L Orgoglio Dello Sceicco: Harmony Destiny 1y455

Titolo originale dell’edizione in lingua inglese: The Sheikh’s Redemption Harlequin Desire © 2012 Olivia Gates Traduzione di Roberta Canovi

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Books S.A.

Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

© 2013 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

eBook ISBN 978-88-5898-564-9

Prologo

Ventiquattro anni prima

Lo schiaffo si abbatté sul viso di Haidar, facendolo andare a fuoco. Prima che potesse sussultare, ne arrivò un secondo sull’altra guancia, di manrovescio; la pietra preziosa incastonata nell’anello gli marcò una dolorosa scia nella carne. Disorientato, sentì un rombo di tuono mentre le lacrime gli annebbiavano la vista. Gli ammonimenti continuavano a investirlo, i ceffoni a sbattergli la testa da una parte all’altra. Alla fine uno gli fece perdere l’equilibrio e cadde in ginocchio. Le lacrime bruciarono la ferita sulla guancia come un rozzo disinfettante, mescolandosi al sangue. Sopra di lui risuonò una voce tranquilla. «Versa altre lacrime, Haidar e ti farò gettare in prigione. Per una settimana.» Deglutì, alzò gli occhi sulla persona che più amava al mondo, paralizzato dall’incomprensione. Perché si stava comportando così? La madre non aveva mai alzato le mani su di lui; non gli aveva mai neanche tirato le orecchie, o bacchettato le dita come invece era accaduto al gemello Jalal, per le marachelle combinate. Lui era il suo preferito. Era stata lei stessa a dichiararlo, a mostrare in ogni occasione la propria stima e il proprio favore. Di recente, però, c’erano state occasioni in cui l’aveva delusa, anche se non aveva fatto niente di male – anzi, aveva fatto qualcosa degno di lode. La cosa l’aveva confuso. Eppure, niente avrebbe potuto prepararlo per quella furia gelida e imprevista proprio nel momento in cui si era aspettato la massima approvazione. La donna lo squadrò dall’alto della sua statura maestosa, l’aspetto di una dea mitologica, gli occhi artici. «Non aggravare la tua stupidità con i guaiti: alzati e subisci la tua punizione come fa sempre tuo fratello – con coraggio e dignità.»

Haidar quasi si lasciò scappare che era proprio Jalal – e il cugino Rashid, da lui amato come un fratello – che meritava quella punizione: era stato il loro esperimento a mandare a fuoco un’intera stanza del palazzo e a rovinare la loro festa del decimo compleanno, un esperimento al quale lui non aveva partecipato, che aveva raccomandato loro di non tentare. Poiché erano sempre stati due scavezzacollo, Jalal e Rashid avevano ormai esaurito la pazienza degli adulti; la loro punizione sarebbe stata severa. Haidar era apprezzato per la prudenza e l’impegno, perciò la sua riserva di clemenza era intatta. E così si era fatto avanti, assumendosi la colpa dell’incidente. La confessione aveva suscitato le previste reazioni da parte del padre e del tutore di Rashid, ossia sorpresa seguita dall’accettazione della sua spiegazione e accantonamento dell’intera faccenda; a quel punto, però, si era fatta avanti la madre. Dai suoi occhi Haidar aveva capito che sapeva cos’era successo davvero, e perché si era assunto quella colpa. Si era aspettato ammirazione, e invece si era guadagnato quegli schiaffi che non erano cessati nemmeno quando il marito, il re di Zohayd, le aveva ordinato di fermarsi. Haidar si alzò in piedi e si portò una mano tremante alla guancia sporca di sangue. La madre gliela cacciò via. «Ora chiedi perdono a tuo fratello e a tuo cugino per la tua lentezza nel confessare la tua stupida trasgressione, che ha quasi fatto sì che fossero puniti loro al posto tuo.» Rimase ammutolito dall’incredulità, il petto che bruciava. Una cosa era farsi punire al posto loro, ma chiedere perdono, e davanti a tutti i presenti, ai parenti, ai servi... alle ragazze! La madre gli afferrò il viso in una morsa dolorosa, le unghie lunghe che gli graffiavano la ferita. «Fallo.» Lo lasciò andare con uno spintone, facendolo barcollare dall’altra parte fino a trovarsi di fronte a Jalal e Rashid. I due bambini avevano gli occhi fissi per terra, i volti arrossati, il fiato corto. «Jalal, Rashid. Guardate Haidar.» La regina Sondoss di Zohayd parlò con voce chiara e autoritaria, che raggiungeva ogni angolo della sala. «Non risparmiategli la vergogna di supplicare il vostro perdono davanti a tutti.»

Gli sguardi di Jalal e Rashid si alzarono su di lei prima di rivolgersi a Haidar, affranti e contriti. La madre lo esortò con un colpo alla testa. «Di’ loro che ti dispiace, che non farai mai più nulla del genere.» Bruciato dalla mortificazione, fissò negli occhi il gemello, poi il cugino e migliore amico, nonché fratello del suo cuore, e ripeté le sue parole.

«Non sono stato io!» sbottò Haidar non appena la madre ebbe finito di medicargli la ferita alla guancia. Ora che si trovavano nella privacy delle sue stanze, doveva giustificarsi, perlomeno ai suoi occhi. Il sorriso della regina era pieno di orgoglio e di amore mentre baciava il viso che aveva ferito. «Lo so.» Quindi aveva visto giusto! «So tutto. Di sicuro su di te e Jalal e quella canaglia di Rashid.» L’ammissione non fece che aumentare la sua confusione. «Ma allora... perché?» Lei gli posò dolcemente la mano sulla guancia. «È stata una lezione, Haidar. Volevo mostrarti che nemmeno tuo fratello e il tuo migliore amico muoverebbero un dito per risparmiarti. Ora sai che nessuno merita il tuo aiuto, il tuo sacrificio. Ora sai che non puoi fidarti di nessuno. Soprattutto, ora sai che cos’è l’umiliazione, e farai sempre tutto il necessario per evitarla.» Gli girava la testa all’udire quelle spiegazioni, quelle implicazioni. Non voleva crederle, ma... lei aveva sempre ragione. Che avesse ragione anche su quello? La regina si accucciò accanto a lui, lo abbracciò. «Tu sei il mio vero erede e farò qualsiasi cosa perché non ti venga mai fatto del male, perché tu possa diventare l’uomo che otterrà tutto ciò che merita: questo mondo ai tuoi piedi. Capisci perché ho dovuto farlo?» Scosso da quella nuova prospettiva, annuì. Più che altro perché voleva andarsene, per pensare. La madre gli accarezzò teneramente il capo. «Il mio bambino.»

Otto anni prima

«Sei proprio come nostra madre.» Haidar strinse gli occhi, come se avesse ricevuto un colpo allo stomaco. Jalal stava rigirando il coltello nella piaga che gli era cresciuta nel petto fin da quando erano stati abbastanza grandi da rendersi conto di cosa fosse, la madre. Di com’era chiamata. La regina demone. Purtroppo, nonostante i sentimenti che provava per lei, Haidar era stato costretto ad ammettere che quel titolo era più che meritato. Pur possedendo una bellezza ultraterrena e un’intelligenza fuori dalla norma, unite a numerosi altri talenti, la donna gestiva le proprie qualità come armi letali. Si pregiava di non essere inquinata dalla sciocca debolezza della benevolenza. Invece che usare le proprie doti per guadagnarsi degli alleati, collezionava servitori e coorti di intimoriti. E godeva nel farsi dei nemici, primo tra tutti il suo stesso marito. Se non fosse stato per l’intenso amore che nutriva per i figli – o meglio, per lui in particolare, e in dosi alquanto minori per Jalal – Haidar avrebbe dubitato della sua appartenenza al genere umano. Ma ciò che lo aveva sempre tormentato era che, più cresceva, più si rendeva conto di essere il suo vero erede; aveva percepito dentro di sé la macchia del suo temperamento, il disagio cronico delle sue doti peggiori. Aveva vissuto nel timore che un giorno avrebbero annullato quella parte della propria natura che era più decente e comionevole. Era un’ironia della sorte che Jalal gli avesse rigettato in faccia quella somiglianza proprio in quel momento, quando aveva cominciato ad avere la sensazione che l’ombra della madre si allontanasse da lui. Da quando aveva conosciuto Roxanne... «Me lo rimangio.» Jalal, il gemello che gli assomigliava probabilmente meno di

qualsiasi altra persona al mondo, scosse il capo in segno di disgusto. «Sei peggio di lei. E non avrei mai pensato che fosse possibile.» «Parli come se fosse un mostro.» Non avevano mai parlato così apertamente della madre. In effetti, parlavano sempre meno, di qualsiasi cosa. Jalal scosse il capo, il movimento disinvolto ma evidente, un monito che, anche se erano simili per taglia e forza, lui era quello più... fisico. «E le voglio bene lo stesso. Ma questo è l’affetto cieco che una madre estorce sempre e comunque ai propri figli. Tu non hai lo stesso beneficio, non su questo. Questa è un’occasione in cui non posso, non voglio razionalizzare o perdonare la tua spietatezza.» Incapace di gestire la disapprovazione del fratello, non più di quanto fosse mai riuscito a fare, Haidar si lasciò sopraffare dalla furia e dal sospetto che lo avevano spinto a quel confronto aperto. «Quindi è questa la tua strategia? Come dicono in Azmahar, “lancia le accuse prima che lo faccia il tuo avversario”?» «Non sono stato io a venire a cercarti.» Il tono di scherno del fratello gli rose quel minimo di controllo che gli era rimasto. «Non avrei mai immaginato che fossi un così misero perdente, e solo perché Roxanne ha scelto me.» Jalal sbottò in una breve risata amara, gli occhi brucianti come ghiaccio nero. «L’ha fatto perché l’hai manipolata. Ingannata.» «Non riesci a trovare una scusa più realistica per aver cercato di portarmela via?» replicò Haidar sopprimendo un’altra esplosione indignata. «Sappiamo entrambi che potrei avere qualunque donna desideri senza neanche provarci, e senza bisogno di manipolarla.» «Non avresti avuto Roxanne. Quella prima sera ha visto che razza di gelido misantropo sei. Devi aver messo in scena una recitazione da Oscar per interpretare il personaggio di cui lei si è innamorata.» Haidar non era mai ricorso alla violenza, nemmeno da bambino, quando era cresciuto in mezzo a un manipolo di parenti tutti maschi abituati a risolvere i problemi in maniera... tangibile. Aveva sempre tenuto sotto controllo il proprio

temperamento, adoperando il freddo ragionamento per raggirarli. In quel momento avrebbe voluto cambiare i connotati di Jalal, e dovette farsi forza per resistere all’impulso. «Resta il fatto che è mia.» «E infatti la tratti come se fosse una tua proprietà. Peggio ancora, come uno sporco segreto, costringendola a nascondere il vostro rapporto persino a sua madre, a sopportare il modo in cui sbatti in faccia all’opinione pubblica tutte le altre donne che hai “senza nemmeno provarci”. Le hai detto che sono mezzi per sviare l’attenzione da lei, vero? Non oso immaginare come si sentirebbe se sapesse che l’hai presa in giro fin dall’inizio.» Haidar vibrò di rabbia. «E tu conosci per filo e per segno il suo stato d’animo perché sei il suo innocente confidente, giusto? E vuoi portare la vostra cosiddetta amicizia dagli incontri di squash a quelli di letto. Be’, la vedo dura, perché lì ci sono io. Sempre.» «Un vero gentiluomo, che racconta prontamente le sue prodezze amorose.» «Non c’è bisogno di giri di parole, dato che sai della nostra relazione. E, nonostante questo, cerchi lo stesso di portarmela via.» «Tu non la vuoi nemmeno!» sibilò Jalal. «L’hai sedotta per battermi. È solo una pedina in un altro dei tuoi giochi di potere.» «Sei tu quello che ha dato inizio a quel gioco, anche se convenientemente te lo sei scordato.» «Ho scordato quella stupida scommessa nel giro di cinque minuti. Invece tu l’hai presa come prendi qualsiasi cosa, con ossessione competitiva. Ti sei dato un gran daffare per intrappolarla.» «E tu vuoi salvarla dal mostro cattivo? Ammetti che la vuoi per te?» Jalal indurì la mascella. «Non ti permetterò di usarla.» «E come pensi di fermarmi?» «Le dirò tutto. Non solo sei come nostra madre: hai ereditato il peggio di entrambi i lati delle nostre famiglie. Sei un manipolatore freddo e geloso e maniaco del controllo, e devi vincere a tutti i costi. È arrivato il momento che le

mostri il tuo vero volto.» Il treno era ormai lanciato nella sua folle corsa, e non c’era modo di evitare lo schianto. «C’è solo un neo, nel tuo piano. Se lo fai, non sarà solo la mia faccia che non vorrà più vedere, ma anche la tua.» «Mi sta bene perdere Roxanne, se è il prezzo da pagare perché anche tu la perda.» La detonazione della furia e della frustrazione mandò in frantumi i freni. «Se glielo dici, Jalal, non mostrarmi mai più la tua faccia.» Negli occhi di Jalal si diffuse una totale apatia. «Mi sta bene anche questo.» Il rumore di una porta che si chiudeva lo fece voltare, smorzando l’ira nei confronti del fratello. Roxanne. Mentre avanzava nel soggiorno, Haidar si sentì scaldare il sangue, il cuore che accelerava. L’effetto che aveva su di lui si amplificava ogni volta che la vedeva, ed era così fin dall’inizio, da quando aveva pensato che la loro storia sarebbe stata niente di più di una relazione appagante per entrambi, da concludere una volta che si fosse saziato. Prima di conoscerla, non avrebbe mai pensato di poter scalare simili vette di emozioni, di poter provare ioni tanto profonde. Lei era fuoco vivo fatto carne e sangue, di una bellezza incandescente, di uno spirito tempestoso, con un potere irresistibile. Ed era sua. Doveva dimostrarlo, averne la certezza, una volta per tutte. Il timore che provasse qualcosa per Jalal gli aveva messo a rischio la salute mentale. Un commento volante della madre gli aveva insinuato il seme del sospetto, ma ciò che gli aveva fatto mettere radice era stato lo scoprire che Roxanne aveva mostrato la propria vera essenza al fratello, ma non a lui. La cosa lo aveva fatto scattare, spingendolo ad affrontare entrambi. Jalal aveva chiarito la propria posizione. Ma non avrebbe avuto importanza, se lei avesse scelto lui. E doveva scegliere

lui. Cercò la conferma nella ione che le si accendeva sempre negli occhi al vederlo, ma nel secondo che gli concesse il proprio sguardo, quegli occhi erano vacui. Dopodiché si posarono su Jalal. Haidar si lanciò su di lei, stringendole le dita sul braccio, quasi violento nel proprio bisogno di sapere, il cuore che batteva all’impazzata, come quello di un cavallo selvaggio. «Di’ a Jalal che non può mettersi tra di noi, non importa cosa dice o fa. Digli che sei mia.» Il suo viso divenne una maschera di stupore. Poi si indurì, gli occhi che si trasformarono in ghiaccioli di smeraldo. Gli scacciò la mano come se la stesse sporcando. «È per questo che mi hai ordinato di mollare tutto? Ti rendi conto di quanto sei raccapricciante?» Fu il turno di Haidar di sbarrare gli occhi. «Raccapricciante? Jalal sta sviluppando... fraintendimenti, riguardo a te. Dovevo spezzarli sul nascere.» Gli occhi divennero due fessure di rabbia e disgusto. «Non mi importa ciò che dovevi spezzare. Non puoi convocarmi come se fossi uno dei tuoi lacchè, e non puoi pretendere di coinvolgermi in una lite con tuo fratello nella quale dimostri di essere un cavernicolo territoriale che vuole che si ripetano a pappagallo le sue parole. Sei tu quello che ha frainteso: non hai alcun diritto su di me.» Il cuore gli si fermò nel petto, le fondamenta del cervello che tremavano pericolosamente. «Io ho un diritto, quello che mi hai concesso quando sei venuta nel mio letto, quando hai detto di amarmi.» «Ricordi quando l’ho detto, vero?» Mentre lui la stava eccitando alla follia portandola a un orgasmo devastante. «Ma grazie per aver chiarito come stanno le cose. Torno negli Stati Uniti, e non sapevo come salutarti. Voi uomini prendete sempre l’abbandono di una donna come un colpo al vostro ego, e diventa sgradevole. Ero preoccupata che con te lo sarebbe stato ancora di più, visto che sei il principe di due regni con un ego delle dimensioni di tutti e due messi insieme.» Lui scosse il capo, come se avesse ricevuto troppi colpi. «Smettila.» «Certo» concesse lei scrollando le spalle, «smettiamola. Tu eri il candidato

migliore per l’avventura esotica che volevo vivere durante il mio soggiorno qui, ma dato che ho deciso di tornare a casa, dovevo porvi fine. Ho dei bisogni, come tu sai, e per quanto tu sia bravo a letto, non posso restare ad aspettare che tu i da me per soddisfarli. Devo trovare un nuovo stallone che sia disponibile con regolarità. O magari tre. Ma ti do un consiglio: non dimostrarti tanto territoriale con le tue nuove fiamme; fa are subito la voglia. E mi impedisce di congedarmi con un arrivederci sincero. Ora che so che tipo di potere pensavi di avere su di me, sono talmente disgustata che proprio non ho più voglia di rivederti.» Haidar la guardò voltarsi, incamminarsi con i misurati e uscire dalla stanza. In pochi secondi, la porta si richiuse con un tonfo sordo, il suono del rigetto, dell’umiliazione. Dall’altra bocca del tunnel che stava collassando, udì la macabra distorsione della voce di Jalal. «Ma guarda un po’. Ha più istinto di quanto pensassi. A quanto pare non c’era bisogno che mi preoccui per lei.» Haidar guardò il fratello attraverso gli occhi che sembravano di un estraneo. «Dovresti preoccuparti per te. Se mai ti verrà in mente di comparirmi di nuovo davanti.» Il gemello che riconosceva appena lo fissò con altrettanto disprezzo. «Non ti preoccupare. Penso sia arrivato il momento di purgare la mia vita dalla tua presenza.» Haidar rimase a lungo a guardare nel vuoto dopo che Jalal se ne fu andato. Non avrebbe dovuto finire così. Jalal avrebbe dovuto giurargli che non avrebbe mai oltreato la sacralità della sua relazione con quella donna. Roxanne avrebbe dovuto assicurargli che i suoi dubbi erano ridicoli, senza fondamento. Avrebbe dovuto riavere indietro il fratello, e l’amante, per sempre. Le due persone che aveva creduto più vicine non avrebbero dovuto lasciarlo. Invece l’avevano fatto. Non fidarti di nessuno.

Le parole della madre gli riverberarono nella testa. Aveva avuto ragione. Lui aveva ignorato la sua saggezza, e non era certo di poter sopravvivere al prezzo che aveva dovuto pagare. Ma non sarebbe successo mai più.

1

Presente

Non capita tutti i giorni che a un uomo venga offerto un trono. Trattandosi di Haidar, non sarebbe dovuto capitare mai. Eppure, la gente di Azmahar – o perlomeno i clan che costituivano una buona percentuale della popolazione del regno – lo avevano appena fatto. Avevano mandato i rappresentanti più autorevoli a chiedere, convincere, supplicare che si candidasse alla corsa alla corona vacante di Azmahar. Aveva pensato che scherzassero. E quando aveva capito che facevano sul serio, era andato su tutte le furie. Avevano perso il senno, a offrirgli il governo del regno che i parenti materni a lui più prossimi avevano quasi distrutto, e al quale i parenti paterni avevano inflitto il colpo di grazia? Chi mai avrebbe voluto che lui vi rimettesse piede, tanto meno per governare? I rappresentanti avevano insistito di parlare a nome di quelli che lo consideravano il salvatore di cui Azmahar aveva bisogno. Una cosa che Haidar non avrebbe mai immaginato di poter essere era un salvatore: non era possibile, per genetica. Come avrebbe potuto? Era progenie del diavolo. «Re Haidar ben Atef Aal Shalaan» provò le parole ad alta voce. Suonavano come un mucchio di stupidaggini. Non solo il titolo di re, ma anche i cognomi erano menzogne: non erano più suoi, non gli appartenevano.

In fondo, non era un Aal Shalaan, non quanto i suoi fratelli maggiori: senza la prova incontrovertibile della legittimità incarnata da Jalal, alla loro nascita si sarebbe scatenato un putiferio. Sotto ogni punto di vista, carne, sangue e spirito erano quelli della famiglia Aal Munsoori. La famiglia della madre, la regina demone. L’ex regina demone. Peccato che lui non potesse essere un ex figlio del diavolo. La madre lo aveva assillato fin da piccolo con la sua paura che gli aborriti nemici Aal Shalaan, a partire dal marito e dai suoi figli maggiori, lo contaminassero, lui che era il suo vero erede. Da quando aveva posato gli occhi sui gemelli appena nati, aveva capito che era Haidar che costituiva una sua replica, e non si era data la pena di pensare a un nome per il fratello. Il padre l’aveva chiamato Jalal, proclamandolo la grandezza degli Aal Shalaan. E Jalal stava facendo un ottimo lavoro a confermare l’ambiziosa dichiarazione del re. La regina aveva scelto il nome per lui. Haidar, il leone, un altro tipo di re. Già all’epoca aveva complottato per farlo diventare tale, pur sapendo che era impossibile. Senza una rivoluzione, cioè. Come principessa di Azmahar, era convolata a nozze con il re di Zohayd sapendo che il figlio mezzo azmahariano non avrebbe potuto salire al trono: secondo le leggi di successione, solo i principi di puro sangue zohaydiano potevano partecipare alla corsa al trono. Così aveva tramato, plausibilmente fin dal primo giorno, per far cadere Zohayd a pezzi, per poi rimetterlo insieme con se stessa al comando. A quel punto sarebbe stata in grado di dettare nuove leggi che avrebbero reso i suoi figli gli unici in grado di ereditare la corona, con Haidar primo della lista. A due anni di distanza dalla scoperta, con conseguente stroncatura, della cospirazione, Haidar ancora si sentiva soffocare: la regina avrebbe potuto provocare una guerra. Lo avrebbe fatto, tranquillamente, se le avesse permesso di raggiungere il proprio obiettivo. Aveva sottratto l’Orgoglio di Zohayd, i gioielli che conferivano il diritto di governare il regno. Aveva pianificato di consegnarli al principe Yusuf Aal Waaked, sovrano di Ossaylan, perché detronizzasse il marito e salisse al trono.

Avendo solo una figlia, e trovandosi nell’impossibilità di generare altri eredi, Yusuf avrebbe nominato i suoi figli come successori e non appena si fosse seduto sul trono l’avrebbe sposata. Inoltre, lei avrebbe minacciato il fratello, re di Azmahar, affinché abdicasse, per collocare lui, primogenito per sette minuti, sul trono di un super-regno formato da Zohayd, Azmahar e Ossaylan. Quando Haidar aveva scoperto la sua trama, e le aveva domandato spiegazioni, supplicandola di tornare sui propri i, la regina demone si era detta sicura che il figlio alla fine avrebbe apprezzato ciò che aveva fatto per lui, avrebbe abbracciato il ruolo che gli aveva ritagliato su misura. Neppure Amjad, suo fratello maggiore e attuale re di Zohayd, che diffidava di ogni cosa che si muovesse, aveva sospettato di lei. Essendo la regina, se il re fosse stato deposto lei avrebbe avuto molto da perdere. Ingegnosa. Haidar riconosceva nella propria mente e nei propri metodi la stessa premeditazione convoluta e programmatica, ma la riservava rigorosamente agli affari, tanto da raggiungere il top nel campo dello sviluppo tecnologico a tempo di record. La madre adoperava quell’intelligenza intricata a ogni respiro. Sospirò, abbassando gli occhi su Durrat Al Sahel – la perla della costa, capitale di Azmahar. Dall’alto aveva una visuale fin troppo chiara della crisi che era stato chiamato a risolvere. Aveva creduto di aver assistito al peggio con la perdita di petrolio lungo la costa; la perfida marea nera che aveva macchiato le acque di smeraldo era già un orrore di per sé. Ma vedere la disorganizzazione e il deterioramento persino da quell’altezza era una chiara dimostrazione di quanto fosse profondo il problema, di quanto sarebbe stato difficile risolverlo. Azmahar. L’altra metà della sua origine. In rovina. Che terribile peccato. Aveva pensato che non avrebbe mai rivisto quel luogo. Il giorno che Roxanne l’aveva lasciato, lui era partito giurando che non avrebbe mai fatto ritorno. Non solo stava tornando, aveva promesso di considerare la candidatura alla sovranità. Aveva preteso che il suo arrivo restasse segreto, in modo da poter svolgere le proprie indagini e prendere una decisione senza l’assillo di ulteriori suppliche.

Era ancora sconcertato di aver concesso tanto. All’apparenza, si trovava sull’orlo di un errore di proporzioni catastrofiche. Davvero assurdo come la vita riesca a dare motivo agli uomini di commettere l’impensabile. Dopo il rigetto della terra paterna, quella materna richiedeva disperatamente il suo intervento: valutare la possibilità di esserne davvero il salvatore era stato un richiamo praticamente irresistibile. E doveva anche ammettere che l’idea di redimersi era alquanto allettante. Nonostante la logica lo separasse dal tradimento della madre, i fatti erano incontrovertibili: le azioni della regina si insinuavano nella sua stessa identità. La sua assoluta e oltraggiosa prevaricazione aveva macchiato l’onore e l’immagine del figlio, a prescindere da ciò che sosteneva la famiglia. La maggior parte di loro, almeno. Jalal era meno incline all’assoluzione, ovviamente. Jalal. Altro motivo per cui aveva preso in considerazione l’idea di tornare. Il gemello era un altro candidato al trono, dopotutto. E poi c’era Rashid, il migliore amico suo e del fratello trasformatosi nel rivale più acerrimo. Altro candidato. C’era da stupirsi che fosse stato tentato? Lasciare quei due palloni gonfiati nella polvere sarebbe già stato un motivo più che sufficiente. Perciò che fosse dovere, redenzione o rivalità a guidarlo, ogni ragione era valida. Ma nessuna di quelle era il vero catalizzatore che l’aveva riportato in Azmahar. Roxanne lo era. Era tornata. E Haidar aveva preso la cosa come un’esortazione del destino a smetterla di cercare di non pensare a lei. Come aveva fatto per otto anni. Otto anni. Era arrivato il momento di sottrarle il monopolio dei suoi ricordi, della sua

amarezza. Ne aveva abbastanza di situazioni in sospeso: si sarebbe sbarazzato del suo fantasma una volta per tutte.

«... ripercussioni e soluzioni, signorina Gleeson?» Roxanne sbatté le palpebre. L’uomo distinto che si trovava di fronte aveva i capelli argentati, e la guardava con fiducia. Lo sceicco Aasem Al-Qadi era il suo contatto con il governo interinale fin da quando aveva avuto quell’assegnazione, due mesi prima. E ora lei doveva concentrarsi per ricordare chi fosse, e che cosa ci fe lui – diavolo, che cosa ci faceva lei lì. Si schiarì la voce e la mente. «Come sa, il problema interessa l’intera regione e molte entità internazionali collegate, ognuna delle quali ha una propria complessità, dei propri obiettivi e delle proprie idee su come gestire la crisi. Uno studio affrettato non farebbe che causare ulteriori disinformazioni e complicazioni.» «L’ultima cosa che voglio fare è metterle fretta, signorina Gleeson» la rassicurò lo sceicco sollevando la mano con l’anello d’onice e argento. «Speravo solo di avere un ruolo più attivo nelle sue indagini e, se è possibile, di dare un’occhiata alle tempistiche che prevede per il progetto.» «Le garantisco che, quando sarà possibile stabilire un programma temporale realistico, sarà il primo a saperlo.» Tentò il sorriso che aveva perfezionato da tempo, formale e amichevole allo stesso tempo, che le guadagnava sempre una buona collaborazione. «E alla mia squadra può senz’altro far comodo le proposte che lei metterebbe sul tavolo.» Dopo innumerevoli convenevoli e quella che le parve la riaffermazione della fiducia nelle sue capacità, lo sceicco Al-Qadi lasciò il suo ufficio. Lei si appoggiò alla porta che gli aveva chiuso alle spalle e gemette. Che cosa ci faceva, lì? D’accordo, quell’incarico era il sacro Graal di qualunque analista politicoeconomico. E lei era stata cresciuta per avere quel ruolo. Però l’aveva riportata

dove avrebbe potuto incontrare Haidar. Era stata sicura che non sarebbe successo. Aveva seguito le sue mosse, e lui non era mai tornato in Azmahar. E poi, non era più la ragazzina che si era pazzamente innamorata di lui: era una delle strateghe-analiste più ricercate nel campo, e quello era il suo terzo incarico di peso. Se per un capriccio della sorte le fosse capitato di incrociarlo, lo avrebbe trattato con la neutralità e la diplomazia che la rendevano una capace professionista. Tuttavia, non avrebbe mai corso il rischio, se non fosse stato per sua madre. Non aveva avuto alcuna possibilità quando la madre, in lacrime, aveva insistito che quell’incarico, una sorta di estensione del suo vecchio mandato, era la sua redenzione, il modo perfetto per farsi perdonare il modo in cui era stata allontanata da Azmahar nella vergogna. Quando Roxanne aveva ribattuto che avrebbero dovuto richiamare lei, aveva scoperto che in effetti alla madre avevano offerto quello stesso ruolo, ma lei aveva rifiutato, non volendo tornare in attività. Era Roxanne che si stava costruendo una carriera, che era nella posizione unica di possedere le conoscenze della madre unite alla propria prospettiva più fresca e a metodi intrepidi. Così era capitolata, aveva firmato e preparato armi e bagagli. C’era così tanto da fare, in Azmahar. Secondo i locali, l’unica cosa giusta che il re Nedal aveva fatto da quando era stato incoronato, decadi prima, era l’aver contrattato il matrimonio della sorella Sondoss con il re Atef Aal Shalaan, conquistandosi l’alleanza di Zohayd. Che aveva rischiato di essere interrotta dalla stessa Sondoss, la vipera madre di quel serpente che era Haidar. Roxanne non aveva alcun dubbio che l’esilio comminato all’ex regina al posto dell’incarcerazione fosse una conquista di Haidar sugli Aal Shalaan – quell’uomo sarebbe stato in grado di ottenere le strisce da una tigre. Quando Amjad, fratellastro di Haidar, era diventato re di Zohayd, tutti avevano pensato che il suo primo atto sarebbe stato infliggere il colpo letale ad Azmahar, ponendo fine al sostegno del regno: dopotutto, non aveva alcun obbligo nei riguardi della terra natia della matrigna. Stranamente, però, questo non era successo.

Poi, un mese dopo l’arrivo di Roxanne, era scoppiato l’inferno. Quello sciocco arrogante dell’ormai ex sovrano di Azmahar aveva votato contro Zohayd riguardo un intervento armato in un paese confinante nell’ultimo summit di difesa della regione, facendo strappare la tenue tolleranza che Amjad aveva mantenuto per Azmahar. E il regno che era stato tenuto insieme dalla colla della protezione dell’alleato era caduto in pezzi. E mentre Azmahar barcollava sull’orlo del baratro, era avvenuta la catastrofe: un’esplosione in uno dei maggiori impianti di trivellazione aveva provocato una fuoriuscita di greggio nel mare prospiciente le coste. Incapace di affrontare i tumulti, in risposta alle proteste nazionali e dell’intera regione, il re aveva abdicato. I figli e i fratelli del sovrano, ritenuti anch’essi responsabili, non avrebbero potuto succedergli. Azmahar era piombata nel caos, e Roxanne era una delle persone chiamate a contenere la situazione, sul piano interno e su quello internazionale, proprio mentre i clan più influenti cominciavano a combattere l’uno contro l’altro. Dall’anarchia totale si erano formate tre fazioni, ognuna delle quali ava un nuovo re. Uno dei candidati era Haidar. Il che significava che sarebbe tornato. E lei l’avrebbe incrociato. Lo desiderava quanto poteva desiderare una pugnalata al cuore. D’altro canto, quella l’aveva già ricevuta – da lui. Imprecò a denti stretti. Era acqua ata, e probabilmente lei stava ingigantendo i fatti. All’epoca aveva avuto ventun anni, e il modo in cui era stata cresciuta, da figlia unica, le aveva permesso di formarsi una forza emotiva pari a quella di una quattordicenne. E dannazione, se lui era stato bravo. Fenomenale sarebbe stato ancora riduttivo. C’era da aspettarselo che lei ne diventasse dipendente, a livello fisico quanto emotivo. Poi si era svegliata – fine della storia.

Aveva voltato pagina, aveva costruito altre relazioni. Una avrebbe anche potuto funzionare; che non fosse successo non aveva nulla a che fare con quella creatura ultra dotata col cuore di ghiaccio. Dio. Si ritrovava stretta all’angolo a difendere i propri sentimenti e i propri fallimenti da un ricordo. Peggio ancora: da un’illusione. Alla faccia del patetico. Si scostò dalla porta, tornando alla scrivania; recuperò ventiquattrore e borsetta e uscì dall’ufficio. Impiegò una ventina di minuti per attraversare la città; una cosa di cui non ci si poteva lamentare era il trasporto pubblico: pianificato, efficiente, ben costruito – zohaydiano. E ci sarebbe voluto un miracolo per togliere Azmahar dai carboni ardenti senza l’aiuto di Zohayd. Non c’era da meravigliarsi che gli azmahariani volessero disperatamente riavere il sostegno degli ex alleati. E una buona percentuale di loro aveva stabilito che l’unico modo per ottenerlo fosse mettere sul trono la stessa incarnazione della fusione tra Zohayd e Azmahar. Ma poiché gli esseri umani sono portati per natura a litigare, non erano riusciti a mettersi d’accordo su quale incarnazione. Varcati i cancelli automatici del complesso in cui si trovava l’appartamento che le era stato concesso, ancora una volta non poté fare a meno di sentirsi a disagio da tanto lusso. Quello che la metteva veramente a disagio, però, era la prospettiva di ritrovarsi Haidar di fronte. Girava voce che nessuno dei candidati avesse ancora rimesso piede nella capitale, il che significava che probabilmente l’incontro non sarebbe stato tanto imminente. Avrebbe dato qualunque cosa perché non dovesse avvenire affatto. D’altra parte, avrebbe dato qualunque cosa per una quantità di probabilità irrealizzabili: la vicinanza della madre, un padre, una qualche forma di famiglia. In pochi minuti raggiunse quel trionfo decorativo che era il suo appartamento, che occupava un quarto del tredicesimo piano. Sospirò di apprezzamento quando fu accolta dall’aria fresca e fragrante e dall’illuminazione calibrata. Si rifugiò subito nella doccia, uscendone digrignando i denti con un po’ meno ferocia.

Ricostruire i canali politici ed economici del regno era una sfida eccitante. Ma ora che gli ibridi – così venivano chiamati – Aal Shalaan erano entrati di peso nel quadro, e quindi nella sua prospettiva, la sua capacità di concentrazione e la sua serenità venivano costantemente messe a dura prova. E lei aveva bisogno di entrambe per organizzare l’enormità di informazioni in soluzioni fattibili. Perché anche se il nuovo re si fosse insediato l’indomani, riversando liquidi nelle casse del regno, non sarebbe servito a molto. Un trillo sconosciuto interruppe il silenzio dell’appartamento insonorizzato. Sussultò. Corrugò la fronte. Infine esalò pesantemente. Cherie le stava quasi facendo rimpiangere di averla invitata a stare da lei. Era la sua migliore amica dei tempi dell’università, ed erano rimaste in contatto. Il ritorno di Roxanne era coinciso con l’ultima tempestosa separazione di Cherie dal marito azmahariano. Se n’era andata lasciandosi tutto alle spalle, comprese le carte di credito. ato il momento del dramma, Roxanne avrebbe dovuto affittarle un posto dove stare; apprezzava molto la sua compagnia, la sua energia e l’imprevedibilità, ma Cherie prendeva il proprio caos creativo un po’ troppo sul serio. Era un tornado, e dove ava si ritrovavano vestiti sul pavimento, piatti sporchi nel lavandino; soprattutto, dimenticava le basi delle misure di sicurezza. Evidentemente aveva dimenticato le chiavi di casa. Borbottando tra sé, Roxanne attraversò l’atrio, imprecando quanto il camlo suonò di nuovo. Si attaccò alla porta, aprendola di scatto. E il mondo smise di girare. Sulla soglia... Haidar. L’aria le soffocò i polmoni. Le si bloccò il fiato, la mente, mentre l’uomo che ricordava in allarmante dettaglio si mosse con grazia letale appoggiando il braccio sinistro sullo stipite. Il suo sguardo la percorse da capo a piedi, dandole l’impressione di stuzzicare ogni terminazione nervosa, prima di ritornare ai suoi occhi, un sorriso lento che si allargava su quelle labbra scolpite.

«Lo sai, Roxanne. È da otto anni che me lo chiedo.» La melodia pigra e fatale emessa dalla sua bocca la travolse. Il sorriso si trasmutò nell’espressione che un predatore annoiato rivolge alla sua preda prima di finirla in un sol colpo. «Quanto ci hai messo, dopo che mi hai lasciato, a trovarti un nuovo stallone che fosse regolarmente disponibile? O tre?»

2

Finalmente, nella mente di Roxanne, qualcosa riprese vita. Non un pensiero vero e proprio, solo... Wow. Wow. Ancora e ancora. Così era quello l’effetto che otto anni avevano avuto su Haidar Aal Shalaan. La maggior parte degli uomini è più attraente a trent’anni che a venti, accidenti a loro. Una buona parte migliora ancora coi quaranta, e persino coi cinquanta. La perdita della gioventù sembra definire la loro mascolinità, infondere loro un certo carattere. Nel caso di Haidar, Roxanne aveva creduto che non ci fosse spazio per un miglioramento: a ventisei anni sembrava aver già raggiunto il massimo potenziale della sua perfezione. Eppure... Wow. Era maturato da epitomo di bellezza in una manifestazione di virilità da forza della natura. La sua immaginazione andò in corto circuito quando cercò di prevedere come sarebbe stato di lì a dieci anni, o trenta. Il suo corpo si era riempito di simmetria e forza, il viso scolpito secondo linee di potenza e spietatezza incondizionata. Era diventato un dio di virilità e sensualità, creato dall’essenza di entrambe. Duro come la terra del deserto, minaccioso come le sue notti. E altrettanto brutale e devastante nella sua magnificenza. Ogni traccia della dolcezza che un tempo aveva ammorbidito la sua bellezza, riscaldato il ghiaccio che costituiva il suo fulcro vitale, era stata cancellata. «Allora, Roxanne?» Inclinò la testa. Lei sarebbe rabbrividita se il suo corpo fosse stato capace di una qualche reazione, anche involontaria. «Ho fatto delle scommesse su chi di noi avrebbe trovato un rimpiazzo più in fretta.» «Perché scommettere quando si conosce già il risultato? Io ho dovuto tornare a casa, iscrivermi di nuovo all’università, prima di andare a caccia. Ci è voluto del tempo. Tu non hai dovuto far altro che ordinare una sostituta dalla lista d’attesa,

quel giorno stesso.» Haidar fece scattare le sopracciglia sulla fronte. Se era stupito, non lo era più di quanto non fosse lei. Da dove le era uscita una simile replica? Evidentemente aveva accumulato più risentimento di quanto avesse pensato. E la sua comparsa improvvisa aveva provocato una frattura: meglio depressurizzare e togliersi il pensiero. «Touché.» Gli occhi si colorirono di divertimento letale. «Ho sbagliato. L’oggetto della scommessa non avrebbe dovuto essere il tempo che avresti impiegato a trovare un rimpiazzo, ma quanti rimpiazzi avresti trovato. Stavo solo citando le tue parole d’addio quando ho parlato di uno o tre, ma dalla conoscenza... intima della portata dei tuoi... bisogni, sono pronto a scommettere che la cifra si aggiri piuttosto intorno ai trenta.» Il suo primo istinto fu quello di staccargli la testa con un fendente. Ingoiò l’impulso, se ne lasciò bruciare. Per quanto detestasse la sua faccia tosta, Haidar era importante. Vitale, addirittura. Per Azmahar, per tutto quel dannato pasticcio. La sua influenza era determinante, in tutta la regione e nel mondo intero. E Roxanne non era solo una donna indignata al ritrovarsi l’ex amante senza preavviso sulla soglia di casa; era la donna che avrebbe dovuto risolvere la crisi. Che Haidar diventasse re o meno, avrebbe comunque giocato un ruolo essenziale nella soluzione che lei avrebbe formulato. Pertanto avrebbe fatto bene a tenere a freno repliche impulsive, e fare ricorso alla professionalità di cui poteva vantarsi per dirottare quel confronto lontano dalle ripicche di basso livello. Poi aprì la bocca. «Considerato il ritmo che tenevi tu con le donne mentre ci frequentavamo, tu avrai raggiunto il numero di trecento.» Prima che potesse prendersi mentalmente a schiaffi, la sua espressione si fece quasi diabolica, stuzzicandola ancora di più. «Che c’è? Mi sono persa uno zero? È più prossimo ai tremila?» Ricacciando la testa all’indietro, lui scoppiò a ridere. E il cuore le si strinse nel petto: quel suono, quella vista... erano così felici, così magnificenti, così... Le erano mancati così tanto, anche se non ricordava di

averlo mai visto ridere così... «Un numero del genere costituirebbe un problema logistico» replicò lui senza smettere di ridere. «Persino l’harem più grande scoppierebbe con tanti corpi nubili. O volevi dire tremila in sequenza?» Lei lo fulminò con gli occhi. «Sono certa che tu sia in grado di gestire entrambi gli scenari.» «Lo sapevo che avrei dovuto rivolgermi a te per rifocillare il mio ego» considerò con un’altra risata. «Ma temo di doverti deludere: i racconti che hai sentito riguardo i miei... exploit sono decisamente esagerati. Dopotutto avevo delle priorità da rispettare, e c’erano altri appetiti più importanti da soddisfare: successo, potere, denaro. L’impegno per conquistarli non si sposa molto bene con l’appagamento costante della propria libidine tra braccia femminili. Il tempo ha un’estensione limitata, e come tu ben sai le donne possono portartene via fin troppo.» Le fremettero le labbra, di derisione, della sofferenza che ancora le stringeva il cuore. «No, non lo so. Gioco ancora per la stessa squadra.» «Non sei mai andata neanche... in prestito? Avrei pensato che qualcuno con i tuoi... bisogni non ci avrebbe pensato due volte ad allargare i propri orizzonti riguardo la ricerca del piacere.» «Perché, tu l’hai fatto? Hai allargato i tuoi orizzonti?» «E come potrei?» Rincarò la risata. «In fondo sono un cavernicolo incapace di evolvermi oltre il mio livello di programmazione. L’unica cosa che ho potuto fare è seguire il tuo consiglio: mi sono liberato di qualsiasi traccia di istinti territoriali.» A quel punto Roxanne gli restituì l’occhiata da capo a piedi, infondendola di disprezzo. Ma avrebbe fatto meglio a evitarlo: non poteva far alcun bene al cuore di una donna, o ai suoi ormoni, avere un sovraccarico di quella perfezione, di come riempiva, spingeva contro gli abiti nero su nero. Un invito a toccare, a impazzire... Digrignò i denti quando percepì la reazione incontenibile del proprio corpo. «E questa dev’essere una dimostrazione della leggendaria memoria eidetica che si

dice possediate voi Aal Shalaan. Come se aveste bisogno di ulteriori doni dal cielo.» Imperturbabile, per un istante Haidar abbassò lo sguardo sul piede che li separava. «Se pensi che abbiamo ricevuto più di quanto ci spettava, sentiti libera di esporre le tue rimostranze al fato. Ma se ritieni che una memoria infallibile sia una benedizione, significa che non sei mai stata afflitta da una simile condanna. Il vero dono è la capacità di dimenticare.» Il cuore le si costrinse per un’emozione che la lasciò confusa. Rimpianto? Simpatia? Empatia? No. Questo avrebbe indicato una risposta a qualcosa che lui sentiva. E come tutti sapevano, la capacità di sentire non rientrava tra le sue dotazioni. Roxanne strinse gli occhi, più che altro seccata per la crepa nella propria determinazione. «A pensarci bene, dev’essere davvero terribile. Avrai così tanti ricordi che preferiresti dimenticare, o quanto meno sfocare abbastanza da poter razionalizzare.» Ogni traccia di cattiveria svanì mentre si infilava le mani in tasca. «Di certo a volte aiuta sfumare i ricordi.» Ma poi la sfida predatoria lampeggiò di nuovo. «Tuttavia, avere una chiarezza non offuscata dal tempo ha i suoi vantaggi: mi rende un nemico spietato e inflessibile.» «Già, e sono in molti ad amarti per questo.» «Ho l’aria di uno che ricerchi o anche solo rispetti l’amore?» La sua finta offesa sarebbe stata irresistibile, se non fosse stata anche una provocazione insopportabile. Roxanne si sentiva a un pelo dallo sfogare la propria dissotterrata frustrazione in un violento attacco fisico a quel monolite del tutto privo di sensibilità! Invece, esalò il fiato. «Quel sentimento lezioso e inutile, eh? No, da quanto ho sentito tu vuoi solo obbedienza, cieca, muta e stupida.» La stessa essenza della soddisfazione prese forma nel suo sorriso. «E la ottengo. Molto utile, e incredibilmente rassicurante, per qualcuno nella mia posizione.»

«Figlio di tua madre fino all’ultimo gene, non è così?» «Mi piace pensare di essere una versione aggiornata e migliorata.» Il suo sorrisetto le fece venir voglia di attirarlo a sé per i capelli per assaporare quelle labbra spietatamente sensuali – e per strappargliele via. Era sempre stato tanto... provocatorio? Era stato esasperante, inflessibile nel pretendere che si fe sempre a modo suo. E nell’ottenerlo, in una maniera o nell’altra. Ma lei era stata così innamorata – o perlomeno così spudoratamente e ciecamente attratta fisicamente da lui – che la furia che la sua prepotenza continuava ad aizzare sotto la superficie di beatitudine non faceva altro che rendere più esplosivo ciò che provava per lui. Ma ora quella dipendenza era stata purgata. Ora sapeva che razza di persona si trovava di fronte e poteva reagire come avrebbe sempre dovuto. Come stai ampiamente dimostrando, no? «Invitami a entrare, Roxanne.» Lei deglutì, cercando di districarsi dall’influenza che aveva su di lei, maledicendo se stessa per quanto fosse facile per lui, e difficile per lei. «Tu vuoi... vuoi entrare?» «No, sono venuto per sostenere un duello verbale sulla porta.» Haidar si fece avanti e lei reagì d’istinto per abortire il o che lo avrebbe portato oltre la soglia. «Non mi può importare di meno cosa sei venuto a fare. Ma il duello è finito. Non è stato molto carino da parte sua are a trovarmi, principe Aal Shalaan. Spero di non rivederla.» Lui riprese la postura precedente, le gambe divaricate, le mani in tasca. «Ma guarda. Tutte quelle lodi che ho sentito sulla sua abilità di affrontare le situazioni più spinose e gli individui più esasperanti devono essere state esagerate.» «Nessuno ti aveva preso in considerazione nell’immaginare una spinosa esasperazione. Persino i miei poteri diplomatici hanno un limite.» «O magari io sono la tua kriptonite.» A quel punto, il suo sorriso era diventato

l’epitomo della pazienza: un cacciatore con tutto il tempo del mondo per tendere la trappola alla sua preda. «Per quanto abbia apprezzato la nostra schermaglia d’apertura qui fuori, preferirei continuare la battaglia in un’atmosfera più discreta. Per il tuo bene, davvero. Sei tu che vivi qui; di certo non desideri che i tuoi vicini siano testimoni delle nostre... escalation, no?» «Ma dato che queste non avranno luogo, non avranno niente di cui essere testimoni. Se non della tua dipartita.» Fece per chiudere la porta, ma incontrò un palmo con novanta e a chili di muscoli e virilità alla base. «Tu sai chi sono, vero?» Roxanne spalancò gli occhi. «Mi vuoi far pesare la tua autorità?» «Pensi che ricorrerei alla mia posizione per ottenere ciò che voglio? Sarebbe così noioso e puerile...» «Se non ti riferivi al fatto che sei l’onnipotente principe di due regni, che cosa diavolo era quella minaccia?» «Nessuna minaccia, solo l’esposizione di un fatto. Togli tutta la bardatura e chi sono?» Il maschio più magnificente della storia. «Un’immensa spina nel fianco?» rispose invece ad alta voce. L’occhiata che le rivolse le fece rizzare ogni pelo che aveva sulla pelle. «Il figlio della regina delle infami.» Lei rimase a fissarlo. Non poteva essere più d’accordo su sua madre, ma non aveva idea che lui la pensasse allo stesso modo, e che tanto meno fosse disposto ad ammetterlo. «Questo è certo.» Imperturbabile, addirittura soddisfatto della conferma, allargò il sorriso fino ad abbagliarla. «Quindi ti rendi conto di cosa sia disposto a fare per raggiungere gli obiettivi che mi pongo. Oppure hai bisogno di una dimostrazione?» L’appartamento si chiuse su di lei. «Non capisco neanche perché entrare in casa mia sia un obiettivo, per te. Se ho stuzzicato il tuo spirito antagonistico, digli di

tornare a dormire. Abbiamo già usato tutte le cartucce: qualsiasi altro battibecco sarebbe ridondante, e a nessuno dei due piace perdere tempo.» Quando scrollò le spalle, Haidar era la disinvoltura fatta persona. «Primo, abbiamo appena iniziato il riscaldamento. Secondo, non penserai certo che sia disposto a consentire un’altra brusca interruzione tra di noi, eh? Otto anni fa mi hai colto alla sprovvista, e in più ero giovane e malleabile. Terzo, si trattava di un appunto retorico, vero? Sul fatto del perché voglia entrare... nel tuo spazio personale. Ti guardi allo specchio, ogni tanto? E hai una qualche idea del tuo aspetto in questo preciso momento?» Per la prima volta, Roxanne si concentrò su come doveva apparire, su come si sentiva – piccola e indifesa senza i tacchi vertiginosi, gli abiti da professionista e il trucco, con i capelli lasciati ad asciugare all’aria. Con in più la vulnerabilità data dall’avere indosso solo un accappatoio. Riusciva quasi a sentire il suo sguardo che si infilava sotto la morbida spugna per esplorare, ricordare e apprezzare i cambiamenti che in otto anni erano avvenuti nel corpo che un tempo aveva posseduto interamente e ripetutamente. Stabilendo di averla messa a disagio fino al livello desiderato, la indicò con un gesto ampio. «Aggiungici le gioie della tua lingua biforcuta, e ti chiedi ancora le mie motivazioni?» Roxanne arricciò il naso, allargando gli occhi. «E tu credi che, dopo che mi ha esposto le sue intenzioni dissolute, io potrei invitare nel mio spazio personale un uomo grosso il doppio di me, venti volte più forte e due milioni di volte più potente?» «Pensi di non essere al sicuro, con me?» le domandò allora facendosi serio. Haidar poteva essere molte cose, ma le donne le avrebbe sempre conquistate col piacere, non col dolore; grazie alla seduzione, non alla coercizione. Non potendo liberarsi di lui con quella scusa, lei sospirò. «No. Però io non ti voglio qui.» Un sorriso trasformò il viso di Haidar in quell’esemplare unico di maschio che conosceva alla perfezione il livello di sovrapproduzione di estrogeni che provocava nelle femmine. «Invece sì. Ricordo in ogni minimo dettaglio cosa

vuoi e come lo vuoi, Roxanne. La mia conoscenza della tua mente può essere fallace, specie dopo otto anni, ma il tuo corpo non è cambiato, e io ne conosco ogni centimetro, e so decifrare ogni suo segnale.» Lei dovette contenere l’istinto di dargli una ginocchiata nei paesi bassi. «La mia comparsa improvvisa ti ha sconvolto. Questo ti ha messo sulla difensiva, e questo ti ha fatto arrabbiare. Vuoi che me ne vada solo per riorganizzare le difese.» Una ginocchiata piccola piccola... Di sicuro non avrebbe fatto troppi danni. Alla sua carriera. La sua espressione compiaciuta era studiata apposta per tendere ancora un po’ il suo controllo già sfilacciato. «Ma puoi riorganizzarti anche con me nei paraggi. Mi posso preparare una tazza di tè mentre ti calmi. Puoi anche vestirti, se preferisci – se hai bisogno della difesa psicologica degli abiti, intendo dire.» «Non riesco a credere quanto tu possa essere arrogante.» «Arrogante è sempre meglio di raccapricciante. A quanto pare mi sto evolvendo, dopo tutto.» «Siamo ancora in attesa di giudizio, su questo.» Haidar si appoggiò più comodamente allo stipite, come se si preparasse a restarci per ore, se fosse stato necessario. «Comunque sia, ti rinnovo l’invito ad andartene, ora. Hai bisogno di un buon sonno ristoratore per affrontare la situazione che ti aspetta.» «La situazione può continuare ad aspettare. Detto ciò, ripeti dopo di me: è acqua ata, e vuoi farmi la cortesia di accomodarti, Haidar?» «È acqua ata, e vuoi farmi la cortesia di andartene, Haidar?» Al che lui si appoggiò le mani sui fianchi. «Credi davvero che possa considerare l’idea di farlo? Comincio a dubitare della tua intuizione e dell’accuratezza delle tue analisi.» Digrignare i denti fu la sua unica reazione. I battibecchi sono come sabbie mobili: più si parla, più si rimane invischiati. Meglio non aggiungere altro.

Rivolgendole un’ultima occhiata infastidita, Haidar si voltò. Se ne stava andando? Davvero? Lei lo fissò allontanarsi, sbalordita. Haidar non si arrendeva mai... Lo stava facendo apposta per spiazzarla. Infatti, prima di svoltare a sinistra, scomparendo dalla vista, lui si fermò. Il cuore di Roxanne schizzò alle stelle. Cosa...? Voltatosi di nuovo, Haidar suonò il camlo dell’appartamento più lontano dal suo. Che diavolo...? Senza fermarsi, tornò indietro, fermandosi al secondo appartamento per suonare anche quel camlo, e poi al terzo. Dopodiché si piazzò in mezzo al corridoio, mezzo rivolto verso di lei, spostando con calma lo sguardo da una porta all’altra. Prima che Roxanne potesse registrare le sue azioni, una delle suddette porte si aprì. Dopo due secondi se ne aprì un’altra, e poi anche l’ultima. Dopodiché i suoi vicini – o meglio, visto che era fortunata, le sue vicine – spalancarono la bocca al vedere Haidar; se sulle prime erano state caute al sentire suonare il camlo senza la precedente comunicazione dalla portineria, l’immediato riconoscimento le lasciò allibite. Haidar si godette lo spettacolo per un istante prima di esordire. «Mi spiace disturbarvi, signore. Non ero certo di quale fosse l’appartamento giusto.» «Oh mio dio, è lei!» Susan Gray, amministratore delegato ultra quarantenne del ramo azmahariano di un’impresa costruttrice multinazionale, balbettò come una ragazzina. «È il principe Haidar Aal Shalaan!» Ma Haidar scosse il capo regale, facendo ondeggiare come seta i morbidi capelli – di proposito, senza dubbio. «Oh, no, sono solo il suo sosia. Sono stato ingaggiato online da una signora che vuole vivere la fantasia di dominarlo. Ha anche pagato molto bene – di solito prendo meno, ma ho chiesto di più perché è una fantasia davvero perversa. Mi è stato dato questo indirizzo, il piano, ma non il numero dell’appartamento. Quindi chi di voi ha un debole per questo Haidar?» Le vicine spalancarono ancora di più la bocca, guardandosi l’un l’altra, prima di

posare finalmente lo sguardo su di lei. Era Roxanne quella in accappatoio, in fondo. E il suo cervello era troppo esterrefatto per funzionare. Però doveva agire, in qualche modo, altrimenti quel... quel... pazzo avrebbe distrutto la sua immagine. E quella del principe. Barcollò fuori dall’appartamento, i piedi sudati incerti sul pavimento di marmo. Lui la scrutò con studiata esitazione. «Oh, sei tu? Non pensavo fossi una bella bambola. Perché non riesci a trovarti un ragazzo da dominare nel modo canonico? Ehi... non sei fuori di testa, vero?» Si voltò verso le vicine per conferma mentre lei lo raggiungeva e lo afferrava per il bavero della giacca. Al che lui finse di respingerla. «Vacci piano, signora mia. L’accordo è per l’umiliazione in privato. In pubblico ti costerà un bell’extra.» Roxanne fece una smorfia, mostrando alle vicine un’espressione contrita mentre si costringeva a non prenderlo a pugni. «Vi prego di perdonarlo. Haidar è un vecchio amico, purtroppo. Otto anni fa l’ho lasciato senza alcun senso dell’umorismo, ma pare che abbia contratto una qualche forma terminale di buffoneria. Ritiene che questo sia un modo divertente per ripresentarsi dopo tanto tempo.» Mentre parlava, lo trascinava verso il proprio appartamento; per la seconda volta in vita sua, avrebbe voluto che si aprisse una voragine sotto ai suoi piedi e la inghiottisse facendola scomparire – anche la prima volta c’era stato di mezzo lui. Quando finalmente furono al riparo dietro la porta chiusa, lo fulminò con tutta la ferocia che riuscì a racimolare. Il sorriso di Haidar, però, non fece altro che illuminare quel volto indimenticabile. «Ti avevo avvertito. La prossima volta, arrenditi con stile.» Lei gli pestò il tallone sul piede. Fu come dare un calcio all’acciaio rivestito di roccia. Il dolore le risalì lungo tutta la gamba, facendola saltellare su un piede solo mentre si lamentava.

Haidar la prese per le braccia, ridacchiando. «Mettiti i tacchi a spillo e possiamo riprovarci.» Un’altra smorfia, prima di prenderlo a pugni sul petto. Con forza. «Bastardo farabutto!» Nel suo tono profondo, il grugnito non tentò neanche di mascherare l’evidente piacere. Quindi il bastardo in fondo non aveva mentito sulle proprie preferenze. Le tendenze dominanti della sua ione l’avevano sempre eccitata, ma forse a lui non dispiaceva scambiare i ruoli. Da tenere a mente... La traiettoria dei suoi pensieri la spinse a percuoterlo di nuovo. E lui si mordicchiò il labbro, gli occhi che lampeggiavano come un mare in burrasca sotto la luna piena. «Questa è l’indignazione della diplomazia? Che carino da parte tua tenerci tanto.» «Io tengo alla mia efficacia. Per quanto riguarda te, quando questa storia verrà fuori, e puoi star certo che accadrà, potrai dire addio al trono.» «Mi sembra giusto. Basta che finalmente possa dare a te il buongiorno con un bacio.» L’attirò a sé, sollevandola fino a farle toccare il pavimento solo con le punte. Poi chinò il viso e la baciò. Non appena le sue labbra la sfiorarono, Roxanne si perse in caduta libera nel ato. Tutto il suo essere fu catturato nella riproposizione di quel primo bacio che l’aveva trascinata in una marea di assuefazione. Haidar si impossessò della sua bocca con lo stesso gusto pigro, mescolato a una ferocia trattenuta a stento. Il suo corpo allora aveva imparato a quale genere di piacere conduceva quell’esplorazione falsamente paziente, aveva preso fuoco alle prime carezze, le fiamme che si alzavano sempre più alte a ogni contatto. La conflagrazione fu ancora più potente, questa volta, alimentata dalla collera, da otto anni di repressione. Era sbagliato, pura follia. Il che contribuiva a farglielo desiderare ancora di più. La forza di gravità la lasciò libera, consegnandola alle sue braccia che la

sollevarono senza sforzo. Il mondo vorticò sotto i i affrettati, quindi si ritrovò affondata sui cuscini del divano con il peso di Haidar che gravava su di lei. Si innalzarono i suoi gemiti, confessioni della propria eccitazione che aveva mandato in frantumi gli scudi dell’ostilità, della memoria e della logica. Il suo calore la elettrizzò mentre accappatoio e camicia venivano slacciati. Il suo torace scolpito le schiacciò i seni, sollecitando i capezzoli; la sua potenza si sistemò tra le sue gambe divaricate, e pressò sul suo fulcro ardente mentre si tuffava di nuovo nella sua bocca annaspante. Roxanne si divincolò per accoglierlo meglio, per abbracciarlo, i sensi appannati dal piacere che le stava già regalando. All’improvviso lui interruppe il contato, e lei gridò quando si alzò sopra di lei. Il suo sguardo la bruciò, le labbra strette di pura sensualità. «Avrei dovuto dare ascolto a ciò che il mio corpo sa del tuo, e farlo il momento stesso che hai aperto la porta.» Tanta arroganza avrebbe dovuto farglielo cacciare via, ma la ione la stava divorando, annullando la sua volontà. Haidar era venuto da lei per quel momento, per quella conclusione. E lei lo aveva aspettato, per otto lunghissimi anni. Se l’avesse negato non avrebbe fatto altro che ferirsi... Una porta sbatté, facendo vibrare il vaso di cristallo sul tavolino accanto al divano, l’armonia del suono che si riversò su di loro come una doccia gelata. Cherie. «Non crederai mai chi ho trovato ad aspettarmi. Ayman in tutta la sua gloria, che voleva parlare. Perché adesso, mi chiedo io...» Il saluto di Cherie si spense. Roxanne incrociò il suo sguardo sopra le spalle di Haidar, e avrebbe riso dell’espressione attonita dell’amica se non fosse stata altrettanto imbarazzata. E persino in quel momento, inorridita per ciò che aveva permesso che accadesse, il suo corpo ancora bramava quella conclusione. «Cherie...» fu tutto ciò che riuscì a pronunciare. «Ehm... Io... Dio, non volevo...» Cherie si fermò, prima di riprendere a balbettare. «Non avrei mai pensato che tu... Di trovarti...» Non avrebbe mai pensato di trovare l’amica intellettualoide sotto un leone di

uomo, nuda e avvinghiata a lui, in piena vista per chiunque fosse entrato dalla porta. Haidar cominciò a sollevarsi da lei. Lei osservò la sua espressione mutare dalla ione scatenata alla sconsolata rassegnazione. «Una coinquilina, Roxanne? Sul serio?» «Che cosa ci faccio ancora qua?» borbottò tra sé Cherie attraversando il soggiorno di corsa per rifugiarsi in camera. «Mi dispiace, ragazzi. Vi prego, continuate pure. Io non ci sono!» Quando la porta della camera di Cherie si chiuse con un tonfo, Haidar era già in piedi e si stava riabbottonando la camicia. Per un folle momento, Roxanne considerò di accettare il consiglio dell’amica. Fortunatamente il cervello riprese a funzionare in tempo. Si mise in piedi, in qualche modo, allacciando l’accappatoio più stretto del dovuto. Alla porta, Haidar girò solo la testa prima di congedarsi; gli occhi erano ancora cupi di desiderio insoddisfatto. «Ci rivedremo, ya naari.» Lei deglutì. Mio fuoco. Non aveva mai pensato di sentire di nuovo quel vezzeggiativo, non da lui. Né da nessun altro, in realtà. Aveva pensato che il fuoco fosse estinto da tempo. «Ma la prossima volta, sarò io a giocare in casa. E secondo i miei termini.» Le sfiorò con la lingua il labbro che si era mordicchiata, come per assaporare la sua ione. Quindi le rivolse un’ultima occhiata ardente. «Alla prossima» le sussurrò prima di andarsene.

3

«Darei un braccio per conoscere il tuo segreto, Roxanne.» Roxanne spalancò gli occhi alle parole di Kareemah Al Sabahi. La sua era l’ultima porta alla quale aveva bussato per spiegare la trovata di Haidar, ma non ce n’era stato bisogno, dato che la vicina aveva seguito gli sviluppi attraverso la telecamera del videocitofono; l’arrivo di Cherie le aveva fatto girare a mille l’immaginazione, ma Haidar se n’era andato dopo pochi minuti, abortendo le sue fantasie triangolari. Aveva aperto la porta sperando in una spiegazione, e lui si era voltato; si era congedato con un inchino, augurandosi che si fosse goduta lo spettacolo. «Voglio dire, sei attraente e tutto, ma non può essere solo questo. Devi avere un segreto. Qualsiasi donna ucciderebbe per avere una dritta da te.» Roxanne scosse il capo: non era in vena di decifrare gli indovinelli dei vicini; ora che Haidar si era materializzato di nuovo nella sua vita, con la forza di un testata nucleare e con la promessa di pari distruzione, il suo cervello era ufficialmente fuso. «Allora, come fai per avere degli dei che bussano alla tua porta?» «Ehm, Kareemah, se parli di Haidar, ti ho già spiegato...» «E ti avrei creduto se si fosse trattato di un dio solo, ma qual è la giustificazione per il secondo?» Tutt’a un tratto, si rese conto che lo sguardo della vicina non era puntato su di lei, ma su un punto indefinito alle sue spalle. Si voltò di scatto, e il cuore le balzò in gola. No, non un altro ibrido Aal Shalaan. Jalal.

Era in piedi sulla porta che lei aveva lasciato aperta, in un abito grigio fumo con la camicia del colore dei suoi occhi dorati, la postura languida con le mani in tasca, con tutta l’aria di essersi materializzato da una copertina di GQ. Il che poteva anche essere vero: non aveva sentito il fruscio dell’ascensore, né i suoi i in corridoio. Per la seconda volta in meno di ventiquattr’ore, uno dei due uomini che non avrebbe mai voluto rivedere in vita sua l’aveva colta alla sprovvista. Kareemah la strattonò per il braccio, facendola voltare di nuovo. «Come diciamo qui, i vicini hanno la precedenza nella carità. Aspetto con ansia qualche consiglio.» Detto ciò, rivolse a Jalal un’altra occhiata trasognata e si ritirò nel proprio appartamento. Roxanne rimase a fissare la porta che Kareemah aveva appena chiuso, la mente un groviglio senza soluzione. «Koll hadi’s’seneen, kammetman’nait ashoofek menejdeed.» Per tutti questi anni, quanto avrei voluto rivederti. Il cuore le si strinse nel petto, minacciando un’implosione. Ma all’improvviso la furia prese il sopravvento, incenerendo lo stupore e la nostalgia: non avrebbe lasciato che un altro gemello Aal Shalaan la riducesse a un ammasso senza capo né coda. La sera prima aveva toccato il limite. Lo fronteggiò, sperando di non apparire fragile come si sentiva. «Ma guarda un po’ chi abbiamo qui, uno dei due bastardi più ricercati della regione.» Il calore che gli illuminava il volto non vacillò mentre sfilava le mani di tasca per allargare le braccia in un gesto che l’aveva sempre spinta a gettarvisi in mezzo. «Ullah yehay’yeeki, ya Roxanne.» Un tempo era solito complimentarla sempre con quelle parole difficilmente traducibili – possa Dio accoglierti, letteralmente – specie quando lei diceva qualcosa che soddisfaceva le esigenti aspettative del suo intelletto e del suo spirito. Il che accadeva quasi ogni volta che apriva bocca: era incredibile quanto fossero in sintonia, simili in tutto e per tutto. Ma anche quella era stata una

menzogna. Per anni, Roxanne non era riuscita a stabilire quale tradimento l’avesse ferita di più, se quello di Haidar o quello di Jalal. Serrò i pugni lungo i fianchi. «Ascolta, amico. Ho avuto una notte da incubo, e per l’immediato futuro prevedo una spirale di incredibili peggioramenti. Quindi, perché non ti togli dai piedi? Qualunque motivo ti abbia portato qui, non voglio ascoltarlo.» «Neanche se si tratta della mia volontà di implorare il tuo perdono?» Avanzò verso di lui, la collera che si intensificava a ogni o. «Questa l’ho già sentita. E non mi interessa.» Due anni prima, di punto in bianco l’aveva chiamata, supplicandola di concedergli un incontro. Lei gli aveva sbattuto il telefono in faccia. Jalal non si era degnato di richiamare. Si fermò a un o da lui, costretta a guardarlo dal basso in alto nonostante i tacchi più alti che avesse. In risposta alla sua occhiata fulminante, lui fece qualcosa che le fece mancare un battito. Le posò la mano sulla guancia, la sua carezza l’essenza della gentilezza, il suo viso e la sua voce quella dell’affetto. «Grazie al cielo gli anni sono stati generosi come meriti. Sei diventata una donna fenomenale, Roxy.» Fu solo la soffocante ondata di nostalgia a impedirle di replicare, senti chi parla. Jalal era un altro esempio di come il tempo possa cospirare per trasformare un esempio di perfezione virile in qualcosa che sfida ogni definizione. Mentre la versione più giovane che aveva conosciuto era stata splendida quanto umanamente possibile, con un tipo di bellezza pari al gemello, anche se del tutto diversa, il Jalal maturo sembrava appena uscito dalle Mille e una notte. «Anche se mi caverai gli occhi, devi sentirlo, devi saperlo. Kamm awhashtini, ya sudeequtti al habibah.» Quanto mi sei mancata, mia carissima amica.

E per la miseria, quanto le era mancato lui! Gli afferrò la mano, scostandosela dal volto, e lo trascinò via. Jalal non offrì alcuna resistenza, neanche quando fu evidente che lo stava scortando all’ascensore. In pochi secondi, le porte si aprirono in silenzio, e lei gli fece cenno di entrare. Con un’ultima addolorata occhiata rassegnata, lui obbedì. E Roxanne prese la decisione. Lo riattirò fuori, accompagnandolo nel proprio appartamento. Si sedette sul divano mentre lui chiudeva la porta, quindi gli fece un gesto d’invito. «Va’ avanti. Striscia. Cerca solo di rendere la cosa interessante.» La sua espressione si fece pensierosa. «Non sarà facile. Puoi accettare patetica?» «Sono certa che lo sarà.» Jalal sospirò, annuendo. «Prima voglio chiarire una cosa. So che hai sentito la lite tra me e Haidar, il giorno in cui sei andata via; altrimenti non avresti avuto motivo di tagliar fuori anche me. Solo che hai frainteso ciò che hai sentito.» Le si arrossarono le guance al rivivere l’umiliazione e la sofferenza di quel confronto. «Non provarci nemmeno. Ciò che ho sentito è la verità, e ho agito di conseguenza per liberarmi di tutti e due, razza di paranoici dell’antagonismo che non siete altro. Fine della storia.» I suoi insulti non ebbero alcun effetto su di lui. Proprio come non ne avevano sul gemello. Ma mentre Haidar era stato esasperante e malizioso, Jalal li accettò con calma e rassegnazione. Le avrebbe permesso di massacrarlo di botte, se l’avesse fatta stare meglio. «Tu meglio di chiunque altro sai che ogni situazione ha troppe sfaccettature perché un solo punto di vista possa rappresentare l’intera verità.» Solo che lei non voleva conoscere altri punti di vista! La speranza era più pericolosa della rassegnazione. Si era costruita una certa stabilità basata

sull’accettazione del peggio, accettando il dolore e voltando pagina. Ma... non aveva ato anni a sperare che ci fosse dell’altro? Qualcosa a dimostrare che non tutto ciò che avevano condiviso era stato un mezzo per raggiungere un fine patetico, in modo da poter liberare almeno una parte dei propri ricordi dalle grinfie dell’amarezza e del risentimento? I suoi occhi da lupo sembravano scansionarle la mente, seguendo ogni suo pensiero. E probabilmente era proprio così. Erano sempre stati sulla stessa lunghezza d’onda. Quando la bilancia cominciò a pendere pericolosamente dalla parte della sciocca speranza, lo sguardo di Jalal parve sollevato – davvero le leggeva nella mente come su una pagina di giornale! «Mi fai un occhio nero se mi siedo accanto a te?» Lei gli fece un cenno spazientito. «A tuo rischio e pericolo.» «Ho bisogno di parlarti di qualcosa che avrei dovuto affrontare molto tempo fa.» Si accomodò accanto a lei con la grazia di un felino. «Il mio rapporto con Haidar.» Al sentire quel nome il cuore ricominciò a sanguinare. Al modo in cui lo pronunciava Jalal, all’apatia nei suoi occhi. Tentò un’alzata di spalle. «Nessuno dei due mi ha mai parlato dell’altro, ma ai fatti salienti ci sono arrivata lo stesso: la vostra unica ragione di vita è battere il fratello.» «E non sei curiosa di sapere come siamo arrivati a questo punto?» «Normale rivalità tra gemelli, come sempre. Come hai detto tu, patetico. E soprattutto noioso.» «Come vorrei che lo fosse. Piuttosto lo definirei un dolore irrisolvibile, da impazzire, che spezza il cuore.» Si ò una mano sul viso in un gesto stanco. «Sai che siamo uno l’opposto dell’altro, e siamo nati così. Ma, nonostante ciò, eravamo inseparabili; anzi, forse proprio per quello. Finché non cominciò ad andare tutto storto, dal giorno del nostro decimo compleanno.» Ecco andare in pezzi il primo pregiudizio: era sempre stata convinta che la loro

rivalità avesse avuto inizio alla nascita. «Rischiai di incendiare il palazzo, e Haidar si offrì di prendersi la colpa. Invece che farmi avanti, io... lasciai che venisse punito al posto mio. Da quel momento le cose non sono mai più state le stesse.» Il loro conflitto aveva dunque un’origine – ed era Haidar la parte offesa? Questo sì che era sorprendente. E inquietante. «Cominciò a tenermi a distanza, e non ci ero abituato. Quando mi resti conto che non si trattava di un malumore eggero, andai su tutte le furie, e poi divenni ansioso, quindi perso. Rivolevo mio fratello. Cercai di forzare quella vicinanza da cui dipendevo, schivando le sue mosse, pretendendo di condividere tutto ciò che faceva lui, tutto ciò che facevo io, come avevamo sempre fatto. Ma l’unico risultato fu l’aggravarsi della distanza tra noi, e fui colto dalla disperazione. Cominciai a fare di tutto per provocargli una qualsiasi reazione emotiva, e lui rispose dimostrando nei modi più ingegnosi che non potevo scalfire la sua indifferenza. Quindi imparò un nuovo trucco, imbracciò una nuova arma – iniziò a mostrare a me, e a tutti gli altri, che era il migliore. Praticamente in tutto. E gli riusciva così bene. Otteneva i voti più alti senza neanche impegnarsi, mentre io faticavo a raggiungere la sufficienza. Era il preferito di tutti i parenti perché era così metodico e aveva così tanto successo; anche con le ragazze, ovviamente, perché era affascinante ma anche freddo e distaccato. L’unica cosa in cui riuscivo a batterlo era lo sport, ma grazie all’astuzia anche in quello era un duro avversario.» Rise senza allegria. «E ovviamente, nostra madre lodava ogni suo respiro. A quel tempo lei era un idolo, per me, e la sua approvazione era vitale. In qualche occasione me ne dimostrava qualche briciola, ma era sempre ciò che avanzava dal banchetto di Haidar. Mi ci vollero anni per farmene una ragione, per rassegnarmi alla sua natura, e al tipo di rapporto che avevo con lei. Ma non ho mai potuto rinunciare al mio rapporto con Haidar.» Prendendo fiato, appoggiò i pugni sulle ginocchia, lo sguardo perso nel ato. «Man mano che crescevamo, imparammo a mostrare al mondo un fronte unito, per il bene della famiglia, della politica e degli affari. Ma quando eravamo da soli ci prendevamo a cornate come due stupidi caproni. E penso che tutti e due fossimo assuefatti al conflitto. Credevo che fossimo fatti così, che quella fosse l’unica relazione possibile, e che dovessi accettarla.»

Roxanne guardava a bocca aperta il suo profilo contrito. Non aveva mai pensato che la situazione potesse essere tanto complicata, tra loro. Era affascinante nella maniera più terribile apprendere che quei due gemelli che avevano avuto tutto ciò di cui potevano aver bisogno per forgiare un legame senza precedenti erano stati invece spinti a distanziarsi, attratti l’uno dall’altro ma trattenuti da qualcosa di invincibile. Ma perché istintivamente aveva incluso anche Haidar nella considerazione? Di certo lui non provava la stessa angoscia del gemello, riguardo il loro rapporto. Avrebbe scommesso che Haidar non provasse niente del tutto – anzi, che avesse stabilito di punire il fratello per il resto delle loro vite, a causa di un incidente avvenuto decenni prima, non faceva che dimostrare che razza di bastardo vendicativo fosse. Jalal appoggiò la testa allo schienale. «Accettarlo, tuttavia, non significa che sapevo gestirlo. Non sono irragionevole per natura, ma lo diventai nei confronti di Haidar. E a quel punto non fu più possibile distinguere quanto della nostra rivalità fosse dovuto all’origine del conflitto, ai miei tentativi di riconquistarlo, all’influenza nefasta di nostra madre, o al nostro stesso carattere, alle nostre scelte, alle azioni e reazioni. E poi ti abbiamo conosciuto al ballo.» Il cuore di Roxanne fece del suo meglio per fare una capriola all’interno della gabbia toracica. Oh, se la ricordava, quella sera... Era ad Azmahar da meno di un mese. Aveva ringraziato tutte le stelle del firmamento per l’incarico che l’aveva condotta lì al seguito della madre. Quando erano state invitate al ballo, si era sentita come un’eroina di Walt Disney che entra in un mondo delle meraviglie al di là dei propri sogni più sfrenati. La sensazione non aveva fatto altro che incrementare quando aveva conosciuto Jalal. E poi aveva visto Haidar... Jalal si voltò verso di lei, trasportando il racconto dal profondamente personale al ato condiviso. «Ho visto la tua immediata attrazione verso di lui, e la forza dell’abitudine mi ha spinto a sfidarlo. Sappiamo entrambi fino a che punto ha portato quella sfida. Ma te lo giuro, io ho scordato quella stupida scommessa nel giro di qualche minuto. Tutto ciò che io e te abbiamo condiviso è stato reale.

Tu eri l’amica con cui potevo condividere tutto, la sorella che non ho mai avuto.» E lui era stato il suo confidente, il campione e il fratello che aveva sempre voluto. Ancora timorosa di riaprire il proprio cuore per permettere a Jalal di rimarginare la ferita che la sua perdita aveva provocato, strinse gli occhi. «Allora perché hai aspettato sei anni per contattarmi? E anche a quel punto, perché ti sei arreso dopo una sola telefonata?» «Perché quando la mattina dopo stavo correndo a casa tua, ho saputo che tua madre era stata... congedata con disonore, e ho temuto che ulteriori contatti con me avrebbero potuto causare maggiori danni.» Roxanne sbatté le palpebre per lo stupore. «E perché avrebbero dovuto?» «Non ti sei mai chiesta perché tua madre è stata licenziata?» «Certo. Ho immaginato fosse stato Haidar.» Fu il turno di Jalal di apparire scioccato. «Hai pensato che volesse punirti prendendosela con lei perché lo avevi scaricato?» «Lo trovi così improbabile?» «Preferisco pensare che ci siano dei limiti anche per lui.» «E ritieni che sia accettabile sedurmi per una scommessa, ma non distruggere la carriera di mia madre per vendetta?» «Io...» Si infilò le mani tra i capelli. «Suppongo non sia impossibile, considerato quanto doveva essere infuriato in quel momento, ma... non è da lui.» «Ma se non Haidar, chi temevi che potesse nuocerci se avessi mantenuto i contatti con me?» «Mia madre.» Fece una smorfia quando lei sbarrò gli occhi. «Non ho mai avuto le prove, ma ho sempre sospettato che ci fosse il suo zampino in tutta la storia. Aveva usato le stesse tattiche per allontanare da Haidar o da me le persone che

non approvava. Per questo ti ho contattato solo quando è stata esiliata; fino a quel momento, era impossibile sapere cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che facevi di nuovo parte della mia vita.» Lei lo fissò a bocca aperta. Era un’ipotesi che non aveva neanche preso in considerazione, e non perché non avesse la peggiore opinione possibile dell’ex regina Sondoss, ma perché credeva ormai di non avere più alcuna importanza per lei. D’altro canto, conoscendo la persona, perché no? In pochi minuti tutto ciò che credeva di sapere era stato ribaltato, facendola piombare in una nuova confusione. «Certo che hai proprio una bella famiglia, Jalal» considerò con un sospiro tremulo. «A me lo dici?» Avrebbe già voluto gettarsi tra le sue braccia, ma c’era ancora un dubbio che la tormentava. «Perché non hai insistito, però?» La sua espressione colpevole quasi la spinse a ritirare la domanda. «Perché all’epoca stavo attraversando un... periodo difficile, con Haidar, con... altre persone, e ho percepito la collera e il dolore che ti avevano spinto a buttare giù il telefono dopo sei anni. Temevo di ricordarti i momenti peggiori, quando eri ormai riuscita a lasciarteli alle spalle. E poi non ero in grado di sopportare altre batoste emotive.» Lei strinse i pugni per non tendere le mani verso di lui. «Cos’è cambiato?» «Tu sei cambiata.» I suoi occhi dorati brillarono di orgoglio e affetto, così potenti e puri che le fecero bruciare i suoi. «Sei tornata, dimostrando di essere pronta ad affrontare i tuoi demoni, a strappargli dagli artigli ciò che meriti. Ora so che avermi di nuovo nella tua vita non farà risorgere ricordi dolorosi – sei pronta a rammentare quelli buoni e a formarne di nuovi e di migliori. E anch’io sono cambiato. Ormai ho preso abbastanza distanza dalla mia famiglia da poter essere di nuovo il tuo porto sicuro. E il pezzo grosso dalla tua parte.» Le lacrime che aveva trattenuto per otto anni le rigarono le guance. Si sporsero l’una verso l’altro nello stesso momento, e lui la accolse in quell’affetto e quella protezione che le erano mancati così tanto.

«Significa che mi credi?» domandò Jalal posandole un bacio sul capo. Roxanne sollevò un viso tremante di gioia e commozione. «Cos’altro potrebbe significare, grosso, splendido lupo?» «Che hai il cuore troppo tenero, che mi perdoni anche se sei ancora convinta che ti abbia avvicinato per sedurti e portarti via a Haidar.» Facendo una smorfia, gli puntò l’indice nell’adorata fossetta della guancia sinistra. «Come se potessi o volessi davvero sedurmi.» Il suo sorriso era sollievo fatto e finito. «Aih, sarei scoppiato a ridere alle accuse di Haidar, se non fossi stato così furioso con lui. Dalla prima parola che ci siamo scambiati, tu sei stata la mia vera gemella, ya azeezati.» Le sfuggì un singhiozzo al sentirsi chiamare di nuovo mia adorata. «Non sai quanto mi sei mancato... ya azeezi.» Prima di crollare sotto il peso delle emozioni, per quanto splendide potessero essere, Roxanne saltò in piedi. «Non ho ancora fatto colazione. Ti va?» Il sorriso di Jalal illuminò il mondo intero. «Certo. La prospettiva di questo incontro mi aveva chiuso lo stomaco, ed è da ieri che non mangio.» «Parla l’uomo che si è tuffato in mezzo agli squali.» «Azeezati, innanzitutto l’ho fatto per racimolare un sacco di dollari in donazioni per la tua lista di opere di beneficenza. E poi, essere respinto da te, o peggio ancora, non essere in grado di guarire la tua sofferenza, erano ipotesi ben più spaventose che essere divorato dagli squali.» La replica gli meritò un sonoro bacio sulla guancia. Per più di un’ora, chiacchierarono e risero e condivisero notizie e opinioni come se quegli otto anni non fossero mai avvenuti. Era come essere tornati indietro nel tempo, quando Roxanne finiva in fretta il lavoro per poter correre all’incontro di squash con lui, ogni volta che si trovava nel regno. Erano arrivati al tè alla menta quando lui si fece di nuovo serio. «Oltre a tornare a essere la mia amica e sorella, ho bisogno dei tuoi servigi professionali.»

Al che lei inarcò un sopracciglio. «Senza conoscere le specifiche, sono portata a rammentarti che amicizia e affari non sono mai una bella accoppiata.» «Di solito no, ma non è detto che non lo siano mai. Con le persone giuste, l’amicizia giusta, i risultati possono essere spettacolari. E duraturi.» «Se lo dici tu...» Si voltò verso di lui, incrociando le gambe sul divano. «Okay, di cosa si tratta?» Jalal assunse la medesima posizione. «Con le tue connessioni, avrai sentito che mi hanno offerto la candidatura al trono.» «Hanno chiesto a me di valutare i candidati. Tu, Rashid Aal Munsoori e... Haidar siete quelli che hanno avuto la benedizione finale.» Di certo Jalal aveva captato la sua esitazione al pronunciare il nome del fratello, ma non fece commenti. «Voglio che tu sia la mia consulente. Sono molto in dubbio su tutta la faccenda e ho bisogno della guida di qualcuno di cui mi fidi ciecamente, qualcuno di neutrale, che sia al corrente della scena politica ed economica. Conosci qualcun’altro che faccia al caso mio?» «Con questi criteri, no.» Si mordicchiò il labbro. «Anche se di certo io non mi posso definire neutrale.» Lui scosse il capo con fermezza. «Quello che ti manca in neutralità, puoi compensarlo con la professionalità.» «Apprezzo il voto di fiducia e tutto, ma...» Prese un profondo respiro. «Questo mi costringerà ad avere contatti con... lui.» «Se è questa la tua obiezione, allora l’affare è fatto. Haidar e io probabilmente non ci ritroveremo nella stessa stanza per il resto delle nostre vite.» Il cuore di Roxanne perse un battito. «È così grave?» «Non gli parlo da due anni.» Era decisamente grave. Ma... «Siete sempre stati quelli che non si parlano. Ma poi finivate con l’essere attratti come calamite.»

«Lo pensavo anch’io. Quel giorno, otto anni fa, l’ho lasciato con la promessa che non ci saremmo mai più frequentati. Ma per un motivo o per l’altro ci siamo ritrovati sempre insieme, ancora e ancora. Durante la crisi in Zohayd, è quasi sembrato che fossimo tornati al rapporto che avevamo da piccoli, ma poi...» Uno spasmo gli fece contorcere i bei lineamenti. «... ci siamo scontrati di nuovo. L’ultima volta che ci siamo visti, ha ripudiato il nostro stesso legame di sangue.» Il petto le si serrò in una morsa, i polmoni che bruciavano. Se il loro legame era stato davvero interrotto una volta per tutte, Jalal doveva soffrire all’inverosimile. Per quanto concerneva Haidar, i suoi geni da rettile senza dubbio lo proteggevano da qualsiasi dolore. Inspirò a stento. «Okay, lo farò. Ma dovrò accertarmi che non ci sia alcun conflitto di interesse col mio incarico, e non divulgherò alcuna informazione che possa darti un ingiusto vantaggio; mi limiterò ad analizzare le tue ipotesi e a esporti le mie opinioni in merito. Ovviamente, ti aiuterò in forma strettamente personale e informale, e non ufficialmente.» Difficile dire se Jalal fosse più sollevato che avesse accettato, oppure che avesse posto quelle condizioni. Sembrava che anche lui continuasse a considerare Haidar e le sue reazioni prima di prendere qualunque decisione. E quella da sola era una ragione sufficiente per aiutarlo a salire al trono. Avrebbe salvato il regno dall’avere Haidar come re.

4

«Fino a che punto siete disposto a spingervi per lei?» Haidar sbatté le palpebre, incapace di distogliere lo sguardo dalla vista che in quanto a magnificenza era seconda soltanto a un’altra apparizione. Era a dir poco... magica. La spiaggia ondulata abbracciava un mare del colore della più limpida acquamarina, accogliendo in un cerchio unico di oro rosso la sua danza tranquilla di onde placide; la baia mandava in avanscoperta una lingua di terra quasi a toccare l’isola rigogliosa di palme a mezzo miglio di distanza. Ogni brezza, ogni alito di fragranza, ogni raggio di luce erano mozzafiato. E aveva pensato che niente potesse più fargli mancare il fiato. Evidentemente, invece che indurirsi, con gli anni, si faceva più malleabile. Era bastata una donna minuta e scalza in accappatoio, la sera prima. Gli aveva tolto il fiato, tenendolo prigioniero con ogni sua mossa. E quel posto sembrava proprio un’eco di... «Lei?» ripeté costringendosi a rivolgere la propria attenzione all’uomo di mezz’età che lo accompagnava. Continuava a scordarsi della sua presenza. L’uomo, fin troppo vestito per l’ora e il clima, si illuminò. «La proprietà. Nell’ambiente, tutti vi si riferiscono come a lei. Dipende dal fatto che dozzine di uomini hanno fatto di tutto per averla, con degli sforzi che abitualmente sono riservati alla conquista di donne fuori portata.» Non era difficile da immaginare. La sera prima, dopo aver lasciato Roxanne, non era riuscito a togliersela dalla mente fino a quando non aveva raggiunto quel luogo. Aveva parcheggiato in cima alla duna che lo dominava, ne aveva osservato i mutamenti e i colori sotto la luce delle stelle e fino al sorgere del sole. Che riuscisse ad apprezzarlo mentre lottava per venire a patti con il proprio bisogno di tornare da Roxanne era una dimostrazione che quel posto fosse davvero fenomenale. Ma mentre restava lì seduto a soffrire, aveva avuto la certezza: la voleva, e

l’avrebbe avuta. Lì. Aveva chiamato Khaleel dandogli le coordinate del GPS, lo aveva informato che intendeva comprare quel terreno. L’agente immobiliare era arrivato in meno di un’ora, con l’acquolina in bocca alla prospettiva di un contratto da record. In quel momento si trovavano sulla terrazza del piano terra sulla quale si affacciava l’edificio, un incrocio tra una grossa tenda e un vascello. «Come avete visto, a parte la location unica e le bellezze naturali senza pari, anche la casa in sé è un miracolo di design. Tutte le suite, le aree di soggiorno, le cucine di entrambi i livelli, le sale da pranzo formali e informali sono vista mare. Lo stile è uno squisito amalgama di ottomano e andaluso, con quelle corti d’estate rallegrate da giochi d’acqua e giardini annidati all’interno...» «Come ho visto» interruppe Haidar. Aveva lasciato che il venditore, Elwan AlShami, gli fe fare il giro della proprietà, anche se i custodi erano stati più che lieti di mostrargliela prima del suo arrivo, quando lo avevano riconosciuto. «Veniamo al sodo.» L’agente ballonzolò sui piedi. «Quando il proprietario ha saputo che eravate voi l’interessato, ha proposto una cifra esorbitante. È per questo che ho chiesto fino a che punto siete disposto ad arrivare.» Haidar lasciò vagare lo sguardo sul luogo che più si avvicinava all’immagine del paradiso. «Astuto. Sa che concluderà la vendita a qualsiasi prezzo.» «E vuole contanti. È per questo che gli acquirenti precedenti si sono indebitati, e hanno dovuto poi lasciare la proprietà alle banche. Il proprietario era sempre lì a ricomprarla, traendone profitto.» «Questa volta non andrà così.» «Se siete sicuro...» «B’Ellahi ya rejjal. Ditemi quanto vuole.» L’uomo sussultò al grugnito di Haidar. Si leccò nervosamente le labbra, e glielo disse. Haidar fischiò: non c’era da stupirsi che molti uomini fossero stati spezzati dal

desiderio di avere quel posto. Proprio mentre l’uomo stava per iniziare a preoccuparsi, Haidar indicò un punto in lontananza. «Aggiunga quelle dune e la terra fino alla strada e l’affare è fatto. Mi mandi il contratto e i dettagli di pagamento: voglio concludere entro domani mattina.» Prima che l’agente potesse esprimere la propria euforia, Haidar si congedò e tornò alla macchina, soddisfatto. Avrebbe potuto ottenere la proprietà alla metà del prezzo richiesto, ma quel paradiso valeva la spesa. Non gli era sembrato giusto contrattare per qualcosa che apprezzava fino a quel punto. E poi, doveva conservare le proprie energie per ciò che lo aspettava. La guerra per riconquistare Roxanne.

Haidar appoggiò la fronte contro il marmo della doccia nella speranza che il getto di acqua gelida spegnesse il fuoco che Roxanne aveva ri in lui. E pensare che era andato da lei per convincersi che il tempo aveva esagerato il ricordo dell’effetto che aveva su di lui, sicuro che avrebbe trovato dura e sgradevole la versione più matura della donna che gli aveva inflitto la peggiore umiliazione della sua vita. E che quel buco nero nella sua psiche si sarebbe richiuso una volta per tutte. Poi l’aveva vista. Aveva parlato con lei, duellato con lei. L’aveva toccata... ed era scoppiato l’inferno. Bel modo di esorcizzare il suo ricordo, razza di idiota. Invece, era solo riuscito a farlo risorgere a piena vita. Peggio: aveva creato un nuovo tipo di mostro, uno insaziabile che non si sarebbe placato che con la soddisfazione totale e ripetuta di ogni sua bramosia. E Haidar doveva dargli ciò che pretendeva. Per farlo, doveva battere il ferro finché era caldo, perché era certo che quello della sera precedente per Roxanne fosse poco più di un lapsus, dovuto più che

altro alla sorpresa. Uscì dalla doccia, compose il numero. «Pronto?» Haidar strinse gli occhi. Non era stata una follia temporanea. Se bastava un saluto per vanificare l’effetto della doccia gelida, significava che quella donna aveva il controllo totale dei suoi ormoni. Storse le labbra alla propria debolezza. «Cherie se n’è andata?» Il silenzio che rispose alla sua domanda indicava che anche lei era rimasta senza fiato. Bene: non doveva essere lui l’unico ad avere problemi a respirare. «Posso are, se si è tolta dai piedi.» Si stupì all’umore che gli veniva così naturale quando parlava con lei. «Meglio ancora, vieni tu da me. Sono al Burj Al Samaa.» «Casa tua è una stanza d’albergo?» esordì infine lei. «E cosa mi proporrai? Qualcosa che posso ordinare dal menu del servizio in camera?» Una risata gli eruppe dalla gola. Ya Ullah, questa sì che era una novità. Non aveva mai apprezzato così tanto il suo spirito. D’altra parte, non aveva saputo che fosse tanto spiritosa: ripensandoci bene, la sera prima avevano parlato più di quanto avessero parlato in un mese, ai tempi. I loro pochi momenti rubati erano stati consumati più che altro dal sesso bollente. All’epoca, lei parlava solo con Jalal. E Haidar si era sentito escluso, senza neanche sapere quanto si stava perdendo. «Ti propongo la continuazione del nostro primo round, non il secondo. Quello avverrà a casa mia, e secondo i miei termini.» «Sei...» Doveva aver coperto il telefono con la mano, ma capì lo stesso le sue parole. «Solo un momento. Sì, grazie, un’altra tazza di tè.» Il suo sorriso si raggelò. Suonava del tutto diversa, disponibile e disinvolta. Non aveva mai usato quel tono con lui, nemmeno quando aveva sostenuto di amarlo. Poi sentì la voce che le rispose. Lontana e attutita, ma decisamente maschile. Un’esplosione nelle vene, un veleno che gli entrò in circolo alla velocità della

luce. Qualcosa che aveva provato solo per lei. Gelosia... Gelosia? Questo sì che era stupido. Era un sentimento che non si poteva applicare alla loro situazione: a lui non avrebbe dovuto importare... non gli importava cosa faceva o con chi lo faceva. E anche se fosse stato tanto sciocco da curarsene, probabilmente lei era al lavoro, e la voce era di un collega o di un assistente e lui stava di nuovo ingigantendo le cose... «Ascolta, cafone esasperante. Ho ato la mattina a cercare di mettere una pezza al disastro che hai combinato ieri sera, e l’unica cosa che farei se ti vedessi sarebbe prenderti a calci dove non batte il sole. Quindi, onde preservare intatti i tuoi gioielli di famiglia sarebbe opportuno per te lasciarmi perdere.» Le sue minacce lo stuzzicavano ancora, ma questa volta non riuscì a ridere. Non dopo averla sentita parlare con quell’uomo, aver notato la differenza nella sua voce. Tentò comunque una replica. «È questo il modo di parlare al tuo probabile nuovo re?» «Innanzitutto, nel caso te lo fossi scordato, sono americana, quindi mal che vada il re di Azmahar sarebbe il mio nuovo principale. Secondo, le mucche impareranno a pattinare prima che tu diventi re, quindi puoi smetterla di far perdere tempo a tutti e tornartene nel circolo di avvoltoi dal quale ti sei lanciato in picchiata.» Era senza speranza. Persino con la morsa che gli stringeva il petto – che preferiva non analizzare – ogni parola che usciva dalla sua bocca andava dritta a segno. «L’unica occasione in cui mi lancerò in picchiata» rispose allargando le labbra in un sorriso divertito, «sarà per portarti via, bell’agnellino mio.» «E a mezz’aria, troppo tardi, ti accorgerai che non sono affatto un agnello.» «Aih, grazie al cielo. Ma il felino che sei in realtà mi troverà irresistibile.» Roxanne aveva sempre pensato che il suo nome, il leone, fosse più che appropriato; lui l’aveva chiamata il suo gatto selvatico, la sua leonessa, tra le altre cose. «Ormai, al mondo non importa un fico secco di quanto tu possa essere

irresistibile. E nemmeno a me. Ma a differenza di te, che chiaramente sei qui non per aiutare a risolvere la crisi ma per indulgere in qualche stupido gioco, io ho del lavoro da fare. Ieri sera ti sei divertito, quindi fa’ il bravo cattivo e lasciami lavorare.» Haidar si sdraiò sul letto, duro come una roccia. «Ti rendi conto di cosa hai fatto? Hai appena detto le paroline magiche grazie alle quali puoi star certa che mi rivedrai. Non prima di averti fatto rimangiare quelle parole, ovviamente. Dalla mia mano. Di nuovo.» Roxanne rimase in silenzio per un lungo momento. Il fiato di Haidar accelerò il o, i muscoli si tesero allo spasimo. Che cosa ava per la testa di quell’imprevedibile tempesta di fuoco e femminilità? «Hai soddisfatto il tuo desiderio improrogabile di avere sempre l’ultima parola?» E lui scoppiò a ridere, a fondo, deliziato. «Sapevo che dovevi essere brillante per arrivare dove sei arrivata. Ma questo è davvero un modo nuovo per avere l’ultima parola, ya naari. Te lo concedo: questo round l’hai vinto tu.» «Gioia e giubilo. Vuoi dire che adesso posso andare?» «Vuoi dire che non puoi sbattermi il telefono in faccia?» Roxanne lo fece. Haidar rise di nuovo, di cuore, a lungo, come non faceva da... probabilmente da mai. Di sicuro non gli era mai successo da quando era rimasto solo. Dopodiché, tornò nella doccia.

Per l’indomani sera era stata organizzata una funzione al palazzo reale, un incontro tra tutte le maggiori figure politiche ed economiche che cercavano di trovare il modo per non finire alla base della catena alimentare. Roxanne avrebbe mediato il rituale. E Haidar aveva stabilito che fosse arrivato il momento di uscire dall’ombra. Gli aveva gettato il guanto di sfida? Le avrebbe dimostrato che le mucche potevano

imparare a pattinare. Gli ultimi raggi di sole del tramonto stavano cedendo il campo alla sera vellutata quando arrivò all’edificio che era stato reclutato per governare. Qusr Al Majd, il palazzo di gloria, che sembrava uscito da un episodio di Dungeons & Dragons. Nel sedicesimo secolo, Faisal Aal Munsoori, capostipite della ex dinastia regnante di Azmahar, e purtroppo origine di metà del suo patrimonio genetico, aveva creato una dimostrazione di potenza, ricchezza e invulnerabilità; nonostante i discendenti fossero riusciti a distruggere l’eredità, impoverire il regno e dilapidare il trono, Al Majd rimaneva una delle meraviglie architettoniche del mondo. Per quelli che apprezzavano il genere. Per quanto riguardava Haidar, se mai fosse stato incoronato, avrebbe frequentato quel palazzo solo per salvare le apparenze e condurre i giochi di potere. Porse le chiavi a un valletto che non riusciva a mascherare il proprio stupore, attaccò i centouno scalini di granito bianco imperiale a due alla volta. In pochi istanti stava varcando gli elaborati portoni intagliati alti trenta piedi, per attraversare l’atrio in cui le decorazioni minacciavano di soffocare; si prese un appunto mentale di semplificare e modernizzare quel dannato posto, se mai ne fosse entrato in possesso. E di fare qualcosa anche per il senso dello stile dei suoi frequentatori. Rivolse un’occhiata di gruppo ai presenti, rimasti a bocca aperta; visto che sembravano tutti usciti da una carnevalata a tema la famiglia Addams incontra Aladino, avevano del fegato a guardarlo a occhi sbarrati. Evidentemente la sua presenza era davvero inaspettata. Molto probabilmente malvista. Forse, in fondo, aveva ragione lui, e quelli che l’avevano reclutato non sapevano niente di ciò che il popolo di Azmahar voleva o avrebbe tollerato. Ma ormai aveva poca importanza: aveva accettato la sfida di Roxanne e sarebbe arrivato fino in fondo. E se quel regno senza re aveva bisogno della sua leadership, per la miseria l’avrebbe avuta. Senza rallentare, imboccò il percorso secondario, fortunatamente sconosciuto ai più, che l’avrebbe condotto alla Cupola, il salone dove avevano luogo tutte le riunioni più pompose, e per la maggior parte inutili.

Tutt’a un tratto un rumore di i si unì al suo nel corridoio silenzioso. Venivano da dietro, i decisi, sicuri. Di un’unica persona, che non cercava di raggiungerlo, solo di stargli dietro. Sentì un brivido lungo la schiena. Non era infuriato perché qualcuno lo stava seguendo, e nemmeno temeva la possibilità di essere attaccato. Era... la presenza stessa che lo soffocava. Immensa. Potente. Minacciosa. Si fermò. Anche i i alle sue spalle si fermarono. Si voltò lentamente, sentì la gelida minaccia di quella manifestazione che si stringeva su di lui come una catena di acciaio inossidabile. A metà del movimento ogni istinto che aveva gli stava gridando di non guardare, di riprendere la propria strada. Gli ci volle tutto l’autocontrollo possibile per superare quell’avversione irragionevole, più che altro per soddisfare la propria curiosità. L’attimo dopo, fu lui a rimanere a bocca aperta. A venti i di distanza, un uomo si levava talmente immobile che avrebbe anche potuto aver fermato il tempo, così cupo che sembrava assorbire le ombre, offuscando la luce. Alto, più alto persino di Haidar, altrettanto imponente, in un thobe che si apriva su camicia e pantaloni, ricadendo al suolo come un sudario. Proiettava un qualcosa che andava ben al di là della taglia fisica, emetteva una forza che Haidar non aveva mai sentito in nessun altro essere umano. La sua postura era falsamente rilassata, le braccia abbandonate lungo i fianchi, il viso lievemente chinato, gli occhi scuri fissi su di lui da sotto le ciglia folte, che trasmettevano un messaggio, una conoscenza. E sembrava quasi... Rashid? Haidar si sentì quasi mancare per lo shock. Ma... no, non poteva essere... «Ho sentito dire che ti eri dato alla prostituzione.» Fu attraversato da una sensazione infausta. Quella voce... somigliava a quella che aveva sentito al telefono quell’ultima volta, dopo che erano diventati nemici. Allora era stata fredda e dura, del tutto diversa dal baritono vivace ed espressivo

dell’uomo che un tempo era stato il suo migliore amico, a volte più vicino del suo stesso gemello. Ora era ancora peggio. Insondabile, sembrava celare terribili misteri. Era Rashid. Cambiato al di là di ogni possibilità di riconoscimento, eppure lui, senza dubbio. Poi si mosse, e a ogni o l’immagine si faceva più chiara. Il lontano cugino, l’orfano che grazie a quello che un tempo aveva giudicato un destino magnanimo era diventato una parte fondamentale della sua vita e di quella di Jalal, non era solo cambiato. Aveva subito una metamorfosi. Dai capelli, che aveva sempre portato lunghi, con grande scorno dei suoi tutori, e che ora erano rasati quasi a zero. Ma andava ben oltre. Un’orribile cicatrice gli marcava il viso dall’angolo dell’occhio sinistro fino al mento, scivolando poi lungo il collo, e ancora più giù... «Allora dimmi, Haidar, da quanto tempo nascondi questo bruciante desiderio di essere legato, imbavagliato e abusato?» Quella nuova voce, quel rombo predatorio gli rimbombò nel petto come un dolore fisico, a ricordargli quell’amicizia ventennale che era finita e aveva portato con sé nella tomba un altro brandello della sua umanità. Ma il rimpianto non serviva a nulla. E la sua umanità, secondo le voci più autorevoli, non era mai esistita. Inclinando il capo, infuse la propria voce del divertimento più amaro. «Dominato. L’abuso ricade in una subcategoria del tutto diversa.» «Ulteriore dimostrazione che non si può mai dire di conoscere davvero una persona.» «Troppo vero.» Quegli occhi neri come l’abisso sembravano volerlo inghiottire. «Si dice che tu ti sia autoesiliato da Zohayd dopo che tua madre ha cercato di arrostire metà della regione per servirtela su un piatto. Mi chiedo con quanto sforzo tu abbia contribuito ai fatti.»

Rashid, dei tre, era quello che era sempre riuscito ad abbattere le sue difese, a sciogliere gli strati di ghiaccio fino nel profondo, a fargli ribollire il sangue. Tuttavia, una difesa accalorata era proprio ciò che voleva, e Haidar aveva smesso da tempo di dare alle persone ciò che volevano da lui. «Tu mi conosci, Rashid. Certe cose mi vengono senza sforzo alcuno. Lascio che siano gli esseri... inferiori a sforzarsi.» «Quindi ora che Zohayd è rinsavita e ti ha cacciato a calci, sei venuto a illuminare Azmahar con la tua presenza. Dovresti sapere, però, che la gente si affida a me per... risolvere le discordie e chi le semina.» Senza la punta di sarcasmo nella voce, avrebbe detto che Rashid fosse mortalmente serio. Mortale, punto e basta. Si trovava davanti la faccia di qualcuno che sapeva uccidere senza pietà. Come aveva già fatto. Non che la cosa lo preoccue. C’erano altre due cose di cui era nato privo: la paura, e la capacità di battere in ritirata. Rilanciò la provocazione del cugino. «Pensavo solo di are a vedere cosa posso fare per salvare Azmahar dal triste fato di doversi accontentare di qualcuno con le tue... basilari deficienze. Sai quanto so essere caritatevole.» Nelle profondità degli occhi di Rashid balenò qualcosa di letale – non proprio un’emozione, ma una reazione. Senza comprenderne il motivo, Haidar si sentì costretto a riportare la sua attenzione sulla cicatrice. Ya Ullah, com’era successo? Quando? Non durante gli anni che aveva servito nell’esercito, questo lo sapeva per certo. Non capiva com’era possibile che non ne avesse mai sentito parlare. C’era qualcuno che ne era al corrente? Probabilmente, solo Rashid sapeva la verità. «Quanto hai dovuto pagare perché ti offrissero il trono?» La voce, più aspra, gli riportò lo sguardo ad altezza occhi: Rashid non voleva che qualcuno analizzasse la cicatrice, soprattutto non lui.

Tutt’a un tratto ne ebbe abbastanza. Odiava tutto ciò. Odiava che continuassero a pugnalarsi, inasprendo le ferite, allargando la frattura. Non aveva mai voluto che accadesse, e ora voleva che avesse fine. Non sarebbe stata una resa offrire il proverbiale ramo d’ulivo a un avversario ferito – un avversario che non avrebbe mai dovuto diventare tale. Inspirò. «Non ho mai ambito al trono, Rashid.» «È una tattica famosa.» Il cugino alzò le spalle. «La favola della volpe e l’uva. Eri il principe di due regni che non avrebbe mai potuto governare nessuno dei due. Cos’altro puoi fare, se non fingere che non ti interessi?» «Nessuna finta. Dopo una vita ata a osservare che spina nel fianco, nel cuore e nel sedere sia essere re, dal gramo esempio di mio padre, non lo augurerei a nessuno, nemmeno a te.» «Sono commosso che mi consideri il tuo peggior nemico.» Haidar imprecò in silenzio. Pessimo tempismo, per quella battuta. Rashid doveva averla presa alla lettera, e lui avrebbe voluto chiarire ma il cugino lo prevenne. «Quindi adesso condivido lo status col tuo mezzo demone di gemello, significativamente assente al momento?» Mentre Haidar aspettava che la menzione di Jalal finisse di rigirare il coltello nella piaga, Rashid affondò di nuovo. «Sono venuto da te solo per dirti che sarà uno so vedere voi due che vi scannate per il trono, sommando la vostra arroganza all’inettitudine di vostro zio, agli eccessi dei vostri cugini e alla malvagità senza remissione di vostra madre.» Sferrati i colpi che voleva sferrare, Rashid si voltò. Se ne sarebbe andato, e ogni speranza di ricomporre il loro rapporto sarebbe andata perduta. Haidar si lanciò verso di lui, lo afferrò per un braccio. «Che cosa ti è successo, Rashid?» Dopo un secondo di gelo, Rashid con tutta calma staccò la mano dal proprio

braccio e si allontanò di un o, come se la vicinanza di Haidar lo disgustasse. Il suo sguardo era opaco. «Sei sempre stato un egocentrico figlio di puttana, Haidar.» Non intendeva contestare l’accuratezza della definizione, ma non capiva cosa c’entrasse in quel contesto. «Sto cercando di interessarmi, adesso.» «Sei un po’ in ritardo, per questo. Di anni.» «B’haggej’jahee. Smettila di essere criptico. Cosa ti è successo?» «Vuoi dire la cicatrice? Avresti dovuto vederla prima della chirurgia plastica.» Haidar temette che la testa potesse esplodergli per la frustrazione. «Voglio dire tutto quanto. Quello che si vede... e quello che non si vede.» Per un lungo momento pensò che Rashid non si sarebbe dato la pena di rispondere, ma il cugino lo smentì. «Ho abbassato la guardia.» La sua occhiata avrebbe potuto polverizzare una roccia. «Mi sono fidato delle persone sbagliate.» Haidar barcollò indietro di un o. «Stai dicendo che in qualche modo ne sono responsabile io?» «È confortante vedere quanto sei diventato maestro nell’arte dell’inganno, per non parlare dell’autoassoluzione.» «È una follia, Rashid.» Ora il cervello rischiava di liquefarsi sotto il peso della confusione. «So che in ato abbiamo avuto delle divergenze...» «Vuoi dire che abbiamo cercato di distruggerci a vicenda.» «Io ho solo cercato di impedirti di distruggere me. E qualunque cosa abbia fatto per vendicarmi delle tue azioni, si è trattato sempre e solo di affari.» «Anche questa...» Rashid inclinò il capo, facendo scivolare un dito lungo l’increspatura che lo sfigurava. «... si è trattato solo di affari.» Haidar lo fissò, impotente e confuso. «Quello che dici non ha alcun senso.»

«Nemmeno quello che dici tu, se pensi di poter riforgiare una qualche forma di interazione personale tra di noi. E se credi che ti voglia dare una mano per alleviare il tuo senso di colpa in questa vita, mi hai preso per il Rashid Aal Munsoori sbagliato. Quello che ha smesso di esistere molti anni fa.» Quando fece di nuovo per voltarsi, Haidar lo trattenne ancora per il braccio. «Rashid, perlomeno mi devi...» Il cugino si rigirò come una serpente, ringhioso. «Non ti devo niente, Haidar, né a te né a Jalal né ad alcun membro della vostra famiglia.» Si fermò, gli occhi che scavavano dei buchi neri nell’anima di Haidar. Poi le sue labbra si allargarono nella sinistra parodia di un sorriso, i denti che brillavano misteriosamente contro la pelle scura. Haidar soppresse a stento un brivido. «Ti chiedo scusa, Haidar.» Eh? «Sono stato impreciso quando ho detto che non vi devo niente. Vi sono debitore, di un’immensità di dolore e di danni. E io pago sempre i miei debiti.» Questa volta, quando si voltò, Haidar lo lasciò andare. Prima di uscire dalla sua visuale, Rashid si voltò con un’occhiata serena come una tomba. «Sta’ all’erta, Haidar, e aspetta la tua fetta del conto.»

5

Haidar si costrinse a non inseguire Rashid, atterrarlo davanti a tutti e pretendere una spiegazione. Se l’avesse fatto, probabilmente sarebbero finiti tutti e due all’ospedale. No, prima doveva raccogliere le informazioni necessarie, e nel frattempo aveva altre questioni da affrontare. Roxanne. Jalal. Azmahar e il suo trono vacante... Diavolo, aveva pensato che nulla potesse essere peggio di ciò che era successo con Roxanne. O col fratello. O con la madre. Ma Rashid... oh sì, di sicuro vinceva, a mani basse. Si ritrovò all’ingresso del salone delle feste – evidentemente aveva ripreso il cammino col pilota automatico. Registrò appena lo spazio sontuoso, agghindato come un bazar delle notti arabe: qualcosa stava zittendo i mormorii e il clangore degli utensili, la malinconica musica azmahariana si era fermata. Roxanne stava salendo sul palco. Decisa, senza ombra di esitazione, senza nemmeno un accenno di ondeggiamento o di curve a distrarre dallo scopo e dalla sua efficienza. Indossava un abito sobrio, le fiamme dei capelli domate in una treccia sulla nuca, il viso truccato con colori neutri che mitigavano la sensualità dei suoi lineamenti. Che differenza dall’ammasso di fuoco apionato per cui aveva perso la testa otto anni prima! E anche dal tizzone in accappatoio di due sere fa. Ma anche in quella sfaccettatura professionale riusciva a eccitarlo all’inverosimile. Era incredibile che una donna di quell’età e quell’aspetto fosse presa tanto seriamente in una società patriarcale dove le tendenze scioviniste sopravvivevano ancora; in Azmahar, certi ruoli erano prettamente maschili, e le donne come Roxanne erano l’eccezione. E lei era decisamente una rarità. Haidar si godette ogni sfumatura mentre la osservava salire sul podio, rivolgersi all’audience nel silenzio totale, cordiale, sicura di sé, in totale controllo. Nel petto gli sorsero emozioni insolite, ammirazione, orgoglio...

Digrignò i denti. Non era costretto ad apprezzarla per cedere al desiderio che provava per lei. Anzi, quei sentimenti potevano sedare la ione, ostacolare i suoi piani per soddisfarla. Questo insidioso ammorbidimento doveva essere sradicato sul nascere. A partire da subito. Uscì dall’ombra. Invece che tenersi ai margini del salone, lo attraversò, tra un tavolo e l’altro; tanto valeva togliere di mezzo sguardi allibiti ed esclamazioni tutti in una volta. E infatti, il suo aggio suscitò un vespaio di mormorii e stupore in tutti i presenti. Qualcuno si affrettò a fargli posto al tavolo più vicino al palco, senza nascondere una morbosa curiosità per la reazione che avrebbe avuto Roxanne. Lei stava aspettando con apparente serenità che il trambusto si quietasse e che lui prendesse posto, ma Haidar percepì la sua furia. Ne avrebbe goduto, se non fosse stato troppo scosso per apprezzare ulteriore ostilità. Come se niente fosse, Roxanne sorvolò sull’interruzione che lui aveva provocato e riprese il discorso di apertura, quindi cedette il microfono al primo oratore. Lui la osservò scendere dal palco, raggiungere il fondo della sala. Quando si sedette era sulla stessa linea visuale di Rashid, che era rimasto in piedi accanto all’ingresso come un demone a guardia della bocca dell’inferno. Molto appropriato, simbolicamente parlando. Rivolse un’occhiata a entrambi, fu ricompensato con un’ondata di antipatia. Ci mancava solo che arrivasse Jalal, così la triade di rabbia e rigetto sarebbe stata completa. Haidar rilasciò il fiato, cercò di concentrarsi sui discorsi. Anche se, a dirla tutta, non sapeva più bene cosa ci faceva, in quel luogo. Le persone che più avevano contato, per lui, lo odiavano con tutto il cuore. E non pensava che le proprie colpe contro ciascuno di loro meritassero un simile rancore; evidentemente, la sua stessa natura era sufficiente a guadagnarselo. E pensava che l’intera nazione l’avrebbe voluto? Un altro punto fondamentale era che tutti – persino Rashid, con le sue cicatrici e

la sua metamorfosi – sembravano prosperare senza di lui. Questo avrebbe dovuto dirgli qualcosa, ossia che non c’era modo di sfuggire all’eredità della madre, che lui stesso non avrebbe mai potuto essere altro che un’influenza maligna. La redenzione era fuori questione, e la cosa migliore che avrebbe potuto fare per Azmahar era stargli lontano. Si voltò un’ultima volta verso i due più che convinti della cosa; al vedere la conferma nei loro occhi, prese una decisione. Avrebbe dimostrato, a loro e a tutti gli altri, compreso se stesso, che si sbagliavano.

Tre ore a moderare l’elite boriosa, litigiosa, anacronisticamente tribale sarebbe stato più che sufficiente. Farlo sotto l’intenso scrutinio di Haidar le portò i nervi a fior di pelle. Roxanne e la sua squadra avevano lavorato sodo per mettere insieme tutti i principali attori del regno, analizzare le loro posizioni e vedere come si comportavano. L’incontro doveva servire a farsi un’idea di chi poteva far parte della soluzione, e chi avrebbe dovuto essere escluso. Poi era arrivato Rashid Aal Munsoori. Lei aveva pensato che l’introduzione di quella superpotenza fin dall’inizio avrebbe sconvolto un equilibrio che non era ancora stato trovato. Quell’uomo sembrava una simile forza di... oscurità; le persone avevano vacillato al solo vederlo. Erano spaventate. Roxanne aveva pensato fosse il peggio che potesse accadere. Prima che arrivasse Haidar. Era stata la sua presenza a polarizzare le reazioni, a incitare ioni e in generale a disturbare i lavori. E questo quando era rimasto ad ascoltare in silenzio. Roxanne era riuscita a stento a evitare che la situazione precipitasse in uno scontro aperto. Eludendo tutti gli sguardi, si affrettò per lasciare la sala prima che potessero

metterla all’angolo con domande cui non poteva o non voleva rispondere, prima che Rashid potesse liberarsi dai suoi stessi assillatori e arrivare a lei. Ma soprattutto, prima che... «Quindi la domanda è: qual era lo scopo di tutto questo?» E pensare che ce l’aveva quasi fatta! Si impedì all’ultimo di pestare i piedi e protestare un no al cielo. Di scappare a gambe levate – dopo essersi tolta i tacchi e averli lanciati addosso a Haidar. Si voltò con calma, per evitare di dare una qualche soddisfazione ai presenti. E quasi inciampò sui propri i. Da lontano era parso irresistibile, da vicino era... inimmaginabile. Anche meglio di due giorni prima: in un abito grigio acciaio dello stesso esatto colore dei suoi occhi, che benediceva ogni centimetro del suo corpo, esaltando le sue proporzioni, sembrava un dio del sole. Gli occhi scintillavano nell’atmosfera dai toni morbidi, la pelle riluceva come rame surriscaldato, i capelli brillavano come il manto di una pantera nera. In tutto e per tutto, un capolavoro divino di mascolinità. E a peggiorare la situazione, quella voce di vino scuro e velluto che si riversò di nuovo su di lei. «Una corsa per accaparrarsi i posti rimasti liberi a corte?» Roxanne strinse i denti quando lui si avvicinò al punto da lasciare soltanto lo spazio necessario alla pubblica decenza; il suo profumo la avvolse, la sua virilità le assaltò i sensi. In qualche modo trovò la disciplina necessaria a offrirgli un sorriso impersonale. «Un re non fa una corte. È stato concordato di assegnare i ruoli inferiori della gerarchia, prima di arrivare al top.» «Quindi, volete che il nuovo re si ritrovi un governo già bell’e pronto. Avrete bisogno di un bel po’ di fortuna per farvi ascoltare da Jalal o Rashid una volta che il vostro piano verrà reso pubblico.» Se Haidar si fosse convinto che quella era proprio l’idea, avrebbe lasciato

Azmahar in meno di un’ora. Peccato che Roxanne fosse troppo professionale per lasciarglielo credere. «Si tratta di un governo provvisorio, fino all’incoronazione del nuovo re.» «E suddetto nuovo re sarebbe libero di rimettere nella scatola i pezzi che non approva?» «Non penso che in Azmahar saranno ancora bene accette simili decisioni unilaterali.» «Persino nelle democrazie i presidenti hanno facoltà di scegliere i propri ministri. Vi aspettate che un re di questa regione non si appoggi a persone di sua fiducia?» «Basta che siano scelte grazie ai loro meriti, e non al nepotismo.» Haidar inarcò un sopracciglio. «Sai bene che sia io, sia Jalal, sia Rashid siamo stati scelti proprio perché abbiamo dimostrato, con il nostro successo negli affari e nella politica, di sapere come farci affiancare da persone di valore. Nessuno di noi potrebbe mai diventare un retrogrado votato al nepotismo. Il problema è trovare qualcuno di valore, in mezzo a tutta la plebaglia presente questa sera.» «È proprio per questo che abbiamo organizzato quest’incontro: per eliminare le mele marce dal cesto.» Le sue labbra si allargarono in un sorriso sarcastico. «Sarebbe più facile lasciare il cesto com’è, e togliere le mele sane. Vuoi il mio consiglio su come farlo?» «No, ma so che mi illuminerai lo stesso.» Il sorriso si fece più divertito. «Rivedi i nastri della serata. Elimina tutti quelli che hanno parlato quando non toccava a loro e quelli che hanno perso la calma. Ne rimarranno cinque su cinquecento, li ho contati. Quelle sono le uniche persone che accetterei nel mio governo.» Era esattamente ciò che Roxanne aveva in programma di fare, dannazione a lui. Certo, non intendeva confessarglielo. «Stai per fondare un nuovo regno e sei alla ricerca di ministri?»

«Carina. Ma se non hai bisogno dei miei consigli, puoi sempre tirare a sorte: al di fuori di quei cinque, chiunque sarebbe ugualmente disastroso.» «Grazie per le perle di saggezza. Comunque sia, non faremo proprio niente, finché non avremo raccolto tutti i dati.» «E cos’altro potremmo fare?» «Noi non faremo niente. Nel frattempo, io devo andare.» «Bene. Ti seguo.» Già, splendido. Avrebbe preferito avere un leone vero alle costole, uno appena liberato dopo mesi di digiuno. «Perché non ti fermi a completare il caos?» Haidar fece scattare le sopracciglia a simulare un certo stupore. «Caos?» L’espressione gioviale di Roxanne non vacillò, nemmeno quando il suo sibilò rischiò di smembrarlo. «Ho organizzato la serata in modo che fosse un evento rilassato, addirittura un po’ festoso...» «Adesso capisco. Pensavo che volessi instaurare una nuova tradizione: l’halloween azmahariano.» Il suo tono si inasprì. «Volevo che gli intervenuti parteciero con mente aperta alla cooperazione, per alleviare l’atmosfera di oppressione e minaccia che satura il regno. Quindi ti ringrazio per aver rovinato tutto.» «Io? Che cos’ho fatto?» Quelle ciglia lunghe un miglio andarono su e giù. A Roxanne parve di sentire l’aria che smuovevano, che andava ad aizzare il fuoco che ardeva dentro di lei. «Hai il superpotere di seminare zizzania. Ed è sempre attivo, che tu lo voglia o no.» Attese che rilanciasse con un’altra battuta al fulmicotone, ma la disinvoltura sparì, lasciando il suo viso vacuo. Dopodiché peggiorò. Mentre distoglieva lo sguardo, nei suoi occhi lei intravide l’agonia. Seguì la loro traiettoria fino alla presenza più opprimente: Rashid.

Quasi percepisse l’attenzione, Rashid girò la testa. E se le occhiate avessero potuto incenerire, Haidar sarebbe stato un cumulo di cenere. Rabbrividendo all’energia scambiata dai due uomini, Roxanne si stupì al percepire acrimonia in una sola direzione. Quello che emanava da Haidar era altrettanto intenso, ma di natura differente; qualcosa che non avrebbe mai pensato di sentire da lui: avvilimento. Haidar riportò l’attenzione su di lei. «Rallegrati, Roxanne. Allontano la mia presenza distruttiva dalle aree abitate.» Quindi si voltò e uscì dal salone. Roxanne lo guardò allontanarsi per la seconda volta in due giorni, dopodiché gli corse dietro, in un corridoio deserto che parve materializzarsi dal nulla. Solo quando l’ebbe raggiunto si rese conto delle proprie azioni. Che diavolo stava facendo? Lui si voltò, gli occhi che sembravano riflettere... dolore? E Roxanne non riuscì a trattenersi. «Cosa c’è che non va?» Avrebbe voluto prendersi a calci. Che cosa le importava se c’era qualcosa – tutto – che non andava, per Haidar Aal Shalaan? Per un lungo istante parve che non avrebbe risposto, ma poi sospirò. «Molte cose, evidentemente. Probabilmente tutto.» Roxanne avrebbe dovuto offrire un commento appena civile, quindi voltare sui tacchi e filare via alla velocità della luce. «Allora, cos’ho detto per suscitare la tua improvvisa ritirata?» gli domandò invece. Haidar parve sorpreso, e lei si affrettò ad aggiungere, «Chiedo solo in modo da poter replicare un simile successo in futuro.» Al posto della replica tagliente che si era aspettata, lui scosse il capo. «Tu hai... confermato qualcosa che mi ha detto prima Rashid. Non è la prima volta che noto che avete la stessa opinione di me.» «Per quanto ti riguarda, abbiamo anche altro in comune. Ho sentito che un tempo eravate amici, e ora siete nemici giurati.» Haidar avrebbe dovuto correggere l’affermazione, dicendo che loro due non erano nemici, semplicemente non erano più amanti. Uno stato di fatto che lui

non aveva alcun problema a instaurare ancora. Ma di nuovo lui sconvolse le sue aspettative, gli occhi spenti, sconfitti. «Non so perché, ma pensavo che la nostra inimicizia non fosse di dominio pubblico.» «Mi prendi in giro? Anche se non fosse il mio mestiere star dietro ai pezzi grossi dell’economia, sarebbe stato comunque arduo perdersi lo scontro tra i due esordienti più abili del mondo della tecnologia. Negli ultimi due anni, avete ridicolizzato Scontro tra titani.» «Stenterai a crederlo, ma non sono stato io a cominciare.» «Oh, ti credo eccome.» Haidar si accigliò. «Mi credi?» «Tu non cominci mai niente. Tu porti le persone al punto in cui ti vogliono massacrare. E quando ci provano, rispondi violentemente. Tanto il mondo è convinto che si tratti di legittima difesa.» La sua risata fu amara. «Naturale che la pensi così. Potresti anche aver ragione, ma non nel caso di Rashid.» «Lui è troppo potente anche per te, perché tu riesca a decimarlo e assimilarlo?» «Intendevo dire che non l’ho spinto io ad attaccarmi. E visto che l’hai chiesto, è questo che c’è che non va: non so qual è il motivo.» Roxanne detestava sentirsi afflitta per lui, perciò lo fulminò. «Non è possibile che tu non lo sappia.» «Pensavo di saperlo. Pensavo che fosse un’altra escalation partita da un incidente che ne ha provocato un altro e poi un altro ancora, fino a perdere il controllo – com’è successo con la maggior parte delle mie relazioni interpersonali.» Che carino a ricordarglielo. Anche se non era in grado di connettere le proprie azioni al disastro che provocava nelle vite altrui, questo non significava però che fosse innocente del crimine. «Ma guarda, il diavolo che non sa che pesci pigliare» sibilò sulla

difensiva. «È che, quando l’ho rivisto, la guerra che abbiamo intrapreso ha smesso di essere impersonale ed è tornata nel campo dello strettamente personale. E allora non ho più trovato un senso.» Al suo tono sconsolato, le si formò un nodo in gola. «Ma sei risalito all’incidente iniziale?» Lo sguardo di Haidar si annebbiò, come se si fosse tuffato nei ricordi. «Noi avevamo vent’anni, lui ventuno.» A Roxanne si strinse il cuore al sentire il plurale, come se lui e Jalal fossero un’unità indivisibile. «Rashid e io frequentavamo gli stessi corsi, già indirizzati verso i progetti di sviluppo tecnologico. Un giorno il suo tutore morì. In realtà non aveva più avuto bisogno di un tutore da tempo, visto che già dall’adolescenza aveva cominciato a guadagnarsi da vivere. Solo che quel tutore lasciò un cumulo di debiti, e Rashid si assunse l’onere di saldarli. Quella fu la nostra prima lite. Andai su tutte le furie quando decise di farsi carico dei debiti di qualcuno che, oltretutto, non l’aveva neanche accolto a braccia aperte. Un uomo i cui figli vivevano nel lusso che i debiti del padre avevano assicurato. Avrebbero dovuto essere loro a pagare, non Rashid, che non avevano mai trattato come uno di famiglia, e che sopportavano a malapena solo perché era vicino a noi. Ma lui era irremovibile, ripeteva che era l’onore a imporglielo.» Haidar fece una smorfia di esasperazione. «Aveva già stabilito tutto. Ad Azmahar avevano appena costruito una base americana e stavano reclutando dei soldati, promettendo ai migliori salari favolosi e borse di studio. Rashid era certo che sarebbe stato tra gli eletti, aveva calcolato che avrebbe ripagato i debiti in cinque anni, nel contempo facendo qualcosa che aveva sempre sognato e assicurandosi un’educazione che altrimenti non avrebbe potuto permettersi.» Roxanne era quasi senza parole per lo stupore. «Non sembra male, come piano.» «Se non fosse stato un rischio per la sua vita.» «Ehm... cosa vuoi dire?» «All’epoca, per colpa della stupidità di mio zio sembrava inevitabile un conflitto armato tra Azmahar e Damhoor. Noi continuavamo a ripetergli che avremmo saldato noi i debiti, che era da pazzi entrare nell’esercito alla vigilia di una

guerra. Ya Ullah... non so come ho fatto a non strangolarlo.» Haidar mimò il gesto violento, il corpo tutto teso, il viso contorto al rivivere quella frustrazione e quella disperazione. Era affascinante, sconvolgente, quell’introspezione nel suo ato. Un altro monito al fatto che Roxanne non lo conosceva per niente, non l’aveva mai conosciuto davvero; una prova ulteriore di quanto fosse stata poco importante, per lui, se non le aveva mai confidato un evento tanto fondamentale per la sua vita. In realtà, era anche molto peggio di così. Perché Roxanne si era convinta che lui fosse nato senza la capacità di coinvolgimento emotivo; solo questo aveva mitigato il dolore e l’umiliazione. Invece, le sue emozioni esistevano, e potevano essere potenti. Ci voleva qualcosa di profondo per dissotterrarle, come ciò che aveva condiviso con Rashid, non qualcosa di tanto triviale come ciò che aveva avuto con lei. La scoperta fu una nuova pugnalata al cuore. Il che era ridicolo: era storia antica. Ciò che contava, a quel punto, era la storia ancora da scrivere. E quella era un’opportunità irripetibile per conoscere informazioni vitali su due dei candidati al trono. Poteva essere cruciale per il ruolo chiave che Roxanne intendeva giocare. Ingoiando il proprio stupido dolore personale, si costrinse a pronunciare le parole salde della negoziatrice che era. «Da quello che dici, Rashid avrebbe dovuto volervi ancora più bene, vista la vostra preoccupazione per il suo benessere e la sua sicurezza.» «Tu non sai come possono essere i ragazzi a quell’età. La nostra reazione alla paura per lui, al timore di perderlo non fu piacevole. Io, soprattutto... mi feci prendere la mano.» Si ò una mano sugli occhi, il gesto stanco. «Rashid era orfano, aveva solo noi, e noi usammo questo fattore come leva. Jalal gli fece pressione per la lealtà che ci doveva, ma io sapevo che non sarebbe servito a niente. D’altro canto, io sapevo quali tasti spingere, e giocai sporco quanto ritenevo fosse necessario.»

«Però lui se ne andò lo stesso» indovinò Roxanne, «e con la tua crudeltà come ultimo ricordo che aveva di te.» «Aih.» I suoi occhi erano una finestra aperta sul suo inferno personale. «Poi scoppiò la guerra. Zohayd e Judar intervennero, ma solo dopo che ci furono migliaia di vittime da entrambe le parti. Rashid fu dato per disperso. Diventammo matti a cercarlo, per settimane. E poi ritornò, esausto ma illeso, alla guida del suo plotone attraverso il deserto.» Wow. Rashid Aal Munsoori aveva un ato colorito, e non documentato. Al di là dei dati basilari, sembrava comparso dal nulla, due anni prima, al top del business nel ramo tecnologico. Haidar proseguì. «Fu decorato come eroe di guerra, saldò i debiti del tutore, accumulò lauree e promozioni a velocità supersonica, e prese parte ad altri due conflitti armati prima di compiere ventotto anni. A quel punto il nostro rapporto non era idilliaco, ma ne avevamo ancora uno; quando tornava in licenza, raramente usciva con noi, e quando lo faceva era sommesso, sembrava pesare ogni parola. E questo mi rese così risentito, così dannatamente preoccupato, che probabilmente io...» Alzò le spalle, esasperato. «Hai esagerato?» intuì di nuovo lei. Inarcò le sopracciglia a conferma. «Poi un giorno mi informò che gli avevano offerto una promozione importante, senza specificare quale, e che avrebbe viaggiato parecchio senza essere rintracciabile. In pratica, sparì dalla faccia della terra.» Scosse il capo. «E di punto in bianco, tre anni fa ricevetti una telefonata. Sembrava ubriaco, o drogato; rimasi allibito, perché Rashid era sempre stato un perfetto salutista. Ma cosa ne sapevo di cos’era diventato negli anni in cui non l’avevo più visto? Mi disse che aveva bisogno d’aiuto, mi diede un indirizzo e poi riagganciò. Corsi dove mi aveva indicato, ma non trovai niente.» «Lui non c’era?» «Non c’era niente, letteralmente. Quel posto non esisteva. Cercai di richiamarlo, ma il numero non era raggiungibile. Qualche giorno dopo mi mandò un messaggio, dicendo che aveva bevuto, di scordare l’incidente. Risposi al messaggio, supplicandolo di incontrarci. Non ebbi alcuna risposta. Frustrato per il suo comportamento, feci del mio meglio per dimenticarmi dell’incidente, e di lui. Un anno dopo, non appena risolto il pasticcio in Zohayd, rientrò nella mia

vita – come nemico numero uno. Pensavo volesse vendicarsi in qualche modo, dimostrare di essere superiore. Lo chiamai, gli offrii una partnership, quella che avevamo sognato da ragazzi. Lui rispose che l’unica e ultima volta in cui mi avrebbe stretto la mano sarebbe stato dopo che gli avessi ceduto tutto ciò che avevo, e mi intimò di non richiamarlo. Ero così frustrato con lui e con la sua testa dura che non gli rivolsi mai più la parola. Fino a oggi.» Ciò che le stava dicendo non era una novità: Haidar non vedeva oltre ciò che lui voleva e sentiva. Aveva fatto lo stesso con lei. Con Jalal. Non avrebbe dovuto farsi coinvolgere, eppure... Il fatto che per la prima volta le spiegasse le ragioni delle sue azioni lo faceva are da un cavernicolo insensibile a qualcuno che non aveva mai imparato a come non apparire tale. Lo dipingeva nei toni del grigio, invece che del nero. Anche se questo non faceva differenza per quelli che aveva ferito. «E l’uomo che ho visto oggi non è più il Rashid che conoscevo. Non solo per la cicatrice...» «Quale cicatrice?» chiese lei sorpresa. Haidar la guardò come se fosse impazzita. «Come puoi non averla vista? Come può essere sfuggita a tutti?» «Non l’ho visto da vicino, e secondo le mie fonti, è da sette anni che non mette piede in Azmahar. Pare che nessuno l’abbia più visto, perciò nessuno ha potuto diffondere la notizia.» Lui annuì lentamente. «Ma questo non spiega il suo cambiamento radicale.» «Essere un soldato può cambiarti. Combattere una guerra lo fa di certo.» «Lo pensavo anch’io, ma è più di questo. Gli è successo qualcosa, qualcosa di terribile.» «Più terribile di una guerra?» «Sì, e lui mi ritiene almeno in parte responsabile.»

Il cuore le scalciò nel petto, forte. «A ragione?» Lui divenne rigido come un bastone, come se l’avesse preso a calci. «Tu cosa ne dici?» Haidar era molte cose, ma non un criminale. E sarebbe stato anche peggio, un mostro, se avesse orchestrato la rovina fisica e psicologica del suo ex migliore amico. Roxanne si mordicchiò il labbro. «Che cosa farai per dimostrargli che ha torto?» La tensione lo abbandonò, scacciata dalla... gratitudine? «Devo fare delle indagini, prima di poter formulare un piano. Sarà difficile perché, con tutta la pena che si è dato Rashid per mantenere il segreto, non posso permettere che una persona qualunque ne venga a conoscenza.» «Fammi sapere cosa posso fare per aiutarti.» Questa volta, quando i loro sguardi si incrociarono fu impossibile non riconoscerlo: Haidar le era grato. Anzi, di più. Era commosso. Le lacrime le bruciarono gli occhi. «Haidar...» Prima che potesse pronunciare un’altra parola, si ritrovò spalle al muro, con novanta e a chili di potenza virile pressati sul proprio corpo. Il suo sussulto di stupore fu ingoiato dalle labbra fameliche di Haidar; la sua lingua la invase, reclamandola, conquistandola. Il suo sapore, il calore, la sensazione, ciò che le stava facendo, il modo in cui le mani cercavano tutti i suoi segreti la portarono sull’abisso della follia in un batter d’occhio. Si divincolò contro di lui, svuotata di tutto tranne che del bisogno di quella soddisfazione che solo lui sapeva regalarle. Lui si chinò, le morsicò i capezzoli attraverso la maglia, si risollevò per accogliere le sue ansimate confessioni di piacere. Riprese a divorarla mentre le mani le scivolavano sui fianchi, arricciando la gonna, raggiungendo le mutandine bagnate, afferrando i glutei con forza e bramosia, sollevandola, aprendola per il proprio possesso. Piombata in un abisso di irrazionalità, Roxanne si aggrappò a lui, godendo della sua potenza pressata contro il proprio nodo pulsante, unico sostegno in un

mondo che aveva perso sostanza. Si sentì sopraffare dalla tempesta guidata dalle sue spinte, i gemiti che accompagnavano ogni bacio prepotente mentre Haidar incrementava il ritmo che simulava l’atto di possesso a una folle frenesia. Lei divaricò le gambe, allargò la bocca, per fare qualsiasi cosa lui volesse, per ricevere tutto ciò che voleva darle. «Haidar...» La molla di tensione accumulata dentro di lei scoppiò all’improvviso. Gridò nella sua bocca mentre le pulsazioni di piacere si susseguivano dentro di lei. Lui non ebbe pietà, i movimenti del bacino che continuavano a nutrire la sua estasi, finché Roxanne non fu che un ammasso di sconvolta soddisfazione tra le sue braccia. A quel punto Haidar si costrinse a rallentare, a fermarsi. Ancora pressato a lei, le labbra che le rubavano un ultimo bacio apionato, sollevò la testa, abbassò su di lei due occhi vibranti di eccitazione, pesanti di promesse. «So cosa puoi fare per aiutarmi. Permettimi di farti godere come si deve, ripetutamente, per tutta la notte.»

6

«Vieni a casa con me, Roxanne.» La voce di Haidar era spessa, affamata. Agonizzante. Il suo corpo sarebbe imploso se lei avesse detto di no. «Dimmi di sì, Roxanne.» Le dita si chio sul banchetto della sua carne, l’eccitazione che risorgeva al profumo della sua soddisfazione. I suoi seni ancora rabbrividivano, il respiro caotico li spingeva contro il petto di Haidar. Le labbra piene, rosse e gonfie per la ferocia della sua brama non riuscivano a smettere di tremare. Il piacere stava regredendo, ma una nuova eccitazione le pesava sulle palpebre, accendendole gli occhi di smeraldo. Avrebbe detto di sì. E lui avrebbe ato il resto della notte a possederla e ad appagarla in ogni angolo della casa che aveva comprato proprio per... Qualcosa si fece notare ai margini della sua mente annebbiata. Un suono, il ritmo deciso e regolare di i... Roxanne si irrigidì, dopodiché sussultò, allontanandolo da sé come si fosse ritrovata abbracciata a un viscido mostro. Incapace di connettere, lui rimase immobile a guardarla risistemarsi freneticamente la gonna. Quindi, senza neanche guardarlo, scappò via. «Sono proprio curioso, Haidar.» Rashid. Si voltò, il corpo strangolato in una morsa di agonia. Rispose all’espressione vuota del cugino con un’occhiata che rispecchiava la tempesta che lo stava sconquassando. «Dimmi, Haidar. Come hai fatto a raggiungere un simile successo? Solitamente, gli uomini che non riescono a tenerlo nei pantaloni non possiedono la disciplina e l’acume necessari per ottenerlo, tanto meno per mantenerlo.»

Haidar strinse i denti per non fare ancora più neri gli occhi più scuri del peccato di Rashid. «Già dedito alla vendetta, cugino?» «In realtà, ti faccio un favore. Una dimostrazione infantile alla porta della consulente politico-economica più prominente del regno è una cosa, specie dal momento che pare tu sia rimasto da lei solo il tempo sufficiente a farti prendere a schiaffi. E il giorno successivo lei si è data un gran daffare, come una madre che domandi perdono per le scenate del figlio delinquente. Ma... molestarla sessualmente nel mezzo di una funzione pubblica e vitale che lei stessa ha organizzato, in un corridoio, contro un muro? Dovevo proprio fare qualcosa.» «E il favore sarebbe? Preservare la mia immagine? Pensavo fosse tua intenzione polverizzarla.» Lo scorno negli occhi di Rashid l’avrebbe raggelato, se non avesse avuto il sangue incendiato. «Non ò l’handicap della tua immaturità sessuale per batterti, Haidar. Ho un’ampia scelta di vizi più rilevanti e gratificanti per screditarti.» «Buona fortuna, Rashid. E tanto per essere chiari, visto che il tuo... favore potrebbe avermi reso invalido per il resto della mia vita, a questo punto credo di odiarti quanto evidentemente tu odi me.» «Allora ho svolto il mio lavoro. Per oggi.» Gli rivolse un mezzo inchino di scherno, rallentando appena mentre gli ava accanto. «E Haidar, questa donna... è unica.» Il sangue gli andò alla testa alla velocità della luce. Afferrò il cugino per il braccio. «Non ti azzardare neanche...» Rashid interruppe la sua furia sul nascere, rimuovendo con calma la mano che lo tratteneva. «È veramente unica. L’ho osservata, questa sera, ho osservato le reazioni dei presenti, ho parlato a lungo con molta gente. Sta mettendo insieme quella che potrebbe essere l’unica possibilità per Azmahar di avere un minimo di stabilità finché la nostra puerile schermaglia non sarà conclusa. Non sabotare la sua credibilità e la sua efficacia.» Detto ciò, proseguì per la propria strada, il thobe e quell’aura disumana che gli aleggiavano intorno come un malefico campo di forza. Non si voltò indietro.

Haidar ci stava facendo l’abitudine. Ma doveva ammettere che Rashid aveva ragione, su una cosa: rischiava di distruggere tutto ciò che aveva costruito. Negli ultimi due anni aveva compiuto errori assurdi, che aveva faticato poi a correggere. Ma da quando era tornato nel regno la sua incapacità di prevedere le conseguenze si era fatta ancora più manifesta. Da quando aveva rivisto Roxanne... Era tornato convinto di raggiungere i propri obiettivi: spingere Roxanne nel letto che aveva preparato per lei, e svolgere uno studio preliminare di fattibilità della propria candidatura. Risultato della serata? Zero su tutti i fronti. Rashid aveva avuto la prima e l’ultima parola, Roxanne gli era sfuggita di nuovo, e non aveva raccolto alcuna informazione utile. Come se non bastasse, mente e corpo avevano subito dei colpi quasi letali. Senza guardie del corpo, gli ci vollero dieci minuti buoni per raggiungere l’auto attraverso la massa di personaggi più o meno rilevanti che volevano scambiare qualche parola con lui. Imboccò la strada per l’albergo – non poteva andare a casa. Le fantasie di proseguire la serata con Roxanne, tra quelle mura, erano così vivide che avrebbero potuto provocargli dei danni permanenti se fosse andato là senza di lei. Ma... forse non doveva per forza andarci da solo. Compose il suo numero, e per tre volte la chiamata fu rifiutata. A quel punto afferrò il messaggio. La follia era scemata e il ritorno della ragione doveva averla fatta inorridire all’idea di quanto poteva costarle quella grezza indiscrezione. Forse si era già convinta che le fosse costata la carriera – non si era guardata indietro, non aveva visto chi li aveva sorpresi. Haidar accostò l’auto nel primo slargo, le mandò un sms. Era solo Rashid. Solo dopo aver ripreso la strada si rese conto di cosa aveva scritto. Solo Rashid? Che diavolo gli era ato per la testa? A quel punto Roxanne doveva essere sull’orlo di una crisi di nervi, convinta di essersi esposta con l’uomo la cui opinione contava di più di quella degli altri sudditi tutti insieme.

Imprecando, parcheggiò di nuovo, le mandò un altro messaggio. Per Rashid è tutta colpa mia. Pensa che tu sia unica, la migliore. Parole sue. Nessun danno. Sperando che fosse sufficiente ad alleviare la sua ansia, ritornò alla guida. Le avrebbe dato tempo di arrivare a casa, quindi avrebbe bussato alla sua porta. No, non poteva farlo. Haidar Aal Shalaan non si ripeteva mai. Aveva bisogno di una nuova strategia. Aveva sbagliato tutto, fino a quel momento; era stato troppo impaziente, troppo affamato, non l’aveva ascoltata a dovere. A quel punto era chiaro che l’unico motivo per cui lei gli resisteva era il timore di compromettere la propria posizione. In ato, all’inizio lei l’aveva tenuto a distanza per proteggere la reputazione sua e della madre nella società conservatrice di Azmahar. Haidar aveva fatto di tutto perché la loro relazione restasse segreta, in modo da tranquillizzarla su quel fronte. Certo, la cosa aveva fatto gioco anche a lui. Otto anni dopo, Roxanne era più seria che mai riguardo la propria immagine. Perciò se lui avesse messo fine alle incursioni impulsive, se le avesse assicurato privacy e segretezza, avrebbe scommesso che ci si sarebbe fiondata di corsa, in quel letto. Proprio come aveva fatto in quei mesi di ione rubata. Rashid, accidenti a lui, aveva avuto ragione anche su questo. Non poteva comprometterla. Nessun danno. Roxanne rilesse il messaggio di Haidar per la centesima volta, quella settimana. Ne erano arrivati altri, dopo, ma lei continuava a tornare a quello. E ogni volta che lo vedeva, avrebbe voluto trovarsi Haidar di fronte. Per potergli cambiare i connotati. Da quel giorno bruciava per la mortificazione. Aveva preso in seria considerazione di scappare dal palazzo reale e da Azmahar. Era certa che il proprio incarico fosse compromesso, che sarebbe stata lo zimbello del regno nel giro di poche ore. Haidar l’aveva giocata, ammorbidendola con una reazione inaspettata dopo

l’altra prima di colpire con quella storia strappalacrime, una finestra su una vulnerabilità che lei non aveva creduto potesse esistere. Come colpo di grazia, l’aveva guardata con quegli occhi tempestosi, e lei si era sciolta tra le sue braccia. Letteralmente. Chiunque avrebbe potuto arrivare e vederla avvinghiata a lui nell’apice dell’orgasmo. Rashid Aal Munsoori l’aveva fatto. E Haidar aveva osato dire che non era stato fatto alcun danno! Non aveva importanza che avesse cercato di rassicurarla che l’incidente non le sarebbe costato reputazione e posizione. Non aveva importanza che da quella sera Roxanne avesse rivisto Rashid per due volte, e che lui l’avesse trattata con assoluto rispetto, senza la minima traccia di ammiccamento. Non aveva importanza che sembrava proprio non fosse stato fatto alcun danno. I danni, lei voleva ancora infliggerli a Haidar. E seri. Peccato che probabilmente lui l’avrebbe incoraggiata, e si sarebbe goduto ogni momento. Be’, nel giro di un’ora sarebbe stata in grado di accontentarlo. Doveva andare a casa sua. E secondo i suoi termini. Perlomeno, non era sola: un’intera delegazione era stata convocata in suddetta casa per discutere di questioni effettivamente rilevanti e urgenti. Nell’ultima settimana, Haidar si era rimboccato le maniche, affrontando una quantità di problemi. Tra l’altro, anche se indirettamente, stava collaborando sia con Rashid, sia con Jalal per tamponare le fuoriuscite di greggio: tra tutti e tre, con i loro poteri specifici e le loro strategie, e con le considerevoli connessioni, avevano attaccato il problema su tutti i fronti ed erano sulla buona strada per risolverlo. Quella mattina, scherzando, Roxanne aveva detto alla propria squadra che il piano per salvare Azmahar avrebbe dovuto prevedere tre re. Sospirò, maledicendo lo stato di costante eccitazione che il solo pensare a Haidar le provocava. Perché non poteva provare simili reazioni per qualcuno di...

umano? Rassegnata, rivolse l’attenzione al panorama che scorreva al di là del finestrino della limousine che lui aveva insistito a mandarle. Di punto in bianco lo scenario cambiò, dalla monotonia del piatto deserto a un incredibile sistema di dune che scendevano ondulate fino a una striscia di sabbia d’oro rosso; la spiaggia si curvava in una baia che terminava in una lingua di terra che andava a sfiorare l’oasi di un’isola. Tra le dune e la spiaggia trovava posto una tenuta con palme e ulivi, nel cui cuore era annidata una costruzione. Mentre l’auto discendeva il vialetto tortuoso distaccatosi dalla strada principale, la casa divenne sempre più chiara e dettagliata. Appariva... straordinaria. Docile come una tenda che ondeggi nel vento secco e caldo, fluida come una nave che dispieghi le vele dal molo che si protendeva dalla terrazza, per veleggiare in mare aperto. Roxanne si raddrizzò sul sedile, il battito accelerato, la bocca asciutta. La pura bellezza di quella vista, resa ancora più incredibile dalla perfezione di un tramonto dorato, le penetrò nei sensi, andandoli a toccare uno a uno con un potere che la lasciò annaspante per la sua forza, per la sua... futilità. Quindi quella era la casa di Haidar in Azmahar. La casa che un giorno avrebbe condiviso con la donna che avrebbe scelto, con la famiglia che avrebbe creato. Per lei, Haidar e casa non avevano mai trovato posto nella stessa frase. Si erano sempre incontrati in terreno neutrale, arrivando separatamente, andandosene allo stesso modo. Che ironia della sorte che l’unica volta che l’aveva invitata nel suo spazio personale, fosse per affari impersonali. L’auto si fermò, Roxanne ringraziò l’autista e scese prima che potesse aprirle la portiera. Raddrizzò la schiena, rinforzando la propria determinazione mentre saliva gli scalini di ingresso: non intendeva aspettare nessuno che la ricevesse o la accogliesse. Era lì per lavoro; l’avrebbe concluso e se ne sarebbe andata. Cercò di non prendere nota dell’abitazione – ci sarebbe riuscita solo se fosse stata incosciente. Invece, ne assorbì ogni dettaglio, dell’esterno e dell’interno, un matrimonio senza soluzione di continuità tra concetti arabi e temi innovativi, il cui risultato era senza precedenti. Tutto era stato scelto per il comfort del corpo e dell’anima, mescolando linee e spazi fluidi con audaci pareti colorate e soffitti del colore del miele; pietre che richiamavano la sabbia, vividi mosaici, mobili

insieme funzionali e artistici adornavano ambienti affacciati su uno splendido mare limpido. Un luogo di contrasti, dall’intensamente rilassante al vibrante ed esotico, un’oasi del meglio che natura e uomo erano riusciti a produrre. «L’ho chiamata Al Saherah.» La sua voce la colpì in mezzo al cuore. Al Saherah. L’ammaliatrice, l’incantatrice. Roxanne si voltò, lo trovò a riempire il varco di un aggio che conduceva a un’altra area della casa. Tutto in bianco, era un angelo caduto travestito da uno dei buoni. Grande, vitale, dolorosamente bello. Era lui l’incantatore. Lei deglutì il dolore che il vederlo le suscitava sempre nel cuore. «Questo posto è magico.» Haidar avanzò verso di lei, maestoso e potenzialmente letale come il felino di cui portava il nome. «Ma pensavo di cambiare il nome in Al Naar Al Saherah. Oppure Al Saherah Al Nareyah. Per rendere giustizia alla sua personificazione di carne e sangue.» Fuoco incantatore. O Fiera incantatrice. Involontariamente, Roxanne si portò una mano ai capelli. Quando aveva imparato a parlare così? Non era abbastanza che riuscisse a fare impazzire qualunque essere con un doppio cromosoma X con la sua mera esistenza? Adesso aveva anche appreso il potere devastante della seduzione verbale? Alla faccia dell’ingiustizia. Evitando di commentare il suo esordio tentatore, lei si schiarì la voce. «Dove sono gli altri?» «Ci siamo riuniti in questo splendido giardino interno dotato di un sistema di distribuzione delle acque del tutto straordinario. Lascia che te lo mostri.» La prese per mano, la trascinò dietro di sé, il sorriso euforico come un ragazzino che non vede l’ora di mostrare al mondo la sua scoperta.

Roxanne si affrettò per tenere il o, sbattendo le palpebre al suo entusiasmo: aveva pensato che fosse troppo smaliziato per apprezzare la bellezza materiale. Mentre attraversavano un altro splendido soggiorno, si voltò verso di lei. «Mi sono innamorato di questo posto a prima vista.» Splendido. Quindi era capace di innamorarsi dei luoghi. E provava forti sentimenti per gli amici. C’era un senso, in tutto ciò: dopotutto, quel posto era unico. E anche Rashid. Ma quando si trattava di donne, Haidar era indifferente. Roxanne avrebbe scommesso che l’unico motivo per cui la voleva, a quel punto, era la sfida che rappresentava. Avrebbe fatto meglio a non stimolare più la sua indole cacciatrice. Se si fosse dimostrata apatica, lui si sarebbe annoiato e avrebbe inseguito un’altra preda. Ma... Si fermò così di colpo che la mano si sfilò dalla sua stretta. Haidar si girò di nuovo, gli occhi incuriositi. «Hai detto che vi siete riuniti.» La sua espressione rimase confusa, e lei gli strattonò il braccio più forte che poteva. «I delegati se ne sono già andati, vero?» La sua ammissione fu una disinvolta alzata di spalle, e lei lo colpì più forte, la mano che fremette per la forza dell’impatto. «Mi hai ingannato!» Haidar si sfregò il braccio, gli occhi fiammeggianti. «No, sei stata tu a insistere per venire dopo.» «Non c’era bisogno che partecii al pranzo, e volevo che avessi modo di parlare con gli altri da solo. La mia presenza era necessaria solo per concludere l’incontro.» «Però abbiamo dovuto concluderlo prima del previsto. Gli uomini d’affari non hanno il controllo del tempo a loro disposizione. Sono dovuti andare via.» «Avresti potuto avvertirmi di non venire.» «Ma io volevo che venissi.» La sua voce, i suoi occhi mentre lo diceva...

Le immagini le esplosero nella mente, le sensazioni nel corpo. Di tutte le volte che gliel’aveva chiesto, dell’ultima volta che era successo. Si pressò la testa tra i pugni, cercando di fermare quella follia, la furia e la frustrazione altrettanto fiere. «Ho capito, nessuno ha il diritto di piantarti in asso. Per la miseria, nessuno ha libertà di scelta, nelle tue vicinanze, e tu vuoi punirmi per entrambe le trasgressioni. A che punto vuoi arrivare? Rovinare la mia carriera sarà sufficiente?» «Questa è l’ultima cosa che desidero, Roxanne.» Indietreggiò di due i in risposta a quello che lui mosse verso di lei. «Perdonami se credo più alle tue azioni che alle parole.» La sua espressione si fece seria, rassicurante. «Qualunque cosa abbia fatto per comprometterti, non è stata intenzionale; non ho mai voluto farti del male, e non ti esporrò mai più.» «Vuoi dire che mi lascerai in pace?» «Voglio dire che sarò l’essenza della discrezione mentre non lo faccio.» Mentre parlava, si tese verso di lei. Questa volta, Roxanne non si mosse. Quel treno l’avrebbe investita, prima o poi; perché fingere di potergli sfuggire? «Roxanne...» Grugnì, la racchiuse nel proprio corpo possente, senza nemmeno tentare di temperare la carnalità della propria risposta, delle proprie intenzioni. Voleva sesso, nudo e crudo, dominante e devastante. Nessuna falsa gentilezza o emozione. Avrebbe sfruttato il suo corpo e colto il proprio piacere in qualunque modo gli aggradasse, divorando la sua carne per tutta l’estasi che poteva sopportare. E lei lo voleva. Si stava disintegrando per il bisogno. Si sciolse dal suo abbraccio, e Haidar dovette ricorrere a tutto il proprio autocontrollo per non riprenderla per trascinarla alla prima superficie orizzontale che potesse trovare.«Roxanne...»

Lei sollevò una mano per interromperlo. Cosa...? Poi sollevò anche l’altra, le portò entrambe ai capelli per togliere le forcine. Le onde morbide ricaddero sulle sue spalle come fiamme vive. Prima che un altro neurone potesse alimentare un pensiero, una risposta nel suo cervello, lei si stava togliendo la giacca, sbottonando la camicetta, rivelando le candide rotondità dei seni. Ya Ullah, stava... stava... Si stava spogliando per lui. Gli bruciarono i polmoni, la sua erezione ò il punto del dolore. «Anche se questa potrebbe essere beatitudine» cominciò con voce strozzata, «dopo averti avuto diciamo una decina di volte, in questo momento è agonia stare a guardare e non spogliarti con le mie mani.» Si sporse di nuovo verso di lei, aspettandosi di essere ricacciato via, e invece lei lo sorprese ancora una volta: si aggrappò a lui, allacciandogli le gambe intorno al fondoschiena, affondando i tacchi nelle natiche mentre intrecciava le dita ai suoi capelli e attirava le sue labbra in un bacio da far perdere la ragione. «Roxanne.» Il grugnito di un predatore al limite della resistenza. Fece forza contro di lui, facendolo barcollare indietro fino a sedersi sul divano, con lei a cavalcioni in grembo. Prima che potesse prendere un altro respiro, Roxanne gli stava sbottonando la camicia per affondare i denti nella sua carne. Haidar si divincolò sotto di lei. «Roxanne, lasciami...» Ma lei scivolò dalla sua presa, finì in ginocchio tra le sue gambe divaricate, le mani frenetiche quanto le labbra sul bottone e sulla cerniera dei jeans. Lui la fissò, il cervello in cortocircuito alla vista delle sue mani perfette che gli sfilavano i pantaloni, infilandosi nei boxer per afferrare famelicamente la sua potenza. Al primo contatto delle labbra sulla sua carne infuocata pensò di impazzire. Quanto gli erano mancati le sue mani, la sua bocca, il suo respiro su di lui; quanto aveva bramato la sua risposta avida, il godimento che traeva da lui, in tutte le libertà che lui le concedeva col proprio corpo.

Roxanne sollevò lo sguardo, gli permise di osservare come lo divorava, con quale gusto. Sentì un’onda di marea sorgergli dai lombi, diffondersi a macchia d’olio in ogni cellula. Dovette serrare le natiche e le cosce per trattenersi. La strattonò, per raggiungere l’appagamento dentro di lei, con lei. Ma lei gemette, rifiutando di lasciarlo andare, e la vibrazione che gli provocò fu l’ultima goccia. Si abbandonò all’indietro, arrendendosi alla sua richiesta, un fuoco liquido che si riversava in lui dalle profondità del suo stesso essere. Si impietrì nell’intensità del momento, intrappolato in un devastante piacere che minacciò di farlo esplodere in mille pezzi. Gridò il suo nome, lanciò la testa all’indietro, affondò le mani nella sua chioma di seta infuocata e si lasciò andare. ò un lungo, lunghissimo momento prima che lei lo lasciasse scivolare dalle proprie labbra arrossate e rigonfie. Haidar giacque esausto, annaspando, fissando nelle profondità dei suoi occhi magici, e invece della soddisfazione si sentì sopraffare di nuovo dalla ione, che lo consumò in un fuoco ancora più ardente. Cercò di attirarla a sé, ma lei scacciò le sue mani. Prima che Haidar potesse reagire, si alzò, gli occhi che lo bruciavano, la voce roca. «Ero in debito. Ora siamo pari.» Quindi si voltò e se ne andò.

7

La paralisi di Haidar durò solo qualche secondo. Poi scattò in piedi, infilò i pantaloni alla velocità della luce e le corse dietro. Roxanne si stava abbottonando la camicetta mentre continuava a camminare, quindi cercò di sistemarsi i capelli pettinandoli con le dita. Doveva averlo sentito, ma evidentemente non aveva intenzione di fermarsi, né di permettergli di fermarla. Lui lo fece lo stesso, fisicamente: la sollevò di peso, offrendole un sorriso famelico. «Anche se è stato quasi letteralmente sconvolgente, chi dice che siamo pari? Mi devi otto anni di piacere.» «Otto minuti è tutto quello cha avrai da questa ragazza. Ora mettimi giù prima che regali al tuo naso perfetto un po’ di carattere.» Haidar le strinse le mani in una delle sue. «Prima devi recuperare l’uso delle mani.» Marciò verso la camera che aveva scelto per loro, sicuro che lei avrebbe protestato, che avrebbe messo in atto quella minaccia. Roxanne invece si limitò a guardarlo, gli occhi di solito così espressivi del tutto privi di comunicazione. Quanto la voleva. Il piacere che le aveva appena dato non aveva fatto altro che intensificare il suo bisogno per lei. E anche il suo bisogno di restituirle il piacere stava raggiungendo livelli critici. Raggiunse il letto che aveva comprato proprio per lei, grande e solido e coperto da lenzuola che erano di una sfumatura più scure dei suoi occhi. Distendendola sul materasso, calò su di lei, grugnendo alla sensazione del suo corpo che l’accoglieva, l’unica carne che avesse mai percepito come parte della propria. Cercò le sue labbra, ma lei voltò il viso. Allora le baciò la guancia, il collo, fino all’avvallamento dei seni. «Hai idea di quante notti sono rimasto sveglio, sognando di averti qui? Di sentire i tuoi gemiti, i tuoi sospiri e le tue grida? Col ricordo del tuo corpo che accoglieva il mio che mi riecheggiava in ogni cellula fino a minacciare di farla scoppiare?»

La sua risposta fu tagliente. «Quante? Due?» «Diciamo piuttosto duemila.» «E in quelle notti, ti sentivi così prima o dopo aver fatto sesso con un’altra donna? O tre?» Lui si sollevò sulle braccia, aggrottando la fronte. «Non è questo il punto. Ciò che abbiamo o non abbiamo fatto negli ultimi otto anni non è rilevante. D’ora in avanti godremo l’uno dell’altra, come stiamo facendo oggi.» Le labbra si distesero in un nuovo sorriso al vederla sotto di sé, pronta e concentrata per non arcuarsi contro di lui. «E d’ora in avanti, sono aperto a qualsiasi giochetto tu voglia provare.» Roxanne lo spintonò. «L’unico gioco che voglio provare è nascondino, dove tu ti nascondi e io non vengo a cercarti.» Haidar si accigliò di nuovo. «Sei... arrabbiata?» Quegli occhi di smeraldo lo fulminarono. «Quest’uomo merita una medaglia.» «Pensavo fe parte di questo gioco sensuale che avevi cominciato. Ti era sempre piaciuto.» «Ti sei fatto di qualcosa? Tipo insensibilità e arroganza?» Roteando sul fianco, la guardò confuso mentre lei si scostava. «Ma ti ho chiesto scusa, ti ho promesso che la nostra relazione non rischierà mai più di comprometterti.» Roxanne si voltò verso di lui mentre si alzava dal letto. «E come primo o in questa direzione hai chiesto al tuo autista di lasciarmi qui con te, in una casa altrimenti deserta. Ormai la notizia si sarà sparsa per tutto Azmahar.» «Ho fatto venire Haleem apposta da Zohayd. È uno zohaydiano e non rivelerebbe mai niente su di te, neanche sotto la minaccia di una pistola. Per questo ho insistito che venissi da sola; ho detto agli altri delegati che ti avevo informato della conclusione anticipata della riunione, in modo che tu non ti prendessi il disturbo di venire.»

Lei distolse lo sguardo, notando la stanza spaziosa per la prima volta. Haidar si irrigidì in attesa della sua reazione: aveva ato la maggior parte della settimana a prepararla per lei, dalle luci studiate apposta per metterla in evidenza, ai colori di fuoco e smeraldo che dovevano riflettere i suoi; alle finestre erano appese tende leggiadre come effluvi di magia, e i suoi capelli danzavano nella brezza della sera come lingue di fiamme scure. Grazie al cielo, l’atmosfera sensuale che aveva creato su misura per lei ebbe l’effetto sperato; quando si voltò verso di lui, parve più accaldata, meno determinata. «Hai speso parecchio tempo ed energie, non è così?» Se solo avesse saputo quanto! «Qualsiasi cosa, pur di aiutarti a lasciarti alle spalle preoccupazioni e inibizioni. E dopo ciò che mi hai appena fatto mentre eri ancora soggetta a entrambe, non so se sopravviverò quando finalmente le metterai da parte.» Il viso di Roxanne si indurì. «Questa nuova discrezione è per te stesso. Scommetto che vedere Rashid ti ha illuminato, ti ha fatto capire di non avere il trono in tasca. Se vuoi avere una chance contro di lui devi giocare pulito, perciò hai visto bene di farti are per un pretendente conservatore e tradizionalista, riaffibbiandomi il ruolo di tuo scheletro nell’armadio.» Haidar balzò in piedi, fronteggiandola dall’altra parte del letto, i ricordi che lo assalivano con malevolenza. «Che diavolo? Si direbbe che sia tu ad avercela con me, che sia io quello che ti ha piantato in asso. Posso ricordarti che sei stata tu ad andartene quando ho offeso il tuo senso di indipendenza, quando ho commesso il peccato mortale di credere di essere più di un’avventura esotica, per te? E vuoi farmi credere che la segretezza del nostro rapporto non fosse esattamente ciò che volevi, allora come adesso? Ti sto dando ciò che hai sempre voluto: nessuna pretesa da parte mia, nessun obbligo da parte tua, solo piacere senza conseguenze. Cos’altro vuoi?»

Perché? Com’era possibile? Da tempo Roxanne sapeva che Haidar non provava niente per lei, perciò perché averne un’ulteriore conferma le spezzò di nuovo il cuore? Lui girò intorno al letto, fermandosi a un o da lei, incombendo su di lei con quella soverchiante bellezza ed esasperazione montante. «A che gioco stai

giocando? Perché fai l’indignata? Sei stata tu a dire che il nostro rapporto era esclusivamente fisico, e tu vi hai posto fine. Ora che sarebbe fattibile e apprezzabile per entrambi riprendere da dove avevamo interrotto, ti comporti come se io ti abbia tradito, come se ti stessi insultando e cercassi di approfittare di te.» «È proprio quello che hai fatto, e che stai facendo ora.» Haidar la fissò come se le fosse spuntato un occhio in fronte. E tutto ciò che lei aveva tenuto a freno negli ultimi anni ruppe i margini. «Essere onesto sul fatto che prenderai ciò che vuoi senza dare nulla in cambio non ti rende un uomo d’onore. E sicuro come l’oro non ti fa are dalla parte della vittima. Dimostra solo che sei un bastardo insensibile il cui unico scopo è raggiungere i propri obiettivi, usando chiunque, nel peggiore dei modi, pur di ottenere ciò che vuole.» Ogni parola calò su di lui con l’effetto visibile di uno schiaffo. «B’haggej’ jaheem, di che cosa diavolo stai parlando?» «Sto parlando della vostra scommessa!» gridò allora lei. Haidar indietreggiò di un o, il viso distorto per lo shock, gli occhi in tempesta. «Tu... tu lo sai... Hai sentito me e Jalal, quella sera...» Recuperati i sandali, Roxanne li infilò nel tentativo di recuperare almeno in parte il proprio equilibrio scosso. «Vi ho sentito, e ho avuto la conferma di cui avevo bisogno.» «Che significa? Lo sapevi già? Come?» Il petto ansimava per il ricordo dell’umiliazione, gli occhi minacciavano di rilasciare lacrime asciugate da tempo. «Secondo te?» La certezza gli illuminò gli occhi. «Mia madre» indovinò lasciando cadere le braccia, barcollando via. La conferma di Roxanne arrivò con la furia che le accese lo sguardo. «Ma lei come l’ha scoperto?» grugnì allora Haidar.

«Ha detto che sa sempre tutto di te e Jalal. Soprattutto di te.» Mettendo da parte l’agitazione, guadagnò una nuova determinazione. «Ho bisogno di sapere tutto ciò che ti ha detto.» «Invece ti dirò ciò che mi disse mia madre. Lei capì subito che tipo di uomo sei, si rese conto che mi avevi accecato e mi mise sull’avviso, supplicandomi di non cadere nella rete della tua seduzione. Per convincermi, mi raccontò dei suoi primi anni in Azmahar; era agli inizi della carriera, e si innamorò perdutamente di un nobile. Scoprì che tramava degli affari illeciti, eppure non riuscì a denunciarlo. Invece, lui fabbricò finte prove contro di lei, screditandola in anticipo nel caso avesse deciso di esporlo, costringendola a lasciare il regno in silenzio sotto la minaccia di essere messa in disgrazia e perseguita.» Haidar strinse gli occhi. «Quell’uomo era tuo padre?» Era la prima volta che le chiedeva della sua famiglia. «No. Mio padre è stato l’avventura di una notte che ebbe quando tornò a casa col cuore spezzato. Ma anni dopo, quel nobile si ritrovò ad avere bisogno del suo o e le trovò un incarico ancora più di spicco; mia madre non poté rifiutare, e così tornammo in Azmahar. Lui cercò di tornare nelle sue grazie, e di riconquistarla, ma lei gli disse chiaramente dove poteva mettersi le sue bugie e le sue adulazioni.» Haidar non fece commenti, aspettando il finale. Lei non lo fece attendere. «Morale della storia: mai fidarsi dei nobili. Ti usano per i propri scopi e abusano per i propri interessi. Io non le diedi ascolto, e a me è andata anche peggio: la mia vita è finita a gambe all’aria, il mio futuro distrutto, e tu non te ne sei neanche accorto. L’unica cosa che ti importava era che mi presentassi per i nostri appuntamenti di sesso.» «Stai parlando delle difficoltà negli studi? Jalal mi accusò di esserne la causa.» Il cuore le balzò in gola. «Quindi lo sapevi... e non mi hai mai chiesto niente, né offerto una parola di conforto o incoraggiamento. Sapevi che la nostra relazione e i salti mortali che mi facevi fare per mantenerla segreta mi stessero danneggiando, ma te ne sei lavato le mani, non è così? Purché tu avessi il tuo piacere, io potevo anche finire nella polvere.» «A quel tempo» replicò lui con una smorfia, «tutto ciò che riuscivo a pensare era

che ne avevi parlato con Jalal, ma non con me.» «E siamo punto e a capo al tuo egocentrismo. Mi conoscevi così poco che hai creduto che avrei permesso che una relazione mi impedisse di eccellere nel mio lavoro.» «Ma se... se non è stato per colpa mia...» Si fermò, sconcertato per la seconda volta in pochi minuti. «Ed ecco che vede di nuovo la luce. Sì, è stata sempre tua madre. Fu la mia stessa professoressa a confessarmelo, quando andai a chiederle spiegazioni per una valutazione ingiusta; lei e il resto del corpo docenti avevano avuto istruzioni di farmi pressione fino al punto di costringermi a scegliere tra Azmahar e il mio futuro. Mi supplicò di non rivelarlo, altrimenti lei ne avrebbe pagato le conseguenze; e mi consigliò di smettere qualunque cosa stessi facendo che mi aveva messo contro tua madre. Tu eri l’unica cosa che stavo... facendo.» «E non me l’hai mai detto.» «Non potevo fidarmi. Tu sei sempre stato... suo.» Il viso di Haidar si fece di pietra, gli occhi opachi. A Roxanne però non importava averlo offeso: era la pura verità. «Ma ero così sciocca da umanizzarti, da credere che ti importasse qualcosa, nonostante tutte le prove del contrario. Decisi di informarti, pensando che potessi intervenire, impedirle di distruggere la mia educazione. Da vipera astuta che è, tua madre parve intuire le mie intenzioni e mi convocò: incontrarla di persona fu una vera e propria illuminazione. «Mi informò che aveva cercato di essere clemente, di lasciarmi partire con il mio orgoglio intatto, ma dato che ero stata così sciocca da provocarla, lei doveva distruggerlo. Mi informò della scommessa che avevi fatto con Jalal. Era molto orgogliosa della tua capacità di manipolazione, che avevi ereditato da lei e affinato grazie alla rivalità con tuo fratello gemello. All’epoca non me ne resi conto, ma ora l’ho capito: le sarò per sempre grata.» Quando l’imperturbabilità di Haidar, che lei aveva sempre pensato indicasse una mancanza di sentimenti, si spezzò per lasciar manifestare tutto il suo stupore, gli concesse una spiegazione. «Anche se era – e senz’altro è ancora – una vile snob, è stato il suo desiderio di liberarsi di me che mi ha impedito di diventare una pedina nei tuoi giochi di

potere con Jalal. Quando lesse l’incredulità nei miei occhi, mi intimò di chiedere direttamente a te, ma prima che potessi farlo tu mi convocasti, facendomi mollare tutto per raggiungerti di corsa. Ero così stupida da sperare che l’avresti smentita, che ci fosse una qualche giustificazione, e nella mia ansia di chiarire tutto arrivai all’appartamento prima di te.» Per un momento, lui chiuse gli occhi, poi li riaprì. «Ti trovavi lì fin dall’inizio. Hai sentito tutto ciò che ci siamo detti io e Jalal.» Spilli bollenti le pizzicarono gli occhi. «In quel momento mi resi conto di quanto fosse radicata la somiglianza con tua madre, e stabilii di non concedere a nessuno dei due di calpestarmi. Tu non mi avresti visto umiliata e col cuore infranto, e lei non mi avrebbe visto scappare con la coda tra le gambe. Tua madre ti ha insegnato a usare chiunque nei tuoi giochi di potere; la mia mi ha educato a non cedere mai terreno.» Il tempo parve dilatarsi, dopo che ebbe pronunciato l’ultima parola. Solo un’eternità più tardi lui aprì bocca. «Quindi tutto ciò che hai detto, ogni parola che mi riecheggia nella mente da allora, è stato solo il tuo modo di mantenere suddetto terreno.» Il suo cenno di assenso fu appena abbozzato. Gli stava concedendo quel trionfo che gli aveva negato otto anni prima, ma ormai era troppo stanca per curarsene. «E quello che avevi detto prima di quel giorno, Roxanne?» Voleva di più, una confessione totale. Non le importava. «Che ti amavo? Ci credevo davvero, con tutto il cuore.» Distolse lo sguardo, sopraffatta da quel terribile senso di perdita che si stava diffondendo di nuovo dentro di lei. «Ma non ti ho mai biasimato, per questo. Eri stato chiaro fin dall’inizio, sul fatto che non avevi niente da darmi, e ti sei attenuto ai tuoi principi. Come hai ribadito una settimana fa, l’amore non è un sentimento che la tua specie apprezzi o tolleri. Io fui così stupida da regalartelo, ma tu non l’avevi chiesto, non lo volevi, e io non avevo alcun diritto di lamentarmi quando mi hai spezzato il cuore.» ò un altro momento di silenzio incombente. Negli occhi di Haidar comparve una strana luce, ferita. «La scommessa... non fui io a iniziarla. E la ricordo perfettamente perché ero geloso. Di Jalal. Voi due vi stavate avvicinando in un modo che io non riuscivo a fare. Non sapevo come

fare per farti parlare con me, ridere come me come facevi con lui. Tutto ciò che avevo era la tua attrazione sessuale, perciò continuai a soddisfarla e a stuzzicarla, più che potevo, sperando che fosse abbastanza. Non lo è mai stato.» Non si era aspettata che si desse la pena di spiegare, e non voleva che lo fe. Da tempo ormai si era convinta di conoscere tutte le risposte, e non voleva che lui minacciasse quella certezza. Ma prima che potesse chiedergli di lasciare il ato nella tomba, lui riprese. «A una delle funzioni cui partecipasti con tua madre, dove mi evitavi come d’accordo, con Jalal eri così... a tuo agio. Sembrava che godeste della compagnia l’uno dell’altra. E mia madre – ya Ullah, sempre lei – fece un commento su quanto avevate in comune, e a quel punto il mio disagio cominciò a trasformarsi in timore.» Il cuore di Roxanne assunse un ritmo erratico, gli occhi che bruciavano mentre lui li teneva incatenati in una morsa di apatia. «Un momento pensavo che fosse colpa mia che tu non riuscivi a essere tanto naturale con me, quello dopo ti biasimavo perché con me non eri aperta come con Jalal. E il bisogno di affrontare la questione mi stava divorando, ma che cosa avrei dovuto dire? Che volevo piacerti, oltre che venire a letto con me? Che avevo bisogno che tu desiderassi la mia compagnia e la mia amicizia, anche al di là del sesso? E se non avessi ottenuto altro che farti rendere conto che non ti piacevo affatto, al di là dell’attrazione fisica?» Roxanne aveva la gola secca. Non aveva mai pensato che lui potesse provare nulla di simile... «Poi ho scoperto che avevi delle difficoltà negli studi. Il fatto che tu non me ne avessi parlato mi... fece infuriare. Considerai solo ciò che significava per me, per noi, piuttosto che l’effetto che il problema aveva su di te.» Questo è già più ragionevole. «Un altro esempio di ciò che ti ha reso in tutto il mondo l’icona dell’egocentrico figlio di buona donna» ribadì lei digrignando i denti. Haidar continuò a fissarla con quell’intensità immobile e scottante. «Jalal era convinto che fosse dovuto alla mia... influenza distruttiva. Non sapevo come smettere di essere distruttivo se non rinunciando a te, o perlomeno trasferendomi in Zohayd e vedendoti solo di rado. Pensavo che se lui avesse avuto ragione, prima o poi tu saresti giunta alle stesse conclusioni, e saresti stata costretta a

scegliere tra me e gli studi. Temevo che la tua scelta non sarebbe ricaduta su di me, sapevo che non avrebbe dovuto. Per questo continuavo a procrastinare. E per questo ricordavo quella dannata scommessa ogni minuto che avo con te: non perché avessi paura di perderla, ma perché avevo paura di perdere te.» L’immobilità che le era scesa nel cuore minacciò di farla esplodere. L’opinione che aveva di lui, del ato, non poteva essere cambiata con poche parole... ma si trattava davvero solo di parole? Oppure era la realtà? Aveva già dovuto cambiare idea nel caso di Rashid: non era vero che Haidar non provasse niente per lui, piuttosto provava sentimenti troppo potenti per riuscire a mostrarli. Che fosse stato lo stesso con lei? E se il suo problema fosse stato proprio questo? Non l’aver ereditato dalla madre la stessa spietatezza e la stessa malata ossessione per le due persone che considerava un’estensione di sé, ma l’incapacità di mettere a nudo il proprio cuore? Un coinvolgimento con lui sarebbe stato comunque impossibile, ma avrebbe riscritto tutto il suo carattere, tutta la loro storia. E Haidar stava mettendo a nudo il proprio cuore, in quel momento, stava comunicando con lei, come mai aveva pensato potesse fare. E se fosse maturato, se avesse imparato a superare i propri limiti emotivi? Lui parve leggerle nella mente. «Certo, il fatto di non condividere le mie paure e le mie incertezze non mi è stato di alcuna utilità. Ti ho perso comunque.» Se quella era davvero la verità, ciò che gli aveva detto, come l’aveva lasciato doveva avergli sbriciolato l’orgoglio, il cuore. Come pensava che lui avesse fatto con lei. Poteva... avrebbe osato crederci? Un dolore lancinante le fece mancare il fiato. Dio, cos’aveva fatto? «Avevo pianificato tutto» riprese Haidar, l’espressione vacua. «Fin dalla prima volta che – perdona la mia presunzione – ti ho reclamato. Volevo che stessimo insieme mentre io consolidavo il mio successo, mentre tu raggiungevi il tuo. La logistica del restare in Azmahar quando la mia base operativa ideale era Zohayd, di mantenere segreta la nostra relazione mentre ero sotto la lente del microscopio

della fama e della notorietà furono una notevole distrazione. Ma sapevo che dovevamo approfondire il nostro legame, proteggerlo da intrusioni esterne, prima di affrontare ciò che il mondo ci avrebbe messo contro. Con mia madre, e la posizione della tua, insieme al mio bagaglio di problemi, sapevo che non sarebbe stato facile, ma ero convinto che la ione che condividevamo ci avrebbe portato a superare tutti gli ostacoli. Pensavo che anche tu ne fossi convinta. E anche se non credevo di poter rendere felice qualcuno, quando dichiarasti di amarmi sorse in me la speranza che tu riuscissi a vedere ciò che io non vedevo. Pensavo che mi avresti dato il tempo di cui avevo bisogno per confidare in questi nuovi sentimenti, in questi bisogni sconosciuti, in questa terribile vulnerabilità. Ma non l’hai fatto.» «Haidar...» La voce le venne meno. Lui aveva ragione, non gli aveva concesso il tempo. Tutt’a un tratto non aveva più importanza il motivo per cui non l’aveva fatto – il risultato era lo stesso. Il fiume di amarezza riprese a scorrere. «In tutti questi anni, ho razionalizzato le tue parole di addio, le ho giustificate. Ho giustificato te. Mi sono detto che avevi reagito al vedermi perdere il controllo per la prima volta, che avevi temuto potessi diventare morbosamente possessivo. Mi sono detto che avevi ragione di temere l’incredibile squilibrio di potere tra noi. Continuavo a pensare che dovevo averti spaventato, spingendoti a dire ciò che hai detto per assicurarti che non ti avrei più cercato. Non ho mai accettato che la donna che amavo mi considerasse una banale avventura. Non ho mai creduto, nel mio cuore, che tu non mi amassi affatto.» Prima che lei lo rassicurasse che il suo cuore aveva visto i sentimenti che dimoravano nel suo, lui proseguì. «Ora devo accettare che invece non mi hai mai amato. L’hai dimostrato alla prima prova. Ciò che mi hai sentito dire avrebbe potuto essere interpretato in modi diversi, ma tu hai scelto il peggiore. Mi avevi già condannato sulla base delle parole della tua peggiore nemica dichiarata. Hai pensato non meritassi la possibilità di difendermi, ti sei solo preoccupata di proteggere il tuo orgoglio, di vendicarti. Come se fossi stato anch’io tuo nemico, e non l’uomo che dicevi di amare.» La necessità di dire qualcosa, qualsiasi cosa, rischiò di soffocarla, di farle perdere i sensi. Ma qualunque cosa avesse detto, in quel momento, sarebbe stato

troppo poco, troppo tardi. «Da quando sono riapparso nella tua vita, mi hai trattato da nemico, addirittura come se fossi il tuo unico nemico. Di nuovo ho incolpato le mie azioni, sperando che il tuo intenso desiderio dimostrasse che provavi qualcosa di vero e di potente, per me. Ma pare che tu mi abbia detto la verità in una sola occasione: sono stato davvero la tua avventura esotica. Tu l’hai abbellita e agghindata di sentimenti per sentirti a posto con la coscienza, ma in verità, non eri pronta a concedermi altro che qualche ora rubata di piacere. Non mi hai dato nemmeno ciò che avresti concesso a qualunque estraneo – il diritto di essere considerato innocente fino a prova contraria. Qualunque fosse la mia colpa – la reticenza e la gelosia e l’incapacità di gestire la debolezza che i miei sentimenti per te mi conferivano – non meritavo quella punizione. E tu non la consideri nemmeno una punizione: sei convinta che sia ciò che mi merito.» Roxanne tenne a freno lacrime di recriminazione. Non era il momento di rilasciarle, ma di dire qualcosa, anche se insufficiente. Lui non gliene diede l’opportunità. «Ma io non accetto il tuo verdetto, Roxanne; non mi prendo tutta la colpa. Sono stanco e stufo di essere sempre demonizzato da tutti. Non ho più intenzione di considerare normale che le persone che un tempo dicevano di volermi bene vedano sempre il peggio in ogni mia azione.» I suoi occhi fiammeggiarono di furia. «E non accetterò più la responsabilità delle azioni di mia madre, né di essere considerato interscambiabile con il suo carattere. Non sono solo figlio suo, ma anche di mio padre. E soprattutto, sono me stesso.» Prima che Roxanne potesse prendere un altro respiro, Haidar si voltò. Sconcertata fin nelle ossa, lo osservò attraversare la stanza che dimostrava in ogni dettaglio come lui l’avesse studiata per lei, leggendo accuratamente le sue fantasie più intensamente personali. Lo aveva rifiutato di nuovo, nel luogo che lui aveva preparato per lei con tanta cura e attenzione. Alla porta lui si fermò, si voltò, abbottonandosi la camicia con gesti deliberati. «Mia madre mi ha sempre detto che nessuno mi amerà mai tranne lei, e di non fidarmi di nessuno. Ogni volta che ho ignorato la sua saggezza, ho perso qualcosa di vitale. Te, Jalal, Rashid. Ma è evidente che la perdita è stata a senso

unico. Tu stai molto meglio senza di me.» Gli occhi si riempirono di ironia amara. «Ma non sono arrivato dove sono aggrappandomi a scommesse perdenti. Accetterò che il problema sono io e lo affronterò di conseguenza.» Aveva finito di rivestirsi, e nei suoi occhi non era rimasto nulla se non un gelido acciaio. «Quindi, come ho detto a loro, lo dirò anche a te: esco dalla tua vita. E questa volta, non tornerò.»

8

«Wow. Solo... wow.» Roxanne strizzò gli occhi: non voleva vedere l’incredulità, o la comione, sul viso dell’amica. Si era già pentita di averle raccontato tutto. Erano ate circa quattro ore da quando Haidar se n’era andato. Lei gli era corsa dietro, ma si era resa conto che aveva lasciato la tenuta. Aveva invece trovato Haleem, l’autista che lui aveva fatto arrivare da Zohayd proprio per lei, che la stava aspettando per riportarla a casa. Aveva tenuto duro finché non aveva varcato la soglia, ma il momento che aveva visto Cherie era scoppiata in lacrime, offrendole l’intera storia. Le esclamazioni dell’amica non davano segno di avere fine. «Cioè, ragazzi... wow. E io pensavo che la mia vita sentimentale fosse complicata. Roxy, tesoro mio, ti sei conquistata il primato sul campo.» Roxanne riaprì gli occhi, sospirò. «Già.» «E pare che si sia aperta la stagione della distruzione dei pregiudizi di lunga data. Io con Ayman, tu col principe Haidar. Per la miseria, hai un principe come amante!» Ex amante, avrebbe voluto correggerla, ma evitò. «E per otto anni ho coccolato il mio astio verso di lui. Poi lui mi racconta il suo lato della storia, ed eccomi qui.» Gli occhi di Cherie dimostrarono tutta la serietà e la simpatia che provava. «Devi sentirti piuttosto stupida in questo momento, eh?» Lei fece una smorfia. «Non è proprio l’aggettivo che avrei usato io. Sconsiderata, precipitosa, insicura, vendicativa. Ma sì, devo ammettere che anche stupida funziona: in effetti, li riassume tutti.»

Cherie emise una risatina amara. «E vale per tutte e due. Da quando sono arrivata qui, giorno dopo giorno mi sono resa conto di che razza di stronza ultrasensibile sono stata con Ayman. Pensi che sia una malattia che ci siamo prese all’università? Entrambe abbiamo cominciato a frequentare i nostri uomini in quel periodo e poi, dopo qualche tempo di incredibile beatitudine, tu hai lasciato il tuo, e io sono stata su una continua altalena con Ayman, perlopiù per colpa mia. C’è da stupirsi che il tuo uomo sia tornato di nuovo a cercarti, e che il mio mi abbia sposato e non abbia chiesto il divorzio.» «Comunque sia, puoi star certa che Ayman preferirebbe i tuoi pasticci alla perfezione di una vita senza di te. Per usare le sue parole esatte, l’inferno di Cherie è meglio del paradiso di chiunque altro. Il mio, invece, non mi vuole più vedere.» «Come no. Ha pensato a te per otto anni, no? E dopo che a quanto pare tu gli avevi spezzato il cuore e umiliato l’orgoglio. E credi che adesso voglia mollare tutto? È ferito e ha il muso lungo, ma una cosa è certa: questo tizio non è mai corso dietro a niente e nessuno. È un principe, per la miseria! Ma ha fatto violenza contro la propria natura e non ha fatto altro che correrti dietro, fino a questo momento. Una volta tanto ha un disperato bisogno che sia tu quella a correre.» «E se una volta che lo raggiungo mi ordina di lasciarlo in pace?» Cherie saltò in piedi e, meraviglia delle meraviglie, cominciò a racimolare piatti e bicchieri sparsi per la camera. «Ecco cosa facciamo, tutte e due: io mi aprirò con Ayman, e tu andrai a cercare Haidar. Di sicuro è possibile che non funzioni nessuna delle due manovre. Lasceremo che questo ci fermi?» Dopo otto ore, Roxanne cominciò a pensare che fosse stata una pessima idea. Non aveva chiamato Haidar, gli aveva mandato un sms, comunicandogli quando e dove vedersi. Aveva pensato che, dovendo farlo, tanto valeva andare fino in fondo – bruciare in una scia di gloria. Peccato che non avesse funzionato. Poi il telefono squillò, e lei lo recuperò neanche fosse un pesce guizzante nell’acqua, se lo portò all’orecchio, le schizzò il cuore in gola.

«Kaif hallek, ya azeezati?» Al sentire lo strascicato Come stai, tesoro mio, la forza della delusione le fece coprire il microfono per grugnire. Jalal. E perché era tanto sorpresa? Da quando si erano rivisti, l’aveva chiamata una mezza dozzina di volte almeno, ogni giorno. All’inizio avevano fatto enormi i avanti nella sua campagna, ma dopo il confronto con Haidar, una settimana prima, aveva continuato a lavorare con lui solo perché gli aveva dato la sua parola. Volendo concludere in fretta, evitò i convenevoli. «Hai controllato la posta? Ti ho mandato l’analisi demografica.» «Aih, l’ho vista.» Dalla breve pausa, Jalal doveva aver notato la sua fretta, ma da gentiluomo che era non fece commenti. «Ottimo lavoro. Non so cos’avrei fatto senza di te; la tua percezione è senza pari.» Roxanne quasi scoppiò a ridere. Piuttosto selettiva, come percezione. Quando c’era di mezzo Haidar, sprofondava sotto zero. «Ma non ti chiamo per affari» riprese Jalal. «Due giorni fa non mi sei sembrata in forma come sempre.» E a preoccuparti non mi fai alcun favore. «Il lavoro è un po’ pesante, a volte.» «Se il mio incarico ti assilla troppo...» Per un’infinità di motivi avrebbe voluto non essere la sua consulente, ma gli aveva dato la sua parola. «No, davvero. Non ti preoccupare, okay?» «Se sei sicura.» Sembrava insicuro lui, in effetti. Smettila di farmi da fratello maggiore, avrebbe voluto urlargli. E lui peggiorò la situazione. «Ho sentito che hai visto Haidar. Non gli hai menzionato il nostro accordo, vero?»

«No.» Anche se non fosse stata vincolata al segreto dalla promessa fatta a Jalal, non le era neanche ato per la mente, quando era con Haidar. Non esisteva nient’altro, con lui vicino. «Vorrei che non gli dicessi neanche che sono in Azmahar.» Questo era strano. «Ma di sicuro saprà già che sei arrivato.» «No, non lo sa. La mia comparsa alla tua porta non ha fatto notizia quanto la sua; io, in generale, non faccio notizia quanto lui. Avere il tipico viso Aal Shalaan risulta molto utile, quando vuoi girare senza attirare l’attenzione.» Quindi Jalal voleva mantenere la discrezione – questo poteva avere i suoi vantaggi, nel raccogliere informazioni. Ma perché nascondere la sua presenza anche al fratello? Temeva che potesse sabotarlo? Lui parve leggerle nel pensiero. «Non ti ho raccontato tutto, riguardo il nostro ultimo incontro. Io... l’ho accusato di essere complice di nostra madre nella cospirazione contro Zohayd.» La sorpresa la lasciò senza fiato. «Ma... ma è stato Haidar a trovare i gioielli, a porre fine alla cospirazione.» «Lo so, però avevo scoperto delle attività inspiegabili tra lui e la regina, considerevoli somme di denaro che lui le aveva dato. Gliene ho chiesto spiegazione, e lui mi ha detto dove potevo mettermi i miei sospetti. Così ho finito con l’accusarlo di fingere solo di aiutarci, quando i nodi sono venuti al pettine. Gli ho rinfacciato di avermi manipolato emotivamente per farmi supplicare insieme a lui per l’esilio al posto della prigione, sostenendo che stessero entrambi prendendo tempo in modo da trovare un sistema per metterlo sul trono.» Roxanne barcollò, finendo contro la ringhiera del pontile, dove si sedette. No, non era possibile. Che Haidar... No, non avrebbe commesso lo stesso errore. Non avrebbe pensato il peggio di lui, senza neanche concedergli il beneficio del dubbio, senza dargli la possibilità di spiegarsi.

Ciò che importava, però, era un’altra considerazione. «Ne sei davvero convinto?» «No.» Un’unica parola, densa di un mondo di rimpianto e dolore. «Ma quando c’è di mezzo Haidar, non sono l’uomo tranquillo e posato che conosci; non sono esattamente razionale. Ero livido, a pensare a ciò che nostra madre avrebbe potuto causare, per lui. Sentita la sua reticenza, non sono riuscito a separare la collera che provavo per lei da quella che provavo per lui. Indirettamente era responsabile per tutto ciò che lei aveva fatto, e volevo colpirlo con le mie accuse fino a farlo reagire, a farlo aprire, perché mi dicesse tutto, anche se solo per una volta, come accadeva un tempo. Però lui non l’ha fatto, si è limitato ad andarsene.» Come se n’era andato da lei. Era diventato un esperto. Di nuovo, però, quella che all’inizio era sembrata un’azione astiosa era stata in realtà una reazione provocata. Haidar aveva voltato le spalle al gemello che, messo davanti a un test, si era comportato come se Haidar fosse sempre stato il suo peggior nemico. Proprio come aveva fatto Roxanne. Era strano cambiare prospettiva, vedere l’amico che tanto ammirava come carnefice e non parte lesa. Sembrava che Haidar riuscisse a tirare fuori la ione più intensa nelle altre persone, nel bene e nel male. Tutt’a un tratto, percepì una presenza alle proprie spalle. Il cuore quasi le scoppiò dalle costole. «Mi dispiace, devo andare. Ci sentiamo dopo.» Si congedò da Jalal, avendo appena il tempo di sentire il suo saluto sorpreso prima di riagganciare. Inspirò un respiro tremebondo prima di alzarsi, girarsi alle spalle. Se fosse stato Haleem, sarebbe stata capace di buttarlo a mare. Ma non era Haleem. Era Haidar. Era venuto.

Procedeva verso di lei dal limite della terrazza che si trasformava in un aggio pavimentato in pietra per attraversare la spiaggia sabbiosa e poi in un pontile in legno appoggiato sulla baia, allargandosi al termine nella piattaforma circolare che Roxanne aveva adornato di candele protette da lumini di quarzo purpureo. Haidar splendette come il dio del deserto che era mentre ava tra i due filari di torce che lei aveva , le fiamme incandescenti che ondulavano nella brezza tranquilla, accentuando ogni suo lineamento. Vestito di nero a eccezione della camicia che aveva il colore dei suoi occhi, le tolse il fiato, le mandò il cuore al galoppo. Assistere a tale magnificenza le faceva fremere ogni muscolo, la reazione non più soppressa che poteva dare libero sfogo alle emozioni. Lui trasferì lo sguardo privo di espressione da lei alla scena che aveva preparato, con tanto di buffet e tavolo apparecchiato per due. «Vedo che hai invaso e occupato casa mia» osservò piatto. Al sentire la sua voce, imibile quanto l’espressione, Roxanne rabbrividì. Si umettò le labbra secche. «Solo il tuo pontile.» Haidar si fermò a quattro i da lei, talmente immobile da sembrare una statua di titanio, fatta eccezione per i capelli che gli danzavano intorno alla testa leonina, gli abiti che vibravano intorno alla sua forma di acciaio rivestito di carne. Poi si infilò le mani in tasca, l’epitomo della tranquillità. «Pensavo fossimo d’accordo che stiamo meglio entrambi lontano l’uno dall’altra.» Lei fece ricorso a tutta la propria forza per non eliminare la distanza tra loro. «È così. Solo che è una conclusione cui siamo giunti in momenti diversi, e non per le stesse ragioni.» «La tempistica e il motivo non sono importanti. L’importante è averla raggiunta.» «Il problema è che, una volta che tu l’hai raggiunta, io me la sono lasciata alle spalle.» Il suo sguardo si allungò, il dolce riverbero del mare sulla sabbia che approfondiva il silenzio. Poi, senza muoversi, senza cambiare espressione o tono, lui riprese. «Non ho intenzione di giocare a questo gioco, Roxanne.»

«Non è un gioco. Non ho mai giocato, con te.» «Ma non mi dire...» «Avrei potuto e dovuto conoscerti meglio.» Si avvicinò di un o. «Il problema è che siamo finiti a letto troppo presto. Quando è successo, è stato impossibile per noi usare la logica.» Si sollevò un sopracciglio denso e sbieco. «Stai dicendo che hai scelto di pensare il peggio di me perché la ione ti ha reso incapace di pensare razionalmente?» «Perché sei tanto scettico? Tu hai ammesso più o meno la stessa cosa. Come mi ha fatto presente un’amica, abbiamo avuto un grave problema di comunicazione: il mio parlare solo di ciò che non erano i miei problemi era tanto grave quanto il tuo non parlare affatto.» Haidar la scrutò dall’alto in basso, chiaramente non convinto, e lei tentò una nuova angolazione. «Tu eri convinto che io pensassi a Jalal quando ero con te; io temevo che tu pensassi a lui quando eri con me. Siamo colpevoli della stessa stupidità, ciascuno a modo suo. Quindi direi che siamo pari.» Il sopracciglio imperioso si inarcò di nuovo. «Ti piace davvero dirlo, eh?» Il cuore le si scosse fin nelle fondamenta al primo raggio di cambiamento nella sua espressione. «E quando l’ho detto l’ultima volta, tu hai sostenuto che ci fossero ancora otto anni di divario. Ora ti credo.» Haidar si fece di nuovo immobile. L’acciaio dei suoi occhi sembrava far convergere il fuoco delle torce, bruciandola. «Che cosa vuoi, Roxanne?» «Te» rispose rabbrividendo alla pura intensità della domanda. «Ho voluto sempre e solo te.» A quel punto lui si mosse, allontanandosi del o che lei aveva guadagnato. «Quindi tutto ciò di cui avevi bisogno per cambiare idea era che io smettessi di darti la caccia?» «Se pensi che sia qui solo perché ora rappresenti una sfida, toglitelo dalla testa.

Non mi è neanche ato per l’anticamera del cervello.» «E allora di cosa si tratta? Del discorsetto che ti ho fatto prima di andarmene?» Le fu difficile annuire, al ritmo in cui il suo disfacimento stava progredendo, il corpo che si stava già preparando alla furia della sua ione. «Quel discorsetto di certo mi ha aperto gli occhi. E mi ha stretto il cuore. Ho ato otto anni convinta che non ci fosse un altro punto di vista sulla storia, ma ora siamo cresciuti entrambi e ci siamo lasciati alle spalle l’incapacità di comunicare. Nei nostri duelli verbali abbiamo parlato sul serio, e per la prima volta tu mi hai permesso di vedere la tua vulnerabilità e i tuoi sentimenti. Mi ha fatto capire che ti avevo disumanizzato, anche quando proclamavo di amarti. Dopodiché ti ho demonizzato quando mi sono convinta che non mi avevi, e non mi avresti mai amato.» Il silenzio si prolungò fino a farle temere che non avrebbe risposto. Invece, tutt’a un tratto lui si mosse. «Accetto la tua offerta di pace. Mangiamo.» Rimase a bocca aperta mentre le sfilava accanto. Raggiunto il tavolo, con perfetta grazia lui si accomodò appoggiando un braccio sul tavolo, rilassato, maestoso, a osservare il buffet dove i piatti di portata brillavano sotto i guizzi vivaci delle fiammelle che danzavano nella brezza. Quando lei si fu avvicinata, tornò a guardarla con la più totale serenità. «Mi servi tu, vero?» Roxanne strinse gli occhi, le labbra che fremevano per allargarsi in un sorriso entusiasta. «Vedi di non tirare troppo la corda.» Anche le labbra di Haidar vibrarono. Gli occhi, invece, rimasero imperscrutabili. Lei preparò due piatti, il cuore che faceva le capriole nel petto: le stava aprendo di nuovo la porta. «Fai in fretta» si sentì intimare. «Il profumo fa venire l’acquolina in bocca.» Tornò al tavolo con i misurati, trattenendo l’istinto di mollare i piatti e attaccare lui, sedendoglisi sopra, per divorarlo. Si portò dietro di lui, chinandosi per posare il piatto davanti a lui, lasciando che i seni gli sfiorassero la schiena,

che i capelli gli ricadessero sulle spalle. «Arrivano vere delizie a quelli che non mettono fretta allo chef.» Haidar inclinò la testa, voltandosi parzialmente verso di lei, gli occhi bassi. Roxanne temette di svenirgli addosso, tanto forte era il capogiro che il suo profumo e il suo calore le suscitarono. Il che poteva non essere una cattiva idea... «Non dirmi che hai cucinato tutto tu» si informò lui aprendosi il tovagliolo sulle ginocchia. Lei si raddrizzò come un robot in avaria, il corpo che pizzicava, le gambe molli per quel contatto che le si era ritorto contro, non avendo nessun effetto su di lui, ma riuscendo ad aizzare ancor più la sua eccitazione. «Perché tanto stupito? So come muovermi, in cucina.» Si sforzò di non cadere in un ammasso informe sulla sedia. «Ma hai ragione, non sono stata io. Ho svolto molta parte del lavoro, ma perlopiù ho seguito le direttive di quella che ha progettato il pasto; Cherie è un’artista incredibile, nella gastronomia come in molte altre forme d’arte.» Haidar si limitò ad annuire, attaccando il cibo con gusto. Quando ebbe divorato gli antipasti e le due portate principali, mentre lei cercava di coinvolgerlo in una conversazione, finalmente sollevò lo sguardo. «La tua amica dovrebbe prendere in considerazione di avviare un’impresa di catering. Diventerei suo cliente abituale.» Roxanne sorrise, contenta di averlo soddisfatto, anche se il complimento non la includeva direttamente. «Sarà entusiasta del tuo apprezzamento. È quasi svenuta quando ha visto la tua cucina – quando ha messo piede nella tenuta, in realtà. Non riesce ancora a credere di aver cucinato per un principe. Non riesce a credere che io ti conosca, in realtà.» «E sa» approfondì con sguardo cupo, «fino a che punto mi conosci?» «Sa fino a che punto ti... conoscevo. E non ti conoscevo affatto. Sa anche quanto voglio conoscerti adesso, in ogni modo e in ogni senso.» Un altro di quei silenzi che abbracciarono la notte intera, amplificando ogni onda nell’acqua, ogni soffio di vento, ogni battito del cuore.

Improvvisamente Haidar si alzò in piedi, facendo scattare indietro la sedia. «È stata una cena gradevole, Roxanne. I miei più sinceri complimenti allo chef. Accetto le tue... scuse. Ti auguro lo stesso successo nei tuoi sforzi di rimettere Azmahar in carreggiata.» Lei sbarrò gli occhi quando lo vide voltarsi e incamminarsi. Tutto qui? La stava piantando di nuovo? Questa volta con le buone, invece che con le cattive? No, non poteva permetterglielo. Si avviò dietro di lui. «Ma non ho ancora... fatto ammenda davvero.» Haidar si fermò. Un momento interminabile, quindi girò il capo. «No, non l’hai ancora fatto, vero?» E con un’ultima occhiata di suprema indifferenza, riportò lo sguardo innanzi a sé e si allontanò come un leone si allontana dalla preda appena divorata. Ci vollero solo pochi battiti perché euforia e determinazione sopraffero agitazione ed esitazione: era chiaro come le stelle che voleva che lo inseguisse ancora un po’. E per lei non era un problema. Non vedeva l’ora di farlo. Lo avrebbe rincorso, e lo avrebbe raggiunto anche se avesse dovuto impiegarci il resto della vita.

9

Non ci volle il resto della vita. Nel giro di pochi minuti, entrò nella camera che lui aveva preparato per loro... e rimase di nuovo a bocca aperta. Haidar era disteso sul divano di damasco accanto alla portafinestra, le gambe lunghe, la giacca accantonata, la camicia parzialmente sbottonata. E stava leggendo un libro. Non sollevò lo sguardo quando la sentì avvicinarsi. La lasciò arrivare a meno di un o prima di dedicarle la propria attenzione, muovendo solo gli occhi. «C’è niente che posso fare per te?» Il rombo lento e profondo si diffuse in lei, le prosciugò la bocca, sciogliendo tutto il resto. «Tutto, in effetti. E non solo per me. A me. Con me.» Il suo sguardo le marchiò il viso, seguendo l’abito del colore delle foglie autunnali che scendeva fino a terra. Per strada, prese nota della sensualità e della delicatezza del vestito di seta; al ritorno, indugiò sui seni ormai turgidi e pressati contro il corpetto. Ora che era tornato sui suoi occhi, Roxanne rabbrividiva di desiderio, come se l’avesse accarezzata fino a portarla alla follia. Invece di sporgersi verso di lei, Haidar chiuse il libro, si rilassò sullo schienale, sempre tenendola prigioniera di quello scrutinio senza fine. Quindi fu lei ad andare da lui. Appoggiato un ginocchio sul divano, le tremarono le mani quando si lanciarono sull’incredibile distesa del suo petto. Lui sostenne il suo sguardo mentre Roxanne gemeva all’intensità delle sensazioni che il solo sfiorarlo le suscitava. L’intimidatorio rigonfiamento nei suoi pantaloni si fece ancora più minaccioso, ma il momento che lei gli sfilò la camicia, trafficando coi bottoni, si ritrovò le braccia serrate in una morsa d’acciaio. «Hai già fatto questo genere di... ammenda.» I suoi occhi lampeggiarono come l’avanzata dei fulmini di una bufera devastante. Le scostò le mani mentre si

metteva seduto e si alzava dal divano in un solo movimento di quella sua fluidità felina. «Non mi interessa un bis sulla stessa lunghezza d’onda.» Collassando sul divano, lei alzò gli occhi su di lui, perfetto fino all’ultima cellula. Sarebbe stato il re perfetto, probabilmente l’unico che poteva salvare Azmahar, a quel punto. Ed era il suo uomo perfetto. L’unico che avrebbe mai voluto, o amato. Qualunque cosa succedesse, comunque finisse quella storia, Roxanne gli apparteneva, anima e corpo. Si alzò su gambe precarie. «Non che intendessi offrire nulla del genere, ma... che tipo di ammenda avevi in mente?» Un altro silenzio tormentato durante il quale le invase tutti i sensi. Poi parlò con voce distinta, lenta, annientante. «La resa. Totale, incondizionata. E non ritrattabile.» Roxanne rischiò di esplodere lì su due piedi: quell’uomo intendeva davvero vendicarsi. Il corpo le pulsava come un muscolo infiammato, il suo fulcro era in preda a spasimi per quel quasi orgasmo cui l’aveva portata con la mera forza delle sue intenzioni. In risposta, Roxanne si sfilò l’abito, lasciandolo scivolare a terra. Si raddrizzò davanti a lui, in reggiseno, mutandine e tacchi alti. «Accordata.» Gli occhi di Haidar fiammeggiarono con una fierezza che per poco non la buttò al tappeto; il suo sguardo firmò un percorso di desiderio quasi spaventoso su di lei, facendole trepidare il cuore, istigandola a ululare per l’attesa insopportabile. Lui rimase immobile: aveva bisogno di una dimostrazione più definitiva. A quel punto, su gambe di burro si avvicinò al letto nel mezzo della stanza che riecheggiava i suoi colori. Si distese sul materasso, gli tese le braccia. E allora lui si mosse. Prima che il cuore di Roxanne potesse fermarsi, lui era ai piedi del letto, ammirando quella sua offerta. «Mi darai tutto, questa volta,

Roxanne. Tutto ciò che hai, tutto ciò che sei. Tutto ciò che non pensavi di avere da dare. Se ti trattieni, non prenderò niente.» «Tutto» annuì freneticamente. «E voglio tutto, in cambio.» Una luce selvaggia gli illuminò il viso. «Sai che cosa stai chiedendo?» Stava chiedendo più del suo corpo. Presto Haidar avrebbe scoperto che la possedeva per intero, fino in fondo. Roxanne si sostenne sui gomiti, demolendo la sua minaccia con la propria fiducia, la promessa, la determinazione. «Oh, sì.» D’un tratto, Haidar la prese per le caviglie e la fece scivolare sulle lenzuola. Le afferrò la mano, strattonò, attirandola a sé con un colpo netto. «Voglio invaderti, marchiarti, divorarti completamente.» Lei annaspò il proprio consenso, la propria disponibilità ad accettare qualunque cosa volesse farle. «Ma dovrai aspettare, per questo.» Con un gesto deciso la risospinse nel centro del letto, prona, una mano nella parte bassa della schiena che le impediva di muoversi. Lei resistette quel tanto che bastava per restare appoggiata sui gomiti, in modo da poterlo guardare mentre scivolava su di lei, mordicchiando e massaggiando dalla pianta del piede alla nuca, liberandola della biancheria e lasciandole soltanto i sandali seducenti. La adorò con la propria ferocia, la possedette con la propria voracità. Ogni movimento delle dita sulla sua pelle aveva l’esatta forza, ogni morso dei denti l’esatta energia per suscitare il massimo piacere in ogni terminazione nervosa. Le regalò sensazioni indicibili con ogni carezza e ogni tocco finché lei non si sentì divorata e assimilata, sopraffatta. Qualcosa la stava disintegrando dall’interno. Si dondolò contro di lui, febbricitante, pressando la propria carne infuocata contro qualsiasi parte di lui riuscisse a raggiungere. «Arjook, Haidar...» Alla sua supplica singhiozzante, in arabo, lui grugnì e la fece appiattire sotto di sé. «Maafi raja... niente suppliche, ya naari, solo possesso.» Il suo fiato le bruciò la guancia, il profumo che le riempiva i polmoni, e qualcosa

scoppiò dentro di lei. Gridò, si contorse fino a rigirarsi di schiena, per aggrapparsi a lui, alle sue labbra in baci disperati. «Otto anni, Roxanne» le ringhiò in bocca. «Sai quante volte ti ho maledetto per avermi privato di questo?» Spostò le labbra sul collo e sulle spalle, assaporando ogni tremito che la scuoteva mentre le mani scivolavano sulla sua pelle, tormentando ogni fibra allo spasimo, fino a raggiungere l’interno delle cosce, a farsi strada fino all’apice. Le dita cominciarono la loro magia mentre la bocca si lanciava su un capezzolo, e Roxanne pensò di andare in mille pezzi. Si divincolò, piagnucolò, si arcuò verso la sua mano. «Hai idea della frustrazione che ho patito, aspettando di vederti così, di sentirti infuocata, il desiderio che ti trafigge da parte a parte? Quanto ho bramato fare questo...» Quelle lunghe dita esperte si tuffarono dentro di lei. I suo fianchi scattarono in risposta, il gemito che si tramutava in un grido quando lui prese a muoverle in un ritmo ipnotico, riempiendola. «E sai come mi sentivo a non poter fare questo? A pensare che non ti avrei mai più posseduta così?» Le sensazioni presero il volo, lanciate più dal sentimento e dalla ione che alimentava le sue parole che dai suoi gesti esperti. Gemette, cercò di aprirsi ancora di più, bisognosa del piacere che lui le poteva dare, offrendo la propria resa. «Puoi avere tutto, adesso» sussultò. «E sempre.» «Saherah.» Il suo grugnito la bruciò. Sapeva cosa stava facendo: la portava al limite e poi si tirava indietro, per punirla, per condurla a una ricompensa ancora più spettacolare. Roxanne temette che il proprio corpo potesse prendere letteralmente fuoco se lui non l’avesse spinta oltre il limite, ma quello era un test sulla portata della sua resa – prima che potesse dar voce alla propria sottomissione, Haidar scivolò tra le sue gambe, sollevandosele sulle spalle. «E sai cos’ho patito, bramando il tuo sapore, sapendo che non l’avrei mai più sperimentato?» Inspirò, ruggì come un leone reso pazzo dal profumo della sua

femmina, espulse un soffio di acuta emozione sulla sua carne febbricitante. La vista di Roxanne scomparve in una nebbia di ione rossa quando la attaccò con le labbra, precipitandola in un vortice di bisogno. Lavorò con la lingua e con le dita, ininterrottamente, finché lei non singhiozzò fuori controllo. Niente suppliche, però; solo confessioni di ciò che le stava facendo. Quando ebbe sentito abbastanza, quando l’ebbe provocata un numero di volte sufficiente, la morse, sapendo esattamente dove, con che forza. Roxanne si contorse, scattò in su, spingendo la propria carne nella sua bocca, aprendosi completamente al suo doppio assalto, ogni movimento e attrito e spinta che la trafiggeva con lame ancora più ardenti, il piacere che si riversava in lei in ondate disperate. L’orgasmo la sconvolse di soddisfazione. Haidar grugnì, assorbendo ogni goccia, continuando a spingere, a sollecitarla ancora e ancora, fino a farla precipitare dal picco esplosivo, esausta, appagata. Stupefatta. Le aveva mai regalato una simile estasi? «È un bene per entrambi» commentò, col fiato corto anche lui, quasi le avesse letto nel pensiero, «che il tempo abbia smussato persino i miei ricordi. O è così, oppure sono ato dalla bramosia all’assuefazione più totale.» Orgogliosa, chissà dove trovò la forza di argli una mano tra i capelli. «Senti chi parla.» Ridacchiando contro le sue cosce, la accarezzò, quasi con dolcezza, prima di chinarsi a quattro zampe sopra di lei, come l’animale sensuale che era. Cominciò a spogliarsi, lentamente, tormentandola di nuovo, quando ancora non si era ripresa del tutto. Quando Roxanne credette di non reggere più alla pazzia, al bisogno di toccarlo, Haidar si distese sopra di lei, pressando la propria erezione nel suo ventre, facendola annaspare, sussultare. Lei riprese il controllo quanto bastava per avvinghiargli le gambe intorno alla cintola, affondargli il viso nel collo, aprire le labbra sulla sua vena pulsante. Ogni muscolo d’acciaio si distese, rigido, vibrante. Roxanne rabbrividì al sollievo di sentire il suo peso sopra di sé, la sensazione della sua potenza, il sapore e la trama della sua pelle contro le proprie labbra, il puro piacere del respirarlo.

«Haidar, habibi, kamm ana aasfah...» Al sentirla chiamarlo il suo amore, scusarsi per il male che aveva fatto, non ebbe più la forza di trattenersi. Le affondò le mani tra i capelli, la tenne ferma per la piena veemenza della propria ione. Schiacciò le labbra sulle sue, zittendola, prosciugandola dei gemiti con quei baci brucianti, disperati. La sollevò dal materasso, una mano che le reggeva la testa per proseguire quell’assalto, l’altra sulla schiena, per tormentarle i seni con il petto, riportandola all’istante sul vertice dell’abisso. Dai suoi occhi scivolavano due scie di lacrime per quel tormento carnale ed emotivo. Quanto era costata, a tutti e due... Haidar si fece strada verso di lei, bagnandosi del suo desiderio. «Dimmi che sai quanto ho sofferto, Roxanne. Dimmi che hai sofferto altrettanto.» Si aggrappò ai suoi bicipiti con tutta la forza che le era rimasta, inarcandosi smaniosa contro di lui. «Lo so, e ho sofferto anch’io. E ora soffro ancora di più...» Gli occhi di Haidar rotearono in un misto di ferocia e tenerezza. «Com’è giusto che sia. Ora, ya naari, pagherai per tutti gli anni che ho vissuto senza il tuo inferno.» Dondolò il bacino, spingendo contro il suo fulcro. Gli occhi gli si annebbiarono per il bisogno di essere dentro di lei, e in un attimo accadde, dove lei lo voleva, fino in fondo in un solo movimento possente. Nonostante l’agonia, la sensazione fu così improvvisa, lo stupore che si trasformava in dolore e poi in piacere tanto intenso da farle vedere nero intorno agli occhi. Roxanne annaspò, si contorse. Il viso di Haidar si tese allo spasimo quando si fermò, cominciando a tirarsi indietro. Lei gli si aggrappò come si sarebbe aggrappata a un salvagente per non affogare. «Otto anni» singhiozzò. «Adesso puoi avere tutto... Adesso.» «Aih, ya naari, prendi tutto, ridammelo indietro.» Affondò di nuovo dentro di lei, la lingua che affondava nella sua bocca con la stessa ferocia. I suoi ruggiti si fecero oscuri mentre le regalava ciò che lei aveva bramato fino

allo spasimo. La invase, la conquistò sempre più in profondità, arrivando dove non avrebbe mai creduto possibile, dando vita a una reazione a catena che la seppellì sotto strati e strati di sensazioni. Aveva tutto un’atmosfera follemente familiare, eppure totalmente nuova, un principio che sembrava originare da ogni sua cellula e irradiarsi da quelle di lui allo stesso tempo, distillando disperazione in un sintomo fisico. Poi tutto si compattò in un momento insopportabile che esplose verso l’esterno, e Roxanne andò in mille pezzi. Annaspò così violentemente che quasi lo sollevò per aria, la sua carne che pulsava su di lui con tale fierezza da non farla respirare, non per la prima dozzina di ondate di piacere inimmaginabile. «Aih, ya naari, mia adorata fiamma, paga col tuo piacere per tutta la mia sofferenza.» Il rombo della sua voce fece scattare l’ultima molla, le riempì d’aria i polmoni. Cominciò a gridare e gridare la propria estasi mentre lui la cavalcava, la sua potenza che la inondava di soddisfazione. «Roxanne...» Si innalzò su di lei, i muscoli gonfi, gli occhi tempestosi, di una bellezza sovrannaturale. Gettò la testa all’indietro e ringhiò il suo nome, esplodendo dentro di lei in una nuova conflagrazione. Nutrì le sue convulsioni, rimanendo con lei fino gli ultimi residui di appagamento, prima che il mondo scomparisse...

Roxanne si destò dall’abisso di beatitudine. Aprì gli occhi e si ritrovò davanti la vista mozzafiato del mare e dell’isola di fronte alla finestra di Haidar. La gioia si diffuse dentro di lei, la portò a voltarsi a cercarlo. Haidar non c’era. «Haidar?»

Nessuna risposta. Doveva essere sotto la doccia. O in cucina. O da qualche parte. A giudicare dal sole al tramonto, doveva aver dormito per le ultime dodici ore. O trentasei. Ma era tutta colpa sua. Si era rifatto degli ultimi otto anni quasi letteralmente, vendicandosi con l’estasi fino a farle perdere il conto. E i sensi. Roxanne si alzò dal letto, decise di fare un bagno per alleviare gli acciacchi che la voracità di Haidar le aveva inflitto. Uscita dall’acqua rinfrescata e rinfrancata, andò a cercarlo. Non lo trovò da nessuna parte. Lo chiamò – aveva il telefono spento. Dov’era finito? Che cosa avrebbe potuto farlo sparire a quel modo? Non c’era nessuna risposta che avesse un senso. Col are delle ore, spiegazioni terribili cominciarono a insinuarsi nella sua mente, a mettere radice, scalzando la logica: per lui si era trattato solo di vendetta, della possibilità di chiudere quel capitolo alle proprie condizioni. Era davvero così? Aveva ottenuto ciò che voleva e... se n’era andato? Incapace di accettare quel verdetto, attese, ogni suono nella casa che minacciava di farle scoppiare il cuore di speranza. Ma Haidar non fece ritorno. La notte aveva portato il buio totale e Roxanne si ritrovò sul pontile, sulla piattaforma dove pensava che la sua vita fosse ricominciata. Guardò verso l’isola, niente più di un’ombra sotto la luce della luna nascente e delle stelle. Aveva pensato che lui ce la portasse, per esplorare, e fare l’amore, e... «Pensavo che ormai te ne fossi andata.» Si voltò di scatto, lo vide avvicinarsi attraverso il dolore liquido che le riempiva gli occhi. L’amante conquistatore, il principe strafottente, l’avversario indomito erano scomparsi; un essere di ghiaccio li aveva rimpiazzati tutti.

Quegli occhi la scrutarono senza una scintilla della vita o della ione che li aveva sempre accessi. La voce era altrettanto morta. «D’altro canto, ho pensato tante cose che poi si sono dimostrate errate. Non posso più ingannarmi, credere in ciò che vorrei credere.» Dio, che cosa voleva dire? Le stava dicendo che non poteva perdonare e dimenticare? Peggio, che le sue ferite restavano inguaribili, a prescindere dal fatto che lei avesse voluto infliggerle o meno? «Perché sei rimasta? Credevo che ci fossimo detti tutto quello che c’era da dire.» Era quella la sua vera vendetta? Darle chilometri di speranza da attorcigliarsi intorno al collo, per poi spingerla giù dal grattacielo dei sogni di un’ingenua? Doveva sapere che quella volta non sarebbe sopravvissuta, che la sua vita avrebbe avuto fine quel giorno stesso... Tremando, barcollò verso di lui, sperando che potesse svanire per non essere costretta a sentirlo così vicino, un’ultima volta. Gli stava ando accanto, trattenendo il fiato in modo che il suo profumo non le rigirasse il pugnale che aveva conficcato nel petto. Aveva innanzi a sé il prolungamento del pontile sulla spiaggia, la via di fuga, verso il nulla che dominava il suo futuro... Haidar la fermò. Prima che potesse singhiozzare di tagliare l’arteria e lasciarla morire dissanguata, come si usava dire nella regione, lui la prese per le spalle, gli occhi febbricitanti. «Però non posso lasciarti andare, Roxanne. Pensavo di esserne capace, ma non posso. Accetterò qualunque cosa vorrai darmi. E se preferisci, non parlerò mai più di matrimonio.»

10

Matrimonio? Mai più? Roxanne lo fissò a occhi sbarrati: aveva perso completamente il filo. Le dita di Haidar le si strinsero sulle spalle. «Sono stato un bastardo arrogante a darlo per scontato, meritavo quel taci. E non avrei dovuto arrabbiarmi quando l’hai detto. Non avrei dovuto porlo come un ultimatum, non avrei dovuto dirti o matrimonio o niente.» Ogni parola che usciva dalla sua bocca solleticava qualche vago ricordo dai margini della sua mente, mettendolo a fuoco; spezzoni di una conversazione che poteva aver sentito mentre scivolava dentro e fuori dall’oblio. La voce di Haidar, la propria, le parole in se stesse che evaporavano come un sogno al risveglio. Stava forse dicendo che, in quei frammenti dimenticati, lui le aveva chiesto di sposarla? E lei gli aveva risposto... taci? «Se sei rimasta per dirmi che sono un idiota, ma che posso piantarla di essere tale e accettare ciò che sei disposta a darmi, accetto.» «Haidar, io non...» Improvvisamente la lasciò andare. «Il tuo rifiuto categorico ancora una volta mi ha fatto capire che non sono mai stato compatibile con le relazioni umane, che sono il classico caso di uomo che solo la madre può amare. Settimana scorsa, non me ne sono andato solo perché mi compativo, ma perché ero convinto che saresti stata meglio senza di me. Ti ho ferito mostrandoti chi sono veramente, ancora prima che tu scoprissi di quella stupida scommessa, prima che ti esponessi ai soprusi di mia madre.» Tornò a guardarla, gli occhi che fiammeggiavano. «Hai fatto bene a respingermi di nuovo. Ho detto che avrei accettato qualunque cosa tu fossi disposta a darmi, ma non posso. Non posso. Per me è sempre stato tutto o niente, e non sono cambiato. Non potrò mai essere soddisfatto se non avendo tutto di te, per sempre. Nel cuore della ione può anche esserti sembrato eccitante, quando pensavi che stessi parlando del sesso. Ma quando ti sei accorta che intendevo tutto sul serio... non ti biasimo se la cosa

ti ha raffreddata.» «Non mi ha raffreddata» sussurrò Roxanne, l’enormità di ciò che stava dicendo che minacciava di soffocarla. «Non se è una strada che vuoi percorrere anche tu...» Haidar strinse gli occhi, il corpo teso come un arco. «Certo che lo è. Tu avrai tutto, di me. Se lo vorrai.» L’espressione che rispecchiava tutte le emozioni tempestose che la sconvolgevano, le labbra le fremettero per l’impatto del lasciar andare i propri dubbi, del vedere il proprio cammino verso di lui, chiaro e sicuro, permanente. «La bufera prima della felicità, eh?» «Ti spaventa?» E Roxanne si lanciò su di lui, lo abbracciò con tutta la forza che aveva. «Non più. Mi fido di te, Haidar. E se mi ci è voluto un po’, per arrivarci, è perché sei così pieno di contraddizioni che è stato quasi impossibile capire come sei fatto. Ma sei anche travolgente, il che vanifica ogni tentativo di essere razionale, per quanto ti riguarda.» Fissò gli occhi nei suoi, una finestra aperta sul proprio cuore perché lui potesse vederlo. «Eri anche così difficile da interpretare che pensavo non ci fosse altro da capire oltre all’evidente. Eri così sicuro di te che pensavo non avessi dubbi, né debolezze. Il resto delle tue qualità dipingeva un essere sovrumano che non ha paragoni con i fallimenti e le emozioni dei comuni mortali. Ma soprattutto, sei così esageratamente... potente, che pensavo non ti sarebbe mai bastata una sola donna. Diavolo, pensavo che probabilmente non avresti potuto, né dovuto accontentarti di una sola.» Haidar si irrigidì tra le sue braccia. «L’infedeltà, tanto meno la promiscuità, non sono tra i miei infiniti difetti.» Le tremò il sorriso per la portata della gioia che le stava prendendo piede nel cuore. «Adesso lo so, ti vedo per quello che sei veramente. Credevo che fossi autoritario e oppressivo, ma sei solo dominante e col pieno controllo; non scendi a compromessi, ma sai essere flessibile in ciò che conta davvero. Sembravi crudele, pronto a are sopra il cadavere di chiunque per raggiungere i tuoi obiettivi, ma o sei cambiato, oppure non hai mai calpestato nessuno che non lo meritasse davvero. Sei spaventosamente serio riguardo il lavoro, ma ho scoperto che hai anche questa incredibile capacità di divertirti e di essere divertente. E hai

insicurezze come tutti gli esseri umani, al di là di quella facciata impenetrabile. Ciliegina sulla torta, il tuo carattere rigido e pragmatico condivide il tuo corpo con un incredibile romantico.» Mentre parlava, gli occhi di Haidar si spalancavano sempre di più. Quando ebbe finito, deglutì. «Tu vedi dei lati positivi, in me?» «Io vedo dei lati fantastici, in te. Ma soprattutto, sono fantastici per me. Ti avrei amato – ti ho amato – per molto, molto meno. Ora ti amo per tutto quello che sei e che non sei.» «Ma... mi hai detto di star zitto!» Al che Roxanne si tuffò di nuovo tra le sue braccia, gemendo. «Non ricordo nemmeno di averlo fatto, stavo dormendo!» Scostandola da sé, Haidar la fissò allibito. «Vuoi dire che ho ato un giorno d’inferno perché parli nel sonno? Ya Ullah... quando ho detto matrimonio o niente, ti ho chiesto sì o no, mi hai guardato dritto negli occhi, hai risposto no con enfasi, e poi ti sei girata e sei tornata tranquillamente a dormire.» «Probabilmente avrei risposto di no anche se mi avessi chiesto se avevo bisogno di respirare. Mi hai devastato con la tua vendetta d’estasi.» Scoppiò a ridere, gli gettò le braccia intorno al collo. «Suppongo si possa dire che la nostra è una proposta di matrimonio da record.» Le sue braccia la strinsero automaticamente, l’espressione ancora sconcertata. «Ridi pure, io stavo considerando di lasciare la civiltà per sempre.» Gli posò una mano sulla guancia, godendo nella libertà del poterlo fare, del potergli mostrare tutto ciò che provava nel cuore. «Saltare alle conclusioni a proposito di ciò che pensa l’altro pare sia ciò che ci riesce meglio.» «Aih.» Il cipiglio del rimpianto lasciò campo libero alla determinazione. «Mai più. D’ora in avanti, non accadrà mai più. Promettimi che mi dirai sempre tutto.» Roxanne lo catturò in un bacio caloroso, ridendo, le lacrime che le rigavano gli occhi. «Lo prometto.» E lui la allontanò di nuovo. «Stai dicendo che vuoi sposarmi?»

«Se significa restare con te nella buona e nella cattiva sorte, in ricchezza e in malattia, finché morte non ci separi e probabilmente anche oltre, allora sì.»

«Ahebbek, ya naari, kamm ahebbek.» Ancora svuotata di energia dalla potenza dell’orgasmo più sconvolgente che avesse mai vissuto, Roxanne si irrigidì, le labbra che si immobilizzavano sul suo viso. Haidar si sollevò sulle braccia, quell’ansia irrazionale ancora così facile da dissotterrare. Si innalzò a un picco pauroso: lei stava piangendo. «È la prima volta che mi hai detto che mi ami» gli sussurrò lei. Al che il sangue gli scorse nelle vene in una marea di rimpianto. «Io non solo ti amo. Ti adoro e di più, ya hayat galbi. E non mi perdonerò mai per non avertelo detto prima.» Lo attirò a sé per un bacio dolce da impazzire, facendogli assaporare le sue lacrime di felicità. «Se ti perdono, vita del mio cuore, chi sei tu per non fare altrettanto? D’ora in avanti abolisco qualsiasi forma di autorecriminazione.» Haidar avrebbe voluto ribattere che non avrebbe dovuto, ma la sua serenità dipendeva dal fatto che entrambi riuscissero a mettere una pietra sul ato. Nessuno, comunque, gli avrebbe impedito di fare ammenda in segreto per, diciamo, il resto della vita. Le asciugò le lacrime prima di farla rotolare sopra di sé. «Purché sia una strada che percorreremo insieme.» Roxanne gli affondò il viso nel collo per strozzare un singhiozzo, quindi annuì. Presto il suo respiro si calmò nel ritmo appagato del sonno profondo. Haidar giacque sotto di lei, ancora dentro di lei, sprofondato nella sua serenità e nella sua gioia. Era una benedizione che avesse scordato quanto fosse sublime far l’amore con lei. O forse, ora era diverso, con la loro maturità, l’onestà riguardo i sentimenti reciproci.

Stringendola a sé, lasciò che la meraviglia e la gratitudine e il dolce oblio lo accogliessero nelle proprie braccia.

«Che cos’è questo?» Dalla posizione inginocchiata, Haidar regalò un sorriso diabolico a una stupefatta Roxanne. «Questo è un pezzo dell’Orgoglio di Zohayd.» «Cosa?» Gli strappò la scatola di velluto dalle mani, sbarrando gli occhi. «Non può essere. Non è possibile portare il tesoro fuori dal paese senza avere la guardia nazionale alle costole.» Ora che aveva preso l’astuccio, la parte in ginocchio era conclusa. Haidar si alzò, sorridendo soddisfatto. «Ricordati che stai parlando col principe di due regni.» «Potresti essere il principe di due pianeti e quei gioielli comunque non potrebbero uscire da Zohayd, per nessuna ragione. Di certo non per essere la mia... shabkah...» Deglutendo come se la parola le si fosse incastrata in gola, Roxanne accarezzò con dita tremanti il pezzo che lui aveva scelto come promessa di fidanzamento, un anello/braccialetto d’oro a ventiquattro carati di fattura sublime, incastonato di diamanti senza prezzo e di uno smeraldo centrale incomparabile. La certezza la colpì come un fulmine, le fece scattare gli occhi sbarrati su di lui. «Santo cielo, è proprio lui, vero?» Haidar sorrise, godendosi l’imbarazzata sequenza di negazione e consapevolezza. «È proprio questo il punto.» «Ma com’è... com’è possibile che ce l’abbia tu?» Qualcosa negli occhi di Roxanne gli spense il sorriso. «Stai pensando che... me ne sono impossessato?» Quando lei si limitò a continuare a fissarlo, si sentì assalire dall’amarezza. «O che come complice della cospirazione di mia madre, ho potuto tenere qualcosa per me?» Ma Roxanne lo colpì, giocosamente, zittendolo con una mano sulla bocca.

«Basta così! Non sto dubitando di te: non lo farò mai più, ricordi? Sono solo... senza parole.» E Haidar lo vide: la sua incredulità non aveva niente a che fare con lui, la fiducia che aveva riposto in lui era totale. Il dubbio evaporò come una goccia d’acqua in una fornace. «Non c’è bisogno di parole, davanti a questo.» «Io non... non... Questo è il primo pezzo intorno al quale Ezzat Aal Shalaan ha costruito il tesoro dell’Orgoglio di Zohayd? Quello che ha dato origine al mito diventato legge della pretesa degli Aal Shalaan al trono?» «Niente di meno avrebbe reso giustizia a ciò che provo per te. Una leggenda che ha resistito alla prova dei tempi e ha ispirato milioni di persone.» Posandogli una mano sulla guancia, Roxanne gli regalò un sorriso tremulo. «Pensi che anche noi daremo origine a una leggenda?» Haidar estrasse il gioiello dalla scatola, glielo allacciò alla mano sinistra. «Ne sono sicuro.» Quindi la reclamò in un lungo bacio, dal quale lei emerse con un’altra esclamazione. «Ma come? Voglio dire, questo...» Sollevò la mano per ammirare di nuovo il capolavoro unico. «... è come saper volare. E quando? La tua domanda non era premeditata, e dopo che ho accettato, non c’era abbastanza tempo...» «Sottovaluti la velocità con cui posso far fare le cose.» Alla sua occhiata scettica, alzò le mani in segno di resa. «Ma le tue capacità analitiche sono azzeccate, come sempre. Ho fatto in modo di procurarlo non appena ho ricevuto il tuo messaggio. È per questo che sono arrivato così tardi.» «Pensavo che volessi farmi aspettare un’ora per ogni anno che ci ho costretto a stare separati.» Haidar fece un sorrisetto. «Anche questo mi è ato per la mente. In realtà, avrei voluto correre qui l’attimo stesso in cui ho ricevuto il tuo sms, ma volevo mettere le mani sul tuo shabkah, essere l’unico a toccarlo dopo Amjad.» «Re Amjad? È stato lui a portartelo, di persona?»

Stupirla era una tale gioia... Avrebbe dovuto continuare a farlo. «Chi altro può avere accesso all’Orgoglio di Zohayd? E chi altro può essere tanto matto da concedermi il suo pezzo centrale, per qualsiasi ragione?» Roxanne annuì. «Già. Si dice che sia evoluto da principe matto a re folle.» Il rossore le invase le guance. «Il che, a parer mio, è grandioso» si affrettò quindi ad aggiungere. «Penso che sia il re più efficace nella storia della regione dai tempi di re Kamal Aal Masood di Judar.» Ridacchiando, Haidar sopì il suo imbarazzo. «Non dovrai mai preoccuparti di offendere la mia sensibilità riguardo ai parenti. Mio fratello maggiore è sempre stato metodico, nella sua follia, e adesso le ha dato anche un nome – Maram. Il suo novantanove per cento di parte migliore, come dice lui.» «Quindi tu gli hai chiesto il pezzo centrale del tesoro reale, e lui te l’ha semplicemente dato? Come lo giustificherà al Consiglio, al popolo di Zohayd?» «Intimerà loro di tacere, altrimenti metterà all’asta anche il resto, come minacciò di fare prima di ereditare il trono da nostro padre.» «Wow.» Le girava la testa per lo stupore, le labbra che fremevano. «Scommetto che potrei scrivere libri interi con l’analisi del suo carattere e dei suoi metodi.» «Pensaci: quando mi avrai sposato, come sua cognata avrai libero accesso a quell’esemplare unico al mondo.» Roxanne arricciò il naso. «Già, è questo il motivo principale per cui voglio sposarti – in modo da mettere le mie zampe analitiche su tuo fratello maggiore.» «Che ne dici, invece, di mettere quelle zampe analitiche, e tutto il resto, su di me?» Lei fece scivolare la mano adornata dello shabkah sul suo torace. «Il problema sarà riuscire a togliertele di dosso.» Catturandole le labbra, Haidar si pressò la sua mano al petto. «Ho bisogno che tu le tolga solo per sbrigarmi del lavoro e della manutenzione personale. Dopodiché possono tornare. E devono.» Roxanne rabbrividì. «Tutto questo...» esordì incerta, indicando con gesto

eloquente la ione accesa tra loro, «... il fuoco nella mia anima. Agli esseri umani è concesso raggiungere questo livello di felicità?» Haidar la strinse a sé, in una promessa. «A noi sì.»

11

«Confidiamo che siate decisamente avanti rispetto ai Vostri avversari.» Haidar spostò l’attenzione dall’uomo che aveva proclamato tale infondata certezza agli altri suoi sostenitori, che lo ammiravano come se stesse nascondendo i loro regali di Natale. Nelle ultime due settimane, da quando aveva chiesto a Roxanne di sposarlo, non gli avevano concesso un attimo di tregua, offrendo strategie, interrogandolo sulle sue, facendogli pressioni perché confermasse che avrebbe fatto di tutto per salire al trono. Per non parlare delle continue lusinghe al suo ego. Sospirò. «Cerchiamo di non lasciarci prendere dall’entusiasmo, per favore. Rashid è un avversario formidabile, un eroe di guerra azmahariano...» Il portavoce del gruppo lo interruppe. «Che riguardo a voi, nel mondo della finanza e della politica, è solo un principiante.» «Un principiante che è volato fuori dal nido da avvoltoio fatto, e che potrebbe farmi a pezzi in un secondo se gli dessi le spalle. E poi c’è Jalal, che è il più...» L’uomo lo interruppe di nuovo. «Jalal è troppo zohaydiano. Voi siete la combinazione perfetta di cui abbiamo bisogno, se solo affrontaste la questione con maggiore determinazione.» «Come Rashid, volete dire?» Sbuffò. «Ma non continuate forse a ripetere che qui c’è in gioco il futuro di Azmahar? Se lui si dimostra la soluzione migliore...» «Non lo è» insistette un altro. «E neanche Jalal. Ma Rashid sta stringendo delle alleanze che vanno al di là dei suoi sostenitori, e Vostro fratello ha per consulente personale l’esperta politico-economica più formidabile del regno.» Il cervello di Haidar andò in pausa. C’era solo una persona che poteva rispondere a quella definizione: Roxanne. Ma non era possibile... «Siete male informati riguardo a Jalal. Il che mi fa sorgere

dei dubbi riguardo a tutte le informazioni che mi avete riportato.» «Abbiamo le prove» insistette un terzo. «Foto di Jalal con Roxanne Gleeson, scattate nell’ultimo mese, registrazioni telefoniche...» Rialzò la testa di scatto. «Tenete sotto controllo il suo telefono?» «Quello di Jalal» lo corresse il primo. «È uno scontro vitale, e faremo tutto il necessario per impedire al nostro avversario di guadagnarsi un ingiusto vantaggio. E con lei al fianco, di certo è un o avanti rispetto a Voi e a Rashid. Non che ci dispiaccia aver violato la sua privacy: è ai limiti dell’etica che lei gli fornisca informazioni ottenute grazie al suo incarico diplomatico.» Haidar non si rese conto di cosa rispose, come la riunione ebbe fine. Si ritrovò solo, paralizzato mente e corpo. Poi, nel silenzio ovattato dentro di sé, sentì una voce. Serena, pacata, saccente. Una voce che spiegava tutto. Roxanne si stava prendendo gioco di tutti e due, nell’attesa di vedere chi sarebbe diventato re; a quel punto, lo avrebbe colto come un frutto maturo. La segretezza le sarebbe tornata utile anche se a ottenere la corona fosse stato Rashid: sarebbe rimasta all’apparenza neutrale, guadagnandosi la sua stima e raggiungendo infine un incarico ancora più di pregio. E nel frattempo avrebbe tenuto aperte entrambe le opzioni con lui e Jalal, fino a quando non avesse stabilito chi dei due fosse il cavallo migliore. Probabilmente Jalal. Sposare un amico era una cosa, gestire una persona sentimentalmente e fisicamente esigente come lui era tutt’altro. O magari avrebbe scaricato entrambi andando in caccia di Rashid. E l’avrebbe avuto. Non solo era irresistibile, ma aveva anche le informazioni necessarie a conquistarlo. Haidar si pressò i palmi sulle orecchie, chiudendo fuori quella voce folle e annientante. La voce che ora riconosceva come quella della madre. Quelle erano le sue parole, i suoi pregiudizi. Gli aveva trasmesso il seme della paranoia e poi l’aveva innaffiato in ogni modo. Dar retta a quella voce gli era tornato utile nello spietato mondo degli affari. Gli aveva anche decimato la vita privata, però. Non le avrebbe più dato ascolto. Non avrebbe più dubitato di Roxanne. Le

avrebbe chiesto di Jalal, e qualunque cosa gli avesse risposto, sarebbe stata la verità. Fine della storia.

Haidar si tuffò nelle acque turchesi e riemerse con Roxanne avvinghiata a sé. La strinse nell’abbraccio, le assalì le labbra con baci sorridenti cui lei rispose con ardore sufficiente a mandare il mare in ebollizione. Anche se avevano appena fatto l’amore sull’isola, lui non ne aveva mai abbastanza. Facendo scivolare la bocca sul suo orecchio, le mordicchiò dolcemente il lobo. «Chi arriva prima al pontile?» Roxanne ridacchiò, prendendogli il mento tra i denti. «Non mi sono ancora trasformata in un delfino. Ora che arrivo avrai già finito di cucinare il pesce.» «Ma tu sei una saherah. Puoi usare la tua magia.» La luce nei suoi occhi gli confermò il suo puro apprezzamento. «Senti chi parla sembra riassumere tutto ciò che ho da dirti, in questi giorni.» Con lei gli sembrava davvero di possedere la magia. Lo faceva sentire desiderato, adorato fino all’ultima cellula. Proprio come lui desiderava e adorava lei. Sorreggendola tra le braccia, nuotò a dorso con bracciate tranquille nelle acque placide che erano state miracolosamente salvate dalla fuoriuscita di greggio. Il loro paradiso... che sarebbe rimasto segreto fino alla conclusione della corsa al trono. Non voleva battere i propri avversari con il fascino di massa di un matrimonio da favola e la promessa della regina migliore che il regno potesse sperare. Voleva salire al trono per merito proprio, o non salirci affatto. Voleva anche tenere le distanze tra la loro vita personale e qualsiasi ansia di affari e politica. Nuotarono fino al molo in languido silenzio, nutrendo le reciproche energie e sensazioni in un circuito chiuso di armonia. Quando erano insieme il tempo si dilatava. Era ato un mese da quando si erano ritrovati, ma sembrava più un anno. Anzi, di più. Haidar ricordava a malapena la vita prima di quei giorni.

Di certo non voleva ricordare il periodo trascorso quando l’aveva persa, quando il coltello continuava a rigirarsi nella piaga ogni volta che i fratelli trovavano la propria anima gemella: Aliyah aveva trovato Kamal, Shaheen aveva Johara, Harres aveva Talia, e più scioccante e improbabile di tutti, Amjad aveva Maram. Ma lui aveva ritrovato Roxanne, l’aveva conquistata davvero, e questa volta per sempre. Non era niente meno di un miracolo. Improvvisamente lei si divincolò, si sciolse dal suo abbraccio, e si allontanò con qualche bracciata vigorosa. Si mise a ridere quando lui si lanciò all’inseguimento – nonostante ciò che aveva detto, era una nuotatrice capace, e Haidar dovette rallentare appena per non raggiungerla prima del pontile. Roxanne si tirò fuori dall’acqua con un movimento agile, issandosi in quello strumento di tortura che era il suo costume rosso fuoco, a sorridergli dall’alto in basso. Haidar la seguì con calma, e insieme si incamminarono verso casa. «Stavo pensando ai rapporti incredibili che hanno i miei fratelli. Non vedo l’ora di presentarti Maram: sono certo che andrete subito d’accordo.» «Non mi hai mai parlato di lei» gli fece notare Roxanne baciandogli il collo. In effetti l’aveva sempre tenuta fuori, da tutto, al di là della loro attrazione fisica. Non sarebbe mai più successo. «Da piccolo la adoravo, ed è ancora così. È una di quelle rarità della vita, un’anomalia cui piacevo più io di Jalal. Come al solito dietro le quinte c’era mia madre, che voleva farci mettere insieme per farmi guadagnare anche il trono di Ossaylan, ma una volta tanto il risultato fu positivo, perché tra noi nacque un legame speciale. E ne abbiamo approfittato per rendere la vita difficile ad Amjad.» «Non ho motivo di essere gelosa, vero?» «Mai, di niente in questo mondo. B’Ellahi, sono tuo.» Il suo premio per la fervente promessa fu un bacio che quasi lo spinse a possederla lì dove si trovavano, al diavolo la doccia e la cena. Si tirò indietro, consapevole che avevano bisogno di entrambi. «Maram è la mia amica adorata, come Jalal era il tuo. Avevo perso quasi tutti i contatti con lei, per via dei suoi due matrimoni catastrofici e della sua fuga temporanea negli Stati Uniti, ma quando ci siamo rivisti è stato come se non avessimo mai smesso di essere amici. Spero che anche tu possa provare la gioia di riavere l’amicizia di

Jalal, come io ho quella di Maram.» Attese che lei gli dicesse che aveva già rivisto Jalal, da quando era tornato in Azmahar, e che la loro amicizia era di nuovo salda come un tempo. Ma Roxanne si limitò a distogliere lo sguardo. «Anche a me piacerebbe.» Arjooki, ya habibati... ti prego, amore mio, fidati di me, parlami. Ma lei non lo fece.

«Che cos’hai fatto?» Ancora una volta, Roxanne si pentì di essere corsa da Cherie per raccontarle tutto, ma non aveva potuto condividerlo con la madre. La madre, che era straordinariamente felice per la prima volta da... sempre, dopo che l’aveva informata del fidanzamento. L’aveva detto anche a Cherie e a Jalal, chiedendo loro di mantenere il segreto fin quando la questione della sovranità del regno non fosse stata risolta. La madre aveva addirittura deciso di tornare in attività e darle una mano a sistemare le cose, in modo che il matrimonio potesse avere luogo al più presto. Ma prima, Roxanne avrebbe dovuto sistemare quel pasticcio. Aveva mentito a Haidar, aveva finto di non aver più visto Jalal da quando si erano separati otto anni prima. «Adesso chiami questo tuo dio del deserto e gli racconti la verità seduta stante, Roxanne.» Il tono di Cherie non ammetteva repliche. «Più tempo lasci are tra la tua... omissione dal confessargli che hai frequentato il suo gemello di nascosto, aiutandolo contro di lui... Buon dio! Cosa ti ava per la testa?» «Non è andata così!» protestò con un guaito. «Ho cominciato ad aiutare Jalal quando Haidar era il mio peggior nemico e lui il mio migliore amico. Tutt’a un tratto Haidar è il mio fidanzato e io aiuto il suo gemello, che è il suo avversario. Sono vincolata a Jalal dall’amicizia e dalla mia parola d’onore, e a Haidar

dall’amore e da tutto il resto. Ma non potevo confessare quando ne ho avuto l’opportunità: non è un segreto che posso essere io a rivelare.» «Le ultime parole famose.» Anche l’amica gemette. «Devi sistemare le cose, e in fretta. Di’ a Jalal che devi darsi una mossa a raddrizzare il suo rapporto col fratello, e di’ la verità al tuo fidanzato prima di mandare a catafascio la vostra relazione!» Cherie aveva ragione, naturalmente. Solo che non si trattava esclusivamente della promessa fatta a Jalal di mantenere il segreto: Roxanne aveva paura di turbare la perfezione, l’equilibrio. Haidar sarebbe rimasto deluso che lei non avesse avuto abbastanza fiducia nel loro rapporto da dirglielo, e dopo che avevano dichiarato di non avere più segreti tra loro, per di più! Anche dopo aver salutato l’amica, non riuscì a smettere di rimuginare sulla questione. In realtà, non era sua intenzione mantenere alcun segreto; il fatto era che quando si trovava con Haidar si scordava di tutto il resto. Di recente, l’unica volta in cui si era rammentata di Jalal era quando gli aveva parlato della storia col fratello. Il conflitto di interesse non le era neanche ato per la mente; nelle ultime due settimane, aveva dedicato qualche pensiero alla successione al trono solo insieme ad Haidar, quando aveva discusso con lui programmi e prospettive. E poi, Jalal si sbagliava riguardo al fratello. Sotto l’amarezza e l’alienazione, Haidar gli voleva ancora bene, altrimenti non sarebbe rimasto tanto ferito dalle sue accuse. Avrebbe dovuto essere Roxanne a farli riavvicinare, dato che era almeno in parte responsabile per la frattura che li aveva separati definitivamente. Avrebbe fatto ricorso alle proprie capacità di negoziatrice, avrebbe chiamato Jalal... Il camlo la fece sussultare. Per la miseria, se aveva i nervi a fior di pelle. Il che non era poi così tanto strano, vista la posta in gioco. Corse alla porta, la aprì, si ritrovò di fronte Jalal. «Gebna sert’el ott! Parli del diavolo...!» esclamò trascinandolo in un abbraccio. Jalal si mise a ridere, ricambiando l’affetto. «E spuntano le corna – con chi stavi

parlando con me?» «Non stavo parlando, in effetti. Solo pensando.» «Lo spero bene, visto che mi hai mandato un sms chiedendomi di raggiungerti.» «Ma io...» Non aveva avuto tempo di richiudere a chiave la porta, che si stava spalancando di nuovo. Cherie? Era già tornata? L’attimo successivo, rischiò di finire per terra. Haidar. Il cuore le si fermò nel petto mentre lo osservò entrare in casa, affatto sorpreso di trovarvi il fratello... Doveva essere stato lui a convocarlo, doveva avergli mandato un messaggio col suo cellulare, quando lei era stata a casa sua poche ore prima. Senza dire una parola, Haidar avanzò verso di loro, si fermò a pochi i di distanza e si chinò lievemente, per posare qualcosa sul tavolino. Una cartellina. «Questi sono i rapporti delle analisi che Roxanne ti ha ato» esordì tenendo gli occhi fissi su Jalal, «quelli sui quali stavi costruendo la tua campagna. Ho ritenuto giusto informarti che non costituiscono più alcun vantaggio, per te, dato che li conosco anch’io.» Roxanne si sentì morire: Haidar sapeva. Ma non sembrava infuriato, né deluso; non sembrava... niente. Non riusciva a sentire niente, da lui: il muro di gomma era stato innalzato di nuovo. Ma stava nascondendo la sua delusione, o quel niente era reale? E se era reale... perché? E come l’aveva scoperto? Quando? Aveva menzionato il fratello solo il giorno precedente, all’apparenza per caso. Evidentemente, invece, l’aveva messa alla prova per vedere se avrebbe confessato... Dentro di lei rimbombò un sospetto troppo terribile per essere contemplato. No, non avrebbe sospettato ancora di lui. L’aveva promesso. Giurato. Tuttavia... Dio. Non sembrava più l’uomo che amava più della vita stessa. Era di nuovo quella quantità inconoscibile, l’entità inaccessibile che era stato un tempo. Il ghiaccio nei suoi occhi cancellava tutto il resto, lasciando solo gelidi dubbi e

possibilità. Che avesse saputo di Jalal fin dal principio? Che avesse svolto delle indagini, giungendo alla più probabile conclusione? In effetti aveva una mente incredibilmente agile: non era solo possibile, ma probabile. Sembrava fosse la verità. Ma se aveva sempre saputo, perché non aveva mai affrontato l’argomento? Perché tu non gli avresti detto niente, non per come stavano le cose tra voi in un primo momento. Quindi era per questo che l’aveva riconquistata? Per portarla al punto in cui avrebbe parlato? Dandogli più informazioni di quante ne avesse date a Jalal? In realtà, era proprio questo che era successo, perché lei era stata convinta di discutere del futuro di Azmahar col fidanzato... Era stato tutto per battere Jalal, di nuovo?

«È per questo che sei andato dietro a Roxanne, questa volta?» Il ruggito minaccioso lo investì alla sprovvista. Sbatté le palpebre, si ritrovò Jalal a un palmo di naso, l’espressione indemoniata. «E pensare che mi stavo tormentando per trovare un modo di ricucire lo strappo tra di noi, per rimediare alle accuse che ti avevo lanciato, convinto di essermi sbagliato. Il mio errore è stato nel valutare la profondità della tua depravazione. Non so come ho fatto, in tutta la mia vita, a non capire che razza di mostro sei davvero; quello che è certo è che ti meriti di restare da solo, per il resto della tua. E anche se non ci tengo davvero a diventare re, puoi star sicuro che farò di tutto per impedirti di salire al trono.» Haidar registrò appena l’assalto del fratello, tanto meno lo comprese. Non vedeva altro che il tradimento sul viso di Roxanne, non sentiva altro che l’agonia che emanava da lei. All’inizio era rimasto perplesso: perché era lei a sentirsi tradita, in agonia? Ma poi aveva capito; ancora una volta, si era sbagliato.

Roxanne aveva ogni diritto di aiutare Jalal, se riteneva che sarebbe stato un re migliore. E anche se non ne fosse stata convinta, come suo amico aveva ogni diritto di aiutarlo, di fare qualunque cosa scegliesse di fare, senza richiedere l’opinione o il consenso di Haidar. Tutto questo non aveva alcun impatto sulla loro relazione, non limitava il suo amore per lui. Organizzare a sorpresa quel confronto a tre, sbatterle in faccia le prove che aveva raccolto, era un’accusa imperdonabile. Si lanciò verso di lei, ma fu bloccato da qualcosa di inamovibile. Lottò, si divincolò, e fu colpito con la forza di un martello pneumatico. La botta gli rimbombò nel cervello, lasciandolo disorientato. La figura di Roxanne danzò dentro e fuori dal suo campo visivo, come la pellicola rovinata di un vecchio film, a scatti, interrotta. Opponendosi alla confusione, cercò di correrle dietro, e andò a sbattere contro un muro. Questa volta reagì, gli girò intorno, la raggiunse. Quando fece per afferrarla lei gli schiaffeggiò via le mani, la voce rotta dalle lacrime che le rigavano le guance. «Che cos’altro vuoi? Non ho altre informazioni da darti.» La sua vista era ancora annebbiata, come il suo equilibrio. Barcollò indietro di un o quando lei lo spintonò. «Roxanne... Io non...» «Tu non avevi bisogno di darti tutto questo disturbo. Supererai i tuoi rivali senza alcuna strategia particolare, ti basta quello che sei. Sei il re migliore che Azmahar potrebbe desiderare; il regno ha bisogno di qualcuno con una tale astuzia contorta per uscire dal labirinto di problemi in cui è sprofondato. Non che mi importi più niente di quello che succederà: me ne vado, e questa volta non tornerò indietro.» Haidar doveva essere ancora disorientato, perché non capiva una parola di ciò che stava dicendo. Avrebbe dovuto prenderlo a schiaffi per essersi rimangiato la parola dopo averle promesso di parlarle sempre di tutto; lui avrebbe dovuto dirle come si sentiva, avrebbe dovuto discuterne con lei. Cosa c’entrava il trono in tutto questo? Di che informazioni parlava? La afferrò per il braccio e tutt’a un tratto altre due mani erano su di lui – quelle di Jalal.

«Toglile le mani di dosso» sibilò il fratello. «E questa volta per sempre.» «Posso combattere le mie battaglie, Jalal» sbottò allora Roxanne. «Quali battaglie? Di che cosa state parlando?» Qualcosa di caldo e bagnato gli scivolò sul viso, distraendolo. Haidar sollevò una mano, si stupì al vederla sporca di sangue. Guardò Jalal a bocca aperta. «Mi hai colpito!» «E hai la faccia tosta di esserne sorpreso?» Haidar spostò lo sguardo allibito da Jalal a Roxanne. Si trovavano nella sua camera da letto. E tutt’a un tratto capì. Di che cosa lo stavano accusando... peggio, per che cosa lo avevano già condannato. E reagì come avrebbe voluto reagire negli ultimi vent’anni. Sferrò entrambi i pugni sulle spalle di Jalal, tutta la forza e gli anni di collera e frustrazione ad alimentare quel colpo. Jalal andò a sbattere contro il muro con un tonfo che fece vibrare tutta la stanza. Roxanne sussultò, si appoggiò a un’altra parete. Haidar la notò appena, l’attenzione concentrata su Jalal che lo fissava a occhi sbarrati. Ovvio che fosse scioccato: era la prima volta che Haidar era ricorso alla violenza. Prima che Jalal potesse riprendersi, lui li fronteggiò entrambi, digrignando i denti. «Di nuovo? Lo state facendo di nuovo? Mi giudicate senza neanche darmi la possibilità di difendermi?» Raddrizzandosi, Jalal ricambiò l’occhiata fulminante. «Vorrai perdonarci se le tue azioni e le tue parole parlano così forte da soffocare i nostri tentativi di giustificarti.» «Ho fatto fare delle indagini sulle tue attività e sulle tue scoperte da quando sei tornato» sibilò Haidar. «E allora? Vengo qui per manifestare la mia delusione per il fatto che mi abbiate entrambi escluso di nuovo, e arrivate alla conclusione che abbia sedotto Roxanne per avere le stesse informazioni? E a che pro, per invalidare il tuo vantaggio nella corsa al trono?» L’espressione di Jalal vacillò. Haidar sentì un suono di contrizione provenire dal

petto di Roxanne, e incluse anche lei nella propria amarezza. «Zain, date voce a tutti i vostri sospetti e a tutte le vostre accuse, quelle fondate e quelle infondate, e facciamola finita una volta per tutte.» Jalal emise un grugnito disgustato. «Vuoi avere il bis di quello che ho ato una vita a fare? Quando ogni tentativo di raggiungerti, di avere un confronto mi ha guadagnato solo evasioni e ostinati rifiuti di comunicare o condividere alcunché?» «Parli di tutte le volte che sei stato un bastardo insensibile, invadente e opprimente?» ribatté Haidar. L’altro alzò le spalle. «Se è così che preferisci vederla... Resta il fatto che non mi hai mai lasciato altra scelta che giungere da solo alle mie conclusioni.» «E naturalmente dovevano essere le peggiori possibili. E sai perché? Perché io sono il ricordo vivente di ciò che hai ato la vita a temere di dover fronteggiare, la personificazione delle tue paure. Perché, caro fratello mio, anche tu sei in parte demone. Puoi anche non averne l’aria, e puoi aver convinto tutti di essere pura razza Aal Shalaan, ma non hai convinto te stesso. Quando si tratta delle persone che ami, sei paranoico e sospettoso e possessivo e irrazionale quanto lo sono io. Sei il mio fratello gemello, Jalal, che ti piaccia o no.» Gli occhi di lupo fiammeggiarono. «Sarò anche tutto quello che dici, Haidar, ma io non ho finanziato la cospirazione di nostra madre.»

L’innegabile dolore che attraversò il viso di Haidar fece riemergere Roxanne dal baratro di angoscia in cui era precipitata. Lo aveva giudicato, di nuovo. Lo aveva ferito, di nuovo. E questa volta non aveva scuse. Si intromise tra due forze della natura che si colpivano l’un l’altra, si aggrappò al braccio di Haidar, sussurrando un flebile «Mi dispiace.» Distogliendo lo sguardo dal duello col fratello, lui abbassò gli occhi su di lei. «Perché? Pensi che ciò che ha detto non sia vero? Saresti ancora dispiaciuta se ti dicessi che ciò di cui mi ha appena accusato Jalal è la verità?» Lei soppresse le lacrime con tutta l’energia che le era rimasta, e scosse il capo.

«Non può essere. Non lo è.» «Da dove viene questa improvvisa fiducia inamovibile?» «Dall’amore che provo per te» insistette. «Qualche minuto fa ho solo avuto un piccolo cedimento.» Inarcando un sopracciglio, Haidar non cambiò peraltro espressione. «Non mi è parso tanto piccolo. E non essere tanto pronta a elargire la tua fiducia incondizionata: io ho davvero finanziato la cospirazione di mia madre.» Roxanne scosse il capo di nuovo, il cuore che si feriva contro la gabbia toracica. «Allora non sapevi a cosa serviva il denaro.» «Pochi istanti fa hai creduto che ti avessi sedotta per salire al trono. Perché dubitare che un paio di anni prima fossi disposto a fregare la mia famiglia e il regno intero per ottenerne uno ancora più importante?» «Perché non sei un traditore.» La sua dichiarazione era inequivocabile. «Hai appena pensato che lo fossi» insistette lui. E a quel punto le lacrime scesero, copiose. «È stato l’effetto del veleno di tua madre, e la mia stessa paura che questo...» il suo gesto tra loro indicava ciò che avevano, che condividevano, «... sia troppo perfetto per essere vero. I sentimenti che susciti in me sono così potenti che ho ancora dei problemi a gestirli, a credere che siano corrisposti. Soprattutto, non riesco a credere di essere tanto fortunata.» Lui la fissò imibile, il viso una maschera. «Ciò non toglie che ho davvero finanziato la cospirazione di mia madre.» La stava provocando, per trovare il suo limite. Asciugandosi le lacrime, Roxanne gli rivolse un cenno sereno. «E sono sicura che te ne sei pentito e che non farai mai più nulla del genere.» E Haidar sorrise. Lei annaspò il fiato che non era stata capace di mandare nei polmoni, la mano che tremava sul terribile livido che gli si stava formando sulla mascella. «Sono

guarito. Questa volta, irrevocabilmente.» Le affondò le dita tra i capelli, la attirò a sé per un bacio veloce ma fiero. Roxanne gemette al sentire il sapore del sangue, della ferita di cui era responsabile. Rendendosene conto, lui si tirò indietro. «Niente più pregiudizi?» «Insicurezze» insistette lei. Haidar annuì, lentamente, con convinzione. Poi le sorrise di nuovo, la scintilla che finalmente si riaccendeva negli occhi. «E io non monopolizzerò i tuoi sentimenti e le tue alleanze. Puoi voler bene ad altre persone. Anche a Jalal, se proprio devi.» «Per quanto sia commovente tutto questo, ti dispiacerebbe smetterla di evitarmi?» Haidar si voltò verso il fratello. «Hai detto che ti eri convinto di avermi accusato ingiustamente. Che cosa ti ha fatto cambiare idea?» «Ho stabilito» rispose Jalal con un sospiro esasperato, «che tu non sapessi perché voleva il denaro, ma visto che quando si tratta di lei diventi uno sciocco mollaccione, ho immaginato che glielo avessi dato senza fare domande.» «E pensi che lei sia tanto stupida?» Sospirando, Haidar scosse il capo. «Per anni mi ha chiesto soldi, ogni volta con un motivo diverso, dicendo che non poteva chiederli a nostro padre, e che non ne aveva a sufficienza per sé. Sapevo che erano entrambe bugie, immaginavo che li chiedesse a me come... tributo, come prova del mio amore e della mia lealtà. Quando l’ho capito, ho cominciato a elargirle grandi somme, senza motivo. Non ho mai sospettato che stesse progettando un’insurrezione – l’unica cosa di cui ero certo era che non li avrebbe usati per scopi filantropici.» Jalal esalò il fiato. «E glieli hai dati comunque.» Il fratello fece eco alla sua rassegnazione. «Anche se a te può sembrare inaccettabile, io le voglio bene davvero. Non penso di poterlo evitare.» «Nemmeno io» confessò allora Jalal infilandosi le mani tra i capelli. «Con tutto

ciò che ha fatto, tutto ciò che ci è costata, ero lì al tuo fianco, a supplicare per l’esilio al posto della prigione. B’Ellahi, addirittura le telefono regolarmente, e o a trovarla quando posso.» Quella fu una sorpresa, per Haidar. «Non me l’ha detto. Di sicuro trama ancora qualcosa.» D’altra parte, era rassegnato al fatto che la madre avrebbe sempre tramato, che avrebbe ato la vita a chiedersi quale sarebbe stato il suo colpo successivo. «E non hai intenzione di chiedermi spiegazioni riguardo gli altri aspetti del suo piano nei quali sembravo coinvolto?» «Immagino ti abbia affidato dei compiti che al momento sarebbero sembrati innocui.» Gli occhi di Jalal alla fine mostrarono tutto il suo rammarico. «Ma volevo che fossi tu a dirmelo.» «Non volevo dirti un bel niente. Volevo fartici sbattere il muso.» Haidar sorrise, tutta la sofferenza ata che sembrava svanire nel nulla. «E devi imparare a conoscermi dal principio, come è successo a Roxanne, se non hai capito perché non ho rivelato i dettagli del mio coinvolgimento né a te, né a nessun altro. I sospetti sono ricaduti su di me per il solo fatto di essere chi sono, il motivo per cui lei aveva orchestrato tutto; non intendevo sommare le mie indiscrezioni perché si potesse montare un’accusa più solida contro di me. Quando tu le hai scoperte, da lupo inarrestabile che sei, e mi hai fronteggiato, ero così... arrabbiato con me stesso, con te, che ho rifiutato di difendermi. Se non mi conoscevi abbastanza da sapere che le tue accuse erano ridicole, ho stabilito di non volerti conoscere affatto. Naturalmente me ne sono pentito il momento in cui te ne sei andato, e naturalmente non avevo idea di come tornare a far parte della tua vita. Pensavo che saresti tornato da me, come hai sempre fatto. Ma non questa volta.» «Io volevo» grugnì Jalal. «Ogni singolo istante degli ultimi due anni. Ma neanch’io sapevo come...» Di punto in bianco, Jalal attirò Haidar in un forte abbraccio. Le lacrime di Roxanne scesero abbondanti mentre Haidar si irrigidiva, prima di emettere un borbottio di resa e afflosciarsi nella stretta del fratello. Dopodiché, la ricambiò con tutta la forza che aveva. L’intensità del momento rischiò di soffocarla, il cuore che le scoppiava dal petto per la gioia mentre assisteva al ricrearsi del legame che univa i due uomini che

più contavano nella sua vita: il compagno che era nata per amare, e il fratello che avrebbe sempre voluto avere, che tornavano a essere ciò che avrebbero sempre dovuto essere, il sostegno l’uno dell’altro, e di Roxanne. Li osservò fin tanto che ne ebbe la forza, quindi si lanciò su di loro, abbracciandoli entrambi, versando lacrime di sollievo, d’amore e di gratitudine. Fu Jalal il primo a tirarsi indietro, presentando a Haidar un sorrisetto diabolico. «Questo non significa che ho intenzione di lasciarti diventare re.» Il pugno del fratello gli atterrò scherzosamente sul mento. «E questo non significa che non ti devo una mascella rotta.» Jalal lo scrutò con attenzione, assorto. «Sei cambiato davvero. Non avresti mai scherzato sull’uso delle mani.» «Sono cambiato» confermò lui, sollevando Roxanne da terra e fissandola in adorazione. «E hai davanti il propellente della mia metamorfosi.» Schiarendosi la gola, Jalal assunse un’espressione compiaciuta. «E questo è il mio segnale per lasciare voi due colombe al vostro tubare e andare a vedere se Rashid è già salito al potere mentre noi due indulgevamo nel nostro riavvicinamento.» Haidar gli rivolse un’occhiata seriosa. «Magari dovremmo lasciarlo fare.» Jalal spalancò gli occhi, quindi si rivolse a Roxanne. «Qualunque sia l’ammorbidente che usi con lui, diminuisci le dosi.» Dopodiché, con un saluto a entrambi, lasciò la stanza. Roxanne lo abbracciò più forte, affondando i sorrisi e le lacrime sul suo torace possente. «Perdonami.» Con un dolce gesto del dito sul mento, lui le fece sollevare il viso. «Se tu lo fai con me.» Roxanne scoppiò a ridere, e lui gettò la testa all’indietro per fare altrettanto. «Sì, anche quello. Regolarmente.» «E per sempre» confermò lei accoccolandosi più a fondo nel suo abbraccio. «Insieme a tutto il resto.»

Haidar la strinse a sé, incapace di sopprimere un brivido all’ulteriore, e questa volta ultimo, pericolo scampato. «Ci conto.» Lei gli annuì sul cuore. «Per tutta la vita. E oltre.»

Epilogo

«Azmahar è e resterà sempre una parte fondamentale di ciò che sono, e la sua gente è la mia gente. Sarò sempre al loro servizio, farò il possibile per rimediare al danno che i miei consanguinei hanno arrecato.» Gli applausi scoppiarono come un tuono nel salone di rappresentanza, e il cuore di Roxanne si espanse al punto da farle temere potesse scoppiare di orgoglio. Haidar le aveva chiesto di organizzare quell’evento con tutti i rappresentanti dei consigli tribali del regno. Dopo le sue parole d’apertura, non rimaneva alcun dubbio: lo amavano. Credevano in lui. Il capitano del suo cuore e della sua vita era nato per essere re. Haidar proseguì. «Mi trovo qui, oggi, per fare due annunci. Il primo è che ho chiesto la mano di Al Sayedah Roxanne Gleeson, e lei mi ha fatto l’onore di accettare. Le nozze si terranno alla prima occasione disponibile.» Roxanne rimase a bocca aperta. Ma... ma non avevano concordato di non...? «E pur mantenendo immutato il mio giuramento a servire e sostenere Azmahar fin quando avrò vita, ecco il mio secondo annuncio: ritiro la mia candidatura al trono.» Prima che chiunque potesse reagire, prima che il cuore di Roxanne potesse trovare il battito successivo, lui stava scendendo dal palco, diretto verso di lei. Il momento che la raggiunse, lei lo schiaffeggiò. I mormorii si mescolarono alle risate. «Ho dovuto smascherarci.» Le prese la mano, se la portò alle labbra, quindi sul cuore. «Per tenere il segreto ho dovuto rinunciare alla servitù, e non possiamo andare avanti senza nessuno che ci pulisca la cucina, soprattutto dopo le avventure culinarie ispirate da Cherie.» Lei lo schiaffeggiò con l’altra mano. «Non provare neanche a scherzare! Quando

hai preso questa decisione fondamentale, e come osi riversarmela addosso a questo modo?» «Sapevo che avremmo avuto una discussione, e volevo affrontarla solo una volta. Ho preso la mia decisione, ya naar galbi, fuoco del mio cuore.» «Senza dirmelo?» lo sfidò lei. «E cosa mi dici della promessa di dirci sempre tutto?» «È sempre valida. Qui non si tratta di me, ma del bene di Azmahar.» «È Azmahar che deve scegliere cos’è meglio per il suo futuro, e se sceglie te, dovrai diventare re, che ti piaccia o meno!» «E tu, messi da parte sentimenti e ormoni, ritieni che sia qualificato quanto Jalal o Rashid per il ruolo, ora più che mai?» «Qualificato e anche di più, per qualsiasi trono al mondo.» «Queste sono le parole di un’innamorata.» Il suo sorriso era pura indulgenza mentre la accompagnava fuori dalla sala. «No, non lo sono» insistette lei, accalorandosi. «Per carattere, sei tutto ciò che un re dovrebbe essere, e anche di più.» «Ma io sono più del mio carattere. Tu meglio di chiunque altro sai bene come il mio background – leggi, mia madre – potrebbe creare complicazioni. Non credo di essere quello più indicato per portare pace e serenità nel regno. Posso fare del bene, ma stando nelle retrovie, com’è mia intenzione, con te al mio fianco come mia principessa. E consulente. Ho già comunicato a Jalal che non potrà più avvalersi dei tuoi servigi in esclusiva.» Lei aprì la bocca per protestare e lui gliela chiuse con un bacio. «Pensavo che mi sarei redento salendo al trono e raddrizzando ciò che mia madre e la mia famiglia avevano distrutto, ma mi sono reso conto che avrei solo fatto il suo gioco. C’è la sua mano, nella mia candidatura. Lei vuole che io diventi re, farebbe qualunque cosa per raggiungere il suo obiettivo. Farmi da parte è l’unico modo per rovinarle i piani, per liberarmi della sua ombra. Questa sarà la mia vera redenzione.»

Roxanne si fermò, si rese conto che erano proprio in quel corridoio, nel punto esatto dove lui l’aveva estasiata, contro la parete. «Haidar, non è...» «Possibile che tu sia tanto prevedibile?» Al sentire quel tono cupo, lei sussultò, tutti i peli irti sulla pelle. Sentì Haidar irrigidirsi prima che si voltasse. A fronteggiare Rashid. A quel punto piegò la testa da una parte, le labbra che fremevano. «Comincio a pensare che tu abbia il teletrasporto, cugino. Anche se questa volta la tua materializzazione è benvenuta, se non altro come segnale per are ad argomenti più interessanti.» Tornò a rivolgersi a Roxanne, gli occhi che si riempivano di intimità e accondiscendenza. «Come programmare il matrimonio e la luna di miele.» Il cuore di Roxanne prese a fluttuarle nel petto, per la gioia delle parole di Haidar, l’agitazione per ciò che aveva appena fatto, e l’ansia per la presenza di Rashid. Fermandosi a pochi i da loro, lui attirò su di sé l’attenzione di entrambi. «Non dirmi che pensi di poter sfuggire alla mia vendetta facendoti da parte» riprese quindi con gli occhi fissi su Haidar. Il quale scosse il capo, sospirando. Roxanne si intromise tra di loro. «Sceicco Aal Munsoori, sono convinta che ci sia stato un tragico fraintendimento che ha portato all’attuale increscioso stato di cose tra lei e Haidar. Ma confido che saremo in grado di risolvere la situazione, e riportare la vostra relazione all’originaria vicinanza.» Quegli occhi più scuri della notte la scrutarono con impossibile immobilità, facendole venire la pelle d’oca. «Ho detto a Haidar che è brava, ma mi sbagliato. Ora ho dati sufficienti per affermare che è superlativa. Ma è evidente che sia accecata dai sentimenti – per il momento. Quindi se lo sposi pure, se ritiene di non poter vivere senza di lui. Ma faccia anche la cosa giusta, per la sua vita e per quella degli altri: si unisca alla mia squadra.» D’improvviso, Rashid le prese la mano e se la portò alle labbra per un buffetto elettrizzante, gli occhi che scintillavano come onici mentre la fissava. «Deve solo esporre i suoi termini.» Alle sue spalle, Haidar grugnì la propria esasperazione. «Non pensare neanche di

usare Roxanne come parte dei tuoi piani di vendetta.» Rashid riportò l’attenzione su di lui, il sopracciglio inarcato con aria sardonica. «Ho troppo rispetto per lei e troppo poco per te, per farlo. La mia è un’offerta legittima, e tutta per lei. Finirà col rinsavire e con lo scaricarti, com’è giusto che sia, anche senza il mio intervento.» «Non trattenere il fiato nell’attesa, a meno che tu non sia in grado di trattenerlo per tutta la vita. Perché è quanto dureremo Roxanne e io. E per quanto ti riguarda, te la farò ingoiare, la pace, che tu la voglia o no.» «E lo farai nascondendoti dietro la tua signora?» Haidar si portò davanti a lei, dritto in faccia a Rashid, l’espressione che si rilassava in un sorriso. «Le tue tattiche provocanti non funzionano più con me, Rashid. Questa guerra è finita.» Lo sguardo speculatore di Rashid si prolungò fino al punto che Roxanne temette di spezzarsi per la tensione. Dopodiché, con la massima calma, replicò. «Ti concedo una tregua, Haidar, per il bene della signorina Gleeson. Una volta finita la luna di miele, la guerra ricomincia.» E con un inchino riverente rivolto a lei, se ne andò. Roxanne rilasciò il fiato che aveva trattenuto in un’esalazione tremebonda. «Dobbiamo proprio scoprire cosa crede di avere contro di te. E in fretta.» Anche Haidar sospirò. «Aih.» Poi, d’un tratto, la sollevò tra le braccia in una stretta possessiva, sorridendole con tutto l’amore che provava. «Dopo una luna di miele molto, molto lunga.» Prima che potesse pensare a una replica, la pressò contro la parete, catturandole le labbra in un bacio che le tolse qualsiasi altro pensiero dalla mente. Emerse da quel bacio sforzandosi di ricordare qual era l’altro argomento vitale di cui stavano parlando. «Ma promettimi un’altra cosa. Se Azmahar ti vorrà sul trono, non rifiuterai, per nessun motivo.» «Te lo prometto.» La sua espressione solenne si fece diabolica mentre le strizzava l’occhio. «Sempre ammesso di avere la certezza che la popolazione

non sia stata manipolata in massa da mia madre, naturalmente.» «Haidar!» Scacciò la sua indignazione con un bacio, facendole perdere di vista obiezioni e proteste prima di tirarsi indietro per guardarla, sorridendo malizioso. «Dimmi un po’: secondo te cos’è che fa sì che le donne della mia vita vogliano a tutti costi affibbiarmi un regno?» Sospirando trasognata, Roxanne si rassegnò. «L’idea che saresti splendido, su un trono?» «Pensavo di essere splendido ovunque e comunque» scherzò con gli occhi che luccicavano. E lei si arrese, attirandolo a sé per un altro bacio indimenticabile. «Lo sei, e molto di più.»

Molto tempo più tardi, dopo aver fatto l’amore per tutta la notte, Haidar la accolse tra le proprie braccia per sussurrarle un giuramento all’orecchio. «Te lo prometto, ya naar hayati. Risponderò al mio dovere, se sarà Azmahar a chiamare e se sarò certo che il regno abbia preso la giusta direzione. Ma sappi una cosa: per me stesso, io ambisco solo al tuo amore, aspiro solo ad avere te come mia amante, mia principessa, mia compagna in tutto. Voglio che lavoriamo insieme per riportare Azmahar alla sua gloria ata, che diventi io il sovrano oppure no.» Roxanne si voltò a guardarlo negli occhi, vide il suo cuore, gli lasciò vedere il proprio, e rispose alla sua promessa. «Anch’io non desidero altro che il tuo amore, e darti tutto ciò che potrai mai immaginare o desiderare...»