Korman
di Valentino Peyrano
ISBN versione ePub: 9788867751280 © 2013 Valentino Peyrano Edizione ebook © 2013 Delos Digital srl Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano Versione: 2.0 luglio 2014
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Indice
Colophon
Valentino Peyrano
Korman
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
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Valentino Peyrano
Valentino Peyrano è nato a Milano nel 1962. Terminato il liceo scientifico decide di lasciare gli interessi umanistici e scientifici alla vita privata e seguire una strada meno interessante come studi, ma che gli permettesse di scegliere una professione autonoma. Nel 1988 si laurea in Economia e Commercio all’Università Bocconi di Milano con una specializzazione in marketing. Dopo alcuni anni di normale carriera aziendale, fa il salto imprenditoriale lavorando poi in vari settori: dall’editoria alla consulenza, al turismo, alle energie rinnovabili, campo nel quale opera tuttora. Scrive narrativa fin dall’età di undici anni: Dopo l’università si ferma a causa del poco tempo a disposizione, ma nel 2003, dopo alcuni avvenimenti difficili della sua vita, riprende a scrivere con rinnovato entusiasmo. Comincia a proporsi al mondo editoriale arrivato tra i finalisti del secondo premio Apuliacon nel 2004 e vincendo il Premio Alien nel 2005. Negli anni successivi arriva in finale ancora al Premio Alien e due volte al Premio Robot, che vince nel 2011. Le sue ioni, oltre alla letteratura, includono l’Arte, gli scacchi, la fisica, la filosofia, la musica (ai tempi dell’Università ha fatto anche il musicista). Vive tra la frenetica Milano e un rilassante borgo medioevale nel piacentino. I suoi scrittori preferiti nella fantascienza sono Zelazny, Wolfe, Sturgeon, Vonnegut, Kuttner, Lem. Fuori dalla pura fantascienza Lovecraft, Rushdie, Borges, Ishiguro, Camus, insieme ai classici della letteratura.
Dello stesso autore
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Peyrano, Il monaco apocrifo Tecnomante ISBN: 9788867751495 Valentino Peyrano, Di là dal mare, tra le isole Tecnomante ISBN: 9788867751662 Valentino Peyrano, Campo di maggio Tecnomante ISBN: 9788867751723
1
Rapporto di Korman - Ricerca di Esteban. Quinto mese e dodicesimo giorno
Oggi ho trovato il solar-caterpillar di Artalog. Esteban l'ha abbandonato. In qualche modo deve aver scoperto, o intuito, che la macchina mi permetteva d'inseguirlo, nonostante le difficoltà di ricezione del segnale e i frequenti blackout. Il solar-cat si trova tra le montagne del deserto, sotto un costone roccioso, nell'area a 24 00 nord e 54 00 est. Non penso che Esteban abbia potuto fare molta strada, col sole a picco. Pensavo di doverlo cercare qui intorno, ma gli indicatori segnano che l'ultimo movimento è stato registrato tre giorni fa e quindi ha avuto abbastanza tempo per allontanarsi. La sua sorte è comunque segnata. Devo capire dove possa essersi diretto. I venti spazzano la zona in questa stagione e le tracce non sono più molto visibili. Aveva solo due possibilità: Fujairah o l'oasi di Bithna, con la sua piccola fortezza. Se è andato a Fujairah, non ha avuto scampo. Se è arrivato a Bithna, potrebbe essere sopravvissuto. La fortezza è caduta da tempo, ma permette ancora una buona difesa, ed è in un'oasi. Inoltre tre giorni non sono moltissimi. Ho setacciato il solar-cat e ho trovato i diari che Esteban ha tenuto durante il viaggio. Prima di iniziare a cercarlo li ho letti per provare a capire le sue intenzioni. Nella lettura, ho fatto varie scoperte, alcune inquietanti, a causa di quanto è venuto a scoprire, altre che già sapevamo. Un motivo in più per essere sicuro che non sia sopravvissuto alle notti tra le sabbie, o per trovarlo quanto prima. Ne riporto alcuni brani significativi, in copie digitali fotografate, come documentazione da allegare ai miei rapporti.
La notte del mio primo turno di guardia ero molto nervoso. Il cielo era coperto dalle nuvole e non si vedeva quasi niente. Le torce rischiaravano poco e anche il sentiero sotto il Castello risultava buio. Era più di un ciclo lunare che non ricevevamo attacchi (…)
La prima parte mi ha permesso di capire la psicologia di Esteban, il suo anelito a superare i confini che gli erano stati imposti, la voglia di scoprire e di conoscere, perfino superiore a quella della maggior parte degli scienziati dei castelli. Ma anche la sua falsità, la sua brutalità, la sua impulsività, il suo assoluto egoismo che gli ha permesso di fare quello che ha fatto. A volte non sembra esserci chiarezza in ciò che scrive, pare continuamente alla ricerca di una qualche giustificazione delle sue azioni, prendendo a prestito le leggende del suo gruppo e di quelle incontrate nei castelli, alle quali, per altro, sembra credere molto poco. Ciò che ha fatto ha dimostrato la sua natura tanto indipendente quanto scevra da reali sentimenti verso gli altri. È probabilmente affetto da una leggera forma di sindrome di Asberger.
Ieri mattina ho lasciato Montechiarugolo. C'è stato un incidente, e ho pensato che non fosse il caso di dare spiegazioni e di confrontarmi con gli abitanti del Castello. Uno di loro è morto e la morte non è semplice da spiegare. (…)
Esteban ò da Bismanto, ma per fortuna non scoprì l'entrata. Si diresse poi a Torrechiara, dove ero transitato poco prima. Qui mi sfuggì, come già descritto nei precedenti rapporti. A Castelvecchio apprese molte informazioni su quella comunità, una delle quali gli diede l'idea da attuare a Burghausen. Nei diari c'è un buco temporale. Solo pochi brani descrivono la sua avventura tra le alte montagne, prima dell'arrivo a Burghausen. Il tempo è troppo lungo, oltre due mesi, e quindi ci devono essere delle parti che Esteban non ha voluto
scrivere o conservare. Evidentemente ha affinato molto le sue conoscenze, in particolare sulla costruzione delle rocche isolate. Quanto mostrato da Bramantino non poteva essere sufficiente. Dove può aver appreso ciò che è stato in grado di trasferire a Burghausen? O forse quello che scrive non è sempre vero, e i tempi di permanenza a Castelvecchio sono stati differenti. Anche certi avvenimenti potrebbero essersi svolti in maniera diversa da come li ha voluti descrivere. Non ne capisco del tutto la motivazione. Pensava che l'avrei preso e che avrei letto i suoi diari? E cosa cambia il non aver inserito qualche dettaglio qua e là? O è più di qualche dettaglio? Potrebbe aver parlato con qualcuno che non cita? Un manto misterioso sembra nascondere una parte degli avvenimenti legati al viaggio di Esteban. Il suo aggio in ogni gruppo ha creato delle fratture rispetto al ato. L'arrivo di un Viandante, perché così è apparso agli uomini delle roccaforti, singolare e con idee e comportamenti nuovi, non poteva che incidere sulle abitudini e i pensieri degli abitanti dei castelli. È incredibile come sia bastato poco a far crollare quanto mantenuto per centinaia di anni e a consentire la genesi di un cambiamento che potrebbe rischiare di allargarsi, come abbiamo visto poi. Si è trattato di una piccolo virus, ma era potente e infettante, e ha diffuso un'epidemia attorno a sé, e noi dobbiamo curarla fino a che siamo in tempo, senza rischiare che se ne rendano conto coloro che dobbiamo guarire. Anche da Burghausen è riuscito ad allontanarsi prima del mio arrivo, per intraprendere l'ultimo viaggio giù dalle montagne, questa volta diretto a sud, con un cambiamento repentino di quella che era stata la sua idea originaria.
Ho l'impressione che tra le montagne possa nascondermi più facilmente, ma nello stesso tempo ho visto sulla mia pelle quello che in questi luoghi si può scatenare, soprattutto nella stagione fredda. Oggi ha piovuto tutto il giorno e la macchina ha proceduto lenta, poco aiutata dal sole perennemente nascosto dietro un cielo scuro e gravido di acqua che, a un certo punto, ha scaricato tutto il suo contenuto. La pioggia è stata talmente intensa che non riuscivo a vedere fuori del vetro anteriore. Lo scroscio violento non mi ha fatto riposare e il percorso è diventato
molto sdrucciolevole. Ho temuto potesse ripetersi la tempesta che affrontai prima del mio arrivo a Burghausen, ma lì c'era stata la neve e i venti avevano infuriato. In quest'occasione l'aspetto più spaventevole sono stati i fulmini. Più volte hanno la volta del cielo, scura e gonfia di neri umori, nonostante la notte fosse ancora distante. Un lampo ha anche lambito la roccia a non più di mille i da me, subito al di là del burrone che stavo costeggiando. Quando la macchina si è fermata, non ho saputo per molto tempo dove mi trovavo. Non appena la pioggia ha smesso, e un debole chiarore crepuscolare è apparso, ho visto il luogo. Ero di fronte a un piccolo laghetto montano. Erba e sassi l'attorniavano e un semicerchio di rocce a strapiombo, come una piccola parete di montagna, contornava metà dello specchio d'acqua. Poco dietro vedevo la cima. Dovevo essere salito molto in alto. Non sono sceso subito, temendo ciò che poteva nascondersi sotto le acque. Poi mi sono fatto coraggio e sono uscito. La vista delle montagne intorno era bellissima. L'aria fredda sulla pelle è diversa da quella della pianura, come l'acqua di un ruscello paragonata a quella di un lago. Non c'erano bocche d'inferno e lassù, pensai, sembrava non esserci mai arrivato essere umano. Forse avrei ato una notte tranquilla. Rientrai nella macchina e mi preparai ad affrontare il buio.
***
Durante la notte, che è trascorsa senza ghoul e senza rumori inquietanti, ho deciso di cambiare i miei piani. Se Artalog era veramente riuscito a mettersi in contatto con gli altri Viandanti (e questa sembra essere una certezza), forse aveva anche saputo da mia madre di Zlatorog e della mia visione di andare verso nord. A nord mi sono spinto e ho visto e fatto quanto volevo. Ora è tempo di luoghi diversi, dove il sole cuoce la terra e dove, forse, riuscirò a scoprire come far perdere le mie tracce. Ricordo il nome della fortezza nelle lande riarse che
descrisse brevemente Artalog e l'ho cercata e trovata nello schermo. È Krak, e sarà la mia prossima destinazione. Stavo inserendo il nome della fortezza nello schermo, quando mi sono accorto, con la coda dell'occhio, di un movimento fuori della macchina. Sono due giorni che qualcosa mi sta seguendo. Credo sia un animale, ma non sono riuscito a vederlo. È la prima volta che si avvicina così tanto a me, e la cosa mi ha preoccupato.
***
Dopo un'intera giornata ho percorso un breve tratto. La discesa è difficile, il tragitto scivoloso e, benché il tempo sia migliorato, temo che ci metterò molti giorni ad allontanarmi da questi luoghi. La cresta delle montagne è uno spettacolo notevole, con le cime ancora innevate, i canaloni profondi, i boschi aggrappati alle pendici. È anche terribile. Mi fa sentire piccolo. Perfino la macchina, di fronte a questi giganti di roccia e alberi (ma più giù, sotto di me di un bel po'), pare uno strumento debole. So che invece non è così. Il mio inseguitore animale non ha mollato la presa. Mi sembra chiaro che debba trattarsi di un predatore, oppure di qualcosa che ha fiutato l'odore dei miei cibi e spera di poterne approfittare. Ma propendo per la prima ipotesi, soprattutto da quando, al tramonto, l'ho sentito ululare. Non voglio stare a preparare una trappola, mi attarderebbe. Forse si tratta di un barghest.
***
Questa mattina mi sono svegliato tardi, col sole già in fase calante. Nonostante la mancanza notturna dei ghoul, non riesco ad appisolarmi prima dell'arrivo dei bagliori dell'alba. Quando mi sono alzato ho voluto uscire a sgranchire le gambe e a liberarmi dai pesi fastidiosi dentro il mio corpo. È stato mentre tornavo verso l'abitacolo che mi sono accorto della bestia. Il barghest stava a non più di cento i da me, poco più in alto. Stare sopra il nemico è sempre un vantaggio, come sanno bene tutti gli abitanti dei castelli, e l'animale la pensava alla stessa maniera. Non ringhiava, però. Pareva osservarmi come si fa con chi vuoi controllare, piuttosto che attaccare. Poi sono ripartito, e da allora non l'ho rivisto. Preserva il suo territorio, nient'altro. Per lui non ero nulla di importante. Un semplice intruso, che finalmente se ne è andato. Ben diverso comportamento rispetto a chi, in sembianze umane, continuerà a cercarmi.
I giorni di Esteban durante la discesa dalle montagne non hanno molto d'interessante da raccontare, quanto meno per l'obiettivo di questo rapporto. In realtà si spostò a est e scese dalle cime per inoltrarsi nella pianura che lo condusse sul grande Fiume Blu. Decise di costeggiarlo, e i suoi giorni seguenti furono densi di pericoli nuovi e sconosciuti per lui. Quando il grande fiume si allargò in ampie anse, alcuni lemisch lo attaccarono. Esteban aveva però imparato molto delle armi del solar-cat. Ne uccise uno e ferì il secondo, riuscendo a salvarsi. Nonostante l'incontro con i lemisch, proseguì lungo il fiume. Non chiarisce bene, nei diari, il motivo della scelta. Probabilmente per poter pescare e bere, ma anche perché l'idea di potersi mettere in acqua, in caso di difficoltà con i ghoul, gli dava una maggior sicurezza. Forse voleva anche evitare di inoltrarsi nuovamente tra le montagne. Una sera, al crepuscolo, intravide delle anguana, ai bordi del fiume. Rimase incantato, ma il suo istinto non lo fece uscire dall'abitacolo, per sua fortuna.
Quasi all'imbocco del aggio tra le catene di monti a sud, nella gola del Kazan, Esteban vide per la prima volta un buru. Lo descrisse, col collo lungo, squamoso, col ventre a terra, lento sulla costa quanto veloce nell'acqua. Quindi doveva essere piuttosto vicino. Comprese il pericolo e non cercò di cacciarlo. Solamente dopo diciotto giorni dalla partenza da Burghausen raggiunse la zona dove si trova il Castello di Baba Vida. Intanto io ero sulle sue tracce, ma avevo perso molto tempo perché mi ero diretto a nord, avendo perduto il segnale tra i monti. Lo rividi sullo schermo che mi trovavo già vicino al Fiume Blu, molto più a settentrione rispetto a dove l'aveva incrociato Esteban. Del suo arrivo a Baba Vida è da annotare che si trovò in quel luogo proprio nel giorno della Prova del Mago. Esteban rimase colpito, com'è ovvio, da quel rito.
Non credevo ai miei occhi. Un uomo, da solo, vagava nei boschi al crepuscolo. Aveva una tunica fino ai piedi e i capelli molto lunghi. Mi vide e sembrò sorpreso. Uscii dalla macchina e cercai di parlargli. Rispose in un idioma a me sconosciuto. Gli feci segno di entrare nella macchina, che stava per diventare buio, ma lui si ritrasse con un'espressione d'orrore e si allontanò di corsa. Lo vidi scomparire nel bosco. Proseguii, incredulo per quello che era accaduto. Dopo poco arrivai a Baba Vida, che si innalzava sulle rive del grande fiume.
2
Esteban si fermò solo due giorni a Baba Vida. Gli piacque la costruzione, con le tre cinte murarie, l'ampio fossato, le quattro torri: gli ricordava il suo d'origine. Il carattere duro delle genti del Castello lo indussero però ad allontanarsi da dove la lingua non lo sosteneva. Ebbe l'occasione di scoprire il significato del rito del Mago-Sacerdote. Poi ripartì, dirigendosi verso lo stretto tra il mare interno e il mare delle isole, unico aggio a lui vicino per proseguire verso le Terre Aride. Riporto un breve brano dei suoi commenti sul rito del Mago.
Non è stato facile, ma ho compreso, o almeno credo, il significato dell'uomo fuori del Castello. In questo gruppo c'è una figura, oltre al Consiglio dei Capi e agli scienziati, che ha un ruolo significativo. È il mago-sacerdote, custode della Conoscenza Arcana, colui che, quando la scienza o l'esperienza non arrivano, tenta di sondare i piani paralleli del reale, e di toccare, a volte anche solo ascoltare, i contorni e i sussurri del mondo occulto. Egli profetizza, guarisce, suggerisce soluzioni. Ma la sua fonte è al di là dell'umana comprensione. Il mago-sacerdote ha grande seguito, qui a Baba Vida. Consiglia sia i capi che gli scienziati e gode di privilegi che nemmeno a coloro che guidano la comunità è dato di avere. Ciò nonostante paga uno scotto. Quando il suo mandato giunge verso la conclusione, quando il gruppo inizia a dubitare delle sue risposte e lo comincia a ritenere invecchiato, egli è chiamato a una prova. Ed è una prova che non si riesce a superare: are una notte fuori dal Castello, sopravvivere all'orrore dei ghoul, come un vero Mago, si ritiene, sarebbe in grado di fare. Solo se tornasse la mattina seguente, vivo e vegeto, egli riacquisterebbe credibilità agli occhi dei suoi. Il mago-sacerdote che avevo incontrato non fece ritorno. E probabilmente nessuno ha mai superato la prova estrema. Le storie di Baba Vida narrano di un'eccezione, nei tempi lontani. Un mago che tornò dalla notte dell'incubo, che sopravvisse all'esterno, nonostante i ghoul. Il suo nome, che viene tramandato con riverenza, è quello di Mithar. E alcuni ritengono fosse la
personificazione di un grande dio, forse del Dio Unico che creò il mondo, prima di dimenticarsi di quello che aveva creato e abbandonarlo alle forze oscure della notte.
È curioso che Esteban si sia imbattuto in uno dei suoi possibili destini. Il nome di Mithar fa parte della nostra storia e della nostra vergogna, ma non dobbiamo evitare di parlarne. Troppo a lungo tra noi abbiamo lasciato che il ricordo di quegli avvenimenti ormai lontani si ancorasse ad angoli nascosti, quasi non meritevoli di maggior visibilità. Sappiamo bene che invece avremmo dovuto trovare la soluzione, per quanto difficile, e che un giorno saremo costretti ad affrontare nuovamente ciò che abbiamo tralasciato e che continuiamo a portarci dietro il peso delle sue conseguenze. Ma non è questo il contesto nel quale discuterne. Esteban lasciò Baba Vida, anche se non ho saputo che eredità abbia potuto trasferire a questo gruppo. Quando sono arrivato in quei luoghi, ho preferito proseguire sulle sue tracce, cercando di recuperare lo svantaggio accumulato. Esteban si diresse verso sud-est, ò dalle rovine di Rumeli e così vide per la prima volta un Castello caduto, con gli scheletri incompleti dei suoi ultimi abitanti, a ricordare com'era finito sotto gli assalti della notte e delle Chimere. Probabilmente pensò che quella sarebbe stata l'immagine che un Viandante avrebbe visto se anche il suo Castello d'origine, il Malaspina, fosse un giorno caduto. Comunque non aggiunse alcun pensiero alla semplice descrizione oggettiva di quello che trovò. Il suo animo aveva ora il giusto distacco, quello del vero esploratore, sinceramente pronto all'ammirazione per gli spettacoli della natura, ma meno avvezzo a farsi emozionare per le disgrazie ormai ate dei suoi consimili. Attraversò quindi il canale di Kerc grazie alle conoscenze acquisite sulle funzioni anfibie del solar-cat. Anche se nei diari non ne fa menzione, durante il viaggio che gli ha fatto costeggiare il corso del Fiume Blu si è spesso dedicato a collezionare oggetti, trovati in tutti i siti dove le rovine delle costruzioni del Tempo Antico sorgevano come macerie imperiture. All'interno del caterpillar ho infatti trovato materiali metallici difficilmente identificabili, di gomma, di alluminio, di plastica. Li accatastava nella cassa degli attrezzi, quella sotto il secondo sedile. Doveva
essere rimasto molto incuriosito dai cavi elettrici inguainati. Ne aveva raccolti diversi e li aveva messi, tutti intrecciati, a creare una specie di collana che decorava un lato dell'abitacolo. Fece anche delle piccole sculture in legno, retaggio del suo gruppo, che mise insieme agli oggetti trovati. Rappresentavano sempre degli animali. Dopo aver attraversato lo stretto di Kerc, Esteban proseguì nelle terre aride fino a incontrare le valli di pietra. Qui rimase stupefatto dello spettacolo e lo descrisse pieno di meraviglia.
Mi ritrovo in una landa arida e punteggiata di collinette di pietra. Quando ho provato a uscire dalla macchina, mi sono accorto che non faceva troppo caldo, anche se poche nubi percorrevano il cielo. Sono uscito all'aperto perché la valle in cui sono finito è estremamente particolare. Vi sono coni e obelischi di pietra scolpiti non so da quali esseri e torri di sasso che si innalzano per un'altezza di almeno quindici uomini. Il sole dipinge queste statue con la sua luce, ed esse si accendono di vari colori. All'alba sono rosa pallido, verso metà giornata assumono il colore dell'avorio chiaro e al tramonto diventano di un ocra dorato. È come una foresta pietrificata ma cangiante. Sono rimasto affascinato e per un attimo non mi sono accorto che sullo schermo è comparso un simbolo che mi ricorda qualcosa. Sto sforzando la memoria, perché so di averlo già visto.
***
Ho deciso di andare a scoprire cosa si cela dietro la segnalazione dello schermo. L'indicazione è chiara e ho raggiunto il posto: si tratta di una struttura collinare in pietra, vagamente conica, che sorge isolata un po' più a sud della valle delle sculture.
Quando sono arrivato a ridosso, ho fermato la macchina e sono sceso. Osservandola dal basso, ho notato quasi subito che a circa tre quarti della sua altezza si vede chiaramente un'apertura nella roccia. Ho pensato potesse trattarsi solo di un gioco di ombre, ma poi mi sono convinto che fosse proprio quello che sembrava. Era curiosa. Assomigliava a un'entrata, solo che la costruzione era un'intera strana collinetta verticale di pietra. La naturale paura per le aperture buie mi trattenne, ma non avevo mai visto, nemmeno durante tutto il mio lungo viaggio in zone così distanti tra loro, nessuna bocca d'inferno che non sorgesse dal suolo, foss'altro che su di un tavolato. Quell'entrata orizzontale, su una parete di roccia quasi liscia e così in alto rispetto al terreno circostante, mi sembrò essere troppo diversa da quelle dei ghoul per doverla temere. E poi c'era l'indicazione dello schermo. Non somigliava a un'indicazione di pericolo. Potevo sbagliarmi, ma decisi che avrei scalato la roccia. In questo momento mi sto preparando per andare.
***
Sono appena rientrato dalla mia esplorazione. Ora so cosa significa il segno sullo schermo. Mi sono anche ricordato di quando l'avevo visto la prima volta: quando ero andato a Bismanto. Quindi uno era là, ma non ero riuscito a trovarlo. La salita lungo la parete non è stata agevole. Ho scoperto esserci dei piccoli appigli nella pietra, ma scalarla è stato arduo. Comunque ci sono riuscito e ho raggiunto l'entrata. Avevo con me l'arma da polso. Ciò nonostante, quando mi sono ritrovato di fronte al buio nero che si celava dietro l'apertura, il cuore ha accelerato i battiti.
Avevo portato anche il cubo luminoso e l'ho posato all'interno. In questo modo ho visto che un corridoio scavato nella roccia proseguiva con una curva a gomito due i dopo la soglia. Mi sono inoltrato verso l'interno rendendomi conto che il aggio doveva essere piuttosto lungo. Ero incerto sul da farsi. Entrare significava non avere vie di fuga, se qualcuno, o qualcosa, avesse deciso di seguirmi. Fu per questo che rimasi a osservare il aggio più tempo del dovuto, alla ricerca di una soluzione che potesse avvertirmi in caso di pericolo. In quel momento mi accorsi che una volta l'apertura aveva avuto una porta, anzi, un cancello. Ne rimaneva una sezione, arrugginita, che si infilava all'interno della roccia laterale. Era una specie di porta-cancello che doveva aver funzionato a scorrimento. Provai a tirarla, ma era incastrata. Capii che mi stavo dilungando troppo. Volgendo lo sguardo vidi che la zona era deserta. Nessun movimento: solo terra arida e un leggero vento caldo. Ero armato e, se il tragitto fosse stato troppo lungo, sarei potuto tornare indietro in qualsiasi istante. Decisi quindi di provare a percorrere il corridoio. Grazie al cubo luminoso potei mantenere un'andatura abbastanza veloce, anche se l'aria era sempre più irrespirabile, a mano a mano che mi inoltravo nella collinetta. ò il tempo in cui si mangia un frutto e mi ritrovai in uno spazio ampio e rotondo, dove anche l'aria pareva meno stantia. Il cubo aumentò la sua luminosità adattandosi al nuovo spazio, e così vidi. Dentro la roccia era stata ricavata una grande sala, una specie di enorme tempio, come quelli che vengono descritti in alcuni libri degli Antichi. All'interno della grande stanza, dove ci sarebbero potute stare comodamente almeno quaranta o cinquanta persone, si potevano intravvedere dei soppalchi, qua e là, come dei piani rialzati, ma senza pareti divisorie. Ciò che mi stupì, e mi fece comprendere dove mi trovassi, furono i dettagli, l'arredo che riempiva gli spazi. Schermi spenti, tastiere, poltroncine, cavi che correvano sulle pareti, scaffali di archivi ormai perduti, grandi colonne di metallo, con anelli che mostravano come un tempo si dovesse trattare di meccanismi che si muovevano. Benché fosse vecchio, ed evidentemente abbandonato, capii dove mi trovavo: era uno dei rifugi segreti dei Viandanti.
***
Ho provato a riflettere sul perché questo rifugio sia stato abbandonato. Forse a un certo punto i Viandanti avevano ritenuto non fosse sicuro. Forse era semplicemente troppo lontano dal Castello più vicino. Forse un tempo c'era un Castello nelle vicinanze che poi era caduto, come quello che avevo incontrato lungo il mio cammino. In ogni modo non è argomento di mio interesse. So cosa devo cercare. Devo raggiungere Krak, dove i Viandanti ano periodicamente a portare doni e conoscenza, e a scegliersi una Predestinata o un'Eletta che portano in un loro rifugio. E poi troverò quel rifugio. Un rifugio ancora attivo dei Viandanti deve essere, come i resti di quello appena visitato mi hanno suggerito, l'unico luogo in cui poter cercare le verità nascoste del mondo. In un Rifugio avrò finalmente delle risposte, anche alle domande che non ho mai pensato di pormi.
Questo è stato il momento decisivo. Se la sua curiosità non l'avesse condotto fino all'antico Rifugio 27, forse le cose si sarebbero svolte diversamente. Inutile recriminare: così è andata. Spinto da una nuova volontà, ritrovato lo spirito che lo aveva condotto fin qui, Esteban si è diretto verso Krak.
3
Ho raggiunto la Fortezza di Krak. Si trova adagiata su un altopiano isolato nella valle, di forma abbastanza regolare, il cui lato più corto è rivolto verso un pendio molto scosceso, che facilita la difesa iva. Pensavo si trovasse nel deserto, e invece la zona, benché brulla e senza molti alberi, è una vallata vivibile, abbastanza piena di animali da cacciare, con una vegetazione rada, ma diffusa. La struttura fortificata si presenta con due cinte murarie: quella esterna, con numerose torri cilindriche, è divisa da quella interna da un fossato che si interrompe in corrispondenza della cavità che, mi hanno poi spiegato, funge da grande serbatoio dell'acqua. Il lato occidentale della cinta esterna, difeso da cinque torri semicircolari, si affaccia su una scarpata profonda oltre trecento i. La torre di sud-ovest, con due leoni effigiati, sulla colonna centrale porta un'iscrizione degli Antichi, ormai consunta dal tempo. Vicino a questa torre a un canale che alimenta la vasca di raccolta dell'acqua del Krak. Al Castello si accede da un ponte levatoio e poi si salgono delle scalinate, con lunghi gradini come non ne avevo mai visti prima. Nella parte bassa della costruzione vi sono delle stanze molto ampie, usate come magazzini, quindi si accede al fossato tra le due cerchia di mura. Si entra poi all'interno della fortezza dove un cortile dà l'accesso, attraverso tre archi aperti sulla facciata, alla Sala dei Pilastri (come mi hanno detto chiamarsi): un ampio ambiente a volta sostenuto da grandi pilastri rettangolari, utilizzato come sala per i banchetti. Di fronte vi è un Portico, o Loggia, con iscrizioni antiche sopra l'arco. Dietro questa sala vi è un altro salone largo come sette uomini sdraiati che, appoggiandosi alle mura esterne, si estende per oltre cento i e arriva fino al Tempio, con tre campate con volta a botte. Da una scala si può accedere alla Torre detta “della figlia del Re”. Arrivando sulla terrazza, e seguendo il perimetro delle mura interne, si arriva alla Ridotta, formata da tre possenti torrioni, che verso l'interno sono a pianta quadrata, mentre verso l'esterno sono arrotondati. La prima torre è dove sono stato accolto, come ospite di riguardo. Vicino vi è un possente mastio, mentre il terzo
corpo, il più imponente, è dove sono installate armi di difesa chiamate “catapulte”. Esso è collegato al mastio da un ampio terrapieno usato come piazza d'armi. Il Castello è molto grande, quasi come Castelvecchio, ma ha un'atmosfera completamente differente. Anche le persone sono diverse da tutte quelle incontrate finora. Già a Baba Vida mi ero accorto di tratti somatici nuovi, ma si trattava di sfumature, come, in altro modo, le avevo già notate nei Castelli tra le montagne rispetto ai primi visitati. Qui la diversità è più evidente: la pelle è leggermente scurita, capelli e barbe sono corvini, gli occhi sempre scuri. Sia uomini che donne hanno caratteri fisici che li distinguono nettamente dai gruppi degli altri Castelli. Ho pensato fosse per il sole che, mi raccontarono, tra poco avrebbe arso come un fuoco inestinguibile. Portano vestiti che li ricoprono da capo a piedi, e delle stoffe che nascondono anche la testa e parte dei volti, proprio per difendersi meglio dal calore del sole. L'ospitalità è stata sincera. Nonostante la difficoltà di comunicazione (la loro lingua è completamente diversa da quelle ascoltate finora, piena di biascichii, di aspirazioni d'aria), e la sorpresa iniziale dovuta alla mia peculiare mancanza di conoscenza del loro linguaggio, anche per le parole più semplici e rudimentali, mi hanno accolto con rispetto e felicità. Come a ogni Viandante, mi mostrarono i loro progressi nella costruzione di armi da difesa e fu in quell'occasione che appresi il funzionamento delle catapulte. Il comando del gruppo è rappresentato da un Consiglio formato da cinque saggi, di età avanzata. Il più vecchio e autorevole si chiama Abdel'Adil. È un uomo magro e pieno di rughe, come solchi nella pelle. Lo sguardo è fiero e profondo. Il suo braccio destro è il giovane Khalil, di cui sono diventato, in qualche modo, amico. Per quanto ci possa essere amicizia tra due sconosciuti di luoghi lontani. Egli è uno dei capi cacciatori e ha grande reputazione nella comunità. Lo scienziato anziano, che guida il gruppo di scienziati del Castello, è Wadi. Ho trascorso molto tempo con lui, per parlargli dell'invenzione delle torri di avamposto che consentono di spingersi lontano, ed è rimasto colpito dall'idea. Mi ha mostrato le loro armi e quelle degli Antichi di cui hanno scoperto il funzionamento. Sono piuttosto avanti nella tecnologia. Mi ha anche fatto vedere
un gioco antico, che dice sia stato donato da un Viandante a un suo bisnonno, denominato Tangram. Si tratta di alcune figure geometriche, incastrabili a formare un quadrato, con le quali si possono creare forme diverse, di uomini come di animali, unendole tra loro su di un piano. Le donne hanno un ruolo subordinato, un po' come a Montechiarugolo. Si occupano dei bambini e della preparazione degli alimenti, ma non cacciano e non possono diventare scienziati o capi. Per questo motivo sono molto numerose, almeno tre o quattro volte gli uomini, che vivono meno a lungo a causa dei pericoli della caccia e degli attacchi notturni. Un'anziana dallo sguardo severo, Huda, e con un corpo abbondante, mi ha condotto dalla Predestinata del Castello. Il suo nome è Zhara. Ha la pelle ambrata, i capelli neri e lunghi, gli occhi scuri come l'entrata di un pozzo. Sono stato con lei, dopo gli incontri del giorno prima e dopo la notte dell'attacco.
***
Devo raccontare della notte infernale. La visione dei camminamenti illuminati dalle torce è stata incoraggiante. Come una stella cadente nel firmamento oscuro, il Castello si stagliava contro il nero sfondo della valle circostante, mentre le urla dei ghoul cominciavano a echeggiare. Guardando giù dalle mura, s'intravedevano le ombre della notte, che si muovevano confuse e frenetiche, appena percettibili per la luce diffusa proveniente da Krak. Anche la luce lunare rischiarava abbastanza e permetteva allo sguardo di andare oltre, fino ai tumuli lontani. La valle pareva percorsa da onde ritmiche che si spostavano, come acque agitate di un mare prossimo alla tempesta. Ma l'aria era ferma. E le stelle del cielo brillavano leggere, come dèi in attesa dello spettacolo. E lo spettacolo ebbe inizio.
Le orde si lanciarono verso i bastioni, brandendo rami e sassi, che tiravano verso i difensori del Castello. A nostra volta, dalle torri e dalle mura, si gettavano grandi palle di pietra e una gragnuola di frecce piovve più volte nel buio sottostante. Talvolta uno squarcio luminoso, come una saetta proveniente dal basso, illuminava per un momento a giorno l'intera radura di fianco al Castello. Era il segno che un'arma degli Antichi si era aggiunta alle difese di Krak. Fu una notte lunga, piena di urla umane e non. A un certo momento un gruppo di ghoul parve riuscire a infilarsi in un piccolo varco nella prima serie di mura, sul lato sud, proprio a vista della mia postazione. Mi avevano detto che da giorni i ghoul attaccavano quella parte, nel tentativo di aprirsi un aggio. Sentii una parola nuova, ripetuta più volte da diversi uomini intorno a me: Alu, Alu, Alu. Fu aperta una porticina fatta di sbarre, sotto la base di una delle torri interne, e delle ombre ne uscirono scagliandosi contro i ghoul. Grazie alle torce riuscii a scorgerne i tratti e vidi chiaramente trattarsi di esseri abominevoli, metà animali e metà uomini che, come orde richiamate dal dopo-morte, attaccavano furiosamente gli incubi notturni. Rimasi attonito. Fu uno scontro violento. Molti ghoul perirono, e i pochi che erano ati oltre la prima difesa di mura furono ricacciati indietro o uccisi, anche con l'aiuto delle frecce dalle mura. Alla fine nessuno degli Alu era però rimasto in vita, se di vita si può parlare per quegli esseri. L'alba ci colse esausti, e mostrò decine di corpi neri di ghoul morti disseminati nella pianura vicino al Castello, pronti a sfaldarsi e marcire coi primi raggi di sole. Dopo la battaglia mi invitarono a festeggiare coi grandi saggi e coi capi della difesa. Fu qui che conobbi Khalil, che in realtà avevo già affiancato durante tutte le fasi della notte. Mi fecero assaggiare una bevanda calda, con immerse delle foglie che gli davano un sapore intenso, come il profumo di un fiore primaverile. Poi andai a dormire. Nella stanza che mi era stata riservata, Zhara stava già in attesa del mio arrivo. Mi aiutò a togliermi la veste, mi lavò tutto il corpo e me lo profumò con degli unguenti. Nonostante la stanchezza, la vicinanza del suo corpo e l'odore del suo desiderio mi eccitarono. Entrai così nei segreti più intimi di Krak.
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Il secondo giorno lo trascorsi tutto con Zhara. Provai a chiederle degli Alu, ma non volle rispondermi. Solo poco prima di sera lasciai la stanza e andai al salone dei banchetti, dove i giovani combattenti mi ricevettero con grande giubilo. Mangiai carne di cervo e di centicora. Cercai intorno con lo sguardo, come ho ormai imparato a fare in queste situazioni, e i miei occhi notarono che Wadi mi osservava, da un tavolo non lontano. Anche a lui doveva sembrare strano questo Viandante che non parlava la loro lingua, che insegnava cose nuove e non seguiva quasi nessuna delle tradizioni dei Viandanti. Più tardi gli avrei chiesto degli Alu, e Wadi mi avrebbe fatto capire che si trattava di un'eredità dei tempi ati del Castello. Erano stati uomini infettati dalle epidemie che, per ragioni che non sapevano, non erano deceduti. Non morivano, ma rimanevano tramutati orribilmente e senza il dono della ragione. Li avevano fatti sopravvivere segregati e avevano fatto in modo che procreassero tra loro. Venivano tenuti nelle celle sotterranee, con poco da mangiare per far sì che il loro odio crescesse e potesse essere utile in alcuni momenti di difesa, com'era stato per la notte precedente. La loro furia era infatti incontenibile, e la parte animale donava loro forza sovrumana. Inoltre, non erano più infettabili dai ghoul. A un certo punto del banchetto, mi si avvicinò Khalil. Mi disse qualcosa all'orecchio. Non capii la frase, solo un nome: Farida. Ma poi intesi cosa volesse annunciarmi, quando vidi quello che seguì. Alcuni giovani uomini si misero al centro del salone e incrociarono le gambe. Avevano con sé degli strumenti che non avevo mai visto, fatti di legno e con delle corde tese che mi dissero essere di budello di alcuni animali. Avevano anche dei tamburi (questo erano l'unico strumento che già conoscevo) di pelle di serpente, e altri strumenti che azionavano con un secondo legno, sempre fatto di budelli, che strisciavano sul primo. Ne uscivano dei suoni ritmici come non ne avevo mai ascoltati nella mia vita.
Era un canto di uccelli, mischiato al suono dell'acqua dei torrenti e a quello del vento tra le fronde degli alberi. Poi si aggiunse un suono nuovo, quello di uno dei musici che, con la propria voce, intonava un canto, un lamento che pareva raccontare di tempi lontani, di bellezza e di nostalgia. Seguì il tuono, sommesso, della percussione dei tamburi. A quel punto lei comparve. Entrò avvolta da un leggero mantello che le copriva tutto il corpo. Teneva lo sguardo basso, il corpo rigido in piedi. E poi si tolse il mantello e cominciò a ondeggiare. Il torso, le gambe, la testa. Era un ritmo lento che, gradatamente, acquistava velocità. Seguirono i movimenti delle braccia che mulinavano l'aria come degli arbusti al vento. Iniziò a girare su di sè, a muovere gambe e braccia all'unisono, con gesti ampi e arcuati, e sembrava un'antilope che ballava, e ancora saltò e saltò. Ed era un uccello che si librava nell'aria. Attorno l'eccitazione era palpabile e la sentivo anche dentro di me. Farida esprimeva le ioni del corpo e dell'animo, le forze animali che ci dominano, ma anche la grazia e la velocità e la forza. Volteggiò ancora e ancora, seguendo il ritmo della musica che si faceva sempre più frenetico. Infine crollò sul pavimento, all'unisono con il termine della musica, raccogliendo testa e braccia su di sé, come un fiore che decidesse di richiudersi dopo la fioritura. Quando finì ci furono urla di gioia e tutti percuotevano i tavoli con le mani, in segno di acclamazione. Farida fu raggiunta da due giovani donne che la coprirono e la condussero fuori dal salone.
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Il giorno seguente partecipai a una battuta di caccia. Il loro modo di cacciare non è come il nostro. Usano le frecce degli archi per prendere gli uccelli, che cuociono come si fa con gli animali di terra. Mentre antilopi e cervi, centicore e gulon, e altri animali di cui non ricordo i nomi, vengono presi con l'utilizzo di grandi reti, simili a quelle che noi usiamo per la
pesca, e con una tecnica differente da quella che avevo visto usare a Montechiarugolo. I cacciatori di Krak individuano le prede come noi, osservandone gli spostamenti dalle mura del Castello. Poi un gruppo si occupa di spaventare gli animali per farli correre verso quelli che hanno steso le reti in una determinata zona. Quando gli animali in fuga ci ano sopra, le reti vengono sollevate ai lati e fissate con degli alti pali di legno, e le prede vengono così catturate. Servono molti uomini per fermare la furia delle prede in fuga e riuscire a chiudere le reti senza essere travolti. Partecipai alla caccia solo come spettatore, appartato. Osservavo da una radura poco sollevata rispetto al resto della piana, quando mi accorsi che non ero solo. Uno strano animale stava a non più di cinquanta i da me: aveva il muso piccolo e allungato, con grandi orecchie. La pelle sulla spina dorsale somigliava alle setole dei maiali, e stava ritta. Il corpo era lungo, come quello di un lupo magro. Rimase qualche istante prima di correre via. Quando rientrammo al Castello, lo descrissi a Khalil. Mi disse che si trattava di un Salaawi e che ero stato fortunato a non doverci combattere. La sera il banchetto fu succulento, grazie a una caccia molto fortunata. Di fianco a me sedeva Mansur e gli chiesi della danzatrice Farida. Quando capì si mise a ridere e mi fece un segno negativo, come a dire: “lei non può essere tua”. Gli chiesi perché e Mansur si dimostrò molto gentile a cercare di spiegarmi, nonostante la barriera linguistica. Prese un foglio di papiro e disegnò quello che mi stava dicendo, e dai disegni compresi come erano organizzati a Krak. Ciascun uomo a Krak, quando diventa adulto, può avere due donne per sé. Se è un Capo, tre, e se è uno dei Saggi fino a quattro. Ma le donne assegnate non potevano che giacere con il loro uomo. Non era consentito che potessero giacere con altri. Ciò nonostante non erano schiave. Se una donna (e la stessa cosa vale per gli uomini) a un certo punto si stanca di stare con l'uomo (o la donna) a cui è assegnata, può chiedere ai Saggi di proporla a un altro compagno. Se qualcuno è disposto a fare lo scambio, la donna può andarsene e giacere con chi la sceglie, purché quest'ultimo conceda una delle sue donne all'uomo che l'ha lasciata andare. Farida era la preferita di uno dei Saggi, e mai l'avrebbe lasciata andare via, nemmeno da un Viandante.
Mi parve un sistema complicato e cercai di chiedergliene il motivo. Mansur allargò le braccia e guardò il cielo, dicendomi una frase che non capii. Quella sera, prima di affiancarmi ancora alla difesa del Castello, riposai tra le braccia di Zhara. Mi piaceva e, anche se non aveva le movenze della danzatrice, riusciva a suscitare il mio desiderio. Le lasciai più volte il risultato della mia ione dentro di lei. Avevo infatti deciso che la Predestinata Zhara avrebbe assolto completamente al suo destino.
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Il settimo giorno dopo il mio arrivo a Krak, spiegai a Khalil e Wadi che io e Zhara dovevamo allontanarci. Era giunto il momento di lasciare il Castello per tornare solo quando la prole fosse giunta alla vita. Avvertirono Abdel'Adil, che mi fece sapere di volermi ricevere. Lo raggiunsi nella grande stanza che occupava con le sue donne. Mi fece bere con lui e mi studiò a lungo, senza dire alcuna parola. Poi disse qualcosa, e gli uomini che stavano in piedi attorno mi accompagnarono da Zhara. Lei fu felice nell'apprendere che sarebbe venuta via con me. Aveva atteso a lungo quel giorno ed era pronta ad affrontarlo. Salutò la madre (che così scoprii essere Huda) e tutte le donne e gli uomini del Castello. Fu una specie di cerimonia di addio, non breve ma piacevole. Ciascun gruppo di persone le lasciò un dono, chi un fiore, chi un oggetto, chi solo delle parole sussurrate all'orecchio e riprodotte su piccoli fogli di pergamena. Finalmente terminò. Andò a raccogliere quello che le avevo consentito di portare con sé, e l'aiutai a entrare nella macchina. Ci allontanammo da Krak che il sole aveva già cominciato la sua lenta discesa verso l'orizzonte.
Lasciato Krak, Esteban seguì le indicazioni per il Rifugio 29, ben evidenti sullo
schermo del solar-cat. Raggiunse il fiume Eu-Afraid e ne seguì il corso, come aveva già fatto con il grande Fiume Blu. Il diario di questa parte del viaggio è molto sintetico. La presenza di Zhara gli cambiò certamente alcune abitudini che aveva acquisito stando da solo. Io raggiunsi Krak due giorni dopo la loro partenza. Mi trattenni solo una giornata, per non perdere il tempo recuperato. Sinceramente non pensai che avrebbe potuto scoprire uno dei nostri rifugi, e credetti che avesse portato con sé Zhara per avere quella compagnia che gli era mancata finora nei suoi viaggi. Adesso so quanto fui superficiale in quest'analisi. Anche nel cadere nel tranello di Esteban di allontanarsi dal castello dirigendosi verso ovest, per poi evidentemente girare verso sud-est, ma senza lasciare tracce. Esteban riprese appieno a compilare il diario non appena arrivarono alla Tomba di Elahbel.
Ci sono voluti quasi tre giorni per arrivare al Rifugio. Lo schermo indicava il nome Elhabel, con lo stesso segno del Rifugio abbandonato e di quello che avevo mancato a Bismanto. Zhara aveva superato le notti fuori del Castello con grande coraggio. Stava raggomitolata per terra, di fianco alla sua poltroncina, ma riusciva a non gridare per la paura, emettendo solo pochi lamenti. Credo non pianse nemmeno, e questo suo comportamento aumentò la mia considerazione nei suoi confronti. Vidi che si fidava di me. Elhabel è una roccia scolpita, di forma regolare, in pieno deserto. La porta da direttamente sul terreno. Fermai la macchina di fronte e feci capire a Zhara che doveva aspettarmi. Il mio problema fu scoprire come sarei potuto entrare. Il portone era metallico e sicuramente molto spesso e robusto. Non vedevo meccanismi visibili, d'altronde sarebbero stati rischiosi. Mi sedetti su di un sasso, a pochi i dall'entrata, a meditare. A un certo punto mi resi conto che il portone era ampio un po' più della larghezza della macchina e mi venne un'idea. Rientrai nell'abitacolo e osservai il pannello dei comandi. Una luce a intermittenza attirò la mia
attenzione, aveva anche il simbolo di una chiave. Lo premetti e il portone di Elhabel si aprì miracolosamente. Portai la macchina all'interno della struttura, dove c'era una stanza che poteva contenerla. Quando fummo dentro, il portone si chiuse alle nostre spalle e improvvisamente, con un rumore leggero di motori invisibili, l'intero pavimento sul quale poggiava la macchina cominciò a sprofondare. Zhara ebbe un sussulto e un lamento, e la vidi aggrapparsi alla poltrona dove stava seduta. Il cuore mi batteva forte, ma cercai di mantenere la calma. Mi voltai ancora verso il vetro anteriore, anche per non mostrare a Zhara la tensione sul mio volto. La discesa durò alcuni istanti. Vedevo le mura esterne muoversi verso l'alto. Stavamo scendendo nel sottosuolo. Dentro di me ero comunque sereno: stavamo entrando in un Rifugio attivo dei Viandanti e non poteva esserci nulla di più sicuro. Quando arrivammo al livello previsto, sentimmo terminare la sensazione di movimento verso il basso. Era buio. Dopo poco si accesero le luci di fronte a noi. Erano luci create dalla scienza dei Viandanti, ereditata dagli Antichi, simili a quelle della macchina, ma molto più potenti. Apparve uno spazio davanti a noi. Semplici pareti lisce senza alcun altro oggetto. Aprii lo sportello e uscii. Feci segno a Zhara di rimanere seduta e chiusi la macchina dall'esterno, pensando che la mia compagna si sarebbe sentita più al sicuro. Mi spostai verso la nuova stanza e così mi accorsi di una porta sulla sinistra. Aveva una maniglia e provai ad aprirla. Non ci fu resistenza. Appena aperta, come grazie a dei meccanismi automatici nascosti, si illuminò anche il locale successivo, e in questo caso fu uno spettacolo ben diverso, che mi fece aprire la bocca per lo stupore. Davanti a me c'era una sala abbastanza ampia, ammobiliata come nelle immagini delle Case degli Antichi che avevo visto in alcuni libri e di cui ricordo bene i nomi: c'erano divani, mobili, luci di cristallo, un grande tavolo in legno, dei piccoli armadi con vetrine, e altri di colore nero, alle pareti dei quadri; un ambiente con un gusto di epoche lontane e che trasmetteva la sensazione di ricchezza e cultura. Era tutto impolverato, ma non diminuiva l'eccezionalità della visione. Poco oltre un'altra porta conduceva in nuove stanze: una doveva
servire per mangiare; una era una specie di dispensa dei cibi, con molti armadietti refrigerati (come quello che avevo imparato a conoscere nella macchina); uno assomigliava al primo locale, ma più piccolo; tre stanze avevano dei letti grandi come non ne avevo mai visti; dei piccoli spazi per lavarsi, pieni di specchi splendidamente conservati, come fossero nuovi; e infine, al termine di questa serie di camere, un grande laboratorio, con schermi e tastiere e molti altri strumenti che non riconoscevo, ma soprattutto con miriadi di scaffali pieni di quelli che mi sembravano libri e che rappresentavano il vero tesoro del Rifugio. Pensai che non potevo lasciare Zhara troppo tempo da sola e decisi di tornare a prenderla. Sarebbe rimasta stupita dalla meraviglia di quel luogo, di cui lei sarebbe stata la regina per molto tempo, in attesa della nascita del figlio, e io il suo re e padrone assoluto.
4
Esteban rimase da solo con Zhara nel Rifugio per oltre trenta giorni. Il primo giorno, o meglio la prima notte, rimase con Zhara, riuscendo a vincere la curiosità. Le sue pulsioni giovanili ebbero la meglio, e forse non pensò ad altro anche per la tensione di non sapere se avrebbero sentito attacchi da parte dei ghoul. In realtà il Rifugio è completamente insonorizzato e furono felici di vivere in un luogo così straordinario per loro. I generatori funzionavano perfettamente, anche dopo l'uscita dallo stadio di limitata potenza, e non ebbero problemi di sorta. Immagino gli sforzi di Esteban per sembrare a proprio agio in un ambiente così alieno, e le scoperte che devono aver fatto, dal cibo alle comodità, ai dipinti, alle sculture, ai giochi di luce e al funzionamento delle stanze da bagno. Deduco questo dalla totale mancanza di ulteriori annotazioni nel suo diario fino alla notte del terzo giorno, quando cominciò a dedicarsi alla ricerche negli archivi, e la sua voglia di conoscenza cominciò ad avere il sopravvento. Purtroppo io avevo perso ancora il segnale, e ci misi molti giorni a capire dove fossero.
Potrei trascorrere un intero ciclo solare in questo posto insieme a Zhara, senza pensare più a nulla. Il cibo è abbondante, le comodità indescrivibili. Ma non sono venuto qui per questo. Ho lasciato Zhara che riposava sul letto e ho raggiunto il grande laboratorio. Per prima cosa ho cominciato a guardare i libri negli scaffali. Mi sono così reso conto che solo alcuni sono libri, la maggior parte sono dei contenitori di dischi di metallo. Il vero problema era rappresentato però da un altro fatto: tutte le scritte erano in lingue sconosciute. Non comprendevo quello che provavo a leggere. Anche i libri veri e propri erano scritti in linguaggi diversi dal mio. Cercai qualcosa che potesse risultare comprensibile, ma non lo trovai.
Decisi allora di sedermi davanti a uno degli schermi. Solo con fatica trovai il modo di infilare i dischi metallici in una fessura posta di fianco alla tastiera. Per fortuna il contenuto si manifestò immediatamente e mi ritrovai al cospetto del sogno: immagini incredibili, sprazzi di ato remoto, uomini antichi che parlavano in un idioma che non capivo, parole incomprensibili che si susseguivano, visioni di paesaggi ormai scomparsi. Stavo osservando il mondo come non era più. Gettavo uno sguardo nel tempo, e non ero preparato: vidi macchine volanti, altre incomprensibili, vestiti come quelli delle illustrazioni dei libri che leggevo da bambino, navi gigantesche, costruzioni inaudite, strade bellissime cosparse di veicoli di metallo, suoni e musiche stordenti, e migliaia di facce di persone di ogni età, che parlavano e parlavano tra loro: la vita degli dèi si stava dispiegando davanti ai miei occhi, ma era come gettare lo sguardo oltre il conoscibile. Provai a studiare il contenuto di centinaia di dischi metallici e libri, inghiottito in un tunnel di necessità, con la mente invasata come sotto l'effetto di certe erbe. Gli dèi parlavano ma non li riuscivo a comprendere, che fossero suoni o parole scritte, e le immagini erano un vortice di sogni e incubi che si accavallavano come foglie sospinte a casaccio dal vento. Feci capire a Zhara che il Viandante Esteban doveva occuparsi di faccende urgenti e importanti, e lei non mi chiese nulla e mi lasciò in pace. Le dissi anche che non poteva accedere alle stanze del laboratorio, e ubbidì come l'avevano abituata a fare tra la sua gente. Dopo i primi sei giorni (il flusso del tempo era scandito da una piccola lastra di vetro in cima al soffitto del laboratorio da dove si poteva intravedere la luce esterna) sono riuscito a capire qualcosa della storia perduta: tra gli Antichi, a un certo punto, sono scoppiati dei tumulti che hanno coinvolto tutte le genti di tutte le terre. Non doveva essere una novità, gli Antichi erano molto conflittuali tra loro, ma in questo caso qualcosa che era stato scoperto aveva prodotto effetti devastanti tra i gruppi, creando rivolte e attentati ovunque sul pianeta. Non avrei compreso nulla della verità se la sorte, ancora una volta, non mi avesse permesso di trovare il sentiero giusto, quello stesso sentiero che certamente mi era già stato indicato da Zlatorog e che mi era destinato come diritto. Il futuro di conoscenze che avevo sperato di incontrare era giunto a me, attraverso le immagini e le parole del lontano ato. Lo trovai quasi per caso, mentre osservavo le file interminabili di libri e
contenitori di dischi allineati sugli scaffali. Mi avvicinai a uno scaffale basso, il primo da terra, di una sezione vicina alla parete di fondo. Guardai le parole scritte e lessi, sulla costa di una copertina, “Immortalità del corpo e dell'anima”. Avevo finalmente trovato un libro nella mia lingua o, almeno, in una lingua che forse sarei riuscito a capire.
Esteban ha trovato dei documenti nella lingua più affine alla sua ed è così riuscito a scoprire che il mondo degli Antichi era stato straziato dalle guerre per il possesso e l'utilizzo del sistema per allungare il tempo di vita degli uomini. L'autofagia molecolare sintetizzata fu una delle più grandi conquiste dell'ingegno umano, ma rovinò la nostra razza. Vide anche alcuni documentari sugli attacchi terroristici, sulla distruzione delle industrie, quando l'informazione si diffuse e si capì che solo pochi ne potevano avere accesso. Scoprì il periodo delle clonazioni, dei mercati illegali, degli scontri tra fazioni ormai troppo lontane tra loro, e il recupero di alcune religioni del ato, che trovarono nuovo vigore nel dare speranze diverse dalla chimica, soprattutto alle persone che ne rimanevano escluse. Non è stato un processo semplice, quello della comprensione della Storia da parte di Esteban. Ma i giorni si accumulavano, mentre io ero stato portato lontano da un falso segnale e solamente dopo quasi trenta giornate ipotizzai dove potesse trovarsi realmente Esteban. Nel frattempo, egli aveva visionato e letto decine di scritture e video, e riguardato anche quelle in linguaggi a lui sconosciuti. Grazie alle informazioni apprese dai documenti, quasi tutto gli divenne più chiaro, almeno nelle linee generali. Infine lesse anche della scoperta del sistema MTT e delle Banche del Gelo, con le scatole delle Memorie in attesa della Redenzione e la nascita del Culto della Trasmigrazione, grazie al Recettore Mnemonico. Nello stesso periodo storico, seppe che avvenne la Grande Epidemia, causata proprio dalla proliferazione di clonazioni irregolari del sistema di innescamento dell'autofagia. E comprese allora che alcune di quelle che gli erano sembrate immagini di guerre, in realtà rappresentavano i risultati del virus, che in poco tempo spazzò via tre quarti della popolazione mondiale. E seppe che i mostri della notte, e gli artabatici del
mondo, furono creati involontariamente dalle mutazioni seguite al diffondersi dell'epidemia, che contagiò non solo l'Uomo, ma l'intero pianeta. Lesse e vide le immagini dell'arrivo dei ghoul, che penetrarono dalle miniere, dai sotterranei delle città e fuoriuscirono da cantine e fognature, e invasero e uccisero in poco tempo gran parte dei sopravvissuti, accelerando anche la diffusione dell'epidemia. Nonostante le armi degli Antichi, il numero soverchiante dei ghoul non permise che una breve difesa. Alla fine anche i ghoul furono decimati, ma sopravvissero abbastanza da poter conquistare il mondo notturno e confinare nei castelli i pochi uomini rimasti. Scoprì così che i sopravvissuti umani dovettero nascondersi negli edifici più protetti e che gli unici che si mostrarono adatti a resistere erano proprio gli antichissimi castelli e fortezze, e che noi Viandanti eravamo i superstiti delle forze militari che collegavano i presidi del periodo della guerra contro le bestie della notte e gli artabatici, e nel tentativo di arginare le epidemie. Esteban sembrò mostrare, leggendo i i del diario scritti nel Rifugio, una notevole capacità di adattamento alle scoperte che fece, che pur gli risultarono sconvolgenti. Benché in alcune frasi palesi, tra stupore e orrore, lo sconcerto verso un ato che non era quello di un mondo perfetto e perdutosi per cause esterne, nello stesso tempo si nota il piglio dell'analista, e quell'indifferenza di fondo verso le reazioni emotive che hanno caratterizzato i suoi comportamenti. Nel suo pellegrinaggio culturale, scoprì anche come collegarsi ai nostri sistemi di comunicazione. Ebbe ancora una volta fortuna, perché non attivò la funzione di contatto attivo, ma solo quella di ascolto. E fu in questo modo che venne a sapere di Attanasia.
Oggi un brandello di realtà contemporanea, che credevo per me irraggiungibile, è invece arrivata a me. E mi ha scosso quasi più della conoscenza del lontano ato. Ho intercettato delle conversazioni tra Viandanti, una in una lingua abbastanza comprensibile. Parlavano di un problema, e di come affrontarne le conseguenze. Il problema era avvenuto in un Castello che sembrava essere diventato un emblema del Cambiamento. Parlavano del Malaspina, me ne resi conto quasi
subito, e scoprii che un altro fatto straordinario era avvenuto laggiù dopo la mia partenza. Artalog aveva avvertito i suoi simili di quanto successo usando la macchina per comunicare lontano e, dopo del tempo, un secondo Viandante l'aveva raggiunto. E poi era avvenuto l'impensabile: qualcuno del Castello aveva ucciso questo Viandante e ferito Artalog, ed era fuggito sulla macchina, seguendo il mio esempio. Capii che era stata Attanasia prima di sentir pronunciare il suo nome. E Attanasia aveva poi raggiunto altri Castelli, e qualcosa di nuovo stava avvenendo, ma non compresi bene cosa. Il Cambiamento era stato innescato e si stava diffondendo. Comunque, i Viandanti parevano preoccupati, e si stavano mobilitando. Nell'ascolto di queste conversazioni, altri aspetti cominciarono ad affiorare. Aspetti difficili da comprendere appieno. Sentii frasi che accennavano a ciò che “qualcuno” si sarebbe aspettato, a come avrebbe reagito. Compresi che parlavano di coloro che abitavano le Terre Estreme, di più potente dei Viandanti stessi. Ma non riuscii a capire chi fossero e se parlavano degli Dei o di cos'altro. Dovevano essere i mitici abitanti dell'Occidente, oltre il grande mare.
Qui Esteban si è arenato, come su altri temi. Il segreto dei Longevi non gli fu dipanato chiaramente. Ebbe invece coscienza che dietro di sé aveva un lascito più grande di quanto immaginasse. In un o del diario mostrò di essersi imbattuto anche nella leggenda di Mithar. Fu però troppo ermetica per le sue conoscenze e non ne trasse molte informazioni, solo qualche aneddoto che non seppe se ritenere mitico o reale. Infine individuai dove si trovava Esteban e lo raggiunsi alla Tomba di Elhabel. È interessante leggere il o conclusivo del suo diario, quello che precedette il mio arrivo.
Oggi ho cercato di capire se riuscivo ad avere altre informazioni su quanto avvenuto al Malaspina. Ho trascorso molto tempo ad aspettare comunicazioni dall'esterno. Ne intercettai solo una, però in una lingua incomprensibile. Non capii nulla e non mi parve nemmeno di sentire accenni a nomi a me conosciuti.
Mi sono svegliato all'improvviso, rendendomi conto di essermi assopito di fronte allo schermo della postazione che uso quotidianamente, appena terminate di scrivere le frasi precedenti. In questo momento vedo un punto luminoso, di colore rosso, brillare intermittente sullo schermo. Lo sfondo è composto da un disegno curioso, fatto di linee e curve, e qualche numero qua e là. Credo di sapere cosa sia: è una mappa del Rifugio dove ci troviamo, e il segnale dello schermo indica che qualcuno è appena riuscito a entrare. Alla fine mi ha trovato. Korman è qui.
Esteban non ebbe dubbi sul fatto che si trattasse di me. Un filo ci legava ormai, un filo di collegamento, invisibile eppure reale, che si era andato creando durante il lungo periodo della mia caccia. Quello che avvenne poi fu semplice quanto imprevisto e odioso. Decisi di entrare ando dal condotto che porta al generatore, permettendomi in questo modo di saltare il montacarichi e gli spazi di soggiorno. La mia idea era di prenderlo alla sprovvista, non immaginando che potesse essere in allerta. Fu ancora una volta un errore. Andai direttamente nel laboratorio dal aggio pedonale, dopo aver disceso la lunga scala a chiocciola. Era vuoto. Vidi le cataste di libri e video appoggiati sui ripiani, fuori dagli scaffali. Mi avvicinai alla porta che dava su una delle sale. Provai a rimanere in silenzio, ma non sentii nulla. Entrai e mi diressi verso la seconda sala, quando un rantolo proveniente da una delle stanze laterali attirò la mia attenzione. Mi avvicinai cautamente e guardai dentro la camera: Zhara era sdraiata sul letto e aveva la gola tagliata. Era ancora viva, ma perdeva molto sangue. Aveva bisogno di cure, e le premetti un lembo della coperta sul collo, delicatamente. Le presi la mano e gliela appoggiai sopra. Gli occhi erano velati. Capii che Esteban aveva avuto il tempo di prepararsi al mio arrivo. Non so se decise tutto all'istante o se avesse escogitato un piano, ma mi stava sfuggendo. Quando raggiunsi l'entrata, la porta d'ingresso risultò chiusa e non riuscii ad
aprirla. Corsi indietro, superai le stanze e il laboratorio, ando da dove ero entrato, risalii la scala, ma Esteban aveva sbarrato anche la porta d'ingresso del ante al generatore. Per il momento, ancora una volta, mi era scappato. Tornai da Zhara. La trovai riversa in terra. Era morta.
***
Ci misi quasi tutta la giornata per riuscire ad aprire la porta d'ingresso alla fine della scala. Non provai a forzare l'entrata al montacarichi, perché il Generatore era stato manomesso e si era fermato. Non fu difficile scoprirlo: le luci si spensero improvvisamente e l'aria cominciò a farsi sempre meno respirabile, a mano a mano che ava il tempo. I miei sforzi per riuscire a scardinare la porta sbarrata non ebbero facile fortuna. Esteban aveva installato un sistema di chiusura con due assi di legno, resistenti anche se non indistruttibili. Quando finalmente, quasi al crepuscolo, uscii all'esterno, vidi che il mio solarcat era intatto. Avevo temuto che potesse essere danneggiato, ma evidentemente Esteban non ne era stato in grado o non si era arrischiato a un'azione violenta con le armi del suo caterpillar. Le tracce erano abbastanza evidenti e lo seguii nel deserto. Ci sono voluti diversi giorni di viaggio, tra dune e pianure arroventate, però non sono riuscito a raggiungerlo. Alla fine ho ritrovato il solar-cat di Artalog sotto una roccia, abbandonato.
5
Sono stato a Bithna. Non ci sono tracce di Esteban, né del suo eventuale aggio. Ho scandagliato la zona. O è stato attaccato dai ghoul mentre fuggiva a piedi, oppure ha raggiunto Fujairah. In ogni caso il suo destino è lo stesso. Ho allora provato a percorrere il possibile tragitto dal solar-cat verso la RoccaMonastero. Ho individuato alcune tracce che mi hanno convinto che Esteban si sia diretto proprio laggiù. I monaci di Fujairah non danno scampo ai forestieri. La caccia è terminata.
***
Invio il mio rapporto e poi mi dirigerò verso nord e poi ancora verso est. Ho intenzione di andare a Kumbhalgarth prima di rientrare nelle Terre d'Occidente. Sono tornato a Elhabel. Ho seppellito il corpo di Zhara, che ora sapevo essere stata incinta, nel magazzino sotto il laboratorio. Ho anche provato a rimettere in funzione il Generatore, ma senza successo. Serve con urgenza una squadra per provare a ripararlo. Altrimenti dovremo dire addio anche a questo Rifugio. Mi sono ritrovato a pensare al destino di Esteban, nella follia della Fortezza di Fujairah, dove vivono i monaci del Culto di Mithar. Mithar… in realtà nessuno ricorda il suo vero nome. E tutti noi viviamo nella colpa di averlo lasciato vivere. Egli cominciò facendosi chiamare col nome di un antico Dio, e usò i poteri di un Viandante per asservire accoliti attorno a un culto divenuto spregevole.
Nel periodo finale dell'Antichità, come sappiamo, prima della comparsa dei ghoul, molte religioni risorsero, in quanto contraltare alle nuove promesse di lunga vita o di possibile immortalità artificiale. In quel contesto nacque Mithar, come venne poi chiamato. Profanò le Banche del Gelo, o almeno quelle rimaste, e ne distrusse quasi tutti i contenuti. Ma, peggio ancora, ne rubò molte, nessuno sa se con cognizione di scelta o casualmente. Fu ordinato agli altri Viandanti di cercarlo e di ucciderlo, e di recuperare gli MTT sopravvissuti, ma fallirono. Riuscirono però a privarlo del solar-cat ed egli si ritirò nella Fortezza di Fujairah, esiliato per sempre. Questa è stata la versione tramandata, ma noi sappiamo che non è del tutto vera. Sappiamo che egli aveva un segreto e che sapeva come utilizzare gli MTT. Avremmo dovuto vincerlo, e recuperare il “segreto”, ma i pochi che ci provarono non tornarono dalla fortezza inespugnabile che era diventata Fujairah. Un giorno dovremo rendere conto delle nostre colpe e incapacità, come è giusto che sia.
FINE
Esteban ritornerà in Il monaco apocrifo
Delos Digital e il DRM
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Tecnomante in questa collana
Tecnomante Valentino Peyrano, Il castello e il viandante In un mondo sconvolto dall'apocalisse gli uomini sono costretti a vivere chiusi in castelli isolati. Solo i Viandanti, depositari dell'antica scienza, mantengono i contatti tra gli ultimi baluardi dell'umanità. ISBN: 9788867750467 Valentino Peyrano, Bema Esteban il Viandante era stato accolto con tutti gli onori in quello strano castello, ma qualcuno tramava alle sue spalle. ISBN: 9788867750597 Valentino Peyrano, La strada verso nord C'è una speranza per l'umanità? Forse sì, se riusciranno a non affidarsi completamente ai Viandanti e a ritrovare la sete della conoscenza ISBN: 9788867750917 Valentino Peyrano, Il resoconto di Karl Per Esteban la minaccia della vendetta dei Viandanti è sempre più vicina. ISBN: 9788867750924 Valentino Peyrano, Korman Esteban il Viandante sta per trovare il suo destino, e svelare finalmente le origini del mondo distrutto e popolato da mostri nel quale agonizza ciò che resta dell'umanità ISBN: 9788867751280 Valentino Peyrano, Il monaco apocrifo Le prove a cui deve sottoporsi Esteban sono quasi insostenibili, ma ciò che lo attende al termine del percorso è qualcosa che nessun uomo sperimentava da secoli. ISBN: 9788867751495 Valentino Peyrano, Di là dal mare, tra le isole Esteban affronta il suo ultimo viaggio, alla ricerca delle risposte che solo al di là dell’oceano può trovare ISBN: 9788867751662 Valentino Peyrano, Campo di maggio Il viaggio di Esteban è terminato. Ora comincia la battaglia. Il finale di stagione della prima serie di Tecnomante. ISBN: 9788867751723
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Samuele Nava, Caccia all'untore - History Crimen. 7(in preparazione)
Luca Di Gialleonardo, Il calice della vendetta - History Crimen. 8(in preparazione)
Marzia Musneci, Idi di agosto - History Crimen. 9(in preparazione)
Tecnologia
Carlo Mazzucchelli, Tablet: trasformazioni cognitive e socio-culturali TechnoVisionsn. 1
Carlo Mazzucchelli, Internet e nuove tecnologie: non tutto è quello che sembra TechnoVisionsn. 2(in preparazione)
Antonio Fiorella, Approdo della ricerca scientifica nella metafisica TechnoVisionsn. 3(in preparazione)
Carlo Mazzucchelli, Tablet a scuola: come cambia la didattica TechnoVisionsn. 4(in preparazione)
Carlo Mazzucchelli, La solitudine del social networker - TechnoVisionsn. 5(in preparazione)
Luigi Pachì, Enterprise Mobility: l’interazione al centro - TechnoVisionsn. 6(in preparazione)
Antonio Fiorella, DD - Il Drone di Dio - TechnoVisionsn. 7(in preparazione)
Carlo Mazzucchelli, Nei labirinti della tecnologia - TechnoVisionsn. 8(in preparazione)
Thriller
Franco Forte, Fuga d'azzardo - Delos Crimen. 1(in preparazione)
Sergio Donato, Scorreva rabbia - Delos Crimen. 2(in preparazione)
Annamaria Fassio, L'anno dello sbarco - Delos Crimen. 3(in preparazione)
Carlo Parri, Si chiamava Nina - Delos Crimen. 4(in preparazione)
Alain Voudì, RIG - Delos Crimen. 5(in preparazione)
Cinzia Bettineschi, Cutter - Delos Crimen. 6(in preparazione)
Diego Lama, La casa degli amori segreti - Delos Crimen. 7(in preparazione)
Diego Di Dio, Scala reale - Delos Crimen. 8(in preparazione)
Carlo Parri, Né triste, né allegro - Delos Crimen. 9(in preparazione)
Andrea Franco, Lo sguardo del diavolo: Jeffrey Dahmer - Serial Killern. 1
Fabio Oceano, La quarta vittima - Serial Killern. 2
Umberto Maggesi, Io, il mostro - Serial Killern. 3
Andrea Franco, Lungo la via del pensiero - Serial Killern. 4(in preparazione)
Fabio Oceano, Freeway killer - Serial Killern. 5(in preparazione)
Luca Di Gialleonardo, Big Ed - Serial Killern. 6(in preparazione)
Manuela Costantini, Quasi sempre a ottobre - Serial Killern. 7(in preparazione)
Fabio Oceano, Lo sciamano - Serial Killern. 8(in preparazione)
Zombie
Franco Forte, Stazione 27 - The Tuben. 1
Ilaria Tuti, Carlo Vicenzi, La fame e l'inferno - The Tuben. 2
Antonino Fazio, Alain Voudì, Giorno Zero - The Tuben. 3
Ilaria Tuti, Ceneri - The Tuben. 4
Scilla Bonfiglioli, Progetto Bokor - The Tuben. 5
Antonino Fazio, Alain Voudì, Il bacio della morte - The Tuben. 6(in preparazione)
Fabio Pasquale, Michela Pierpaoli, Legame di sangue - The Tuben. 7(in preparazione)
Carlo Vicenzi, Roberto Zago, L'alveare - The Tuben. 8(in preparazione)
Ilaria Tuti, Nido di carne - The Tuben. 9(in preparazione)
Fabio Pasquale, Andrea Ferrando, Siamo legione - The Tuben. 10(in preparazione)
Franco Forte, Stazione 28 - The Tuben. 11(in preparazione)
Alain Voudì, Franco Forte, Rinascita - The Tube 2n. 1(in preparazione)
Liudmila Gospodinoff, Lia Tomasich, Scacco alla Regina - The Tube 2n. 2(in preparazione)
Luigi Brasili, Il lupo - The Tube Exposedn. 1
Roberto Zago, L'antro di Jona - The Tube Exposedn. 2
Diego Lama, Il cacciatore - The Tube Exposedn. 3
Camilo Cienfuegos, I ripulitori - The Tube Exposedn. 4(in preparazione)
Diego Matteucci, Il tempio della notte - The Tube Exposedn. 5(in preparazione)
Luca Romanello, Via di fuga - The Tube Exposedn. 6(in preparazione)
Luigi Brasili, Il ritorno del Lupo - The Tube Exposedn. 7(in preparazione)
Andrea Montalbò, Paranoia Park - The Tube Exposedn. 8(in preparazione)
Andrea Franco, Luca Di Gialleonardo, Di fame e d'amore - The Tube Exposedn. 9(in preparazione)
Lia Tomasich, Family Reunion - The Tube Exposedn. 10(in preparazione)
Luca Romanello, Veleno dentro - The Tube Exposedn. 11(in preparazione)
Antonino Fazio, Survive - The Tube Exposedn. 12(in preparazione)
Camilo Cienfuegos, I ripulitori e l'abisso - The Tube Exposedn. 13(in preparazione)
Diego Matteucci, Il bianco e il nero - The Tube Exposedn. 14(in preparazione)
Lia Tomasich, Rescue Team - The Tube Exposedn. 15(in preparazione)
Andrea Montalbò, Paranoia Park - Il branco - The Tube Exposedn. 16(in preparazione)
Massimiliano Giri, Madre di sangue - The Tube Exposedn. 17(in preparazione)
Alan D. Altieri, Cold Zero - Parte prima - The Tube Nomadsn. 1(in preparazione)
Alan D. Altieri, Cold Zero - Parte Seconda - The Tube Nomadsn. 2(in preparazione)
Danilo Arona, Ghost in the machine - The Tube Nomadsn. 3(in preparazione)
Massimo Rainer, Katakombs - The Tube Nomadsn. 4(in preparazione)
Andrea Novelli, Gianpaolo Zarini, Shockwave - The Tube Nomadsn. 5(in
preparazione)
Sonia Tortora, Dead Air - The Tube Nomadsn. 6(in preparazione)
Antonino Fazio, Spectrum 3 - The Tube Nomadsn. 7(in preparazione)