Alla Ricerca Di Me y433p

Simona Urbinati

Alla ricerca di me

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Alla mia amica Ilaria, se nella vita non ti è stata data una sorella, nulla vieta di scegliertela.

Roberto

Finalmente un’altra lunga giornata di lavoro era terminata. Sempre più ore, sempre più pressioni e, come se non bastasse, a casa non vivevo una situazione rosea. Era uno di quei periodi dove sembrava che tutto andasse storto nello stesso momento e, per quanto cercassi un flebile raggio di luce che squarciasse le nuvole nere, non riuscivo a vederlo. Pensavo a questo mentre mi avviavo con o stanco verso la mia Lancia Ypsilon rossa che mi aspettava pazientemente nel parcheggio del supermercato dove lavoravo come cassiera. Feci pressione sul pulsante posto sopra la chiave e sentii il familiare bip bip della chiusura centralizzata. Salii in macchina e mi avviai nel traffico cittadino facendo rotta per la periferia.

Arrivai a casa venti minuti dopo e girai la chiave nella toppa, desiderosa di gettarmi sotto il getto caldo della doccia. Varcata la soglia, sentii della musica provenire dalla stanza da letto. «Roby?» Tentai di chiamare il mio fidanzato. Nessuna risposta. Probabilmente la musica era troppo alta perché la mia voce la sovrastasse. Lanciai letteralmente le scarpe e la borsa nell’ingresso e mi diressi verso la camera. «Roby?» Ritentai. Di nuovo nessuna risposta. Era troppo intento a rimirarsi nello specchio seguendo con le dita la sagoma dei suoi pettorali, con indosso solo un paio di pantaloncini grigi della tuta. Mi soffermai sulla porta ad ammirarlo, appoggiandomi contro lo stipite. Era un

bell’uomo, di media altezza, con scuri capelli corti, ricci e sempre ben curati, gli occhi di un castano intenso e un fisico da favola che lui allenava tutti i giorni. Aveva trentotto anni, otto più di me e, forse, anche per questo mi sentivo così attratta da lui, mi dava un senso di protezione un uomo più maturo. Vide il mio riflesso nello specchio e finalmente distolse l’attenzione da se stesso «Ciao tesoro, non ti ho sentito rientrare», per poi riportarla, ovviamente, sul suo argomento preferito «Che dici? Mi trovi ancora bello? Sono o non sono perfetti questi pettorali?» Dio com’era narcisista, ma lo accettavo lo stesso, era un piccolo prezzo da pagare per avere quell’uomo che non si era mai impegnato in una vera relazione se non con me. Mi sentivo privilegiata. «Sì amore, sei sempre il più bello» risposi. Lui sorrise soddisfatto «Ottimo. Che cosa cucini per cena? Avrei una certa fame». «Potresti cucinare tu per favore? Sono distrutta, ho bisogno di una doccia, ho lavorato undici ore oggi». «Ilaria non fare la bambina capricciosa, non sei mica l’unica donna che lavora». «No, ma tu oggi eri di riposo. Non puoi farmi questo favore?» «Facciamo così, tu vai a rilassarti sotto la doccia, io devo finire ancora un paio d’esercizi. Così ti riprendi e prepari due verdurine ok?» Santo cielo com’era egoista a volte! Ma sapevo che era una battaglia persa e non avevo proprio la forza di mettermi a discutere, così cedetti «E va bene. Per una volta, potevi pure aiutarmi però». Girai sui tacchi e mi diressi in bagno. Lasciai che l’acqua mi scivolasse lungo il corpo e distendesse i miei muscoli tesi, mentre l’aroma fruttato del bagnoschiuma mi faceva immaginare di essere su un’isola tropicale. Quando ne ebbi abbastanza, mi sciacquai e uscii dalla doccia. Andai in cucina

con indosso una tuta lilla e i capelli ancora bagnati. Armeggiai con le pentole preparando un pasto veloce e leggero. «Roberto è pronta la cena» dissi a voce alta per farmi sentire. Lo vidi comparire poco dopo con un asciugamano bianco intorno al collo «Sto morendo di fame. Ma quanto ci hai messo a lavarti?» L’irritazione mi salì fin sulla punta dei capelli, ma mi trattenni dal rispondere, sbattendogli però, il piatto davanti. «Ehi scherzavo! Pulcina mica te la sarai presa?» Lo guardai storto e continuai a mordermi nervosa il labbro inferiore. Aveva una capacità incredibile di rigirare la frittata, facendo ricadere sempre la colpa su di me. Le mie amiche continuavano a ripetermi che Roberto era un manipolatore e che io ero uno zerbino ai suoi piedi. Lo difendevo continuamente, ma, in queste occasioni, mi chiedevo se avessero ragione. Mangiammo veloci e in silenzio, poi sparecchiai e ringraziai mentalmente l’inventore della lavastoviglie. Finalmente potevamo riposare sul divano guardando un bel film in televisione. «Posso confessarti una cosa?» Mi domandò Roby all’improvviso. «Certo». «Mi sono innamorato». Il mio cuore mancò qualche battito, per poi riprendersi e accelerare ogni momento di più. Stavamo insieme da un anno e da sei mesi, convivevamo, ma non aveva mai pronunciato le due fatidiche parole. Che fosse arrivato il tanto atteso momento? Non avevo mai avuto il coraggio di prendere l’iniziativa, avevo troppo timore che lui non ricambiasse. Ma forse mi sbagliavo e stasera ne era la prova. «Sul serio?» Riuscii solo a rispondere con la voce carica d’emozione.

«Sono serissimo. E’ una ragazza bellissima, dai capelli mogano e gli occhi castani, esile e non molto alta». Sentii salire le lacrime agli occhi dalla commozione, era la mia esatta descrizione. Gli saltai al collo «Ti amo anch’io! Quanto ho aspettato questo momento!» Mi diede un lungo bacio e poi mi allontanò da sé «Tesoro… Non stavo parlando di te. Si chiama Ilenia, è una nuova iscritta in palestra. Sono il suo personal trainer». Rimasi immobile. La mia bocca si apriva per poi richiudersi, senza che uscisse alcun suono. Respirai a fondo e, sforzandomi, riuscii a domandare «Mi prendi in giro spero». Mi aggrappai con tutte le mie forze alla convinzione che fosse uno scherzo. Non poteva essere altrimenti. «No assolutamente». Ritrovai la voce di colpo e gli urlai contro «Se volevi lasciarmi, potevi dirlo! Mi fai schifo!» Dopodiché mi alzai e corsi in camera da letto. Avevo solo voglia di buttarmi sul letto, infilare la testa sotto al cuscino e piangere tutte le lacrime che mi erano rimaste. Quanto può piangere una persona prima di esaurirle? Non potevo credere di averne ancora una riserva. Da quando stavo con Roberto, i momenti felici si potevano contare sulla punta delle dita. Allora perché continuavo a farmi del male gratuitamente? Tante volte mi ero chiesta se sarebbe stato meglio chiudere questa storia e voltare pagina, ma c’era come un filo invisibile che mi collegava a lui e inevitabilmente, ogni volta che decidevo di darci un taglio, mi riportava a lui. Dopo un tempo che mi parve interminabile, sentii la porta della stanza aprirsi lentamente. Sentivo solo il suono del suo respiro nel silenzio. Lo sentii avvicinarsi al letto e il materasso si piegò sotto il suo peso quando si sedette

nell’angolo in fondo. «Perché te la prendi tanto? Non ti ho mai detto che avevi l’esclusiva. Viviamo insieme certo, ma ognuno può frequentare chi vuole. Mi sembrava di essere stato chiaro fin dall’inizio». Disse con voce calma ma dal tono quasi scocciato, come se stesse sgridando una ragazzina su un concetto ovvio. Avevo ancora la testa nascosta sotto il cuscino ma lo conoscevo fin troppo bene per non sapere che aveva pronunciato la frase inarcando un sopracciglio. «Stai parlando di un anno fa! Pensavo che fossi cambiato da quando viviamo sotto lo stesso tetto!» Continuai a inveirgli contro. «Non capisco perché sei così arrabbiata. E’ l’amore che ti fa agitare così?» «Qui non si tratta di amore!» «E di cosa allora?» «Di rispetto! Mi hai ferito non te ne rendi conto?» «Se non fossi così presa, guarderesti più in là del tuo naso e capiresti». «Cosa c’è da capire? Prova a metterti nei miei panni! Se lo avessi detto io a te ne saresti stato felice?» «Non farmi are per il lupo cattivo! Ho sempre avuto il terrore di farti del male e ti ho sempre messo in guardia! Ti ho ripetuto mille volte che sarebbe stato meglio per te starmi lontano. E adesso vorresti farmi sentire in colpa? Sapevi a cosa andavi incontro e l’hai accettato». «Sono stata io una scema a credere che fossi cambiato, che avessi iniziato a volermi bene, ma ora mi rendo conto che tu non provi sentimenti, sei senza cuore! Altrimenti non mi faresti questo» gli dissi ormai sconfitta, mentre le lacrime avevano ricominciato a scendermi copiosamente dagli occhi. Aveva la capacità di farmi sentire sbagliata, come se tutti i problemi della nostra coppia dipendessero da me. Si avvicinò e mi strinse tra le braccia. Lo lasciai fare, non riuscivo a resistergli, nonostante tutto.

Dopo qualche secondo riprese il discorso «Pulcina, io ti voglio bene, altrimenti non ti avrei invitato a vivere con me. Stiamo bene insieme dopotutto, non credi?» «Mi viene difficile credere che tu mi voglia bene» risposi tra i singhiozzi. «Te lo assicuro». «Però non mi ami». «Sì che ti amo… A modo mio». Lo allontanai da me nuovamente in preda alla rabbia «A modo tuo? Sai cosa penso? Che tu ami solo te stesso! E’ l’unico modo che conosci! Tu sei malato mentalmente! Hai un continuo bisogno di conferme, non sai vivere se le donne non ti corrono dietro. Voglio darti un consiglio: la bellezza a, il nulla che hai nell’anima resta e alla fine nessuna cadrà più ai tuoi piedi e rimarrai solo come un cane». Vidi la sua fronte corrugarsi «Così mi ferisci… Non far are me per il cattivo. Tu sapevi com’ero fin dall’inizio, non te l’ho mai nascosto. Se ti sei illusa, non è colpa mia». «Ottimo. Adesso sarei io la pazza». «Non ho detto questo. Dai pulcina, smettila di fare i capricci e vieni qua». Quasi mi ordinò, tendendo le braccia aperte verso di me. Io continuavo a stare sulle mie tenendo le braccia conserte e, quando non riuscii più a sostenere il suo sguardo, mi voltai di schiena. Sentii i suoi i avvicinarsi. Mi cinse con le sue forti braccia e posò delicatamente le sue labbra sul mio collo, iniziando a baciarmi lentamente. Sentii le mie gambe cedere mentre un brivido mi saliva lungo la schiena. La rabbia, per quanto cercassi di trattenerla, iniziò a lasciare il posto alla ione. Quando alla fine cedetti, mi voltai verso di lui e appoggiai le mie labbra alle sue. Prima delicatamente, poi sempre con più forza, finché lo sentii cedere e aprirmi il varco verso la sua bocca, dove infilai prontamente la lingua per baciarlo con tutto l’ardore di cui ero capace. Ogni tanto mi fermavo a mordicchiargli il labbro

inferiore nel modo in cui sapevo di farlo eccitare. Volevo che si rendesse conto che nessuna poteva dargli quello che ero in grado di offrirgli io. Si mosse senza staccarsi da me e mi trascinò verso il letto, mi spinse sul materasso e cominciò a spogliarmi velocemente, poi si sbarazzò dei suoi vestiti, salì sul letto e si posizionò tra le mie gambe. Prima di penetrarmi mi rivolse un ultimo sguardo pieno di desiderio e io mi arresi completamente al fuoco che mi divorava. Lui era così, non perdeva tempo in preliminari che trovava inutili ed io cedevo sempre, vittima del mio amore e dei miei istinti. Ero consapevole di sbagliare, alla fine vinceva sempre le mie difese, ma non potevo farci niente. Lui era la mia droga.

Ilaria

Mi svegliai all’alba leggermente indolenzita. Mi stiracchiai e mi voltai verso Roberto. Dormiva beatamente su un fianco, le lenzuola arrotolate in vita. Lo osservai per qualche minuto sorridendo, poi, la mia mente, riportò a galla il litigio della sera prima e mi incupii. Mi tirai a sedere sul letto, portandomi le ginocchia contro il corpo per poterci appoggiare la fronte. Circondai le gambe con le braccia e sospirai. Mi sentivo una stupida per aver ceduto di nuovo all’attrazione che provavo per lui e, ogni volta che arrivava la mattina, la mia coscienza mi ricordava quant’ero succube di quell’uomo. Quanto poteva resistere un cuore prima di spezzarsi? Ogni volta che glielo poggiavo sul palmo della mano, lui lo stritolava sempre un po’ di più e ogni volta una pioggia di granelli di polvere scivolava tra le sue dita. Ero salita su un treno che mi stava portando dritta tra le fiamme dell’inferno. Se non fossi scesa almeno una fermata prima, non sarei più stata in grado di far ritorno. In quel momento mi resi conto, forse per la prima volta, che non potevo assolutamente andare avanti così, mi sarei ammalata se non mi fossi allontanata. Certo, me l’ero ripetuto mille volte nella mia testa ma mai ne ero stata pienamente consapevole. Era arrivato il momento di smetterla di giustificarlo per il suo deplorevole comportamento. Adesso era arrivato il momento di pensare a me stessa e al mio bene, per troppo tempo avevo messo i suoi bisogni, se poi si potevano definire tali, davanti ai miei. In quel momento presi la mia decisione, dovevo andare alla ricerca di me. Mi alzai silenziosamente, prima di cambiare idea. Buttai dentro la valigia rigida con la stampa della bandiera inglese impressa sul dorso indumenti a caso e uscii con o felpato dalla camera da letto. Riempii un beauty case con i prodotti essenziali e, dopo aver lanciato qualche paio di scarpe in uno zainetto, presi da un cassetto del mobile della sala le chiavi della casa al lago dei miei genitori. Roberto non sapeva neanche esistesse, per

cui era un luogo sicuro per nascondersi. Mi richiusi silenziosamente la porta d’ingresso alle spalle dopo aver dato un ultimo sguardo a quella che negli ultimi tempi avevo chiamato casa e caricai tutto sulla mia auto, che era pronta ad accompagnarmi lontano dalla mia sofferenza. Salii al posto del guidatore, infilai la chiave nel nottolino e misi in moto. Poggiai le mani sul volante e finalmente partii in direzione del lago d’Orta. Avevo bisogno di ritrovare me stessa e non conoscevo posto migliore al mondo per riflettere. Con le parole di November rain dei Guns N’ Roses che riempivano l’abitacolo e una sigaretta accesa nella mano sinistra, imboccai l’autostrada e lasciai scorrere la mia Ypsilon sull’asfalto.

Ilaria

Arrivai al lago d’Orta un paio d’ore dopo, non distava molto da Torino. Parcheggiai l’auto e, scaricati i pochi bagagli che avevo con me, aprii il portone e salii le scale che portavano al secondo piano della vecchia palazzina situata sulla piazza centrale dove si trovava l’appartamento. Subito arrivò alle mie narici il tipico odore delle case chiuse da qualche tempo. Mi affrettai a spalancare la finestra della sala per fare entrare aria fresca e mi soffermai a guardare il panorama appoggiando una spalla allo stipite. Non ricordavo che fosse tanto incantevole, il lago era proprio di fronte a me, tranquillo e luccicante. In lontananza potevo scorgere l’isola di San Giulio occupata per la maggior parte della superficie dall’abbazia Mater Ecclesiae. Guardai in basso verso la piazza, i tavolini e le sedie dei bar delle caffetterie troneggiavano di fronte ai portici, risate allegre provenivano da tutte le parti; erano presenti ancora parecchi turisti essendo metà settembre. Finalmente mi decisi ad allontanarmi dalla finestra e mi apprestai a svuotare la valigia. ai il resto della giornata a eliminare la sostanziosa quantità di polvere accumulata sui mobili e sul pavimento, feci la spesa al piccolo market poco distante e continuai a ignorare le numerose chiamate di Roberto sul mio cellulare. La sera mi sedetti sulla sedia di vimini situata sul piccolo balconcino con indosso solo un paio di pantaloncini in jeans sfilacciati sul bordo e un cardigan bianco per proteggermi dalla brezza del lago. In mano un bicchiere di vino bianco per rilassarmi. Il silenzio che mi circondava era il toccasana che stavo cercando.

La mattina dopo mi svegliai di buon’ora con i raggi del sole che mi accarezzavano delicatamente il viso. Di solito odiavo la luce del mattino appena sveglia, ma, quel giorno, mi fece piacere.

Scalciai via le lenzuola dal letto e, dopo essermi infilata un bikini rosso sotto a un paio di pantaloncini neri e una t-shirt dello stesso colore, mi avviai a far colazione nel mio bar preferito. Sedetti a un tavolino godendomi quel che rimaneva del calore estivo che stava per lasciar spazio all’autunno, mentre sorseggiavo un buon caffè e divoravo una gustosa brioche al cioccolato. Non saprei dire come mi sentivo, il luogo mi rilassava come non mi succedeva da tempo, ma il pensiero di essere letteralmente scappata dalla mia relazione mi tormentava senza darmi tregua. Una miriade di emozioni si susseguivano dentro di me ed io continuavo a domandarmi se avevo fatto la scelta giusta. Certo, ero consapevole che non si risolvono i problemi in questa maniera, ma non riuscivo a ragionare lucidamente in presenza di Roberto. Quell’uomo che tanto amavo, a volte, mi faceva sentire una regina, però, per la restante parte, che facevo fatica ad ammettere, fosse la maggiore, mi faceva sentire sbagliata, imbranata e sì, persino stupida. Che cosa dovevo fare? Era veramente solo colpa mia la situazione che stavo vivendo? O era lui che non sapeva darmi ciò di cui avevo estremo bisogno? In fondo chiedevo solo amore e rispetto. Non avevo mai preteso nulla da lui, lo facevo sempre sentire importante, anche tramite piccoli gesti, come preparargli un tiramisù a sorpresa il giorno del compleanno, proprio io che non avevo mai fatto un dolce in vita mia. E lui lo aveva apprezzato? Certo che no! Aveva recriminato sul fatto che io non lo conoscessi minimamente perché non gli piaceva il tiramisù. Mio dio, che cosa dovevo fare? Lasciarlo definitivamente e tornare a vivere con mia madre? No, no, non poteva essere la scelta giusta, non potevo vivere senza di lui. Roberto era parte di me. Una volta qualcuno mi disse che anche se qualcuno non ti ama come tu vorresti, non vuol dire che non ti ami. Ma quello di Roberto si poteva definire amore? Quello che lui poteva darmi era abbastanza per me? Mi presi la testa tra le mani e cominciai a massaggiarmi le tempie con fare nervoso. In quel momento squillò il cellulare … Lessi il nome sul display … Di nuovo lui

… Mi resi conto che involontariamente la mia mano si stava allungando verso il telefono pronta a rispondere, seguendo le indicazioni del cuore invece che quelle del cervello che mi imploravano di continuare a essere forte e a ignorarlo come il giorno prima, quando, nelle mie orecchie risuonò il suono della sirena del battello che attraccava al porto e, istintivamente, rifiutai la chiamata, presi al volo il mio zaino con dentro un asciugamano, il pranzo e un libro e corsi verso il porticciolo a comprare un biglietto per l’isola di San Giulio. Avevo deciso che, per riflettere, avevo bisogno dell’atmosfera pacifica di quel luogo fuori dal tempo e mi ripetei che il fatto che lì, il cellulare non prendesse, fosse solo una coincidenza.

Arrivata a destinazione, m’incamminai per i vicoli dell’isola, fino a scorgere una piccola baia dove ero solita rifugiarmi da ragazza. In quel punto l’acqua del lago era così limpida da sembrare mare. Stesi l’asciugamano e mi sdraiai. Oltre a me c’era solo una vecchia barca a remi con la vernice scrostata abbandonata sulla riva e i gabbiani che volavano alti nel cielo. Feci un respiro profondo e chiusi gli occhi, decisa a scavare mentalmente nel mio ato. Chissà, magari cercando di intuire la causa della fine delle mie precedenti storie d’amore, avrei potuto rimettere l’attuale sulla retta via e provare, nel caso il problema fossi io, a cambiare.

Christian

Avevo quindici anni quando m’innamorai di lui, riccio, bruno e con degli occhi talmente scuri da potermi perdere nella loro profondità. Lo vedevo ogni estate da che avevo ricordo; abitava in un paesino del Salento vicino al quale andavo in vacanza ogni anno con i miei genitori. Era tanto vicino quanto irraggiungibile. Aveva la mia stessa età ed era il sogno di qualsiasi ragazza. Era spavaldo, beveva birra, fumava, insomma era il classico figo e dannato. Pur avendo la reputazione di essere un gran bastardo quando si trattata di questioni sentimentali, le ragazze facevano la fila per uscire con lui. Ok, a trent’anni forse non sarebbe più un sogno perché si cerca l’amore e la stabilità, ma da adolescente alla prima cotta era quanto di meglio c’era sul mercato. Essere la sua donna sarebbe equivalso a farsi scegliere da lui, a sentirsi importante e tutti avrebbero avuto rispetto per colei che l’avesse accalappiato. Peccato che all’epoca ero timida, mi limitavo a guardarlo di nascosto e lui non sapesse neanche che esistevo. Praticamente era un amore a senso unico che era destinato a rimanere un nome scritto a caratteri cubitali sul diario di scuola, accompagnato da fotografie scattate di nascosto quando lui non se ne accorgeva. A ripensarci adesso mi viene da sorridere. A quindici anni io e le mie amiche sospiravamo per dei tizi che non ci avrebbero mai degnate di uno sguardo e ci sembrava il problema più grande al mondo. Addirittura riuscivamo a piangere e disperarci, proclamando di avere il cuore spezzato ogni qual volta il ragazzo di turno veniva avvistato con un’altra che forse aveva più coraggio per farsi avanti ma che ritenevamo fortunata perché era stata ammessa nella sua cerchia di amici e adesso poteva vantare lui per il tempo che sarebbe durata. Andò avanti così finché, un giorno lo vidi seduto da solo sul muretto che delimitava la spiaggia e mi obbligai a prendere coraggio e gli andai incontro per presentarmi.

Ero terrorizzata all’idea che mi respingesse e, mentre, la distanza tra noi diminuiva, il rossore sulle mie guance aumentava e il mio o rallentava. Respirai a fondo e provai a fare la finta spavalda «Ciao!» Lui mi guardò confuso «Scusa ci conosciamo?» Domandò in tono quasi annoiato. «Piacere Ilaria» mi presentai tendendogli la mano. «Christian» rispose senza accennare a stringermi la mano. «Ecco adesso ci conosciamo.» Accennò un sorriso e scosse la testa, poi tirò fuori dal pacco una sigaretta e se la portò alla bocca. Restai in attesa che dicesse qualcosa mentre spostavo il peso da un piede all’altro. Forse non era stata una buona idea. Mi stavo rendendo ridicola. Feci per andarmene quando lui allungò di scatto una mano e mi prese per il polso. «Ehi, che fretta hai?» «Scusa?» Chiesi confusa. «Ti ho chiesto che fretta hai. Prima vieni qui a presentarti e poi scappi via?» «Mi sembrava di averti disturbato» lo accusai in tono acido incrociando le braccia sul petto. «Se mi avessi disturbato te l’avrei detto. Non ho molti peli sulla lingua ma qualcosa mi fa pensare che tu lo sappia già». «Che cosa vorresti insinuare?» Domandai sempre più spavalda mentre sentivo la collera ribollire dentro. Chi si credeva di essere? Dio sceso in terra? «Oh, nulla» rispose volgendo lo sguardo altrove e tirando una lunga boccata dalla sigaretta. Con la bocca diceva nulla ma era ovvio che mi aveva già relegata

nel gruppo delle ragazzine che lo spiavano di nascosto. Dopo qualche minuto, notando che io non accennavo a rispondergli, riprese parola «Senti, visto che sei qui, vai a prendermi una birra fresca. Ecco tieni» ordinò estraendo dalla tasca dei pantaloncini di jeans delle monete. Dopo quell’affronto il sangue mi salì al cervello. «Per chi mi hai preso? Per la tua cameriera? Vacci da solo al bar. Le gambe ti serviranno a qualcosa!» Immagino che dovessi essere rossa in viso perché lui, prima rimase di sasso, poi scoppiò in una sonora risata. Quant’era bello quel suono. «Mi fa piacere costatare che non sei la solita ragazza pronta a servirmi pur di compiacermi» disse saltando giù dal muretto. Spense il mozzicone di sigaretta a terra e si avviò al bar facendomi cenno di aspettarlo lì. Mi accomodai sul muretto senza sapere cosa aspettarmi e poco dopo, ricomparve con due birre. «Tieni» disse porgendomene una. «Io… ehm…» «Non mi dire che non hai mai bevuto una birra!» Esclamò esterefatto. Non volendo dargli soddisfazione, gli sfilai la bottiglia di mano e me la portai alle labbra tracannando un lungo sorso di bevanda. Dopo quella mia esibizione mi sorrise raggiante e cominciammo a parlare, ridere e scherzare come se ci conoscessimo da sempre, tanto che le ore volarono senza che me ne accorgessi.

Da allora ammo tutte le giornate insieme, in spiaggia, al bar e la sera con gli amici.

Dal canto mio ero felice, ma speravo fortemente che lui smettesse di considerarmi solo un’amica. Ogni volta che lo vedevo, il mio cuore accelerava i battiti a dismisura e quando non ero con lui, la sua immagine e la sua calda voce mediterranea riempivano i miei pensieri. La notte di ferragosto era prevista una grande festa in spiaggia con i falò. Indossai il costume più bello per il bagno di mezzanotte maledicendo il mio seno che non ne voleva sapere di crescere almeno di una taglia in più e lo coprii con un abitino viola leggero e aderente che avevo comprato per l’occasione racimolando gran parte dei miei pochi risparmi. Raccolsi i capelli in una crocchia spettinata sopra la testa e mi truccai con un po’ d’ombretto e del lucidalabbra. Nel complesso ero soddisfatta del risultato e speravo che questa volta lui mi avrebbe notata. Christian mi ò a prendere con il suo scooter subito dopo cena e ci andammo insieme. La festa era grandiosa, le fiamme illuminavano la sabbia dei loro riflessi e una splendida luna piena si rifletteva sul mare calmo mentre, una leggera brezza, mi scompigliava i capelli. Alcuni amici di Christian avevano portato delle radio e, al ritmo della musica che risuonava a tutto volume, la gente presente si scatenava sulle note delle canzoni di Gigi D’Agostino. Christian mi afferrò la mano e mi trascinò nella mischia. Io mi vergognavo tremendamente, avevo paura di rendermi ridicola perché non sapevo ballare. Lui riuscì a farmi dimenticare il mio imbarazzo e mi lasciai trasportare nella danza. Ballai freneticamente, con la mente libera da qualsiasi pensiero e sorprendentemente, mi divertii tantissimo. Allo scoccare della mezzanotte, qualcuno urlò a squarciagola che era ora di tuffarsi e, sfilati i vestiti, corsi nell’acqua mano nella mano con Christian. Giocammo a spruzzarci con chiunque capitasse a tiro, amico o sconosciuto che

fosse, quando, a un tratto, Christian mi attirò a sé, poggiò le sue mani sui miei fianchi e, guardandomi intensamente negli occhi, appoggiò le sue labbra alle mie. Io rimasi rigida non sapendo bene cosa fare. Inizialmente il bacio era dolce, poi, le sue labbra si fecero sempre più pressanti. Quando mi obbligò ad aprire le labbra, lui la invase. Dimentica di tutto, dell’agitazione, della sorpresa e della mia inesperienza, gli gettai le braccia al collo e gli affondai le mani nei capelli, lasciandomi coinvolgere dal momento tanto atteso. Non sentivo più nulla, né la musica, né le grida degli altri ragazzi. Eravamo solo io, lui e la sensazione di gioia che mi pervadeva tutto il corpo. Mi godetti quell’istante fino alla fine, sperando che non finisse mai. Finalmente era arrivato il tanto atteso primo bacio dal ragazzo dei miei sogni.

Ilaria

Tornai al presente e mi sollevai a sedere. Com’era facile essere innamorati a quindici anni. Ogni attimo era importante e ogni piccolo gesto rendeva felici. D’altronde cos’è la felicità se non un insieme di attimi meravigliosi vissuti intensamente. Momenti preziosi che restano impressi nella memoria per tutta la vita. Cos’avrei dato per tornare a quell’età spensierata, era tutto così semplice e i drammi, a pensarci adesso che ho trent’anni, erano delle sciocchezze assurde. Anche l’amore era naturale, immediato, non ci si ponevano troppi interrogativi, si era preda delle emozioni e si lasciavano uscire liberamente. Forse era proprio questa la differenza tra l’essere adulti e l’essere adolescenti. Da ragazzi si viveva sull’onda dei sentimenti mentre, crescendo, il lato razionale s’impossessava di noi. Mangiai velocemente il panino al salame che mi ero portata per pranzo e guardai il cellulare. Per fortuna in quel piccolo paradiso personale non c’era campo. Fumai una sigaretta e poi mi stesi nuovamente per riprendere la strada dei ricordi.

Christian

Insieme a quel bacio cominciò la storia d’amore tra me e Christian. Mi sentivo così fortunata, tra tante aveva scelto me. Ammetto che andavo in giro ringalluzzita in sua compagnia. Lui era così dolce e premuroso, sapeva farmi sentire importante con poco. Avrei desiderato che quell’estate non finisse mai, ma, purtroppo il giorno della partenza arrivò, insieme al distacco da Christian. Ci avrebbero separato più di mille chilometri e troppi giorni fino alle vacanze di Natale in cui sarei tornata lì. Quell’ultimo giorno piansi disperata tra le sue braccia, non volevo lasciarlo, volevo restare. Christian mi tenne stretta e mi promise «Ila ti aspetterò qualunque cosa succeda.» «Non mi dimenticherai in questi mesi?» «No! Ho deciso di stare con te, amo te! Vedrai che eranno in fretta. Tra la scuola e gli impegni non ce ne accorgeremo nemmeno e sarà già ora di riabbracciarci.» Annuii convinta dalle sue parole. Prima di salutarmi mi regalò un braccialetto intrecciato verde e giallo che mi legò al polso. Mi disse che ogni volta che lo guardavo, avrei dovuto pensare a lui. arono così quattro anni di relazione a distanza, tra chiamate attese trepidamente all’ora stabilita vicino al telefono ringhiando a chiunque si avvicinasse, lettere piene di parole d’amore, tira e molla vari e quei brevi periodi in cui scendevo al paese per le vacanze. L’estate del quarto anno fu la più bella. Durante la lontananza avevamo parlato del desiderio di andare oltre nel nostro rapporto e, come ormai sembrava nostra tradizione per le novità, a ferragosto decisi che ero pronta per vivere la mia prima volta con lui. Quella sera mi ero preparata con più cura del solito, Christian mi venne a

prendere puntuale e mi portò alla solita festa dei falò. Dopo la mezzanotte, quando tutti erano già ubriachi, mi prese per il polso e mi portò lontano dalla folla. Quando ormai le urla allegre si sentivano a malapena in lontananza, Christian mi appoggiò contro una barca capovolta e iniziò a baciarmi con ione sulle labbra, per poi scendere lungo la linea del mio collo, mentre una mano si infilava nello scollo della maglietta fino a toccare il seno e l’altra si insinuava sotto la mia gonna. «Chris» dissi ansimando «Se dovesse arrivare qualcuno…» «Non ti preoccupare, qui non ci viene mai nessuno e poi sono troppo ubriachi per spingersi oltre il falò». Mentre parlava, con le mani esplorava il mio corpo e con la bocca scendeva fin sotto la mia gonna. Io mi irrigidii non capendo esattamente cosa volesse fare mentre lui mi rivolgeva uno sguardo in muta preghiera. Con la testa annuii senza sapere a cosa stavo dando esattamente il consenso. Lui mi scostò con le dita la parte inferiore del costume e affondò il viso tra i riccioli del mio punto più sensibile. Quando lo sentii giocherellare con le dita e con la lingua, una sensazione mai provata si impossessò di me e cominciai a tremare. Non saprei descriverla, sapevo solo che era meravigliosa. Avrei voluto toccarlo anch’io ma non avevo idea di cosa potesse dargli piacere, così restai immobile e lo lasciai fare. «Sei pronta» disse infine con una voce roca che non gli avevo mai sentito. «Pronta a cosa?» Lui guardò divertito la protuberanza che si intravedeva sotto al suo costume e io

seguii il suo sguardo. «Oh» pronunciai imbarazzata. «Lo vuoi ancora?» Mi domandò posandomi le mani sui fianchi al di sotto della maglietta. Annuii con la testa incapace di dire altro, ci infilammo sotto la barca e mi apprestai a vivere la mia prima volta con il ragazzo che amavo più di me stessa e che credevo sarebbe rimasto tale per il resto della mia vita.

La ricordo come fosse oggi. Fu fantastica. Lontano da sguardi indiscreti, con la sola compagnia del suono delle onde e delle stelle alte nel cielo. Toccai livelli d’amore che non avrei mai immaginato potessero esistere. Dopo quella notte eravamo sempre più legati, il nostro amore stava resistendo a tutte le sfide a cui il destino ci stava sottoponendo. Certo eravamo giovani, ma il nostro amore si rinnovava continuamente e anche se era dura stare lontani a lungo, il pensiero del giorno in cui ci saremmo rivisti vinceva la malinconia. Arrivò così un altro Natale. Preparai la valigia e incartai con cura il regalo per Christian. Quell’anno avevo optato per una collana doppia con il ciondolo a forma di cuore che si divideva a metà. Andava di moda e volevo un simbolo che stesse a indicare che era tutto mio. Arrivai al paese in mattinata dopo il lungo viaggio e aspettai Christian all’ora stabilita ma lui non si presentò e neanche l’indomani e nemmeno il giorno dopo ancora. Provai a chiamarlo più volte a casa ma non lo trovai mai o almeno così mi ripetevano la madre e il fratello. Ero disperata, non capivo cosa stesse succedendo. L’avevo sentito prima di partire ed era tutto a posto. Uscii in cerca di qualche amico che potesse darmi notizie. Avevo bisogno di sapere.

Incontrai Antonella al bar, dove erano soliti incontrarsi tutti i giovani. Appena si accorse di me, il suo viso sbiancò. Capii all’istante che qualcosa non andava, lei era sempre stata amichevole e felice di vedermi. Mi avvicinai, incurante della sua reazione «Ciao Anto. Come stai?» «Ehm… bene. Sei qui per le vacanze?» «Come tutti gli anni.» «Già, giusto. Vuoi qualcosa da bere? Una birra? Offro io» le parole le uscirono come un fiume in piena, troppo veloci. Era visibilmente agitata. «No grazie» «Una cioccolata calda allora?» «Anto sei strana. C’è qualcosa che non va?» Domandai sedendomi al tavolo con lei. «No, no. Perché me lo chiedi?» Si affrettò a rispondermi. La conoscevo bene e colsi la nota nervosa nella sua voce. «Anto non prendermi in giro. Sai cosa voglio chiederti. Dov’è Christian?» «Io… Non lo so…» affermò con lo sguardo rivolto verso il bicchiere di birra che teneva tra le mani. «Smettila di dire sciocchezze, lo vedi tutti i giorni. Dimmi dov’è!» Ordinai alzando la voce e alzandomi di scatto in piedi, ottenendo parecchi occhi addosso. «Senti Ila, non tocca a me darti spiegazioni ok?» «Antonella ti prego… Sto male, è sparito da tre giorni ed io non so che pensare o forse, non voglio pensare. Ho un brutto presentimento.» Crollai a sedere sulla sedia situata dietro di me e mi coprii gli occhi con le mani. La mia amica mi appoggiò, incerta, una mano sul braccio e sospirò. Poi si decise

a parlare «Christian è andato in spiaggia.» «Da solo?» «No.» «E’ quello che temevo. Chi è lei? La conosco?» «Ilaria vai lì e scoprilo da sola. Se viene a sapere che te ne ho parlato, si arrabbierà con me ed io non voglio intromettermi nei vostri affari.» «Lo capisco. Grazie comunque.» Mi alzai e mi diressi alla spiaggia. Lo cercai per un po’, finché lo scorsi di spalle appoggiato alla barca capovolta… Non ci potevo credere, l’aveva portata al nostro posto speciale. Quello era il luogo in cui mi ero donata a lui la prima volta. Mi sentii morire doppiamente. Mi avvicinai lentamente e girai intorno alla barca. Seduta sulla sabbia, intrecciata a lui, c’era Milena. Tra tutte proprio lei, la mia acerrima nemica. C’eravamo odiate fin dall’inizio. Aveva provato in continuazione a portarmi via Christian e adesso ci era riuscita. Quella brutta, brutta… Non volevo neanche pronunciare la parola che mi aleggiava prepotentemente nella mente. Christian si accorse della mia presenza e diventò cereo. «I… Ila?» «No sono l’apparizione della Madonna! Certo che sono io! Ora capisco perché sei sparito. Ti stavi divertendo con questa poco di buono! Non hai neanche avuto il coraggio di lasciarmi! Mi fai proprio pena…» Scappai senza dargli nemmeno il tempo di rispondere. Lui mi rincorse e mi afferrò per il braccio. Non volevo voltarmi, non gli avrei mai dato la soddisfazione di vedere le lacrime rigarmi il volto. «Ila scusami. Avrei dovuto dirtelo.»

«Da quanto?» «Cosa?» «Da quanto va avanti?» «Due mesi.» «Ah bene. Avevi intenzione di dirmelo prima o poi? E pensare che quando ci sentivamo eri… eri… A pensarci bene eri un po’ strano quando ti chiedevo di raccontarmi la tua giornata.» «Scusami davvero. Avrei dovuto confessartelo prima. Posso fare qualcosa? Puoi perdonarmi?» Mi girai di scatto e gli assestai un ceffone sulla guancia. Era la prima volta che mi succedeva, non avevo mai alzato le mani su nessuno. «Puoi sparire!» Gli urlai contro e corsi via. Non riuscivo a crederci, come aveva potuto tradirmi? Lo amavo così tanto, sognavo un futuro assieme a lui. Immaginavo che mi sarei diplomata e mi sarei trasferita nel paese dove abitava, avremmo affittato una casa insieme per cominciare una nuova vita e ci saremmo sposati con una grande cerimonia a cui avrebbero partecipato tutti coloro che ci volevano bene. Quel giorno mi resi conto di una grande verità: le fiabe sono solo prodotti di fantasia e non è vero che le principesse vivono sempre felici e contente con il loro principe. Sentivo il cuore frantumato in mille schegge di vetro pungenti che mi trafiggevano fino a farmi mancare il respiro. Mi fermai e mi piegai, appoggiando le mani sulle ginocchia. Mi mancava l’aria. Con calma mi ripresi e mi sfogai tirando calci nel vuoto. Quando riuscii a calmarmi, mi diressi verso casa. ai il resto della settimana chiusa in camera mia a piangere sul letto, stringendo forte a me il cuscino. Christian non si fece più vedere né sentire. L’ultimo giorno prima di rientrare a Torino andai a eggiare sulla spiaggia,

sperando di non incontrare nessuno. Anche se era inverno, mi tolsi gli stivali e le calze e lasciai affondare i miei piedi nella sabbia fredda. Quel gesto mi aiutava a rendermi conto che ero ancora viva. Mi avvicinai al mare e presi dalla tasca la collana che avevo comprato per Christian. La strinsi forte nel pugno destro, poi aprii lentamente la mano e la fissai per qualche secondo, dopodiché, con tutta la forza che avevo in corpo, la lanciai lontano. La sentii cadere nell’acqua con un tonfo sordo, affidandola per l’eternità al fondale marino. Poco dopo mi sfilai il braccialetto che mi aveva regalato il primo anno insieme. Ormai era scolorito e rovinato ma io continuavo a portarlo perché mi ricordava lui. Era il suo primo regalo e per me valeva come fosse stato un diamante. Il braccialetto seguì la collana anche se rimase a galla. Non mi importava, l’importante era essersi sbarazzata di tutto ciò che avevo a portata di mano e che mi ricordava lui. Rinfilai calze e stivali e me ne andai. Non mi guardai indietro, né mi pentii. Lo feci per convincermi che avevo chiuso, anche se ancora non sapevo che ci sarebbe voluto molto tempo per dimenticarlo. Christian fu il primo uomo a farmi sentire sbagliata. Ero giovane, ingenua e innamorata. Nei mesi successivi mi convinsi che se mi aveva tradito era solo ed esclusivamente colpa mia. Evidentemente non gli avevo dato abbastanza e lui l’aveva cercato in Milena. Avrei dovuto far pressione ai miei genitori e finire l’ultimo anno di liceo in Puglia, facendomi ospitare dalla nonna. Invece avevo dato tutto troppo per scontato, ero sicura di Christian e del suo amore. Dopotutto ero la prima ragazza con cui lui aveva intrapreso una storia seria e poi… diceva di non poter vivere senza di me.

Parole… solo semplici parole… Quando mi ripresi, avevo una sola convinzione: mai e poi mai avrei permesso a un altro uomo di coinvolgermi così totalmente e intensamente. D’ora in poi sarei stata io quella che amava meno, sarei stata io la dominatrice nella coppia. Non andò proprio così…

Ilaria

Non feci in tempo ad analizzare la nuova piega che avevano preso i miei pensieri perché sentii un qualcosa di bagnato e appiccicaticcio sulla guancia. Aprii gli occhi e mi spaventai. Davanti alla mia faccia c’era un grosso labrador nero che mi scrutava curioso. Scoppiai a ridere per la mia reazione e cominciai ad accarezzarlo sulla testa. «Maya! Maya!» Qualcuno stava urlando. Mi voltai e vidi spuntare un uomo alto e biondo con un guinzaglio in mano. «Immagino che sia tu Maya» dissi divertita al cane. «E’ qui!» Gridai verso l’uomo facendogli cenno con la mano. Si avvicinò di corsa e s’inginocchiò vicino al labrador che scodinzolava contento. «Eccoti qui! Mi hai fatto prendere un bello spavento sai?» Poi si accorse di me «Mi scusi tanto se Maya l’ha importunata. Non so cosa gli sia preso. Di solito è buona e ubbidiente.» «Non si preoccupi, è stato un… piacevole incontro.» Lo sconosciuto mi sorrise e io mi accorsi che aveva dei meravigliosi occhi azzurri. Mi piacevano anche le piccole rughe che si aprivano di fianco ad essi. Doveva avere all’incirca la mia età e sì, dovevo ammettere che era decisamente bello. Possedeva un bel fisico asciutto, ma non palestrato come quello di Roberto. Quest’uomo era più naturale. Mi tese la mano «Piacere Mattia. Posso offrirle una bibita per farmi perdonare dell’intrusione di Maya?» «Non è necessario, davvero.» «Insisto. Mi fa piacere.» «Va bene» accettai alla fine.

Raccolsi le mie cose e ci incamminammo verso il bar. «Non ho afferrato il suo nome» asserì Mattia. «Ilaria. Possiamo darci del tu? Il lei mi fa sentire vecchia.» Sospirò e scoppiò in una risata divertita «D’accordo Ilaria. Mi sentivo in soggezione a essere così formale. Mi hai sollevato da un peso.» Nel frattempo giungemmo a destinazione e ci sedemmo a un tavolino libero, ordinando due the freddi alla pesca. «Allora, cosa ti porta qui?» Chiesi a Mattia per iniziare una conversazione. «Scappo» «Da cosa?» «Dalle pressioni del mio lavoro. Gestisco un’azienda insieme a mio padre e ogni tanto ho bisogno di una pausa. Qui mi rilasso e riesco a meditare. E tu? Come mai qui?» «Scappo» «Ah. Anche tu dal lavoro?» «No. Da me stessa» Mi guardò interrogativo. Potevo essere abbastanza certa di quello a cui stava pensando. Non immaginava una risposta del genere e doveva credermi insana di mente. «Non mi sembra positivo» affermò infine. «Non lo è» confermai. Poi continuai «Deduco che adesso scapperai a gambe levate credendomi pazza.» «No di certo. Avrai i tuoi buoni motivi. Solo non riesco a capire come una donna così giovane possa affrontare da sola un simile problema. Sono indiscreto se ti chiedo da cosa scappi?»

Lo guardai indecisa su come rispondere e lui provvide da solo «Direi di sì. Scusa se te l’ho chiesto. Vedo quell’ombra che oscura il tuo viso e ho osato chiedere troppo. Scusa di nuovo.» «Non scusarti. Probabilmente avrei fatto lo stesso. Posso dirti che è complicato e vorrei tanto che qualcuno potesse aiutarmi.» «Non hai amiche?» «Sì ma è ovvio che loro non possono essere obiettive, mi vogliono bene e mi difenderanno comunque. Invece ho bisogno di scoprire se sono io la causa di tutte le mie disgrazie.» «Che cosa avrai mai fatto di così terribile per essere causa dei tuoi mali? Secondo me esageri. Se vuoi, io sono disposto ad ascoltarti. Ti conosco a malapena e, a volte, parlare con uno sconosciuto è più facile.» Mi lasciai convincere e raccontai a Mattia della mia storia con Roberto e i motivi del mio allontanamento. Era così semplice parlare con lui, mi sembrava di conoscerlo da sempre. Lui commentava ogni tanto, poi mi poneva qualche domanda, ma, per lo più, ascoltava, cosa che i miei ex, compreso Roberto, non avevano mai fatto. Errore mio, Christian era l’unico che mi aveva ascoltato. Mattia mi faceva sentire allo stesso modo. Quando terminai, il mio nuovo conoscente commentò «Caspita! Per essere così giovane, Cupido non ti ha di certo risparmiato sofferenze.» Risi di gusto. «Lo sai che Cupido è il dio dell’amore e il suo compito è far incontrare le anime gemelle vero?» «Sì certo, ma allora chi è il dio degli amori sofferti?» Domandò battendosi un indice sulla guancia e storcendo le labbra in un’espressione buffa. Scoppiai nuovamente a ridere e scossi la testa a rispondergli che non lo sapevo. Mattia si unì alla risata e poi tornò serio. «Quel che posso dirti è che quando non ci sono vie d’uscita e nessuno può darti una risposta, puoi cercarla solo in te

stessa. Non ti conosco abbastanza da poter dire se è colpa tua, ma sicuramente posso affermare che questo Roberto non ti ama e nessuna donna merita una vita con un uomo del genere.» «Perché dici così?» «Perché l’amore è solo una parola che racchiude più sentimenti. E’ rispetto, è comprensione, è dare e non solo ricevere. E’ ascoltare e confidarsi. Un uomo e una donna devono essere complici, amanti e sì, anche amici. Quando due persone si amano, non c’è spazio per altre persone, perché la luce nei loro occhi si accende solo quando stanno insieme.» Pendevo letteralmente dalle sue labbra. Non avevo mai sentito un uomo pronunciare con tanta convinzione parole così sincere e cariche di emozione. Tornai in me e asserii «Ammetto di invidiare la tua donna.» «Non c’è nessuno per ora. La mia ultima storia è naufragata. Siamo rimasti amici però.» «Oh. Allora vuol dire che invidio la donna di cui t’innamorerai.» Fece spallucce e finì la sua bibita. Dopodiché prendemmo l’ultimo battello di ritorno verso Orta. Quando attraccò, Mattia mi salutò dicendomi che ci saremmo visti in giro e andò via con Maya. Mentre tornavo a casa, mi pentii di non avergli neanche chiesto il numero di telefono o dove alloggiava. Avrei avuto piacere di rivederlo. Un nuovo amico non poteva farmi male.

Verso sera Roberto tentò di nuovo di chiamarmi e decisi di rispondere, prima che allertasse la polizia credendomi scomparsa. «Pronto?»

«Ilaria finalmente! Dove sei finita?» «Ho bisogno di stare un po’ da sola.» «Che sciocchezza è questa! Forza torna a casa.» «No.» «Vuoi che ti venga a prendere?» Da quando era così disponibile? Tutta scena pensai. «Ho detto che non torno. Non adesso. Starò via per un po’.» «Ah sì? E con il lavoro come la metti?» «Ho preso ferie e comunque è bello sapere che ti preoccupi solo di questo.» «Non ho voglia di stare dietro ai tuoi capricci.» «Capricci? Pensi che siano capricci?» «Ovvio. So come sei fatta, se è per Ilenia, t’informo che non la rivedrò. Ora puoi tornare?» «No che non torno! Tanto se non è lei sarà un’altra e questa storia non finirà mai. Ho davvero bisogno di decidere cosa fare della mia vita.» «Fai come vuoi. Sono certo che alla fine tornerai. Lo fai sempre. Sappi che non ti chiamerò più. Ti aspetto a casa. Ciao bambina capricciosa.» Attaccò il telefono senza darmi tempo di replicare. Quant’era irritante! Lanciai con forza il telefono sul divano e me ne andai a dormire esasperata. Avevo ato una bellissima giornata in compagnia di Mattia e ora, lui, rovinava tutto. Però mi mancava… Che pensieri! Mi sgridai da sola e scivolai in un sonno senza sogni.

Ilaria

Il giorno seguente mi svegliai in tarda mattinata. Decisi che non era il caso di fare colazione vista l’ora e mi apprestai a uscire per andare a fare una eggiata. Non riuscivo a stare chiusa in casa, mi sentivo soffocare e, poi, per continuare la mia ricerca interiore, non c’era nulla di meglio che stare all’aperto e soffermarsi a prendere il sole sul lungolago. M’incamminai per le strette stradine, contornate dai caratteristici negozietti tipici dei luoghi turistici che vendevano souvenir e prodotti locali. eggiai per una mezz’ora buona prima che il mio stomaco cominciasse a brontolare mentre mi avvicinavo a una panetteria, dalla quale proveniva un buon odore di prodotti da forno. Seguii i desideri della mia pancia e comprai due grossi pezzi di pizza al salamino e olive. Aggiunsi una crostatina alla frutta come dolce e andai sul lungolago. Iniziai a dare i primi morsi e, mentre masticavo, la mia mente ricominciò a vagare nei meandri del ato.

Mimmo

Quale cassetto della memoria aprire questa volta? Non certo le storielle da poco conto che si erano susseguite dopo Christian. Non ero più riuscita a farmi coinvolgere da nessuno e avevo sviluppato un proverbiale ribrezzo per i ragazzi che si dimostravano dolci e disponibili. Dopo averli frequentati un mese, al massimo due, riuscivo a trovare un qualsiasi difetto, anche di poco conto, che mi faceva decidere di troncare la storia di turno non ancora decollata. Sembravo invece preferire le sfide, una vera e propria caccia al coniglio con i ragazzi impossibili, quelli che mi spiattellavano in faccia che si volevano solo divertire. A quel punto il mio interesse raggiungeva il culmine e desideravo solo dimostrargli che anche uno sciupa femmine si poteva innamorare. Non sapevo neanche io perché lo facevo, me l’ero chiesta molte volte. Probabilmente il mio inconscio mi portava a cercare ciò che non potevo avere perché non ero più pronta a impegnarmi. Non mi fidavo di quelli che si comportavano bene con me, anche Christian sembrava l’uomo perfetto, il principe azzurro che si sogna da bambine e poi? Si era dimostrato come tutti gli altri e mi aveva tradito. La ferita che mi aveva procurato bruciava ancora come fuoco sul cuore e, lo dovevo ammettere, lo paragonavo a qualsiasi ragazzo che conoscevo. Ogni tanto telefonavo alla mia amica Antonella che viveva nel suo stesso paese e la obbligavo a darmi informazioni. Lo feci per parecchi anni, finché, un giorno di due anni dopo, mi confessò che Christian e Milena erano andati a vivere insieme e che lei aspettava il loro primo figlio. Il mondo mi crollò addosso con tale forza che credetti di morire. Non riuscivo di nuovo a respirare come quel lontano giorno in spiaggia e, quando riuscii a riprendermi, presi tutte le foto che avevo appeso al muro della mia camera e le strappai una per una riducendole in pezzi piccoli come coriandoli, in preda a una crisi isterica. Piangevo lacrime amare che non accennavano a fermarsi. Ero stata io a farlo innamorare la prima volta, ero stata io a farlo cambiare e adesso lei si

prendeva tutto il meglio? Dovevo esserci io in quella casa e io dovevo aspettare il nostro primo figlio! Quando finii le lacrime, la rabbia s’impossessò di me e, indiavolata come non mi era mai capitato di essere, presi il cellulare e composi il numero di Mimmo, il fratello maggiore di Christian, che, come sapevo bene, aveva da sempre una cotta per me, ma non mi aveva mai dato troppa confidenza per rispetto a lui. Ovviamente, anche se l’avesse fatto, non gli avrei mai dato retta tanto ero (ero?) innamorata di Christian. Adesso era arrivato il momento che lui pagasse per il male che mi aveva fatto. Il seme della vendetta, stava crescendo rigogliosamente in me e non provai nemmeno a fermarlo. «Pronto.» «Ciao Mimmo, sono Ilaria. Come stai? E’ molto tempo che non ci sentiamo.» «Veramente non ricordo che tu mi abbia mai chiamato, comunque mi fa piacere. Io sto bene e tu?» «Oh benissimo» mentii. «Posso chiederti il motivo della telefonata? Non che mi dispiaccia, sia chiaro, ma sono piuttosto stupito.» «Non posso chiamare un vecchio amico?» «Sì… Certo… E’ solo…» Lo interruppi e continuai prima di tornare sui miei i. «Ho saputo che ti sei trasferito a Milano e mi chiedevo se ti andasse di incontrarci qualche volta per un caffè. In treno dista da Torino solo un paio d’ore.» Mimmo restò in silenzio qualche secondo all’altro capo del telefono, poi, finalmente, rispose «Penso che si possa fare. Questo week end?»

«Sarebbe perfetto!» Prendemmo accordi per la domenica mattina e io chiusi soddisfatta la conversazione con un sorrisetto diabolico dipinto sulla faccia. Era andata meglio di quanto speravo. Christian avrebbe imparato cosa fosse il rispetto e cosa si provasse con il tradimento.

Ilaria

«Ciao! Ci incontriamo di nuovo». Una voce maschile mi distolse dai miei pensieri. Diressi lo sguardo verso il proprietario e vidi con piacere che apparteneva a Mattia. Dietro di lui, Maya scodinzolava allegra. «Ciao anche a te. Comincio a pensare che tu mi segua» scherzai mentre le mie labbra si aprivano in un ampio sorriso. Ero stata davvero bene in sua compagnia il giorno prima, mi risultava così facile parlare con lui, un mezzo sconosciuto che assurdamente mi dava un senso di benessere. «Ho i miei informatori» asserì ridendo. «Come procede il tuo viaggio interiore?» «Non credo di aver fatto molti progressi. Ho analizzato la storia con il mio primo amore e, poco fa, mi stavo addentrando nei ricordi della seconda. Ho escluso le relazioni brevi senza importanza.» «Mi sembra un buon punto di partenza.» «Sì, ma non voglio annoiarti di nuovo con i miei problemi. Se non hai niente da fare perché non ti siedi qui con me sulla panchina e mi racconti qualcosa di te?» «Mi sembra una buona idea. Dato che la casualità vuole farci incontrare, sarebbe bello diventare amici a questo punto. Che ne dici? Un po’ di compagnia, in questa vacanza, non mi dispiacerebbe.» Maya alzò di scatto la sua grossa testa e guardò il suo padrone offesa. «Intendevo una compagnia umana, Maya» disse allegramente al cane. Il labrador sembrò soddisfatto e, sbadigliando, si accucciò nuovamente. Scoppiammo a ridere per il comportamento simpatico dell’animale, dopodiché, Mattia mi raccontò del suo lavoro nell’azienda di famiglia che scoprii essere un bed & breakfast situato nella maremma toscana. «Se non sono indiscreta. Perché hai chiuso la tua ultima relazione?»

«Nessuna indiscrezione. Parlo serenamente di Sara. Ci siamo conosciuti appena ventenni all’università di lettere. Lei era il mio opposto, vivace allegra e piena di vita, mentre io avo il tempo immerso nei libri. Non so cos’abbia visto in me, ma aveva deciso che ero la persona giusta per lei. Siamo stati insieme dieci anni ma alla fine ci sentivano come fratello e sorella, così abbiamo deciso che entrambi ci meritavamo qualcosa di più.» «L’amore è finito così da un giorno all’altro?» «Non saprei dirti quando è successo. Crescendo siamo cambiati. Ci siamo amati molto ma ormai avevamo bisogno di cose diverse. E’ stato il mio primo vero amore e le vorrò sempre bene.» «Vorrei poter dire lo stesso anch’io» dissi sospirando. «Vedrai, arriverà anche il tuo momento di essere felice ma devi crederci tu stessa per prima. Non so perché ma ho l’impressione che tu abbia paura di innamorarti sul serio.» «Non è vero.» «No?» Chiese alzando un sopracciglio. «Ne sei sicura? Allora perché ti imbarchi sempre in storie con uomini senza speranza?» Non risposi essendo stata punta sul vivo. Quest’uomo, questo perfetto sconosciuto, sembrava capire me più di me stessa. Cambiai argomento non volendo soffermarmi sui pensieri che si stavano formando nella mia mente. «Allora signor Freud, quanti anni ha?» «Trentuno» «Uno più di me, praticamente un vecchio.» Sorrise. «Ebbene sì e questo vecchio non vede l’ora di trovare la donna giusta per crearsi una famiglia. A volte mi chiedo se sia troppo tardi ma poi mi dico che il destino me la servirà su un piatto d’argento.»

Lo spintonai divertita fingendomi scandalizzata. «E cosa ama fare quest’uomo in attesa che Cupido scocchi la sua freccia?» «Amo viaggiare» «Dove sei stato?» Mi elencò i posti più belli che aveva visitato, raccontandomi aneddoti su ognuno. Era stato in luoghi che io desideravo vedere fin da bambina. Con Roberto non andavamo mai oltre la Liguria perché lui non aveva spirito d’avventura. Ogni tanto provavo a proporgli una fuga romantica della durata di un week end, ma la sua risposta era sempre negativa. Come scusa adduceva che non aveva senso spendere per andare in luoghi dove si mangiava male e non si capiva la lingua. Abitavamo in una città ricca di storia, se proprio volevo, mi avrebbe portato al museo Egizio o a esplorare qualche castello. Quando era particolarmente di buon umore mi proponeva un agriturismo nelle langhe con eggiata a cavallo.

Con Mattia ammo ore a parlare e ce ne accorgemmo solo perché il sole stava tramontando, proiettando caldi colori sulla superficie dell’acqua. Era uno spettacolo meraviglioso. M’invitò a cena il giorno dopo e accettai volentieri.

Quella sera non avevo voglia di uscire per cui, dopo cena, mi sistemai sulla solita sedia di vimini sistemata sul piccolo balcone e ripresi la mia ricerca da dove l’avevo interrotta nel pomeriggio.

Mimmo

Arrivò velocemente la domenica prevista per l’incontro con Mimmo e lo andai a prendere alla stazione. Scese dal treno e mi abbracciò con il calore tipico dei pugliesi. Lo portai in giro per la città e ammetto che provai spudoratamente a sedurlo, senza ottenere risultati. Quando lo salutai, ero infuriata ma non lo diedi a vedere. Il mio piano non stava procedendo come previsto. Qualche giorno più tardi mi richiamò e mi chiese se poteva tornare il fine settimana successivo. Forse non tutto era perduto! Accettai e così cominciò una routine settimanale in cui lui veniva a trovarmi. Al quarto incontrò finalmente cedette ed io ero orgogliosa della mia piccola vittoria. Ottenni solo un bacio ma era un inizio. Mai mi sarei aspettata che quella che era nata come una vendetta nei confronti di Christian si tramutasse in amore. Mimmo era il primo da due anni che riuscì a farmi provare di nuovo dei sentimenti. Proseguimmo per cinque mesi vedendoci tutti i week end, a volte andavo io a Milano, ma per la maggior parte degli incontri mi raggiungeva lui. Procedeva tutto a gonfie vele, mi faceva toccare di nuovo vette che avevo dimenticato. Il ghiaccio che avvolgeva la membrana del mio organo pulsante si sciolse. Ovviamente Mimmo era un amore leggermente più maturo, non ero più la ragazzina ingenua alla sua prima esperienza amorosa. Arrivò luglio e il matrimonio della mia cara amica Antonella giù al paese. Non potevo esimermi dal partecipare essendo la testimone. Peccato che Mimmo fosse il testimone dello sposo.

Il problema nasceva perché Christian ancora non sapeva della nostra relazione. Avevamo deciso di aspettare per comunicarglielo. Prima volevamo essere sicuri che la storia tra di noi decollasse. Qualche mese prima volevo solo che lui lo scoprisse per infliggergli il dolore peggiore. Quale vendetta migliore se non sedurre il fratello? Col tempo, però, non me ne importava più nulla, volevo solo essere felice con Mimmo. Ci recammo insieme in Puglia per partecipare al matrimonio. Ancora non avevamo deciso come procedere. In realtà, in me, iniziò a instillarsi la paura. Sapevo che Christian e Mimmo erano molto legati e non potevo prevedere come avrebbe reagito. Non volevo assolutamente che tra loro il rapporto cambiasse o si logorasse a causa mia, però, alla fine, perché avrebbe dovuto arrabbiarsi? Lui aveva Milena, stava diventando padre e presto sarebbe convolato a nozze. Ormai di me non doveva importargliene più nulla. Mimmo rimuginò per un giorno e una notte intera cercando il modo più indolore per confessare a Christian il nostro amore. Tergiversò troppo e arrivò l’ora prevista per la cerimonia. Ci incontrammo davanti alla chiesa e scosse la testa da lontano per farmi intendere di non avvicinarmi che ancora non aveva adempiuto al suo compito. Mi sentii invadere dall’irritazione ma conclusi che forse era meglio aspettare che finisse il matrimonio per non rovinare la festa agli sposi. Ci ignorammo anche al ricevimento finché Mimmo non mi vide uscire per andare a prendere una boccata d’aria nel giardino del ristorante. Superata la porta a vetri, mi diressi verso la fontana situata quasi in fondo al prato e mi ci appoggiai con le mani. Era difficile far finta di non avere confidenza con il mio fidanzato e vederlo ballare e scherzare con tutte le ragazze tranne me. Strinsi forte il bordo della fontana consapevole di essere rosa dalla gelosia. Avrei voluto gridare al mondo che era mio e tutte le donne dovevano stargli lontano.

Avevo paura, paura che lui cedesse alle lusinghe di qualcuna per poi abbandonarmi come aveva fatto Christian. Ero conscia che non fossero la stessa persona ma non potevo fare a meno di temere il peggio. All’improvviso mi sentii abbracciare da dietro la schiena e, il respiro caldo che ben conoscevo, sfiorò il mio collo. Mimmo mi girò su me stessa e mi baciò con ione. Dimentica della rabbia e della frustrazione che avevo provato fino a poco prima, gli gettai le braccia al collo e mi lasciai trasportare in balia delle emozioni, finché qualcosa o qualcuno lo staccò violentemente dalle mie labbra. Successe tutto in fretta: vidi Christian rosso in volto che assestava un pugno sulla mandibola del fratello che crollava seduto a terra e, pochi i più indietro, Milena infuriata forse più del suo compagno. Era chiaro che fosse convinta che a indurre quel gesto fosse la gelosia nei miei confronti. «Dovresti vergognarti!» Ringhiò Christian a Mimmo. «Di cosa? Non stavo facendo nulla di male. Io e Ilaria stiamo insieme da cinque mesi.» «Ah e quando pensavi di informarmi?» «Te l’avrei detto dopo il matrimonio. Perché ti arrabbi tanto? Sei forse geloso?» Lo sfidò Mimmo. «Non sono geloso!» Affermò urlando Christian. «Sono furioso con te! Tu mi hai tradito!» «Per quale motivo? Perché è la tua ex? Ti ricordo che sei stato tu a lasciartela scappare per quella lì, quindi cosa vuoi ora?» Rispose Mimmo indicando Milena. «Mi aspettavo un po’ di rispetto da mio fratello! Non avrei mai creduto che corressi dietro alle mie ex. Ci sono limiti che il legame di sangue non dovrebbe superare. Non ti perdonerò mai! Sappi che non la accetterò in famiglia. Io almeno ho rispetto per la mia futura moglie.» Girò sui tacchi, prese Milena sottobraccio e si congedarono dagli sposi.

M’inginocchiai vicino a Mimmo che era ancora a terra, prendendogli delicatamente il mento tra le mani. Una macchia scura stava iniziando a emergere. In poco tempo si sarebbe formato un grosso livido. Lo aiutai ad alzarsi e ce ne andammo anche noi. Il viaggio di ritorno fu silenzioso e imbarazzante. Nell’aria aleggiava la tensione per quello che era successo. Una volta a casa, Christian aveva chiesto al fratello di scegliere tra lui e me. Non c’era stato modo di farlo ragionare. Mimmo si trovava a un bivio: era obbligato a perdere uno dei due. Quando giungemmo a Milano, mi apprestai a raggiungere il binario del treno regionale che mi avrebbe condotto a Torino. Prima di salire sulla carrozza chiesi a Mimmo cosa aveva deciso. Lui mi abbracciò e mi assicurò che avrebbe trovato una soluzione per stare con me e recuperare il rapporto con il fratello appena le acque si fossero calmate. Tornai a casa cercando disperatamente di auto convincermi che tutto sarebbe andato bene. Non migliorò niente. Il tempo ava e Mimmo diventava sempre più distante e freddo, non si recava più tutti i fine settimana a trovarmi, inventando scuse assurde, convinto che io non me ne accorgessi. Continuammo in questo modo finché non prese il coraggio di lasciarmi… per telefono. Aveva scelto il fratello. La mia vita stava di nuovo andando a rotoli. Mi sentivo come un naufrago alla deriva. Un’altra sofferenza acuta s’impossessò della mia anima e il ghiaccio del mio cuore, che si era sciolto grazie a lui, si riformò con prepotenza e con uno strato ancora più spesso. Questa era l’ultima volta che avrei permesso a me stessa di innamorarmi. Mimmo fu il secondo disastroso amore della mia vita a farmi sentire sbagliata. Continuavo a domandarmi per quale motivo le persone che amavo sceglievano sempre altri al posto mio, donna o familiare che fosse. Non ero degna di essere

importante per qualcuno sopra ogni cosa? Non meritavo di trovare anch’io l’anima gemella? Desideravo solo sentirmi amata, essere al primo posto per l’uomo giusto. ai dei mesi inebetita finché la mia rabbia riemerse e mi permise di reagire. Ricominciai a buttarmi a capofitto in frequentazioni inutili, con uomini egoisti e superficiali. Non provavo nulla, per me erano diventati atempi usa e getta. Molte volte mi domandai se ero ancora in grado di provare emozioni o ero diventata un rigido manico di scopa. Mi comportai così per i quattro anni successivi e arrivai ai venticinque anni senza neanche accorgermene. Dietro quest’atteggiamento nascondevo la mia sofferenza per il desiderio di una relazione stabile. La volevo con tutte le mie forze, ma non avevo più l'energia né tantomeno il coraggio per imbarcarmi in un nuovo impegno. Ero terrorizzata all’idea di essere lo scarto di qualcuno un’altra volta. Ormai ero convinta che per me non ci sarebbe mai stato il lieto fine. Era un controsenso visto il mio sogno, ma era quello che mi ava per la testa all’epoca. Il giorno del mio compleanno, la mia amica Serena mi chiese se poteva portare un paio di colleghi con i quali lavorava. Le accordai il permesso senza problemi e fu quella sera che conobbi Davide…

Riemersi dal mio “viaggio”, non avevo voglia di analizzare anche la mia storia con Davide. Per oggi ero satura. Diressi invece il mio pensiero a Mattia e alla cena dell’indomani. Con mia grande sorpresa ero elettrizzata all’idea. Ero forse attratta da lui? Bello era bello con quegli occhi color cielo d’estate. Era socievole, simpatico, maturo, disponibile. Oh mio Dio! Io ero innamorata di Roberto! Probabilmente i problemi con lui mi avevano spinto a provare interesse per quest’uomo così diverso, almeno all’apparenza. Mi giustificai con quella scusa e andai a dormire.

Mattia

Il giorno seguente oziai tra il letto e il divano. Piovigginava e non avevo voglia di uscire con l’ombrello. Smise verso il tardo pomeriggio ed io mi soffermai a fumare una sigaretta davanti alla finestra del soggiorno. L’aria portava con sé il profumo dell’erba bagnata, mentre le nuvole grigie in cielo si allontanavano velocemente. Mancavano solo un paio d’ore all’appuntamento con Mattia, così spensi il mozzicone che tenevo sospeso tra le dita nel posacenere e m’infilai sotto la doccia.

Mi recai puntuale davanti al ristorante scelto e trovai Mattia già lì ad attendermi. Mi accolse con uno splendido sorriso e ci accomodammo al tavolo che aveva fatto riservare per noi sulla terrazza che dava sul lago. Faceva fresco a causa del brutto tempo della giornata, ma non abbastanza da decidere per la sala interna. Lui era bellissimo vestito con una camicia a righe viola e gli aderenti jeans scuri. Mangiammo portate a base di pesce parlando del più e del meno e finimmo una bottiglia di vino bianco che mi rese un po’ brilla. Dopo aver pagato il conto, decidemmo per una eggiata al chiaro di luna e Mattia osò chiedermi nuovamente se avevo fatto progressi. «Qualcuno» ammisi. «Se posso aiutarti, usami pure come psicologo. Dicono che sono bravo a dare consigli.» «Ah sì? E chi lo dice?» Lo presi amabilmente in giro. Lui rise divertito ed io sentivo che mi riusciva sempre più facile essere me stessa

in sua compagnia. Con Roberto non potevo permettermelo, ogni volta che ci provavo, lui mi riprendeva come se avessi cinque anni e mi “suggeriva” il modo migliore di comportarsi. «Ila stai bene?» Mi accorsi di essermi rabbuiata pensando al mio fidanzato. Mi stampai un sorriso forzato sul viso e riportai il mio sguardo su Mattia. Subito mi avvolse l’ormai familiare sensazione di pace che m’infondeva. «Oh scusami, la mia mente vola via da sola a volte. Comunque ho analizzato anche la mia seconda relazione seria e sono arrivata alla conclusione che non sono mai essenziale per nessuno.» Mattia aggrottò le sopracciglia. «Non vedo come possa essere possibile. Ti conosco poco, ma da quel che ho potuto capire, sei una persona meravigliosa.» Arrossii violentemente per il complimento inaspettato. «Non conosco le tue esperienze ate» proseguì lui. «Ma posso affermare con certezza che hai incontrato solo idioti». «Non so cosa dire… Christian, il mio primo amore, era perfetto ai miei occhi. Abbiamo ato quattro anni insieme e mi ha trattato sempre come una principessa, ci amavamo molto, non so cosa l’abbia spinto a tradirmi. Ora lui è sposato e ha un figlio con quella che all’epoca è stata la sua amante.» «Deve essere difficile vederli insieme, anche se saranno ati anni.» «In realtà non lo vedo da non ricordo neanche quanto. Lui abita in Puglia, era una relazione a distanza.» «Capisco. E questo secondo amore cui hai accennato?». «Ecco… Preferirei non scendere nei particolari. Sappi solo che ha scelto la sua famiglia al posto di continuare a stare con me. Suo… Un suo familiare non mi accettava e lui ha preferito lasciarmi per non rovinare il rapporto con questa persona.»

«Vuoi sapere cosa penso veramente?» «Sì, amo la sincerità e la pretendo da chiunque.» «Sono d’accordo con te. Per quanto riguarda Christian credo che la giovane età e la distanza non abbiano contribuito a solidificare seriamente la relazione. Mentre, per il secondo, sono convinto che non ti amasse abbastanza da lottare per voi. Se era sicuro di volere un futuro con te, avrebbe sfidato questo suo familiare pur di far valere i suoi sentimenti. Se lo si desidera con tutte le proprie forze, una soluzione si trova sempre. Non sentirti sbagliata, non era destino e basta.» Aveva colto perfettamente nel segno. Non capivo davvero come fe. «Non ti ho detto che era una relazione a distanza anche la seconda. Mimmo abitava a Milano.» «Non hai mai avuto una storia d’amore seria nella tua città?» «Sì. Con Roberto e prima ancora con Davide, ma è stata forse la più disastrosa di tutte. Ho ato tre anni a rincorrerlo senza mai raggiungerlo. Lui non voleva impegnarsi con me ed io ho provato in tutti i modi a convincerlo del contrario, senza successo.» «Mmm… Quello che mi dici su questo Davide mi porta a paragonarlo a Roberto. Non mi sembrano molto diversi.» «Lo sono eccome! Con Roberto convivo!» «Sì e lui pretende di essere una coppia aperta.» Non ribattei. Forse aveva ragione. Ci fermammo a bere un cocktail in un bar e, da brilla, divenni alticcia ma comunque non ubriaca. A fine serata, Mattia mi accompagnò al portone di casa mia e mi salutò dandomi un bacio sulla guancia. Non so perché lo feci, ma lo trattenni per il braccio e lo attirai addosso a me.

Mattia all’inizio rimase stupefatto ma poi colse l’invito che le mie labbra gli suggerivano stando tese verso di lui e vi poggiò sopra le sue. Mi baciò con una ione che non avevo mai provato in tutta la mia vita. Non volevo lasciarlo andare via e lo trascinai con me di sopra, incurante delle conseguenze del mio gesto.

Ilaria

Mi svegliai all’alba stretta tra le braccia di Mattia che dormiva beatamente, con i capelli spettinati e un pizzico di barba sulle guance che gli stava ricrescendo. Lo osservai in silenzio. Era bellissimo e perfetto. Stranamente e assurdamente non mi sentivo in colpa nei confronti di Roberto. Era stato tutto così naturale. Nessuno, neanche Christian mi aveva fatto provare quella miriade di sensazioni sconosciute. Mattia mi faceva credere che fosse tutto giusto e possibile. No, no, non potevo illudermi. Non esisteva l’uomo perfetto per me. Ogni volta che provavo a lasciarmi andare poi rimanevo delusa… e ferita. Almeno con Roberto non potevo avere ulteriori sorprese, aveva già toccato il fondo. Che cosa stavo dicendo a me stessa? Che volevo tornare a casa da lui? Riportai il mio sguardo su Mattia e mi ritrovi a desiderare solo di stare tra le sue braccia. Che confusione avevo in testa! Decisi di lasciar perdere il futuro e vivermi il momento. Mi distesi nuovamente vicino a lui e mi riaddormentai.

Quando Mattia tornò a casa per far uscire Maya, decisi di analizzare la mia ultima storia importante prima di Roberto. Tornai alla sera del mio venticinquesimo compleanno. Nella pizzeria dove avevo prenotato, vidi arrivare Serena in compagnia di due ragazzi, di cui uno, attirò la mia attenzione. Era magro, di statura media e moro. Per tutta la durata della festa mi ronzò intorno finché non decise di invitarmi a uscire. Accettai, tanto alla fine cosa avevo da perdere?

Iniziarono così i disastrosi tre anni con lui. Davide lo soprannominai Psycho insieme alle mie amiche. Era un uomo complessato e pieno di controsensi. Non perdeva occasione di ripetermi che lui non poteva impegnarsi con me, che non era pronto per una relazione stabile e che io non dovevo illudermi perché mi avrebbe fatto soffrire. Ovviamente in me scattò il lampo di sfida. Partii con la caccia alla volpe giurando a me stessa che l’avrei fatto innamorare di me quanto io lo ero di lui. Questa volta sarei stata essenziale. Provai in tutti i modi a spingerlo a dichiararmi i suoi sentimenti, ma in risposta ottenevo solo un ti voglio bene. Ricorsi a qualsiasi trucchetto che conoscevo, ma non cedeva mai. Quando mi stufavo dei suoi comportamenti e decidevo di non rivederlo più, lui spariva per giorni, a volte per settimane, per poi ricomparire piangendo e supplicandomi di tornare sui miei i. Io cercavo di resistere, ma ricadevo ogni volta nella tela del ragno e ricominciava la solita routine. Più cercavo di avvicinarlo più lui mi respingeva. Per non parlare delle uscite con gli amici. Erano tabù, pretendeva che fossimo sempre da soli, adducendo la scusa che quelle pochissime volte che aveva incontrato i miei amici non lo facevano sentire a suo agio. Non era vero perché l’avevano coinvolto e avevano provato a inserirlo nella compagnia, era lui che si negava. I suoi amici li avevo frequentati quasi per nulla. Sembrava volesse tenermi nascosta. Iniziai a pensare che si vergognasse di me. L’unico aspetto della nostra storia che funzionava era il sesso e neanche sempre. Mi resi conto troppo tardi che era un amore malato. Lo capii quando lo vidi sempre più spesso con Eliana, la sorella del suo migliore amico.

Quando lo accusavo di frequentare lei contemporaneamente a me, Davide mi giurava che erano solo amici e che non c’era niente di male. Riuscì a convincermi innumerevoli volte finché rifiutò di are il Capodanno con me e, su un social network, vidi postata una foto che lo ritraeva con Eliana a Firenze. In loro compagnia una coppia di amici che stavano insieme da anni. Appena rientrò dal viaggio, lo aspettai fuori dal suo posto di lavoro e lo aggredii. Tentò di giustificarsi e mi giurò che avevo frainteso. Questa volta non mi feci impietosire e lo piantai in asso definitivamente. Qualche tempo dopo venni a sapere che effettivamente Eliana era diventata la sua fidanzata. Quante bugie mi aveva raccontato ed io me le ero bevute tutte, attaccata alla speranza che lui s’innamorasse di me. Capii che era una menzogna il fatto che non fosse pronto per una relazione seria, non voleva averla con me. Che sciocca ero stata… Scoprii che nel giro di un mese l’aveva addirittura presentata ai genitori e la mia vecchia amica rabbia tornò a galla. Avevo di nuovo donato il mio cuore nelle mani di un uomo che l’avrebbe fatto a pezzi. Cos’avevo di sbagliato? Perché continuavo a mettermi in certe situazioni spiacevoli? Ero diventata autolesionista e masochista dopo la delusione per Christian? Forse per questo in seguito avevo scelto Roberto, sapevo com’era fatto e non avrei più avuto brutte sorprese. Ma chi volevo prendere in giro… Stavo tentando in tutti i modi di intrappolare il suo cuore senza troppo successo. Di nuovo.

Squillò il cellulare che mi riportò al mondo reale. Era Mattia che mi comunicava che mi sarebbe ato a prendere fra poche ore.

Stavo tradendo Roberto ma volevo vivere quella nuova esperienza con quell’uomo. Che male poteva farmi? Dopotutto il mio fidanzato non era degno della mia fedeltà.

ai le seguenti due settimane in compagnia di Mattia, trascorrendo giornate da sogno. Non pensavo a nulla e misi da parte i miei problemi. Ammetto che non pensai mai neanche a Roberto. Facevamo eggiate, gite e parlavamo delle nostre vite. Ogni giorno scoprivo qualcosa di lui che aggiungeva un tassello all’opinione positiva che avevo. Stavo vivendo una favola, mi sentivo una ragazzina alla sua prima cotta, ero tornata ai tempi in cui credevo che l’amore vero fosse ancora possibile. Con Mattia mi sentivo libera, stavo bene e ridevo di gusto come non mi succedeva da tempo immemore. Se solo avessi potuto, avrei fermato il tempo e racchiuso noi due in una bolla di felicità.

Mattia

Purtroppo però dovetti tornare con i piedi per terra. La vacanza di Mattia giunse al termine e mi comunicò con immenso dispiacere che doveva tornare alla solita vita. Aveva già prolungato il soggiorno di una settimana per stare con me e non poteva più permettersi di rimandare il rientro a casa. Quell’ultima sera ci incontrammo sul lungolago ed io mi sentii pervadere da un’intensa tristezza. Camminavamo mano nella mano in silenzio. Nessuno dei due sapeva come comportarsi. Ci sedemmo su una panchina con lo sguardo perso nel vuoto. Mattia sospirò e prese parola per primo, quasi sussurrava «Allora ci siamo…» Mi limitai ad annuire e lui proseguì «Ilaria dì qualcosa di prego.» «Non so cosa dire. Ho ato dei momenti indimenticabili con te ma ora dobbiamo dirci addio. Sapevamo sarebbe successo.» «Non dobbiamo per forza… Vieni con me.» Mi voltai di scatto incredula «In Toscana? E’ stato bello, ma è finita.» Si girò verso di me e mi prese le mani «Non deve per forza finire. Possiamo stare insieme se lo desideri.» Certo che avrei voluto ma le mie esperienze mi avevano insegnato a non nutrire speranze. Come potevo rivoluzionare così la mia vita per una persona che conoscevo appena? E quando si sarebbe stufato di me cos’avrei fatto? Sarei tornata a casa di mia madre con la coda tra le gambe e accompagnata dall’ennesimo fallimento? «Mattia non posso. Lo vorrei in circostanze diverse ma ora no.» «E’ per Roberto? Non farti frenare da un uomo che ti ha trattato come l’ultimo dei suoi giocattoli. Sono stato con te quasi tutto il tempo, ti ha mai chiamato? Si è mai preoccupato per te?»

«Mi aveva detto che non avrebbe più telefonato… Aspettava che rinsavissi.» «Esattamente un comportamento da uomo innamorato vero? Se fossi stato al suo posto, ti avrei convinto a dirmi dove ti trovavi e sarei venuto a supplicarti di tornare con me.» «Non credo che avresti agito in questo modo se fossi sparita mentre dormivi come ho fatto.» «L’avrei fatto di certo! Anche solo per avere una spiegazione. Si lotta per il proprio amore Ilaria, quante volte devo ripetertelo prima che tu te ne convinca?» «Lo so, hai ragione, l’ho capito. Ammettiamo, per ipotesi, che tu mi convinca, cosa farò quando ti sarai stancato di me e mi lascerai per un’altra donna che ti farà innamorare?» «Non siamo tutti uguali e mi dispiace che pensi questo di me. Non ti farei mai del male ma questo lo devi capire da sola, non posso obbligarti a credermi.» «Su quali basi dovrei crederti?» Domandai con le lacrime agli occhi. «Perché ti amo e non posso pensare di continuare la mia vita senza te accanto. In poco tempo sei diventata indispensabile per me.» «Mi conosci da poco più di due settimane. Come puoi dirmi che mi ami? Non ti credo!» Mi alzai di scatto e feci per andarmene ma lui mi trattenne afferrandomi per il polso. «Lo dico perché è vero. L’amore è semplice, non ha tempi o modi. E’ amore e basta e quando arriva bisogna solo avere il coraggio di accoglierlo. Perché vuoi impedirci di essere felici?» «Perché il lieto fine per me non esiste!» Scappai via piangendo. Non potevo più restare lì con Mattia o avrei ceduto. Lo accusavo di mentire riguardo al suo amore per me, ma sapevo che anch’io provavo lo stesso per lui.

Ilaria

Partii per Torino un paio di giorni dopo. Mattia aveva provato a telefonarmi milioni di volte, mi aveva inviato messaggi e provato a suonare al mio camlo per tutta la notte precedente alla sua partenza. Io non risposi mai. Arrivai a casa e aprii la porta con un macigno sul cuore. Mi accolse il silenzio. Roberto evidentemente era a lavorare. Avevo lasciato i bagagli in auto e andai in cucina a versarmi un bicchiere d’acqua. Mattia mi mancava immensamente. Mi stavo obbligando a dimenticarlo ripetendomi che avevamo ato un periodo bellissimo insieme ma era finito. Era solo una parentesi nella mia vita reale. Provavo a convincermi ma non ci riuscivo. I suoi occhi, la sua bocca, i suoi capelli, la sua voce, tutto era impresso indelebilmente nella mia anima. Udii un rumore provenire dalla camera da letto. Allora Roberto doveva essere in casa e stava riposando. Andai nella stanza a o svelto e mai mi sarei aspettata di vedere la scena che mi si presentava davanti. Roberto era sì a letto, ma non da solo. Dormiva abbracciato a una donna che associai a Ilenia per la descrizione che mi aveva fatto. Non ebbi reazione. Quello che vidi mi lasciò completamente indifferente. Non provavo più nulla per Roberto, sempre che avessi mai provato realmente amore per lui. Non ne ero più così convinta. Probabilmente mi ero solo illusa di amarlo perché non volevo stare da sola. Capii finalmente che dopo la mia storia con Christian avevo cercato inconsciamente sempre uomini impossibili, che sapevo che non avrebbero mai potuto rendermi felice.

Avevo sofferto così tanto per il suo tradimento che mi auto infliggevo dolore nella forma di questo tipo di uomini. Volevo l’amore ma non riuscivo a fidarmi, era più forte di me. Per questo allontanavo i bravi ragazzi. Almeno dagli uomini poco seri sapevo in anticipo che mi avrebbero deluso. Il gioco del gatto col topo era spinto solo dal mio desiderio contrastante di essere amata incondizionatamente da qualcuno. La mia ricerca dell’impossibile era finita, ora sapevo cosa volevo ed ero finalmente libera dalla gabbia in cui mi ero rinchiusa buttando via la chiave. Ero finalmente pronta a lasciarmi andare e ad accogliere l’amore vero. Ogni relazione era un rischio certo, ma sentivo che ora sarebbe stato diverso. Mattia aveva perfettamente ragione: l’amore, se è vero, è semplice. Roberto aprì gli occhi mentre io entravo in possesso della mia nuova consapevolezza. Quando mi vide, saltò giù dal letto completamente nudo tentando di giustificarsi. La donna al suo fianco si svegliò a sua volta e tentò maldestramente di coprirsi con il lenzuolo. «Ila cosa ci fai qui? Non è come pensi.» «Roby, non penso niente. Sono tornata solo per dirti addio. Me ne vado per sempre» dissi serenamente. «Ma cosa dici? Mi rivesto e ne parliamo ok?» La donna sul letto era evidentemente indignata per il tentativo di Roberto di trattenermi. Provavo pena per quella poveretta che non sapeva a cosa stava andando incontro. «Non abbiamo niente da dirci. Se mi fate il piacere di rivestirvi prendo la mia roba e poi vi lascio casa libera. Attendo in salotto.» Lasciai Roberto a bocca aperta e girai sui tacchi.

Pochi minuti dopo comparvero entrambi con i vestiti addosso. Roberto ricominciò a supplicarmi di restare e la donna se ne andò sbattendo la porta. Lo lasciai parlare senza ascoltarlo veramente mentre prendevo le valigie e le riempivo dei miei beni. ai così le tre ore successive e, dopo aver caricato tutto sulla mia Lancia Ypsilon, salutai Roberto sulla porta ancora scioccato. Avevo chiuso col ato e mi apprestavo a seguire finalmente il mio cuore. ai la notte da mia madre spiegandole la mia decisione. Stranamente mi appoggiò. Era stanca di vedermi fare scelte sbagliate e voleva che fossi felice.

La mattina dopo chiamai Mattia per avvertirlo che avevo deciso di seguirlo e che stavo per partire. Non poteva essere più felice. Mi diede l’indirizzo e impostai il navigatore. Poco dopo imboccai l’autostrada e nella mia mente aleggiava un solo pensiero: “Io so chi sono e nessuno può permettersi di farmi sentire sbagliata. Non sono perfetta, certo, ma chi al mondo lo è. Se le persone fossero più consapevoli di cosa vogliono dalla loro vita, non avrebbero tempo di divertirsi a distruggere quella altrui. Non comprenderò mai come certi individui godano a ferire gli altri. Ma non m’importa. La sola cosa importante è che ho finalmente consapevolezza di me e dei miei desideri. Non mi lascerò più sopraffare dalla paura, ma amerò liberamente e sinceramente. Voglio essere felice e Mattia è la mia felicità. Ne sono certa, questa volta non sto sbagliando.„ La strada si allungava dietro di me mentre con la mia Lancia Ypsilon, compagna di mille avventure, mi dirigevo verso una nuova vita, dove sarei stata finalmente libera.

Ringraziamenti

Per questo racconto mi sento in dovere di ringraziare tutte le persone che amano, soffrono, lottano e si mettono in gioco giorno per giorno senza pensare alle conseguenze. Non è dato sapere cosa riserva il futuro per ognuno di noi ma non bisogna mai perdere la speranza perché il momento giusto per ottenere la nostra ricompensa arriva per tutti. Non esiste azione più coraggiosa al mondo di amare e lasciarsi amare. Lasciatevi sempre trasportare dall’istinto e dalle emozioni e non sbaglierete mai. Se anche sbagliaste sarà una lezione che comporrà una parte essenziale di voi ma almeno potrete dire di aver vissuto.

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