo il tragitto, in alcuni negozi, alla ricerca di un regalo di Natale per Julie, devo ammettere di avere le idee un po’ confuse, mia figlia ha molti interessi, la musica, suona la chitarra, solo per hobby ovviamente, mai in una band, ha un’adorazione per i libri fantasy, come del resto a sua madre, le piace andare in discoteca, e studia per diventare veterinaria, forse, questa sua vocazione, deriva dal mio perenne rifiuto di avere animali in casa, non perché non mi piacciano, ma non avrei mai voluto che lei si affezionasse ad un animaletto, il quale poteva lasciarle un altro vuoto, non voglio che succeda ancora. Forse sono stato un padre un pò chioccia, ma avevo visto mia figlia piangere troppo nella vita, e mai avrei permesso di vederla soffrire ancora. Ma ora la mia bimba è diventata una donna, anche se in cuor mio, non riuscirò mai a vederla tale, entro in negozio dove vendono cuccioli di golden retriver, la ione di Julie da sempre. Nel locale della trentaquattresima strada, sento un grande odore di cane bagnato e mangime per uccelli, dietro un bancone lungo e tappezzato di poster di prodotti per cani e gatti, noto una ragazza giovane, molto magra e dall’aria trasandata, dai capelli castani spunta un lungo dread, che le cade sulla spalla destra, parzialmente coperta da una camicia color sabbia.
-Ha bisogno signore?- Dalle sue labbra escono le seguenti frasi, ma dentro la ragazza, pensa che io non sia nient’altro che un vecchio rincoglionito, capitato li per sbaglio.
-Si vorrei comprare un cucciolo per mia figlia, ho notato che avete dei golden retriver, posso vederli?-
-Certo, mi segua- La ragazza dietro al balcone mi conduce nel retrobottega, e dalla scia che lascia, capisco che nonostante l’abbigliamento da hippie, ama davvero gli animali, perché ha il loro stesso odore. In un piccolo recinto mezza dozzina di cuccioli giocano e abbaiano, producendo un caos infernale, la mia testa sembra esplodere per il rumore e le troppe ore di sonno di cui ho bisogno. Non si può rimanere imibili però, davanti ad uno spettacolo così bello, vedendo qui birbanti, mi sale la voglia di portarli tutti a casa con me. Vecchio Jack, sei un cuore d’oro.
-Sono cinque femmine ed un maschio-
-Se fosse possibile vorrei una femmina-
-Primo cane?-
-Si-
-Giusta mossa- La ragazza sorride, masticando una chewingum di cui ignoravo l’esistenza nella sua bocca fino ad un attimo prima. Mi chino per accarezzarli, alcuni cagnolini scappano impauriti, solo due rimangono a prendersi le mie carezze, un maschio un pò più in carne, ed una femmina, più magrolina, bianca come il latte, entrambi, annusano l’odore di nicotina di cui le mie mani, purtroppo, sono impregnate, d’improvviso la femmina si alza in piedi, mordendomi l’indice, come per giocare, come se fossimo già amici, per poi cadere goffa sulla schiena.
-Lei, assolutamente lei-
-È il cane che sceglie l’uomo, le piace già-
-La cosa è reciproca- Accarezzo ancora la piccola azzannatrice per poi alzarmi prima di rapirla e portarla già a casa.
-Tra quanto potrò portarla a casa?-
-Due o tre giorni, ha fatto da poco l’ultimo vaccino, direi che la vigilia di Natale può venirla a prendere-
-Perfetto- Torniamo al lungo bancone, dove la ragazza mi dice un prezzo notevole, pago, non c’è prezzo per un cane, non c’è prezzo per la felicità di mia figlia. Esco soddisfatto dal negozio, anche se con il portafoglio notevolmente alleggerito. Dopo una ventina di minuti di guida, finalmente arrivo a destinazione. Aeroporto “Son of Freedom” D 2, immensi saloni, su un pavimento di piastrelloni bianchi, panchine in metallo grigio, giro come un disperato per trovare gli arrivi, pensando al perché gli aeroporti assomiglino così tanto agli ospedali, ambienti freddi ed inospitali, sedie scomode, ma nonostante questo appena mi siedo, in attesa del volo ND 243 dal quale scenderà Julie, cado in un leggero sonno, mi sento pesante e stanco, le gambe formicolano, ogni volta che quella stronza parla all’altoparlante mi sveglio di soprassalto, per poi piombare nuovamente in un leggero torpore, fino a che finalmente non viene annunciato l’arrivo del volo della mia stella. L’aereo atterra morbido, si aggancia al finger per lo sbarco. Dopo una decina di minuti di attesa, i eggeri del volo ND 243, finalmente entrano nel salone dell’aeroporto, coppiette innamorate camminano per mano, un signore con i baffi bianco come un cencio, racconta ad
un amico al telefono, di quante turbolenze ha subito l’aereo durante il viaggio. Un gruppo di manager e sedicenti uomini d’affari attaccano il loro auricolare bluetooth chiamando mogli cornute o amanti bisognose d’affetto. Infine Julie, sempre ultima, per evitare la ressa e il trambusto di chi vuole uscire primo.
-Papone!- Allarga le braccia, come per abbracciarmi già da distante.
-Ciao piccola mia- Ci incontriamo in un lungo abbraccio, tutti i pensieri, i ragionamenti sul caso, le brutte visioni dell’omicidio, svaniscono in un istante. Come se al mondo, non esistesse alcun problema o cattiveria ed ogni uomo andasse d’accordo con il suo prossimo. -Mi sei mancato brontolone-
-Anche tu, com’è andato il volo?-
-Le solite turbolenze, ma alla fine tutto bene-
-Dai che ci andiamo a fare un giretto su Bobby-
-Mi è mancata anche quel catorcio-
-Insulta me, ma non insultare Bobby- Ridiamo insieme camminando verso il nastro trasportatore delle valigie. Ritiriamo il bagaglio in fretta e furia e corriamo da Bobby.
Capitolo 7
Bobby si avvia senza bestemmiare, solo qualche fumata dalla marmitta, sembra anche lei felice di vedere Julie, la quale dopo aver caricato le valige nel bagagliaio, si siede a fianco a me,come faceva sua madre; quanto le somiglia, il sorriso illumina la mia giornata.
-Pulce, stasera siamo a mangiare da Barry, ha avuto un bel pensiero-
-Siiii, sono contenta di vedere tutta la famiglia-
-Prima però iamo a casa, cosi posi i bagagli, hai l’occasione di rilassarti un pò- La vedo, sorridente come sempre, ma un velo di tristezza è presente anche in lei, probabilmente come me, sente la mancanza di una figura che manca da troppo tempo, per quanto mi impegni, non riuscirò mai a colmare quel vuoto.
-Ti vedo stanco papone, forse hai più bisogno tu di riposarti, non hai una bella cera-
-No, sto bene, ho solo avuto una nottataccia- A bordo della mia vecchia Chrysler giriamo per la città, Julie parla dei suoi studi, di come si trova bene a New York, definendola magica, anche se da padre, ho un pò paura, che la mia bambina abiti in una città così grande, tutt’altro che priva di pericoli. Intervalliamo i discorsi, per notare quali negozi hanno preso il posto di altri. Una piacevole gita con la migliore delle compagnie. Giriamo pressappoco tutta Demantea, lasciando solo da parte i “Durden”, fino a giungere a casa, appena entrata mia figlia si guarda in giro, posa le valigie e va in salotto, dove ho lasciato prove schiaccianti, nota la
bottiglia di Jack Daniel’s quasi vuota, poggiata sul tavolino, ma fa finta di niente, probabilmente sa che il suo vecchio è tutt’altro che astemio. La sua marcia arriva fino alla vecchia macchina da scrivere, sempre coperta dal centrino riuscito male e sempre più ingiallito dal tempo. Accarezza l’antiquato apparecchio come farebbe con un anziano, con dolcezza, le sue dita, scorrono lente e leggere sul suo fianco. Vedo ciò che mi fa male, una lacrima scivola dalla guancia di mia figlia, il peso di una goccia è insignificante, ma se sgorgano dagli occhi di mia Julie, pesano come macigni nel mio cuore. Mi accendo una sigaretta, tiro una boccata profonda, riempiendomi la bocca, per allentare quel dolore, ovviamente invano. Julie si gira verso di me, cercando di fare finta di nulla, si avvicina.
-Mi avevi promesso che diminuivi le sigarette papone-
-L’ho fatto bambina mia- Sporco bugiardo.
I suoi occhi sono lucidi, bagnati da altre lacrime, o una mano per asciugarle il viso, rovinandole il trucco, il mascara sbavato le si sparge sulla tempia e sulla guancia destra, un epifania percorre il mio cervello, una scintilla, che cercavo da giorni, ma non posso pensare al lavoro, o almeno, non posso far vedere a mia figlia che penso ad un caso di omicidio davanti a lei. Che la giustizia per questa sera aspetti, che tutto taccia, questa serata è dedicata interamente alla mia Julie, il mio grande amore, la abbraccio con amore infinito, lei di rimando contraccambia.
-Ti voglio bene papone-
-Più del mondo intero stella-
L’abbraccio dura molto, ma mai quanto vorrei.
-Ora vai a cambiarti, la famiglia di Barry ci aspetta-
-Yuppie- Con il suo solito entusiasmo sale le scale di corsa, con un pugno alzato, io dimenticandomi della promessa che mi ero fatto, due secondi prima, arrovello le mie meningi, pensando a quell’illuminazione. Tutto era chiaro, il rossetto sbavato cercava di aprire un mio cassetto della memoria, chiuso da tempo, un ricordo remoto. Una coppia, uccisa nella stanza da letto, a New York, anni fa, con il medesimo modus operandi delle ultime vittime, me ne ricordo, perché mi documento continuamente sui fatti di cronaca che avvengono nella città dove studia mia figlia, probabilmente sono un pò iperprotettivo, ma con il mio ato, chi può biasimarmi? Vorrei andare in centrale, per cercare negli archivi, ma ora che vedo nuovamente mia figlia, intenta a scendere le scale, vestita elegante, mi rendo conto che ormai è una donna, anche se per un attimo, appare ancora la bambina con le treccine color corvino, sdentata e sorridente, che mi corre incontro, mostrandomi il soldino che il topolino dei denti le aveva portato in regalo. Il tempo corre, e non possiamo fare altro che assaporare quei momenti e tenerli sempre vivi nel cuore e nella mente, addolcendo quel brodo amaro che è la vita.
-A che pensi papà? -
-Niente, mi sono solo accorto che sei cresciuta- Sorride, orgogliosa.
-Sai, non vedo l’ora che tu conosca Mike, ti piacerà, è ansioso di conoscerti.Una pugnalata al cuore, il pensiero di cosa può fare quell’ebete con mia figlia mi fa venire voglia di tirargli il collo, ancora prima di salutarlo, ma per Julie dovrò sopire questo desiderio, mi limiterò a stritolargli la mano al nostro primo incontro.
-Sono ansioso di conoscerlo- Jack Daniel’s Wallace, quand’è che smetterai di raccontare così tante cazzate a tua figlia?
-Andiamo lo zio Barry ci starà aspettando-
Ci mettiamo a eggiare, per raggiungere Bobby, con mia figlia sottobraccio, anche i marciapiedi della mia strada sembrano più puliti. Incrociamo qualche ragazzo, e noto che i loro sguardi, normalmente attoniti, seguendo una mente che vaga, sono concentrati su mia figlia, i più educati sul viso, i più spregiudicati si fissano sul suo ahimè generoso decolté, non so se sorridere o arrabbiarmi, decido di pensare ad altro, per il mio quieto vivere.
Giriamo l’angolo, una violenta folata di vento invernale ci sorprende, ricordandoci che siamo a dicembre, corriamo, in direzione di Bobby, le sue sospensioni cigolano, urlano, come un lamento, per essere saliti in troppi.
-Papone, perché non cambi la macchina?-
-Cambiare Bobby? Mai, poi è d’epoca-
-Non è d’epoca, è solo vecchia-
-Non dire così, si offende- Mia figlia mi guarda ridendo, ma con un pizzico di preoccupazione, per il suo vecchio, pensando che forse è partito di testa, un pochettino, non ha tutti i torti.
-La tieni solo perché ti ricorda mamma. Papone, è ato molto tempo, potresti rifarti una vita, perché non ci provi?-
-Me ne hai già parlato Julie, non ne ho voglia- La conversazione inizia a indispettirmi, senza volerlo accelero.
-Non puoi vivere nel ato-
-Vivo dove voglio, ho amato tua madre, sempre. Non ho intenzione di sostituirla con nessuno-
-Non sarebbe un sostituirla, ma solo andare avanti, lei sarebbe d’accordo-
-Su questo non esserne così sicura, tua madre era la donna più gelosa che io abbia mai conosciuto, adoravo anche questo di lei-
-Hai nominato me come unica beneficiaria delle entrate dei suoi libri, per darmi un futuro, per aiutarmi con gli studi, ma vivi nella casa uguale identica a com’era anni fa, senza mai cambiare niente, non ti fa bene-
-So io cosa mi fa stare bene-
-Come le sigarette e l’alcool?- Sorvolo, chiudendomi nel mio silenzio, sperando
che questa discussione i in secondo piano da sé, lascio che Julie mi faccia una ramanzina, meritata, ma che purtroppo non ascolterò.
Bobby torna ad essere nevrotica, dalla marmitta esce un fumo nero pece, se fosse un fumetto, sarebbe a forma di teschio. Il motore si spegne, dopo aver perso un paio di colpi, provo a girare la chiave, ma sembra che la mia vettura si rifiuti di accendersi, provo ancora e ancora, ma il risultato è sempre il medesimo. Sbuffo, Julie con me, mi guarda con la tipica espressione di chi sa di aver ragione.
-Non è vecchia, ha solo bisogno di un pizzico di manutenzione-
-No, ha bisogno dello sfascia carrozze-
-Sei crudele ed insensibile- Ride.
Assesto un paio di colpi sul cruscotto, simili a pacche sulle spalle.
-Dai Bobby, appena avrò un momento libero ti prometto che ti metto a posto e ti faccio pure riverniciare-
-Ci vorrebbe un miracolo- Julie si mette le mani nei capelli, sempre sorridendo. Le pacche funzionano, il motore si riavvia, anche se leggermente ingolfato stenta, partiamo, senza più intoppi fino a destinazione.
Barry abita vicino a Main street, una zona lussuosa, anche troppo per agente
dell’Fbi, la moglie del mio collega è di famiglia molto agiata, lui come spesso scherza, dice di aver attaccato il cappello al chiodo, al volo come Michael Jackson nel video di Smooth Criminal. Un lavoratore tutt’altro che integerrimo, ma una grande amico, e un padre di famiglia esemplare, anche se in centrale, lo sanno anche i muri, che come marito sia leggermente libertino.
Parcheggiamo vicino a casa del mio vecchio amico, un amplio giardino si prospetta davanti a noi, la casa arancione su due piani, con sopra di essi una piccola ma accogliente mansarda, una villetta quasi da sogno, indipendente, tipica americana.
La porta bianca, è decorata con intagli a forma di fiori sui lati, per tutta la sua lunghezza, busso e Mary ci apre, una bella donna, bionda e burrosa, ma invecchiata parecchio, ha qualche anno più di Barry, ma con il are del tempo, quel gap pare essere aumentato.
-Jack, ma chi mi hai portato? Chi è questa principessa?- Abbraccia calorosamente mia figlia, lei contraccambia.
-Sono felice di vederti zia Mary, non sei invecchiata di un giorno- Raccontare palle probabilmente è di famiglia.
-Sei svenevole, ma i complimenti non ingrassano, almeno quelli non lo fannoIrrompe in una forte risata.
Entriamo, sulla sinistra del corridoio una porta che conduce ad un amplio salotto, arredato con un grande mobile bar nero e rosso, ed un divano in ecopelle nera, posto davanti alla tv, Barry è seduto su di esso, con i figli, Kyle e Tyler, il primo
quindici anni, il secondo sui dodici, stesso viso dolce della madre, ma con lo sguardo birbante e furbo del padre, capelli castani e notevolmente alti, il maggiore quasi come Julie, cosa gli danno da mangiare ai bambini di oggi?
-Oh, siete arrivati, vieni Jack, ci sono i White Sox che le stanno buscando dagli Phillies-
Non sono un grande amante dei Philadelphia Phillies, ma in quella squadra milita uno dei migliori atleti di questo sport, il grande Grady Sizemore, campione vero, noto per i suoi Home in the park, la sua velocità al limite dell’assurdo, ci sono un po’ rimasto male quando ha lasciato la sua squadra del cuore, i Cleveland Indians, ma non si può non amarlo.
Mentre mi siedo noto che il figlio maggiore di Barry, Kyle, segue con lo sguardo mia figlia, in ogni suo movimento. Buon sangue non mente, fortunatamente lei ha quasi dieci anni più di lui, altrimenti dovrei preoccuparmi di probabili pomiciate.
Dopo aver visto uno degli inning più impari della mia vita, Mary viene a chiamarci per la cena. Ci sediamo intorno ad un lungo tavolo, nella sala da pranzo, situata al lato opposto del salone con la tv. La tavola è imbandita di ogni ben di Dio, un grosso tacchino spadroneggia visivamente sulle altre pietanze, la madre di famiglia evidentemente sta facendo le prove per la cena di un sempre più imminente Natale. Guardo Julie, ha un viso così divertito, mi rendo conto che mi sto isolando, pensando a quel delitto di New York, non ricordandomi chi fosse l’assassino, se fosse stato arrestato o ancora a piede libero, se quest’ultima ipotesi fosse veritiera, poterebbe essere la stessa mano, ad aver ucciso la coppia Pastore e McKnee. Basta Jack, non divagare, c’è Julie qui con te, devi pensare solo a lei. Ritorno alla realtà come dopo un sogno terribilmente vivo. Una serata davvero piacevole, i ragazzi si alzano presto da tavola, dopo aver finito di mangiare, per andarsi a piazzare nuovamente davanti alla tv, per la fine della partita. Mary si alza, sorridente e compiaciuta per l’ottima riuscita di tutti i suoi
piatti.
-Ora mentre i signori si vanno a fumare il loro sigaro, la signora sparecchiaBarry ride come al solito della propria pigrizia.
-Ti do una mano io zia Mary-
-Grazie tesoro-
Barry si gira verso di me e, con il suo solito viso sornione, tira fuori dalla tasca due grossi sigari, di provenienza esotica, probabilmente molto costosa.
-Havana!- Enfatizza, mettendosi i sigari ai lati del viso, come in uno spot pubblicitario, riesce a strappare una risata ad ognuno di noi. Sempre il solito coglione. Accetto di buon grado, usciamo dalla porta di servizio di casa sua, ritrovandoci nel piccolo giardino, circondato dalla alta staccionata in legno marrone, un albero di limoni sulla sinistra e un grosso acero, a cui è appesa un’altalena ormai utilizzato di rado, sulla destra, vengono divisi da un camminamento in pietre vulcaniche. Vicino all’albero di limoni vi sono due sdraio colorate, su cui in piena estate, nei giorni di riposo, Mary e Barry prendono il sole, ci accomodiamo li, portandoci dietro un posacenere in vetro.
-Grazie dell’ospitalità-
-No, grazie a voi, Mary adora te e tua figlia, io sinceramente vedo il tuo faccione tutti i giorni a lavoro e non ti sopporto quasi più - Ride.
-Riguardo al lavoro-
-No, ti prego non incominciare-
-Ho trovato un riscontro, vi è stato un omicidio simile, potrebbe essere correlato come il caso Pastore McKnee come no, però sarebbe meglio informarsi-
-New York, cazzo se fosse lo stesso assassino, sarebbe un nomade-
-O probabilmente una persona che per un motivo o per l’altro debba viaggiare molto, magari per lavoro, o perché è ricercato- Tiro una boccata amplia di sigaro, il fumo denso mi occupa la bocca, un sapore di denso, amaro, ma al contempo dolce, mi inebria il palato, mi sembra quasi di immaginarmi una distesa di sabbia bianca, palme ed una bella cubana ventenne con tette di marmo che mi sorride vogliosa, quest’immagine idilliaca però, viene interrotta dai macabri ma purtroppo necessari discorsi.
-Stai parlando di un serial killer, non è un pò presto per giungere ad una conclusione così macabra? Potrebbe esserci dietro la mala-
-Un omicidio è sempre un avvenimento macabro, qualsiasi sia la motivazione di un assassino, non so se nel nostro caso si tratta di un serial killer, di un caso isolato, o di un regolamento di conto della mala, anche se quest’ultima, di solito, non tocca le donne. Non so ancora nulla, l’unica certezza che ho è la consapevolezza che se questo stronzo non è un caso isolato, ci spetteranno altri cadaveri, altro sangue, se l’assassino è un viaggiatore, sarà molto dura fermarlo-
-Jack mi stai facendo venire i brividi-
-Spero di sbagliarmi amico mio-
-Lo spero anche io, Chuck sa della tua intuizione?-
-No, è stato un lampo che mi è venuto poche ore fa-
Facciamo una piccola pausa, fumiamo qualche boccata di sigaro, tranquilli , assaporando l’aroma, il gusto di quelle piccole gioie rollate in un unica foglia di tabacco.
-Sai che se chiamassi Chuck Brown ora, potrebbe sospendermi di nuovo-
-Probabilmente, odio quello stronzo-
-Sono sicuro che non abbia ancora firmato la scarcerazione di Le Roy-
-Jack te lo confesso, quando mi hai detto per la prima volta, che secondo il tuo parere Michelle Le Roy era innocente, pensavo fossi diventato pazzo, aveva un mare di prove contro di lui, ma ora inizio a vederla anche io così, mi sono sempre fidato di te, del tuo intuito, non smetto di certo ora-
-Ne sono lieto vecchio amico mio- Continuiamo a fumare, ando a temi più leggeri.
-Il sigaro di per sé mi piace, ma il non poter aspirare il fumo, lo trovo un pò frustrante-
-I tuoi polmoni non sono abituati all’aria normale-
-Penso di no-
-Dovresti diminuire il numero di sigarette Jack, dico davvero, sembri una ciminiera, quando tossisci, vicino a me, a volte, ho paura che tu possa morire da un momento all’altro-
-Da domani inizierò a diminuire-
-Quante volte te la sei già fatta questa promessa?-
-Quante volte ti ho detto di farti i cazzi tuoi?- Rimane leggermente interdetto, ma sa che non dicevo sul serio.
-Domani sarà una lunga giornata-
-Si fortunatamente tra due giorni inizieranno le feste, un pò di meritato riposo-
-Sempre che non succeda nulla-
-Iettatore-
Chiudo leggermente gli occhi, la stanchezza mi sta assalendo, il mal di schiena, dovuto alla notte ata sulla poltrona dell’ufficio, mi toglie quasi il respiro, immagino il mio letto, la sensazione di relax che riesce a regalarmi, infine apro gli occhi ed un bellissimo cielo stellato si mostra in tutta la bellezza.
-Le vedi Barry, le stelle?-
-Certo-
-Le sette stelle, quelle che formano una specie di clessidra-
-Intendi Orione?-
-Esattamente, Orione nell’antica Grecia, era un grande guerriero e cacciatore, quel mucchietto di stelle a fianco alla sua figura sono le Pleiadi, un tempo si diceva fossero muse, un giorno orione, in preda alle sue bramosie d’amore, e al suo appetito leggendario, le vide, voleva farle sue, loro scapparono, iniziò ad
inseguirle, e quella fuga continua tutt’oggi, nelle stelle, le Pleiadi continuano a fuggire dal loro aguzzino-
-Orione è il primo stalker della storia- Non prenderà mai nulla sul serio.
-Intendevo che fin dall’alba dei tempi, l’uomo, ha sempre avuto dentro sé un qualcosa di malvagio, di corrotto, uccidendo, violentando, perseguitando le donne, ottenendo tutto con la forza bruta, siamo una piaga, stiamo uccidendo il nostro mondo, ogni uomo sulla terra, appena nasce è un potenziale serial killer, sarebbe la salvezza della terra, se di colpo sparissimo dalla superficie del pianeta, lasciandolo libero, pulito, vergine-
-Che pensieri tristi, Jack, per favore siamo vicino a Natale, un minimo di ottimismo-
-Forse hai ragione amico mio- La porta di servizio si apre, Julie esce in giardino, stringendosi tra le braccia per coprirsi dal freddo.
-Ma siete pazzi a stare qui fuori, si gela-
-Regola della zia Mary, cara Julie, niente puzza di sigaro in casa-
-Papone, ti vedo stanco, andiamo a casa?-
-Certo bambina mia- Mi alzo dalla sdraio, la vista si sta sfuocando, sintomo di
una trascurata stanchezza, Tengo in bocca il sigaro, stringendolo tra i denti.
-Domani ci vediamo in centrale, Chuck vorrà un rapporto con i controfiocchi, te la senti?-
-Signor Sì, tu cosa farai?-
-Io andrò a fare una perquisizione nell’ufficio di McKnee, subito dopo farò una salto al salone della moda, dove lavorava Katrine Pastore, voglio sentire le sue colleghe, magari qualcuna di esse sa qualcosa-
-Tutto il giorno tra le modelle, posso venire?-
-Tu mi servirai in centrale Barry, ti spiego tutto domani-
-Despota- Lo saluto con un caldo abbraccio ed un sentito ringraziamento, a volte senza di lui, cadrei in un vortice di autodistruzione.
Julie ed io, dopo aver salutato tutta la famiglia saliamo sulla fumante Bobby e torniamo a casa, le palpebre di mia figlia si fanno pesanti mentre le mie lo erano già da un pezzo.
Capitolo 8
È mattina. Il sole, spara uno dei suoi raggi accecanti direttamente contro la mia cornea, richiudo il timido occhio non ancora abituato alla luce dell’alba, un insolito profumo viene fiutato dal mio naso, qualcosa di dolce, un qualcosa che mi è mancato da tanto tanto tempo. Julie apre la porta, vestita della sua tutona in pile rosa, zebrata. Per un istante, un brevissimo e meraviglioso istante ho rivisto la mia Clara, entrare da quella porta, vestita anche lei di pigiama, con i suoi occhiali davanti ai suoi occhietti vispi, verdi come il mare, quando è selvaggio ed indomito, quel sorriso, una meraviglia tale che quando la mia dolce moglie lo sfoggiava, tutto il mondo sembrava andare a meraviglia, quel sorriso che ha avuto la bontà di donare alla nostra bambina, rendendola una meravigliosa principessa.
-Buongiorno papone- Mi rendo conto di essere stato in un secondo di dormiveglia, quel posto dove incontro sempre la mia dolce metà, quel posto dove vorrei vivere senza mai andarmene.
-Buongiorno piccola mia-
-Ti ho scaldato la colazione- Una tazza di latte fumante e delle brioches scaldate alla piastra, come può un uomo volere di più?
-Volevo prepararti delle crepes, ma il tuo frigo ha fatto un viaggio nel tempo, non c’è niente di fresco-
Mi schiarisco la voce, non rispondendo, cercando una via di fuga
dall’argomento.
-Papone, tutti i guadagni dei vecchi libri della mamma li hai versati nel mio conto, mi paghi l’università e mi versi dei soldi ogni mese, tu vivi in questa casa privandoti di ogni cosa, hai un buono stipendio, vorrei che fi qualcosa per te , almeno di tanto in tanto. Perché ti trascuri così? -
-Capirai, quando avrai un figlio-
-Io ho un lavoro a New York, non voglio gravare sempre su di te-
-Tu non sei e non sarai mai un peso per me pulcina- Addento una brioches, butto giù il caffè di fretta, dopo aver guardato l’orologio appeso al muro di fronte a me.
-Sono le otto e mezza, alle nove devo essere in centrale- Mi butto giù dal letto corro in bagno e faccio tutte le cerimonie, di corsa, mentre Julie, rifà il mio letto.
-Senti papone, se oggi pomeriggio invitassi Janette e Kayla a casa nostra?- Le sue amiche del liceo.
-Non ci sarebbe alcun problema, questa casa ha bisogno di un pò di risate-
-Grazie-
Non rispondo perché sono già fuori dalla porta, tossendo come al solito, una tosse brutale e violenta, come sempre mi ripeto di essere un coglione.
Salgo su Bobby con il fiatone, accendo una Lucky e parto, cercando di correre un pò, ma la mia vecchia Chrysler non ne vuole sapere, appena schiaccio un pò di più, essa inizia a tremare, degli scoppi dalla marmitta, sono le sue imprecazioni, rallento. Arrivo in centrale comunque con cinque minuti di anticipo, per me è un ritardo enorme.
La presenza di Julie in casa, mi aveva fatto quasi dimenticare del caso, devo correre nel mio ufficio, devo verificare se l’omicidio di New York, ha veramente a che fare con l’assassinio delle coppia Pastore McKnee, se fosse così, se avessi ragione, tutto il caso sarebbe stravolto, diventerebbe ciò che tutti temono di più, la caccia ad un omicida seriale.
Tutto quell’ammasso di api ronzanti senza meta in giacca e cravatta, sta dando vita al via vai, o in mezzo a loro, scansando ragazzi pieni di entusiasmo, i quali sognano di entrare nella squadra antiterrorismo, o nella omicidi, in ogni caso non penso che li vedrò mai in azione, la mia pensione si avvicina.
Chuck non è presente, il suo ufficio è vuoto, Barry ovviamente neanche, per lui le nove sono l’alba, ogni suo ritardo viene giustificato da una mia cazzata, sparata eccezionalmente a seconda del caso. Entro nel mio ufficio e l’ordine di scarcerazione di Michelle Le Roy è sulla mia scrivania, privo di firma, quel poveretto è ancora nelle nostre celle, purtroppo non è una situazione che posso cambiare, almeno finché Chuck non si renderà conto di essere in torto, o nella peggiore delle ipotesi, quando il Killer colpirà di nuovo. Fumo una Lucky nel mio ufficio, seguita da un’altra, accendo il computer, attendo qualche minuto che carichi tutti i suoi file, Barry è molto più bravo di me con questi aggeggi, peccato che come al suo solito, sia ancora nel letto a dormire. Finalmente il
caricamento si conclude, vado negli archivi, trovo l’omicidio in breve tempo, grazie anche ad un pò di fortuna. Il caso in questione è denominato come le vittime, ovvero Vaughn e Larrivey una coppia uccisa nello stesso identico modo, nel sonno, due colpi ciascuno, un colpo in testa ed uno al cuore, l’ uomo era stato ritrovato in posizione naturale, mentre come nel caso della Pastore, la donna era stata sistemata, in posizione supina con le braccia lungo il corpo, il suo viso era stato truccato, ma dal suo occhio destro una sbavatura copiosa, intenzionale, non dovuta ad una qualsiasi perdita di liquido, le si allungava quasi fino alla guancia. Il detective incaricato del caso è un certo Joshua Jameson, potrei scrivergli un e mail, ma sono sempre stato un amante della cara vecchia telefonata, una conversazione più diretta e intuitiva, almeno si capisce se la persona con la quale si sta parlando sia un emerito coglione o una persona come si deve.
Prendo la cornetta nera del telefono e compongo il numero della centrale di New York, nella quale risiede il detective Joshua Jameson, una centralinista dalla voce squillante e simpatica mi risponde educata, mi identifico e le espongo la mia richiesta, subito dopo lei mi mette in attesa, inserendo una musichetta noiosa ma orecchiabile.
-Jameson-
-Buongiorno, sono il detective Wallace, dalla città di Demantea-
-Buongiorno a lei, in cosa posso esserle utile, agente Wallace?-
-Taglierò corto, mi servono informazioni sul caso Vaughn Larrivey-
-Aspetti un secondo, devo guardare nell’archivio sul mio computer, poteva
scrivermi un e mail, ha avuto la fortuna di trovarmi in ufficio-
-Avevo fretta- Sento i rumore dei tasti premuti dalle sue dita, la velocità con cui esegue l’operazione, quanta invidia, sapessi essere così veloce anche io, i rapporti li scriverei in un quarto del tempo.
-Si, ora che lo vedo me ne ricordo, subito avevo pensato che fosse un esecuzione della mala, ma poi fortunatamente il caso si è risolto da solo-
-Cosa vuol dire?-
-Due giorni dopo, l’ex marito della Larrivey, Patrick Lundia, un ex tennista di fama nazionale, fu ritrovato impiccato in casa sua, probabilmente in preda al rimorso per ciò che aveva fatto, sul suo tavolo della cucina, a fianco a lui, delle foto della ex moglie uccisa, con impressa su di esse, lo stampo del rossetti della donna e il suo mascara-
Tutto troppo semplice, tutto troppo scontato, troppi indizi.
-Questo sembra un tipico esempio di orgia di prove- L’orgia di prove è un insieme di troppi indizi, forniti in un piatto d’argento, se fossero così semplici,i casi di omicidio, mi ritroverei disoccupato nel giro di un mese.
-Rasoio di Occam detective, la soluzione più semplice è spesso quella esatta- A me sembrava più il rasoio di Barry Carlson, risposta più facile, così posso andarmene a casa.
-Se ha bisogno le posso fornire tutta la documentazione del caso, così può convincersene lei stesso-
-Grazie, gradirei tutto al più presto-
-Questo è un mio caso, detective Wallace, lei sta intaccando la mia professionalità- Dopo la mia richiesta, la sua voce è cambiata, da cordiale e benevolo, ad alterato e aggressivo.
-Non dubito della sua professionalità, ma tutti possiamo sbagliare-
-Potrei anche non inviarle niente-
-Potrei anche chiamare Washington, denunciando un gesto di anti collaborazione, dentro il John Edgar Hoover Building, non prendono alla leggera, l’ostacolo alle indagini, soprattutto se l’ostruzione avviene dall’interno-
-Questa è una minaccia?-
-No, è l’intenzione di un agente sicuramente più anziano e più esperto di lei, detective Jameson, possiamo collaborare, lei può fornirmi tutta la documentazione ed insieme verificare, se in precedenza non vi sono stati errori di valutazione, oppure posso rimediare tutto dagli archivi, e sputtanarla al comando di Washington, l’unica differenza è che ci metterei solo un pò più di tempo-
-Le spedirò tutto entro un ora, via fax, arrivederci- Il telefono viene riattaccato appena dopo l’ultima sillaba, non ho niente contro Jameson, in verità non so neanche chi sia, ma penso che sia un uomo onesto, se vi sono stati errori, sono stati fatti in buona fede, figli solo dell’inesperienza o dell’eccessiva fretta, il nostro mestiere a volte viene messo in secondo piano, dopo l’avvento della scientifica, a scapito del raziocinio, i criminali più esperti a volte contano su questo.
Barry arriva in centrale, mentre Chuck non si è ancora fatto vivo. Entra nel mio ufficio con un grosso bicchiere di caffè.
-Porca vacca Jack, c’è una nebbia pazzesca qui dentro- Non mi sono reso conto di aver già fumato una decina di sigarette, la cenere di esse è sparsa in ogni dove. Delucido il mio collega della telefonata a New York, sorseggio un pò del suo caffè, purtroppo mentre butto giù mi accorgo che è con caramello e panna, una bomba che mi farà ribollire lo stomaco per ore.
-Ok capo, devo scrivere i rapporti?-
-Prima voglio vedere la documentazione di New York, poi ci penseremo-
Chuck entra correndo dal portone della centrale, vedendolo noto che è molto allenato, se solo avessi provato a fare uno scatto del genere, sarei finito a terra senza più un briciolo di fiato, in attesa di rianimazione. Un ragazzo anch’esso snello e con un fisico asciutto ma robusto lo accompagna nella corsa, una segretaria porge loro un foglio, vedo le loro facce da dietro il vetro del mio ufficio, noto espressioni di raccapriccio, esco dall’ufficio insieme a Barry, entrambi preoccupati.
-Che succede?-
-Il killer ha mandato una lettera a Michelle Le Roy-
-Gli ha scritto?-
Chuck mi porge la busta, la quale contiene un foglio, su cui sono state appiccicate lettere ricavate probabilmente da diverse riviste, leggo tra me e me il breve ma aghiacciante testo.
ABBRACCIA FORTE LE TUE SBARRE CAMPIONE, È TUTTO CIÒ CHE TI RIMANE
Nella busta, oltre alla lettera vi è un cd, di una nota marca di apparecchi hi fi e hi tech, sulla copertina vi sono stampate due impronte di rossetto, prese da labbra visibilmente differenti, una più carnosa, l’altra leggermente più sottile ma più ampia, anche il colore del rossetto è differente, il primo rosa, il secondo rosso fuoco, esattamente come nel caso Vaughn Larrivey Lundia. Guardo in faccia Chuck, sembra che abbia paura di scoprire cosa contiene quel cd, forse non è l’unico, a giudicare la cera di Barry,
-La lettera è stata spedita a noi?-
-No, era destinata alla palestra di Le Roy, un nostro agente l’ha intercettata-
-Ma se sapeva che era qui, perché mandarla alla sua palestra, sa che Le Roy è in galera, lo scrive apertamente-
-Sapeva che l’avremmo rilasciato, o che non l’avremmo arrestato così in frettaChuck alza lo sguardo e vede che tutti i giovani agenti sono fermi, intenti a guardare noi.
-Andiamo nel mio ufficio, subito- Inizia a camminare, poi si volta e urla.
-Tornate a lavorare- Il rumore torna assordante, i giovani stagisti, iniziano immediatamente a sciamare di nuovo.
L’ufficio di Chuck è posto sopraelevato, al centro della sezione rapine ed omicidi, una specie di esagono di vetro, dal quale può vedere tutto e tutti, si diceva che fosse antiproiettile, ma fortunatamente non abbiamo mai avuto la possibilità di verificarlo, una grossa scrivania in vetro, nuova di zecca, attira l’attenzione, sulla sommità di essa, fogli, penne e computer, tutto ordinato in modo maniacale, perfino le matite sono appuntite e perfette, a fianco al pc, una foto, incorniciata d’argento, di una donna, bionda tinta, sulla quarantina dal seno palesemente rifatto, non so chi sia, il mio capo è single, probabilmente, potrebbe essere una vecchia fidanzata di Brown, oppure una donna che divide le sue attenzioni con Penny, la segretaria. A fianco ad essa, una foto del militare, ove il mio capo, più giovane e muscoloso, mostra un look molto più trasandato e grezzo, noto le sue mani, le unghie mangiate e mal curate, chissà cosa lo ha cambiato tanto da farlo diventare così metrosexual. Chuck è immortalato abbracciato di fronte all’obiettivo, con altri due soldati, probabilmente amici, anche se uno dei due, ha una qual certa somiglianza con la donna della foto precedente. La scrivania è circondata da quelle che a prima vista, sembrano le poltrone più comode che io abbia mai visto, completamente in pelle nera, è plausibile che sia vera pelle, un ufficio enorme e freddo, ma curato in ogni
particolare, tipico del mio capo.
Ci sediamo intorno alla scrivania, Chuck gira il monitor del computer, in modo che sia io che Barry possiamo vedere ciò che esso contiene, dopodiché si china e inserisce il cd, due icone, un video e una cartella di immagini, ecco cosa contiene, decidiamo di aprire il filmato.
La regitrazione è stata fatta all’interno della cabina armadio alla veneziana di casa Pastore, degli spiragli si vede Michelle Le Roy nudo, chinato su Katrine Pastore, l’audio prova senza alcun dubbio, che i due stiano facendo sesso selvaggio, con ione e trasporto, il filmato continua a scorrere, dopo circa un ora Le Roy, esce dalla casa, poco dopo si sente entrare Colin McKnee. L’ex modella ed il fidanzato iniziano subito a litigare, come ci aveva testimoniato la vedova Joll. Lui accusa lei di essere una donnaccia, lei replica attaccando, definendolo folle geloso e possessivo. I due si calmano, ma la tensione rimane alta. Mangiano velocemente qualcosa in un altra stanza e la telecamera si spegne. L’immagine ritorna immediatamente, ma si nota che siano ate almeno altre due ore, poiché dalle finestre non entra più la luce solare, ma solo il blu della notte, i due litigano ancora sulla presunta infedeltà di lei, per poi mettersi a letto in un freddo silenzio, senza toccarsi, senza proferire parola, presto entrambi si addormentano, la porta della cabina armadio si apre in silenzio. La mano sinistra del uomo nascosto dietro la telecamera estrae una pistola, non una qualsiasi, una MSP, esattamente come sostenevo, questo spiega il perché nessuno abbia sentito gli spari, visto che una pistola, per quanto sia silenziata, produca un gran fracasso. Le vittime vengono colpite prima in testa, successivamente al cuore, il rumore è minimo, un esecuzione perfetta, quasi da professionista, la telecamera viene posata sul comodino, dall’altro lato della stanza,a riprendere il portone dell’ingesso, mentre si sente in sottofondo la voce del killer, intenta a cantare la sigla dei flinstones, un motivetto simpatico, ma in quell’occasione molto agghiacciante. Dopo pochi minuti, la telecamera viene sollevata, ed inquadra Katrine Pastore, truccata di tutto punto, esattamente come l’avevamo trovata, infine l’obiettivo si sposta sul viso dell’assassino, il quale indossa una maschera dall’espressione neutra, bianca, ma truccata, esattamente con gli stessi trucchi e colori usati sulla vittima, con sulla fronte la scritta, impressa con il rossetto: finché morte non vi separi.
La riproduzione finisce, nessuno di noi proferisce parola, Chuck, senza farsi pregare, clicca sulla cartella di immagini, una serie di dodici foto, di cui undici, fungono da cronostoria di un altro omicidio, questa volta la casa è spartana, poco illuminata, sembra l’interno di un abitazione dei Durden, una ragazza di colore si accinge a mettersi a letto, la camera è spoglia, anche abbastanza sporca, i muri sono coperti di tappezzeria grigia, circondano un letto dalle coperte bianche perla, ed un mobiletto su cui è appoggiata una piccola televisione, le foto sono scattate da fuori, probabilmente il bastardo si era appollaiato su di una scala antincendio, appena la malcapitata prende sonno, lui le balza addosso, con foga, questa volta niente pistola, ovviamente niente audio, solo un coltello, che cala su di lei più volte, macchiando il candido letto e i muri di sangue scuro, giovane, innocente. In un immagine la stanza appare nuovamente pulita ed ordinata, con lenzuola azzurre, perfino la tappezzeria è pulita alla perfezione, un lavoro certosino, il corpo della ragazza non è più presente. Le ultime due immagini ritraggono un pozzo, immerso nel verde, in un luogo sconosciuto, con il corpo della vittima immerso nell’acqua, infine un’altra maschera, esattamente uguale alla precedente, ma sulla fronte la scritta in rosa, della stessa gradazione dello stampo sulla copertina del cd: Lei ti ha raccolto dal fondo, saprei fare lo stesso?
-Questo è un pazzo- Barry ha il colore dell’orrore, i suoi occhi sono sgranati, sembra quasi in procinto di rimettere.
-Bisogna trovare quel pozzo, al più presto. Jack, tu hai un buon ascendente con Le Roy, parlagli, scopri chi è la ragazza di colore, cosa ha a che fare con lui-
-Chuck, avverti il B.S.U.-
-Intendi il B.A.U.? Perché? - Il B.A.U., precedentemente denominato B.S.U. è un unità specializzata, della federau bureau investigation, nel profiling degli assassini seriali.
-Perché questo è un serial killer-
-Ha ucciso due persone, è uno stalker, probabilmente un assassino per devozione- Capita che fan di sportivi, celebrità o personaggi famosi in genere, possano trasformare la loro venerazione in una delirante e pericolosa ossessione, ed iniziare ad uccidere le persone vicine al loro beniamino, per i più disparati motivi, un esempio lampante si è avuto con John Lennon, ucciso in strada, con un colpo di pistola da un suo fan. Ma non è questo il caso.
-No, un assassino per devozione non è così pulito, se fosse come dici tu, lo avremmo gia preso, oppure, in quanto mitomane, si sarebbe consegnato lui stesso, non avrebbe ripulito una stanza da cima a fondo, inoltre- Respiro profondamente, non sono sicuro di ciò che sto per dire, ma se le mie intuizioni, fossero giuste, potrei salvare delle vite innocenti, riconoscere la natura di un omicida è un grosso o in avanti nelle indagini e può far risparmiare molto, molto tempo. -Potrebbe esserci un precedente-
-Cosa?-
-Un vecchio omicidio di New York, una coppia, ammazzata nello stesso modo, la vittima femminile appare truccata, il trucco sbavato-
-Perché non ne sapevo nulla?-
-Il caso era stato chiuso, l’ex marito della vittima, è stato trovato impiccato in casa sua, si pensava fosse il classico caso di omicidio suicidio, ma qualcosa non
torna-
-Ho bisogno di prove più concrete per chiamare il B.A.U. a Washington non prendono alla leggera la richiesta di profiler per semplici casi di omicidio- Ecco il burocrate che viene immancabilmente fuori da Chuck Brown.
-Fidati di me, non ti ho mai deluso-
Barry, finora silente è pallido, trattiene il vomito solo con la forza di volontà, alza lo sguardo dal pavimento in moquette blu.
-Jack ha ragione, questo è un folle, ma anche un infallibile un calcolatore, ha immerso la vittima nel pozzo, perché è l’unica che possa avere addosso il suo dna, se sta più di settantdue ore immersa nel liquido, addio prove. Perquisiamo la casa dell’ultima vittima, se per caso avesse commesso un minimo errore, potremmo avere una chance, ma nel caso non lo avesse fatto, avere già qui un profiler è un grosso vantaggio- Barry sa come vendere il ghiaccio al polo nord.
-Se io scomodo dei profiler di Quantico per un nonnulla, i piani alti prendono i miei testicoli per farci palle da biliardo-
-Questo non è un nonnulla, Chuck per l’amor di Dio, possiamo salvare delle vittime innocenti- Il mio capo metrosexual, è un narcisistico arrampicatore sociale, ma non un bastardo, so che chiamerà il quartier generale appena uscirò dal suo ufficio, ma è troppo orgoglioso per ammetterlo.
-Manderò tutti gli uomini possibili a cercare il luogo delle immagini, confronteremo la foto con tutti i pozzi in pietra, nel raggio di cinquanta chilometri fuori da Demantea. Da te Jack voglio che parli con Le Roy, ovviamente insieme al tuo fidanzato Barry, date un nome alla vittima, scoprite dove viveva, parenti, amici, ogni cosa, ogni persona, che l’abbia anche solo vista di sfuggita negli ultimi giorni, voglio un rapporto dettagliato su tutto, dall’inizio del caso fino ad ora, se i membri del B.A.U. devono venire qui, dobbiamo fornirgli ogni possibile informazione, tutti i dettagli su cui possano lavorare e tirare fuori un profilo del tuo serial killer-
-Io ho bisogno di tempo per verificare i miei sospetti, la documentazione da New York mi arriverà a momenti-
-Potrai farlo quando avrai finito il compito che ti ho assegnato- Cuore d’oro.
Stampiamo una foto della ragazza, la prima dove si vede un suo primo piano, quando era ancora viva e sorrideva felice, quell’immagine non è stata scattata dal killer, è probabilmente una foto che quest’ultimo ha rubato in casa sua e ci ha spedito, per far si che il viso fosse ben riconoscibile ed illuminato. Mi congedo con il saluto militare, una piccola provocazione, visto che le voci che corrono, vogliono che Chuck, abbia avuto un’agile e misericordiosa mano sulla locazione e durata del suo servizio di leva. Il mio capo, capta il mio sarcasmo e non risponde, anche se un arcigna espressione gli si dipinge sul volto, molto infastidito, mentre, solleva la cornetta per disporre ordini alle varie squadre di ricerca, dispiegate per ritrovare il corpo della giovane ragazza di colore.
Percorro, insieme a Barry tutto il piano terra del grande edificio, riservato alla rapine ed omicidi, il corpo federale dello stato, ha molte priorità, combatte il terrorismo, cerca di distruggere il crimine organizzato, il mio reparto non è né il più blasonato, né il più importante, più di una volta altri agenti, di altri piani, ci guardano con una vena di sarcasmo, ma secondo me, la grande differenza tra noi e loro è in verità quella che noi otteniamo risultati.
Le celle di detenzione sono separate dal resto degli uffici da un grande cancello bianco, alto fino al soffitto, una guardia sorveglia l’entrata, questo non è un carcere, le celle sono poche, una per ogni divisione, qui risiedono solo sospettati, presunti colpevoli, per questo la si chiama detenzione cautelativa.
La guardia, sulla quarantina ci saluta, apre velocemente la porta facente parte del cancello, deve aver capito che abbiamo molta fretta. Nelle celle regna un silenzio spettrale, in lungo corridio grigio, con pareti che sembrano di carta a vetro, inospitale e freddo, proseguiamo nella penombra, solo qualche lampada, da dentro le celle, illumina il nostro percorso. Arriviamo di fronte alla cella di Le Roy, lo vedo a torso nudo, impegnato in una serie infinita di flessioni, gocce di sudore, bagnano il pavimento in cemento, un’altra guardia, sbucata quasi dal nulla ci fa soprassaltare, senza dire una parola ci apre la porta della gabbia, Barry ed io entriamo, mentre Michelle non placa il suo esercizio.
-Detective Wallace, mi ha detto che ero un uomo libero, quando uscirò da questo buco?-
-Il prima possibile Le Roy, non dipende da me-
-So come funzionano queste cose, il suo capo sfigato, si eccita sapendo di avere me dietro alle sbarre-
-Come sempre l’autostima non ti manca-
-Se non per rilasciarmi, perché siete venuti a trovarmi?-
Tiro fuori la foto della ragazza, nell’istante in cui gli occhi del campione la vedono, il suo esercizio si interrompe, il viso assume un espressione di dolore, grande, immenso, la voce strozzata dal dolore emotivo proferisce un solo nome.
-Jeanne –
Capitolo 9
La cella è angusta, il pavimento di cemento ed i muri dello stesso colore, privi di finestre, sono inospitali e freddi, due letti a castello, sono fissati alle pareti laterali, con una tazza, lercia piazzata al centro del muro di fondo. Le Roy, dopo aver visto la foto di Jeanne, si siede sul letto basso sulla sinistra, il suo corpo imperlinato di sudore, risalta una muscolatura possente, un enorme tatuaggio copre la sua schiena, sembra una manticora, un animale mitologico, noto per la sua immane potenza.
-Chi è questa ragazza?-
-Cosa le è successo?-
-Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda, dovresti saperlo-
-Jeanne Cole, trentasette anni-
-Sembra più giovane, ne sei sicuro-
-Siamo stati fidanzati per molto tempo, per lei, ho smesso di farmi-
-Quindi l’hai conosciuta dopo esserti sposato?-
-No, siamo stati insieme anche prima-
Barry, cammina su e giù per la piccola cella, come se stesse aspettando qualcosa, una risposta, non l’ho mai visto così silente.
-Ora ditemi cosa le è successo-
-Prima qualche altra domanda-
Le Roy si alza di scatto, il viso diventa paonazzo ed incomincia a gridare.
-Non vi dico un fottutissimo cazzo, voglio sapere che è successo a Jeanne, perché avete la sua foto-
-Come l’hai conosciuta?-
-Cazzo- Un poderoso calcio va a colpire le sbarre della cella, la guardia che attende fuori la fine dell’interrogatorio sussulta.
-Da quanto tempo la conosci? Sai dove abita?- Non posso farmi intimorire, se gli dicessi che è stata pugnalata molte volte, non risponderebbe a nessuna domanda, finendo in preda all’ira e tutto sarebbe vano.
-Abita in Hakon street, nei Durden-
-Che rapporto avevi con lei?-
-Ve l’ho già detto, è stata la mia fidanzata, in due occasioni-
-Perché vi siete lasciati?-
-Sempre per il medesimo motivo-
-Droga?-
-No, Kate-
-La tua ex moglie?-
Annuisce, prende un respiro profondo, mentre io mi accendo una Lucky, gli porgo il pacchetto e ne sfila una anche lui, non è un fumatore, ma la tensione è troppa, la accende dopo di me, tossisce espellendo il fumo, dopodiché, inizia a raccontare, con un pò di pianto strozzato in gola.
-Quando ero in Canada, il mio paese natale, vivevo a Montreal con mio padre, mia madre e le mie tre sorelle, nel vivere così circondato dalle donne, visto che mio padre si spaccava la schiena tutto il giorno per concederci uno stile di vita abbastanza agiato. Fin da bambino ero agitato e rissoso, ho perso il numero di volte che ho visto mia madre furibonda dopo l’incontro con gli insegnanti, o per aver picchiato il figlio dei vicini, non ero cattivo, semplicemente mi piaceva menar le mani, un giorno mio padre, un uomo grande e grosso, lo ricordo come un gigante, mi portò in quella che sarebbe diventata in futuro la mia prima palestra di boxe, mi innamorai follemente di quello sport meraviglioso, nobile, una disciplina che sarebbe diventata la mia vita. Dico la verità, non ho molti ricordi della mia adolescenza al di fuori di quella palestra, anche se non dimenticherò mai la mia prima volta sul ring, mio padre finalmente, non mi sgridava più per picchiare qualcuno, anzi mi incitava, sembrava un sogno. Nel contempo vicino a casa mia si trasferì una famiglia di afro americani, i Cole, Jeanne ha cinque anni meno di me, quindi quando la vidi per la prima volta era poco più di una bambina, ma con il tempo io crescevo, e lei con me. Iniziò ad assistere ai miei incontri, ci vedevamo sempre alla fine di ogni allenamento, io volevo diventare un campione e lei una dottoressa, avevamo grandi progetti, ambizioni, scoppiò l’amore tra noi, un sentimento che suo padre non riusciva a buttare giù, mi vedeva come un pessimo soggetto, le proibiva di vedermi, pensando che l’avrei portata su una cattiva strada. Forse non aveva tutti i torti. Iniziammo a vederci di nascosto, i nostri incontri fugaci rendevano tutto un po’ più eccitante. La mia carriera, al contrario della mia relazione con Jeanne, procedeva spedita, divenni campione del Canada, iniziai a cercarmi un agente, il quale mi disse che potevo diventare campione del mondo con i miei pugni, avevo un destro letale ed un sinistro velenoso, ero il pugile perfetto, decise di farmi confrontare con i grandi, ma se avessi voluto fare strada, avrei dovuto trasferirmi, negli stati uniti avrei trovato più sponsor, allenatori migliori e contratti decisamente più danarosi. Non esitai ad accettare, ma in quegli anni Jeanne era ancora minorenne, non avrebbe potuto seguirmi negli USA, suo padre mi avrebbe sicuramente denunciato, e secondo il mio agente , le denunce era meglio subirle quando si era campioni con un conto in banca a sei zeri. Salutai la mia fidanzata, feci l’amore con lei e partì, alla conquista del mio sogno. Mi allenai sempre più duramente, aspettando con ansia la maggiore età di Jeanne, per poterla avere qui in America con me, avevo lasciato in Canada tutto, amici, genitori, parenti, ero solo, ma, vincere match ti regala una popolarità sempre maggiore. In pochi mesi divenni un puglie famoso, iniziai ad essere invitato a feste sempre più esclusive. Poi finalmente ebbi la mia grande occasione, il primo match contro Holifield, la mattina avevo le gambe che mi tremavano, chiamai
Jeanne, le dissi che l’amavo, aveva diciassette anni, poco meno di un anno e il nostro sogno si sarebbe realizzato, finalmente saremmo stati una coppia. Il match fu duro, i pugni del pugile di colore erano martelli, ma i miei erano più forti, lo vidi andare giù alla quinta ripresa, senza più rialzarsi, alla fine, il pugile, mi abbracciò, mi disse che sarei diventato grande. Il prossimo gradino sarebbe stato Lewis, il quale sarebbe andato giù anche lui, sempre alla quinta. Nella festa per la mia vittoria per pretendente al titolo dei pesi massimi, vi erano un infinità di persone, tutti mi acclamavano, io decisi di concedermi qualche drink, di nascosto al mio coach, fu in quel momento che vidi Kate, mi guardava, era in un abito da sera attillato, praticamente cucito addosso, la avevo già vista su delle riviste, ma dal vivo era decisamente meglio. Si dice che un uomo si dimostri tale quando il destino decide di metterlo alla prova, beh, io un uomo, da quella sera non lo sono stato mai. Dopo una lunga chiacchierata, dove entrambi flirtavamo, Kate mi diede un aggio a casa mia, per poi fermarsi a dormire, anche se in quella notte, nessuno dei due chiuse occhio. Al risveglio capì di aver sbagliato, ma la bellezza di Katy mi abbagliava, iniziammo ad uscire insieme sempre più spesso. Rimasi impunito per mesi, ma dopo aver visto le mie foto con la modella, su qualche giornale scandalistico, Jeanne mi chiamò, in lacrime, disperata, chi chiese come potevo farle una cosa simile, io non riuscivo ad essere triste, avevo tutto ciò che volevo, una casa grande, una bella auto potente ed una modella nel letto, la mia ex fidanzata per me era solo il ato, riattaccai mentre lei ancora singhiozzava, e nonostante tutto diceva ancora di amarmi. Dissi a Kate che se avessi vinto il titolo, la avrei sposata, lei accettò, fredda e glaciale come sempre al di fuori dal letto. Il match contro il grande Tyson, non lo dimenticherò mai, fu eterno, ci scambiavamo colpi pesanti, al torace, ai fianchi e al viso. Ricordo che il primo suo pugno che incassai in piena faccia, mi rese cieco per almeno dieci secondi, sapevo che se non lo avessi attaccato, sarei finito in poltiglia alla prima ripresa. Iniziai a colpirlo, sempre più forte, quando la stanchezza iniziò a sfinirmi, iniziai a crederci, anche se avevo il viso gonfio, ed ero certo che il giorno dopo avrei pisciato sangue, vidi gli occhi dello squalo, li vidi colmi di paura, il mio gancio lo mise al tappetto ed io fui campione del mondo, l’emozione più grande della mia vita. Come promesso mi sposai con Kate, ma insieme a lei, sposai il suo mondo, le copertine, le riviste, ma soprattutto la cocaina. Nel mondo della moda, quella merda scorreva a fiumi, ed io ne andavo pazzo, mi faceva sentire invincibile, vinsi ancora qualche match, ma l’antidoping alla fine, mi pizzicò. Andai in prigione senza are dal via, il mio scandalo era sulla bocca di tutti, da Don King al bidello delle elementari, ero depresso, mia moglie rilasciò interviste orribili, dicendo di essere stupefatta del mio comportamento, proprio lei che mi aveva fatto iniziare, che ne era molto più
dipendente di me, mi ripudiò, lasciandomi a marcire in galera. Venni rilasciato, mia moglie già era con Colin, li sorpresi quando tornai a casa, balzai addosso a lui, in un attimo ero di nuovo dietro le sbarre, per carità cristiana, lui decise di non portare avanti la pratica per il decreto ingiuntivo nei miei confronti, ma se mi fossi avvicinato ancora a lui, o a mia moglie, lo avrebbe fatto partire come un missile, mi graziò un ultima volta, quando gli spaccai il muso i giorno che si presentò con la lettera di divorzio in mano. Non odiavo lui, ma lei, Colin era un fesso come me soggiogato dalla bellezza esteriore di Kate.
Solo, con una dipendenza costosa, vagai, drogandomi e bevendo senza sosta. Sputtanarsi un conto corrente come il mio non era facile, ma ci riuscii, con gli ultimi spiccioli mi aprii la palestra, che diventò in breve tempo la mia casa. Come un angelo custode Jeanne, venne inconsapevolmente a Demantea, ci incontrammo, lei era furente, quasi fece finta di non vedermi, mi insultò per come mi ero ridotto, un campione dei pesi massimi messo al tappeto dalla vita, questo ero, nulla più. In quel momento capì di amarla ancora, di aver buttato nel cesso tutto, lei mi prese con se, mi aiutò a disintossicarmi, era stata cacciata dal padre dopo aver abortito un figlio che aspettava da me, una confessione che le costò un mare di lacrime, per tirare avanti fece qualsiasi lavoro, anche il più umile e giunse a Demantea per studiare, per rimettere insieme la sua vita, per avere un futuro migliore e magari mettere al mondo un figlio, con un bravo ragazzo.
Finalmente ripulito e sano, iniziai una vita con lei, finché Kate non iniziò ad essere stufa di Colin, iniziai la mia vendetta, mi scopavo la mia ex moglie e godevo nel vedere la sua relazione andare in frantumi, per poterla poi umiliare quando si sarebbe confessata a me. Purtroppo Jeanne scoprì cosa stavo facendo, mi cacciò da casa sua, con solo la mia vendetta con me, da li a pochi mesi Kate sarebbe stata uccisa, insieme a Colin, li ho fatto la vostra conoscenza e mi trovo qui, ora ho risposto alle vostre domande, ora rispondete a me, cosa è successo a Jeanne?-
-Conoscevi un certo Patrick Lundia?-
-No, ora mi volete dire cosa è successo a Jeanne o mi devo incazzare? Perché avete la sua foto?-
-Jeanne Cole è stata assassinata, dalla stessa mano che ha ucciso Katrine Pastore e Colin McKnee, pensiamo in tutta sincerità che abbia ucciso almeno altre persone in ato-
Le Roy irrompe in un grido fragoroso, nato dalle viscere, un urlo di dolore, frustrazione ed impotenza.
-Quando è successo?-
-Non lo sappiamo, stiamo cercando il corpo-
-Non è stata uccisa come Kate?-
Barry, sempre silente e preoccupato, si volta in direzione del detenuto.
-No, nessun’arma da fuoco, è stata accoltellata nel suo letto, il cadavere è stato gettato in un pozzo, di cui non conosciamo l’ubicazione, mi dispiace, signor Le Roy-
L’ex campione, colpisce violentemente le sbarre della cella, facendole vibrare
fortemente, la guardia lo ammonisce, ma il primo, irato e furioso, ripete il gesto, con ancora più forza, anche le brandine vibrano dopo il potente urto.
-Se voi mi aveste lasciato libero, avrei potuto difenderla, bastardi-
-Non siamo stati noi a non firmare la tua scarcerazione- Barry è sincero, ma non si rivelano verità scomode ai detenuti, lo ammonisco con lo sguardo, ma lui sembra fregarsene, anche io trovo ingiusta la carcerazione prolungata di Le Roy, ma, so che il mio collega non lo ha fatto per giustizia, ma solo per non essere aggredito da un animale inferocito, il quale dopo la dichiarazione, si aggrappa alle sbarre e urla, con tutta la voce che ha in corpo, il cognome di Chuck.
-Browwwwwnn- Così, più volte e a volume sempre maggiore.
-Le Roy, perfavore smettila, non otterrai niente comportandoti in questo modo-
Si volta nella mia direzione, con o pesante viene contro di me, muso a muso.
-Voi l’avete uccisa, io l’avrei potuta difendere-
-A quella ragazza, in vita tua, hai fatto solo che del male, non l’hai difesa un singolo giorno, io fossi in te andrei da un buon psichiatra, e smettila di venirmi faccia a faccia, non vivere nel ato, non sei un campione, sei solo un piccolo uomo, debole e senza spina dorsale, non mi fai paura, solo una gran pena-
Dire queste cose con Le Roy ad un centimetro dal viso, non è facile, ho dovuto usare un gran self control, ora Barry lo allontana da me, rimettendolo seduto, cercando di calmarlo, ma nei suoi occhi vedo la rassegnazione, sa che ciò che gli ho detto, non è altro che la cruda e dura realtà, questo gli fa male, molto, più di qualsiasi pugno preso in carriera-
-Ora calmati e dimmi, hai idea di chi potrebbe mai potuto avere le chiavi di casa di tua moglie?-
Chuck si precipita davanti alla cella, interrompendoci, non è il suo modo di fare, normalmente avrebbe prelevato qualcuno dall’alveare per portare un messaggio, se è venuto di persona, ha una notizia davvero importante. Prende un grosso respiro e mi chiama fuori dalla cella, ma vengo sorato da Michelle, il quale si avventa sul mio capo, stampandogli in viso un destro di immane potenza, Brown si accascia al suolo svenuto, dopodiché Le Roy rientra in cella come se niente fosse.
-Ma che cazzo fai?-
-Fottuto bastardo, questo è per Jeanne-
-Ti sei bevuto il cervello? Hai appena aggredito un agente federale, c’è gente che sta ancora in galera per una cazzata del genere- Barry non si capacita di ciò che ha appena visto, io cerco di soccorrere Chuck, il quale ha il naso che assomiglia ogni secondo di più ad un muffin alle more.
Le guardie arrivano, chiedendo cosa fosse successo, una di esse, inizia ad avvicinarsi a Le Roy, con in mano un grosso manganello, pronto a colpire.
-Chuck è scivolato e ha battuto il viso contro una sbarra- Le guardie all’unisono, si voltano verso di me, incredule.
-Scivolato?-
-Si, è arrivato qui di corsa e ha battuto il viso-
Mentre dico ciò noto che Il capo, stringe nella mano destra, una piccola ma voluminosa busta marrone, me la ficco in tasca senza farmi vedere.
Il corpo svenuto di Chuck viene portato in ospedale, con la massima urgenza.
-Perché hai mentito? Perché hai preso le mie parti?-
-Non illuderti di piacermi, se avessi detto la verità, saremmo stati divisi, tu mi servi per risolvere questo omicidio, niente di più-
Estraggo la busta dalla tasca, la apro guardando il contenuto. Rimanendone assolutamente esterrefatto, la voluminosa custodia caracea contiene una lettera firmata da Chuck Brown, nella quale ordina la scarcerazione di Le Roy e delle foto della palestra dello stesso, principalmente del suo ufficio, ove al centro pende un nodo scorsoio, ansioso di accogliere una vita da spezzare.
-Hanno trovato un cappio nel tuo ufficio, esattamente come nel “suicidio” di Lundia-
-Io non volevo impiccarmi, non ne avevo il motivo, prima di entrare qui dentro almeno. Chi è questo Lundia? Continui a nominarlo-
-È un altro atleta preso di mira dal killer, è stato trovato impiccato a casa sua-
Dal rapporto allegato alla foto del cappio, sulla porta non vi è segno di effrazione, quindi stiamo parlando innanzitutto di un mastro scassinatore, una persona veloce, un professionista, Barry, puoi fare una ricerca? Qualcuno con precedenti di furto con scasso e violenza, spesso le cose non coincidono, i topi d’appartamento normalmente fuggono dinnanzi al padrone di casa, chi cerca violenza, non si preoccupa di una serratura e si fa aprire dal proprietario stesso, con qualche banale scusa-
-Ok- Barry esce dalla cella e si precipita verso il suo ufficio, sempre silente e meditabondo, è strano vederlo così, dopo farò due chiacchiere con lui.
So che i casi sono correlati, ma ho bisogno di un’altra prova, un ultimo tassello che possa legarli insieme indissolubilmente. Guardo più volte le foto, scattate dal killer, cercando anche il minimo indizio, noto un particolare, a prima vista insignificante.
Ricordo l’ex campione del mondo, quando combatteva, ricordo il suo destro devastante, ma in questa foto, il cappio e il nodo che si aggancia al sostegno per il lampadario, sono stati fatti da un mancino, la sedia sottostante allo scorsoio, è posizionata perpendicolare ad esso, un destro non avrebbe mai potuto fare un
nodo del genere, non con un esecuzione così perfetta. Rimango attonito, ipnotizzato dai miei stessi pensieri, Le Roy mi scrolla, mi chiama, ma non proferisco parola, devo assolutamente visionare le immagini di New York, non saluto Le Roy, mi alzo dalla branda e busso sulle sbarre attendendo la guardia per uscire. Il pugile mi chiama, ma non ho tempo per rispondere, so che avrò il tempo di parlare insieme a lui in futuro, sicuramente Chuck, appena sarà di nuovo cosciente, darà un nuovo ordine di detenzione per il suo aggressore, per questo non gli ho menzionato la lettera di scarcerazione, non volevo nutrire false speranze. Giungo nel mio ufficio, visiono tutto il materiale mandatomi da Jameson, in particolar modo l’apparente suicidio, il nodo è identico a quello che stava attendendo Le Roy, è la stessa mano che ha ucciso qui a Demantea, chiamo di fretta Jameson, ma dall’altro capo del telefono non ottengo risposta. Richiamo, una voce femminile mi risponde, probabilmente la stessa donna di poco prima, con voce sempre gentile e squillante, alla mia richiesta di parlare con il detective mi risponde che quest’ultimo è al di fuori del distretto, devia la chiamata al suo cellulare, io mi sono sempre opposto ad avere una segretaria, ma l’efficienza e la cortesia di questa donna, sta facendo vacillare le mie idee.
-Pronto-
-Jameson, sono Wallace, di Demantea. Lundia era mancino?-
-Come scusi?-
-Lundia era mancino? Usava la sinistra?- Gli ripeto la frase, più veloce, sveglia maledetto fannullone.
-No, era destrorso, come la maggior parte degli uomini.-
-Il Killer è mancino-
-Come fa a dirlo, come fa ad esserne sicuro?-
-Ha commesso un errore, non so se voluto o meno, ma in un video di un omicidio che ci ha mandato, spara con la mano sinistra-
-Molti professionisti sono ambidestri, se poi a distanza ravvicinata, non serve mira, ma solo premere un grilletto-
-I nodi-
-Quali nodi?-
-Vada a vedere le immagini che mi ha inoltrato, noterà che i nodi scorsoi e quelli per fissare il cappio al lampadario, sono fatti da un mancino-
-Può anche averli legati con la destra lo stesso Lundia, per poi impiccarsi dall’altra parte-
-Oppure può essere che lei abbia paura di ammettere di aver preso una cantonata e di essere un coglione-
Attacco il telefono picchiando forte la cornetta sul ricevitore, senza attendere la risposta del mio collega, senza congedarmi, un rumore di plastica scricchiolante è il suo lamento. Mi accendo una sigaretta, mi rimane solo da andare a investigare nei Durden, più cose riusciremo a sapere su questa Jeanne Cole, meglio sarà. Sperando che il corpo di lei, venga ritrovato al più presto. Chuck ha mobilitato anche la polizia di Demantea, alla ricerca del corpo di Jeanne, di questo mi sento sollevato, molte volte mi fido più di un sottopagato poliziotto, che di un benestante agente federale.
Barry si ripresenta da me, con paio di fogli in mano.
-La lista è molto più lunga di quello che immaginavamo, anche perché ho dovuto confrontare i dati con quelli di New York, sono oltre duecento nomi-
-Di furti con scasso e aggressione-
-Si, alcuni di essi hanno anche dei delitti carnali, questi ultimi li escluderei perché, per ora, il killer non ha abusato di nessuno-
-Speriamo non lo faccia mai. Andiamo nei Durden, dobbiamo scoprire chi conosceva la vittima-
-La casa di Jeanne Cole è occupata dalla scientifica, ordini di Chuck, dobbiamo fare un controllo incrociato, oggi vanno loro, domani potremmo andare noiBuffo, sembra che ogni mio progetto , ogni mia iniziativa, oggi, vada a farsi fottere, si avvera il contrario di ciò che vorrei fare. Provo a pensare che oggi non troverò un biglietto della lotteria vincente, ma dubito che la negazione in questo caso si avvererà. Si sa, al destino, di certo non manca il senso dell’umorismo.
L’unica scelta possibile, rimane andare al salone della moda, luogo dell’ultimo lavoro di Katerine Pastore, raccogliere informazioni, cercare di mettere insieme questo puzzle, un pezzo alla volta, ma questo diventa ogni istante sempre più grande e dispersivo.
Indosso il mio fedele impermeabile beige, prendo le chiavi di Bobby, saluto Barry, il quale non mi accompagnerà oggi, si è preso una mezza giornata di ferie, con me verrà un ragazzo dell’alveare, un giovane dall’aspetto molto curato, con capelli neri a spazzola ed intensi occhi azzurri, il nodo della cravatta che indossa, forma un triangolo perfetto, sembra fatto con il calibro, dal suo stile impeccabile e ordinato, probabilmente il novello agente, sarà entrato fin da subito nelle grazie di Chuck. Guardandolo a dire il vero, mi sento un pò un vecchio pensionato che segue un agente federale, lo ammetto, l’apparire non è mai stata una delle mie priorità, ma ultimamente il mio aspetto è fin troppo trasandato.
Saliamo su Bobby, il giovane guarda la mia macchina con malcelata ironia.
-Come ti chiami?-
-Dimmare, Paul Dimmare, detective Wallace-
-Conosci il mio nome?-
-Certo, lei è un istituzione della rapine e omicidi-
-Numero uno, non lecchinare, non sono di sicuro io la persona da imbonirsi per una promozione. Numero due, porta il culo sulla macchina, se ti mette in soggezione andare in giro su questa, prova ad aspettare l’autobus, il tram, la metro o se ne hai una, prendi la tua macchina- La sua espressione cambia radicalmente, divenendo quella di un cagnolino bastonato.
Partiamo, Bobby si dimostra inospitale, tremando ed protestando vibratamente con violenti scoppi e fumate nere provenienti dalla marmitta, mi accendo una sigaretta, ne porgo una a Dimmare, ma questo rifiuta con schifo, probabilmente per lui sarà una giornata lunga, del resto il bello dell’essere dei veterani è questo, far are delle giornate di merda ai novellini.
Arriviamo al palazzo della moda, un enorme costruzione, i muri sono immensi vetri, un blasone immane, ovviamente sempre sulla Main street, non troppo distante dalla casa di Katerine Pastore e a quella di Barry.
Due grossi buttafuori di colore sono siti presso l’entrata, il più grasso dei due ha in mano una lista di nomi, tutti ben ordinati in una cartellina. Fanno are persone dagli abiti assolutamente sgargianti ed eccentrici, uomini vestiti da donne e donne vestite da uomini. Il mondo dell’alta moda non lo capirò mai.
Ci avviciniamo entrambi a quegli energumeni, i quali ci squadrano da capo a piedi.
-Siete federali?-
-Si nota tanto?-
-Lei no sembra più un pensionato, il ragazzo invece, sembra che lo abbia scritto in fronte. Proprio per questo parlo con lei, di sicuro è il superiore-
-Ti ringrazio per avermi dato del vecchio, dovremmo entrare, siamo qui per indagare sull’ omicidio di Katerine Pastore- Entrambi abbassano lo sguardo, con un velo di tristezza, molto probabilmente la conoscevano entrambi.
-Oggi vi è un importante sfilata detective…-
-Wallace, lui è l’agente Dimmare-
-Come le dicevo, ci sarà molto trambusto, potreste tornare domani-
-Senti ragazzone, questo non è l’ufficio postale, ed io non sono un vecchietto in attesa della pensione, non ho nulla contro di te, ma se non mi fai are, ti ficco il mio tesserino in gola, fammi are, non darmi modo di far pesare la mia autorità-
Abbastanza stizzito, allarga le braccia di lato e ci fa are, odio essere qui, odio questi ambienti snob, l’ultima cosa che volevo era trattare male un povero lavoratore, ma prima entro qui dentro, prima posso uscirne e lasciarmi alle spalle tutto questo schifo. Un atrio immenso si paventa dinnanzi a noi, sulle alte pareti , immagini di sfilate ate, avvenute in quel prestigioso palazzo, ragazze vestite in modi assurdi, nonché vistosamente scomodi, ogni volta che vedo abiti del genere mi chiedo come possa una donna, nella vita, andare realmente in giro conciata in quel modo. Persone assolutamente eccentriche, mi squadrano, mi
fissano con vero disgusto, mi viene quasi da chiedere scusa, se io vivo nel mondo reale. Un lungo tappeto blu intenso, si distende fino all’ascensore, dove almeno tre dozzine di bizzarre entità si accalcano, aspettando il loro turno per salire. A fianco al montacarichi, una bacheca sulla quale vi sono descritti i piani. Dopo quasi in quarto d’ora d’attesa, finalmente riusciamo a salire, i primi tre piani sono destinati al marketing, agli spazi pubblicitari e alle iniziative, gli ultimi due sono per le sfilate, il quarto ad uno stilista emergente, il quinto ad un famoso nome italiano assolutamente rinomato in ogni angolo del mondo, così conosciuto che perfino io, lo conosco e so addirittura che aspetto ha.
Decido di salire al quarto piano, per cominciare, appena si aprono le porte dell’elevatore, un trambusto da osteria ci aggredisce, almeno un centinaio di spettatori, parlano tra loro, a voce alta, non mi interessano le chiacchiere di moda, devo parlare con gli addetti ai lavori, con chi, conoscesse Katerine Pastore nella vita privata e lavorativa. Dietro la erella, vi è l’entrata per i camerini, a fianco al quale un sedicente manager, urla irato con uno sconosciuto interlocutore. Dietro di me, Dimmare, osserva tutto con muta stima, non di me, bensì di quella frotta di finti artisti e cultori d’arte, con il loro intelligente culo posato sulle sedie, senza produrre, senza esprimere nulla, solo un finto intelletto da due dollari e cinquanta.
Dietro una lunga erella, vi è l’entrata per i camerini, dinnanzi alla quale, altri due energumeni, grossi almeno quanto quelli posti all’entrata, vietano l’accesso a chiunque non sia autorizzato. Ci avviciniamo, sicuri, i due pongono le loro grandi mani, di piatto verso di noi, ma appena vedono i nostri tesserini dell’FBI, ci aprono la porta, senza pensarci su due volte.
Un gran casino, tutto di fronte a noi, ragazze, che di sicuro, non mangiano un piatto di pasta da vent’anni, impegnate ad indossare vesti assurde. Ragazzi dal fisico perfetto, degni di un bronzo di Riace, vestiti anch’essi in modi assolutamente non convenzionali, si fanno dare l’ultima aggiustata al trucco e parrucco. Veniamo visti come alieni, proprio noi che abbiamo forse l’unico stile di vita regolare, in tutto quel marasma di persone, girovaghiamo in attesa della
sfilata. Mi avvicino al parrucchiere, un ragazzo anch’esso magro, palesemente gay, dalla pettinatura assolutamente bizzarra, di due colori, giallo alla base e arancioni in punta, è impegnato a sparare i capelli all’insù ad una modella soffrente.
-Buongiorno-
-Salve, ma voi da dove venite?-
-Dal pianeta terra, volevamo farle due domande-
-Cosa siete? Vestiti così, con quei vestiti, e lei con quei baffi trasandati, potete essere o manager, o agenti del FBI-
-Facciamo la seconda- Il suo sguardo si fissa su di noi, appare più serio e meno scanzonato.
-Vorremmo farle due domande su Katerine Pastore-
-Oh, poverina, ho saputo del suo omicidio, era esigente e lunatica, ma al contempo una vera professionista- Gli occhi del ragazzo, si bagnano di lacrime.
-No era semplicemente una stronza- La ragazza sotto le grinfie del parrucchiere, interviene con rabbia.
-La conosceva bene?-
-Ho lavorato qualche volta con lei, era a fine carriera, ma si sentiva Cindy Crawford, sempre un palmo sopra tutte, trattava Colin come una pezza da piedi, per non parlare poi di tutte le volte che si scopava l’ex marito-
-Pare che l’unico a non sapere niente di questa relazione fosse proprio lo stesso McKnee-
-Colin non era stupido, sapeva tutto, ma diciamo che anche lui, spesso si divertiva con la sottoscritta-
-Questo che mi sta dicendo è un possibile movente, lo sa?-
-Certo, ma mi spiace, ero a Chicago il giorno del omicidio, può confermarlo anche Stuart- Gli occhi della ragazza indicano il parrucchiere intento nel lavoro sui suoi capelli, il quale ci guarda e annuisce sereno-
-Chi era a Demantea nel giorno del omicidio, tra tutte queste persone?-
-A questo piano, se non sbaglio, solo Kevin-
-Chi è questo Kevin?-
-Il fotografo, quello ricciolo e corpulento, non ha un carattere facile, non disturbatelo ora, non otterrete risposta, dovrete aspettare la fine della sfilata, è uno dei migliori del suo campo, riesce a far apparire bello anche uno scopino del gabinetto- Alla fine di questa frase, il parrucchiere, senza farsi notare, abbassa lo sguardo, come ad indicare la ragazza a cui acconcia i capelli. Sorrido.
-Quanto dura la sfilata?-
-Tesoro, non è neanche ancora iniziata, ci vorrà ancora almeno un ora, poi durerà almeno una ventina di minuti- Dopo questa notizia, le braccia mi cadono, l’unica possibilità di are il tempo, è quella di andare a investigare al piano sovrastante.
Prima di poter andare al piano superiore, devo svegliare Dimmare, attonito, in completa adorazione della modella, per poco non sbava. Lo strattono con forza e lo porto via con me.
Purtroppo all’entrata dei camerini dell’ultimo piano, troviamo i buttafuori, i quali ci chiedono un mandato, addestrati e astuti, molto più dei loro colleghi, forse proprio per questo si sono meritati la mansione al piano più alto. Non mi resta che tornare al livello sottostante a sorbirmi tutta la sfilata, per la gioia del mio giovane collega, e dei sui ormoni in subbuglio. Beh, almeno uno di noi due sarà contento.
Alla fine della sfilata, mi guardo attorno, in mezzo ai cultori di moda, intenti a complimentarsi con lo stilista, noto un uomo, dai capelli mori e ricci, non molto alto, ma dalle spalle larghe e braccia grosse, muscolose, forgiate da anni di body building, il tutto rovinato, da una voluminosa e gonfia pancia, probabilmente
dovuta dall’alcool, il che dona all’uomo, un aspetto grottesco e viscido. Probabilmente si tratta di Kevin, preso ad iniziare a smontare molte apparecchiature, tra luci, telecamere fisse e altri mille cavi.
-Il signor Kevin?- mentre stringe tra i denti un piccolo rotolo di nastro isolante rosso, usato per fasciare i cavi, solleva gli occhi e mi guarda in modo sgarbato e innervosito.
-Sono il detective Wallace, lui è l’agente Dimmare. FBI-
-Che cazzo volete?-
-Non siamo poliziotti signor Kevin, siamo federali, moderi il linguaggio-
-Cosa volete?-
-Stiamo investigando sull’omicidio di Katerine Pastore. La conosceva?-
-Chi non la conosceva?-
-Intendevo era suo amico?-
-Non del tutto, diciamo che abbiamo lavorato parecchio insieme-
-Ok, questo è un buon punto di partenza. Lei signor Kevin….-
-Gallahan-
-Signor Kevin Gallahan, lei era a Demantea il giorno dell’omicidio di Kate-
-Si, ma lei non aveva né sfilate, né servizi quella mattina, avrebbe avuto, con me, una piccola sezione di fotografia nel pomeriggio, ma ovviamente non si è mai presentata- Dimmare interviene, apostrofando il fotografo.
-Non mi sembra particolarmente distrutto dalla perdita di un amica-
-Vi ho già detto, non era una vera amica. I suoi interessi erano il benessere, i soldi e la notorietà, avrebbe calpestato chiunque per avere più di quel che aveva, ma sul lavoro era perfetta, questa era ciò che mi importava. Modelle simpatiche, o che non si credono chissà chi, sono veramente rare, credetemi-
-Gallahan, lei si trovava qui il giorno dell’omicidio?-
-No, ero a casa, avevo anche io una mattinata di meritato riposo-
-Ha testimoni che possono dimostrare il suo alibi?-
-A dire il vero ero al Baggin’s pub, sulla terza, non troppo lontano da qui, anche se non ho molte prove per dimostrarlo, se non forse qualche scontrino, in qualche paio di jeans-
-Sarei ansioso di vederli-
-Sono un sospettato?-
-No, non ancora, se gli scontrini fiscali la collocheranno in quel pub, nelle ore in cui Katerine Pastore e Colin McKnee sono stati uccisi, no. Diciamo che ora è oggetto del mio interesse- Vedo il suo viso che perde colore, la sua faccia bruta e rigida, diviene, poco a poco un espressione di sgomento.
-Non lasci la città-
-Per quanto?-
-Ho un servizio a Chicago la prossima settimana-
-Dipende da lei, prima mi mostra le prove del suo alibi, prima sarà possibilitato di andare al di fuori di Demantea-
-E se non dovessi trovarli?-
-Le converrà disdire tutti i suoi lavori al di fuori di questa città- Mi congedo così, vedendo il viso del mio interlocutore preoccupato e turbato. Mentre, insieme al mio inutile assistente, ci accingiamo ad interrogare altri membri dello staff, tra modelle e organizzatori, dirigenti e sarte, il tutto si conclude con una elegante bolla di sapone, devo ammettere che per un solo attimo, ho sperato di avere un barlume di speranza, di trovare veramente qualche indizio.
Ritorniamo verso la centrale, Dimmare rimane silente per tutto il viaggio, non è di grande compagnia. Il sole sta calando, il vento ogni istante diventa sempre più freddo, percorrendo le strade di Demantea, ripenso al fotografo, se ciò che dice è vero, troverò di sicuro, almeno una registrazione di qualche telecamera di sicurezza, senza dover aspettare qualche stupido scontrino, delego a Dimmare il piacere di guardarsi tutte le riprese delle telecamere nei dintorni del Baggin’s pub, il quale accetta senza remore, solo per fare bella figura ai miei occhi, un agente più anziano, mi avrebbe di sicuro mandato a fare in culo.
Dopo aver lasciato Dimmare in centrale, non ho altro da fare, quindi mi dirigo verso casa.
Già prima di varcare l’uscio, odo delle risate sguaiate di ragazze, entro in casa con il sorriso, la faccia mi fa quasi male, non è abituata a questo tipo di espressioni. Nel salotto Julie, Janette e Kayla stanno ridendo come matte, sorseggiando della birra e guardando la tv, dopo essere di sicuro andate a fare un giro per Demantea, poiché anche mia figlia, porta i tacchi ed è tutta in tiro. Mi vedono e ridono ancora più sguaiatamente, a guardarle, mi rendo conto di quanto tempo è ato, da quando venivano a casa nostra a giocare alle principesse, Janette, la piccola Janette, la prima compagna di banco di Julie era una tenera bambina afro americana dai capelli gonfi e timida, ora è donna, dai capelli lunghi e lisciati, devo dire che è diventata davvero bella. Kayla è stata la compagna di softball di Julie, ione che quest’ultima ha coltivato per poco tempo, ma l’amicizia tra le due ha perdurato, la sua amica è diventata la tipica ragazza americana, Bionda e occhi azzurri, ma dalla bellezza un pò volgarotta,
rimango lì a guardarle, un pò emozionato, quelle due ragazze, sono state una presenza fissa a casa nostra, finché mia figlia non è andata a studiare a New York, vederle li, a regalare sorrisi alla mia bambina, mi riempie il cuore di gioia, nonostante la giornata lavorativa di merda appena conclusasi. Irrompo con una frase, detta ad alta voce per spaventarle, come facevo quando erano bambine.
-Allora stasera pizza?- Le tre, sobbalzano, un po’ spaventate, ma appena capita la domanda sorridono all’unisono.
-Non vorremmo disturbarla, è appena rincasato, magari vuole rilassarsi-
-Non vi vedo da troppo tempo, poi lo sapete, contraddire un agente dell’Fbi non è mai una buona idea- Appena finisco di parlare, Kayla scoppia in una gargantuesca risata.
-In uno strip club, uno vestito da poliziotto ha fatto la stessa battuta- Ridiamo tutti, anche se io con un briciolo di imbarazzo, mi ricompongo, prendo il telefono, per chiamare la pizzeria.
-Dai ragazze, offro io-
Una serata estremamente piacevole, ata a ricordare i tempi nel quale le tre, si riunivano a giocare in casa nostra, qualche ricordo della mia Clara, il mio pensiero va a lei quasi per tutta la serata, a volte mi sembra di averla accanto a me, che mi sfiori la mano, che mi dica ti amo, brontolone, mi manca così tanto. Dai Jack, niente pensieri tristi, devi essere l’anima della festa. Tutto scorre a meraviglia, quasi mi dimentico, il mondo fuori da queste quattro splendide mura, dove vi è un serial killer, libero di colpire chiunque, libero di colpire ora.
Capitolo 10
Vigilia di Natale, apro gli occhi mentre il sole ancora sorge, il cielo violaceo e limpido si illumina pian piano, palesando una giornata polare. Mi alzo dal letto, i miei piedi, fanno conoscenza del pavimento gelato, trovo alla cieca le ciabatte sotto il letto e le infilo di corsa. Mentre mi dirigo verso il bagno, o davanti alla camera di Julie. Apro la porta della stanza, vedo mia figlia dormire beata, le coperte arancioni e rosse le arrivano fino alla guance, nella sua camera a ponte, poster dei cantanti pop ultrafighi sono attaccati ovunque, sono rimasti appesi anche dopo la sua partenza. Mi chino sul suo letto e le bacio la fronte, la vedo sorridere. Proseguo la mia marcia verso il bagno. Fatte tutte le pulizie di rito, mi vesto ed esco, l’aria è pressoché gelata, accendo la sigaretta del buongiorno con un pò di ritardo confronto al solito, ma la tosse catarrosa arriva sempre puntuale. Mentre cammino per la via, incontro altre povere anime come me, intente ad affrontare il gelo, per andare a lavorare, tutti con il pensiero felice del Natale in arrivo. Bobby si avvia tremando e tossendo, un canto disperato, di rassegnazione, a tempo con la mia tosse. Parto e mi dirigo in centrale, nel are vicino alle edicole noto le locandine esposte all’esterno di esse, grandi titoloni scagionano Le Roy, ma allo stesso tempo, gettano il velo nero dell’ignoto sull’omicidio. Devo fare ordine in tutto questo casino che sta diventando questo caso, iniziato come un omicidio di una coppia famosa, ma diventato una caccia al mostro, un mostro oscuro, feroce ed estremamente astuto. Stasera erò al negozio di animali, porterò a casa il cucciolo per Julie, questo, è il pensiero felice che fa volare Peter Pan, aggrappati a questa motivazione Jack, non per librarti in aria, ma per arrivare alla fine di questa giornata, in cui si parlerà di morte, killer e dolore. Entro in centrale, il sole non è ancora del tutto sorto, una luce tenue, filtra dalle finestre, l’ambiente, è illuminato come sempre dalla fredda luce dei neon. Chuck è ricoverato per frattura del setto nasale e trauma cranico, questo, è ciò che succede, quando si fa incazzare l’ex campione mondiale dei pesi massimi, ma oltre al danno fisico, ciò che duole al mio capo, è la perdita del suo bel aspetto, sempre così ben curato, per lui una ruga visibile è inconcepibile, figuriamoci un naso rotto, potrebbe essere una tragedia. Le Roy è ancora distrutto per la perdita di Jeanne, vederlo piangere così disperato, ha risvegliato in me ricordi non poco dolorosi. Ovviamente, in seguito all’aggressione ai danni di un agente del FBI, l’ex pugile è rimasto in custodia
cautelare, qui in centrale, almeno avrà un posto per dormire ed un tetto, dopo che la sua palestra è stata messa sotto indagine, dopo il ritrovamento del cappio nel suo ufficio. La sua miseria finirà quando intascherà i soldi dell’assicurazione, ovvero finché il caso non verrà chiuso, per gli assicuratori lui rimane comunque un sospettato, anche se noi, abbiamo comunicato apertamente il contrario. Le compagnie assicurative, non sborsano cifre astronomiche con leggerezza. Nel mio ufficio trovo un voluminoso memorandum di Chuck, questo mi fa capire che non rivedrò il capo almeno fino a dopo Natale, all’interno del plico consistente, vi sono i elencati tutti gli agenti che collaborano al caso, noto il mio nome e quello di Barry, accanto ad un certo dottor M.Park, di cui ignoravo l’esistenza fino ad un secondo fa, quello della scheletrica dottoressa Mason, alzo lo sguardo dal foglio e vedo la suddetta, vestita di tutto punto, con pantaloni a sigaretta neri, scarpe dello stesso colore e un golfino rosso a coprire un girocollo anche esso nero, sembra una striscia di liquerizia da quanto è magra, si dirige verso il mio ufficio ed apre la porta.
-Chuck Brown mi ha lasciato un memorandum, dove vi è scritto, che sono in squadra con lei-
-Buongiorno, no la prego, non stia a bussare, entri pure- È ancora furente, lo scambio di reciproche idee di pochi giorni fa, le deve aver fatto davvero male, un pò me ne dispiaccio, ma in lei noto anche un crescente, anche se ben celato, rispetto nei miei confronti.
-L’agente Carlson dove si trova?-
-Arriverà a momenti, questo dottor Park è della sua divisione?-
-La dottoressa Melinda Park, è un agente del B.A.U. non arriverà prima di Santo Stefano. Nel contempo, sarebbe giusto, inviarle i rapporti sul caso, cosicché
possa iniziare a studiare un profilo- Sottolinea il sesso della dottoressa con grande soddisfazione femministica.
-Molto bene, dovrebbe leggersi il rapporto sugli ultimi sviluppi del caso-
-Non ne ho bisogno, ho seguito ogni sviluppo- È troppo orgogliosa e colpita nel profondo per ammettere di aver sbagliato sulla colpevolezza di Le Roy.
-Senta, le chiedo scusa per la nostra ultima conversazione, non sono stato un gentiluomo-
Capisco di dover fare io il primo o, per rendere questa collaborazione vivibile.
-Lei è un cafone, non le nascondo di aver pensato più di una volta di denunciarla alla centrale di Washington, ma le sue intuizioni sul caso si sono rivelate veritiere, ciò fa di lei un buon detective, è l’unica cosa che mi importa. Io rappresenterò la divisione scientifica, ogni prova verrà analizzata dalla mia equipe in laboratorio, la dottoressa Park traccierà un profilo psicologico del serial killer. Lei e il detective Carlson, dovrete raccogliere informazioni e cercare di aiutarci il più possibile, se collaboreremo con costanza e senza manie di protagonismo, riusciremo a fermare l’assassino prima che mieta altre vittimeVorrei risponderle per le rime, dicendo che il mio mestiere non è quello di Cicerone, ma mi mordo la lingua, per il bene dell’operazione, mi limito ad estrarre una lucky e accenderla e gustarmela fino all’ultimo tiro.
-Sa quante persone muoiono, solo negli stati uniti, per il tumore ai polmoni, dovuto alle sigarette? -
-Sa quante persone, solo negli stati uniti, non si fanno i cazzi propri e rompono le palle per le sigarette?- Questa volta la lingua ad essere morsa è la sua, lo leggo nei suoi occhi piccoli color nocciola. Uno a uno palla al centro. Barry entra nel mio ufficio, a volte mi chiedo se il suo lo usi mai, si ferma subito dopo aver varcato la soglia della mia porta e stranito è pallido, ha l’espressione di chi ha commesso qualcosa di grave, guarda la dottoressa Mason la quale di rimando fa lo stesso. Mentre i due, si scambiano convenevoli il telefono squilla, rispondo immediatamente.
-Wallace-
-Sono Jameson, della centrale di New York, dopo la sua intuizione di un assassino mancino, ho provato a riaprire il caso, sono venute alla luce prove illuminanti. Lundia, il tennista apparentemente suicida, era stato più volte contattato, tramite svariate e mail, da un certo “Mister Grace”-
-Chi è “Mister Grace”, perché queste prove vengono fuori solo adesso?- Sento Jameson tentennare, l’imbarazzo si impossessa di lui.
-Abbiamo dato al caso la risposta più semplice- Io non giudico l’incapacità, o il poco intelletto, ma non tollero l’indolenza, l’inoperosità, il mio tono di voce cambia, radicalmente, in un attimo mi ritrovo ad urlare al mio interlocutore, richiamando, involontariamente l’attenzione di Barry e della Dottoressa Mason.
-Jameson, si rende conto che, se vi foste impegnati a investigare, invece che trarre soluzioni assolutamente empiriche, in questo momento ci sarebbe un criminale dietro alle sbarre in più e almeno tre vite spezzate in meno? Il mondo non vede di buon occhio noi federali, nella mia carriera ho sempre cercato, nel
mio piccolo, di far cambiare ad esso la propria idea, purtroppo quando mi ritrovo a lavorare con persone come lei, non posso far altro che pensare, di essermi battuto per tutta la vita contro i mulini a vento- Sa che ho ragione, fossi accanto a lui, in questo momento gli spaccherei il muso, ma se a New York vi sono delle prove, lui dovrà essere i miei occhi e le mie orecchie.
-Voglio sapere chi è questo “Mister Grace”, cosa scriveva a Lundia?-
-I nostri esperti stanno cercando di recuperare i file, dopo la morte dello sportivo alcuni messaggi siano stati cancellati-
-Mi chiami appena sa qualcosa di nuovo- Aggancio il telefono sbattendolo con veemenza con una sola domanda, perché Lundia era stato contattato tramite e mail e Le Roy invece con una lettera? Qualcosa non torna, non posso aspettare, devo interrogare molte persone nei Durden, Jeanne Cole, arrivata qui con il suo sogno di ricostruirsi una vita, colpevole solo, di aver amato l’uomo sbagliato, un uomo sposato. Anche Lundia era sposato, separato, una coincidenza, oppure il filo conduttore di questa striscia di morte. È troppo presto per investigare solo su questa ipotesi, dopo aver scavato nella vita di Mcknee e di Le Roy, ora tocca farlo in quella di Katrine Pastore, aspettando buone nuove da New York, avendo messo il pepe al culo di Jameson, mi aspetto almeno qualche nuovo dettaglio. Bobby è sovraffollata, le sospensioni cigolano, sentendo il mio peso, quello di Barry e anche se esimio, quello della dottoressa Mason , la quale guarda la mia macchina con preoccupazione, mista a paura e sdegno.
-Tranquilla, la mia Bobby non mi ha mai abbandonato- Picchio sul cruscotto, come una pacca sulla spalla e il portaoggetti si apre, scaricando a terra musicassette disordinate e messe in equilibrio precario. Accendo una Lucky mentre sorrido e parto, non capendo ancora, la presenza della dottoressa nelle indagini sul campo, il suo posto è dietro ad un microscopio, non nel relazionarsi con le persone. Percorriamo tutta Demantea, al massimo della velocità consentita da Bobby, all’arrivo mi accendo un altra sigaretta, mentre la Mason alza gli
occhi al cielo.
-Ieri, la scientifica, ha setacciato l’intero appartamento di Jeanne Cole, quindi possiamo agire tranquilli-
-Questo non vuol dire, che siete autorizzati a comportarvi come cinghiali inferociti- L’ammonizione della Mason arriva rapida e tagliente. Barry entra per primo, va a svolgere il suo compito, ciò che gli riesce meglio, ovvero parlare con le persone, metterle a proprio agio, cercare di cavare il famoso ragno dal buco. Lo vedo sempre cupo, il mio collega, qualcosa lo preoccupa, un tarlo gli sta massacrando i pensieri, non è il solito Barry Carlson, qualcosa in lui non va, devo parlargli, ma non trovo mai il tempo, a volte vorrei essere un amico migliore. Forza Jack Daniel’s Wallace, non divagare, rimani concentrato. Butto la sigaretta per terra, la quale si va ad unire alla sporcizia di un marciapiede lercio, la schiaccio con il piede, ed entriamo in quel palazzo fatiscente, bianco sporco e blu, già visto nelle foto inviate da quel bastardo di Mister Grace. Le scale sono prima nere, in ardesia, per poi diventare marmo al secondo piano, le porte sono logore, una puzza densa di frittume, aleggia per tutta la tromba delle scale. Nell’appartamento, preciso a quello apparso in foto, si sente un forte odore di ammoniaca. Dalle immagini, pensavo fosse più ampio, invece il tutto si distribuisce in un unico vano, e una piccola porticina ove vi è la toilette. Niente soprammobili, né quadri, questo lascia intendere che la signorina Cole, abitasse da poco in quella topaia e che non avesse l’intenzione di rimanerci a lungo. Noto che la porta, azzurra come tutte le altre del condominio, non presenta segni di effrazione, anche qui potrebbe esserci il sospetto, che la vittima abbia fatto entrare il suo carnefice di proposito, come succedeva per casi come lo strangolatore di Boston, precedentemente conosciuto come l’uomo in verde, ma questo stronzo è differente, come ci ha già fatto vedere, lui è già presente, quando le vittime rincasano, ergo, o questo killer ottiene in qualche modo le chiavi degli appartamenti, oppure nel suo ato vi è una vita da scassinatore provetto. Mi soffermo a pensare, ancora, ancora e ancora, immobile e taciturno, i miei pensieri si aggrovigliano tanto da produrre quasi del rumore. Dopo un ora buona a rivoltare la casa di Jeanne Cole, con le vibranti proteste delle Mason, il telefono della dottoressa squilla. Sento solo la sua parte della conversazione, ma noto con piacere che si tratta di qualcosa di positivo.
-La polizia di Demantea, grazie alle unità cinofile, ha ritrovato il corpo di Jeanne Cole-
-Finalmente una buona notizia-
-Appena arriveremo in centrale, andrò a fare tutti i test del caso, se saremo fortunati avremo del DNA-
-Se il Killer la ha messa in ammollo, era per lavare via ogni traccia, nelle foto non vi è prova di alcuna violenza sessuale, ma in un accoltellamento, di solito la vittima prova a difendersi, sotto le sue unghie potrebbe esserci qualche tessuto del suo assalitore- Aspettiamo quasi una mezz’ora, il ritorno un sordina di Barry, il quale purtroppo non ha ottenuto i risultati sperati.
-Niente, come a Le Magique, nessuno ha sentito o visto niente, sembra che questo stronzo non esista, si materializzi nelle camere da letto e svanisca-
-Dare dei poteri soprannaturali ad un killer è il primo o per arrendersi, è semplicemente un sadico, un pazzo, ma un pazzo ben organizzato, che sa come prevenire le indagini, come ragiona un poliziotto o un federale- Devo tenere alto il morale del mio collega, Quando torneremo in centrale, aspettando gli esiti della scientifica, gli parlerò a quattr’occhi. Vorrei che fosse già sera, vorrei rivedere mia figlia, mangiare con lei, come una famiglia, vedere il suo viso felice, dopo aver visto il cucciolo che da questo Natale, dopo decenni di attesa, finalmente sarà suo, ma soprattutto vorrei fare tutto questo, stasera, senza che i miei pensieri cadano su questo caso, ma so che questa è una speranza del tutto vana. Mettiamo a soqquadro la casa, la dottoressa Mason protesta, ancora con rabbia. Invano, non vi è nulla neppure il benché minimo indizio, usciamo da
quella casa con il morale sotto i tacchi. Giunti in centrale, Barry ed io ci buttiamo nel mio ufficio, mangiamo un boccone, visto che eravamo entrambi a digiuno, mentre l’agente Mason si fionda al suo reparto per le analisi sul corpo.
-Che ti succede amico mio?- Alla domanda, Barry Carlson, tentenna, cerca di schermarsi con risposte vane, ritorna il suo pallore, getta la maschera di sicurezza che ostentava con i possibili testimoni.
-Niente di che, solo qualche lite con Mary-
-Siamo colleghi da anni, ho già visto le tue giornate post litigio, non sono queste, non avresti questa faccia neanche se Mary, avesse fatto le valigie, e se ne fosse andata-
-Questo caso mi terrorizza, tutto qui-
-Che vuol dire?-
-Questo si nasconde nelle camere da letto Jack, ti uccide dopo che hai fatto sesso, uccide i tuoi cari e li getta in un pozzo, trucca le donne dopo averle massacrate, con te morto stecchito a fianco a loro-
-Mi vuoi dire che hai paura?-
-Sono pietrificato cazzo, non oso immaginare cosa potrebbe accadere alla mia
psiche, se dovessi ricevere delle foto di mia moglie morta e truccata da un folleLa sua frase rievoca immagini orribili nella mia testa, il ricordo di Clara è potente, doloroso, immane, i miei occhi vacillano, nell’immensa fatica di trattenere le lacrime. Barry, si accorge di aver toccato un tasto molto dolente.
-Scusami Jack, non volevo-
-Non è nulla, Barry. Questo sacco si sterco, sembra volere notorietà, uccide prevalentemente persone famose e divorziate, fedifraghe, le quali nel mondo di oggi, a dir poco, abbondano. Non so ancora molte cose su questo caso, potrei essere sulla strada giusta, ma potrei anche aver sbagliato ogni deduzione, l’unica cosa da fare è perseverare sulle proprie idee, finché esse non si definiscano al confronto con i fatti- Il mio collega sembra essersi rasserenato, almeno in apparenza. Guardo fisso negli occhi Barry, mi appaiono tristi preoccupati, colpevoli, il suo stato d’animo continua a preoccuparmi. Viene dietro di me, intento a guardare le foto appese al muro che ci ritraggono insieme, in molte di esse sorridiamo.
-Dimmi che lo prenderemo, dimmi che quest’incubo finirà-
-Certo, Barry abbiamo già avuto a che fare con assassini ed alcuni di essi hanno compiuto crimini orrendi, li abbiamo sempre fermati tutti- Di questo record sono sempre andato fiero.
Tra tutte le foto dietro di me, so qual è la preferita di Barry, è in alto vicino all’angolo a destra, adiacente all’armadio ove ripongo i faldoni di casi ati, ci ritrae in una domenica, a pesca con le nostre famiglie, io e il mio amico, teniamo in mano un luccio di dimensioni bibliche.
-Se siamo riusciti a pescare quel bestione, possiamo riuscire a fare tutto amico mio- Cerco di tirargli su il morale.
-Ho tradito mia moglie Jack, non ho mai avuto amanti, solo qualche fugace avventura qua e là, ma rimango comunque un fedifrago, la sua vittima preferitaTentativo miseramente fallito.
-Il fatto che questo uccida solo fedifraghi è una mi supposizione, non un dato di fatto- Non ho mai tradito Clara, e mai lo avrei fatto, ho sempre considerato il matrimonio come un concetto stupendo, provando molta pena per chi si faceva l’amante. Ma quando quelle colpe ricadevano su Barry, forse per l’affetto che mi ha sempre legato a lui, non riuscivo a biasimarlo.
-È inutile stare qui a girare i pollici, se troveranno del DNA di Mister Grace addosso a Jeanne Cole , e i risultati dei test di confronto, non lo sapremo di certo oggi, vattene a casa Barry, rilassati stai con la tua famiglia, a un buon Natale-
-Anche a te amico mio- Ci abbracciamo e usciamo insieme dalla centrale, per separarci qualche istante dopo, lui diretto verso casa, io farò tappa al negozio di animali, e forse anche mezza capatina in qualche bar, la presenza di mia figlia a casa, mi impone una sobrietà a cui non sono di certo abituato. Decido di fare un tuffo nel ato con Bobby, percorrendo la sessantesima strada, lungo la periferia, alla destra di essa, si notano case lontane, disperse sulle alture, abitate da persone semplici, ma oneste, le quali vivono ancora sul lavoro dei campi, del bestiame, provo un filo d’invidia nei loro confronti, ma allo stesso tempo, mi rendo conto che alla mia età non reggerei mezzo minuto quel lavoro massacrante. Accendo una lucky, accompagnata da una serie quasi infinita di violenti colpi di tosse, sento i polmoni bruciare, quasi mi manca il respiro, ho paura di soffocare, mi do del coglione più volte, ma appena finisco di sputare un polmone fuori dal finestrino, prendo un altra boccata. Sulla mia sinistra invece, vi sono vecchi e sgangherati palazzoni, alcuni semivuoti, altri riempiti di graffiti
dai ragazzini. Mi fermo al numero quarantasei, un palazzone ormai fatiscente, anche se a dir il vero, non ha mai goduto di ottima salute, ma nel mio cuore avrà sempre un posto speciale. Un ricordo vecchio, risalente a quando ero anche io un ragazzino dell’alveare del FBI. Scendo dalla macchina, lasciandola parcheggiata alla bene e meglio, tocco con le dita l’enorme e spesso portone in legno marrone, facendogli una carezza, come se si trattasse di un vecchio amico. I ricordi mi assalgono, la prima volta che entrai nell’interno nove, di quel palazzone, notai che in cucina vi erano ragni capaci di staccare la testa ad un cane con un morso. Ricordo che comprai i mobili più essenziali ed economici che potessi trovare. Ma soprattutto rimembro, una sera nella quale portai una mia conquista in quella casa, una ragazza stupenda, ero quasi incredulo che una bellezza del genere, si fosse fatta convincere a venire via da quell’irish pub, proprio da me, quella musa, bella come lei sola, di nome Clara. Mi rituffo su Bobby, la quale cigola e stride al sentire il mio peso. Arrivo al negozio di animali e al posto della ragazza hippy, trovo un uomo dai capelli brizzolati, sulla cinquantina dal cui viso, tiranneggia un naso dalla lunghezza spropositata, di sicuro non è il padre della commessa, un orrore del genere è di sicuro genetico. L’uomo mi consegna un fagotto azzurro, da cui vedo spuntare il dolce musetto del cagnolino, leggermente tremante. Pago e porto la bestiola a bordo della mia vecchia Chrysler. Durante il viaggio, il mio nuovo e peloso eggero inaugura i sedili con ogni fluido corporeo. Trovo parcheggio vicino a casa, con della carta comprata dal primo rivenditore, cerco di pulire lo scempio dai sedili di Bobby, intrisi di odori nauseabondi. Dopodiché prendo il fagotto tra le mani e mi avvio a casa. Busso alla porta con il piede e Julie apre dopo pochi istanti.
-Anche se in anticipo, buon Natale amore mio- Gli occhi di Julie interrogativi, si posano sul fagotto, dal quale esce il piccolo musetto bianco del cucciolo. Mia figlia irrompe in un urlo di felicità, prolungato ed acuto abbastanza da perforare qualsiasi timpano umano. Saltellante dalla gioia, prende tra le sue incerte mani il cagnolino avvolto nella sua copertina blu, il quale la fissa spaesato.
-Oh mio dio, papone è meravigliosa, è una femminuccia, grazie, grazie, grazieMi bacia ogni centimetro di viso.
-Si è una femminuccia, Come la chiamerai?-
-Arwen, ho sempre desiderato una cane papone, lo sai, e se mai lo avessi avuto lo avrei chiamato Arwen, oppure Tom-
-Arwen, non è un nome impegnativo per un cane-
-No è originale, sempre meglio di Pesca, Noce o Castagna- Mia figlia non ha occhi che per il cucciolo, giustamente. Mi ringrazia all’infinito, vederla così felice mi rinfranca, il suo sorriso riesce a cancellare il malessere di una giornata alla rapine e omicidi. Il cane trema leggermente, spaesato e stanco, non sa ancora di aver avuto davvero una gran fortuna, conoscendo mia figlia, lo vizierà senza limiti. Mangiamo, guardando e commentando i goffi movimenti della creatura, intenta a scopire un ambiente a lei del tutto alieno. Il camlo suona, interrompendo l’idillio, Julie mi guarda interrogativa, come per chiedermi se aspettassi qualcuno, con un broncio le faccio capire che non attendevo visite. Mia figlia si alza dalla tavola, energica e gioiosa come sempre, mi ricorda così tanto sua madre. La piccola Arwren mi fissa con i suoi occhioni, implorando qualche pezzo di carne proveniente dal mio piatto. La accontento, mangia golosa prendendosi anche qualche carezza. Sento mia figlia urlare nuovamente di gioia, in un primo istante mi allarmo, la vero ritornare in cucina, rientrando dalla porta in legno che da sul corridoio, dietro di lei, uno spilungone dai capelli rossi e la faccia da imbecille.
-Mike è venuto prima per farci la sorpresa di Natale- Lei sorride io nascondo la mia gelosia, senza però sbilanciarmi, questa è casa mia, e quella è mia figlia. Mi sento un pò come quei vecchi leoni che si vedono a discovery channel, i quali sono pronti a difendere la loro leadership per un ultima volta, ai danni di un giovane forte rampante. Per un ultima volta soltanto, prima di arrendersi all’età visibile dalla sua criniera brizzolata e rada. Mike mi stringe la mano, una stretta forte, decisa.
-Micheal Finnerty, è un piacere conoscerla mister Wallace- Non rispondo, mi limito a guardarlo fisso negli occhi. Vedo l’espressione di Julie nel guardarlo, sorriso a trentamila denti e stelline al posto delle pupille, sento la sua voce, nel tono più dolce mai sentito, mentre gli racconta del mio regalo di Natale, quel cagnolino che lui solleva dal terreno sorridendo, al di sopra della sua testa, piazzata a quasi due metri dal terreno. Un immagine, quasi un allucinazione, nella mia mente, sostituisce Arwen, con un neonato, sobbalzo sulla sedia. Jack ad un buon padre importa solo che la figlia sia felice, il fidanzato non deve piacere a te, ma a lei. Continuo a ripetermi questa frase tra me e me, ma i risultati sono nulli. I due giocano con il cagnolino, ogni istante che a, sembrano entrambi di più due neo genitori. Ci rimettiamo al tavolo, al quale Julie ha aggiunto un posto, mentre Arwen torna a reclamare del cibo da terra, mugolando e piangendo arruffianandosi ogni volta qualche boccone e numerose carezze da parte di tutti. Finito di mangiare, Julie sparecchia la tavola, ordinandoci di abbandonare la cucina con fare minaccioso. Io prendo una bottiglia di birra, le mie sigarette e mi dirigo verso la sala, ove la mia poltrona mi attende. Il tempo di sedermi, e sento i i di Mike raggiungermi e sedersi sulla poltrona posizionata a fianco alla mia. Non so se il ragazzo sia venuto di spontanea volontà o sia stato un ordine di mia figlia, ma come se fosse casa sua, si accende una sigaretta e mi sorride benevolo. Un silenzio freddo ci avvolge, due estranei messi per la prima volta in una stanza separata, separati da almeno trent’anni di vita, cosa si possono dire, questa domanda assilla anche Mike, lo leggo nei suoi occhi, i quali cercano nel mio mobilio, un gancio per poter iniziare una conversazione. Premio la sua buona volontà rompendo per lui il ghiaccio. -Da quanto vi conoscete, tu e Julie?-
-Circa tre anni, ci siamo incontrati ad una lezione-
-E quant’è che uscite insieme?-
-Poco tempo dopo quella lezione, iniziammo a frequentarci- Sorseggio un pò della mia birra, porgo la bottiglia al mio nemico, e lui mi sorride accettando e
sorseggiando la fredda bevanda.
-Siete coinquilini vero?- Mentre beve alla mia domanda quasi soffoca.
-Come fa a saperlo?-
-Sono un agente fbi, è il mio lavoro notare i particolari, non abitaste insieme vi sareste fermati a lavare i piatti insieme, sognando una casa tutta vostra, invece la vostra meccanica è già rodata, lo vedo- Rimane senza parole, imbarazzato, sguardo basso, come un bambino sorpreso a rubare la marmellata.
-Sono un padre, oltre che un agente, ed alcune cose saltano agli occhi, quando sarai più vecchio capirai-
-Mi dispiace-
- Di cosa? Siete giovani, è normale voler sperimentare l’idea di una convivenzaJack, ma che cazzo dici? Spacca il muso a questo fiammifero troppo cresciuto.
-Grazie papà-
-Non ti allargare amico mio, per te sono il detective Wallace- Clara aiutami, come mi devo comportare? Gli devo spaccare la mascella o abbracciarlo?
-Perché sei diventato agente?- Cerca di cambiare discorso, per rimediare ad un tremendo scivolone.
-Un novellino risponderebbe per proteggere e servire, molti agenti risponderebbero che lo fanno per lo stipendio. Ti posso dire che nel cuore di ogni buon agente, vi è la voglia di giustizia, la volontà di non lasciare indifeso il nostro paese, ma di essere il suo scudo, sacrificando anche la propria vita per esso- Mentre parlo, mi rendo conto, forse di essere uno degli ultimi agenti attivi a pensarla ancora così. Mike mi ascolta quasi rapito dalle mie parole, guardandolo, noto in lui una qualsivoglia somiglianza con John Holmes, attore pornografico degli anni ottanta, divenuto famoso per le sue “dimensioni artistiche”. Scrollo il capo, cercando di non pensare a questa somiglianza, e se essa riguarda solo il viso del ragazzo di mia figlia.
-Non deve essere stato semplice, crescere una figlia da solo, soprattutto per il modo in cui la madre di Julie è morta- Un dito nella ferita mai rimarginata della mia anima.
-Quando sarai padre capirai, non sono perfetto, ho solo dato il mio meglio, ho cercato di insegnarle tutto ciò che sapevo. A volte sai come si fa, altre pensi di saperlo, l’importante è insegnarle a non mollare mai-
-C’è molto di te in Julie-
-Lo devo prendere come un complimento?- Ride. La mia bambina ormai cresciuta ci raggiunge, sorridente come sempre, tra le sue braccia, Arwen si riposa, con l’espressione beata, di un cane che ha appena vinto alla lotteria.
-Parlavate male di me?-
-Come sempre- Mike beve ancora un sorso di birra e mi porge la bottiglia. iamo una serata deliziosa, chiacchierando, in sottofondo la mia vecchia televisione, trasmette “Una poltrona per due” con Dan Aykroid ed Eddie Murphy, il grande classico natalizio, di cui ogni abitante della terra conosce le battute a memoria, poiché ogni anno, le emittenti lo propinano, come se al mondo non vi fossero altri film su tema natalizio. Dopodiché ci salutiamo, mi fumo l’ultima sigaretta, quella della buonanotte, accompagnata da tosse e catarro, due amici che mi seguono ogni giorno, festivo o feriale che sia. Mi sdraio, la bella serata viene sostituita dai particolari del caso, ho cercato di non pensare ad esso mentre ero con Julie, non ho mai condiviso i particolari del mio lavoro con mia figlia, l’ho sempre protetta, dallo schifo di mondo in cui vivo, ma nel letto, quando sono solo, posso rimuginare alla luce della luna, e cercare il bandolo dell’enorme matassa, il cui capo mi porterà, prima o poi, a Mister Grace.
Capitolo 11
Essere svegliati la mattina di Natale, dai i del giovane fidanzato irlandese di mia figlia, diretto verso il cesso, non è il risveglio migliore, lo ammetto, lui non mi dispiace, ma è ciò che sicuramente ha gia già fatto con Julie, a non piacermi affatto, e il suo aspetto simile a John Holmes, non è affatto rassicurante. Mi alzo da letto, una leggera nevicata, sta iniziando ad imbiancare le strade. Ricordo cosa diceva sempre il mio vecchio, la neve è bella, solo se non la devi spalare per uscire di casa e dirigerti a lavoro, fortunatamente oggi, dovrei riposare. Incrocio le dita su questo pensiero, mi alzo e attendo che Mike esca dal bagno, dopodiché mi fiondo dentro, pulizie di rito, e sigaretta del buongiorno, accompagnata dal solito dolore al petto e alla schiena, e ovviamente la tosse, mi amica e compagna, mi fa sputare catarro e sangue nel lavandino, di solito sono sempre di corsa, per andare a lavorare, ma oggi, come tutti i giorni di festa, vedo quella schifosa poltiglia, scivolare nel buco del lavabo, e la paragono alla mia vita, quella che sto buttando via, fumando come un ossesso, ma smettere non è realmente nei miei piani, è poco più di un idea, rimasta solo nello scaffale dell’invettiva. Un profumo di crepes e cioccolato, distrae i miei pensieri, scendo le scale e noto Julie, intenta a preparare un meraviglioso pranzo di Natale, per poco non mi commuovo, sua madre sarebbe così fiera, la ricordo, mentre canticchiava le canzoni dei cartoni animati, mentre cucinava gustose ed abbondanti pietanze, per sfamare il mio sempre leggendario appetito, perso insieme a lei, mangiare senza Clara toglie il gusto al cibo e alla vita. Cazzo Jack, un pò di allegria è Natale e tua figlia è qui con te, cosa vuoi di più? Mi dipingo il sorriso più spontaneo e solare che posseggo nel mio ristretto repertorio.
-Buon Natale papone!-
-Buon Natale stella mia- Mentre guardo la tavola imbandita di ogni ben di Dio, noto la piccola Arwen, in equilibrio precario, su due zampe, che cerca invano di raggiungere il piano del tavolo, per poter razziare qualcosa. Mi chino e la accarezzo, lei subito un pò intimorita, si scioglie dopo poco, rigirandosi con la
schiena a terra, in favore di coccole. Dietro di me, sento i i di Mike.
-Buon natale-
-Anche a te amore- I due si baciano, io guardo dall’altra parte.
-Quanta roba buona- Anche il fidanzato di mia figlia, si inginocchia per accarezzare la cagnolina, ma quest’ultima, si discosta, non impaurita, ma infastidita. La adoro già.
-Ho un regalo per te papone-
-Lo sai che non voglio che spendi soldi per me-
-Smettila di brontolare ed apri- Mi porge un grosso pacco morbido, anche se pesante, rifasciato in carta rossa, su cui un babbo natale, indocinese sorride gioioso. Scarto e tra le mie mani trovo un grosso e imbottito impermeabile nero, in eco pelle, sembra incredibilmente comodo e caldo.
-Così finalmente darai meritato riposo al tuo impermeabile beige, è una vita che lo indossi, è sporco e puzza di posacenere- Mike sorride, certo già di essere entrato nelle mie grazie.
-Si, sembravi troppo il tenente Colombo, lo sai che è morto?- Dopo questa affermazione, gli spezzerei una mano.
-Peter Falk non muore mai- La risposta cala il gelo nella cucina, mia figlia mi guarda sgranando gli occhi in segno di ammonimento, allora gioco una risata falsa ma convincente, alla quale Mike si unisce. Raggirato.
Mangiamo insieme, durante la colazione squisita, Mike si dimostra affabile a alla mano, esattamente come la sera della vigilia, il che mi spiace, se fosse almeno maleducato, avrei un motivo in più per odiarlo. Finito di mangiare, Julie sparecchia la tavola, ordinando a me e al fidanzato di stare seduti, senza alzare un dito, io mi accendo una sigaretta, ne porgo una a Mike, il quale accetta di buon grado.
-I tuoi genitori che lavoro fanno?-
-Mio padre è avvocato, mia madre un giudice-
-E tu studi?-
-Legge- Una poltrona, in qualche ufficio legale, aveva già impresso il suo nome da tempo.
Il fumo si alza, lento confluendo verso il lampadario antidiluviano che trovammo io e Clara al primo ingresso nella nostra nuova casa. Osservo gli occhi castani del ragazzo di mia figlia, la sua barba incolta e rada, sento una gran puzza di comunista misto hippy, come quei laureandi fattoni che noto in giro per la città. Jack, l’importante è che tratti bene Julie, non deve piacere a te. Continuo a ripetermelo, ma proprio non riesco a digerirlo.
La piccola Arwen mi ha lasciato piccoli regalini marroni per tutta la casa, li raccolgo e li butto nell’immondizia, noto Julie e Mike, intenti a scambiarsi calorose effusioni, mi schiarisco la voce, per far notare loro che vi sono altri quarantanove stati in America, dove baciarsi e coccolarsi, molto lontano dai miei occhi.
Verso le cinque del pomeriggio, nel pieno del mio riposino pomeridiano, mentre Julie e il segaiolo, sono usciti a fare due i con Arwen, squilla il telefono di casa, alzo la cornetta pregando che dall’altra parte non sia l’ufficio del FBI, altrimenti il lasciare staccato il cellulare per tutto il giorno, sarebbe stato solo un tentativo vano.
-Casa Wallace- Alzo gli occhi al cielo perché il mio interlocutore sia un addetto indiano di qualche call center, e mi proponga una bella batteria di pentole.
-Wallace, parla Mason, ho una notizia buona ed una pessima- Fanculo.
-Prima quella buona , per Dio, siamo a Natale-
-Abbiamo il DNA dell’assassino, e abbiamo una corrispondenza-
-Finalmente una buona notizia, quella pessima quale sarebbe?-
-Il DNA ritrovato sotto le unghie di Jeanne Cole, appartenente al presunto assassino, corrisponde a quello di un uomo morto-
-Cosa?-
-Robert Marsch, omicida, deceduto circa otto anni fa a Tampa, Florida, arso vivo, in un incidente domestico-
-Impossibile, ci sarà stato un errore, controllate di nuovo-
-Abbiamo ripetuto gli esami due volte-
-Fateli una terza-
-La macchina non sbaglia, e se mai lo fe, non due volte, non con il medesimo risultato-
-Se ne rende conto che è impossibile?-
-Si, ma il detective qui è lei, io le ho fornito i risultati dei test, ora me ne andrò a casa a festeggiare il Natale, lascio a lei questa bella patata bollente-
-Mi aspetti prima di andarsene, dieci minuti ed arrivo-
Ripongo la cornetta e corro a cambiarmi, vestendomi alla bene e meglio, l’impermeabile nero,regalato da mia figlia dovrà aspettare, ho paura di rovinarlo, quello beige andrà benissimo, senza preoccuparmi dell’aria gelata e della neve che mi attendono all’esterno. O più probabilmente non voglio separarmi dal mio fedele compagno d’avventure.
Esco di casa mentre mia figlia e Mike rientrano, beccato.
-Dove vai papone?-
-Devo correre in ufficio bambina mia-
-Ma è Natale, non avevi detto che eri in ferie?-
-Abbiamo un caso irrisolto, dobbiamo fare luce su alcuni indizi-
-Cerca di rincasare presto- Mi bacia, mentre guardo fisso Mike, con gli occhi lo fulmino, cercando di imprimergli in quel suo piccolo cervello irlandese, di non fare con mia figlia, ciò che di sicuro aveva già in mente di fare alla mia prima assenza. Ma dalla velocità con cui rincasano e chiudono la porta, forse avrei dovuto spaventare di più Julie. La mia bambina forse è più cresciuta di quanto io voglia ammettere a me stesso.
La nevicata si intensifica, anche il cielo mi intima di stare a casa. I marciapiedi bianchi di neve, deserti, qualche segno di impronta di scarpa qua e la, il sibilio del vento, è accompagnato dalle musiche natalizie che filtrano attraverso alle
finestre. Ho sempre trovato una certa vena di tristezza del Natale, da quando mi è stata tolta mia moglie, un senso di angoscia che attanaglia la mia gola, riempiendola di un gusto amaro e persistente. Bobby è divenuta bianca, i tergicristalli sono stati alzati, in modo che i vetri non fossero coperti di neve, dalle impronte che noto vicino alla macchina, deduco che sia stato Mike ad avere quest’accortezza, forse non vedeva l’ora che mi togliessi dai piedi, o forse sono io che sono un vecchio stronzo malpensante.
Bobby, rifiuta quasi di aprirsi, non vuole far entrare quel gelido vento dentro sé, ma la dissuado, sussurrandole che la lascerò a riposo, prima o poi. Devo essere impazzito, ora parlo pure con la macchina.
Tra colpi di tosse, miei e della mia autovettura, che quasi si alternano, parto raggiungendo la centrale, in un viaggio da incubo, nel quale Bobby, rischia di perdere la strada almeno tre volte.
Entro dal grosso portone, quasi nessuno è presente, pochi elementi dell’alveare sciamano lenti, quasi intorpiditi dal freddo, o probabilmente dall’assenza di un capo all’interno. Dimmare nel suo piccolo acquario, mi nota, e mi saluta vistosamente, quasi per farsi notare che pur essendo giorno festivo, lui è presente al lavoro. Alzo la mano e lo saluto di rimando, rendendolo felice. Giungo alla sezione scientifica, dove l’agente Mason mi attende irrequieta, circondata da microscopi e computer, apparecchiature all’avanguardia, sparse in ogni dove in una serie di stanzoni adibiti alla ricerca di prove.
-Mi chiarisca la situazione-
-Vi è ben poco da chiarire, il DNA dell’assassino appartiene ad un uomo morto-
-Tutto ciò non è possibile-
-No è assolutamente impossibile, potrebbe esserci stato un errore di catalogazione, oppure le banche dati potrebbero essere state manomesse-
-Siamo l’FBI, agente Mason, non il gruppo di ricerca delle coccinelle, le sue banche date sono intatte. Purtroppo questo caso, ad ogni nuova scoperta, porta altre domande-
-Mi dica lei, Detective, come è possibile, uno zombie si è risvegliato ed ha incominciato ad uccidere?-
-No semplicemente quest’uomo non è morto-
-Come, prego?-
-Cerchi chi ha autenticato la morte di Robert Marsch, se è bruciato vivo, le impronte digitali sono scomparse, l’unico altro modo per dare un nome ad un cadavere è l’impronta dentaria-
-Cerca di insegnarmi il mio lavoro?-
-No, traggo delle conclusioni-
-Secondo lei, Robert Marsch ha inscenato la sua morte?-
-Non sarebbe né il primo né l’ultimo a fare ciò, i mafiosi ed i terroristi lo fanno di continuo. Quello che non capisco però è il perché ha cercato di cancellare il suo dna, immergendo la povera signorina Cole in un pozzo, se sapeva che il ritrovamento della vittima ci avrebbe portato ad un nuovo punto morto-
-Io ho svolto il mio lavoro, di più non posso fare, ora sta a lei-
La dottoressa Mason, mi a a fianco, dirigendosi verso il suo giaccone bianco, la guardo e provo quasi soggezione nel vederla così magra. Mi vengono in mente mille telefilm, nei quali si vedono agenti dell’fbi, andare d’amore e d’accordo, collaborare per la squadra, la vita però è molto diversa, dopo avermi invitato ad uscire dal laboratorio e aspettato che eseguissi la sua richiesta, chiude a chiave per voltarsi e dirigersi verso la sua macchina e partire verso casa. Io mi ritrovo, praticamente solo, l’agente Dimmare si presenta dinnanzi a me con un grosso sorriso di circostanza.
-Semper fidelis-
-Quello è un motto dei marines-
-Io ero un marines, lei no?-
-Aereonautica, mi spiace-
-Posso esserle d’aiuto?-
-Non hai altro da fare?- Fino a quel momento, ho sempre visto l’agente Dimmare come poco più di un ragazzino, ma nei suoi occhi, colgo una rabbia repressa, pronta ad esplodere in quel momento, una scintilla di grinta pronta per scaturire fuori da lui. Questo mi piace, non tollero gli inetti. Noto che si trattiene, decido di provocarlo un pò di più.
-Non hai da controllare qualche fascicolo, oppure, non hai qualcuno che ti aspetta a casa per Natale? Saresti più utile davanti ad un tacchino che qui impalato, forse anche il suddetto tacchino sarebbe più utile di te- Esplode, le sue sopracciglia si aggrottano, il suo petto muscoloso si gonfia, e gli occhi color nocciola stanno fissi sui miei.
-Con tutto il rispetto signore, non voglio are la mia vita in un acquario, guardando gli agenti più anziani lavorare, a volte controvoglia e alla cazzo, ed essere deriso. Lei giudica la mia età non sta giudicando me, e questo mi fa girare le palle, la stimo, ma non bacerò il suo culo, né quello di nessun altro per diventare agente attivo, si rivolga ancora così a me, e a costo di perdere il posto le spacco il culo- L’esplosione che stavo cercando, il ragazzo ha le palle, nascoste in profondità ma le ha. Mi accendo una sigaretta davanti a lui.
-Non si può fumare in centrale-
-Vedi Chuck Brown da qualche parte? Di sicuro non mi farai rapporto tu, che sei appena diventato mio apprendista-
-Io?- Diviene nuovamente un gattino ammaestrato.
-Sarai in affiancamento a me e all’agente Carlson, quando sarai pronto diverrai un agente attivo- Assume l’espressione di un bambino la mattina di Natale.
-Grazie-
-Ma via quell’espressione dalla faccia, un agente attivo del fbi della rapine ed omicidi vede cose brutte, davvero brutte, vittime straziate da psicopatici, persone uccise solo per soldi, sono crimini che ti tolgono la voglia di mangiare la sera, che a volte ti tolgono la voglia di vivere, devi essere pronto a fare tutto, quindi fuori le palle- Smette di sorridere e si concentra.
-Ora dobbiamo cercare un referto medico, un incidente domestico, Robert Marsch, un assassino di Tampa, arso vivo in casa sua, mi serve il nome del medico che ha certificato la morte-
-Subito. Le telecamere di sicurezza di una banca vicino al pub in cui si era recato Kevin Callahan lo scagionano, ha ato praticamente tutta la notte a bere-
-Immaginavo, bel lavoro- Annuisce, senza ringraziare, forse ha capito la lezione.
-Aspetto notizie nel mio ufficio, ove effettuerò anche io delle ricerche-Il mio nuovo assistente corre via, veloce come non mai.
Io entro nel mio ufficio, spengo il mozzicone nel posacenere, dopodiché accendo subito dopo un’altra lucky, un colpo di tosse violento mi porta in gola una grossa
dose di catarro, la mia bocca sa di nicotina, un gusto acre e sgradevole, rimandato giù da un amplia boccata.
Tiro fuori il cellulare e compongo il numero di Jameson, purtroppo risponde solo la segreteria, immagino il mio collega, intento a gustare uno sfarzoso pranzo in compagnia di amici e parenti, lo invidio. Decido quindi di chiamare Julie, ma desisto, non voglio interrompere il suo idillio con Mike, e non voglio neanche sentirmi in soggezione, mi sento in colpa per averla lasciata così, proprio il giorno di Natale, anche se forse non sente la mancanza del suo vecchio e stanco padre, quando si trova tra le braccia di quello spilungone irlandese. Rimango con la cornetta in mano per qualche minuto, fino a che decido di riagganciare, riprendendo la mia ricerca.
a circa un ora, sento bussare alla porta del mio ufficio. Dimmare entra, con l’espressione orgogliosa e felice.
-Marsch è stato dichiarato morto il ventotto aprile di otto anni fa, dal dottor Peter Foster, un medico della polizia di Tampa al sacred heart ospital-
-Ottimo lavoro, ora verifichiamo cosa cazzo è successo quel giorno-
Il mio assistente mi porge il foglio del referto, sul quale, vi è scritto il referto, la data e l’ora della morte di Marsch, ed i dati dell’ospedale. Chiamo il suddetto ospedale di Tampa, città bellissima, patria dei grandiosi Bucaneers. Mentre attendo che il telefono si colleghi alla linea alzo gli occhi sul mio nuovo apprendista.
-Hai fatto un buon lavoro, ora voglio che tu mi sappia dire tutto su Robert
Marsch, voglio sapere anche quanti peli aveva nel culo- Annuisce, e riparte di corsa verso la sua scrivania, veloce come non lo avevo mai visto, finalmente il suo lavoro, per lui aveva uno scopo.
Una centralinista dell’ospedale di Tampa mi risponde con malavoglia, la voce annoiata ed estraniata di chi pensa ai cazzi propri.
-Sacred Heart Hospital-
-Buongiorno, sono il Detective Wallace, fbi-
-Cosa desidera?-
-Una centralinista con voglia di lavorare- Sento che sbuffa sulla cornetta e riattacca. Ricompongo il numero sperando di ritrovare la sua voce per potermi sfogare e dirgliene quattro, purtroppo mi risponde un altra voce, ugualmente annoiata e maleducata.
-Sacred Heart Hospital-
-Detective Wallace, fbi-
-Cosa desidera?- evidentemente è una cantilena che viene insegnata alle operatrici del suddetto ospedale.
-Vorrei parlare con il dottor Foster, Peter Foster- Dopo un momento di attesa, la donna riprende a parlare.
-Mi dispiace ma qui non lavora nessun dottor Foster-
-Ne è sicura?-
-Assolutamente si, dovrebbe saperlo, lei è un agente fbi. Il dottor Foster, collaborava con la polizia, provi chiedere a loro-
-Arrivederci, grazie- Riattacco il telefono, frustrato, e dubbioso, mi accendo una sigaretta, chiamo allora la centrale della polizia della stessa città, in cerca di qualche risposta alle troppe domande.
Compongo il numero, e dopo aver parlato con il centralinista, una voce potente, con un forte accento del sud mi risponde.
-Capitano Lake-
-Salve sono il detective Wallace fbi- Quante volte dovrò ripeterla ancora questa frase oggi?
-Mi dica-
-Ho bisogno di parlare con il dottor Foster-
-Il dottor Foster, non lavora più negli stati uniti da otto anni-
-Mi prende per il culo?-
-Voi siete l’fbi, dovreste sapere tutto-
-Sa dove posso trovarlo?-
-Non ne ho la minima idea, Peter collaborava con noi, non faceva parte della polizia, non un grande medico, ma una brava persona. Otto anni fa, d’improvviso ha mollato tutto, lasciando solo una lettera, nella quale salutava tutti, per andare a vivere in qualche paese tropicale, non ha specificato dove, dopo quella lettera, nessuno lo ha mai più visto né sentito- Rimango leggermente demoralizzato, non riesco a trovare l’assassino, e non riesco a trovare neanche un dottore. Su questo pensiero qualcosa scatta, un particolare, forse insignificante, fa scattare una scintilla nel mio cervello, un piccola e flebile ipotesi, la quale potrebbe divenire reale, o dimostrarsi invera e riportarmi nell’incertezza più totale.
-Ha detto che è sparito otto anni fa, ne è sicuro-
-Certamente-
-Ricorda Robert Marsch- Rimugina e pensa per qualche istante.
-L’omicida, quello stronzo morto bruciato in casa, si lo ricordo, è la fine che meritava quel bastardo-
-La morte è stata autenticata da Foster, dopo quanto tempo è scappato?-
-Ricordo il caso Marsch proprio perché fu l’ultimo cadavere identificato da Foster, dopodiché non più di un paio di giorni dopo, il dottore sparì, scappando in cerca di una vita migliore- Bingo.
-Sa dove è andato?-
-No, non precisamente. Qui si mormorava fosse scappato in Tailandia, altre voci di corridoio vogliono che, depresso per le sue scarse capacità mediche, sia partito come missionario in Kenya, ma ipocondriaco com’era, dubito che sia scappato in un paese del terzo mondo. Nel foglio di addio da lui lasciato sulla sua scrivania, non specificava la destinazione, solo la motivazione, era stanco di questa società marcia. Così recitava il biglietto-
-Non aveva parenti, nessun famigliare? Nessuno che potesse cercarlo?-
-No era un tipo solitario, molto dedito al lavoro, a dirla tutta la sua sparizione ci ha presi tutti in contropiede, nonostante le voci, non sembrava né depresso né così disgustato dalla società-
-Dopo aver analizzato il cadavere di Marsch non si è più fatto vedere?-
-No, anche il giorno degli esami, nessuno si ricorda di averlo visto-
-Chi era questo Marsch? Ho scoperto la sua esistenza solo poche ore fa-
-Robert Marsch era un omicida, ha ucciso le sue due sorelle, nel sonno, sparandogli al cuore e alla testa, involontariamente ha ucciso anche il fidanzato della maggiore, poiché dopo aver svoperto l’assassinio della sua amata, il ragazzo si è tolto la vita impiccandosi. Il vero killer, si diede alla fuga, i nostri sospetti caddero subito sul fratello delle vittime, Robert, aveva già avuto guai con la giustizia da ragazzo, aveva compiuto già parecchi furti con scasso-
-Era uno scassinatore?-
-Si, abbastanza abile, quando lo arrestammo, dopo l’omicidio, ebbe un colloquio anche con il nostro psicologo, quest’ultimo, notò in lui un intelligenza fuori dalla norma, sfociata però in una follia delirante ed omicida, non particolarmente brutale, ma maniacale, era ossessionato da Peter Foster, dava a lui la colpa di tutto. Delirava anche sui sicari della mala, puliti, netti, senza tracce, differenti da quei serial killer che lasciano il loro DNA sulle vittime. Ovviamente finì dentro-
-Con un duplice omicidio come fece a non avere l’ergastolo?-
-Ne ebbe due, doveva are il resto della sua vita nella prigione di S.
Constantine, qui a Tampa, ma dopo pochi anni, riuscì ad evadere, come un fantasma, nessuno lo vide più, fece perdere le tracce di sé. Circa un anno dopo, trovammo il cadavere carbonizzato in un appartamento in periferia. Le impronte digitali, erano state cancellate dal fuoco, il dottor Foster, esaminò l’impronta dentaria e riconobbe il cadavere come quello di Marsch-
-Capitano, si rende conto di ciò che è successo?-
-No, cosa intende?-
-Il dottor Foster è sepolto in quella bara, il corpo carbonizzato è il suo, Marsch ha rubato la sua identità, per poter sparire-
-Cioè il dottor Foster non è scappato?-
-Il dottor Foster sta guardando l’erba dalla parte delle radici già da otto anni, voglio una foto di Marsch, tutti i suoi dati, qualsiasi cosa voi abbiate in mano, ogni singola cosa, ne ho urgente bisogno-
-Le invierò tutto tramite fax, subito-
-Un’altra cosa, capitano Lake-
-Mi dica-
-Dove è sepolto il corpo carbonizzato?-
-A Bancha, città natale della madre di Marsch, la madre lo volle accanto a sé, nonostante fosse un omicida. Lei morì poco tempo dopo la sua sepolturaBancha, piccola cittadina a due ore di macchina da Demantea, purtroppo sempre sotto la mia giurisdizione.
-Arrivederci, buon Natale-
-A lei-
Dal cassetto di sicurezza blindato, accuratamente chiuso a chiave, della mia vecchia ed ingombrante scrivania, estraggo una decina di buste e guanti sterili, per estrarre prove da portare alla scientifica. Per un attimo, mi viene l’idea di prendere anche la mia pistola, riposta nel cassetto sottostante, ma non la porto mai con me, il mio lavoro è di intelletto. Decido di lasciarla riposta li dov’è, sperando di non dover rimpiangere la mia decisione.
Stacco la conversazione, un angoscia assale la mia gola, ogni attimo che a, questo caso diventa sempre più intricato, ora più che mai, inizio ad aver la sensazione di essere all’inseguimento di un entità, un essere imprendibile, etereo, un demone. Come negli incubi di bambino, l’uomo nero che si nasconde nell’armadio, in attesa che mio padre andasse a dormire, per potermi mangiare. Smettila Jack, è solo un deviato, non ha mai avuto a che fare con uno come te, lo inchioderai.
Sollevo di nuovo il telefono, cercando nuovamente di mettermi in contatto con Jameson, ma mi risponde nuovamente la segreteria telefonica, maledizione.
Il numero delle vittime di questo mostro, contando anche le sorelle, sale a sei, otto se si contano i suicidi del fidanzato di una delle sorelle Marsch e quello di Patrick Lundia, in entrambi, questo mister Grace, sembra averci messo lo zampino. Mi chiedo se riuscirò a fermarlo prima che altro sangue innocente bagni la terra.
Fare il tombarolo nel giorno di Natale, non era nei miei piani, ma purtroppo il dovere chiama, accendo una lucky, estraendo dal pacchetto ormai quasi finito. Spero che Julie possa perdonarmi, vorrei tanto essere con lei, vorrei essere un padre migliore, ma sono anche un agente, non posso sacrificare la sicurezza del mio stato solo per la felicità di mia figlia. Esco dal mio ufficio, noto Dimmare, intento nelle ricerche da me assegnatogli, non lo disturbo, salto su Bobby, la quale non borbotta nell’avviarsi sotto la nevicata, ma si rifiuta di accendere le sue luci, scendo di corsa e picchio sui fanali, di risposta essi si accendono, appena ricevuta qualche botta. La neve imbianca il mio impermeabile, il freddo mi gela il naso e le orecchie, il fumo bianco di condensa che esce dalla mia bocca, si confonde con quello blu della mia lucky, monto su Bobby e parto, verso la casa di Barry, la mia fedele spalla l’unico che potrebbe seguirmi in questa pazzia. La casa del mio collega, con il piccolo giardino imbiancato, riassume al meglio l’immagine del tipico sogno americano. Le mie scarpe lasciano impronte nette nella neve fresca, vorrei tornarmene a casa, abbracciare mia figlia e sbattermene di questa follia, ma ogni secondo i cui tentenno, ogni attimo in cui mi rilasso, potrebbe essere ucciso un innocente. Busso alla porta, dalla quale filtrano rumori di risate e felicità. Mary mi apre, sorridente, ma dopo aver letto il mio viso, il suo entusiasmo si spegne, quasi non mi saluta.
-Barry, vieni alla porta-
-Che succede?- Il mio collega giunge, vestito di una pesante tuta casalinga di
pile viola, la quale lo fa sembrare a dir poco ridicolo.
-Bell’abito-
-Stronzo-
-Ho bisogno di te-
-No, questa sera no, Jack, è Natale-
-Lo è anche per me Barry, lo è anche per me-
-Allora vai a casa goditi la vita, rilassati, stai con tua figlia, sono momenti che non ricapiteranno-
-Mi hai sempre detto che non mi avresti mai voltato le spalle-
-A meno che in televisione non ci fosse stato il superbowl-
-Stasera è Natale, il superbowl e wrestlermania sono ancora lontani, dobbiamo andare a Bancha-
-Adesso?-
-Si, adesso- Abbassa lo sguardo, forse per rassegnazione o forse per maledire il giorno in cui, come compagno gli era stato affidato l’agente più esaurito del federal bureau investigation.
-Dammi venti minuti, aspettami in macchina, se Mary ti prende, stasera ti uccide-
-Chiedile scusa da parte mia-
-Si si- Mi chiude la porta in faccia, incazzato come una iena, triste.
Aspetto all’interno di Bobby, riparandomi dal freddo, le bocchette del riscaldamento della mia macchina emettono uno strano pulviscolo mentre emettono aria per così dire calda, decido di spegnere, mentre la nevicata si fa più fitta. Dopo venti minuti esatti, con il o di un cane bastonato, Barry apre la portiera del eggero e si fionda sul sedile.
-Dimmi che hai risolto il caso-
-No, ma siamo ad un punto cruciale- Bobby, spara pallottole di fumo sull’asfalto, la sua cinghia stride e urla di dolore appena parto, forza bella non abbandonarmi mai.
-Cosa andiamo a fare a Bancha, il giorno di Natale alle dieci di sera, che non possiamo rimandare almeno a domani?
-Andiamo a fare i tombaroli-
-Cosa?-
-Dobbiamo trovare la tomba di Peter Foster, riesumare il cadavere, e prendere dei campioni per la dottoressa Mason-
-Chi è Peter Foster? Cosa diavolo ha a che fare con il nostro caso?- Gli racconto tutto, per filo e per segno, cercando di essere il più preciso possibile. Il viaggio scorre lento, i silenzi di Barry sono sempre più cupi, il suo morale è basso, non solo per l’averlo separato dalla sua famiglia in un giorno così speciale.
-Quindi dentro la bara cerchiamo il cadavere del dottore-
-Esattamente, altrimenti ho preso una cantonata clamorosa-
-Ci manca solo questo- Borbotta e bestemmia, un pò a bassa voce, un pò tra sé e sé.
Le strade buie, quasi prive di illuminazione di Bancha, rendono il tutto a dir poco spettrale, qui la neve ha lasciato il posto ad una violenta pioggia ed un forte vento, la mia auto sbanda e perde la strada più di una volta. Il cimitero è situato
sulla periferia della cittadina, della quale non ho voglia di visitarne il centro, mi dirigo diretto verso la mia meta, seguendo il lungo viale alberato, ricoperto di foglie morte.
Capitolo 12
-Ti rendi conto che stiamo andando in un cimitero nel giorno di Natale? A parte il fatto che troveremo chiuso, non abbiamo un mandato, se ti sbagliassi? Se dentro quella bara ci fosse davvero Robert Marsch?-
-Il mandato per riesumare un cadavere è molto difficile da ottenere, e i tempi di attesa sono molto lunghi, non ne abbiamo il tempo, un killer in libertà può colpire in ogni momento-
-I parenti del cadavere potrebbero farci causa, potremmo perdere il posto di lavoro-
-Non ti preoccupare, chiunque sia la persona dentro quella bara, non ha un cazzo di nessuno al mondo-
Il camposanto è situato in periferia fuori Bancha, collegato ad essa da una lunga superstrada, ove vi è naturalmente un uscita apposita. Il parcheggio deserto del cimitero è coperto di foglie secche, macinate dai pneumatici delle macchine ate di li nel giorno, bagnate dalla fitta e copiosa pioggia che ci accompagna. Parcheggio nel posto più vicino possibile all’entrata, Barry rimane muto, silente, pensieroso, esce dall’abitacolo di Bobby con il morale sotto i tacchi.
Un grosso ed erto muraglione grigio cemento circonda il cimitero, nel quale l’unica entrata è un nero cancello che sembra appena uscito da un film dell’orrore.
-Barry questo è il tuo turno-
-Che intendi dire?-
-Ad ogni agente attivo dell’agenzia, viene insegnato come forzare porte e lucchetti, nel caso di evenienza, e so che tu sei molto più capace di me-
Controvoglia Barry Carlson, si china e forza il lucchetto, spingiamo insieme il cancello, il quale produce uno stridulo ed acuto cigolio. Ci fermiamo, quasi convinti di aver svegliato il custode, se venissimo visti, tutto sarebbe vano, ed una denuncia per abuso di potere non è un buon punto da inserire sul curriculum.
Fortunatamente questa notte, il custode deve avere il sonno pesante, entriamo, in un magazzino, non troppo vicino all’entrata troviamo due pale due torce ed un piccone, giusto quello che ci serve, così possiamo iniziare la ricerca. Gli assassini, vengono sempre sepolti in disparte, dal resto dei defunti, nessuno vorrebbe vedere il proprio caro, riposare in pace a fianco ad un delinquente. Il Signore perdona, l’uomo no.
Un senso di irrequietezza mi assale, ovunque mi volti, vedo lapidi, l’unica luce è quella fornita dalle nostre torce, fasci troppo piccoli per illuminare tutto, non sono mai stato un patito dei film horror, a dirla tutta, mi hanno sempre terrorizzato, sembra paradossale, è un timore che ho sempre tenuto nascosto.
Camminiamo con l’anima in spalle, Barry è irrequieto, silente, pallido, e abbastanza incazzato, ma non quanto immaginavo. a circa un quarto d’ora,
prima di arrivare alla zona riservata alla feccia della società, molte lapidi, sono coperte dall’erba alta, che sormonta le tombe, solo alcune di esse appaiono ben curate, pulite, segno di visite recenti.
-Chi potrebbe mai venire a trovare individui del genere?-
-Barry, in Italia esiste un vecchio detto recita “ogni scarafone è bello a mamma soia”, significa, che per quanto tu sia feccia, tua madre ti vedrà sempre come il miglior figlio del mondo-
-Come cazzo sai i proverbi italiani?-
-Mia madre era di origini italiane-
-Ah, bene. Bravo- Questo genere di risposte mi fanno uscire dai gangheri.
Le nostre torce, illuminano le lapidi una per una, setacciamo l’erba in cerca del nome di Robert Marsch, ci separiamo, cercando di fare in fretta, purtroppo sono molti gli assassini al mondo, davvero troppi. Nella mia ricerca solitaria, una paura irrazionale di bimbo mi assale, inizio ad immaginare mani che escono dal suolo, afferrandomi i piedi, per trascinarmi sotto terra, ove uno zombie mi attende affamato, scollo la testa, cercando di mandare via questo pensiero.
-L’ho trovato- L’urlo di Barry mi fa balzare il cuore in gola, corro verso di lui, una tomba pulita, senza il minimo filo d’erba su di essa si presenta linda, lustrata, come nuova.
-Chi è venuto a trovare Marsch? Sua madre dovrebbe essere morta da anni-
Avvicinandoci per leggere le lettere sulla lapide, notiamo dei fiori, rigorosamente di plastica, avvolti da un violento fetore di urina, abbastanza forte da farmi venire un conato di vomito.
-Oh cazzo, quel fottuto bastardo di Mister Grace ha pisciato sulla tomba di Robert Marsch- Il viso di Berry, diviene ogni attimo più pallido, assomiglia ad uno spettro, ha il volto della paura.
-Jack, torniamo a casa, te ne prego, piove a catinelle, è la notte di Natale e questo stronzo di Mister Grace non ucciderà di certo questa sera-
-No amico mio, voglio andare in fondo, siamo in ballo? Balliamo-Inizio a picconare il terreno soffice, picco e pala, due attrezzi che fortunatamente, non tenevo in mano da molto tempo, da prima che lasciassi casa di mio padre per l’accademia.
Scavo, con forza, ma l’età e le sigarette si fanno sentire, il fiato è corto, la forza viene meno, lascio il mio posto a Barry, il quale scava, bestemmiando, poi pregando, con poca energia, ma nonostante tutto ottiene risultati migliori. iamo almeno un’ ora attaccati a quel merda di buco, il terreno prima soffice, ora pare una lastra di adamantio. Barry è sudato, io ho raccolto, durante la mia pausa, un pò di terreno, ove vi erano tracce di urina, probabilmente di Mister Grace, per poterle fare analizzare alla scientifica, sperando in un miracolo. È il mio turno, la buca è profonda, non molto larga, non mi serve l’intero corpo di Robert Marsch, me ne basta solo un pezzo, per poterlo analizzare, e verificare se le mie ipotesi sono esatte, ovvero, che dentro quella fottuta buca, giace il corpo
del povero Peter Foster, un povero medico, capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Scavo, con più forza che posso, la sola luce delle torce illumina l’interno della buca, intorno a noi solo il buio, la pioggia incessante ha inzuppato i miei vestiti già da tempo, tra essi, e la gargantuesca quantità di fango che avvolge i miei piedi, mi sembra di pesare quattro quintali, ma non importa, scava Jack, scava. La punta del piccone sfonda il legno della bara, rianimato dall’aver finalmente trovato il cadavere, colpisco più forte che posso, liberando ogni centimetro possibile, allargando il buco mentre Barry, sempre più strano sta a guardare, con lo sguardo perso e torvo. La puzza è nauseante, l’odore della morte è inquietante, tutti prima o poi, puzzeremo così. Fai pensieri felici Jack. Metà corpo in avanzato stato di putrefazione, ora è illuminato dalla mia torcia, molte ossa ormai sono scoperte, non presentando neanche più un brandello di carne. Il teschio della salma, presenta stretta tra i denti una musicassetta, la copertina recita la scritta “ascoltami. Il rumore del cane della pisola di Barry che viene armato, il freddo metallo che tocca la mia nuca, il mio amico Barry, inseparabile compagno, mi sta puntando la sua pistola alla tempia.
-Mi dispiace Jack-
-Barry, che cazzo fai?-
-O tu, o la mia famiglia Jack. Le regole sono chiare, il dado è tratto-
-Che cazzo dici? Ti sei fottuto il cervello- Cerco di portare la mia mano dietro la giacca, per fingere di impugnare una pistola, cercando di intimorire il mio collega.
-Jack, siamo compagni da anni, tu in servizio, non ti porti dietro neache una pistola ad acqua. Sai come si fa, alza le mani-
-Non è possibile Barry, tu non puoi essere Mister Grace-
Alla mia destra, vengono lanciate dozzine di foto, tutte con il modus operandi di Mister Grace, riconosco il caso Pastore, il caso Lundia, anche il brutale, ed inconsueto omicidio di Jeanne Cole, ma altre sono immagini datate, di cui ignoravo l’esistenza, su ogni foto, sull’angolo destro, vi è i presso un segno di rossetto o di mascara, firma inconfondibile del serial killer mascherato. In una fotografia, noto un uomo impiccato ad un albero con del filo spinato, il quale ha martoriato la gola dell’uomo, penso che fine peggiore di così, sia dura poterla fare. Le immagini orribili di quelle foto, vengono rese ancor più agghiaccianti dal riso isterico di Barry, una risata folle, di un uomo completamente fuori di testa.
-No, ma questa sera, io faccio le sue veci, ti vuole morto Jack, non so cosa tu gli abbia fatto, ma devo ucciderti, oppure lui ucciderà tutta la mia famiglia-
-Come fai a saperlo? Barry, calmati, metti via la pistola, lo prenderemo, te lo prometto, alla tua famiglia non sarà fatto alcun male- Rimaniamo in silenzio per qualche istante, la pioggia cade sui nostri vestiti già inzuppati di acqua, fango e sudore. Io ho la consapevolezza di avere ancora pochi istanti di vita, Barry, il fardello enorme di uccidere un amico, per salvare la sua famiglia, non lo biasimo, ma la sua scelta è dovuta alla nostra impotenza, nei confronti di Mister Grace, odio quel nome, odio quel mostro.
-Ucciderà Mary, Kyle e Tyler, esattamente come ha ucciso Jameson, l’agente di New York-
-Jameson è morto?-
-Si, si stava recando a Tampa, per investigare con noi a distanza, ma il killer lo ha intercettato, non posso permettere che i miei figli possano patire ciò che ha sofferto lui. Impiccato con del filo spinato, come si può essere tanto crudeli, tanto malati?-
-Non lo so, ma ti prometto che anche lui, non sarà morto invano, lo fermeremo, vendicheremo anche il nostro collega-
-Jack, mi dispiace- Sento il dito che inizia a fare pressione sul grilletto.
-Barry, capisco perché lo stai facendo, ma pensi davvero che uccidendomi, comprerai il favore di quel figlio di puttana? Sei davvero così accecato dalla paura da pensare che lui lasci stare Mary e i tuoi figli?-
-Cosa posso fare? Jack, ti prego non parlare più- Piange, disperato, la sua mente sta venendo meno, la ragione lo ha abbandonato.
-Lo prenderemo Barry, te lo prometto, non farà alcun male alla tua famiglia-
-Ho tradito mia moglie Jack, più volte, solo avventure eggere, qualche testimone, o avvenenti ragazze a cui andavo a chiedere se avessero visto qualcosa riguardante a un omicidio. Amo Mary, ma la carne è debole-
-Lo sapevano anche i muri delle tue avventure Barry, ma che ha a che fare questo con Mister Grace?-
-Lui ha notato il mio comportamento, ha iniziato a scrivermi, decine di volte, il giorno dopo l’omicidio di Katerine Pastore, più volte al giorno-
-Perché non mi hai detto niente?-
-Minacciava di uccidere la mia famiglia se avessi detto qualcosa a qualcuno, speravo di catturarlo prima che potesse nuocermi, ma costui non esiste, è un fantasma, stiamo cacciando un uomo morto, te ne rendi conto?-
-Cosa cazzo stai dicendo? È un malato del cazzo, esattamente come centinaia prima di lui, dovevi parlarmene prima amico mio. Non ti lascerà stare, lo sai meglio di me, fermiamolo, arrestiamolo, uccidiamolo, questo è l’unico modo per salvare davvero la tua famiglia-
-No, vi è un’altra via- La canna della pistola si stacca dalla mia nuca, nel primo istante penso che il mio collega abbia ascoltato le mie parole, ma quando mi volto, vedo la medesima pistola, stretta nella sua mano, la cui canna è infilata nella cavità orale del mio amico.
-Barry, no- Lo sparo riecheggia con il suo frastuono nel silente buio che ci circonda. Non è come nei film, pezzi di cervello si spargono in ogni dove, il sangue ricopre uno spazio immenso, Barry rimane in piedi per qualche secondo, i suoi occhi si muovono scoordinati, finché non si affloscia su se stesso, salto
fuori dal buco, il cadavere del mio collega giace immobile tra le mie braccia, la sua anima lo ha abbandonato, invoco il suo nome invano, nel buio, le torcie illuminano solamente il buco. Mi ritrovo a piangere un amico, un fratello così dissimile a me, capace però di strapparmi sorrisi, risate, in una vita assolutamente arida dei suddetti. Carezzo ciò che resta del suo viso, imbrattando completamente il mio storico impermeabile di sangue.
-Lo prenderò amico mio, salverò la tua famiglia- Ovviamente non ottengo risposta. Un feroce ed enorme senso di impotenza mi pervade, bruciandomi dentro, il dolore lo conosco bene, mi sento fallito, a terra, disperato, non sono riuscito a salvare Clara, come non ho impedito la tragica morte di Barry, ciò che mi rimane da fare, è solo piangere.
-Fanculo, fanculo, fanculo- Urlo al cielo, non ho mai avuto rispetto per i suicida, la vita è un bene troppo prezioso, non va gettato via, ma Barry non si è tolto la vita, è stato portato a farlo, portato alla pazzia da Mister Grace, è lui il suo assassino, la sua anima grava sulle sue spalle, non lo perdonerò mai. Questo bastardo ha ucciso anche Jameson, impiccato con del filo spinato, ora si diverte ad uccidere agenti.
Abbraccio il corpo esanime di Barry, gli urlo nell’orecchio, come se potesse sentirmi.
-Lo prenderò Barry, te lo prometto- Lo ripeto più volte. Una torcia si avvicina, trafugo dalla buca la musicassetta tenuta tra i denti del cadavere, un minuscolo pezzo della poca carne bruciata da tempo residua sullo scheletro, mettendo tutto dentro buste sigillate di plastica, per poterle fare analizzare dalla dottoressa Mason ed esco dal buco. Il custode terrorizzato, arriva di fronte a me correndo, magro, vestito come un contadinotto, quasi scheletrico, una rada ma lunga barba bianca gli copre leggermente il viso.
-Chi cazzo siete? Ho appena chiamato la polizia. Chi cazzo siete?-
-Agenti FBI, Jack Wallace, quello era il mio compagno Carlson-
-Non vi credo, avete scassinato l’entrata, avreste potuto chiamarmi, ma porca puttana, avete trafugato una tomba, chi cazzo siete?-
-Nessuno te lo ha mai detto che sei ripetitivo, vai a chiamare un ambulanza invece che fare domande idiote-
-Hai appena ucciso un uomo, sei un assassino-
-Vedi una pistola nelle mie mani? Se fossi un assassino ti avrei dato il tempo di parlare?-
-Siete satanisti, hai sacrificato il tuo compagno- Gli tappo la bocca con un pugno, crolla a terra svenuto, sono già nei casini così, tanto vale non farsi rompere i coglioni. Prendo il cellulare e chiamo un ambulanza, per far portare Barry in obitorio.
Scorgo sempre più vicine le luci lampeggianti delle auto della polizia di Bancha, arrivano a gran velocità, entrando nelle strade del cimitero senza ridurre la velocità di un solo miglio orario. La prima auto frena traversandosi, come nei migliori film polizieschi, mi asciugo le lacrime sul viso, ficco tutte le prove nelle tasche, e alzo le mani sopra la testa. Uno sceriffo paffuto, con indosso il suo ingombrante cappello esce dall’abitacolo della vettura, con la pistola già puntata
verso di me, sotto la pioggia battente, così fanno i suoi sottoposti, dai uomini di legge presenti in altre tre macchine, trovarsi dodici pistole, tutte puntate addosso, pronte a fare fuoco non è mai una bella sensazione.
Urlo il mio nome e il mio grado nell’agenzia, il grasso sceriffo abbassa la pistola e cammina virile e fiero verso di me, nonostante Bancha come Demantea, siano nel nord degli stati uniti, l’atteggiamento e il o dello sceriffo, tradiscono le sue orgini del sud, probabilmente Louisiana.
-Lei sarebbe un agente federale?- Annuisco e mostro il mio tesserino.
-Siete venuti qui, senza alcun mandato, pensando come al solito che voi, della potente agenzia, possiate fare tutto, come sempre, sbattendovene il cazzo di tutti vero?-
-Moderi il linguaggio sceriffo-
-Non è nelle condizioni di poter comandare Wallace, lei è in un mare di merda-
-Sono frasi che vi insegnano durante l’addestramento per farvi sentire meno inutili- Il suo petto si gonfia, sembra volermi picchiare, il suo viso arriva ad un palmo dal mio.
-Lei non sa con chi sta parlando-
-Lo so benissimo, con uno sceriffo così imbecille da non capire che ho un collega, un amico morto ai piedi, sono sulle tracce di un serial killer, stupido idiota, vuole denunciare l’accaduto alla mia agenzia? Bene, lo faccia, non può farmi altro, conosco le leggi di questo stato, sono nel FBI da quando lei si faceva ancora le seghe, abbassi il tono, e mi dia assistenza. Subirò una lavata di capo, non sarà né la prima né l’ultima. Provi ancora a minacciarmi e le faccio ingoiare il distintivo che porta sul petto- Soffia come un toro dal naso, i suoi sottoposti lo allontanano da me, additandomi come uno stronzo, forse hanno ragione, ma non posso essere fermato ora, non voglio fermarmi, altrimenti Barry sarà morto invano.
-Lei è comunque sospettato di omicidio ed abuso di potere-
-Rilevi le impronte digitali sull’arma, vi fornirò le mie, faccia tutti i test balistici, ogni cosa vi venga in mente, vi ho detto la verità. Lasciatemi lavorare-
L’ambulanza arriva, i militi, avvolgono Barry nel contenitore nero per cadaveri, non riesco a credere a ciò che sto vedendo, non può essere vero, non può essere successo. Non riesco a trattenere le lacrime, scoppio in un pianto disperato, non vergognandomi, togliendomi dal viso la faccia da duro che questo lavoro richiede, accovacciandomi a terra. Nominando il nome del collega più volte, chiamandolo, ancora, e ancora, e ancora, sperando che esca dal contenitore in cui si trova, urlando per avermi giocato un brutto, orribile scherzo. Lo sceriffo si avvicina, mi aiuta ad alzarmi da terra e mi abbraccia, forse anche lui, sa cosa vuol dire perdere una persona cara.
-Mi spiace agente Wallace, le credo- Le sue braccia sudate e grasse, sono calde, le ascelle puzzano di sudore, mentre i suoi sottoposti tornano nelle macchine per ripararsi da una nuova e copiosa ondata di pioggia, io e lo sceriffo rimaniamo così, con la sua spalla non solo bagnata dalla pioggia, ma anche dal mio pianto.
Mi accompagna alla centrale di polizia, dove mi attendono numerosi interrogativi, sul perché abbiamo forzato un cancello, profanato una tomba e soprattutto, cosa è successo a Barry, quest’ultimo punto, oltre che dolente, è ciò che mi può rovinare, non solo la carriera, ma tutta la vita. Lo sceriffo, mi interroga, con tatto, gentilezza, crede ad ogni mia parola, anche se lo vedo perdersi mentre gli illustro il caso di Mister Grace, mi rilascia, dopo una buona mezz’oretta, non solo perché ha fiducia nella mia deposizione, non vuole avere un federale nelle sue celle, trattenere un agente, significa gran rotture di coglioni.
Capitolo 13
La mia notte è insonne, non posso guidare, sono ubriaco, una bottiglia di whisky, comprata in un negozietto, aperto ventiquattrore su ventiquattro, vicino alla centrale, giace a fianco a me, ormai vuota, sul sedile del eggero di Bobby. Una parte di me questa notte è morta. Il giorno di Natale, dovrebbe essere solo gioia e felicità, io sono qui, con gli occhi gonfi dal pianto, il sapore amaro dell’angoscia in bocca. Il corpo di Barry sarà già steso qualche letto dell’obitorio, a me sono toccate mille domande sull’accaduto, e sul perché eravamo in un cimitero a depredare una tomba, nonostante la fiducia dello sceriffo, potrei comunque essere radiato dal fbi per l’accaduto, ma questo è l’ultimo dei miei pensieri. Dovrò giustificarmi con Mary, la moglie del mio collega, con i loro figli, i quali hanno visto uscire il padre la notte dedicata a loro, mentre la prossima volta che vedranno il suo viso, sara sulla foto della lapide. Non riesco a darmi pace, è stata colpa mia, non ci sono scusanti, lui ha sacrificato se stesso per i suoi cari, la scelta di un padre di famiglia, la scelta di un amico, incapace di uccidermi. Guardo fisso il cruscotto della mia macchina, I numeri delle miglia orarie, le lancette immobili, il volante, e prendo a pugni tutto ciò che vedo, sempre più forte. Sono zuppo d’acqua, sangue e sudore, mi sento sporco dentro, come se fossi io l’assassino. Devo tornare a Demantea, affrontare la realtà, portare i campioni dei tessuti all’agente Mason. In una busta per la raccolta prove, vi è anche la musicassetta, ritrovata nella bocca del cadavere. Astuto, ripulire i suoni da un nastro analogico è molto più difficile rispetto ad un cd, me ne sbatto delle improbabili prove che posso trovarsi sopra essa, Mister Grace, finora ha dimostrato di essere un pazzo, ma un pazzo molto astuto, di sicuro anche se fi analizzare la plastica del nastro, dubito che troveremmo delle impronte. Caccio la musicassetta nel lettore dell’autoradio, mi metto in attesa di udire qualcosa. Circa tre minuti di silenzio prima di sentire una voce, palesemente contraffatta da qualche apparecchio tecnologico.
“Vi saluto, agenti Wallace e Carlson, o forse dovrei salutare solo lei, Jack Daniel’s Wallace, se tutto è andato come previsto, l’inetto Barry Carlson si sarà impiccato, o sparato, è da parecchio che lo studiavo, osservandolo, far crollare la sua fragile psiche, è stato molto facile, le immagini delle mie vittime, con la
minaccia di sterminare i suoi cari, ha dato i suoi frutti, sapevo che non si sarebbe mai macchiato del suo omicidio, eravate molto amici. Finalmente ha smesso di scoparsi testimoni e approfittare del patrimonio della moglie per fare la bella vita. Sopravvivere a questo mondo è dura vero agente Wallace? Entrambi lo sappiamo. Ma veniamo al dunque, avremo tempo per parlare di vita vissuta, quando saremo faccia a faccia, mentre le preparerò il cappio, per il suo rugoso, grasso e vecchio collo. Il corpo che avete appena ritrovato, non è quello del dottor Foster, ma appartiene a Robert Marsch, la mia prima vittima maschile, non corrisponderà nel test del dna, ho provveduto tempo fa per sostituirlo al mio, le do la mia parola. Conobbi Marsh tempo fa, sotto le armi, io ero uno studente di medicina, lui un giovane teppistello, con il vizio del furto, anche se molto ingenuo. Entrai nelle grazie di quel ragazzo sbandato, durante una licenza andai con lui a trovare la sua famiglia, un gruppo di schifosi, ignoranti sudisti vecchio stampo, promiscui e volgari, rappresentavano tutto ciò che di male vi è al mondo, decisi di punirli. ai un paio d’anni, rimanendo in contatto con Robert, inconsapevole dei miei piani, in attesa del momento propizio. Ho ucciso prima le sue due sorelle, lui era già stato in galera, anni prima, fu l’unico sospettato, imprigionato in tempo record, la polizia si fece vanto della propria professionalità. Se solo avessero saputo la verità, quei panzoni mangia ciambelle, non si sarebbero riempiti così tanto la bocca di autocelebrazioni e dolciumi. Ma sono solo piccoli uomini. Marsch uscì di galera, io mi divertivo ad uccidere pazienti di malattie terminali, ma non trovavo più il gusto della caccia, avevo voglia di carne fresca, di sentire il dolore, la paura delle mie vittime, poter portare al mondo la mia pulizia, questo schifoso mondo. Un tempo il matrimonio valeva per la vita, quando gli uomini avevano valore, quando le donne sapevano tenere le gambe chiuse, ogni coppia ha segreti, corna, amanti. Che schifo, fortunatamente ci sono io, ho iniziato con persone normali, come quelle due troie delle sorelle Marsch, ma non è cambiato nulla, ora con qualche coppia più famosa sto lanciando il mio messaggio al mondo, come vedi, agente Wallace, sono armato, di buone intenzioni ah ah ah. Non ho niente contro di te, non sei sulla mia lista, quindi ti do una possibilità, fai dietro front, non investigare più su questo caso, altrimenti la cosa potrebbe diventare molto spiacevole per te, come ho detto prima, ho della corda già pronta e insaponata, su cui vi è inciso il tuo nome.” La registrazione si interrompe bruscamente, il nastro si strappa, tolgo la musicassetta dal lettore e noto che alla fine della registrazione, vi era una piccola sacca di acido, pronto per essere pressato dal mangiacassette, così da esplodere e cancellare ogni parola incisa su nastro. Complimenti Jack, hai fatto un’ennesima cazzata. Picchio ancora Bobby, sfogandomi sul suo volante. Maledizione. Non ho altra scelta che tornare a Demantea, dove mi attende una furiosa Mary, ancora
inconsapevole del suicidio del marito, due bambini, i quali mi ricorderanno come l’uomo che ha portato via papà e Julie, mia figlia, attaccata a Barry come una nipote, non so come affrontare la situazione, Clara ti prego torna qui, vieni vicino a me, carezzami la testa, abbracciami e dimmi che è tutto un sogno, come facevi quando avevo un incubo, ti prego, amore mio, aiutami. Fuori i coglioni Jack Daniel’s Wallace, fatti una golata di quel fango che ti ostini a chiamare whisky e metti in moto, dal regno dei morti non vi è ritorno, vergognati, se Clara potesse vederti adesso, piangere ed autocommiserarti così, non ti degnerebbe di uno sguardo, fuori le palle vecchio, se ce le hai ancora, fuori le palle, spedisci questo malato figlio di puttana all’altro mondo, prima che possa fare altro male. Sfreccio furente per l’autostrada, rimetto la solita mia cassetta nello stereo, sperando che l’acido residuo non bruci anche la mia registrazione. Si anche gli agenti fbi, scaricano musica pirata, e quelli antichi e nostalgici come me, registrano le proprie compilation su nastro. Johnny Cash, Buddy Holly, Richie Valens e un altra mezza dozzina di artisti morti, compreso il re, mi consolano e mi accompagnano nel mio triste viaggio. Anche il cielo di Demantea, sembra piangere il suo agente, la nevicata ha lasciato il posto ad una violenta pioggia, la quale scioglie rapida la neve, formando per le strade e marciapiedi, un grigio pantano sporco e sdrucciolevole. Casa di Barry ha ancora le luci accese, la guardo da fuori, non sapendo come affrontare la situazione. Vi era molta felicità in quella abitazione, il mio collega era un donnaiolo, questo era risaputo, ma non ha mai fatto mancare nulla alla sua famiglia, le sue erano scappatelle dovute all’istinto, alla sua incapacità di non riuscire a resistere alle tentazioni. Non un santo, per carità, ma un ottimo amico. Ogni o che faccio, sul vialetto in pietra, contornato dal perfetto prato all’inglese, coperto dalla poltiglia mista neve ed acqua, sembra più pesante del precedente. Suono alla porta, mi rendo conto di avere il sangue di Barry ancora sul cappotto, getto via la giacca in fretta, voglio risparmiare la visione alla moglie, la quale viene ad aprire con un grosso sorriso, smorzato appena vede solo me alla porta.
-Jack, dov’é Barry?-
-Mary, é successa una cosa-
-Smettetela te e quell’altro di farmi gli scherzi- Si guarda ancora in giro, cercando di vedere in penombra il marito chiamandolo con voce allegra e potente.
-Barry, smettila di fare il cretino e vieni fuori-
-Mary, dobbiamo parlare-
-Mi stai spaventando, smettetela con questo gioco, vieni in casa, ti stai bagnando sotto la pioggia, perché il tuo impermeabile è per terra- Si china per raccoglierlo, non riesco a fermarla, vede il sangue e qualcosa nel cuore, le fa capire che appartiene a suo marito. Mary Carlson cade seduta, piangendo muta, il dolore le impedisce di urlare, sbatte le gambe, come in preda a delle convulsioni, il viso le si bagna del sangue che ricopre la mia giacca. Gli occhi della donna sono spiritati, incoscienti, vitrei, mi chino su di lei, appoggiandole la mia mano sulla spalla.
-Non toccarmi- Si dimena a scatti, impazzita dal dolore. Quel dolore che conosco fin troppo bene.
-Non ho potuto fare nulla per impedirlo Mary, l’assassino gli aveva scritto, non lo sapevo, si è tolto la vita dinnanzi a me- Come se non avessi parlato, la moglie di Barry, si strofina sul viso il mio impermeabile come fa Linus con la sua coperta.
-Mary, mi dispiace- Una voce flebile, quasi impercettibile, esce dalla sua bocca.
-Tu l’hai ucciso- Lo ripete ancora, e ancora, e ancora, sempre più forte, fino a farlo diventare un urlo di dolore e odio. La donna scatta in piedi, ripetendo come un ossesso la medesima frase, inizia a colpirmi, forte sul petto e in faccia, non sento dolore, non fisico.
-Mary, io ho cercato di fermarlo, si è sacrificato per voi, il killer lo minacciava, scrivendogli che vi avrebbe uccisi-
-Tu l’hai ucciso, me lo hai portato via- I suoi pugni, iniziano a calare d’intensità. Il suo pianto rallenta, generando forti singhiozzi.
-Mary, lo so che mi odi. Provo lo stesso sentimento per me, avrò sulla coscienza Barry ogni giorno della mia vita. Ascoltami, te ne prego, vai via con i bambini, portali lontano da questa maledetta città, qui non siete al sicuro- I figli di Barry e Mary Carlson, fanno capolino dalla porta, intontiti dal sonno.
-Cosa succede mamma?- La donna cerca di ritrovare un equilibrio, mi guarda negli occhi, le tolgo il sangue del marito dal viso con la mia manica della camicia, lei si terge le lacrime e li guarda, con un grosso, quanto finto sorriso di circostanza.
-Ragazzi, facciamo i bagagli, andiamo a Phoenix, a trovare lo zio Albert-
-Papà dov’é? - Mary si volta verso di me, piena d’odio, non sapendo dare una risposta alla propria prole.
-Vostro padre ed io abbiamo da lavorare parecchio, resterà con me ancora un pòIl figlio maggiore intuisce che vi è qualcosa che non torna, ma tace, per il bene del piccolo. I due vengono rispediti in casa da Mary, la quale trattiene a stento le lacrime.
-Non ho idea di come dirglielo-
-So cosa stai ando Mary-
-Non ti voglio mai più vedere Jack, resta fuori dalla mia vita e quella dei miei figli, tu e Julie. Manderò Kyle e Tyler a Phoenix, da mio fratello, resterò solo io per il funerale di Barry, al quale spero di non incontrare nessuno di voi bastardi di quella stramaledetta agenzia, dopodiché raggiungerò i miei figli, dirò loro la verità-
-Lo prenderò Mary-
-Non me ne frega un cazzo, nessuna giustizia porterà Barry da me-
-Addio- Non risponde, si limita a piangere fuori dalla porta, uno sfogo naturale e copioso, per poter affrontare i figli con finta tranquillità. Mi incammino verso Bobby, con sulla schiena, il fardello di una colpa che non laverò mai via. Cerco il pacchetto di lucky nella tasca del mio impermeabile fradicio, purtroppo non è rimasto che una poltiglia informe di tabacco e carta, lancio il composto in mezzo alla strada con rabbia. Mi rifornisco dal primo rivenditore automatico e mi infilo una sigaretta in bocca con la velocità della luce, salendo su Bobby. La musica di Johnny Cash in “I got stripes” mi conduce fino a casa. Appena infilo la chiave nella toppa, Julie apre e mi abbraccia, piangendo, Mike dietro di lei, resta
sull’uscio, con il suo solito pallore in volto.
-Abbiamo visto il telegiornale, ho avuto tanta paura. Perché lo zio Barry si é suicidato?- Vorrei solo andare a dormire, svegliarmi ed accorgermi che questo è solo un incubo, gli occhi di mia figlia però, invocano aiuto, sostegno, ed io, ho bisogno di lei, per non alcolizzarmi, gettare nel cesso la mia vita e la mia sanità mentale, vi è così tanta morte intorno a me. La abbraccio forte, sento il profumo dei suoi capelli, sanno di lavanda, trattengo le lacrime.
-Ti voglio bene Julie-
-Anche io papone-
-Te lo prometto bambina mia, non ti lascerò mai sola-
-Lo so papà-
-Lo zio Barry si è suicidato-
-Si davanti ai miei occhi-
-Perché?- Non voglio coinvolgerla, ha sofferto già abbastanza nella sua vita, ma ha bisogno di spiegazioni, anche se brevi e stigmatizzate. Quando ti nasce un figlio, vorresti che vivesse nel mondo della Disney, innocente e meraviglioso, non in questa cruda, triste e lurida fogna. -Julie, stiamo seguendo un caso molto
brutto, lo zio Barry non ha retto-
-Papà, credi che io sia ancora una bambina?-
-A volte lo vorrei-
-Non sono stupida, non riesco a credere che lo zio Barry si sia suicidato, questo mi fa stare malissimo, ma io ho paura che tu possa morire lo capisci? Sei la mia unica famiglia, sei tutto ciò che rimane- Un’affermazione del genere stenderebbe un toro, la abbraccio, mentre la mia bambina sfoga il suo dolore in un pianto copioso che bagna la mia spalla, Mike rientrato in casa poco dopo il mio arrivo, voleva lasciarci parlare senza essere di troppo, è seduto sulla mia poltrona, nonostante l’ora tarda, da buon irlandese, a bere una birra, guardando il muro. Julie e io raggiungiamo il suo fidanzato, i due si abbracciano, lui cerca di consolarla, io guardo la scena, questa volta senza imbarazzo. o il resto della nottata a fianco ai due, parlando delle mie disavventure con il compianto zio Barry, scappa qualche risata, per alleviare a loro, l’amaro del cupo Natale che sta giungendo alla sua conclusione.
Sono le sei, Julie e Mike sono saliti in camera circa un’ora fa, io sono rimasto nella sala, a pensare, guardando la mobilia, ogni angolo questa casa mi ricorda Clara, per alcuni secondi mi sembra di sentire il suo profumo, di poterla quasi toccare, butto giù qualche bicchiere di me stesso, contento papà? Mi alzo dalla poltrona, le gambe tremano, non hai più vent’anni vecchio Jack, non puoi are insonne una notte a bere, senza pagarne pesanti conseguenze. Scolo gli ultimi residui della bottiglia di Jack Daniel’s, buttandola nella pattumiera, sorprendo Mike il quale cerca invano nella cucina una frusta per sbattere le uova, nel tentativo di preparare una colazione a sorpresa per Julie.
-Secondo cassetto alla tua sinistra- Il ragazzo sobbalza nel sentire la mia voce.
-Non sapevo fosse sveglio-
-Ti ho già detto che puoi darmi del tu-
-Volevo preparare la colazione, avete avuto una giornata pesante ieri, nessuno dovrebbe are un Natale così. Non conoscevo il suo collega, ma da come Julie ha reagito, dev’essere stato un bravo uomo-
-Un grande amico- I miei pensieri tornano alla famiglia di Chuck, al loro dolore, un fardello che grava sulle mie spalle.
-Ma ha almeno dormito un po’? -
-E tu?-
-Tua figlia ha bisogno di me, non sarà una notte insonne ad uccidermi- Migliore risposta non poteva darla. Dieci e lode.
-Non hai una bella cera Jack, anche tu insonne?-
-Forse non lo so, non sono in ottime condizioni- Tiro fuori una lucky e me la accendo, tossendo, quasi soffocando, il mattino del fumatore, il momento peggiore della giornata.
-Ha bevuto tutta la sera?-
-Ti ho già detto di darmi del tu, e comunque fatti i cazzi tuoi- Giramenti di testa e la voglia di vomitare mi aggrediscono, a dare man forte, a questi ultimi, vi si aggiunge il carico da novanta di una notte ata nel peggior modo possibile, a rimembrare un amico morto. Buon inizio di giornata. Salgo le scale per andarmi a cambiare, pulizie di rito, rischio quasi di addormentarmi nella doccia, mentre l’acqua lava via dalla mia pelle, la terra del cimitero, il sangue di Barry, ma non il mio senso di colpa. Dopo essermi vestito, capisco che il mio impermeabile è inutilizzabile, macchiato da grosse chiazze di sangue, vedendole, non sono neanche sicuro di volerlo mai più indossare. Nell’armadio, vi è il cappotto nuovo, il regalo di Julie, nero, in ecopelle leggermente lucido, lo indosso, pesa una mezza quintalata, ma devo ammettere che è molto caldo, faccio un fagotto con quello vecchio, posato per terra, sulla moquette beige della camera. Scendo le scale, Mike in cucina è ancora alle prese con il tentativo di colazione, mentre mia figlia è tra le braccia di Morfeo. Arwen si accorge che me ne sto andando e si fionda goffamente giù dalle scale, scese con non poca difficoltà, si avvicina alla mia gamba in cerca di coccole, la accontento. I muri di questa casa hanno ascoltato il mio silenzio per molto tempo, con questi nuovi rumori, anche le pareti sembrano più felici, nonostante gli ultimi avvenimenti, vorrei non uscire di casa, non trovarmi di nuovo faccia a faccia con il mondo e la sua crudele realtà, ma purtroppo questa è la vita.
-Non sarai con noi oggi?-
-No, ho da lavorare, qualcuno deve pagare per Barry-
-Julie non la prenderà bene lo sai?-
-Lo so, chiedile scusa da parte mia- Dice qualcosa, ma non lo sento, ho già tirato la porta dietro di me. Un tempo da lupi mi da il buongiorno, una nuova, copiosa nevicata imperversa per le strade di Demantea, i freddi tetti delle macchine hanno una buona dose di bianco sopra di loro, il mio nuovo cappotto compie egregiamente il suo dovere, mi avvicino ad un cassonetto e deposito il mio vecchio e storico impermeabile dentro esso, buttando via con lui ricordi, lacrime ed un ato tutt’altro che roseo. Bobby è infreddolita e sola, la accendo a fatica, una fumata nera esce dalla sua marmitta in segno di protesta.
-Te lo prometto, vecchia amica mia, non butterò mai via te, e prima o poi ti darò un giorno di riposo e , se tutto va bene, ti rifaccio il motore e anche il look, ti rifaccio fare anche i sedili bianco latte, come quelli che avevi una volta, non giallo piscio come sono ora- Il motore sembra più tonico dopo aver sentito le mie parole, o probabilmente sono io che sto diventando completamente pazzo. Le strade deserte, Elvis mi accompagna con la sua “hound dog”, ritmata e sempre stupenda. La neve non ha fermato i giornalisti, i quali sono piazzati davanti alla centrale, una decina di agenti cerca di allontanarli, la notizia di un agente suicida in un cimitero è roba da prima pagina, loro sono piazzati in branco, come piranha, in attesa di qualche succulenta intervista, della quale cibarsi, con domande taglienti come rasoi ed inopportune. Parcheggio poco distante, afferro il telefono, sto per chiamare Barry, per chiedergli se può occuparsi lui della stampa, quando mi rendo conto di ciò che sto facendo, la rabbia mi assale, pari o con un enorme senso di impotenza. Decido di dare ai giornalisti quello che vogliono e a Mister Grace, quello che si merita. Mi avvicino, un branco di persone armate di microfoni e registratori mi assale, seguiti da alcuni cameramen sulle seconde linee, mi vengono sottoposte domande di ogni sorta, alcune quasi prive di senso, altre prive di qualsiasi tatto, mi sembra quasi di udire un “ha ucciso lei il suo collega?” Faccio finta di non aver sentito e sgancio la bomba mediatica, che spero, possa far crollare quella fottutissima sicurezza di cui il serial killer si sta pavoneggiando.
-Non sono qui a rispondere alle vostre domande, siamo sulle tracce del killer che ha ucciso Katerine Pastore, Colin McKnee e Jeanne Cole ,sappiamo che ha già ucciso in ato e ha condotto alla pazzia il mio collega, il quale ha compiuto un atto disperato. Abbiamo il suo nome, sappiamo chi è. Le nostre squadre sono
alla sua ricerca, ha i minuti contati- Altre domande vengono sparate a raffica, non rispondo e proseguo verso l’entrata della centrale, dove gli agenti di sicurezza, bloccano i giornalisti non senza fatica. L’alveare di giovani agenti sciama, senza sosta e senza meta, molti i visi corrucciati per essere stati richiamati in servizio nel giorno di Santo Stefano. Nel mezzo dello stanzone una signora orientale sulla cinquantina, mi fissa immobile, un viso abbastanza quadrato sotto capelli lisci e neri, tagliati in un caschetto, pantaloni color cachi ed un golfino rosso fuoco sopra una maglia nera contrastano con i denti bianco latte mostrati in un grosso sorriso, denotando una serenità ed una calma non propria della situazione attuale. Quella figura abbastanza bizzarra ed estemporanea monopolizza la mia attenzione, fissandomi e sorridendo, mentre dietro di essa, tutta la sezione rapine e omicidi, è in un caotico giorno di lutto. Mi avvicino, la donna rimane immobile, per qualche momento penso che sia una statua di cera di mirabile fattura, finché non irrompe in un acuto.
-Melinda Park, psicologa forense, B.A.U. F.B.I.- Dovremmo smetterla di usare tutte queste sigle.
-Lei è la psicologa?- Dall’aspetto che ha, dal modo in cui è vestita, quella minuta signora asiatica, avrei giurato fosse una casalinga un pò rincoglionita in cerca del supermercato. -Esattamente, mi faccia strada verso il suo ufficio- Le faccio un cenno e lei mi segue, camminando in modo goffo, schiena così dritta da poterci stirare le camice, gambe corte che la molleggiano, in modo vistoso. La piccola donna asiatica mi segue come un ombra, anche mentre consegno alla divisione scentifica i campioni che ho raccolto la notte di Natale, pronti per essere analizzati, sperando di trovare qualcosa, anche una piccola traccia che possa inchiodare Mister Grace.
-Lei è un buon investigatore, ma la devo già redarguire, ha sbagliato a parlare con la stampa in quel modo, ha mostrato debolezza, non sicurezza è di questo che si nutre questo serial killer-
-Non capisco cosa intende-
-Per ora, a leggere i suoi rapporti e vedere i risultati delle sue indagini, non sembra che lei abbia in mano molto, sembra più che lei implori il killer di costituirsi e attirare così l’attenzione di un soggetto come quello può essere deleterio se non controproducente- Camminiamo, la dinoccolata signora asiatica mi segue con veloci etti, entriamo nel mio ufficio, ove il forte odore di posacenere disgusta la mia interlocutrice.
-Ma quanto fuma lei?- Blocco un vaffanculo in uscita tra i denti, solo perché l’aspetto della psicologa mi suscita simpatia. Ci sediamo, lei, aveva già portato davanti al mio ufficio una valigetta marrone, in pelle, dalla quale estrae i rapporti sul caso, scritti da me e Barry.
-Allora, ho esaminato tutti i dati che mi avete fornito, ne ho già discusso con l’agente Mason ieri al telefono, ho già tratto un profilo psicologico di questo Mister Grace. Il modo di agire del soggetto in questione, ricorda a tratti quello del noto Serial Killer famoso come Zodiac, ne ha già sentito parlare penso-
-Chiunque lo conosce, il fatto che non sia mai stato catturato non è di buon auspicio- Mi accendo una sigaretta, mentre osservo il viso della dottoressa asiatica, concentrato e serio, come se fosse un’altra persona, completamente differente dalla donna svampita e serena che ho notato nell’ atrio. La psicologa forense, appena accesa la sigaretta, me la sfila di bocca e la spegne nel vulcano di cicche presenti nel posacenere, non protesto per essere galantuomo e perché ho altri due pacchetti nella tasca del giaccone.
-Come dicevo, il modus operandi è similare a quello di Zodiac, ma l’impiccagione o la persecuzione delle vittime si discostano da questo. L’impiccagione, sempre usata con vittime maschili, è una punizione più severa,
rispetto all’esecuzione canonica, riservata alle coppie, nelle camere da letto, nel pieno del sonno, nel momento nel quale siamo tutti più vulnerabili ed indifesi-
-L’accoltellamento di Jeanne Cole però è ancora diverso- Mi accendo un’altra lucky, ma Melinda Park, sfila anch’essa dalla mia bocca, per spegnerla accanto all’altra sul posacenere.
-Quante sigarette ha agente Wallace? Pensa di finire prima le sigarette o la mia pazienza? Le faccio notare, se non lo avesse già notato, che sono asiatica, siamo abbastanza famosi per la nostra pazienza, molto più degli Yankee- Depongo le speranze di una fumata, fino alla fine del meeting.
-L’accoltellamento di Jeanne Cole, se lei nota, gli omicidi avvengono tre a tre, di solito moglie, nuovo compagno ed infine marito fedifrago, l’assassino del caso Lundia, fino al caso Le Roy- -Vi è anche il caso delle sorelle Marsch, uccise con colpi di pistola, e poco dopo, il fidanzato di una delle due, ma questo è un caso su cui devo ancora fare luce. Non penso che il killer, Mister Grace, come si vuol far chiamare, avesse ucciso prima di loro, è per questo, che la tipologia di vittime si discosta-
-Non sapevo ancora nulla sul caso Marsch, me lo sta illustrando lei in questo istante. Dovrò studiarlo-
-Le Roy è stato arrestato prima che potesse essere ucciso quindi?-
-Per questo è stata uccisa l’amante di Le Roy, con cattiveria furore, senza pietà e con inaudita violenza, era una punizione, non solo per lei ma soprattutto per il pugile, lui era la preda, Mister Grace, lo aspettava nella palestra, per poterlo
impiccare, o come è successo con il suo collega, l’agente Carlson, di portarlo a suicidarsi. Non potendo attuare i suoi piani, rigorosamente studiati, sotto ogni minimo dettaglio, l’assassino è andato su tutte le furie, colpendo Jeanne Cole, la quale ha avuto solo la sfortuna di amare l’uomo sbagliato. Il killer con la signorina Cole, non solo ha raggiunto il tanto sospirato numero tre, ma ha anche punito Le Roy, per essersi fatto arrestare in così breve tempo-
-Perché questa ossessione per il numero tre?-
-Il numero tre, il numero perfetto, di solito questo numero, rappresenta anche la sacra famiglia, o la famiglia canonica, stilizzata, padre madre e figlio, uccidere tre a tre, può significare punire per aver tradito il vincolo famigliare, profanando qualcosa di sacro, evidentemente l’assassino è un credente, dubito che si tratti di un satanista, non vi è alcun simbolo profano, nessun richiamo alla suddetta religione. Con queste informazioni, il soggetto, si va ad inserire tra il sottotipo di quei rari serial Killer organizzati, denominati giustizieri, individui spinti da una morale deviata, i quali, vogliono portare la loro giustizia nel mondo, purificando, attraverso l’omicidio, i peccatori, in questo caso si tratta dell’infedeltà matrimoniale, probabilmente il soggetto in questione, ha subito forti traumi da questo peccato dall’infanzia-
-Ma Jameson e Barry, sono stati puniti per lo stesso motivo?-
-L’agente Carlson era un dongiovanni? Presumo che se lei me lo chiede la risposta sia un si, l’agente Jameson però non lo conoscevo, ma penso che in questo caso la motivazione sia diversa, come le ho già detto, uccide tre a tre, due sono già morti, ed erano entrambi agenti del fbi, non sta più punendo, ora sta sfidando l’intero Federal Bureau of Investigation-
-Il terzo chi potrebbe essere? -
-Le avevo detto di non parlare ai microfoni della stampa, sta attirando la sua attenzione come una lucciola per i pipistrelli-
-No, mi ha lasciato una registrazione nella quale mi minacciava, nel caso non avessi lasciato il caso, ma nient’altro-
-Può darsi che la conosca, la minaccia cosi esplicita è sintomo di paura, il killer la conosce e forse la teme-
-Probabilmente, ma può anche voler dire che la trinità sia già stata chiusa-
-Questa è un ipotesi, ma di chi si tratta? Come può un agente morire o sparire, senza che nessuno si accorga di alcunché? Ho un idea, potremmo discuterne meglio stasera a cena che ne dice?- La sua piccola mano si pone sulla mia, il viso della donna appare sorridente e leggermente malizioso. Come un oracolo greco, la donna, appariva quasi in trance mentre mi illustrava il profilo, assumendo un atteggiamento composto e serioso, mentre ora appare così, esattamente come il primo attimo in cui l’ho vista, serena, pacifica, con l’espressione di chi non ha un problema al mondo. È proprio veritiero il detto che gli psicologi spesso sono più matti dei pazienti in cura.
-Mi spiace, ma lei sa che il mio collega è morto poche ore fa, non sono in vena di cenare fuori.
-Non vi è niente di male- La sua mano inizia ad accarezzare la mia.
-Mi scusi ma lei è rincoglionita? Le ho detto di no- L’assoluta mancanza di empatia della psicologa mi sconvolge.
-Andremo a cena fuori un altro giorno, arrivederci- Esce dal mio ufficio sorridente come vi era entrata, come se avessimo parlato di caramelle. Sono scioccato. Ho così tanti pensieri nella mia testa, da aver quasi paura che quest’ultima possa implodere da un momento all’altro, finalmente solo però posso finalmente fumare la mia sacrosanta sigaretta, la accendo e la tosse mi accompagna, il petto mi brucia, finisco quasi il fiato nei polmoni, i colpi di tosse diventano convulsi, finalmente prendo aria, la testa mi gira e ho il fiatone, l’idea di smettere a per la mia testa per circa qualche secondo, cancellata da un nuovo tiro. Le ultime parole di Barry, il suo insano gesto, sono come un trapano nel mio cervello, sono stanco ho la vista offuscata dalla stanchezza e dall’alcool, il dolore per la sua perdita attanaglia il mio cuore, un gusto amaro, simile ad una sconfitta mi riempie la bocca. Mentre rifletto su quanto è folle e malato questo mondo, Dimmare bussa alla mia porta.
-Disturbo?-
-Entra-
-Ho fatto delle ricerche, Peter Foster, il medico, dopo la sua inaspettata partenza, era stato ricercato per alcune morti sospette dei suoi pazienti, tutti malati terminali, ma deceduti comunque prima del tempo-
-Una specie di dottor morte?-
-Non esattamente, nessuno dei suoi pazienti ha mai espresso per iscritto, o a parole, il desiderio dell’eutanasia-
-Era già sotto inchiesta? Allora perché nessuno lo ha cercato?-
-A dir la verità qualcuno era sulle sue tracce, la polizia di New York, il padre di un poliziotto era paziente di Foster, la morte dell’anziano non quadrava, vista la pluralità di casi analoghi, l’indagine ò al fbi, ma da quel punto in avanti non vi sono più documenti-
-Come è possibile?-
-Niente, come se tutto fosse svanito, come se la nostra agenzia non avesse mai preso in considerazione il caso-
-Tutto questo non ha senso-
-Lo so-
-Hai fatto nuovamente un buon lavoro Dimmare, complimenti- Mi ringrazia con un impercettibile cenno.
-Mi dispiace per l’agente Carlson, eravate amici-
-Si, da tempo-
-Cosa lo ha spinto ha fare una cosa simile?- So cosa ha spinto Barry ad agire, ma non sono pronto ad aprirmi ad uno sconosciuto, anche se questo è un volenteroso agente scelto da me personalmente come allievo.
-Cerca altre prove, sul caso Foster, vai più a fondo, potrebbero venir fuori nuovi indizi- Il giovane agente, si alza, esce dal mio ufficio per tornare a lavorare, ha delle potenzialità, ha buona volontà, ma forse dovrebbe cercarsi un nuovo mentore, chi sta vicino a me, ha la brutta abitudine di morire. Non voglio altre anime sulla coscienza.
a una buona ora, nella quale posso tormentare la mia anima con sensi di colpa, e il mio corpo con una buona dose di nicotina. Sto ritrovando uno ad uno, i pezzi di questo macabro puzzle, ma non riesco ancora a farli combaciare fra loro. L’assassinio di Jameson è un punto cruciale, l’agente era restio ad indagare sul caso Lundia e appeno lo ha fatto…cazzo. Jameson conosceva l’assassino, sapeva già tutto, spinto da me a fare giustizia, il killer lo ha impiccato in modo brutale, era anch’essa allora una punizione, ma chi poteva essere a New York? L’unica persona di cui sono certo sia stato sia a New York che a Demantea, è Mike, il ragazzo di mia figlia, oppure anche la dottoressa Park, viaggia molto per lavoro, non voglio credere di aver lasciato mia figlia in mano ad un serial killer, no lui non può essere, Dio fa che non lo sia. La psicologa invece, beh penso che sia fin troppo fuori di testa, persino per essere un omicida seriale. I miei pensieri vengono interrotti da qualcuno alla porta, che bussa in maniera impercettibile. Dopo un imprecazione sottovoce, invito l’attendente ad entrare. Chuck si presenta nel mio ufficio, il suo volto è coperto quasi interamente da un immensa fasciatura, la quale arriva poco sotto gli occhi del mio capo.
-Che cazzo è successo? Cosa cazzo ci facevate in un cimitero, senza mandato, cazzo la stampa, tutti i media ci stanno spolpando vivi, ti rendi conto della cazzata che hai fatto?-
-Si, ma era una cazzata necessaria- Vedo i suoi occhi rabbiosi, le sue mani curate e prive di calli agitarsi, gesticolando vistosamente.
-Necessaria? Necessaria? Due agenti sono morti per colpa tua, li hai tu sulla coscienza, Jameson è stato impiccato con del filo spinato, hai idea del dolore che deve aver provato?- -Si, grazie di avermelo ricordato-
-Se la mia testa finirà sul piatto d’argento dei piani alti, non dubitare che a fianco ci sarà anche la tua- Sbotto, mi alzo di scatto, picchiando i pugni sulla scrivania.
-Pensi che me ne fotta qualcosa, sospendetemi, licenziatemi, fate quello che cazzo volete, non mi importa, voglio solo sparare a quel figlio di troia-
-Non sai niente di lui, non sai chi sia, sei ancora in alto mare, stai diventando vecchio Jack, lascia il caso a qualcun altro-
-Vecchio un gran paio di palle, questo stronzo è nella nostra agenzia-
-Come?-
-Non hai ancora capito? Questo malato di mente è all’interno del FBI, è una cellula tumorale, già come Peter Foster, collaborava, ora ha un altra identità-
-Ma sei pazzo? Come puoi pensare una cosa del genere, noi siamo il bene, siamo quelli che fermano i crimini, non che li compiono. Per un affermazione del genere potresti rischiare il posto- La mia idea di un killer nascosto tra noi, fa impallidire il mio capo, la sua faccia, assume sempre più il colore delle bende che la ricoprono.
-Mi hai già ripetuto questa frase così tante volte, che inizia a perdere il significato-
-Togliti dalla testa questa follia, non farti sentire, rischi grosso-
-La dirò sottovoce allora-
-Il funerale di Barry sarà domani, spero che quando ti rivedrò, tu abbia un ipotesi migliore. Non pensare di essere graziato, subirai le conseguenze delle tue azioni, Al John Edgar Hoover Building il tuo nome sta rimbalzando come una pallina da flipper-
-Spero di non fare tilt- Chuck esce dalla porta, sbattendola, furente come vi era entrato, quella fasciatura semi elastica sul volto, lo fa assomigliare ad una mummia. Mi accendo una lucky, tiro e assaporo il fumo denso nella mia bocca, un pò di tosse mi accompagna di tanto in tanto. Rimango nell’ufficio, seduto di fronte alla mia scrivania, prendo appunti su un block notes, alla vecchia maniera, cercando il bandolo della matassa di pensieri che sta intasando la mia mente, qualcosa in questo caso non torna, lo so, ma non capisco cosa. Peter Foster e Robert Marsch si sono conosciuti nel servizio militare, di questi due non conosco neppure il viso, non so quasi nulla, se non il drammatico epilogo dell’amicizia tra i due. Accendo il computer, quella scatola infernale, tramite Internet cerco un qualcosa su entrambi, trovo negli archivi del fbi, dei vecchi referti firmati proprio da Foster, niente però riguardante le indagini svolte su di
lui, sul lato oscuro di quel medico così dedito al lavoro. Una sua foto viene fuori, un viso liscio e magro, quasi androgino, capelli neri, una persona del tutto comune, non facilmente notabile, solo lo sguardo è inquietante, in quegli occhi marroni, vi è un qualcosa di sbagliato, una scintilla di insanita. Giunge quasi la sera, senza che la mia ricerca abbia raggiunto qualche punto di svolta, nessuna epifania illumina il mio raziocinio, niente. Sono demoralizzato, triste solo, se Barry fosse ancora vivo, sarebbe piombato almeno un paio di volte nel mio ufficio, per sparare qualche cazzata o per commentare il culo di qualche ragazza dell’alveare, pensare a lui non giova al mio morale. Aspetto i risultati della scientifica, per verificare se le parole di Mister Grace sulla cassetta, erano un tentativo di depistaggio, o le frasi di un megalomane, il quale non sfida solo me, ma tutto il Federal Bureau of Investigation. Dopo una buona mezz’ora, l’agente Mason, giunge sulla mia porta, con l’espressione di chi ha paura, di chi ha davvero paura.
-Il dna appartiene a Peter Foster, il medico scomparso-
-Quindi appartiene a Robert Marsch-
-No lo ho appena detto che appartiene al medico-
-Il medico è l’assassino, ha modificato lui stesso i nostri archivi, agendo dall’interno, mentre collaborava a New York-
-Perché farlo?-
-Il suo nome iniziava a puzzare, morti sospette iniziavano a comparire nei registri-
-Ma perché inscenare la fuga e sostituire il DNA? -
-Semplice, perché nel caso le indagini ate, fossero giunte in fretta alla tomba di Robert Marsch, sarebbero state rallentate vistosamente, per non dire bloccate, dopo il test del DNA- -Ne è sicuro?-
-Questo folle sa come agiamo, sa quanto il nostro lavoro, ultimamente sia affidato quasi interamente ai computer, studiandosi questo piano machiavellico, avrebbe avuto un vantaggio colossale-
-Allora se lei sa il nome del killer, saprà anche dove abita, perché non lo arresta? -
-Perché Peter Foster non esiste più-
-Mi prende per il culo?-
-Purtroppo no Mason, Peter Foster, sta girando ora, indisturbato tra le strade di Demantea, libero di uccidere quando e come vuole-
-Che cazzo ci fa allora lei qui, seduto in ufficio, non dovrebbe essere in giro?-
-La stavo aspettando dottoressa-
-Per dirmi cosa?-
-Lei è separata giusto?-
-Dobbiamo per forza affrontare di nuovo questo argomento?-
-Si-
-Senza offesa Wallace, non le sembra di aver fatto abbastanza casini negli ultimi tempi? Io fortunatamente non ho la sua età, non ho bisogno di qualcuno che mi faccia la morale, lei cacci la sua vita nel cesso come crede, io ho una carriera davanti a me, della mia vita privata me ne occupo da sola, grazie-
-Lei è separata vero?- Alla domanda la dottoressa si blocca innervosita.
-Cosa ha a che fare la mia vita privata con il caso? Perché continua a metterla in mezzo?- -Da quello che ho notato il primo giorno in cui l’ho vista, ha un disturbo alimentare, la fede al dito le ha lasciato un segno sulla mano sinistra, ogni tanto se la rimette, a seconda del suo umore e della sua nostalgia, ha lasciato suo marito in nome di quella libertà che il matrimonio non le concedeva, senza ammettere a se stessa la verità, ovvero che quello che le mancava era la promiscuità. Il killer punisce fedifraghi, ha l’ossessione di quel peccato, inoltre ultimamente si sta dilettando a perseguitare ed uccidere agenti del fbi. Quindi penso che sia anche nel suo interesse fermare questo Mister Grace, prima di dargli la possibilità di notarla e prendere due piccioni con una fava- Gli occhi del agente Mason sono lucidi, si sente umiliata, nuda, mi guarda con lo stesso odio
con cui mi guardò la prima volta che le dissi cosa pensavo di lei, forse ancora maggiore, ma in fondo, sa che ho ragione.
-Lei è una persona orribile, non si avvicini più a me, altrimenti la denuncerò- È sempre bello sentirsi amati.
-Non riesce a capire quello che le sto dicendo dottoressa? Lasci la città, si prenda una vacanza, le sto salvando la vita, mi creda-
-Lei è un malato, mi sta terrorizzando-
-Fa bene ad esserlo, agente Mason, la prego, non voglio anche la sua anima sulla coscienza, la supplico, faccia come le chiedo- La dottoressa sbatte la porta uscendo, delle lacrime iniziano a bagnare le sue guance. Cerco qualche altro indizio su Peter Foster sulla rete, ma vengo interrotto da un e mail, segnalata dalla mia casella di posta. Viene dalla centrale, come allegato ha un video e delle foto, inizio da quest’ultime, un vasto servizio fotografico sull’omicidio di Clara, ogni ferita, ogni particolare è minuziosamente documentato, per poco non svengo nel guardarle, piango ricordando quel giorno, una fitta allo stomaco mi fa piegare in due sulla sedia, vomito bile nel cestino in plastica posato ai piedi della mia scrivania. La rabbia, quella arriva dopo, brutale violenta, so chi mi ha mandato queste immagini, Mister Grace, lo ha fatto per farmi cedere, are il testimone, sa che non mi piegherò mai, suicidandomi come Barry, queste fotografie, hanno però rafforzato il mio principale intento. Voglio uccidere questo bastardo. Un brivido a per la mia schiena, quando avvio la riproduzione, vedo che l’immagine dà sulla porta di casa mia, è mattina, questa mattina. Lo noto dalla neve che sta coprendo nuovamente il pantano sulle strade. La telecamera si avvicina alla mia finestra, l’immagine zooma su Julie, seguendola, mentre si aggira per casa con una maglietta bianca e dei pantaloni rossi in pile. Una voce fuoricampo, roca e bassa, interviene.
-Com’è bella Jack, assomiglia proprio a sua madre, chissà com’é la sua carne, il coltello che ho qui è ansioso di assaggiarla, la sbudellerò come una scrofa, e quando avrai visto questi video, lei sarà gia morta. Benvenuto nell’incubo JackIl video si interrompe, io scatto in piedi dalla sedia, apro il cassetto blindato, agguanto la mia Colt 1911e la sua relativa fondina, allacciandola in fretta e furia, coprendo il tutto con l’impermeabile nero.
Corro a perdifiato per l’atrio della rapine ed omicidi, sento i vetri della mia porta vibrare, dopo averla sbattuta, uscendo alla velocità della luce. Salto all’interno di Bobby, avviandola con fretta, lei capisce l’urgenza e si accende, le gomme slittano sulla neve fresca, taglio la strada ad almeno due macchine, nella mia mente le immagini dell’omicidio di Clara rivivono nitide, troppo nitide, facendomi immaginare Julie, uccisa, massacrata come la mia defunta moglie, scrollo la testa più volte, non voglio quelle immagini, non voglio quelle realtà.
-Mio signore ti prego, no- Prego, era così tanto tempo che non parlavo con Dio, ipotizzando che fosse uscito, che non fosse presente per me, bestemmiando e inveendo contro di lui, ora sono in macchina, a piangere e pregare, per arrivare in tempo, per non vedere ciò che un padre, non vorrebbe e non dovrebbe vedere mai.
Capitolo 14
Bobby sbanda a destra e a manca, andando a tutta la velocità possibile, la strada per giungere a casa non mi è mai sembrata così lunga, il tragitto aumenta la mia angoscia, la mia paura ogni attimo, ogni secondo in più che impiego potrebbe essere fatale. Sono consapevole, che la registrazione risale a questa mattina, tutto potrebbe essere già stato svolto, potrei essere arrivato tardi l’ennesima volta. Clara non me lo perdonerebbe, io non potrei mai perdonarmi. Cazzo Jack guida, rimani concentrato, non piangere. Arrivo di fronte a casa mia, ovviamente non cerco alcun tipo di parcheggio, lascio Bobby in mezzo alla strada, altri autisti, dietro di me, suonano il clacson delle loro autovetture in segno di protesta, appena scendo tiro fuori la colt, la mostro, meglio non farmi incazzare, i rumori cessano alla vista dell’arma. La porta di casa è aperta, entro, cercando di ricordare le regole per una buona incursione armata. Dentro la porta, veloce vecchio, schiena contro la parete, muoviti, pistola il alto, perpendicolare alla faccia minchione, la voce interiore che mi ricorda queste regole, assomiglia terribilmente a quella del tenente Vaughn, mio addestratore, uno stronzo di prima categoria, sarà morto da vent’anni buoni.
-Julie! Mike!- Nessuno risponde, un silenzio gelido, nulla più, tutta la stanza sembra girare su stessa, e rimpicciolirsi intorno a me, chiudendomi nella mia angoscia.
-Julie, Mike- Urlo ancora, ma la mia voce rimbalza sola, le pareti fredde della casa. Entro nel salone, le mie poltrone, il tavolo per le cene importanti, anche la macchina da scrivere di Clara, tutto è esattamente al suo posto, ma questo non mi rasserena, in cucina non vi è anima viva. Corro su per le scale, per controllare le camere da letto e il bagno, la paura muta in terrore, non posso neanche pensare che possa essere successo qualcosa a Julie, lo scricchiolio dei gradini sotto i miei i non aiuta a tranquillizzarmi. Appoggio la schiena contro il muro come da manuale d’incursione, dopo la breve scalinata, sono in debito di ossigeno, mi viene da tossire, respiro a fatica. Le porte delle camere sono chiuse,
quelle del bagno, invece è aperta mostrandomi il vano vuoto. Mi avvicino alla porta della camera di Julie, sfioro la maniglia.
-Ti prego Dio, piuttosto fammi sorprendere mia figlia che fa sesso con quel dannato irlandese pel di carota. Fa che non le sia successo niente- Apro di scatto la porta, la colt è pronta a sparare, alla vista del Killer, i miei occhi, non sono pronti per vedere mia figlia uccisa.
La stanza è vuota, in ordine, controllo ovunque, sotto il letto, ricordando il modus operandi del Killer, dentro l’armadio. Niente, non c’è anima viva. La porta di casa, al piano di sotto viene aperta, la voce dei ragazzi, spensierata e divertita giunge alle mie orecchie, il calo di tensione, nell’udire quel suono, mi fa quasi svenire, la testa mi gira, per una volta di felicità. Rinfodero la colt velocemente. Corro giù dalle scale. Jack, non allarmarli, non sanno il pericolo che hanno corso. Nel vederli mi viene quasi da piangere, anche la vista di Mike, mi fa stare meglio, non lo ammetterò mai, ma quel ragazzo mi piace. Julie è arrabbiata, lo vedo, è furibonda con me, era venuta a Demantea a trovarmi, per are un pò di tempo con me, ed io non sono quasi mai stato presente, ha ragione, non voglio che lei sappia la verità, lei deve vivere felice, non permetterò più a nessuno al mondo di farla piangere, di farle del male, probabilmente è un utopia, non sono eterno, ne tanto meno onnisciente, ma finché avrò respiro, ogni mio attimo sarà in sua funzione, per rendere il mondo un posto migliore dove lei possa vivere. Dietro i due ragazzi, vedo entrare dalla porta Melinda Park, la quale ride divertita. Mike mi si avvicina, Julie rimane a debita distanza.
-Buongiorno Jack, o dovrei dire Jack Daniel’s- Il ragazzo si sbellica dalle risate, seguito da Melinda, l’autrice della soffiata, entrambi trovano il mio nome esilarante.
-Melinda, posso parlarle un secondo?- Mi sorride, divertita.
-Certo- Saliamo al piano di sopra, mi dirigo verso la mia camera da letto.
-Beh, non mi aspettavo di fare subito sesso, però ci sto agente Wallace- Apro la porta, e prendo per il collo la donna, estraendo rapido la colt, Melinda Park, si ritrova in un attimo sollevata da terra, piantata contro il muro all’interno della mia camera da letto, con una pistola carica puntata alla tempia.
-Che cazzo ci fa lei qui?- È palesemente spaventata, ma non quanto pensavo, mantiene comunque abbastanza calma da non urlare.
-Lei mi aveva detto che non voleva mangiare fuori -
-Che cazzo sta dicendo?-
-Le ripeto, lei non ha detto che non voleva cenare con me, ma solo che non le andava di cenare fuori, allora ho fatto la spesa e stasera cuciniamo qualcosa in casa- La dichiarazione della donna mi lascia a dir poco spiazzato, perplesso, ma non mollo la presa e tengo la pistola ben puntata contro la sua tempia.
-Cosa vuole da mia figlia? Perché era con lei? Come la conosceva?-
-Non riuscivo a trovare casa sua, sapevo dove abitava dagli archivi fbi, ma non sono del posto, allora ho chiesto a qualcuno se sapesse la giusta ubicazione, ho avuto fortuna ad incontrare sua figlia-
-Riprovi, questa scusa mi sa tanto di cazzata-
-Lo chieda a Julie e vedrà che confermerà- Gli occhi della mia interlocutrice guardano la camera da letto e il sua espressione diviene inorridita, terrorizzata, come se avesse appena visto i cancelli dell’inferno. Mi volto verso il mio letto, il materasso è stato squarciato da un coltello, l’imbottitura è sparsa per tutta la stanza, il muro al di sopra della testiera del letto, ha una scritta, impressa con della vernice rosso sangue, recitante la frase “benvenuto nell’incubo”. Sono confuso, portei avere tra le mani un serial killer, oppure sto puntando una pistola addosso ad un innocente.
-Il killer è stato qui, non ha voluto uccidere Julie, vuole portarmi alla pazzia?-
-La sta decisamente sfidando, tipico atteggiamento dei serial killer, le sta facendo capire che sa dove abita, sa qual’è il suo punto debole- La voce della donna è tremante e sincera. Lascio andare la dottoressa Park, controllo l’armadio di mogano, apro le ante centrali, , su una di esse, quella fottuta maschera, bianca, truccata con un rossetto color mattone, e sulla fronte, la scritta si ripete, benvenuto nel l’incubo, appesa con un filo, legato al coltello probabilmente usato per squarciare il letto. Sotto di essa, vi sono delle lettere intagliate, profonde nel legno, le quali recitano la più macabra e angosciante delle poesie.
“Dormi bella tua stanza ottenebrata
Dormi oh bambina dal padre venerata
Nell’armadio l’uomo nero rimira e attende
Sente la tua paura quando il coltello ti prende
Neanche un urlo erà tra le mie dita
Sul marmo freddo piangerà il vecchio agente”
Vorrei sfociare in un urlo di rabbia, ma non voglio che Julie veda questo scempio, non deve capire di essere in pericolo. Lei deve vivere serena. Il cuore inizia a pompare sempre più forte, collassando, sotto il peso di questa rabbia continuamente crescente. Le tempie sembrano esplodere, il braccio sinistro inizia a formicolare, in un istante mi ritrovo con un ginocchio a terra, il braccio destro lo segue, per evitare di stramazzare a terra. Cosa cazzo fai Jack, sei messo a pecorina, vorrai mollare proprio adesso, questo non è un infarto, non ci si avvicina nemmeno, alzati vecchio stronzo, alzati subito. La mente comanda, ma il corpo non risponde. -
Jack, si sente bene? Che le succede?-
-Lei non ha figli vero agente Park?- Parlo male, la mia bocca ha il sapore del rame, respiro a fatica.
-No, non li ho mai voluti-
-Allora non può capire-
-Ho studiato, so cosa prova un genitore per la sua prole-
-Non vi è teoria, libro, o formula chimica, che possa mai veramente descrivere l’amore per un figlio. Quando per la prima volta, tieni in braccio il sangue del tuo sangue, lo guardi negli occhi, ti rendi conto di non esistere più, perché quella creatura, da quel momento in poi, sarà il tuo centro, ogni respiro, ogni istante della tua vita, sarà in nome suo. Darai la vita per il tuo bambino, proteggendolo dalle delusioni, dalle paure e, di sicuro, non lascerai mai che un malato figlio di puttana mascherato, minacci la tua ragione di vita, questo vuol dire essere padreOgni parola mi da grinta, ogni sillaba mi fa sentire più forte, mi ritrovo in piedi, repiro male, la testa sembra piena di elio, le gambe tremano, ma sono in piedi.
-Vuole andare in ospedale?-
-La prossima volta che andrò in ospedale, sarà per pisciare sul cadavere di Mister Grace-
-Che schifo-
-Già, che schifo-
Melinda mi aiuta a sorreggermi, per essere piccola e minuta dimostra molta forza.
Julie ci chiama per la cena, le chiedo di darmi ancora due minuti, devo
ricompormi, non posso farmi vedere da mia figlia in questo stato, si preoccuperebbe. Usciamo, chiudo la porta della mia camera a chiave, mettendo quest’ultima nella tasca dei miei Jeans, lasciando quello scempio misto ad orrore, chiuso nel buio che sta calando dalle finistre, mentre il sole sta morendo. Scendo le scale aiutato dalla psicologa, Julie ha abbandonato la sua espressione furente, sostituendola con un sorriso malizioso, nel vedermi insieme a Melinda Park. Cerca di farmi forza, sa quanto dolore sto provando ancora per il suicidio di Barry.
-Papone mi aiuti a cucinare?-
-Certo- Dai Jack, in piedi non crollare più. Il cuore mi fa un male cane. Mike intrattiene l’ospite, anche se da quanto si sente a suo agio, la donna, in casa mia, forse può sembrare il contrario. Entrando in cucina, sul gas bolle già una pentola, un buon profumo di soffritto aleggia nell’aria, capisco che Julie voleva semplicemente parlarmi. Con lo sguardo sempre più divertito, mi abbraccia e guardandomi negli occhi mi sussurra.
-Sono contenta papone, finalmente ti sei rifatto un pò di vita, però potevi dirmelo, avrei capito lo stesso-
-Che cosa?-
-Dai su, Tenente Colombo, non fare il vago, sai di cosa parlo-
-Non capisco-
-Tu e Melinda, siete una bella coppia, perché me la hai tenuta nascosta? È troppo fuori, è fortissima-
-Julie, no, forse hai frainteso-
-Papà non c’è niente di male, la mamma ci ha lasciato da tanti anni ormai, è giusto che anche te possa vivere felice e sereno-
-Tra me e la dottoressa Park non c’è nulla, l’ho conosciuta stamattina, è qui per collaborare ad un caso, niente di più- Mia figlia storce il naso, leggermente incredula.
-Lei ti piace, non hai mai lasciato entrare nessuno nella tua vita, nemmeno nella tua casa, da quando la mamma è morta, se non ti pie l’avresti gia buttata fuori a calci- Esco dalla cucina scuotendo la testa, senza proferir parola a Julie, trovo quasi offensivo, il pensare ad una donna con il suicidio di Barry avvenuto neanche ventiquattro ore fa, anche se l’argomento vienw tirato fuori da mia figlia per rianimare il mio morale. Nel salone, seduti a tavola, Mike e Melida, si sbellicano dalle risate, la donna si alza.
-Lo so, è meglio che siano le donne a cucinare- Mi a accanto, facendomi un malizioso occhiolino ed entra in cucina con Julie.
-Sono tutti così fuori gli agenti fbi?-
-No, o forse sono io che ho sempre lavorato nel reparto dei depressi e dei
musoni- Mi siedo al posto della Park, vicino a Mike, il quale assume subito un espressione più seria, ci accendiamo una sigaretta all’unisono, sbuffando il fumo verso l’alto. La tovaglia bianca che ricopre il tavolo, è quella delle grandi occasioni, anche i piatti e le posate sono in coordinato, era così tanto tempo che non vedevo la tavola con il vestito buono, ricordi dolci più del miele.
-Jack, ti manca tanto per andare in pensione?-
-No, ci sono quasi, a volte vorrei essere già pensionato, ma senza il mio lavoro, sarei solo un vecchio rompicoglioni uguale a tutti gli altri-
-Ami il tuo lavoro?-
-Tra il mio lavoro e me, c’è sempre stato un rapporto di amore e odio, com’è giusto e sano che sia. Risolvere omicidi, arrestare assassini, da grosse soddisfazioni, ma se l’uomo non fosse violento di natura, il mio lavoro non servirebbe, ma il mondo, sarebbe di gran lunga un posto migliore dove vivere-
-Già. Julie dice che ti vede turbato, tutte queste assenze da casa, stento a crederci, ma ti ha sempre descritto come un coccolone- Questa frase mi irrita più delle unghie sulla lavagna. -Ho un caso molto importante per le mani, un assassino seriale-
-Il famoso Mister Grace? I giornali non parlano d’altro, sei tu che gli stai dando la caccia?-
-Si, non ho avuto molto tempo per leggere i quotidiani ultimamente-
-Sul Demantea Post, c’è un intervista fatta a te ed una conferenza stampa fatta dal tuo collega, come si chiama, quello con il naso rifatto?-
-Che io sappia, non c’è nessuno con il naso rifatto nella rapine e omicidi-
-Si che c’è, aveva la tipica fasciatura enorme di chi si è fatto operare al naso-
-Non si è modificato il naso, glielo hanno rotto con un pugno-
-Jack, abitare con tua figlia vuol dire doversi subire, ore di programmi come extreme makeover e ogni suo commento sui difetti delle donne rifatte, quindi fidati quello è un naso finto, garantito al limone- La questione, francamente non mi interessa, probabilmente, gli avranno messo una plastica dopo che il pugno di Le Roy, gli ha maciullato la faccia. Bevo un sorso di birra mentre Mike mi fa compagnia, la mia mente continua a pensare all’orrore trovato nella camera da letto, ma non posso farmi vedere preoccupato, metto sul mio viso, un espressione finta di relax. Mi sento in colpa, Barry ora giace sul tavolo di un obitorio, la sua famiglia è distrutta a causa mia, sto mentendo alla mia mia famiglia e tra poco gusterò una deliziosa cenetta, non merito tutto questo. Vivo la serata in terza persona, tutti intorno a me ridono, mi figlia mi redarguisce perché fumo tra una pietanza e l’altra, ma è come se sentissi tutto ovattato, i miei pensieri sono cosi numerosi e densi da fare quasi rumore. Melinda, visibilmente ubriaca, si sdraia sulla mia poltrona addormentandosi dopo pochi minuti, sparecchio, in modo da poter restare solo, e poter pensare in pace. Jack chi te lo fa fare? Non fare correre rischi a Julie, molla tutto, disinteressati di questo pazzo, qualcuno lo prenderà. Non ascolto la mia voce interiore, nessuno minaccia mia figlia. Mi metto sulla mia poltrona, la mia vecchia e fedele poltrona, la mia colt nella fondina è pronta a sparare, al primo segnale di un intruso in casa. Era così
tanto che non portavo la mia pistola con me, che ero dimentico di quanto fosse scomodo sedersi con l’arma allacciata. Melinda Park, poco distante, dorme profondamente, sento un peto uscire dal suo corpo, la donna si gira sorride ed inizia a russare. La miglior psicologa forense degli stati uniti non regge l’alcool. Cerco di impedire alle mie palpebre di calare, operazione a dir poco ardua, nei giorni normali alle nove di sera collasso, ora non so neanche da quanto dura la mia veglia. Il ticchettio dell’orologio, appeso in sala, mi appare sempre più rado, i secondi paiono minuti, la mia mente vaga, tra l’intricata trama di questo caso. Come Teseo, sono perso nel labirinto, Arianna non ha tessuto il filo, solo io e il Minotauro, destinati ad un fatale incontro, dal quale solo uno di noi ne uscirà vivo, dubito che il fato mi veda vincitore. Il cervello si arrovella lento, trascinando dietro sé, la zavorra della stanchezza. Mi sono sempre vantato del mio acume, della mia capacità di notare particolari, metterli insieme, ma ora non riesco, il senso di impotenza, misto rabbia cresce dentro me, per qualche istante mi sento battuto, vinto dalla faccia che si cela dietro quella maschera. La maschera, non è il suo viso, il suo viso è una maschera, un lampo di genio mi attraversa la mente quasi caduta in catalessi. Nell’istante esattamente seguente, di quella sinapsi, finalmente vedo ogni pezzo del gigantesco puzzle, riunirsi con il suo relativo e perfetto incastro. Come ho fatto a non capirlo prima? Come ho potuto essere così cieco? Salgo al primo piano, entrando di soppiatto, mia figlia e Mike dormono profondamente, il viso della mia Julie pare rilassato, felice, mi fa effetto, vederla dormire nella penombra, a fianco ad un uomo, proprio lei che da bambina, voleva la luce accesa e la favola, prima di addormentarsi, per tenere lontani i mostri. Accarezzo la mia tenera e meravigliosa creatura sul viso, mentre Arwen mi scodinzola, ansiosa di coccole.
-Papà va ad uccidere i mostri bambina mia- Le sussurro, un sorriso le si palesa, forse nel sonno pare avermi sentito. Sto per uscire dalla stanza, guardo Mike, quel maledetto irlandese, sempre più assomigliante a John Holmes e mi rendo conto di provare affetto per lui.
-Ora sta a te proteggerla campione, che Dio possa Vegliare su di voi e guidarvi, sempre- Una preghiera, era almeno un decennio che non ne usciva una dalla mia bocca, oggi sembro quasi un pastore, la vita è strana, soprattutto, se, si sa di andare a morire. Mister Grace, è più giovane di me, atletico, magro e agile, non
ho speranze di sopravvivere, controllo che la mia colt 1911 sia carica, la mia unica ancora di salvezza, ed esco di casa, dove la neve, il vento, ed il freddo del severo Montana, mi aspettano e mi abbracciano in una morsa gelida, mi stringo nel mio nuovo impermeabile nero, regalo della mia bambina.
Capitolo 15
Sotto la nevicata, altre macchine, imperversano per le strade di Demantea. Una coppia di automobilisti, viene alle mani, dopo un incidente, i poliziotti presenti, tentano di separarli. Natale è ato da poco e le persone sono tornate quelle di prima, aggressive, violente, egoiste. o veloce, a bordo di Bobby, dalla sua autoradio, sintonizzata su una radio ignota, suona Romeo and Juliet, la chitarra di Mark Knopfler, la sua voce grave, le parole tristi suonano un requiem alle mie emozioni. Ho gli occhi lucidi, un pò per la stanchezza un pò perché sto guidando verso una quasi sicura esecuzione. Jack, lui è più giovane, un assassino preparato, tu sei un vecchio, solo, con almeno una decina di chili in più e i muscoli flaccidi, cosa pensi di fare? Portati dietro Michelle Le Roy, lo scateni contro il bastardo, lascialo in pasto al canadese, ci penserà lui. Non ascolto la voce della paura, procedo diretto verso la centrale, ove darò ben altro compito al ato campione del mondo di boxe. Parcheggio di fretta e furia Bobby, inserendo le quattro frecce, corro, o almeno ci provo, il cuore batte irregolare, salta e stenta, esattamente come la mia macchina. Arrivo di fronte al portone d’ingresso della centrale, il grande salone è semi deserto, qualche agente dell’alveare erra senza sosta, come un fuco, inoperoso e poco distante dalla inutilità. Sento i polmoni bruciare, i denti ghiacciati mi fanno male, la mia camicia è gia fradicia di sudore. o il mio ufficio, entro dentro quello di Barry e prendo dal cassetto della sua scrivania, le chiavi della nostra macchina di servizio. Andare con Bobby, era un mio capriccio che il mio amico ha sempre assecondato. Sulla scrivania di metallo e vetro, noto una foto, dove vi siamo io e lui, giovani, lui più di me, pieni di speranze, messi in una posa ridicola alla Magnum P.I. Julie è piccola, ancora in braccio a Clara, la quale sta parlando con Mary, tutti ridiamo spensierati. Sfilo la foto dalla cornice, la accarezzo e la infilo nella tasca interna del mio impermeabile.
-Lo faccio per tutti voi- Incazzato, ricomincio a correre, questa volta più forte. Arrivo dall’entrata delle celle, la guardia mi blocca.
-Motivo delle visita? -
-Sono l’agente Wallace, devo vedere Michelle Le Roy-
-Non le sembra tardi? Agente si sente bene, non ha una bella cera-
-Apri testa di cazzo, o ti spedisco a fare da guardia allo zoo davanti alla gabbia delle scimmie sodomita- L’agente apre il grosso cancello, il quale produce il rumore tipico del metallo ben oliato ma leggermente cigolante. Percorro con la guardia il lungo corridoio, Michelle Le Roy dorme profondamente, russando nella branda sul lato destro. Mi faccio aprire la cella e scrollo quel bestione brizzolato foderato di muscoli.
-Michelle, svegliati cazzo, sveglia- Gli occhi del pugile si aprono leggermente, nel riconoscermi, si spalancano.
-Cosa è successo? Quel bastardo questa volta ha ucciso mia madre?-
-No, ho il suo nome, so chi è-
-Dimmi chi è, andiamolo a prendere-
-No Michelle, mi devi fare un favore-
-Tu sei stato l’unico a credere nella mia innocenza fin dal principio, hai trovato l’assassino di Jeanne e Katerine, sono in debito con te-
-Non ho molto tempo, è probabile che io non esca vivo da questa storia, se dovesse succedermi qualcosa, voglio che tu protegga mia figlia, non deve accederle nulla, se il killer rimarrà in vita, tenterà di ucciderla, fai in modo che non accada mai- Lo guardo dritto negli occhi, noto in lui una specie di affetto nei miei confronti, o forse è solo preoccupazione.
-Cazzo, siete l’FBI, avete squadre speciali, potete comandare la polizia e tu vai da solo, perdonami amico mio, ma tu devi essere pazzo. Portati dietro un esercito e vedrai che non correrai rischi-
-Caro Michelle, entrare nella fedral bureau investigation era il mio sogno fin da bambino-
-Sogni modesti-
-Fottiti, lasciami finire. Non lascerò che un pazzo, possa gettare fango nel mio sogno, i panni sporchi si lavano in casa. L’fbi non è ben visto nel mondo, non lascerò che venga messo sotto i riflettori accusatori di un processo mediatico impari-
-L’assassino è un agente?- Lo sento fremere di rabbia, le sue possenti braccia si contraggono, mostrando molte vene e dimensioni impressionanti. Dico il nome dell’assassino e il mio interlocutore esplode in un urlo di rabbia, un odio profondo, che si genera nello stomaco, tra le budella. Gli tiro le chiavi della macchina di servizio.
-Come faccio ad uscire di qui? Sono in custodia cautelare- La sua voce è quasi un ringhio, carico di rabbia e odio.
-Seguimi- Usciamo insieme dalla cella, sicuri ed incazzati, pronti per spaccare il culo al mondo. Camminiamo lungo il deserto corridoio, con le celle vuote alla nostra sinistra, la guardia attende di fronte al cancello, sul suo viso pulito e ordinato, si nota l’espressione interrogativa.
-Agente, il detenuto non può lasciare la cella-
-Ho l’autorizzazione del direttore della rapine e omicidi, Chuck Brown- Sono sempre stato un pessimo bugiardo e il mio interlocutore lo nota.
-Far evadere un detenuto è un reato federale agente, lo sa bene, o riporta subito il prigioniero in cella o sarò costretto a metterla in stato di…- Non ha il tempo di finire la frase, Michelle impatta il suo pugno, duro come un incudine sul viso della guardia, il cappello d’ordinanza vola lontano, esattamente come lui, svenuto. Quando questa storia sarà finita, le alte sfere mi inculeranno a sangue. Guardo Le Roy per ammonirlo, lui accenna un sorriso.
-Che c’è?! Mi stava sul culo- Mi copro gli occhi con la mano, fossimo in un altra circostanza, forse avrei riso della risposta, ma non ora. Illustro a Le Roy come arrivare a casa mia, spiegando per filo e per segno ogni svolta.
-Ok, ho capito-
-Ti sto affidando il mio bene più prezioso, ti prego non deve accaderle niente-
-Lascia che venga con te, ho i miei motivi per volerlo uccidere-
-I panni sporchi si lavano in casa, amico mio. La mia agenzia è una luce, un faro, pronto ad illuminare la dove vi è ombra, non lascerò che un bastardo infanghi il buon nome del fbi, non voglio media, non voglio aiuti solo io e lui, soli-
-Perché? -
-Perché nessuno al mondo minaccia mia figlia-
-Sai vecchio, hai un gran bel paio di palle-
-Può darsi, ma è il resto che non funziona più- Sorride e inizia a correre verso l’auto di servizio parcheggiata fuori dalla centrale.
-Michelle- Urlo.
-Dimmi- Mi risponde continuando a correre.
-Tieni i tuoi ormoni a posto con mia figlia, altrimenti ti concio come un eunucoRide di gusto mentre scatta fuori, qualche giovane dell’alveare lo guarda uscire, senza rincorrerlo né fermarlo. Quanto zelo . Corro verso l’ufficio di Chuck, fa effetto vedere tutto dall’alto, l’acquario dei giovani agenti sembra molto più piccolo visto da qui. Alzo la cornetta del telefono, riposto sulla grande scrivania in vetro. Chiamo Dimmare, nella sua abitazione. Il telefono squilla per un paio di volte, finché la sua voce, assonnata e incazzata fa capolino. -Pronto-
-Dimmare corri in centrale, c’è un agente a terra, soccorrilo, ho fatto evadere Michelle Le Roy-
-Agente Wallce mi scusi- Riordina la voce e subito dopo realizza ciò che gli ho detto. -Come? Cosa ha fatto???-
-Non urlare, non iperventilarti e calmati, corri qui in centrale, cura l’agente e non fargli sporgere denuncia, tutto ciò che succede stanotte rimarrà tra noi-
-Perché? - Svelo l’identità del serial killer, lui non capisce, o per meglio dire, non riesce a crederci, dopo un attimo di silenzio dovuto alla rassegnazione risponde.
-Ne è sicuro?-
-Completamente certo-
-Va bene, arrivo subito- Riaggancio, mi fermo qualche secondo a pensare, il
cuore batte forte, temo di crollare di nuovo, cerca di tenere su un corpo stanco, troppo stanco, sento una potente febbre che sale, dovuta al sonno mancato e alla quantità di pioggia presa ieri, nella notte del suicidio di Barry, proprio a Natale. Sulla scrivania di vetro del mio capo, la foto attira la mia curiosità, risale alla leva militare, tre ragazzi giovani, sorridono, guardando l’obbiettivo, ognuno con il braccio dell’altro sulle spalle. Prendo in mano la piccola cornice con la suddetta fotografia, mentre stringo la cornetta del telefono tra collo e spalla, e compongo il numero del mio capo. Squilla un paio di volte, poi la voce assonnata di Chuck mi risponde sbadigliando.
-Pronto-
-Sono Wallace, Chuck so chi è l’assassino-
-Chi è il bastardo? Vallo a prendere Jack- Sento che sta urinando, per poi tirare lo sciacquone.
-Cazzo Chuck, io ti parlo di un serial Killer e tu pisci?- Ride.
-Almeno lavati le mani dopo aver pisciato-
-Lo sto facendo- Sempre ridendo, sento l’acqua del lavabo scorrere.
-Ok, ora alza lo sguardo e guardati in faccia nello specchio, brutto figlio di puttana, perché sto venendo a prenderti, te la strapperò. Benvenuto nell’incubo Mister Grace- Un silenzio di gelo cala sulla conversazione, preso in controtempo
non parla, pare quasi non respirare. Infine la sua voce, palesemente cambiata, più grave e profonda inviene.
-Ti ucciderò Jack, sai di non potercela fare, sei un uomo morto, ucciderò te, tua figlia, la sorprenderò nel sonno, soffrirà ogni atrocità di cui sarò capace, le strapperò le unghie una per una, invocherà il tuo nome, te lo assicuro, lo faràContinua ad urlare, ad inveire, mentre stacco il telefono. Spacco la cornice a terra, prendendo solo la foto in mano, dietro di essa una dedica, affettuosa e spontanea. ?A Robert Marsch, la più grande testa di cazzo mai conosciuta. A Peter Foster, avessi la tua intelligenza spaccherei il culo a tutti. I miei migliori amici, con affetto Chuck Brown? Ora tutto è chiaro, trasparente come l’acqua, mi infilo la fotografia nella tasca destra del mio impermeabile, corro fuori dalla centrale, accolto dalla nevicata sempre più abbondante. L’abitacolo di Bobby è inospitale, freddo, il volante ghiacciato, il motore rifiuta di avviarsi, forse anche lei sa che questo potrebbe essere il nostro ultimo viaggio insieme.
-Ti prego amica mia, abbiamo ato la vita insieme, portami a fare l’ultimo viaggio, fallo per Julie- Niente, sbuffa e sciopera.
-Te ne prego- Niente nessuna risposta.
-Stupida cagna, porti il nome di un coglione, sei come lui, bevi, bevi, bevi, e non sai far altro che arrenderti, lamentarti e lasciarmi solo. Ora, prendi quei cazzo di tre ingranaggi di merda arrugginiti che ti ritrovi e alza il culo, oppure ti fracasso con la mazza da baseball, hai capito? Non mi importa di morire, non me ne frega un cazzo ne di me, ne di te, muovi quelle cazzo di ruote- La picchio con mani e piedi, sul volante e sui pedali, urlando come un pazzo, giro la chiave e si accende, delusa e ferita, non le do il tempo di avere sentimenti e schiaccio fino in fondo l’acceleratore. Stacco l’autoradio, voglio stare solo con i miei pensieri, Ogni angolo di questa città mi regala ricordi vissuti con Clara e Julie da bambina, mi ritrovo ad odiare tutto questo, i ricordi sono dolori, pugnali nel cuore, non voglio più vivere nel ato, voglio andare avanti, voglio diventare
nonno, portare mio nipote a giocare, sorridere di nuovo, di gusto, come nella foto con Barry, come non faccio da troppo tempo. Demantea puzza, è squallida, un calderone di corruzione e mafia, voglio andarmene via di qui. Progetti per un futuro che probabilmente non vivrò. Parcheggio Bobby in Carter street, nominata in onore dell’ex presidente, un lungo vialone alberato di cipressi, quasi in periferia, ma un ottimo posto dove abitare, poca criminalità, quartiere benestante, uno dei migliori posti dove crescere dei figli, chissà se una di queste famigliole, ha mai sospettato di vivere vicino ad un mostro. Il portone d’entrata del condominio dove abita Mister Grace lo conosco, il numero trentaquattro, illuminato dai numerosi lampioni che costeggiano la strada, nonostante quella luce, il suddetto sembra l’entrata dell’inferno. Il vento sibila, portando la neve contro la mia faccia, il sibilio sembra dirmi “vai via” ma non lo ascolto chiudo la portiera di Bobby e mi inginocchio di fronte al suo cofano, affondando le gambe nella neve. Bacio lo stemma della mia vettura e le sussurro
-Ti amo, grazie sei stata un amica fedele, grazie- La bacio altre volte poi mi alzo, il freddo e la febbre si fanno sentire, attraverso la strada, sfondo il vetro del portone, non ho tempo per i convenevoli, il bastardo è all’ultimo piano e l’ascensore è fuori servizio, cazzo mi tocca una scalinata impressionante. Maledetti gradini, vi sono otto piani in questo maledetto edificio, le scale sono in simil marmo bianco, le pareti color crema. Respiro a fatica, sono zuppo di sudore, giuro che se sopravvivo, smetto di fumare, voglio vivere per la miseria, non voglio morire, giunto all’ottavo piano, mi rendo conto di avere il fiatone, respiro profondamente. Vi sono tre porte, quella di sinistra, liscia in finto legno, assolutamente blindata, presenta il cognome Wang, quella centrale invece, non sembra particolarmente rinforzata, ma comunque molto dura da buttare giù, recita Connelly, per esclusione la destra è l’unica soluzione possibile. Il camlo ha su di sé la targhetta Brown, la porta appare massiccia, semi blindata. Ora Jack? Che cazzo fai? Suoni il camlo? Mando a fare in culo il mondo e prendo la rincorsa, la porta scricchiola, la mia spalla anche, il mostro dentro l’abitazione avrà di sicuro sentito, preparati Mister Grace, è arrivato papà. Un vicino di casa in pantofole, ficcanaso esce dalla porta, un folto paio di baffi marroni sul viso mi guarda. Prendo la colt tra le mani, portandola perpendicolare al mio viso e guardo l’uomo a mia volta, il quale dopo aver visto l’arma si rigetta in casa terrorizzato, chiudendo a chiave. Bei baffi però. La spalla mi duole e pulsa, un’ altra rincorsa e l’impatto, la porta si apre, l’osso probabilmente pure. La casa è buia, riesco a stento a tenere su la pistola, il braccio potrebbe essere
rotto. Qualche candela illumina la sala d’ingresso, le pareti sono adornate in stile gotico, la vernice è scura, un senso di forte inquietudine mi assale. Chiudo la porta dietro di me, punto la schiena contro essa, non posso permettermi di sbagliare. Sulla destra del salone una porta, in vetri zigrinati è chiusa, il resto della casa, si sviluppa in un lungo corridoio frontale a me, anch’esso illuminato con numerose candele, probabilmente preparate da Mister Grace per il nostro incontro. Mi avvicino alla prima porta, sulla destra, i vetri sobbalzano appena sfioro la maniglia. All’interno della stanza, un collage, grande quanto due pareti, di fotografie di vittime, molte di più di quelle che sospettavo, tra le immagini, vi sono anche quelle dei pazienti uccisi in ospedale dal dottor Foster, sono dozzine, omicidi non molto cruenti, fatte eccezione per qualcuno, non dissimile da quello di Jeanne Cole. I volti delle donne sono fotografati più volte, tutti rigorosamente truccati.
-Ho sempre invidiato le donne, la loro bellezza. Quando ero bambino, mia madre Grace, la troia di cui sto infangando il nome, mi costringeva a fare la guardia alla finestra, in modo da avvertirla, nel caso fosse rincasato mio padre, mentre si faceva scopare dai suoi amanti, per non essere sorpresa. La guardavo truccarsi, ancora sporca di sesso, la odiavo e la amavo, decisi di punirla, raccontando tutto a mio padre, il quale la picchiò, la violentò, davanti a me, più volte. Poi si sfogò anche su di me, pochi giorni dopo, mia madre scomparve nel nulla, non la rividi mai più, di lei erano rimasti solo i trucchi, a volte li usavo su di me, per assomigliarle per essere bello almeno quanto lei, cerando di non essere visto da mio padre, altrimenti sarebbero stati dolori. Come vedi, agente Wallace, anche io ho avuto un ato doloroso. Mio padre aveva ragione, mia madre meritava di morire, decisi di punire chiunque si comportasse come lei. Questa società marcia è piena di troie e puttanieri, come può un figlio, vivere felice in questa società?La voce arriva fioca dalle mie spalle, mi volto, intravedo Chuck Brown, avvolto nel buio, nudo, con indosso solamente quella maledetta maschera bianca, truccata da donna, seduto a gambe incrociate, fisico asciutto e definito, mi punta contro la sua pistola, spara, la sua MPS non produce alcun suono, non ho il tempo di reagire, il proiettile colpisce la mia spalla già rotta, la mia pistola cade, il braccio sembra anestetizzato, dopodiché smonta la sua pistola lanciando i pezzi dietro di se.
-È finita Mister Grace, questa tua follia si interrompe qui-
-Follia? Questa non è follia, è giustizia, è poesia-
-Dove si trova il vero Chuck Brown?-
-Nello sterco dei maiali di casa Marsch, avrà concimato qualche campo anni fa. Io, Chuck e Robert eravamo amici, molto amici, io mi intrattenevo spesso con una delle sue sorelle. Spesso ci riunivamo a fare qualche cena a casa Marsch, una famiglia di delinquenti e zoccole, ma molto ospitale. Lucille, la sorella minore, quella che mi scopavo era bella, ma altrettanto promiscua, decisi di porre fine alla sua vita e a quella della sorella maggiore, non molto diversa da lei. Il suicidio del fidanzato di quest’ultima, mi ha ispirato, l’omicidio suicidio oramai va di moda e il rasoio di Occam, in queste situazioni è un potente alleato. Entrambi i miei amici, iniziarono con il tempo a insospettirsi, dopo che il mio nome si infangò con le morti premature dei miei pazienti. Uccisi Robert, il quale venne a cercarmi, evaso dal carcere per farsi giustizia da solo, poi dopo una serie di operazioni chirurgiche, riuscii a diventare Chuck Brown, il paladino della giustizia, agente provetto, una volta che la trasformazione fu terminata, uccisi l’originale e lo gettai ai maiali della vecchia fattoria Marsch, in gestione ad i parenti di Robert. Questi anni sono stati meravigliosi, ho assecondato le mie voglie, più volte, finché non sei arrivato tu schifoso vecchio, non ti ritenevo una minaccia, pensavo di spaventarti, non eri nella mia lista, non ti volevo uccidere, ti ho sospeso, intimato più volte di lasciare il caso, ma tu sei cocciuto, ti ho minacciato, se avessi voluto uccidere tua figlia lo avrei già fatto, credimi Jack, ucciderti non sarà un piacere- Sento una risata ovattata dalla maschera.
-Hai preso le sue sembianze, hai rubato la sua identità, lo hai ucciso.-
-Era un agente esemplare, fin da quando eravamo sotto le armi era il migliore in
tutto, una volta nel fbi, divenne fin da subito un agente esemplare, una vita perfetta, lo invidiavo-
-Hai deciso di diventare lui? Era un occasione d’oro, entrando dentro l’agenzia, hai avuto la possibilità di coprire le tue tracce, di modificare le banche dati del DNA, diventando un fantasma-
-Ma dimmi, vecchio bastardo, come hai capito tutto?-
-Chi aveva la possibilità di cambiare dati negli archivi? Chi poteva sapere come ragionava un agente, se non un agente? La foto sulla tua scrivania, siete voi tre, al tempo delle armi, tu caro Pete, hai commesso un errore, guarda le mani di Chuck Brown, le unghie non sono curate come le tue, o nel caso come quelle di Peter Foster, presumo che la bionda, dal seno rifatto, sia Lucille, la sorella di Robert Marsch, fottuto bastardo, avevi le foto delle tue vittime davanti a te tutti i giorni. Inoltre, il fidanzato di mia figlia, mi ha fatto notare che hai il naso rifatto, per questo porti quella immensa fasciatura. Il ragazzo di Julie, mia figlia, ricordi? Quella che hai minacciato brutto bastardo?- Tiro fuori la suddetta foto, con il braccio buono, proveniente dalla sua scrivania e la getto verso di lui.
-Hai ucciso i tuoi migliori amici, uno l’hai dato in pasto ai porci, a Robert, hai pisciato sulla tomba , sei un verme nulla più, hai lasciato quella foto sulla tua scrivania tutti questi anni, sicuro che mai nessuno ti avrebbe scoperto. Pensavi di aver coperto le tue tracce fin troppo bene.- Si alza, e inzia a camminare verso di me, nudo, un immagine da vomitare.
-Fermati, non fare un altro o Pete-
-Non chiamarmi così, mi chiamo Mister Grace- Quel nome lo irrita, buono a sapersi.
-Quale sarebbe il tuo piano? Uccidere il direttore della rapine e omicidi? Come farai? A mani nude? Sai cosa succede a chi uccide un federale? Se riuscissi in questa tua, eroica e suicida impresa, come dimostrerai alla giuria del tribunale che io sia davvero Mister Grace? Ti daranno la sedia elettrica-
-Sto limando i dettagli, io morirò, tu con me- Sorrido, chinandomi per raccogliere la mia Colt
-Il tuo destino è comunque morire Pete-
-Mi chiamo Grace, Mister Graceeeee- È veloce, troppo veloce per me. Mi blocca, nascosta in una delle sue mani, vi è una lama, la quale si conficca nel mio costato. Mi manca il respiro, ha colpito un polmone, lo sento. Crollo a terra, stupido idiota, mi sono fatto distrarre dalle sue parole. Calcia la mia colt lontano, contro il muro, la vedo allontanarsi veloce come le mie speranze di uscire vivo da quella casa. La sua lama cala di nuovo, si conficca dentro la mia coscia destra, la rigira, urlo dal dolore, la punta scava sul mio femore, la sento grattare. La maschera si avvicina a me, capisco cosa deve aver provato Jeanne Cole, quello è la faccia della morte, il volto della paura. Si rialza, guardandomi dall’alto, i miei vestiti si inzuppano del mio sangue, non mi rimane molto tempo, lo so.
-Cosa vuoi fare ora, Jack? Ti avevo sospeso, ti ho detto mille volte di ritirarti di are ad un altro caso- Un violento calcio mi colpisce in pieno viso, rompendomi il naso e qualche dente.
-Guardati, se non ti uccido io, comunque morirai, sei un fumatore accanito, anche mentre ti sto parlando, qualche tumore sta già crescendo dentro di te, ai polmoni o alla gola, sei un uomo morto che cammina, in qualsiasi caso- Un altro calcio, vicino alla prima coltellata, tossisco e sputo sangue. Tanto, troppo sangue.
-Avanti rialzati, affrontami ora, eroe con macchia e con troppa paura. Alzati, muoviti, fammi vedere come mi strapperai la faccia, fallito- Prende respiro, in preda alla follia e blatera ancora inveendo contro di me.
- Alzati vecchio, corri verso la tua pistola e spara a questo bastardo, non hai molto tempo, ti rimane poco da vivere, ti sta massacrando. Il corpo non risponde, non si muove, non ce la fa. -Ti sei già arreso?- Un nuovo calcio.
-Per anni, hai preso ordini da me, non sospettando niente, come ci sente nel essere un coglione, come hai iniziato ad avere i primi sospetti? Parla, sono curioso-
-La tua ossessione per Michelle Le Roy, decidere di tenerlo in galera, uccidendo la sua amata, per punirlo, per poi piazzare un cappio nella sua palestra, con il nodo a sinistra, Michelle è destrorso coglione, come lo era anche Lundia. Hai massacrato Jeanne Cole solo per rabbia, il tuo piano era rovinato, la triade doveva comprendere il pugile. Purtroppo, a queste conclusioni, ci sono giunto troppo tardi, non sono riuscito a salvare Barry- Smetto di parlare, un colpo di tosse e sangue mi riempie la bocca.
-Bravo, sei il migliore, la sfida tra me e te è stata inaspettatamente eccitante, ora però è il momento di morire Jack, tranquillo, tua figlia non soffrirà, poco- Si china su di me, ridendo, dietro quella fottuta maschera con la lama in mano, per infliggermi il ferale attacco.
-Nessuno minaccia Julie!- Urlo, con il fiato che mi rimane in corpo. Colpisco il suo viso con una ginocchiata, la maschera si spezza, solo una parte rimane attaccata alla sua faccia, il viso è diviso in due, da una parte il viso finto di Chuck Brown, dall’altra la maschera, il vero volto di Mister Grace. Il mio aguzzino si sbilancia e cade, ridendo. Uno scatto di forza, d’impeto, raggiungo la mia colt, lasciando una copiosa scia di sangue dietro di me, ho la vista annebbiata, sto morendo, sento la vita volare via dalla mia bocca, come un filo di fumo tenue e costante. Punto nuovamente l’arma contro l’assassino, il quale ride sguaiatamente. -Cosa vuoi fare Jack Daniel’s? Spararmi? Smettila e abbandonati al tuo destino, non sei mai stato un buon tiratore, ne lo sei ora, questo è il tuo incubo. Tranquillo verrai seppellito con il tuo fedele impermeabile, nero o beige che sia, chi ti credevi di essere? Il tenente Colombo?- Si lancia verso di me.
-Peter falk è morto Pete, come te- Premo il grilletto, il colpo gli esplode in faccia, pezzi del suo viso si spargono per tutta la stanza, il proiettile traa la sua testa, conficcandosi nel muro oltre le sue spalle, sparo ancora, quasi decapitandolo, il suo corpo senza vita si accascia sul mio. Abbasso la pistola, finalmente.
-È finita. Posso morire- Chiudo gli occhi, abbandonando il mio corpo al dolce bacio della nera signora. Clara, amore mio, sto arrivando, accoglimi con un bacio amore mio, ho difeso la nostra bambina, muoio felice.
Capitolo 16
Apro gli occhi, una luce abbagliante mi acceca, non sono morto, o almeno lo spero, perché se nell’aldilà si sente così tanto dolore sono fottuto. La mia vista si adatta alla luce, lenzuola bianche, pareti color turchese mi circondano, tubi che mi entrano in ogni orifizio, braccio e gamba ingessati e un respiratore che va su e giù, sento il bip dell’elettrocardiogramma che scandisce i miei battiti.
-Si è svegliato, si è svegliato, si è svegliato- L’urlo acuto di mia figlia, mi trapana le orecchie, mi si getta addosso, provocandomi il più piacevoli dei dolori lancinanti.
-Papone, sei vivo, ho avuto tanta paura di perderti- Piange, ed io con lei, alzo gli occhi al cielo, ringrazio Dio, piangendo liberando ogni briciolo d’amore.
-Sono qui bambina mia, papà è qui- Ci abbracciamo, fino a che il medico la discosta da me, puntandomi la piccola lampadina ad illuminare il mio occhio.
-Mi sente? Si ricorda il suo nome?-
-Purtroppo si, e non ho intenzione di farla ridere-
-Ci ha fatto preoccupare sa mister Wallace? Ci sono un sacco di persone qui per lei-
-Sono stato addormentato per molto?-
-Ha ato gli ultimi quattro giorni in coma. La abbiamo presa per i capelli-
-Avete avuto mira, non ne ho molti. Cosa ho avuto?-
-Aveva un polmone perforato, un proiettile conficcato nella spalla, un femore ridotto male, diverse coltellate, un braccio rotto, il naso a brandelli, quattro denti andati e almeno un paio di infarti-
-Che spettacolo Chi mi ha portato qui?- Nonostante il bollettino di guerra che è la mia cartella clinica, non riesco a non sorridere.
-Il tuo collega papà, l’agente Dimmare, si è precipitato sul posto e ti ha trovato quasi morto, ha chiamato subito l’ambulanza, ti ha salvato la vita- Sorrido, devo a quel ragazzo molto più del rispetto. Il dottore chiede gentilmente a Julie di lasciare la stanza, lei mentre apre la porta mi saluta.
-Papone vado a trovare Mike e torno qui-
-Cosa gli è successo?-
-L’armadio a quattro ante che hai mandato per proteggermi, non sapeva che in
casa ci fosse anche il mio fidanzato e lo ha picchiato, gli ha rotto naso e zigomo. Lo ha fatto per salvaguardarmi ma ha decisamente la mano pesante- Tra me e me, rido sguaiatamente, un sorriso mi appare mentre la porta si chiude.
-Sua figlia le è molto devota, non la ha lasciata solo un istante-
-Lei è la mia luce- Guardando la cartella, e i vari dati espressi dai miei esami e monitoraggi, il medico mi guarda sorridendo.
-Agente Jack Daniel’s Wallace, la dichiaro fuori pericolo di vita. Non potrà più correre, né saltare, probabilmente dovrà fare ausilio di un bastone, per camminare, a causa di quella orribile ferita alla coscia, le ha reciso il quadricipite femorale -
-Evviva!!!- Sorride.
-La prego, smetta di fumare, ha dei polmoni che invocano pietà-
-Non voglio neanche più sentir parlare di sigarette dottore-
-Si riprenda, ci sono molti giornalisti in attesa delle sue dichiarazioni- Esce dalla stanza, per andare a visitare altri pazienti. Un omone, dai capelli corvini, una folta barba del medesimo colore, grosso con una voluminosa pancia, entra nella stanza, un forte odore di sigaro lo avvolge.
-Agente Wallce, mi chiamo John Hawk Hant, il nuovo direttore della rapine e omicidi del FBI, innanzitutto voglio congratularmi con lei, per le sue eroiche gesta, ha fermato un pericoloso serial killer, la stampa la acclama come un eroe, ma la vicenda non è chiara, Chuck Brown era Mister Grace?- Gli racconto tutto, durante il racconto, il mio interlocutore sbianca ad ogni svolta, conscio del peso di questa pesante verità potrà avere sulla reputazione della nostra beneamata agenzia.
-Quindi la divisione era in mano ad un folle- Mentre queste parole escono dalla sua bocca, il suo viso sembra sperare in un miracolo, noto in lui, lo stesso amore che provo io per la Federal Bureau of Investigation.
-No, io e Chuck Brown, valoroso direttore, abbiamo ucciso Mister Grace. Il mio compagno però ha deciso di ritirarsi dopo quanto accaduto, per vivere finalmente una vita serena- Sorride, nei suoi occhi leggo un grande rispetto nei miei confronti.
-E così se ne è andato?-
-Si mi ha detto che voleva andare a scopare in Tailandia-
-Speriamo che si diverta. Lei ha salvato la situazione ha salvato tutta la divisione rapine e omicidi-
-No, ho salvato mia figlia e vendicato Barry Carlson, è questo l’importante-
-Si rimetta, la aspetto in ufficio quando si riprenderà-
-Direttore?-
-Mi dica-
-Voglio andare in pensione, voglio andarmene via- Sorride, il viso è grande e benevolo, per un attimo infinito ci guardiamo negli occhi in silenzio, con ammirazione.
-Si goda la vita Wallace, l’agenzia rimpiangerà un agente come lei-
-Il mio posto, il mio uffico sarà affidato a Dimmare-
-Paul Dimmare? Ma è solamente un ragazzo-
-Mi ha salvato la vita, è un agente molto migliore di quanto fossi io alla sua età-
-Valuterò l’opzione. Si goda la pensione agente, se la merita- Esce dalla stanza, e nonostante le proteste del medico, Mary Carlson, la moglie vedova di Barry, entra, salutandomi, si è tagliata i capelli, la pelle è abbronzata dal caldo sole dell’Arizona.
-Ciao Jack- Il mio senso di colpa nei suoi confronti vi è sempre, ma nei suoi occhi leggo il perdono.
-Avevo promesso a te e a Barry che avrei fermato il bastardo-
-Lo so, Barry ne sarebbe felice-
-Mary, mi dispiace, Barry mi manca molto-
-Anche a me, sono venuta a salutarti, dopo che ho saputo della morte di quel mostro. Niente riporterà mio marito in vita ed io non so se riuscirò mai a perdonarti, ma ti ringrazio per aver mantenuto la promessa. Ti vorremo sempre bene Jack, sia io che i miei figli- Piange, pensando al marito, io inizio a sentirmi debole. Mary lascia la stanza, su richiesta abbastanza accesa del medico. Riesco a voltare leggermente il viso, noto che alla mia sinistra, vi è una parete in vetro la quale mi separa dall’atrio, ove vi sono molte persone, alcune di esse sconosciute, ma tra loro noto Dimmare, il mio valoroso sottoposto, senza il quale non sarei qui, Michelle Le Roy, il pugile quasi si commuove nell’incrociare il mio sguardo, ho influenza su di lui, se non fosse così infoiato verso il genere femminile, penserei che forse potrei piacergli. Melinda Park, stampa un bacio sul vetro, lasciando i segni del rossetto color fuoco, un gesto un po’ fuori luogo, ma è di sicuro un gesto spontaneo che le appartiene, nella sua follia è un genio, si accorge della gaffe e cerca di pulire il vetro, spalmando il composto, poi facendo finta di niente, si sposta e torna a guardarmi da dietro il vetro pulito. Tutti mi sorridono, mentre i miei occhi nuovamente si chiudono, concedendo un pò di riposo al corpo. Ci vuole del tempo per guarire, molto più tempo di quanto sperassi.
Due mesi dopo, è fine febbraio, la neve ha lasciato il o ad un clima mite, il sole mi scalda la pelle del viso, il mio nuovo impermeabile nero inizia a tenere
troppo caldo, a breve lo poserò nell’armadio nuovo, senza incisioni, comprato pochi giorni fa, per sostituire quello che fu vittima di Mister Grace. Incredibilmente felice, mi ritrovo a eggiare per le strade di Demantea, armato del mio fedele bastone, una gamba in più per sorreggermi, mi ricordo un mio vecchio pro zio, anche lui era uno della tribù tripede. Ho il giornale fresco di stampa sotto il braccio e come ogni giorno, o per quella che un tempo era chiamata trentaquattresima strada, ora in onore a Brown and Wallace street, i due eroi di Demantea, la mia cazzata ha retto, l’fbi avrà ancora la divisione rapine e omicidi, altri bambini come me, ora possono sognare, un giorno, di divenire agenti nella mia vecchia e amata agenzia. Mi godo la pensione, una noiosissima vita da single attempato. Julie, Mike e la piccola Arwen, sono tornati a New York, su mia richiesta, appena sono riuscito a ad essere autosufficiente, il ragazzo, porta sul viso ancora i segni della collera di Le Roy, il parere di mia figlia è che gli donino un tono più affascinante. Il pugile è tornato in Canada dalle sue sorelle, con le tasche piene di soldi per l’assicurazione sulla vita dell’ex moglie, chiudendo finalmente quel buco di palestra che aveva qui a Demantea. Melinda Park, dopo essersi presa cura di me, assistendomi ed imboccandomi in ospedale e a casa, è tornata alla sede del B.A.U. a Quantico, mi scrive almeno una volta al giorno, sempre corteggiandomi, a volte con foto ammiccanti, in fondo, non mi dispiace così tanto, è sempre bello per un vecchio, essere considerato ancora abile. La dottoressa Abigail Mason, è tornata con il marito, sta ingrassando, mi ha invitato un paio di volte a casa sua, per conoscere il suo consorte, ma sono un lupo solitario, cazzata, forse è che mi piace essere visto così. Nella via nominata con il mio nome e quello di Chuck Brown, vi è una persona molto importante, devo incontrarlo oggi. Arrivo a destinazione ed un meccanico giovane, dai capelli castani spettinati, mani nere di grasso e l’espressione di chi adora il suo lavoro, mi sorride.
-Agente Wallace, la sua fidanzata è pronta-
-Com’é?-
-Semplicemente bellissima- All’interno dell’officina spaziosa, numerose
macchine, sono alzate dai carroponte, o con i cofani aperti, li al centro, vi è lei, Bobby, rimessa a nuovo, in tutto e per tutto, una vernice lucida color granata la ricopre, sedili in pelle bianca risplendono all’interno.
-Abbiamo avuto il nostro bel da fare, ma ne è valsa la pena, è bellissima-
-È la mia migliore amica- Incredibilmente il meccanico non mi guarda come se fossi pazzo. Saldo il cospicuo conto, soldi ben spesi. Salgo a bordo, sul sedile del eggero appoggio il mio bastone e finalmente accendo. Un rombo di ritrovata giovinezza e gioia di vivere risponde.
-Ciao, amica mia, ti sono mancato?- Ancora per un attimo, mi sembra di vedere Clara a fianco a me, sorridente, con gli inseparabili occhiali, i quali incorniciano i suoi occhi color smeraldo, ogni giorno più belli. La visione svanisce, lasciandomi il caldo dentro il cuore. Bobby ed io partiamo, per dirigerci a casa. Il mio risentimento nei confronti di Demantea purtroppo, non si placa, ho troppi ricordi, legati ad omicidi, rapine ed atti violenti, ogni angolo della mia città ha un aneddoto macchiato di sangue e dolore. Arrivato a casa, provo la medesima sensazione, inoltre il sovraffollamento subito da questa casa, sotto Natale, ora la fa apparire più vuota che mai. Parte dei miei mobili ed effetti personali, è smontata o riposta dentro degli scatoloni da traslochi. Il camlo suona, giusto in tempo per dare un ultimo saluto alla casa. Un uomo sulla cinquantina, ricciolo e tozzo, con gote rosse mi attende fuori dalla porta.
-Signor Wallace buongiorno, noi siamo pronti-
-Benissimo, prendo solo un ultima cosa- Non senza sforzo, prendo la macchina da scrivere di Clara ed il centrino fatto a mano da lei per coprirla, sotto braccio, tenendomi in equilibrio con il bastone, la gamba ferita duole e non regge il mio non trascurabile peso. Esco da quella casa per un ultima volta. Lasciando dietro
le mie spalle, tutto ciò che appartiene ad un ato cupo, portando solo ciò che mi serve per il futuro, il ricordo indelebile della mia Clara. Salgo a Bordo di Bobby, mettendo bastone e macchina da scrivere sul sedile del eggero.
-Così davvero sembra di viaggiare con te, amore mio- Dalla tasca interna del mio impermeabile nero, tiro fuori il motivo della partenza, qualche giorno prima, ho ricevuto una lettera, con una fotografia macchiata di rossetto, nessun cadavere, nessuna immagine truce, ma una porta in legno e vetro, con su di essa, incisa un insegna recitante “Agenzia investigativa Clara’s Le Roy and Wallace, the Kings” sotto di essa, a penna, “non è una cattiva idea no? Vieni in Canada, è un posto magico”. Mi giro verso la macchina da scrivere azzurra, e sussurro.
-Andiamo in Canada amore mio- Sorrido guardandola, pensando che questo mio nuovo progetto mi porterà più vicino a Julie ed alla sua vita. Metto in moto Bobby, tiro fuori una lucky dal pacchetto rigorosamente morbido e la accendo, ebbene si, la mia astinenza è durata un paio di settimane, ma di qualcosa, alla fine, dovrò pur morire.
FINE