ROMANZO
IL GIARDINO DEI RODODENDRI Prima Edizione – Gennaio 2014
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e situazioni sono invenzioni dell’autore o hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale. La stilista Sonia Galiano è invece un personaggio reale. I suoi lavori sono disponibili sul sito internet: www.soniagaliano.com
© Copyright 2014 – Andrea Calò ISBN: 978-1-291-63495-2 @ e-mail:
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Andrea Calò IL GIARDINO DEI RODODENDRI
Romanzo
Edizioni LULU
A mia moglie Sonia, l’amore della mia vita. Per sempre.
RINGRAZIAMENTI
Scrivere un libro è sempre un’avventura, sembra di partire per un viaggio. Si fanno le valige, si parte da un punto preciso e si procede cercando di raggiungere il punto d’arrivo, la meta tanto desiderata. Ma come a volte accade durante un viaggio, le insidie, gli errori, le paure e gli imprevisti sono lì pronti a sorprenderci, a frenarci, a volte al punto di farci desistere dal proseguire. Con l’aiuto delle persone che ci stanno accanto o di quelle incontrate lungo la strada, si riesce tuttavia a venirne fuori, a volte con facilità, altre con estrema pena; ma non ci si siede mai sull’errore, per non perdere l’investimento fatto. Durante il mio viaggio ho avuto diverse persone al mio fianco che mi hanno spronato e incoraggiato a continuare il cammino, a realizzare il sogno che da tanti anni tenevo chiuso in un cassetto, il mio progetto.
Grazie ai miei genitori, che mi hanno donato la vita, mi hanno cresciuto e istruito, permettendo che tutto questo si trasformasse in realtà.
Un grazie particolare alla stilista Sonia Galiano, un personaggio reale che prende vita in questo romanzo, per aver prestato gentilmente il suo nome e quello dei suoi lavori. Li potrete trovare sul suo sito internet ufficiale: www.soniagaliano.com.
E infine, ma non da ultimo, grazie a te Elena, per aver istruito il mio cuore e guidato la mia mente durante tutto questo percorso: qui dentro c’è davvero una grossa parte di te.
1.
La sveglia suonò facendola sobbalzare. Erano già le sette e mezza del mattino e quell’orrendo suono non le lasciava alcuna scelta, le perforava il cervello come se fosse un semplice ammasso di gelatina. Appena svegliati, tutti i rumori sembrano amplificati a dismisura. Ancora assonnata, Lynda allungò la mano per premere il tasto e far tacere finalmente quella macchinetta infernale, e per un attimo sperò fosse per sempre. Si rigirò nel letto avvolta nel suo caldo piumone e fu lì per riaddormentarsi, quando sentì sul suo viso il fiato caldo del suo cane Puh, venuto al suo letto per incoraggiarla ad alzarsi, come faceva ogni mattina, con puntualità. «Ciao bello mio!», esclamò anche quel giorno mentre con le mani prendeva e strapazzava il musetto morbido del cane, completamente ricoperto di pelo. Da parte sua Puh ricambiava con un dolce lamento, reclinando il capo e lasciando libero sfogo alla coda scodinzolante. «Dai, ma che fai Lynda Grant, muoviti! Alza le chiappe dal materasso, oggi hai l’incontro con i giapponesi e ti giochi la carriera, te ne sei dimenticata forse?», si obbligò ad alta voce per convincersi prima e meglio a lasciare quelle calde lenzuola che le davano sicurezza oltre che una piacevole sensazione di benessere. Alzatasi dal letto, Puh la seguì, felice di aver compiuto il suo dovere anche quel mattino. Puh sapeva che entro pochi minuti la sua padrona lo avrebbe lasciato ancora da solo per una lunga, interminabile giornata e lui sarebbe rimasto lì ad attenderla fino a sera quando lei, rincasando, lo avrebbe fatto giocare un po’, regalandogli un po’ di quella compagnia che il cucciolone andava elemosinando ogni giorno. La seguiva ovunque per la casa, non voleva perdersi nemmeno un istante di quella sua fugace presenza. Lynda lavorava per una multinazionale operante nel settore delle materie plastiche di ogni genere e da qualche tempo aveva avviato una grossa trattativa con un importante cliente giapponese, un produttore e distributore di giocattoli. Lynda non aveva però mai avuto l’opportunità di parlare con il signor Yamada in persona, l’avevano sempre messa in contatto con i suoi scagnozzi. Tuttavia alla fine le fu comunicato che Yamada avrebbe preso parte personalmente alla presentazione del suo progetto, presso la loro sede di New York. Si diresse in
bagno con tutti i vestiti in mano, li aveva già diligentemente riposti ben stirati sulla sedia della camera la sera precedente. Si conosceva troppo bene per accettare di correre rischi quel mattino. Entrò nella cabina doccia e le luci colorate cominciarono a coprire il suo corpo con sfumature di colore che andavano dal rosso al verde, dal blu al giallo e davano alla sua pelle una parvenza metallica. Le usava per rilassarsi la sera, prima di andare a dormire. Ma quel mattino non aveva davvero nessuna voglia di starle a guardare. Doveva incontrare i giapponesi, Yamada-san in persona! E doveva ancora riare tutte quelle stupide regolette sull’inchino tra persone di diversa classe, età, estrazione sociale e sesso! Troppe cose da fare ancora, tutte concentrate in una sola mattina, tanto che non riuscì nemmeno a ritagliarsi un momento per un caffè veloce. Uscì di casa intorno alle otto e un quarto, le strade erano già intasate come sempre dal traffico di pendolari diretti in ufficio, dai turisti e dai taxi fermi in coda ai semafori. Lynda ne individuò subito uno, guidato da un uomo che conosceva molto bene e che l’aveva già portata in giro parecchie volte in precedenza, fin dalla tenera età. «Buongiorno signorina Grant!», esclamò il tassista non appena Lynda ebbe spalancata la portiera posteriore del veicolo. «Buongiorno James», rispose, senza nemmeno guardarlo negli occhi, «Questa mattina devi volare come un razzo, mi raccomando! Sono già in ritardo pazzesco e ho un’importante riunione di lavoro che mi aspetta tra poco». «Farò l’impossibile signorina, ma come anche lei può vedere siamo tutti qui fermi in coda. A che ora è il suo appuntamento?». «Alle nove meno un quarto, abbiamo ben trenta minuti!», rispose Lynda, irritata dall’osservazione dell’uomo che la contrariava. «Abbiamo solo trenta minuti, vorrà dire. Lei sa bene quanto tempo ci vuole per attraversare il centro città a quest’ora del mattino e con questo traffico. Saremo fortunati se riuscirà ad arrivare per le nove. Ma sarà già comunque in ritardo e non so se con i giapponesi è una cosa buona», rettificò James. «Infatti non lo è. Oggi mi gioco la promozione James, quello per cui ho lavorato per anni! Senti, scendo e me la faccio a piedi, arriverò prima», esclamò mentre si apprestava ad aprire la portiera per scendere dall’auto.
«Arriverà sfinita e bagnata di sudore come un pulcino signorina. Non glie lo consiglio. Almeno non oggi. Visto che per lei è così importante, deve presentarsi in modo impeccabile! I giapponesi badano molto alle apparenze!». «E tu come lo sai?». «Dopo aver lavorato per tanti anni per il Senatore, suo padre, qualche cosa l’ho imparata! Forza ora andiamo». Lynda accennò un segnale di consenso, tirò verso di se la sua valigetta in pelle contenente i cataloghi e il materiale cartaceo da distribuire quel mattino ai partecipanti e lasciò andare la testa contro il poggiatesta, per rilassarsi un po’. Il taxi procedeva lentamente, quasi a o d’uomo, mentre i minuti correvano via senza pietà come blocchi di marmo su una lastra d’acciaio cosparsa d’olio. Arrivò l’ora dell’appuntamento e Lynda era ancora lontana dalla sede di lavoro. In quel momento squillò il cellulare, se lo aspettava. «E’ il mio capo! E adesso che cosa gli dico?», esclamò mentre cercava il tasto per rispondere alla chiamata. Ma, trovatolo, decise di non rispondere e lasciò squillare il telefono a vuoto fino a quando non si fermò dopo parecchi interminabili secondi. L’uomo la guardava attraverso lo specchietto retrovisore, accennando un timido sorriso per la ragazza. «Signorina, forse dovrebbe rispondere al suo capo, che ne dice? Può sempre inventare una piccola bugia, per guadagnare un po’ di tempo prezioso. Ormai non manca molto, tra quindici minuti al massimo saremo arrivati», pronunciò James con tono rassicurante, lanciando un eloquente gesto d’intesa non appena il telefono ricominciò a squillare. Lynda rispose. «Jack! Ciao, buongiorno!», rispose Lynda con un tono quasi infantile. «Buongiorno un corno Lynda! Dove diavolo sei finita? Yamada è già qui da cinque minuti in sala riunioni. Non un minuto, ben cinque!» «Si Jack hai ragione. Ma vedi, ho avuto un grosso problema questa mattina! La sveglia si è rotta, mi sono alzata tardi perché ieri sera ho lavorato fino a notte fonda per mettere a punto la presentazione. Poi stamattina c’è un traffico incredibile! E per di più una signora anziana è caduta per strada, non ci crederai proprio davanti a me, non potevo non aiutarla, capisci….», ansimò Lynda senza tregua. James sorrideva, compiacendosi del fatto che Lynda avesse seguito il suo
consiglio. Le strizzò un occhio ma la invitò a non esagerare con le bugie. «Ma che cosa stai dicendo? La signora è caduta, tu sei corsa da lei per aiutarla a rialzarsi e magari l’hai anche accompagnata all’ospedale! Una signora da aiutare proprio stamattina, proprio oggi che abbiamo qui i giapponesi? Lynda, tu non sai mentire! Per favore cerca di muoverti, ti voglio qui tra cinque minuti, non uno di più! Sono stato chiaro?», sbottò il suo capo Jack, prima di riattaccare senza nemmeno attendere una risposta da parte della ragazza. «Ha visto James? Non ha funzionato! Non mi ha creduto!» «Ma io le avevo suggerito di inventare una piccola bugia, non una balla gigantesca come questa!», rispose James sorridendo, «Quanto tempo ha a disposizione?». «Cinque minuti, oppure è la fine. La mia fine!». «Ora in cinque minuti a piedi dovrebbe farcela, arriverà un po’ stanca ma tutto sommato ancora viva. Attraversi il centro Commerciale che trova qui alla sua destra, poi prosegua sempre dritto e oltrei l’area pedonale». «Si è vero! Conduce direttamente alla piazza antistante l’azienda! Grazie James! Quant’è per la corsa?», chiese Lynda in segno di ringraziamento. «Per oggi nulla, ci penserà domani quando sarà più tranquilla e meno di fretta. La prossima volta però faccia suonare prima la sveglia, ok? Forza vada ora, vada!». «Seguirò il tuo consiglio James, grazie», rispose, inviandole un bacio con la mano che l’uomo accettò di buon grado, stimandosi per la dolce conquista. Lynda percorse le poche centinaia di metri a piedi con o sostenuto e a tratti accennando ad una leggera corsa. Cominciò a sudare, era appena scesa dall’auto con l’aria condizionata accesa e all’aperto la prima calura di Maggio si faceva già ben sentire. Arrivata davanti all’entrata, la porta le si spalancò davanti. Lynda entrò di corsa mentre la receptionist le veniva incontro. «Signorina Grant, Jack Brown la sta aspettando in sala riunioni con i giapponesi, dice che siete già in ritardo!»
«Si lo so, lo so! Altrimenti secondo lei per quale motivo starei correndo? Per mantenermi in forma forse?», rispose Lynda, estremamente infastidita dall’insolenza di quella semplice receptionist che si era presa la libertà di farle un appunto per il suo ritardo. «La sala riunioni è al quarto piano e stamattina abbiamo un problema con gli ascensori! Temo dovrà utilizzare le scale signorina Grant», gridò la ragazza mentre Lynda correva verso le rampe agitando le mani come una pazza in preda ad una crisi di nervi. Le stava andando tutto storto, come sempre quando aveva da portare a termine qualcosa di veramente importante! Arrivata davanti alla sala riunioni rallentò, si ricompose aggiustandosi la gonna e la camicia del suo elegante tailleur. Si guardò sotto le ascelle, erano un po’ bagnate e delle chiazze di sudore si erano fatte spazio sulla stoffa ma potevano ancora andare, avrebbe evitato di alzare le braccia più dello stretto necessario. E poi, i giapponesi non sudavano? Aprì la porta ed entrò. Nella sala regnava il silenzio totale, come in chiesa alle tre del pomeriggio di una giornata lavorativa nel mese di agosto. Jack la guardò prima per un forte rimprovero e poi per accennarle un sorriso forzato e presentarla al meglio che poteva ai giapponesi, nel tentativo di rimediare ad un danno ormai fatto. Lynda diede una rapida occhiata alle persone, ne contò ben cinque con gli occhi a mandorla e la pelle gialla come la buccia di un limone andato a male. Chi di questi era Yamada? «Yamada-san, mi permetta di presentarle la nostra Lynda Grant, con lei avete intrapreso le prime trattative e i contatti relativi al progetto che oggi lei stessa avrà il piacere di presentarvi. Linda, questo è il presidente Yamada e con lui ci sono i signori Mizuke, Koboashi, Okano e Fukura». I giapponesi si alzarono in piedi in sequenza, come se fosse stato ordinato loro di farlo dopo essere stati chiamati per nome. La loro movenza ricordava i martelletti dei tasti di un pianoforte che si alzavano per colpire le corde tese ed emettere il loro suono. S’inchinarono e Jack rispose all’inchino. Ognuno di loro s’inchinò secondo un angolo diverso e a partire da Yamada, che aveva semplicemente piegato la testa in avanti, sembravano formare uno scivolo. In quel momento Lynda realizzò di non aver riato bene la lezione sull’inchino quel mattino. Cosa poteva fare? Decise di inchinarsi il più possibile, pensando che così facendo avrebbe espresso il suo massimo grado di rispetto, allineandosi all’inchino più basso rilevato tra i presenti. Jack la guardò irritato indicandole di inchinarsi di più, molto di più! Ma perché mai? Oh si, l’aveva dimenticato! Lei
era una donna! Ma come poteva inchinarsi più di così se quasi toccava con il volto il piano del tavolo? Yamada e uno dei suoi scagnozzi del quale aveva già dimenticato il nome cominciarono a parlare tra di loro in giapponese. Yamada era imibile, immobile come un tronco di legno in una stanza chiusa e privata di aria. A malapena muoveva le labbra e i suoi occhi sembravano immobilizzati, nascosti dietro le gonfie palpebre. L’altro individuo continuava a muovere il capo in su e in giù, per indicare che ciò che gli veniva detto era da lui ben compreso. Al termine il sottoposto accennò un inchino atto a chiedere la parola e cominciò a riportare ciò che gli era stato comunicato. «Yamada-san dice che possiamo iniziare la nostra riunione», disse indirizzando lo sguardo verso Jack il quale replicò subito in tono di approvazione con un sorriso. «Benissimo! Quindi lascio la parola a Lynda che ora vi presenterà nel dettaglio il progetto per la produzione e…». «Ma Yamada-san dice anche che il business è fatto dagli uomini e vuole quindi che sia un uomo a presentare oggi questo progetto». Nella sala calò un gelido silenzio. Lynda era incredula, non riusciva a credere alle sue orecchie. Sentiva solamente freddo, tanto freddo. Forse era arrivato l’inverno, dentro di lei. «Ma che figlio di…» «Lynda! Per cortesia!», la sgridò Jack. Poi rivolgendosi ai giapponesi chiese un minuto per parlare con la ragazza. Uscirono dalla sala. «Devo farti una cortesia? E per che cosa, scusa? Lo hai sentito che cosa ha detto quel bifolco? Vuole parlare con un uomo, non con me!». «E cosa ci posso fare io Lynda, è insito nella loro cultura, dovresti saperlo! Sono giapponesi, vivono di apparenze e di regole sociali! E’ un paese dove le leggi son fatte dagli uomini, che cosa pretendi?». «No Jack, io non so proprio nulla e nulla voglio sapere. Io sono entrata in contatto con loro, io sono la persona che ha sviluppato il progetto e io lo
presenterò a questi “signori”. Che gli stia bene oppure no! Non è vero Jack?», disse Lynda fissandolo dritto negli occhi fin quando lui non li abbassò per guardarsi le scarpe. «Vero Jack? Dico bene? Ti prego Jack!», gridò Lynda con le lacrime che cominciavano a riempirle gli occhi e che a stento riusciva a trattenere. «Lynda, gli interessi dell’azienda vengono prima di tutto e di tutti. Tu lo sai quanto ti sono amico e quanti stimi il tuo lavoro e il tuo operato qui dentro. Avrai la tua promozione comunque, non preoccuparti per questo. In fin dei conti il lavoro è comunque tutto tuo. Vogliono che sia un uomo a presentare? Un uomo avranno!». «Ma non mi puoi fare questo! Io non voglio la tua elemosina, questa promozione me la sono cercata, ho combattuto per averla e penso di essermela meritatamente guadagnata. Voglio portare avanti tutto io fino alla fine. Jack, per favore! Fa che sia io a presentare il mio lavoro! Sono sicura che puoi convincerli», replicò Lynda, senza distogliere lo sguardo da quello dell’uomo che, però, non aveva armi a sua disposizione per difendere ed esaudire la richiesta della giovane. Riusciva a capirla perfettamente, era ato anche lui in una situazione simile e sapeva quanto fosse frustrante e difficile da accettare. Ma come lui aveva capito a suo tempo, era sicuro che anche l’intelligentissima Lynda lo avrebbe fatto. Ripensò alle parole che gli disse il suo capo in quella occasione e decise di riciclarle in quella occasione. «Lynda, ora vai in bagno a sistemarti il viso, te lo sto chiedendo come tuo capo. Non puoi presentarti in questo stato davanti a queste persone. La presentazione del progetto la farà Gregory». «Chi scusa? Gregory? Quel viscido verme raccomandato?». «Lui. E’ pur sempre il nipote del Presidente della nostra società, quindi ti chiedo di mantenere un tono di rispetto quando parli di lui. Vai in bagno ora, veloce! E cerca di rientrare in aula il prima possibile, non possiamo aspettare ancora spazientire i nostri ospiti più di quanto non abbiamo già fatto», rispose Jack appoggiandole in segno amichevole una mano sulla spalla. «Non mi toccare Jack, mi fai schifo anche tu come loro! Tutti qui dentro mi fanno schifo! Anche quelle piante vicino alla finestra, mi hanno sempre fatto schifo! Ma non ho mai detto nulla, ho sempre inghiottito il rospo in attesa di
questo giorno! E ora che è arrivato sono io quella che viene tagliata fuori dai giochi, perché sono donna e non mi è permesso partecipare. Ma che scherzo è mai questo?». «E quindi hai scelto proprio questo momento per parlare Lynda? Proprio ora che sei ad un o dal raggiungimento del tuo obiettivo? Cos’altro vuoi dire?», replicò Jack con un leggero sorriso, nel tentativo di rassicurala. Ma Lynda non fu dello stesso avviso. «C’è ancora una cosa che vorrei dire Jack», continuò Lynda, scura in volto, «Andate tutti a farvi fottere, tu compreso Jack. Io mi licenzio, vedetevela voi uomini qui dentro!». «Lynda ti prego di ragionare, per favore! Non fare la bambinetta insolente! Dai vieni qui, ti aspetto dentro, muoviti! Ne parleremo meglio dopo, quando il contratto sarà stato firmato e io avrò il piacere di ufficializzare la tua promozione!», implorò Jack alla volta della ragazza che, invece di dirigersi verso i bagni per darsi una sistemata, aveva imboccato la rampa delle scale, in preda ad uno sfrenato sfogo di pianto.
2.
Sentì sbattere forte la porta d’ingresso e sobbalzò, raddrizzando le orecchie e prestando la massima attenzione ad ogni singolo rumore che percepiva. Puh non si aspettava di veder rincasare la sua padroncina così presto, quando ancora la forte luce del sole filtrava attraverso le enormi vetrate dell’appartamento che dai piani alti si affacciavano sulla città. Le corse incontro abbaiando e saltando sulle quattro zampe come sempre faceva ogni giorno, pronto a giocare con lei e a ricevere le carezze dalle sue mani morbide come la seta. Ma il suo cuore di cane intuì che qualche cosa in lei non andava come al solito: smise di abbaiare, lo scodinzolio della sua coda rallentò e si accucciò, appoggiando il musetto sulle zampette unite ma senza togliere gli occhi di dosso alla sua padroncina. Immobile in quella posizione, la seguiva con gli occhi in ogni suo movimento. Lynda, ancora in preda al pianto e alla tristezza che provava nel cuore, si chinò per accarezzarlo e per ringraziarlo di quella sua complicità che le offriva senza chiedere mai nulla in cambio. Puh era davvero il suo unico, vero amico. Poco importava che si trattasse di un cane, era l’unico essere in grado di donarle un po’ di serenità. «Caro il mio Puh! Sai, a volte invidio il tuo stato d’essere, la tua libertà. Vorrei essere come te, libero, spensierato. Vorrei poter correre felice rincorrendo una palla, come facevo da bambina quando mamma e papà mi portavano in vacanza dai nonni e dalla zia Beth, in Cornovaglia. Cara zia Beth! Insisteva nel volermi insegnare a preparare la marmellata! Ed ero diventata anche brava, sai Puh?». Le lacrime di Lynda continuavano a solcarle il viso già arrossato, deformato dai due occhi blu come l’oceano, gonfiatisi come due meloni per il troppo pianto. Una lacrima trovò un nuovo percorso sul volto di Lynda, una parte rimasta ancora stranamente asciutta, e terminò la sua corsa sul naso di Puh. Il cane la sentì, la leccò via e poi si alzò per leccare il viso della ragazza che cominciò a ridere come sempre faceva quando il suo cane la trattava in quel modo. «Dai Puh, smettila!», diceva mentre finalmente il pianto si diradava, lasciando emergere nuovamente il suo bel sorriso. «Ti voglio bene, mio dolce campione!», disse diretta al cane che, compiaciuto, si lasciava accarezzare la pancia ben volentieri, «Riesci sempre a tirarmi su. Come
farei senza di te?». Puh rispose ancora con un timido lamento, per indicarle che aveva capito e che, fin quando gli sarebbe stato possibile, non l’avrebbe mai lasciata. «Dai forza, scendiamo e facciamo una eggiata all’aria aperta!». Il cane non se lo fece ripetere due volte! Non capiva il perché di quel fuori programma, ma gli piaceva e voleva approfittare di quell’irripetibile momento di fortuna. Il sole splendeva alto nel cielo, Lynda lo notava filtrare tra un palazzo e l’altro, disegnando sull’asfalto il profilo ombrato delle anonime facciate. Non era solita eggiare in settimana a quell’ora nelle strade della città, lei avrebbe dovuto essere in ufficio come sempre in quel momento. Invece la rabbia che l’aveva corrosa quel mattino le aveva poi suggerito di regalarsi un momento di evasione, tutto per lei e per il suo fedele Puh che zampettava felice accanto a lei. Si lasciava trafiggere dai raggi del sole, sperando di trarne beneficio per portare un po’ di calore al suo animo congelato. Com’era diversa la città vista con quegli occhi, ora che sentiva il vuoto dentro di lei accompagnare l’assenza totale di aspettative! Quella eggiata clandestina le ricordava le volte in cui, da piccola, aveva saltato la scuola per sarsela con le compagne al parco o nelle città vicine! Si, quando succedeva le furbacchione prendevano i mezzi pubblici e si allontanavano dalla città, per evitare di essere scoperte dal fornaio, dal lattaio o dal droghiere. Quelli si che erano tempi belli! Tempi che a Lynda sembravano ormai così lontani, come facenti parte di una vita ata e per lei ormai definitivamente conclusa. Una macchina accostò e Puh cominciò ad abbaiare. «Signorina Lynda!». «James!», rispose Lynda altrettanto sorpresa di vedere il fedele tassista. «Signorina, non dovrebbe essere in ufficio con i giapponesi ora?», chiese James sorpreso nel vedere la ragazza a piedi per strada in una situazione tanto insolita. Capì che qualche cosa non doveva essere andato per il verso giusto. Ritirò quindi il suo grosso corpo all’interno dell’auto, facendo cenno a Lynda di salire in auto. «Non posso James, non ho soldi con me. Sono uscita distrattamente e ho lasciato il mio portafogli in casa, mi devi scusare. E poi c’è il mio cucciolo Puh qui con me, non so se è il caso». James guardò il cane e prese le sue misure ad occhio:
«Beh, son pur sempre più grosso io di lui, non ti pare? E per quanto riguarda la corsa, diciamo che sono in pausa e che quindi è gratis!», rispose per concludere il suo invito. Lynda sorrise aprì la portiera e guardò Puh che accolse l’intesa e balzò subito all’interno della vettura. Lynda si aspettava un po’ di domande da parte del suo amico James. Per lei era più di un semplice tassista. James era stato quasi come un padre per lei fin da quando era piccola. Quel padre mancato capace di ricoprire la ragazza di attenzioni e cure, dandole ciò che il suo vero padre biologico non era stato in grado di darle per via del suo attaccamento al lavoro, così morboso da avergli fatto perdere qualunque interesse per le emozioni vissute in famiglia. Forse lui le riteneva meno importanti delle gratificazioni che la sua prestigiosa carica di Senatore poteva offrirgli. E così che non visse mai gli anni leggeri e spensierati di una Lynda bambina, di quell’unica figlia arrivata per caso e alla quale non era mai stato capace di dire davvero ‘ti voglio bene piccola’. E Lynda, da parte sua, non chiedeva nulla. Non sentiva nulla sgorgare dal cuore di quell’uomo, perché mai doveva provare il desiderio di sentirsi amata come una figlia da lui? Ma, nonostante tutto, si chiedeva spesso il perché ciò non accadesse. Riceveva dalla mamma e da James tutto ciò che le serviva, l’affetto e ogni cura nei suoi confronti provenivano da loro, perché preoccuparsi quindi di quell’altro uomo che non era mai stato veramente presente in occasione delle sue decisioni, dei suoi pianti e dei suoi momenti di gioia? Dai comportamenti del padre Lynda aveva dedotto il significato di quella forma di sentimento che tutti chiamano comunemente “indifferenza”. Ma con James era tutto diverso! James lavorava stabilmente per la loro famiglia da tanto tempo. Era la persona che ogni mattina la accompagnava a scuola e andava a riprenderla al termine delle lezioni, era la persona che per prima veniva a conoscenza degli avvenimenti accadutile durante la giornata, i voti presi nei compiti e nelle interrogazioni, le discussioni fatte con le amiche, i litigi, i primi innamoramenti. James conosceva i suoi sogni e nella sua posizione di semplice dipendente agli occhi di tutti avrebbe donato la sua anima per aiutarla a realizzarli. Un giorno dopo essere stata lasciata a scuola, qualcuno la vide allontanarsi dal cancello d’entrata con le sue solite amiche e informò il padre e la madre. Quella sera il Senatore chiamò James per chiedergli un chiarimento e per verificare se quanto gli era stato raccontato corrispondeva a realtà. Una punizione esemplare per Lynda era già pronta, la parola di James sarebbe stata quella decisiva. «No Senatore Grant. La signorina Lynda questa mattina è andata a scuola regolarmente come fa ogni giorno. Io personalmente sono rimasto qualche
minuto fermo sulla strada per assicurarmi di vederla entrare, fino alla chiusura dei cancelli. A questa età i ragazzi vanno controllati, lei mi capisce non è vero? Forse chi le ha raccontato di aver visto la signorina con le sue amiche in giro al parco deve essersi confuso con altre persone», mentì spudoratamente. La madre di Lynda lo capì subito e sorrise. Il Senatore invece, troppo impegnato per pensare alla punizione che aveva preparato, non aveva nemmeno notato che nessuno prima aveva accennato che le ragazze sarebbero state viste nel parco della città! Il Senatore rilasciò l’uomo che si diresse subito verso la porta di casa. Aprì la porta con la mano tremante mentre con l’altra riposizionava il cappello della sua divisa di autista diplomatico sopra la sua testa. Sarah, la moglie del Senatore lo anticipò, gli aprì la porta e lo ringraziò con un sorriso e con parole di riguardo mentre gli dimostrava la sua complicità. «La prossima volta faccia più attenzione James. Lei lo sa meglio di me, fornire troppi dettagli non porta lontano! John è poco attento in queste situazioni ma non è stupido», disse accarezzando la spalla dell’uomo con la sua mano profumata e carica di gioielli. Com’era elegante e bella quella donna! A James piaceva da sempre, fin dal primo giorno che l’aveva vista per accompagnare lei e la signorina Lynda al suo primo giorno di scuola. Le sue labbra erano ricoperte da un bel rossetto di un intenso colore rosa e i suoi vestiti rilasciavano nell’aria un delicato profumo di mughetto. Quando la donna scendeva dall’auto, l’aria nell’abitacolo rimaneva satura di quel profumo per ore e James se le godeva tutte, traendone un enorme piacere. Era la donna che amava, ma era anche la moglie del Senatore John Grant, il suo datore di lavoro! Si costrinse quindi a soffocare il suo sentimento, amando quella donna in segreto nei suoi pensieri ma anche concretamente attraverso le sue azioni e attenzioni. E amava la piccola Lynda alla follia, una bambina troppo simile alla madre e che man mano che cresceva, tendeva ad assomigliarle sempre di più. Ma quella “prossima volta” non arrivò mai. Uno scandalo coinvolse il Senatore che fu immediatamente allontanato dal suo incarico. La sua immagine per tanto tempo coltivata e abituata a prevalere su quella degli altri fu compromessa al punto da farlo apparire ridicolo agli occhi delle persone. Il padre si rinchiuse in casa senza uscire mai e sfogava la sua rabbia sulla madre e su Lynda ogni volta che si vedeva beffeggiato in televisione, nei notiziari o nei talk show. Era riuscito ad emergere come personaggio dell’anno ma sotto una valenza estremamente negativa. Gli fu tolta la scorta ed ogni tipo di beneficio assegnato ai personaggi
come lui, compresa l’auto governativa e, di conseguenza, il suo autista. James quindi li salutò, era commosso mentre lo faceva e non trattenne le lacrime quando la piccola Lynda abbracciandolo gli disse: «Tornerai presto a trovarci zio James, vero? Io e la mamma ti aspetteremo, ci mancherai tanto». Lynda lo chiamava zio proprio perché la presenza di un padre biologico non le permetteva di chiamarlo papà, come forse lei avrebbe desiderato. Ed ogni volta James si scioglieva in lacrime come la neve al sole e assaporava la dolcezza di quella bambina fino in fondo, regalandole in cambio tenere carezze. Anche la madre lo abbracciò ricordandogli che era davvero un buon uomo e senza trattenere lacrime di commozione. Tra i due esisteva una chiara sintonia, era visibile a tutti, forse anche al Senatore. Un giorno si sarebbero incontrati nuovamente, ne erano entrambi convinti. Nel momento del saluto, la donna più che mai profumava di un’intensa fragranza di mughetto fresco. Il Senatore John Grant si tolse la vita in una fredda mattinata d’inverno, pochi giorni dopo quello del triste saluto d’addio con James. Fu la moglie a sentire uno sparo proveniente dal salotto e quando accorse vide il corpo del marito disteso a terra, immerso in una pozza di sangue. Chiamò subito aiuto ma quando arrivarono i soccorsi era già troppo tardi, suo marito era già morto. Sul tavolo l’uomo aveva lasciato una lettera che Sarah lesse attentamente, più volte, senza poter trattenere le lacrime. Si fermò solo quando arrivò la polizia che lei aveva chiamato in precedenza. James apprese la notizia dalla televisione e chiamò Sarah per porgere le sue condoglianze e farsi comunicare quando e dove si sarebbero tenute le esequie funebri. Anche se in corrispondenza di un evento così triste, James fu felice di rivedere a distanza di poco tempo Sarah e la figlia Lynda. Si abbracciarono, ma quel giorno James non sentì profumo di mughetto provenire dal suo corpo ma solo una anonima fragranza di fiori misti, di quelle che si sentono di solito ai funerali. Sarah gli mostrò la lettera del marito. James la lesse con attenzione, poi abbassò gli occhi e abbracciò la donna e infine Lynda prima di abbandonarsi a sua volta alle lacrime. L’anno successivo Lynda andò al college, cominciò la sua vita da piccola vera donna, scoprì le gioie che la mondanità e i suoi vizi potevano darle, i piaceri del sesso, le prime storie d’amore più o meno serie, le preoccupazioni che laceravano lo spirito. Cominciò a coltivare la sua cultura e i suoi interessi verso quella che sarebbe divenuta in futuro la sua occupazione fino ad arrivare al giorno della laurea. Aveva plasmato un carattere adatto e rivolto i suoi interessi
verso il mondo degli affari, del successo economico e della realizzazione personale. Le sue innate doti di oratrice, la sicurezza che trasmetteva durante i colloqui, la sua capacità di convincere l’interlocutore a fare ciò che lei desiderava erano da sempre stati i suoi punti di forza. James le aveva insegnato a credere in se stessa e lei lo aveva capito fin da subito. «Credi sempre in te stessa e nelle tue capacità, parla con il tuo cuore ed esprimi sempre i tuoi pensieri ma in prima persona. Mettiti in gioco, lotta in prima linea se vuoi vincere tu la battaglia. Altrimenti resterai solo una semplice pedina e morirai al servizio di altri che, forse, non sapranno mai nulla della tua esistenza. Lascia la tua firma nel mondo, la tua impronta. Tu puoi farlo! Sii te stessa e andrai sempre avanti per la strada che ti sei prefissata. Non importa se sarai una tassista o se vestirai una importante carica da qualche parte, ciò che conta è sempre e solo ciò che vedrai riflesso nello specchio quando ti guarderai, perché tu sei quello e nient’altro», le diceva spesso James mentre l’accompagnava a scuola al mattino. E Lynda spesso sbuffava, aveva sentito quella lezione troppe volte e non era incline ad annoiarsi con quella frequenza. Era pur sempre una bambina, perché non veniva considerata per l’età che aveva? Ma una volta cresciuta capì realmente quanto importanti fossero state quelle parole per la sua crescita, per la sua professione, per tutta se stessa. E in cuor suo non smise mai di ringraziare quel semplice autista, suo amico, per avergliele dette più e più volte. Seduta sul sedile posteriore dell’auto accanto al suo Puh che si era elegantemente riposto sul tappetino, cercava di evitare gli occhi verdi di James che, nonostante l’ormai avanzata età, risplendevano sempre di una luce propria, particolare. James non parlava, si limitava a fissare il volto di Lynda attraverso lo specchietto retrovisore nell’attesa che fosse lei a cominciare il racconto, proprio come faceva ogni giorno quando, pronta a vuotare il sacco, gli raccontava tutti i dettagli dei suoi numerosi successi. Ma quel giorno il racconto sarebbe stato diverso, James l’aveva capito. Lynda si arrese, incrociò gli occhi di James che in un lampo espressero il consenso all’ascolto e la ragazza cominciò a parlare. «Oggi non è una buona giornata James», esordì. «E perché mai signorina Lynda? E’ primavera, spende un bel sole, lei è a eggio con il suo bel cane. Cosa c’è che non va?», rispose James, come sempre con il suo rassicurante modo di fare paterno. Lynda gli sorrise, senza
rispondere. «Ecco signorina, così va decisamente meglio, non crede? Io sono un uomo anziano ormai, sto per ritirarmi per trascorrere in serenità gli anni che mi restano da vivere, quelli che il Signore vorrà concedermi ancora. Nei suoi occhi, signorina, vedo solo l’espressione di una bambina capricciosa. Ricorda quando era piccina e voleva a tutti i costi che le cose andassero come lei desiderava? E quando le cose andavano in modo diverso lei cominciava a piangere, come se così facendo potesse cambiarne il corso a proprio favore. A volte ci riusciva, sa? Oh si che ci riusciva! Ma a volte le cose erano giusto un poco più grandi di lei e il pianto non la aiutava per nulla. Ricorda tutto questo?». Lynda accennò un timido si con un gesto del capo, mentre manteneva gli occhi bassi. James continuò a parlare. «E ricorda come e quando le ritornava il sorriso?», chiese l’uomo. «No, non me lo ricordo», mentì Lynda. In realtà lei aveva già capito dove volesse arrivare l’amico. «Oh suvvia signorina! Sono più grande di lei di un bel pezzo! Grande e grosso direi! Faccia uno sforzo, provi a ricordare!». «James, davvero non ricordo, son ati tanti anni», mentì nuovamente ma le sue labbra cominciavano a tradire un accenno di sorriso malizioso. «Va bene, allora se non ricorda davvero cercherò ora di darle un piccolo aiuto. Vedrà, sarà un successo!». James mise in moto l’auto e cominciò a guidare sorridendo e fischiettando una melodia che riportò Lynda indietro nel tempo, a quando era bambina e preparava le confetture con zia Beth.
“Confettura di ciliegia, per una colazione regia. Dolcetto all’albicocca porta all’estasi la bocca. Un litro di Sorbetto alla banana, non mi dura nemmeno una settimana. Confettura di pesca, se non lo hai stai fresca!”
Lynda recitò quelle parole guidata dalla melodia che usciva dalle labbra di James, scoppiando a ridere non appena quelle immagini arrivarono a ripopolarle
la mente. «Oh James, suvvia! Si si certo, mi tornava l’allegria, svanivano i pensieri cattivi. Ma durava poco perché poi quegli infami tornavano a massacrarmi le meningi», riprese Lynda mantenendo un bel sorriso sulle labbra. «Si certo. Tornavano perché in realtà non faceva nulla per sconfiggerli definitivamente. Non è forse così?». «Si», rispose Lynda a voce molto bassa. «Mi scusi ma non ho colto la sua risposta, signorina!», continuò James che, invece, aveva capito benissimo. «Ho detto si!», ripeté Lynda, questa volta con un tono decisamente più alto e rassicurante. «Bene. Allora andiamo!», la sfidò James. «Ma dove stiamo andando?» «La porto in un posticino dove lei, signorina, potrà sentirsi a suo agio e potrà raccontarmi tutto quanto di brutto le è accaduto oggi e insieme proveremo a trovare una soluzione al suo problema. Ci vorrà un po’ di tempo ma ne varrà la pena. Ora si metta comoda, si rilassi e se riesce provi a riposare un po’. Si sentirà già molto meglio dopo, vedrà». Lynda sorrise e guardò Puh che dormiva già da un po’, sdraiato comodamente sul tappetino dell’auto. Le curve sulla strada, le leggere ondulazioni e il rumore sordo del motore la cullavano. Si sentì avvolgere dalle braccia del sonno e decise di abbandonarsi ad esso. In fin dei conti era serena in quel momento e in compagnia di quel suo “mancato padre” si sentiva nuovamente bambina. La filastrocca accennata da James le risuonava nella mente, via via la sentiva sempre più lontana, più fievole, fino a spegnersi completamente quando si addormentò. Sognò una bambina che correva libera nel verde sconfinato dei prati inglesi, che raccoglieva conchiglie bianche sulle piccole spiagge nascoste tra le scogliere della Cornovaglia, vide zia Beth che, ferma sull’uscio del suo cottage, la chiamava a squarciagola mentre lei si divertiva a nascondersi tra le piante del suo giardino di rododendri. Sentì il profumo e il sapore della frutta fresca appena tagliata, quella raccolta, pulita e messa a bollire per poter essere
trasformata in ottima confettura fatta in casa. Zia Beth era la maga delle confetture! Era divenuta molto famosa, le sue confetture e i suoi dolci erano così conosciuti in tutto il paese e nelle città vicine che fu praticamente costretta ad aprire una piccola pasticceria e trasformare un suo hobby in attività, per poter soddisfare tutte le richieste che le venivano fatte. Molta gente andava a trovarla con la scusa più banale per poter avere la possibilità di assaggiare ancora una volta le sue gustose ricette. E Lynda voleva imparare tutto da lei, ogni segreto, ogni esperimento, ogni ricetta. Ma le estati duravano troppo poco e ben presto arrivava il momento di ritornare a casa, in città, per dedicarsi allo studio al quale il Senatore Grant teneva tanto: avere una figlia ignorante non avrebbe affatto giovato alla sua figura di uomo diplomatico, non poteva permetterselo! Poi nel sogno cominciarono a cadere gocce di pioggia mentre i fulmini perforavano l’aria, rischiarando a giorno il cielo divenuto via via scuro come la notte. Il verde dei campi aveva lasciato il posto alla gelida neve ghiacciata dell’inverno. La piccola correva a fatica, completamente bagnata dalla pioggia che non le dava tregua e cadeva pungente sui suoi occhi costringendola a tenerli chiusi. La bimba inciampò e rovinò a terra, cadendo nel fango denso di una pozzanghera. Alzò il volto completamente sporco di terra e guardò dritta davanti a se: vide il cottage di zia Beth privo di luce, solo la luce fioca di una candela già consumata donava un lieve barlume. Zia Beth stava in piedi sulla soglia di casa e la guardava mentre piangeva. La bimba gridava alla zia, le chiedeva aiuto. Ma zia Beth non si muoveva, continuava a piangere. Poi alzò la mano e con un cenno salutò nuovamente la bimba, per poi rientrare in casa richiudendo la porta dietro di se. La bimba piangeva e gridava a squarciagola, si sentiva sola e tradita da quella zia che tanto aveva amato e che rispettava come esempio da seguire e da emulare. Poi anche la luce della candela si spense e intorno alla bimba regnarono le tenebre. Non la luna, non una stella erano presenti in cielo per rischiarare quella notte. La bimba se ne stava lì ferma, immobile e avvolta dall’oscurità, senza poter fare nulla. Ad un tratto una voce conosciuta la ridestò: era sua madre che la chiamava restando ferma sul ciglio della strada con una candela in mano. La giovane Lynda si alzò, non provava più alcun dolore e s’incamminò verso di lei sempre più velocemente, fino a quando non vide la madre svanire nel nulla e si sentì cadere nel vuoto, come all’interno di un pozzo senza fine.
3.
Lynda si svegliò di colpo. Puh la fissava immobile e in silenzio, con i suoi grossi occhi neri spalancati e puntati verso di lei. Anche James la guardava mentre parcheggiava l’auto, erano giunti a destinazione. Doveva essersi agitata parecchio durante il sonno, pensò. «Sogni agitati signorina?», chiese James. «Era iniziato bene, come un bel sogno, ma poi s’è trasformato in un vero incubo», replicò decisa. «Capita spesso anche nella vita reale, non è così?» «Purtroppo si caro James». «Proprio come quello che è accaduto a lei questa mattina e che l’ha tanto sconvolta. Forse tra il brutto sogno che ha appena fatto e quello che le è accaduto oggi c’è un qualche tipo di legame. Sa, la mente a volte ci gioca davvero brutti scherzi». «Non saprei che cosa dire. Forse solo la parte finale, la caduta nel vuoto mentre ci si dirige verso ciò che si credeva essere la nostra salvezza. Davvero non lo so, e non so che farci. Lascio correre, accada quel che accada». «Molto bene signorina Lynda, siamo sulla strada giusta allora. Lasciamo al destino e al tempo la libertà di agire per conto nostro, loro sapranno consigliarci al meglio», concluse James con il suo solito sorriso tenero e rassicurante. «James, ascolta». «Mi dica signorina». «Da quanti anni ci conosciamo?» «Da quando lei ha cominciato ad andare a scuola, signorina», rispose James voltandosi verso la ragazza con una chiara espressione interrogativa impressa sul
volto. Quella domanda buttata lì a freddo lo aveva molto sorpreso. «Bene. Ora io ho trent’anni, quindi sono ati circa ventiquattro anni, giusto?» «Oh si signorina! Come a in fretta il tempo! Ben ventiquattro anni sono trascorsi e sembra giusto ieri il giorno in cui l’aiutai a salire per la prima volta sulla mia macchina. Sua madre era con noi, se lo ricorda?». «Certo, ricordo benissimo! Mia madre non mi lasciava mai sola. Ma senti, è mai possibile che dopo tutti questi anni tu non abbia ancora smesso di chiamarmi “signorina”?». «Oh beh si, signorina… Lynda. Ma vede per un uomo della mia età non è così facile concedersi questo tipo di libertà. Il Senatore Grant, suo padre, era il mio datore di lavoro e io sono stato abituato fin da piccolo a portare rispetto alle persone che mi davano il lavoro e mi permettevano di vivere dignitosamente. E quando una cosa ti entra nella testa in questo modo non è per nulla facile spazzarla via. Cuore e testa sono come due casseforti, una conserva i sentimenti, l’altra i ricordi». «Signor James, lei sta divagando!», puntualizzò Lynda con un sorriso. «Si, forse, ma…» «Ha qualche obiezione da dichiarare, signor James? E’ un ordine!», imperò Lynda mantenendo una sana espressione giocosa in volto. Stava bene, era serena, e lo lasciava vedere. «No, nessuna obiezione Lynda. Va bene se la chiamo Lynda d’ora in avanti?» «Si, diciamo che come inizio può andare bene, vedremo i progressi strada facendo. Ma non basta. Devi darmi del tu! Eddai, potrei essere tua figlia James! Te ne rendi conto?». James impallidì e sobbalzò in seguito a quella frase. «Va bene Lynda, per me è un piacere!», replicò James fiducioso in ciò che stava dicendo ma anche piuttosto scosso da quella richiesta inaspettata. «Quindi mi prometti che cancellerai dalla tua mente tutti quegli stupidi e superati
formalismi ottocenteschi nei miei confronti? Suvvia, viviamo nel ventunesimo secolo!», chiese Lynda attendendo la risposta di James che rimase fermo a fissarla negli occhi per qualche interminabile istante. «Ci proverò davvero, farò il possibile Lynda. Ma se qualche volta dovessi fallire la prego… ti prego di perdonarmi. Mi serve del tempo, sono un uomo anziano ormai. Sono cresciuto in una situazione diversa dalla sua e da quella che viviamo oggi. Anche per un dinosauro sarebbe un po’ complicato riuscire ad integrarsi adeguatamente nella nostra società. Prometto però che farò tutto quanto mi sarà possibile». Gli occhi dell’uomo non riuscivano a guardarla in quel momento. Ma il primo o per far calare il muro del riserbo era stato fatto e Lynda aveva ottenuto ancora una volta ciò che voleva. Ma questa volta non si trattava di un capriccio. Lynda scese dall’auto e Puh la seguì. Il cane stava nascosto dietro le gambe della ragazza, timoroso, mentre James si apprestava ad aprire la porta di una vecchia casa. «Dove siamo James?», chiese Lynda incuriosita e affascinata dal mistero che avvolgeva quella vecchia costruzione distante solo poche miglia dalla grande città. «Siamo a casa mia, Lynda. Questa è la mia casa di campagna, la casa dove sono nato e cresciuto. E’ tutto quello che mi ha lasciato la mia famiglia e ci vengo spesso a trascorrere i fine settimana per rilassarmi e godermi la natura. E’ piccola e molto semplice, una volta le famiglie povere come la nostra vivevano così. Prego Lynda, entriamo!», la invitò James, mentre con la mano indicava il aggio alla ragazza. Lynda entrò per prima e si meravigliò subito delle ridotte dimensioni della stanza d’ingresso. «E’ davvero piccolo qui, James. In quanti vivevate qui dentro?», chiese mentre con lo sguardo curioso analizzava ogni singolo oggetto che volutamente o meno veniva a trovarsi sulla sua traiettoria visiva. Erano vecchi oggetti che portavano addosso il peso degli anni ati dal giorno che furono creati. “Quante mani li avranno toccati”, pensò la giovane. Tuttavia erano ben spolverati, James ci teneva a mantenerli sempre puliti e in ordine. «Eravamo in cinque persone», rispose l’uomo.
«Cinque persone? Ma com’è possibile James. Non c’è spazio a sufficienza per cinque qui dentro, si soffocherebbe», chiese Lynda sorpresa da quella risposta. «Oh si, si stava un po’ stretti, si. Ma tutto questo aveva anche i suoi vantaggi! Tanti corpi così vicini aiutavano a tenere calda la casa durante i rigidi inverni che interessavano questa zona. Non avevamo il riscaldamento, faceva tutto quel caminetto laggiù. Ma la legna da ardere costava molto e noi non potevamo permetterci di bruciarne in grande quantità», rispose l’uomo con rassegnazione, «E poi ci si voleva bene. C’era amore, unione tra di noi e con nostro padre e nostra madre. E questo ci bastava per andare avanti con il sorriso. Ovviamente si doveva anche mangiare e i nostri genitori erano ormai anziani. Quindi noi figli ci rimboccammo le maniche e decidemmo di lasciare questa casa per andare a lavorare in città. Lavorammo davvero sodo, sa? Ma era giusto così, dovevamo pur sdebitarci con nostro padre e nostra madre per averci cresciuti forti e sani, nonostante le difficoltà economiche». Forse proprio qui era nascosto il segreto. Lynda non aveva idea di cosa significassero l’amore, l’unione e la complicità tra i componenti di una famiglia. Tutto questo lei non lo aveva mai vissuto in prima persona, come poteva saperlo? Quando a scuola la maestra chiedeva di scrivere per compito dei pensieri sulla famiglia, provava sempre una sensazione di imbarazzo e per non consegnare il foglio in bianco cominciava ad inventare, fantasticando con la sua fervida mente di bambina. Fortunatamente aveva una buona fantasia. La finzione regnava persino nelle immagini che lei stessa vedeva con la sua piccola mente creativa. Non replicò quindi all’affermazione di James, ma incassò il colpo, certa che l’uomo non lo aveva detto apposta per provocarle del dolore o dei risentimenti sull’affetto che le era stato negato. «Quindi qui vivevate tu, tuo padre e tua madre. Chi erano gli altri due?», chiese. «Gli altri due erano il mio povero fratello Richard, morto da parecchi anni ormai, possa Iddio conservare per sempre in pace la sua povera anima…», rispose James facendo il segno della croce prima di fermarsi per una breve pausa, «e sua moglie Beth». L’uomo sospirò con un’espressione seria dipinta sul volto, Lynda se ne accorse immediatamente. «Beth? Che cosa curiosa, si chiama come mia zia…», rispose la ragazza mentre
sorrideva, ma piuttosto insicura delle parole che aveva appena pronunciato. «Lynda, Beth è proprio tua zia!». Lynda non riuscì a credere a ciò che le sue orecchie stavano sentendo! Beth, la moglie del fratello di James e sua zia Beth, sorella di sua madre, amica complice e compagna delle sue estati inglesi erano la stessa persona! «Ma no James, non è possibile! Zia Beth vive in Cornovaglia da moltissimi anni ormai! Io trascorrevo tutte le mie estati da lei quando ero bambina, come può essere vero tutto ciò?». «E’ tutto vero infatti. Beth ci lasciò subito dopo la morte di Richard per ritornare alle sue origini, nel suo vecchio cottage in Cornovaglia. Facendo un rapido calcolo, tu avevi circa due anni quando lei partì per non tornare mai più qui». James guardava Lynda con tenerezza mentre allontanava una sedia dal tavolo per potersi sedere. Comprendeva bene lo stato di eccitazione misto a smarrimento che una tale notizia poteva averle dato. Lynda sapeva che la famiglia di sua madre era inglese ed aveva le sue radici in Cornovaglia. Sapeva che sua madre Sarah e sua zia Beth si erano trasferite a New York da giovani a causa del lavoro del padre, un ricco industriale che aveva proficui rapporti di lavoro con diverse società statunitensi. Sapeva anche che sua zia era rimasta vedova molto presto e che in seguito alla perdita del marito aveva deciso di tornare nella sua terra d’origine. Ma non era affatto al corrente dello stretto legame che si era formato tra la sua famiglia e quello di James, un semplice autista al servizio del Governo e quindi di suo padre. «Oh mio Dio James, sembra tutto così assurdo! Sono totalmente assalita dalle domande! Quindi tu saresti una specie di zio per me!», esclamò Lynda, completamente in balia delle onde di quella burrasca che l’aveva sommersa e che non riusciva ad affrontare. James esitò qualche istante prima di rispondere. «Un po’ alla lontana, ma diciamo di si. Una specie di zio», rispose senza però sembrare del tutto convincente agli occhi della ragazza. Lynda seguiva i legami di parentela indicandoli con un dito come se fossero stati scritti su un albero genealogico impresso nella sua mente. Tutto aveva un senso logico, James era per lei una sorta di zio. «E perché mia madre non mi ha mai raccontato nulla di tutto ciò?», chiese in
attesa che l’uomo le rispondesse, nella speranza di dissolvere in un colpo solo tutti i suoi dubbi. «Non lo posso dire con assoluta certezza ma penso che dietro a questa sua scelta o imposizione ci fosse la figura di tuo padre». «Mio padre?», chiese Lynda sempre più meravigliata. «Il Senatore Grant, esattamente». «Scusa ma non riesco a capire. Perché avrebbe dovuto mettersi in mezzo per una cosa del genere? Si trattava solo della nostra famiglia, di rapporti di parentela tra persone. Non aveva altro a cui pensare il Senatore?» «Oh si, certamente ne aveva. E proprio questo, io penso, fu il motivo trainante. Tuo padre aveva davanti a se una fiorente carriera politica, era ammirato e benvoluto da tutti. Era una brava persona all’inizio, mi devi credere! Ma in quell’ambiente le cose prima o poi cambiano, si sa. Si era creato una fitta rete di amicizie, alcune delle quali un po’ losche e poco raccomandabili, nella rete del quadro politico di allora. La sua immagine doveva quindi rimanere salda e ferma, legata a un quadretto di famiglia perfetto: lui, la sua cara moglie e la sua bambina. Ma intorno a questo quadretto roteavano anche altre persone. E una di queste era proprio Beth, una ragazzina un po’ troppo ribelle, con tante strane idee per la testa, così come venivano percepite dagli occhi di un personaggio benestante e importante, candidato a diventare ben presto un Senatore. Tua zia Beth s’innamorò di Richard, più giovane di me di qualche anno e legò molto con la nostra famiglia, al punto di accettare di trasferirsi qui, nella nostra casa. I miei genitori erano già molto anziani, mio padre ci lasciò per primo e mia madre lo seguì qualche anno dopo. Quindi, per un certo periodo di tempo Beth, Richard ed io vivemmo qui da soli sotto questo tetto. In casa nostra non girarono mai troppi soldi. Io lavoravo su richiesta come commesso presso piccoli negozi della zona mentre Richard, che aveva sempre mostrato una salute piuttosto cagionevole, si ammalò gravemente ai polmoni. Non poteva fare alcun tipo di sforzo. Fu durante questo periodo che Beth imparò l’arte pasticcera, in particolare la preparazione delle confetture e la lavorazione della cioccolata. Divenne una vera maestra in quel settore». James regalò un sorriso e una carezza a Lynda ma lei non reagì. Qualche cosa ancora le sfuggiva.
«E io dov’ero?», chiese per poter individuare almeno sommariamente quel periodo nel ato al quale ci si stava riferendo. «Tu eri appena nata. Tua zia Beth ti portò qui, in questa casa. Ma tu eri troppo piccola per ricordare. Ti teneva tra le sue braccia mentre ti cullava seduta su quella sedia laggiù cantandoti le ninna nanne inglesi che lei tanto amava. Tu chiudevi i tuoi occhietti e ti abbandonavi ai sogni. Sei sempre stata una bellissima bimba», rispose l’uomo indicando alla giovane una vecchia sedia con seduta di paglia accantonata contro la parete vicino al caminetto. In effetti questo spiegava quella vaga sensazione di familiarità che Lynda provò entrando in quella casa fin dal primo momento. «Mio padre e mia madre sono mai stati qui?». «Oh no, il senatore mai!», rispose James con un sorriso. «Per le stesse ragioni di prima?» «Per la sua immagine, penso proprio di si! Sarebbe stato troppo compromettente per un uomo come lui mescolarsi alla gente comune e dare a vedere in pubblico che aveva legami con la gente umile». «E quindi cosa successe dopo, come mai sei venuto a lavorare per noi?». «Fu Beth a convincere con molta fatica tua madre perché mi trovasse un lavoro stabile. La salute di Richard andava via via peggiorando e i medici ci comunicarono che non c’erano più speranze per lui ormai, anche se non sapevano dirci con esattezza quanto gli sarebbe rimasto da vivere. “Qualche mese, forse un anno” ci dicevano. Richard se ne andò dopo circa otto mesi. Le medicine dovevamo pur comprarle e ci costavano parecchi soldi. Con le conserve e i dolci di Beth non si riusciva a vivere in tre sotto questo tetto. Quindi io dovevo, e volevo, essere d’aiuto per tutti. Dopo un bel po’ d’insistenza e di pressione da parte di Beth verso tua madre Sarah, venni assunto presso di voi come autista personale di tuo padre, ormai divenuto Senatore secondo i suoi piani». «Quindi mio padre ha fatto una buona azione nella sua vita! Difficile da credere!».
«Infatti non crederlo. Il merito è stato tutto di quella santa donna di tua madre, Dio l’abbia sempre in gloria e in salute. Fu lei a convincere tuo padre del fatto che io sarei stato la persona giusta per voi, per via della mia personalità, della mia fisicità e della mia conoscenza delle lingue straniere. Sai, tanti anni fa ero molto più magro ed agile rispetto a quanto io non sia ora!». Lynda sorrise. «Quali lingue parli?» «Il se, Il Tedesco, un po’ di Spagnolo e di Italiano. Conosco anche qualche frase semplice in Giapponese». «Il Giapponese?» «Si, sono un autodidatta». Lynda lo guardò sorpresa e allo stesso tempo incredula per tutte le notizie che aveva ricevuto, tutte condensate in così poco tempo. «A proposito di Giappone e giapponesi…», tentò James per fuorviare il discorso che stava diventando pericoloso. «No James, non è il momento giusto per parlarne ora. Sono esausta e mi è venuto un forte mal di testa. Ti prego di scusarmi ma vorrei stare un po’ qui seduta per riprendermi». «Ma certo Lynda. Fai come se fossi a casa tua, mettiti pure comoda. Io intanto esco fuori a raccogliere un po’ di frutta fresca, proprio come faceva tua zia Beth!», concluse sorridendo es uscì dalla casa. Lynda si trovò da sola nella casa, confusa più che mai. Nascose il volto tra le mani e portò la testa a battere contro il piano del tavolo in legno massiccio, urtando il naso. Nelle cose che vedeva, nei dettagli che balzavano di volta in volta ai suoi occhi riconosceva qualche cosa di noto, di conosciuto e tutto questo piano piano la guidò, le permise di ritrovarsi in quell’ambiente. Certamente lo shock era stato forte, ma lei lo stava via via superando ed era certa che da lì a poco lo avrebbe annientato del tutto. Era ancora molto curiosa di conoscere il resto di quella storia, tante erano le domande che a tratti le venivano in mente, in modo disordinato, e che necessitavano di una risposta perché potessero essere
considerate sensate. Lasciò trascorrere i minuti mentre attendeva il ritorno di zio James. “Mio zio, chi lo avrebbe mai detto?”, pensò. E permise alla sua mente di viaggiare, di costruire ipotesi anche inverosimili, quanto inverosimile le era parsa, in un primo momento, tutta quella storia.
4.
James rientrò dopo qualche minuto con una cesta piena di frutta fresca. «Ecco qui Lynda, ce n’è da divertirsi!», disse James mentre posava la cesta sul piano da lavoro, vicino al rubinetto dell’acqua. Lynda, che se ne stava seduta pensierosa su uno sgabello, si alzò per vedere da vicino i frutti freschi, ne prese alcuni tra le mani e li annusò. «Ehy, sono buonissimi! Frutta fresca di stagione! Dove li hai presi? E cosa dovremmo fare con tutta questa frutta?», chiese Lynda, senza riuscire a chiamare zio il buon James che stava lì in piedi davanti a lei sorpreso del fatto che la donna non avesse già intuito tutti. «I frutti crescono sugli alberi che abbiamo fatto crescere qui fuori in giardino. Faremo ancora una volta ciò che tua zia Beth sapeva fare benissimo e che ha insegnato anche a te!», rispose l’uomo. Lynda lo guardava sorpresa e anche leggermente contrariata. «Dai, James! La marmellata! Figurati se adesso posso mettermi qui a lavare la frutta, a sbucciarla per poi farla bollire e tutto il resto che ne consegue. E poi ci vogliono anche molto zucchero, una pentola grande e un fornello molto potente!», disse Lynda ad alto volume, come se in qualche modo volesse rileggere la ricetta nella sua mente. «Molto bene, vedo che non ci siamo dimenticati nulla! Dunque, di zucchero ce n’è in abbondanza all’interno della credenza, ora te lo prendo. Il fornello e la pentola grande pure, erano proprio quelli che usava Beth! Lasciò la pentola qui da noi quando andò via, invitandoci a preparare marmellate ogni tanto per non dimenticarci le sue favolose ricette! Diceva anche che sprecare tutta questa buona frutta sarebbe stato un vero peccato e avremmo potuto salvarla quasi tutta se avessimo preparato le conserve», rispose l’uomo strizzandole l’occhio amichevolmente. «E tu hai seguito il suo suggerimento?». «I primi noi tempi lo facevamo spesso, poi sfortunatamente perdemmo un po’
l’abitudine. Fortunatamente Beth non ci sgridava per questa nostra mancanza quando ci sentivamo al telefono». «Voi chi? Da quanto mi hai detto, dopo la morte di tuo fratello Richard e la conseguente partenza di zia Beth avresti dovuto rimanere solo qui dentro». «Avevo una validissima aiutante». Lynda non era del tutto convinta ma in qualche modo avrebbe voluto darsi da fare. Prese altri frutti, li guardò per bene, ne tastò la durezza, il grado di maturazione e la consistenza. Poi sorrise e guardando James negli occhi acconsentì. «Va bene James. Ma dovrai darmi una mano, ok? Ci sono un sacco di cose da fare, forza!», esclamò, mentre avvicinava la cesta al lavabo che stava già riempiendosi dell’acqua necessaria. James sorrise felice. Sentiva la commozione crescere dentro di lui e se avesse parlato probabilmente si sarebbe sentita la sua voce tremare. Lynda le vide e lo abbracciò. “Zio James” era davvero un brav’uomo! In meno che non si dica la cesta di frutta era stata accuratamente lavata e asciugata. Insieme Lynda e James iniziarono a sbucciarla e a tagliarla in piccoli pezzi, facendo attenzione a rimuovere completamente i noccioli. Riversarono poi tutto nel pentolone in precedenza riscaldato con un po’ di acqua sul fondo, infine versarono una grossa quantità di zucchero. La frutta cominciò pian piano a bollire, rilasciando i suoi succhi mentre perdeva la sua forma iniziale, dando vita ad un impasto dolce e scuro che rilasciava un buonissimo profumo nell’aria. Dopo un po’ di tempo, il preparato era quasi pronto. «Ora ci servirebbe l’ingrediente segreto!», esclamò Lynda, «Altrimenti questa marmellata non avrà mai il sapore speciale che zia Beth sapeva darle ogni volta e che la rese tanto famosa!». «E’ vero. E come possiamo noi preparare una marmellata secondo la ricetta completa di zia Beth se non aggiungiamo il famoso “ingrediente segreto”?», disse James sorridendo e mostrando a Lynda un vaso contenente un liquido color ambra, denso e trasparente. «Oh James, ma questo è il miele di zia Beth! E’ questo l’ingrediente segreto? Quindi tu lo sapevi?».
«Non so dirti se possa trattarsi o meno di un ingrediente segreto, quello che so e che Beth ne metteva sempre un bel po’ per conferire alla confettura finale una consistenza più vellutata a contatto con il palato». «Si, hai ragione! Questo non è affatto l’ingrediente segreto! Ora ricordo, zia lo usava! E’ colpa mia se non mi sono ricordata quell’ingrediente nella ricetta. Quando zia metteva il suo “ingrediente segreto” si voltava di spalle e non mi permetteva di guardare cosa faceva». «Allora doveva veramente tenere molto a quel segreto! Oppure semplicemente desiderava che fossi tu a scoprirlo da sola, con le tue capacità, proprio come aveva fatto lei», rispose James compiaciuto per essere riuscito a sorprendere Lynda ancora una volta. «Ma dimmi, come fai ad averne ancora di questo miele? Son ati moltissimi anni ormai». «Lo faccio io. Beth mi ha spiegato proprio tutto, e quando non ricordo qualche cosa o mi serve un consiglio ci sentiamo al telefono!». «Allora siete ancora in contatto, molto bene! Sai mi piacerebbe ritornare in Cornovaglia da lei, vorrei tanto riabbracciare la mia adorata zia. Sono ati ormai tantissimi anni dall’ultima volta che la vidi, chissà com’è cambiata. Da quando mia madre è ospite nella casa di riposo, non ho più avuto occasione di andarci». «Sai, penso che anche a tua madre farebbe piacere rivedere Beth. Io ci farei un pensierino». «Ma mamma ora non cammina più come prima. Se ne sta sempre seduta su quella sedia davanti alla televisione in quella stanza. Le infermiere la spostano dal letto alla sedia e viceversa. Mia madre dovrebbe camminare invece, uscire fuori all’aria aperta!». «Potresti portarcela tu! Anzi, dovresti proprio farlo Lynda! Tu madre è ancora una donna in gamba, è affascinante! Sarebbe ancora in età da marito se solo lo volesse! Aiutala a rivivere Lynda, tu puoi farlo e penso che lei non stia aspettando altro che questo». «Ma… James! Che cosa dici! Mia madre è una donna anziana ormai!».
«Oh no signorina, ti sbagli! Tua madre è una donna abbandonata da sua figlia, non anziana. Pensaci!». Lynda accusò il colpo. James aveva ragione, lei si era occupata troppo poco della madre a causa dei suoi impegni sul lavoro e di tutte le altre scusanti che di volta in volta era riuscita a trovare. La madre stessa aveva compreso la situazione e si era cercata un posto dove ritirarsi per non pesare ulteriormente sulla già complicata situazione della figlia. «Il cottage di zia Beth era sempre così profumato! Quando entravo in casa, da bambina, sentivo sempre dei buonissimi profumi! Ogni stanza aveva il suo, dalla lavanda agli agrumi per non parlare del suo guardaroba! Sapeva di…» «Mughetto!», la precedette James. «Si, mughetto, esatto!». «Come tua madre. Anche lei profuma di mughetto!», disse James senza guardarla mentre con il braccio mescolava il preparato di marmellata che si andava via via sempre più addensando. «Ricordi il profumo che metteva mia madre?». «Oh si che lo ricordo, come potrei non farlo? Ah, se la mia auto potesse parlare, quante ne direbbe!». Lynda rimase in silenzio per un istante, poi continuò. «Cosa pensi tu realmente di mia madre James?». «Mia cara, di donne come tua madre ce ne sono troppo poche al mondo. Con la sua classe, la sua eleganza e la sua bellezza sapeva riempire il cuore di tutti quegli uomini che le giravano attorno. Riusciva a regalare sogni, immagini e fantasticherie che affollavano le menti di molti». «James…», cercò Lynda di interromperlo. «Aspetta Lynda, lasciami parlare. Non so se avrò mai più la forza e un’occasione per farlo. Una di queste menti era la mia. Vedi cara, tua madre è sempre stata per me la donna dei sogni, quell’immagine di fata irraggiungibile che ti toglie il fiato
con un solo sguardo. Quando salivate in macchina, io la ammiravo ogni volta! Io vedevo solo lei, lei era nei miei pensieri sempre. Tua madre è stata l’unica donna che io abbia mai veramente amato in tutta la mia vita!», concluse l’uomo, sospirando a testa bassa. «Ma James, mia madre era sposata!». «Appunto. Per questo fui costretto ad amarla in silenzio per così tanto tempo. Lei era la moglie del Senatore Grant, il mio datore di lavoro! Non avrei mai potuto averla tutta per me e questo anche lei lo sapeva. E quando il Senatore si tolse la vita pensai che fosse finalmente giunta per me l’occasione giusta per confidarle tutti i miei sentimenti e convincerla a are il resto delle nostre vite insieme. Ma non lo feci mai, non ne fui capace. Ed ora sono qui a mangiarmi le mani per le occasioni che mi son lasciato sfuggire». «Ma James, tu sei pazzo! Mia madre amava mio padre, e tu lo sai!» «Oh no figliola, mi dispiace deluderti ma vedi, l’amore tra tuo padre e tua madre era finito da molto tempo. Stavano insieme per salvare l’immagine di tuo padre, per una specie di contratto che prevedeva anche il mantenimento della loro figlia, cioè tu». Lynda serrava forte i pugni battendoli incredula sul piano di lavoro. Aveva girato le spalle a James, non osava guardarlo in faccia in quel momento, timorosa di tradire le proprie emozioni. Per quanto difficile da accettare, il discorso di James aveva un senso. «E’ stata zia Beth a raccontarti queste cose?», chiese Lynda mantenendo sempre una certa distanza dall’uomo. «Diciamo di si, in parte. Mi sono poi state confermate da tua madre in persona». «Tu e mia madre vi scambiavate confessioni così intime e riservate?». «Ho visto tua madre piangere un giorno mentre stava seduta in auto e guardava attraverso i finestrini bagnati dalla pioggia. Era una fredda giornata invernale, lo ricordo ancora come se fosse accaduto ieri. Arrivati a casa vostra, accostai l’auto come facevo di solito e mentre stavo per scendere per aprirle la portiera mi fermò, chiedendomi di aspettare perché lei in quel momento non si considerava presentabile. Aveva gli occhi gonfi di lacrime, lacrime molto amare stando a ciò
che da lì a pochi minuti mi avrebbe raccontato». Il viso di Lynda s’incupì e un grosso interrogativo spuntò nella sua mente, annientando qualsiasi sua capacità di ragionare. Forse sua madre aveva scoperto un tradimento da parte del padre? Decise però di trattenere quel pensiero e di lasciar parlare James. «Te la senti di parlarmene James?», chiese Lynda all’uomo, timorosa per un suo rifiuto. «Certo. Ma tu piuttosto, te la senti di ascoltare senza giudicare nessuno per ciò che sentirai?». Lynda accennò un timido si con il capo e indicò a James di iniziare il suo racconto. «Ebbene, tua madre ha sempre dedicato la sua vita agli altri. Ha donato tutta se stessa per tuo padre e per te. All’inizio della loro storia, quando tuo padre non era ancora così esposto in pubblico, si amavano davvero tanto. La loro fu una storia davvero intensa, carica di ione, di emozioni, erano entrambi sempre alla ricerca di qualche cosa di nuovo e di eccitante, che li fe sentire vivi. Tuo padre aveva un fratello gemello, lo sapevi?». Il viso di Lynda pronunciò da solo la sua sentenza, non vi era alcuna necessità di una risposta più esplicita di quanto quella non lo fosse già. Quante cose non sapeva sulla sua famiglia, della sua vita, del suo ato! «No, è evidente che non lo sapevi. Tuo padre e il suo gemello erano molto legati, al punto che molto spesso in famiglia scherzavano riguardo ad un possibile scambio di persona e si chiedevano se tua madre se ne sarebbe mai accorta. Un giorno, dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, i due gemelli pensarono di mettere in atto il loro piano. Vollero mettere alla prova tua madre! Quindi i due fratelli si scambiarono i vestiti e il gemello si recò a casa vostra, al posto del Senatore. S’infilò nel letto con tua madre e si comportò esattamente come lui. Tua madre però non era una stupida, se ne accorse subito! Questa cosa non riuscì mai a digerirla e quando ne ebbe conferma dal marito si arrabbiò al punto tale da decidere di fare le valige e andarsene via da casa. Il senatore la pregò di tornare, non tanto perché ne sentisse la mancanza quanto per l’impatto che tutta la faccenda avrebbe potuto avere sulla sua immagine politica. Il gioco sarebbe dovuto finire ben prima che sua moglie e suo fratello gemello finissero a letto e
lui avrebbe dovuto rivelare lo scherzo fatto. Ma non fu così, era troppo ubriaco quella sera e si addormentò nella sua macchina, sotto casa. Durante la sua lontananza da casa, Sarah si innamorò di un altro uomo, con il quale ebbe una lunga relazione che continuò anche dopo il suo ritorno a casa, costretta dal senatore che aveva minacciato nel frattempo di buttarla in mezzo alla strada. Tua madre tornò da lui, rinunciando così per sempre alla sua vita, alla sua libertà e alla felicità che l’altro uomo le avrebbe sicuramente donato. Stava male quasi tutte le mattine, si chiudeva in bagno e rimetteva. Capì che c’era qualche cosa che non andava e dopo poco tempo tutto le fu chiaro: tua madre aspettava un figlio dall’uomo che aveva amato. L’uomo suggerì a tua madre di cercare un figlio anche con il Senatore, in modo che si potesse poi attribuirne a lui la paternità. Tutto si sarebbe quindi sistemato, nessuno avrebbe mai confidato il loro segreto e l’immagine del Senatore sarebbe stata preservata dallo scandalo. Ma il Senatore non voleva avere figli in quel momento, la sua carriera politica era in piena ascesa e stava per raggiungere l’apice a lunghe falcate. Un figlio lo avrebbe frenato, non poteva e non voleva rischiare. Tuttavia non voleva nemmeno rinunciare ai piaceri del sesso con la sua compagna, quindi decise di sottoporsi ad una operazione di sterilizzazione, all’insaputa di Sarah. A cose fatte, nei giorni successivi e dopo un rapporto, lui glie lo confidò. Tua madre subì un brutto colpo e non riuscì a dormire per notti intere, pensando continuamente sul da farsi. La situazione stava degenerando, non avrebbe potuto continuare a nascondere troppo a lungo il suo ventre che andava via via ingrossandosi sempre più. Il Senatore non se ne curava, pensava che il tutto fosse strettamente legato alla forte notizia che le aveva dato e che presto o tardi le sarebbe ata. Ma tua madre aveva ben altre cose nella testa…». James fece una pausa e guardò Lynda con attenzione. Gli occhi della donna erano immobili, vitrei e spaventati. Il suo viso era divenuto pallido, quasi assente. Capì tutto, proprio tutto… ma non parlò. «Lynda, John Grant non era il tuo vero padre!». Calò il gelo. Lynda sentiva il suo cuore nel petto come se fosse un pezzo di carne congelata, la salivazione era azzerata e la sua bocca non riusciva a pronunciare alcuna parola. I giapponesi, il comportamento del suo capo, tutte le cose più tristi che le erano successe quel giorno e i giorni precedenti erano poca cosa se paragonati a ciò che aveva sentito. Guardò Puh che se ne stava a terra rannicchiato, dormiva. Lo invidiava in quel momento, vedeva la vita del suo cane assai migliore della sua, più libera e spensierata. Avrebbe voluto essere
volentieri al suo posto! Aveva appena scoperto di aver sempre chiamato papà una persona che non era in realtà il suo vero padre, aveva vissuto per anni senza mai esserne stata messa a conoscenza, nemmeno da parte di sua madre! Sua madre! Quale amore le aveva dato quella donna? Fu solo finzione quindi, una maledettissima recita? Questo aveva fatto per tanto tempo quella donna che ora non riusciva più nemmeno a identificare con il nome comune di madre. Una lacrima si affacciò nei suoi occhi, poi un’altra e un’altra ancora, fin quando non si abbandonò ad un forte sfogo di pianto. «Perdonami Lynda. Ma questa è la verità. Questa è la tua storia», riprese James. Poi si fermò nuovamente, attendendo che la donna reagisse. «Oggi non è la mia giornata fortunata James. Forse si tratta solo un brutto sogno e domani mattina mi sveglierò e scoprirò che tutto questo è stato solo frutto della mia fantasia malata…». «No Lynda, non sarà così. Mi dispiace», concluse James, riportando la donna alla realtà. «Perché mi hai fatto questo James, perché?», gridò Lynda alla volta del ritrovato zio. «Perché dovevi sapere figliola. Prima o poi l’avresti comunque saputo. Vai da tua madre e parla con lei di tutto ciò. Lei ti ha sempre difeso, non ha mai pensato nemmeno per un istante di buttarti via, anche se avrebbe potuto farlo. E questo perché ti ha sempre amata, sin dal giorno del tuo concepimento!». «Forse sarebbe stato meglio se non mi avesse mai fatto nascere». «Non puoi dire questo, Lynda! Non è corretto nei confronti di tua madre! E’ stato tutto amore, solo amore!», replicò James. Lynda non aveva più un colore definito sul viso, si sentiva in un altro mondo, immersa in una realtà che non le apparteneva più, come se avesse cambiato vita o pianeta in un solo momento. Sentiva la sua anima marcire lentamente come fanno le foglie immerse in una pozza d’acqua in pieno autunno. «Cosa accadde dopo? Non si sa chi è il mio vero padre biologico e dove si trova ora? Finisci il racconto James, per favore», ordinò Lynda in tono perentorio. James raccolse le ultime forze e proseguì.
«Le settimane avano e il ventre di tua madre cominciava a vedersi. Non c’era più molto tempo a disposizione, si doveva fare qualche cosa e in fretta. Lei e il tuo vero padre ne parlarono e decisero di affrontare la realtà così com’era. Ne avrebbero parlato con il Senatore e così fu. Puoi ben immaginare la sua reazione! Se la prese prima con tua madre. Per quanto ne so, la picchiò anche». Una smorfia di rabbia disegnò una prima traccia sul volto inanimato di Lynda. James la notò subito, ma proseguì il racconto senza fermarsi. «Evidentemente pensò subito all’impatto che avrebbe avuto l’abbandono di sua moglie con un figlio in grembo sulla sua carriera. Fece quindi marcia indietro, forse su consiglio dei suoi fedelissimi scagnozzi al potere. Stava giocando davvero a un gioco molto delicato e pericoloso per lui, che avrebbe portato sicuramente a disastrosi risultati. Il Senatore stava per mandare all’aria la sua carriera quando gli consigliarono di cercare di mantenere la calma e di mettere il tutto a tacere, comunque la sua paternità non gli avrebbe portato tanti svantaggi quanto quelli che avrebbe prodotto uno scandalo di quel tipo. Ma avrebbe dovuto accettare quel figlio come se fosse stato suo. Il Senatore siglò un vero e proprio contratto con tua madre, che prevedeva il silenzio forzato, pena l’allontanamento immediato dalla casa. Tua madre accettò, per amore tuo e per darti un padre, ragazza mia». Lynda alzò lo sguardo cercando gli occhi di James. Non stava più piangendo. Il colpo ormai assestato l’aveva trascinata in uno stato di rassegnazione e di abbandono al punto tale che ogni stimolo esterno non riusciva più a provocarle alcun dolore o emozione. «E quell’uomo, il mio vero padre, dove si trova ora?», chiese mentre si alzava in piedi cercando di recuperare le forze. Capì che il racconto stava per finire. James abbassò gli occhi sospirando. Non rispose. «Non mi ha mai cercata?». «Il Senatore non gli ha mai permesso di avvicinarsi a te in libertà, alla luce del sole. Anche questo era scritto nel patto siglato con tua madre». Ci fu un attimo di silenzio durante il quale ognuno raccolse le idee. «E’ tutto?», chiese Lynda senza espressione.
«Si Lynda, è tutto». «Allora andiamocene via da qui ora», ordinò la donna mentre con o deciso si dirigeva verso la porta di casa. Puh, che nel frattempo si era svegliato, la segui con un o stanco, trascinato. «Aspetta, non mettiamo la marmellata nei vasetti prima di andare?». «Ma per favore James! Portami a casa ti ho detto!». James coprì la pentola e la infilò nel portabagagli dell’auto mentre Lynda guadagnava il suo posto sul sedile posteriore, come sempre. Il motore si avviò e James iniziò a guidare. Interminabili pensieri, lunghi come trame di film, affollavano la mente di Lynda in quel momento. Il ato che fino a quel momento aveva vissuto aveva perso ogni sua sfumatura, non aveva più alcun senso. Il futuro che aveva progettato e disegnato fin da quel mattino dopo il suono della sveglia era stato completamente demolito con colpi precisi e decisi, non esisteva più. Si sentiva in bilico, come uno spirito che aveva perso la materia alla quale era stato legato fino a quel momento. Forse era questo il significato di ciò che tutti chiamavano comunemente “morte”? Qualcuno aveva ucciso il suo futuro, qualcun altro aveva fatto altrettanto con il suo ato. Le rimaneva solo il presente, solo su quello poteva ancora agire. Forse, in questo modo, avrebbe potuto ridisegnare la sua nuova vita, il suo nuovo destino. Doveva solo calmarsi, attendere per poi rinascere. Nei giorni seguenti Lynda si barricò in casa, rifiutando qualunque contatto con il mondo esterno. Persino Puh dovette rinunciare alle eggiate alle quali era abituato. Trascorreva le sue giornate davanti alla televisione, guardando programmi che non le interessavano e mangiando senza controllo schifezze di ogni genere, perché non aveva alcuna voglia di andare al supermercato per fare la spesa. La sua mente era rivolta sempre al racconto di James, alle rivelazioni che aveva ricevuto. Ora riusciva a capire molte più cose, il suo ato cominciava ad assumere una nuova forma e riusciva a cogliere in pieno le radici del suo presente. Non poteva incolpare James di quanto accadutole, al contrario avrebbe dovuto esprimergli tutta la sua gratitudine! E avrebbe dovuto farlo quanto prima! Ma nonostante i buoni propositi, continuava a rimandare al giorno seguente. «Grazie James, domani te lo dirò».
Ma quel domani sembrava davvero non voler arrivare mai.
5.
Quando l’infermiera entrò nella stanza per aprire le tende alle finestre, Sarah era già sveglia da diverse ore. «Buongiorno Sarah, come andiamo oggi?», chiese la ragazza con il suo marcato accento se. Aveva origini marocchine e si era trasferita a New York da una decina di anni per seguire “l’amore della sua vita” che dopo poco tempo l’abbandonò. Lei decise comunque di restare, di vivere la sua vita in quel posto e continuare il suo lavoro che tanto le piaceva. Anche se fosse tornata nella sua terra non sarebbe mai più stata accettata da alcun uomo, poiché aveva violato la legge imposta dal Cornano. «Buongiorno a lei Lynette. Come vuole che stia? Come ieri, e come starò domani!», rispose Sarah svogliatamente al consueto rituale mattutino. La ragazza estrasse una lettera dalla tasca e la consegnò nelle mani di Sarah con un sorriso. «Guardi che cosa le ho portato oggi! E’ una lettera che arriva dalla Cornovaglia! Vede il timbro sul francobollo?». «Dalla Cornovaglia? Ma allora è una lettera di mia sorella Beth! Non ci scriviamo più da tantissimo tempo, ultimamente ci sentivamo solo per telefono!». L’emozione di Sarah salì alle stelle, non vedeva l’ora di aprire la busta ma le sue mani logorate dal tempo non le permettevano di compiere agilmente quell’azione che per altri sarebbe stata banale. «Oh accidenti! Le mie maledette mani!», esclamò nervosamente Sarah. «La prego signora, lasci fare a me», si offrì di aiutarla Lynette. La ragazza prese la busta e con un coltellino cominciò lentamente a lacerarne la parte superiore fino ad estrarne il contenuto. All’interno c’era un semplice foglio piegato in due, riportante poche righe scritte a mano e con calligrafia incerta, quasi tremolante.
Newquay, 15 Maggio 2012 Mia cara sorella Sarah, ti scrivo queste poche righe per dirti che la mia vita sta giungendo ad una svolta. Molte cose sono cambiate e molte altre accadranno in breve tempo. Ho un forte bisogno di parlarti, di raccontarti tutto come facevamo una volta. Per questo motivo vorrei davvero rivederti, riabbracciarti, per stare insieme a te proprio come quando eravamo bambine, moltissimo tempo fa, prima che gli eventi accaduti nelle nostre vite ci separassero. Porta Lynda con te, ho ancora delle ricette da insegnarle e un grosso favore da chiederle. Vi aspetto, non tardate per favore… La tua amata sorella Beth
Sarah rimase molto scossa da quel messaggio. Non era usuale da parte di Beth scrivere così poche righe senza accennare a qualche cosa di più preciso, in fin dei conti era sempre stata una gran chiacchierona. Cosa poteva esserle successo di così importante da spingerla a scrivere un messaggio tanto criptico? Lynette, che nel frattempo aveva portato la colazione al tavolo, notò il viso incupito della donna. «Qualche brutta notizia signora?», chiese preoccupata la giovane, «Mi auguro di no!». «No, o quantomeno ancora non lo so. E’ un messaggio piuttosto strano, insolito per una donna come mia sorella che in vita sua non è mai stata capace di mantenere il benché minimo segreto. Lo legga anche lei Lynette, e mi dica cosa ne pensa», rispose la donna mentre porgeva il foglio alla ragazza che lo lesse attentamente. «Sembra non dire molto, in effetti. Ma si intuisce che c’è una grossa novità della quale vuole mettere lei e sua figlia a conoscenza. E anche con una certa fretta a quanto pare», rispose la giovane senza togliere gli occhi dalla lettera, sperando forse fino all’ultimo momento di scoprire qualche dettaglio di più ma senza successo. «Che cosa pensa di fare signora? Pensa di partire?», chiese la ragazza.
«Non so se potrò andarci Lynette, sono quasi inferma, non vede?», replicò la donna. «Non sarà da sola, con lei ci sarà anche sua figlia. E poi quel “quasi inferma” non significa che lei lo sia veramente! Anzi, sa che cosa penso? Muoversi un po’ e cambiare aria lontano da qui le farà davvero bene! Mi hanno raccontato che la Cornovaglia è un posto splendido, avrei fatto carte false per poterci andare anche io. Forse un giorno accadrà, chi lo può sapere!», esclamò la ragazza con tono convincente. «Mia figlia! Mia figlia! Lei è troppo assorbita dai suoi impegni, dal suo lavoro, dalla carriera. Si figuri se può mollare tutto senza preavviso e partire con me per verso un cottage perso nella campagna inglese! E per far cosa? Per assecondare le idee bizzarre di una vecchia zia che non vede ormai da tanti anni». «Ma qui leggo che sua sorella Beth avrebbe un grande desiderio e bisogno di vedere anche lei, di parlarle. Se ha un po’ di cuore accetterà, non crede? Io farei subito le valige e partirei con il primo volo disponibile, se solo mi fosse possibile! Le o il telefono, la chiami e le dica tutto subito, così se avrà necessità di sistemare delle cose al lavoro potrà cominciare a farlo», replicò la giovane regalando alla donna un bel sorriso rassicurante. «Va bene Lynette, mi hai convinta. La chiamerò. Farò un paio di telefonate. Ora, se mi vuole scusare, la pregherei di uscire e di chiudere la porta dietro di sé. La chiamerò io quando avrò finito di fare colazione». L’infermiera acconsentì con un inchino del capo e si allontanò dalla stanza facendo esattamente ciò che Sarah le aveva chiesto di fare. Rimasta sola, Sarah cominciò a pensare a cosa avrebbe detto alla figlia, cercando di anticiparne la reazione e le possibili risposte, per pianificare di conseguenza la prossima mossa. arono diversi minuti e poi, decisa, cominciò a comporre il numero. Il telefono squillò a vuoto per parecchio tempo prima che partisse il messaggio della segreteria telefonica. Ma Lynda era in casa. Sarah lasciò un messaggio che Lynda ascoltò in diretta, seduta sul suo letto in balia delle sue lacrime e della sua più totale frustrazione. Ma non reagì, non disse e non fece assolutamente nulla, come se quella telefonata non fosse mai arrivata. In quel momento non sapeva davvero che cosa fare. Le parole di James le riecheggiavano continuamente nelle orecchie, martellandole il cervello e riducendole il cuore in brandelli. Era
cresciuta senza un padre. E sua madre, la donna che le aveva donato la vita e che avrebbe dovuto darle amore l’aveva tenuta all’oscuro di tutto questo. E se James non le avesse raccontato nulla? Forse il segreto più grande della sua esistenza sarebbe morto insieme a sua madre? Oppure ne sarebbe venuta comunque a conoscenza, in un modo o nell’altro? Il Senatore, colui che aveva creato la bella copertina di un libro che descriveva le storie di una “famiglia felice”, era ormai morto da parecchio tempo. Perché non raccontarle tutto quindi? L’immagine dell’uomo e del politico non sarebbero state compromesse. Non più ormai. O forse c’era dell’altro che lei ancora non sapeva e che le era stato nascosto? Sarah non aveva dato l’impressione di essere preoccupata o in pericolo per qualche cosa nel suo messaggio. Le aveva semplicemente detto che aveva bisogno di vederla e di parlarle. Forse James era andato a farle visita e le aveva raccontato dell’accaduto per poi invitarla a chiarire tutto con la figlia? Era una possibilità da non trascurare. Ma se aveva atteso così tanto tempo per chiarire il tutto con lei, non sarebbe stato un grosso problema attendere ancora per un po’. Perché mai tutta questa fretta? Lynda non aveva proprio nessuna voglia di vedere sua madre e tantomeno di parlare con lei quel giorno. Avrebbe prima dovuto digerire tutto, e solo dopo affrontare la madre a muso duro. Il boccone era troppo amaro. Si sistemò i capelli e si vestì comoda per uscire a prendere una boccata d’aria, visto che anche Puh la implorava di farlo. Ma mentre stava per uscire sentì squillare nuovamente il telefono. Jack la stava chiamando dall’ufficio. Svogliatamente decise di rispondere. «Che c’è?», iniziò la conversazione con maniere assai poco amichevoli. «Lynda cara, ma dove sei finita? Ti avrò chiamato già mille volte e non mi hai mai risposto!», la riprese l’uomo. «Ho avuto cose molto più importanti da fare». «Più importanti del tuo lavoro? Della tua carriera? Dai Lynda, non fare la sciocca! Non rovinare tutto per un insignificante disguido!», rispose Jack in tono quasi paterno. «Ah, ma sentilo il signorino! Il tuo motto è sempre stato “Io mi spezzo ma non mi piego”! E poi che cosa hai fatto? Non appena quell’imbecille ti ha detto di tagliarmi fuori tu lo hai fatto, ti sei piegato! E senza paure o riserve hai chiamato quell’essere viscido e infame!».
«Si chiama Gregory», s’inserì Jack per spezzare il monologo della ragazza furiosa, mai vista prima dall’ora così arrabbiata e di cattivo umore. Ma cosa aveva fatto lui di male? Aveva solo cercato di fare quanto possibile per il bene dell’azienda! «Lo so come si chiama Jack, non prendermi per una stupida perché lo sai che non lo sono! Anche se è il nipote del presidente, per me resta sempre e comunque un viscido schifoso e raccomandato!». «Va bene. Ora calmati Lynda, te ne prego. E’ proprio di questa cosa che vorrei parlarti, possiamo discuterne?». «Vomita! Ti sto ascoltando!», rispose Lynda, raggelandolo. «Lynda, non son cose da discutere al telefono, questo tu lo sai bene. Vieni qui nel mio ufficio tra un’ora e ne parliamo con calma, a quattr’occhi e in privato, ok?». «Sarò lì tra un’ora Jack, ma ti giuro su quanto ancora mi è rimasto di caro al mondo che se solo osi sfidarmi o prendermi in giro butto all’aria l’ufficio intero. Dovrai chiamare le guardie e farmi buttare fuori, e poi potrai anche farmi licenziare!». Jack non rispose, fino alla richiesta di Lynda, «Mi sono spiegata con sufficiente chiarezza caro Jack?». «Si Lynda, ho capito! Ho capito! Ora però ti prego di calmarti e di non venire qui così prevenuta. Ti aspetto, ciao». E riattaccò. Lynda scaraventò il telefono sul letto, dove rimbalzò per poi cadere violentemente a terra, frantumando lo schermo. Lynda lo raccolse e lo guardò, ma senza dare troppa importanza all’accaduto. In fin dei conti funzionava ancora. Anche se per quel lavoro e per le persone di quell’ufficio non provava più alcun sentimento di amicizia o complicità ma solo tanto odio, pensò di cambiarsi e vestirsi come sempre con il suo tailleur. Agli occhi di chi la conosceva bene, lei voleva apparire come la solita donna di sempre. Jack le avrebbe fatto ancora una volta i suoi complimenti? Ci pensò per un attimo ma realizzò subito che tutto sommato non le importava affatto. Ma voleva comunque mantenere la sua dignità.
***
James cominciò a preparare la valigia con estrema lentezza. La sua mente tornava continuamente alle parole dei Beth che al telefono gli chiedeva di andare da lei urgentemente, senza specificare altro. La sua voce sembrava calma, rilassata e felice, non avrebbe quindi avuto modo di preoccuparsi più di tanto. Tuttavia non si sentiva totalmente tranquillo. Era inoltre molto preoccupato per Lynda e per il modo in cui si erano lasciati il giorno prima. Sapeva di aver combinato un bel pasticcio e di aver perso la stima della giovane, ma era una cosa che si sentiva di dover fare, per il bene della ragazza e per il suo futuro lei doveva sapere come stavano le cose in realtà. Era sicuro che se la ragazza avesse scoperto quella verità per conto suo, le conseguenze sarebbero state anche più gravi. In silenzio nel suo cuore, però, le chiedeva scusa. Nel giro di due giorni si sarebbe ritrovato in Cornovaglia al cottage di Beth, con lei avrebbe discusso nel dettaglio sul da farsi. Era sicuro che lei avrebbe capito i motivi che l’avevano spinto a parlare. Il resto della storia si sarebbe spiegato da solo e lei lo avrebbe accettato, forse. Si guardò allo specchio e sorrise. Poi prese il telecomando della televisione e la accese su una trasmissione a caso. Si sedette distrattamente sul suo comodo divano e lasciò la sua mente libera di viaggiare a cavallo dei pensieri.
***
Lynda arrivò in azienda. La receptionist la salutò come sempre con il suo riconoscibile tono gentile. Tuttavia non si spinse oltre, aveva notato subito l’espressione cupa nel volto della giovane e la risposta distratta con un gesto di mano al suo saluto, segnale inequivocabile che c’era qualche cosa che non andava in lei. Lynda era stata sempre molto aperta ed espansiva con le persone, una sua caratteristica era proprio quel sorriso che sapeva donare a tutti, in ogni momento, anche il meno opportuno. Ma quella non era più la solita Lynda. Quella ragazza allegra e solare si era in realtà persa, proprio come il suo ato. Quella donna che aveva attraversato la hall si sentiva in bilico, come se stesse
camminando sulla lama di un rasoio. Sapeva che prima o poi sarebbe caduta, si chiedeva solo da quale parte. Una donna senza un ato poteva riuscire a ricostruirsi una vita e un nuovo futuro? Jack l’aspettava nel suo ufficio, Lynda era stata puntuale, onorando come sempre l’impegno preso. «Ciao cara Lynda, entra pure, accomodati», disse Jack mentre Lynda già si stava sedendo anche senza il suo invito esplicito. «Jack, per te non sono più la “cara Lynda”, ti prego di tenere un tono più adeguato e di rispetto nei miei confronti se vuoi che anche io continui a comportarmi in modo rispettoso nei tuoi. Veniamo al dunque, non ho tempo da perdere! Dimmi quello che hai da dirmi, che cosa vuoi da me e perché mi hai chiamato», rispose Lynda in tono assai scocciato, desiderosa di liberarsi quanto prima da quella scomoda situazione. «Ok, ok. Ti racconto subito tutto. Riguarda l’incontro con Yamada», accennò Jack a testa bassa, prima di fare una lunga pausa per poi riprendere le fila del discorso, «Non è andata affatto bene come speravamo». Lynda si abbandonò a una sonora e isterica risata. Mai come in quel momento si era sentita così bene, al punto da dimenticare per un attimo tutti i suoi problemi personali. Nella sconfitta ne stava uscendo vincitrice. «Ahahah! Bene! E tu avevi dei dubbi? Io proprio nessun dubbio, affatto! Cosa potevi aspettarti da quel…» «Idiota!», la interruppe Jack, tenendo sempre la testa bassa, gli occhi puntati su un foglio di carta che giaceva sulla sua scrivania, giusto di fronte a lui. Lynda s’interruppe e lo guardò, seria. Poi puntò gli occhi verso il foglio e si accorse che era stato firmato dal presidente. Jack la guardò e le allungò il foglio perché potesse leggerlo anche lei. «Si Lynda, Gregory è un vero idiota. Leggi la lettera, poi ti spiego tutto», annunciò Jack mentre si dirigeva con le mani in tasca verso la finestra del suo ufficio, quella che offriva una splendida vista sulla città sottostante. Lynda aveva tanto desiderato un ufficio come quello e aveva pensato che lo avrebbe finalmente avuto dopo aver permesso all’azienda di concludere l’affare con Yamada. Il foglio annunciava che sarebbero stati presi seri provvedimenti
disciplinari nei confronti di Lynda Grant in seguito all’increscioso comportamento tenuto durante l’incontro con uno dei più grossi e potenziali clienti per l’azienda, mettendo in seria difficoltà e cattiva luce l’operato e l’immagine di un valido e stimato collega chiamato a sopperire alle sue mancanze e senza avere a disposizione strumenti adeguati. «Con questa lettera mi stanno licenziando?», chiese Lynda, incredula di quanto aveva appena finito di leggere. «Non ancora Lynda. Ma sei stata penalizzata, le tue mansioni sono state pesantemente ridotte e il management aziendale ti terrà sotto stretta osservazione per tutto il prossimo anno. Ti hanno retrocessa a mansioni più semplici, di amministrazione ordinaria», rispose Jack senza nemmeno voltarsi. Temeva lo scontro con gli occhi delusi di Lynda. «E tu non ha fatto nulla? Chi sarebbe il mio “controllore”, tu forse?», riprese la donna. Sentiva ancora una volta il mondo intero caderle sulle spalle. Era arrabbiata con Jack, sicura che nulla si sarebbe mai più sistemato. Tutto stava degenerando verso l’irreparabile, come un oggetto in caduta libera dentro un pozzo senza fine. «Io ho raccontato al direttore quanto è accaduto, difendendo il tuo operato e il materiale da te prodotto fino alla fine. Gregory si è comportato da vero idiota e davanti a Yamada si prendeva il lusso di fare battute che solo lui poteva considerare esilaranti, ma che non lo erano affatto. Ha fatto la figura del pagliaccio di fronte al cliente, trascinando dietro di se l’immagine di questa azienda. Yamada ha espresso la sua volontà di non voler continuare la presentazione sin dalle prime battute, battezzando il progetto come non adatto alle loro necessità. E’ stato anche troppo gentile e corretto nei nostri confronti. Con la sua squadra, dopo gli inchini di rito, ha abbandonato la sala. Inutile dire che Gregory non s’è affatto preso le sue responsabilità di fronte al presidente, ha incolpato te per quanto accaduto, affermando che il progetto non era affidabile e nemmeno presentabile in quel modo, portandolo inevitabilmente al fallimento e a fargli fare una incresciosa pessima figura». «E il presidente gli ha dato retta!», rispose Lynda. «Non dovrei dirlo, ma come tu sai idioti e parenti si capiscono sempre al volo. Penso che in privato gli abbia dato una lavata di testa, ma in pubblico ha dovuto
seguire le procedure aziendali. Tu sei scappata via Lynda, questo è stato il tuo più errore, una colpa alla quale io non ho potuto rimediare in alcun modo. Mi dispiace. Quando il presidente mi ha chiamato nel suo ufficio e mi ha consegnato quel foglio, mi ha anche detto di riferirti che sei fortunata a non essere stata licenziata e questo grazie a Gregory che, a detta sua, gli ha riferito delle tue enormi capacità nell’esecuzione delle attività più ordinarie. Ti ha fatto fuori Lynda! E purtroppo sei stata tu a servirgli la tua testa su un piatto d’argento». Scese il silenzio. I due non parlarono per diversi minuti. Poi Jack, capita la situazione, invitò Lynda a riflettere per bene sul da farsi. Le suggerì di prendersi un periodo di ferie per cercare di lavare via la rabbia e meditare sul suo futuro in azienda. Sapeva quanto sarebbe stato insano e frustrante per lei, una ragazza energica e piena d’energia in piena corsa per la carriera, mettersi da parte e ricominciare tutto da capo, con gli occhi delle persone che inevitabilmente sarebbero finiti su di lei, insieme a tutte le chiacchiere e ai giudizi che sarebbero stati espressi ad ogni suo aggio nei corridoi. Avrebbe perso il suo ufficio e le sarebbe stata assegnata una semplice scrivania, condivisa con altri colleghi. Lynda cominciò a vedere con gli occhi della mente quelle immagini che fino ad allora aveva visto solo nei film, persone licenziate che riempivano una scatola di cartone con i loro effetti personali per poi abbandonare l’ufficio e i colleghi. Questa volta era capitato a lei. Si, proprio lei era protagonista del film che ava nella sua mente. Lynda Grant, la donna che era stata fino a qualche giorno prima era morta, non esisteva più nemmeno sotto il profilo professionale. Si alzò e prese distrattamente la sua borsa, rimanendo ferma in piedi in attesa che Jack le confessasse che in realtà si era trattato solo di uno scherzo di cattivo gusto, per poi scoppiare a ridere e chiudere il tutto con un abbraccio come era solito fare quando scherzava amichevolmente con lei. Ma non fu così. L’unica cosa che Jack le disse fu che il foglio che teneva ancora in mano era suo e poteva tenerlo. Le disse che avrebbe atteso tutto il tempo necessario perché lei potesse fare la scelta più opportuna, per poi di comunicargli quanto deciso. Concluse infine con un sincero “mi dispiace”, quindi la congedò. Tornata a casa prese il telefono per chiamare la madre. La giornata era già stata completamente rovinata, parlare con la madre non avrebbe potuto aggravare ulteriormente le cose. Pensò anche che forse sarebbe stato meglio morire lo stesso giorno per rinascere con il sorriso il giorno seguente. Compose il numero. «Pronto, sono Sarah». Lynda non fiatò. «Pronto? Chi parla?».
«Sono io», rispose freddamente Lynda. «Tesoro! Meno male che mi hai richiamato! Ho provato a telefonarti stamattina presto ma evidentemente eri già uscita per andare al lavoro, quindi ti ho lasciato il messaggio in segreteria». «Che cosa c’è? Perché mi hai cercato?». «Ma tesoro, che cosa c’è che non va? Ti sento molto dura nei miei confronti. E’ successo qualche cosa al lavoro?» «Questi sono affari che non ti riguardano ora! Dimmi che cosa c’è, non ho molto tempo da perdere Sarah». «Sarah? Ma Lynda, tesoro mio, da quando chiami tua madre per nome? Che fine hanno fatto la tua energia e il tuo sorriso?». «Lynda è morta, o forse non è nemmeno mai nata». «Ma tu sei impazzita! Che ti prende? Mi sto preoccupando adesso! Vuoi dirmi che cos’hai?». «Che cosa avevi di così urgente da comunicarmi al telefono questa mattina?», replicò Lynda ripetendo nuovamente la domanda. Pensò che se la madre avesse tergiversato ancora, lei avrebbe riattaccato questa volta. «Tua zia Beth vuole vederci, ha qualche cosa d’importante da dirci Lynda, a quanto pare. Ci ha invitate a raggiungerla a casa sua, al cottage in Cornovaglia. Non mi ha detto nulla di più di questo, ho ricevuto un suo messaggio scritto, questa mattina qui in clinica». «Beth è tua sorella». «Si, certo! Tua zia Beth è mia sorella, non è una novità questa». «Sai, non ne sono più tanto sicura». Seguirono lunghi interminabili secondi di puro silenzio. Nessuna delle due parlava, entrambe restavano immerse nei loro pensieri, cercando di trovare in fretta le prossime parole da dire.
«Lo hai saputo vero?», riprese Sarah. «Cosa avrei dovuto sapere? Quello che ogni persona sa fin da quando nasce? O c’è dell’altro che ancora mi nascondete tu e James?». «James! Te l’ha raccontato!». «Evidentemente è l’unica persona che mi ha sempre voluto bene, come una figlia. E’ stato come un padre per me, ben diverso da quello finto con il quale ho condiviso il tetto di casa fino al giorno in cui ha deciso finalmente di togliersi di mezzo». «Lynda, tesoro mio! Mi dispiace che tu ne sia venuta a conoscenza in questo modo. E’ anche colpa mia e comprendo bene il tuo dolore e la rabbia che provi in questo momento. Ma posso spiegarti tutto. Vieni a prendermi domani mattina, partiremo insieme per la Cornovaglia per andare da Beth, va bene? Riesci a liberarti con il lavoro per qualche giorno?». Alla domanda seguì un lungo silenzio che Sarah interpretò come un consenso da parte della figlia. Anche da piccola, quando era arrabbiata, reagiva allo stesso modo. Evidentemente non era mai cambiata sotto quell’aspetto. «Non ho più un lavoro, mi sono licenziata. Sarò lì domani mattina, fatti trovare pronta e con le tue cose già sistemate nella valigia». «Come dici? Ti sei licenziata?». Sarah attese una risposta da parte della figlia che invece riattaccò semplicemente. «A domani, tesoro. Perdonami se puoi», concluse la donna, in risposta al fastidioso silenzio del telefono muto. Si sarebbero viste il mattino seguente, le rimanevano tutta la sera e la notte per riorganizzare le idee e preparare un discorso sensato che potesse dimostrare alla figlia le sue buone intenzioni, sia come madre che come donna e moglie di un uomo politicamente influente nel Paese. Sarah non cenò quella sera e nel letto continuava a girarsi e rigirarsi senza riuscire a prendere sonno nemmeno quando le sembrò di aver raccolto i cocci di una spiegazione adatta al confronto con la figlia. Il sonno la sorprese solo a notte fonda e fu molto breve e agitato. Ormai le prime luci dell’alba cominciavano a filtrare attraverso le fessure larghe degli oscuranti di legno consumati dal tempo ed era ora di alzarsi per mettere tutto in ordine in attesa dell’arrivo di Lynda.
6.
Beth era già alzata da diverse ore quando Charles si presentò davanti alla porta di casa sua, come faceva quasi ogni giorno da un bel po’ di tempo. «Buongiorno Beth, posso entrare?», chiese il giovane. «Buongiorno a te Charlie! Certo che puoi entrare, sarò da te tra un minuto», rispose la donna dal piano superiore. Il tono carico d’affanno nella sua risposta suggerì al giovane che la donna doveva essere parecchio indaffarata in quel momento e pensò di essere arrivato nel momento sbagliato. «Beth, se per lei questo non è un buon momento posso andarmene e tornare più tardi. Non ho grossi impegni da rispettare questa mattina», replicò il ragazzo. «No no, scendo subito non ti preoccupare». Immediatamente un forte rumore risuonò nella casa, seguito da un tintinnio di cocci, quello di un oggetto che si rompe cadendo a terra. «Beth! Che succede? Tutto bene?», chiese il ragazzo preoccupato. «Si Charlie, tutto bene. Mi è solo cascato un vaso e si è rotto in mille pezzi, c’è terra sparsa ovunque. Povero il mio piccolo rododendro!», rispose tristemente la donna. Nel frattempo il giovanotto l’aveva raggiunta per aiutarla ed entrò nella camera. «Oh no Charlie! Quante volte ti ho detto che non voglio che tu mi veda così in questo modo!». «Ma Beth, non si deve preoccupare! Lei è bellissima come sempre, lo sa questo», rispose il ragazzo sorridendo, mentre con le mani raccoglieva la terra dal suolo avendo cura di riposare la pianta e quanta più terra possibile nella più grossa parte di vaso rimasta ancora intera. «Ma quale bellezza! In questo stato non piaccio più a nessuno, proprio a nessuno», insistette Beth, cercando consenso attraverso gli occhi giovani e pieni
di luce del ragazzo. «Ma a me lei piace tanto, e lo posso confermare ogni giorno. Quello che possono pensare o non pensare gli altri a me non interessa, è un problema loro, non mio. Ecco, il suo bel rododendro rosso è salvo e salvo. Penso però che sarebbe bene piantarlo nel giardino insieme agli altri ora, non crede? Qui potrebbe sentirsi solo», concluse mantenendo il sorriso inalterato sulle sue giovani labbra. «Sei tanto caro Charlie, sei davvero un bravo ragazzo! Chi non ti ha visto crescere non può nemmeno immaginare che cosa si è perso in tutto questo tempo! La tua povera mamma sarebbe fiera di saperti cresciuto così bello, educato e gentile verso il prossimo. Quando il momento sarà giunto glie lo dirò, stai tranquillo», rispose Beth mentre con la mano accarezzava la spalla del giovane. Il giovane la guardò dritto negli occhi e afferrò la sua mano, stringendola calorosamente. «Quello che mia madre avrebbe dovuto vedere l’ha sicuramente già visto. E lei, Beth, non dovrà raccontarle proprio nulla, almeno per un bel po’ di tempo ancora!», la rincuorò Charlie. Beth lo ringraziò con un sorriso sincero e carico di ammirazione che rubava lentamente il posto alle lacrime amare sgorgate poco prima dai suoi occhi blu. «Sei tanto caro Charlie! Ma io purtroppo sento che non sarà così. Sono una donna, questo è il mio corpo e le sensazioni che vivo e che fatico a descrivere mi suggeriscono che ormai non mi resta ancora molto tempo da vivere. Dunque, veniamo a noi! Mi hai portato la frutta che ti avevo chiesto?», domandò Beth mentre con le mani finì di sistemarsi il viso e il capo. «E’ tutto qui fuori dalla porta, la sta aspettando! Sempre di primissima qualità, come piace a lei. Ma questa volta mi ha chiesto davvero un carico esagerato! Che cosa ha in mente?», chiese il giovanotto incuriosito. Beth gli aveva ordinato spesso carichi di frutta, ma sempre in quantità limitate. Questa volta invece sembrava dovesse sfamare un esercito intero. «Diciamo che ci sarà un bel po’ di gente qui tra qualche giorno e avremo un bel po’ di cose da fare. E tu dovrai darci una mano, signorino! Pensi di farcela?», riprese la donna. Aveva ritrovato tutta la sua energia e il suo buonumore o quantomeno era quello che cercava di esprimere agli occhi del ragazzo, divenuti tristi in seguito alle sue ultime parole piene zeppe di rassegnazione verso il
naturale decorso della vita. «Io?», chiese Charlie. Non si aspettava un suo coinvolgimento in un progetto di Beth e ciò lo incuriosì. «Oh si, caro ragazzotto mio! Proprio tu! Vedi forse qualcun altro qui in questa camera oltre a noi due?» Il ragazzo alzò le spallucce. Faceva sempre così quando voleva mostrare che aveva capito, ma il motivo di quel suo coinvolgimento non gli era ancora per nulla chiaro. «Vedrai, ci divertiremo tanto!», concluse Beth facendogli l’occhiolino. Uscirono insieme nel giardino che circondava tutto il cottage, diversi ettari di terreno dedicati ad una sola splendida pianta, il rododendro in tutti i suoi più svariati colori e tipologie. Si poteva eggiare tra le piante già alte che cominciavano a regalare i primi fiori colorati per via della stagione già avanzata. Ogni volta che usciva dalla porta, Beth osservava quelle piante e sorrideva. Forse con gli occhi le vedeva come figli suoi, intenti a giocare nel suo immenso giardino. Le casse di frutta erano già state ben accatastate da Charlie vicino alla porta che conduceva alle fresche cantine, nel sottosuolo. «Forza, portiamole giù Charlie, andiamo!», esclamò Beth contenta di vedere che la qualità di quella frutta aveva soddisfaceva ancora una volta le sue aspettative. A Beth brillarono gli occhi, desiderava davvero che il suo progetto fosse un successo così che anche lei ne avrebbe assaporato l’essenza prima che fosse troppo tardi. Scacciò dalla mente i cattivi pensieri a piene mani e provò d’istinto a sollevare una cassetta di frutta ma senza riuscirci. Erano davvero molto pesanti per lei. «Beth, lasci stare. Sono molto pesanti, ci penserò io non si preoccupi. Mi dica solo dove vuole che glie le sistemi». «Qui sotto Charlie. Seguimi, ti faccio strada», rispose Beth con rinnovata rassegnazione, «Ormai funziono bene solamente come apriporta». «Non dica sciocchezze. Mi vuole spiegare il perché di tutta questa negatività oggi? Non le fa mica bene sa?», rispose seccamente Charlie per darle una scossa.
«Oh Charlie, non sono affatto sciocchezze! Lo hai visto anche tu no? Non riesco a sollevare nemmeno una cassetta. Sono diventata una vecchiaccia ormai!». «Io direi che è solo diventata più esperta e saggia». «Oh, grazie caro! Sei il mago furbetto dalla parola dolce e molto facile! Chissà quante ragazze con il cuore infranto hai disseminato qui in giro!» Charlie sorrise e Beth con lui. «Sono un ragazzo difficile, complicato e anche un po’ sognatore. Le donne non mi apprezzano per quello che sono!», asserì beffardamente il giovane. «Ecco, vedi? L’hai detta tu la vera sciocchezza del mattino. Anche per oggi sei a posto allora», lo istigò Beth. «Oh no, non è affatto una sciocchezza. Non resisto più di qualche giorno insieme ad una ragazza. Non riesco a fingere, a nascondere i miei pensieri, i miei sentimenti, il mio modo d’essere e di agire. E quindi esco subito allo scoperto, quasi sempre. Questo generalmente alle ragazze della mia età non piace ed io mi rovino con le mie stesse mani!». «Sei mai stato innamorato veramente?», lo provocò nuovamente Beth. Attendeva con ansia la risposta a quella domanda. Ma la risposta tardava ad arrivare. «E’ un segreto tanto grande da non poter essere svelato alla tua cara amica Beth?». «Sono stato innamorato. Era una ragazza stupenda e mi ha davvero dato tanto. Per anni ho provato a dichiararmi, ma ero troppo giovane allora e non fui mai in grado di trovare il coraggio e di lanciarmi tra le sue braccia. E’ per questo motivo che da allora non sono più capace di farlo». «Una brutta esperienza?» «No, assolutamente. Direi piuttosto un’esperienza dolorosa, perché non la vedo più da tanti anni ormai e io continuo ad amarla proprio come allora. E’ il dolore che nasce da una ferita che lacera non solo il cuore ma anche l’anima. E questa è tra le due la ferita che fa più male».
«Ma se tu incontrassi di nuovo questa donna, saresti in grado di riconquistare la tua fiducia, il tuo cuore e i tuoi sentimenti, pensi che riusciresti a lasciarti andare finalmente per abbandonarti a lei?». «Dovrebbe armi sopra con un trattore, allora forse si!», rispose con provocazione e ilarità il ragazzo, «Quindi non penso di correre alcun rischio Beth!». «Ok va bene, vedremo», pensò a voce alta Beth. «Mi scusi?», chiese Charlie poiché non aveva ben colto il significato delle sue parole. «Niente di così importante. Pensieri miei, solo miei. Stavo pensando ad alta voce. Dai forza, spostiamo queste cassette e mettiamole al fresco». In pochi minuti la frutta fu sistemata in cantina, dove si sarebbe conservata al meglio in attesa dell’arrivo degli ospiti. Charlie salutò Beth, chiedendole ancora una volta se fosse davvero sicura di volerlo coinvolgere nel suo progetto. Ma il giovane non aveva scampo, lui era parte integrante e attiva della squadra che Beth aveva già chiamato a rapporto. Beth gli ricordò ancora che si sarebbe divertito parecchio e alla fine l’avrebbe sicuramente ringraziata per aver pensato a lui e non a qualcun altro. Questo lo lusingò. Rimase sulla porta a guardare il giovane che risaliva sul suo carro per poi allontanarsi e scomparire dietro il muro di cinta della tenuta. «Vedremo… vedremo…», ripeté nuovamente Beth tra se e se mentre lentamente e dolorante si apprestava a rientrare in casa.
7.
Quando Lynda arrivò alla casa di riposo, Sarah era già sistemata e pronta ad accoglierla, timorosa della sua reazione. Durante la notte aveva cercato di mettere in piedi un discorso sensato per l’incontro con la figlia ma alla fine si rese conto che aveva creato solo un insieme di parole prive di sostanza, perché Lynda non sarebbe rimasta zitta a guardarla come farebbe una bambola seduta sul letto. Avrebbe quindi lasciato alla situazione la libertà di evolvere e avrebbe quindi agito di conseguenza. Lynda entrò nella stanza con o deciso e appoggiò la sua borsetta sulla sedia dove era solita accomodarsi quando faceva visita alla madre. Ma non riusciva a guardarla in faccia. Aveva pianto tanto per tutta la notte e Sarah se ne accorse subito, i suoi occhi arrossati parlavano da soli. «Ciao tesoro», riuscì a dire Sarah, senza osare oltre. «Ciao», le rispose freddamente la figlia. «Mi odi in questo momento, vero?», continuò Sarah dopo un istante durante il quale aveva cercato di riorganizzare le idee. «No mamma, io non odio nessuno. Solamente non riesco a capire, non capisco più nulla. Non so nemmeno più chi sono io, chi sono stata e se riuscirò mai ad essere qualcuno. La mia vita, tutta la mia esistenza è ridotta a brandelli». «Tu sei Lynda Grant, tesoro. Sei mia figlia». «Grant per me ora è solo un cognome, come tanti altri». «E’ capitato tutto così in fretta, gli eventi sono precipitati, abbiamo perso il controllo. Non so cosa James ti abbia raccontato di preciso…». «Mi ha confessato che tuo marito, il Senatore, non era il mio vero padre, mamma. Mi ha detto che sei stata con un altro uomo e che sei rimasta incinta di lui. Non serve che io ti racconti i dettagli, li conosci sicuramente meglio di me». «E’ questo quello che James ti ha detto? Con queste parole? Non è da lui, questa
cosa mi lascia un po’ perplessa». «Non ha usato queste parole forse, queste sono parole di rabbia che sento dentro di me e che devo far uscire in qualche modo, altrimenti divento pazza. Ma le cose non cambiano nella loro sostanza, indipendentemente da come l’ho dette quelle parole rispecchiano i fatti così come sono accaduti. James è un galantuomo, lo sappiamo tutti. Mi ha raccontato tutto, fino nei dettagli, con una correttezza e una capacità che nessuno mai sarebbe riuscito a trovare in una situazione simile. Lui ha difeso le tue scelte, non ha condannato o giudicato nessuno per quello che ha fatto o detto. Nemmeno il Senatore. E io l’ho trattato male, me ne sono pentita per tutta la notte». «Ora si, riconosco James nelle tue parole». «Ma non è questo il punto, mamma! Tanti anni son ati, troppi! E non mi hai mai raccontato la verità! Non pretendevo di esserne messa al corrente da piccola, quando non potevo capire o quando ancora quell’uomo e la sua maledettissima immagine pubblica regolavano le nostre esistenze. Ma dopo la sua morte avresti dovuto farlo, di tua spontanea volontà! Non posso dirti come avrei reagito, ma sicuramente avrei cercato di capire le tue ragioni». «Figlia mia, te ne avrei sicuramente parlato. Ma se te l’avessi detto prima, questa cosa sarebbe stata comunque sconveniente per tutti noi». «Ah si? E sentiamo, quando avresti voluto dirmelo? In punto di morte forse, per renderti il compito più semplice e non avere il tempo di affrontare le conseguenze di una tale umiliazione? E’ questo ciò che il senatore Grant ti ha insegnato, vero? E tu l’hai capito benissimo, fin troppo nei dettagli! Oppure pensavi di scrivermi una lettera che mi avresti consegnato chissà dove e quando o per mano di qualcun altro, forse proprio di James? L’avresti indicato nel tuo testamento? Dimmelo, sono tutte valide ipotesi non credi? Esigo una risposta mamma, la pretendo adesso!». «Ti racconterò tutto tesoro, ma tu non mi giudicare per gli errori che posso aver commesso nella mia vita. Ciò che ho fatto l’ho fatto a fin di bene, credimi. E’ stato tutto molto difficile anche per me, mantenere questo segreto ogni volta che ti guardavo negli occhi mi dava una stretta al cuore». «Oh si certo. Ci credo che l’hai fatto a fin di bene. Dipende però per il bene di chi».
Seguirono interminabili minuti di silenzio. Le lacrime sfiorarono gli occhi di Sarah, che implorava l’amore che sentiva perduto nei confronti della figlia. «Ti lascio un po’ di tempo per riorganizzare le idee, ma poi pretendo di avere una spiegazione da te». Sarah annuì come avrebbe fatto una bambina appena sgridata dalla madre. «Mi hai parlato di zia Beth, dicendomi che vuole vederci», disse Lynda cambiando discorso per tagliare la tensione divenuta palpabile. Vedeva la sofferenza impressa negli occhi della madre e questo la faceva stare male. «Mi ha scritto questo messaggio, leggilo», rispose Sarah porgendo la lettera della sorella alla figlia. Non appena Lynda raccolse il biglietto lei le accarezzò la mano. Lynda sentì in quel tocco delicato lo stesso brivido che le dava sin da quando era bambina. Ma in quel momento il suo orgoglio la portò a soffocare l’emozione. Lesse il biglietto con attenzione. «E’ uno messaggio molto strano. La zia ci invita per dirci cose importanti ma non accenna a nulla in particolare. Forse anche questo ha a che fare con la mia vita?», propose Lynda alla madre che in quel momento la osservava in silenzio. «Non so nulla figlia mia. Ma lo escluderei. Non vorrei si trattasse di qualche strana idea di tua zia, come era solita averne. Lo sai che è sempre stata un po’ pazza». «Il suo DNA è quello della famiglia, che cosa ti aspettavi di diverso?» «Lynda, ti prego!». «Rivolgi le tue preghiere ad altri mamma, non sprecarle con me. In fin dei conti non le merito nemmeno». «Non devi dire così. Quando avrò avuto modo di spiegarti tutto sono certa che capirai». «Zia Beth sa tutto, ovviamente. Giusto?» «Certamente». «Certamente, è ovvio! Solo io, povera stupida, potevo esserne messa all’oscuro.
Mi sento come una marionetta nelle vostre mani!». «Tesoro mio, i fili di quella marionetta come la chiami tu sono ormai recisi da parecchio tempo. Ormai tu sei una donna e sei padrona della tua vita». «Una vita che avete disegnato voi per me, secondo un vostro progetto, un vostro ideale. E tutto questo dovrebbe essere molto eccitante e gratificante per me, giusto?». «Nella vita ci sono momenti e situazioni che ci inducono a sbagliare. E questo ci costringe poi a dedicare il resto del nostro tempo per cercare un rimedio agli errori commessi. Ora io voglio rimediare ai miei, se tu sarai disposta ad aiutarmi». Lynda non rispose all’affermazione della madre ma accettò tacitamente l’invito. Tornò poi sulla questione del viaggio in Cornovaglia. «Dirò alle infermiere qui fuori che dovremo assentarci per un po’ di tempo e sbrigherò tutte le pratiche del caso. Tu nel frattempo raccogli le tue cose, io cercherò di tornare il prima possibile e ce ne andremo. Dobbiamo tornare a casa e cercare un volo», disse Lynda per la prima volta mentre guardava la madre negli occhi. Sarah acconsentì e con visibile commozione fece sussultare il cuore della figlia con semplici parole che da troppo tempo ormai la giovane non sentiva. «Ti voglio bene figlia mia». Parole che Lynda incassò, apprezzandole, ma alle quali non volle replicare in quel momento. Forse era solo troppo presto per tornare alla normalità, forse l’avrebbe anche ringraziata. Ma non in quel momento. In cuor suo cominciava però a sentire un forte desiderio di farlo. Arrivò il giorno della partenza. Il volo diretto atterrò a Londra con quasi un’ora di ritardo. Nonostante la stanchezza per le tante ore trascorse in volo, Lynda e Sarah provarono quella sensazione tipica delle giornate di vacanza, non appena scesero dall’aereo. Il povero Puh venne scaricato dalla stiva insieme ai bagagli, era molto provato. Per un attimo si dissolsero tutti i dubbi e le paure che avevano stretto i loro cuori nei giorni precedenti, dalla confessione di James fino al faccia a faccia nella stanza del ricovero. Circa un’ora dopo il loro arrivo sarebbe partito l’autobus che le avrebbe portate a Newquay, quindi al cottage di Beth, sulla
scogliera. Lynda ne approfittò per guardare le vetrine di qualche negozio in aeroporto. Mentre camminava vide in lontananza la sagoma di un uomo. Non le era nuova, ma non riusciva a distinguerne bene i lineamenti. Si fermò per un attimo per osservare meglio ma non riuscendoci decise di avvicinarsi un po’. L’uomo si era fermato a bere un caffè a un bar vicino agli sportelli doganali. Man mano che Lynda si avvicinava, i lineamenti dell’uomo cominciarono a divenire sempre più nitidi, cominciavano a prendere forma. Ad un tratto il trenino portabagagli le ò davanti, era lunghissimo, interminabile e seguito da una folla di gente. Lynda cercò di farsi spazio tra le persone con difficoltà. Quando riuscì a superare quella barriera umana, dell’uomo seduto al bancone del bar non c’era più traccia. Lynda si guardò attorno, nella speranza di vedere nuovamente quell’uomo ma senza successo, era sparito. Stava per tornare indietro quando, si sentì chiamare alle spalle. «Signorina Lynda!», pronunciò una voce maschile conosciuta. «James! Ma allora avevo visto bene, sei proprio tu! Che cosa ci fai qui?». «Penso per lo stesso motivo per il quale siete qui anche tu e tua madre», rispose l’uomo con il suo solito tono calmo ed elegante. «Per zia Beth? Ha chiamato anche te quindi! Ti ha detto forse perché ci ha fatto correre da lei in questo modo? A mia madre non ha detto assolutamente nulla». «Lo scopriremo presto Lynda, non avere fretta. Beth ci racconterà tutto non appena arriveremo». «Tu mi sembri piuttosto tranquillo però, nessun problema quindi?», chieste preoccupata la giovane. «Vedi cara, essere tranquilli o preoccupati in una qualunque situazione della vita non cambia la situazione stessa o il corso degli eventi. Questa per me è sempre stata una filosofia di vita che mi ha permesso di arrivare fin dove sono ora e poiché ha funzionato bene penso che non la cambierò proprio adesso. Dimmi piuttosto, sei ancora molto arrabbiata con me, ragazza mia?» «Non provo rabbia per nessuno James, sono solo delusa per il fatto che nessuna delle persone che dicevano di volermi bene ha avuto rispetto per me, per la mia persona e per la mia esistenza. Quando mi hai raccontato tutte quelle cose me la sono presa con te e ora me ne pento molto. Solamente dopo la mia sfuriata ho
capito veramente il motivo che ti ha spinto a farlo. Dai, lasciati abbracciare forte!», rispose Lynda, stringendo le mani dell’uomo e regalandogli un bel sorriso. Poi lo abbracciò e James si commosse. «Adesso mi fai piangere come un bambino però, e non va bene per un uomo grande e grosso della mia età!». «Non ti preoccupare, piangi pure se ti va di farlo. Per me non è affatto un problema e nessuno ti giudicherà per questo». «Va bene. Anche questa è una valida filosofia di vita». «E allora mettila in pratica. Non costa poi molto farlo». «Grazie Lynda cara. Dai, andiamo da tua madre, ci starà aspettando. Hai già parlato con lei, avete chiarito tutto?», le chiese James, senza poter nascondere una certa preoccupazione per la risposta. «Secondo te l’ho fatto?». «Non lo so, ma avresti dovuto». «In parte si». «In che senso, in parte?». «Nel senso che ne abbiamo parlato, ma solo in parte. Mia madre sembra sincera, a meno che non mi nascondiate dell’altro, voi due!». «Ciò che dovevi assolutamente sapere ti è stato detto. Il resto verrà da se». «Il resto? Di quale “resto” stai parlando James?». «Semplicemente del tuo futuro. Hai superato un bivio della tua vita e hai imboccato una delle strade possibili, non te ne sei accorta?». «Sinceramente mi sembra di aver preso solo una sbandata e di essermi allontanata dalla mia via». «Appunto! E sei caduta a terra, giusto? Bene. Ora ti sei rialzata, è ora di continuare a camminare in questa direzione. Andiamo dai, tua madre sarà
preoccupata». Sarah però non era affatto preoccupata. Aveva ben altri pensieri per la testa che la assillavano. Se pur Lynda le sembrasse più tranquilla, non vedeva ancora la soluzione che le avrebbe riunite. Quando vide arrivare la figlia e James da lontano, si alzò di scatto per dirigersi a fatica verso di loro. Stette per perdere l’equilibrio e con difficoltà ritrovò la poltrona dove stava seduta. Nel frattempo James e Lynda, che avevano visto tutta la scena, l’avevano raggiunta con o veloce. James e Sarah si abbracciarono come due persone che non si vedevano da moltissimo tempo. I loro occhi erano lucidi e pieni di lacrime. Si osservarono a lungo, senza pronunciare una parola, finalmente senza espressioni di dolore. Dialogarono un po’, ricordando i tempi ati e rivivendo le immagini di una gioventù che sembrava averli abbandonati da tempo ma che ora tornava prepotentemente a far parte delle loro vite. Lynda rimase a guardarli in silenzio. E capì tutto. Stava per esserle rivelato l’ultimo tassello, quello che ancora le mancava per completare il puzzle della sua vita tanto disordinata. Tutto ora, e solo ora, le sembrava così incredibilmente chiaro, semplice e logico. Quel pensiero aveva così tanto senso che le era ormai impossibile immaginare una qualunque alternativa. James, l’uomo che le era stato accanto da sempre, che l’aveva accudita e coccolata come una figlia e sua madre Sarah, insieme a lui in quel momento come tanti anni prima. Tutto assumeva una forma, una consistenza tangibile. Aveva il sapore della verità. Rimase immobile come una statua mentre le immagini forti di una vita virtuale che lei non era ancora totalmente sicura di aver vissuto le avano davanti agli occhi in sequenza, senza sosta. Ma decise di soffocare quel pensiero per il momento, voleva essere certa che si trattasse della verità e capire forse ancora qualche cosa di più, prima di uscire allo scoperto e parlare con loro. Uscirono dall’aeroporto e attesero l’autobus diretto a Newquay che arrivò puntuale. Lynda continuò a rifugiarsi nel suo mondo dipinto d’immagini confuse e casuali, affollato di pensieri di ogni sorta e un miscuglio di realtà, che a fatica riusciva a far convivere tra loro. Sarah e James parlavano come buoni amici, la luce che brillò nei loro occhi subito dopo l’incontro in aeroporto persisteva. Possibile che non si accorgessero che c’era anche lei lì con loro? Stanca e sopraffatta da tutto quel pensare continuo e logorante, Lynda decise di abbandonarsi al sonno. Forse, pensò, le avrebbe portato qualche utile consiglio.
8.
Beth stava affacciata sulla porta di casa, in attesa di vederli arrivare. Charlie le aveva detto che l’autobus sarebbe arrivato a Newquay in tarda mattinata, non avrebbe dovuto attendere ancora per molto tempo. Era già tutto pronto e i suoi bellissimi rododendri erano stati già tutti sistemati, puliti e annaffiati perché si presentassero al meglio ai suoi ospiti. Pensava al momento in cui avrebbe raccontato tutta la verità sulla sua salute alla famiglia, i suoi problemi ma anche il fantastico progetto che aveva in mente. In cuor suo sapeva che avrebbe avuto solo quell’occasione nella vita per realizzarlo, e per farlo aveva bisogno di tutti loro, ma soprattutto di Lynda e Charles. Doveva contare su di loro, sapeva di poterlo fare, ne era certa. Camminava nervosamente avanti e indietro per la casa con i incerti, fino a quando finalmente li vide comparire davanti ai suoi occhi. James, Sarah e Lynda si avvicinavano a lei con il loro splendido sorriso e Beth andò loro incontro per abbracciarli. Furono abbracci lunghi, intensi e carichi di gioia, mentre Puh girava intorno a loro scodinzolando e saltellando. Secondi interminabili durante i quali il tempo sembrava aver fatto un salto all’indietro, riaprendo loro le porte di un ato ormai lontano. Erano un po’ cambiati nell’aspetto ma era una cosa normale, del tutto attesa. «Stai bene sorella mia?», esordì Sarah per prima, «Il tuo messaggio ci ha spaventato! Che cosa è successo? Cosa ci devi raccontare di così importante?». «Porta ancora un po’ di pazienza cara sorella mia, tra poco vi dirò tutto. Il pranzo è già pronto, direi di mangiare ora. E’ già tutto pronto, ho apparecchiato la tavola in giardino, visto che è una bellissima giornata. Lasciate pure qui le vostre valige, penserete dopo a sistemarle», rispose Beth, sfoggiando il suo bel sorriso anche se in cuor suo tremava al solo pensiero della verità che prima o poi avrebbe comunque dovuto svelare. «I tuoi rododendri sono sempre così belli, sempre più alti, colorati e freschi!». «Si, non sono niente male, lo ammetto. Ma non sono ancora come li vorrei! Mi sono dovuta dedicare ad altre cose ultimamente e non ho avuto la possibilità di curarli come avrei voluto. Rimedierò!».
«Per me sono bellissimi come sempre zia!», esclamò Lynda che in quel momento aveva dimenticato tutti i suoi problemi. Quel giardino pieno zeppo di rododendri le era sempre piaciuto! Era stato sin da quando era piccina il suo rifugio preferito, il suo paradiso dentro il quale trovava rifugio quando si sentiva felice ma anche quando aveva voglia di piangere. Quanta magia nascondevano quelle piante e quegli splendidi fiori colorati! I viottoli ricoperti di ghiaia bianca permettevano di percorrere quel giardino senza lasciarsi sfuggire nemmeno un fiore. Sembravano disegnati, opera di perfezione assoluta di un geniale architetto divino. Ma tutto questo, in realtà, proveniva dalle mani umane della zia Beth. Mani che si dividevano da anni tra il giardinaggio e la preparazione di splendidi dolci e fantastiche confetture di frutta. Come avrebbe voluto avere una madre come lei e vivere per sempre in un paradiso come quello! Lei però abitava in una metropoli lontana, era “figlia” di un importante uomo politico e poteva gustarsi quel favoloso angolo della Cornovaglia solo durante l’estate. Ma quando poi le cose cambiarono, anche quel piacevole ritorno alla vita semplice le fu negato. Fino a quando, presa da altri impegni, lei se ne dimenticò completamente. Realizzava in quel momento che solo dopo aver perso tutto era riuscita a riconquistare la sua realtà, la sua vita e i piaceri del ato. E quel suo amico con il quale giocava sempre e che la faceva sentire così bene? Che fine aveva fatto? Avrebbe potuto cercarlo, con l’aiuto di zia Beth. Lynda notò poi che un piccolo capanno che giaceva in un angolo riservato di quel giardino era stato accuratamente sistemato. Non era più abbandonato come lo era un tempo, quando veniva utilizzato come magazzino per riporre gli oggetti non più utilizzati. Ora sembrava avere uno scopo ben preciso, tanto era stato curato fin nei dettagli. Sulla porta d’entrata era stata sistemata anche una piccola insegna che però era troppo lontana perché Lynda riuscisse a leggerla. «E il vecchio capanno che fine ha fatto zia?». «E’ sempre al suo posto, laggiù. Ha solo cambiato un po’ faccia!», rispose zia Beth indicando la costruzione con la mano. «Direi che ha subito un trattamento completo, un totale restyle! Ora è molto più bello!». «Ora è più adatto al suo scopo!». «Quale scopo? Se non ricordo male lo usavi come “discarica”», stuzzicò Lynda.
«Ed era sprecato come discarica, giusto? E’ così tanto bello! Quindi ho pensato di dargli una nuova vita! Ma ora basta con le domande, andiamo a mangiare. Ho molta fame, voi no?». James e Sarah annuirono e così anche Lynda. «Ti do una mano a portare le cose in tavola zia». «Va bene cara, vieni». James e Sarah si sistemarono al tavolo e continuarono a contemplare in silenzio quel meraviglioso giardino. Pensarono che ancora una volta Beth era riuscita a superarsi, dando vita ad un’opera unica nel suo genere, un’opera che valeva davvero la pena di vedere e visitare. Erano già tutti seduti al tavolo quando la stessa domanda tornò a presentarsi, puntuale. Sarah si lanciò per prima, attendendo che anche gli altri la seguissero. «Allora Beth, perché ci hai convocati qui?», chiese. «Ebbene se proprio insistete, vi dico tutto. Ho deciso di partecipare ad un concorso e voi tutti dovete darmi una mano, ho davvero bisogno di voi e del vostro aiuto perché da sola non potrò mai farcela», rispose Beth tutto d’un fiato, senza indugiare. Gli ospiti cominciarono a guardarsi tra di loro con perplessità e senza capire fino in fondo quello che Beth stesse dicendo. «Un concorso? E che tipo di concorso?», chiese allora Lynda senza nascondere tutto lo stupore nato in lei per la proposta avanzata dalla zia. «Si miei cari, un concorso. Si tratta di una specie di concorso di cucina. Dovremo creare un dolce e dovrà essere il più bello e più buono di tutti se vogliamo vincere!». Ripiombò ancora una volta il silenzio. James guardò Beth dritto negli occhi e senza parlare riuscì ad andare oltre le apparenze. «Ma si, certo. Penso proprio che dovremmo farlo invece! Perché no? E cosa si vince?».
«Ci sono in palio ben diecimila sterline! Ma soprattutto il piacere di essere riconosciuti come i migliori!». «Bene, ne vale la pena allora, che ne dite ragazze?», chiede James rivolgendosi a Lynda e Sarah. «Dico che qui qualcuno deve essere completamente uscito di senno!», rispose Lynda senza alcun riserbo, «Zia, abbiamo attraversato l’oceano pensando che ti fosse accaduto qualche cosa per poi scoprire che dobbiamo partecipare a un concorso di cucina!». Si spense il sorriso sul viso di Beth e con lui la luce che brillava nei suoi occhi fino a qualche istante prima. James osservò Beth, poi si girò verso Lynda. «Non puoi offendere tua zia in questo modo, Lynda! Consideralo un modo per ricambiare tutto quello che ha fatto per te quando eri piccola», la riprese James, per la prima volta con un tono così imperativo. «Oh bene! Adesso mi rimproveri pure, proprio come se fossi tua figlia, non è vero?», replicò Lynda irritata e a voce alta. «Lynda, ti prego calmati, non dire sciocchezze», continuò Sarah, mentre Beth in silenzio osservava i risvolti della scena che si stava dispiegando davanti ai suoi occhi. «O forse mi sbaglio, caro papà? Perché tu sei il mio vero padre caro James! O forse mi sbaglio?». Lynda assestò il colpo di grazia che mise tutti a tacere. Seguirono interminabili minuti di silenzio, durante i quali si udiva solamente il tintinnio nervoso della forchetta picchiata contro il piatto di Lynda. «Lynda, ciò che dici è assurdo!», esclamò Sarah. «Sarah, ti prego», la interruppe James, «Non ha più senso ormai continuare a nascondersi dietro a stupide bugie. Lynda, quello che dici è vero, io sono il tuo vero padre». «Vi lascio parlare un po’ da soli in pace, vi prego di scusarmi», annunciò Beth per poter lasciare al più presto quella discussione che si era fatta molto calda. «No Beth, ti prego. Resta qui insieme a noi. Una volta per tutte è giusto esporre
tutta la verità alla nostra Lynda», la riprese James invitandola a risedersi, quindi continuò il suo discorso. «Il senatore Grant sapeva tutto e nonostante tutto mi permise di avvicinarmi a loro, alla vostra famiglia, seppur come semplice autista, permettendomi di vedere mia figlia crescere e di potermi occupare di lei! In cambio io non avrei mai dovuto dire nulla a nessuno, altrimenti mi avrebbe allontanato per sempre dalla vostra casa e da voi. Siglammo un vero e proprio patto. Per questo motivo tua zia Beth dovette faticare parecchio per convincere tua madre ad accettarmi come autista, sarebbe stato difficile per lei sapermi vicino e temeva una brutta reazione del marito quando le avesse chiesto di accettare il suo amante in casa sua per il bene della figlia. Tuttavia ci provò, non avendo nulla da perdere e quando vide che il Senatore era d’accordo ne fu felice. Sapeva di essersi giocata l’ultimo misero granello di libertà che ancora le restava, ma per amore tuo, Lynda, non se ne curò. Io sono l’uomo con il quale tua madre ebbe una lunga e ionale relazione durante il periodo di lontananza da casa e dal marito. Tua madre Sarah fu la “valida aiutante” di cui ti ho parlato, la persona che mi aiutava a preparare le marmellate dopo la partenza di Beth. La nostra relazione non finì quando tua madre ritornò a casa sua ma continuò anche dopo la tua nascita. Quando tua madre ed io ci incontravano di nascosto nella mia casa in campagna, lontano da occhi indiscreti, tu eri li insieme a noi. Questa è la verità Lynda, tutta la verità. Non c’è null’altro da sapere, è tutto qui figlia mia», concluse James.
«Bene. Grazie per la confessione, era proprio quello che avevo immaginato questa mattina quando vi ho visto abbracciarvi in aeroporto. Ora se non vi dispiace andrei a fare due i qui fuori», sbottò istintivamente la ragazza. «Ma Lynda non hai ancora finito di mangiare», la riprese la madre. «Ancora insisti? Mi è ata completamente la fame! Come fai a non capirmi? Pensi che io possa accettare di buon grado tutto questo? Con tanta leggerezza? Non sono più una bambina mamma, quando avrò fame mangerò!», e poi rivolgendosi a Beth, «Ti chiedo scusa zia, ma devo alzarmi. Non ce la faccio a trattenermi e in questi momenti sento il bisogno di stare un po’ da sola. Sono cambiata, non sono più la cara bambina di una volta». «Non c’è alcun problema cara, vai pure. Fai attenzione a non perderti e portati
un ombrello, il tempo sta cambiando e probabilmente tra poco inizierà a piovere». «Grazie zia, e ti chiedo scusa per averti risposto male poco fa», le rispose Lynda riservando solo per lei la cortesia e il sorriso che meritava. «Non importa cara, non importa», concluse Beth seguendola con lo sguardo mentre la ragazza raggiungeva il cancello per poi scomparire. Uscì dal cancello e si incamminò per la stradina, in una direzione a caso, decisa sul momento e senza una meta ben precisa. Le importava solo restare un po’ da sola, pensare e camminare. Aveva un forte bisogno di restare aggrappata ai suoi pensieri senza distrazioni. Non avano auto, la strada era deserta, stretta e immersa in una verdeggiante distesa d’erba che si estendeva a perdita d’occhio, qua e là intervallata da lievi alture che nascondevano la vista. Sulla sua sinistra vedeva il mare, silente e molto più calmo di quanto non si sentisse lei. Mentre camminava, tuttavia, cominciò a stare meglio. Finalmente si sentiva davvero in pace con se stessa e con il mondo, al punto che quel sentimento di rabbia provato fino a qualche istante prima sembrava essere svanito nel nulla. Continuando a camminare non si era accorta che era trascorsa già più di un’ora e il tempo non prometteva davvero nulla di buono. Grossi nuvoloni neri le coprivano la testa e dopo pochi istanti cominciò a piovere, prima solo qualche goccia, poi pioggia scrosciante. Zia Beth l’aveva avvisata e aveva ragione. Ora si trovava in mezzo al nulla, senza un riparo, con un piccolo ombrello che riusciva a coprirla solo in parte. Pensò che forse sarebbe stato molto meglio rimanere al cottage e ascoltare le raccomandazioni di zia Beth, che in fin dei conti doveva conoscere i capricci del tempo in Cornovaglia molto meglio di lei. La pioggia continuava ad aumentare e con essa il vento che strattonava l’ombrello facendola ondeggiare da una parte all’altra fino a quando non si ruppe, lasciandola completamente scoperta in balia del temporale. Arrivarono anche i tuoni e i fulmini che la terrorizzavano tanto da bambina. Sollevò in fretta il copri spalle per ripararsi alla meglio la testa e cercò di tornare indietro con o spedito. Forse in mezz’ora o poco meno ce l’avrebbe fatta. In lontananza notò i fari di un’auto avanzare verso di lei. Quando fu più vicina notò che si trattava di un’auto di lusso, di colore nero. Poiché la strada era cosparsa di pozze d’acqua e fango, accostò leggermente al bordo della carreggiata per permettere all’auto di are. L’auto rallentò mentre si avvicinava a lei, fino a fermarsi. Dal finestrino leggermente abbassato sentì la voce di un uomo rivolgersi a lei.
«Signorina, le serve aiuto? Mi sembra in difficoltà!», pronunciò l’uomo con voce sicura e squillante. Lynda non riusciva a vederlo bene, i finestrini della vettura erano troppo bagnati. «Che cosa glie lo fa pensare signore? Forse il fatto che mi trovo qui su una strada sotto il temporale senza un ombrello?», rispose Lynda alla sua domanda. «Beh, a meno che lei non sia completamente ammattita al punto di essere uscita volontariamente con questo tempo senza un ombrello, mi vien da pensare che forse questo temporale l’ha sorpresa e lei ora non sa come ripararsi». «L’ombrello ce l’ho, ma il vento me lo ha rotto», rispose Lynda mostrando ciò che restava di quell’oggetto ormai divenuto completamente inutile. «Le suggerisco di non perdere altro tempo in chiacchiere e di salire in macchina. Non può rimanere li fuori in quello stato o si ammalerà». «Ma io non la conosco nemmeno! E se lei fosse un malintenzionato?». «Nemmeno io la conosco se è per questo. E se lei avesse cattive intenzioni e volesse rubarmi l’auto lasciandomi poi qui a piedi sotto l’acqua?». Lynda sorrise e capì che l’uomo voleva realmente aiutarla. Lynda girò attorno all’auto, aprì la portiera e salì. Gocciolava da tutte le parti, come una spugna impregnata. «Sto bagnando tutto, le chiedo scusa», disse Lynda seriamente dispiaciuta. «Si asciugherà, nessun problema. Ha rischiato di prendersi una bella polmonite, lo sa?». Lynda guardò in faccia quella persona con un lieve sorriso per esprimere il suo sincero ringraziamento per quel bel gesto. L’uomo era ancora di bell’aspetto nonostante sembrasse essere prossimo alla sessantina d’anni. Notò subito i folti capelli bianchi e quei suoi occhi verdi, grandi e luminosi, che rispondevano al suo sorriso con uno altrettanto bello. «Io sono Lynda, piacere di conoscerla». «E io sono Anthony, il piacere è tutto mio», rispose, «Non sei di queste parti,
vero?». «Esatto. Vengo da New York. Sono stata invitata qui da mia zia, lei vive in un cottage che si trova lungo la strada, a circa mezz’ora di cammino da qui». L’uomo annuì, ma perse per un attimo il suo sorriso. «Lo conosce?». «Sta parlando di Elisabeth, vero? Si, la conosco abbastanza bene», replicò l’uomo in modo secco. «Si è lei. Come mai quella reazione?», chiese Lynda indicandogli il volto con le mani. «Quale reazione?» «Oh beh, ha cambiato completamente faccia quando le ho parlato di mia zia Beth, Anthony!». «No, non ci faccia caso Lynda. Faccio sempre così quando sto per rimettermi a guidare». «Non ne sono molto convinta, ma va bene così, voglio crederle. Mi può accompagnare a casa per piacere?». «Si, certamente. Ma prima se non ha nulla in contrario vorrei invitarla a casa mia. Si trova proprio qui vicino, poco più avanti. Così potrà darsi una bella sistemata, asciugarsi per bene e cambiarsi d’abito. Poi potremmo bere qualche cosa di caldo, se lo desidera. Che ne dice?». Lynda non se lo aspettava. In fin dei conti non conosceva per nulla quell’uomo. Tuttavia esprimeva un certo fascino e le ispirava fiducia, sembrava essere davvero un signore. Le avrebbe fatto bene parlare con qualcuno che non fosse ancora una volta sua madre, James o zia Beth. «Anche se mi sembra un po’ prematuro e assolutamente poco saggio farmi accompagnare a casa di un perfetto sconosciuto incontrato per caso su una strada di campagna, penso di poter accettare il suo invito. Una buona cioccolata calda non mi farà male», rispose Lynda sorridendo.
«Meglio forse un buon tè inglese, non pensa? Qui in Inghilterra noi prendiamo sempre il tè alle cinque, la Cornovaglia non fa eccezione». «E vada per il tè allora. Ma non so se è il caso che io mi fermi fino alle cinque da lei», riprese la ragazza. «Ora che si sarà riscaldata per bene con una doccia, asciugata e cambiata, le cinque del pomeriggio non saranno poi così lontane». «E come potrò cambiarmi, mi scusi? I miei vestiti sono al cottage e…». Lynda non riuscì a completare la frase quando le si aprì davanti agli occhi una splendida vista: erano davanti all’entrata di un vero maniero inglese circondato da un enorme giardino colorato che si estendeva fino al mare. Era davvero incredibile. Era completamente persa in quello spettacolo. Mentre si avvicinavano, Lynda notò che anche quelle piante erano dei rododendri, tutte splendidamente curate e ben fiorite. «Non si preoccupi per i vestiti, ne ho di buoni per lei a casa, vedrà», rispose l’uomo senza però notare alcuna reazione nella ragazza, «Mi ha sentito?». «Oh si, beh… Come ha detto scusi?» Anthony le sorrise. «Ho tanti vestiti a casa mia che possono fare al caso suo, non si preoccupi». «Ma non vorrei sembrarle così sfacciata da accettare tutte queste sue gentilezze. Lei è davvero molto gentile ma non posso approfittarne così», replicò Lynda pregando in cuor suo che l’uomo insistesse nella sua offerta. «Lei non mi ha chiesto nulla, Lynda. Sono stato io a offrirglielo. Quindi non deve temere, non sta approfittando davvero di nulla, mi creda». «Allora non mi resta altro da fare che ringraziarla Anthony, lei è davvero un brav’uomo». L’uomo annuì accettando il ringraziamento, mentre l’auto avanzava lentamente verso la porta d’entrata della tenuta. Nel frattempo la pioggia stava diminuendo, fino a cessare completamente.
«Benvenuta ad Alicia’s Manor», disse l’uomo guardando Lynda con un bel sorriso stampato sul suo volto, poi l’auto si fermò.
9.
Lynda si guardava attorno, abbagliata da tanto sfarzo. La casa sembrava davvero un castello, riccamente arredata e con le pareti interamente ricoperte da eleganti boiserie. Anthony la fece accomodare nel salotto e chiamò una donna perché l’aiutasse a sistemarsi. La donna la invitò a seguirla. Attraversarono un lungo corridoio che si trovava al piano superiore, raggiungibile per mezzo di una splendida scala in legno a doppia rampa ricurva. Lynda non credeva ai suoi occhi, non aveva mai visto tanto sfarzo in vita sua prima d’allora, aveva sempre pensato fossero solo scene da film. Entrarono in una stanza posta in fondo al corridoio. Superate le spesse pareti, una suite reale si presentò agli occhi della ragazza. Grande quasi quanto tutto il suo appartamento di New York, la stanza ospitava splendidi arazzi, quadri antichi, un regale letto a baldacchino, tappezzerie di seta alle pareti, tappeti pregiati e vasellame di pregiata ceramica. Un antico orologio a pendolo non funzionante riempiva il tratto di parete che divideva le due ampie finestre in ferro battuto e tinte con vernice a smalto bianca, attraverso le quali entrava luce in abbondanza, rendendo la stanza molto luminosa. La vista da quelle finestre dominava la baia, dando l’impressione che il mare potesse entrare nella stanza se osservato dal letto. “Che emozione svegliarsi ogni mattina con una vista simile davanti agli occhi”, pensò. «E’ una stanza meravigliosa, non ho parole!», esclamò Lynda rivolgendosi alla donna. «Si signora, è davvero una bella stanza, così come lo è tutto il resto della dimora, vedrà. Il signor Puddon cura sempre tutto nei minimi dettagli, soprattutto questa camera», rispose la donna. «Il signor Puddon? Intende dire Anthony?». «Esattamente signora», replicò la donna. Lynda la guardò e le sorrise. «Mi chiamo Lynda, Lynda Grant», disse Lynda allungando la sua mano verso la donna, sorpresa da quell’azione confidenziale che nessuno ancora le aveva dato in quella casa in tanti anni di servizio.
«Oh bhè… grazie Lynda, è davvero un piacere per me conoscerla. Io sono Margaret», rispose la donna senza però ricambiare il gesto fisico, «Ho le mani sporche perché ho appena finito di spolverare l’argenteria e non vorrei che si sporcasse anche lei, mi perdoni». «Sono mani che lavorano Margaret, quindi devono ricevere tutto il rispetto che meritano. E poi mi guardi, sono qui bagnata come un pulcino, cosa vuole che sia mai?», rispose Lynda regalando alla donna il suo solito sorriso sincero mentre le prendeva la mano tra le sue. «Grazie signora, lei è davvero gentile con me!» «Signorina. Non sono sposata, nessuno ancora mi ha voluto tra i piedi!», aggiunse Lynda intervallando le parole con graziati sogghigni. «Questa deve essere la stanza di qualche persona importante della famiglia immagino», esclamò Lynda continuando a guardarsi intorno e ammirando ogni singolo dettaglio degli oggetti che la riempivano e apprezzando il profumo del tempo ato che aveva lasciato la sua firma in quella stanza. «Si, molto importante. Questa era la stanza personale di sua moglie, la signora Angela», rispose la donna, «Penso che il signor Puddon avrà modo di raccontarle tutto. Ora, con permesso, l’accompagno in bagno dove potrà darsi una bella sistemata. Ritirerò io i suoi vestiti e li laverò con cura». «Va bene grazie, ma io cosa potrò indossare nel frattempo?», replicò Lynda. Le piaceva quell’ambiente, le piaceva la casa, adorava Margaret… e Anthony non le era affatto indifferente. Era un uomo affascinante, le piaceva! «Non si deve preoccupare signorina, il signor Puddon ha disposto anche per questo», rispose Margaret mentre apriva l’anta di un grosso armadio a muro, «Qui può trovare un bel po’ di vestiti, scelga pure tra questi quello che più le piace». Lynda dovette trattenere il fiato quando i suoi occhi caddero sul contenuto dell’armadio. Se quello non era il sogno che ogni donna vorrebbe vivere, davvero poco ci mancava. L’armadio era pieno zeppo di abiti, di un’eleganza e raffinatezza senza pari. Si sarebbe mai potuta permettere un vestito di quella fattura per poterlo indossare in una delle sue serate mondane, facendo morire d’invidia le sue amiche? Sarebbe stato davvero impossibile are inosservata!
Li guardò tutti uno ad uno, valutando per ognuno la consistenza dei tessuti e ammirando la delicata fattura dei ricami e delle preziose decorazioni realizzate con cristalli, merletti e sete pregiate! Erano bellissimi, tutti di fattura italiana. L’etichetta riportante la dicitura “Made in Italy” era presente su ogni capo, con tanto di nome della stilista, una certa Sonia Galiano. «Non ho mai visto nulla di simile in vita mia prima Margaret, giuro! Pensavo queste cose potessero accadere solo nelle favole: una semplice ragazza raccolta da un principe azzurro in mezzo alla strada, portata con il suo cavallo bianco nel castello e trasformata in una vera principessa! E invece ora sta succedendo proprio a me, a Lynda Grant! Questi abiti sono degni di una principessa, non di una Yankee come me», continuò Lynda senza riuscire a staccare lo sguardo da quei meravigliosi abiti. «Allora si meraviglierà sapendo che su quegli abiti ha lavorato la signora Angela personalmente! Ora lei si sistemi, si prenda pure tutto il tempo che le serve, non c’è fretta. Poi venga qui e indossi pure l’abito che preferisce. La taglia sarà sicuramente giusta, il suo corpo è molto simile a quello della signora Angela. Ci vediamo dopo signorina Grant, con permesso», rispose Margaret mentre lasciava la stanza. Lynda si girò di scatto verso la donna per chiederle dove fosse la signora Angela in quel momento, ma non fece in tempo, la donna si era già allontanata dalla stanza. Poco male, avrebbe chiesto tutti i dettagli ad Anthony più tardi. Fatta la doccia, Lynda tornò all’armadio e cominciò ad ammirare ancora una volta gli abiti. Non sapeva quale scegliere, li avrebbe presi anche tutti se solo avesse potuto. Ma in ogni caso si sarebbe trattato solo di un prestito, quindi tanto valeva sceglierne uno poco impegnativo. Arrivata a casa se lo sarebbe tolto subito per evitare di rovinarlo e lo avrebbe reso il giorno seguente al suo proprietario. Notò che ogni abito riportava un nome ricamato su un piccolo lembo di seta posto all’interno: era quello che la stilista aveva assegnato alla sua creazione, dedicata a regine e principesse della storia antica e moderna. La sua attenzione cadde su un lungo abito in chiffon di colore rosso, estremamente elegante e splendidamente rifinito con pizzo e cristalli sulle spalline che lo reggevano circondando il collo. Sonia Galiano lo aveva chiamato “Nausica”. Le piaceva tanto, lo trovava molto adatto e avrebbe coperto meglio le sue forme grazie alla sua lunghezza. In fin dei conti non conosceva Anthony al punto tale da permettersi di apparire troppo sensuale ai suoi occhi. Lo tirò fuori dall’armadio, sganciandolo delicatamente dal suo sostegno e lo indossò. Si
guardò allo specchio, compiaciuta di vedersi in quella veste così insolita per lei, così elegante! «Chi lo avrebbe mai detto Lynda! Sei davvero una bomba sexy!», si disse ammirando in continuazione la propria immagine riflessa nel grande specchio. Sciolse il turbante che aveva messo per far asciugare i capelli prima di poterseli sistemare. Ne bagno ben attrezzato trovò tutto quanto poteva servirle per crearsi un’acconciatura degna di quello splendido vestito, fino alle forcine per capelli. In poco più di venti minuti riuscì ad ammirare la sua nuova splendida acconciatura. Notò una boccetta di profumo sul mobiletto del bagno. Annusò il contenuto e lo trovò molto buono, Anthony non si sarebbe arrabbiato se ne avesse usato solo un po’ per lei. Un’ultima sistemata davanti allo specchio e si sentì pronta. «Sei perfetta, puoi andare ora», si rassicurò ammirando con rinnovato consenso la sua immagine completa riflessa nello specchio. Mentre stava per uscire dalla stanza, notò la libreria. Vi erano molti libri scritti in lingua italiana, si trattava per lo più di romanzi, saggi e manuali sulla moda giovanile e sull’alta moda, tutto rigorosamente “Made in Italy”. «C’è molta “Italia” qui dentro!», si disse ad alta voce, quindi uscì dalla stanza con o deciso, sollevando leggermente il vestito per evitare di inciampare. “Mento alto, sguardo fisso in avanti, o lento!”, pensò. Arrivata alla scala, notò la figura di Anthony seduta in salotto, leggeva il suo giornale. Rimase per un attimo ferma a guardarlo. Era davvero un uomo ricco di fascino, quel fascino che lei cercava ma che fino ad allora nessuno era ancora riuscito a mostrarle. Scese le scale ed Anthony la notò. Abbassò il giornale e rimase immobile ad osservarla, in ogni suo o, ogni sua mossa, fin quando lei non si trovò in piedi proprio di fronte a lui. «Eccomi qui. Ho preso questo vestito in prestito, spero possa andar bene», disse Lynda, con leggero disagio. Pensò in quel momento che forse aveva sbagliato nella scelta, forse avrebbe dovuto scegliere qualcosa di meno elegante, di più informale. «Sei bellissima Lynda! Vieni, lasciati guardare», rispose Anthony mentre i suoi occhi raccoglievano ogni centimetro del corpo della ragazza, ammirandolo in ogni sua forma, «Sei semplicemente splendida, proprio come lei».
«Lei è Angela?». Anthony sembrò uscire dal suo sogno, abbandonando quella visione che per un attimo lo aveva catturato estraniandolo dalla realtà. «Ti chiedo scusa Anthony! Se la domanda che ti ho fatto ti disturba, se la ritieni invadente per la tua persona, non sentirti obbligato a rispondere», cercò di rimediare la ragazza. «No, non ti preoccupare. Nessun problema. Si, quella donna si chiamava Angela, era mia moglie. Quella stanza era il suo spazio, dove si rifugiava quando voleva rimanere da sola con i suoi pensieri, con le sue cose e con il suo ato. Era il suo piccolo giardino dal cuore italiano», rispose Anthony serenamente. Lynda capì allora che poteva spingersi oltre senza urtare i sentimenti e le emozioni dell’uomo. «Come mai ne parli al ato? Dov’è lei lei ora?» «E’ morta. Fu un incidente accaduto trent’anni fa a portarsela via. Era una giornata di pioggia come quella di oggi, lo ricordo come se fosse successo ieri. Dovette uscire per andare a fare delle commissioni in città e prese la mia auto, visto che la sua era guasta. Non la guidava mai o forse si è trattato di un altro guasto, non si è mai capito. Mentre guidava perse il controllo della vettura e uscì di strada, finendo giù per una scarpata, verso il mare. L’auto si ribaltò più volte, accartocciandosi su se stessa per poi prendere fuoco. Non c’era nessuno nei paraggi che potesse prestarle soccorso, anche se comunque ci sarebbe stato ben poco da fare visto che l’auto era stata completamente avvolta dalle fiamme». Una lacrima uscì dagli occhi di Anthony. «Mi dispiace Anthony», disse Lynda abbracciandolo. Anthony non reagì. Mentre Lynda si avvicinava, lui sentì forte il profumo che portava la moglie e chiuse gli occhi. «Oh Angela, sento il tuo profumo!» Lynda s’irrigidì e si staccò immediatamente. «Questo era il suo profumo, quello che più le piaceva mettere in tutte le occasioni», continuò l’uomo.
«Spero non ti abbia infastidito che io ne abbia messo un po’». «Assolutamente no. Quel profumo ha un potere enorme su di me, mi basta chiudere gli occhi per rivivere tutte le emozioni e le sensazioni che provavo quando lei era qui. Porti il suo profumo, il suo vestito, i capelli non molto diversi dai suoi e da come lei amava sistemarli! Lynda, sei l’immagine di Angela, me la ricordi davvero tanto!». Seppur compiaciuta, Lynda cominciò a sentirsi in parte usata. Ma d’altra parte era contenta di aver fatto rivivere dei bei momenti nella mente di quell’uomo che l’aveva aiutata poco prima in un momento di difficoltà. «Angela era italiana vero?», chiese Lynda alla ricerca di ulteriori dettagli di quella storia. «Si. Prima di trasferirsi qui viveva e lavorava a Milano, nel nord del Paese». «Milano è molto famosa per la moda! E’ per questo che Angela aveva tanti vestiti così belli?», continuò Lynda. Ora tutto sembrava assumere un senso, i tasselli cominciavano a legarsi tra loro. «Esattamente. Avrai notato che la maggior parte di quegli abiti appesi nell’armadio sono stati disegnati da una stilista italiana». Lynda annuì. «Angela lavorava nel suo Atelier. Quella donna si chiama Sonia Galiano. Si conoscevano fin da piccole quando ancora vivevano in un piccolo paese nel sud dell’Italia, in Calabria. Erano cresciute insieme, avevano frequentato le stesse scuole, si confidavano proprio tutto, non esistevano segreti tra loro. Poi Sonia si sposò e si trasferì con il marito in Lombardia, nel nord dell’Italia, a Milano. A Milano seguì i corsi di design e sartoria, specializzandosi in design d’alta moda e riuscì ad aprire il suo primo Atelier. Nel sud dell’Italia invece non è semplice riuscire a lavorare. Il lavoro e le possibilità scarseggiano, oggi come allora, e anche dove si potrebbe riuscire a fare qualche cosa, esiste quasi sempre qualcuno che viene a bussare alla tua porta per pretendere qualche cosa in cambio, per lasciarti lavorare in pace. Angela sapeva cucire molto bene, l’arte del cucito le era stata tramandata dalla madre, una semplice contadina che cuciva per ione a tempo perso. Fu proprio Sonia a chiederle se voleva trasferirsi anche lei al nord, per lavorare insieme a lei nel suo giovane Atelier. E Angela accettò con piacere quell’invito. All’inizio Sonia non era affatto conosciuta, le due ragazze partivano dal nulla e dovevano farsi strada. Formavano tuttavia una bella
squadre e avevano tutte le carte in regola per riuscire a sfondare in quel campo. E così fu infatti». «Come vi siete conosciuti?» «Io commerciavo in sete e stoffe pregiate, principalmente orientali. Ero uno dei fornitori di fiducia per la Galiano. Un giorno mi trovavo nel suo Atelier per presentarle nuovi tessuti e decorazioni per i suoi abiti e notai Angela seduta alla sua macchina per cucire. Era una ragazza radiosa, sorridente, esprimeva dolce con il suo silenzio. Amava il suo lavoro e lo lasciava ben vedere a tutti». «Capisco. E da quel giorno vi siete avvicinati e avete cominciato a frequentarvi». «Esattamente. Come un ragazzino dimenticai volutamente un foglietto con il mio numero di telefono sul suo tavolo da lavoro, posandolo mentre la titolare non c’era. Mi diedi parecchio da fare perché Angela se ne accorgesse. Lei lo raccolse, lo lesse e mi lanciò un sorriso! “Bingo!”, pensai! Quello per me fu come un “si”, e mi diede fiducia per andare avanti e provarci con lei, perché sentivo che ce la potevo fare. Ma mi sbagliavo. Non lo capii subito, solo in seguito mi fu chiaro: Angela non parlava una parola d’inglese! Non aveva capito affatto quello che avevo scritto sul foglio se non il fatto che lì sotto era riportato il mio numero di telefono. Ovviamente lei non mi avrebbe mai chiamato, non avremmo avuto modo di comunicare altrimenti». Lynda sorrise, la storia cominciava a divertirla per i risvolti inattesi che stava assumendo. «Quindi fu Sonia Galiano a leggerlo e tradurlo per lei?» «No, nemmeno lei parlava inglese allora. Fu il marito di Sonia, Andrea. Era lui ad occuparsi dei tanti contatti con clienti e fornitori, quindi era lui a parlare con me. Fu lui a chiamarmi per comunicarmi che Angela avrebbe avuto piacere di rivedermi e che mi ringraziava le mie attenzioni che le dedicavo. Io ricambiai inviandole dei fiori ed esprimendole tutta la mia gratitudine e l’interesse che avevo nei suoi confronti». Anthony sorrideva con fierezza mentre lo raccontava. «E’ fantastico, fu una bella conquista!», esclamò Lynda altrettanto compiaciuta. «Ad essere sincero in un primo momento pensai si trattasse di una manovra pensata da quel tizio per farmi avvicinare a loro e per ottenere dei vantaggi
economici sulle mie forniture di stoffa. Ma per mia fortuna mi sbagliavo», replicò Anthony strizzando l’occhio alla ragazza che lo stava ad ascoltare elettrizzata. Anthony notò e ammirò il colore delle sue labbra e quanto bene s’intonassero con il colore del vestito, in forte contrasto con i suoi splendidi e luminosi occhi azzurri. «Ma come sei sospettoso!». «Si, lo ammetto! Sono molto sospettoso e anche un po’ troppo prevenuto nei confronti della gente! Tuttavia l’essere sospettoso non mi ha permesso di porre maggiore attenzione nelle mie azioni e nelle scelte da me fatte, per evitare di commettere alcuni errori che mi sono costati molto cari, alla fine». «Ah, non ne dubito! Anch’io sono così! E poi? Che cosa accadde dopo?», chiese Lynda mostrando sempre più la sua eccitazione e interesse per quella vicenda. «Vedo che la mia storia sentimentale ti sta divertendo parecchio!», esclamò Anthony. «Spero di non essere stata inopportuna. Il fatto è che dietro una scorza dura si nasconde in me un’inguaribile romantica». «I nostri contatti proseguirono, sempre più frequentemente e spesso grazie alla mediazione del marito di Sonia. Nel frattempo Angela cominciò a studiare l’inglese e, anche se con non poca fatica, raggiungemmo ad un certo punto un buon livello di autonomia che ci permise di scendere un po’ più nell’intimo». «E’ stupendo!», esclamò Lynda. «Piuttosto snervante e a tratti catastrofico, direi», la corresse l’uomo, «Non mancavano le incomprensioni ovviamente! Ma finalmente cominciammo a ingranare bene e finalmente un bel giorno Angela accettò di venire qui in Cornovaglia a trovarmi e a trascorrere le vacanze estive insieme». Anthony fece una pausa durante la quale sembrò raccogliere le idee come se fossero sparse ovunque sul pavimento. Poi continuò il suo racconto. «Anche se ancora non lo sapeva, quando ripartì per Milano lei aspettava un figlio. Un figlio nostro».
Il viso di Anthony aveva perso quell’allegria che lo aveva segnato fino a poco prima. Quel ricordo aveva fatto scattare qualche cosa in lui, ma Lynda decise di non chiedere nulla in quel momento, lasciando Anthony libero di continuare il suo racconto come e quando avesse voluto. L’uomo riprese presto la parola. «Quindi puoi immaginare cosa accadde dopo. Angela si trasferì qui, dovette lasciare il lavoro, il suo paese e la sua cara amica Sonia, con la quale mantenne però i contatti negli anni. Prima di partire Sonia le diede tanti abiti perché potesse ricordare sempre il lavoro che avevano fatto, tutto quello che erano riuscite a costruire insieme partendo dal nulla e che ora Angela si trovava a dover lasciare. Sono gli abiti che hai trovato nell’armadio, compreso quello che stai indossando ora. Il “Nausica” era proprio uno dei suoi preferiti». Lynda riguardò il vestito che indossava. Ora che ne conosceva la storia, quell’abito aveva per lei ancora più valore e la emozionava. «E il vostro bambino?». «Giusto il tempo di organizzare le nozze e ci ritrovammo sposati. Il bambino nacque quattro mesi dopo. In meno di un anno mi ritrovai sposato e con prole», rispose Anthony con freddezza. Lynda lo notò subito. «Come mai ne parli così malvolentieri, come se si trattasse di un peso per te?». «Non fu un peso allora e non lo è nemmeno oggi. Però sono certo che se mio figlio sapesse che cosa ho fatto, ora lui mi odierebbe. Sono successi troppi fatti che mi sono sempre sforzato di dimenticare. Non vorrei parlarne ora Lynda, se non ti dispiace. Forse un giorno lo farò, ma non ora, te ne prego». Lynda annuì prima con il capo, poi con le parole. «Ma certo, come vuoi tu. Nessun problema». Lynda realizzò che ormai era fuori casa da troppo tempo, c’era stato il temporale e la sua famiglia sarebbe stata in pensiero. Le tornò alla mente che anche lei, ora, sapeva di avere ancora una famiglia intera e forse doveva andarne fiera e non sentirsene risentita come invece aveva dimostrato loro. «Anthony, forse ora è meglio che vada».
«Perché vuoi andartene Lynda? Ti prego, resta qui a cena con me questa sera. La tua compagnia mi rende felice. Margaret sta già preparando tutto, non senti il profumino che arriva dalla cucina? E poi una donna vestita così merita di trascorrere una bella serata, non credi?». Lynda non sapeva cosa fare. Avrebbe voluto almeno avvisare la sua famiglia al cottage, per non farli stare in pensiero. «Va bene, accetto. Posso fare una telefonata Anthony?». «Ma certamente. Il telefono è proprio sulla scrivania. Chiama pure, ti lascio da sola». «Non ce n’è bisogno Anthony, puoi pure restare. Non ho segreti. Voglio solo avvisare la mia famiglia per dirgli di non aspettarmi e per non farli stare in pensiero». Il viso dell’uomo s’incupì nuovamente e anche questa volta Lynda lo notò. Avrebbe fatto la telefonata, poi avrebbe chiesto il perché di quel suo comportamento. Lynda alzò la cornetta del telefono ma sentì che era muto. «Oh accidenti, non funziona!», esclamò infastidita. «Ci risiamo! Capita spesso in questa zona quando arrivano forti temporali come quello di oggi. S’interrompono le linee e ci vuole del tempo per ripristinarle. Siamo un po’ abbandonati al nostro destino da queste parti, ma anche questa è la Cornovaglia». «Non hai un telefono cellulare? Ho lasciato il mio al cottage, sono uscita di fretta e non l’ho portato con me». «Mi dispiace Lynda, ma io non lo uso». «Non lo usi? E come mai? Sei forse l’unica persona rimasta al mondo che non usa un telefono cellulare!», esclamò Lynda sorpresa. «E’ una scelta personale». «Si ma in casi come questo sarebbe stato utile, non crede?»
«Beh, non direi. Se non abbiamo la linea noi, probabilmente anche il cottage sarà isolato». Aveva ragione e Lynda non volle insistere. «Anthony, senti…», iniziò Lynda mantenendo gli occhi verso terra, con il timore di incrociare i suoi in quel momento. Lynda era solita evitare lo sguardo dei suoi interlocutori quando sapeva di toccare argomenti o situazioni fastidiose per lei o per gli altri. Tuttavia non poteva rinunciare a porre quelle domande per le quali desiderava avere una risposta. Si metteva quindi in una condizione di sicurezza, proteggendosi dallo sguardo delle persone per sentirsi meno a disagio. Nel frattempo Margaret entrò nel salotto, sostando discretamente sulla soglia per essere notata ma allo stesso tempo non disturbare la conversazione ancora in corso. «Vieni pure Margaret. Guarda, hai visto com’è bella la nostra Lynda vestita di rosso? E’ molto elegante, non è vero?», disse Anthony alla volta della donna, spezzando le difese di Lynda e costringendola ad alzare lo sguardo. «Oh si, la signorina Lynda è davvero molto bella! Quell’abito le dona moltissimo signorina, valorizza ancora di più il suo splendido corpo. Non come il mio, che è così cicciotto da sembrare quello di una balena sciatta!». Scoppiò una risata che rallegrò tutti per un istante, alleggerendo l’aria che era divenuta pesante nel salotto. Poi Margaret annunciò che la cena era quasi pronta e stava per essere servita nella sala da pranzo che si trovava sull’altro lato della casa. Anthony si alzò ringraziando la donna, si avvicinò a Lynda e le allungò la mano per aiutarla ad alzarsi. Lynda tese la mano all’uomo che la prese con delicatezza. Il contatto delle sue mani fredde contro quelle solide e calde di Anthony la fece rabbrividire. Sentiva la mano di Anthony avvolgere completamente la sua e quando lui si chinò per baciargliela lei sussultò. I brividi le attraversavano interamente il corpo così come i fulmini avevano attraversato l’aria da cielo a terra durante il temporale di quel pomeriggio. I loro occhi e le loro bocche si trovavano a pochi centimetri di distanza, Lynda si sentiva in balia di quell’uomo che a quel punto avrebbe potuto fare tutto di lei. Furono intensi attimi di ione che Lynda non aveva mai provato in vita sua per nessun altro uomo. L’avrebbe baciata, abbracciata? Cosa avrebbe fatto di lei e con lei in quel momento e nei momenti successivi? Rimase lì ferma, immobile ad aspettare che succedesse qualche cosa. Il tempo sembrava essersi fermato e Lynda non riusciva più nemmeno a percepire i battiti del suo cuore nel petto.
«Vieni andiamo a cenare». Le parole di Anthony spezzarono l’incantesimo, riportando la ragazza alla realtà. Ricomparve il battito del suo cuore, si riaccesero i suoni e gli odori, tutti i sensi tornarono a funzionare. Non era successo nulla, o almeno non ancora. E forse era stato meglio così. «Anthony, io… forse non dovrei! Forse dovrei tornare a casa!». «Tornerai a casa, non preoccuparti. Ma ora ceniamo, vieni, altrimenti si raffredda tutto ed è un vero peccato». Quel sorriso finale spazzò via ogni sua difesa e Lynda si rassegnò. Avrebbe cenato in quella casa, con un uomo conosciuto solo quello stesso pomeriggio. Ma subito dopo se ne sarebbe andata. La tavola era stata elegantemente apparecchiata da Margaret. I piatti in fine porcellana italiana, i bicchieri di cristallo, i tovaglioli pregiati facevano da contorno a una splendida composizione floreale e a una grossa candela nuova, appena accesa. Le posate in argento brillavano sotto le luci dell’imponente lampadario di cristallo che dominava sopra la tavola. Ma la luce si ridusse non appena i due si sedettero, facendo emergere bene la luce fioca e calda della candela. Chi era stato? Solo un effetto elettrico automatico oppure era dovuto a Margaret che si aggirava nei dintorni cercando di creare l’atmosfera più adatta per una coppia? La cena fu servita secondo le regole classiche dell’alta aristocrazia, anche Margaret si era cambiata d’abito per l’occasione. Quella donna era fantastica! Era da sola eppure sembrava di avere in casa tanto di quel personale da ricoprire ogni singola attività quotidiana in corso in un castello. Sorrisi, incroci di sguardi, attimi d’intimità durante i quali le loro mani si toccavano. Lynda cominciò a desiderare nuovamente quel contatto, le vibrazioni nel suo corpo cominciarono a riportarsela via, in un mondo che non le apparteneva ancora perché non lo aveva ancora visitato. Era il fantastico mondo dell’amore e della ione. Le briglie erano ormai state sciolte, i freni dimenticati. La cena era finita e i loro occhi non riuscivano più a lasciarsi andare. Una catena li univa, una catena che nemmeno il più forte dei divieti poteva spezzare e confinare ad un misero, sterile capriccio. Lynda guardò Anthony e i suoi occhi suggerivano all’uomo di prenderla, perché sarebbe stata sua, si sarebbe completamente donata a lui, indifesa. E l’uomo capì il messaggio. Si alzò, andò verso di lei e senza che Lynda potesse minimamente reagire, la baciò intensamente.
Margaret tornò al tavolo e sparecchiò con cura, facendo attenzione a non fare rumore. Non sentiva rumori provenire dalla camera, ma sapeva che lì dentro si stava consumando un atto d’amore, come non accadeva ormai da troppo tempo in quella casa.
10.
Il sole del mattino illuminava la stanza. Lynda si svegliò, nuda nel letto di Angela, e si strofinò il viso non appena realizzò la sciocchezza che aveva commesso quella notte. Si era concessa a un uomo che nemmeno conosceva. Lui era stato gentile e premuroso con lei, un vero signore. Fare l’amore con lui le era piaciuto molto, ma rimaneva sempre uno sconosciuto. E se l’avesse solamente usata? Cosa sapeva in fondo di lui se non quelle poche cose raccontate il pomeriggio di quello stesso giorno? Proprio nulla. E mentre Lynda assaporava il senso di vuoto che sentiva crescere dentro il suo corpo, l’agitazione s’impossessava di lei e dei suoi pensieri. Si guardò intorno, Anthony non c’era. Al suo posto, sul cuscino accanto al suo, notò un biglietto. Lo prese e lo aprì, riportava solo poche parole, ma sufficienti per aprirle il cuore e farle dimenticare tutti i dubbi e i cattivi pensieri che le erano ati per la mente pochi istanti prima:
Buongiorno Lynda! Oggi è una splendida giornata. Il sole e i colori dei fiori nel giardino risplendono più che mai. Devi vederli! Questo è anche merito tuo. Fai con comodo e preparati, poi scendi per fare colazione. Trascorreremo una bella giornata insieme, vedrai. Ho una sorpresa per te. Sempre se ti va…
P.S.: cambiati d’abito, quello di ieri non è adatto per ciò che faremo questa mattina. Nel solito armadio troverai altri vestiti, scegli qualche cosa di comodo. Anthony
La stanza era in ordine. Lynda ricordava benissimo di aver lasciato cadere tutto a terra, la ione li aveva colti di sorpresa e non avevano avuto il tempo di ragionare. Eppure tutto era al suo posto, i vestiti accuratamente piegati e riposti sullo schienale di una poltrona insieme alla sua lingerie. Anche le calze di nylon erano state piegate e posate sulla stessa poltrona, separate da slip e reggiseno. Il
vestito “Nausica” era stato riposto nell’armadio, al suo posto. Sembrava quasi che Margaret fosse entrata nella camera quel mattino, mentre lei dormiva. Guardò nuovamente tutti quegli splendidi abiti, uno ad uno, come se li stesse vedendo per la prima volta in quel momento. Notò abiti corti e sbarazzini, adatti a ragazze giovani. Pensò che avrebbe indossato uno di quelli, ma non sapeva quale scegliere, tanto era combattuta. La colpì molto un abito ricco di drappeggi sul corpino, era di un colore di fondo azzurro e fantasie floreali di vari colori. Prese l’abito e cercò l’etichetta con il nome che la stilista aveva scelto: si chiamava “Azzurra”. Tolto l’abito dal suo sostegno, Lynda udì un tonfo secco: una collana in giada era caduta a terra, probabilmente era stata appesa al sostegno del vestito e si era sfilata senza che lei se ne accorgesse. Era una collana molto bella, che ben si adattava al vestito. L’avrebbe indossata e Anthony avrebbe sicuramente apprezzato! Indossò l’abito, anche questo come il “Nausica” del giorno prima le andava a pennello, sembrava essere stato cucito proprio su di lei. Si guardò allo specchio mentre sistemava per bene la collana e i capelli. «Sei proprio bella Lynda! E che bei gusti avevano questa Angela e la sua amica stilista italiana! Questi abiti farebbero la gioia di ogni donna, il design italiano non ha rivali nel mondo!». Poi mentre chiudeva l’anta dell’armadio notò un altro abito. Era stato accuratamente rinchiuso dentro ad una custodia riportante ancora una volta la serigrafia del nome e del logo della stilista, ma questa volta in caratteri dorati. Aprì la cerniera e dall’interno ne uscì uno splendido abito da sposa. Era l’abito che Angela aveva indossato il giorno del suo matrimonio con Anthony. Era completamente bianco, con un corpetto a drappeggio incrociato, impreziosito al centro da un profilo disegnato da perle e paillettes. La lunga gonna era ricoperta da una serie di volants multistrato in chiffon. La colpì l’etichetta con il nome dell’abito, si chiamava “Angelica”. Probabilmente la stilista lo aveva disegnato apposta per lei, seguendo i gusti di Angela. E forse Angela lo aveva infine cucito per lei stessa. Smise di curiosare e finì di sistemarsi. Margaret aveva apparecchiato la tavola sulla terrazza affacciata verso il mare. Non appena la vide, la donna la salutò augurandole il buongiorno e chiedendole se era riuscita a riposare bene quella notte. Lynda provò un senso di disagio e vergogna in quel momento, immaginava che Margaret sapesse benissimo ciò che
era successo tra lei e Anthony quella notte e che quella domanda quindi non fosse poi completamente casuale. Rispose evasivamente, non intendeva andare oltre in quella discussione che la imbarazzava tanto. Lo spettacolo che si aprì davanti agli occhi di Lynda in quel momento s’impresse direttamente nel suo cuore: il mare con il suo profumo e il biancore delle sue onde infrante contro gli scogli, il giardino che si apriva a terrazze e che scendeva dolcemente fino alla piccola spiaggia privata, separata dalla tenuta da una semplice staccionata, lasciata aperta in un solo punto per permettere il aggio. Il giardino era completamente ricoperto di alberi da frutto e di splendidi rododendri. In lontananza notò un uomo che zappava tra le piante. La sua figura, i movimenti e i capelli le ricordavano quelli di Anthony ma doveva essere molto più giovane di lui. Si alzò dal tavolo per guardare meglio. Era un ragazzo, più o meno della sua età. Le ricordava quel bambino che aveva conosciuto in ato e che le piaceva tanto, sul quale aveva tanto fantasticato negli anni delle sue estati trascorse con zia Beth al cottage. Più si avvicinava a lui, tanto più quella somiglianza diveniva una certezza. Ma si, era proprio lui! Era il suo Charlie! «Charlie! Charlie, ma sei proprio tu?», esclamò Lynda mentre si trovava ancora lontana dal giovane. «Lynda! Si sono io, ma tu che cosa ci fai qui? Come sei cambiata!», esclamò il giovane molto sorpreso di vedere la ragazza proprio in quel luogo. I due si abbandonarono ad un lungo abbraccio, erano ormai trascorsi molti anni durante i quali non si erano più visti ed erano cresciuti molto. «Dici che sono cambiata? Semmai sono un po’ invecchiata! Tu piuttosto, sei davvero cresciuto, sei diventato un uomo!», esclamò Lynda abbracciando nuovamente il ragazzo, «Oh Charlie, Charlie! Quanto tempo è ato!» «Sei venuta a trovare tua zia Beth?». «Si. La cara zietta ci ha chiamati tutti a rapporto perché doveva comunicarci qualcosa a detta sua di molto importante! Ed eccoci qua!». «Capisco. E l’ha fatto?», chiese il giovane con tono più calmo, meno euforico. Il sorriso sul suo volto si era leggermente spento. «Si. Ci ha detto che vuole partecipare a un concorso, non ho ben capito. Le serve
il nostro aiuto perché da sola non potrebbe farcela, nient’altro», replicò Lynda. Il giovane si limitò ad ascoltare, senza alcuna reazione. Lynda lo notò. «Come mai non dici nulla Charlie? Forse c’è dell’altro che la zia non ci ha detto?». «No beh, non lo so…», fece per rispondere il giovane quando una voce proveniente dalla terrazza li interruppe. «Buongiorno! Vedo che vi conoscete già, non è vero?», disse Anthony mentre avanzava verso di loro. «Buongiorno Anthony. Si, io e il piccolo Charlie ci conosciamo da tantissimi anni!», rispose Lynda. «Buongiorno signor Puddon. La signora Lynda è sempre stata come una sorella per me. Mi fa molto piacere rivederla qui oggi, è stata davvero una bellissima sorpresa», aggiunse il giovanotto. «Molto bene!», esclamò Anthony, «Lynda, il nostro Charlie lavora qui con noi alla tenuta! E’ un ragazzo così in gamba che non potevo lasciarmelo scappare, non se ne trovano molti di ragazzi come lui in giro oggigiorno. E migliora giorno dopo giorno il mio ragazzo!». «Charlie, come stanno papà Daniel e mamma Sophie?», chiese Lynda al giovane. «Purtroppo sono morti. E’ successo poco più di tre anni fa. Papà soffriva di cuore già da molto tempo. Si è addormentato la sera e il mattino seguente non si è più svegliato! E’ morto serenamente nel sonno, nel suo letto. Mamma lo seguì solo pochi mesi dopo. La ritrovai stesa a terra in cucina quando rientrai a casa la sera, senza vita. Rimasi solo al mondo da quel giorno, non avevo nemmeno i soldi per pagare il funerale. Quei pochi che avevamo erano stati spesi per mio padre. Fu il signor Puddon a provvedere alle esequie di papà». Lynda guardò Anthony negli occhi, come se volesse ringraziarlo per tutto l’aiuto che aveva dato al giovane. «Dove si trovano ora i loro corpi?».
«Sono stati entrambi cremati. Abbiamo versato le loro ceneri in mare aperto e si sono unite alle onde, proprio come desideravano. Sai quanto papà in particolar modo amasse il suo mare! Lui era un pescatore e il mare era tutta la sua vita e fu anche la nostra unica fonte di reddito per tanti anni». Gli occhi di Lynda si riempirono di lacrime e una di esse, furtiva, le sfuggì per scendere via rapida a solcarle il volto. «Mi dispiace Lynda. Pensavo che tu lo sapessi già», disse Anthony mentre porgeva alla donna un fazzoletto perché potesse asciugarsi il viso. «No Anthony. Non sapevo nulla. Grazie per esserti preso cura di Charlie in tutto questo tempo, assicurandogli di potersi mantenere», rispose Lynda, mentre teneva stretto forte il giovane tra le sue braccia. «Non sono stato l’unico ad avere cura di lui. Anche tua zia Beth si è data parecchio da fare perché non gli mancasse mai nulla. Esegue delle commissioni anche per lei, lo sai?». «Ah si? E che cosa fai per zia Beth, Charlie?». «Le consegno la frutta fresca. Vado in città, faccio il carico e glie la porto fin giù in cantina!». «Bravo, molto bene! Sono sicura che zia Beth apprezza molto il tuo lavoro». Il sorriso era ritornato sui loro volti. «Hai fatto colazione Lynda?», chiese Anthony mentre la prendeva sotto braccio per ricondurla alla terrazza. Lynda salutò velocemente Charlie lasciandogli intendere che si sarebbero rivisti molto presto. «No, non ancora. Ho rivisto il mio Charlie e sono corsa subito da lui». «Bene. Non ti ho nemmeno detto quanto sei bella con questo abito! Era uno dei preferiti di Angela, sai? Quanto siete simili voi due!». «Grazie! Quindi in me vedi la tua Angela, giusto?». «In parte. Sai, comincio a pensare che lei sia ritornata attraverso te per riportarmi
quella felicità che mi è stata negata dal giorno di quel maledetto incidente», rispose Anthony guardando Lynda negli occhi. I suoi occhi erano sinceri, senza dubbio. Un brivido attraversò il corpo di Lynda. «Nel biglietto che hai lasciato questa mattina sul cuscino dicevi che hai in mente qualche cosa per oggi, dico bene?», disse Lynda per deviare il discorso e tutti i suoi pensieri in un’altra direzione. «Certamente. Sai andare a cavallo?». «A cavallo? Oh no, non sono mai salita su un cavallo prima d’ora in vita mia, non sono capace!», rispose preoccupata per quella inattesa proposta. «Bene, allora oggi lo farai per la prima volta in vita tua, vedrai che imparerai subito e ti piacerà!». «Ma dove sono i cavalli? Non li vedo», chiese Lynda guardandosi intorno. «Eccoli, sono laggiù, all’interno delle loro casette!», rispose l’uomo indicandogli la zona del giardino dove si trovavano le scuderie. «Non li vedo!». «Fidati di me, ci sono». «Ma non posso salire così vestita su un cavallo, Anthony! Io pensavo volessi fare qualche cosa giù alla spiaggia, in paese, o qui intorno!». «Se tu vuoi possiamo fare tutte queste cose, seduti comodamente su un cavallo. eremo anche al cottage e tu potrai avvisare Beth». «Zia Beth! Me ne ero completamente dimenticata! Oh povera me, saranno tutti preoccupatissimi! E lo saranno ancora di più quando mi vedranno ritornare in sella a un cavallo e vestita in questo modo!». «Per i vestiti non ti devi preoccupare, i tuoi sono pronti per essere indossati e sono sufficientemente comodi per andare a cavallo, non credi?», replicò Anthony senza tradire nemmeno per un istante il suo splendido sorriso, «Salirai a cavallo oggi per la prima volta nella tua vita, vedrai che poi non vorrai più scendere!».
«Si, la prima volta. Speriamo che non sia anche l’ultima!». Anthony scoppiò a ridere e Lynda con lui. Lynda salì in sella ad uno splendido cavallo bianco mentre Anthony, al suo fianco, cavalcava un bel purosangue tutto nero. I due cavalli erano davvero molto belli e giovani, Anthony ne andava fiero e li accudiva come fossero figli suoi. Erano la sua ione e dedicava loro gran parte del tempo della sua giornata, confessò. «Fa male la sella?». «No, per il momento è tutto a posto», confermò Lynda sorridendo. «Molto bene. Come inizio non c’è male», continuò l’uomo con un sorriso enigmatico dipinto sul volto. «Cosa vuoi dire? Che dopo la cavalcata potrebbe farmi male tutto?», chiese Lynda preoccupata. «Alla fine potresti sentire qualche dolore, ma andremo con molta calma poiché per te è la prima volta. Quindi non preoccuparti, non soffrirai». Nonostante Anthony l’avesse rassicurata, Lynda non riusciva a tranquillizzarsi, era innervosita e preoccupata. Perché la costringevano a fare qualcosa che lei non voleva fare? «Senti Anthony, dobbiamo proprio farlo? Non ne ho molta voglia», provò ad ammettere Lynda, supplicante. «Nessuno ti costringe a farlo Lynda. Ma poiché per te è la prima volta, penso potresti ricavarne una bella esperienza da raccontare alle amiche, non credi? Difficilmente potrai andare a cavallo quando tornerai in città». Come dargli torto? Lynda annuì. «Quindi, che cosa dovrei fare?», chiese, rassegnata e necessariamente convinta. «Non devi fare nulla, penso a tutto io. Tu goditi la cavalcata».
I due cavalli cominciarono a muoversi affiancati. Anthony teneva le redini del cavallo di Lynda e mentre avanzavano piano piano le mostrava come avrebbe dovuto governare l’animale. Lynda pensò a quanto fosse più semplice guidare una macchina, ma piano piano cominciò ad apprezzare l’esperienza, si lasciò andare e si godette il paesaggio che le appariva così stranamente diverso. Forse a renderlo diverso era la presenza di Anthony accanto a lei. Il cottage di Beth era ormai vicino, lo si poteva vedere in lontananza. Se pur piccolo, si trovava in mezzo al nulla e la sua inconfondibile forma si faceva notare nell’ambiente. Man mano che si avvicinavano, Lynda notò un’auto con un lampeggiante sul tettuccio. Un timore l’assalì, timore che ben presto divenne realtà: non vedendola arrivare avevano chiamato la polizia per denunciare la sua scomparsa ed avviare le ricerche. Lynda impallidì, e con lo sguardo teso guardò Anthony. «Che cosa succede?». «Hanno chiamato la polizia!» «Capisco. E’ comprensibile, si saranno preoccupati tanto. Dai, facciamo in fretta, vieni!». «No Anthony, aspetta!». Anthony si arrestò e si voltò verso di lei per capire che cosa volesse fare e perché lo avesse intimato a fermarsi. «Mi faranno troppe domande e vorrei evitare». «Se non ti fai vedere non la finiranno più di cercarti e se non ti troveranno erai per dispersa. Non ci pensi al dolore che daresti a quelle persone?». Lynda abbassò la testa come una bambina appena rimproverata, accennò un “si” con il capo e si portò davanti. Anthony le lasciò un po’ di vantaggio, poi la seguì. Arrivati in prossimità del cottage, Anthony si fermò. «Lynda, io mi fermo qui». «Perché? Vieni dentro anche tu dai! Ti presento mia madre e mio padre. Poi potrai salutare zia Beth».
«Non è il caso. Scusami Lynda ma preferisco davvero fermarmi qui. Fai pure con comodo e non preoccuparti per il cavallo. Vieni da me quando vorrai, io ti aspetterò. Ceniamo insieme questa sera?». «Ma non lo so. Non so nemmeno cosa mi succederà qui dentro!». «Va bene. Vedi tu cosa vuoi o puoi fare, poi fammelo sapere. Questo è il mio numero di telefono», disse Anthony mentre presentava a Lynda il suo biglietto da visita. «Allora io vado». «Come preferisci. Ci sentiamo più tardi. Fammi gli auguri!». «Auguri!», esclamò Anthony con un sorriso, prima di voltare il cavallo e correre via. Lynda rimase immobile a guardare quell’uomo che aveva amato durante la notte e che sentiva sempre più vicino a lei. Soffriva per quella separazione forzata e non vedeva l’ora di riunirsi a lui. Amava la sua figura, il suo portamento, il modo in cui si esprimeva, tipico di un vero signore. Forse cominciava ad amarlo, o forse si trattava di una semplice infatuazione. Ma certamente non gli era indifferente. Lynda assicurò il cavallo ad un palo ed entrò in casa. Appena varcata la porta trovò Beth, sua madre e suo padre in piedi di fronte a lei. «Ma dove diavolo sei stata?», esclamò Beth con forza, mentre il poliziotto compilava il verbale, guardando la donna con la coda dell’occhio. «Zia, vi posso spiegare tutto. Quando sono uscita ieri mi ha sorpresa il forte temporale. L’ombrello che avevo portato con me si è rotto a causa del vento forte e mi sono bagnata tutta. Fortunatamente un uomo ava sulla strada con la sua auto e mi ha chiesto se mi serviva aiuto, io ho accettato. Era il signor Anthony Puddon, il proprietario dell’Alicia’s manor. E’ stato così gentile da portarmi a casa sua dove ho avuto modo di cambiarmi, asciugarmi e mangiare visto che s’era fatto tardi. Ho provato a telefonarvi ma il maltempo aveva interrotto la linea telefonica e non ci sono riuscita, mi dispiace!», replicò Lynda sperando di essere capita. «Balle! Tante stupide e sciocche bugie! Ti credevo diversa cara nipotina mia! Ma mi sbagliavo! Sei un’irresponsabile, un’incosciente! Lasciatelo dire!», sbottò
allora Beth ancora una volta. Lynda pensò che forse sarebbe stato meglio lasciar calmare la zia e spiegare per bene tutto quello che era accaduto alla polizia, per poterli poi congedare scusandosi per il disturbo e il falso allarme. «Beth, stai calma dai. Ora la nostra Lynda è qui con noi. Sono sicuro che potrà spiegarci meglio quanto accaduto. Come vedi sta bene, non è vero Lynda?», continuò James in difesa della giovane. Sarah era come pietrificata, visibilmente scossa. «Sarà meglio per lei. Non si può scomparire in questo modo, di punto in bianco e starsene comodamente nella casa di quell’uomo per arci insieme anche la notte! E cara la mia fuggiasca, il telefono funzionava eccome!», sbottò nuovamente Beth. Lynda non ricordava di aver mai visto zia Beth così irritata in vita sua. Il poliziotto continuava a compilare il suo verbale, scuotendo la testa di tanto in tanto in segno di dissenso. «Zia, non sono una donnaccia io! Anthony è stato così carino e gentile con me, mi ha dato l’aiuto di cui avevo bisogno in quel momento, nulla di più!», replicò Lynda stizzita. «Devi lasciar perdere quell’uomo Lynda! Mi hai capito? Lo devi lasciare stare, da oggi e per sempre!», ordinò Beth alla nipote in modo assolutamente perentorio. «Ma zia, che cosa ti ha fatto?», chiese Lynda implorando la comprensione della zia. «Perché è un mascalzone! Un poco di buono! Per fortuna ce ne sono pochi al mondo come lui!». «Ma zia…» «Niente “ma” Lynda, mi sono spiegata? Oppure fammi la cortesia di prendere le tue valige e tornartene a New York!». Lynda cercò a questo punto il volto del poliziotto che aveva seguito tutta la scena. Poi cominciò nuovamente a scrivere. Lynda si guardava attorno, smarrita. «Agente, lei ne sa qualche cosa?», chiese Lynda al giovane poliziotto, sicura che avrebbe sfatato le parole della zia.
«Girano brutte voci sul conto di Puddon, signorina Grant», replicò mentre riconsegnava i documenti alla donna che lo stava ad ascoltare, «Fossi in lei seguirei il consiglio di sua zia, per evitare problemi. Ora se non vi dispiace tolgo il disturbo signori, auguro a tutti voi una buona giornata. Cercate di chiarirvi per bene», rispose l’uomo mentre salutava con una mossa del cappello e usciva dalla casa richiudendo la porta dietro di se. «Quali voci circolano sul suo conto zia Beth? Ti prego, raccontami tutto!», chiese Lynda a zia Beth che la squadrava con sufficienza, senza rispondere. «Zia, ti prego, che cosa ha fatto quell’uomo?». «Quell’uomo ha ucciso sua moglie, cara Lynda. Anthony Puddon è stato indagato per omicidio, ma alla fine l’ha scampata. Tutti qui sanno che è colpevole, solo la legge non lo ha ammesso». Lynda si sentì raggelare il sangue. “Omicidio”. Quella parola continuava a riecheggiare nelle sue orecchie e nella sua testa. Non poteva essere vero, Anthony non era un assassino e lei lo sapeva bene! «Ma se la giustizia ha seguito il suo corso e non è stato dichiarato colpevole significa che non lo è, non ti pare? James, mamma… dite anche voi qualche cosa per favore! Voi lo conoscete?», chiese Lynda con le lacrime agli occhi e con il viso sbiancato come il latte. Sarah e James si guardarono, poi James annuì. «Lo conosciamo abbastanza bene Lynda. Quello che dice Beth potrebbe anche essere vero. In paese tutti dicevano che tra quei due c’erano dei problemi. Poi la moglie Angela ebbe un incidente d’auto sospetto nel quale morì insieme al suo figlioletto. Alcuni testimoni dichiararono di averli visti litigare il giorno precedente la morte della donna e a detta di alcuni lui l’aveva picchiata facendola cadere a terra ferita. La polizia avviò subito le indagini, ma si sa che Anthony Puddon è un uomo molto ricco e potente, i cui mezzi vanno ben oltre l’immaginario comune». «Quindi tu pensi che lui abbia potuto corrompere i giudici per farsi assolvere?». «Così si dice in giro, anche se i Giudici non l’hanno confermato». «A me non interessa quello che pensa o dice la gente!», sbottò Lynda, «Io voglio sapere la verità! Quell’uomo ha davvero ucciso sua moglie Angela?».
«Questa verità non si saprà mai Lynda. Il caso è stato chiuso moltissimi anni fa. E Angela purtroppo è morta e non potrà mai raccontarcelo. Era anche sola qui in Cornovaglia, non aveva nessun parente o amicizia che potesse anche lontanamente essere a conoscenza di ciò che la donna provava. Avrebbe fatto meglio a restarsene in Italia quella povera ragazza. Era così buona d’animo!». Al sentire quell’ultima frase, il cuore di Lynda sobbalzò. «Non è vero! Aveva ancora un’amica con la quale era rimasta in contatto anche dopo essersi trasferita qui! Quella Sonia Galiano!», esclamò Lynda ad alta voce. Gli altri si guardarono attoniti, in attesa di maggiori spiegazioni. «Sonia Galiano è una stilista italiana. Lei e Angela erano molto amiche, sono cresciute insieme quasi come due sorelle. Angela ha lavorato con lei per parecchio tempo nel suo atelier a Milano! La sua camera al maniero è piena zeppa di vestiti fatti da loro! Zia, c’è un accesso ad Internet che posso utilizzare?». «Un accesso a cosa?». «Ok, non ti preoccupare. Devo comunque ritornare da Anthony per riportargli il cavallo. Cercherò informazioni su Sonia Galiano direttamente a casa sua. Poi mi metterò in contatto con lei», rispose agitatamente la donna, camminando da una parte all’altra della stanza mentre gli altri la stavano a guardare, ammutoliti. «No, tu non andrai da nessuna parte, in quella casa non ci torni! E ti proibisco di immischiarti in qualche casino, quella faccenda è ormai chiusa e non ci riguarda. Lasciamo a Puddon i suoi scheletri nell’armadio», provò a replicare Beth, ma senza affondare il colpo con decisione, tanto che per Lynda fu un gioco da ragazzi convincerla del contrario. «Devo riportargli il cavallo e lo farò. Anthony si fida di me, non avete di che preoccuparvi. Con quella scusa chiederò di poter guardare nuovamente i vestiti e prenderò i recapiti della stilista, poi tornerò qui da voi». Nessuno replicò, se non James. «Fai molta attenzione però, figlia mia». «Dimostrerò a tutti voi che vi state sbagliando, che Anthony non è colpevole ed è un uomo buono. Ma se invece fossi io a sbagliarmi e dovesse realmente
esserlo, allora è giusto che paghi per le colpe che ha commesso». Ottenuto il consenso di tutti, Lynda uscì dalla stanza, saltò in groppa al cavallo e con o sufficientemente spedito si diresse verso la tenuta, decisa a tener fede al suo proposito.
11.
Lynda entrò nella tenuta in sella al cavallo bianco. Si guardò intorno ma senza riuscire a vedere nessuno. Forse Anthony stava sull’altro lato della casa, verso la scogliera, pensò. Mentre scendeva dal cavallo, sentì una voce sorprenderla alle spalle. «Bentornata Lynda!». Lynda si voltò, era Anthony. Il suo piede restò incastrato nella sella e nello sporgersi durante la discesa perse la presa, cadendo verso terra. Anthony fortunatamente era sufficientemente vicino da riuscire a fermarla in tempo, evitandole una rovinosa caduta. «Ecco vedi? Questa è una cosa da non fare mai! Bisogna sempre fare attenzione, in ogni momento! Un attimo di confidenza di troppo e ti ritrovi a terra con le ossa rotte!», accennò l’uomo mentre la teneva abbracciata facendola sentire al sicuro. Come potevano essere vere quelle voci su di lui? Era così buono, gentile e premuroso, non poteva essere un assassino! Tuttavia Lynda voleva realmente vederci chiaro, non voleva abbandonarsi alle emozioni per rimanere vigile e interpretare al meglio ogni singolo segnale, nel modo opportuno. «Mi hai distratto tu», rispose senza riuscire a guardarlo in faccia. Sentiva tuttavia il suo cuore battere all’impazzata, pensò che entro pochi secondi le sarebbe esploso nel petto se non si fosse calmata subito. «Io ti ho distratto? Ma io ti ho solo dato il mio saluto». «Si, ma non dovevi farlo in quel momento, hai visto che stavo scendendo da cavallo no?». «Ah, voi donne! Siete tutte uguali!», esclamò Anthony, catturando questa volta lo sguardo teso di Lynda che volgeva gli occhi verso di lui. «Sono venuta qui solo per riportarti il cavallo, per ringraziarti della tua gentilezza nei miei confronti e per chiederti se posso rivedere i vestiti di Angela un’ultima volta. Mi piacciono davvero tanto».
«Lynda, come puoi essere così fredda dopo quello che è successo tra di noi questa notte?». «Non è successo nulla Anthony, ti prego! Dimentica questa notte, non ero in me. Quella donna con cui hai fatto l’amore non ero io, la donna che sono ora. Questa notte mi sono lasciata andare, è una cosa che non faccio mai. Ti prego di perdonarmi, ma le cose stanno così». «Nemmeno ora lo sei a quanto pare. Dai entriamo, prendiamo un caffè. Così mi racconti anche cosa è successo a casa di Beth». «C’è ben poco da raccontare. Ho parlato con la polizia, ha voluto sapere un po’ di tutto. Non sono scesa nei dettagli ovviamente». «Sanno che sei rimasta qui con me questa notte quindi». «Si ora lo sanno. Lo sanno tutti!». «Quindi ti avranno raccontato delle cose sul mio conto, la storia del signor Puddon e dei suoi guai con la giustizia, vero?». Lynda non rispose, non sapeva che cosa dire. Restò ferma a pensare per qualche istante, nella speranza che le venisse in mente qualche cosa, anche la più futile delle bugie. Poi pensò che sarebbe stato meglio confermare, osservare la reazione dell’uomo e stare a sentire che cosa aveva ancora da dirle. «Si, mi hanno accennato ad alcuni fatti sul tuo conto. Problemi che hai avuto con la giustizia in merito alla morte di Angela. Ora è tutto a posto, però. Sei stato assolto, non è così?». «Interessante. E tu gli hai creduto Lynda, non è vero? Ed è per questo motivo che ora ti comporti in questo modo, come se io fossi per te un perfetto sconosciuto?», rispose Anthony voltando le spalle alla donna e allontanandosi da lei. «Anthony, tu per me sei un perfetto sconosciuto! Quelle quattro cose che mi hai raccontato ieri non significano di certo che ora io ti conosco! Dimmi quindi, che cosa avrei potuto fare? A chi dovrei credere o non credere? Io in realtà non ti conosco per nulla. Tu per me puoi essere tutto e il suo opposto, non ho modo di provarlo».
«Guardami negli occhi Lynda, io ti sembro un uomo capace di uccidere sua moglie, la donna che amavo tanto e che mi aveva da poco donato uno splendido figlio?», le rispose l’uomo dopo essersi girato di scatto e averla presa per le braccia con le sue forti mani. «Anthony, mi fai male! Lasciami andare!». «Sapete che cosa vi dico? Voi non avete capito nulla di me, non avete la minima idea di chi sia Anthony Puddon! Stammi a sentire e riportalo anche alla tua famiglia quando tornerai a casa! Io sono un uomo che vive nella piena grazia di Dio! Non sono un assassino, mi hai capito bene? Io non sono un assassino! Amavo Angela, non le avrei mai fatto del male, mai! Per nessuna ragione al mondo! Avrei donato la mia vita per lei se mi fosse stato richiesto, ma il destino in quel maledetto giorno ha voluto che le cose andassero diversamente e me l’ha portata via! L’ha portata via da me e da suo figlio!», rispose l’uomo scoppiando in un pianto sfrenato, le sue parole annegavano tra i singhiozzi. “Lynda non cedere al suo pentimento! Stai attenta, resta vigile! Vai dritta per la tua strada”, pensava dentro di se la donna, mentre posava la sua mano sulla spalla dell’uomo. Doveva portare a termine il suo compito, fare luce su tutto. Poi, e solo a quel punto, avrebbe tratto le sue conclusioni. «Mi fai entrare?», riprese Lynda con dolcezza. «La porta è aperta, entra pure e vai dove vuoi, vedi quello che vuoi, usa pure ciò che ti serve. Fai come se fossi a casa tua. Te l’ho già detto ieri, per me non è cambiato assolutamente nulla», rispose Anthony mentre asciugava le lacrime con la manica della camicia, «E’ assurdo vero? Hai appena visto un uomo piangere come un bambino!». «Nulla è assurdo, non ti preoccupare. Se fosse stato realmente assurdo piangere per un uomo, Dio non vi avrebbe mai donato le lacrime». Entrarono in casa, Lynda per prima seguita da Anthony. Margaret li vide entrare e salutò Lynda. Poi vide Anthony in quello stato ma non chiese nulla. «Le preparo qualche cosa da bere, signorina?». «Prenderei volentieri un caffè Margaret, grazie».
«Molto bene signorina». «Margaret, cortesemente accompagna la nostra ospite nella camera di Angela, voleva rivedere i vestiti di mia moglie». «Posso farlo da sola Anthony. Mi hai detto tu stesso di fare come se fossi a casa mia, giusto?». «Certamente. Nessun problema, fai come meglio credi. Io andrò un po’ in giardino a sistemare i rododendri, mi trovi lì se ti serve qualche cosa. Oppure puoi rivolgerti a Margaret», rispose freddamente l’uomo per poi congedarsi e uscire in giardino. «Allora io vado a prepararle il suo caffè signorina Lynda. Con permesso», disse Margaret con un cenno di inchino per poi allontanarsi. Lynda si trovava da sola. Salì per le scale e decise di fare tutto nel minor tempo possibile. Entrò nella stanza, si diresse di corsa verso l’armadio che conosceva ormai a memoria e lo spalancò con noncuranza. Tutti gli abiti ricomparvero davanti a lei, persino quello che aveva indossato quella stessa mattina. «Accidenti, che cura! E’ già qui dentro al suo posto!», esclamò a voce alta. Cominciò a guardare le etichette, una ad una, nessuna riportava l’indirizzo o i recapiti di Sonia Galiano. «Merda!», esclamò, «Qui non c’è nulla, solo l’etichetta con il nome!». Riguardò ancora gli abiti, uno per volta con attenzione, poi chiuse l’armadio e lasciò la stanza. Nello studio al pian terreno non c’era ancora nessuno. Lynda rimase ferma in piedi, guardandosi attorno senza vedere nulla che potesse essere di qualche interesse per la sua ricerca. Si avvicinò alla finestra e spostò leggermente la tenda per guardare fuori: Anthony stava lavorando in mezzo al filare di rododendri che fiancheggiava il sentiero all’interno del giardino. Lynda notò il telefono sulla scrivania, lo stesso che la sera precedente non dava segnale di linea. Ricordò che zia Beth le aveva detto che non c’erano stati guasti, quindi volle verificare nuovamente: il telefono era ancora muto. «Non funziona più da tanto tempo quel telefono, signorina Lynda», esclamò Margaret alle sue spalle mentre serviva il caffè sul tavolino nello stesso studio dove si trovava, facendola sobbalzare.
«Non funziona da tanto tempo dice?», chiese Lynda a conferma di quanto aveva appena sentito. «Esattamente. Il signore lo conserva perché è un regalo di sua moglie Angela. Pare che si sia guastato a causa di un fulmine caduto qui vicino qualche anno fa e che aveva causato seri danni all’impianto nella casa. Tutti gli altri telefoni sono stati sostituiti, ma quello il signor Puddon ha voluto lasciarlo lì al suo posto così com’era, come lo aveva lasciato Angela subito dopo averlo comprato e averglielo fatto trovare come sorpresa. Se le serve un telefono, ne abbiamo uno proprio qui nella stanza accanto, quello funziona molto bene». «No Margaret, grazie. Stavo solo controllando se era tornata la linea telefonica visto che ieri sera c’erano stati dei problemi», rispose Lynda sempre più confusa. Perché Anthony non le aveva detto che il telefono non funzionava? Al contrario, le aveva detto di usare proprio quello! E perché non le aveva detto di provare il telefono che si trovava nella stanza accanto come invece aveva fatto correttamente Margaret se veramente desiderava che lei potesse chiamare la sua famiglia per avvisare che si sarebbe trattenuta da lui? Forse perché se l’avesse fatto, loro avrebbero potuto metterla in guardia e lei se ne sarebbe andata. E non era questo ciò che Puddon voleva. Cominciava a dubitare di quell’uomo, forse zia Beth e la polizia non avevano torto. Lynda bevve il suo caffè in pochi secondi, giusto per ricambiare la cortesia di Margaret, poi ringraziò e salutò la donna prima di dirigersi verso l’esterno della casa. Vide Anthony da lontano, era completamente dedito al lavoro che le piante richiedevano, non avrebbe potuto vederla e decise di andarsene via senza salutarlo. S’incamminò a o spedito lungo la strada che riportava al cottage. Dopo diversi minuti sentì un’auto venire verso di lei alle sue spalle. Si trattava di un piccolo autocarro guidato da un ragazzo che si fermò per salutarla. «Buongiorno signorina Lynda!», esclamò il ragazzo porgendo il suo bel sorriso. Lynda focalizzò il suo sguardo verso di lui e lo riconobbe subito. Era Charlie! «Ciao Charlie! Che cosa ci fai in giro?», chiese Lynda, cercando di mostrarsi il più possibile serena agli occhi attenti dell’amico. Forse Anthony si era accorto che se n’era già andata e lo aveva mandato a cercarla? «Sto facendo un salto in città, ho una consegna per Beth programmata per questa sera e devo andare ora se voglio trovare lo spaccio ortofrutticolo ancora aperto!», replicò il ragazzo. Lynda tirò un sospiro di sollievo: tutto bene quindi,
fino a quel momento. «In città dici? Che ne diresti di un po’ di compagnia?», chiese Lynda, pensando che in questo modo avrebbe forse potuto trovare un accesso a Internet e cercare i recapiti della stilista indisturbata, «Mentre tu svolgerai le tue commissioni, io potrei guardare un po’ la città ed entrare in uno di quei pub che mi piacciono tanto. E’ tanto tempo che non la vedo, sento un po’ di nostalgia». «Ma certo, mi farebbe molto piacere Lynda. Dai, sali». «Grazie!», rispose Lynda contenta di quell’inatteso colpo di fortuna. Avrebbe anche colto quell’occasione per porre qualche domanda su Anthony Puddon all’amico, lui non le avrebbe mai mentito e non l’avrebbe tenuta all’oscuro di nulla. Ma c’era tempo e Lynda non voleva che Charlie pensasse che si trovava su quella strada da sola perché era fuggita via dalla tenuta come una ladra. La città era piuttosto distante, avrebbero avuto diverse ore per parlarne con calma e il discorso, per la sua delicatezza, meritava di essere imbastito in modo opportuno. «Quindi dopo tanto tempo sei tornata a far visita a tua zia Beth!», chiese Charlie con la dolcezza che lo contraddistingueva da sempre. «Si Charlie. Come ti dicevo è stata lei a convocarci qui tutti». «Quindi anche voi fate parte della squadra del suo progetto!», esclamò Charlie sorpreso. Ora tutto diveniva più chiaro. «Si, ci ha parlato di un concorso di cucina, pare si debba preparare un dolce. Poi io mi sono innervosita e me ne sono andata via». «E per quale motivo ti sei innervosita? E’ stato carino da parte di Beth invitarci tutti a far parte della sua idea. Anch’io in un primo momento ero titubante, ma ora mi son convinto del fatto che posso veramente essere un aiuto per tua zia». «Va bene, ma ti pare una cosa logica chiamarci così di punto in bianco, farci attraversare in fretta e furia l’oceano per venire qui a preparare un dolce? Mi sarei aspettata un invito per trascorrere qualche giorno in compagnia o qualunque altra cosa. Ma una chiamata del genere avvolta da tanto mistero poi rivelatasi una sciocchezza di poco conto proprio non me l’aspettavo da zia Beth!».
«Non è vero Lynda. Come puoi dire che si tratta di una cosa di poco conto? Per lei è importante!». «Si certo, ma se lo è per lei non è detto che debba esserlo anche per me, per mia madre e per mio padre!», sbottò Lynda visibilmente irritata mentre appoggiava la testa al finestrino. «Sei ingiusta nei suoi confronti. Beth ha davvero bisogno di te. E visto quello che sta attraversando, io direi che non ti devi proprio comportare in questo modo! La feriresti». «Che cosa sta attraversando scusa?», chiese Lynda incuriosita da quella confessione inattesa. «Ma come, non sai nulla? Non vi ha detto nulla Beth?». «Nulla di nulla, a parte quello che ti ho appena detto. Cosa sta succedendo? Parlamene Charlie, per favore!». «Tua zia Beth è gravemente malata, Lynda. Le è stato diagnosticato un tumore ad uno stadio molto avanzato, ha davvero poche speranze di farcela. Ha fatto dei cicli di terapia ma a detta dei medici la risposta è stata scarsa. Io l’ho seguita nel suo calvario. Mi dispiace dovertelo dire in questo modo, ma davvero pensavo che voi foste già a conoscenza di tutto questo». «No, non ne sapevamo nulla», riuscì a replicare Lynda mentre soffocava a fatica il pianto che cominciava a stringerle la gola. «Lynda, questo progetto è importante per Beth. Dobbiamo aiutarla, restandole vicino il più possibile fino alla fine. E se dovessimo davvero vincere, questo potrebbe darle tanta carica per vivere serenamente fino alla fine dei suoi giorni. Mi prometti che lo farai? Io vi aiuterò per tutto ciò che mi sarà possibile fare, contate su di me». La promessa di Charlie suonò come un ordine alle orecchie di Lynda che accettò senza opporre alcuna resistenza. «Sei ancora sicura di voler venire in città con me ora? Oppure preferisci tornare a casa e parlare con Beth? Sono sicuro che mi ucciderà quando saprà che sono stato io a parlarvene, senza il suo permesso!». Lynda indugiò qualche secondo nella risposta, poi asciugandosi le lacrime e
rischiarendo la voce si rivolse all’amico. «No Charlie, non preoccuparti. E’ meglio che io non torni a casa in questo momento, soprattutto in questo stato. Vengo volentieri con te in città anche perché devo fare un paio di cose che ora non posso spiegarti. Non preoccuparti per quello che potrà pensare zia Beth. Tu l’hai fatto a fin di bene, non potrà che essertene grata, credimi! Io piuttosto dovrei maledirmi per la mia cecità!». «Va bene. E ti ringrazio per ciò che hai detto. Mi fa sentire davvero meglio! Ma soprattutto mi rende felice la tua promessa e l’impegno che hai preso!». Lynda annuì. «Cambiamo discorso ora, ti va?», chiese il ragazzo cercando di sorridere alla donna che in quel momento sembrava leggermente risollevata e più aperta al dialogo. Lynda annuì e gli sorrise. «Quindi raccontami un po’, che cosa hai combinato in tutti questi anni durante i quali non ti sei più fatta vedere da queste parti?». «Mi sono dedicata al lavoro, completamente. Lavoravo per una multinazionale, inseguivo una stupida carriera, il successo, la scalata al potere. Proprio nel pieno stile del senatore». «Come mai ne parli al ato? Non lavori più per loro ora?». «Sono stata licenziata o mi sono licenziata io stessa, non ho ancora ben capito. Ma non me ne importa più niente. Quello evidentemente non era il mondo che faceva per me». «Un brutto scherzo?». «No, semplicemente un colpo basso. Una di quelle cose che denotano una totale mancanza di rispetto per la persona, per quello che è, per quello che ha fatto. Mi son fatta in quattro per portare a termine un progetto da presentare ad un grosso cliente giapponese e sul più bello, durante la presentazione, il mi capo ha pensato bene di assecondare la richiesta del signorino con gli occhi a mandorla di non aver nulla a che fare con una donna e far presentare ad un altro il mio lavoro. Ovviamente quel verme ha fatto solo una pessima figura e l’affare è andato a monte».
«Beh, in questo caso il “verme” come tu lo hai chiamato doveva essere punito al posto tuo». «Oh si, in un mondo ideale. Ma il “verme” in causa è il nipote del Presidente della società. Quindi…». «Capisco. E quindi tu hai pagato al posto suo. E’ tutto molto chiaro, anche se è del tutto inaccettabile. Beh, stai certa che sono stati loro a rimetterci alla fine». «Si, ma io non ho più un lavoro ora. E quel lavoro mi piaceva. Ti ripeto, ho speso i migliori anni della mia vita lì dentro, per loro. Ho rinunciato a tanto, a tutto forse». «Anche all’amore?». «Anche a quello. Ma non è mai stata una mia priorità quella», disse Lynda sorridendo divertita, «E tu invece? Cosa mi dici riguardo l’amore?». «Sorvolerei sul discorso», rispose sorridendo il ragazzo, «Non sono la persona più adatta, probabilmente!». «Oh, ma come siamo criptici!». «Non sono criptico, affatto. Semplicemente non mi va di parlarne perché non saprei che cosa dire a riguardo. Che cosa può raccontare una persona che non ha mai avuto esperienze?». «No! Sei ancora vergine! Non ci posso credere!», esclamò Lynda ridendo senza controllo. «Che cosa ti fa tanto ridere? Sono un ragazzo alla vecchia maniera io! Non sono uno che si concede tanto facilmente! Dai, ora finiscila di prendermi in giro!». «Va bene mio caro verginello! Come vuoi tu!», rispose la donna ma senza riuscire a rimanere seria. Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Lynda riprese il discorso. «Sai, ho scoperto che il senatore Grant non era il mio vero padre». «No! Non ci posso credere! E come lo hai saputo?».
«Me lo ha raccontato il mio vero padre, James!». «James è il tuo vero padre? Che mi venisse un colpo!». «Già, proprio lui. A dire il vero non l’ha fatto direttamente. Lui mi ha solo confessato che il senatore non era in realtà il mio vero padre. Il resto l’ho capito da sola, osservando gli eventi del ato e del presente, il modo in cui trattava e guardava mia madre e così via. Era tutto così evidente, troppo evidente. Ma io ero a mio modo troppo impegnata a rincorrere dell’altro per accorgermi della realtà che mi circondava. Mi hanno tenuto nascosto tutto questo fino a qualche giorno fa». «Oh mio Dio! Deve essere stato un brutto colpo per te! E come l’hai presa?». «In un primo momento confesso di essere rimasta spiazzata, ovviamente. Ma poi, riflettendoci, ho persino apprezzato questa cosa. Tra me e il senatore non c’è mai stato alcun rapporto. Era mio padre solo sulla carta, una pura questione di “copertura” a salvaguardia della sua immagine e lo dava ben a vedere. Io da piccola pensavo di essere colpevole, di essere io la causa delle tante liti che puntualmente scoppiavano tra lui e mia madre una volta chiusi tra le mura di casa nostra, lontani dai riflettori e dagli sguardi indiscreti della gente. In quei momenti saltava fuori il vero uomo che era in lui, ben diverso da quello che voleva mostrare di essere quando si trovava in pubblico. E forse in parte avevo ragione, la causa ero proprio io! Mi sentivo non accettata, malvoluta da lui, importante uomo politico a cavallo di una sfavillante carriera completamente mirata al potere! Ecco, questo ho imparato da lui. Ma per fortuna il destino mi ha concesso l’opportunità di aprire gli occhi in tempo». «E la figura di James? Come la vedi?». «James è sempre stato una persona splendida, nei miei confronti come in quelli di mia madre. Lo sentivo come un vero padre, una persona capace di darmi quelle cose che mi erano sempre venute a mancare da quella che io pensavo essere la mia figura paterna. Ho sempre amato e stimato James, la sua immagine, il suo sorriso, la sua bontà. E quindi sono contenta di essere sua figlia. Spero solo che la vita ci riservi tempo a sufficienza per fare un salto nel ato e recuperare la maggior parte delle cose che ci siamo persi fino ad oggi». «E tua madre Sarah, che ruolo ha avuto in tutto questo?».
«Direi nessun ruolo. Non mi ha detto nulla se non quattro parole in croce per spiegarmi le sue motivazioni. Tuttavia che posso fare io? Negare la nuova realtà che è venuta a bussare alla mia porta? Sarei un’ipocrita! Quindi ho benedetto la loro scelta e l’ho fatta diventare anche una scelta mia, accettandola. Punto e a capo, la vita riparte da qui». «Non si può di certo dire che tu ti sia annoiata di recente. Qui invece la vita è sempre la stessa. Libera certamente e bella, ma a volte di una noia mortale. o le mie giornate a fare commissioni da quando sono rimasto orfano, per mantenermi. Per fortuna il signor Puddon mi sta dando un grosso aiuto anche dal punto di vista finanziario». Lynda pensò che fosse il momento opportuno per fare al suo giovane amico qualche domanda sull’uomo. «Charlie, che tipo di persona è Anthony Puddon?». «E’ una persona splendida, mi devi credere. Per me è come un padre. Pensa che mi chiama “figliolo” quasi tutti i giorni quando vado a lavorare per lui alla tenuta». «Di che cosa ti occupi quando lavori nella tenuta?». «Del suo giardino! Soprattutto dei suoi rododendri». «E come mai soprattutto quelli?». «Perché restando a quanto mi è stato raccontato, quelle piante erano la ione di sua moglie Angela e lui ci teneva molto che fossi proprio io ad occuparmene». «Ho sentito delle voci strane sul conto di quell’uomo, tu ne sai qualche cosa?». «Riguardo all’accusa per omicidio della moglie?». «Esattamente. Tu che cosa ne pensi? Che cosa sai a riguardo?». «Non ho i mezzi per esserne certo, quindi non posso dimostrarlo, ma ti posso garantire che tutto quello che sentirai dire sul conto di quell’uomo sono solo accuse infondate, prive di alcun senso».
«Ma è stato processato, quindi le accuse non possono essere state totalmente prive di fondamento. Ci saranno anche state delle prove contro di lui». «Solo testimonianze fatte da gente cattiva e ignorante. Mia madre e mio padre conoscevano Anthony Puddon da tanti anni, molto prima che io nascessi. Puddon ha mantenuto i contatti con loro anche dopo la morte di sua moglie Angela. Noi andavamo regolarmente a trovare Anthony all’Alicia’s Manor e lui spesso ricambiava le nostre visite venendo a casa nostra, al cottage». «Quindi secondo te, lui non ha ucciso Angela, è innocente». «Non devi dirlo nemmeno per scherzo Lynda. Puddon avrebbe donato la sua stessa vita per quella donna, te lo posso garantire». «Avremo modo di scoprirlo. E lo faremo insieme se vorrai aiutarmi». «Che vuoi dire Lynda, che cosa hai in mente?». «Voglio fare un viaggio in Italia!». «Una vacanza? E che cosa c’entra con tutto questo?». «Voglio andare a Milano per incontrare una persona che fu molto legata ad Angela, si tratta della stilista e sua grande amica con la quale lavorò per molto tempo nel suo Atelier. Angela ha ato buona parte della sua giovinezza con lei prima di sposarsi e trasferirsi qui in Cornovaglia con Anthony. Se c’è qualcuno che ci può dare qualche informazione sul rapporto che c’era tra Anthony e Angela, questa è proprio lei, Sonia Galiano». «Sai, io parlo un po’ di italiano!». «Dici davvero? Ma è fantastico Charlie! E come lo hai imparato?». «L’italiano è una lingua molto dolce, molto romantica. Un po’ come il se che invece ho studiato a scuola. Con qualche risparmio ho comprato dei libri e un buon dizionario e mi son messo sotto, da autodidatta. Poi giù in città ho tanti amici italiani che son venuti qui in Cornovaglia per aprire delle pizzerie o dei ristoranti. Quindi abbiamo fatto uno scambio alla pari! Io ho insegnato loro l’inglese e alcune delle forme dialettali da noi utilizzate e loro in cambio mi hanno aiutato ad esercitare la mia grammatica italiana. Faccio ancora molti
errori, ma posso cavarmela benino, almeno credo!». «Allora dovrai venire con me, che ne dici? Mi saresti di grande aiuto mio caro Charlie!». «Devo pensarci ma penso che si può fare! Devo solo vedere se i soldi che ho messo da parte mi permettono di affrontare una spesa simile». «Per questo non ti devi preoccupare, penserò a tutto io, ci mancherebbe altro! Quindi, affare fatto?», chiese Lynda con gli occhi che brillavano, pieni di gioia. «Va bene Lynda, affare fatto! E grazie per il tuo bel regalo, mi sarà davvero utile!». «Sono io che ti devo ringraziare Charlie», rispose Lynda abbracciando delicatamente il giovane, per non distrarlo troppo dalla guida, «Non appena arriveremo in città dovremo recarci in un luogo dove si può trovare una connessione ad Internet per cercare un contatto con la stilista. Ha un sito internet, ho scritto qui su un foglietto l’indirizzo web. Entrando nel suo sito troveremo sicuramente tutto quanto ci serve per rintracciarla». «Sicuramente! La città è laggiù, la vedi?», chiese Charlie indicando le prime case dell’agglomerato urbano che si vedeva spuntare in lontananza, «Ancora qualche minuto di pazienza e saremo arrivati!».
12.
La città si pareva assonnata quel pomeriggio. Le strette viuzze erano cosparse di auto, parcheggiate ovunque. «E’ molto diversa da New York vero?». «Molto. Ma a me la città piace così. Con questa luce poi si accendono i colori della sera, tutto diventa più vivo, intenso. Riempie i sensi, completamente». «Appena posso io vengo qui. Non lo faccio solo per lavoro, lo faccio anche per incontrare gli amici, per berci una birra insieme al tramonto, per are dei bei momenti con loro parlando di tutto e niente allo stesso tempo». «T’invidio da morire Charlie. Tu hai tutta questa libertà, vivi una vita sana, in mezzo alla natura, alle tradizioni e ai valori d’un tempo. Io invece sono rinchiusa in un palazzo, in mezzo al caos, al cemento. Respiro smog, ogni singolo giorno. E se poi guardo indietro mi chiedo perché mai ho fatto tutto questo, a quale scopo?». «Perché non resti a vivere qui?». «Sarebbe bello. Ma che cosa potrei fare qui? Come potrei guadagnarmi da vivere? In città avrei molte più possibilità di trovare qualche cosa da fare». «Beth mi ha detto che sei molto brava nel preparare i dolci e le confetture. Ti ha insegnato tutto lei, quindi hai avuto una buona maestra, questo non mi meraviglia! Potresti preparare dell’ottima pasticceria da vendere qui in città! Potrei parlare con i miei amici e provare a convincerli a vendere i tuoi prodotti nei loro ristoranti. Oppure potresti lavorare direttamente qui con loro, nei loro locali. E’ una buona idea, non credi?». «Si caro Charlie, è una buonissima idea, ma davvero io non credo di esserne capace». «Lynda, lascia fare a me. Il concorso al quale vuole partecipare Beth si svolgerà proprio qui in città. Sarà un bel biglietto da visita per te! E immagina cosa
accadrebbe se fossi davvero tu la vincitrice del premio! Con il denaro potresti finanziare la tua attività, il tuo nome si spargerebbe in giro in un batter d’occhio. Pensaci!». L’entusiasmo di Charlie per quella proposta era evidente e a Lynda quell’idea non dispiaceva affatto. «Prometto di pensarci Charlie. L’idea mi solletica. Grazie!». «Non c’è problema, non mi devi ringraziare di nulla». «Prima però abbiamo altre situazioni da chiarire, non te ne sei scordato non è vero?». «Assolutamente. Facciamo una cosa, io ti lascio in un pub qui vicino che fornisce l’accesso ad Internet gratuito ai suoi clienti, così tu potrai fare le tue ricerche. Io nel frattempo completerò le mie commissioni. Tu non allontanarti dal pub, verrò io a prenderti non appena avrò finito». «Molto bene Charlie, siamo d’accordo». Attraversarono un paio d’isolati e si ritrovarono davanti ad un pub pieno zeppo di gente. Lynda salutò Charlie e si diresse all’interno, aveva già il telefono in mano e con piacere notò che si era già agganciato ad una rete. Immediatamente il software della posta elettronica le notificò i nuovi messaggi ricevuti, oltre duecento e-mail non lette! Li scorse rapidamente, cercando di prestare attenzione solamente a quelli di suo interesse. Notò un messaggio del suo capo, le chiedeva di chiamarlo quanto prima per importanti comunicazioni che la riguardavano. Fu tentata di rispondergli subito per dirgli che loro due non avevano più nulla da condividere, ma riuscì a trattenersi. Trovò un tavolo libero, era ben appartato in un angolino del locale e faceva al caso suo. Il brusio che si percepiva nell’aria non la disturbava, anzi, le permetteva di isolarsi meglio da tutto e tutti. Lynda era abituata al rumore ben più assordante della città, quel chiacchiericcio era solo musica per le sue orecchie. Prima ancora che potesse digitare l’indirizzo del sito Internet della stilista, una ragazzina bionda si avvicinò a lei. Masticava una gomma, senza badare al rumore che faceva con la bocca mentre ruminava. «Che cosa le porto?» «Un caffè, grazie», rispose Lynda senza prestarle molta attenzione.
«Lo vuole americano lungo, corto, espresso italiano, decaffeinato? Come lo preferisce?». «Americano lungo, grazie», replicò nuovamente sempre senza distogliere lo sguardo dal suo telefono. «Quanto zucchero?», continuò la ragazza con la voce distorta dalla gomma che continuava incessantemente a masticare. Lynda guardò la ragazza e notò sul taschino della divisa la targhetta in ottone con il suo nome inciso in caratteri neri. Si chiamava Nelly. «Senta Nelly, mi porti un caffè americano, lungo. A parte del latte freddo e il dispenser dello zucchero, penserò io a dosarlo. Aggiunga anche dei pasticcini, ho un po’ di fame. Va bene?». «Ok!», rispose senza smettere mai di masticare, mentre annotava l’ordinazione sul suo taccuino, «E’ fico quel telefono! E’ l’ultimo modello?». «Grazie! Si, è l’ultimo modello», rispose Lynda ritornata con gli occhi sul display del telefono, intenta a inserire nuovamente l’indirizzo. «E’ roba americana! Perché lei è americana non è vero?». «Si, vengo da New York». «Comunque lo fanno in Cina, quello come tutto il resto ormai! Non si illuda di avere per le mani un prodotto americano». Lynda risollevò gli occhi verso la ragazza senza rispondere, irritata dal suo comportamento insistente e fastidioso. «Il telefono intendo! Lo costruiscono in Cina, non lo sa?». «Sinceramente non m’interessa dove lo costruiscono, mi interessa solo che funzioni a dovere. Ora le chiedo la cortesia di lasciarmi in pace e portarmi il caffè che le ho ordinato, mi farebbe un enorme piacere!». «Che caratteraccio signora!», rispose la giovane mentre tornava al bancone del locale per are l’ordinazione ai colleghi. Arrivata al bancone si rivolse ad un uomo di bell’aspetto.
«Bob, hai visto la tipa con la faccia a stelle e strisce seduta la in fondo nell’angolo? E’ un bel tipetto non credi? Forse ha un po’ la puzza sotto il naso, ma non è brutta per te. Forse puoi provarci con lei, son sicuro che ci sta!», insinuò Nelly alla volta dell’uomo che la guardava con sospetto. «Nelly, perché non la smetti di essere così sboccata verso le persone che nemmeno conosci? E’ una cliente e devi portare rispetto. Altrimenti puoi anche andartene fuori dal locale e restarci». «Senti bello, io sto solo cercando di darti una mano ok? Vuoi rimanere solo come un verme per tutta la vita? Va bene bello, sono affari tuoi! Ma sei mio fratello e cerco di aiutarti! Prepara questo caffè e servi tu la signorina. E non preoccuparti del favore che mi dovrai, ci penseremo più avanti!», rispose Nelly mente si allontanava dal bancone. «Butta la gomma quando lavori qui nel mio locale! Non ci si rivolge ai clienti masticando la gomma in quel modo orribile come fai tu!», la rimproverò Bob. La ragazza non si voltò, ma mostrò la mano destra con il dito medio alzato. Molti dei clienti notarono la scena e scoppiarono a ridere guardando il volto attonito di Bob. «Bob, ne ha di pepe sulla lingua la sorellina, vero?» «Abbiamo padri diversi!», rispose l’uomo alla provocazione del cliente amico. «Si ma la madre è pur sempre la stessa!», replicò il cliente ad alta voce scoppiando in una sonora risata. Lynda la sentì e si fermò a guardare la scena. Incrociò gli occhi di Bob che puntavano fissi verso di lei, poi tornò al suo telefono. Il sito Internet della stilista era ben fatto, notò subito la galleria di immagini degli abiti e riconobbe subito quelli che aveva visto nell’armadio di Angela. Notò anche l’abito “Nausica” che lei stessa aveva indossato durante la cena con Anthony e si meravigliò di quanto fosse bello indossato dalla modella bionda che aveva posato per loro in quelle fotografie. «Eh, se fossi anch’io bella come lei!», esclamò Lynda a voce alta, mentre con un po’ di rammarico sfogliava le numerose foto presenti sul catalogo. Poi arrivò alla pagina dei contatti, erano riportati l’indirizzo completo dell’atelier e i numeri telefonici e l’e-mail. Estrasse un foglio e una penna dalla sua borsetta e li annotò: finalmente aveva trovato ciò che stava cercando! Avrebbe chiamato per entrare in contatto con Sonia Galiano direttamente, non voleva intermediari se
non qualcuno che potesse aiutarla con la lingua. Pensò subito all’amico Charlie. Chiuse il sito e ricordò che doveva rispondere alla mail di Jack. Pensò che sarebbe stato meglio non comportarsi in modo aggressivo e digitò poche parole in risposta a quel messaggio, dove affermava che a tempo debito si sarebbe fatta viva lei e di lasciarla in pace nel frattempo visto che era stata licenziata e che quindi non faceva più parte del loro organico. In quel momento la voce di un uomo la scosse. «Il suo caffè, signora. E qui ci sono il latte e i dolci che ha richiesto». «Grazie, molto gentile. Quanto le devo?», chiese Lynda mentre ammirava compiaciuta i bellissimi occhi azzurri dell’uomo. La catturavano, avevano qualcosa di magnetico. «Nulla per ora, pagherà alla cassa quando avrà finito», rispose allora l’uomo, anch’egli attratto dalla bellezza della giovane americana. «La ringrazio, allora erò io alla cassa dopo». «Bene. Senta, le chiedo scusa per il comportamento di mia sorella Nelly, ho notato che l’ha un po’ infastidita poco fa», continuò l’uomo. Lynda avrebbe desiderato vomitargli addosso tutto ciò che pensava su quella tizia ma si trattenne, visto che era sua sorella. «Lasci perdere. E’ una ragazzina, crescerà e capirà come comportarsi quando arriverà il momento giusto», riuscì a rispondere Lynda al meglio della dolcezza che potesse esprimere in quel momento. «Beh, non proprio, ha superato i ventun anni ormai, anche se non li dimostra». “Allora è una povera idiota!”, pensò tra sé e sé Lynda, ma le parole che uscirono dalla sua bocca furono fortunatamente molto meno dirette e offensive. «Ognuno ha il suo carattere. Quello di sua sorella Nelly è sicuramente particolare. Ma cambierà prima o poi, vedrà! La vita ci costringe a cambiare, spesso lo facciamo senza nemmeno rendercene conto. Lo abbiamo fatto un po’ tutti, anche io e lei». «Grazie! A proposito, io sono Bob. Piacere di conoscerla».
«Il piacere è mio Bob, io sono Lynda», rispose la donna porgendo la mano all’uomo. «Si gusti il suo caffè e i suoi dolci ora, non voglio disturbarla ulteriormente. A dopo e grazie per la chiacchierata», concluse Bob prima di allontanarsi. Lynda si ritornò ai pensieri mentre lentamente sorseggiava la sua tazza di caffè e assaggiava i dolci. «Che schifezza questi pasticcini!», esclamò a voce udibile, ma subito se ne pentì, preoccupata che qualcuno potesse averla sentita o averne letto il labiale. Alzò lo sguardo verso Bob, lo vide intento a lavare i bicchieri. “Pericolo scampato, per questa volta!”, pensò. Il brusio delle persone che parlavano delle loro cose le permise ancora una volta di estraniarsi. Con la mente tornò all’incontro con Anthony, un susseguirsi di immagini mute, alcune crude altre dolci. “Non posso credere che quell’uomo sia un assassino!”, si ripeteva continuamente, quasi a volersene convincere definitivamente. Rivedeva l’auto che si fermava accanto a lei, un uomo parlarle dal finestrino semiaperto, si rivedeva mentre saliva tutta bagnata in macchina, rigustava i momenti trascorsi con lui e l’atto d’amore che avevano consumato durante la notte. E quel fiore con il biglietto lasciato per lei sul letto il mattino seguente, le aveva addolcito il risveglio. “Tutto questo è tipico di un gentiluomo, non di un delinquente”, ma allora perché non riusciva a tranquillizzarsi e a lasciar perdere tutto fidandosi di lui una volta per tutte? I pensieri della gente, della sua famiglia e i dubbi esposti dalle forze dell’ordine, erano sicuramente privi di fondamento. Ma rimaneva comunque qualche aspetto ancora oscuro, un figlio del quale l’uomo non voleva parlare, il mistero legato alla scomparsa della moglie in un incidente, l’invito ad utilizzare un telefono che lui stesso già sapeva essere guasto: Lynda non riusciva ancora a spiegarsi tutto questo. Una voce la destò, riportandola alla realtà. «Lynda, eccomi qui!». «Charlie! Hai già finito? Vieni, prendi una sedia dal tavolo accanto e siediti qui con me. Aiutami a finire questi dolci», esclamò Lynda felice di rivedere l’amico tanto presto. «Si, ho fatto piuttosto in fretta. Come sono i pasticcini?», chiese il giovane mentre si sedeva al tavolo. «A parer mio fanno schifo, tieni assaggiali».
«Non sono poi tanto male, anzi direi che sono buoni!». «Li trovi buoni? Allora dovresti assaggiare quelli che preparo io, quando sono di luna buona!», esclamò Lynda soddisfatta e fiera per i suoi precedenti operati. «Non ne dubito infatti. Te l’ho già detto prima, tu faresti un grande successo qui! Hai trovato quello che cercavi in rete?». «Ecco qui, tutto scritto sul foglio. Abbiamo tutto quello che ci serve, l’indirizzo dell’Atelier, il numero di telefono e l’e-mail di questa tizia». «Vuoi chiamarla adesso?». «No, non c’è fretta, la chiameremo sulla strada del ritorno verso il cottage. Ora non si capirebbe nulla». «Va bene. Sai, questa faccenda mi intriga molto!». «Che ragazzo curioso! Dai, io ho finito. Andiamo da Bob a pagare e andiamocene via da qui». «Hai conosciuto Bob?». «Si, è venuto a servirmi al tavolo per scusarsi del comportamento di quella cafona di sua sorella, quella Nelly!». «Nelly è un bel problema qui dentro. Secondo me ha qualche rotella fuori posto». «Qualche dici? Secondo me è già un miracolo trovarne una che gira come dovrebbe! E’ antipatica, impicciona e scorbutica! Dai forza, fuori da qui!», concluse seccamente mentre si avviavano al bancone, verso Bob. «Bob, devo pagare il conto». «Siamo a posto così Lynda», rispose Bob con serietà. «Siamo a posto così? Assolutamente no! Io devo pagare la mia consumazione!». «Lynda, se Bob sostiene che è tutto a posto significa che lo è davvero! Grazie Bob, amico mio!», intervenne Charlie per bloccare sul nascere una discussione
che altrimenti si sarebbe protesa troppo a lungo. «Va bene, grazie Bob allora, a buon rendere», concluse Lynda, sorpresa per quel comportamento inatteso. «Arrivederci Lynda!», la salutò Bob. Usciti dal pub, Lynda volle chiarire con Charlie. «Qui da noi si usa fare così. Se un uomo ti offre qualche cosa, non puoi non accettare! Sarebbe un brutto gesto nei suoi confronti, una mancanza di rispetto. E poi è evidente gli piaci, non ti sei accorta di come ti ha guardata per tutto il tempo?». «Chi, io? Io piaccio a quell’uomo? Ma se nemmeno mi conosce!». «Eddai, smettila con tutta questa modestia. Lo sai benissimo anche tu di essere una bella donna no? Quale uomo non cadrebbe ai tuoi piedi?». «Ti ringrazio! E tu cosa faresti?», lo provocò Lynda. «Io sono un caso a parte. E’ vietato parlare dei presenti!», rispose immediatamente Charlie, con il viso arrossato, mentre salivano in macchina, «Prendi il telefono, è ora di telefonare in Italia!». Lynda attivò il vivavoce e compose il numero. Dopo qualche squillo rispose una voce maschile. «Atelier di Sonia Galiano, buongiorno!», tuonò la voce restando in attesa di risposta. «Buongiorno, io mi chiamo Lynda e chiamo dalla Cornovaglia. Lei parla inglese?», rispose Lynda sfoderando un italiano impreciso. Charlie scoppiò a ridere e Lynda lo riempì di gomitate. «Ma certo, possiamo parlare in inglese se vuole, nessun problema. Che cosa desidera?», rispose l’uomo. Lynda tirò un respiro di sollievo nel sentire le parole di una lingua nota. «Il mio nome è Lynda Grant. Volevo parlare con la stilista Sonia Galiano, è
possibile?». «Sonia Galiano è mia moglie», rispose l’uomo, «E’ qui se vuole ma lei parla poco inglese, quindi se vuole può dire a me e io posso riferire. Attenda un attimo, glie la chiamo». Lynda era contenta ma allo stesso tempo agitata. Una voce di donna molto dolce si sentiva in sottofondo. Charlie si avvicinò al telefono per cercare di capire le parole, ma con una certa difficoltà. «Signora Lynda, Sonia è qui con me, mi dica tutto». «Grazie. Volevo chiederle se sarebbe possibile incontrarvi per parlare con voi di alcune cose delicate». «Cose delicate, dice? E di cosa si tratta, mi scusi? Qui noi facciamo abiti da sposa e da cerimonia, non vedo cosa possa esserci di così privato e delicato con persone che vivono in Cornovaglia». In quel momento la voce dell’uomo venne interrotta dalla moglie, che sentendo la parola Cornovaglia doveva aver intuito che quella conversazione nascondeva qualche cosa di importante riguardante l’amica Angela. Charlie ascoltò la conversazione e si rivolse a Lynda a bassa voce. «Lynda, ci siamo. La Galiano ha fatto il nome di Angela!», esclamò il giovane alzando il pollice. Lasciarono concludere la conversazione, attendendo la loro risposta. Poi l’uomo riprese la conversazione. «Si tratta di Angela?». «Si proprio lei!», rispose Lynda in preda all’eccitazione. «Angela purtroppo è deceduta molti anni fa. Non la vedevamo da molto molto tempo. Tuttavia Sonia dice che erano rimaste in contatto e si scrivevano delle lettere. Se volete possiamo parlarne con calma, ma ora sarebbe un po’ complicato farlo qui per telefono». «Non si preoccupi, non c’è alcun problema! Abbiamo la possibilità di venire in Italia, io ed un mio amico», rispose Lynda cercando negli occhi di Charlie una ulteriore conferma che non tardò ad arrivare, «Che cosa ne direbbe se ci
vedessimo lì da voi la prossima settimana?». «La prossima settimana con sarà possibile. Saremo in Giappone presso un grosso cliente con il quale stiamo collaborando. Tra due settimane potrebbe andarvi bene?». «Eccellente direi! Tra due settimane sarebbe perfetto. Così avremmo modo di organizzare meglio il nostro viaggio senza fare le cose di fretta! Grazie infinite signor…». «Andrea. Mi chiamo Andrea. Mi chiami quando arriverete in Italia, così fisseremo il giorno e l’ora più adatti per l’incontro e potrò avere il piacere di aiutarvi per la vostra sistemazione. A presto allora, e fate buon viaggio!». «Grazie per la vostra disponibilità! A presto!» Lynda riattaccò, l’eloquente sorriso stampato sul volto non richiedeva alcuna spiegazione. Il primo o era stato portato a termine con successo. Era il più semplice, certamente, ma non c’erano stati intoppi e questo le dava confidenza che tutto sarebbe filato liscio fino in fondo. «Caro Charlie, siamo a cavallo!», esclamò la donna sollevando le braccia a pugni chiusi verso l’alto in segno di vittoria. «Vorrai dire sull’aereo! Dai, torniamo a casa. Beth sarà preoccupata ancora una volta!», rispose il giovane. «Zia Beth! Hai ragione! Questa volta però non voglio sbagliare, faccio una telefonata e avviso che sto per arrivare». Lynda si affrettò a comporre il numero di telefono. Attese diversi squilli, ma nessuno rispose dall’altro capo del telefono. «Strano, non risponde nessuno!». «Forse saranno fuori in giardino, non è ancora poi così tardi e c’è ancora un po’ di luce». «Sarà come dici tu, lo spero».
«Metto un po’ di musica?». «Ma certo, volentieri! Che cosa hai qui da sentire?». «Quello che trasmette la radio!». «Nessun disco?». «No, io sono una persona semplice. Ascolto solo la radio. Senti che bella questa musica, ti piacerà!», rispose dolcemente Charlie, mentre dagli altoparlanti della radio cominciavano a uscire le note di ballate classiche britanniche e irlandesi. «Charlie no! Ti prego, questa roba no! Non la sopporto! E’ musica campagnola, non da energia!». «Non ti piace il genere country? Ma questa è arte Lynda!». «Caro Charlie, arte o non arte questa roba mi fa venire l’orticaria! Si lo so, sono noiosa, ma non posso farci nulla, mi devi sopportare! Toglila, ti prego!». «I gusti sono gusti!», replicò Charlie in lingua italiana. «Come dici? Non usare sporchi trucchetti con me, ragazzo! Fammi capire quello che dici e gli insulti che mi rivolgi se vuoi che io abbia la possibilità di replicare!», riprese Lynda sorridendo. Si sentiva felice in quel momento. «Ho detto che i gusti sono gusti!», annunciò Charlie, questa volta nella loro lingua, «Cerco un’altra stazione che trasmetta quella robaccia commerciale che ascolti tu». «Ecco bravo!», disse Lynda mentre seduta cominciava a fingere di ballare sulle note di una musica latino-americana. In quel momento un’ambulanza correva a sirene spiegate in direzione opposta alla loro, tanto che Charlie fu costretto a rallentare e accostare leggermente per permetterle di are sulla strada stretta. «Quella persona lì dentro sta sicuramente peggio di noi», disse il giovane senza togliere lo sguardo dalla strada. Lynda non rispose, con gli occhi chiusi continuava il suo ballo immaginario sulle note di quella dolce “bachata”.
13.
I corridoi dell’ospedale erano stranamente affollati in quel tardo pomeriggio. Sarah e James provarono ripetutamente a chiamare Lynda al telefono, ma lei non rispondeva. I medici avevano già trasportato Beth nel reparto di terapia intensiva per attaccarla a un respiratore e tenerla in vita mentre cercavano di capire cosa fare. Un medico raggiunse l’uomo e la donna che attendevano ansiosi la minima notizia sulle condizioni di Beth. «Dottore! Come sta mia sorella? Ce lo dica per favore!», esclamò Sarah alla volta dell’uomo che si avvicinava a loro in silenzio con o spedito. «Signora, sua sorella ha avuto una grave crisi respiratoria. E’ viva per miracolo. Quando ha varcato la porta dell’ospedale, la donna era praticamente morta! Ora è intubata e attaccata a un respiratore artificiale, le sue condizioni sono molto critiche e visto lo stadio della sua malattia possiamo sperare solo in un miracolo per salvarla. Non siamo in grado di stabilire in questo momento l’entità di eventuali danni al cervello che possono essere stati causati dalla prolungata mancanza di ossigeno alla quale è stata esposta. Mi dispiace», rispose il dottore esternando senza alcuna riserva la sua rassegnazione. «Ma di quale malattia sta parlando dottore? Mia sorella Beth è sempre stata sana come un pesce!», esclamò Sarah, sorpresa da quell’inattesa sentenza. James la teneva per mano. «Beth non vi aveva ancora detto nulla?», chiese il medico guardando a turno sia l’uomo che la donna. James abbassò lo sguardo, mentre Sarah non riuscì a staccare il suo da quello perplesso del medico, «Ho capito. Venite con me nel mio studio, seguitemi». Percorsero un paio di lunghi corridoi, minuti interminabili separavano Sarah dalla verità che le era stata nascosta fino a quel momento. Cominciò a capire quanto brutta fosse la sensazione provata quando si scopre ivamente di essere stati tagliati fuori dalla vita e dagli eventi reali di qualcuno. Cominciò quindi a capire anche la reazione che sua figlia Lynda aveva avuto nei suoi confronti dopo essere venuta a conoscenza della verità. L’aria intorno a loro
puzzava di disinfettante e di medicinali: ciò che era stato pensato per far stare bene la gente provocava solo nausea e urti di vomito in quel momento. Il medico aprì la porta bianca del suo studio e li fece accomodare su due sedie poste di fronte alla sua scrivania. Spostò un po’ dei fogli che erano sparsi ovunque sul piano, per fare un po’ di ordine e creare dello spazio per gli ospiti, poi andò verso lo schedario dal quale estrasse una cartella medica che riportava a grossi caratteri il nome di Elizabeth. «Sarah, sua sorella Beth ha una grave forma di tumore ai polmoni, sono entrambi coinvolti ed è già molto esteso. Data la sua età e il punto in cui il focolare si è sviluppato non è possibile operare, sarebbe troppo alto il rischio di perderla comunque durante l’intervento. Abbiamo iniziato quindi dei cicli di chemioterapia, ma dai primi risultati ottenuti sembra non esserci una reazione significativa al farmaco». «Ma si potrà fare qualcos’altro, no? Non so, delle medicine alternative, la radioterapia, qualunque altra cosa che possa fare effetto su di lei!». «Mi dispiace Sarah, ma io sono un medico e come tale mi devo comportare. Non sono la persona più adatta ad infondere delle speranze basate sulla pura fede, per quelle cose esistono i Preti e i Pastori, capaci di compiere molto bene il loro lavoro. La scienza oggi ha ancora dei limiti purtroppo, e nel caso di sua sorella Beth questi limiti sono ulteriormente sacrificati dall’età avanzata e dalla elevata aggressività del suo male». «Ma prima nel corridoio ci parlava di un miracolo!». «Esattamente Sarah, solo un miracolo potrebbe far guarire sua sorella. Ma sfortunatamente i miracoli non hanno basi scientifiche, io non posso esserle d’aiuto in questo. Probabilmente la crisi verrà superata e Beth potrà anche tornare a casa sua nella migliore delle ipotesi, ma con il tempo peggiorerà sempre di più, fino a quando non riuscirà più a respirare autonomamente. Vorrei che nel vostro cuore cominciaste ad accettare questa realtà, ha capito che cosa le voglio dire vero?», concluse il dottore. In quel momento il telefono di Sarah squillò e lei rispose senza nemmeno guardare chi fosse. «Mamma? Che cosa c’è, ho visto ora le tue telefonate!», disse la voce dall’altro capo della linea.
«Lynda, siamo in ospedale. Zia Beth si è sentita male, ha avuto una grave crisi respiratoria. Devi venire qui subito!», disse Lynda dopo aver riconosciuto la voce preoccupata della figlia. «Oh no, no! Zia Beth!», gridò Lynda, per poi rivolgersi a Charlie, «Charlie dobbiamo correre subito in ospedale! Zia Beth si è sentita male!». Charlie rallentò bruscamente e invertì la marcia per correre verso l’ospedale che distava una ventina di minuti da dove si trovavano loro in quel momento. «Mamma, stiamo venendo lì. Non muovetevi!», rassicurò Lynda. Sarah non disse nulla e chiuse la comunicazione, appoggiò la testa allo schienale alto della sedia e si abbandonò al pianto, senza freni. James continuava a tenerle la mano, incapace di dire o fare qualunque altra cosa. Si sentiva completamente impotente mentre i suoi occhi leggevano la conferma alla cruda verità scritta in quelli del medico. «Mi dispiace davvero molto Sarah e James. So cosa si prova e come ci si sente in questi brutti momenti. Ci sono ato anch’io con mia madre, tanti anni fa. Ero ancora un ragazzino e ho sofferto davvero tanto per lei, soprattutto per il fatto di sentirmi completamente incapace di darle anche il minimo aiuto». «E fu in quel momento che decise di diventare un medico?», replicò Sarah tra un singhiozzo di pianto e l’altro. «Esattamente. Ma per scelta volli tenermi ben lontano da questi mali. Poi un giorno una ragazza, che oggi è mia moglie, mi ha fatto capire che invece avrei dovuto operare proprio in quel settore se volevo in qualche modo rendere meno vano il sacrificio compiuto da mia madre. Pensai allora che aveva assolutamente ragione e decisi quindi di seguire il suo consiglio. Salvare delle vite umane oggi mi fa stare molto bene, in parte è come se fossi riuscito a salvare anche la vita di mia madre». «Quante persone oggi sono ancora vive grazie a lei, dottore?». «Parecchie persone. In molti ora stanno bene e conducono una vita pressoché normale. Molte altre, invece, le ho viste morire davanti ai miei occhi. Ma anche per loro c’è stato amore e dedizione fino all’ultimo momento, quando hanno chiuso gli occhi».
Il cercapersone del medico interruppe la conversazione. L’uomo rispose e si alzò immediatamente dalla sedia, pareva essere stato chiamato per una cosa seria. «C’è un’urgenza signori. Vi chiedo scusa ma devo lasciarvi ora. Vi manderò un’infermiera perché possa darvi tutta l’assistenza di cui avete bisogno. Potrete anche vedere Beth tra un po’. Mi raccomando però, fate delle visite veloci e non fatela stancare. Beth è solo leggermente sedata ora e quasi sicuramente capisce ciò che accade intorno a lei, è tutto chiaro?», terminò il medico mentre catturava i timidi consensi dell’uomo e della donna rimasti completamente impietriti davanti a lui. Poi salutò con un leggero sorriso e uscì dallo studio richiudendo la porta alle sue spalle. Sarah e James si guardarono per qualche istante. «Tu lo sapevi James?». «Sapevo che Beth non si sentiva molto bene ultimamente, ma non sapevo tutta la verità, lei non mi ha mai detto nulla. Però non appena siamo arrivati, mentre l’abbracciavo, ho notato subito che i capelli non erano veri, non erano i suoi». «Io invece non mi sono accorta proprio di nulla. Provo tanto schifo per me stessa James!». Dopo qualche istante una corpulenta infermiera si presentò sulla soglia dello studio. «Signori, potete seguirmi per favore?», chiese gentilmente la donna. Aveva una voce così dolce al punto da non sembrare adatta al corpo stesso che la generava. James e Sarah annuirono, si alzarono senza batter ciglio e uscirono con lei dallo studio. «Vi accompagno nella sala d’aspetto in terapia intensiva. La paziente ora è sveglia, tra qualche minuto potrete entrare e farle visita. Entrerete però uno alla volta e per pochi minuti, la donna è davvero molto provata». «Si, il medico ci ha già detto tutto, grazie», rispose James gentilmente, in risposta alla stessa gentilezza espressa dall’infermiera. «Dev’essere stato un brutto colpo per voi, mi dispiace tanto. So che non eravate stati messi prima al corrente del reale stato di salute della paziente e che lo avete
scoperto solo oggi qui da noi». «Senta, per cortesia, non mi faccia sentire nuovamente le stesse cose che ho sentito proprio pochi istanti fa dal dottore!», sbottò Sarah verso l’infermiera. La donna si risentì. «Sarah! Non essere così scortese con l’infermiera. Lei non ha colpe, cercava solamente di essere gentile e di aiutarci mostrandoci la sua solidarietà e amicizia». «Hai ragione», rispose Sarah e poi volgendosi verso la donna, «Le chiedo scusa, ma sono davvero distrutta. Questa per me è stata una doccia fredda e non so che cosa mi abbia preso. La prego di perdonare la mia stupida reazione». «Non deve preoccuparsi signora», rispose la donna mentre accarezzava con la mano il braccio inerme di Sarah. In quel momento un ragazzo ed una ragazza spalancarono la porta d’entrata del reparto di terapia intensiva. Erano Lynda e Charlie, avanzavano di corsa verso la reception con il terrore dipinto sui loro pallidi volti. «Mamma! Dov’è la zia, come sta?». «Come ti dicevo ha avuto una grave crisi respiratoria, era quasi morta. Ora è sotto osservazione ma sembra stare meglio ora. L’infermiera ci ha appena detto che tra poco potremo vederla e salutarla, per qualche minuto». «Oh mio Dio, sia ringraziato il cielo! Puoi dirci che cosa è successo? Come si è sentita male?». «Eravamo tutti e tre in salotto a bere un tè. Stavamo parlando a ruota libera. Ad un tratto Beth ha cominciato a tossire fortemente. Non riusciva più a fermarsi, sembrava stesse soffocando. E’ diventata pallida in viso e stralunava gli occhi, era in piena crisi respiratoria. Poi è svenuta». «Zia Beth è malata, mamma». «Si lo abbiamo saputo. Ci ha appena raccontato tutto il medico». «Che cosa si fa adesso?».
«Non lo so. Non lo so davvero», rispose Sarah abbassando lo sguardo verso terra mentre altre lacrime cominciarono a sgorgare nuovamente dai suoi stanchi occhi. James allargò le sue braccia per raccogliere le donne più importanti della sua vita e loro si lasciarono abbracciare. «Ciao ragazzo!», disse poi James alla volta di Charlie che li stava ad osservare, immobile per la sua impotenza. «Buonasera, io sono Charlie», rispose il ragazzo porgendo la sua mano verso l’uomo. «Charlie è un mio caro amico d’infanzia, ci incontravamo sempre in ato, tutte le volte che venivo a trascorrere le mie estati qui in Cornovaglia al cottage della zia. Eravamo solo dei ragazzini allora, adesso siamo entrambi cresciuti. E’ diventato un uomo, e anche molto bello!», riprese Lynda mentre con la mano scompigliava i bei capelli del giovane, stentando un sorriso che voleva nascondere gli occhi lucidi per il pianto. «Charlie non è solo bello, è anche un bravo ragazzo», continuò Sarah per confermare le parole di Lynda. «Piacere di conoscerti Charlie, io sono James». «James è mio padre, il mio vero padre», riprese Lynda. La sua espressione sottolineava il chiaro riferimento alla discussione che i due avevano avuto poco prima in macchina. «Oh si, capisco! E’ un vero piacere per me conoscerla signor James. E’ fortunato ad avere una figlia brava e bella come la nostra Lynda», rispose il ragazzo un po’ impacciato per la delicata situazione nella quale si trovava. «Il piacere è tutto mio, ragazzo. Gli amici dei miei cari sono anche amici miei». Il discorso venne interrotto dalla voce dell’infermiera che sopraggiungeva alle loro spalle. «Signori, se volete accomodarvi a sedere e prestare visita alla paziente, ora potete farlo. Come vi dicevo poco fa, entrate uno alla volta e vestitevi come io ora vi indicherò. Non dimenticate di lavarvi bene le mani, ogni virus o battere portato lì dentro può essere letale per la paziente».
Seguirono tutti quanti la donna che procedeva con o deciso verso la porta a vetri che separava le stanze asettiche del reparto dalla sala d’aspetto. La prima ad entrare fu Sarah che si vestì seguendo minuziosamente le istruzioni che le venivano date, mentre gli altri stavano a guardare per apprenderle a loro volta. Sarah imboccò un corridoio e scomparve, per trovarsi dopo pochi i di fronte alla sorella, distesa immobile nel letto. «Beth, sorella mia!», esclamò a voce alta. L’infermiera le toccò il braccio, quasi a rammentarle l’accordo preso di non sollecitare eccessivamente la paziente a livello emotivo. Beth accennò un sorriso nel tentativo di rassicurarla, ma era troppo debole e dovette rinunciarvi. Aveva gli occhi semichiusi e respirava a fatica grazie ad un tubo che le era stato forzato giù per la gola. «Come fa a tenere quel tubo in gola senza rimettere anche lo stomaco?», chiese Sarah all’infermiera che subito la rassicurò. «Beth è parzialmente sedata. Non sente alcun dolore o fastidio in questo momento. Tuttavia la sua mente è abbastanza vigile e sembra essere tornata in grado di respirare autonomamente. Tra poco verranno i medici a visitarla, le rileveranno tutti i parametri vitali e se lo riterranno opportuno la staccheranno anche dal respiratore». «E se non fosse così? Se fosse necessario tenerla ancora per un po’ in quello stato?». «Allora dovranno lasciarglielo e somministreremo ancora qualche leggera dose di sedativo». «Ma in questo modo la state avvelenando!». «Signora, mi creda. Stiamo cercando di salvarle la vita! Si deve fidare dei medici che lavorano qui dentro, sono dei professionisti». Sarah capì che non aveva alternative, quindi non replicò ulteriormente alle parole dell’infermiera. «Può sedersi se vuole, ma non la faccia stancare. Se ha bisogno di aiuto mi può trovare qui fuori in corridoio oppure prema il tasto rosso che vede sul comando vicino al letto. Non resti qui più di dieci minuti, lasci entrare anche gli altri parenti per dare anche a loro la possibilità di salutarla. Quando entreranno i
medici, dovrete per forza uscire tutti e dopo la loro visita non potrà entrare più nessun altro». «Va bene, la ringrazio molto infermiera», replicò Sarah mentre l’infermiera usciva dalla stanza. «Infermiera!», esclamò per fermare la donna che subito si voltò, «Mi scusi ancora per il mio comportamento. Posso sembrare fredda e maleducata ma mi creda, non lo sono». L’infermiera le sorrise, poi si voltò e abbandonò la stanza. Sarah prese la mano di Beth, mentre i suoi occhi leggevano le frasi di terrore rassegnato scritte in quelli della sorella, nonostante lei si sforzasse di sorridere. «Perché non ci hai detto nulla della tua malattia, Beth? Non volevi che ti aiutassimo?», pronunciò dolcemente a bassa voce Sarah, quasi avesse paura di essere sentita da qualcuno. Beth rimase immobile, ma una lacrima sgorgò dal suo occhio sinistro, percorse la pelle segnata dal tempo per poi bagnarle l’orecchio, i capelli e terminare la sua corsa sul cuscino. Quella risposta valeva più di mille parole. Sarah rimase in silenzio mentre osservava lo sguardo immobile e perso nel vuoto di sua sorella. Ripensava ai momenti della loro gioventù, quando ancora vivevano a New York ed erano solo due spensierate bambine che rincorrevano i loro sogni, agli anni della scuola, dei primi amori, degli errori commessi e dei segreti nascosti a tutti ma che loro sempre si confidavano. Erano cresciute insieme, indivisibili seppur molto diverse, fino a quando la vita non decise di far prendere direzioni diverse alle loro esistenze. Poi la separazione fisica, le fugaci visite estive che si esaurivano nel tempo esatto di un respiro, che donavano gioia ma anche dolore nel momento della nuova separazione che puntualmente arrivava. «Mi hai sempre confidato tutti i tuoi segreti, così come io confidavo a te i miei. Perché questa volta non lo hai fatto? Mi sento tradita, sai?», disse Sarah sempre con voce sommessa. Ma nel profondo del suo animo, sentì da sé la risposta che Beth avrebbe voluto darle, se solo avesse potuto: “Stavo per farlo Sarah, ma la vita ha deciso diversamente, lo ha fatto al posto mio!”. «Mamma, possiamo darci il cambio?», sentì dire alle sue spalle. Non si voltò per guardare. Lynda attendeva in piedi, già vestita sulla porta della stanza. La donna strinse la mano alla sorella, si alzò e si avvicinò alla ragazza. La sua bocca non
riuscì a parlare, ma i suoi occhi rossi intrisi di lacrime avevano già detto tutto. Lynda non si sedette, preferì guardare la zia dall’alto e accarezzarle il viso in quel modo, perché anche lei potesse vederla. «Ciao zia Beth!», disse la ragazza regalando alla zia un bel sorriso rassicurante, un sorriso che voleva comunicare alla zia la sua certezza sul fatto che si sarebbe ripresa in fretta. Beth ruotò leggermente gli occhi per guardare la nipote e riuscì a muovere le palpebre per indicarle che aveva capito. «Ci hai fatto spaventare tanto zia, lo sai? I medici dicono che la crisi è comunque ata e che starai meglio molto presto», mentì la ragazza, attendendo una reazione da parte della zia. Beth mosse nuovamente le palpebre ad indicare che aveva capito e una nuova lacrima sgorgò dai suoi occhi vitrei e semispenti per via dei medicinali che le avevano dato. Lynda non riuscì più a trattenere il pianto, ma volle celarlo coprendolo con un velo di positività. «Mi fai commuovere così, zia! Piango perché mi sono spaventata moltissimo, anche mamma e James lo sono. Ma adesso va meglio e ce la farai, devi essere tu la prima a crederci! Devi tornare presto a casa perché dobbiamo partecipare e vincere il concorso, ricordi?». Beth riuscì a muovere le palpebre ancora una volta. Capiva tutto quanto le veniva detto. “Forse il cervello non ha subito grossi danni”, pensò linda allo scopo di sentirsi un po’ meglio. «Faccio entrare James ora. Poi arriveranno anche i medici a visitarti e forse ti toglieranno quel tubo fastidioso dalla gola. Mi raccomando lasciali lavorare come devono, va bene?». Questa volta Beth non si mosse. Quando James entrò nella stanza, l’ambiente sembrò trasformarsi nel set di un film muto. Anche l’uomo rimase in piedi, proprio come aveva fatto sua figlia, con il suo cappello tra le mani tenute giunte sul davanti, all’altezza del petto. Guardava gli occhi di Beth immobili, quasi spenti. Gli ricordò quelli di sua madre, quando morì tra le sue braccia da giovane nella loro casetta in campagna, con il profumo delle conserve di frutta che ancora resisteva nell’aria in quelle stanze.
Poi un rumore che prima sentiva intermittente, si fece ad un tratto continuo, perforava i timpani e con loro il cervello. Molte lampadine rosse lampeggiavano sul macchinario che emetteva quel fischio e una linea rossa piatta attraversava il piccolo schermo. Tutto divenne impercettibile, i rumori si fecero via via sempre più ovattati, due infermiere accorsero dicendogli qualcosa che lui non era in grado di capire, ma intuì che doveva farsi da parte. Un medico accorse nella stanza e dietro di lui comparvero anche Sarah, Lynda e Charlie. James li guardava, piangevano tutti. Charlie aiutò Sarah a sedersi su una sedia, la donna non tolse mai le mani dal volto per nascondere il pianto. Nessun altro rumore, nessun suono. Solo persone sconosciute intorno al corpo immobile di Beth, tutte si dannavano l’anima per farla rinvenire. “Ma perché insistono? Non capiscono che lei se n’è andata?”, pensò James. Osservò ogni singolo o, ogni singolo movimento di quelle persone, fino a quando uno di loro si avvicinò alla macchina e la spense. “Mi dispiace, non ce l’ha fatta”, udì nella sua testa pronunciare dal quel medico rassegnato. Improvvisamente le orecchie di James tornarono alla realtà, riudì il suono intermittente della macchina e i suoi occhi incrociarono quelli di Beth che a fatica si erano mossi verso di lui. Le palpebre della donna si mossero per salutarlo, questa volta senza lacrime, forse non ne aveva più. James accarezzò la mano nuda di Beth, facendo attenzione a non toccare l’ago della flebo, le mandò un bacio con la mano e si allontanò dalla stanza. «James, sei molto pallido!», disse Sarah non appena lo rivide fuori dalla stanza. «Ho avuto la sensazione di assistere alla morte di Beth poco fa. Era una sensazione così forte che pareva essere vera! Beth era in quel letto, ed era morta», confessò l’uomo. «James, perché?». «Non lo so il perché. Ma credo che questo sia il segnale che Dio ha voluto mandarmi per farmi vedere in anticipo ciò che avverrà molto presto. Beth sta molto male cara Sarah. Mi capitò la stessa cosa quando mia madre si spense tra le mie braccia. Fa male tutto questo, molto male». L’intera squadra medica arrivò proprio in quel momento.
«Signori, vogliate cortesemente accomodarvi nella sala d’aspetto. Visiteremo la paziente e decideremo cosa fare per l’intubazione. Non appena avremo finito verremo ad aggiornarvi sul suo stato, non preoccupatevi». «Può rimanere qui qualcuno di noi durante la notte?», chiese Lynda ai medici. «Consentiamo solo ad una persona di restare per la notte». «Grazie. Allora resterò qui io questa notte», sentenziò Lynda. «Perché Lynda, ti stancherai. Resterò io qui, tu vai a casa a riposarti, hai avuto una giornata pesante oggi», rispose James, sicuro dell’appoggio di Sarah a riguardo. «No papà, ho detto che resterò qui io con la zia. Mamma, papà, voi dovrete andare a casa a riposarvi, Charlie vi accompagnerà. Ci vedremo qui domani mattina se Charlie potrà portarvi», replicò Lynda non permettendo altre discussioni in merito alla decisione che aveva preso. Charlie annuì, quindi si salutarono per poi separarsi. Lynda si sedette da sola in sala d’aspetto. L’ambiente le sembrava così vuoto e freddo! Congiunse le mani, le sentì più fredde che mai e in quel momento ricordò che da tanto tempo non pregava più! Forse, pensò, era giunto il momento giusto per ricominciare a farlo. In quel momento altri due medici entrarono nella stanza di Beth e chio la porta dietro di loro. Lynda rimase seduta, senza agitarsi, sperando di sapere quanto prima ciò che i medici avrebbero deciso di fare. L’attesa non durò molto, evidentemente lo stato in cui versava Beth era piuttosto evidente a tutti e non lasciava grosso spazio ai dubbi. «Lei è parente della paziente che si trova nella stanza numero sei?», chiese quello che a prima vista doveva essere il più anziano di tutti. «Lynda Grant dottore, sono la nipote di Beth. Mi dica tutto la prego», rispose Lynda, questa volta più agitata. «La prego signorina, si calmi. Non le fa bene agitarsi. Le condizioni di sua zia sono stazionarie in questo momento ma restano comunque molto critiche. Non possiamo ancora rimuoverle il respiratore, sarebbe troppo pericoloso. Quindi l’abbiamo nuovamente sedata, ora la paziente sta dormendo. Rivedremo le sue condizioni domani mattina e ci riaggiorneremo sul da farsi. Lei ha espresso la
sua volontà di restare qui in ospedale durante la notte, vero?», chiese il medico in tono delicato, evidentemente aveva maturato una certa esperienza nell’intrattenere quei tipi di colloqui con le famiglie dei pazienti più critici. «Pensate che ce la farà dottore?», chiese Lynda all’uomo, cercando i suoi occhi per intravedere se esistesse una qualche realtà diversa, non esternabile a parole. Lo sguardo del medico rispose ben presto al suo. «Sarò sincero con lei signorina. Le condizioni della paziente sono davvero gravi. Il suo fisico già molto indebolito dalle terapie ha subito una forte crisi respiratoria. Gli organi del suo corpo sono rimasti per molti minuti privi d’ossigeno o con un apporto del tutto insufficiente, compreso il suo cervello. La paziente sembra rispondere agli stimoli che le diamo, ma per ora è ancora presto per concludere la diagnosi e non possiamo nemmeno affrontare indagini più approfondite finché sarà costretta a rimanere in questa stanza. Al momento non possiamo davvero concludere nulla, mi dispiace». «La ringrazio dottore», rispose la ragazza distogliendo lo sguardo da quello del medico che, invece, continuava a osservarla e a confortarla. «Ci vuole un po’ di pazienza e anche un po’ di fortuna, se me lo consente. Per domani mattina ci aspettiamo in ogni caso dei risvolti e se il suo corpo risponderà bene secondo le nostre attese, potremo fare qualche o in avanti verso il recupero e continuare a sperare. Ma sarà un percorso molto lungo e difficile, l’avviso sin d’ora». Lynda annuì con il capo. Non era certa di aver capito proprio tutto quanto il medico le aveva appena detto, ma la cosa certa era che in quel momento non c’erano ancora buone notizie e la vita di Beth rimaneva in pericolo. «Posso andare da lei ora?». «Certamente. Ma si ricordi che la paziente sta dormendo e non deve essere disturbata per alcun motivo. E’ bene che utilizzi le poche forze che le sono rimaste per affrontare meglio la fase di recupero. In caso di problemi, il nostro personale sarà disponibile e pronto a intervenire. E’ fortunata perché abbiamo due medici molto validi di turno questa notte. Noi ci vedremo domani mattina. Cerchi di riposare un po’ se possibile». Il medico la salutò accarezzandole la spalla e si allontanò mentre si sfilava il camice. Aveva giunto al termine del suo lavoro e poteva tornarsene finalmente a casa, dalla sua famiglia. Per lui forse i
problemi di quella giornata erano finiti mentre Lynda sentiva i suoi appena cominciati. Il viso di Beth era stranamente rilassato, sembrava dormire tranquillamente, come se niente le fosse accaduto nelle ore precedenti. Lynda avvicinò la sedia al letto della zia avendo cura di non fare rumore e si sedette. Cominciò a pregare, abbandonandosi ai pensieri, ai ricordi, alle emozioni provate negli anni della sua fanciullezza e che in quel momento tornarono a farle visita nella mente. Le mura della stanza cominciarono a ondeggiare e mentre ondeggiavano divenivano via via sempre più trasparenti, svanivano pian piano. Di fronte a lei comparve un giardino di piante di rododendri piene zeppe di fiori multicolore.
L’aria tiepida dell’estate riscaldava la pelle nuda delle sue piccole e giovani gambe, che zia Beth voleva sempre lasciare scoperte perché potessero rinforzarsi e diventare più belle con il sole di quella stagione. Ma a Lynda questo non piaceva perché si sentiva sempre pizzicare dalle fastidiosissime zanzare che infestavano quello splendido giardino. Come sempre le note di un’aria classica giungevano a lei attraverso i vetri spalancati dell’ampia finestra che affacciava sul lato lungo del giardino. Il disco di vienile girava in continuazione e Beth sapeva che sarebbe stata ora di rientrare in casa quando il primo lato del disco fosse finito. Lynda lo aveva capito e i giorni nei quali non aveva voglia di fare il suo dovere correva al giradischi e spostava indietro la puntina perché la musica potesse essere ripetuta. Questo piccolo trucco, che Beth aveva ormai scoperto da molto tempo, le permetteva di guadagnare qualche mezz’oretta di svago in più. «Anche oggi la principessina non ha voglia di imparare», diceva Beth tra sé e sé, restandosene accovacciata tra le piante mentre le puliva con cura. Di tanto in tanto si alzava per controllarla e vedendola felice e spensierata mentre giocava con il suo amichetto Charlie, tornava serenamente al suo lavoro. Beth aveva uno dei giardini più belli della zona, se non forse il più bello di tutti. Non aveva nulla da invidiare a quello di Anthony Puddon e lei ne andava più che fiera. Grazie ai suoi rododendri e ai suoi buonissimi dolci aveva vinto diversi premi negli anni e lei esponeva ogni singolo trofeo in una teca chiusa che teneva nel salotto, perché fossero tutti ben visibili a chiunque asse da quelle parti. C’erano premi di diverso tipo, alcuni vinti nei concorsi floreali, altri in quelli per i dolci e le confetture. E proprio questi ultimi furono quelli che la resero
famosa nella zona. Anche se ancora molto piccola, Lynda imparava bene e molto in fretta, conosceva tutte le sue ricette che sapeva replicare piuttosto bene, anche con qualche variante di pregio. «Zia Beth, io sono pronta, ho messo tutto», esclamava la bambina ogni volta che il pentolone era stato riempito a dovere, «Ora però devi venire qui tu ad accendere il fuoco e girare con il mestolo». «Arrivo tesoro mio!», rispondeva ogni volta la zia addolcita da quelle parole portate dalla voce di un angelo, mentre correva da lei, «Hai messo dentro anche l’ingrediente segreto?». «Ma zia, me lo chiedi sempre! Tu non mi hai mai detto qual è questo ingrediente segreto! Io lo posso mettere ma se non mi dici che cosa devo mettere io come faccio?». «Ma come tesoro, sei già una donnina e non hai ancora capito qual è l’ingrediente segreto che io uso per rendere questi dolci e marmellate tanto buone?». «Sinceramente no, zietta cara». «Va bene, allora vuol dire che devi stare un poco più attenta! Questa volta lo metterò ancora io», rispondeva Beth mentre con il suo corpo oscurava la vista della pentola alla bambina, agitando la mano sinistra contenente l’ingrediente segreto mentre con la destra continuava a mescolare frutta, zucchero e sciroppo, senza fermarsi. «Ma zia, non mi hai fatto vedere nulla!», esclamava la bambina delusa ancora una volta, «Non diventerò mai brava come te in questo modo!». Beth le sorrideva mentre lei, arrabbiata, andava a chiudersi nella sua stanza, tra i suoi giochi. “Imparerai da sola, piccolina mia. La vita t’insegnerà ciò che tu ora non sei ancora pronta a ricevere. E troverai tu stessa l’ingrediente capace di rendere tutto più buono. Non temere, tesoro mio”, pensava tra sé e sé Beth mentre un sorriso le dipingeva le belle labbra rimaste mute.
Mentre i colori e i profumi svanivano dalla sua mente, il grigiore di quella fredda stanza d’ospedale tornava a riempire gli occhi di Lynda. Beth non si era mossa nel letto. Gettò una rapida occhiata ai macchinari e a tutti quei numeri scritti sopra e che monitoravano la zia. Fingeva di capirli e si convinceva del fatto che fosse tutto a posto, ma in realtà non capiva proprio nulla. Non vedeva spie rosse accese e questo le permetteva di stare un po’ più tranquilla. «Qual è l’ingrediente segreto zia Beth? Vedi, non me lo hai mai detto. Non puoi andartene via così ora, senza dirmelo! Non te lo perdonerei mai!», pronunciò a bassa voce la ragazza, mentre permetteva alle lacrime di compiere il loro dovere, «Tu uscirai da questa stanza e insieme vinceremo quel concorso al quale tieni tanto. Io ti aiuterò, sarò il tuo braccio e tu la mente. Te lo prometto zia, ma tu devi assicurarmi che non te ne andrai, non adesso! Non puoi farlo!». Lynda teneva la zia per mano. Con le sue dita seguiva il profilo di quelle di Beth, stanche e consumate dal duro lavoro compiuto negli anni. Nonostante non fosse povera, Beth amava lavorare. Non riusciva mai a starsene con le mani in mano perché le sembrava di “bruciare la vita” come lei spesso diceva. In questo aveva preso da lei, senza dubbio. Pensò che Beth al suo posto non si sarebbe mai arresa di fronte a quello stupido giapponese, avrebbe detto il fatto suo e con pochi cerimoniali! Lei invece realizzò di aver perso la sua fibra, di essersi messa in disparte di fronte a quell’ingiustificato atto di strapotere maschile in quella società da strapazzo, di essere diventata una pedina al servizio degli altri e non di se stessa. Forse proprio per questo motivo Beth se n’era andata via lontano dopo la morte del marito, si era ricostruita una vita vera e intensa a modo suo e come più le piaceva. Ricordò di averle detto un giorno, da piccola, che amava il cottage e non se ne sarebbe mai voluta andare via. Zia Beth le sorrise in quell’occasione e forse, pensò, l’avrebbe voluta tenere con lei, per sempre. “Zia, tu sapevi tutto della mia vita, sapevi che la persona che io chiamavo papà in realtà non era mio padre. Perché anche tu hai tenuto nascosto il mio ato?”, pensò la ragazza. I pensieri si facevano via via più rumorosi, sfiancanti, e la stanchezza cominciò ad avere lentamente la meglio su di lei. Gli occhi le si chiudevano, cedendo sempre più frequentemente a brevi colpi di sonno. Un’infermiera che non aveva mai visto prima entrò nella stanza, la guardò come se volesse chiederle qualcosa ma non lo fece. Da parte sua l’infermiera non ricambiò lo sguardo di Lynda, ma si limitò ad assicurarsi che la salute della paziente che le era stata assegnata per quella notte fosse sotto controllo, i parametri vitali fossero stabili e che non ci fosse alcun tipo di problema. Questo era il suo compito, questi erano il suo lavoro e il protocollo che lei doveva
seguire, nulla di più le era richiesto. Un lavoro che non doveva necessariamente coinvolgere i sentimenti. E la donna lo sapeva svolgere molto bene. Quindi si allontanò dalla stanza, senza dire nulla. Nella mente di Lynda riaffiorarono le filastrocche che zia Beth le cantava dopo averla accompagnata nel suo lettino, quando si avvicinava l’ora di dormire, nella loro casa a New York. Com’era piccola allora! Eppure riusciva a ricordarle ancora piuttosto bene, e in quel momento di assoluta solitudine e silenzio riecheggiavano nella sua mente nitide e complete, come non mai. Si abbandonò sullo schienale della poltrona, tenendo sempre la mano di Beth nella sua. Chiuse gli occhi e si addormentò. Le sembravano trascorsi solo pochi minuti da quando aveva preso sonno. Si svegliò con un cuscino ben sistemato sotto la sua testa, chi poteva averglielo portato? Nella stanza notò un raggio di sole filtrare attraverso gli oscuranti semichiusi e l’infermiera di quella notte che armeggiava con la flebo. Buttò una rapida occhiata a Beth, era tutto come la sera prima, nulla era cambiato. Poi tornò a rivolgere lo sguardo verso l’infermiera, ma i suoi occhi erano ancora in ostaggio al sonno, quindi li strofinò. L’infermiera la notò e le sorrise. «Buongiorno». «Buongiorno. Mi ha portato lei il cuscino questa notte?», chiese Lynda mentre a fatica riusciva a trattenere uno sbadiglio. «Si. Ho visto che si stava addormentando e sono andata a prendergliene uno in dispensa. Poi quando sono tornata, lei già dormiva. Spero di non averla disturbata». «Nient’affatto. Anzi, la ringrazio per la sua gentilezza. Avrei avuto il collo a pezzi questa mattina, altrimenti», rispose Lynda ricambiando il suo sorriso, «Come sta mia zia?». «Le diranno tutto i medici questa mattina dopo la visita, io non so dirle molto ora se non che i parametri vitali sembrerebbe essere invariati rispetto a ieri sera. Nessun miglioramento quindi ma nemmeno peggioramenti», rispose la ragazza con estrema gentilezza. Evidentemente lei sapeva mostrare i suoi sentimenti alle persone e solo in quel momento realizzò di aver miseramente sbagliato il suo giudizio su quella donna in quella stessa notte. Qualche istante dopo l’infermiera aveva completato il suo lavoro. «Gradisce un caffè?», chiese.
«Volentieri, mi sento come uno zombie!» «Glie lo porto subito», rispose la donna, per poi scomparire dietro la porta e tornare pochi istanti dopo con un termos e una tazza. «Ecco a lei. Purtroppo non è come quello del bar, ma non è nemmeno così male!». «E’ anche troppo, mi creda. Grazie davvero per la sua gentilezza», rispose Lynda mentre l’infermiera si allontanava. Lynda si alzò in piedi per bere il suo caffè, era stanca di rimanere seduta e le ossa le facevano male. In quel momento sentì il suo telefono cellulare vibrare nella tasca. Rispose. «Ciao mamma. Si qui è tutto come ieri sera, non è cambiato nulla. Si, ho dormito un po’, sono tutti molto gentili e premurosi qui, Beth è davvero in buone mani. Allora vi aspetto, a dopo», disse a tratti, per rispondere alle domande di sua madre, poi terminò la chiamata. Il dottore della sera precedente entrò nella stanza. «Buongiorno signorina. Come sta?», le chiese. «Io sto bene, anche se sento molto dolore alle ossa. Meno male che la vostra gentilissima infermiera mi ha portato un cuscino questa notte». «Si, lei è sempre molto attenta a tutto, è davvero una brava ragazza oltre ad essere un’infermiera estremamente professionale e valida, tra le migliori che abbiamo qui». «Quali sono i vostri piani per oggi, dottore?». «Beh, poiché le condizioni di sua zia sono stabili, faremo un elettroencefalogramma. Così potremo valutare le condizioni reali del suo cervello», rispose il medico mentre allargava con le dita le palpebre degli occhi di Beth e muoveva una penna luminosa all’interno delle sue pupille. Il medico non notò alcuna reazione, gli occhi della donna rimasero immobili, fissavano il vuoto. Cambiò espressione e apparve subito molto serio.
«C’è qualche cosa che non va dottore?», chiese Lynda preoccupata mentre gli si avvicinava dopo aver posato la tazza di caffè vuota sul tavolino. «Temo di si. La paziente non sta più rispondendo allo stimolo luminoso, vede?», rispose il medico mentre ripeteva il test, più come ulteriore verifica per se stesso piuttosto che come mezzo di chiarimento per quanto chiesto dalla ragazza, «Sono ate molte ore da quando abbiamo somministrato l’ultima dose di sedativo, a questo punto la mente della paziente dovrebbe essere almeno parzialmente vigile. Ci si aspetterebbe quindi un minimo di reattività da parte dei suoi occhi. Qui però pare proprio non essere così». «Dottore, mi sta dicendo che è entrata in coma?», esclamò Lynda, temendo per la risposta che sarebbe potuta giungerle. «Temo di si Lynda. Ciò che più mi spaventa è che se l’elettroencefalogramma dovesse confermare assenza di attività cerebrale, questo coma sarebbe irreversibile e non ci sarebbe più nulla da fare per sua zia. La paziente sarebbe clinicamente morta. La prego, mi lasci chiamare il resto della squadra ora per fare dei controlli più precisi e approfonditi». Lynda soffocò il pianto tra le mani. arono pochi istanti e tre medici si riunirono nella stanza con il relativo macchinario al seguito. Istanti che Lynda scambiò per un’eternità. «Quanto dobbiamo aspettare per avere il risultato?», chiese la ragazza disperata. «E’ praticamente immediato, dobbiamo solo attaccare questi elettrodi», rispose uno dei tre medici senza porre troppa attenzione al delicato stato emotivo della ragazza. Lynda sentì le gambe divenire sempre più molli, al punto da non riuscire più a sorreggersi. Si sedette e lasciò lavorare i medici. Qualche istanti dopo, tutti i cavi erano stati collegati, il più anziano dei tre con un gesto del capo indicò all’operatore di accendere la macchina. Il cuore di Lynda batteva al punto tale da sentirselo scoppiare nel petto. Guardava i volti dei medici, cercando di intuire qualche cosa in più, ma vedeva in loro solo tanta serietà mista ad un sottile velo di rassegnazione. Forse già sapevano quale sarebbe stato il responso della macchina, forse avevano fatto tutta quella manovra per lei, per farle capire che avevano fatto di tutto per salvare la zia. La macchina non rilevò alcun segnale elettrico attivo nel cervello di Beth. Il medico la guardò in un modo che non
richiedeva ulteriori spiegazioni in quanto tutto le era già stato detto in precedenza: il cervello di Beth si era spento per sempre.
14.
arono giorni, fatti di lunghe ore durante le quali i pensieri viaggiavano liberi, saltando nel tempo e nello spazio senza limite e senza meta. Lynda, Sarah e James stavano tutti uniti nella camera d’ospedale accanto al corpo di Beth, immobile, tenuto in vita da una macchina. Le sue condizioni tuttavia peggioravano di giorno in giorno, sempre di più, e i ripetuti esami confermavano sempre la stessa verità. I medici confessarono che non aveva più alcun senso accanirsi ulteriormente sulla paziente, non c’era davvero più nulla che loro potessero fare per tirarla fuori da quella situazione. Potevano solo attendere che la vita e gli eventi seguissero il loro corso fino all’ultimo momento. «Ancora qualche giorno di vita, forse una settimana, ma non di più», fu l’ultima previsione che i medici fecero. Ma solo poche ore dopo arrivò l’ennesima crisi, questa volta fatale, e anche il cuore della povera Beth cesso di battere.
Beth fu seppellita nel cimitero che si trovava a poche miglia dal Cottage, come da sue volontà. Poche persone si erano riunite intorno alla sua bara per darle l’ultimo saluto: oltre a Lynda, Sarah, James e Charlie c’era solo qualche intimo amico della donna. Lontano dal gruppo c’era però un altro uomo. Era vestito elegantemente, con un completo nero. Lynda lo guardò a lungo e seppur le lacrime sfocassero la sua vista, riuscì a riconoscere in quell’uomo il volto di Anthony. Al termine della cerimonia Lynda gli andò incontro. «L’hai saputo quindi», disse Lynda ad Anthony. «Il paese è piccolo Lynda, è impossibile non sapere ciò che accade qui, soprattutto le cose più spiacevoli, come questa». «Tutto è accaduto quel giorno, zia Beth si è sentita male ed è stata portata all’ospedale, è stata una crisi respiratoria. I medici ci hanno detto che era gravemente malata. Io e Charlie non eravamo lì, ma non credo che avremmo potuto fare qualche cosa per lei, non avremmo potuto salvarla comunque». «Si, Beth era gravemente ammalata Lynda, non avresti potuto fare nulla per lei».
«Quindi tu sapevi anche questo». «Te l’ho detto poco fa. Il paese è davvero piccolo». «E perché non mi hai detto nulla allora?». «Non avevo alcun titolo per farlo. Quelle sono notizie che non vorresti mai sentire, figurati volerne parlare!». «Quindi è per questo motivo che quando ti ho fatto il nome di zia Beth hai cambiato espressione!». «Credimi, non mi sono reso conto di aver fatto nulla del genere, ma quando ti ho sentito parlare di lei sono rimasto scosso. Può essere che tu abbia ragione, sono stato tradito ancora una volta dalle mie espressioni». «E’ tutto così assurdo! Zia Beth ci ha chiamati qui per chiederci di partecipare a un concorso! Aveva organizzato già tutto! E alla fine veniamo a sapere che in realtà stava morendo! Povera zia!», esclamò Lynda mentre a o lento camminava al fianco di Anthony, diretti verso la strada. «So del concorso. Hai promesso a Beth di partecipare, dovresti tener fede al tuo impegno quindi!». «Partecipare al concorso? Io? Ma figurati Anthony!». «Perché no?». «Perché non ne sono all’altezza! Le mie sono semplici confetture, ricette caserecce, so fare solo quelle! Zia Beth invece era esperta, sarebbe stata lei a guidarci». «E allora perché mai Beth vi avrebbe chiamato per darle una mano?». «Zia Beth non aveva alcun bisogno di noi. Forse le serviva solo un po’ di aiuto fisico, visto che sapeva di essere malata. Avrebbe vinto comunque quel concorso, anche da sola. Forse voleva solo farci venire tutti qui per metterci al corrente sulla sua malattia». «Si, può essere. Ma forse…».
«Anthony, ora basta per favore! Non parteciperò a quel concorso, è fuori discussione!». «Va bene Lynda, come vuoi tu. Perdonami se sono stato insistente, non era mia intenzione». «Non ti preoccupare. Però ora chiudiamo questo discorso una volta per tutte, per favore». «Se hai bisogno di parlare con qualcuno, per sfogarti o altro, conta pure su di me. Tu sai dove trovarmi e sei sempre la benvenuta a casa mia». «Grazie Anthony per la tua gentilezza, ma non credo che ce ne sarà bisogno. Riguardo a quello che è successo tra di noi quella notte…». «No, no! Non dire nulla. Quello che è successo tra noi quella notte fa parte solo di quella notte, non è il caso di parlarne adesso, sei scossa e potresti dire cose che non pensi veramente». «E’ stato solo sesso Anthony! Solo un puro e semplice atto fisico! Vorrei che fosse chiaro. Io ti ringrazio tanto per la tua gentilezza e per tutte le tue attenzioni nei miei confronti, ma l’amore per me è tutt’altra cosa. Non è questo», concluse Lynda mentre si allontanava dall’uomo, privandolo così di qualunque possibilità di replicare a quelle forti e laceranti parole.
Nel cottage, quel tardo mattino, tutto appariva silente, sonnolento. “Anche il tempo sembra essersi preso una pausa”, pensò Lynda quando notò che l’orologio a pendolo posto vicino alla teca dei trofei di Beth si era fermato. Lo aprì e lo fece oscillare dopo aver sistemato l’ora. La vita ripartiva da lì. Lynda si sedette nel salotto, i suoi occhi danzavano posandosi su ogni singolo oggetto appartenuto a Beth che si trovava in quella stanza: il bel servizio di piatti in fine porcellana, i bicchieri di cristallo, le sue adorate tazzine da tè colorate. Notò poi i suoi libri, accuratamente sistemati sulle mensole della libreria. Uno tra tutti attirò il suo sguardo, lo riconobbe subito: era il ricettario di Beth. Lynda lo aprì e cominciò a sfogliarlo pagina dopo pagina. Aveva provato quasi tutte quelle ricette almeno una volta. “L’ingrediente segreto!”, pensò percorsa da un brivido freddo, “Qui potrei trovarlo!”. Si mise a leggere tutte le ricette, una dopo l’altra in sequenza, soffermandosi sugli ingredienti e sulle dosi. Ma non c’era nulla di nuovo, nulla
che non sapesse già. Ma allora cos’era questo ingrediente segreto che rendeva le sue confetture tanto buone? Possibile che fosse destinata a non saperlo mai? “Era segreto, avrà preferito non scriverlo”, concluse delusa mentre riponeva il libro al suo posto sullo scaffale. Guardò la teca dei trofei. Erano stati tutti accuratamente puliti e ordinati per anno di partecipazione. In fondo alla teca era rimasto uno spazio, occupato da un foglio di carta. Lynda lo lesse:
“MIGLIOR TORTA DI FRUTTA DELL’ANNO” Primo Premio vinto da Lynda e Charlie
«Zia Beth dava già per scontata la nostra vittoria. Ma il suo nome sul biglietto dov’è?», disse Lynda a voce alta. La risposta arrivò alle sue spalle. «Figlia mia, la cara zia Beth voleva che tutti noi ci riunissimo qui un’ultima volta prima che lei se ne andasse da questo mondo. Sapeva che la sua vita sarebbe finita ben presto, ma non voleva andarsene lasciando le cose a metà. Il concorso è stato solo un pretesto per farci incontrare tutti, nuovamente. Lo voleva davvero e ha organizzato tutto questo per noi, non lo avevi capito? Lei ti ha insegnato tutto quando eri piccola, e tu con il suo aiuto sei stata capace di fare grandi cose. Ora è giunto il momento di dimostrare a tutti, inclusa te stessa, che lei non si sbagliava. E tu sai già qual è l’ingrediente segreto che tanto ti preoccupa», disse James restando sulla porta del salotto. «Non lo so invece. E non lo trovo scritto da nessuna parte. Ho guardato tutte le ricette sul suo libro, non c’è alcun ingrediente diverso da quelli comunemente utilizzati, quindi non saprei». «Tu dici? Eppure io sono convinto che se cerchi meglio ce la puoi fare. E quando avrai scoperto il famoso ingrediente, nessuno mai potrà battere le tue confetture». «No, io non lo credo…». «Riconquista la fiducia in te stessa Lynda, quella fiducia che ti ha fatto crescere personalmente e professionalmente fino ad ora. E quando l’avrai finalmente
ritrovata, usala! Beth ha iniziato tutto questo per divertimento, per ione! Non chiedeva un ritorno, non aveva pretese per quello che faceva. Il successo, la popolarità e tutti quei premi da lei vinti sono arrivati dopo, molto più tardi. Quando la vita ti assegna un percorso, difficilmente potrai evitarlo e presto o tardi ci tronerai sopra». «Papà, io non parteciperò a quel concorso da sola, è chiaro?», rispose mentre realizzava di aver chiamato l’uomo nuovamente con il termine “papà”. «Tu non sarai mai sola Lynda. Ci saranno Charlie e Beth al tuo fianco. Sarah ed io saremo comunque ben lieti di darvi una mano. Una squadra imbattibile è quello che serve e a noi non manca davvero nulla. Pensaci!», concluse James prima di voltarsi per lasciare la figlia di nuovo sola con i suoi pensieri. Lynda andò in giardino, sentì l’aria intorno a lei stranamente tiepida e piacevole, in cielo risplendeva alto un bel sole. Andò verso i rododendri, camminava lungo i sentieri accarezzando il folto fogliame e i bellissimi fiori vellutati al tatto. Man mano ritornavano alla mente ricordi di lei, bambina, mentre si nascondeva tra i fiori per non farsi trovare dalla zia che la chiamava con insistenza. «Lynda? Dove sei? Dove ti sei nascosta? Dai, benedetta figliola non farmi girare tutto il giardino in lungo e in largo, dobbiamo preparare la confettura di mele, vuoi venire fuori santo cielo?» Ricordava bene che sghignazzava a lungo ogni volta che giocava in questo modo e quando la zia spuntava alle sue spalle con il mestolo in mano le diceva sempre: «Ecco dove ti eri nascosta, diavoletta che non sei altro!». Lynda allora si abbandonava a serene e giocose risate, per poi gettarsi contenta tra le braccia spalancate della zia che la attendevano per stringerla forte. Correvano poi insieme in cucina, la frutta era sempre già lavata e tagliata, pronta per essere messa in pentola insieme all’ingrediente segreto. Ma quelle giornate da bambina spensierata erano entrate a far parte del mucchio disordinato dei ricordi di un ato ormai lontano, un ato che non sentiva più suo ora che la cara zia l’aveva lasciata per sempre. Lynda si sentiva troppo pigra e svogliata per fare qualunque cosa e per parlare con chiunque. Trovava pace solo nel giardino, mentre se ne stava ferma ad ammirare i fiori che punteggiavano le piante con accesi cerchi di colore, persa
tra i suoi ricordi e con la speranza di riuscire a farli rivivere ancora, anche se per un solo istante. L’incontro con Anthony al cimitero e le sue parole avevano ri in lei quella ione che l’aveva sconvolta qualche giorno prima e che lei credeva essersi ormai esaurita, come un fuoco di paglia. Eppure lei l’aveva negata di fronte a lui. La sua mente viaggiava sulle ali della fantasia, toccava lidi nuovi in ogni istante e a una velocità tale da farle sembrare innaturale e falsa persino la realtà e la sua stessa carne. Ma Anthony, tuttavia, non era il vero compagno in quel suo viaggio. «Lynda», disse Charlie in tono dolce. «Non ora Charlie, ti prego. Ho voglia di rimanere un po’ da sola se non ti dispiace», replicò lei restando seduta a terra, mentre stringeva le sue ginocchia contro il petto. «Va bene, non ti preoccupare. Permettimi solo di darti questa lettera», continuò Charlie, «L’ha scritta Beth per te e me l’ha data perché io potessi consegnartela al momento giusto». Lynda si alzò di scatto e prese la busta dalle mani di Charlie il quale discretamente si allontanò per lasciarla sola. Era una busta anonima, sul fronte portava solamente il nome del destinatario, “Per Lynda”. Con le mani tremanti Lynda alzò il lembo ben chiuso della busta e lo aprì facendo attenzione a non danneggiarne il contenuto e cominciò a leggere.
“Mia cara nipotina, se il buon Charlie ti ha dato questo messaggio significa che me ne sono andata, lasciandovi in un mare di guai! Tutti voi dovete scusarmi miei cari, ma non avevo idea che la mia vita sarebbe finita così presto. Comunque, veniamo a noi. Il concorso ci sarà tra un po’ di giorni, c’è ancora tempo. Vorrei che foste tu e Charlie a preparare la torta di frutta e a partecipare al concorso. E’ inutile dire che dovrete vincerlo! Non deludetemi, ho già messo la targhetta per l’evento nella teca di vetro in salotto. Metterete lì dentro la targa che vi sarà consegnata e finalmente la mia vita avrà avuto un senso! Da anni coltivavo il sogno di completarla ma senza successo! Io sarò con voi sempre e cercherò di darvi suggerimenti se mi sarà possibile. Ma uno voglio ricordarvelo fin d’ora: se volete vincere, non dimenticate l’ingrediente segreto! Con tanto affetto,
zia Beth”
Lynda ripiegò con cura il foglio che aveva appena letto. Come poteva la zia dire che non si sarebbe aspettata di veder finire la sua vita così presto e poi scrivere quel messaggio con una previsione quasi matematica del giorno della sua morte? Andò da Charlie per chiedergli spiegazioni. «Charlie!», esclamò dopo aver visto il ragazzo che stava per andarsene via, «Vuoi spiegarmi che cosa significa questo messaggio? Non capisco! Da quanto c’è scritto qui, zia Beth pareva sapere esattamente quando sarebbe venuta a mancare!». «Vedi Lynda, Beth mi ha dato altri messaggi per te nei mesi scorsi. Avevamo fatto un patto: alla consegna di ogni nuova lettera avrei dovuto distruggere la precedente. Io continuavo a dirle che non sarebbe stato necessario, ma lei m’intimava sempre di smettere di contrariarla e di fare questo favore ad una povera “vecchietta morente”. Aveva ragione, aveva sempre avuto ragione. Questo biglietto a te destinato ne è la chiara dimostrazione». «E tu i precedenti li hai distrutti davvero?». «Mi aveva chiesto di fare così, perché una volta scritto il più recente gli altri sarebbero stati del tutto inutili. E così ho fatto, per rispetto alla sua volontà». «Quanti te ne ha dati in tutto?». «Sei in tutto, quest’ultimo incluso. All’incirca uno ogni due settimane. Probabilmente si era data delle scadenze che non era certa di poter raggiungere personalmente, ma una volta arrivata a coprire ognuna di quelle singole tappe si era data da fare per affrontare la successiva, sempre con gli stessi dubbi e le stesse paure nel cuore». «Tu non hai mai letto i suoi biglietti?». «Non mi sono mai permesso di farlo. Non erano quelle le istruzioni che mi erano state date». «Allora quest’ultimo devi leggerlo. Beth vuole che partecipiamo a quel
concorso, e dobbiamo vincerlo per lei. Dobbiamo farlo noi due, Charlie. Tu ed io! Ci stai?». Charlie lesse con attenzione il biglietto, trattenendo a stento la commozione. Annuì con il capo, poiché le parole sembravano non uscirgli dalla bocca. «Bene!», esclamò Lynda sorridendogli mentre lo abbracciava, «Inizieremo domani!». «E per il viaggio in Italia?». «Rimanderemo di qualche giorno. Qualche giorno in più o in meno non farà una grossa differenza. Ma ci andremo. Dovremo avvisare quelle persone però». «Domani mattina dovrò andare in città, manderò loro un messaggio di posta elettronica per tuo conto se vuoi». «Molto bene. Avvisali che li ricontatteremo per fargli sapere quando saremo pronti per partire», concluse mentre il ragazzo si allontanava, «Charlie?». «Si, dimmi». «Grazie ancora per tutto!». Lo salutò e sorrise, il giovane fece altrettanto.
15.
A Milano era una sonnolenta e piovosa domenica mattina. La città abituata al grande traffico e a rumori di ogni genere era ancora assonnata, i negozi lasciati chiusi in quella giornata di riposo. Si udiva tuttavia il tocco sordo e lontano delle campane delle chiese, non coperto dai rumori dei motori e dei clacson delle auto. Anche l’atelier di Sonia Galiano era chiuso al pubblico per quel giorno, anche se la donna era sempre alle prese con ago, filo e cartamodelli ogni giorno della settimana. Ma diversamente dal solito in quella domenica non aveva nessuna voglia di lavorare. Sonia scese in cucina per preparare la colazione. Operava meccanicamente sui fornelli, mentre la sua mente saltava in modo regolare tra le idee per il nuovo vestito che stava disegnando e la strana telefonata ricevuta dalla Cornovaglia. Nel frattempo il marito Andrea la raggiunse. «Che cosa c’è Sonia? Sei pensierosa stamattina», chiese lui. Era abbastanza abituato a questi suoi stati d’animo, quando la moglie si estraniava per pensare non riusciva a nasconderlo agli altri. «Sono perplessa per la telefonata che abbiamo ricevuto nei giorni scorsi. Oggi non lavoro, ho avuto tempo per pensare questa mattina e mi son venute in mente molte cose. Che cosa vorranno da noi quelle persone?», rispose lei senza togliere lo sguardo dal bollitore dell’acqua che pian piano cominciava a rumoreggiare. «Immaginavo fosse quello il motivo. Tu cosa pensi?». «E’ proprio questo il problema! Penso a tante cose ma nessuna di queste pare avere un senso logico e compiuto, se messa insieme con le altre!». «Detta così pare essere davvero una cosa complicata, forse sarebbe meglio smettere di spremerci inutilmente le meningi e attendere che vengano qui per parlarne», rispose Andrea sorridendole, per allentare la tangibile tensione emotiva mostrata dalla moglie. Andrea non sopportava vederla preoccupata, e come se tenesse per le mani uno strumento cercava sempre di investigare per strapparle fuori qualche cosa, per cercare di risolvere i problemi o le situazioni che la turbavano.
«Lo è, no?», rispose Sonia ricambiando il sorriso, «Ricordi che Angela non era felice, le mancava la sua terra, la sua gente, le sue amicizie. Le mancavo tanto anch’io!». «Le mancavano tutti insomma! Io no?», riprese Andrea strizzandole l’occhio. «Dai, smettila, non dire sciocchezze. Angela è morta e tutte quelle lettere che mi aveva scritto qualche tempo prima di andarsene, lette con il senno di poi, non lasciavano presagire nulla di buono». «Le hai conservate tutte?». «Ma certo, come avrei potuto buttarle via? Angela era la mia migliore amica, lo sai quanto eravamo legate. Io mi sento solo colpevole di non aver fatto nulla per aiutarla fino in fondo. Forse ero troppo presa con il mio lavoro per poter andare a fondo nella faccenda. Nel frattempo la vita le stava sfuggendo di mano ed io non ho fatto nulla per evitarlo». «Non puoi sentirti colpevole per questo Sonia! Tu le hai offerto il tuo aiuto, ricordi? Le avevi anche proposto di venire a stare qui da noi per un certo periodo, ma lei non ha accettato, ti diceva che stava bene in Cornovaglia con il suo compagno». «A mio parere lei non voleva disturbare la nostra serenità con i suoi problemi. Ma non è questo il punto! Avrei dovuto essere io ad andare a prenderla in prima persona, ma non l’ho fatto!». «Ma così facendo non avresti rispettato la sua decisione, ti saresti mostrata indifferente verso le sue parole proseguendo a testa bassa a cavallo di idee che forse sono solamente tue, non sue. Ancora una volta, non puoi e non devi fartene una colpa! Capisco come ti senti ora e comprendo il tuo stato d’animo. Sentiamo che cosa avranno da dirci quelle persone quando verranno a trovarci. Pensi di dargli le lettere?». «Le ho già messe da parte in un cassetto, pronte per essere mostrate all’occorrenza. Però vediamo come si metteranno le cose, come andrà la discussione. Se non sarà strettamente necessario, non mostrerò nulla. In fin dei conti sono cose personali, mie e di Angela. Dopo la morte di Angela il marito Anthony è stato indagato per omicidio, probabilmente la loro visita è legata a quello. Comunque hanno mandato un messaggio nella posta elettronica questa
mattina, dicono che dovranno rinviare di qualche giorno il viaggio perché hanno subito un lutto in famiglia e hanno molte cose da fare. Ci avviseranno loro quando saranno pronti per partire e per prendere accordi più precisi per l’incontro». «Meglio così, non credi?». «Si, meglio così davvero! Magari poi cambieranno idea alla fine e non verranno nemmeno. Non mi dispiacerebbe affatto questa prospettiva, credimi! Quanto zucchero vuoi nel latte?», concluse Sonia mentre porgeva la tazza al marito. «Faccio io», rispose lui, poi le accarezzò la testa sorridendole e la baciò.
In quella stessa giornata, la costa occidentale della Cornovaglia era riscaldata da un sole brillante, il cielo era terso e sgombero dalle nuvole. «Che giornata fantastica!», esclamò Lynda appena alzata mentre puntava gli occhi al cielo attraverso la finestra della sua stanza, «Hai mandato tu questo bel sole oggi, vero zia?». Guardò la foto incorniciata riposta sul piano della madia, ritraeva Beth com’era una ventina di anni prima, durante una festa con le amiche. Sorrideva mentre mostrava con orgoglio il dolce che lei stessa aveva preparato per l’occasione e a Lynda parve che quel sorriso fosse diretto a lei. Il suono di un clacson proveniente dal cortile distolse l’attenzione della donna dai suoi pensieri. Era Charlie che chiedeva di entrare con il camioncino nel cortile del cottage. Lei lo raggiunse, noncurante del fatto che fosse ancora vestita per la notte. «Scusami Lynda. Era mia abitudine suonare il clacson e attendere che Beth venisse ad aprirmi. Non ho pensato al fatto che ora lei non c’è più e… nient’altro! Ti prego di perdonarmi. Stavi ancora riposando?». «No Charlie, non preoccuparti, sono sveglia da un pezzo». Charlie la guardò ma non riuscì a sostenere il suo sguardo a lungo. «Oh, per via di questa?», chiese Lynda indicando la sua vestaglia, poco più lunga di una camicia e che le copriva le gambe solo parzialmente, dopo aver notato
l’imbarazzo nel giovane, «Io non sono mattiniera come zia Beth, ma nemmeno una dormigliona». Charlie non distoglieva lo sguardo da terra. «Hai forse perso qualche cosa?». «Io? No, assolutamente!». «E allora perché continui a guardare a terra?», chiese ancora una volta con malizia al giovane, il quale però si guardava bene dall’esternare qualsiasi tipo di reazione. «Suvvia Charlie! Sembra quasi che non hai mai visto le gambe di una donna prima d’ora!». «Non è questo! E che io…». «Tu? Tu cosa Charlie?», continuò lei sorridendo divertita e avvicinandosi a lui mentre lentamente sollevava il lembo della vestaglia lasciando intravedere meglio al ragazzo il candore della pelle tesa che ricopriva le sue cosce perfette, fino a scoprire un pezzettino dei suoi slip. «Non dobbiamo preparare le confetture oggi, Lynda?», sbottò il ragazzo per sfuggire da una situazione che si era fatta davvero imbarazzante per lui. Lynda, al contrario, sembrava sentirsi davvero a suo agio. «Ti sei arrabbiato?», chiese la donna divertita, «Perché mai?». «Lynda, sono solo imbarazzato, non arrabbiato. Io…» «No, non me lo dire… Sei gay! E’ così?». Il ragazzo non rispose. Rimasero in silenzio qualche secondo, poi Lynda ripropose la sua domanda. «Sei gay?». «Si Lynda, sono gay! Sei più contenta così? Ora andiamo però, abbiamo molte cose da fare!», rispose il giovane, irritato dal comportamento inatteso dell’amica.
«Ma no, certo che non lo sono! Ma è così strano, non lo sapevo! E dimmi, hai un compagno?». Charlie non rispose. «Chi è? Lo conosco?». «Può darsi». Lynda sorrise, sorpresa e incuriosita. «Dai, dimmi chi è! Per favore!». «Ma perché lo vuoi sapere scusa? Non sono affari tuoi, non credi?». «Perché sono una donna Charlie, e come donna sono dannatamente curiosa, dovresti saperlo! Beth lo sapeva?». «Certo che no, stai scherzando?». «Zia Beth era di mentalità aperta. Nonostante la sua età era una donna molto moderna. E poi, credimi, dopo tutti i casini successi all’interno della sua stessa famiglia non si sarebbe mai e poi mai scandalizzata per i gusti sessuali di un suo collaboratore e amico». «Sono un ragazzo riservato, gli affari miei non vado a spifferarli in giro al mondo intero!», concluse il giovane alzando le mani verso il cielo in segno di rassegnazione. «Quindi non me lo vuoi dire chi è il fortunato?». «Andiamo!». «Ok, va bene! Pensaci quanto vuoi, tanto prima o poi avrai bisogno dei consigli di una donna e verrai ad implorarmi perché io possa aiutarti a sorprendere il tuo mister “X”!», rispose Lynda canzonando il giovane, mentre se ne tornava verso casa a o spedito. In cuor suo però sentiva di soffrire non poco per quella scoperta, anche se ancora non sapeva il perché. Charlie rimase immobile dov’era, l’ammirava in silenzio fino a trattenere il respiro. “Io non sono gay Lynda”, pensava, “E te lo dimostrerò presto. Per adesso, però, è meglio per
entrambi che tu mi veda così”. «Allora signorino! Hai intenzione di are la giornata restandotene lì impalato?», chiese Lynda al giovane non sentendo il rumore dei suoi i avanzare sul selciato. «Lo sai che hai delle splendide gambe? Però metterei del pizzo sugli slip, le mutande della nonna non mi sono mai piaciute!», replicò scherzando il ragazzo. «Oh, ma certo. Parola dell’esperto! Le mie gambe ti ringraziano caro! Mutandine di pizzo? Ne ho quante ne vuoi! Ma intanto a te non interessano, giusto?». Charlie si mosse verso di lei. «Nei periodi di guerra e di carestia, tutto viene buono Lynda cara!», esclamò il giovane. E lei rimase tanto sorpresa quanto divertita da quella sua risposta, al punto che lo strinse forte tra le sue braccia e gli stampò un bel bacio sulla fronte. «Forza, diamoci da fare!». Lynda riorganizzò i ricordi e cercò tutti i pentoloni che usava da piccola. Charlie andò nella dispensa a prendere un primo carico di frutta fresca. Non appena la vide ricordò che davanti a quelle cassette aveva parlato per l’ultima volta con Beth e una morsa gli strizzò il cuore quasi fino a farlo sanguinare. I due ragazzi lavoravano con impegno per i preparativi iniziali. Avevano deciso di iniziare con una crostata di frutta, uno strudel alla mela, dei pasticcini con fragole e uva bianca e una variante di profiterole con ripieno di marmellata. Il tema del concorso era “Torta alla frutta”, dovevano prepararsi bene su quello. Dopo quattro ore di duro lavoro, tutti gli impasti, le lavorazioni e gli ingredienti erano pronti e infornati a dovere. Nel pomeriggio li avrebbero assaggiati e valutati con l’aiuto di James e Sarah, che li stavano a guardare divertiti affacciandosi di tanto in tanto sulla porta della cucina. «Beth sarebbe davvero orgogliosa di loro se li vedesse. Guarda come lavorano bene insieme, sono così uniti!», disse Sarah con il nodo alla gola. «Ne sono sicuro. Lei è lì insieme a loro in questo momento», rispose James, volgendole uno sguardo rasserenante mentre le accarezzava il braccio come era solito fare quando voleva dimostrarle il suo affetto.
«Pensi che dovremmo dargli una mano James?». «Non credo, saremmo solo d’intralcio ora. E poi, è meglio se li lasciamo soli. Sono due ragazzi, carini e giovani. Vieni con me, andiamo a eggiare in giardino!». Le ore avano e i primi dolci cuocevano nel forno. La lievitazione della pasta sembrava perfetta, tutto sembrava andava bene, secondo le attese. Forse era tutto troppo facile. «Non male per essere il primo tentativo, non credi?», disse Lynda rivolgendosi a Charlie. «Così sembrerebbe. Ma dobbiamo ancora assaggiarli! Solo allora potremo esprimere un parere». «Si, effettivamente manca l’ingrediente segreto! Chissà che diavolo era! Comunque sia abbiamo seguito alla lettera le ricette, devono essere buoni per forza!», concluse Lynda, soddisfatta del lavoro fatto fino a quel momento. La crostata e lo strudel erano pronti e potevano essere finalmente sfornati. Una volta aperto lo sportello, un odorino delizioso li investì. Aspettarono che si raffreddassero a dovere per diversi minuti, restando tutti seduti intorno alla tavola da pranzo a chiacchierare. James e Sarah erano così contenti che sembravano essere tornati bambini. Iniziarono con la crostata. Lynda afferrò un coltello e con un colpo deciso tagliò la prima fetta e la mise in un piatto di porcellana, uno di quelli che Beth conservava con amore per le occasioni speciali. Questa era davvero un’occasione speciale! Poi fu il turno dello strudel. Nessuno toccò il proprio piatto fino a quando tutti non furono adeguatamente serviti. «Siamo pronti?», chiese Lynda guardando i compagni negli occhi, uno ad uno. Ricevuto il consenso di tutti, tagliò un pezzo di crostata e lo portò alla bocca. Gli altri la imitarono. Nessuno si esprimeva, ognuno assaporava il boccone cercando le parole più adatte da dire. Ma nessuno parlò. Fu Lynda la prima ad esprimere il proprio parere. «Non ci siamo affatto! Manca qualcosa. Il sapore c’è ma non è come me lo aspettavo. Non è il sapore che zia Beth sapeva dare alle sue crostate e ai suoi
strudel, quel sapore the inondava la bocca e catturava tutti i sensi». «Però è buon Lynda, dai! Ed è solo la prima prova», disse Sarah a sostegno del morale della figlia. «No Sarah, devo ammettere che Lynda ha ragione. Non ci siamo proprio!», esclamo James. «James, ma che dici?», lo rimproverò Sarah d’estinto. «Questa crostata da emozioni a chi la mangia. Sembra una di quelle crostate confezionate che si possono trovare al supermercato. Una cosa del genere non può avere alcuna pretesa di vincere un concorso». «Charlie, tu cosa ne pensi?», chiese Lynda al ragazzo che, a turno, guardava le persone mentre esprimevano il loro parere ma restandosene in disparte in silenzio. «Io dico che è diverso dagli altri!», rispose il ragazzo in modo da rimanere il più neutrale possibile in quella discussione per non contrariare nessuno. «Ma che cosa vuoi dire con “diverso”? Hai lavorato anche tu, sei parte anche tu del progetto, esprimiti a dovere!», lo istigò Lynda con rimprovero. «Dico che è diverso perché non ha il sapore che ci si aspetta da una crostata fatta con amore, ione e divertimento! Lo stesso vale per lo strudel. James ha detto la cosa giusta, sembrano due tortine preconfezionate, di quelle prodotte in serie, industrialmente». «E che cosa proponi di fare per migliorarle quindi? Secondo te c’è qualche cosa che non va negli ingredienti?». «Può essere. Secondo me dovremmo riprovare domani. Rifaremo le stesse cose provando però a modificare le dosi. Vedrai che prima o poi troveremo la combinazione giusta». «I profiterole e i pasticcini come vi sembrano?». «Se devo essere sincero, il profiterole alla marmellata non mi piace per nulla. Quel dolce è nato per essere fatto con la crema, e con la crema deve essere
fatto», disse Sarah, sgravata dal peso che sentiva addosso di non dover essere lei la prima a deludere la figlia con la sua opinione. «Va bene, domani riproveremo. Che ne facciamo ora di questi?». «Direi che ce li mangiamo lo stesso! Non vorrai buttare via tutto questo ben di Dio!», esclamò James divertito. «Domani però potresti non aver voglia di assaggiare quelli nuovi se ora ti abbuffi con questi!», esclamò Lynda, assestando il colpo. «Li porterò io in città, da quel mio amico che ha aperto il ristorante!», esclamò Charlie, convinto di aver trovato la soluzione più valida alla questione. Inoltre sarebbe stato un modo per far sapere in giro che l’attività iniziata da Beth in ato stava continuando. Lynda gli sorrise e gli strizzò l’occhio. Forse era lui il compagno di Charlie? Immediatamente Charlie intuì che Lynda aveva male interpretato le sue parole, ma preferì non replicare, almeno non davanti a tutti. “Ogni bugia chiama un’altra bugia”, pensò il ragazzo. Avrebbe chiarito tutto in seguito, quando sarebbe arrivato il momento più adatto. Nei giorni seguenti la storia venne ripetuta. Il prodotto finale non era mai perfetto, mancava sempre qualche cosa. Al quinto tentativo malriuscito, Lynda scoppiò a piangere, decisa ad abbandonare tutto. «Non ce la faccio, i miei dolci fanno schifo!», gridava mentre gli altri ammutoliti la stavano a guardare. James le venne subito in aiuto. «Lynda, tu hai preso tutto questo come una sfida, ne stai facendo una questione di vita o di morte. Non serve arrivare al punto di ammalarsi o uccidersi per vincere, altrimenti non potrai mai gustarti la meritata vittoria! Fermati un attimo a pensare: se ci fosse stata Beth, ora, cosa avrebbe pensato di voi? Vi avrebbe incolpato per qualcosa?». «Zia Beth metteva qualcosa di speciale nei suoi dolci, qualcosa che li rendeva davvero unici, inimitabili. E si è portata quel segreto nella tomba». Sarah la guardò e sorrise. Si avvicinò a lei, la abbracciò. Lynda non se lo aspettava e sobbalzò. Il suo corpo fu percorso da un brivido caldo, che le fece davvero molto piacere.
«E’ questo il tuo limite Lynda? E’ l’ingrediente segreto di Beth a fermarti e a metterti in bocca il sapore amaro della sconfitta? E’ questo il motivo che ti fa gettare la spugna figlia mia?». «I risultati parlano chiaro mamma. Queste torte non sono le torte di zia Beth. Punto! Ricordo tutto benissimo, come se fosse successo ieri! Quando ero piccola, lei mi diceva sempre che ogni cosa senza l’ingrediente segreto non poteva venire bene, che senza quel pizzico di amore sincero tutto è insapore!». Lynda si bloccò e ripensò alle parole appena dette. Non era sicura di essere stata lei stessa a pronunciarle, ma le aveva sentite bene, eccome! “Senza quel pizzico di amore sincero tutto è insapore”. «Vedi? L’hai detto tu stessa! Io ho assistito spesso mentre Beth preparava i suoi dolci e le sue confetture. E molto spesso l’ho aiutata, anche se oggi non sono più capace di fare nulla. L’amore è l’ingrediente segreto, cara Lynda! Se non si mettono la ione e l’amore sincero nelle cose che si fanno, tutto viene senza sapore. Ce lo insegna la vita, ogni giorno!». Seguirono istanti silenziosi, si respirava un’aria stranamente calma e rilassata. Lynda guardava suo padre, sua madre e Charlie restandosene comodamente seduta sulla sedia preferita di zia Beth. Poi guardò in alto e sorrise, divertita e felice. «Domani ci riproveremo, e questa volta sono pronta a giocarmi tutto! Sarà un successo, ve lo prometto!». «Molto bene cara!», rispose Sarah mentre con il suo o incerto si voltava per lasciare la cucina, felice di aver ridato fiducia alla figlia con le sue parole. Ma non ebbe il tempo di andarsene, Lynda la chiamò. «Mamma! Papà! Charlie! Prepareremo tutti insieme il dolce più bello, più buono e più grande mai preparato prima d’ora. Mi aiuterete voi, tutti. Beth da lassù sarà fiera di noi!». Tutti si rallegrarono per quella proposta e a turno abbracciarono la loro Lynda scoppiata in lacrime. Era un pianto sincero, liberatorio, pieno zeppo d’amore: Beth le aveva finalmente svelato il suo segreto. Un segreto del quale lei era già a conoscenza da molto tempo, ma che attendeva solamente di essere rispolverato. L’indomani Lynda si alzò dal letto piena di energia! Era ancora molto presto e
sapeva che Charlie sarebbe arrivato non prima di un paio d’ore. Si affacciò alla finestra e ammirò il giardino. Com’era bello a quell’ora del mattino! Il sole, che prometteva una bella giornata, lo stava lentamente illuminando e si divertiva a creare giochi d’ombra con le foglie e i fiori di rododendro. Sotto quella luce, i fiori sembravano tutti dello stesso colore, ma mantenevano intatta tutta la loro bellezza. Aprì i vetri e si fece investire dalla brezza fresca del mattino, sentiva il pizzico salato che l’aria umida portava con sé quando veniva dal mare. Lynda respirò a fondo, facendo entrare quell’aria nei suoi polmoni, riempiendoli completamente per poi trattenerla dentro di sé. Com’era fresca, buona e pulita! Rivide ancora con gli occhi dei ricordi una Lynda bambina che correva e giocava nascondendosi in mezzo ai fiori, mentre Charlie e la zia la cercavano. Si divertiva tanto a farli disperare! Ricordò che una di quelle volte sentì zia Beth piangere mentre parlava di Charlie con un’altra donna. Non capì i loro discorsi ma le sembrò che stessero litigando e alla fine Beth mandò via la donna in malo modo da casa sua. Eppure la donna che parlava con sua zia non le era parsa affatto una persona cattiva, voleva anche molto bene a Charlie. Forse il suo amico di giochi aveva qualche problema con quella donna? Non le sembrava, perché lui sorrideva sempre quando era con lei e lo fece anche dopo quel discorso. Quindi se ne dimenticò. Udì dei rumori provenire dalla stanza accanto alla sua, forse James e Sarah si erano già alzati. Rabboccò le coperte sul letto e scese in cucina per preparare la colazione. Servì i dolci preparati il giorno prima, non vedeva l’ora di toglierseli dai piedi per sfare spazio a quelli nuovi e perfetti che avrebbe preparato quello stesso giorno. Poco dopo l’arrivo di Charlie si misero tutti all’opera. C’era chi sbucciava la frutta, chi preparava la confettura e chi gli impasti per la pasta frolla e il pan di spagna da usare come base per le torte. Sarah preparava il fondente da usare per decorare la torta. Tutti erano concentrati in ogni singola azione, anche la più semplice. Ci mettevano tutto l’amore possibile in quello che facevano, perché così non sarebbe mai uscita una torta “insapore”, come Beth aveva insegnato loro. Sapevano di doversi dare da fare e nessuno di loro si tirava indietro. Dopo due intere giornate di lavoro arrivò il momento dell’assaggio. Stesso rituale già visto qualche giorno prima. Ogni singola fetta era posata sui piatti con religioso silenzio, al punto che si poteva sentire benissimo il ticchettio del pendolo che si trovava lontano, nel salotto. Persino le mosche avevano smesso di volare, per non fare rumore. Lynda, anche questa volta, assaggiò per prima e gli altri la seguirono. Non servirono parole, bastarono gli sguardi, i sorrisi e le luci che
brillavano negli occhi di ciascuno dei presenti. Quella torta aveva lo stesso meraviglioso sapore di quelle preparate da Beth! Ce l’avevano fatta, finalmente! Mancavano ancora parecchi giorni al concorso e Lynda sapeva che avrebbero avuto tutto il tempo per preparare qualcosa di veramente eccezionale, qualcosa che avrebbe davvero colpito la giuria. «Ora non ci resta che sbalordire la giuria con il nostro dolce. Abbiamo tempo per pensare bene a cosa fare, ma non dimentichiamo l’obiettivo finale che Beth ci ha chiesto di perseguire: la vittoria!», esclamò Lynda entusiasta, mentre gli altri sorridevano compiaciuti, «Prima però io e Charlie abbiamo un’altra faccenda da risolvere, non è vero amico mio?». Charlie capì immediatamente a che cosa si riferisse l’amica e annuì compiaciuto e felice del fatto che non se ne fosse dimenticata dopo tutto quel trambusto. «Che cosa avete di così importante da fare, ragazzi?». «Un viaggio cara mamma. Charlie ed io andremo a trascorrere qualche giorno in Italia, da alcuni amici». «Avete degli amici in Italia? Charlie, sono amici tuoi?». «Ricordi la stilista di cui parlavo nei giorni scorsi, quella Sonia Galiano che vi avevo nominato?». «L’amica della povera donna morta al maniero, la moglie di quel Puddon?». «Si mamma, esattamente, proprio lei, l’amica d’infanzia e collega di lavoro di Angela. Ho detto che avrei fatto luce su quel caso e così sarà». «Ma Lynda, figlia mia, sei proprio sicura di volerti immischiare? Perché non te ne stai fuori dalle faccende che non ti dovrebbero riguardare? Quel caso è chiuso ormai!». «No mamma. Il caso è chiuso per voi e per la giustizia forse, ma non è affatto chiuso per me e per il signor Puddon. Devo vederci chiaro, lo faccio per me e per lui». Lynda si recò alla teca, guardò lo spazio lasciato vuoto e rivide il biglietto lasciato da Beth.
«Quel premio sarà nostro, zia Beth. Te lo prometto! Ma prima aiutami a risolvere la questione su Puddon. Tu sai se lui è colpevole oppure no, forse avrai già incontrato Angela in Paradiso e magari state ridendo insieme di noi e del nostro comportamento da poveri esseri umani», disse Lynda. Mentre lo diceva, si sentì scaldare il cuore. Era zia Beth, ne era sicura, la stava ringraziando per ciò che le aveva appena promesso e le faceva capire che non l’avrebbe lasciata da sola durante la sua ricerca.
16.
Lynda e Charlie avvisarono la stilista che sarebbero arrivati a Milano il giovedì di quella stessa settimana, solo due giorni dopo. Il volo in partenza da Londra Stansted sarebbe atterrato all’aeroporto di Orio al Serio in provincia di Bergamo solo in tarda serata e il marito di Sonia si offrì volontario per andare a prenderli all’aeroporto e portarli nell’hotel più vicino al loro atelier. Il giorno della partenza dovettero alzarsi molto presto per prendere l’autobus diretto all’aeroporto, sul quale avrebbero viaggiato per ben cinque ore, traffico permettendo. Charlie arrivò puntuale, aiutò Lynda a caricare la sua valigia in auto e lasciarono il cottage alla volta della città. La ragazza era ancora molto assonnata e a fatica riusciva a parlare con Charlie durante il tragitto. «Hai molto sonno», disse Charlie guardando di sfuggita gli occhi di Lynda che regolarmente si chiudevano nonostante la volontà della donna di tenerli aperti. «Non ho dormito per tutta la notte, è stato un dormiveglia continuo», rispose Lynda tenendo gli occhi chiusi mentre si sistemava comoda sul sedile, ormai rassegnata. «Molti pensieri?». «Troppi direi». «Di che tipo, se posso chiedertelo?» «Un po’ di tutto Charlie. Un po’ di paura di scoprire una verità che non mi piace, il fatto di incontrare persone che non conosco direttamente in casa loro, un nuovo Paese mai visto. E infine questo lungo viaggio, una giornata intera in movimento!». «Solo questo?». «Ti pare poco? Non direi, ce n’è di carne sul fuoco, non credi?». «Ho vissuto situazioni peggiori in vita mia, credimi!», rispose Charlie
bonariamente. Lynda gli sorrise. «Che cosa hai raccontato al tuo compagno per giustificare il fatto che saresti partito con una donna per un altro Paese?», chiese Lynda mostrando un ironico sorriso al ragazzo. «Non ho detto proprio nulla a nessuno Lynda», replicò seccamente Charlie. «Ma scusa, te ne vai via per giorni senza avvisare?». «Io non devo fare nulla per nessuno. Ho solo avvisato Puddon, dicendogli che non sarei andato da lui per qualche giorno, visto che con lui ho un obbligo di lavoro». «Anthony Puddon, proprio lui! Gli hai detto anche dove saresti andato?». «Assolutamente no. Ho solo fatto cenno ad un viaggio di piacere che avrei fatto con te in ricordo della nostra vecchia amicizia e per distrarti un poco per la perdita di tua zia Beth». «E lui che cosa ti ha risposto?». «Nulla. Inizialmente non mi ha dato l’impressione di averla presa proprio bene, poi però ha semplicemente detto che è una cosa giusta da fare ed è stato così gentile da offrirmi del denaro per il viaggio, per coprire i costi». «Charlie, hai accettato quel denaro? Avrei pagato tutto io, lo sai! Non voglio nulla da Puddon, nulla al quale non possa provvedere io direttamente in prima persona. Ho sempre voluto vivere una vita in piena liberà, non voglio avere obblighi con nessuno», esclamò Lynda, ormai completamente sveglia. «Lynda, quell’uomo non è un mostro. E’ un uomo buono e con me si è sempre comportato bene, come un vero gentiluomo, quasi come un padre. E poi tu non hai nulla da temere, i soldi li ha dati a me e al limite sarò io ad avere un obbligo con lui, non tu di certo». «Oh Charlie!», esclamò nuovamente Lynda in risposta a quelle sue parole «Ti prego, non prendertela con me per via di Anthony. Lo sai che io voglio solo scoprire come stanno le cose, la verità».
«Lo so, non ti preoccupare. Io ti sto seguendo in questa ricerca per lo stesso motivo. Voglio capire chi è esattamente quell’uomo e di quali colpe sia realmente imputabile. Ma il mio istinto mi dice che torneremo in Inghilterra a mani vuote. Poco importa, avremo comunque visitato un bel Paese, una bella e famosa città italiana e conosciuto un po’ di gente nuova». «Beh, Milano non è che sia proprio un granché. E’ caotica, imprevedibile, rumorosa e maledettamente inquinata». «Si, ma è anche una città moderna, cosmopolita, multietnica. E’ la capitale della moda. E guarda caso noi stiamo proprio andando a incontrare una stilista!». «Chissà che persona sarà!». «Vista la disponibilità e l’aiuto che ci hanno dimostrato, immagino debba trattarsi di brave persone». «Si, lo penso anche io». «Siamo quasi arrivati, la stazione degli autobus è molto vicina. Comincia a sgranchire le ossa, forza!». «Va bene!», rispose Lynda ubbidendo come farebbe una bambina ad un comando del padre. «Ci aspettano ben cinque ore in autobus, che strazio! Poi l’attesa in aeroporto e infine il volo. Ce la faremo?». «Non vedo alternative, pigrone! Ho qui con me un po’ di musica, ci aiuterà a are il tempo». «Bene. Io ho qui con me un romanzo scritto in lingua italiana, l’ho portato per rinfrescarmi un po’ la memoria». «Hai portato con te anche un dizionario?». «Certamente, io penso a tutto!», esclamò Charlie mentre parcheggiava l’automobile per poi spegnere il motore, «Abbiamo ancora un po’ di tempo prima che arrivi l’autobus. Direi di attendere qui in macchina anche perché fuori l’aria è abbastanza fresca e pare essere in procinto di piovere».
«Si, va bene. E’ vero, la pioggia non ci voleva proprio oggi!». «Guarda, questo è il libro di cui ti parlavo», disse Charlie mentre prendeva il volume dalla tasca della sua giacca per metterlo nelle mani dell’amica. «Interessante! La storia di una donna che vive per due volte, la prima nella seconda metà del diciottesimo secolo e poi ai giorni nostri. “Intrigo, ione, amore e mistero!”», lesse Lynda quanto riportato sul retro di copertina, «Sembra bello. Ma tu leggi queste cose?». «A dire il vero non l’ho ancora letto ma questa potrebbe essere l’occasione giusta per cominciare a farlo. Ho sentito dire che l’autore ne abbia distribuite gratuitamente delle copie in Italia, chiedendo alle persone di donarlo a loro volta gratuitamente ad altri dopo averlo letto. L’ha chiamato “libro banconota” e pare stiano facendo il giro del paese con un discreto successo!». «Peccato che sia scritto in Italiano, mi sarebbe piaciuto leggerlo a mia volta!». «Se ti comporterai bene e non mi farai arrabbiare, un giorno te lo racconterò!». «Va bene, papà…», rispose Lynda regalando a Charlie un dolce sorriso. Dopo qualche minuto l’autobus arrivò alla fermata, Lynda e Charlie presero le loro cose e salirono a bordo. Erano i primi e anche gli unici eggeri nel primo tratto di strada, fino alla fermata successiva. Le strade cominciavano a popolarsi di persone e di auto, questa era la vera Inghilterra! La pioggia cominciò a cadere, facendosi poi via via sempre più insistente, il suo ticchettio contro il vetro dell’autobus era udibile ma non fastidioso. Lynda era solita abbandonarsi alla melodia che la pioggia le offriva quando voleva cavalcare indisturbata i suoi pensieri. Ricordava le notti con i temporali ate al cottage d’estate, con zia Beth. Era molto piccola e aveva una dannata paura dei fulmini. Ma odiava in particolar modo i tuoni al punto che zia Beth, ogni volta che ne sentiva uno un po’ più forte, andava a farle visita nella sua stanza con la sua immancabile lanterna a olio accesa in mano. Lynda si svegliava quasi sempre dopo un forte tuono e cercava protezione nascondendo la testa sotto le coperte, senza però riuscire a smettere di tremare. La vista della zia con la lanterna in mano e i giochi di ombre e luce che le si disegnavano in volto o contro le pareti davano alla stanza un che di spettrale. Ogni volta che la vedeva, Lynda lanciava un urlo molto forte, ma si tranquillizzava subito dopo aver sentito la carezza portata dalla mano calda e dolce della zia.
«Zia, zia Beth! Io ho paura, ho tanta paura! Abbracciami!». «Tesoro, è solo un temporale, uno dei tanti in questa stagione. E’ il cielo che piange per tutto il male che l’uomo fa agli altri uomini suoi fratelli e al nostro pianeta. Per questo dobbiamo essere sempre buoni nei confronti del nostro prossimo e del luogo in cui viviamo, perché è la nostra casa». «Ma allora pensi che se sarò tanto buona non ci saranno più i temporali cattivi?». «No tesoro, i temporali ci saranno sempre. Però, se sarai più buona, non avrai motivo di avere paura, mai! Perché nessuno vorrà mai farti del male, non avrai mai nulla da temere. Ricordalo sempre, va bene?». «Si zia, grazie». «E ricorda anche che la pioggia bagna la terra e porta la vita. La pioggia può portare a cose buone, a scoprire cose belle, a conoscere persone importanti e speciali». «Si zia. Ti voglio tanto bene! Lo sai?». «Si angelo mio e anche io te ne voglio tanto! Ora però dormi piccolina, forza. Domani risplenderà un bel sole in giardino e sarà tutto per te!».
Tornata in sé, Lynda notò che proprio la pioggia le aveva fatto incontrare Anthony e che sotto la pioggia stava viaggiando con Charlie su quell’autobus. Forse zia Beth aveva davvero ragione! Si girò per guardarlo, Charlie era già catturato dalla lettura del suo libro. Lo fissò per un istante, sorridendo colpita dalla bellezza dei lineamenti dolci del suo viso. Non li aveva mai visti così belli come li vedeva in quel momento e si compiaceva di non esserseli lasciati scappare ancora una volta. Charlie si voltò verso di lei e ricambiò il sorriso. «Ciao! Volevi dirmi qualcosa?». «No caro, volevo solo augurarti buona lettura».
«Ti ringrazio. Il libro è davvero molto bello, mi piace molto. Piacerebbe anche a te, ne sono sicuro». «Ricorda che mi hai fatto una promessa!». «Non dimentico mai le mie promesse. Ma c’è anche una condizione, giusto?». «Si, e io la rispetterò, puoi starne certo. Ora chiudo un po’ gli occhi e cerco di riposare. Se hai bisogno di qualche cosa chiamami pure, va bene?». «Va bene. Buon riposo». Lynda si avvicinò con le labbra a quelle di Charlie. Sentiva il forte desiderio di baciarle, di sentire il loro calore e tutta la morbidezza che esprimevano. Ma pensò che lo avrebbe ferito, quindi le rivolse verso la sua guancia e la baciò. La pelle di Charlie aveva un buon profumo, le piaceva tanto. Gli occhi del ragazzo la guardavano carichi di ione, ma Lynda non lo capì in quel momento. Le labbra di Charlie le chiedevano di essere baciate, ma Lynda non colse il messaggio. Charlie capì che doveva risolvere quella situazione e lo avrebbe fatto, una volta arrivati in Italia. Rimase immobile ad osservare Lynda che appoggiava elegantemente la testa sul sedile per poi chiudere gli occhi e abbandonarsi lentamente al sonno e ai suoi sogni. Sognò la riva del mare, le scogliere e un cottage. Un ragazzo e una ragazza correvano sulla riva uno verso l’altro, fino ad unirsi in un forte abbraccio. Si baciavano, e nel sogno Lynda ebbe come la sensazione di sentire il profumo della pelle di Charlie. Quando si risvegliò, erano quasi giunti a destinazione. «Bentornata signorina!», le disse Charlie. Teneva il libro chiuso appoggiato sulle gambe. Aveva letto molte pagine, quindi Lynda capì che doveva aver dormito davvero a lungo. «Dove siamo?», chiese lei stiracchiando le braccia e sbadigliando senza controllo. «Siamo quasi arrivati. Mancano pochi chilometri a Stansted». «Non mi dire! Ho dormito per cinque ore?». «Hai recuperato il sonno di questa notte, molto bene! Hai il viso riposato,
infatti». «Si, ho anche fatto un bel sogno! Ma mi fa tanto male il collo! E tu che cosa hai fatto nel frattempo? Hai letto quasi tutto il tuo libro!». «Si, ho letto quasi per tutto il tempo. Ma poi ho pensato di fermarmi, adesso viene il bello e voglio tenermelo per una situazione più comoda e senza fretta». «Fuori c’è il sole!». «Si, è spuntato da molto tempo. Sono ore che non piove più ormai». «Pazza Inghilterra! Fin da quando ero bambina la pioggia mi ha sempre conciliato il sonno, sai?». «Si, ho visto. Lo fa anche adesso. Io ho sempre amato la pioggia. Ricordo le notti ate al cottage con mia madre e mio padre ad ascoltare i getti scroscianti che urtavano il tetto in ardesia, i fulmini che cadevano vicino al mare rischiarando la stanza da letto con luce a giorno, il rumore assordante dei tuoni». «Avevi paura?». «Un po’, soprattutto quando ero molto piccolo. Mia madre e mio padre si alzavano dal loro letto per venire a vedere se stavo bene. Io il più delle volte fingevo di dormire, per dimostrarmi forte e coraggioso ai loro occhi, ma non appena lasciavano la mia stanza dopo avermi rimboccato le coperte, ripiombavo nel terrore totale». «Di cosa avevi paura esattamente?», chiese Lynda incuriosita da quella confessione. «Non ho mai avuto molti amici, e quei pochi che ho avuto, soprattutto compagni di scuola, non mi hanno mai giovato più di tanto. Nei primi anni di scuola alcuni di loro mi dissero che durante i temporali gli spiriti cattivi dei morti potevano uscire dalle loro tombe per andarsene in giro alla ricerca di qualche bambino da mangiare, rubando il suo corpo per ritornare in vita. Dicevano che il cielo scaricava i suoi fulmini sulla terra per proteggerci, per colpire gli spiriti e farli svanire nel nulla. Ma non sempre riuscivano a prenderli perché gli spiriti erano davvero molto furbi. Allora quando vedevo cadere un fulmine molto vicino alla mia casa, io mi spaventavo perché voleva dire che c’era uno spirito cattivo che
mi stava cercando nei paraggi e che voleva cibarsi del mio corpo!». «Uhm, pauroso! Spettrale direi!», disse Lynda sorridendo al ragazzo. «Ero un bambino, credevo alle favole ma anche alle brutte storie, ovviamente. Aiutano a crescere, sai?». «Lo so. Evidentemente gli spiriti non ti hanno mai catturato, visto che sei ancora qui!». «Ne sei così sicura? Potrei essere uno di loro adesso e non più il Charlie bambino di una volta!», rispose Charlie corrugando il viso per creare un volto da mostro. «Dai, smettila!», esclamò Lynda, leggermente scossa. «Hai paura?», le chiese il ragazzo, divertito. «Mi hai fatto venire i brividi, guarda!», rispose Lynda mostrando la pelle d’oca che le ricopriva le braccia e la delicata peluria biondiccia irta verso l’alto. «E tu invece che cosa mi dici? Non avevi paura? Stando a quanto mi raccontava Beth, nemmeno tu te la avi così bene, direi!». «La lingua lunga di zia Beth ne ha fatti di danni, vedo!». «Forse qualcuno, come questo. Ma ha fatto anche tanto bene sai? Se non fosse stato per la sua lingua lunga, forse io ora non avrei un lavoro e mi sarei dovuto accontentare dei pochi servigi che esercito presso Anthony Puddon». «Spiegati meglio». «Quando Beth esercitava nella sua pasticceria avrebbe potuto avere tutti i commessi e collaboratori che desiderava. Ma lei ha chiesto esplicitamente di me, del povero orfanello che viveva nel cottage vicino alla scogliera. Beth e Puddon hanno sostituito la mia famiglia. E’ solamente grazie a loro se ho avuto di che vivere mantenendo la mia casa, altrimenti anch’io avrei dovuto arrendermi e andarmene a cercar fortuna in città, come hanno fatto molti altri nel nostro paese negli anni ati. Ma allora ero troppo giovane e non avrei potuto farlo comunque. Ma anche se mi fosse stato possibile, come avrei potevo lasciare la
mia terra, le mie origini e tutte quelle sensazioni ed emozioni che mi regalavano per andare a vivere in una squallida città fatta di cemento, ferro e catrame?». «Ti capisco. Io vivo a New York e in ogni momento non vedevo l’ora che arrivasse l’estate per venire a stare qui, in questo paradiso. Qui avevo zia Beth, il mio angelo, c’erano i rododendri del suo giardino da curare, l’aria pulita, le lezioni di cucina e pasticceria di zia Beth. Non c’erano paragoni con lo squallore della grande metropoli. Poi però sono cresciuta, ho trovato un lavoro che mi piaceva. Mi sentivo autonoma, non avevo più bisogno dell’aiuto economico di altri. Avevo le mie amicizie, le prime storielle d’amore. Capisci? E quindi mi sono persa, sono diventata totalmente incapace di percepire tutta la bellezza che mi circondava, di farmi assalire dalle emozioni, di lasciarmi andare totalmente. Ho cominciato a trascurare questo posto e zia Beth, fino a non venirci più. Dopo la morte del senatore e la malattia che sta rendendo mia madre sempre meno autonoma, non mi sono mai più mossa da New York, se non per viaggi strettamente legati al mio lavoro e solo per brevi periodi, non più lunghi di qualche giorno». «Quale malattia hanno diagnosticato a tua madre?». «A dire il vero nulla, nessuna diagnosi». «E allora perché parli di “malattia”?». «Effettivamente hai ragione! Perché? Non lo so, m’è uscito così dalla bocca, istintivamente. Mia madre è assente, non ha più interessi, non ha più voglia di fare nulla. E’ stata lei a dirmi che si sarebbe ritirata in una casa di cura, per non dover più pesare su di me, sulla mia vita». «Io osservavo tua madre e l’impegno che ci metteva quando lavorava con noi alla preparazione dei dolci nei giorni scorsi. L’ho trovata in gamba e per nulla svogliata come invece tu sostieni». «Hai ragione. Lo noto solo ora e solo perché tu me lo stai dicendo. Effettivamente mamma sembrava un’altra donna nei giorni scorsi!». «Lo vedi? Anche in questo caso dovresti tornare a dosare meglio le tue attenzioni ed emozioni». «Ma ero completamente impegnata con la preparazione dei dolci!».
«Sono scuse Lynda, solo scuse! Torna ad essere la Lynda bambina che tremava sotto le sue coperte di lana ogni volta che un tuono si faceva sentire. Quella è la vera Lynda, non la professionista robotizzata di New York!», esclamò Charlie alla ragazza senza nascondere un leggero tono di rimprovero nei suoi confronti, «Hai mai preso in considerazione la possibilità di trasferirti definitivamente qui in Cornovaglia e riprendere l’attività iniziata da Beth?». «Io? Una pasticcera? Mi ci vedi?». «Perché mai non dovrei? I risultati parlano chiaro. E se lo vorrai fare, io sarò pronto a darti una mano! Che ne dici?». «Cosa dovrei dire? Io non saprei…». «Va bene, non dire nulla ora perché non è il momento giusto, abbiamo tante altre cose da fare. Però promettimi che ci penserai», continuò Charlie guardando la ragazza dritto in volto, cercandole gli occhi che però non volevano rispondere al suo invito. «Va bene», rispose timidamente Lynda, mantenendo lo sguardo fisso sulle sue mani chiuse a pugno tra le sue gambe. L’autobus si stava fermando, erano arrivati all’aeroporto. «Va bene che cosa?», chiese Charlie prendendola per mano. Le mani di Lynda erano molto fredde e lei sussultò nel sentire il tocco caldo e morbido delle sue. Finalmente riuscì a sollevare lo sguardo e trovò i suoi occhi. «Va bene, prometto di pensarci Charlie. E so anche che le promesse, una volta fatte, vanno poi anche mantenute». «Bene! Dobbiamo scendere ora, siamo arrivati», le rispose Charlie, orgoglioso di lei. Le sorrideva, mentre l’autobus apriva le sue porte.
17.
L’aeroporto brulicava di gente. Lynda si sentiva persa in mezzo a quel via vai di persone che la circondavano con il movimento delle loro figure trascinanti ingombranti valige. Strano, pensò, lei era abbastanza abituata al caos della città. Forse si era già adattata alla dolce vita vissuta in un cottage di campagna, in mezzo alla natura e cominciava a non tollerare più il caos dettato dalla frenesia. Charlie si guardava attorno, meravigliato. Era da tanto tempo che non entrava in un aeroporto e viveva quel momento come fosse per lui la prima volta. Lynda lo osservava con attenzione, soffermandosi su ogni singola espressione regalatale dal suo viso. «Ti senti un come novellino?», chiese lei divertita. «Mi sento così piccolo qui dentro! Le proporzioni sono così diverse da quelle con le quali devo convivere ogni giorno della mia vita», rispose lui mantenendo lo stupore dipinto sul suo giovane volto. «Forse dovresti trascorrere qualche anno della tua vita in una grande città! Alla fine vedresti le cose in modo totalmente diverso e questo non ti sorprenderebbe più». «Se fossi matto, lo farei! Non mi ci vedo proprio a vivere in mezzo al cemento e al casino di una grande metropoli, preferisco le mura calde e umide della mia casetta in campagna. L’aria che respiro lì non ha eguali! E poi, onestamente, mi piace meravigliarmi per le piccole cose, non vi rinuncerei mai per nessuna ragione al mondo!». «Sei davvero determinato!». «E’ la mia natura Lynda! Abbiamo ancora molto tempo a disposizione, che ne diresti di fare il check-in e poi distrarci con qualche giro per negozi? Ce ne sono di carini qui dentro!». I due si avviarono al bancone del check-in, si registrarono e lasciarono il bagaglio per l’imbarco. Con le mani vuote si sentivano finalmente più liberi. Lynda prese Charlie sotto braccio.
«Posso?», gli chiese, timorosa di aver fatto un o troppo affrettato. «Ma certo che puoi, è un onore per me!», rispose Charlie, tranquillizzandola. Lynda capì che tra loro poteva realmente esserci una buona intesa, oltre che una profonda e sana amicizia. Peccato che Charlie avesse fatto una scelta di vita diversa, pensò lei subito dopo. Avrebbe voluto chiarire con lui quell’aspetto, si promise di farlo più avanti. Entrarono nei negozi per are un po’ di tempo. Arrivarono nei pressi di un’edicola che proponeva tra le tante cose anche riviste e libri di cucina. Tra questi, molti dei quali dedicati alla cucina italiana, si trovavano anche diversi libri e riviste di pasticceria e decorazione. «Guarda qui Lynda, sembra fatto apposta per te! Forse leggere queste cose potrebbe aiutarti a decidere sul tuo futuro, che ne dici?». «Carino! E quante belle torte mostra, che arte!». «Dai, compriamolo! Ci potrebbe comunque servire! Nella peggiore delle ipotesi avremo qualcosa da leggere durante il volo!». «Dici che potrebbe tornarci utile anche per il concorso?». «Sicuramente per il concorso ma direi anche per dopo, qualora tu accettassi la proposta che abbiamo discusso poco fa riguardante la pasticceria». «Ma si dai, perché no. Costa pochi spiccioli in fin dei conti, è un buon investimento». «Bene, così mi piaci! Dai, paghiamo e poi andiamo a mangiare. Ho molta fame, i viaggi mi spingono sempre a mangiare più del solito, potrei rovinarmi!». Mangiarono prendendosi tutto il tempo necessario, poi si diressero al gate, dove attesero il momento dell’imbarco. Il volo era affollato e intorno a loro si sentivano parecchie persone parlare in lingua italiana. Sembravano per lo più turisti, ma tra loro si vedeva anche qualche figura professionale, forse si trattava di persone in viaggio d’affari o similare. Le loro facce erano tristi, forse perché stavano tornando a casa. Come sempre capita, del resto, dopo un viaggio di piacere. Arrivati all’aeroporto di Bergamo si affrettarono a recuperare i loro bagagli. Il volo aveva subito qualche minuto di ritardo. Il marito di Sonia li stava
aspettando all’uscita con un cartello in mano, riportava scritti sopra i loro nomi. Lo videro subito e si diressero verso di lui. Si presentarono e Charlie sperò di avere finalmente l’occasione di esercitare il suo italiano ma rimase deluso: l’uomo parlava in inglese senza alcun problema. Lynda ne fu felice perché così avrebbe potuto partecipare alla discussione in prima persona, ed era proprio quello che voleva. «Lynda e Charlie permettetemi di presentarmi. Io sono Andrea, piacere di conoscervi e benvenuti in Italia». «Il piacere è nostro Andrea. Fa molto caldo qui oggi». «Si, la stagione è molto calda quest’anno in effetti. Avete fatto un buon viaggio? So che è stato parecchio lungo e siete in movimento dalle prime ore del mattino». «Si, come lei sa abbiamo dovuto cambiare diversi mezzi e ci siamo dovuti svegliare molto presto questa mattina». «Avrete modo di riposare per bene al nostro arrivo, recupererete presto le vostre energie, non vi preoccupate. Mi dispiace dirvi che non è stato possibile trovare una camera in albergo per voi, erano già tutte occupate. Però se può farvi piacere, potrete alloggiare presso di noi, a casa nostra. Abbiamo un piccolo fabbricato per gli ospiti, molto accogliente. Sarà un piacere per noi metterlo a vostra disposizione, se vi può interessare». «Io non saprei, non vorremmo arrecarvi troppo disturbo», rispose timidamente Lynda mentre cercava lo sguardo di Charlie, perché le venisse in aiuto. Il ragazzo esitò, quindi Andrea continuò con la sua proposta. «Nessun disturbo. Sonia ed io ne abbiamo già discusso, è segno della nostra ospitalità, non dovete preoccuparvi di nulla. Ovviamente se per voi va bene, non vogliamo costringere nessuno. Vi dispiace se ci diamo del “tu”?». «D’accordo, ti ringrazio! Siete davvero molto gentili!», rispose Lynda porgendo la mano ad Andrea in segno d’amicizia e d’intesa. Charlie sorrise e fece altrettanto. Parlare con Andrea era piacevole e divertente, Lynda e Charlie si sentirono immediatamente a loro agio. Nessuno però affrontò mai durante il tragitto verso casa il discorso relativo al vero motivo della loro visita. Parlavano dell’Italia in generale, delle sue bellezze ma anche dei tanti problemi, delle
difficoltà economiche e di tutte le spese che l’imprenditoria doveva affrontare in un periodo di recessione economica come quello che si stava vivendo. L’Italia vista da fuori mostra una realtà ben diversa da quella vissuta “in casa”, pensò Lynda. E’ un vero peccato che un Paese così bello sia guidato da gente tanto spregiudicata quanto noncurante delle reali necessità del popolo. Una classe politica vuota, fatta da insulsi personaggi, egoisti nel profondo, gente dello spettacolo che ben poco ha a che vedere con la politica vera e propria e messi a governare il Paese. Una “casta” nella quale il gossip su un “singolo” fa più notizia dei reali problemi della Nazione. Arrivarono all’abitazione, una casa singola in mezzo ad un bel giardino con annesse costruzioni, una delle quali doveva essere quella a loro dedicata per il pernottamento mentre un’altra, molto più grande, doveva essere il famoso atelier dove lavorava Sonia. La casa era tutto sommato piuttosto modesta, ma trovandosi vicina al centro nella città di Milano doveva essere molto costosa. Era una casa atipica per una città di quelle dimensioni, dove palazzi altissimi occupavano la quasi totalità del territorio. «Che bella casa avete!», esclamò Lynda. Andrea le sorrise compiaciuto. «Ti ringrazio Lynda. Sonia ed io non amiamo vivere in appartamento. Inoltre a Sonia serviva uno spazio per esercitare la sua attività, quindi abbiamo pensato di unire in un’unica proprietà tutti questi aspetti, evitando così di perdere tempo utile negli spostamenti in auto da un posto all’altro. Come certamente saprete, questa città ha un traffico invivibile, soprattutto nelle ore di punta». «Si, ne ho sentito parlare», rispose Charlie mentre ammirava la struttura classica e antica delle facciate esterne dei fabbricati. Nel giardino alcuni cartelli indicavano il percorso da seguire per arrivare all’atelier che si sviluppava lungo tutto un lato della tenuta, dalla parte opposta rispetto al cancello di ferro battuto dell’entrata. «Sono affascinata!», esclamò Lynda, «Peccato che sia così buio ora, si vede ben poco». «Domani mattina potrai vedere tutto con la luce del giorno, Sonia vi mostrerà il locale e tutti i suoi lavori se vorrete e se ne avrete voglia». «Angela ha lavorato lì dentro vero?», chiese Lynda, pentendosi poi immediatamente per la domanda appena fatta.
«Certamente. Anche se per poco tempo. Angela si sposò un anno dopo l’apertura dell’atelier in questa tenuta, inizialmente Sonia e Angela lavoravano in un negozio molto più piccolo preso in affitto nei pressi del centro città». «Doveva costare molto!», continuò Lynda per deviare il discorso. «In effetti costava davvero troppo considerate le ridotte dimensioni che offriva. E alla fine erano solo soldi buttati al vento. Abbiamo preferito decentrarci ma operare in uno spazio più grande e di nostra proprietà. La clientela ci ha comunque seguito e l’attività è già ben avviata. Non abbiamo avuto grossi problemi fino ad ora e, toccando ferro, non possiamo affatto lamentarci». «Che tipologia di clienti avete?», chiese Charlie. «Dalla gente comune ai personaggi dello spettacolo, ricchi industriali, rappresentanti, modelle. Un po’ di tutto insomma. Lavoriamo molto anche con l’estero, soprattutto con la Russia, gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone. Vi prego, seguitemi ora. Lasciate pure le vostre valige in macchina, le prenderemo dopo quando vi accompagnerò alla vostra casa. Ora sarebbe bene che mangiaste qualche cosa, sicuramente non avete ancora cenato. Che ne dite?». «Dico che non mi sarei mai aspettata un’accoglienza simile e mi sento davvero un po’ in imbarazzo nell’approfittare così della vostra bontà e attenzione nei nostri confronti», disse Lynda ammirando il sorriso fiero di Andrea che la guardava mentre parlava. «Il vostro apprezzamento verso un bel piatto di pasta italiana ripagherà di tutto, o mi sbaglio? Forza, venite». Varcata la soglia di casa, Andrea annunciò il loro arrivo e Sonia li raggiunse. Lynda rimase subito molto sorpresa nel vedere la donna per la prima volta, era veramente splendida, magra e di bella corporatura e con dei bellissimi capelli lunghi lasciati morbidamente cadere sulle sue spalle ben disegnate. Sorrideva e quel suo bel sorriso riempiva la loro casa con tutto il suo calore. Lynda osservò la sua mano mentre glie la tendeva per salutarla, si vedeva che era la mano di un’artista, ben curata e in ordine. Si accomodarono nella sala da pranzo, molto accogliente e arredata con gusto. Le pareti erano ricoperte quasi interamente ricoperte con boiserie autentica tinta di bianco, l’arredamento in stile francoprovenzale donava ulteriore calore all’ambiente grazie anche ai riflessi offerti dai numerosi pezzi in ceramica e vetro che riempivano le vetrine sparse
ovunque. Lynda osservava con ammirazione tutta quella classicità che non si aspettava di certo di trovare in un’abitazione posta in una città come Milano. «Vedo che amate molto lo stile architettonico classico. La vostra casa ne parla ovunque», esclamò lei alla volta di Andrea. «In effetti lo adoriamo. Prima di trasferirci in questa abitazione vivevamo in una casa più piccola e che avevamo arredato in stile moderno, ma non ci trovavamo affatto bene. La sentivamo fredda, estranea al nostro gusto e alla nostra personalità. Per come la vediamo noi una casa deve avvolgere con il suo carattere, raccontando anche un po’ della sua storia ata, della vita delle persone che ci hanno vissuto in precedenza. E deve essere disposta ad accettare anche la nostra firma, perché possa poi trasferirla a chi l’abiterà successivamente. In fin dei conti noi tutti siamo qui solo di aggio, qualunque proprietà che riteniamo di possedere altro non è che un prestito che qualcuno ha voluto concederci per permetterci di soddisfare un nostro capriccio». «Molto bella davvero, complimenti!». «Grazie infinite Lynda. Il tocco artistico principale è di Sonia. Io sono solo l’esecutore», rispose Andrea sorridendole, «Domani avrete modo di vedere che anche l’atelier segue esattamente questo stile e stasera potrete respirare una simile atmosfera anche nella vostra dependance». Andrea e Sonia si congedarono per dedicarsi alla cena che stava per essere servita in tavola, Lynda e Charlie rimasero soli e in silenzio nella sala da pranzo. Si guardavano meravigliati ma contenti di aver trovato brave persone sul loro cammino. Lynda era più che mai certa che l’avrebbero aiutata davvero nella sua ricerca, il viaggio fatto fin lì non sarebbe assolutamente andato a vuoto. Finita la cena, Andrea accompagnò i ragazzi nella loro dependance e si salutarono. Arrivati nella stanza da letto, Lynda e Charlie notarono con sorpresa che c’era solo un letto matrimoniale, avrebbero dovuto condividerlo. «Sei deluso Charlie?», chiese Lynda al ragazzo. «No, sono sorpreso! Ma sono anche contento! Almeno potrò vantarmi di aver ato una notte nel letto con una bellissima donna», le rispose lui con leggerezza e un pizzico di provocazione verso la ragazza.
«Bene. Dai, facciamo una doccia e infiliamoci nel letto, sono stanca morta. Chi la fa per primo?». Senza nemmeno rispondere Charlie si diresse in bagno e cominciò a spogliarsi, lasciando la porta appena socchiusa. Lynda si sdraiò sul letto e cominciò a sfogliare il libro di pasticceria comprato in aeroporto. Era affascinata dai colori che riempivano quelle immagini e si lasciava trascinare dai pensieri che le affollavano la mente, pensieri sempre più delicati e lontani che sfumavano dall’uno all’altro perdendo i loro contorni. Primo tra tutti, quello di Charlie sotto la doccia senza vestiti. Sentiva il rumore dell’acqua che cadeva incessantemente sul suo corpo, spezzato dai suoi movimenti che ne deviavano il percorso, il rumore del flacone del bagnoschiuma aperto e poi subito richiuso, quello delle mani di Charlie che sfregavano la sua pelle. Lynda chiuse gli occhi e cominciò a immaginarlo sotto quel getto d’acqua. Avrebbe tanto desiderato trovarsi sotto la doccia con lui e accarezzare il suo corpo. Sentiva che si stava eccitando e il suo corpo rispondeva prontamente al leggero tocco delle mani contro i suoi seni inturgiditi. Si alzò e lentamente si avvicinò alla porta della stanza da bagno. Vide la cabina doccia, era di dimensioni generose e non sarebbe stato difficile star sotto l’acqua in due. Lynda vedeva il corpo dell’amico attraverso i vetri opachi della cabina. Lo ammirava, in ogni sua fattezza e ogni dettaglio, anche quelli più intimi. Vedeva il suo sesso leggermente ingrossato ma non eretto e cominciò a vagare con la mente, affidandosi ai pensieri più peccaminosi. Stava ansimando, se ne rendeva conto, e le gambe cominciavano a cederle. Stava perdendo completamente il controllo del suo corpo, della sua mente e dei suoi pensieri. Stringeva le gambe per placare il desiderio che si era ormai impossessato completamente di lei, lasciandola indifesa. Sapeva che se in quel momento Charlie l’avesse anche solo minimamente sfiorata, il suo orgasmo sarebbe esploso senza controllo portandola nel giardino del piacere assoluto. Non poteva starsene lì impalata, doveva tornarsene in camera e tapparsi le orecchie per lasciare fuori ogni suono che le potesse ricordare quel momento. Ma le sue gambe sembravano non rispondere a ciò che il cervello imponeva e rimaneva lì sulla soglia, ad ammirare quel ragazzo ignaro della sua presenza, attenta a non farsi scorgere. Un istante dopo Charlie chiuse l’acqua e nel locale piombò il silenzio. Il cuore di Lynda sussultò! Se Charlie fosse uscito in quel momento, lui l’avrebbe sicuramente vista. Che cosa avrebbe pensato di lei? “Vai via Lynda, muoviti!”, si rimproverava in silenzio, ma il suo corpo non rispondeva. Charlie uscì dalla doccia e quando aprì gli occhi dopo essersi asciugato il viso vide Lynda immobile davanti a lui.
«Lynda! Cosa c’è? Non ti senti bene? Hai una faccia!», esclamo senza nemmeno curarsi del fatto che il suo corpo completamente nudo, coperto solo a stento con le mani, era preda facile per l’amica. Si avvicinò a lei e la guardò. Capì quello che stava succedendo: Lynda stava bene in quel momento, molto bene. E lui l’avrebbe fatta sentire ancora meglio. Il viso arrossato di Lynda circondava i suoi occhi carichi di ione e di desiderio. Charlie la abbracciò stringendola forte al suo corpo e Lynda realizzò immediatamente la reazione del suo sesso al contatto fisico. Pochi secondi sembravano durare un’eternità. Le loro labbra a pochi centimetri le une dalle altre si scambiavano parole d’amore restando in silenzio. I capelli umidi di Charlie lasciavano cadere gocce che bagnavano la camicia di Lynda, rendendola più trasparente, più desiderabile. In pochi istanti Lynda si ritrovò nuda davanti a Charlie, incapace di agire, di parlare e di pensare. Sarebbe stata una preda nelle braccia del suo cacciatore, non sarebbe di certo fuggita via, non in quel momento. Sentiva il sesso di Charlie premere contro il suo ventre, desideroso di farsi spazio dentro di lei. E lei glie lo permise, aprendo leggermente le gambe per farlo scivolare sotto di lei. Lynda non capiva, non cercava nemmeno di farlo, e un attimo dopo si ritrovò nel letto tra le braccia di Charlie! Ma com’era possibile se Charlie le aveva confidato di essere gay? Perché lo stava facendo? Erano in casa di sconosciuti, in un paese straniero, che cosa stava succedendo tra di loro? Mise da parte quelle domande che non avrebbero comunque trovato una risposta e si abbandonò alla ione, come ormai non faceva più da tanto tempo. Per un attimo ripensò ad Anthony e a quello che aveva provato, ma nulla era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che Charlie le stava regalando in quel momento. Un solo istante e Charlie fu dentro di lei, la riempiva. Lei lo guardava, ma senza vederlo realmente con gli occhi. Riusciva a percepirlo con il cuore e con il sesso che non le lasciava tregua. Charlie si muoveva bene, sempre più forte, sempre con maggiore intensità. Sentiva che l’orgasmo stava per arrivare, in corsa come un cavallo al galoppo, e lei lo stava aspettando per farsi portare via. Il cuore batteva forte, sempre più forte. Si perdevano i colori, i rumori e i profumi mentre tutto si faceva sempre più annebbiato… «Lynda?», esclamò Charlie e la ragazza aprì gli occhi, «Ti sei addormentata cara! Devi essere davvero stanca!». «Oddio Charlie!», esclamò la ragazza mentre sistemava il libro che le era scivolato a terra, «Ti prego di scusarmi, non volevo farlo!». «Che cosa non volevi fare? E perché mi stai chiedendo scusa? Ti eri appisolata,
forse stavi anche sognando! Dai, vai a fare la doccia così poi ti puoi riposare. Io ti aspetto qui». «Si va bene. Hai ragione sai, ho fatto un sogno, una cosa terribile!». «Addirittura! Che cosa hai sognato?», chiese il ragazzo a quel punto incuriosito. «Ho sognato di tradire un amico, gli ho fatto del male!», esclamò lei senza nascondere una lacrima che galeotta riuscì ad attraversarle il viso. Charlie si trattenne qualche istante prima di risponderle. «I sogni non si possono controllare. Quando arrivano vanno presi così come sono. Forse è proprio questa la loro bellezza, non credi?». «Non lo so. Ma mi sono sentita sporca dentro e fuori. Lasciami andare ora, ne riparleremo dopo». Dopo la doccia Lynda entrò nel letto e vide che Charlie già dormiva. “Meglio così, non dovrò dire nulla ora”, pensò. Appoggiò la testa sul cuscino e spense la luce della lampada. Dalla finestra entravano alcuni bagliori di luce lunare che riuscivano ad attraversare le grate delle persiane. Chiuse gli occhi e si arrese alla stanchezza, cadendo in un sonno profondo. Quando si risvegliò, il mattino seguente, il sole risplendeva già forte nel cielo e in lontananza si percepivano i rumori già vivi e intensi della città frenetica.
18.
Charlie sedeva in giardino su una panca, da solo e in silenzio. Lynda lo vide attraverso i vetri della finestra e quando incontrò il suo sguardo, lo salutò. Era una bella giornata di sole, il cielo era di un azzurro intenso, totalmente privo di nuvole. «Buongiorno cara, hai dormito bene?», chiese Charlie all’amica. «Come un sasso. E tu?». «Mi sono svegliato parecchie volte durante la notte. Ti guardavo e tu dormivi profondamente. Avevo paura di muovermi per non svegliarti, al punto che non sono andato nemmeno in bagno». «Ma stai scherzando? Io durante la notte non mi sveglio nemmeno con le cannonate!». «Lo terrò presente per la prossima volta». «Guarda, c’è Andrea sulla porta della casa. Ci ha visti, sta venendo verso di noi», disse Lynda mentre attendeva l’arrivo dell’uomo che si dirigeva a o spedito verso di loro. «Buongiorno Lynda, buongiorno Charlie», disse l’uomo tendendo loro la mano in perfetto stile italiano, «Spero che abbiate trascorso una buona nottata e che siate riusciti a riposare bene. Se volete potete unirvi a noi per la colazione. Raggiungeteci quando vi è più comodo, noi vi aspettiamo». Senza nemmeno attendere una risposta si congedò da loro. Dava per scontato che avrebbero accettato. La tavola era riccamente apparecchiata, non mancava nulla e offriva una colazione di tipo internazionale. C’erano persino le uova e il bacon per soddisfare ogni sfizio degli ospiti britannici. «Non dovevate disturbarvi così, è davvero troppo! Un caffè sarebbe stato più che
sufficiente», disse Charlie in lingua italiana per ringraziarli, sicuro di parlare anche in nome di Lynda. «E’ nostro piacere offrirvi ospitalità al meglio delle nostre possibilità, in modo che al vostro ritorno in Inghilterra possiate portare con voi un bel ricordo del nostro Paese. Fate colazione con calma, poi se vorrete potremo discutere per bene tutti gli aspetti legati alla vostra visita. Infine vi mostreremo l’atelier, se vi fa piacere». Un brivido percorse il corpo di Lynda. Il momento tanto atteso sembrava essere arrivato, finalmente. Per tutta la durata della colazione non riusciva a pensare ad altro che al discorso che avrebbero tenuto, sentiva che la sua espressione stava tradendo il suo stato d’animo. Voleva evitarlo ad ogni costo, si sforzava per deviare i suoi pensieri ma poco dopo ci ricadeva, non aveva via d’uscita. Le ò del tutto la fame e si fermò, per attendere che anche Charlie finisse. Non voleva mettergli fretta, ma sentiva che la sua pazienza non avrebbe retto ancora molto a lungo e poiché la conversazione si sarebbe tenuta in lingua italiana, lei avrebbe avuto bisogno necessariamente del suo aiuto. Quando ebbero finito, Andrea e Sonia li raggiunsero e si sedettero a tavola con loro. «Dunque, quando ci siamo sentiti al telefono si diceva che siete qui per parlare di Angela o di qualche cosa legato a lei», esordì Sonia. Andrea era seduto accanto a lei. «Si, esattamente», replicò Charlie. Sonia iniziò quindi il suo racconto. «Bene. Vi parlerò prima un po’ di noi e del nostro ato quindi. Angela ed io eravamo grandi amiche fin dalla piccola età. Siamo nate in un piccolo paese nel sud Italia, in Calabria. Abbiamo fatto quasi tutto insieme, sempre. Giocavamo, studiavamo, gioivamo e piangevamo insieme. Abbiamo frequentato le stesse scuole, le stesse persone, le stesse amicizie. Eravamo unite al punto da farci chiamare “le gemelline” dalle nostre famiglie e dagli amici che avevamo in comune. Eravamo confidenti, in tutto e per tutto. Angela era a conoscenza di ogni singolo dettaglio della mia vita, così come io conoscevo ogni singola sfumatura della sua. Io poi mi sono sposata con Andrea e mi sono dovuta trasferire qui a Milano, dove ho potuto completare i miei studi sulla moda e iniziare la mia attività. Un giorno, mentre parlavo con Angela al telefono, le chiesi se le sarebbe piaciuto trasferirsi a Milano e iniziare una nuova vita e un lavoro qui con noi. Lei si mostrò subito entusiasta e accettò, forse non aspettava
altro che questo. Iniziammo quindi a lavorare insieme, realizzando fin da subito grandi cose. Molti dei nostri abiti del ato, alcuni dei quali sono ancora esposti nell’atelier che poi vi mostrerò, sono stati realizzati proprio da Angela, con le sue mani. Era davvero molto brava, una donna con talento da vendere. Un giorno venne a trovarci un uomo. Si chiamava Anthony Puddon, era un commerciante inglese di stoffe pregiate, molto famoso nel suo Paese ma anche nel mondo intero. Grazie alla sua tecnica era riuscito a crearsi una fitta rete di collaborazioni che coprivano il pianeta in lungo e in largo permettendogli di creare un business molto robusto. Ritenendolo quindi molto affidabile, volevamo iniziare con lui una collaborazione a lungo termine per la fornitura di materiali da dedicare all’abbigliamento di pregio in fascia alta o quello scenografico. L’intesa tra Angela e quell’uomo fu tanto immediata quanto inattesa da parte mia. Lei mi confidò subito che quell’uomo le piaceva molto, forse per via del suo carisma e dell’eleganza che di certo non tendeva a nascondere in nostra presenza. Ma anche se non fosse stata lei a dirmelo per prima, lo avrei capito certamente da sola. Puddon era davvero elegante, lo ammetto, e con lui Angela era diventata una donna diversa. La vita pareva sorriderle in tutto, sotto ogni aspetto, l’aveva trasformata in una ragazzina in balia delle prime emozioni». «Si, conosciamo bene il signor Anthony Puddon. Io lavoro presso di lui, nella sua tenuta a Newquay, in Cornovaglia. Lynda lo ha incontrato per caso nei giorni scorsi e ha trascorso del tempo con lui. A nostro parere è davvero una brava persona!», la interruppe Charlie senza notare lo sguardo infastidito che Lynda aveva rivolto nei suoi confronti. Non avrebbe dovuto esprimere i suoi personali pareri prima che Sonia avesse completato il suo racconto. «Si, è una brava persona, questo ve lo posso confermare. Tanto brava quanto misteriosa, però». «Misteriosa? In che senso?». «Ora ve lo spiego. Tutto andò bene fino a quando Angela non dovette trasferirsi con lui in Cornovaglia in via definitiva, avevano deciso di sposarsi. Rimase per un’intera estate con lui alla tenuta e quando tornò qui in Italia, mi confidò che stava aspettando un figlio da Anthony. Qui con noi si sentiva felice, spensierata, viveva la sua vita come l’aveva effettivamente desiderata. Non potevo sbagliarmi su questo, conoscevo troppo bene quella donna. Si trovava di fronte ad un bivio e doveva prendere velocemente una decisione, conscia del fatto che qualunque cosa avesse deciso di fare, la sua vita sarebbe stata nuovamente
sconvolta, per sempre. Continuare la sua vita qui in Italia, in libertà, oppure trasferirsi per sempre in Cornovaglia, sposare Anthony e rifarsi una vita lassù? A malincuore scelse la seconda via. Ma io capii che si trattò di una scelta forse più legata all’amore per il figlio che cresceva dentro di lei che ad un reale desiderio da parte sua. Non nascondo che mi sentii un po’ tradita dal suo comportamento, ma come sua amica rispettai quella scelta, qualunque fosse il motivo che l’aveva spinta a prenderla. Da quando se ne andò via, qualche cosa in lei si modificò per sempre. Era diversa durante le nostre telefonate, nelle lettere che mi scriveva. In tutto percepivo un sottile velo di tristezza anche se le sue parole e i suoi discorsi non ne facevano alcun cenno. Chiunque avesse parlato con lei senza conoscerla non si sarebbe accorto di nulla, ma per me era diverso. Avrebbe dovuto essere felice, accanto al suo uomo e con un bambino che cresceva nel suo grembo. Ma ai miei occhi compariva un’Angela già morta ancor prima del giorno di quel tragico incidente in auto. Inoltre nelle sue ultime lettere affermava che lei e il marito discutevano molto, spesso anche animatamente. Lui era sempre nervoso e la trattava piuttosto male. Angela imputò tutto questo al figlio in arrivo, pensò che forse Anthony non desiderava affatto divenire padre ma sosteneva anche che l’avrebbe sicuramente amato a partire dalla prima volta che se lo sarebbe ritrovato piccolo e indifeso tra le braccia». Sonia s’interruppe per riorganizzare i pensieri. Era visibilmente commossa nel ripensare a quell’amica che l’aveva accompagnata per buona parte della sua vita. Lynda ne approfittò per suggerire a Charlie di parlare del figlio di Puddon. Il ragazzo appariva sorpreso, non sapeva che Puddon avesse avuto un figlio. «E cosa si sa riguardo al figlio di Angela e Anthony? Che fine ha fatto quel bambino?». «Il bimbo nacque sano e robusto. Era davvero un bellissimo bambino. Ho una foto qui con me, Angela me la inviò pochi giorni dopo la nascita del piccolo nell’ultima lettera che mi scrisse prima di morire. Si chiamava Charles, proprio come te. Le fonti ufficiali dicono che il piccolo si trovasse in macchina con Angela durante l’incidente, ma dei suoi poveri resti non fu mai ritrovata alcuna traccia». «Quindi è morto, povero bambino!», esclamò Charlie guardando Lynda la quale implorava disperatamente la traduzione di tutto quanto era stato detto fino a quel momento visto che non aveva capito nemmeno una parola. Charlie chiese del tempo e raccontò tutto all’amica. Lei reagì subito, non concordava affatto con
quella versione dei fatti. «No, le cose non possono stare in questo modo! Anthony mi ha raccontato delle cose diverse!», esclamò lei con agitazione. «E che cosa ti ha detto?», replicò Charlie. «Mi ha detto che non desiderava parlare del bambino perché aveva fatto qualche cosa per il quale il piccolo lo avrebbe odiato per tutta la vita se l’avesse saputo. Ma non mi ha parlato della sua morte durante quel tragico incidente o cose del genere». «E che cosa gli avrebbe fatto di così tanto grave?». «Non lo so! Non mi era parso il momento giusto per investigare ulteriormente sull’argomento. Anthony era molto scosso ed era evidente che non voleva parlarne con me e con nessun altro». «Lasciami tradurre questo a Sonia, vediamo cosa ne pensa lei», disse Charlie, per poi eseguire quanto proposto. Sonia e Andrea si guardarono a lungo e rimasero perplessi. «Io posso solo raccontarvi la versione ufficiale dei fatti, quella rilasciata dalla polizia britannica dopo il completamento delle indagini. Tuttavia io la penso come Lynda, secondo me quel bambino non è affatto morto», commentò Sonia, spiazzata da quella sfumatura che le si era presentata inaspettatamente davanti agli occhi ma anche contenta del fatto che, stando così le cose, aveva finalmente avuto la possibilità di esternare il suo parere, la sua nota di verità mai condivisa con altri. «Sai dirci se Anthony desiderasse veramente quel figlio?», chiese Charlie. «Si, certo. Perché non avrebbe dovuto?», rispose Sonia d’istinto. Poi, però, si fermò per riflettere. «Ne sei sicura? Non ti ha raccontato nient’altro Angela a riguardo?», incalzò nuovamente Charlie. «In effetti, ora che mi ci fai pensare, c’è un aspetto che non ho considerato. In una delle sue ultime lettere Angela accennava ad alcuni commenti che Anthony
faceva a riguardo del suo lavoro e dell’infanzia che il bambino avrebbe avuto. Diceva che per causa del suo lavoro sarebbe stato costretto a viaggiare molto spesso e non si sarebbe goduto i primi anni e le tappe di vita importanti del piccolo. Affermava che suo figlio sarebbe cresciuto praticamente senza padre. Angela però sperava che con l’arrivo del bambino la situazione si sarebbe comunque sistemata e che Anthony sarebbe stato presente almeno nei momenti più importanti. Era un uomo attento ai bisogni della sua famiglia, lei era sicura di questo perché ne aveva avuto dimostrazione più e più volte. E comunque il piccolo avrebbe ricevuto dalla madre le cose che il padre non sarebbe stato in grado di dargli per forze di causa maggiore». «Quindi la morte di quel bambino lo avrebbe liberato da ogni peso e da ogni responsabilità, giusto?». «Stai pensando che Puddon possa essere stato capace di fare una cosa tanto crudele? Avrebbe potuto davvero uccidere suo figlio, il frutto del suo stesso sangue?». «No, non sto dicendo questo. Dico solo che forse potrebbe averlo fatto sparire in qualche altro modo. In fin dei conti non gli sarebbe stato impossibile lasciarlo da qualche parte o affidarlo a qualcun altro, per poi dichiarare che il giorno dell’incidente il bimbo era in macchina con la madre. Sarebbe ritornato un uomo libero, sollevato da ogni responsabilità nei confronti del bambino e avrebbe potuto continuare il suo lavoro nel tentativo di colmare il vuoto lasciato dalla morte della moglie. Avete avuto altri contatti con lui dopo l’incidente?». «No, mai più. Dopo la morte di Angela, Anthony cessò la sua attività e si ritirò nella sua tenuta. In fin dei conti ne aveva già guadagnati abbastanza di soldi da poter vivere di rendita per il resto dei suoi giorni», rispose Sonia. Però non c’era più certezza assoluta nelle sue parole. Stavano camminando tutti su un terreno instabile e inesplorato, ognuno di loro poteva compiere un o falso da un momento all’altro e trovarsi a cadere nel vuoto senza accorgersene. Sonia si alzò e da un cassetto tirò fuori un plico di lettere tenute insieme da un nastro di raso blu. Erano le lettere che Angela le aveva scritto dopo essersi trasferita in Cornovaglia. Le posò sul tavolo e le consegnò a Charlie e Lynda perché potessero prenderle. «Queste sono tutte le lettere di Angela, le ho conservate con molta cura come potete vedere. Troverete anche la foto del piccolo Charles nell’ultima lettera».
«Possiamo tenerle con noi oggi e leggerle con calma?». «Certamente, sono vostre. Potete tenerle voi e portarle in Inghilterra. A me non servono più, quelle parole sono impresse a fuoco qui nel mio cuore e nessuno mai potrà più cancellarle. Forse quelle lettere sono più importanti per voi ora, per la vostra indagine. E’ evidente che c’è ancora qualche cosa di poco chiaro in questa faccenda e sarebbe bene che venisse a galla, una volta per tutte. Se Puddon ha delle colpe, è giusto che le paghi. Se invece non ne ha, è giusto che si sappia e che venga lasciato in pace d’ora in avanti fino alla fine dei suoi giorni». «Grazie Sonia», rispose Charlie con un sorriso mentre consegnava il plico delle lettere tra le mani di Lynda la quale a sua volta ringraziò. «Possiamo visitare l’atelier ora?», chiese il ragazzo. «Volentieri, seguitemi. Vi mostrerò tutti i capi, uno ad uno, e vi indicherò quelli realizzati da Angela». Il laboratorio era di generose dimensioni. Un ampio e ordinato spazio espositivo era stato dedicato alla calda accoglienza della clientela, alla quale veniva offerto anche del tè. I camerini lo separavano dal laboratorio dove venivano creati quegli splendidi abiti. Sonia li mostrava e Lynda li riconosceva uno dopo l’altro, proprio come li aveva visti nel guardaroba nella stanza di Angela qualche giorno prima. Riconobbe anche l’abito che aveva indossato la sera nella quale si era concessa ad Anthony, si soffermò a guardarlo, a toccarlo e ad annusarlo. Sonia se ne accorse e si soffermò. «Ti piace questo?», chiese Sonia mentre Charlie provvedeva alla traduzione per l’amica. «Molto bello questo», rispose lei direttamente in uno stentato italiano che però Sonia capì e ricambiò con un sorriso. Lynda confermò che ne aveva visto uno identico nell’armadio di Angela e che aveva anche avuto il piacere di indossarlo. «Si, Angela portò con sé diverse copie in Cornovaglia. Per ognuno di quelli ne troverete almeno una copia anche qui, lei ne aveva personalizzati alcuni perché si conformassero alla sua taglia». Era una bellissima collezione, degna di una stilista di vero successo. Pensò che forse, prima di ripartire, avrebbe potuto commissionare qualche cosa, anche per
ripagare l’uomo e la donna per la loro splendida ospitalità e per l’aiuto che avevano dato loro. Chiese a Sonia di prenderle le misure e la donna eseguì, riportando il tutto in una scheda che poi ripose con cura nel suo archivio. Terminata la visita, Charlie e Lynda chiesero il permesso di potersi ritirare per poter discutere un po’ di quanto era stato detto e decidere quali fossero i i successivi da compiere. Poi avrebbero gradito fare una eggiata per le vie della città come due semplici turisti, visto che sarebbero rimasti in Italia solamente per due giorni. Sonia e Andrea congedarono quindi i ragazzi, ne avrebbero approfittato per tornare al loro lavoro. Mentre Charlie e Lynda si allontanavano, Sonia rimase a guardarli per un po’ fino a quando non li vide scomparire all’interno della casa. Poco prima, per qualche minuto, aveva sentito ancora una volta gli occhi di Angela puntati verso di lei. Sorrise e si voltò.
19.
Le strade di Milano brulicavano di persone fin dalle primissime ore del mattino. Migliaia d’individui attraversavano le vie, si muovevano nelle loro auto e sui tram, con gli sguardi spenti, i volti cadaverici e le menti rivolte altrove. Tutto questo ricordava a Lynda la peggiore delle “New York” che aveva visto durante la sua vita. Non si sentiva a suo agio in una città come quella e si chiedeva come riuscissero a viverci e a lavorarci Sonia e Andrea. Condivideva completamente la scelta fatta da Angela di andarsene via dopo aver incontrato Anthony ed essere stata in Cornovaglia quell’estate che cambiò la sua vita. Forse nemmeno Angela amava quel posto, forse ci stava solo per via di Sonia e del rapporto di amicizia che le legava da sempre, per non tradire la fiducia che la ragazza aveva riposto in lei durante tutti quegli anni. Lynda camminava a o lento al fianco di Charlie e i anti li evitavano come se fossero ostacoli posti lungo il loro cammino, sguscianti come bisce tra la folla. Facevano tutto in quel modo, seguendo un automatismo che ormai era entrato a far parte delle loro vite, sarebbe stato impossibile cambiarlo a quel punto. Tocchi di colore, sparsi qua e là, sembravano stonare in mezzo a tutto quel grigiore forzato dal cemento. E per fortuna c’era il sole! La grande metropoli milanese! Era tutto qui? Camminarono un po’ così, muti accanto a loro stessi. I loro i erano irreali, sospesi. Quella avrebbe potuto essere una famiglia. Uno dei milioni di milioni di modi di essere una famiglia su questo pianeta, un agglomerato di vite che si nutrono allo stesso tavolo, si siedono sullo stesso WC, si festeggiano e si seppelliscono. Lynda e Charlie chiesero informazioni a qualche ante per recarsi nel centro della città. Alcuni di loro erano troppo di corsa per fermarsi e rispondere. Altri, invece, facevano finta di non capire ciò che stavano chiedendo. «Che schifo!», disse Charlie scuotendo il capo, rassegnato. «Puoi dirlo forte! Questa è la vita delle grandi città. Però ci sono anche dei vantaggi, vedi? Non sei obbligato a fermarti per dar retta agli sconosciuti, hai tutto a portata di mano, ai tuoi piedi». «Quindi anche New York è così?».
«Non molto diversa. Anche se io continuo a preferirla. Forse perché ci ho vissuto per parecchio tempo, mentre qui per me è tutto nuovo». «Tutto questo dovrebbe aiutarti a prendere una decisione Lynda! Vedi, gli eventi che ti accadono sembrano davvero volerti condurre lungo un percorso preciso». «Parli della tua offerta?». «Non è una mia offerta, considerala come un invito da parte di Beth!». «Sei proprio insistente! Senti Charlie, riguardo a quanto successo ieri sera, ti chiedo scusa!». «E cosa sarebbe successo ieri sera?». Lynda notò una panchina vuota vicino a loro. La indicò a Charlie e lo invitò a sedersi, lui accettò volentieri. Lynda salì sullo schienale di ferro, Charlie cercò la sua mano, per tenerla e non farla cadere. Lynda torse un po’ il polso per scacciare la sua mano, infastidita per essere trattata come una mocciosa. Ma il ragazzo fu più forte di quella scimmia in gonnella. Lynda si arrese alla morsa di dita del ragazzo ansioso che avrebbe cercato di mettercela tutta per costruire una famiglia con lei. «Mentre tu facevi la doccia, io mi sono addormentata». «Mi sembra normale, eri stanca!». «Si, ma non è tutto. Ho fatto un sogno strano. Non so perché te ne sto parlando, ma non riesco proprio a tenerlo per me». «Sentiamo, di che cosa si tratta?». «Facevamo l’amore, tu ed io», confessò Lynda mantenendo gli occhi così bassi da riuscire a vedere benissimo ciò che stava giù a terra. «Mi sembra un sogno molto interessante! Vuoi raccontarmelo?», rispose Charlie con malizia ma anche tanta sicurezza. Lynda a quel punto lo puntò dritto negli occhi. «Charlie, è solo una mia fantasia! Tu sei gay!».
«Ma chi diavolo te lo ha detto che io sono gay?». «Sei stato tu, eravamo nel giardino del cottage e ne abbiamo parlato, tu hai confermato tutto! Non me lo sto inventando». «Io non ho confermato proprio nulla! Cara amica mia, quella è stata solo una tua supposizione, una tua fantasia. Forse per via di un’incomprensione, hai continuato a coltivarla, a farla crescere dentro di te come se fosse vera. Il fatto che io non abbia una donna non significa necessariamente che io sia gay! E se vuoi proprio sapere come la penso, tu mi piaci! Mi piaci tanto Lynda! E quella mattina quando ti ho vista con la vestaglia, a fatica ho potuto resistere alla tentazione di baciarti, di toccarti, di fare l’amore con te! Lynda, io ti ho sempre voluto bene, fin da quando ero un bambino, e questo bene si è via via rinforzato sempre di più. Se non è ancora amore, gli somiglia parecchio!». «Quindi tu… allora io… noi…». «Si Lynda, io ti desidero! Ti desidero tanto, anche adesso! Voglio baciarti Lynda!». Si guardarono in silenzio, pieni di desiderio. Tutto intorno a loro si fermò, si spensero i rumori, le voci, i colori. C’erano solo loro due, su quella panchina, le loro labbra erano sempre più vicine, si sfiorarono fino a toccarsi profondamente, intensamente. Si baciarono. E quel bacio sembrava eterno, come se il tempo si fosse fermato per sempre. Le loro bocche si consumavano l’una contro l’altra, i loro cuori battevano all’unisono su quella panchina nella grigia metropoli milanese. Qualche colpo di clacson li riportò alla realtà. Si abbracciarono, non volevano più staccarsi, mai più. «Vorrei tanto essere in camera con te ora, noi due soli!», confessò Charlie stringendo la testa dell’amica contro il suo petto. Lynda non rispose, si abbandonò a lui e al pensiero di quel suo bellissimo desiderio. «Charlie?». «Dimmi Lynda», rispose lui mentre le accarezzava i capelli morbidi e profumati. «Sono andata a letto con Anthony Puddon la notte precedente al nostro incontro al maniero».
«Si, lo so». «Quindi non pensi male di me? Non pensi che io sia una poco di buono che si concede al primo che capita solo per il desiderio di soddisfare un suo capriccio?». «No, non lo penso. Ognuno di noi ha dei desideri e delle necessità. Quando tu hai deciso di are la notte con lui avrai avuto i tuoi buoni motivi e nessuno poteva vietarti di farlo, non avevi alcun tipo di legame con altri. Quindi, tesoro mio, non fartene una colpa perché non ne hai assolutamente bisogno in questo momento». «Non mi lascerai sola, vero? Se accetterò di continuare l’attività di zia Beth tu mi aiuterai?». «Ricordo benissimo di averti fatto una promessa a riguardo. Certo che lo farò, puoi starne certa». «Domani ripartiremo per la Cornovaglia. Non appena arriveremo, cominceremo a fare tutto quanto necessario per rimettere in piedi l’attività e per vincere il concorso. Lo dobbiamo fare per zia Beth, lei sarà fiera di noi da lassù». Si guardarono nuovamente negli occhi, sorridendosi a vicenda. Quei sorrisi erano carichi d’amore e di ione, e questa volta non c’erano incomprensioni, solo una grande, forte e meravigliosa voglia di stare insieme. Tornarono a casa e arono tutto il pomeriggio a letto. Non avrebbero mai dimenticato quel viaggio che li aveva uniti così intimamente. Lo desideravano entrambi, evidentemente, ma nessuno dei due riusciva ad esprimerlo liberamente. L’indomani Lynda e Charlie salutarono e ringraziarono nuovamente Sonia e Andrea. L’uomo li riaccompagnò all’aeroporto dove avrebbero preso il volo per Londra nel pomeriggio. Il viaggio in Italia aveva dato una scossa positiva alle loro vite, tornavano a casa con un po’ di informazioni utili sulla persona di Anthony Puddon ma soprattutto avevano un nuovo progetto di vita da condividere, e non si trattava di uno di quei giochi da bambini che li aveva tenuti tanto uniti in ato. Charlie ripensò alle parole che Beth gli disse il giorno che andò a consegnarle la frutta per l’ultima volta. Forse, pensò, aveva avuto ragione. Anche a Londra il cielo era stranamente terso quel giorno e doveva esserci stato
un bel sole splendente fin dal mattino. La temperatura era gradevole e, nonostante fosse anche quella una città, l’aria era più pulita e respirabile di quella di Milano. Durante la notte Lynda non riuscì a riposare bene, il viaggio l’aveva agitata parecchio. I pensieri si accodavano in continuazione e lei non riusciva ad abbandonarli. Cosa avrebbe fatto con Charlie? Ci sarebbe stato un futuro per loro come coppia? Come si sarebbe comportata con Puddon da quel momento in avanti? E per l’attività di pasticceria, sarebbe stata capace di far partire il progetto con successo? Riuscì ad addormentarsi solo a notte fonda, sfibrata da sogni agitati. Charlie arrivò in tarda mattinata e trovò Lynda in giardino. eggiava tra le piante di rododendro mentre eliminava con le mani tutte le foglie secche che i suoi occhi riuscivano a scorgere, proprio come aveva visto fare a zia Beth quando era una bambina. «Buongiorno!», le disse il ragazzo sorridendole. Era felice di vederla. Il sole faceva brillare gli occhi della ragazza e i suoi capelli biondi ondeggiavano sospinti dal vento. Vedendola così, vestita nella sua vestaglia bianca, le sembrava davvero un angelo. «Hai riposato bene questa notte?». «Per nulla. Avevo troppi pensieri per la testa Charlie!». «Dobbiamo affrontare un po’ di cose a partire da oggi. Da dove preferisci iniziare? Forse sarebbe meglio risolvere prima le questioni più semplici, non credi?». «Le più semplici? Tu ne vedi? A me sembra tutto così dannatamente complicato invece!». «Si tratta solo di metterci un po’ di buona volontà e di sfoderare un po’ del coraggio che ti ha sempre caratterizzata facendoti emergere dalla massa. Ad esempio, la questione riguardante Anthony Puddon dovrebbe essere praticamente chiusa. Non possiamo fare nulla noi». «Ma come puoi dire che non possiamo fare nulla? Quell’uomo potrebbe aver fatto sparire suo figlio, te ne rendi conto? Anthony Puddon conosce una realtà
diversa da quella ufficiale che ha chiuso il suo caso». «Ci ho pensato tanto anch’io e credo di essere giunto ad una conclusione. Fermati per un attimo a riflettere: se Puddon avesse messo in piedi un casino tanto per risolvere il suo problema con la legge, perché mai avrebbe dovuto raccontarti qualche cosa di diverso? Per masochismo, per il solo gusto di farsi del male? Oppure perché non reggeva più il peso delle sue colpe e aveva bisogno di confidarsi con qualcuno?». «Potrebbe essersi pentito!». «Pentito? Chi, Puddon? Dai Lynda, non farmi ridere! Quell’uomo è di ghiaccio! Non lo vedo assolutamente capace di mostrare un pentimento sincero». «Ma tu che cosa ne sai? Come puoi sapere cosa gli a per la mente?». «Lavoro per lui da anni, Lynda! Puddon è una brava persona ma è totalmente incapace di pentirsi per una sua azione». «E quindi quale sarebbe la tua conclusione?». «La mia conclusione è la più semplice di tutte: nel giorno dell’incidente morirono sia Angela che il loro piccolo Charles». «Ma non hanno ritrovato alcun resto del bambino». «Era troppo piccolo, Lynda! Le sue povere e piccole ossa si saranno completamente consumate tra le fiamme». «Andrò a casa sua Charlie. Sono arrivata fino a questo punto, ora voglio arrivare fino in fondo e conoscere tutta la verità». «Si certo, e che cosa gli dirai? Che sei tornata a casa sua per investigare ancora un po’ sul suo ato? Cosa pensi che possa risponderti? “Ma prego Lynda, vieni, accomodati nella mia vita e divertiti pure a buttarla per aria”, pensi che ti dirà questo?». «Assolutamente no. Entrerò in casa sua di nascosto. Tu mi darai una mano, dovrai distrarlo e tenerlo impegnato per tutto il tempo necessario».
«Tu sei pazza! Vuoi finire in galera per caso?». «Nessuno finirà in galera, Charlie. Non se lavoreremo bene insieme». «E quando vorresti fare tutto ciò?». «Presto, diciamo la prima volta che tu andrai da lui». «Devo andarci oggi pomeriggio, non ti sembra un po’ troppo presto? Lynda, per l’amor del cielo prenditi tutto il tempo che ti serve per pensare a quello che stai facendo, prima che sia troppo tardi!». «Ho avuto tutta la notte per pensare e sono convinta delle mie decisioni, non tornerò più sui miei i. Dovresti saperlo ormai se pensi di conoscermi almeno un po’. Pomeriggio entrerò in quella casa e tu mi coprirai». «Tu sei pazza, lasciamelo dire!», esclamò Charlie esasperato e deluso per la sua incapacità di far ragionare la ragazza. «Forse hai ragione. Ma è stata proprio la mia pazzia a portarmi qui. E se questo piò servire per chiudere la questione Puddon una volta per tutte, lo faccio ben volentieri! Lo dobbiamo ad Angela, al piccolo Charles e anche un po’ alla stilista italiana. Sono sicura infatti che anche Sonia non aspetta altro che conoscere la pura verità dei fatti ora». «Va bene, fai pure come credi. Ma ricordati che io sono totalmente contrario a questa pazzia. E se qualche cosa dovesse andare storto potrai dire addio alla tua libertà, fisica e psichica, al concorso di Beth e al nostro progetto della pasticceria».
Puddon fumava il suo sigaro, seduto come sempre nel suo salotto. Un libro aperto a metà stava su un tavolino di fronte a lui, sempre in attesa di essere letto. Ma Puddon non aveva alcuna voglia di leggere, non aveva voglia di fare nulla di diverso che non fosse il semplice e lacerante pensare. Pensava a suo figlio con insistenza e a ciò che aveva fatto per crescerlo da solo in tutti quegli anni, senza che lui sospettasse nulla di fosse il suo vero padre. Ma ora le cose erano cambiate. I genitori del ragazzo erano ormai morti, avrebbe quindi potuto farsi avanti per abbattere le barriere e raccontargli tutta la verità una volta per tutte.
Ma come avrebbe reagito il giovane? I suoi pensieri si alternavano agli anelli di fumo che roteavano nell’aria intorno a lui, vi rimanevano per qualche istante per poi rientrare prepotentemente nella sua testa. Aprì un cassetto che teneva chiuso a chiave e ne estrasse un plico di fogli tenuti insieme da un nastro ben annodato. Lo slegò con cura, prese il primo foglio e cominciò a leggere. Rilesse attentamente ogni singolo foglio, ogni riga di quegli articoli nella speranza di arrivare in fondo con la sana convinzione di vuotare il sacco al ragazzo. Non pretendeva di essere perdonato all’istante per quello che aveva fatto, ma forse il giovane non lo avrebbe condannato e il tempo gli avrebbe permesso di recuperare la sua fiducia e il suo amore. Ma si chiedeva anche se il tempo che aveva ancora a sua disposizione sarebbe stato sufficiente oppure no. Forse valeva la pena di tentare! Tra i fogli rinvenne anche tutte le ricevute dei versamenti di denaro a favore della famiglia del ragazzo che aveva eseguito negli anni, perché non pesasse anche economicamente su di loro. Erano persone povere e lui lo sapeva bene, doveva aiutarle a tutti i costi. E quell’aiuto sarebbe stato importante per loro. Dovette sborsare un sacco di soldi per pagare il disturbo e il loro silenzio a vita. Ma per lui i soldi non erano un grosso problema. Avrebbe avuto molta più importanza allontanare il bambino dalla casa, per salvargli la vita e per non vivere tutta la sua esistenza nel costante ricordo della moglie, della donna che amava, morta in quell’incidente per il quale si sentiva totalmente responsabile. Chiuse gli occhi per isolarsi dal mondo, mentre pian piano la pipa si spegneva lasciandogli un sapore amaro in bocca. La allontanò dalle labbra con noncuranza e la ripose sul tavolo. Charles! Com’era cresciuto il suo piccolo Charles! Quanti sogni avevano fatto lui ed Angela mentre lei portava avanti la sua gravidanza, una marea di sogni tutti infranti contro uno scoglio, senza senso, senza possibilità di rivincita alcuna. Il suo bambino era diventato un uomo e quel pomeriggio lo avrebbe rivisto! Prese tutte le carte e le riordinò con cura per poi riporle al loro posto nel cassetto chiuso a chiave, perché continuassero a rimanere segrete. I suoi occhi rividero la pistola che teneva nascosta in quello spazio e il suo corpo venne attraversato da un brivido caldo. Si era quasi dimenticato di quell’oggetto, del quale nemmeno Angela era al corrente. Si era procurato quella pistola per difendersi dai suoi aguzzini, qualora fossero venuti a fargli una visita inattesa. Ma loro scelsero di vendicarsi sulla moglie indifesa, perché lui potesse soffrire di più e per il resto della vita. Non riuscì mai ad ottenere giustizia, perché mai riuscì a dimostrare alle autorità che quanto accaduto alla moglie non fu affatto un semplice tragico incidente. Viste come si erano messe le cose per lui, il suo avvocato gli consigliò di arrendersi e lasciare che il caso venisse chiuso in quel modo. Lui seguì quel consiglio, ma non riuscì mai ad accettarlo e a perdonarsi la sua codardia. Era sicuro che
sarebbe giunto il giorno in cui avrebbe usato quell’arma, anche se non sapeva ancora come e contro chi. Ma lo avrebbe fatto e l’onta sarebbe stata cancellata via per sempre dalla sua vita e dalla sua anima. Margaret entrò nel salotto reggendo un vassoio tra le mani. «Signor Puddon, il suo tè è pronto», disse la donna a mezzo tono, com’era solita esprimersi nei confronti dell’uomo quando lo trovava assorto nei suoi pensieri. «Grazie Margaret, può posarlo sul tavolo», rispose lui automaticamente, mantenendo però lo sguardo fisso verso la finestra che dava sulla scogliera. La donna fece quanto richiesto e si congedò. Il rumore lontano del motore di un’auto e la chiusura di una portiera lo fecero tornare alla realtà. Charlie! Era arrivato suo figlio! Gli andò incontro sulla porta. «Bentornato ragazzo!». «Buongiorno signor Puddon», gli rispose il ragazzo in tono serio. «Sei stato davvero impegnato in questi giorni! Come è andato il viaggio?». «Tutto bene grazie, ci siamo rilassati un po’. Mi deve scusare ma ho avuto davvero molte cose da fare questa mattina e non sono potuto venire da lei. Ora cercherò di recuperare il tempo perduto, mi metterò subito al lavoro. Devo solo prendere una cosa che ho dimenticato in macchina, mi scusi». «Aspetta, ti do una mano». «No!», esclamò Charlie spaventato. Puddon indietreggiò, non si aspettava una tale reazione, «Non è nulla di particolare, è solo il mio telefono. Preferisco averlo con me, nel caso Lynda o qualche mio conoscente avesse necessità di contattarmi». «Oh, va bene. Nessun problema Charlie, vai pure», rispose l’uomo che però rimase fermo sulla porta a guardarlo. Charlie tornò in macchina e aprì la portiera posteriore. Lynda se ne stava rannicchiata sul sedile, coperta con un telone per non farsi vedere. Il giovane, fingendo di cercare qualche cosa, le diede le opportune istruzioni.
«Lynda, metti in muto la suoneria del telefono e non ti muovere da qui fino a quando non sarò io a darti il segnale. Mi sono spiegato?». «Si, ho capito». «Puddon è sulla porta di casa. Non appena mi sarà possibile, lo porterò fuori in giardino. Fai attenzione a Margaret, l’ho vista in giro qualche istante fa». «Oh si, quella donna! C’è anche lei e girerà liberamente per casa!». «Non per molto tempo. Ogni sabato pomeriggio si ritaglia del tempo per incontrare le amiche in paese, quindi tra pochi minuti dovrebbe uscire. Ora vado. Non prendere iniziative azzardate, o potresti pentirtene amaramente», concluse il ragazzo mentre chiudeva la portiera, per poi rivolgersi con un finto sorriso verso l’uomo rimasto per tutto il tempo immobile sull’uscio di casa. «Eccolo qui, dannato telefono! Non riuscivo più a trovarlo, era scivolato dal sedile e si era infilato sotto il tappetino». «Nessun problema Charlie. Dai, entra con me in casa, ci prendiamo un tè caldo, è già pronto. Come sempre Margaret pensa a tutto, santa donna!». «Ma a dire il vero ho tante cose da fare in giardino e presto farà buio». «Nessun problema, se non finisci puoi continuare domani». «Domani? Ma domani è domenica. Inoltre giù al cottage stiamo lavorando per il concorso di cucina. Lynda ora si sta dando da fare da sola perché la madre e il padre non le sono di grande aiuto, ha bisogno di me». «Oh si, il concorso! Me ne ero quasi dimenticato sai? E pensa, io farò parte della giuria!». «Oh signor Puddon, ma questa è una notizia sensazionale! Che bella notizia, Lynda ne sarà felicissima!», esclamò lui con rabbia mascherata da falsa felicità. «Ne sei proprio così sicuro?», chiese Puddon dubitante per quella affermazione. «Certamente! La prego, mi permetta di telefonare a Lynda, così glie la comunicherò e ne approfitterò per dirle che ritarderò un po’ questa sera».
«Va bene, fai pure. E salutala da parte mia». Lynda non riusciva a credere alle parole di Charlie! Puddon avrebbe giudicato la loro opera! Era riuscito a infilarsi anche lì dentro. Imprecava in silenzio mentre udiva Charlie dall’altro capo del telefono portare a Puddon parole di gratitudine a suo nome, come se fossero state pronunciate dalla sua stessa bocca. Poi riattaccò. Qualche istante dopo sentì dei i muoversi sul selciato e avvicinarsi all’auto. Sobbalzò, il cuore sembrava volerle saltare fuori dal petto. Quei i, sempre più vicini, sembravano non fermarsi mai. Poi ad un tratto li udì allontanarsi, con continuità. Lynda scoprì lentamente la testa e sbirciò fuori dal finestrino dell’auto. Vide Margaret che si dirigeva ben vestita e con un vistoso cappello verso il cancello della tenuta, per poi chiuderlo alle sue spalle. Charlie aveva ragione, Margaret era andata dalle amiche in paese, avrebbe avuto il via libera in casa. Pensò di chiamare Charlie con una scusa banale per avvisarlo. Charlie rispose con noncuranza mentre Puddon sorseggiava il suo tè. Per non destare sospetti, rispose che aveva capito, per poi aggiungere una frase fuorviante e chiudere la chiamata. Ora toccava a lui accelerare le cose, portare Puddon fuori in giardino e lasciare campo libero alla sua compagna. «Signor Puddon, avrei delle idee per il suo giardino che vorrei sottoporre alla sua attenzione». «Interessante Charlie. Dimmi, di cosa si tratta?». «Vorrei illustrarle il tutto direttamente fuori in giardino, riguardano ovviamente le splendide piante di rododendro». «Oh molto bene! Forza figliolo, finiamo il nostro tè, così possiamo andare». «Io veramente sarei a posto così…». «Oh no figliolo! Tu sai benissimo che un vero lord inglese non lascia mai a metà il suo tè!», rispose l’uomo con un mezzo tono di rimprovero mentre portava la sua tazza alla bocca con una calma snervante. Charlie non amava sentirsi chiamare “figliolo” da quell’uomo. Seppur gli volesse bene, gli avesse dato un lavoro e la possibilità di mantenersi, quell’uomo era per lui solo un conoscente, non suo padre! Come poteva avere quella faccia tosta e prendersi tutta quella confidenza con lui? Tuttavia aveva sempre ingerito il boccone amaro prima d’allora. Ma in quel pomeriggio, quel boccone sembrava
essere più amaro del solito. Terminato il tè, i due si alzarono per dirigersi in giardino. Lynda riuscì a vederli in lontananza e capì che poteva entrare. Charlie, tuttavia, non le aveva ancora dato il via libera, ma lei sapeva che in casa non c’era più nessun altro. Uscì velocemente dall’auto, ma nella fretta non si accorse che il telefono le era scivolato sul sedile dell’auto, coperto dal telo che fino a poco prima l’aveva nascosta. Quando se ne accorse, era ormai già in casa. Poco importava, ne avrebbe fatto a meno. Corse su per le scale, verso la camera di Angela. C’erano altri armadi e cassetti nei quali non aveva ancora guardato e che meritavano di essere controllati. Nel giardino Charlie si guardava intorno con fare sospetto per vedere se era il caso di avvisare Lynda e dirle che poteva muoversi. Ma quando voltò lo sguardo verso il cancello della tenuta, vide una donna con un vistoso cappello entrare e dirigersi verso la casa. «Margaret!», esclamò Charlie, senza notare che aveva parlato ad alta voce. «Oh si, è lei! Come al solito si sarà dimenticata di prendere qualche cosa, le capita spesso ultimamente!», rispose Anthony. Charlie non reagì. «Che cos’hai ragazzo, mi sembri spaventato!». «No nulla! E’ che non ho mai visto Margaret così ben vestita! Mi ha colpito!». «Si, nonostante la sua età e qualche chilo di troppo è effettivamente ancora una bella donna! Aspettami, vado a vedere se ha bisogno di qualche cosa». Puddon si allontanò. Non ci sarebbe stata occasione migliore per avvisare Lynda! Charlie perse il telefono e la chiamò. “Rispondi Lynda, dannazione!”, pensava, ma il telefono suonava a vuoto. Il ragazzo capì che Lynda li aveva visti uscire e si era diretta in casa, di testa sua. Puddon e Margaret parlavano tra di loro e la donna sembrava decisamente agitata. Poi lei si diresse verso casa e Puddon tornò da lui. «Pare che una delle amiche di Margaret si sia sentita poco bene oggi, quindi hanno deciso di rimandare il loro incontro a domani», disse l’uomo. Charlie trasalì. Doveva avvertire Lynda! Doveva assolutamente ritornare in casa per aiutarla, o sarebbe stato davvero troppo tardi! Ma Puddon lo trattenne ancora una volta con stupidi discorsi. «Forza, sentiamo. Quale sarebbe la tua idea?».
«Ora le illustro tutto», rispose Charlie. Mentre parlava la sua mente vagava su Lynda e sulla donna che, entrata in casa, l’avrebbe sicuramente scoperta se lui non fosse riuscito ad avvisarla in qualche modo. Nella fretta Lynda dimenticò di chiudere con cura la porta quando entrò nella stanza di Angela. Margaret notò la porta semichiusa e s’insospettì. Anthony Puddon aveva sempre posto la massima attenzione su quella stanza, se lui vi fosse entrato non l’avrebbe mai lasciata aperta per nessuna ragione. Si meravigliò di come quell’uomo avesse potuto permettere a una donna mai vista prima di mettervi piede, di toccare i vestiti della moglie negli armadi e di fargliene addirittura indossare alcuni. Doveva aver perduto completamente la testa per lei. Lynda sentì il o pesante della donna avvicinarsi alla stanza e voltatasi di scatto notò la porta. Trasalì. Doveva nascondersi e anche in fretta! Si nascose dietro la porta, spostandosi in punta di piedi per non fare rumore. Con un pizzico di fortuna la donna sarebbe entrata spalancandola completamente e lei sarebbe rimasta nascosta dietro. Margaret entrò nella stanza e si guardò attorno. Non vide nessuno, tutto era al suo posto, il letto e gli armadi sembravano in ordine. «Sarà stato il vento!», esclamò ad alta voce, mentre usciva dalla stanza richiudendo per bene la porta perché non si aprisse più. Lynda tirò un sospiro di sollievo e si abbandonò con la testa contro il muro. Ma non notò un quadro appeso al muro alle sue spalle. Quando lo urtò con il capo, il quadro cadde a terra e il vetro che ricopriva la fotografia si frantumò. Margaret udì il forte rumore e ritornò nella camera. I vetri erano sparsi a terra, ma lei capì subito da dove provenivano. Aprì la porta di scatto e non appena vide Lynda si spaventò così tanto che fu sul punto di urlare. «No Margaret, no! Ti prego! Sono Lynda, non mi riconosci?», esclamò la ragazza implorando la donna di trattenersi. «Cosa ci fa lei qui? Il signor Puddon sa che lei è qui nella stanza?», chiese la donna ancora spaventata. «No Margaret, Puddon non lo sa, sono entrata di mia iniziativa». «Allora devo dirglielo, e subito! Senza il permesso di Puddon non si può entrare in questa stanza!». La donna tentò di alzarsi dalla sedia sulla quale si era appoggiata per non cadere
a terra, ma ancora una volta Lynda la fermò. «Ti prego Margaret, ascoltami! Io e Charlie stiamo cercando di capire quanto Puddon sia realmente coinvolto nella morte della moglie e del loro bambino! Siamo appena rientrati da un viaggio in Italia dove abbiamo incontrato la stilista Sonia Galiano, l’amica di Angela. Lei ci ha detto che secondo i rapporti ufficiali il piccolo è morto nell’auto con la madre, mentre quando io ho parlato con Anthony, ho avuto un’impressione diversa. Quell’uomo nasconde qualche cosa Margaret, ti prego devi aiutarci a scoprire la verità!». La donna esitò. Ansimava vistosamente e per un attimo Lynda temette che potesse sentirsi davvero male. «Margaret, ti prego! Cerca di calmarti, è tutto a posto. Ma dobbiamo scoprire la verità su quell’uomo». «Io non so nulla!», esclamò Margaret, alzandosi di scatto dalla sedia nonostante la sua imponenza fisica, «Non coinvolgetemi, io non so nulla di quanto accadde esattamente quel maledetto giorno». Il pianto isterico di Margaret non lasciò alcun dubbio, la donna sapeva sicuramente molte cose e Lynda doveva assolutamente convincerla a parlare. «Margaret, lavoravi già qui con Puddon quando successe l’incidente, vero?». «Si, ma non so nulla, io non ho visto nulla». «Per favore, calmati e cerca di aiutarmi, io sono tua amica! Non sono qui per accusare nessuno e soprattutto non sono qui per accusare te. Tu conoscevi bene la povera Angela?». La donna tirò un forte sospiro, si sedette nuovamente, si asciugò le lacrime e posò le mani sulle ginocchia per poi iniziare a raccontare. «Si, conoscevo molto bene Angela. Era una brava donna, una vera signora. Era elegante nell’aspetto, nei gesti. Le preparavo sempre il suo caffè espresso all’italiana, lei lo amava e non poteva farne a meno. In quei momenti lei mi parlava spesso del suo Paese, delle sue origini e della famiglia, delle persone che aveva conosciuto durante l’infanzia e in tutta la sua vita. Quella donna non mi ha mai trattato come una cameriera, anzi! Mi ha sempre considerato come una
sorella, una confidente. Angela non aveva amiche qui in Cornovaglia. Ha sempre trascorso la sua esistenza in questa tenuta. Hai visto il giardino dei rododendri che c’è laggiù, verso la scogliera? L’ha creato lei, con le sue mani!». Margaret indicò con le mani la posizione del giardino, invitando Lynda a guardarlo dalla finestra. Lynda scostò leggermente le tende e vide quelle piante meravigliose, quasi totalmente fiorite. Tra le piante vide anche Charlie e Puddon intenti a discuter tra di loro. Si rassicurò del fatto che questo avrebbe tenuto l’uomo impegnato ancora per un bel po’. Riaccostò le tende e si riavvicinò alla donna, sedendo su una sedia di fronte a lei. «E’ davvero un giardino molto bello. Anche una mia cara zia amava i suoi rododendri e li curava con ione, proprio come amava i suoi dolci. Purtroppo è morta, qualche giorno fa». «Si, la mia povera e cara Beth!». «Vi conoscevate? Abitava al cottage che dista una mezz’ora a piedi da qui». «Io e Beth eravamo molto amiche tanti anni fa, prima che la vita decidesse di allontanarci per sempre». «Quale fu la causa, se non sono troppo indiscreta nel chiedertelo?». «La causa? Come sempre, la colpa è delle chiacchiere! Non saper tenere la bocca chiusa ha sempre causato problemi, fin dal principio del mondo». «Spiegati meglio Margaret, non capisco a cosa tu ti stia riferendo. Quali chiacchiere vi hanno allontanate?». «Puddon non mentì quel giorno mentre parlavate giù in salotto», confessò la donna che, vedendo il viso preoccupato di Lynda, continuò sciogliendo anche i dettagli, «Puddon le disse che se suo figlio avesse saputo che cosa aveva fatto, il ragazzo non glie lo avrebbe mai perdonato, ricorda tutto questo?». «Si, me lo ricordo benissimo. Per questo motivo io penso che il figlio non sia morto in realtà durante l’incidente». «E’ così infatti. Il figlio di Puddon e Angela non morì con la madre nell’auto in fiamme, quel giorno. Quel ragazzo è vivo e vegeto, sta benissimo».
«Oh mio Dio! Ma questo quindi significa che Puddon lo nascose facendolo are per morto! E perché mai?». «Più o meno fu proprio quello che accadde. Fui io incaricata di prendermi cura del piccolo Charles, secondo le precise istruzioni che Puddon mi diede». «Lo lasciò a te?». «Puddon mi disse che non voleva che il trambusto causato dalla morte della madre potesse in qualche modo influire negativamente sul bambino. Mi chiese quindi di portarlo via per qualche giorno in un posto sicuro, dove nessuno avrebbe potuto trovarlo, vederlo e disturbare la sua quiete. Lui avrebbe continuato a darlo per disperso in attesa che il trambusto scemasse un po’. Soprattutto mi disse che qualora lui fosse finito in carcere, io avrei dovuto prendermi cura del piccolo come se fosse stato figlio mio. Lui mi avrebbe lasciato tutto quanto necessario per crescerlo, anche questa tenuta. In realtà penso che il signor Puddon stesse solo cercando di guadagnare del tempo prezioso in attesa di trovare una soluzione definitiva per sistemare definitivamente il bambino e dargli una nuova famiglia che potesse veramente prendersi cura di lui. Io nel frattempo lo portai dalla cara Beth». «Da zia Beth? Ma quindi lei era a conoscenza di tutta questa storia e non mi ha detto nulla!». «Non sapeva proprio tutto. Sapeva solo che il piccolo aveva bisogno di essere accudito e il padre in quel momento non poteva prendersi cura di lui. Beth aveva un cuore d’oro e accettò di aiutarmi, anche se non condivideva pienamente la mia idea e la mia complicità in quell’azione ai limiti della legalità. Le indagini proseguirono senza sosta, tutto sembrava volgere nel peggiore dei modi per Puddon. Anche i testimoni sembravano non essere affatto dalla sua parte. Alcune persone testimoniarono di aver visto e sentito lui e la moglie Angela litigare spesso prima dell’incidente, altri asserivano che Puddon si ubriacasse e picchiasse Angela e il bambino per sfogare la sua rabbia contro qualcuno. La verità è che Puddon aveva avuto dei grossi problemi con un gruppo di malavitosi, ne ignoro le cause, ed era stato seriamente minacciato di morte. Un giorno ricevette una lettera e pur senza sapere nulla io notai la preoccupazione dipinta sul suo volto. Era un’esplicita minaccia di morte verso di lui e la sua famiglia. Questi tizi senza scrupoli non si sarebbero tirati indietro dal metterla in pratica se non avesse accettato di compiere certi esborsi di denaro a favore di
alcuni aguzzini che da diverso tempo lo tenevano sotto controllo. Io vidi quella lettera per caso, lasciata aperta in uno dei cassetti che regolarmente chiudeva a chiave e che un giorno dimenticò aperto per una svista. Non gli dissi mai nulla ma fu in quell’occasione che capii il perché di quei suoi atteggiamenti freddi nei confronti della moglie e delle liti che divenivano sempre più frequenti. Puddon stava solo cercando di proteggere lei e suo figlio, fino al punto di allontanarli per sempre da lui se fosse stato necessario. Io stessa capii che il piccolo era in pericolo. Quando portai il bambino da Beth le raccontai tutto questo nei dettagli. Lei mi disse che dovevo essere impazzita a fare quelle cose di nascosto e che bisognava chiamare immediatamente la polizia, per il bene del bambino ma anche di Puddon». «Ma in effetti quella notizia avrebbe potuto scagionare Puddon definitivamente!», esclamò Lynda, catturata completamente da quella confessione che Margaret le stava ormai offrendo a cuor leggero. «Lo pensavo anch’io. Forse Puddon credeva che il bambino non sarebbe mai stato al sicuro con quelle persone in giro e con un conto aperto con lui. Non li denunciò mai. Sua moglie aveva pagato con la vita e gli aguzzini avevano avuto tutto ciò che desideravano, ovvero la sofferenza di Anthony Puddon! Lui non mi parlò mai di tutto questo, non immaginava che io fossi al corrente dell’esistenza di quel messaggio. Ed io fui così codarda da non rivelargli mai che ero a conoscenza della minaccia che aveva ricevuto. Questo fu il peggiore dei miei errori! Ero solo una semplice cameriera e non avrei mai dovuto permettermi di frugare tra le sue cose personali del mio datore di lavoro, pensai allora. Qualche giorno dopo l’incidente, incontrai una donna e parlammo un po’. Lei asseriva di aver visto Angela salire in macchina con il bambino tra le braccia, avvolto in un fagotto di stoffe per proteggerlo dal freddo pungente e si dispiaceva tanto che quella povera anima se ne fosse andata via così presto. In realtà si trattava di un fagotto contenente delle stoffe che Angela aveva cucito e che voleva spedire all’amica stilista italiana come nuova idea per un abito. Ne parlai con Puddon. Lui capì che quella sarebbe stata la soluzione che avrebbe permesso a suo figlio di salvarsi. Per non morire davvero, avrebbe dovuto simulare la sua morte e allontanarlo per sempre da lui. La donna testimoniò in tribunale su quanto aveva visto e poiché la deposizione confermava i sospetti degli investigatori sulla scomparsa del piccolo, il caso fu chiuso in quel modo, con la dichiarazione di morte della povera Angela e del piccolo Charles. Il signor Puddon fu quindi scagionato e dichiarato innocente».
«Quindi lo era davvero. Ma allora perché mia zia Beth nutriva tanti dubbi su di lui?». «Beth pensava che il signor Puddon non avrebbe mai dovuto abbandonare suo figlio, per nessuna ragione al mondo. Venne qui a trovarci alla tenuta e ce ne cantò di santa ragione. Si arrabbiò molto anche con me, per quello che stavo facendo e per aver aiutato Puddon in quella situazione. Disse che il piccolo tuttavia non ne aveva alcuna colpa e che lei si sentiva in dovere di aiutarlo, lo avrebbe fatto comunque. Mi allontanò dalla sua vita e non ci vedemmo più, se non in città per pure casualità o durante le funzioni religiose. Tuttavia fu proprio quel piccolo a tenerci sempre unite». La donna si alzò dalla sedia e si portò alla finestra. Guardò Charlie giù nel giardino, in mezzo ai rododendri. Lynda trasalì ancora una volta. «Charlie!», esclamò con incredulità dipinta sul volto. «Proprio lui. Il tuo caro amico Charlie è proprio il piccolo Charles, il figlio di Angela e del signor Puddon. Quando la bufera si placò, Puddon dovette risolvere definitivamente la situazione. Un uomo e una donna che abitavano in un cottage poco lontano sarebbero stati i genitori ideali, loro non potevano avere figli e l’aiuto economico che Puddon avrebbe dato loro gli avrebbe fatto sicuramente molto comodo. Accettarono, falsificarono i documenti e le registrazioni anagrafiche e il piccolo Charles divenne figlio loro a tutti gli effetti da quel momento in avanti». «E’ incredibile! Oggi una cosa del genere non potrebbe mai accadere!», esclamò Lynda sconcertata da tutto quel racconto. Ora la realtà era stata svelata, tutto aveva un senso e la sua immagine nitida le riempiva gli occhi. «Credimi ragazza mia, con le conoscenze giuste si può fare questo e molto altro ancora! Anche oggi». «Ma Puddon dovette corrompere qualcuno?». «No, assolutamente no. Lui non lo fece direttamente. Diciamo che l’aiuto economico concordato con la famiglia comprendeva anche quel piccolo disturbo del quale si preoccupò direttamente il nuovo padre del ragazzo». «Ma quindi era un uomo di malaffare, come avete potuto affidarvi a quelle
persone?». «No, tutto sommato era un bravo uomo. Ma si concedeva qualche vizietto ogni tanto, qualche scappatella alle buone maniere che la moglie non condivideva ma che tollerava se ciò significava l’entrata di soldi in casa. Comunque furono dei bravi genitori, amarono davvero il piccolo Charles e utilizzarono realmente per lui i soldi che Puddon versava sul loro conto in banca, con regolarità. Puddon li controllava, non avrebbero potuto sgarrare. Penso che lui conservi ancora tutte le ricevute, un giorno lo vidi estrarle dallo stesso cassetto che conteneva anche il messaggio di minaccia per riordinarle». «Charlie, il mio amico Charlie è il figlio di Puddon e Angela!», esclamò Lynda dopo essersi avvicinata a Margaret per guardare il ragazzo dalla finestra. Notò che Puddon non c’era più. Ma poco le importava, ora sapeva tutta la storia e se anche lui l’avesse scoperta non sarebbe accaduto nulla. Era certa che Margaret l’avrebbe addirittura giustificata, inventandosi una scusa qualunque. «Da quanto tempo Charles lavora qui al giardino?». «Da molti anni ormai. Era l’unico modo che il signor Puddon aveva per vedere suo figlio. Per lui deve essere stato molto difficile stargli vicino, vederlo crescere senza mai potergli rivelare il suo segreto. Charlie ha sempre mostrato un’attenzione particolare verso quel giardino e fin da piccolo vi si rifugiava, non appena poteva. Spesso lo abbiamo trovato nascosto tra le piante, intento a sistemarle, a ripulirle dalle foglie e dai fiori secchi. Ha coltivato e portato avanti l’unica ione che la madre si era costruita qui, visto che non poteva più fare quello che amava, ovvero creare abiti di lusso». «Ma Puddon commerciava in stoffe, avevano una bella tenuta. Perché non continuare qui l’attività quindi? Angela avrebbe potuto cooperare ancora con Sonia Galiano. Sarebbe anche stata una buona opportunità per esportare il marchio in Gran Bretagna». «Non so rispondere a questa domanda. Quello che è certo è che venendo a vivere qui in Cornovaglia è come se Angela avesse accettato completamente di iniziare una nuova vita, anche sotto l’aspetto professionale. E non escludo che il marito possa aver esercitato qualche pressione su di lei, facendole capire che qui non avrebbe avuto motivo di preoccuparsi, che avrebbe provveduto lui al loro sostentamento, regalandole una vita piena di soddisfazioni sotto tutti i punti di
vista. Nonostante siano molto spesse, le pareti di questa casa non isolano bene le stanze. Una mattina li udii discutere animatamente. Angela affermava di essere stanca di vivere nell’ombra del marito, voleva ritrovare una sua identità e un figlio non poteva essere la tomba dei suoi desideri e della sua realizzazione. Poi lei si rifugiò nel suo giardino per curare le sue piante ogni giorno, una ad una. Credo che il signor Puddon non sapesse nemmeno che la moglie aveva ricominciato a cucire nell’ultimo periodo, forse per quel motivo Angela avvolse il materiale che doveva spedire a Sonia in un fagotto simulando che stesse tenendo in braccio il suo bambino, per non destare sospetti mentre lo caricava in macchina. Poi nessuno la rivide più, povera donna». «Se n’è andata portando con sé il suo sogno», constatò Lynda, commossa dalle parole e dalla voce di Margaret che si era fatta via via più dolce, quasi materna. «E’ proprio così», concluse la donna, per poi soffermarsi a guardare gli occhi della ragazza che in quel momento la fissavano. «Come mi devo comportare ora con Charlie? Dovrei dirgli tutto oppure no?». «Questo dovrebbe saperlo lei, Lynda. Non sono di certo io a doverle consigliare che cosa fare in questo momento. Ha voluto sapere come stanno le cose ed io le ho raccontato tutto quello che so e che ho vissuto in prima persona. Bene, io la mia parte del guaio l’ho fatta ormai, ho vuotato il sacco! So che forse non avrei dovuto farlo, ma ad essere sincera ora mi sento davvero meglio, in pace con me stessa e anche con Beth visto che ho raccontato tutto a sua nipote. Quando Puddon scoprirà che ho riaperto questo vaso di Pandora, mi caccerà via da questa casa, ne sono sicura». «No Margaret, Anthony non lo farà mai». «E perché non dovrebbe? A che cosa gli può servire una serva che non sa farsi gli affari suoi?». «Per diversi motivi. Tu sei stata una sua complice in quel periodo e avete fatto tutto questo per il bene del bambino. Se ti cacciasse via, tu potresti anche fargliela pagare in qualche modo. Ma a parte questo, Anthony è un uomo buono, ora ne sono più che certa. Sono anche sicura che ti vuole davvero molto bene e che ti stima molto per tutto il lavoro che fai per lui e per la tenuta dove viveva con sua moglie Angela. Non abbandonerebbe mai una donna come te, colei che gli è stata così vicino in momenti tanto difficili della sua vita fino al punto da
contraddire a regole della propria persona, valicando anche i limiti della legalità. Non temere, ti sarà sempre riconoscente. Inoltre ora le cose sono cambiate. Charlie è un uomo, i suoi genitori adottivi sono morti, così come zia Beth. E’ giunto il momento che il mio caro amico di giochi, il ragazzo del quale mi sono innamorata, sappia tutta la verità». Gli occhi delle due donne si penetrarono a vicenda, rimanendo immobili fino a quando un dolce sorriso sbocciò sulla bocca di entrambe. Si abbracciarono, e in quell’abbraccio Margaret sentì tutto il calore delle braccia di Beth.
20.
Charlie nel frattempo era rientrato in casa e sedeva nel salotto con Anthony. Era preoccupato per Lynda, visto che non aveva sue notizie da troppo tempo ormai e ogni minuto in più trascorso all’interno di quella casa gli sembrava un’eternità. Anthony gli parlava ma lui riusciva a rispondere solo distrattamente, non era interessato a quei discorsi che riguardavano insignificanti eventi o persone nel paese con le quali lui non aveva nulla a che fare. Lui voleva solo sapere dove fosse la sua Lynda, che cosa stesse facendo, se fosse riuscita a trovare quello che cercava e, soprattutto, se fosse riuscita a non farsi scoprire da Margaret. Sentì i i di persone che scendevano lentamente le scale, rabbrividì pensando che dovevano essere più di una, visto il rumore che facevano. Margaret, seguita da Lynda, si annunciò sulla porta del salotto. Sentita la sua voce, Anthony Puddon si voltò lentamente per guardarla, senza lasciare la pipa che aveva ri poco prima e che teneva ben salda tra le mani. Vide subito Lynda insieme alla donna, ma non tradì alcuna emozione, come se si aspettasse di vederla lì in quel momento. «Signor Puddon, ho incontrato Lynda qui fuori poco fa, è venuta a trovarla». «Grazie Margaret, sei gentile e premurosa come sempre. Ma Lynda qui da noi è di casa, non ha bisogno di essere annunciata. Lei può entrare e uscire quando e come vuole, dico bene Lynda?». Charles non era per nulla convinto di quella sentenza bonaria espressa dall’uomo, temeva nascondesse un significato diverso tra le sue parole. Lynda non rispose, posò la mano sulla spalla di Margaret in segno d’intesa e di ringraziamento per non aver denunciato la sua intrusione non autorizzata in casa e si diresse verso i due uomini. Li guardò negli occhi restando in silenzio, ando dall’uno all’altro come se stesse assistendo ad una partita di tennis. Poi si sedette con la sua solita eleganza, aggiustandosi per bene il vestito, e iniziò a parlare. «Charlie, Anthony. Vi ringrazio per l’attenzione che mi state accordando e anche per quella che mi vorrete dedicare nei prossimi minuti», disse Lynda con espressione seria. Anthony continuò a stringere la sua pipa tra le labbra e tra i
denti, tradendo un po’ di agitazione. Composto, però, fece un cenno di consenso con il capo. «Charlie, ora tutto mi è chiaro e tra pochi istanti lo sarà anche per te. Ti prego di ascoltare bene le parole che il nostro Anthony ha da dirti e che da troppi anni ormai conserva all’interno del suo cuore senza averne una ragione precisa», disse puntando dritto agli occhi del ragazzo che la fissava perplesso e preoccupato allo stesso tempo. Poi rivolgendosi a Puddon, «Anthony, ti prego, se vuoi cominciare ti lascio la parola». La finta tranquillità che fino a qualche istante prima aveva riempito il viso dell’uomo lasciò il posto a più marcate espressioni di smarrimento e paura. Era disarmato e si trovava con le spalle contro il muro. Riuscì solamente a emettere qualche suono con la bocca, tradendo completamente tutta la sensazione di disagio che stava vivendo. «Ma io non… Non so che cosa dovrei dire, quali segreti dovrei confidarvi…». «Ti aiuto io se vuoi, non preoccuparti. Partiamo da una persona e dal suo nome. Angela». La stanza piombò nel silenzio, poi interrotto da Margaret la quale non desiderava altro che andarsene via da lì. «Con permesso signori, mi ritiro nella mia stanza», disse la donna pallida in viso e con gli occhi spalancati come se avesse appena visto un fantasma. «No Margaret, ti prego! Resta anche tu qui con noi. Tu sai già tutto e fai parte della vita di Anthony da moltissimi anni ormai, non dovrebbero esserci più segreti per te», esclamò Lynda alla volta della donna, regalandole un rassicurante sorriso, «Per il signor Puddon sarà più semplice parlare in presenza della donna che lo ha aiutato a salvare la vita di un bambino. Sarà più semplice per lui liberarsi per sempre dal peso che gli attanaglia il cuore da troppo tempo, permettendogli finalmente di aprirsi e di donare l’amore che merita a questa persona». Anthony posò la pipa sul tavolo, gli tremava la mano. Si sistemò composto sul divano e si portò le mani al viso, scuotendo tristemente il capo. Si arrese e cominciò il suo racconto.
«Lynda, ne deduco che tu sappia già tutto. Margaret, grazie per averle raccontato come stanno le cose in realtà. Lynda ha ragione, è bene che tu stia qui ad ascoltare anche la mia versione, in modo che Lynda e Charlie possano percepire la realtà nella sua interezza, proprio così com’è avvenuta. Come tutti voi già sapete, Angela era mia moglie, morta in un incidente d’auto tanti anni fa». Anthony Puddon proseguì il suo racconto fino alla fine, volgendo lo sguardo verso le persone nel salotto ma incrociando quello di Charlie con enorme difficoltà. Charlie non era solo un suo amico e collaboratore, lui era suo figlio, il suo bambino. Il ragazzo lo stava a guardare immobile, prima con incredulità e poi con rassegnazione. La verità che gli si riversava davanti agli occhi come un fiume in piena lo aveva completamente scosso. Era inutile lottare contro qualche cosa di molto più grande di lui. Ben presto nella mente del ragazzo le immagini rubarono il posto alle parole. Il suono delle parole e della voce di Anthony Puddon divenne sempre più deboli e l’immagine di un bambino che giocava sulla spiaggia davanti al maniero apparve sempre più nitida e dai contorni ben definiti. Quando il bambino volgeva il suo sguardo verso la casa vedeva sempre qualcuno. Era un uomo, ogni volta lo guardava e rimaneva lì fuori seduto per ore con la sua pipa in bocca ad osservarlo. Lo controllava continuamente, a volte fin quando il sole non scompariva dietro l’orizzonte. Quando sua madre lo chiamava e gli diceva che era ora di andare a casa, lui si congedava dalla riva del mare e salutava quell’uomo con la mano. Sua madre gli indicava sempre quell’uomo, lo invitava a salutarlo con la sua manina e lui lo faceva, anche se non sapeva nemmeno chi fosse. Solo ora stava scoprendo che quell’uomo si stava prendendo cura di lui, in quel momento ma anche in tutti gli altri momenti della sua giornata. Quell’uomo, suo padre, aveva lasciato per sempre il suo lavoro per accudire il figlio, per stargli vicino seppur nella lontananza forzata che alcuni loschi individui avevano deciso di imporgli. Quell’uomo, con il suo sacrificio, aveva potuto donargli una buona vita e l’amore di un padre e di una madre. Lui non avrebbe mai potuto offrirglielo in prima persona. Anthony Puddon era visibilmente commosso mentre parlava. Angela aveva pagato con la sua vita per lui. Lo pensò, ma non lo disse. Quello sarebbe stato il suo punto di vista, il piccolo segreto che avrebbe conservato per poi porvi rimedio a modo suo. Il suo cuore era diventato più leggero e la sua anima rilassata pareva finalmente libera di fluttuare sospinta dalla marea dei ricordi, belli e brutti, che affioravano alla sua mente con continuità. «E questo è tutto. Questa è la mia verità, queste sono le mie vere colpe alle quali
ancora devo rimediare», disse Anthony a conclusione della sua confessione. Nel salotto ripiombò nuovamente il silenzio. Lynda cercava gli occhi di Charlie ma lui non rispondeva al suo invito. Si era isolato, incapace di sfuggire ai pensieri che in quel momento gli affollavano la mente. «Charlie», lo chiamò Lynda con dolcezza. Sperava in una sua reazione che però non arrivò. Il ragazzo si alzò in silenzio, fingendo meccanicamente di sistemarsi i vestiti che già erano in perfetto ordine e si diresse verso la porta. Margaret lo guardò e con fare materno gli posò dolcemente una mano sulla spalla. Lui la guardò, le prese la mano e l’accarezzò. Le accennò un sorriso e si girò verso gli altri. «Io… Io vorrei andare a casa mia ora», disse con gli occhi pieni di lacrime e con il nodo alla gola. Poi, rivoltosi nuovamente verso Margaret, la ringraziò e uscì dalla casa. «L’ho perso per sempre Lynda. Ho perso mio figlio, per la seconda volta», esclamò Anthony senza avere il coraggio di guardare la ragazza. Lynda si alzò e andò verso di lui, per sedergli accanto e abbracciarlo. «Il mio Charlie capirà. E’ naturale che ora sia scosso dalla notizia, come lo fui anch’io alcuni giorni fa quando venni a sapere il nome del mio vero padre. Lui non sospettava nulla di tutto questo. Almeno così credo, visto che non me ne ha mai parlato». «Non potrà mai capire Lynda. Non si può capire, ma soprattutto non si può pretendere il perdono per un padre che abbandona suo figlio per poi restare lì a vivere nella sua ombra per anni! Non ci sono scuse valide per giustificare un comportamento da vigliacco come il mio!». «Tu gli hai salvato la vita Anthony! E questo Charlie l’ha capito benissimo, ne sono sicura. Ora vado a casa e non appena mi sarà possibile, gli parlerò. Vedrai, tutto si sistemerà. Parlarne è stata la cosa giusta da fare, credimi». Anche Lynda lasciò la casa e Margaret si ritirò nella sua stanza. Anthony Puddon rimase da solo nel salotto, seduto sul suo divano. Vagava con lo sguardo vuoto e quasi spento oltre la finestra. Immaginò di vedere la sua cara moglie Angela nel giardino mentre curava i suoi rododendri. Si vedeva fermo sulla terrazza ad
ammirare la donna in tutta la sua bellezza. Non l’aveva mai vista così bella, era tutta vestita di bianco e con i suoi biondi capelli mossi e sciolti che le cadevano sulle spalle. In quell’immagine che animava la sua mente, Angela aspettava un figlio. Mentre lei gli sorrideva, si accarezzava il ventre come se volesse ricordargli che quel dono d’amore presto sarebbe arrivato a portare tanta felicità nella loro casa. Ma la loro felicità fu spazzata via, troncata dalla vita, dalle sue scelte sbagliate e dai suoi errori. Rimase lì seduto senza far nulla, sommerso sempre dai suoi pensieri, cercando parole nuove da dire al figlio nel tentativo di riavvicinarsi. Ma non arrivava nulla di buono nella sua mente e capì che probabilmente era davvero finita per lui. Quando Margaret si presentò per chiedergli cosa doveva preparare per cena, lui rispose che non aveva fame e la congedò. Le chiese però se poteva fargli una commissione in paese, la mattina seguente, e lei acconsentì. Aprì un cassetto, prese un foglio di carta con una penna e cominciò a scrivere. L’indomani Lynda si svegliò molto presto. Era ancora buio ma i primi bagliori indicavano che sarebbe stata una bella giornata e un sole splendente avrebbe riempito di luce e calore un cielo libero dalle nuvole. Le ore avano ma di Charlie non ebbe alcuna notizia. Avrebbe atteso ancora fino all’ora di pranzo e se non si fosse fatto vivo, gli avrebbe telefonato. Raccontò quanto successo a Sarah e James, i quali notarono subito le forti coincidenze di eventi accaduti ai due ragazzi. Anche Puh sembrava attento al racconto. «Questo vi unisce ancora di più», fu il commento di James dopo aver saputo che tra loro due era sbocciata una storia d’amore destinata forse a durare nel tempo. Al maniero Anthony Puddon era rimasto da solo. Uscì in giardino e eggiò tra i rododendri. Pensò all’idea che suo figlio aveva avuto per il giardino, era splendida e se solo avesse potuto sarebbe stato felice di vederla realizzata. L’aria fresca della brezza mattutina, lievemente impregnata del profumo del mare che animatamente urtava gli scogli sulla riva, gli riempiva i polmoni. Ora la sua mente era lucida e il suo cuore leggero. Finalmente sapeva che cosa doveva fare, non aveva più dubbi. Si chinò verso una pianta e raccolse un bel fiore di rododendro di un colore rosso intenso. Sfiorò con le dita i delicati petali, meravigliandosi di quanto fossero vellutati al tatto. Per tanti anni quei fiori avevano colorato il suo giardino, ma solo in quel momento riusciva ad apprezzarne completamente la bellezza. Ad Angela quel fiore sarebbe piaciuto moltissimo. Gli uccelli volavano alti nel cielo. Alcuni venivano a cercare rifugio tra i rami dei suoi alberi e vi si fermavano per riposare un po’. Come erano belli!
E potevano volare, era loro concesso ammirare il mondo dall’alto verso il basso, come solo una divinità poteva fare. L’uomo invece è costretto a vivere in un piccolo spazio tra le sue cose materiali, imprigionato dalla sua casa, dai suoi soldi e dalla sua smania di successo. E’ proprio l’uomo a crearsi da solo la sua prigione e vi si rinchiude per sentirsi protetto al suo interno. Ma l’uccello no, non fa questo. Lui vola alto nel cielo ando da un albero all’altro, cerca il cibo per la giornata e senza preoccuparsi troppo per il suo domani. Forse anche un uccello sa che prima o poi dovrà morire, ma non se ne accorgerà mai perché lui continuerà a volare, in questo mondo o in un altro per lui non fa differenza. Gli si strinse il cuore per il rammarico di non essere mai stato capace di volare come un uccello. O almeno non ancora. Il silenzio regnava sovrano nella casa, si percepiva solamente il ticchettio dell’orologio che scandiva il trascorrere continuo del tempo mentre il suo si sarebbe presto fermato. Seduto sul suo divano, Anthony si meravigliò notando quanto quel ritmo fosse sincrono con il battito del suo cuore. Un cuore che batteva da tanti anni, per qualche cosa o per qualcuno che aveva veramente amato. Infilò del tabacco nella sua pipa e lo accese. Aspirò a fondo quel fumo dal sapore dolciastro, cercando di imprimere nella mente il ricordo di quella sensazione. Sentiva l’aria calda entrare ed uscire dai suoi polmoni, mentre i suoi occhi seguivano ne nuvolette di fumo che produceva. Erano sospese nell’aria, prive di peso, in assenza totale di materia, di sostanza. Pura essenza, solo spirito. Forse anche la sua Angela era così. Forse lei gli era sempre stata accanto, aveva abitato per tanto tempo nel suo cuore, accarezzando la sua anima, tenendolo per mano fino a quel giorno. Forse era stata proprio Angela a suggerirgli le parole che aveva espresso nella sua confessione il giorno prima con inattesa lucidità. E forse era proprio la presenza di Angela accanto a lui a infondergli il coraggio di portare a termine i suoi propositi. Si alzò, prese la chiave del suo cassetto privato e lo aprì. Con grazia ne estrasse la lettera scritta il giorno prima e la pistola tenuta nascosta a tutti per molto tempo. Prese anche un panno. Poi richiuse il cassetto e si sedette nuovamente sul divano. Lentamente con il panno lucidò la pistola. Lo fece lentamente e con attenzione, partendo dalla canna e procedendo lungo di essa fino al grilletto e all’impugnatura. La controllò più volte e quando vide che non vi era più alcuna macchia su quell’arma capì che era giunto il momento di eliminare anche quelle rimaste nella sua anima. Caricò la pistola con un solo proiettile che posizionò proprio sotto il martelletto d’innesco. Ripiegò con cura il panno e lo avvolse intorno all’impugnatura dell’arma, per non sentire quella sensazione fredda offerta dal legno duro e dal metallo. Appoggiò la lettera sulle sue gambe chiuse,
avendo cura che le parole “Da parte di tuo padre” fossero ben visibili. La porta di casa era stata lasciata volutamente accostata ma non chiusa, in modo che chiunque avrebbe potuto entrare senza fare danni. Si rilassò sul divano mentre con la pistola saldamente tenuta nella mano destra tracciava disegni immaginari sul suo viso, immagini che lui riusciva a vedere benissimo con la sua mente. Nella mano sinistra, ben aperta, teneva il fiore di rododendro rosso. Chiuse gli occhi e chiamò Angela. Lei arrivò, la vedeva come una figura bianca sullo sfondo nero uniforme. La donna gli sorrideva e gli allungava la mano, senza però parlare. Una lacrima gli solcò il viso. Sullo sfondo nero di quell’immagine vide anche sé stesso per la prima volta. Voleva raggiungere Angela, per abbracciarla e per sentire ancora una volta il suo profumo. Ma qualche cosa glie lo impediva, si sentiva come legato. C’era una barriera invisibile che non permetteva loro di riunirsi, di toccarsi. Doveva agire, liberarsi dal corpo e volare con il suo spirito verso di lei. Puntò la pistola alla tempia e strinse forte gli occhi. Aveva paura! Rivide nuovamente l’immagine di Angela ma non vide più sé stesso. Non percepiva più nulla, nessun rumore, odore o sapore. Tutto si era spento, come se qualcuno avesse staccato la spina. Era giunto il momento e il suo corpo si era messo nella condizione più adatta per facilitargli il compito. Nella sua mente il viso di Angela era divenuto serio, poi spaventato. Con la mano lei lo respingeva e pur senza parlare gli diceva di non farlo. Mentre il dito stava per compiere il gesto estremo, una mano afferrò la sua e cercò di spostare la pistola. Partì comunque un colpo. Il rumore che ne seguì fu forte, penetrante, ed echeggiò nel salotto per diversi secondi. Alcuni uccelli spaventati spiccarono il volo, mentre alcuni fiori di rododendro persero i loro petali. Nel salotto un rododendro rosso, bellissimo e dai petali vellutati, cadde a terra senza scomporsi. Un uomo e una donna si toccarono, si abbracciarono e si baciarono, per poi distaccarsi nuovamente. L’immagine di una donna, Angela, vestita di bianco e con i biondi capelli mossi aperti sulle spalle reggeva tra le mani giunte un bellissimo fiore di rododendro rosso. Lo baciò mentre piano piano svaniva nel nulla. Aprendo gli occhi vide riapparire delle immagini, sentì i profumi e il tatto gli faceva percepire la sensazione del peso del suo corpo che premeva sul divano. E’ forse questa la morte? Non è differente dalla vita che aveva deciso di lasciare qualche istante prima? E Angela, dov’era andata? Perché era svanita nel nulla lasciandolo nuovamente da solo? Sentì una mano forte e decisa stringergli il polso destro, mentre con l’altra gli sfilava la pistola. Non era morto, non poteva esserlo! Si voltò.
«Che cosa fai, papà? Perché volevi abbandonarmi un’altra volta, proprio adesso che ci siamo ritrovati?». Anthony non riuscì a credere ai suoi occhi. Charlie, il suo ragazzo era proprio lì con lui e lo aveva strappato alla morte. Gli aveva impedito di compiere un gesto estremo e forse il più vero e grande errore della sua vita. «Figlio mio!». Si abbracciarono. L’abbraccio tra un padre e suo figlio, come mai era successo prima in tanti anni, era vissuto da Anthony come un miracolo, il regalo estremo che sua moglie gli aveva fatto. Chiuse gli occhi e la rivide. Era contenta, sorrideva e portava il rododendro rosso tra i capelli. «La mamma è contenta figlio mio. E stata lei a portarti da me questa mattina, lo sai?». «Nel mio cuore ho sentito che dovevo venire qui da te papà, e l’ho fatto. Ti voglio bene, te ne ho sempre voluto tanto e sempre te ne vorrò». Si persero in un nuovo abbraccio.
21.
Nel primo pomeriggio Lynda chiamò Charlie. Il ragazzo rispose dopo qualche lunga esitazione. «Ciao, come stai?», chiese lei, aperta ad ogni possibile risposta. La tensione che si sentiva nell’aria era palpabile. «Non molto bene ad essere sincero. Mio padre è vivo per miracolo», rispose lui. «Anthony? Che cosa gli è successo?». «Ha cercato di togliersi la vita. Questa mattina sono andato a casa sua per parlargli di quanto successo ieri e per riappacificarmi con lui. L’ho trovato sul suo divano con una pistola puntata alla testa. Sembra incredibile, ma se fossi arrivato anche solo un secondo più tardi, lui ora non ci sarebbe più». «Mio Dio, Charlie! E ora?». «Ora sono qui da lui. E’ sereno, sta bene e ci siamo chiariti. Ho ritrovato un padre Lynda, sono felice!». «Sia ringraziato il cielo amore mio! Senti, vengo da voi alla tenuta, aspettatemi». «No Lynda, è meglio di no. Verrò io da te domani mattina. Parleremo con più calma, anche per quanto riguarda noi due, il nostro futuro e quello del nostro progetto». «Mi devo forse preoccupare Charlie?». «No, assolutamente. Però penso sia giunto il momento di chiarire per bene come stanno le cose e decidere come proseguire. Stai tranquilla amore mio, non c’è davvero nulla di cui preoccuparsi». «Ti aspetto domani mattina allora, ti prego non tardare!». «Non tarderò. La data del concorso si sta avvicinando, perché non cominci a
pensare a quale torta preparare per poter vincere la gara?». «Non siamo ancora sposati e già mi dai dei compiti?», disse Lynda sorridendo, «Va bene, lo farò. Ti amo tanto!». «Ti amo anche io Lynda. Ciao». Per tutto il pomeriggio la mente di Lynda vagò sui discorsi che l’aspettavano per il mattino seguente. Si dedicava al dolce per il concorso, ma non riusciva a concentrarsi e i risultati lo dimostrarono. Sarah e James notarono la preoccupazione dipinta sul volto della figlia e pensarono che sarebbe stato meglio lasciarla da sola, perché potesse riflettere bene e sfogarsi se necessario. Se avesse avuto bisogno di un consiglio o uno scambio di opinioni, loro sarebbero stati ben lieti di darle una mano. Solo il suo fedele Puh rimase accanto a lei. Anche durante la notte non riuscì a riposare bene e il mattino seguente, guardandosi allo specchio, vide i segni lasciati dalla preoccupazione per tutto quel tempo. Ma ben presto avrebbe parlato con Charlie e avrebbe rimosso tutte le incognite. Era solo una questione di tempo. Charlie arrivò come sempre faceva, annunciando la sua presenza con il clacson prima di entrare nel cortile. Lynda gli corse incontro, lo abbracciò e lo baciò. «Mi sei mancato tanto Charlie!», esclamò. I suoi bellissimi occhi si perdevano a loro volta nella bellezza di quelli di Charlie. «Anche tu Lynda. Ma ieri dovevo stare con mio padre, aveva bisogno di me». «Come sta ora?». «Sta bene. Lo vedo felice. Abbiamo parlato molto ieri, ci siamo raccontati tante cose l’uno dell’altro che ancora non sapevamo». «Sei sicuro che non farà altre sciocchezze?». «Si, sono sicuro. Mi non fatto consegnare la chiave del cassetto dove tiene la pistola», rispose lui mostrando la piccola chiave d’ottone alla ragazza, «Mi mancava un padre, lo sai?». «Sai, io penso che vi siate voluti sempre molto bene, in tutto questo tempo. Forse tu non sapevi come stavano le cose, ma lui si è sempre comportato come
un ottimo padre con te, ti ha cresciuto in silenzio avendo cura di non farti mancare nulla. Non è davvero da tutti sacrificarsi in questo modo». «Gli ho parlato anche del progetto per la pasticceria che vogliamo avviare». «Charlie!», esclamò Lynda, sorpresa da tanta trasparenza di Charlie verso il suo nuovo riscoperto padre, «Perché non ne hai parlato con me prima? E se io non fossi stata d’accordo?». «Lynda, ascolta quello che ho da dirti». Il cuore di Lynda cominciò a batterle forte nel petto. Stava scorrendo tutto così velocemente! Forse Charlie voleva dirle qualche cosa di veramente importante, voleva esternare tutto l’amore che provava per lei, un amore che lei avrebbe assorbito completamente, facendolo suo e ricambiando a sua volta con tutta la ione che poteva e sapeva trovare. Forse voleva chiederle di sposarlo! Temeva quelle parole, le vedeva posarsi sulle labbra di Charlie e uscire dalla sua bocca come sospinte dal vento. Lo guardò negli occhi ancora una volta, quella volta che sapeva non essere la prima ma nemmeno l’ultima. Il suo cuore era aperto e attendeva quella proposta per potergli rispondere con un forte “Si”. Gli prese le mani e glie le strinse. «Dimmi tutto, Charlie. Ti ascolto». «Mio padre è felice per l’idea che abbiamo avuto! Dice che nella sua tenuta ha tanto spazio e ci vorrebbe dare una delle sue dependance per aprire la nostra pasticceria! Ci pensi Lynda? Avremo la nostra pasticceria!». Lynda abbassò lo sguardo e nei suoi occhi si spense quella luce che li aveva fatti brillare fino a qualche istante prima. Quella frase appena uscita dalla bocca di Charlie era piombata su di lei come una secchiata d’acqua sulle fiamme. «Era questo che mi volevi dire riguardo al nostro futuro Charlie?», chiese lei cercando di alimentare la vana speranza di aver inteso male le sue parole. «Ma certo che si amore mio! Ti pare poco? Pensa, avremo la nostra pasticceria! Sarà attrezzatissima, ricchissima e in un posto stupendo. Quando la gente verrà da noi si sentirà a suo agio, potrà consumare i nostri dolci direttamente sul posto o farseli servire giù alla spiaggia! Non è stupendo?».
«Si Charlie, è stupendo. Complimenti hai avuto una bellissima idea, parlare con tuo padre di tutto questo è stato veramente geniale, degno davvero di una mente sopraffina. Complimenti per il tuo successo. Ora ti servirà solamente una persona disposta a seguirti in tutto questo». Charlie si sentì raggelare il sangue nelle vene. Stava appena realizzando l’errore che aveva commesso e già ne stava pagando il conto salato. La sua superficialità aveva annebbiato i suoi sentimenti, rendendolo incapace di capire ciò che Lynda avrebbe voluto davvero sentire uscire dalla sua bocca. Aveva anteposto la pasticceria alla loro storia d’amore, aveva scambiato la causa con l’effetto. «Lynda, ti prego di perdonarmi. Sono stato uno stupido e insensibile». «Non hai nulla di cui farti perdonare Charlie. Davvero nulla. Sei stato sincero, trasparente e molto leale. Hai espresso ciò che per te ha veramente importanza, hai saputo definire le tue priorità e questo è bello, ti fa davvero onore». «Lynda, la persona adatta per portare avanti con successo questo sogno sei tu! Senza di te non ci sarà futuro, per nulla e per nessuno. Pensa anche a tua zia Beth». «Zia Beth non ha nulla a che vedere con tutto questo, per favore smetti di utilizzarla come scusante per realizzare progetti che sono solo tuoi». «Sono nostri progetti Lynda». «No Charlie, sono solo tuoi. In cucina puoi trovare un’idea che ho pensato per il concorso. Trova una persona che possa aiutarti a realizzarla». «Lynda, ma io ti amo!». «No, tu non ami me. Tu ami un’idea, un progetto. Io forse rappresento solamente uno strumento che ti potrebbe permettere di realizzarla. Mi dispiace davvero Charlie. Avevo sognato un futuro diverso per noi due, ma evidentemente mi sbagliavo. Tornerò a New York, troverò un nuovo lavoro e ci resterò. Buona fortuna Charlie», concluse Lynda per poi abbandonare il ragazzo da solo nel cortile. «Ci vedremo domani?», chiese il ragazzo. Ma non ricevette alcuna risposta, quindi risalì sulla sua auto e se ne andò.
Lynda pianse per tutto il giorno e tutta la notte. Decise che avrebbe preso l’autobus per l’aeroporto il mattino seguente. Avrebbe fatto il biglietto direttamente in aeroporto e se non avesse trovato un volo avrebbe visitato la città e dormito in hotel per qualche giorno fino al momento della partenza. Sarah e James non riuscirono a convincerla a restare e lei li pregò di non avvisare Charlie della sua imminente partenza. Nemmeno Charlie dormì quella notte. Continuava a masticare le parole insensate che aveva detto e che avevano tanto ferito la donna che amava. Lynda si aspettava di sentir parlare di un progetto che riguardasse loro due, la loro vita insieme, i loro sentimenti. E invece lui aveva anteposto a tutto questo l’attività, dando l’impressione che fosse molto più importante dell’amore che provava per lei. Doveva fare qualche cosa, prima che fosse troppo tardi, ma che cosa? Lynda se ne sarebbe andata, sapeva che lei non era di certo una persona di false promesse. Si chiedeva quando questo sarebbe accaduto. Doveva fare qualche cosa, e doveva farlo subito. Altrimenti l’avrebbe persa, e questa volta per sempre. Si alzò di scatto dal letto e si mise al lavoro. Arrivò il mattino. Lynda sistemò le sue ultime cose, salutò sua madre Sarah e suo padre James con un forte abbraccio prima di uscire per avviarsi alla fermata dell’autobus. Si raccomandò molto per loro, scusandosi per non aver potuto esaudire il desiderio di Beth di partecipare e vincere in concorso. Ora per lei non aveva più alcun senso visto che si era separata da Charlie. Il suo periodo in Cornovaglia era finito, e con esso la speranza di aver finalmente trovato un amore sincero e incondizionato. Perdendo Charlie le sembrava di aver perso una parte di sé stessa, quella parte che era sempre stata nascosta dentro di lei senza mai trovare il coraggio di farla uscire allo scoperto. Si diresse verso la fermata e attese pochi minuti prima che l’autobus arrivasse. Pioveva a dirotto, proprio come quel giorno in cui, appena arrivata, incontrò Anthony. “Che strana coincidenza”, pensò. Sistemò il suo bagaglio nella stiva e salì. C’era già tanta gente in giro a quell’ora del mattino, ma nonostante tutto lei si sentiva completamente sola. Trovò dei posti ancora liberi e vi si sistemò, sperando che nessun altro le si fosse seduto accanto. Quando l’autobus partì, sentì una morsa stringerle il cuore. Aveva sperato fino all’ultimo di riuscire a trovare la forza per cambiare idea, un motivo che l’avesse convinta a restare. Charlie non era venuto a fermarla. Forse avrebbe dovuto dirgli quando sarebbe partita, per vedere come avrebbe reagito. Forse avrebbe capito in quel momento quanto l’amava. Guardò fuori dal finestrino. Come era bella la campagna inglese, quei paesaggi della Cornovaglia che apparivano così dolci e misteriosi anche sotto la pioggia! Ogni
goccia che cadeva contro il finestrino già abbondantemente bagnato cambiava il mosaico e il paesaggio le compariva sempre diverso, modificato. Perché non scendere e correre a casa, sotto la pioggia? Le avrebbe lavato via i pensieri! Perché non prendere il telefono e chiamare Charlie, chiedergli di venire a prenderla alla prossima fermata per tornare a casa con lui, per abbracciarlo, baciarlo e iniziare una vita insieme? No, non poteva farlo! Charlie non amava lei! Inoltre dopo il suo comportamento del giorno prima Charlie non avrebbe più voluto saperne nulla di lei. Non l’avrebbe mai più cercata, si sarebbe rifatto una vita con un’altra donna e con lei avrebbe aperto la pasticceria nella tenuta di suo padre. “Hai perso tutto Lynda. Hai voluto perdere tutto!”, si rimproverava mentre una lacrima si affacciava timidamente sui suoi occhi. Si lasciò trasportare dai pensieri, i pensieri di una donna sconfitta che aveva scelto la solitudine come suo obiettivo di vita. Si arrese e si addormentò. Charlie arrivò di corsa al cottage e cercò di aprire il cancello ma non ci riuscì, era chiuso a chiave. Ad alta voce cominciò a chiamare Lynda, pregandola di uscire e di aprirgli. Al suo posto vide arrivare James, avanzava verso di lui reggendo in mano un piccolo ombrello che a fatica riusciva a ripararlo dalla pioggia che si era fatta via via più intensa. «Ciao ragazzo mio. Mi dispiace tanto dirtelo ma arrivi tardi. Lynda se n’è già andata», confessò l’uomo. Nel rispetto del volere di sua figlia, non avrebbe mai avvisato Charlie, ma non aveva previsto che sarebbe stato proprio il ragazzo a fargli visita quello stesso mattino. «No, Lynda!», esclamò il giovane, «Sta tornando a New York?». «Esattamente ragazzo. Ma l’autobus è ato solo una mezz’oretta fa. Se fai in fretta puoi ancora riuscire a raggiungerla. Dai vai a riprenderti la donna che ami, forza! Corri!». Il viso di Charlie s’illuminò di nuova speranza. Abbracciò James ringraziandolo con un sorriso e corse in macchina. Non aveva mai guidato come un pazzo in quel modo, lui che era sempre stato attento alle regole del codice stradale. Ma ora non gli importava più nulla, voleva solamente raggiungere l’autobus il prima possibile, riprendersi la sua compagna e gridarle quanto l’amava. Aveva lavorato tanto durante la notte per preparare quanto gli sarebbe servito per convincerla. Se fosse stato necessario, sarebbe arrivato fino in aeroporto e avrebbe setacciato tutti i gate pur di trovarla e riprendersela. Mentre sfrecciava sulla strada l’acqua
schizzava ovunque e i tratti molto bagnati lo facevano slittare. Ma Charlie continuava, senza paura. Ad un tratto vide un autobus davanti a lui e lo riconobbe subito, era l’autobus che andava in aeroporto e Lynda era lì sopra! Sapeva che non c’erano fermate in quella zona, quindi l’autobus avrebbe proseguito per un bel pezzo prima di fermarsi. Per fermarlo doveva superarlo e bloccargli la strada! Si spostò sulla corsia opposta per superarlo, senza accorgersi che si trovava in prossimità di una curva. Dalla parte opposta arrivava un trattore. Charlie lo vide all’ultimo momento, non c’era spazio per are e lui stava già fiancheggiando l’autobus. Poteva solo cercare di evitare l’impatto, sterzando verso il campo. Frenò con forza e il rumore delle ruote bloccate sull’asfalto lucidato dalla pioggia si sentì bene anche sull’autobus. Il mezzo finì nel campo, rovinando pericolosamente e girandosi su se stesso più volte. «Oh mio Dio! Che disastro!», esclamarono i eggeri sull’autobus. Lynda si destò e provò a guardare fuori dal finestrino senza però vedere nulla. L’autista rallentò e accostò per poter scendere e prestare soccorso al malcapitato. Tutta la gente si alzò per guardare cosa fosse successo. Lynda li seguì e vide l’autocarro di Charlie. Lo riconobbe immediatamente, nonostante i danni che aveva subito. «Charlie!!! No Charlie, no!», esclamò per poi riversarsi in strada e correre verso di lui. «Signorina! Signorina la prego aspetti! Può essere pericoloso!», gridavano gli altri eggeri, ma Lynda non sentiva nessuno e continuava a correre. Quando arrivò in prossimità della macchina, vide un ragazzo uscire a fatica. Era leggermente ferito ma stava bene. Era proprio Charlie, ed era vivo! «Charlie! Charlie amore mio! Sei vivo! Sia ringraziato Dio!», esclamò lei abbandonandosi ad un pianto senza freni. Charlie la guardò, le sorrise e l’abbracciò forte. Si baciarono mentre gli altri eggeri e l’autista applaudivano e sorridevano contenti. «Lynda, io senza di te non vivo. Non posso più vivere! Ho pensato tutta la notte a noi due, al nostro futuro, ai nostri progetti. Lynda, io ti amo! Tu sei la mia vita, sei tutto per me! Ti prego, non te ne andare via, resta con me, amami come io ti amo!». Il giovane fece una breve pausa per raccogliere le idee e poi continuare. «Lynda, mi vuoi sposare?».
Lynda gli sorrise e lo abbracciò, ma non rispose. «Mi vuoi sposare?», ripeté il ragazzo, «Va bene, allora guarda che cosa ho fatto questa notte!». Cercò nell’abitacolo ed estrasse ciò che rimaneva di un contenitore di cartone contenente un dolce andato quasi completamente distrutto durante l’incidente. «Ma questa era una torta!», esclamò Lynda sorpresa. «Si, l’ho fatta io per te. Dai forza, assaggiala e dimmi com’è!». Lynda affondò le dita nel dolce e lo assaggiò. «Non è male! Ma manca qualche cosa secondo me!», rispose lei mentre si ripuliva le dita nel fazzoletto. «Esatto Lynda, dici bene. Manca proprio qualche cosa. E sai cosa manca? Manca l’ingrediente segreto Lynda, manca l’amore da mettere nelle piccole cose e capace di renderle grandi, importanti e vincenti. Io senza di te sono una piccola cosa, proprio come questa torta. Non ho sapore, assaggiami pure se vuoi, mordimi! Ma con te e con il tuo amore posso cambiare anche io, potrò finalmente crescere e vorrò farlo solo con te al mio fianco! Lynda, ti prego, mi vuoi sposare?». «Si Charlie, si! Ti voglio sposare e ti sposerei anche adesso!». Un lungo abbraccio ed un bacio riempirono quei momenti, mentre la pioggia lentamente lasciava spazio ad un timido raggio di sole. Lynda recuperò i suoi bagagli e l’autobus ripartì. I soccorsi sarebbero arrivati nel giro di pochi minuti e li avrebbero riportati a casa. Nonostante il brutto spavento, le ferite di Charlie guarirono nel giro di qualche giorno. «Sei stato fortunato amore mio! Incosciente e fortunato!», gli ricordava Lynda ogni volta che si prendeva cura delle sue medicazioni. «La mia più grande fortuna è stata quella di aver trovato te sulla mia strada. La
vita ci ha uniti fin da piccoli, in attesa che arrivasse il momento opportuno per stare insieme per sempre». Arrivò il giorno del concorso. Non ci fu gara e l’imponenza della torta preparata da Lynda e Charlie ricevette il pieno consenso della giuria, permettendogli di vincere il primo premio e il relativo trofeo. Lynda lo posizionò nella teca di Beth, proprio nel posto che lei gli aveva dedicato. «Ecco zia Beth, questo è per te! Congratulazioni!», disse Lynda mentre lo sistemava. In quel momento una piccola farfalla bianca volò intorno al trofeo per posarsi a riposare sulla sua sommità. «Ecco la cara Beth che ti ringrazia e si complimenta a sua volta con te!», esclamò Charlie mentre abbracciava le spalle della ragazza. Lei gli prese le mani e le baciò. Avviarono la pasticceria nella tenuta di Anthony, era un bellissimo locale che fin dal giorno dell’inaugurazione vide arrivare molti clienti. La chiamarono “Le dolci magie di Beth”. Quando si sposarono, nella primavera successiva, Lynda aspettava una bambina. L’avrebbero chiamata proprio Elizabeth, come la cara zia. Fecero loro stessi la torta, decorandola con tanti fiori di rododendro colorati. La piccola Elizabeth venne al mondo nel mese di Settembre e con il suo pianto riempì l’aria tutto attorno. Anthony Puddon la vide e scoppiò in lacrime quando Charlie glie la mise tra le braccia. «La vita non ti ha concesso la fortuna di essere un padre riconosciuto fin dall’inizio. Ora però puoi recuperare diventando un bravo nonno». Da qui incomincia la vita. E’ sempre stato così da milioni di anni e per altrettanti lo sarà. La vita che nasce dalla vita ti da la forza per continuare, ti aiuta a cancellare il ato, le paure e i dubbi. Quello stesso giorno una nuova piccola pianta spuntò nel giardino dei rododendri di Angela. Quando quella pianta offrì il suo primo fiore, tutti si meravigliarono nel vedere che era di un bel colore rosso intenso.
Edizioni LULU Gennaio 2014