I Creatori Di Mondi - Secondo Volume 5i1m1e

Mirko Belfi

I creatori di mondi

Libro 2

GDS

Mirko Belfi

I creatori di mondi

Libro 2

Editrice GDS

Via Matteotti 23

20069 Vaprio D’Adda-Mi

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www.editoriunitigds.it

TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

Copertina : Fotolia

CAPITOLO 1

Una guerra lunga una vita

Il cambiamento,

riceve l’elogio di chi lo brama, ma fa terra bruciata intorno.

Senza ripagare la sofferenza, spinge per tornare all’origine,

lottare è l’unica via al mantenimento di ciò che si è ottenuto.

Fumi neri e odori acri si emanavano dalle ferite di palazzi e strade, oscurando il cielo.

Mezzi da combattimento sopraffatti, soldati dilaniati e armi di ogni sorta giacevano per la città in fiamme.

Tra le fenditure e gli squarci brillavano le corazze dei soldati, i quali sparpagliati assaporavano la vita che avevano avuto salva e la vittoria.

Sopra le nubi dense si potevano scorgere le navi che portavano via i prigionieri.

Il Colonnello Crumer, come sempre dopo una battaglia, stava assaporando un sigaro seduto sopra l’ala di un aereo precipitato. Ogni boccata portava via assieme al fumo i pensieri di morte, e la mente finalmente poteva rilassarsi.

Su suo ordine gli uomini che fino a poco prima aveva mosso come un singolo individuo avevano rotto le linee. Ora, appagato dal trionfo, cercava di scorgere ciò che ne sarebbe stato della Città-Regno conquistata.

Un segnale acustico proveniente dal casco appoggiato ai suoi piedi lo riportò al presente, sollevò il pettorale della corazza e sfilò un disco nero deponendolo dinanzi e sé.

Il disco proiettò l’ologramma di una persona che disse:

“Colonnello Crumer, vedo con piacere che voi state bene, mi faccia rapporto.”

Crumer diede una lunga tirata al sigaro, e lo depose dentro un foro di proiettile sulla sua corazza, all’altezza della spalla.

“La Città-Regno Australia è conquistata. Inizialmente grazie al fattore sorpresa abbiamo potuto prendere campo, dopodiché c’è stato un lungo scontro a pari forza, sia in cielo che in terra. Alla lunga le loro difese hanno cominciato a cedere, forse non si aspettavano di dover combattere una battaglia così dura. Le

vittime tra i soldati dell’Impero e i nostri non sono ancora computabili.”

“E cosa mi dici dei civili?”

“Erano rinchiusi nei piani sotterranei dei palazzi, il numero delle vittime sarà stato minimo, anche se la città ha risentito molto dello scontro.”

“Che ne è stato di Re Connor?”

“Spiacente Capitano, è fuggito in volo stamane e ha abbattuto i nostri mezzi mandati all’inseguimento; da quel momento i soldati dell’Impero sono come piombati nel panico ed è stato facile sopraffarli.”

“Ottimo lavoro Tenente, la presa della Città era un o fondamentale nella guerra, le N.N.B.P. le sono grate.”

“Non mi ringrazi, Capitano Waxtom, azioni del genere non si risolvono con successo senza una strategia perfettamente pianificata in ogni dettaglio, e la sua lo era. Devo ammettere che prelevare tutte le N.N.B.P. e concentrarle su una città sola mi sembrava una follia, ma lei con una buona strategia di contorno ha permesso la buona riuscita del trasferimento.

Rapire Kshama la figlia del Re dell’India in modo da attirare sulla Fallowing Fable tutte le attenzioni è stato molto coraggioso, senza contare che col riscatto abbiamo finanziato parte delle operazioni.” - Crumer fece una pausa riprendendo a fumare il sigaro. “Quello che non capisco è come diavolo avete fatto a rapire la

ragazza senza scontrarvi con le forze nemiche”

Waxtom sorrise.

“Avete ragione, il rapimento è stato fondamentale, ma io in questo non ho alcun merito. Ora devo lasciarla. Tra poco tutti i mezzi inviati nelle altre Città a fare da diversivo saranno al suo comando per rafforzare le difese.”

Crumer salutò e chiuse la comunicazione.

Era felice per la riuscita del piano, ma era rimasto insoddisfatto dalla conversazione. Da mesi ormai sentiva parlare di un reparto segreto di appoggio alle N.N.B.P. ma ancora non ne aveva saputo nulla. Ora però doveva pensare a ben altro; c’erano da liberare i civili, organizzare le difese e, nel minor tempo possibile, far riprendere vita a un’intera città; la parte più delicata sarebbe stata spiegare senza l’uso della forza ai cittadini che d’ora in avanti non avrebbero più fatto parte dell’ Impero: la loro non era la Città-Regno Australia, da ora era semplicemente Australia.

Città Stato New York (Capitale)

Palazzo galleggiante, Città Proibita (Riproduzione)

Il cielo sopra il palazzo era grigio e il segretario Tyler Greed stava percorrendo con o spedito le vie verso le stanze dell’Imperatore, quando fu richiamato.

“Si fermi, Signor Greed si fermi! L’Imperatore ha lasciato detto di non fare entrare nessuno.”

“Stupido e servile idiota, dove vivi?! La questione è seria devo avvisare subito l’Imperatore, i tredici Re sono già arrivati e lo attendono.”

Omibi, il piccolo e basso funzionario superò goffamente il Segretario e si frappose fra lui e la porta.

“Non importa, punirà chiunque entri, lei compreso e soprattutto me, quindi non la lascerò entrare.”

“Vorrei tanto spazzarti via.” - disse furioso Greed allontanandosi.

***

La Sala Dei Regnanti era come sempre buia e silenziosa, illuminata fiocamente da piccoli lucernai arancioni che scendevano dall’alto soffitto di legno.

I tredici Re cercavano di stemperare la tensione ognuno a modo suo, chi leggendo e chi accendendosi una sigaretta, così che sopra il tavolo ovale si era creata una leggera patina di fumo; nessuno in quella stanza poteva parlare prima dell’Imperatore.

Vi erano: Tullio Neil per l’Italia, Yang Deshi per la Cina, Vasco Praxedis per il

Messico, Bernardo Igalo per l’Argentina, Kamìl Amr per l’Egitto, Voin Nazar per la Russia, Obi Abonsam per il Sud Africa, Wilton Xenocrates per il Brasile, Durgesh Eshwar per l’India, Yoruba Igbò per la Nigeria, Jacob Cole per il Canada, Dre Connor per l’Australia e Jāser Bozorgfar per l’Iran.

Greed sostò davanti alla porta per concedersi un lungo respiro, prima di entrare nella stanza.

Gli ospiti in attesa si alzarono in piedi, mentre il nuovo entrato prendeva posto nella sedia libera, di fianco al trono imperiale.

“Signori, l’Imperatore è molto occupato quindi lo sostituirò io.”

I presenti mormorarono per la delusione, ma comunque, come da rituale, appoggiarono la mano destra sul tavolo e il drago viola scolpito al centro s’illuminò: quello era il segno che si poteva parlare.

“Tu.. tu non hai il potere di sostituire l’Imperatore per una questione così importante.” - disse con disprezzo Voin.

“Io sostituisco sempre l’Imperatore, ogniqualvolta lui non c’è.”

“E’ assurdo! Tu sei solo un portavoce, qui ci vuole un uomo d’esperienza per risolvere la situazione, non eseguirò mai i tuoi ordini.” - continuò Voin.

“Ha ragione, questa crisi necessita di Liven, tu non sei nessuno.” - disse Jāser.

“Silenzio! L’Imperatore non c’è ed egli ha scelto Greed come suo vice, quindi staremo ad ascoltarlo.” - disse il Re dell’India.

“Non sai difendere tua figlia e pretendi di dirci cosa fare?” - disse ridendo Voin.

“Non voglio darvi ordini, ma la questione è seria e va affrontata immediatamente.” - disse Greed imbarazzato; anche lui riteneva che in quella situazione la presenza di Liven sarebbe stata necessaria.

Jāser si alzò dirigendosi verso Voin.

“Ripeti quello che hai detto, bastardo.”

“Vieni che te lo spiego.” - disse Voin mentre erano divisi dagli altri Re.

“Dov’è quel viziato dell’Imperatore?” - urlò Connor. “Il mio Regno è stato invaso, ho dovuto fuggire come un codardo e lui si permette di non presentarsi? Ci metto poco a risolvere la questione da solo e fanculo a questo mond.. hhhaarg!!!”

Connor, Voin e Jāser caddero colpiti da atroci dolori, mentre da un altoparlante uscì la pacata voce di Liven.

“Ho appena ricevuto la notizia che una delle nostre Città-Regno è stata attaccata e conquistata da dei miseri ribelli. La cosa non mi stupisce guardandovi ora, non sapete far altro che litigare tra di voi. E’ inutile che vi dica che il Regno va riconquistato.”

“Signore.” - disse Deshi inginocchiandosi. “Mi offro per comandare le mie truppe verso l’Australia, sono sicuro di poterla riconquistare.

“Non ti prenderai tutto il merito, voglio partecipare anch’io” - disse Vasco.

“Nessuno vi ha detto di parlare, idioti! Se doveste svuotare le vostre Città del vostro esercito, potreste essere attaccati e conquistati a vostra volta. Inoltre, un grande esercito consumerebbe le risorse dei cittadini e se la battaglia durasse troppo ci ritroveremmo in breve alla fame. Ognuno dei vostri Regni impiegherà il 10% del proprio arsenale in un esercito che si riunirà in India; entro tre mesi voglio che il Regno sia riconquistato. Greed sarà al comando della missione e farete ciò che vi dirà.

Se allo scadere del termine non avrete ripreso la Città vedrò cosa fare di molte delle vostre teste inutili.”

I tredici s’inchinarono.

“Ora lasciate immediatamente La Città Proibita, m’irritate.”

2

La Following Flabe volava placida sopra le nuvole, rilucendo sotto i raggi del sole. Dietro di lei un aereo da guerra la seguiva meno placido, cambiava continuamente quota e rotta come in avaria

Una comunicazione radio arrivò al pilota del velivolo.

“Qui è il Capitano Waxtom, la finite di fare i coglioni o vi devo abbattere?”

“Pronto? Qui è il miglior gruppo di supereroi che sia mai esistito, senza il quale la missione non sarebbe mai andata a buon fine, i più veloci tra i veloci, i più furbi anche dei Re, i ladri di principesse vergini. Ve li vado a presentare: ecco la bellissima pianificatrice nonché chimica provetta, Ro-mi-naaaaaaaaaa!!! Ed ora il più forte tra i forzuti, il massiccissimo nonché esperto geniere, Omaaar!! Tra di loro il cecchino, Heinze!!! Il pilota in questo momento ubriaco fradicio che sta dormendo, Jimmi!!!

E ora ultimo, ma non ultimo! La punta di diamante del gruppo! Il velocissimo! Bellissimo! Fortissimo nonché sottoscritto, Veeeeeeeeeeno!!!”

Un raggio al plasma ò a pochi centimetri dalla cabina del pilota.

“La prossima volta vi abbatto sul serio.” - disse Waxtom. “Lo sapete che dovete chiamarvi sempre col vostro nome in codice. Avete completato il raccolto?”

“Si signore! Mentre il resto della Squadra Phoenix restituiva la principessa, mi sono intrufolato in città.

Non è stato difficile soggiogare la mente di alcuni responsabili nella zona serre. Se tutto va bene un aereo trasportatore condurrà il carico di viveri in un posto prestabilito.”

“Credi che qualcuno possa accorgersene?”

“La cosa è probabile, la mia influenza non è ancora così forte, qualche esterno potrebbe sospettare che le cose non funzionino normalmente.”

“Fa niente, vale la pena di tentare. Ora salite sulla Following, dobbiamo festeggiare la vittoria e prepararci per domani.”

***

La valle era circondata da aride montagne che il sole cominciava a scalare. Veno attendeva lì in mezzo, da solo.

Poco dopo un aereo trasportatore iniziò ad avvicinarsi atterrandogli vicino, in una zona d’ombra ai fianchi delle montagne.

Un uomo scese dal velivolo accompagnato da una dozzina di guardie armate.

“E’ lui.” - disse l’uomo alle guardie, che alzarono i fucili al plasma, puntandoli sul ragazzo. “Cosa succede qui? Le coordinate che ci hai indicato ieri non conducono in nessun posto, non so neanche perché sono arrivato fino a questo buco di terra.”

“Hey, calma.” - rispose Veno sorridendo. “Non è così male qui in fondo, l’aria non è proprio pulita, ma ci si può abbronzare, poi chi volete che ci veda... rilassiamoci.”

L’uomo e le guardie rimasero storditi delle insensate parole del ragazzo, ma si sentirono lo stesso inclini ad accettare la possibilità che potesse aver ragione.

“Avanti cosa vi ho fatto, vi sembra il caso di puntarmi quelle armi? Abbassatele e chiariamo la questione da persone civili.”

Le guardie abbassarono le braccia e in quell’istante Veno gli saltò addosso stendendole, poi prese le loro manette e legò il pilota e l’equipaggio.

“Ottimo lavoro, apri la stiva e andiamocene!” - si udì dalla Following Flabe mentre atterrava, i pirati scesero dal ponte e trasportarono il carico a bordo.

Poco dopo erano in volo verso l’Australia con le scorte per la Città.

***

Città-Regno Australia.

eggiando tra i volti inanimati dei cittadini, che attendevano di sapere quale sarebbe stata la loro sorte, Trish provava un senso di felicità inspiegabile.

Le veniva fortemente da ridere e pensava che le persone se ne rendessero conto.

In realtà era solo soddisfazione: aveva lasciato un lavoro sicuro, una carriera brillante, razionalmente si era convinta che sarebbe finita male, ma il suo subconscio aveva scommesso che quella sarebbe stata la via giusta; non voleva ammetterlo neanche a se stessa, ma non poteva più trattenersi, ora che aveva trovato quello che non si aspettava.

In una situazione normale chiunque avrebbe pensato che un individuo nella sua posizione avrebbe dovuto sentirsi pezzi, distrutto, finito, invece il liberarsi dal peso di una reputazione da dover indossare ogni mattina, l’aveva lentamente liberata come da un’ombra.

Non se l’era ancora spiegato a distanza di anni, ma quel momento, il momento in cui non aveva accettato di vedere umiliato un suo collega al quale voleva bene, l’attimo che l’aveva portata a spezzare ogni catena e a sacrificare tutto per non dover azzittire la propria umanità e solidarietà: in quell’istante, lei era nata.

Trovava ironico trovarsi nel bel mezzo di una guerra che aveva da tempo

pianificato e voluto, desiderato con rabbia e bisogno di giustizia. Ora avrebbe dovuto pensare solo a vincere quella guerra, invece, non poteva fare a meno di pensare alla sua felicità; era incredibile, non l’aveva desiderato né sperato, ma era felice e non poteva fuggire a quello stato dell’animo. Forse il tanto soffrire, infine veder che la battaglia stava diventando realtà, il fatto di lavorare, seppur a distanza, al fianco di Veno e Mek la rallegrava; ora non era più una vagabonda senza futuro.

Mek si era stabilito a Caba, era felice, aiutava gli abitanti del villaggio e le N.N.B.P. e Waxtom si consigliava spesso con lui.

Era vero, tutte quelle cose erano importanti, ma sapeva che la gioia era dovuta a un altro fattore, anche questo insperato: l’amore.

Un amore che non avrebbe mai avuto il coraggio di ammettere a se stessa solo pochi anni prima e che ora la riempiva come una luce densa. Osservava le facce perse e spaurite dei cittadini Australiani, rivedeva in loro il suo volto di qualche anno fa, la stessa paura; avrebbe voluto abbracciarli, dirgli che quella tristezza era positiva e che avevano mosso il primo o verso se stessi e verso la felicità.

Ora però i suoi i muovevano veloci verso Emma.

Ricordava molto bene il primo giorno tra le N.N.B.P., quando credeva di essere tra famigerati criminali senza obiettivi, e tra queste persone, tra la confusione, brillavano due occhi di una calma e di una dolcezza che senza motivo, la rilassavano e la mettevano a suo agio. Grazie a lei si era inserita nel gruppo, trovando sempre più il coraggio di ricominciare, Emma era stata la sua zattera in mezzo al mare. Alcuni mesi dopo ci fu la svolta; Emma rimase ferita a una gamba, non era niente di grave, ma la ragazza per un lungo periodo dovette

rimanere su una sedia a rotelle lontana dall’azione. Trish andava spesso a trovarla, non sapendo bene se andasse per sé o per lei. Si dava dell’egoista a volte, ma non importava, qualcosa la portava lì.

Parlavano molto ed Emma le aveva confidato che l’azione le permetteva di non pensare, di tenere lontani i fantasmi dalla sua mente. Era sempre stata terrorizzata dall’idea di rimanere infortunata e impossibilitata a muoversi, di rimanere quindi intrappolata nella sua prigione mentale, le succedeva anche se doveva star ferma per pochi giorni. Invece ora che era accaduto, si sentiva in pace; aveva riflettuto molto sul perché e aveva trovato la risposta nel sapere che Trish sarebbe venuta a trovarla.

Trish in quel momento era esplosa di gioia. Il solo fatto di vederla la tranquillizzava, ma sapere che anche Emma aveva bisogno di lei, era un tripudio di sensazioni calde e avvolgenti. Naque un abbraccio spontaneo, poi un bacio, infine non c’erano che loro, sempre, ogni giorno. Una si prendeva cura dell’altra e così facendo curava se stessa.

Trish superò la fila di gente ed ecco che la vide, mentre dirigeva le operazioni di smistamento dei civili. Senza neppure essere chiamata lei si voltò, sorrise e le corse incontro.

***

Veno percorreva quel luogo mai visto prima, ma che gli dava un senso di familiarità.

Una lunga strada sterrata tra due file di abeti grandi tre volte il normale e, in alto,

una lunga striscia di cielo blu intensissimo, che sembrava un fiume. Si chiedeva perché stesse correndo, cercava di rallentare, ma qualcosa non glie lo permetteva. D’un tratto gli alberi si ingrigirono, perdendo le foglie e mutando in colonne di pietra. La striscia di cielo diventò verde, ribollì e da essa precipitarono gocce incandescenti che corrodevano il sentiero.

Per non cadere Veno si arrampicò sulle colonne, guardò oltre, ma oltre non vi era nulla; d’un tratto queste diventarono denti affilati, la strada una bocca, la bocca di una tigre che in un rapido e feroce morso lo inghiottì.

Si svegliò di soprassalto nel suo letto, sudato e stanco come se avesse avuto la febbre. Andò in bagno a lavarsi per pulirsi del sudore e mise i vestiti fradici a lavare, mentre le mani portavano, come ormai già troppe notti facevano, l’acqua su un viso che faticava a riconoscere.

Erano trascorsi più di cinque anni da quando Joory era morto, anni nei quali si era allenato diventando forte quasi quanto lui. Inoltre anche la sua mente si era rafforzata, a tal punto che gli sembrava naturale plagiare la volontà altrui e ottenere da ogni conversazione il risultato che voleva, capacità che utilizzava con riluttanza perché entrare nell’intimo gli creava forte disagio. Era contento dei risultati raggiunti, ma si sentiva allo sbando, incapace di controllare la sua vita e ciò che stava diventando. Non poteva più parlare con nessuno senza sentirsi superiore e unico, quindi solo. Non c'era stato il tempo di ragionare, aveva subito messo le sue abilità al servizio delle N.N.B.P. e ora non poteva tornare indietro.

Era stanco, non l’aveva detto a nessuno, ma tutte le volte che usava le sue capacità al massimo si sentiva stremato e la tigre dai lunghi canini veniva a trovarlo la notte, tormentandogli il riposo.

Si sforzò di sorridere e guardò la persona davanti allo specchio fare lo stesso. Così si voltò, indossò dei vestiti asciutti e guardò distrattamente fuori dall’oblò la Following Fable attraversare il cielo notturno.

Il Capitano Waxtom invece, non dormiva più di tre ore a notte e quella decise di non concedersi neppure quelle.

Sedeva vicino alla piccola Mara, stranamente senza pensieri dopo tanti e tanti anni. L’imminenza della battaglia, i piani da eseguire su un cantiere di mappe e uomini che di solito occupavano la sua mente, quella notte se ne erano andati. Assaporava quella sensazione anche se non la comprendeva, forse era coraggio, stanchezza o solitudine.

Si alzò posizionandosi davanti ad una libreria, tra i testi di medicina ve n’era uno diverso; un libro che aveva letto già diverse volte. Ogni decina d’anni, quando ormai se ne era dimenticato lo ritrovava puntualmente, cercava di ricordarsi la trama e senza accorgersene lo rileggeva; così fece anche quella notte.

Un tuono lo distrasse un istante poi lo aprì.

L’autore si chiamava Leon Serra, il libro si intitolava “Delle uova rotte.”: la storia parlava di un gruppetto di galline che vivevano in una cascina di campagna, gestita da una vecchia signora ormai vedova.

Queste potevano scorrazzare liberamente per i campi e di tanto in tanto si avvicinavano ad una recinzione che confinava con un altro terreno. Da lì salutavano le altre galline che però non le consideravano, salivano su macchinari avanzati che le trasportavano senza far fatica dentro l’edificio; tutte le galline

avevano il becco tagliato. Una di loro una volta gli aveva detto che lì le galline producevano molte più uova di loro ed il loro potenziale era espresso al massimo, non perdevano tempo a scorrazzare per l’aia.

Così le galline dell’anziana signora tornavano indietro mortificate, si sentivano brutte con quell’enorme becco e si vergognavano di essere nutrite da una vecchia che poverina, non capiva perché queste fossero così irrequiete.

Quella notte tagliarono il recinto e scapparono, la vecchina dai modi gentili ma antiquati rimase sola; mentre le galline arono un anno in gabbia a produrre uova incessantemente e infine vennero macellate.

Waxtom chiuse il libro, che come ogni volta gli trasmise un’atavica malinconia.

Usci dal laboratorio e guardò fuori, il sole stava sorgendo.

3

Città-Regno India.

Greed si trovava nel deserto alle porte della Città.

Aveva portato con sé il 10% delle truppe della capitale e stava attendendo l’arrivo degli altri eserciti che sarebbero giunti durante la giornata.

All’ombra di una tenda si era fatto mettere un tavolo sul quale erano sparsi centinaia di pezzi, li contemplava attentamente cercando quello giusto che andasse a completare la gamba del modellino su cui ava il tempo. Il modellino era di un triceratopo, che sarebbe andato ad accrescere la già vasta collezione di Greed.

Di fianco alle sue truppe si era accampato l’esercito Indiano, il generale Thesim discuteva con Re Eshwar.

Da sole, queste due legioni di uomini e mezzi erano imponenti, ma Greed non se ne curava, voleva osservare l’esercito al completo prima di esprimere un giudizio.

Conquistare una Città senza raderla al suolo non era impresa facile, specie se si andava contro chi era stato in poco tempo capace di una presa così decisa.

Gli si avvicinarono Thesim ed Eshwar.

“Signor Greed, l’esercito Indiano è pronto. “ – disse Eshwar.

Greed rispose distrattamente, mentre incastrava il femore del modellino.

“Lo vedo, faccio molto affidamento sulla vostra legione e sul loro sentimento di rivalsa, dopo che la vostra principessa è stata usata in maniera così meschina. Com’è il morale degli uomini?”

“Gli uomini si sentono umiliati vogliono vendicare il rapimento di mia figlia, e io più di loro; i Cittadini li sostengono.

Sono convinto che dopo la guerra le N.N.B.P. non avranno più il coraggio di tentare altri gesti simili.”

“Durante la guerra conto che le N.N.B.P. siano spazzate via in modo definitivo, loro e quello stupido pirata.” - disse Greed.

“Quel pirata è la loro unica guida, basterebbe eliminare lui e invece dobbiamo giocare alla guerra.” – disse tra i denti Eshwar, ma Greed fece finta di non sentire.

“Pazienta, il nostro compito è un altro, per ora. Non bisogna sottovalutare il pirata, è vero che l’attacco era inaspettato, ma la sconfitta deve farci riflettere, l’addestramento militare dell’esercito Australiano era pari a quello delle altre nazioni, da troppo tempo i soldati non combattono una vera guerra e quasi nessuno è abbastanza esperto. Inoltre la maggior parte di loro sono degli stupidi esaltati convinti di essere superiori ai ribelli, mentre le N.N.B.P. combattono con motivazioni e rabbia, oltre che a mezzi pari ai nostri. Sono cresciute molto in questi ultimi anni.”

“Ma stavolta saremo in numero maggiore, e pronti.” – disse Thesim.

“Staremo a vedere, di certo Liven non ammetterà fallimenti, ma neppure non vorrà far scoprire i suoi intenti, non capisco perché si diverte a metterci così alle strette. Eccoli, stanno arrivando.” – disse Greed alzando lo sguardo.

Il Generale Thesim ricevette un messaggio dal comando della Città.

“Cosa succede?” - chiese il suo Re. “Perché fate quella faccia?”

Thesim tentennò.

“Mi hanno informato che le N.N.B.P. hanno intercettato un nostro velivolo e sono riuscite a derubarci di gran parte delle scorte di cibo e acqua. Probabilmente le hanno condotte in Australia per sostentare i cittadini giacché la produzione interna è attualmente ferma.”

Eshwar imprecò.

“Questo è troppo sto per diventare lo zimbello dell’Impero e noi stiamo qui a giocare ai soldatini, potrei spazzare via quella merdosa città in un secondo.”

“Mantieni i nervi saldi, abbiamo degli ordini e li rispetteremo, se vedrò che non seguirai i piani di battaglia farò rapporto all’Imperatore.”

Greed provò così a placare il Re esasperato, ma dentro di sé temeva di stare anche lui per crollare.

In lontananza, navi delle città dell’Impero si avvicinavano trasportando soldati e mezzi da guerra, verso sera tutti erano accampati di fronte alla Città-Regno India.

I generali si radunarono poi nella tenda di Greed, i prossimi giorni sarebbero stati spesi per pianificare e coordinare le manovre di guerra tra diverse legioni.

***

I marinai della Following Fable osservavano con riluttanza la Città Australia farsi sempre più vicina.

Avevano vissuto per quasi tutta la vita da pirati al di fuori delle città, disprezzando esse e i loro abitanti. In quasi tutti, la lotta aveva cancellato la

fiducia nei cittadini e nel loro possibile risveglio. Solo il loro Capitano ci credeva ancora fermamente e infondeva la speranza, ma questo non bastava.

La vita su una nave volante era più semplice, vi erano ordini e pericoli, ma anche riconoscimento e cooperazione. La città era un luogo incontrollabile, prendeva le tue capacità e le risucchiava fino a quando non si esaurivano, dava indietro tanto, ma senza lasciarti il tempo di capire se era quello che volevi.

I pirati sentivano, al solo avvicinarsi ai grandi palazzi, di perdere parte della loro personalità. Un conto era saccheggiarla, un altro prenderla e domarla: sarebbero stati in grado o lei avrebbe domato loro?

Waxtom salì sul ponte e parlò:

“Uomini! La città è nostra, andiamo a esultare con i nostri compagni e a piangere i caduti, in attesa delle prossime battaglie. So bene che non siete gente da attico e mobilificio, quindi vi prometto che non ci fermeremo più a lungo di quanto non sia necessario.”

“Io non voglio mettere piede su quella sporca terra che ci ha rifiutati e infangati. Tutti quei Cittadini non hanno orgoglio e non meritano il nostro aiuto, appena potranno ci volteranno le spalle.” - urlò un pirata.

Waxtom sorrise:

“Non è per la vittoria che combattiamo. So benissimo che per ora i cittadini sono

impauriti e obbediranno, ma alla prima occasione la maggior parte di loro ci distruggerebbe. Pensate però anche se solo in pochi cambiassero il loro modo di vedere. Signori, abbiamo fatto già più di quello che chiunque avrebbe potuto sperare, perché la presa della città è un precedente che non si potrà scordare, come le parole che rivolgeremo ai cittadini, dando loro quella libertà che non hanno mai avuto. Questo nella nostra epoca è un fatto di importanza vitale, poiché è facile plasmare la storia e storpiare gli avvenimenti, meno lo sarà togliere dalla testa delle persone ciò che hanno visto. Non scorderanno che li abbiamo conquistati e liberati, e forse non scorderanno la nostra morte; ma se così fosse, facciamogli vedere come muore un uomo libero.”

Le parole rinvigorirono lo spirito dei pirati che urlarono in segno di approvazione, avevano capito che anche Waxtom detestava l’idea stare in città esattamente come loro.

La Following Flabe atterrò sulla piattaforma galleggiante del Parlamento.

Ad attenderli vi erano Crumer e Trish e i tre Grandi Guerrieri accompagnati dai gradi più alti dell’esercito, che osservavano dalle cime dei palazzi più alti.

Il primo a scendere fu Veno, che balzò giù dal ponte e si fiondò ad abbracciare l’amica, travolgendola.

“Ordine, uomo! Ora siamo un esercito, mostriamo la nostra organizzazione.” - si udì dal fianco della nave la voce di Waxtom che in testa ai suoi uomini scendeva dalla nave, Veno si diede un contegno.

Dopo i saluti Waxtom disse ai pirati di scaricare le scorte rubate e di iniziare a

smistarle, poi si diresse al parlamento con Veno, Romina, Trish, Crumer e i Tre.

Trish guardava Veno che si era fatto serio.

“Cosa c’è, non sei contento?”

“Sì certo, ero solo sovrappensiero.”

Si chiedeva, infatti, come mai non riusciva a percepire nessuna forza o stato d’animo dei Tre anche ora che era diventato molto più esperto.

Entrarono nel palazzo e Crumer fece un cenno a Waxtom e Veno di seguirlo e si separarono dal gruppo.

Percorsero un corridoio e si fermarono davanti ad una porta sorvegliata.

“Qui ci sono i parlamentari che abbiamo catturato.” – disse Crumer.

“In che stato sono?” – domandò il Capitano.

“Stanno bene, i feriti sono da un'altra parte, ora sono qui dentro legati e anestetizzati.”

“Bene, vediamoli.”

Aprirono la porta ma la stanza era completamente buia e le finestre oscurate.

“Portate delle torce!” – urlò Crumer alle guardie.

Esse corsero e illuminarono la stanza; le sedie su cui erano stati legati erano in pezzi e i corpi dei parlamentari giacevano a terra dilaniati.

Veno si avvicinò ad uno di essi.

“Sembrano essere stati uccisi da un falco, com’è possibile?”

Waxtom si avvicinò ad una finestra; questa era oscurata da uno strato nero che sembrava pelle, lo tirò e questo cadde lasciando entrare la luce del giorno.

“I vetri sono intatti, nessuno è entrato. Ripulite questa stanza e non dite nulla a nessuno, fate fare l’autopsia ai corpi ne voglio sapeere di più.”

Uscirono dalla stanza per tornare dagli altri.

Il gruppo si riunì nella sala principale del parlamento e Trish presentò tramite un monitor un lungo resoconto sui cittadini, sulle loro professioni e sul modo in cui lei e Crumer avevano pensato di distribuirli. Dopodiché presentò un triste resoconto, sui danni subiti dai grattacieli, sui caduti e sui feriti.

“Infine credo sia utile partire fin da subito nel far cooperare le persone, fargli riscoprire i valori umani.”

Six alzò una mano e Waxtom gli fece un cenno con la testa.

“Quello che dice la Signorina è corretto, ma non possiamo sottovalutare il nemico, né permettere che la tensione cali tra i nostri ranghi. Tra breve l’Impero tenterà di riconquistare la Città; credo che per ora ci possiamo limitare a mantenere un tenore di vita dignitoso, mentre impieghiamo le energie per preparare le difese.”

“Sono d’accordo.” - rispose Crumer. “Stiamo già oziando e festeggiando da giorni, non mi piace questo senso di appagamento.”

Trish allargò le braccia e disse:

“D’accordo, come credete voi.”

“Trish, lei continui pure col suo programma.” - disse Waxtom- “Noi prepareremo le difese; non preoccupatevi ho in mente qualcosa che ci può permettere di vincere.”

In quel momento qualcuno aprì la porta.

“Permesso?”

I presenti si girarono stupiti.

“Mek!” - urlarono Trish e Veno andandogli incontro.

“Ciao, ragazzi. E’ un piacere rivedervi.”

“Zio, come hai fatto a raggiungerci? Ti trovo bene.”

“Beh il vostro Capitano è pieno di risorse.”

“Che sorpresa! Benvenuto.” - disse Veno.

Waxtom li invitò a sedersi e parlò:

“Ho fatto venire Mek, perché abbiamo bisogno del suo aiuto. Ormai da anni collabora con noi; per il bene del suo villaggio la cosa è rimasta segreta.”

Accese un ologramma tridimensionale.

“Credo che lui possa spiegarci meglio quello cui mi riferisco.”

“Sarà un piacere” – disse Mek. “Dunque come potete vedere, le Città-Regno hanno dei dispositivi di protezione perimetrali che consentono di essere penetrati in uscita, ma sono molto resistenti in entrata. Ho rielaborato quella struttura.”

Mek premette un tasto e le mura s’innalzarono avvolgendo la Città.

“Questa sfera, avvolge la Città e funziona come la precedente, solo che ora è efficace per attacchi a 360 gradi, anche dal sottosuolo.”

“Questo non fermerà il flusso di approvvigionamento idrico per i palazzi?” chiese Romina.

“Giusta osservazione, questa è stata la cosa più difficile da risolvere. In effetti la barriera nel sottosuolo ora è più fragile e permette a un flusso debole, ma continuo, di penetrarla senza perdere efficacia negli attacchi diretti. Inoltre le battaglie non possono durare più di qualche giorno e questo già di per sé limita i possibili danni.”

“Fantastico.” – disse Veno. “Con questo lo svantaggio numerico si azzererà. Sei un grande! Quanto può resistere la barriera?”

“La barriera può assorbire molti danni, resisterebbe anche a un attacco nucleare, ma perderebbe molta energia. La sua efficacia è migliorata dal fatto che la Città durante la lotta non avrà attive le normali funzioni; se così non fosse, non ci sarebbe abbastanza potenza da farla funzionare.”

Crumer si alzò scrutando la sfera che gli illuminava il viso di un bagliore rosso.

“E’ tutto fin troppo bello. Sicuramente ci darà un grande vantaggio iniziale, dopodiché anche quegli idioti capiranno che, aspettando, alla fine l’effetto si dissolverà. Comunque è già qualcosa.”

“Molto astuto, i miei complimenti.” – disse Ten.

“Sono contento che la cosa vi piaccia, ma sentite questa. Procedi pure.” – intervenne Waxtom.

“Con piacere.” – disse Mek. “Dunque, sono stato informato che l’attacco da parte dell’Impero comporterà l’impiego del 10% circa dei mezzi armati di ogni Città ad esclusione dell’Australia. Immaginate ora di attaccare una nazione con le stesse forze utilizzate per conquistare questa Città. Sarebbe un successo garantito.”

“Sarebbe un successo garantito. Ma noi non disponiamo di un tale esercito.” disse Crumer incuriosito.

“Esatto, ma possiamo spaventarli al tal punto da far ripiegare almeno le truppe della città attaccata.”

Romina lo interruppe.

“Non è detto, potrebbero inviare soldati dalle altre nazioni.”

Waxtom rispose:

“Questo è possibile, ma contiamo che la sorpresa intimorisca le altre Città a tal punto dal non voler rischiare un’invasione e quindi di liberarsi dei propri uomini.”

“D’accordo.” – disse Crumer. “Ma rimane un piccolo problema: noi non possiamo far partire neanche un solo uomo.”

“E qui entra in gioco Mek.” – disse Waxtom.

L’Ingegnere fece apparire l’immagine della Città-Regno Canada e Veno sussultò.

“Immaginiamo di attaccare il Canada, avremmo bisogno di un esercito imponente come quello che farò apparire ora. Come avete detto, questo esercito non esiste, ma questo non è un limite, basterà far credere che esista.

Le immagini dei soldati e dei mezzi sono ologrammi solidi. Questi assorbono la sabbia dal deserto, creando densità, e un programma li fa muovere singolarmente come nella realtà, ovvero muoiono, perdono sangue, esplodono. Il problema è che i loro attacchi sono inefficaci e quindi possono solo subire. L’idea è di mischiare tra di loro alcuni mezzi reali guidati a distanza, disporre le armate davanti alla Città e attendere che la paura faccia staccare dall’esercito imperiale la legione Canadese. A quel punto inizieremo il nostro attacco, che se pur sterile caà la loro reazione, erà molto tempo prima che si accorgano di lottare contro il niente.”

“Nessuna vittima, un bel diversivo non c’è che dire.” – disse Veno.

“Questa è solo la prima parte della missione, il diversivo servirà due volte.” – disse Waxtom. “Mentre la barriera terrà lontane le armate della Città, tu e la tua squadra, Veno, verrete con me sulla Following Flabe e v’intrufolerete con One Six e Ten e altri uomini delle N.N.B.P. che già attendono dentro la Città-Stato Canada. Con le vostre capacità e il grande trambusto avrete modo di rapire Re Jacob. Dopo avervi fatti entrare, andremo incontro alla legione che si staccherà dall’esercito Imperiale per tornare in Città una volta rapito il Re torneremo da voi. I dettagli della missione li studieremo nei prossimi giorni, ma è già tutto programmato.”

“Attaccarli durante la loro offensiva, mi piace! Se funziona daremo un duro colpo al loro morale.” – disse Crumer destinato a guidare per gran parte le difese della Città da solo.

***

Città-Regno India.

Accampamento dell’Impero.

I Generali di tutte le Città-Regno erano a rapporto da Greed, concentrati e intenti a recepire le strategie che con i loro uomini negli ultimi giorni avevano studiato, ripetuto fino allo sfinimento; come far male, come non farsi male e probabili imprevisti:

“Signori, questi giorni mi hanno reso fiducioso, i soldati si applicano con voglia e motivazione, l’intento comune li rende uniti. Ringrazio tutti voi per l’apporto che state dando, non può esserci vittoria se il gruppo non è coeso

Tra pochi giorni comincerà l’attacco, se avete dubbi è il momento di parlare.”

Si alzò in piedi Jack Vivera, Generale dell’Italia:

“Signore, da parte mia non nutro dubbi sulle capacità delle nostre armate, anzi, ritengo la vittoria ampiamente alla nostra portata, ed è proprio questo il problema. Ho seri dubbi sul modo di fare dei ribelli e dubito che non sappiano di non poter resistere a un nostro attacco.”

Greed annuì:

“Infatti, sono contento che si sia entrati in argomento. Se hanno conquistato la città vuol dire che pensano anche di poterla tenere. E’ indubbio che tra le loro fila abbiano gente o mezzi dalle enormi capacità che forse troppo a lungo

abbiamo sottovalutato. Gli ordini sono comunque di attaccare e se il nemico avrà delle risorse sarà costretto a metterle in campo.”

Il Generale Faduo Martin delle Nigeria si alzò:

“Indiscrezioni dicono che tra loro vi è il vecchio Ingegner Mesikyo Xast, forse una delle menti più geniali del nostro tempo. E’ fuori dubbio che abbia creato loro qualcosa di pericoloso. Raccomando prudenza, o volete scoprire le loro armi a costo di rischiare una nuova sconfitta? Spero almeno che ci consentiate di rispondere alla pari, se il nemico dovesse sfoderare armi o capacità fuori dall’ordinario.”

“Nient’affatto, mostrate per una volta di saper guidare i vostri uomini, o forse solo nei vantaggi risiede il vostro valore? Non è tempo per le facili vittorie.”

Suonò il cercapersone di Greed: era Liven, il segretario congedò i generali e rispose:

“Greed sono Liven, lascia perdere e ascolta. C’è un cambio di strategia, finalmente…”

***

La squadra Phoenix, ultimò le prove di attacco verso sera, i membri rimasero poi a dormire sulla Following Flabe.

Romina entrò nella stanza di Waxtom, il Capitano era seduto con Mek e Veno; giocavano a carte e bevano rhum.

“Ma che bravi.. i capi di un esercito rivoluzionario che sbevazzano come carpentieri dopo il lavoro. Non vi converrebbe pensare all’eventualità che abbiate lasciato qualcosa al caso?”

“Prego, ci serve un altro uomo per giocare, o donna, è lo stesso..” – disse Waxtom, accomodando una sedia.

“Grazie, ero ata per ultimare i preparativi per l’attacco, ma vedo che è il momento sbagliato.”

“Esatto, ci si deve divertire, specie prima di rischiare la vita.” – disse Mek.

“Dai vieni qua.” – disse Veno.

“No grazie, ho rifiutato di uscire con Trish, Emma e altri amici per lavorare, ma vedo che ho fatto male, mi unisco a loro, noiosoni!”

Uscì e chiuse la porta, percorse in fretta i corridoi della nave, salì sul ponte e si sporse dal parapetto; il parco del palazzo era pieno di gente, si sentiva della musica e di tanto in tanto qualcuno faceva brillare in aria colorati fuochi d’artificio. Si precipitò a raggiungere la festa.

Jimmi suonava la chitarra e Omar i tamburi, Heinze, Trish ed Emma insieme ai pirati ballavano e cantavano.

Romina provò a sciogliere la rigidità che le metteva addosso il suo ruolo e a scacciare i pensieri per qualche minuto.

“Ciao Romina.” - disse Heinze. “Dove sono i capoccia?”

“Lascia perdere, stanno bevendo come spugne.”

Heinze rise.

“Beh lasciali andare e divertiamoci.”

“Mi sembri già alticcio..”

“Forse, ma che vuoi, non ci sono molte attrazioni tra i pirati e soprattutto.. non ci sono donne.. Tu invece hai ampia scelta.”

“Mah.. tanta quantità, ma poca qualità.”

“E lo so, sei abituata a vedere me, è per questo! Quando partecipavo alle Olimpiadi avevo sempre un sacco di ragazze intorno, bei tempi.”

La ragazza sorrise e si unì alla festa.

Così, mentre la ciurma si divertiva Veno, Mek e Waxtom entrarono nel laboratorio dove riposava Mara, la ragazzina alla quale Waxtom cercava da anni di salvare la vita.

“Sei pronto Veno? Cosa ne dici, ti sembra arrivato il momento di tentare?” – chiese Waxtom.

“La cura per il suo corpo malato sembra pronta, ma è ato tanto e non so se la sua mente potrà sopportare una battaglia contro un male così grande.”

Veno annuì e disse:

“Direi che è ora; aspettare oltre potrebbe portare nuove complicazioni, è rischioso, ma non ci sarà mai un momento sicuro. Allontanatevi per favore e, se potete, non fate né dite nulla.”

Il ragazzo chiuse gli occhi, dapprima scacciò i ricordi ancora vivi di quella giornata, dopo di che i suoi pensieri, i suoi bisogni, fino a creare nella sua mente il vuoto.

Soppresse l’istinto di indagare quelle dei compagni concentrando ogni sforzo solo sulla piccola Mara.

Col pensiero attraversò quel metro e mezzo di aria che li separava e raggiunse quello della ragazzina, provò a toccarlo ma non riuscì ad avvicinarsi: una sfera cromata di luce gli bloccava il aggio. Le girò intorno studiandola, ma senza percepire alcuna informazione utile, né punti deboli.

Provò allora a forzarla; si spinse con forza contro di lei, ma più provava a entrare più era allontanato. Non voleva usare tutte le sue energie per non rischiare di danneggiare la mente di Mara, ma non poteva rinunciare, si preparò a un ultimo assalto, ma accadde qualcosa. La sfera cominciò a pulsare e ne uscì un globo di luce abbagliante.

Veno rimase sbalordito e inerme, lottò per divincolarsi fino a quando la luce non lo avvolse sovrastandolo; un getto potentissimo tentava di dominarlo e ora era lui a cercare di opporre resistenza, ma le sue difese furono spazzate via e si sentì invaso da un’energia immensa, che si espanse dentro la sua mente squarciandola e annullandole ogni confine, Veno divenne una patina di luce, espansa a velocità inimmaginabili per l’intero universo.

Il bagliore poi scomparve d’un tratto e Veno si sentì come risucchiato in un buco nero che lo riportava alle normali dimensioni, ai suoi limiti, e a ogni centimetro perso era pervaso da nostalgia lacerante.

Fu rigettato nel mondo reale. Mek e Waxtom, preoccupati, cercavano di aiutarlo mentre lui piangeva in ginocchio.

Rialzandosi cercò di spiegare quello che aveva visto, ma era come se di un intero libro gli fossero rimaste in mano solo poche righe di una pagina strappata, era impossibile dare un significato a tutto il resto, disse solo:

“Salvatele la vita, se potete. Lei vivrà..”

Detto questo Veno uscì dalla stanza, mentre Waxtom osservava pieno di speranza gli occhi della giovane, che sembravano brillare.

4

Grosse nubi grigie rilasciavano una fitta e malinconica pioggia.

Le armate imperiali avevano incominciato la lenta marcia verso la riconquista dell’Australia. L’attacco era ampiamente dichiarato e dunque non procedevano veloci, ma vigili verso eventuali trappole.

La Following Flabe, di contro, era in volo verso il Canada.

Jimmi bussò alla porta della stanza di Veno ed entrò con in mano un succo d’arancia, il ragazzo stava facendo le flessioni sul pavimento e disse:

“Non si chiede permesso, prima di entrare?”

“Da quando le infermiere bussano?” – disse Jimmi. “Vedo che ti sei ripreso, bene. Domani arriveremo in Canada e avrai bisogno di essere in forze.”

“Non ti preoccupare. Ho solo avuto un calo di energie, ma il riposo è servito, ora mi sento di nuovo bene.”

“Non ti avevo mai visto così spompato, stai invecchiando. Di solito sei una furia e starti dietro è una vera fatica”

“Aspetta domani a giudicare.”

“Senti, te lo devo chiedere. Capitan Waxtom una volta mi raccontò di Simon, la ragazza che decidesti di lasciare in Canada. Quando arriveremo là potrai portarla via se vuoi, e sempre che lei non voglia rimanere.. potreste tornare insieme. I tempi sono cambiati e le N.N.B.P. ora sono più organizzate.”

“No.” – disse Veno. “E’ già stato fin troppo doloroso lasciarsi una volta. Ormai si sarà fatta una vita e, anche se pensasse ancora a me, io non potrei starle accanto. Non so se lo faccio per me o per lei, ma un nuovo distacco non lo sopporterei.”

“Hai ragione scusa, ma sei sicuro che lei non si aspetti un tuo ritorno? Potresti almeno parlarle.”

“Sì, giusto, prima di una delle battaglie più dure che ci aspettano io mi faccio vivo, per poi non tornare più magari. Non posso farglielo.”

“Come preferisci. Ti lascio l’aranciata sul tavolo.” - Jimmi uscì e chiuse la porta.

Waxtom salì sul ponte e notò Romina che sporgendosi dal parapetto, osservava il vuoto ferma sotto la pioggia, le si avvicinò.

“Non è saggio lasciarsi andare alla malinconia prima di una battaglia.” – disse appoggiandosi a fianco alla ragazza che, sorpresa, si destò dai suoi pensieri.

“Capitano, stavo solo riflettendo. Non c’è niente di malinconico.”

“Mi sembrava una riflessione importante.”

“Non direi, niente di importante..”

“Meglio, mi stavo annoiando e una riflessione da poco mi distrarrà.”

“Non prenda la cosa nella maniera sbagliata; rimango devota alla nostra causa, ma non posso fare a meno di chiedermi se questa guerra servirà a qualcosa, anche se dovessimo vincere.

Ce ne sono state migliaia in ato, il mondo è stato rivoltato dall’odio e dall’egoismo, ma siamo ancora qui ad ammazzarci tra di noi. Nessuno impara dal ato, che l’odio è sbagliato e la guerra non serve. C’è sempre qualche individuo che trascina le masse verso il baratro. Non bastano lo studio, la cultura e il sapere. Siamo degli esseri in lotta per natura e niente cambierà questo.”

“Wow! Meno male che era una riflessione da poco, ma vedi... forse le persone intelligenti e di cultura sono più difficili da spingere con motti verso l’odio e la guerra; non bisogna pensare che questi non debbano mai trovare delle motivazioni per combattere. Agendo così, rimanendo inermi, farebbero lo stesso il gioco di chi vorrebbe comandarli, al pari di chi è trascinato da slogan o dall’odio.”

Romina ci pensò su un po’, poi sorrise.

“Già, come sarebbe bello arrendersi e lasciare che le cose ci scorressero a fianco senza dargli peso. Purtroppo qualcosa lo impedisce e sentiamo il bisogno di intervenire.”

“Ciò che ci fa intervenire sono le nostre qualità, e poi cosa c’è di meglio che combattere contro chi vuole che sprechiamo la nostra vita?

Tra i tanti modi inutili di vivere questo mi pare il più sensato.” – disse Waxtom con una smorfia fiera che rese il suo discorso quasi ironico.

Romina si staccò dal parapetto allontanandosi e dicendo:

“Vivere e morire, nel mezzo il caos. Sarà per questo che abbiamo sterminato quasi tutte le specie animali. Loro non si chiedono nulla e per ciò li invidiamo.”

***

Il cuore sussultò nel petto dei cittadini Canadesi quando videro lo sciame di velivoli apparsi dal nulla avvicinarsi alla città.

Erano eccitati, così come il mondo intero, per la battaglia che stava per svolgersi in Australia; ognuno avrebbe voluto parteciparvi per poterla liberare. In fretta il sentimento cambiò quando si resero conto che la guerra aveva deciso di andargli

in contro. Un esercito stava disponendosi intorno alle mura cittadine, il panico si diffuse e gli allarmi suonarono.

I civili corsero agli ascensori che li avrebbero portati nei piani sotterranei dove le mura erano spesse e gli attacchi non li avrebbero forse raggiunti. I soldati occuparono i loro posti e i mezzi di difesa furono dispiegati sul territorio.

Il Tenente Denes provò a mettersi in contatto con il Generale Donovan che era in volo insieme all’esercito Imperiale verso l’Australia.

“Tenente, come mai mi chiama con il numero di emergenza?!”

“Spiacente Signore! Qui ci..”

“Lo sa che stiamo per andare in guerra, qualsiasi cosa sia se la sbrighi da solo!”

“Mi ascolti la prego, un esercito.. un esercito si sta avvicinando. Stiamo per essere attaccati.”

“Cosa dice, non è possibile! Le N.N.B.P. sono tutte a difesa della Città Australia.”

“Forse no, forse no Signore.”

“Attenda in linea” – Donovan contattò Greed. “Signore ho ricevuto una chiamata dalla mia Città-Regno in cui m’informano dell’avvicinamento di un esercito grande abbastanza da conquistarla. Non esiste un esercito così grande, a meno che l’Australia non sia vuota.”

“Non dire idiozie, nessuno si è mosso da lì ne siamo certi. Prendi le tue truppe e vai a vedere, faremo a meno di voi. Non permettere in alcun modo che espugnino la Città!”

“Sissignore agli ordini!”

Le truppe si staccarono dal gruppo dell’esercito Imperiale e virarono verso il Canada, ormai assediato dall’esercito virtuale, che immobile, teneva lo schieramento dando tempo alla Fallowing Fable di entrare in Città.

La nave sfrecciò tra i palazzi e a quel punto i mezzi reali nascosti tra centinaia di copie cominciarono un attacco forsennato. Missili e raggi al plasma miravano ai palazzi e alle difese nemiche, che provavano a intercettarne il più possibile.

Denes osservava l’attacco dall’alto.

“Non ha senso. Quest’esercito da dove arriva? Sono dei pazzi poi se sperano di sopravvivere a un attacco frontale, non hanno nessuna strategia. Rispondete al fuoco!”

I cannoni mobili virarono verso le N.N.B.P. e spararono a raffica.

Si levarono alcuni scudi protettivi sopra i mezzi reali mentre un computer simulava la distruzione degli ologrammi.

Dall’altro lato della città la Fallowing Fable atterrava sopra uno dei palazzi ormai disabitati, raccoglieva alcuni membri delle N.N.B.P. e ripartiva poi in direzione del palazzo galleggiante; dove era il parlamento e si nascondeva il Re.

La squadra Phoenix salì su un piccolo velivolo da caccia che si separò dalla nave, mentre la Fallowing Fable spazzava via le difese intorno al Parlamento; Veno e gli altri si nascosero sotto la piattaforma galleggiante e, scalandola con dei rampini, s’intrufolarono nel palazzo.

La Fallowing Fable ripartì allora in cielo verso l’Australia; la nave, costruita con i resti di un meteorite precipitato millenni prima sulla terra, prese quota fino a uscire dall’atmosfera, sparendo da ogni radar.

Waxtom ricevette una chiamata da Crumer.

“Signore, l’esercito Imperiale ha cominciato l’attacco.”

“Come si comporta l’invenzione di Mek?”

“Bene, l’attacco si sta infrangendo contro il muro. Voglio lasciarli sfogare ancora un po’ prima di fargli capire che la barriera protegge solo dal loro lato e che noi possiamo attaccare liberamente.”

“Sì, attendi il più possibile, la barriera anche se permette di attaccare, comunque consuma energia e riduce il tempo di attività dello scudo. Che mi dici della componente canadese dell’esercito?”

“Si è staccata come avevamo previsto e vi sta ora venendo incontro.”

“Perfetto. Gli siamo quasi sopra, ora li scorgo sul radar. Purtroppo per loro non tutti raggiungeranno la Città.”

Una scia di raggi luminosi propagatisi dalla nave cadde dal cielo e si schiantò sulle navi Canadesi, ignare della provenienza.

La Fallowing Fable scese in picchiata e iniziò un duello con la legione Canadese.

Intanto Veno e la sua squadra insieme con una ventina di N.N.B.P., si erano intrufolati nel palazzo e, attraverso un condotto di areazione, avevano raggiunto la sala principale, dove il Re e i parlamentari seguivano lo svolgersi delle battaglie.

Una voce robotica si diffuse:

“La legione Canadese staccatasi dall’esercito imperiale per soccorrerci è stata appena attaccata.”

Un clamore di sedie e voci si propagò nell’aula, mentre il Re rimase imibile e disse:

“Dove si trova ora la Fallowing Fable? Ci ha attaccato ed è sparita, mi sembra molto strano; intanto noi stiamo deliberatamente facendo a pezzi il loro esercito venuto alle nostre porte.”

Un gas si propagò in quell’istante, l’aula si riempì di fumo e non si poteva vedere nulla.

Quando il gas si dissipò Veno aveva già steso tutte le guardie e ora teneva sotto tiro il Re con la vecchia Reverdan, mentre i suoi amici circondavano la sala.

“Sire Jacob Cole, m’inchino al suo cospetto.” - disse Veno avvicinandosi.

“Chi sei? Piccolo presuntuoso.”

“Sono il giudizio e la voce del popolo che è venuto a sollevarla.”

“Veno, siamo in onda.” - urlò Jimmi: la telecamera riprendeva Veno e il Re, il segnale si trasmise a ogni apparecchio del mondo.

“Bene, signori spettatori. Mentre i vostri eroi dell’Esercito Imperiale sono in marcia verso l’Australia, permettetemi di alleviare la tensione con un programma nuovo ed elettrizzante, si chiama Processa il Re e i suoi

Parlamentari.

Dunque, Sua Maestà, sieda pure sul suo trono, un tempo i condannati a morte venivano giustiziati su una sedia...

Veniamo ai capi di imputazione:

Per esservi appropriati delle ricchezze di questo mondo senza condividerle equamente, io vi dichiaro colpevoli!

Per aver monitorato con chip e telecamere di controllo ovunque le vite delle persone al solo scopo di trovare i liberi pensatori e piegarne la volontà, colpevoli!

Per aver convinto i cittadini che il vostro livello di ricchezza sia l’unico obiettivo da raggiungere, facendoli diventare i primi sostenitori del vostro gioco, stordendoli con illusioni o psicofarmaci, colpevoli!

Per aver discriminato, cacciato e ucciso chi non la pensava come voi, Colpevoli!

Per aver prosciugato ogni risorsa nel pianeta e sterminato ogni altra razza vivente…”

Una lacrima scese sul volto del ragazzo mentre caricava il colpo.

“La vostra condotta disumana è imperdonabile.”

Re Cole sorrise.

“Allora spara ragazzo, cosa aspetti!”

“Veno le immagini stanno sparendo, fai in fretta.” – urlò Jimmi.

Una scossa di terremoto fece vibrare il Parlamento e le luci si spensero.

Mentre i suoi compagni miravano ai Parlamentari, Veno centrava Cole al cuore.

Ora era tutto buio, le scosse aumentarono per qualche secondo poi il terreno si fermò.

***

L’attacco dell’Esercito Imperiale procedeva incessante, nonostante la barriera creata da Mek ne annullava l’efficacia.

Nell’accampamento, i generali stavano discutendo animatamente con Greed sul

fatto di sospendere l’attacco e di arretrare finché la barriera non sarebbe stata distrutta, ma Greed, imibile, ordinava di procedere.

Nella città Crumer osservava soddisfatto le molte perdite per l’esercito nemico, ma sapeva che questo ancora contava su un numero ampiamente sufficiente per la presa della Città.

Dalla cima di un grattacielo fumava un sigaro e osservava missili e laser infrangersi contro la barriera, Trish gli stava accanto.

“Sembra di essere avvolti in una fottuta palla di fuoco. Dobbiamo ringraziare quel vecchio se siamo ancora tutti interi, inoltre possiamo portare qualche attacco, il che non è male.” – disse Crumer.

“Speriamo che Waxtom e Veno tornino in fretta, abbiamo assoluto bisogno di loro.” – disse Trish.

“Sei nel mezzo di una battaglia e pensi ai tuoi amici? Che sciocchezza, concentrati, loro sono abili, devi concedergli fiducia assoluta come loro l’hanno data a noi.”

D’improvviso un’onda d’urto scosse l’intera Città e la cupola vacillò.

“Cosa diavolo succede?” – disse Crumer.

“Non lo so, forse hanno minato il sottosuolo.” – disse Trish.

Arrivò una chiamata dal Tenente Sergio.

“Signore, c’è un essere ai piedi della cupola che sta tentando di sfondarla.”

“Un essere? Mostratemi le immagini.”

Su un piccolo monitor si formò l’immagine olografica dell’area est; ai piedi delle mura della città. Una figura dall’aspetto umano, ma enorme e oscura, camminava lentamente allontanandosi dalla città, mentre i soldati imperiali attorno a lui fuggivano. Dopo alcune decine di metri si arrestò, voltandosi poi come un tornado corse verso la cupola e vi si scagliò contro con una spallata, la Città tremò nuovamente.

“Che cazzo è quella cosa?!” – esclamò Crumer.

“Crumer credo.. Credo dalla descrizione che mi aveva fatto si tratti del mostro che uccise Joory, il vecchio maestro di Veno. Dovrebbe essere morto, possibile che ora sia al servizio dell’Impero?”

“Dunque è quel mostro? Bene, non importa se si è messo sul libro paga dell’Imperatore, caricate i cannoni e arrostite quello scherzo della natura!”

“Signore, ma così l’esplosione colpirà la cupola.”

“Non importa, meglio che se la colpisce ancora lui! Obbedite!”

Una scarica di missili e fuoco al plasma si riversò contro il mostro, deflagrando in un’enorme esplosione che spazzò via ogni cosa, compresi diversi mezzi e uomini dell’Esercito Imperiale.

“Tenente, il bersaglio è stato distrutto?” – disse Crumer.

Nessuno rispose poiché polvere e fumo coprivano ogni cosa.

“Tenente, il bersaglio è stato distrutto?” – ripeté Crumer, il fumo si diradò.

“Credo di si signore, non vediamo il corpo, ma non può essere fuggito. Di certo il bersaglio ha cessato le ostilità.”

“Bene, ma tenete monitorato il perimetro e se si rifà vivo, distruggetelo.”

Trish si avvicinò a Crumer.

“Non credi sia il caso di avvisare Waxtom? Dobbiamo chiedergli se stanno arrivando.”

“No, avranno i loro problemi e non voglio essere di peso.”

***

Quando il fumo si diradò, Veno e i suoi compagni erano gli unici superstiti nella stanza.

“Ci siamo tutti?” – chiese Romina.

Ognuno rispose col suo numero di matricola, ma le voci non erano di gioia per la vittoria, ma piene di amarezza, i corpi dei parlamentari giacevano al suolo.

“Bene, è tempo di lasciare la città.” – disse Heinze.

Veno s’incamminò verso l’uscita, ma una debole risatina accompagnata da un lento battere di mani lo fece fermare.

“Complimenti, complimenti davvero.”

Veno si voltò e alle sue spalle vide Cole a petto nudo, con solo un piccolo taglio all’altezza del cuore.

L’uomo continuava ad applaudire e il suo sguardo traspirava gioia e liberazione,

gli si faceva incontro e Veno percepiva crescere nell’uomo un’energia potentissima.

“Andatevene, scappate!” – urlò ai compagni il ragazzo terrorizzato, mentre Cole gli balzava addosso e con una manata al petto lo fece volare contro le panche dell’aula.

I compagni si armarono e aprirono il fuoco, ma Cole scomparve da sotto i loro occhi. Riapparve dopo un secondo dietro uno di essi, l’esperto Eride, trafiggendogli il petto con la mano, l’uomo ancora vivo urlava dal dolore mentre Cole invitava gli altri a sparare.

Veno gli si fiondò addosso e colpì con pugni al viso che lo fecero indietreggiare.

“Scappate, preparate la navetta e avvisate la Fallowing Fable di raggiungerci, subito!”

I suoi compagni obbedirono e corsero fuori dalla stanza, ma poco prima di uscire due parlamentari, Hash, commerciante di ori, e Jan, proprietario di una delle più grandi compagnie di comunicazione del mondo, si rialzarono uccidendo due uomini a mani nude, Gualco e suo nipote Dan, prima che gli altri potessero crivellarli di colpi vendicando la loro morte.

Cole stava incassando i colpi di Veno che con un balzo acrobatico gli si allontanò.

“Cosa sei?” – chiese Veno.

“Io? Forse la domanda che devi porti è cosa siete voi? Non so chi sei tu, ragazzo, ma sembri forte. Credo che, dopotutto, qualcosa in questi anni ci sia sfuggita.. poco importa. Ora tutto sta per finire e non c’è più nessun motivo di nasconderci.”

“Cosa stai blaterando?”

Cole attaccò di nuovo Veno e con pochi colpi lo stese.

“Incredibile.” – pensò Veno. “Quest’uomo è più forte persino di Joory e sta solo giocando con me, devo fuggire.”

Si concentrò al massimo per riuscire a schivare un calcio al volto e con rapidità sparò a raffica contro l’uomo che, investito dai colpi, cadde.

Senza verificare se l’aveva ferito o no Veno corse via cercando di raggiungere gli altri.

Appena riuscì a uscire dal parlamento scorse molti corpi dei suoi uomini crivellati di colpi, tra cui One, Six e Ten: la vista dei migliori di loro a terra infuse lo scoramento nelle sue ossa e si fermò; la missione era stata un disastro, perse lo spirito combattivo e rimase in attesa di un colpo che terminasse anche lui, poi una fune calò dal cielo.

“Afferrala Veno!”

La squadra Phoenix aveva raggiunto il velivolo che volava a pochi metri dal tetto.

“Andiamo dobbiamo fuggire.” – urlò Romina a Veno.

Veno, rianimatosi alla vista degli amici si aggrappò alla corda e il mezzo prese quota sollevandolo.

Scapparono poi agili tra i palazzi, inseguiti dai pochi mezzi di difesa della città non impegnati a combattere contro l’esercito virtuale, ma rimasero troppo dietro per prenderli e Jimmi volava veloce seminandoli; ora puntava verso il confine della Città, dove in lontananza vedeva avvicinarsi la Fallowing Fable.

“Guardate!” – urlò Romina indicando la cima di un palazzo.

“E’ ancora quel mostro di Cole, cosa ci fa lì?” – disse Omar.

“Ci penso io.” – disse Heinze sporgendosi dal portellone laterale, col fucile di precisione mirò alle tempie e sparò diversi colpi.

I proiettili sibilarono puntando con precisione al bersaglio che però con piccoli movimenti del collo li mandò a vuoto.

Cole afferrò il basamento di un cartellone pubblicitario, lo sradicò dal tetto del palazzo come se fosse fatto di carta, sorrise mentre lo scagliava con forza disumana verso i fuggitivi.

“E’ troppo veloce!” – urlò Jimmi mentre con tutte le forze cercava di prendere quota per evitare l’impatto con l’oggetto. Il pilota riuscì nel suo intento, ma il cartellone travolse la corda e Veno che ancora le era aggrappato.

Il terrore bruciò nei cuori dei compagni. Il corpo del loro leader precipitò per centinaia di metri tra due palazzi, infine con un sordo tonfo si schiantò contro la vetrata di uno di essi e sparì.

Non fecero in tempo a realizzare l’accaduto che si trovarono sulla Fallowing Fable, Cole da sotto li salutava ridendo.

Waxtom urlò dalla rabbia appena fu informato.

“Dobbiamo tornare a prenderlo!” – gridò Omar.

“No!” – rispettiamo il piano, se è vero quello che dite non c’è speranza per lui. Povero ragazzo, stanno succedendo troppe cose strane, dobbiamo tornare subito in Australia!” – disse Waxtom visibilmente turbato.

“Non possiamo abbandonarlo.” – disse Romina.

“Amici.” – disse il pirata. “Non crediate che il mio animo non sia turbato. Anch’io vedete desidero vendetta, ma questa è una guerra e solo con la ragione possiamo conservare speranze di vittoria, ci vendicheremo, ma a tempo debito.”

La Fallowing Fable schizzò in cielo scomparve tra le nuvole.

Cole li lasciò andare, poi saltò di palazzo in palazzo tra gli sguardi increduli dei suoi soldati, si fermò sul tetto dell’anello intorno alla città, osservando come un Dio le piccole formiche che si avvicinavano al suo dominio; fece un balzo di decine di metri atterrando tra le file dell’esercito invasore. Sbracciò e tirò calci colpendo però il nulla; si rese finalmente conto dell’illusione creata da Mek. Sentitosi raggirato sfogò la furia distruggendo tutti i mezzi reali, aiutato nel compito dalla legione di ritorno dall’Australia, seppur pesantemente decimata dall’imboscata subita della Following Flabe.

Quando ebbero distrutto ogni minaccia, Cole si sfogò eliminando molti uomini e mezzi del suo stesso esercito. I soldati percepirono di non avere davanti l’uomo che avevano creduto di servire, li osservava con sguardo crudele.

“Ebbene cosa avete da guardare? Avete forse motivo di spiegarmi come mai siete arrivati così in ritardo?”

Il Tenente Denes e il Generale Donovan fecero un o avanti e s’inchinarono, il primo parlò.

“Sire, attendiamo nuovi ordini.”

“I piani sono cambiati, miei fedeli; queste stupide pedine al nostro servizio non servono più a nulla ormai, vi lascerò divertire con loro, io intanto raggiungerò l’Australia, voglio vederci chiaro.”

Cole salì su un aereo che lo portò lontano, Donovan e Denis intanto si voltarono verso la città i loro occhi brillarono di una luce viola, crudele e folle.

***

L’intento di Greed di attaccare nonostante la barriera, stava sfiancando le truppe dell’Esercito Imperiale, il cui morale era sul punto di crollare.

Greed ricevette un messaggio sul cercapersone; dopo averlo letto ordinò finalmente di far arretrare gli uomini.

L’esercito si portò a distanza di sicurezza dalle armi nemiche e attese leccandosi le ferite che la barriera esaurisse l’energia.

Circa un quarto d’ora più tardi una striscia di fuoco tagliò in due lo schieramento imperiale. La cupola si dissolse per qualche secondo poi si ricostituì; al suo interno vi era ora la Following Flabe che al suo aggio aveva massacrato decine di soldati nemici.

Il vigore delle N.N.B.P. si risollevò nel vedere Waxtom e i suoi uomini, ma questi erano angosciati dalla scomparsa di Veno.

Trish corse incontro alla Squadra Phoenix.

“Ci siete solo voi? Cosa è successo? Dove sono gli altri?”

Romina le rispose con fatica senza guardarla negli occhi.

“Siamo tornati solo noi quattro, Ten e gli altri sono stati uccisi e anche Veno ha condiviso la loro sorte, mi dispiace.”

Trish cadde in ginocchio piangendo, ma poi si ricordò di qualcosa di molto più brutto, di crudele che si stava realizzando.

“Lei dov’è?” – domandò rialzandosi.

“E’ nella cabina di Veno.” – disse il Capitano.

Trish si rialzò e corse nella nave fino a raggiungere la porta di una stanza.

Bussò più volte, ma senza ottenere risposta, poi impaziente afferrò la maniglia e aprì.

Seduta su un lato del letto, con la faccia appoggiata a un cuscino vi era lei; una visione attesa per anni, e ora resa triste e inutile dal destino.

Trish sussurrò:

“Simon.”

“Simon.” – ripeté.

La donna interruppe il pianto per un attimo, scostò i lunghi capelli neri dal viso e si asciugò il volto con un fazzoletto.

Alzò poi lentamente il viso, gli occhi di chi aveva sofferto a lungo e che ora parevano privi di vita, incrociarono quelli colmi di lacrime di Trish.

“Oddio, dopo tutti questi anni di attesa, mi spiace!” - Trish si avvicinò e strinse la donna tra le sue braccia.

***

Waxtom non poteva permettersi né dolore né pause. Raggiunse Crumer che seduto mangiava delle barrette energetiche.

“Salve, Capitano. E’ andato tutto bene in Canada?”

“No Crumer, ma noto con sollievo che qui le difese hanno retto, temevo per voi. L’attacco in Canada è fallito, ho visto Cole diventare un mostro, ha distrutto i nostri uomini compresi One, Six, Ten e Veno.”

Crumer si alzò tirando un calcio a un muretto.

“Perdite gravi, maledizione! I migliori di noi sono già stati tolti di mezzo.”

“Credo che il nostro vero nemico abbia deciso di rivelarsi, ma le truppe Imperiali sono il nostro problema immediato, anche se temo il più piccolo. Ahinoi, contro cosa stiamo lottando, sono forse gli antichi Dei che cercano di vanificare ogni nostro sforzo? Un tempo lessi in un antico testo di una battaglia combattuta dagli uomini, quando ancora si scontravano col bronzo. Ogni loro azione era decisa dal volere di esseri divini che facevano combattere i loro invincibili figli in mezzo agli uomini. Mi sembra di essere finito in un maledetto romanzo epico.” – disse Waxtom.

“Già, e i nostri eroi sono già stati eliminati; questo vuol dire che gli dei ci sono ostili, ma siamo qui per combattere e se vogliono le nostre vite dovranno sputare sangue fino all’ultimo, Capitano. In realtà la loro tattica lascia molto perplessi. In condizioni normali, un esercito assediante che ha già avuto perdite importanti sarebbe col morale a terra e si ritirerebbe. La nostra strategia, seppur con gravi perdite, credo ci abbia già dato la vittoria senza neanche combattere.” – disse Crumer.

“Così dovrebbe essere, ma non li vedo disposti ad arrendersi. Credo abbiano in

serbo qualcosa, oppure non sono qui per vincere questa battaglia; se così fosse noi non possiamo far altro che stare al loro gioco. Senza conoscere la loro strategia siamo in pericolo, ma è possibile che puntino solo su questo fattore per destabilizzarci e non abbiano niente in mente. Prepariamoci alla battaglia e non diamo modo ai nostri uomini di pensare a strategie alternative.”

***

Greed accolse con superficialità i rapporti sulle perdite, li lesse, ma non diede nessun ordine nuovo, se non di attendere fino a quando le difese del nemico non si fossero abbassate.

Bussò alla porta il Generale Tehesim e Greed lo fece entrare.

“Signore, abbiamo perlustrato la zona dove è avvenuta l’esplosione, non c’è nessuna traccia della creatura. Quel mostro demoniaco, chissà, forse è tornato negli inferi.”

“Bene, che dicono al Comando?”

“Dalle immagini che abbiamo registrato pare che la creatura fe parte di un esperimento segreto condotto anni fa dall’Instruments of Mass Defense. Lisa Ferisy è ora il Presidente della società, dopo la prematura e misteriosa morte del padre durante un’esplorazione nel deserto, l’ho già messa in contatto e se vuole parlarle è in linea sul suo schermo.

“Bene può andare. Accetta la chiamata.” – disse Greed e l’immagine 3d di Lisa apparve nella stanza.

“Buon giorno Signor Greed, è un piacere conoscerla, cosa posso fare per lei? L’armamentario che le abbiamo fornito presenta dei problemi?”

“Lasci perdere le frasi di rito, sa bene cosa voglio, chi è quell’Hugkran?”

“Certo signore, la linea è libera?”

“Certo parli pure liberamente, non sapevo che lei fosse dei nostri, è un piacere.”

“Bene, deve sapere che Hugkran fa parte delle ricerche per il miglioramento della clonazione umana. Stia attento i suoi risultati sono stati valutati di Livello 1, capisce cosa c’è in gioco?”

Greed raggelò.

“Livello 1, su questo misero pianeta? Non posso crederci spero che quegli idioti non l’abbiano disintegrato. Ora la faccenda si complica può darsi che riceveremo visite prima del previsto.”

“Non credo sia morto, tra le qualità più rilevanti nel mostro c’è la capacità di auto guarigione. E’ inutile dire che quella stupida Città ora viene in secondo piano, rispetto alla cattura di quell’essere.”

“Allora immagino che non ci sia più bisogno di nascondere niente, finalmente.” – disse Greed con soddisfazione.

“Immagino di no, Signore. Non ne conosco il motivo ma al momento pare che Hugkran abbia deciso di attaccare le N.N.B.P., direi che meno interferiamo e meglio è per noi.”

“Sono d’accordo, che si stanchino tra di loro. Noi interverremo solo al momento più opportuno. La ringrazio Signorina Ferisy, ora può andare.”

Lisa salutò e la sua immagine si dissolse.

***

Waxtom scese nella sala di comando dove sperava di trovare Mek, non sapeva ancora come aveva reagito alla notizia della morte di Veno.

Lo trovò seduto di fronte ad un monitor intento a leggere dati e diagrammi.

Waxtom si avvicinò senza che Mek lo notasse.

“Tutto bene?” – disse distogliendolo dalla sua concentrazione.

Mek realizzò dopo pochissimo e rispose.

“Capitano, è lei? Mi scusi ero concentrato sul lavoro; sa, è una grande fatica monitorare le difese di una Città intera.”

“Ti vedo pallido amico mio, forse è il caso che ti prenda una pausa. Dobbiamo parlare.”

“Di cosa vuole parlare? Di Veno? Il ragazzo è morto come tanti altri quest’oggi; se tutti ci fermassimo a piangere i nostri cari verremmo sopraffatti, ci sarà il momento, non ora lo piangerò. Inoltre, non posso staccarmi di qui.”

“Cosa stai facendo?”

“La forza della barriera è limitata dall’uso immenso di energia che serve ad alimentarla. Non volevo che questo rivelato punto debole, ci costasse troppo e ci ho lavorato sopra, prendendo spunto dall’idea dell’esercito virtuale che ho spedito in Canada. Come vedi sto progressivamente sostituendo la barriera reale con una virtuale, solo che il processo per non essere notato ha bisogno di moltissimo tempo e ora sono solo al 5%.”

Waxtom era strabiliato.

“Sei un maledetto genio. Crederanno di farci cedere con l’attesa, quando invece potremo conservare tutte le nostre forze; ma non puoi stare qui tutto il giorno a

controllare quei dati, impazzirai! Fatti aiutare da qualcuno.”

“No no, non avrei il tempo di spiegare il codice ad altri e poi è pieno di errori che devo correggere in diretta. Mi raccomando non sparate attraverso l’ologramma quando sarà completo, altrimenti il nemico capirà il trucco.”

Waxtom lesse la determinazione nell’uomo e capì di non poter far nulla.

“Grazie, dacci più tempo che puoi, nel frattempo emo armi a lunga distanza per sfiancare il nemico, col tempo in più che ci stai concedendo prenderemo un vantaggio che ci assicurerà la vittoria.”

“Vada pure Capitano. Nessuno si accorgerà che le difese sono abbassate e anche se fosse le potrei riattivare in poco tempo.”

“Ti farò portare dei viveri.” – disse Waxtom, poi corse fuori urlando ordini agli uomini.

5

L’oscurità della notte era interrotta di tanto in tanto da fiammate lucenti che attraversavano il bagliore dalla barriera e si schiantavano sull’Esercito Imperiale, creando distruzione e panico tra le sue fila.

Il malcontento regnava tra i sodati quando il buio finalmente diede spazio ai primi raggi di luce del giorno nuovo.

Un soldato si rivolse a Greed appena questo uscì dalla sua tenda:

“Signore, l’alba è arrivata e gli attacchi del nemico si sono interrotti già da quasi due ore.”

“Molto bene, sono sicuro che ogni attacco che portano indebolisca la loro stessa barriera; significa che non hanno più molto tempo. Preparate l’attacco.”

Nella Città, intanto, Trish continuava incessantemente a gestire le persone rifugiatesi nei bunker sotto i palazzi.

Aveva distribuito la popolazione al meglio e per fortuna le scorte di cibo e medicinali erano abbondanti e non si doveva razionare più di tanto.

Intanto Waxtom sorvolava sulla Following Flabe la Città, controllando che le truppe fossero al loro posto. La barriera era ormai totalmente stata sostituita da un ologramma e una volta ripristinata avrebbe avuto ancora circa dodici ore di autonomia. Il pirata temeva per Mek, ma doveva fidarsi di lui: aveva tante cose a cui pensare che quasi era sollevato di non riuscire a pensare a lui o ai caduti.

Le prime ore della mattinata trascorsero lente; chi era in Città si snervava nell’immobilità, mentre chi era fuori, demoralizzato, si teneva occupato raccogliendo i morti durante la notte.

Un tremore del terreno riportò tutti all’attenzione, ma non si vide nessun attacco, né da terra né dal cielo.

Le prime fila dell’Esercito Imperiale arretrarono, scorgendo la terra muoversi sotto di loro. Un vortice risucchiò la sabbia e lentamente uscì la creatura. Si rannicchiò su se stessa poi aprì le braccia urlando come a scacciare rabbia e dolore, l’onda d’urto sbalzò via le prime fila, che andarono a ghermire la sabbia.

Hugkran alzò lo sguardo crudele verso la città e si lanciò verso di essa.

Waxtom che osservava preoccupato, chiamò Mek per dirgli di ripristinare la barriera.

Mek iniziò la procedura, mentre ormai il mostro saltava dentro il perimetro della Città oltreando l’ologramma.

La Following Flabe scese in picchiata incontro alla creatura che, muovendosi troppo in fretta, non veniva colpito dai cannoni di difesa.

Con un ultimo balzo di decine di metri atterrò proprio sopra il centro di comando; infilò la mano nel cemento e squarciò il tetto, che crollò sui macchinari, Mek fece appena in tempo a rendersi conto di quello che accadeva. Si sentì afferrare da una stretta micidiale e portare fuori.

Ora la Following Flabe era pochi metri sopra Hugkran che teneva tra le braccia Mek.

“Lascialo orrido mostro, cosa vuoi?!” – urlò Waxtom.

“La nave!” – urlò Hugkran che saltò verso la Following Flabe senza curarsi dell’uomo, che cadde a corpo morto al suolo.

La Following Flabe indietreggiò, riuscendo a evitare l’impatto col mostro che, allungando le possenti braccia, afferrò il rivestimento di legno della nave.

“E’ sotto di noi, prendiamo quota a tutta velocità dobbiamo liberarcene! Chissà cosa vorrà da noi? Ci mancava solo questa!” – urlò Waxtom.

La nave sparì in cielo col mostro aggrappato. A terra le Truppe Imperiali accortesi della mancanza della barriera, ripresero l’avanzata: ora avevano recuperato coraggio dopo una nottata terribile; i due schieramenti si affrontarono in campo aperto: le N.N.B.P., nascoste tra i palazzi ancora provati dalla battaglia

precedente, difendevano il perimetro, mentre l’Esercito Imperiale avanzava da ogni lato tentando di colpire il nemico, con la difficoltà in più data dall’ordine di non abbattere i palazzi.

Il cielo sopra la Città era coperto da Mezzi dell’impero che osservavano, segnalavano e colpivano gli avversari dall’alto, mentre sotto di loro i cannoni di difesa tentavano di distruggerli.

In breve tempo si sollevarono ovunque fumi e nubi nere; gli uomini, pur protetti da corazze e caschi con maschere antigas, faticavano a vedere, solo chi di loro indossava gli infrarossi godeva di maggior vantaggio e si muoveva meglio sul campo.

Crumer, rimasto solo e al comando, guidava le N.N.B.P. nella loro più impegnativa battaglia.

Nel frattempo la Following Flabe aveva raggiunto la velocità massima, ma Hugkran le rimaneva sempre aggrappato.

Waxtom fece allora rimuovere il rivestimento della nave e il mostro precipitò nel vuoto. La nave divenne nera opaca come il meteorite di cui era forgiata, virò in cielo si diresse in picchiata verso il nemico e lo superò; ora questo cadeva seguendola.

I pirati di Waxtom attivarono i razzi a propulsione che portavano la nave nello spazio e l’onda d’urto travolse Hugkran scaraventandolo in aria verso le nuvole, mentre la nave a tutta velocità si proiettava verso il suolo. Neppure la Following Flabe poteva frenare quell’accelerata, quindi virò lentamente sperando di avere

lo spazio per riprendere una traiettoria orizzontale prima di schiantarsi al suolo.

All’interno della nave ogni giunto fischiava come se stesse per esplodere per lo sforzo. La parabola si concluse a pochi metri da terra e la Following Flabe riprese la posizione orizzontale, ma la fiancata destra travolse delle sporgenze rocciose del terreno facendo ribaltare la nave che per la prima volta da quando era stata costruita si ribaltò precipitando tra la sabbia del deserto.

Hugkran come un missile stava per uscire dall’atmosfera, gli abiti e la pelle iniziarono a bruciare, ma il mostro non accettò la resa. Raccolse tutto il Prana nel suo corpo concentrandolo nel braccio destro, poi con uno sforzo immane lo sollevò e un’onda di energia esplose verso il cielo, l’aria fu spaccata dal suono di mille tuoni. Il braccio del mostro esplose, ma la salita fu arrestata ed egli, svenuto, cominciò a precipitare.

I pirati intanto si erano ripresi dal colpo, la nave non aveva subito danni gravi, ma alcuni collegamenti elettronici erano saltati e andavano ripristinati.

Simon si ritrovò sul pavimento; era caduta male e per un attimo aveva perso i sensi.

Riaprì lentamente gli occhi, non riusciva a percepire la luce come al solito, il mondo sembrava ingiallito e ovattato; barcollò per la stanza, poi un’esile voce femminile le entrò nella testa.

“Simon, Simon ascoltami. So che puoi sentirmi, aiutami. Vieni da me ti prego, salvami, vieni da me, salvami.”

“Chi sei? Chi sei?!” – urlò la ragazza sconvolta. “Non ci vedo più e non riconosco la tua voce. Sto forse impazzendo?”

“No, non sei pazza, anzi, ti scongiuro fidati, segui la voce, vieni da me.”

Simon si divincolò cercando di togliersi di dosso quella voce, ma questa era dentro di lei e infine ebbe la meglio; non per disperazione Simon le diede retta, ma perché sentì di doversi fidare.

Uscì barcollando dalla stanza.

“Ti seguo, dimmi dove andare.”

La Following Flabe, ripristinate tutte le funzioni, si risollevò lentamente dal suolo, ma un’altra scossa improvvisa la colpì squarciandone di taglio un lato che danneggiò diverse parti interne.

Waxtom salì sul ponte e guardò di sotto; vide una figura che sembrava Hugkran, ma senza capelli e più piccola, che stava tornando a terra dopo il balzo di trenta metri per raggiungere la nave, sembrava avere in mano una spada.

Il colpo aveva danneggiato in parte la nave che ora si muoveva molto lentamente, Waxtom ordinò ai suoi uomini di prender quota il prima possibile per evitare di far salire a bordo l’essere che aveva scorto; ma questo saltò appena i suoi piedi toccarono terra e salì sulla nave, poi come un fulmine balzò ancora in

cielo, afferrò Hugkran mentre precipitava e ne rallentò la caduta.

Ora vi erano i due mostri sul ponte. Waxtom e la sua ciurma gli puntarono contro le armi, attendendo terrorizzati, ma disposti a combattere.

Hugkran era per terra, sembrava agonizzante; afferrò l’altra creatura per il collo e, come se ne stesse risucchiando l’anima, ne aspirò l’energia. Il braccio del mostro lentamente si ricostituì e le forze gli tornarono in corpo. L’altro cadde in ginocchio sfinito, per un attimo scorse il suo viso segnato; la pelle era molto scura, così come gli occhi, lievemente orientali, completamente neri senza tracce di pupille.

Waxtom fece un o avanti.

“Siete saliti sulla mia nave senza permesso, nessuno prima d’ora aveva osato tanto, andatevene!”

Hugkran fece cenno di no con la testa.

“Cosa vuoi, mostro? Perché ci hai attaccati? Sei anche tu schiavo dei Re?”

Hugkran alzò un braccio.

“La ragazzina!”

Con una manata sfondò il ponte e lo sollevò, scoperchiando il laboratorio dove riposava Mara.

Waxtom gli si lanciò incontro urlando, ma fu colpito dall’altro mostro alla testa e cadde.

Hugkran scese nella stanza, ma la bimba non c’era più, furioso risalì sul ponte.

“Dov’è?!”

Waxtom si rialzò sanguinante a una tempia, i pirati gli fecero scudo, era preoccupato che Mara fosse sparita, ma ringraziò il cielo che lui non l’avesse trovata.

“Uccidiamoli!” – ordinò e un’onda di fuoco travolse i mostri, che però resistettero e uccisero con furia molti pirati. Il sangue colò in grande quantità sul ponte.

“Fermi.” – una debole voce penetrò nelle menti di tutti e tutti obbedirono, Hugkran cadde in ginocchio.

I presenti si voltarono vedendo salire le scale e arrivare sul ponte Simon, che camminava con gli occhi chiusi e reggeva in braccio la piccola Mara.

Le due donne si sollevarono da terra volando sopra i presenti, la voce si fece risentire.

“Joory, ora sarai libero.”

L’essere che aveva salvato Hugkran cominciò a divincolarsi e a urlare terribilmente, lanciandosi poi fuori dalla nave.

Hugkran guardò le donne e disse:

“Tu! Scendi subito giù” - balzò in aria, ma fu bloccato come da un ictus e precipitò anch’egli. Le due donne volarono poi verso la città mentre il mostro da terra le inseguiva come un toro inferocito.

6

Crumer osservava il proprio sangue gocciolare sul pavimento; non si trattava di una tortura, ormai non sentiva più alcun dolore nonostante le molte ossa rotte.

L’orgoglio innato però non l’aveva abbandonato e tentò lo stesso di rialzarsi, stare in ginocchio non era da lui.

Era stato sconfitto, questo sì, ma poteva perdonarselo; nessuno immaginava che Greed e i tredici Generali possedessero quella forza mostruosa; da soli avevano sbaragliato le sue truppe proprio quando stavano per mettere in fuga il nemico. L’Esercito Imperiale, guidato dai suoi invincibili condottieri aveva riacquistato coraggio e aveva vinto, forse Waxtom aveva ragione, pensava, non era una lotta che potevano vincere.

Lo stesso non si perdonava di aver portato alla morte i suoi uomini e quindi sapeva di meritare il dolore che stava provando, ma mai il nemico avrebbe avuto la soddisfazione di vederlo arrendersi.

Era sulla piazza di fronte al parlamento, circondato da Greed e dai Generali, intorno a lui i corpi senza vita dei suoi amici erano stati raccolti e gettati di sotto.

“Allora Colonnello, ti vedo sorpreso.

Posso capirti, secondo i tuoi calcoli avresti anche potuto vincere, ma ti sei

trovato di fronte il sottoscritto, una forza inarrestabile e incomprensibile per uno sputo di carne come te. Non voglio demoralizzarti, ma è bene che tu sappia che finora avete vinto perché ve lo abbiamo consentito; e non è tutto, la vostra vita è ben più misera di quello che puoi immaginare, ma non meriti tante informazioni. Devi solo inginocchiarti e ti darò una morte degna sul campo, altrimenti ti farò provare umiliazioni e agonie che neanche immagini.”

Crumer era troppo stordito, arrabbiato e triste per ascoltare l’uomo che parlava, non ascoltava neanche il proprio corpo urlante; si rialzò in piedi.

Greed scosse la testa, intanto un Generale trascinava Mek lì vicino.

“E’ vivo?” – domandò Greed.

“E’ conciato male, ma respira. Lo finisco?”

“No, non ancora, se sopravvive sarà interessante studiarne il cervello.”

“Bast-ar-do..” – sussurrò Crumer.

Gli altri generali portarono nella piazza anche Jimmi e Romina, gli unici sopravvissuti della squadra Phoenix e tutti gli ufficiali rimasti in vita.

Greed si avvicinò a Trish ed Emma, che sedevano abbracciate, impaurite e sopraffatte dallo sconforto.

“Il vostro colonnello è un eroe, sapete? Rifiuta di inginocchiarsi.”

Afferrò le teste delle due donne e con violenza le schiantò l’una contro l’altra, le donne morirono sul colpo.

Jimmi si lanciò disperato verso Greed, ma un Generale lo colpì con un calcio rompendogli il collo.

“Sei un mostro!” – urlò Romina.

“Molto bene.” – disse Greed. “Colonnello è ora di far qualcosa, mi senti o stai dormendo? I tuoi uomini stanno cadendo uno dopo l’altro.”

I Generali impugnarono dei mitra e spararono verso gli ultimi ufficiali superstiti delle N.N.B.P., ordinando ai propri uomini di fare lo stesso con il resto dell’esercito, che nei piani bassi della città attendeva la sua sorte.

Romina piangeva, mentre assisteva alla carneficina, vide Crumer ancora in piedi, ma palesemente privo di conoscenza.

“Oddio, non può finire tutto così.” – pensò. “Volevamo un mondo migliore, ma forse non avevamo ancora visto niente del male che ci circonda. Questi mostri, chissà da quanto ci muovono come marionette, solo ora si sono rivelati, forse ci siamo spinti troppo in là nella ricerca della verità..”

Un urlo sovrastò le armi e gli spari.

Tutti si voltarono e videro in cielo Simon levitare verso di loro con Mara in braccio, mentre Hugkran, balzando di palazzo in palazzo le seguiva come un cinghiale ferito.

Ora le donne si trovavano sopra la piazza, Greed, i generali e i pochi sopravvissuti delle N.N.B.P. le osservavano da sotto, poco dopo anche il mostro lo raggiunse.

“Oddio.” – l’esile voce di Mara penetrò nelle menti di tutti. “Quanta crudeltà, che orride gesta avete compiuto oggi! Forse ho dormito troppo a lungo, mi dispiace, sono arrivata tardi.”

“Scendi! La tua anima è per me un veleno e mi causa dolore, devo distruggerti!” – urlò Hugkran.

“Allontaniamoci.” – ordinò Greed ai soldati. “Non ci interessano le vostre questioni, te la lasciamo volentieri.”

Nella Città-Regno intanto i soldati dell’Impero caddero a uno a uno addormentati, tra i corpi delle N.N.B.P. che avevano ucciso.

I generali si allontanarono intimoriti dal mostro, ma d’un tratto vennero presi come da una scossa e tremanti si fermarono.

Uno di loro sollevò l’arma e sparò verso il mostro.

“Cosa fai idiota?!” – urlò Greed.

“Non volevo, non volevo! Il braccio si è mosso da solo!” – ripose questo.

“Venite via!” – disse Greed.

Al contrario tutti i Generali spararono.

“Che diavolo succede?” – disse Greed vedendo i suoi uomini agire insensatamente.

Hugkran rimase immobile, poi quando la raffica terminò digrignò i denti.

“Voi non mi intralcerete!”

Si lanciò verso i generali, intento a distruggerli, nel frattempo Romina e un Ufficiale sopravvissuto trascinavano lontano Crumer.

Con un unico colpo il mostro respinse il gruppo di avversari facendoli balzare

all’indietro.

I Generali si rialzarono e, scambiandosi occhiate complici, emisero un grido acuto che si udì a distanza di centinaia di chilometri; il loro corpo cominciò a contorcersi fino a far scricchiolare e rompere le ossa al suo interno. Gli arti si ritiravano o allungavano, il pelo in alcuni casi scomparve, in altri s’infittì, infine i generali di fronte al mostro non erano più semplici umani, alcuni avevano teste di animale o uccello e il corpo da uomo, altri corpi di cavalli, capre, serpenti e uccelli.

Si lanciarono insieme all’attacco.

Hugkran lottava ora contro tredici avversari che credeva di poter sconfiggere con un sol colpo; ma questi si dimostrarono molto forti e lo bloccarono, poi insieme lo colpirono con colpi da terra e dal cielo ed egli cadde.

“Eliminatelo!” – ordinò Greed, ma vide che il mostro nonostante i colpi subiti si stava rialzando, un bagliore rosso attraversò il suo corpo e cominciò a colpire con rinnovata forza.

A uno a uno, colpo dopo colpo i generali vennero spaccati e dilaniati da colpi graffi e morsi terrificanti fino a quando non rimase solo Hugkran in mezzo ad un lago di sangue e carne.

Il mostro inspirò profondamente, poi sollevò il crudele sguardo verso Greed.

L’uomo ricambiò; non era certo brutto come Hugkran, anzi, ma nei suoi occhi si leggeva una cattiveria pari a quella del mostro.

A pochi chilometri di distanza la Following Flabe volava a rilento verso la Città. Waxtom e i pirati seppur feriti volevano raggiungere le ragazze per salvarle dal mostro.

“E’ ancora vivo?” – domandò Waxtom, stringendosi una benda sopra la tempia sanguinante e osservando l’ospite legato sul ponte.

“Si signore, ma perché ha voluto che portassimo a bordo questo mostro?” – chiese il dottore della nave.

“Non è un mostro, è Joory, il maestro di Veno, almeno credo. Mi aveva raccontato fosse morto ma io non credo, non del tutto almeno, forse ora è un pericolo, ma non posso lasciarlo morire nel deserto.”

Si avvicinò un pirata.

“Capitano, la nave è stata danneggiata seriamente, sembra che il nostro nuovo ospite sapesse dove colpire, ci vorranno almeno quindici minuti per raggiungere la Città.”

“Ho capito, cerchiamo di fare presto!”

Intanto in Città, malvagità insieme con astuzia, contro malvagità istintiva si stavano osservando. Chi era nelle vicinanze provava un senso di oppressione tale da far desiderare la morte.

Greed alzò una mano come a chiedere del tempo per parlare.

“Aspetta un secondo. Non sono tuo nemico e non ho voglia di mettermi contro di te. Immagino tu capisca che non puoi andartene per sempre per il mondo a lottare senza motivo contro tutto e tutti. Hai delle capacità notevoli e ci saresti di aiuto. La tua capacità di guarigione è sorprendente, anche ora le tue ferite si rimarginano, ma la tua forza si è molto ridotta. Cosa ne dici di diventare nostro alleato?”

Hugkran alzò il capo, respirando affannosamente.

“Voglio mangiare la tua carne.”

“Pensi di farmi paura? Se vuoi combattere ti accontento. Stupido, pensi di essere libero? Sei ancora in vita perché sei stato valutato interessante. Attaccami pure, comunque sia finirai su un tavolo da laboratorio a subire esperimenti come un cane.”

I due si lanciarono all’attacco e, afferrando uno il collo dell’altro, si spingevano provando la propria forza all’avversario; poi mollarono la presa e iniziarono a colpirsi con forza impressionante con calci e pugni.

Il Palazzo Galleggiante tremava e si sgretolava sotto l’urto dei colpi, Romina barcollò e cadde a terra spinta da un ufficiale che aveva perso l’equilibrio.

“Come ti chiami? Stai bene?” – chiese all’ufficiale che era sopra di lei.

“Mi chiamo Paul. Si sto bene, credo, ma se non ci allontaniamo quei due ci travolgeranno.”

“Lo so, ma ora non posso, vedi quell’uomo disteso?” – disse indicando Mek. “Credo sia ancora vivo, dobbiamo tirarlo fuori di lì è troppo vicino alla lotta. Sei pronto? Appena si spostano andiamo.”

“Va bene.” – rispose Paul deglutendo la saliva.

Greed aveva momentaneamente preso il sopravvento, teneva in mano una moto volante da guerra e la picchiava sul volto dell’avversario.

La moto si distrusse infine in brandelli e Hugkran cadde al suolo disteso.

Romina corse verso Mek e Paul la seguì, lo afferrarono e insieme lo trascinarono lontano, ma notarono che anche Crumer faceva dei lamenti.

“E’ ancora vivo portiamo via anche lui.” – disse Romina.

Greed intanto infieriva su Hugkran e ora si era voltato verso i due che si muovevano verso Crumer. Afferrò quello che rimaneva della moto usata per picchiare l’avversario e la scagliò contro Romina e Paul.

I due fecero appena in tempo ad accorgersi del veicolo che arrivava e caddero spaventati, ma qualcosa arrestò a mezz’aria la moto e li salvò;

la moto rimase sospesa per un attimo poi cadde.

Paul, Romina, Mek e Crumer furono sollevati anch’essi e volarono verso Simon e Mara.

Greed osservò la scena e urlò:

“Non so chi voi siate e che poteri abbiate, ma se pensate di essere al sicuro lassù, vi sbagli..”

Un grugnito alle sue spalle interruppe Greed.

Si voltò, Hugkran si era rialzato e sembrava in perfetta forma.

Greed arretrò, ora non era più sicuro di poter tener testa a tutti quegli avversari; attivò un dispositivo vocale e richiese rinforzi, poco prima di dover bloccare un violento pugno diretto al suo viso.

Dal ponte della nave Waxtom iniziava e vedere i palazzi della Città, la rabbia lo travolse; i propri uomini e i nemici giacevano senza vita dispersi tra i palazzi. Dopo pochi minuti scorse i loro amici sospesi in aria e sotto di loro i due duellanti, si collocò sotto i compagni e gli urlò di scendere. La magia della levitazione s’interruppe e tutti si posarono sul ponte della nave. Waxtom ordinò di portare in infermeria i feriti e corse a prendere Mara.

Quando l’ebbe in braccio, come svegliata da un’ipnosi, Simon aprì gli occhi.

“Stai bene?” – le chiese Waxtom.

“Sì, credo di sì.”

“Cosa sta succedendo?”

“La piccola, la piccola mi ha parlato, poi non so, credo abbia indotto lei Hugkran e Greed a scontrarsi.”

La giovane Mara si rialzò in piedi, i piedini nudi si muovevano incerti sul ponte verso il Capitano, che osservava immobile la scena. Si sentì liberato da un’ombra: quello per cui aveva lottato duramente per tutta la vita, per quanto folle e impossibile sembrasse, si era realizzato. Mara era guarita!

Ora camminava verso di lui sorridendo, sembrava più fragile che mai, ma allo stesso tempo emanava un’energia dirompente di una vita intera da vivere. Con la

mano afferrò il possente braccio dell’uomo che fu attraversato da una scossa.

Lei alzò il viso, gli occhi erano chiusi, ma il volto sorrideva.

“Grazie.” – la voce non uscì dalla bocca della ragazzina, ma entrò comunque nella mente dell’uomo.

Il viso bagnato da lacrime si contorse in un sorriso, il calore della piccola gli scaldava il sangue, alleggerendogli le ossa.

La prese in braccio e la abbracciò come un padre che ritrova la figlia creduta persa, poi si riprese e sentì la responsabilità di mettere in salvo i sopravvissuti.

“Sei stata tu a condurre quei due a scontrarsi?” – domandò a Mara che però non rispose.

Waxtom si alzò.

“Uomini, è ora di andare, per oggi abbiamo combattuto abbastanza, lasciamo che i mostri si eliminino tra di loro, allontaniamo la nave. Simon per favore riporta Mara sottocoperta.”

Simon prese Mara e scese in coperta.

Intanto Greed e Hugkran si scambiavano ancora colpi, ora con molta lentezza poiché entrambi erano stremati, ma il mostro stava prendendo il sopravvento grazie al fatto che le sue ferite si rimarginavano.

Greed cadde in ginocchio, Hugkran era pronto a spezzargli il collo con un pugno quando qualcosa lo arrestò.

L’aria si raffreddò, divenne fredda, poi gelida, il cielo si coprì e iniziarono, per la prima volta dopo secoli, a precipitare candidi fiocchi di neve.

Tutti osservarono stupefatti lo scenario, mentre Greed si rialzò ridacchiando.

“Finalmente sei arrivato Voin, era ora! Sistema queste nullità.”

Una voce glaciale si propagò da un luogo non definito.

“La nullità sei tu, avresti perso la guerra; non che ciò ormai importi qualcosa, ma è sempre un fallimento e chi fallisce merita una sola fine.”

Greed indietreggiò.

“No, aspetta dopo tutti questi anni, proprio ora no, aspetta! Vigliacco sono troppo stanco per lottare.”

Greed emise un urlo spaventoso, gambe e braccia si ricoprirono di ghiaccio, poi dal petto fuoriuscì una lama di ghiaccio che lo traò;

Alle sue spalle apparve una figura dalla pelle bluastra, molto alta e con i capelli biondi, vestita con abiti di seta bianca e nera mai visti prima, ma che parevano una divisa da battaglia.

Questo sfilò la lama e aspettò che Greed morisse agonizzando, il suo corpo congelò e di lui rimase solo una gelida statua.

Waxtom osservava da lontano, mentre la neve continuava a cadere ricoprendo la nave, i palazzi e i soldati che si erano addormentati.

“Quell’uomo, somiglia a qualcuno.. Voin... ma certo! E’ Voin Nazar! Il Re della Russia, quale stregoneria l’ha trasformato in quella creatura?” – pensò mentre Voin eggiava scrutando intorno e disse:

“Interessante. Una battaglia, piccoli umani contro miseri qualcosa di più. Che liberazione non doversi più nascondere.”

Si voltò poi verso Hugkran.

“Che hai tu da guardare brutto muso?”

“Tu, hai ucciso la mia preda.” – rispose il mostro.

“Oddio, ma sei proprio un troglodita, ti ho fatto un favore, no?”

“Non voglio niente da te, e il freddo non mi piace. Vattene!” – rispose Hugkran.

“Mi spiace, non posso, ma son pronto a darti una lezione, è da tanto che non mi sfogo, dammi solo un secondo.”

Si voltò bruscamente e scagliò la lama che sibilò verso la Following Flabe, la potenza del colpo avrebbe tagliato in due la nave se un'altra lama non l’avesse spezzata a pochi metri dal bersaglio. I due pezzi si divisero, uno si perse nel cielo, l’alto si piantò sul fianco già danneggiato della nave.

Joory era riuscito a deviare il colpo con la spada e ora si trovava tra Voin e Hugkran, ansimando per la stanchezza.

Voin sorrise:

“Ma che piacere! L’uccisore di Re; ti credevamo morto, ma a giudicare dal tuo colorito la tua sorte è stata forse peggiore, sei diventato lo schiavo di questa creatura.”

“Non più, ora sono di nuovo libero. Ho ucciso molti Re, sì è la verità, stai dunque in guardia.”

“Illuso, quelli erano vincolati dal segreto, non si sono difesi a dovere dovendo mantenere la forma umana, ma ora non c’è più motivo di nascondersi.”

“Quale segreto?”

“Che curioso.. ma non posso anticiparvi nulla. Tra poco il vostro Imperatore farà un annuncio a tutto il mondo, credo vi piacerà ciò che ha da dire.”

Hugkran provò a colpire Joory.

“Tu, mi hai tradito!”

Joory schivò il colpo balzando lontano.

“Già stupido e orrendo mostro, qualcosa ha spezzato il legame che mi univa a te e alla tua pazzia.”

“Stai pure in disparte, prima sistemo questo qui poi vengo da te.” – disse Hugkran.

Voin rise e disse :

“Che onore ho la precedenza.”

Joory alzò la lama.

“Hugkran, la lunga lotta ti ha indebolito, anche se non sembri ferito non sei in grado di battere Voin ora, e neppure io sono al meglio, dobbiamo allearci.”

“Mai!”

Hugkran si lanciò contro Voin, ma questo deviò tutti i colpi e infine afferrò il braccio e piegò in ginocchio l’avversario.

Joory si lanciò in suo aiuto.

“Che tu lo voglia o no, non posso lasciarti morire da solo!”

Colpì con la spada di taglio, ma la lama ghiacciò prima di arrivare a bersaglio e si frantumò contrò la spalla di Voin, che poi colpì entrambi con un unico calcio e li atterrò.

Hugkran ripartì all’attacco, mentre Joory richiamava a sé il Prana e lo racchiudeva nel suo pugno.

Hugkran stava soccombendo sotto i colpi nemici, ma si lanciò generosamente sull’uomo e lo afferrò per le gambe.

“Colpisci!” – urlò.

Joory si lanciò con tutta la forza e approfittando della situazione portò il pugno sul volto del nemico, il Prana esplose e Voin volò via cadendo nella neve.

“Andatevene via!” – urlò Joory a Waxtom, che rispose con un cenno della testa e a malincuore ordinò di sparire.

Voin nel frattempo si stava già rialzando, dal naso gli colava del sangue.

“Voi due siete pericolosi, e meritate che alzi la posta.”

“Cosa sei? Sei molto forte, ma non percepisco il Prana in te. Anzi, sento scorrere una forza, ma è corrotta e innaturale.” – disse Joory.

“Innaturale? Cosa sai tu della natura umana? Io sono la perfezione e ciò che mi dà forza è un potere che tu non sei neanche in grado di sfiorare.”

Pose in avanti i palmi che emanarono un bagliore azzurro, questo divenne un raggio proiettato verso i suoi avversari, Joory lo schivò, ma Hugkran che provò a pararlo ne fu investito e questo lo congelò.

Voin poi saltò verso Joory e con un calcio girato allo stomaco lo piegò in due, il

sangue uscì lentamente dalla bocca del cinese sporcando la neve.

“Vedi? Siete ridicoli, il mio potere è immensamente superiore, e ora mi permetterà di sbriciolare questa immonda creatura con un solo calciò”

Caricò il colpo pronto a frantumare Hugkran ancora congelato.

Poco prima di colpirlo qualcosa lo investì, Voin rotolò per terra nella neve, rialzandosi furioso.

Quello che vide lo lasciò stupefatto: una creatura alta più di tre metri dalla spessa pelle grigia, braccia lunghe e robuste; una gamba era corta ma enorme, l’altra mancava e la lunga e robusta coda consentiva all’essere di mantenersi in equilibrio, inoltre questa aveva per tutta la sua lunghezza delle lamine appuntite e terminava con una specie di martello. Il collo era muscolosissimo e lungo un metro circa, alla fine di questo vi era la testa di un antico animale; dei brandelli di vestiti gli coprivano il basso ventre.

“Incredibile, un uomo dal corpo di dinosauro.” – disse Voin. “Tu non puoi esistere, tu, devi essere un Sangue di Dio!”

La creatura tese una mano verso Hugkran, da questa si propagò un’onda azzurra che sciolse il ghiaccio; afferrò il mostro che in confronto a lui sembrava un uomo normale e lo affidò a Joory.

“Portalo sulla nave e aspettatemi; dobbiamo andarcene e c’è solo un luogo sicuro

sulla terra che potete raggiungere; vi guiderò io. Voin non vorrà lasciarci allontanare, devo prima sistemarlo.”

La Following Flabe che si era allontanata, si fermò vedendo i gesti di Joory.

“Non so chi tu sia, ma scomparirai qui!” – disse Voin, balzò in cielo e fece piovere decine di lame di ghiaccio.

L’uomo dinosauro saltò verso di lui, parò le lame con gli avambracci, queste non riuscirono a penetrare la spessa pelle se non di pochi millimetri, fece una capriola e con la coda colpì dall’alto Voin che precipitò giù dai palazzi, scomparendo tra i fiocchi di neve.

L’uomo dinosauro sollevò Joory e saltò verso la Following Flabe, la spingendolo in cielo, lontano dalla città, poi atterrò sul ponte. Vide Waxtom e disse:

“Dobbiamo allontanarci, segui le mie indicazioni e vi salverete.”

Waxtom annuì.

“Posso sapere il tuo nome?”

“Certo, mi chiamo Charles. Per ora accontentati di sapere questo, tra poco scoprirai molte cose.”

Hugkran si rialzò e si gettò fuori dalla nave tra lo stupore di tutti.

Un pirata chiamò Waxtom.

“Capitano ho trovato questa stampella sul ponte, di chi è?”

E’ mia disse Charles intimorendo il pirata e sradicando la stampella dalle sue mani.

Il mostro lentamente rimpicciolì le sue dimensioni, la pelle si assottigliò diventando più colorita. Nel giro di un minuto l’uomo dinosauro era divenuto una persona, alta e bionda, con gli occhi verdi. Appoggiò la stampella per compensare la mancanza di una gamba.

“Mantenete la rotta, nel frattempo gradirei mangiare, se non vi dispiace.”

***

Seduto al tavolo della mensa, Waxtom sgranocchiava una mela, mentre osservava il proprio ospite divorare ogni tipo di pietanza.

I cuochi gli avevano portato già diversi piatti di pasta e ora continuavano a grigliare carne e ad aprire vino per l’ospite.

“Vedo che lo stomaco non vi si è ristretto.” – disse il Capitano.

“Ho bruciato molte energie. Devo reintegrare.” – rispose l’ospite continuando a masticare.

Waxtom continuò a osservarlo incredulo, poi Charles appoggiò la forchetta e si rilassò sulla sedia.

“Era ottimo.” – disse sospirando.

“Ne sono felice.”

Charles sbucciò una banana e disse:

“Immagino di suscitarti molta curiosità.”

“Infatti.”

Charles sorrise.

“Com’è la situazione dell’equipaggio?”

“I quindici sopravvissuti della mia ciurma stanno bene. In generale pare che Crumer e Mek pare siano i più gravi, hanno subito diverse fratture, per ora sono tenuti in coma farmacologico. Romina e Paul sono scossi e stanchi, ma stanno bene. Simon sta bene e la piccola Maria dorme, pare stremata. Io non mi lamento e tu mi sembri in gran forma, il cuochi invece sono stanchissimi per colpa tua. Andate a riposare, qui ci pensiamo noi!”

Gli uomini posarono il camice e i guanti e uscirono.

“Ora non mi dispiacerebbe sapere qualcosa su di te, chi sei, un eroe? Uno dei Re che si è pentito? O un altro mostro creato con esperimenti sugli umani?”

Charles si alzò.

“Mi spiace, al momento non posso svelarti niente, ma ti anticipo che dove stiamo andando vi attende una felicissima sorpresa. Mantieni in vita i tuoi amici, là li potremo aiutare.”

Detto questo uscì dalla stanza.

Intanto la Following Fable proseguiva il proprio lento incedere nell’oscurità, adombrando il cielo stellato sopra di se.

CAPITOLO 2

Ritorni.

La calura del mattino rese simile a un sogno la gelida conclusione della battaglia del giorno prima.

Waxtom seguiva la rotta indicata da Charles mentre nella nave regnava il silenzio.

Lungo l’orizzonte fumi neri salivano dalle Città in fiamme: qualcosa stava cambiando nel mondo.

Verso mezzodì Charles ordinò di abbassarsi sotto le nuvole, e poco dopo scorsero sul terreno sabbioso una conca, sul cui perimetro nasceva un muretto di massi disposti a triangolo.

“Scendi in verticale in mezzo al triangolo e non fermarti.” – suggerì Charles

Waxtom titubante eseguì l’ordine, la nave discese lentamente, toccò la sabbia e vi sprofondò dentro.

Attimi di buio precedettero l’ingresso in un’ampia grotta dai riflessi azzurri.

La Following Fable atterrò su un piccolo laghetto sulle cui rive crescevano selvaggi piante e alberi di ogni sorta, tranne in un punto, sul quale era stata fabbricata una banchina di assi di legno, che fungeva da approdo.

Pur essendo al chiuso, la grotta era illuminata da una luce calda che filtrava dalle rocce cave in superficie.

I pirati uscirono dalla nave e seguirono Charles attraverso un tortuoso sentiero, camminavano osservando incuriositi la vegetazione anomala. Dopo un ora circa le piante lasciarono spazio ad un piccolo prato collinoso, su un lato del quale scorsero un ampio edificio in legno e mattoni, al di la del quale vi era ancora foresta.

“Eccoci siamo arrivati, benvenuti, questa è casa mia. Potrete riposare, bere e mangiare in pace, entrate.” – disse Charles aprendo la porta a vetri opachi.

L’interno della struttura era moderno e luminoso, le pareti rosse e grigie, tutto era liscio e dal design morbido, le stanze erano ampie e il soffitto alto.

La ciurma fu fatta accomodare in un’ampia sala fornita di sedie e comodi lettini per i feriti, su un bancone vi erano acqua e cibo.

“Benvenuti.” – disse una bella ragazza bionda. “Sdraiate i feriti e portate i più gravi in chirurgia.”

I pirati la seguirono osservando le sue gambe interminabili, mentre trasportavano i feriti dentro una stanza attrezzata per le operazioni; qui, seduto davanti a un computer, vi era un uomo di colore, robusto e pelato che salutò con un cenno della mano senza voltarsi.

Charles che si era andato a lavarsi e cambiarsi, li raggiunse, fece uscire gli estranei e chiuse la porta.

Le ora avano interminabili, nella sala d’attesa.

Waxtom girava nervoso, i pensieri gli riempivano la testa.

Erano sopravvissuti, ma la battaglia era persa e le N.N.B.P. distrutte.

Il futuro era incerto, ma quello che lo irritava di più era il fatto di non essere riuscito a comprendere l’avversario.

Uscì a prendere una boccata d’aria.

Camminò lungo un altro sentiero che portava in direzione opposta al lago. La vegetazione di tipo tropicale era ancora più folta e le piante molto alte.

“Il luogo ideale per un dinosauro.” – pensò, e si accorse di come suonavano ironiche quelle parole, e a quanto invece potevano essere veritiere.

Proseguì il tragitto fino al termine del sentiero, da lì in poi vi era una pianura verdeggiante che terminava poco più avanti in uno strapiombo.

Si sporse sul ciglio e buttò lo sguardo di sotto;

la rupe scendeva verticale per un migliaio di metri, da lì si apriva in una grande vallata verde e viva. Dall’alto, i cappelli degli alberi formavano interminabili macchie verdi tra le quali scorse dinosauri di ogni specie che pascolavano, bevevano o cacciavano. Lungo l’orizzonte di tanto in tanto si alzavano anche alcuni uccelli preistorici.

Si soffermò sbalordito a osservare quell’incredibile visione e non si accorse della mano sulla sua spalla.

“E una meraviglia, dopo anni in cui pensavo non valesse la pena di vivere, eccomi ad ammirare tutto questo.”

Waxtom si voltò e notò Simon, che guardava di sotto con le lacrime agli occhi, capì che anche lei condivideva la stessa atavica commozione nell’osservare quel paesaggio.

Le asciugò le lacrime con una mano e disse:

“Mi dispiace, vi siete messi nelle mie mani e vi ho deluso. Non sono neanche stato in grado di farvi incontrare.”

Lei sembrò provare pena per il Capitano.

“Tu non c’entri. Anzi, ricordo ancora quando ci portasti in salvo da quella montagna maledetta; gli anni successivi sono stati duri per me, ma tu avevi organizzato le cose in modo tale da permettermi di rincontrare Veno. Senza di te non avremmo mai avuto neppure la minima possibilità. Il destino non ha voluto, non ne hai colpa.”

“Già, destino difficile da interpretare. Ho sempre pensato che la tenacia e il coraggio ci avrebbero fatto raggiungere qualsiasi risultato, ma dopo di quello che ho visto ieri..

Cosa sono quelli?

Dei?

Non sappiamo niente di loro, avrebbero potuto spazzarci via in un secondo in tutti questi anni, vuol dire che non ci tengono neanche in considerazione. Come si può combattere il potere, quando neanche sappiamo cosa sia e non ne comprendiamo la sua reale forza? Ho la sensazione di essere stato solo la marionetta di qualcuno.”

“Tu, come puoi tu ora dire questo? Hai consacrato la tua vita dando una speranza a chi non voleva piegarsi, e ora si è risvegliata anche Mara. Hai raggiunto l’obiettivo della tua vita, questo deve riempirti di orgoglio e soddisfazione.”

Waxtom sorrise.

“Tu sei rimasta in contatto con lei, cosa credi sia diventata?”

“Quando mi è entrata nella testa ho provato le sue sensazioni; grande pena, ma anche volontà di cambiare le cose, sembrava in grado di far diventare realtà ogni suo desiderio di fare del bene. Non so quale potere le abbia consentito di far ciò.”

“Ho l’impressione che quei due sapranno svelarci molte cose, torniamo indietro a vedere come stanno i nostri compagni.”

Percorsero all’indietro il sentiero. Simon percepì come un’ombra che la seguiva, ma non vide nessuno intorno, si voltò e per un attimo scorse tra i rami una figura imponente che scomparve.

Si rivoltò e sorpresa vide Joory dinanzi a sé.

“Buongiorno signorina, sono lieto di spere che sta bene.”

“Joory, tu sei vivo? Ma, cosa ti è successo? La tua pelle è scura e i tuoi occhi neri sono terribili. Scusami..” – disse e lo abbracciò.

Joory sorrise.

“Hai ragione, il mio nuovo aspetto è orribile, ma i tuoi occhi oggi sono più brutti dei miei, leggo una profonda tristezza.”

Lei abbassò lo sguardo.

Joory si guardò intorno e disse nascondendo un sorriso:

“E credo che sia una tristezza sprecata.”

“Forse non lo sai, ma Veno è morto qualche giorno fa.” – disse Waxtom.

Una voce dietro di loro li sorprese.

“Simon, Joory, Waxtom, siete vivi, state bene! Volevo farvi una sorpresa, ma me l’avete fatta voi.”

Dietro di loro, seduto su una carrozzina automatica si stava avvicinando Veno.

I presenti si voltarono sbalorditi e increduli.

Waxtom con una risata grassa spezzò il silenzio.

“Ragazzo sei un fenomeno! Sati bene?”

Joory avvicinò il pugno sinistro al palmo destro in segno di saluto e si inchinò.

“E’ un piacere rivederti, mio vecchio amico.”

Simon tremava dall’emozione e non riusciva a trattenere le lacrime, Veno si avvicinò, le prese dolcemente una mano e disse:

“Mi sei mancata molto, scusa per il ritardo.”

“Mi spiace, volevo che fosse una sorpresa. Pensavo fossi..”

“Sto bene.” – disse il ragazzo sorridendo.

“Quanto tempo.” – in mezzo alle lacrime della ragazza apparve un sorriso, poi si lanciò su Veno e lo abbracciò.

Simon si accorse poi di aver rubato la scena e si rialzò; osservata dai due compagni arrossì.

“Non vorrei rovinare l’idillio, ma tu dovresti essere morto, ti ho visto precipitare tra i palazzi.” – disse Waxtom.

“Non sono l’unico qui a non dover essere vivo.” – disse Veno dando un’occhiata a Joory. “Sei molto cambiato amico mio, ma sento che dentro sei sempre lo stesso, forse anche più forte.”

“E’ vero, ma anche tu sei cambiato, in maniera inimmaginabile.” – disse Joory.

“Quindi sei sopravvissuto al duello con Hugkran, cosa hai fatto per tutti questi anni?”

“Se ti ricordi, poco prima di uscire dal laboratorio eravamo stati infettati e da poco avevamo assunto l’antidoto. Lo scontro con Hugkran mi aveva causato diverse ferite e il nostro sangue, forse nell’esplosione, si deve essere mescolato. Penso che il virus mutante di Hugkran si sia diffuso in me, migliorando il virus che già avevo dentro. L’antidoto non bastò per sconfiggere il virus mutante, ma ne limitò gli effetti sul mio cervello permettendomi di mantenere la mia identità. Guadagnai anch’io la capacità di rigenerarmi, anche se più lenta e dolorosa e questo mi salvò la vita, la mia pelle si scurì, così come i miei occhi, ed ho perso i capelli.” – disse massaggiandosi la nuca.

“Purtroppo il virus di Hugkran era ancora legato al suo padrone che in qualche modo riusciva a comandarlo. Mi rese suo servo e per anni mi trascinò con sé nella sua follia. Distruggemmo molti villaggi poi la sua furia si placò e ci fermammo sopra dei monti, combattendo tra di noi ogni giorno. Negli ultimi tempi qualcosa però lo disturbava. Credo che la forza mentale della ragazzina, la telepatia, fosse percepita da lui e gli causasse un grande dolore, partimmo a

cercarla.

Il resto è storia recente.”

“Quindi la ragazzina è davvero capace di parlare tramite il pensiero. “ – disse Simon.

“Così pare.” – disse Waxtom. “Dimmi, com’è che ora sei libero dal giogo del mostro?”

“Non lo so, qualcosa o qualcuno deve aver rotto il legame che ci univa, ho sentito come se dentro di me qualcosa morisse di colpo, come pugnalata. A quel punto ero rinsavito.”

“Forse è stata Mara.” – disse Simon.

“Chi può dirlo? Spero di scoprirlo presto, appena la bimba si riprenderà dovrà spiegare molte cose, come ha potuto volare, addormentare i soldati dell’Impero, non solo guarire me.”

“Mara è quindi guarita, finalmente! Che bello! Credo che mi dobbiate raccontare molte cose.” – disse Veno.

“Già, ma vorremmo sapere come hai fatto a salvarti, ragazzo.”

“Semplice, sono stato salvato da quei tre tizi che hanno salvato anche voi. Non so molto di più, non parlano molto, ma credo che presto lo scopriremo.”

“Tu invece come stai?” – chiese Simon.

“Bene bene, la sedia è solo precauzionale, ho un po’ di ossa ammaccate ma sto bene.”

“Torniamo dentro allora, e aspettiamo notizie, il tuo Mek era conciato male, così come Crumer.”

S’incamminarono e Veno rimase apposta indietro con Waxtom. Quando furono a distanza disse:

“Amico mio, sai che non potete nascondermi niente, cosa è successo a Trish?”

Waxtom, guardò in terra e raccontò l’accaduto.

Veno strinse il bracciolo della sedia con rabbia fino a frantumarlo.

“Vigliacchi, mi spiace solo che Greed sia stato eliminato, avrei voluto fargliela pagare di persona.”

“Sono contento invece che sia stato ucciso, non è il momento di ottenebrarsi con rancori personali; ho paura che ci sarà tanto da fare e dovremo avere la mente lucida per affrontare il futuro.”

“Già, soffrire in silenzio e continuare a lottare, come sempre.”

***

Charles uscì verso sera dalla sala operatoria, convocò i pirati e disse che le condizioni dei pazienti erano stabili, ma che si doveva aspettare qualche giorno per vedere come reagivano. Condusse quindi gli ospiti al piano superiore dove si trovavano molte stanze da due o tre posti, quando le ebbero occupate suggerì loro di riposare e si allontanò.

***

I giorni seguenti gli ospiti furono trascurati e i pirati dovettero ambientarsi da soli, Charles si fece vivo solo per spiegare dove si trovava la cucina con i viveri, le zone dove poter andare e quelle vietate, poi sparì.

Il gruppo non ebbe difficoltà ad adattarsi e sentirsi a casa.

Romina e Simon eggiavano tanto e diventarono amiche, soprattutto perché unite dal compito ben gradito di far da mamma a Mara; la piccola sembrava non ricordare niente, non poteva aprire gli occhi, parlava e vedeva con la mente, ma

per il resto si comportava come una ragazza normale, con voglia di giocare e di scoprire tutte le cose che per anni si era persa. La sua spensieratezza coinvolse tutto il gruppo e lo aiutò a rilassarsi; anche il Capitano Waxtom e Veno si comportavano ormai da papà e zio.

Joory invece decise di allontanarsi per vivere all’aperto. Temeva di non essersi del tutto liberato della componente malvagia e non voleva rischiare di mettere in pericolo gli altri, inoltre era affascinato dalla nuova fauna e flora locali.

Veno e Simon riallacciarono i rapporti, pur dovendo cancellare qualche ruggine creatasi nel tempo, e furono felici di costatare che quel feeling naturale che li aveva uniti non si era spento.

Oltre a loro due, forse per non starsi troppo addosso, Veno e Simon cercavano di far avvicinare Romina e Waxtom per poi lasciarli soli. Entrambi erano stati scelti da Mara come guide paterne e materne e speravano potesse nascere qualcosa tra loro.

Quando c’era Mara, il pirata e Romina erano naturali e spensierati, ma quando rimanevano solo loro due si creava un certo imbarazzo e allora iniziavano a parlare di guerra e strategie, oppure su come impiegare i pirati finendo coll’annoiarsi e separarsi; ma Veno e Simon non demordevano.

Paul invece aveva stretto amicizia con i pirati, aveva sfidato uno di loro che lo prendeva in giro a una gara con i coltelli; questa consisteva nel mettere uno zaino con dei sostegni lunghi un metro e mezzo che uscivano dai lati e che terminavano con sfere di legno; i due sfidanti dovevano restare al di la di due linee che li distanziavano di quindici metri e colpire le tre sfere dell’avversario. Paul vinse e i pirati lo invitarono a mangiare con lui. Egli si dimostrò inoltre un abile bevitore e mangiatore convincendoli del tutto a considerarlo uno di loro.

Non perse nei giorni successivi la posa e la dignità militare, ma in loro compagnia dimenticò in parte i problemi.

arono un paio di settimane e al gruppo si unirono Mek e Crumer, entrambi su una sedia a rotelle, ma sani e salvi. Mek non avrebbe più camminato e aveva subito molti danni che l’avevano indebolito e fatto invecchiare ulteriormente, Crumer invece scalpitava, voleva tornare in piedi e faceva molte domande e Charles, Veno e Waxtom faticavano a tenerlo fermo.

***

Una mattina Charles svegliò tutti molto presto e li invitò a raggiungerlo nel giardino principale.

I pirati si recarono incuriositi sul posto. Ad attenderli vi erano i tre misteriosi personaggi seduti su delle sedie scolpite sopra una lastra di granito, intorno a queste, altre sedie disposte a mezza luna circondavano un pilastro che sosteneva una lastra di pietra scura.

Si alzò in piedi l’uomo di colore sorridendo agli ospiti.

“Benvenuti, accomodatevi prego. Scusate l’assenza di questi ultimi giorni, ma avevamo parecchio lavoro da svolgere. E’ ora di presentarci, io sono Ericle, mentre i miei due compagni sono Charles che già conoscete e Nadia; sebbene in altre circostanze ci avete già conosciuti col nome di One, Six e Ten.”

I presenti che intanto si erano accomodati cercavano increduli di inquadrarli, ma nessuno poteva riconoscere nei tre i loro ex compagni.

“Non stupitevi se faticate a riconoscerci, conosciamo degli ottimi trucchi per mimetizzarci.

Lascerei da parte la questione poiché quello che devo dirvi è di importanza estremamente maggiore. Sappiate che siete tra i pochi uomini che nel corso della storia hanno avuto l’onore di sentire queste parole.

Per farvi capire chi siamo e chi sono realmente i vostri Re, devo andare indietro e molto lontano, sia nel tempo sia nello spazio.

Prima ancora che il vostro sole nascesse, su un pianeta arido distante molte galassie da questa, per la prima volta si crearono le condizioni per la nascita della vita. Come sulla terra, comparvero inizialmente semplici forme unicellulari, che si svilupparono via via in organismi complessi, piante e animali, seppur molto diversi da quelli che conoscete.

La vita del pianeta, che ha un nome per voi impronunciabile e inudibile, non consisteva solo nella vita di superficie; questa era solo di facciata, al suo interno un nucleo di energia di ignota provenienza, che qualcuno di voi conosce, seppur in maniera superficiale, come Prana, nutriva la vita.

Questo nucleo, sebbene non fosse un essere pensante come lo intendiamo noi, possedeva una coscienza e una volontà.

Egli comprese che, seppur in milioni di anni, il sole che lo scaldava sarebbe scomparso, e con lui la vita. Sviluppò nel tempo Esseri con abilità e intelligenza superiore, che noi chiamiamo Dei, anche se questo nome ha per voi un significato diverso, al quale donò molta della sua energia e non solo; tutte le altre creature furono date in sacrificio a questi nuovi esseri, che appresero da loro, osservandolo le capacità motorie, gli atteggiamenti e le tecnologie che utilizzandole per sostenersi ed evolversi.

Il fine ultimo, era di permettere a queste creature superiori di sviluppare le tecnologie e la capacità di lasciare il pianeta per raggiungerne un altro adatto alla vita, prima che il loro fosse distrutto dal naturale corso degli eventi.

Infine poco prima del disastro riuscirono nella loro missione.

Poco prima di partire assorbirono il prana rimanente, acquisendo capacita e poteri inimmaginabili, sia fisici sia psichici, oltre ai loro già potenti.

Da allora questi esseri vagarono per l’Universo in cerca di pianeti adatti alla vita. Una volta trovati si fermavano su questi, ma ripartivano prima di poter consumare l’energia del pianeta così da non inaridire l’universo. Infine essi si soffermarono su un pianeta che ritennero adatto. Qui non vi era vita, ma essi, donando parte del prana, ne nutrirono la terra; questo fece risvegliare la vita nel pianeta, ma li rese più deboli.

Chiamarono questo pianeta Aleneis.

La maggior parte degli Dei era felice di avere di nuovo una casa, ma un piccolo gruppo non accettò di aver perso gran parte della propria forza; furono scoperti

ad attingere energia dal pianeta, e furono costretti a fuggire. Prima di scappare però gli altri Dei li maledissero; modificarono il loro dna ed essi non sarebbero più stati in grado di prelevare energia.

In esilio, questi Rinnegati si accorsero casualmente che potevano attingere ancora energia, ma solo dai pianeti ormai in decadenza, dai quali gli esseri che li ospitavano avevano già consumato ogni risorsa. Per poter avere la forza necessaria ad assorbire l’energia, però, un uomo ed una donna dovevano fondersi, si creò quindi una nuova razza di androgini. In questa forma i Rinnegati raggiunsero capacità simili agli Dei che vivevano su Aleneis.

Per mantenere il loro stato però dovevano periodicamente assorbire energia dai pianeti deboli, perché quelli giovani erano troppo potenti e puri e li uccidevano.

Crearono con avanzate tecniche di clonazione perciò una sottorazza di se stessi. Questi cloni, maschi e femmine simili a loro, avevano capacità fisiche e mentali limitate, e un carattere ben studiato nel tempo da continui esperimenti e fallimenti: infatti il pianeta andava indebolito gradualmente o l’energia non poteva comunque essere assorbita, danneggiandolo troppo bruscamente. I cloni furono inviati su vari pianeti contenenti la vita, e insieme a dei capi guida androgini, che ne indirizzavano le decisioni portandoli a distruggere lentamente la vita presente, indebolendo scientificamente il pianeta e consentendo alla fine di tutto l’Armageddon, nel quale agli Androgini prelevano il Prana divenuto finalmente debole e accessibile.

Questo per voi forse è difficile da capire, ma gli Dei e gli androgini hanno una vita molto lunga e il concetto di tempo per loro è molto più esteso.

Gli Dei originari non accettarono però che la vita fosse consumata per il vanto degli androgini e per questo le due razze entrarono in guerra, ora in tutto

l’universo vi sono zone in cui il potere di uno o dell’altro schieramento prevalgono. Il vostro pianeta si trova in una zona di confine, ma prevalentemente sotto il dominio degli androgini. Quando i primi cloni furono inviati sulla terra vi fu una dura battaglia tra le due fazioni, vinta infine dagli androgini che conquistarono il dominio sulla Terra; sterminarono i dinosauri e vi si insediarono. Nel frattempo gli Dei inviarono persone della propria razza sulla Terra e riuscirono a mescolare il proprio sangue con quello di alcuni cloni, così da plasmare la loro mente cercando di renderli più sensibili alla vita; questi mezzosangue potevano essere artisti, poeti, scrittori, condottieri, schiavi, ribelli oppure martiri, la lista è infinita. Queste persone risvegliavano parzialmente nei cloni la loro indole originale e buona.

Ogni dono che gli Dei facevano fu corrotto e imbastardito dagli androgini, che quando temevano di stare per perdere il controllo organizzavano stermini di massa, pestilenze, guerre per poi riportare le popolazioni a livelli di coscienza infimi.

Ora, come potete ben vedere, il mondo è stato quasi interamente consumato e il Prana tra poco sarà così debole da essere assorbito.

Il fatto che i Re, in altre parole gli emissari Rinnegati, siano usciti allo scoperto è indice che non hanno più motivo per tenere soggiogati i terrestri.

Ora è solo questione di tempo, prestate attenzione; solitamente prima di assorbire l’energia essi, grazie ad un comando che attiva una cellula killer nell’organismo dei cloni, sterminano l’intera popolazione del pianeta. L’efficacia è del 90%, mi dispiace.

Dovete prepararvi, è per questo che vi abbiamo lasciati soli fin ora.”

I pirati, Veno e i suoi amici sentirono gelare il sangue, la testa girò come colpita da un masso; oltre ad aver scoperto di essere dei cloni comandati dai loro stessi nemici, tra poco sarebbero stati uccisi senza poter far nulla per evitarlo.

“Avete parlato come se voi non foste coinvolti in tutto questo, siete forse voi gli Dei?” – domandò Joory.

La donna sorrise amara.

“Noi siamo solo gli eredi degli Dei, nel nostro corpo scorre ancora un po’ del loro sangue.

Dopo il disastro nucleare che ha coinvolto il pianeta, gli Dei sono stati definitivamente scacciati. La guerra nucleare è stato un pretesto per gli androgini per poterli accerchiare e colpire senza dover nascondere le loro capacità, fintanto che gli uomini si rifugiavano sottoterra.

Gli ani successivi pochi Dei rimasti vennero cacciati e sterminati.

Da allora, fortunatamente, il Prana di questo pianeta ha cominciato a reagire col nostro sangue e con quello di altri eredi che ora non ci sono più. Probabilmente la Terra si era indebolita troppo durante le esplosioni nucleari e ci donò parte della propria forza, quella con la quale aveva creato i veri e originali esseri che avrebbero dovuto dominare questo pianeta prima dell’arrivo dei cloni; i dinosauri.

Ora noi possiamo attingere a quella forza e utilizzarla assumendo le sembianze di quegli esseri maestosi.

Ci siamo poi mescolati alle N.N.B.P. perché credevamo ancora che i cloni potessero ereditare questo pianeta in pace e armonia, ma abbiamo fallito.”

Ci fu un attimo di silenzio, davanti a quell’ammissione di sconfitta tutti si sentirono impotenti.

“Solo voi dunque sopravvivrete. Cosa farete ora?” – chiese Joory.

“Si noi sopravvivremo e cercheremo di eliminare quegli sporchi androgini, e anche se siamo in pochi rispetto a loro ce ne porteremo il più possibile nella tomba. Non solo noi, tra di voi c’è almeno un’alta persona che vivrà;

Joory, dopo le mutazioni che hai avuto e il fattore di guarigione forse continuerai a vivere, mentre Veno, tu ti salverai; sei uno di noi, in te scorre il sangue degli Dei originari.”

Veno percepì un sibilo nella testa e vide nella propria mente la tigre dai denti a sciabola che lo fissava.

“La tigre..” – bisbigliò.

Simon lo osservò incredula e disse:

“La tigre? Quella che ho sognato in tutti questi anni allora, allora era reale, eri tu Veno”

Charles disse:

“Si Veno, la tigre è il dono di questo pianeta per te. Il fatto di sentirti diverso, la fuga dalla città, l’incontro con Joory, tutto questo è la tua natura che l’ha determinato, stimolata dal prana che scorre in te.

Tuo padre era un erede inconsapevole, tua madre non poteva immaginare, e neppure evitare il giogo dell’Impero, come tutti gli altri abitanti del pianeta.”

Veno pensò a sua madre, non l’aveva mai perdonata per come l’aveva tradito, per lei non provava più niente, ma ora finalmente aveva compreso la sua debolezza; pianse.. poi gridò:

“Ci deve essere un modo per salvare anche gli altri!”

Ericle abbassò lo sguardo, in quel momento da sopra di loro il terreno tremò e un tuono assordante echeggiò nell’aria.

“Eccoli” - disse Ericle.

Sopra di loro, tra le nuvole apparve l’immagine sfocata del volto dell’Imperatore Liven Myth, così come apparve in ogni città, villaggio e abitazione; sorrideva compiaciuto.

“Popolo della terra, l’attesa è finalmente finita.

So che siete scossi, terrorizzati; negli ultimi giorni i Re e i governanti hanno mostrato la loro natura e probabilmente ucciso molti di voi.

Quello che avete visto di recente è solo una minima parte del loro potere, non siate sorpresi quindi, se non comprendete. La risposta a tutte le vostre domande è semplice: noi siamo i vostri creatori; purtroppo non vi abbiamo creato senza motivo, ci servivate per consumare questo pianeta e devo dire che seppur con qualche intoppo sentimentale in cui siete caduti, avete fatto un ottimo lavoro.

Ormai ogni risorsa è stata sfruttata e le specie viventi in natura sono rarissime, ma voi non vi fate domande, come previsto procedete come se nulla fosse.

Da qui ad un anno noi assorbiremo tutta l’energia di questo pianeta, come era destino. Mi spiace dirlo, ma voi non sopravvivrete a ciò.

Nonostante io mi sia molto affezionato, conosco bene la vostra indole; ora che ci avete scoperti tenterete di farci fuori, non che abbiate speranze, ma nessuno vuole are l’ultimo anno ad ammazzarvi. Inoltre immagino che l’aver appreso che siete dei semplici servi che lavorano per noi non vi abbia fatto molto piacere. Per fortuna quando vi abbiamo creato abbiamo inserito in voi una cellula che

farà partire un impulso dal vostro cervello al cuore, e questo si fermerà. Prevedo che circa l’80% di voi morirà all’istante quando dirò la parola che scatenerà l’impulso.

Ai fortunati che rimarranno in vita voglio dare un’altra possibilità: tra un anno noi lasceremo per sempre questo inutile pianeta e porteremo con noi cento terrestri, i quali vivranno per sempre nel paradiso che c’è tra le stelle insieme a noi. Tra poco una luce guida nel cielo v’indicherà il posto da dove partiremo; vi consiglio di affrettarvi a raggiungerla e credo sia il caso che impediate ai vostri simili di fare lo stesso, non c’è via di scampo per gli esuberi, ho detto cento e cento saranno.

Arrivederci.”

L’immagine di Liven sfumò mentre pronunciava una parola in una lingua sconosciuta.

Tutti, tranne Veno, Charles, Ericle e Nadia si tennero la testa urlando colpiti da un dolore atroce e caddero per terra rantolando.

“Cosa diavolo succede?!” – chiese Veno che disperato cercava di aiutare i compagni.

“E’ strano, la morte dovrebbe essere immediata.” – disse Ericle alzandosi.

L’agonia durò ancora a lungo e chi non ne risentiva dovette impedire a molti di

togliersi la vita da soli; poi lentamente il dolore svanì e chi ne era stato colpito si addormentò.

“Cosa sta succedendo? Sono vivi.” – disse Veno.

“Non lo sappiamo neppure noi. Il fatto di essere sottoterra non dovrebbe influenzare il comando.” – rispose Nadia.

“Non vi preoccupate, stanno bene.” – la vocina di Mara entrò nella loro testa, essi la videro levitare sopra i compagni svenuti.

“Piccola Mara, sei stata tu a salvarli?” – chiese Nadia.

Mara sorrise.

“No, sono stati i miei piccoli amici.”

“Mara, qui non c’è nessuno.” – disse Charles.

“Dimenticavo, voi non li potete vedere. Loro però vi vedono e hanno a cuore la vostra salvezza. Da tanti anni cercano di aiutarvi.”

“Come mai non possiamo vederli? Si nascondono? Sono forse invisibili?”

“No, loro sono intorno a voi. Sono reali e mi parlano, peccato che non possiate vederli, sono molto belli e allegri, mi fanno tanto ridere.”

“Beh, se è così riferisci loro che gli siamo molto grati per aver salvato i nostri compagni. Ringraziali per noi.”

“Dicono che non c’è bisogno che lì ringraziate.”

“Che altro dicono?”

“Dicono che vi osservano da lungo tempo e che voi non potete vederli perché sono piccoli, minuscoli.”

“Minuscoli?” – domandò Charles.

“Sì.” – disse ridacchiando Mara. “Aspettate, dicono che tra poco ingrandiranno la loro immagine.”

Nell’aria apparve un ronzio poi dal nulla l’immagine di un omino si fece sempre più grande.

Con meraviglia, ora, dinanzi a loro vi era l’immagine olografica di un omino altro poco più di un metro. Aveva la pelle rosa e le guance paffute, i riccioli

biondi si srotolavano in tutte le direzioni e due grandi occhi azzurri pieni di vita brillavano sul volto sorridente.

“Salve a tutti, è un piacere, io sono Titlis, portavoce dell’antico popolo dei Trilliferiani, originari di Trillifer hihi, il nostro antico mondo. Io per l’esattezza provengo da Trillifer 109.568 esimo.. L’ultimo al confine del nostro vecchio Universo, Perdibicia.”

I presenti osservavano questo buffo essere, nessuno riusciva a parlare per lo stupore.

“Non siete molto loquaci, vedo.. O non capite? Perdibicia è il nostro universo, perdibicia! Abbiamo sbagliato a tradurre forse, non mi capite?”

“Scusaci, è che siamo sorpresi dal vederti.” – disse sbattendo gli occhi Charles.

“A chi lo dici?” – disse Veno avvicinandosi all’ologramma per vedere meglio. “Hai detto Trillifer, vero? Non l’ho mai sentito. E’ il vostro pianeta? Siete alieni?”

“Già, Perdibicia hai detto? E’ un universo lontano dal nostro?” – chiese Nadia.

“Veramente si trova sul vostro pianeta, o meglio si trovava.”

“Scusa, non capiamo.” – disse Ericle.

Titlis sbuffò:

“Ma siete duri, perdibicia! E' molto semplice, dunque; in una delle innumerevoli volte in cui vi siete fatti la guerra tra di voi, parlo di quella che voi chiamate Terza Guerra mondiale, siamo nati noi. Semplice. Tra le tante bombe che avete lanciato ve ne fu una che per qualche motivo creò al proprio interno una strana reazione chimica, avete capito ora? Perdibicia! Quella che per voi era stata un’esplosione durata pochi minuti, in realtà per noi esseri microscopici era un Universo lungo miliardi e miliardi di anni luce. In quest’universo, chiamato Perdibicia è nato Trillifer, la nostra prima patria. E’ strano che nel nostro universo creatosi da una bomba atta a distruggere, siamo nati noi. E’ vero ci facciamo qualche dispetto di tanto in tanto, ma diversamente da voi siamo molto amichevoli e solidali.

Purtroppo il nostro popolo evolvendosi seppe che Perdibicia si stava espandendo sempre di più e che un giorno lontano sarebbe scomparso. Per questo quando la tecnologia necessaria lo consentì, i nostri antenati si spostarono di pianeta in pianeta, sempre più vicini ai confini dell’esplosione, uscendone prima che l’universo si dissolvesse distruggendoci. Perciò da qualche secolo viviamo in vostra compagnia, anche se ignari della nostra presenza vi abbiamo osservato molto bene.”

“Quando sono stato liberato dal giogo di Hugkran, mi è sembrato di avvertire una presenza dentro di me. Poco fa è successa la stessa cosa dopo che l’Imperatore ha pronunciato la parola degenerativa, mi sbaglio o voi centrate qualcosa?” – disse Joory.

Titlis saltellò ridendo sul posto, poi fu spintonato da dietro da un altro Trilliferiano più magro e con i capelli scuri.

"Perché devi fare il misterioso? Digli tutto, siamo noi i vostri salvatori!” – disse il nuovo arrivato.

“Stai zitto, Cervino, nessuno ti ha chiamato, perdibicia!”

“Eddai non vedi che vogliono sapere?

Signori, noi siamo piccoli esseri, ma dalle grandi capacità e possiamo agire a livello cellulare sui vostri corpi; possiamo ad esempio eliminare un virus dominante e liberare il vecchio samurai dal giogo del mostro, far levitare una ragazzina, addormentare interi eserciti, bloccare o comandare i muscoli delle persone oppure interrompere un impulso che da ordine al cuore di fermarsi, come successo poco fa.”

“Hey volevo dirle io queste cose, vai via!”

“Ormai sono qui.” – rispose Cervino incrociando le braccia.

Ericle si alzò.

“Credo di capire che vi dobbiamo molto, piccoli e inaspettati amici. Posso sapere se il vostro aiuto è limitato a noi oppure avete interrotto l’impulso mortale anche agli altri esseri umani?”

I due si zittirono poi Cervino disse:

“Diglielo tu!”

“Ma non volevi parlare tu?”

“Ho cambiato idea.”

“Non importa, grazie lo stesso. Capisco che non potete essere ovunque.” – disse Ericle.

“Ci spiace tanto.” – risposero i due inchinandosi.

Veno si avvicinò tentando di toccare l’ologramma e i due risero: la cosa gli faceva il solletico e questo riportò il sorriso ai presenti.

“Caspita che forza che siete, peccato non avervi conosciuti prima.” – disse Veno.

“Veramente la tecnologia per comunicare con voi l’abbiamo raggiunta da poco, cioè da quando Mara ci ha messi in contatto con la sua mente, allora abbiamo compreso i segreti e le frequenze del vostro linguaggio che prima ci arrivava solo come un rumore fastidioso.”

In quel momento il cielo s’illuminò di rosso ed Charles parlò:

“Siamo molto felici di aver trovato dei nuovi alleati, la situazione però è grigia. Il segnale dei Rinnegati ora brilla nel cielo e a breve i pochi superstiti si faranno la guerra per raggiungerlo. Inoltre, tra un anno, risucchieranno la vita del pianeta e questo morirà per sempre, dobbiamo fare qualcosa.”

Nadia si alzò.

“Bene, pensavamo di rimanere solo noi tre, più Veno. Invece ora siamo un piccolo gruppo che può forse mettere i bastoni tra le ruote agli androgini. Dobbiamo partire subito non c’è tempo da perdere, Veno; noi quattro dobbiamo cercare di eliminare i Re. Voialtri intanto con la vostra nave vi dirigerete verso la luce, cercando nel tragitto di salvare più persone possibili e di impedire gli inevitabili omicidi che si scateneranno tra la popolazione; ora tutti cercheranno di far arrivare meno gente possibile alla luce.”

“Siete sicuri che io possa esservi d’aiuto?” – domandò Veno.

“Il tuo potenziale non si è ancora espresso, non c’è tempo di allenarti, dovrai tirare fuori il meglio di te sul campo di battaglia, anche Joory se vorrà potrà unirsi a noi.”

“Combattere i Re è ciò che ho sempre fatto e non mi tirerò indietro proprio ora.” – rispose il cinese.

“Bene, saremo cinque contro tredici, più l’Imperatore e i loro subalterni.”

“Noi saremo la vostra carta segreta!” – disse Titlis.

“Già, con voi potremmo lenire le capacità nemiche.” – disse Veno.

“Siete i benvenuti, ma non crediate che potremo stare sempre uniti, quindi non potremo sempre contare sull’aiuto dei Trilliferiani.” – disse Ericle.

“Ho visto Charles in azione e so che avete capacità incredibili.” – disse Waxtom. “Ho visto anche Voin, egli non aveva niente di umano, contro cosa combatteremo?”

“Bella domanda.” – disse Ericle. “Il nemico, oltre ad avere forza e intelligenza superiori a quelle di un normale esser umano, o clone, ha dalla sua anche la tecnologia. I poteri del gelo di Voin, non sono poteri magici, ma li ha ottenuti modificando il proprio dna e legandolo a un particolare elemento o reazione chimica. Non solo Voin, ma tutti i Re hanno una loro capacità speciale o sovrumana. Essi sono quelli che i primi cloni nell’antichità ritenevano divinità, i loro poteri sono reali. Di essi solo Liven però è un androgino completo che ha assorbito il prana da chissà quale pianeta, quindi gli altri sono molto più deboli. Lo scontro è incerto, combatteremo contro esseri dalle doti inimmaginabili. Ipotizzo che tra di loro si nascondano donne a cui unirsi o le prendano dai cloni.”

Waxtom si alzò avvicinandosi ai tre:

“Dalla nostra c’è il semplice fatto di non avere nulla da perdere, mentre loro sono ad un o dal lasciare questo pianeta; credo non si aspettino a questo punto di dover lottare per la vita. Vi auguro buona fortuna, vorrei tanto poter essere in grado di lottare con voi altri là fuori, ma non sottovaluterò il mio compito, condurrò alla Luce Guida più umani possibile, sperando che i piccoli Trilliferiani possano curarli.”

Ericle si alzò:

“Bene, è deciso. Partiremo in guerra, ognuno con le proprie capacità e i propri compiti, se il destino vorrà, ci rincontreremo alla Luce Guida” - disse ponendo a Waxtom una mappa con la via da percorrere per raggiungere la luce, poi sciolse la riunione.

Rimasero solamente lui, Nadia, Joory, Charles e Veno per decidere come attaccare gli Androgini.

Il giovane si sentiva a disagio; gli era stato detto di essere uno di loro ma non si sentiva affatto simile, si trovava meglio con Joory, era lui il suo modello.

Charles gli pose una mano sulla spalla.

“Non preoccuparti, è stato difficile per tutti noi accettare quello che siamo, nessuno è nato in una culla e cresciuto per diventare un semidio; anzi, gli animi più nobili di solito vengono dai posti più logori e dispersi.”

“Se vuoi un consiglio.” – aggiunse Nadia. “Non pensarci, lascia che la tua natura trovi la sua via.”

“Confidiamo in te ragazzo. Ora sedetevi dobbiamo organizzare il viaggio.” – concluse Ericle.

Rimasero fino a sera a parlare.

2

Dopo una ventina di giorni, la Following Flabe risalì dal nascondiglio sotterraneo dei Sangue di Dio.

Giunta in superficie avanzò per qualche chilometro atterrando in una valle desolata; discesero Joory, Veno, Charles, Nadia ed Ericle che salirono su moto volanti e si allontanarono salutando il resto del gruppo.

La Following Flabe, ormai danneggiata, volava lenta, quindi il suo compito era quello di seguire la via salvando più persone possibili, portandole con sé fino alla Luce Guida; al momento del giudizio finale i Trilliferiani avrebbero provato a salvare tutti bloccando il fattore degenerativo.

I compagni sulle moto scomparvero presto all’orizzonte.

Waxtom stava discutendo con Romina, quando si avvicinò Mara.

“Dimmi Mara.” – disse Romina.

“Dovete prepararvi, poco fa ho sentito una presenza malvagia che si è allontanata seguendo i nostri amici, ho sentito che diceva a qualcuno che ci avrebbero aspettati più avanti.”

“Sei sicura?” – chiese Romina, la ragazzina annuì.

“Bene, grazie Mara, non preoccuparti ci faremo trovare pronti.” – disse Waxtom andando a preparare i suoi uomini.

Viaggiarono tutta la mattina, tesi ma senza scorgere pericoli.

Mara stava con Romina nella stanza di Waxtom e osservava fuori dalla parete vetrata sulla quale iniziarono a depositarsi lunghe piume, poi la piccola urlò.

Sul ponte gli uomini armati erano increduli.

Il cielo sopra di loro era invaso da uomini alati dalla testa di uccello, di fronte a loro un esercito di esseri mezzo uomo mezzo cavallo o serpente si avvicinava.

Waxtom ordinò di preparare le difese.

Uno degli uomini uccelli si avvicinò.

“Buon giorno, che piacere conoscere il famoso pirata che tanto ci ha fatto tribulare.”

“Chi sei?” – disse il Capitano.

“Il mio nome è Gransh, Comandante dell’esercito che vedi. Un tempo ero Parlamentare in Iran conosciuto col nome di Mahdi Reza. Sai ho prestato molta attenzione alle tue imprese ed ho sempre avuto un irrefrenabile voglia di staccarti le ossa dal corpo!”

“Vieni pure mostro, non mi fai paura!”

Gransh diede l’ordine di attaccare e l’esercito si lanciò contro la nave, gli uccelli lanciavano frecce potenti come missili che si infrangevano sulla barriera o venivano respinte dal plasma della Following Fable.

L’esercito a terra tirava lance e con funi provava a salire sul ponte.

La nave eliminò molti nemici ma questi erano tantissimi, tutti i sudditi dei Re partecipavano allo scontro.

Dopo qualche ora le difese della nave si indebolirono e gli uomini stanchi non reggevano il ritmo, essendo rimasti in pochi a comandare la nave.

Mek salì sul ponte.

“Quanto ancora potremo reggere?”

“Poco.” – rispose Waxtom. “Dovremo usare i cannoni di spinta ma rischieremmo di perdere l’energia per il viaggio, se solo potessimo guadagnare quota con la nostra bomba a idrogeno li potremmo eliminare.”

“Posso vedere se riesco a riparare il danno.” – disse Mek, mentre un colpo scosse la nave.

“Prova, ma manca davvero poco.”

“Signore, la nave sta prendendo quota.” – disse un pirata.

“Che succede?” – domandò Mek.

“Non lo so...” – Waxtom vide Mara sul ponte con le braccia al cielo.

“Ho sentito che la nave doveva alzarsi, giusto?”

Tutti la osservarono sbalorditi.

“Grazie tesoro!” – disse Waxtom. “ Preparate la bomba.”

Gli uomini uccello seguirono la nave che però dovendo badare solo a loro riusciva a decimarli, quindi si ritirarono.

Quando questa raggiunse le nuvole sganciò la bomba e questa spazzò via l’esercito di terra.

Gli uccelli fuggirono.

“Portatemi il fucile!”

Un pirata portò un fucile da cecchino a Waxtom che prese la mira e sparò un raggio al plasma sottile ma molto denso.

Il colpo raggiunse la nuca di Gransh mentre questo si stava dando alla fuga, il sangue gli bagnò le piume ed egli precipitò.

Sulla nave l’equipaggio esultò alzando Mara come l’eroe che li aveva salvati.

3

La Luce Guida brillava alta nel cielo e sembrava collocata a qualche migliaio di chilometri a sud della Città-Regno Italia. Il gruppo si trovava a nord del continente, vicino alla costa; quindi dovevano procedere a o spedito per raggiungerla in soli undici mesi.

Le motociclette avanzavano nella sabbia del deserto, affiancate l’una all’altra, sollevando un grande polverone. Veno alzò lo sguardo, verso le nuvole che li sovrastavano.

“Ultimamente il cielo è sempre più spesso coperto e l’aria è più fresca.” – notò rivolgendosi a Joory.

“Non sono nuvole benevole, qualcuno sta utilizzando forze che piegano gli eventi atmosferici in maniera innaturale. Questo pianeta è sull’orlo della fine.” – rispose il vecchio maestro.

“Non disperate.” – disse Nadia. “Il pianeta è allo stremo, molte specie si sono estinte e forse tra poco toccherà anche all’uomo come lo conosciamo, anche se egli è stato importato qui, quindi è alieno, ma quello che più conta è che la vita, non la singola specie sopravviva, e se riusciremo a impedire che gli Androgini prelevino il Prana, allora forse in altre forme rifiorirà.”

In quel momento la terra tremò, le moto volanti percepirono solo lievemente la scossa, ma i piloti si allertarono.

“State attenti, queste scosse non mi convincono.” – urlò Ericle.

La terra vibrò sempre più forte, poi uno squarcio si creò nel mezzo, dapprima come una lama ò attraverso il gruppo costringendo, Joory, Veno e Nadia ad andare a destra mentre Charles ed Ericle si gettavano a sinistra, poi la voragine si allargò sempre di più creando un vero abisso largo chilometri che divise definitivamente il gruppo.

Charles attivò il comunicatore e chiamò Nadia.

“Bellezza credo che ci dovremo separare per un po’. Credi di farcela senza di me?”

“Spiritoso.. sono con Veno e Joory, starò bene. Ci rincontreremo non appena possibile; non preoccuparti, sono con esperti guerrieri.”

“Bene, istruisci tu il ragazzo e avvertici se..”

La comunicazione fu interrotta e gli apparecchi si spensero definitivamente.

Nadia si trasformò, e soffiò col naso dentro il corno che aveva sulla testa, ne uscì un suono potentissimo che si propagò per chilometri fino a giungere tra le orecchie di Charles ed Ericle.

“E’ Nadia, vuol dire che stanno bene, dobbiamo proseguire, non c’è altra soluzione, i Re ci stanno aspettando, è evidente, non vogliono affrontarci tutti insieme.” – disse Ericle.

Charles annuì dicendo:

“Quei codardi pensavano di potersi godere quest’anno in serenità torturando fino alla fine i poveri umani rimasti, invece noi gli renderemo la vita dura come non l’hanno avuta nei secoli ati.”

Mentre guidavano le moto l’aria si fece da torrida piacevole, poi sempre più fresca.

“E’ molto strano, l’aria si sta raffreddando.” – disse Ericle.

“E’ Voin.” –rispose Charles. “Ho sentito la sua energia durante la guerra nella Città-Stato Australia, è in grado di utilizzare il gelo come arma, può congelare la temperatura e non solo...

“Lo vedo, la temperatura sta scendendo vicino allo zero e il suolo sta congelando, sta scendendo anche qualche fiocco di neve, meglio fermare le moto e trasformarci.” – disse Ericle e così fecero.

Ericle assunse la forma di un uomo-triceratopo, la sua pelle era verde scuro, sul muso spuntavano bianchissimi tre corni e sul suo collo vi era un enorme scudo che proteggeva la schiena, Charles invece prese le sembianze di un uomo-

anchilosauro, la sua pelle era una corazza di scaglie.

“Ben ritrovato! Uomo dinosauro! Ricordo ancora bene il colpo ricevuto dalla tua coda, non vedo l’ora di congelarla e farla esplodere.” – disse Voin apparendo dinanzi a loro.

“E’ lui?” – chiese Ericle.

“Già, lascialo a me, a quanto pare la lezione non gli è bastata.”

“Come vuoi.” - disse Ericle; qualcosa che si mosse in lontananza aveva attirato la sua attenzione ed egli decise di scoprire cosa fosse.

Seguì le poche orme sul terreno, ma fiocchi di neve sempre più fitta non permettevano una grande visibilità; la figura spariva e ricompariva davanti a lui, ma sempre troppo lontano per raggiungerla.

Senza accorgersene si era allontanato e non poteva più nemmeno scorgere Voin e Charles, quindi si fermò.

“Ok sei riuscito a dividerci, ora fatti vedere.” – urlò.

“Come desideri.” – rispose una voce femminile.

Un turbine d’aria si creò dinanzi a lui e da questo si manifestò un essere mai visto; aveva il corpo da donna, sinuoso e magro coperto da corti peli scuri e al posto della testa aveva il teschio di un leone.

“Chi sei?”

“Il mio nome è Obi Abonsam, Re del Sudafrica. Tu devi essere Ericle, il grande guerriero Sangue di Dio, malvagio è il tuo destino nel condurti dinanzi a me. Arrenditi e diventa mio servitore, apprezzo la tua forza, non nego che mi piacerebbe distruggerla, però puoi tornarmi utile.”

“La mia forza si scaglierà su di te, essere spregevole!”

Abonsam appoggiò le mani al ventre dicendo:

“Sono molto delusa dal tuo rifiuto, vorrà dire che ti ucciderò!”

Aprì le braccia e una folata di vento colpì Ericle.

“Cosa succede?” – pensò Ericle.

Provò ad avanzare, ma le sue gambe parevano pesanti e sentì gli occhi chiudersi. Provò a colpire con un pugno l’avversario, ma lo mancò e cadde ai suoi piedi.

“La lotta è terminata.” – disse Abonsam. “Ti ho appena infettato con un virus che ti sta lentamente indebolendo, e ora la tua carne sarà divorata!”

Dagli incavi del teschio fuoriuscirono lunghi vermi rosa che contorcendosi cadevano al suolo e strisciavano sul corpo di Ericle mordendolo.

“Il tuo corpo sarà divorato dai miei vermi. Supplicami e diventa mio schiavo, oppure muori come l’ultimo dei cloni, ghermendo la polvere.”

“Mai!” – urlò Ericle, che con uno sforzo sovrumano tentò di concentrare il Prana dentro di sé, poi lo fece bruciare e disse:

“Solitamente questa tecnica rilascia energia all’esterno per distruggere un nemico, tenendola nel mio corpo questa brucerà uccidendo i tuoi vermi e il tuo virus.”

“Fai pure, se preferisci ucciderti, non ho obiezioni.” – rispose Abonsam.

Ericle si rialzò, la sua pelle divenne incandescente e rossastra, dalle orecchie e dalla bocca fuoriusciva sangue nero. Dopo diversi secondi i vermi si staccarono dalla sua pelle e caddero bruciati ed egli fermò il Prana.

“Ho ucciso il tuo virus e i tuoi vermi, è ora che te li restituisca!”

“Non è possibile, come puoi resistere?!” – disse spaventata la donna.

Rilasciò l’energia imprigionata dentro il suo corpo. Il Prana solitamente azzurro ora blu scuro viaggiò, verso Abonsam che incredula fu travolta e gettata in aria, Ericle saltò e in volo infilzò nel petto il nemico le corna.

Abonsam cadde al suolo, il suo corpo si sbriciolò come cenere; Ericle invece atterrò in piedi, ma stremato fece solo in tempo a ingerire una pastiglia di cibo e acqua e poi svenne, il suo corpo iniziò lentamente a rigenerare le cellule danneggiate.

Cherles intanto aveva assaggiato la vera forza di Voin che si era dimostrato un combattente valido e tecnicamente dotato.

“Sei molto abile, devo ammetterlo.” – disse Charles.

“Anche tu. Ho gelato il suolo, ma vedo che con quelle unghie riesci lo stesso a impiantarti per trovare una posizione stabile; purtroppo per te l’utilizzo di una sola gamba non ti sarà sufficiente.”

Voin attaccò, ma fu preso in contro tempo dalla coda di Charles che per poco non gli raggiunse le gambe, Charles lo colpì poi con un calcio girato al volto e quando appoggiò la gamba provò a dar continuità all’attacco, ma si sentì arrestare.

Voin sorrise creando una spada gelida tra le sue mani; la gamba dell’avversario era ora imprigionata in una teca di ghiaccio.

“Bisogna saper sfruttare i vantaggi del territorio, soprattutto quando sei tu a crearlo. Mi spiace, ma la tua specie non ha mai avuto buona sorte, infatti si estinse tanti anni fa.”

“Di cosa parli?”

“Dei dinosauri, è questo che siete, no? L’energia di questo pianeta disperato vi ha donato la forza sulla quale aveva scommesso milioni di anni fa, prima che gli androgini con un colpo di spugna estinguessero quegli stupidi rettili giganti dando spazio al pianeta dei cloni, più utili a usurpare ogni risorsa e a indebolire il prana.”

“Già, ma non ti sarà facile sbarazzarti di me, sono una forma evoluta e intelligente dei dinosauri che avete spazzato via, e ora te ne darò dimostrazione.”

Voin colpì di punta Charles, questi parò la lama con l’avambraccio, che fu ato da parte a parte; Charles afferrò la faccia di Voin e la schiantò contro la teca di ghiaccio che lo imprigionava, frantumandola.

Ora, libero di agire roteò su se stesso rilasciando la coda, Voin fermò istintivamente il colpo con la tibia, che si ruppe, ed egli urlò rotolandosi per terra; Charles provò a colpirlo ancora, ma l’avversario dandosi slancio con le braccia si allontanò.

“Che te ne pare? Niente male per un essere estinto.”

Voin congelò la sua stessa gamba impedendole di muoversi.

“Ora siamo pari.” – disse Voin. “Quindi non vedo perché dovrei trattenermi. Posso portare la temperatura intorno a noi a meno 30°.” – di colpo la temperatura scese e continuò incessantemente a precipitare, - 50, -80, -120° Charles bruciava il Prana sempre di più per tenere il proprio corpo al caldo, -170, -200, -250, -270°, il prana di entrambi era portato al limite estremo. Intorno a Charles per la differenza di temperatura l’aria sembrava creparsi, ghiacciare e poi frantumarsi; l’aria calda creò un vortice che ruotava sempre più velocemente, li sollevò poi spazzò via ogni cosa travolgendola in una girandola d’aria calda e fredda che non trovava stabilità, quindi esplose.

Infine, laddove prima vi era il deserto, ora si trovava un lago d’acqua sul quale galleggiavano tramortiti i corpi di Charles e Voin, che furono lentamente trascinati lungo la spiaggia.

Dopo quindici minuti Voin fu il primo a dar segni di vita, mosse dapprima solo le dita poi alzò la testa chiedendosi da dove fosse venuto il lago, poi ricordò.

Si voltò verso Charles e vide che anche lui stava riprendendo conoscenza; cercò di rialzarsi, non dando ascolto al dolore della gamba rotta.

Camminò zoppicando incontro al nemico che ora si trovava gattoni, creò un pugnale di ghiaccio, alzò il braccio e calò il colpo, Charles era attento e deviò con la coda il braccio minaccioso, poi girò il lungo collo dando una testata alla gamba rotta e Voin cadde, poi fece un salto di cinque metri; dopo la capriola calò la mazza della coda sul cranio di Voin sfondandolo, pezzi di cervello fuoriuscirono insieme a sangue nero.

Charles cadde stremato in ginocchio, ma sollevato per la vittoria e riassunse le sue normali sembianze umane; in quel momento gli si avvicinò Ericle, anch’egli debole ma vittorioso, gli porse del cibo mentre la neve e il ghiaccio iniziavano a sciogliersi.

“Per un attimo ho pensato avessi bisogno di aiuto.” – gli disse sedendosi a fianco.

“Malfidente.. anche tu non sembri in forma.”

“Credo di aver preso una brutta influenza, propongo di riposare.”

“Concordo.”

Entrambi si rilassarono e lasciarono cadere il corpo pancia all’aria, dormirono per un giorno intero in riva allo splendido lago creatosi durante la battaglia.

I due guerrieri si concessero altri quattro giorni per guarire dalle ferite avendo a disposizione ottima acqua dolce sia per bere sia per bagnarsi, il quinto ripresero le moto.

***

Il mattino seguente, loro malgrado, proseguirono il viaggio nell’arido deserto, avanzando senza intoppi fino a metà pomeriggio, poi il terreno e il cielo si fecero cupi.

“Attento! Guarda avanti!” – disse Ericle.

In fronte a loro degli spruzzi di liquido verdastro dai riflessi viola stavano venendogli incontro, essi saltarono dalle moto che investite dal liquido furono disciolte in una poltiglia fumante.

“Acido.” – disse Charles.

“Già e terremoti. Sento che tra poco faremo la conoscenza di nuovi amici.”

Intorno a loro il terreno si squarciò formando poi un anello di pietra rialzato che circondò i due come in una prigione. Dentro l’anello saltarono dentro uomini con il corpo o la testa di animale, mentre sopra di loro volteggiavano donne uccello.

“Chi siete? Politici? Imprenditori o sportivi?” - disse Ericle.

“Già, una volta.” – rispose un uomo con la testa di falco.

“Cloni cui gli androgini hanno dato qualche potere così da renderli per sempre loro servi.” – disse Charles.

“Pensala come vuoi terrestre, intanto noi sopravvivremo e lasceremo questo pianeta dopo l’apocalisse, i nostri padroni ci doneranno corpi nuovi, simili ai loro e raggiungeremo il paradiso.”

“Dunque aspirate alla vita eterna, mi sembra strano dato che venite ad infastidire due come noi.” – disse Charles.

“Non ti preoccupare, zoppo, non sarete un problema.”

Il gruppo attaccò Charles ed Ericle, che riuscivano bene a tenergli testa pur essendo molto numeroso.

“Siete in troppe, fastidiose zanzare!” – disse Charles, il suo corpo mutò, la sua pelle s’inspessì ed egli assunse la forma del dinosauro.

Mulinò la coda e con la mazza che aveva al suo estremo spazzò via in poche rotazioni tutti i nemici, poi rase al suolo l’anello di roccia. Intanto le donne uccello si lanciavano contro Ericle, e anch’egli si trasformò: il suo corpo, anche se molto più scuro di quello di Charles aveva la stessa pelle spessa e dimensioni enormi.

Estrasse dal suo collo l’anello a scudo che gli circondava le spalle, caricò il colpo e lo scagliò in alto; l’anello come un boomerang dilaniò i nemici e tornò nella mano del padrone che con altri pochi lanci sterminò le avversarie.

“Niente di ché.” – disse Charles.

“No, ma ci voleva del riscaldamento; ora spero che i veri nemici si facciano vedere e che non ci abbiano distrutto le moto solo per rallentarci.”

“Ci hanno divisi e rallentati, in effetti non gli conviene affrontarci di persona per ora.”

“Avanziamo e vediamo che succede.”

Con grandi falcate i due avanzavano velocemente lasciandosi dietro grandi nuvole di fumo, Charles si aiutava nel suo incedere spingendo con la coda e il braccio sinistro.

4

Veno, Joory e Nadia proseguivano senza sosta lungo la rotta. Da quando le comunicazioni con i compagni erano cessate erano trascorsi quindici giorni.

Non avendo altre occupazioni, avevano fatto gruppo ed erano quindi di buon umore.

Il cielo quel giorno era nuvoloso, anche se il sole si affacciava di tanto in tanto tra i grandi cumuli, e qualche goccia bagnava i motociclisti.

In lontananza qualcosa sembrava brillare.

“Rallentiamo non è il caso di buttarci contro quella luce.” – disse Joory.

Appena rallentarono la luce cominciò a venirgli incontro muovendosi a zig zag, poi virò verso Veno; questi saltò dalla moto che fu tranciata in due di netto, la luce tornò indietro e ò attraverso le altre due moto, dividendole con tagli altrettanto netti.

La luce si fermò e si udì da essa una voce arrogante:

“Salve signori, per caso state cercando di raggiungere la Luce Guida? In questo

caso siete fortunati, una luce ancora più grande vi è venuta incontro.”

“Chi sei? Come ti sei permesso di toccare le nostre moto? Lo sai che fine fa chi mi tocca la moto?” – disse Veno rialzandosi.

“Scusa ragazzino, non volevo, solo che quando uno ha un corpo come il mio, diventa difficile controllarsi. Quello che vedete è un corpo divino legatosi al diamante.”

L’uomo alzò le braccia, e dal suo corpo filtrò la luce del sole; egli era come un diamante e ogni suo muscolo brillava e terminava con pericolosissimi spigoli taglienti.

“Re Yoruba Igbò, in persona. Quale onore.” – disse Nadia.

“L’onore è mio, è un piacere incontrare qualche Sangue di Dio, finalmente siete usciti dalle fogne in cui vi nascondevate.”

“Cosa sei venuto a fare? Non abbiamo tempo da perdere con te.”

“Davvero? Non avete tempo da perdere? Se non l’avete capito non avete proprio più tempo; questo pianeta è spacciato e in ogni caso anche se riusciste a ucciderci tutti entro l’anno cosa otterreste? La Terra si trova ancora sotto il dominio Androgino, quindi in un modo o nell’altro ne risucchieremo il Prana.”

“Interessante. Quindi voi siete gli orribili esseri che hanno dominato la terra e schiavizzato gli umani solo per ottenere il Prana, una vita da androgini e aspetti ridicoli come questo?” – disse Veno.

“Ridicolo?”

Igbò sferrò un calcio a Veno che lo parò con l’avambraccio.

“Come vedi i miei colpi non sono parabili e questo era solo un calcetto, potrei tagliarti via di netto se volessi.” - Veno guardò l’avambraccio sul quale si era aperto un taglio sanguinante.

“Prenditela con me.” – Nadia si trasformò, il suo corpo crebbe, anche se meno di quelli di Charles ed Ericle, tuttavia era ancora molto simile a quello di una donna, ma la testa aveva i lineamenti di un Parasaurolophu e una lunga coda, partendo dal naso e arrivando fino al cranio si ergeva una cresta tubolare che raggiungeva 4 m di lunghezza.

“La mia pelle è molto più spessa e robusta della loro!”

Colpì con dei pugni Igbò che parava a fatica data la sorprendente velocità della donna la quale tra l’altro subiva solo leggere ferite dal contatto col diamante.

I colpi della donna però rallentarono di velocità e Igbò poté colpirla con un calcio all’addome che la allontanò.

“Cosa è successo?” – si domandò la donna sentendosi più lenta del solito.

“Scusa, colpa mia.” - disse un uomo che stava levitando in cielo coperto da gambali e bracciali d’oro, avvolto da leggere vesti simile a quelle di un dio greco; dalle sue spalle uscivano bianche ali, il viso aveva lineamenti sottili e affascinanti.

“Sono Apoli Venuis, conosciuto come Bernardo Igalo, Re dell’Argentina se volete; posso controllare i venti a mio piacimento, quindi è perfettamente inutile la tua velocità perché posso dargli attrito e rallentarla.”

Joory che per il momento era rimasto a guardare si mise davanti alla donna, Nadia però rise.

“Non preoccuparti, mi occupo io di questo damerino, voi pensate a Igbò. Mi hai sentito Apoli? Non credere di farmi paura.”

Nadia saltò verso Apoli e iniziò a lottare con lui. Intanto Igbò era balzato contro Joory, sferrando un destro diretto, ma il cinese schivò il colpo con uno spostamento laterale, sfoderò la spada e colpì il braccio del rivale. La lama si spezzò di netto mentre il braccio rimase perfettamente integro, se non per una lieve strisciata.

Igbò fece perno sul piede destro e sferrò un calcio circolare sinistro che Joory evitò abbassandosi; intanto Veno intervenne colpendo con un calcio al volto Igbò che arretrò, ma senza dar segno di aver sentito il colpo.

“Siete abili combattenti, ma contro il mio corpo non avete speranze.”

“Joory, credo che i colpi diretti non ci possano aiutare, richiama il Prana, intanto io lo tengo occupato.” – disse il ragazzo.

“Va bene, ma non rischiare nulla.”

Veno colpì con forza l’avversario che però parava bene i colpi e a ogni contatto gli causava una ferita. Dopo aver bloccato un calcio, Igbò sferrò un pugno destro che Veno schivò solo parzialmente subendo un brutto taglio sulla nuca; Igbò stava per colpirlo di nuovo quando fu travolto da un’onda di energia azzurra scagliata da Joory.

L’energia concentrata colpì allo stomaco l’uomo che inizialmente si piegò, poi il prana scivolò sul suo corpo e schizzò via.

“Bel tentativo, mi hai fatto un po’ male, devo dire.”

“Maledetto!” – urlò Veno scagliando un’onda di energia contro Igbò travolgendogli il viso, questi volò all’indietro, ma con una capriola atterrò in piedi illeso.

Igbò si lanciò contro Veno e lo colpì più volte al petto dilaniandoglielo: il ragazzo era in ginocchio. Igbò alzò una gamba al cielo e la fece cadere in verticale come un’ascia verso il collo avversario. Nadia però si mise in mezzo arrestando il calcio con un avambraccio, con colpi velocissimi attaccò Igbò, ne

superò la guardia e lo centrò al petto con un calcio frontale che lo sbalzò via decine di metri.

Nadia prese Veno tramortito e lo allontanò.

“Riposati e resta in disparte.” – gli disse. “Non puoi ancora affrontare avversari di questo genere.”

“Stai ansimando, tutto bene?” – domandò Joory vedendo la ragazza stanca.

“Sì, quel maledetto di Apoli se ne resta in cielo e devo attaccarlo saltandogli incontro; solo che con i venti contrari mi sfianca e io non riesco a colpirlo neanche con attacchi di energia. Per fortuna è debole nel colpire e per ora non mi ha sopraffatta.”

“Forse dovremmo scambiarci gli avversari.” – disse Joory.

“Concordo, cerca di resistere ai suoi attacchi da lontano, sono raffiche di vento ad alta pressione; è l’unico pericolo perché il codardo non oserà avvicinarsi.”

“Non preoccuparti, ci penso io.” – disse Joory correndo verso Apoli, che ironizzò:

“Un cambio di strategia? Sembra che siate in difficoltà. Un essere così leggerino posso spingerlo dall’altra parte del mondo; vieni pure e affrontami.”

Apoli lanciò delle raffiche di vento turbinanti che Joory evitò con salti e balzi, per poi tentare un salto in cielo verso l’androgino. Il salto però fu rallentato dall’attrito del vento e Apoli deviò il pugno ormai lento del cinese e lo colpì con una gomitata dall’alto verso il basso.

Joory precipitò al suolo.

“Visto?” – disse Apoli.

Joory si rialzò, la sua fronte sanguinava.

“E’ vero, i tuoi colpi non sono un granché.” – disse Joory mentre la ferita si chiudeva.

“Forse, ma ho tutto il tempo per demolirti.”

Joory pensò:

“Il fattore di guarigione che ho ereditato da Hugkran, seppure in modalità meno efficace potrà forse risultare decisivo in questo scontro, se non consumo tutte le forze; devo fare in modo che Apoli non se ne accorga.”

Le raffiche continuavano ad abbattersi su Joory che le evitava con grande

dispendio di energie.

Intanto Nadia lottava contro Igbò, era più veloce e la pelle spessa la preservava dai tagli mentre colpiva l’avversario, che però, quando portava a segno un colpo, le causava in una ferita.

Igbò saltò all’indietro allontanandosi dallo scontro.

“Voglio mostrarti una cosa. Voi tutti vi vantate di saper usare il Prana, ma grazie al mio corpo, sono l’unico a poter incanalare il Prana in una lamina così sottile da renderlo tagliente. Osserva!”

Roteò su se stesso poi allargò le braccia, infine le chiuse stringendosi le spalle; da esse una luce viola a forma di x schizzò velocissima verso Nadia, la ragazza sorpresa poté solo mettere le braccia a protezione.

La parte colpita dal raggio esplose in un’onda di sangue, le braccia e il petto della donna subirono profonde ferite.

“Ti è piaciuto? Posso affettarti per tutto il giorno e vendere carne di dinosauro ai cloni che stupidamente si stanno scannando per salvarsi la vita.” - disse il Re ridendo.

Joory intanto stava evitando le raffiche di Apoli che però era troppo sicuro della sua posizione e non si curò di Veno finché non lo ebbe alle spalle: si voltò verso il ragazzo, che lo colpì con brutalità al volto con la tibia destra.

Apoli precipitò e si schiantò a terra e Veno atterrò di fianco a Joory che poteva riprendere fiato.

“Stai bene vecchio?” – disse Veno ancora indebolito dalle ferite che però avevano smesso di sanguinare, sfilò la maglietta ormai completamente sporca.

“Sì, sei stato bravo.”

Igalo rise di gusto e disse:

“Apoli sei in difficoltà per caso? Non ti sarai sporcato spero?”

Apoli si rialzò furibondo, sporco di terra, sullo zigomo destro aveva un piccolo livido viola.

“Come avete osato colpirmi? Me la pagherete!”

Si alzò in volo con le braccia larghe, sembrava un angelo.

“Siete morti!”

Le ali s’ingrandirono di tre volte, sopra di loro sembrarono radunarsi tutte le nuvole del mondo. Quando l’Androgino sbatté le ali un’esplosione di aria spazzò via ogni cosa e si diresse verso Veno e Joory; quest’ultimo con un calcio laterale allontanò il ragazzo e fu travolto dall’onda che lo sollevò e insieme a terra e nubi lo spinse in cielo, lontano oltre l’orizzonte. Così urlando Joory sparì alla vista.

Veno si rialzò disperato nel veder il proprio compagno che si era sacrificato ancora una volta per salvarlo.

La rabbia lo sopraffece, i muscoli si contrassero involontariamente ed egli emanò un lungo e orribile ruggito.

I presenti si fermarono a guardare, compreso Igbò, che ormai stava sconfiggendo Nadia; le era sopra pronto a sferrare un ultimo colpo.

La donna con un fil di voce disse:

“Si Veno, liberati, non trattenerti oltre, lascia che emerga ciò che questo mondo ti ha donato.”

Il corpo del ragazzo crebbe in altezza e muscolatura, coprendosi di peli gialli e arancioni con strisce nere, le mani e i piedi mutarono in dita grosse con artigli, intorno al collo aveva una splendida criniera e due lunghissimi canini uscivano dai denti superiori.

“La tigre dai denti a sciabola; ti è stato donato il suo spirito.” – disse Nadia.

Il felino era alto tre metri e pareva fuori controllo. Si voltò verso Igbò che era sopra Nadia, mosse il braccio destro e con gli artigli tagliò l’aria, da essi partirono quattro lame azzurre lanciate verso Igbò che sorpreso fu travolto; le lame gli squarciarono il petto facendo crepare il corpo di cristallo.

Apoli che osservava dall’alto rimase a bocca aperta e disse:

“Il Prana, può lanciare il Prana modellandolo come una lama, proprio come Igbò; è un caso unico!”

Veno camminò lentamente verso Nadia, la aiutò ad alzarsi e disse con voce ruggente:

“Ci penso io a lui, ce la fai e occuparti di quell’altro? Tra poco credo che riceverai un aiuto.”

Nadia, ancora scossa, annuì senza comprendere e tornò da Apoli.

“Avanti lancia le tue raffiche, dio del vento!” – disse la donna.

Igbò si stava tenendo il petto; in oltre trecento anni era la prima volta che subiva ferite, oltretutto ora aveva davanti a sé una bestia inferocita, enorme e con la sua stessa capacità di utilizzare il prana come una lama.

“Lasci la donna da sola contro un avversario che neanche il tuo amico è riuscito a sconfiggere? Vuoi veder volare anche lei ai confini del mondo?”

Veno inclinò la testa ed emise un ringhio tra i denti, ma non sembrava stesse ascoltando.

Nadia fu colpita da Apoli e cadde in terra, rialzandosi si voltò verso Veno dicendo:

“Ora ho capito.”

“Bene.” – ruggì Veno.

Appoggiò le mani al terreno caricando l’attacco come un felino durante la caccia, rilasciò i potenti muscoli delle gambe e balzò su Igbò: sbracciava contro l’avversario cercando di colpirlo con gli artigli; Igbò parava, ma faticava a rispondere, Veno era una furia, i suoi colpi non erano precisi, ma rapidi e potentissimi.

Igbò comprese che doveva dare il massimo. Scambiò violenti colpi di braccia e gambe, poi saltò all’indietro per prendere tempo.

Osservò il proprio corpo pieno di crepe, mentre Veno aveva solo piccoli tagli, infuriato pose i pugni serrati davanti al petto.

“Vediamo ora chi di noi due è il migliore!”

Roteò su se stesso, lasciando intuire a Veno il suo prossimo colpo, allargò le braccia e le strinse; questa volta si fermò un attimo prima di lanciare l’attacco e disse:

“Il colpo di prima l’ho lanciato in maniera soft, sprecherò molta energia, ma taglierò te e questo stesso pianeta se sarà necessario!”

Un sibilo sempre più forte proveniva dall’uomo. Quando aprì le braccia una croce enorme e che ruotava su se stessa fu scagliata verso Veno.

La tigre d’istinto si lanciò ruggendo verso di essa, la mano destra dal fianco roteò in avanti emanando un’energia azzurra; entrambi i colpi si scontrarono con pari forze tagliandosi a vicenda; due metà si schiantarono al suolo creando enormi crateri e spargendo in aria nuvoloni di terra, le altre due colpirono i bersagli.

Apoli e Nadia si fermarono a osservare la scena; quando la polvere si posò si poterono vedere i due contendenti. Veno sanguinava copiosamente dalla coscia destra, un colpo l’aveva colpito in pieno e gli aveva aperto il quadricipite, Igbò invece urlava e si contorceva tenendosi la spalla, il braccio gli si era staccato di netto.

“Apoliiii! Vieni qua!” – urlava disperato.

Apoli volò verso di lui e lo sollevò in cielo, frapponendolo contro il sole.

I raggi solari che colpivano il suo corpo si muovevano in lui come laser e si fermarono al centro dell’addome; poi egli urlò emanando un raggio incandescente.

Veno evitò il raggio che lo seguiva come un faro, bruciando e fondendo tutto ciò che toccava. Il ragazzo appoggiò la gamba ferita, perse l’equilibrio e per poco il raggio non lo tagliò in due, ma lo colpì solo di striscio sulla spalla, ferendolo.

Nadia vedendo l’amico in difficoltà saltò verso Apoli che però ancora una volta la rallentò investendola con una raffica di vento.

“Ora Nadia!” - disse una voce.

La donna stremata e ferita, saltò verso Apoli che con una mano reggeva Igbò per il braccio.

“Sei cocciuta, non hai capito che è inutile? Questo è il tuo ultimo tentativo!” emanò una raffica di vento che avrebbe dovuto rallentarla, ma l’aria le girò intorno, la superò e virò colpendola alle spalle, dandole una spinta violentissima.

Apoli si accorse appena dell’accaduto, e si trovò gli artigli della donna nella pancia, la raffica proseguì travolgendo Nadia, Apoli e Igbò.

Quando il vento cessò essi precipitarono, Veno con tempismo si collocò sotto Igbò che sconvolto non poté far niente, se non rimanere a guardare la tigre dai denti a sciabola alzare il braccio verso di lui. Gli artigli penetrarono nel suo petto aprendo un varco e il braccio lo traò da parte a parte, il corpo dell’uomo si crepò intorno al braccio possente e cadde in mille pezzi.

Poco lontano Nadia ed Apoli caddero uno sopra l’altro, l’Androgino si rialzò tenendosi la pancia ferita e sanguinante.

“Come hai fatto a deviare il mio colpo?”

“Sai, abbiamo un nuovo alleato, un alleato piccolo piccolo che per voi che puntate alla magnificenza è forse il nemico peggiore. Egli ha studiato e modificato il tuo dna legato col vento ed è riuscito a farti lanciare un colpo contrario senza che tu te ne accorgessi; non ho dovuto fare altro che resistere ai tuoi attacchi e attendere il momento buono. Come vedete, voi Re potete cadere, e abbiamo ancora molto tempo per cercare gli altri.

“Non mi hai ancora battuto.” – disse Apoli portando un pugno diretto destro che Nadia schivò facilmente; velocemente gli fu alle spalle e con un rapido gesto gli ruppe il collo.

Veno le si avvicinò.

“Tutto bene?”

“Sì.” –rispose la donna sedendosi. “Ammaccata ma sto bene.”

Tra i due comparvero gli ologrammi di Titlis e Cervino che ballavano e cantavano di gioia, festeggiando la vittoria e strappando un sorriso a Veno e Nadia che si rilassarono un secondo riprendendo le loro normali sembianze.

“Avete visto quello spocchioso? Non mi raggiungerete qui sopra, io comando il vento hohohoh!” – disse Titlis.

“Sì sì, e invece Nadia gli è balzata contro come un missile e l’ha disintegrato, perdibicia!” – ripeté Cervino.

“Sì, e poi Veno è diventato fortissimo e ha mandato in frantumi l’uomo di diamante!”

“Grazie.” – disse Nadia ridendo. “Ero veramente esausta. Per fortuna Veno ha tirato fuori la tigre che dormiva in lui. Senza saremmo stati spacciati; sei stato bravo ragazzo.”

Veno arrossì, si guardò le mani, ricordando l’accaduto come un sogno che sbidiva.

“E Joory?” – domandò Veno.

“Non ricordi? Apoli l’ha colpito con la sua raffica più potente e l’ha spedito

chissà dove.”

Le dolorose immagini tornarono alla mente del ragazzo.

“Non disperate, disse Cervino; alcuni nostri amici l’hanno seguito e se sta bene, riceverà il loro aiuto. Purtroppo non possiamo sentirli anche le nostre comunicazioni oltre una certa distanza si sono interrotte.”

“Già non dobbiamo disperare, anche Ericle e Charles staranno lottando e tra poco li rincontreremo.” – disse Nadia.

“Si, è inutile rimanere qui, dobbiamo proseguire.” – disse Veno.

Titlis disse:

“No, dovete riposare. Venite, abbiamo scoperto il mezzo di trasporto di Apoli e Igbò; lì potrete recuperare le forze e curare le vostre ferite."

5

Ericle e Charles arrestarono la corsa a fine della giornata.

“Hai sentito?” – disse Charles ad Ericle.

“Si, è il richiamo di Nadia, significa che stanno bene.” – rispose l’amico.

“Si, almeno lei, il suono ora proviene da molto lontano significa che ci stiamo dividendo sempre di più. Avanziamo ormai l’unico modo per rincontrarci è raggiungere la meta.”

Sotto di loro il terreno discendeva ripido per poi distendersi in una landa brulla.

Le fenditure tra le rocce spruzzavano fumi simili a geyser e il terreno era coperto da un’umida nebbiolina che arrivava fin sotto le ginocchia.

“Propongo di fermarci qui. Attraversare quella vallata non sarà facile neppure da riposati e godendo della luce del giorno; figuriamoci ora.” – disse Ericle.

“Sono d’accordo. E’ il luogo ideale per una trappola; non vorrei trovarmi a combattere in una situazione di palese inferiorità. Il nemico è pericoloso.” – rispose Charles.

Ingerirono cibo e acqua in pastiglie poi si coricarono riprendendo le normali sembianze al riparo di una piccola grotta che si apriva su un fianco del pendio.

Il mattino seguente venne a piovere e il cielo buio era illuminato da frequenti lampi e fragorosi tuoni riecheggiavano per la valle.

Charles osservò sotto di sé:

“Non siamo per niente fortunati, questo tempaccio ci rende vulnerabili, inoltre si vede pochissimo. Cosa facciamo Ericle?”

“Non credo si tratti di sfortuna. Qualcuno ci sta mettendo i bastoni tra le ruote, il tempo non migliorerà nei prossimi giorni, per cui o giriamo al largo, ma perderemmo altri giorni, o proseguiamo.”

“Bene allora, andiamo avanti.” – disse Charles trasformandosi, imitato da Ericle.

Camminarono su rocce che parevano essere state appoggiate a casaccio tanto erano instabili, rese scivolose alla pioggia; di tanto in tanto inoltre, l’aria bollente proveniente dal terreno li investiva. Anche se questi geyser non danneggiavano più di tanto la loro pelle tentavano lo stesso di evitarli temendo in un getto più potente e improvviso.

Ormai erano a metà della vallata quando sentirono intorno l’eco di una risata, dapprima debole poi via via sempre più vicina, ma non identificabile.

“Guarda.” – disse Charles.

Un rigagnolo d’acqua verde si stava avvicinando serpeggiando tra le fenditure delle rocce, poi s’inabissò sotto i loro piedi.

“Via!” – urlò Ericle.

I due saltarono abbandonando la roccia sulla quale poggiavano, poco prima che un geyser di acido la colpisse dissolvendola.

I rigagnoli verdi aumentarono e così i geyser; inoltre le rocce cominciarono a tremare e a muoversi rendendo più difficile per Ericle e Charles evitare l’acido, dal quale furono feriti più volte, Charles rischiò addirittura di cadere in una pozza d’acido, ma fu salvato dall’amico.

“Siamo finiti in una trappola, maledizione! Neanche noi possiamo uscirne.” – disse Charles.

“Appoggiati con la schiena alle mie spalle.” – disse Ericle. “Non possiamo gestire questo terreno, giusto? Allora spazziamolo via.”

“Ho capito.”

I due si concentrarono. Il prana iniziò a scorrere nei loro corpi così tesi per lo sforzo da sembrare in procinto di esplodere poi li illuminò e finalmente poterono rilasciare l’energia, che detonò intorno a loro spazzando via ogni cosa nel raggio di diversi chilometri.

Completamente sporchi di terra e fango i due ora si trovavano in una conca paludosa creata dalla loro stessa esplosione; non vi erano più né rocce ne rigagnoli.

Il temporale cessò e smise di piovere.

“Ora potete uscire, Dre Connor e kamìl Amr, Re di Australia ed Egitto, ho riconosciuto la vostra aura. O volete continuare a fare i vigliacchi, nascondendovi dietro a del fumo?” – disse Ericle.

In fondo alla vallata udirono una risatina e scorsero due uomini avvicinarsi.

Uno era Amr, indossava due grandi coprispalle in platino, le sue sembianze erano rimaste quelle di quando regnava: mulatto, alto, esile e senza capelli, stringeva in mano un bastone nodoso di legno.

L’altro, Connor, era piccolo e ricurvo, la sua pelle era simile a quella di una lucertola grigioverde, dalla sua bocca usciva una lunga lingua verde contornata da sottili denti bianchi aperti in un eterno sorriso che accompagnava una fastidiosa risata.

Quando furono a una decina di metri dagli uomini-dinosauro si fermarono.

“Molto abili, veramente.” – disse Amr. “La trappola in cui siete caduti dimostra la vostra piccola e inferiore intelligenza, ma perlomeno avete dimostrato una geniale brutalità che vi ha permesso di venirne fuori.”

“Si hi hi, chissà quante energie avete sprecato.” – aggiunse Connor deridendoli.

“Ericle e Charles? Se non sbaglio sono questi i vostri nomi.” - domandò Amr.

“Esatto.” – rispose Ericle.

“Signori, io ammiro il vostro coraggio e devo dire che senza di voi il comando di quegli stupidi cloni per il collasso di questo pianeta sarebbe stato di una noia mortale. Non capisco cosa vi spinga a voler continuare una battaglia persa: questo pianeta è in ogni caso spacciato, i vostri antenati hanno perso la battaglia e voi che di loro avete solo una briciola di sangue che risultati sperate di ottenere? Inoltre quelli che volete salvare si stanno ammazzando tra di loro, sperando inutilmente di poter essere salvati alla fine dell’anno, proprio da coloro che li hanno usati e schiavizzati fino ad ora. Non capite la loro idiozia? Capisco che nel vostro sangue scorre la stupidità degli Dei, ma volersi buttare via così… ate quest’ultimo anno con qualche donna e in pace e noi non vi disturberemo.”

Ericle rise:

“Dietro ai tuoi modi cortesi leggo tanta rabbia e ipocrisia. Chiami stupidi i cloni? Forse sì, li avete creati apposta con delle debolezze in modo da poter far leva su quelle; ma noi siamo la dimostrazione che possono vincere quelle debolezze, mentre voi siete così legati al vostro stato di uomo-donna, a dir vostro perfetto, che non vi accorgete di essere servi della vostra bramosia. ate millenni su pianeti, creando dolore e sofferenza solo per poter sentirvi superiori agli alti, ma siete solo schiavi di voi stessi.”

“Noioso dibattito, ma non potevo certo aspettarmi una conversazione all’altezza da un essere così inferiore.”

“Non perdiamo tempo.” – disse Connor. “Voglio corrodere la loro carne primitiva.”

“Bello! L’avete detto voi, non abbiamo nulla da perdere, credi che mi tirerò indietro?!” – così dicendo Ericle corse verso Connor e lo colpì con il ginocchio in pieno petto, poi proseguì l’attacco furioso con i pugni costringendo l’avversario ad arretrare sempre di più.

“Tu non attacchi?” – chiese Amr a Charles. “Forse quella gamba non ti basta per lottare?”

“Non so, perché non vieni avanti e lo valuti tu stesso? D’altronde siete voi che ci avete sfidati.”

Amr sorrise, e si mise in una strana guardia, con le braccia molto larghe poneva il bastone in diagonale dinnanzi al petto.

“Come preferisci, volevo darti una possibilità.”

Amr era alto quasi quanto Charles, ma molto più esile, nonostante ciò riuscì con un calcio frontale a colpirlo nello stomaco anticipando un pugno.

“Sei lento e goffo, poggiando sulla coda rendi i tuoi movimenti prevedibili.”

Charles attaccò, ma Amr rispondeva a ogni colpo contrattaccando la parte scoperta di Charles.

“Va bene.” – disse il dinosauro.

Avanzò fingendo di portare un gancio destro e di lasciare scoperto il fegato; Amr lo colpì lì, ma Charles che se lo aspettava incassò il colpo e bloccò il braccio sinistro dell’avversario con la mano sinistra.

Roteò sulla gamba d’appoggio tenendo Amr e facendolo girare con sé, poi raggiunta la velocità massima lo schiantò al suolo, fece una capriola e calò la mazza d’osso alla fine sul suo petto. Il colpo provocò un terribile rimbombo.

“Mai abbassare la guardia, non lo sapete voi esseri supremi?”

Intanto Ericle stava avendo la meglio su Connor che aveva subito molti colpi e

resi pochi.

Il Re allora saltò indietro allontanandosi e, mentre Ericle cercava di recuperare la distanza egli alzò la testa, sulla sua gola si aprì una bocca dalla quale uscì un flotto d’acido; Ericle si riparò con le mani cercando poi di scansarsi, ma piccole gocce gli colpirono una gamba corrodendo la pelle.

“Hihihi. Piaciuto lo scherzetto? Il mio Prana diventa acido corrosivo, può sciogliere qualsiasi cosa, compresi gli stupidi animali preistorici. Con quella gamba ti sarà difficile ora schivare i prossimi attacchi.”

Connor sputò ancora dell’acido, Ericle saltò schivando il colpo, ma all’atterraggio la gamba ferita cedette, Connor sputò ancora, questa volta Ericle staccò il collare d’osso che aveva intorno alla testa e lo usò come scudo.

“Hihihi, Di cosa è fatto quel maledetto scudo? Non dirmi che riesce a proteggerti dall’acido? Beh vedremo.” – disse Connor.

Accumulando il prana attorno a sé si circondò di una luce viola che si concentrò nella gola, poi sputò un getto molto più potente che investì lo scudo di Ericle; le difese ressero, ma alcune gocce colpirono il corpo del dinosauro ferendolo.

Charles, visto l’amico in difficoltà corse verso Connor per fermarlo, ma il terreno a ogni o tremava e gli sprofondava sotto i piedi.

“Ti sei dimenticato di me?” – urlò Amr che si era rialzato, sanguinava dal petto e

dalla bocca, ma con il bastone che stingeva tra le mani pareva poter comandare i movimenti del terreno a suo piacimento.

“Nessuno mi aveva mai ferito, ti seppellirò vivo!”

“Ne vuoi ancora?” – disse Charles tornando indietro. “Eccomi.”

Saltò verso Amr dandosi lo slancio con la coda, ma il terreno vibrò ed egli inciampò in avanti goffamente, Amr ne approfittò colpendolo col bastone sulla nuca e poi più volte su tutto il corpo, Charles non riusciva a respingere l’attacco perché ad ogni o il terreno cedeva ed egli perdeva l’equilibrio. Amr roteò il bastone e lo colpì dal basso verso l’alto al mento facendolo volare decine di metri indietro seguito da un rigolo di sangue.

Ericle avrebbe voluto aiutare Charles, ma era ben impegnato a difendersi dall’incessante attacco di Connor, inoltre lo scudo di cui si serviva era quasi del tutto corroso.

Concentrò il prana nel suo braccio e rilasciò una grande energia contro Connor; questi sputò dinanzi a sé e il prana di Ericle si tramutò in acido che investì il Re senza causargli danni, anzi la sua pelle lo assorbì.

“hahahahahha hihihiihi quanto sei buffo, hahahahaahahaha non riesci a fare niente di niente, e tra poco ti scioglierai al sole, prendi!”

Sputò l’acido creato con il prana di Ericle che parò il colpo, ma dovette saltare

via prima che lo scudo si sciogliesse.

Atterrò sforzandosi di far reggere la gamba ferita, e lanciò un’altra onda di energia contro Connor.

“Non hai ancora capito?” –disse Connor trasformando il prana in acido e rigettandolo contro Ericle.

“Si, ho capito che mi hai sottovalutato. Farà male, mi sfiancherà, ma lo faccio volentieri.”

Saltò evitando in parte l’acido che lo ferì all’addome, ma non se ne curò; tra urla atroci e copiose perdite di sangue lo scudo gli ricrebbe intorno al collo, lo afferrò mentre era ancora in volo e lo scagliò con forza verso Connor, sorprendendolo.

Lo scudo lo colpì segandogli la gola e la testa schizzò via dal corpo, poi roteando tornò nelle mani di Ericle che lo afferrò e cadde a terra stremato.

Charles perdeva molto sangue e non riusciva a stare in piedi; dato che non poteva contare sull’appoggio del terreno saltò più in alto che poté, quando arrivò all’apice ridiscese verso Amr che lo aspettava senza timore; quando gli fu vicino, roteò la coda come l’elica di un elicottero rallentando la caduta di quel tanto che bastava per mandare a vuoto il bastone avversario, poi rilasciò tutta la forza della roteazione sulla mazza che colpì in pieno volto Amr, che cadde nella sabbia coprendola di sangue.

Charles respirò affannosamente, sorrise vedendo Ericle a terra stremato dopo che aveva sconfitto il proprio compagno.

“Bravo, amico, riposa, intanto qui ci penso io.”

Il terreno tutto intorno tremò mentre Amr si rialzava barcollando.

“L’hai sentito il colpo eh?”

“Già, buona idea attaccarmi dall’alto, ma ti dimostrerò che non c’è un luogo da dove tu possa sconfiggermi.”

Amr saltò in cielo, e Charles sorpreso, non si lasciò sfuggire l’occasione. Concentrò il prana e lo rilasciò contro Amr che venne investito in pieno, Charles saltò per colpirlo definitivamente con la coda, ma quando gli fu vicino Amr schivò il colpo e gli si posizionò alle spalle bloccandolo.

“Te l’avevo detto che sei lento! Questa dimenticanza ti sarà fatale!” – mentre precipitavano Amr pronunciò una frase in una lingua antica, sotto di loro spuntò una punta dai quattro lati, poi il terreno si squarciò e dal nulla crebbe una piramide di roccia che velocemente s’innalzò verso l’alto. Amr e Charles precipitarono così verso la punta; questa invece saliva verso Charles che si trovava sotto e inevitabilmente fu traato.

Amr saltò poco prima dell’impatto e atterrò poi al suolo, mentre Charles rimase appeso alla piramide divenuta alta una quarantina di metri.

Amr guardò con soddisfazione il sangue del nemico colare dai lati della piramide e quell’uomo immolato al suo santuario.

Ericle riprese i sensi, appoggiò le mani al suolo e spinse con grande fatica per rialzarsi. Alzò lo sguardo cercando di orientarsi.

“Cos’è questo?” – disse vedendo la piramide.

Gli ci volle un attimo per mettere a fuoco, finché scorse il corpo esanime dell’amico giacere sulla cima.

Urlò il nome di Charles e corse verso di lui dimenticandosi delle proprie ferite, provò a chiamarlo e a scuoterlo, ma il compagno non si muoveva più, dal suo corpo non proveniva nessun respiro e disperato lo strinse a sé piangendo, poi si voltò allora verso Amr.

“Maledetto! Ti strapperò le ossa dal corpo! Hai ucciso uno mio amico, per decenni abbiamo combattuto insieme, salvandoci la vita a vicenda. Questa volta sono arrivato tardi. Combatti contro di me ora vigliacco, così avrò la mia vendetta.”

Amr stava per rispondergli quando le gambe gli tremarono, era esausto.

“Mi spiace, dovremo rimandare il nostro incontro più avanti. Vi lascio soli.”

Saltò, e dal nulla nel cielo apparvero due velivoli, montò sopra uno dei due e rapidamente volò via.

Ericle rimase solo con la propria furia. Trasportò il corpo dell’amico a terra e lo seppellì, mentre le lacrime gli bagnavano il viso.

Provava un dolore immenso, Charles era da sempre il suo unico amico e alleato. Ma era anche l’unica persona veramente simile a lui oltre a Nadia che avesse conosciuto, con lui a fianco non si era mai sentito solo; in lui crebbero la rabbia e l’odio verso il suo assassino, si sfogò lanciando un’onda di energia che distrusse la piramide.

“Non dovrei, non è una questione personale, ma questa volta giuro che non avrò pace finché non ti avrò vendicato amico mio.”

Prese il mezzo abbandonato, che era stato probabilmente di Connor e proseguì verso la luce guida.

6

La Following Fable era in viaggio ormai da più di due mesi. Procedeva lenta e a bassa quota, riparare i danni che aveva subito richiedeva tempo che non avevano.

Nonostante ciò il loro incedere costante li teneva ampiamente in linea con i tempi previsti, non avevano incontrato anima viva ne civiltà, fatta eccezione per un villaggio e dei suoi abitanti ritrovati morti pochi chilometri più avanti; il sogno di inseguire la salvezza per loro si era rivelato fatale.

A parte quell’episodio il viaggio proseguiva sereno e tranquillo.

Gli uomini sulla nave, appresa la vera natura del loro essere, non più di creatura unica e sacra creata da un dio, ma cloni artificiali creati su misura, iniziarono paradossalmente a sentirsi meglio. Vivevano con la serenità solita degli animali, accettando quello che erano senza strani pesi addosso o responsabilità ancestrali, su peccati primordiali indimostrabili. I Trilliferiani poi, li avevano liberati dalle catene della schiavitù e del ricatto.

Mara correva sul ponte facendo svolazzare un aquilone, Waxtom e Romina la osservavano abbracciati, i pirati intanto si allenavano, tra loro c’era Paul.

Crumer invece impiegava molto tempo in sedute di fisioterapia e allenamento leggero: di tanto in tanto gli si affiancava Simon alla quale insegnava un po’ di tecniche di lotta, lei si prestava un po’ per curiosità un po’ con la speranza di diventare più forte e di non essere più un peso.

L’aquilone di Mara toccò un albero della nave e perse quota atterrando sul parapetto, la piccola si sporse a prenderlo poi si soffermò a osservare qualcosa lungo la linea dell’orizzonte.

“Barsh, Barsh!” – disse correndo indietro.

“Cosa c’è?” - chiese Romina, vedendosela sfrecciare a lato.

“Ho visto del fumo nero nero all’orizzonte.” – disse indicando il punto con un dito.

I due si alzarono e andarono a vedere.

“Sembra un incendio.” – disse il pirata alzando lo sguardo sopra l’albero maestro.

“Sam! Sam! Non vedi niente?”

Nessuno rispose.

“Sam! Sveglia!”

Un ragazzo intontito si sporse dalla cabina di osservazione.

“Eccomi! Sì, sì, tutto a posto.”

“Ma quale tutto a posto! Non hai visto il maledetto fumo? Scendi a pulire il ponte così non ti annoi.”

La Following Fable si avvicinò alla sorgente del fumo.

“Ecco, vedo qualcosa.” – disse Paul. “Sembra una rudimentale navetta volante usata per attraversare i deserti, qualcuno le ha dato fuoco.”

“Bene, scendiamo a vedere.” – disse Waxtom salendo su un piccolo motorino fluttuante e Paul lo seguì.

Arrivarono sul posto e setacciarono il terreno.

“Sono stati chiaramente attaccati, ci sono segni di lotta.” – disse Waxtom eggiando tra le macerie quando udì un lamento, insieme sollevarono una trave di legno che aveva sepolto un uomo ancora in vita.

Lo trassero in salvo e alcuni pirati lo portarono a bordo mentre Waxtom e Paul cercavano in vano altri sopravvissuti, ma trovarono solo tre uomini deceduti; dopo averli seppelliti, si recarono dal superstite per interrogarlo.

Si trovava sul ponte con Denis, il dottore, era disidratato ma non presentava ferite gravi. Waxtom gli si avvicinò.

“Chi sei? Te la senti di parlare? Sei al sicuro ora.”

L’uomo fece una smorfia di dolore quando il dottore gli infilò la flebo nel braccio, poi annuì.

“Mi chiamo sco. Vi ringrazio..”

“Puoi dirmi cosa è successo?”

“Sì. Ieri pomeriggio siamo stati assaliti dalla truppa di colui che chiamano Capitano Devinn. Un gruppo di pazzi e violenti, li si può riconoscere dalla cicatrice a forma di x che hanno sulla fronte.”

“Capitan Devinn? Mai sentito.”

“E’ un uomo crudele, ha radunato un esercito di quasi cento uomini, si muovono verso la Luce Guida assaltando le carovane che incontrano, rapiscono le donne e le bambine e uccidono gli altri.”

“Solo le donne e le bambine?” – chiese Simon.

“Esatto. Vogliono raggiungere la Luce prima di tutti è come una gara e loro vogliono essere i primi e i soli cento a raggiungere il traguardo, sterminando gli alti. Le donne gli serviranno in futuro dal momento che ammontano per ora a circa sessanta persone, e solo uomini.”

“Dobbiamo trovare questi vigliacchi e fargliela pagare.” – disse Paul.

“Per favore.” – disse sco. “Tra loro ci sono mia moglie e mia sorella. Siamo partiti dalla Città-Regno Brasile con una nave che aveva promessi di portarci alla Luce Guida, invece ci abbandonò insieme con altre centinaia di persone in mezzo al deserto, noi siamo stati fortunati a prendere la scialuppa di salvataggio e a scappare.”

“Vieni dalla città? Com’è la situazione?” - domandò Waxtom.

“Un inferno, immagino che abbiate anche voi ricevuto il messaggio degli alieni? Bene, dopo che la maggior parte delle persone sono state uccise di colpo, i pochi sopravvissuti sono entrati in uno stato di panico totale, alcuni di loro hanno iniziato ad ammazzare gli altri così è diventato un tutti contro tutti. Quella nave guidata da sacerdoti ci aveva promesso di portarci in salvo invece ci hanno lasciato qui a morire. Scusate, non capisco perché voi mi avete salvato, siete in pochi? Non volete anche voi raggiungere per primi la luce?”.

Simon gli prese una mano.

“Non preoccuparti, tra un anno non ci sarà nessuno sterminio, tutti coloro che

raggiungeranno la Luce verranno salvati da dei nostri piccoli amici.”

“Già, ma faremo di tutto affinché gente come Capitano Devinn e quei sacerdoti non arrivino vivi.” – disse Waxtom. “Andiamo a caccia di predoni gente!”

La truppa urlò e si preparò alla battaglia.

Simon restò vicina a sco, spiegandogli come stavano le cose, la Following Fable intanto marciava all’inseguimento dei predoni.

Volavano radenti al terreno per rilevare le tracce, a vista purtroppo, poiché molta della strumentazione tecnologica della nave era divenuta inaffidabile.

“Non viaggiano su una nave sola, sono almeno una trentina di piccole navette veloci. Questo complica le cose” – dedusse Waxtom dalle tracce. “Porta chi non può combattere sotto coperta.”

“Certo.” - disse Romina obbedendo.

Verso sera raggiunsero i piedi di una catena montuosa che li sovrastava ripida, ostruendogli il aggio.

“Le tracce conducono in quel sentiero tra due dorsali, è molto stretto e sarà lungo almeno un chilometro. Possiamo seguirli, ma con molta probabilità andremo incontro ad una trappola.” – disse Crumer.

“Credono di darci loro la caccia, lasciamoglielo pure credere. Avanziamo!” – disse Waxtom.

La nave intraprese il sentiero e non accadde nulla per i primi trecento metri.

“Alzatevi!” – ordinò Waxtom, la nave prese quota superando le alture.

“Guardate.” – disse Crumer indicando la cima della rupe. “Sopra le dosarli, tutto quell’esplosivo ci avrebbe sommerso. Non vedo nessuno però.”

Dal sentiero furono sparati degli speroni giganti legati a grandi cavi d’acciaio che superarono lo scafo, andando ad agganciarsi al ponte.

Fu fatto saltare l’esplosivo e la montagna travolse i cavi, imprigionando la Following Fable al terreno.

“Non possiamo più muoverci, ne sollevarci da terra, preparatevi a combattere!” – disse Crumer.

“Piccole navette volanti simili a barche con vele guida, si avvicinarono come uno sciame di mosche impazzite, ognuna portava due eggeri, un pilota e un uomo armato che sparava con armi al plasma.

“Bene, avvicinatevi pure! La mia nave, non cadrà sotto i vostri miseri colpi. Rispondete al fuoco!” – ordinò Waxtom.

La battaglia durò qualche minuto, la Following Fable riportò ulteriori danni, ma con la sua potenza di fuoco ebbe la meglio sui nemici che ora giacevano a pezzi sotto di loro.

“Signore i nemici sono stati sconfitti, non potevano competere con la Following Fable.” – disse Crumer.

“Trovate il loro capo.”

Sbucò dal terreno un mezzo escavatore lungo venti metri, in grado di spostarsi sottoterra.

“Hai dei cannoni puntati non puoi fuggirci. Arrenditi.” – lo intimò Waxtom.

Una voce elettronica uscì dal veicolo.

“Ho donne e bambini a bordo, non potete attaccarmi. Ora mi lascerete andare.”

“Ascolta. Noi siamo in pochi e il tuo mezzo ed il tuo equipaggio ci farebbero comodo. Puoi unirti a noi se vuoi.” – disse Waxtom

“Come faccio a fidarmi?” – rispose la voce metallica.

“Non vedo perché dovremmo interessarci degli affari tuoi, dal momento che non ci puoi nuocere e il tuo esercito è stato distrutto.”

Dopo un minuto la voce rispose.

“Va bene, salite a bordo.”

Lo sportello del mezzo si aprì e armi alla mano Waxtom, Romina e Paul vi salirono.

Devinn era seduto a un tavolo a bere del vino che offrì agli ospiti.

“Dunque siete interessati a una collaborazione. Eccellente, in effetti, il gruppo di prima mi sembrava un po’ disordinato mentre voi avete l’aria di persone intelligenti. Cenate con me?”

“Molto bene.” - disse Crumer sedendosi. “In quanti siete?”

“Su questa nave siamo in otto ora, con cinque donne e tre bambine.”

La cena proseguì con abbondanti porzioni.

“Va bene, le donne saliranno sulla mia nave, ti lascio il comando del tuo mezzo, ma seguirai la nostra rotta e i nostri ordini.” – disse Waxtom.

“Come volete.” – fece un cenno a un uomo basso e tarchiato e questo uscì dalla stanza, tornando poco dopo con le donne.

“Bene, bravo, ora che sei dei nostri voglio presentarti un amico.” – disse Waxtom

Entrò Mek accompagnato da un pirata.

“Bene, il lavoro è completo, possiamo andare.” – disse il vecchio.

“Eccellente, arrivederci allora Capitan Devinn.” – disse Waxtom.

Uscirono dalla nave e si diressero verso la Following Fable, quando furono sulla nave, Devinn parlò dal mezzo.

“Stupidi, io non prendo ordini da nessuno. Tornerò e mi prenderò le vostre donne e le vostre vite.”

Il mezzo sprofondò nel terreno.

Romina guardò Mek che sorrideva.

“Ho impostato la guida del loro apparecchio in modo tale che possa solo andare verso il basso. Credo che tra poco avranno un piccolo problema con la pressione.”.

“E’ quello che si meritano.” – disse Crumer.

Sulla nave, intanto, sco poté riabbracciare la moglie e la sorella.

“L’equipaggio si è ingrandito, bene, proseguiamo così.” – disse il Capitano, i pirati tagliarono i cavi che ancoravano la nave al suolo e ripresero il viaggio.

7

Nelle ampie stanze del suo lussuosissimo palazzo, Liven nuotava pensieroso nella sua piscina privata; l’oro e i gioielli della stanza luccicavano riflessi dal moto dell’acqua. Per giorni non aveva voluto vedere nessuno e si era isolato, un’ombra si mosse sul soffitto ed egli accennò a un sorriso, nuotò fino al bordo e vi si appoggiò con gli avambracci.

“Bozorgfar, esci dall’ombra, sembri uno spione.”

Da un’ombra sul pavimento sbucò l’oscura figura di un uomo incappucciato.

“Sire, grazie per avermi concesso di entrare.”

“Figurati. Allora, sono tre mesi ormai che te ne vai in giro, hai novità?”

“Certo, il fastidioso nemico si sta avvicinando, pare che la forma di dinosauro che questo pianeta gli ha concesso lo renda davvero forte, ma non invincibile. Uno di loro è già stato eliminato, è stato un piacere vederlo morire.”

“E i nostri?”

“Voin, Igbò, Connor, Abonsam e Igalo sono morti, solo Amr ha riportato una

vittoria finora. In realtà anche lo sporco cinese che ci dava la caccia anni fa è stato eliminato.”

“E cosa mi dici dei rimasti? Ritieni possano rappresentare un pericolo?”

“Non credo, forse il disgustoso nemico è abbastanza forte da uccidere i Re ma contro di voi non avrebbe speranza. Noi ancora non abbiamo completato il processo di assimilazione del Prana per assumere la totale forma androgina, lei già l’ha fatto, la sua forza è inarrivabile. Anche al meglio delle sue possibilità il nemico non avrebbe scampo, inoltre la marcia estenuante secondo la mia opinione lo sconfiggerà prima di arrivare qua.”

“Spero proprio di non dover scendere in campo. E’ già stato sufficientemente noioso stare su questo pianeta tutti questi anni; non voglio scocciature proprio ora. Finito questo compito avrò una promozione e finalmente non dovrò far più da balia a cloni e mezzi Re.”

“Certamente Signore, avete fatto un eccellente lavoro sulla Terra, non dubito che questo verrà notato.”

“Si, sì, ora lasciami in pace e torna ai tuoi doveri.”

“Come volete.” – disse Bozorgfar con un inchino e la sua figura scomparve risucchiata dalle ombre della stanza.

Liven dandosi una lieve spinta con le gambe raggiunse il centro della vasca,

galleggiando sul pelo dell’acqua guardava il soffitto e sorrideva.

***

Nadia nella cabina di pilotaggio conduceva il veicolo verso la meta, mentre Veno la tempestava di domande su ciò che aveva fatto dopo la trasformazione, lei pazientemente gli dava retta, convinta che il ragazzo gongolasse nell’udire di nuovo raccontare le sue imprese.

L’aereo sottratto a Re Igbò li aveva comodamente condotti attraverso il deserto. In lontananza scorsero la Città-Regno Italia.

“Tu sei nato laggiù, vero Veno? E’ da li che provieni?”

“Si, ma non la ritengo più casa mia. Ho sempre avuto la sensazione di essere un ospite e forse avevo ragione. Pur essendo nato da cloni in me scorre il sangue degli Dei e questo mi ha permesso di superare più facilmente i limiti fisici e mentali imposti dagli Androgini. Come te, del resto.”

Nadia ridacchiò.

“Che c’è?”- chiese Veno.

“Niente, è che non sei portato per i discorsi seri.”

“Nessuno mi prende sul serio..” – disse Veno.

“No, anzi sei tu il primo a non riconoscere i tuoi meriti. Avere il sangue degli Dei è solo una strada più veloce per risvegliare le proprie capacità, ma la volontà di percorrere quella strada è la cosa più importante. Il tuo Maestro Joory ne è la prova; egli non è un Sangue di Dio, ma ha quasi la nostra forza.”.

“Già, lui però deve ricevere energia con grande sforzo, mentre a noi è il Prana stesso che ci invade trasformandoci.”

“Esatto, capisci ora? Il cambiamento l’hai voluto tu. E’ molto probabile che il Sangue di Dio scorresse anche nelle vene dei tuoi genitori e antenati, ma essi non hanno mai voluto prendere quella via.”.

Veno si soffermò un attimo a pensare.

“I miei genitori, non ho mai conosciuto mio padre e mia madre sembra ormai un ricordo esterno a me. Anche lei mi aveva lasciato solo, costringendomi a scappare.”.

“Non dire così, devi capire che nella sua visione delle cose quello che ha fatto, anche se ti ha distrutto, era un modo per proteggerti.”

“Lo so bene, ora lo capisco, ma mi fa male.”

“Bene Veno, quella è la Città.. Oddio!”

“Cosa diavolo è successo, hanno distrutto tutto, sembra una città fantasma, guarda i palazzi ormai stanno morendo, se ne vede lo scheletro.”

“Credo che il messaggio degli androgini abbia diffuso il panico negli abitanti, la stessa cosa sarà successa nelle altre Città. Scendiamo e vediamo se c’è ancora qualcuno.”

Atterrarono tra le strade dei piani bassi dove una volta vivevano solo le talpe. Ora i grattacieli erano malridotti e pericolanti, alcuni si erano spezzati in due, altri erano in procinto di farlo.

“Che desolazione, senti questo odore?” – disse Veno.

“Sono i cadaveri di tutti i cloni morti al comando di Liven. Stanno marcendo. Non è salubre rimanere qui indossiamo una maschera.”

Presero due mascherine dalla nave e tornarono per strada.

Camminarono come turisti quando Veno, notando un cratere nel terreno, si soffermò a ripensare a quando anni prima era caduto nel bunker dove trovò l’antico diario.

“Che hai?” – domandò Nadia.

“Niente, ricordi di gioventù, quando delusi mia madre scappando nei piani bassi, trovai un vecchio diario che ci fece litigare, stupido diario!”

“Andiamo avanti.” - disse Nadia un po’ turbata dall’atteggiamento dell’amico.

Camminarono lungo le vie, ma non incontrarono nessuno.

“Sento la presenza di qualcuno in quel palazzo.” – disse Veno.

Entrarono attraverso uno squarcio e risalirono i piani saltando sui pavimenti semi sfondati.

“Ti vedo pensieroso. Questo posto ti ricorda qualcosa?” – disse Nadia.

“Questo è il palazzo dove sono nato; non me ne ero accorto sai?”

“Davvero? Ti capisco avrai dei ricordi spiacevoli. Possiamo andare via se vuoi.”

“Invece no, almeno qui avevo una famiglia normale; ma cosa vuoi capirne tu?”

“Sei strano Veno, stai bene?”

“Certo, e ora basta scocciarmi, credo siano qui dietro.”

Aprirono una porta che li condusse in una grande sala. Entrarono nella stanza laterale e videro su un letto matrimoniale una famiglia che riposava ormai per sempre, una bimba con un vestitino azzurro in mezzo ai due genitori che le tenevano la mano.

Nadia si commosse.

“Andiamocene, lasciamoli riposare in pace.”

“Beati loro, sono morti uniti, forse non avrei dovuto lasciare questo posto.”

“Veno, torna alla nave. Non ti fa bene stare qui fuori.”

“Tu non capisci niente. Mamma!” – urlò il ragazzo sfondando il solaio superiore e poi un altro, Nadia lo seguì.

“Arrivo.” - disse Veno davanti alla porta di casa sua. Aprì, ma all’interno vi abitava un’altra famiglia ormai deceduta.

Nadia gli si avvicinò mettendogli una mano su una spalla.

“E’ ato tanto tempo, tua madre si sarà trasferita, andiamo via.”

“No! Voi mi avete messo in testa queste stupidate sulla libertà, è colpa vostra se ho perso per sempre la vicinanza dell’unico affetto che avevo al mondo.”

“Veno calmati.”

Veno urlò e saltò addosso a Nadia, i due sfondarono il muro e precipitarono nel vuoto, trasformandosi riuscirono ad attutire la caduta.

“Sei impazzito?”

“Voi mi avete imbrogliato!”

Veno saltò addosso a Nadia e la colpì violentemente; lei parò il colpo e usò la sua velocità par fuggire tra le macerie, non voleva combattere.

“C’è qualcosa di strano.” – pensò lei. “Non può essere normale un tale cambiamento di umore.”

Si concentrò mentre fuggiva, usando il suo corno percepì un odore diverso che

segnalava una presenza.

“Eccolo!”

Saltò su un palazzo, si arrampicò e infine balzò sulla piattaforma galleggiante del parlamento.

“Eccoti qui, vigliacco!”

Di fronte a lei vi era Re Durgesh Eshwar con al suo fianco una donna anziana.

“Complimenti.” – disse lui. “La tua mente è molto forte; fortunatamente non lo è quella del tuo amico.”

La tigre balzò sulla piattaforma, vide l’uomo e la donna, e tremò.

“Madre, sei viva?” – Veno riprese le sue normali sembianze.

“Oddio.” – disse la donna cadendo in ginocchio.

Veno avanzò verso di lei.

“Fermati.”- disse Eshwar mettendosi in mezzo.

“Potrai rincontrare tua madre, ma dovrai meritarlo. L’hai tradita tanto tempo fa, quando la lasciasti sola. Ora devi dimostrare di voler tornare da lei cancellando ciò che vi ha separato. Quella donna e i suoi amici sono il male che vi ha soggiogato. Eliminala e potrete riabbracciarvi.”

Veno si fermò, soppesò le parole appena udite e si voltò verso Nadia.

“Veno, non ascoltarlo credo stia giocando con la tua mente.”

“Zitta! Voi mi avete privato della vita, è ora di rimediare agli errori commessi!” – disse ritrasformandosi in uomo-tigre.

Nadia balzò verso l’amico tirandogli una testata, poi si voltò e saltò giù dalla piattaforma e dai palazzi nascondendosi, Veno intanto la cercava disperatamente per tutta la città.

“Che cosa diavolo gli ha preso a quello zuccone? Possibile che la vista della madre l’abbia così segnato? No, Eshwar deve avergli fatto qualcosa. Devo trovare un modo per calmarlo, non voglio combattere contro di lui. Anche se riuscissi a batterlo sarebbe una sconfitta, la sua capacità di usare il prana come una lama è troppo importante, i suoi poteri sono appena sbocciati, inoltre è un amico. Che cosa posso fare?”

Dall’altro lato della città si udì il tonfo fragoroso di un palazzo demolito.

“Nadia. Sono Titlis, mi senti?” – disse il piccolo Trilliferiano a bassa voce.

“Ti sento.”

“Sappiamo cosa è successo a Veno.

Re Eshwar è in grado di alterare il prana in onde cerebrali in maniera tale che esse disturbino le normali procedure logiche. Purtroppo ce ne siamo accorti troppo tardi per Veno, mentre abbiamo potuto impedire a te di subire la stessa sorte. Inoltre con te è stato più facile, evidentemente hai una mente più tenace, oppure il fatto di essere nel suo luogo di nascita ha reso Veno più vulnerabile. Ha tanti brutti ricordi.”

“Ho capito, ma adesso che cosa facciamo?”

“Non lo sappiamo. Le nostre forze al momento sono tutte rivolte a salvaguardare la tua mente e non possiamo aiutare Veno. Bisognerà attaccare direttamente Eshwar.”

“Già, ma dubito di poterlo eliminare con un colpo solo, mi ritroverei due contro uno.”

“Perbacco, non ci voleva, siamo sotto scacco. Perdibicia!” – disse la voce di Cervino.

“Bene.” – disse Nadia. “Credo che l’unica soluzione sia affrontarli entrambi.”

“Non lo fare, sono troppo forti e tu ora hai pena per Veno e sua madre, lo sappiamo, non lotteresti con la rabbia necessaria.”

“Che cosa suggerite?”

“Fuggi, allontanati dalla città e dal potere di Eshwar; noi allora torneremo ad aiutare Veno.”

“Sarebbe una buona idea, ma credo che Eshwar minaccerebbe di uccidere la madre di Veno e sarei costretta a tornare. Fate come vi dico...”

Eshwar divertito guardava Veno dannarsi per trovare l’amica.

“Tuo figlio è un bravo ragazzo donna, tra poco potrete stare di nuovo insieme.”

La donna annuì, il suo sguardo era perso.

Veno si trovava ora su un palazzo e ruggiva:

“Vieni fuori maledetta!”

La donna apparve a un paio di chilometri da lui sopra un altro palazzo, era in forma umana.

“Eccomi Veno, sono qui.”

“Finalmente ti sei decisa ad affrontarmi? Trasformati allora!”

“Sì, ho deciso di affrontare la verità. Forse quello che tu dici è vero, le nostre idee ti hanno portato lontano dai tuoi cari. Mi spiace molto, non voglio lottare con te e causarti altro dolore e, per dimostrarti il mio rammarico c’è solo una cosa che posso fare.”

La donna sfilò da uno stivale un coltello, lo alzò sopra la sua testa e sussurrò

“Perdonami.” – la lama si conficcò nel petto della donna.

Eshwar e Veno rimasero sbalorditi, la madre urlò e si coprì gli occhi mentre Nadia si accasciava al suolo senza vita.

Veno saltò da lei, si inginocchiò e toccò il sangue che usciva copioso dalla ferita, poi le mise un dito sulla gola, il battito era assente.

Veno la osservò a lungo poi scoppiò in una risata isterica.

“Ben ti sta, questa è la prova che ti sbagliavi; i tuoi rimorsi ti hanno portata a questo, alla fine il male fatto agli altri ritorna.”

Si voltò e andò dalla madre, riassunse la forma umana e l’abbracciò.

“Scusami Veno per non averti difeso, io non volevo che ti fero del male.” – disse la donna in lacrime, divisa tra gioia e rammarico.

“Lo so mamma, ho sbagliato ad andarmene, ma ora sono tornato.”

Eshwar scoppiò a ridere, Veno si girò verso di lui dicendo:

“Grazie, senza di te non avrei mai aperto gli occhi, né rivisto mia madre.”

“Non ringraziarmi, ho solo fatto quello che era giusto. Ora che hai aperto gli occhi che ne dici di lottare per noi e di far fuori anche il resto delle persone che ti hanno ingannato fino ad ora?”

“No, grazie, voglio solo godermi questi ultimi mesi con mia madre.”

“Come desideri. Ma sei sicuro di voler are il tempo con lei? Non ricordi di

come ti abbandonò lasciandoti in mano a dei falsi bugiardi e traditori? Lei è responsabile quanto la tua amica per le tue sofferenze e merita di fare la stessa fine.”

“Veno, no! Mi dispiace io non volevo che tu soffrissi; una volta emarginato non avresti più potuto farti una vita, non volevo che accadesse questo.”

Veno digrignò i denti.

“No, tu non mi hai mai difeso, mi hai abbandonato, così come abbandonasti mio padre, è per colpa tua se non l’ho mai conosciuto!”

“Veno, tuo padre, Ulrich non è morto. Il nostro ceto sociale non ci permetteva di avere altri figli oltre a te, ma quando nacque tua sorella Fiona egli non volle denunciarla, la tenemmo nascosta e quando ebbe due anni scappò con lei dalla Città. Tu ti eri già inserito in qualche modo e io non potevo sopravvivere esposta ai raggi solari. Tuo padre volle così dare a tutti noi una possibilità di vita. Quando fuggisti io mi sentii in colpa, avevo fallito con te e non sapevo nulla di Fiona e Ulrich. Restai in vita solo per poterti rivedere un’ultima volta. Ora so che stai bene e che almeno tu sei sopravvissuto; questo mi dona la speranza che anche gli altri possano avercela fatta, ora se vuoi puoi anche uccidermi.”

Veno sollevò il braccio, i potenti muscoli si contrassero e calarono il colpo, ma la mano si fermò lontana dal volto della donna.

“Scuse, solo scuse ti sta raggirando di nuovo.” – disse Eshwar.

La testa di Veno fu colta da un dolore lancinante ed egli cadde in ginocchio.

“Se non lo fai tu, ti libero io dal peso di questa donna!”

Si avvicinò e con la mano a lancia mirò alla gola della donna, ma Veno arrestò il colpo.

“Ora sei libero Veno!” – disse Cervino. “La tua mente è libera. Uccidilo!”

Veno afferrò il Re per il collo.

“Maledetto, per colpa tua Nadia si è sacrificata e stavi per farmi colpire mia madre”

Gli artigli, impregnati di luce azzurra calarono dalla testa ai piedi del Re tagliandone il corpo in cinque sezioni che caddero miseramente al suolo prima che Eshwar potesse rendersi conto di nulla.

Veno respirò affannosamente cercando di recuperare la calma, poi si voltò verso Nadia e una lacrima gli solcò il volto.

“Perdonami.”

“Non è morta, è solo svenuta” – disse Cervino. “Abbiamo eroso il pugnale mentre s’infilzava così da non fargli raggiungere il cuore, poi le abbiamo arrestato i battiti, continuando però a farle scorrere il sangue e a portarle ossigeno al cervello; per questo perdeva tanto sangue. Eshwar a quel punto ha rinunciato a soggiogare la sua mente e noi, dopo aver fatto ripartire il cuore di Nadia abbiamo potuto liberarti.”

“Davvero?!” – disse Veno scoppiando a ridere. “Che notizia meravigliosa! Siete dei geni, ci ero cascato in pieno!”

“Già haha e anche quello stupido Re, la tua amica è davvero intelligente. Perdibicia!”

Veno saltò verso Nadia e la portò vicino alla madre.

“Come sta?” – domandò preoccupata la donna.

“Bene, sì il suo cuore batte ancora. Che spavento!”

Nadia riaprì lentamente gli occhi.

“Stai bene?” – chiese Veno, lei sorrise.

“Sì, sono solo un po’ intontita. Deduco che il piano ha avuto successo.”

“Esatto, sei stata un genio, per poco Eshwar non mi costringeva a uccidervi tutti, ma ora è morto. Perdonatemi.”

“Non preoccuparti.. Veno.. Fai attenzione!” – strillò Nadia cercando di alzarsi.

Veno ruggì percependo una presenza malvagia, si guardò intorno ma non vide nessuno.

“Cosa succede?” – domandò Titlis.

“Non lo so, non siamo soli.” – disse Veno

Dall’ombra proiettata dalla madre di Veno apparve la figura oscura di un uomo incappucciato che afferrò la donna da dietro.

“Chi sei, lasciala immediatamente!” – urlò Veno.

“Salve, io sono Re Jāser Bozorgfar, e sono qui per dimostrarvi che nella vita di voi rifiuti non esiste un lieto fine.” – con un pungolo infilzò la schiena della donna. Questa emise un gemito di dolore e cadde.

Veno si lanciò verso l’uomo che fu risucchiato da un’ombra e scomparve.

“Vieni fuori maledetto!”

“Se n’è andato la sua presenza è sparita.” – disse Nadia. “O forse?”

Nadia si trasformò e lanciò in aria con le sue ultime energie un’onda di prana che illuminò il cielo, solo un’ombra rimase visibile su un lato di un palazzo.

L’ombra schizzò via. La donna soffiò nel corno con un vigore che non aveva mai avuto prima, questo produsse un onda sonora che fece tremare la città, il ritorno del suono segnalò a Nadia la collocazione di Bozorgfar, questa veloce come un lampo lo raggiunse, infilò la mano e gli artigli nel terreno poi sradicò l’uomo dall’ombra lanciandolo in aria.

“In aria non potrai nasconderti.” - gli saltò incontro e con le unghie gli aprì la trachea, un liquido nero ne fuoriuscì e l’uomo cadde divincolandosi.

“Meglio essere sicuri che tu non possa più nuocere.”

Gli infilò le unghie nella schiena e con uno strattone strappò via la colonna vertebrale del Re che urlava come un agnellino.

Veno, osservò la scena, ringraziando dentro di sé l’amica, mentre teneva in braccio la madre.

“Come stai mamma? Rispondimi!”

La donna aprì gli occhi.

“Sto bene, non preoccuparti. Muoio tra le tue braccia, le braccia di un uomo che combatte per dei valori e che ha tanti amici sinceri, non potrei essere più felice, io ed Ulrich non abbiamo fallito. Voglio solo vedere il tuo volto umano ancora una volta.”

Veno si trasformò, il volto era contratto, bagnato dalle lacrime.

“Mamma, non morire proprio ora! Abbiamo sofferto tanto.”

“Le nostre sofferenze sono state oggi ripagate. Questo significa che qualcosa di buono governa i nostri destini, alla fine. Ti voglio bene figlio mio.”

La donna sospirò e chiuse lentamente gli occhi tra le braccia del figlio che la stringevano amorevolmente.

8

Dopo giorni di cammino nel deserto Ericle giunse alle porte della Città-Regno Egitto e ammirò con tristezza la tragedia di quello che era divenuto un cimitero. Trattenne la rabbia cercando di non farsi opprimere dai sentimenti; aveva una missione su cui concentrarsi e non poteva permettersi distrazioni.

Decise di non entrare in città, ma di girarle intorno; prima però con un rapido gesto della mano rilasciò il Prana nel terreno; davanti alla porta principale spuntò dell’erbetta e su questa sbocciarono fiori gialli e viola. Fece un inchino e si allontanò.

Giunto dall’altra parte della città vide due persone che, sedute all’ombra di una roccia lo attendevano. Senza esitazione andò incontro agli sconosciuti.

“Toglietevi di mezzo, devo are oltre, con o senza il vostro permesso.” – disse trasformandosi.

I due si alzarono sorpresi.

“Quanta furia! Hai dimenticato le buone maniere? D’altronde cosa ti abbiamo fatto?”

“Hai ragione, non ho più pazienza. Se siete amici lasciatemi are, altrimenti se volete fermarmi, provateci.”

“E’ proprio di questo che volevamo parlarti.” – disse Tullio Neil, indossava una tunica viola fin sopra le ginocchia, dei sandali e si sistemava continuamente i capelli bianchi.

“Come ben saprai, noi Re siamo capaci di governare un elemento o potere; io per esempio posso usare il legno: spostarlo o tagliarlo a mio piacimento.”

“Io sono Jacob Cole, dal Canada e posso fare la stessa cosa di Tullio, ma con i metalli.” – la sua pelle era grigio chiaro tendente al blu, non aveva una bocca, ma una specie di maschera nera che pareva una barba lo copriva sotto il naso e sulle guance, neri erano anche i bicipiti, le mani, le tibie e i piedi, così come il ventre. Era molto magro e si muoveva in maniera strana.

“Non pensi che i nostri poteri insieme siano complementari e perfetti?”

Ericle li osservava imibile.

“Quello che vogliamo farti capire.” – disse Tullio. “E’ che con una città alle tue spalle fatta di legno e acciaio non hai speranze di batterci!”

Saltarono all’indietro. Con un fragore tremendo la terra tremò, le parti di acciaio e legno si sollevarono contorcendosi nel cielo sopra Ericle, interi palazzi si sollevarono oscurando il sole come un’eclissi, poi precipitrono su di lui.

Il boato fu assordante e la terra tremò. Per più di un ora si udirono cigolii e

tremiti di lamiere e travi che si contorcevano sotto il loro stesso peso, poi la polvere si posò e vi fu silenzio.

“Addio.” – disse Cole.

“E’ stato davvero facile, non capisco come gli altri possano essere stati sconfitti.”

“Insomma, alzare interi palazzi non è stata certo una eggiata, ma sicuramente meglio di una lunga e sanguinosa battaglia, è opportuno però verificare che non sia sopravvissuto.”

I due alzarono le braccia. Le macerie furono sollevate e sparse per tutta l’area, di nuovo la polvere coprì tutto, poi si diradò lasciando intravedere sempre più marcatamente una figura imponente ergersi di fronte ai due Re.

Tullio e Cole rimasero increduli a osservare fino a quando la nebbia si diradò; si trattava di qualcuno accovacciato che lentamente si rialzò, dopo aver fatto da scudo al corpo di Ericle. La figura si scrollò la terra battendosi i pugni contro il corpo.

Era Hugran: il mostro grondava sangue e aveva travi infilzate lungo tutta la schiena, se le sfilò con un urlo e cadde al suolo mentre il suo corpo cominciava a rimarginare le lacerazioni.

Ericle stordito provò a rialzarsi, era ferito e sanguinava, ma in modo meno grave,

si voltò verso il mostro, stupito che fosse sopravvissuto.

Lo osservò a lungo faticava a credere a ciò che vedeva.

“Non so perché tu mi abbia coperto, ma grazie, mi hai salvato la vita.” - disse infine.

Il mostro si rialzò che ancora sanguinava e si voltò verso di lui.

“Il ferro ferirà il legno e il legno ferirà il ferro.”

Sollevò da terra una lama di acciaio con una mano e un lungo pezzo di legno affilato con l’altra, sollevò le braccia e scagliò con rabbia il legno contro Cole ed il ferro contro Tullio, che però li evitarono.

“Non sei di molte parole, ma ti sai spiegare molto bene, amico mio.” – osservò Ericle.

Appena terminata la frase Hugkran si lanciò contro Cole colpendolo con un pugno in faccia. Questo volò all’indietro strisciando tra le macerie senza accusare troppo i colpo, poi con un balzo si rialzò ingaggiando battaglia col mostro.

Tullio ed Ericle si avvicinarono scambiandosi calci e pugni. Il Re allungando una mano richiamò a sé un bastone affilato da entrambe le estremità, lo afferrò

ed Ericle si dovette allontanare.

“Bene, pare che alzare una Città non vi abbia lasciato molte energie, dubito che possiate ripetere l’attacco.” – disse afferrando lo scudo d’osso sul suo dorso. “Ora ho di nuovo un compagno e di certo non mi fermerete finché non avrò vendicato Charles, quindi vediamo di fare in fretta.”

“Noi stanchi? Ti sei visto? Lo scontro è appena cominciato e già sanguini, vedremo se con i fatti saprai essere all’altezza delle parole.”

Tullio lanciò il bastone che si fermò sospeso davanti ad Ericle e lo attaccò come animato da un uomo invisibile, mentre il Re gli si affiancava attaccando con calci e pugni. Ericle con lo scudo dovette quindi guardarsi da un doppio attacco, per liberarsi rilasciò un’onda di energia che bruciò il bastone, poi un altro e un altro ancora; Tullio continuava a crearne di nuovi e alla lunga aveva portato molti colpi a Ericle che cadde a terra, e dovette ritirarsi.

“Scappi?” – disse Tullio ridendo.

Ericle si sfilò un bastone dalla spalla sinistra, e da questa fuoriuscì altro sangue.

“I tuoi stupidi stuzzicadenti non mi fanno neanche il solletico, la mia pelle è spessa e forte.”

“Sei lo dici tu, allora perché li eviti?”

Tullio sollevò decine di bastoni e li scagliò contro Ericle.

“Già, sono stufo di scappare!”

Detto questo saltò in direzione dei bastoni che lo travolsero, prima però scagliò lo scudo contro Tullio che lo evitò per un soffio, Ericle lanciò allora un’onda energetica che Tullio evitò, ma non poté notare che lo scudo stava tornando indietro e questo lo colpì in pieno sulla schiena, roteò come una sega nella carne causandogli una profonda ferita dal collo alla coscia sinistra.

Tullio cadde al suolo, Ericle si sfilò i legni dal corpo e cadde anch’egli a pochi metri dall’avversario, entrambi erano coscienti, ma incapaci di muoversi.

Hugkran e Cole proseguivano intanto il loro duello scambiandosi colpi con furia e intensità di attacco tremendi, non si davano sosta.

Hugkran teneva impegnato Cole che faticava a trovare la concentrazione richiesta per utilizzare i metalli come arma, il Re si rese conto di aver davanti un avversario instancabile e che poteva guarire da ogni ferita in breve tempo, la tattica di far fuori subito Ericle senza colpo ferire era astuta e senza rischi, ma era fallita e aveva tolto loro ogni energia.

Cole si sentiva appesantito, le braccia e le gambe si muovevano sempre più lentamente e i colpi del mostro penetravano la sua guardia. Raccolse le ultime energie stringendo in clinch Hugkran, richiamò poi a sé con le ultime energie tutti i metalli della zona. Questi si sollevarono e si raggrupparono intorno ai due formando poi un’enorme semisfera che li sotterrò, infine caddero rumorosamente al suolo.

***

“Ci siamo annullati a vicenda, la prossima mossa sarà la decisiva.” – pensò Ericle mentre si rialzava a fatica, ma intendo a sfruttare il fatto che Cole era inerme.

Claudicante raggiunse un bastone di legno affilato e si mise a cercare tra le macerie Cole, per assestargli il colpo di grazia. I metalli però si avvolsero attorno a lui bloccandogli le caviglie e i polsi. Cole si rialzò, era debole ed esausto, ma non ferito gravemente, strappò il bastone dalla mano di Ericle e lo alzò.

“Mi spiace, ma questa volta non ti salverai.” - affondò la punta verso il petto di Ericle, che però riuscì a muovere le braccia nonostante fossero legate e a bloccare il colpo.

“Mi spiace, mi sottovaluti.”

Strappò il bastone dalle mani nemiche e lo roteò, in alto per poi calarlo sulla fronte di Cole attraversandogli il cranio; ne uscì parte del cervello.

Si voltò poi verso Tullio, che invece si stava avvicinando al mostro.

Ericle gli lanciò il bastone e poi cadde in ginocchio stremato.

Il bastone però si fermò in aria controllato dal Re.

“Devi essere proprio stremato per regalarmi un’arma.”

Tullio rispedì il bastone verso Ericle, ma Hugkran risalendo dalle macerie con una trave d’acciaio in mano lo deviò.

“Uno almeno lasciamelo!” – disse il mostro rivolgendosi al suo alleato, poi, orribilmente ferito si lanciò verso Tullio e lo colpì con brutalità con la trave più e più volte fino a quando questo cadde al suolo con il volto sfigurato.

Hugkran si voltò verso Ericle e cadde esausto, il dinosauro lo ringraziò con un cenno della testa.

“Grazie, inaspettato alleato.”

Anche Ericle si sdraiò.

“Credo di aver bisogno di riposo.” – i suoi occhi si chio.

9

Joory rimase a lungo in uno stato di morte apparente. Di tanto in tanto il suo cuore provava ad accelerare e un respiro asmatico tentava di ridare elasticità ai polmoni; erano ati quattro mesi da quando Igalo lo aveva spazzato via per il mondo con una raffica di vento.

Aprì gli occhi sbattendo le palpebre finché non lacrimarono, quindi si alzò guardandosi intorno; si trovava in mezzo al deserto a circa metà di una montagnola. Una strana malinconia lo pervase.

“Sono ancora vivo.” – disse toccandosi il petto sul quale vi era una brutta cicatrice. “Il mio corpo si è rigenerato grazie al virus, ora mi sento benissimo. Dalla posizione del sole deduco che sono ati diversi mesi; come ho potuto nutrirmi e sopravvivere?”

Salì sulla cima della montagnola per osservare meglio la situazione, vide la Città-Regno Cina piccola piccola in lontananza, disabitata e in rovina.

Chiuse gli occhi e si sedette a gambe incrociate, pregando per le vittime.

Si concentrò sulla città, esplorò tra gli squarci e le fiamme percependo che nessuno era sopravvissuto, poi sussultò e perse la concentrazione. Si alzò e guardò il terreno sul quale sedeva, con stupore pensò:

“Questo luogo, non posso sbagliarmi qui è dove sorgeva il mio vecchio villaggio prima che venisse distrutto da Re Tashi. Che strano destino! Dopo tanto vagare sono ritornato al punto di partenza. Cosa mi aspetta?

Possibile che Igalo mi abbia portato fortuitamente qui? Come ci sono arrivato altrimenti?”

Delle vocine lo distrassero.

“Dai diglielo.” – disse una.

“No, e se si arrabbia?” – rispose l’altra.

“Non dire sciocchezze, in fondo ci siamo presi cura di lui.”

“Sì, ma magari non voleva tornare qui.”

“Chi parla?” – li interruppe Joory.

“Ecco ci ha sentiti, dai facciamoci vedere.

Due ologrammi apparvero di fronte a lui, erano un Trilliferiano maschio e una femmina piuttosto anziani.

Joory fu sollevato nel vederli.

“Oh, buongiorno amici miei, ora mi spiego come mi sono salvato. Vi ringrazio, immagino vi siate presi voi cura di me per tutto questo tempo.”

“Ciao, io sono Trivor e lei è la mia compagna Gyala. Quando la tormenta di quel mostro ti ha travolto noi e altri nostri amici ti abbiamo seguito. Precipitasti a una decina di chilometri da qui. Eri molto debole e ferito quindi ti abbiamo curato e nutrito.”

“Sì.” – disse Gyala. “Inoltre, ci siamo accorti che il tuo corpo traeva beneficio da questa zona e ne era attratto, così ti abbiamo fatto camminare fino a qui muovendo il tuo corpo come una marionetta.”

“Zitto.” – non dovevi dirglielo ora si arrabbia.” – intervenne Trivor.

Joory rise.

“Siete creature fantastiche. Quanto avrei voluto nascere in mezzo a voi.”

“Grazie.” – rispose Trivor sollevato che il maestro non si fosse arrabbiato. “Ci chiedevamo, cosa ha per te di tanto speciale questo posto?”

Joory raccolse un pugno di terra, aprì lievemente la mano e questa precipitò lentamente.

“Questo è il luogo dove sono nato e cresciuto. Sapete, molti anni fa vi era un villaggio verde e rigoglioso. Io e i miei compagni nutrivamo la terra col prana ed essa nutriva noi, ma l’Impero lo distrusse, io sono l’unico sopravvissuto. Per anni mi sono chiesto come mai i Re fossero tanto ottusi da non capire che creare un rapporto con la natura era il solo modo per convivere con essa. Che ingenuo ero, a loro non importava nulla, anzi, non vedevano l’ora di indebolire questo pianeta per prelevarne l’energia.”

I due Trilliferiani singhiozzarono commossi.

“Che storia triste.” – disse Trivor.

“L’ultimo rimasto, senza amici. E’ terribile.” – disse Gyala.

“Grazie della comprensione, amici, ma per fortuna nel mio cammino solitario ho conosciuto diverse persone leali e sincere, questa credetemi è una fortuna rara in questo mondo, che a quanto pare sta vivendo i suoi ultimi giorni.”

“Non disperare, siete guerrieri incredibilmente forti e coraggiosi; io credo che voi giovanotti ne verrete fuori in qualche modo.” – disse Trivor.

“Grazie per il giovanotto.” – disse sorridendo Joory.

“Sai noi viviamo quasi trecento anni dei vostri.”

“Allora sono davvero un giovanotto ai vostri occhi.” – concluse Joory voltandosi verso la città.

“Mi spiace, abbiamo già controllato, non c’è più nessuno laggiù.”

“Vi sbagliate, qualcuno c’è, e mi sta aspettando. Voi rimanete indietro.” – il maestro lentamente la montagna e si sedette.

Dalla città si alzò una nuvola di fumo che la coprì e da questa sbucò una tavola piatta con scolpita davanti una testa di drago verde, in piedi sopra di questa vi era una persona a braccia conserte che dopo un lungo volo saltò, atterrando davanti a Joory. Era un giovane con la testa rasata e gli occhi a mandorla, indossava una divisa arancione da monaco Shaolin, reggeva in mano due lunghi bastoni.

“Chi sei, un ammiratore dei monaci? Mi spiace li avete uccisi tutti.” – disse Joory.

“Quasi tutti.. a quanto pare.”

“Già, qui vi è un vecchietto che è duro a morire.”

“Conosco bene la storia del tuo villaggio, e conosco bene la tua Maestro Joory.

Nonostante le tue disavventure sopravvivi e diventi sempre più forte.

Il mio nome è Yang Deshi e sono nipote di Tashi, il Re contro il quale hai lottato e vinto tanto tempo fa. Come lui, non ho legato il mio corpo a nessun elemento, ma ho sviluppato il movimento del prana dentro di me asservendolo alla mia forza combattiva.

Sono molto più forte di Tashi. Egli non poteva per ovvi motivi combattere al massimo della sua forza contro di te, perché al tempo i Re non dovevano mostrare le loro reali capacità.

So bene, che da allora anche tu sei molto migliorato quindi sono ansioso di misurarmi con te.

Voglio svelarti un segreto, furono gli antichi Dei infiltratisi su questo pianeta a insegnare ai primi cloni le arti marziali, come mezzo per vincere le catene e i limiti con i quali erano stati creati. Tu sei il risultato massimo del loro intervento; la vera arte però non è quella, ma la nostra. Ora dimostrerò che il loro tentativo era inutile distruggendo il loro più riuscito discepolo.”

Joory sorrise.

“Tashi era tuo zio? Mi chiedo come funzionino tra voi androgini i rapporti di parentela.”

“Non fare lo stupido! Io sono molto serio. Questo scontro sancirà chi tra di noi è

il miglior guerriero di tutti i tempi.”

“Usi la tua energia per combattere meglio, ma hai scopi troppo personali perché questa possa fluire efficacemente dentro di te, nonostante tutte le migliorie genetiche che puoi aver fatto. “

“Questo lo vedremo. Sei pronto a misurarti con me?”

“Certo, sono lusingato che un semidio come te voglia misurarsi con un semplice clone come me, per questo combatterò al meglio delle mie possibilità.”

“Perfetto.” – disse Deshi lanciando un bastone a Joory. “Iniziamo!”

I due fecero roteare i bastoni che si scontarono come invisibili vortici d’aria. Lo stile di combattimento di entrambi era simile; agili e rapidi portavano molti colpi sfruttando anche l’incredibile scioltezza delle gambe per cambiare posizione, saltare o abbassarsi.

“Che forza!” – disse Gyala osservando il combattimento.

“Sì, sono veramente bravi, ma ora stanno solo giocando, questo per loro è un riscaldamento, diciamo che si stanno studiando.” – disse Trivor.

“Dici che dovremmo intervenire?”

“No, questa volta il duello è voluto da entrambi, ma se ci saranno interferenze esterne saremo pronti ad aiutare Joory.”

I due guerrieri incrociarono i bastoni, poi li ruotarono attorno alla testa e li calarono sul nemico; questi s’incrociarono di nuovo spezzandosi.

Deshi balzò all’indietro, infilò le mani del terreno e tirò fuori due sciabole, dandone una a Joory che la maneggiò con destrezza; ripresero così a duellare.

Le lame scintillarono sfiorandosi decine di volte, diventarono incandescenti e infine si spezzarono anche quelle.

“La nostra tecnica è davvero identica, entrambi abbiamo studiato il kung fu a fondo annullando ogni nostro personale stile e modellando il nostro corpo alla lotta; quindi sarà la scelta della tcnica a fare la differenza.”

Deshi si alzò su una gamba sola chiudendo le mani ad artiglio e dicendo:

“L’aquila calerà su di te strappandoti il cuore!”

Joory unì le dita della mano e appoggiò il peso su una sola gamba, lasciando l’altra libera di muoversi.

Deshi saltò e attaccò dall’alto cercando di colpire Joory, che muovendosi rapido e sciolto come un serpente evitava i colpi rispondendo di tanto in tanto con estrema velocità, per poi allontanarsi.

“Il serpente hai scelto? L’aquila si nutre di te!” – disse Deshi mentre Joory gli deviava un calcio; l’androgino però con un rapido gesto del braccio portò una manata che il vecchio schivò solo parzialmente e gli artigli gli dilaniarono la spalla in quattro tagli.

Deshi proseguì con i colpi, ma Joory con una capriola li schivò e si posizionò dietro di lui; saltò e con le gambe unite lo colpì alla colonna vertebrale buttandolo a terra.

Deshi si rialzò dicendo:

“Lo stile della scimmia.. ottima controffensiva.”

Joory saltò verso di lui con movimenti imprevedibili e apparentemente assurdi. Deshi provò ad attaccare, ma fu colpito da una raffica proveniente da ogni direzione, riuscì però a entrare nella guardia di Joory afferrandolo per il collo, gli trascinò quindi la testa verso di sé colpendola con una ginocchiata che gli squarciò la pelle sul sopracciglio. Joory si divincolò e lo colpì con una gomitata tagliandogli lo zigomo, i due si separarono.

“Bravo, disse Deshi. Hai risposto alla mantide con la mantide in una frazione di secondo; sei veramente un maestro, non come tanti ciarlatani che si spacciano per tali senza mai aver fatto un combattimento. Sappi che quando ti avrò sconfitto la mia stima per te non morirà.”

“La mia vita sarebbe ben misera, se avesse come scopo la tua approvazione, Deshi. Tu se un abile guerriero, te lo riconosco, anch’io ho visto molti fanfaroni e tu non lo sei, ma stai perdendo di vista lo scopo del combattimento, superare se stessi e non gli altri.”

“A me resti solo tu da superare e poi..”

“E poi cosa? Cosa farai quando sarai l’ultimo? Solo tra persone diverse da te?”

“Non sono diverse, ma inferiori, Androgini vanitosi; quando ti avrò eliminato li sottometterò tutti!”

Deshi scagliò una sfera di energia contro Joory che la evitò con un piccolo spostamento della testa.

Deshi srotolò la larga cintura che avvolgeva la sua vita e la roteò.

“Questa è la mia arma speciale, in essa sono racchiuse tutte le tecniche di combattimento.”

Diede un colpo alla cintura che si allungò avviluppandosi intorno a Joory.

Deshi richiamò l’arma trascinando Joory verso di sé e colpendolo diverse volte,

Joory provava a parare, ma i suoi arti erano controllati dalla cintura.

Infine Joory esplose il prana allentando la presa della cintura e riuscendo ad allontanarsi per riprendere fiato.

“Sei un codardo.” – disse Joory.

Deshi rise.

“Hai capito? Ora sono invincibile. Tutte le tue teorie sul prana sono inutili rispetto a ciò che ho creato; la cintura è un prolungamento del mio corpo già perfetto e mi permette di controllare anche te.”

Deshi rilanciò la cintura contro Joory che ne avviluppò l’avambraccio destro; poi l’androgino provò ad attaccarlo, ma Joory parava tutti i suoi colpi col braccio legato e con quello lo colpì.

Deshi arretrò cercando di parare gli attacchi successivi con la cintura, ma questa gli era d’impiccio e Joory lo poté colpire come voleva.

“Hai detto che la tecnica avrebbero fatto la differenza.” – disse Joory mentre lo colpiva. “Difenditi dal leopardo allora!” – gli balzò addosso e con entrambi i pugni lo colpì alla gola decine di volte, Deshi sputò sangue e arretrò legandosi sempre di più alla cintura.

“Come hai fatto?” – chiese l’androgino reggendosi a malapena in piedi.

“E’ semplice. La tua volontà di dominare gli altri è la palese incapacità di poter dominare te stesso: legando il prana alla cintura hai creato davvero un’arma terribile, ma che risponde al prana più forte e che ha la maggiore volontà; di fatto la cintura ha sancito chi di noi è il più forte.”

“No, non è vero!” – disse Deshi mentre Joory afferrò la sciabola e con il pezzo di lama rimasto tagliò la testa del rivale che cadde al suolo in una pozza di sangue.

Joory gettò l’arma, poi si inchinò verso l’avversario.

I Trilliferiani apparvero al suo fianco applaudendo festanti, Joory si voltò ed essi scorsero la pena nel suo sguardo, quindi mortificati si allontanarono.

Il maestro seppellì Deshi, pregò, poi disse:

“Venite pure fuori amici miei, abbiamo tanta strada da percorrere, sarò lieto di viaggiare in vostra compagnia.”

La tavola volante di Deshi venne trascinata sul posto e apparve Trivor che disse:

“Ecco qui, perdibicia! Un mezzo molto strano ma veloce. Sali, ti aiuteremo a metterlo in moto.”

Joory salì sulla tavola e questa schizzò in cielo tra le nuvole.

CAPITOLO 3

l’ultima volontà

Ericle stava attraversando una zona ricca di vegetazione. Si guardava intorno meravigliato, alberi e cespugli crescevano ovunque, sotto di essi vi era una fresca arietta; scorse con sorpresa un rigagnolo d’acqua, vi si avvicinò diffidente, ne raccolse un po’ nel palmo e l’assaggiò. Era pulita e fresca, quindi bevve con gusto come non faceva da mesi. Soddisfatto si sdraiò di fianco al rigagnolo guardando il cielo attraverso le foglie degli alberi; il sole che filtrava gli illuminava a chiazze il viso:

“E quasi ato un anno dal messaggio di Liven.” – riflettè. “A giudicare dalla grandezza della Luce Guida devo esserle vicino. Chissà dove saranno gli altri, non ho più sentito i richiami di Nadia..

Questo luogo è favoloso, ricco di energia, il terreno è stranamente rigoglioso; sicuramente qui si stanno raggruppando grandi quantità di Prana, forse si stanno preparando ad assorbirlo. In fondo.. se dovessi morire qui non mi dispiacerebbe affatto.

Ora però devo ripartire ho già riposato troppo nei mesi scorsi per guarire dalle ferite; se lo avessi saputo mi sarei fermato in questo luogo.

Seguirò il corso d’acqua; sembra conduca verso la luce e in ogni caso, se c’è qualcun’altro nei dintorni, è qui che lo troverò; mi andrebbe bene anche Hugkran, sono mesi che non vedo nessuno, anche se una conversazione col

mostro sarebbe poco interessante, ma meglio di niente. Chissà che fine ha fatto?”

Si rialzò camminando lungo il corso d’acqua che qualche chilometro più avanti s’incontrava con altri fiumiciattoli formando un lago molto stretto e lungo.

“Però ad Hugkran vorrei tanto chiedere perché ci aiuta.” – pensò scrutando il lago. “Il suo aiuto è stato un qualcosa di inaspettato, ma non posso fare a meno di pensarlo come un aiuto del destino. Un momento.” – pensò osservando il paesaggio. “Credo di capire dove sono; ho attraversato l’Egitto da tempo e se non mi inganno su questo letto una volta doveva trovarsi il Mar Rosso. Se ho ragione a giudicare dalla posizione della Luce credo possa trovarsi dove un tempo sorgeva la Mecca, quel luogo ritenuto sacro per secoli ha dunque per il nostro pianeta una posizione strategica. Sento altre concentrazioni di Prana che emanano a gran forza da diversi luoghi della terra; questo non è probabilmente l’unico punto di estrazione, ma forse è il più importante. Spero non ci abbiano ingannati facendoci venire qui per nulla.”

Attraversò il corso d’acqua e si addentrò per nel bosco sempre più fitto. Dopo alcuni giorni di cammino giorni si trovò proprio sotto la Luce.

Scorse in lontananza, lungo una distesa verde una costruzione a forma di cubo nero che emanava una grande energia.

Due persone studiavano l’oggetto incuriosite. Gli si avvicinò e sorrise.

“Veno, Nadia! Che felicità!”

I due si voltarono e salutarono con gioia l’amico, felici di averlo inaspettatamente ritrovato.

“Sento che avete dovuto lottare molto e avete superato dure prove per arrivare fin qui.” – disse Ericle. “Siete diventati molto più forti. State bene?”

“Si siamo arrivati sani e salvi. Anche tu hai dovuto lottare, vedo.” – disse Veno osservando le cicatrici dell’uomo. “Dov’è Charles?”

“Si, ho dovuto lottare a lungo e con avversari feroci, purtroppo uno di questi, Re Amr, è sopravvissuto dopo aver ucciso Charles. E’ in grado di provocare terremoti e modellare la roccia. Mi dispiace non sono riuscito a salvarlo.” – detto questo abbracciò Nadia visibilmente scossa.

“No, Charles no, maledetti.” – sussurrò lei in lacrime.

“Charles.. non lo conoscevo da molto, ma aveva uno spirito generoso e non mi scorderò mai di lui.” – disse Veno. “Anche noi abbiamo dovuto lasciare indietro Joory.”

Ericle annuì.

“Il nemico è molto potente, io stesso non sarei qui se non mi avesse aiutato Hugkran.”

“Hugkran?!” – ripeté Veno sorpreso.

“Esatto, mi ha salvato la vita e se n’è andato dopo aver lottato al mio fianco. Le sue azioni non sono del tutto comprensibili, ma credo che in qualche modo odi gli androgini molto più di quanto odi il mondo; e forse sono loro la ragione del suo odio.”

Apparve l’ologramma triste di Titlis.

“Charles è morto allora, ma Joory forse è ancora vivo, non abbiamo comunicazioni con i nostri amici Trilliferiani, ma l’hanno seguito e se non sono ancora tornati forse sono con lui. Non disperate prima del tempo, perdibicia!”

“Avete ragione piccoli amici. Senza di voi anche noi non saremmo ancora vivi, e a ogni vostra apparizione portate il sorriso, magari foste voi gli dei di quest’universo.” – disse Veno.

“Bene, non perdiamo tempo.” – disse Ericle. “Che cos’è questa pietra? Avete scoperto qualcosa? Dove sono i cloni, possibile che nessuno di essi sia arrivato? Neanche Waxtom?”

Nadia provò a parlare, ma una voce la interruppe e qualcosa oscurò la Luce Guida. Alzarono la testa e videro la Following Fable sopra di loro.

“Amici! Che gioia rivedervi! Non vi preoccupate non siete soli, siamo in duecentoventitré, sulla nave! Non credo ci siano altre persone, purtroppo la

violenza e il panico hanno avuto la meglio.” – disse Waxtom, calandosi dalla nave e andando ad abbracciare energicamente gli amici.

***

Dopo essersi raccontati ognuno il proprio avventuroso viaggio, Waxtom trasse le conclusioni.

“Quindi abbiamo un esubero di persone giunte a destinazione, e da quello che mi dite sono rimasti in vita solo Amr, Wilton Xenocrates e Vasco Praxedis, Re di Brasile ed India oltre all’Imperatore Liven. Direi che la priorità ora sia di mettere in sicurezza i civili rimasti sottraendoli alla morte istantanea promessa da Liven. Sei pronto Cervino?”

“Certo, ci mettiamo subito al lavoro, ma non è detto che l’impulso sia lo stesso dovremo aspettare l’ultimo momento, ovviamente nel frattempo non potremo aiutarvi nella lotta.”

“Va bene non vi preoccupate, andate.”

“Dunque Nadia, cosa dicevi riguardo a questo cubo?” – chiese Ericle.

“Si tratta dell’antica Kaaba. Qui dove sorgeva La Mecca, luogo di culto per migliaia di fedeli; è forse la costruzione più antica e affascinante rimasta al mondo. Un tempo sembra che qui venivano fatti sacrifici umani, forse per legare il dna dei cloni alla struttura, per prepararla a quello che succederà. Sento in essa

una grande concentrazione di Prana il che suggerisce che sarà da qui che prosciugheranno questo pianeta, se vinceranno.”

“Che cos’è quella pietra nera?” – domandò Veno osservando una pietra incastonata su un lato del cubo.

“E’ la Pietra Nera. Anticamente si pensava che fosse stata portata sulla terra da qualche divinità, che fosse un occhio divino che osservava i visitatori. Cosa sia è attualmente un mistero.”

“Saremo dunque noi a svelare il mistero, quando ogni cosa finirà.” – disse Veno.

“Il nemico non si vede ancora. Credo che la fine sia inevitabile, mancano tre giorni all’Apocalisse annunciata.” – disse Nadia.

“Propongo di attendere fino all’ultimo giorno; se non si farà vedere nessuno distruggiamo la Kaaba e vediamo che succede, spero non ci abbiano condotto in un luogo con l’inganno mentre loro sono da un'altra parte.” – disse Ericle.

“E’ possibile, ma non credo, qui vi è la più grande concentrazione di prana del pianeta.” – disse Nadia.

Il gruppo salì sulla Fallowing Fable e si accampò a un centinaio di metri dalla Kaaba, a turni qualcuno andava a sorvegliarla, ma non successe nulla. Veno intanto ritrovò Simon, e chi poteva su quella nave stava vicino alle persone più care.

***

All’alba del terzo giorno Ericle e Nadia si recarono alla Kaaba, mentre Veno con Waxtom rimasero a proteggere la nave.

Ericle si avvicinò alla costruzione e dopo averla osservata a lungo pose con riverenza una mano su di essa.

“E’ incredibile. Tutto il pianeta sembra essere stato risucchiato qui, l’energia è enorme.”

La terra tremò e la pietra nera s’illuminò di viola. Giunsero in volo da tutti i luoghi del pianeta mastodontici blocchi di pietra che si raggrupparono sopra la Kaaba, lentamente si avvicinarono incastrandosi tra loro perfettamente e andando a formare un anello.

L’anello si posò al suolo circondando la Kaaba, sopra di questo si posizionarono altri blocchi che crearono una cupola, tra una fila di pietre e l’altra vi era molto spazio e la costruzione risultante pareva una ragnatela a cappella, alta circa cento metri. Un enorme portone si apriva sul lato sud, anche dalla Fallowing Fable l’equipaggio riusciva a scorgerla.

Ericle rimase immobile e meravigliato davanti al portone, mentre Nadia eccitata pensava ad alta voce:

“Blocchi H da Puma Punku, le pietre di Stonehenge, altri blocchi dalle Grandi Piramidi, alcuni vengono da Teotihuacan, Ollantaytambo e Yonaguni, tutte le antiche costruzioni. Hanno raccolto energia in tutto il mondo e ora la stanno convogliando qui.”

Una volta stabilizzata, la costruzione si riempì di energia viola e dal suo centro un raggio venne emanato verso il cielo oltreando l’atmosfera.

“Presto distruggiamola!” – urlò Ericle.

“E come? E’ successo troppo in fretta dovevamo distruggerle prima, rischiamo di far saltare in aria il pianeta stesso.” – rispose Nadia.

“E’ vero, ma preferisco distruggere la terra piuttosto che permettere loro di prelevarne il Prana. Lo senti? Sembra quasi che questa costruzione ci attragga e voglia anche la nostra energia.” – ribadì Ericle.

“D’accordo.”

Nadia ed Ericle si avvicinarono per distruggere i blocchi, ma un cerchio di fuoco circondò la costruzione e li costrinse ad allontanarsi.

“No no no... così non ci siamo amici miei. Siete stati bravi ad arrivare sin qui, ma non è carino distruggere i monumenti.

Vedo che avete salvato molti cloni, troppi direi; lavoro inutile, alla fine della giornata spariranno comunque.” – disse un uomo dalla pelle scura, rasato, avvolto da una tunica gialla e rossa che andò a sedere sulla costruzione a gambe incrociate.

“Re Wilton ecco perché non ti abbiamo ancora visto, ti hanno messo a fare il cane da guardia? Vattene o farai la fine dei tuoi amici.” – urlò Ericle.

Wilton rise:

“Ma ancora credete di potervi salvare? Non potete distruggere il Maamuni, ora che è in funzione, primo perché è la costruzione più antica e potente del pianeta, secondo perché ancora ci serve e non ve lo lasceremo toccare.”

“Non sprecare tempo con loro, Wilton; sono esseri limitati, è normale che ancora non abbiano capito nulla.” – disse un essere che levitava sopra il Maamuni. Era alto poco più di un metro, la pelle era sottile e bianca, il volto era stretto e su di esso risaltavano sette enormi occhi neri, la testa era sproporzionatamente grande sulla quale vi erano sette corna.

“Entro stasera più della metà di voi morirà. Vi è stato detto di venire qua in cento e siete di più, vi lascio la possibilità di scegliere chi eliminare.”

“Che arrogante!” – esclamò Nadia trasformandosi.

“Sei Re Praxedis, non è vero?” – chiese Ericle trasformandosi. “Sembri avere

una grande testa, ma hai poco cervello se credi di metterci uno contro l’altro.”

“Cosa succede qui?” – disse Veno balzando sul posto dopo essersi tramutato nell’uomo-tigre dai denti a sciabola.

“Torna sulla nave, qui ci pensiamo noi.” – urlò Ericle.

“No, voglio eliminare questi spocchiosi.”

“Vado io a fare la guardia alla nave, Veno è più forte di me. Buona fortuna ragazzi.” – disse Nadia allontanandosi.

“Bene.” – disse il ragazzo ruggendo. “Chi di voi vuole affrontarmi?”

“Bestie brutali che non siete altro; avreste dovuto scegliere i migliori di voi e sacrificare gli altri. Permettendo a pochi di vivere per portarli a servire qualcosa di più grande della vita in questo pianeta morente. Quand’è che faranno dei cloni un po’ più intelligenti? O è il sangue degli Dei che vi offusca la mente?”

“Dì pure quello che vuoi finché stai in aria. Scendi giù o devo saltare io?” – disse Veno.

“Osi affrontarmi da solo?”

“Tu non hai capito niente!” – Veno balzò come una furia contro Praxedis travolgendolo e trascinandolo per centinaia di metri, i due caddero nelle acque del Mar Rosso.

Ericle e Wilton rimasero a osservarsi.

“Abbiamo ucciso molti di voi. Siamo diventati più forti, credimi, qualunque sia il tuo potere sarai battuto.” – disse Ericle.

“Bene, allora se è così.” – rispose Wilton saltando al suolo. “Attaccami pure.”

“Come vuole sua maestà.” – disse Ericle inchinandosi, saltò poi verso Wilton provando a colpirlo con le possenti braccia, ma questo le afferrò con una presa micidiale. Le mani del Re incominciarono a bruciare e a ustionare la pelle di Ericle, che bloccato subiva e urlava senza via di fuga.

Nadia che aveva osservato dalla Fallowing Fable corse come un fulmine in aiuto dell’amico colpendo Wilton con gli artigli e facendogli mollare la presa.

“Grazie, amica mia, ancora pochi secondi e mi avrebbe fuso le ossa.” – disse Ericle guardandosi i polsi gravemente ustionati.

“Ti sei fatto sorprendere, non sottovalutarlo.” – disse lei con tono di rimprovero.

“No, non è questo.”

Wilton scoppiò a ridere.

“Hai capito ora? La sola vicinanza del Maamuni dona a noi un potere vicino a quello di un androgeno completo; solo l’Imperatore Liven per farti un esempio, è ora più forte di me e Praxedis, e anche lui trae forza da questo luogo.

Non importa dunque che siate arrivati fino a qui, non avete speranza di vincere.”

I tre furono attirati da un rumore proveniente dalla foresta attorno al Maamuni, si girarono e osservarono due figure saltare oltre i rami e atterrargli vicino.

“Rubate pure tutta l’energia che volete, sporche sanguisughe, troverete un gruppo di amici che non si arrenderà facilmente e non vi consegnerà mai il pianeta.” – disse Joory che, con a fianco Hugkran, si era posizionato davanti a Nadia.

Lei meravigliata disse:

“Joory sei vivo?! Non sai che gioia rivederti. A quanto pare è vero quello che ci ha detto Ericle, che sei uno dei nostri ora, vero Hugkran?”

Il mostro ruggì.

Ericle rise.

“Vedi, Wilton? Questo pianeta ha voluto donare molta della sua forza a qualcuno che vi fermerà, e io non ho dubbi sul fatto che vinceremo!”

“Che cos’è questa costruzione? Percepisco enormi quantità di prana scorrere in essa, ma è un’energia costretta e sofferente.” – domandò Joory.

“A quanto pare è così che gli Androgini risucchiano energia dai pianeti. Non voglio scoprire cosa accadrà allo scoccare della mezzanotte. Finiamola ora!” – rispose Nadia.

“Dov’è Veno?” – domandò ancora Joory.

“Se la sta vedendo con Praxedis, è scomparso all’orizzonte.” – rispose Ericle.

“Sì, ora sento la sua energia; facciamo fuori Wilton e raggiungiamolo.” – disse Joory

Wilton ora si era fatto serio e il suo corpo era invaso da piccole fiamme.

“Tutto questo non mi diverte più. Brucerete, come è scritto che finiate nell’Apocalisse che vi abbiamo promesso.

La foresta e l’erba tutto intorno divamparono avvolte da fiamme che parevano onde.

Il gruppo per trarsi in salvo, saltò sul Maamuni.

“Bravi, ora siete in trappola!” – urlò Wilton.

Una fiammata uscì dalle sue mani e investì i suoi nemici.

In quell’istante un suono assordante rimbombò nella zona e investì le fiamme come un’onda, spegnendole.

Wilton si voltò incredulo.

Nadia rise:

“Non lo sai amico mio? Il mio corno emette suoni a bassa frequenza sonora può spegnere le tue fiammelle come niente! Siamo stufi di voi, luridi parassiti alieni. Questo pianeta è nostro ora, dovete andarvene!”

Wilton, ferito nell’orgoglio, non si accorse che Hugkran gli era saltato addosso. Il mostro gli blocco le braccia e lo morse al collo. Joory e Nadia lo raggiunsero bloccando le gambe del Re. Ericle afferrò il suo collare pronto a tagliare in due Wilton, che però con una forza mostruosa si divincolò; Ericle fu costretto ad arrestare il colpo per non uccidere Nadia.

Il corpo dell’Androgino prese nuovamente fuoco e costrinse gli avversari a lasciare la presa.

“Astuto, non c’è che dire. Il potere della ragazza è stupefacente, mi ricorderò di seppellirla insieme a tutti voi.”

“Maledizione!” – urlò Ericle. “Era un colpo perfetto, come ho potuto fallire?”

“Stai calmo, amico.” – replicò Joory. “Non pensare che possa essere così facile. Nadia grazie dell’aiuto.”

Il sole stava calando e il giorno volgeva al termine, la luce si stava indebolendo e la terra tremava ora sotto i piedi dei guerrieri.

Uno squarcio si aprì nel terreno vicino a Ericle percorrendo la landa incenerita fino a perdersi lungo l’orizzonte nord.

Ericle ringhiò.

“Percepisco la presenza di un nuovo potente nemico.” – disse Joory.

“No. Questo è un invito, e questa è una traccia.” - disse Ericle percorrendo la linea. “E’ Amr. Ci penso io a lui, non vi preoccupate.”

“Stai attento, ti raggiungeremo non appena finito.” – disse Nadia, Ericle non rispose e sparì correndo: nel suo cuore bruciava il desiderio di vendetta.

“Uno in meno, peccato.” – disse Wilton. “Ora sarà molto più noioso. Ah dimenticavo, devo correggerti mia cara. Non rivedrete nessuno dei vostri amici neanche da morti.”

Una figura apparve alle spalle del Re coprendolo con un enorme ombra.

“Dicevi?” – disse Veno osservandolo con occhi spietati e gli artigli ricoperti di sangue.

Wilton si voltò spaventato.

“Tu? Dove è finito Praxedis? Hahaha ho capito, sei scappato come un vigliacco, non è vero?”

“No, il tuo amico è morto, con i suoi stupidi tentativi di manipolare la mia mente. E’ tutta la vita che tentano di controllarmi, fin da quando ero bambino lotto tra la scelta di assecondare la mia natura e quello che la società vorrebbe che fossi. Ho deciso di ascoltare la mia voce interna, ovunque essa mi condurrà. Ora il suo sangue reale colora il Mar Rosso.”

“Haaa, maledetto!” – Wilton provò a colpire Veno che schivò il colpo e rispose con una gomitata che scaraventò via l’avversario.

“Dove è Ericle?” – ruggì Veno.

“E’ andato a occuparsi di un nuovo nemico, credo Amr. Vuole proteggerci e vendicare Charles.” – disse Nadia.

“Andate tutti ad aiutarlo, a Wilton ci penso io!”

“Non puoi affrontarli tutti da solo!” – disse Joory.

“Andiamocene!” – disse Hugkran incamminandosi.

Nadia e Joory lo osservarono e dandosi un cenno d’intesa lo seguirono.

“Immagino che Ericle abbia bisogno di aiuto più di te, buona fortuna.” – disse Joory andandosene.

Wilton nel frattempo si era rialzato, l’orgoglio gli avrebbe fatto affrontare tutti i nemici, ma la mente gli suggerì che Veno da solo poteva essere già un avversario importante.

“Tu? Tu come puoi essere da solo al livello di noi Androgini? Non è normale anche per chi ha il sangue degli Dei nelle vene.”

“Gli Dei dici? Io non li ho mai visti e di loro non mi interessa. Il mio potere è la rabbia. In quanto a voi Creatori di Mondi, a parole dite di essere potentissimi, ma a quanto pare la mia collera è superiore a ogni vostro perverso potere.”

“Questo è da vedere, ma non illuderti. Hai ucciso Praxedis perché ancora non aveva potuto assorbire il prana, tra poche ore sarà notte e così io e Amr diventeremo potentissimi, proprio come Liven.”

“Allora dovrò eliminarvi prima!” – concluse Veno.

Wilton emanò dalle mani una fiammata verso Veno, questi rilasciando il prana dagli artigli la tranciò riducendola in piccole fiammelle innocue.

Wilton continuava a lanciare fiammate, mente Veno con balzi felini li evitava.

“Vuoi continuare a scappare? Io posso andare avanti così tutto il giorno! Hahahha”

“No, sono stufo!” – rispose Veno saltando tra le fiamme. Il prana azzurro emanato dal suo corpo gli fece da scudo ed egli penetrò l’attacco nemico; ma, stanco, dovette rallentare un istante e Wilton lo sfruttò per colpirlo più volte con la mano a taglio, aprendogli ferite che prendevano fuoco.

Veno urlò, ma appena ritrovò l’equilibrio afferrò l’avversario per le spalle, abbassò la testa e conficcò i due lunghi canini nel cranio di Wilton. Quando li

tolse dalle due ferite zampillarono fiumi di sangue nero e Wilton stramazzò al suolo senza vita.

Veno crollò a terra dolorante fino a che le fiamme sul suo corpo si spensero. Cercò poi di rialzarsi dolorante riflettendo su ciò che gli stava accadendo:

“Wilton ha ragione. La mia forza aumenta dopo ogni combattimento; anche i Re ora mi temono. Sento che la battaglia con Amr è cominciata. Devo andare ad aiutare i miei amici.”

Il sole era calato e ora solo la luce emanata dal Maamuni illuminavano Veno. Il giovane correva senza darsi tregua verso la battaglia, quando una freccia di energia nera gli sfiorò il collo e si conficcò vicino ai suoi piedi. Veno arrestò la potente corsa e si voltò.

Vide così in cielo brillare in splendore e fierezza l’Iperatore Liven, che sorrideva guardando con sdegno il ragazzo: nel pugno sinistro stringeva un arco nero, adornato da gioielli e pietre preziose, nella mano destra una freccia nera di energia.

Veno nel vederlo fu sorpreso e intimorito.

“Sei una belva splendida.” – disse Liven. “In molti secoli non avevo visto nessuno crescere con un simile potenziale. Un esemplare unico, questo mondo dopo secoli e secoli è riuscito a partorire qualcosa di bello, alla fine. Sei partito da un puntino fino ad arrivare di fronte a me. La tua forza è superiore persino ai Re e, visto che li hai eliminati quasi tutti sento il bisogno di nuovi amici. Che ne dici di diventare un mio suddito?”

Veno rispose con una zampata che rilasciò un arco di prana tagliente, Liven lo dissolse con un bagliore nero degli occhi poi scosse la testa.

“Che peccato speravo avessi un minimo di cervello, invece sei solo una belva selvaggia e primordiale che agisce solo di impulso.

Bene, ho uno spazio per te nel mio zoo; ti attende una vita in gabbia a esibire il mio comando su questo pianeta e sulle sue stupide forze di resistenza.”

Veno camminò sotto di lui.

“Se hai finito di parlare, scendi giù e cominciamo a combattere!”

***

Hugkran arrivò per primo ai piedi della piramide eretta da Amr su cui vi erano già i segni della battaglia con Ericle.

Videro il loro amico in difficoltà, aveva le gambe imprigionate in un blocco di terra e faticava a respingere gli attacchi dell’avversario.

Il mostro si lanciò verso Amr che lo evitò raggiungendo con un salto la vetta della piramide. Hugkran frantumò i bolcchi di terra liberando Ericle, mentre

Nadia e Joory li raggiungevano.

“Grazie amico, mi hai salvato per la seconda volta.” – disse Ericle. “Dove è Wilton, l’avete già sconfitto?”

“No.” – disse Nadia. “Veno lo sta affrontando da solo. Non preoccuparti per lui, ha ucciso senza fatica anche Praxedis.”

“E’ lui quindi che ha ucciso Charles?” – domandò Joory.

“Si è lui, volevo vendicare il nostro amico, ma è un avversario temibile. La presenza del Maamuni gli ha conferito ancora maggior potere, state allerta, il terreno stesso su cui camminate può diventare per lui un’arma.”

“Già, ma ora noi siamo in quattro, e se vorrà controllare tutto questo territorio dovrà spendere molte delle sue energie, Maamuni o non Maamuni.” – disse Joory.

Dall’alto della piramide Amr applaudì:

“Complimenti, abbiamo nuovi ospiti; uno stratega esperto di arti marziali, un leader, una belva indomabile e una dolce donzella, svelta e furba. Che le danze inizino!” – detto questo la terra intorno ai piedi della piramide sprofondò, creando un cratere largo centinaia di metri di cui non si vedeva il fondo.

“Bene, ora mi basta far crollare questa piramide per eliminarvi tutti e, se mi ucciderete, succederà sicuramente. Comunque vada, voi raggiungerete quello storpio del vostro amico nell’aldilà.”

Udirono un insolito rumore di motore e scorse avvicinarsi una navetta volante che si fermò in aria; dal fianco di questa si aprì uno sportello e vi si affacciò una ragazza dal viso maturo, era Lisa Ferisy.

“Lisa, che piacere rivederti, cosa vuoi?”

Ciao Amr, sono qui per terminare un mio vecchio lavoro. Hugkran! Non capisco come mai ti sei alleato con questi ammassi di carne; potresti ancora esserci utile, perché vuoi combatterci? Non hai niente da spartire con loro, ti considerano un mosto, non un amico. Ti tengono al loro fianco solo perché gli servi. Se lotterai per me, giuro che non ti verrà fatto del male.”

Hugkran abbassò lo sguardo e rispose.

“Sì anch’io pensavo di essere diverso, odiavo ogni altro essere vivente, perché ero stato creato artificialmente, perché ero un esperimento destinato a soffrire per il godimento altrui. Poi siete comparsi voi altri e avete cambiato tutto. Quando gli umani hanno scoperto di essere vostri cloni, creati artificialmente, ho visto nei loro occhi lo stesso orrore che alberga in me ed ho capito che eravamo simili. Non avevo più voglia di combatterli perché sentivo che già soffrivano. Inoltre sarebbe stato inutile, dovevo eliminare il male originario, chi aveva dato origine a questa follia. Se non l’hai capito, voi e solo voi siete i miei nemici!!!”

L’urlo di Hugkran fece tremare la piramide, egli rilasciò del prana verso la

navetta, Amr deviò il colpo salvando Lisa e questa scocciata si rientrò nella navetta che si diresse in direzione di Liven e Veno.

“Amico mio, sono felice di averti al mio fianco, questa volta come alleato.” – disse Joory.

“Già, ben venuto nel circolo degli orrori genetici.” – disse Nadia.

“Dicevi Amr? Per caso tu e la tua amica stavate cercando di dividerci?” – disse Ericle.

“Non importa, ora che siete in prigione e Liven è entrato in azione il finale è scontato.” – disse Amr.

La luce del crepuscolo scomparve del tutto e l’area era illuminata solo dalla luce viola del Maamuni; uno scoppio fece voltare tutti.

“Che cosa è stato?” – bisbigliò terrorizzata Nadia.

“Credo che Veno se la stia vedendo con Liven” – disse Ericle.

Amr scoppiò a ridere.

“Muoviamoci, sconfiggiamo Amr e andiamo ad aiutare Veno!” – urlò Ericle lanciandosi verso il nemico seguito di compagni. I gradini della piramide iniziarono a scorrere verso il basso rallentando la loro marcia. Avanzarono allora a balzi, ma il terreno si acuminava lacerandogli le gambe.

Amr rideva follemente.

“Non riuscite neanche ad avvicinarmi a me e volete battere Liven?!”

“Dicevi?!”

Amr sentì una voce alle spalle e voltandosi scorse Hugkran noncurante dellegambe lacerate e sanguinanti, infilzate da diversi speroni di terra.

Il mostro lo prese per il collo con le potenti mani, lanciandolo verso gli amici.

Nadia e Joory lo afferrarono per un braccio e lo bloccarono al suolo, Ericle balzò in cielo e preso il collare, lo lanciò facendolo sibilare contro Amr. Questo con una forza incredibile riuscì a muovere le braccia e a divincolarsi, ma i due coraggiosamente non mollarono la presa e il collare tagliò di netto gli avambracci di Amr, ma anche il braccio sinistro di Joory e il destro di Nadia.

Ericle e Hugkran corsero loro incontro e li allontanarono cercando di curarli.

Amr urlando e maledicendoli si divincolava al suolo.

Lentamente si rialzò, conficcò le braccia nella piramide, un onda di terra le avvolse creando una sorta di ingessatura e bloccando l’emorragia.

Ericle trasmise il prana a Nadia e Joory questo bruciò le vene e le arterie arrestando la fuoriuscita di sangue, ma mentre il fisico di Joory cominciava il lento processo di guarigione la ragazza si indebolì, perse i sensi e tornò alla forma umana.

“Maledetti bastardi! Credete di avermi bloccato le braccia?” – disse Amr che fece uscire dalla piramide un enorme braccio di terra che afferrò Ericle e lo stritolò. Joory con prontezza prese il collare di Ericle da terra, lo lanciò e questo tagliò il braccio di terra liberando l’amico.

Amr poi attaccò Hugkran con una serie infinita di calci che il mostro incassava ma non riusciva a deviare per la velocità e potenza del nemico, inoltre aveva ancora le tibie ferite e fu quindi sconfitto e atterrato vicino ai suoi amici.

Amr si stava per avvicinare quando la terra tremò. Tutti si voltarono verso il Maamuni.

“E’ già mezzanotte?” – si chiese rialzandosi Ericle.

Il Maamuni emise un boato assordante e cominciò a rilasciare verso il cielo abbonanti scie di prana rosso illuminando la notte a giorno.

Amr lo osservava strabiliato.

“E’ iniziato, finalmente! Ora rimarranno solo in cinquanta.”

Joory si girò.

“Mi spiace, ma non funzioneranno i vostri impulsi di morte sui nostri amici.”

“Sei sicuro?” – rispose Amr indicando il cielo.

Joory si voltò, lungo l’orizzonte la Fallowing Fable in fiamme stava lentamente precipitando al suolo.

“Nooooo! I trilliferiani hanno fallito!”

“Non è possibile, anche loro non hanno potuto nulla, i nostri amici..” – sussurrò Ericle.

“Non disperate!” – tuonò Hugkran. “Vedrete che non tutti saranno morti; ora pensiamo ad Amr, poi andiamo ad aiutarli!”

Ericle lo osservò con rispetto.

“Hai ragione.”

“Facciamo la nostra parte e confidiamo in loro.” – disse Joory cercando di rimanere in piedi.

Amr si lanciò a razzo verso il vecchio maestro, attaccandolo con le protesi di terra delle braccia affilate come lame; queste traarono la carne di Joory all’altezza dello stomaco e il Re ò attraverso il suo corpo. Ad attenderlo, dietro il maestro, vi era Hugkran che gli rilasciò contro tutto il prana che aveva in corpo. Amr fu travolto e spedito sulla cima della piramide. Qui Ericle con uno sforzo immane si fece ricresce un altro scudo sul collo, lo afferrò dicendo:

“Questo è per Charles!” – mise nel fendente tutta la forza che aveva in corpo e squarciò Amr dalla carotide all’inguine sinistro.

Amr precipitò dall’altro lato della piramide e cadde privo di volontà creando pozze di sangue e interiora ovunque.

Hugrkan, Ericle e Joory lo raggiunsero esausti per sincerarsi di averlo eliminato.

Il corpo del Re era a terra, tremante e continuamente in perdita di sangue. “Come hai fatto?” – domandò balbettando Amr ancora in vita.

“Questa è la mia tecnica segreta; col prana posso creare un doppione di me,

uguale in tutto e per tutto, è una tecnica che prosciuga ogni singola goccia di energia.” – mentre parlava cadde in ginocchio vicino ad Amr, che disse:

“Ottima tecnica, non siete venuti per niente male, voi cloni, peccato che non possiate scappare da qui..” – Amr esalò l’ultimo respiro e morì. Joory svenne e immediatamente la piramide iniziò a tremare, le pietre di cui era composta tremarono e precipitarono nel vuoto.

“Non possiamo scappare, maledizione. Neanche noi riusciremo a saltare oltre il cratere, inoltre siamo esausti. Ha ragione lui, moriremo qui.” – disse Ericle raccogliendo Joory.

Hugrkan si avvicinò con calma verso Nadia e ne raccolse il corpo poi la pose verso Ericle.

“Prendili, e tienili stretti a te. Non lasciarli per nessuna ragione.”

Ericle ora teneva Joory sotto un braccio e Nadia sotto l’altro, e domandò stordito:

“Cosa hai in mente?”

Hugkran alzò il braccio ed indicò oltre il burrone, poi con un brusco scatto afferrò Ericle per il collo senza che questo potesse reagire, volteggiò su sé stesso creandosi un vortice intorno, di colpo aprì la mano ed Ericle venne scaraventato in cielo sopra il burrone.

Ericle comprese il sacrificio ultimo di Hugkran e voleva chiamarlo ma, ancora soffocato, non poteva far altro che vedere il suo amico sprofondare nelle profondità della terra insieme alla piramide di Amr, che gli portava via un altro alleato.

I tre precipitarono oltre il burrone rotolando per molti metri.

Ericle si rialzò e con fatica raggiunse i compagni infondendogli un po’ di prana.

Nadia si risvegliò quasi subito ed Ericle le disse:

“Appena riesci a rialzarti raggiungi il luogo dove è caduta la Fallowing Fable. Cerca qualche sopravvissuto tra i nostri amici e, se puoi, aiutali. Intanto io raggiungerò Veno, che sta lottando da solo contro il potente Liven. Vedrò se potrò essergli d’aiuto.”

Nadia si rialzò, era ancora debole quindi non era in grado di trasfotmarsi, ma acconsentì con un cenno del capo e si allontanò nella foresta.

Ericle si tuffò nella vegetazione in direzione del Maamuni. Si sentiva debole, fisicamente e mentalmente, qualcosa stava privandolo del solito vigore e, nonostante la battaglia non fosse ancora perduta, si sentiva scoraggiato da una sensazione esterna.

Sbucò nella radura intorno al Maamuni, Veno e Liven stavano lottando, ma la

tigre era palesemente in difficoltà, il corpo era pieno di ferite che coprivano il pelo di sangue, mentre Liven era illeso. L’Imperatore afferrò Veno per la coda e lo scaraventò al suolo, Ericle si mosse velocemente impedendo all’amico di schiantarsi.

“Stai bene?” – domandò Ericle.

“Sì, mio amico sono contento di rivederti, ma non restare qui. E’ troppo forte, allontanati.”

“Non ci penso neanche, e poi non ho un posto dove andare. C’è solo la lotta e in questa, se ne avrò la forza, ti aiuterò. Ma dimmi, cosa è successo a mezzanotte ai nostri amici? Sono morti?”

“Non lo so, Liven per accertarsene ha scagliato centinaia di frecce di energia contro la Fallowing Fable; sono riuscito a rompergli quella specie di arco, ma non so se ho fatto in tempo a salvare tutti.”

“Ho capito, in questo momento Nadia sta andando a vedere cosa è successo, mentre Joory riposa dopo la lotta con Amr. Hugkran invece, è morto per salvarci.”

Veno ruggì.

“Impressionante, avete sconfitto Amr, e siete sopravvissuti.” – disse Liven. “Non senza perdite, comunque. Avete grinta, lo ammetto, ma avete perso, il Maamuni

è attivo e anche se doveste battermi, non potete più impedire ai miei superiori di discendere sulla terra a prelevarne l’energia. Avete perso, perché siete stati creati per perdere, era inevitabile. In secoli di vita nessuno mi ha disturbato tanto quanto voi, ma forse è stato meglio, avete tolto dai piedi quei lagnosi Re e siete serviti a non farmi annoiare.”

“Stai zitto.” - urlò Ericle.

“Fai attenzione.” – disse Veno. “Ha la capacità di assorbire e rilanciare le onde che gli si lanciano contro, fortunatamente non può col prana lanciato a taglio, ma tu dovrai lottare esclusivamente con attacchi fisici.”

“Grazie del consiglio. Sono pronto a combattere.” – disse Ericle.

“Forza allora.” – disse Veno.

“Fermo!” – urlò qualcuno.

I presenti si voltarono e videro Lisa che gli si faceva incontro, camminava dentro il vestito di pelle nero, parlando con tono affabile, due uomini al suo fianco trascinavano Mek che respirava a fatica:

“Veno non essere stupido, la battaglia è finita. Avete perso e non voglio vederti soffrire ancora. Vieni via con me e avrai salva la vita.”

Veno la guardava incredulo.

“Tu? Cosa ci fai qui? Sei diventata peggio di tuo padre; stai aiutando questi mostri a distruggere il tuo stesso pianeta! Lascia subito andare Mek, o mi dimenticherò che sei una donna!”

“Veno, fidati, non esiste altra possibilità. La mia famiglia ha aiutato per anni gli androgini ed essi ci hanno resi ricchi e potenti. Vieni con me, possiamo lasciare questo mondo, elevarci a creature superiori e aiutarle a dominare l’universo. Non ho mai smesso di amarti, uniamo i nostri corpi e diventiamo per sempre delle divinità.”

Veno rispose:

“Conosco bene il tuo concetto di amore, e viene molto dopo i tuoi affari. Per quanto riguarda l’unione, preferisco morire e legarmi alla polvere.”

“Capisco che sei arrabbiato, ma..”

“Zitta! Sparisci abbiamo un combattimento da portare a termine.”

Veno le si avvicinò.

“Lasciate Mek!”

I due uomini indietreggiarono, il vecchio alzò lo sguardo e disse con un fil di voce.

“Veno, mi sono ferito gravemente nell’incidente della Fallowing Fable, non badare a me, mi resta poco.”

Ericle balzò e con una mano staccò la testa dei due uomini e con l’altra afferrò Mek, Veno gli corse incontro mentre Lisa scappava verso Liven.

“Sveglia vecchio, devi vivere, tra poco saremo liberi.” – disse Veno.

“Ragazzo mio, me ne vado felice; ho vissuto da uomo libero, non dimenticarlo mai, alla fine sarà questo che conta, non dar retta a quella ragazza e a quelli come lei. Tu sei speciale e non dubito che salverai il pianeta.” – i suoi occhi si spensero e sospirò.

Veno urlò al cielo dalla rabbia, poi si zittì e tutto parve fermarsi, si allontanò e seppellì l’amico, aiutato da Ericle.

Intanto Lisa urlò a Liven.

“Maestà gli permetti di seppellirlo? Hai visto che ho fatto di tutto per convincerlo ma ancora ci è nemico!”

Liven rise di gusto.

“Hahaha, povera Lisa, ci hai servito sperando di diventare una di noi, hai tradito il tuo pianeta e il tuo amore. Hai fatto un lavoro splendido per noi, ma ora non hai nessuna utilità. Non hai convinto Veno ad abbandonare la lotta e questo è un fallimento per il quale pagherai.”

Liven batté le ciglia e Lisa si sentì immobilizzare, dalla sua bocca fuoriuscì del sangue.

“Veno..” – balbettò lei, poco prima che il suo cuore si fermasse e la cara vita l’abbandonasse.

Veno che stava tornando indietro vide l corpo della ragazza esanime.

“Sei un codardo!” – urlò scagliandosi verso Liven, seguito da Ericle.

I due iniziarono una furibonda battaglia con l’Imperatore del pianeta, Ericle azzannò un braccio di Liven mentre Veno cercò di dilaniarlo con gli artigli al petto, ma furono respinti dalla grande forza e tecnica del nemico che contrattaccò.

Veno si rialzò, Ericle rimase a terra tramortito.

“Veno, ci senti?” – disse Titlis senza apparire.

“Sì, e ne sono felice piccoli amici, cosa è successo?”

“Non lo sappiamo, l’energia del Maamuni ha bloccato anche i nostri congegni per alcune ore, abbiamo avuto molti problemi interni. Ma ora abbiamo potuto osservarvi, Liven è troppo forte per voi. Anche se il vostro orgoglio è tanto, non dovete combatterlo.”

“Arrendersi non è un’opzione.”

“No, ma dovete usare tutta la vostra forza in altro modo. Distruggete il Maamuni. Ne abbiamo studiata la struttura, con un’esplosione di prana tu potresti farcela, solo che lo dovresti fare dall’interno, sei il solo, gli altri sono troppo deboli.”

“Dovrei entrare nel Maamuni per farlo saltare?”

“Esatto, ma sappi che salterai in aria con esso!”

“No Veno, tu non puoi morire!” – si sforzò di urlare Ericle da terra.

“Invece sì, se è l’unica soluzione. In ogni caso moriremmo comunque.”

“Purtroppo non possiamo aiutarti.” – continuò Titlis. “Liven è troppo forte e non

riusciamo a manipolare il suo dna, non ne riusciamo a capire fino in fondo la struttura, è troppo complessa.”

“Non preoccupatevi. Ericle, ho bisogno di te un’ultima volta. Ce la fai ad alzarti?”

“Si!” – Ericle si tirò su con grande fatica.

“Attacchiamo un ultima volta Liven insieme; ma quando gli saremo vicini dovrai esplodere la tua energia su di me e scagliarmi verso il Maamuni.”

Ericle comprese e riluttante annuì, mentre Liven, stanco di aspettare, parlò:

“Voi due, cosa tramate di stupido ancora? Mi state annoiando pensavo foste più in gamba.”

“Questo!” – urlarono i due lanciandosi verso di lui.

“Bene, venite pure questa volta vi strapperò i polmoni!”

Veno sferrò un calcio, ma Liven abbassandosi lo schivò, in quell’attimo Ericle richiamò a se il Prana e confluendolo nella mano sinistra lo rilasciò contro Veno che fu scaraventato verso il Maamuni. Liven, si voltò e per un attimo il suo viso perse la solita calma e compostezza, lasciando trapelare la paura.

Con un salto raggiunse Veno.

“Bella idea!” – disse sferrando un pugno, Veno con agilità ruotò su se stesso, evitando il colpo e ponendosi alle spalle dell’avversario, con le braccia lo strinse per la gola ed entrambi a grande velocità, si schiantarono contro il Maamuni, scomparendo tra le luci di energia al suo interno.

Lampi si propagarono ovunque, vi fu un boato assordante e la costruzione megalitica esplose con i due corpi all’interno.

La detonazione travolse ogni cosa nell’arco di chilometri, lasciando un silenzioso deserto tutto intorno.

La polvere si diradò qualche ora più tardi, il Maamuni era ancora in piedi ma si era spento. Senza che nessuna luce potesse illuminarla la notte oscura regnò fino all’alba.

Le prime pallide luci del giorno videro avvicinarsi alla costruzione un'unica figura claudicante. Era Joory, che recuperate le energie si era messo alla ricerca dei compagni; il suo braccio si era rigenerato anche se ancora faticava a muoverlo.

“E’ strano. Cosa sarà successo?” – pensò. “Dove sono finiti tutti? E cosa è successo al Maamun? Non vi è più energia, ma nell’aria percepisco ancora la sua forza. Che sia già stata assorbita?”

“Amico, sei salvo..”

Joory si voltò e vide dietro di sé Nadia che gli veniva incontro, seguita da Waxtom, Simon, Romina, Mara e Crumer, dietro loro una decina di persone sopravvissute allo schianto della Fallowing Fable. Gli oscuri occhi del maestro brillarono di gioia.

“Nadia come va il braccio? – domandò.

“Bene, ormai è perso, ma sopravvivrò.”

“Siete rimasti solo voi?”

Waxtom annuì.

“Sì, e tu? Sei solo?”

“Non lo so, Hugkran e Charles sono morti combattendo con onore al nostro fianco; dei nemici era rimasto solo Liven, ma non so che fine abbia fatto.”

“Ci sono anch’io.” - si avvicinò zoppicando Ericle, aveva perso la coda e il corno sinistro sulla sua fronte si era spezzato.

“Veno e Liven sono precipitati nel Maamuni e sono scomparsi nell’esplosione. Abbiamo vinto, ma temo non rivedremo più il nostro amico. Si è sacrificato per sconfiggere i nemici, non c’era altro modo.”

Il gruppo raggiunse il Maamuni, cercando di trovare il corpo. La sofferenza per le perdite segnava il viso di tutti, fino a quando non percepirono una sensazione di calore viscerale che li affannò. Alle loro spalle apparve una sagoma di luce che si mosse verso Ericle e gli traò il petto senza che questo potesse reagire, la luce lentamente prese forma, era Liven, che tolse il braccio dal corpo senza vita dell’avversario.

Lo stesso Liven guardava con stupore e meraviglia il proprio corpo brillare.

“Si finalmente! Dopo tanti secoli, finalmente ho raggiunto lo stadio ultimo. Che sensazione di pace, di forza, di perfezione, ora sono veramente un Dio! Come i nostri antenati di un tempo, niente mi è precluso.” – si voltò poi verso Joory che si frappose tra lui e gli altri.

“Che intenzioni hai?” – disse il maestro.

“Nessuna. Tra poco giungeranno qua i miei alleati, rimetteranno in sesto il Maamuni e assorbiranno tutta l’energia rimasta in questo pianeta. Voi siete meno di cinquanta, quindi non tocca più a me decidere cosa sarà di voi e non mi interessa.”

La disperazione della sconfitta consumò l’animo dei sopravvissuti, che ora

desideravano la morte.

Joory pensava a cosa fare, mordendosi le labbra, sentiva che era la fine, ma percepiva qualcosa di strano, che non comprendeva: il Prana non era più nella terra e nemmeno nel Maamuni e Liven non poteva averlo assorbito tutto.

Mara volò sopra di tutti e ridacchiando disse:

“Questo pianeta non vuole diventare cibo ed energia per esseri crudeli e terribili, ha deciso di sacrificarsi, per la salvezza di tutti.”

Il Maamuni tremò prima lievemente, poi con forza.

“Cosa succede?! Cosa stai blaterando bambina?” – urlò Liven.

Le pietre del monumento iniziarono a tremare e a separarsi l’una dall’altra, poi caddero creando un cerchio disordinato. Al centro di questo si sollevò levitando una luce gialla che illuminava tutti come un nuovo sole; quando fu alta in cielo lentamente smise di brillare.

I presenti ammirarono un corpo protetto da una corazza lucente, giallo/arancio con strisce nere; le sue piastre si incastravano perfettamente tra loro rendendo l’uomo simile a un cyborg. I colori erano quelli della tigre, la criniera di pelo folto e lucente cadeva sulle spalle, nell’elmo brillavano due occhi rossi terrificanti, all’altezza della bocca fuoriuscivano due lucenti zanne bianche, brillava come un dio riflettendo ogni fonte di luce.

Liven indietreggiò esterrefatto:

“Chi sei? Cosa sei? Non puoi essere la tigre di prima!”

“Si Liven” – ruggì Veno parlando dietro la maschera che trasmetteva una sola espressione di rabbia. “Hai distrutto questo pianeta per secoli, l’hai consumato e torturato, plagiato tutti i suoi abitanti, solo per raggiungere quest’inutile stadio edonistico. La Terra mi ha reso la sua forza e vuole che tu e quelli come te sappiano che non vi godrete nemmeno un secondo della vostra nuova vita!”

Liven rise.

“Ah sì? Pensi che questo stupido travestimento possa spaventarmi? Ormai sono immortale. Non c’è niente che possiate fare, siete soli, perché non volete capirlo?”

“Possibile che tu non provi pena per le persone che hai ucciso, le famiglie che hai diviso?”

Liven sorrise.

“Ascolta, tu non sai nulla. Nell’universo si combatte una guerra millenaria e le sofferenze della Terra sono nulla al confronto. Nacqui centinaia di anni fa su un piccolo pianeta lontano. Su questo non vi erano ne Dei ne Androgini e vivevamo in pace. Un giorno delle navi Androgine discesero del cielo, eliminando tutte le

persone e gli esseri che lo abitavano, io ero un bambino, vidi la mia famiglia e i miei amici ammucchiati in ceste enormi e tritati come pulcini al macello. Per una qualche ragione mi ritennero geneticamente interessante e mi portarono con loro, combattei per anni come soldato uccidendo molte persone e perdendo ancora tanti amici. Poi un giorno i miei meriti vennero riconosciuti e mi unì ad una donna, anche lei di umili origini; in quel momento capii.

Il sacrificio dei miei genitori, e di tutte le persone non significava nulla al confronto di quello che ero diventato, quello che riuscivo a capire, quello che sentivo. Non erano che piccoli pezzettini di carne che andavano a comporre qualcosa di più.

Lo stesso vale per voi e per questi miseri terrestri. E voi con arroganza osate frapporvi e rifiutare il vostro ruolo!”

Liven si lanciò contro Veno provando a colpirlo con tutta la forza, ma questo arrestò il braccio afferrandolo con la sola mano destra.

I due ora si trovavano uno di fronte all’altro a dieci metri da terra, sopra il Maamuni.

“Mi fai schifo.” – disse Veno.

Si scambiarono uno sguardo d’odio poi cominciò la lotta; forti e veloci nelle movenze, abili e capaci, tanto che gli spettatori non riuscivano a vederli.

Joory prese in braccio il corpo di Ericle e ordinò agli altri di allontanarsi per non disturbare Veno.

La lotta proseguì in cielo, infine Liven, dopo alcuni minuti, precipitò schiantandosi al suolo, si rialzò ferito e sanguinante alla fronte e al naso, Veno gli era sopra con un braccio alzato.

“Non è possibile, ora io dovrei essere invincibile!” – urlò disperato Liven.

“Tu hai solo rubato e corrotto parte della forza di questo pianeta.

Io ora ne sono la sua incarnazione, è giunta la tua ora!”

Liven sputo sangue verso Veno.

“Sei un maledetto bastardo, non importa quanta energia tu abbia assorbito, i miei compagni stanno atterrando su questo misero pianeta, i loro nomi li conoscete; Günz, Mindel, Riss e Würm sono i famosi cavalieri dell’apocalisse che tanto temevate. Saranno i primi a scendere su questo pianeta, vi faranno provare sofferenze inimmaginabili, ricostruiranno il Maamuni e ti incateneranno a esso prelevandoti ogni goccia di energia.

Loro sono Androgini completi già da secoli e a differenza di me sanno sfruttare al meglio le loro doti, ognuno di loro è forte almeno quanto te.”

“Non vedo l’ora di conoscerli.” - disse Veno, abbassò il braccio e calò gli artigli che aveva sulle nocche fendendo l’aria, da questi si emanarono lame di luce dirette verso un terrorizzato Liven, queste lo tagliarono di netto in cinque parti che stramazzarono miseramente al suolo, poi esplosero e un’energia viola si propagò nell’aria dissipandosi lungo l’orizzonte.

Veno atterrò vicino ai suoi amici che urlavano festanti, Simon gli corse incontro abbracciandolo.

“Dove hai preso quest’armatura?” – chiese Joory sorridendo, teneva in braccio Mara, dietro di lui camminava Romina, Waxtom gli corse incontro.

Veno si guardò le mani, ancora non aveva compreso appieno.

“Non lo so. Credo si sia forgiata con il prana rimasto su questo pianeta, proteggermi e lasciandomi usare la forza che in essa è racchiusa.”

Waxtom lo abbracciò.

“Grazie ragazzo, grazie. Vedere l’Imperatore cadere a quel modo era sogno che non credevo di poter realizzare.”

Crumer gli si avvicinò sorridente, reggendosi su due stampelle.

“Ne voglio una anch’io. Grazie guerriero.”

Veno si voltò, Nadia inginocchiata piangeva sul corpo di Ericle, le si avvicinò e la abbracciò, aveva perso tutti e due i suoi compagni.

Veno poi prese in braccio Ericle e disse:

“Seppelliamo i nostri amici. Ora sono eroi.”

CAPITOLO 4

Apocalisse

Il gruppo stremato riposò tutto il giorno e la notte seguente. Stavano vicini ma nessuno aveva voglia di parlare, perlopiù ripensavano agli amici caduti, al pianeta morente, alla fine di tutto.

Alle prime luci dell’alba Joory si destò e scorse Veno intento a osservare il cielo.

“Cosa vedi ragazzo?”

“Liven ha detto che sarebbero arrivati i Quattro. Ogni ora sento una forza oscura che si avvicina, opprimendo il mio cuore. E’ come se una stella stesse precipitando sulla Terra

Non so se avrò la forza di respingerli.”

“Ormai i tuoi poteri sono al di là della mia comprensione, e i tuoi limiti sembrano inesistenti. Credi in te stesso.”

Pestilenza, Guerra, Carestia.” – disse Nadia avvicinandosi. “Apocalisse di Giovanni 6,1-8. Tutte queste piaghe sono già tra noi, la rivelazione è stata fatta, i

quattro vengono per dominare la Terra. Tutti gli antichi testi non erano altro che messaggi dei nostri padroni o degli Dei. Non c’era nessun essere divino.”

Waxtom si avvicinò camminando di fianco a Mara tenendole la mano, alzò lo sguardo, ma non disse nulla.

Veno di scatto mise la mano davanti agli occhi come abbagliato da qualcosa.

“Nascondetevi, sono qui!” – disse il ragazzo.

Il suo corpo brillò, una luce lo avvolse indurendosi poi nella corazza della tigre.

Nel cielo brillarono quattro luci che spazzarono via ogni ombra sul pianeta, una di queste precipitò addosso a Veno che, con un balzo felino, la evitò, ma la seconda lo colpì in pieno crepandogli il pettorale e scaraventandolo al suolo.

Due uomini dai lineamenti esili, quasi femminei, biondi, con gli occhi azzurri apparvero davanti a Veno mentre si rimetteva in piedi.

“Günz, sono dunque questi i Terrestri che hanno sterminato i nostri emissari su questo pianeta?”

“Si Mindel, pare proprio di sì. Non vedo niente di diverso in loro, sembrano comuni cloni. E’ incredibile vero? Cosa ne pensi Riss?”

“Credo che si siano agitati abbastanza.” – un altro Androgino apparve dietro Crumer, bloccandolo.

“Lo credo anch’io” – disse un quarto bloccando Joory.

“Ben arrivato Würm.” – disse Mindel. “Fateli fuori! Io penso al loro eroe.”

Mindel si lanciò verso Veno, che si era messo davanti a Romina e ingaggiò con lui una duello a pari forza, mentre Riss e Würm spezzarono il collo a Crumer e Joory, poi iniziarono a uccidere i cloni rimasti, Veno infuriato sputò una fiammata che bruciò il volto di Mindel, lo spinse via e si lanciò contro gli altri per cercare di salvare gli amici. Rimasero solo Waxtom, Simon e Nadia; quest’ultima aveva allontanato i compagni e ora correva lontano con Simon sottobraccio e Waxtom attaccato al collo.

Veno si trovò accerchiato dai quattro Androgini.

“Bene, il piccolo clone è accerchiato. Come ti sei permesso di prenderti tutta l’energia?”

“Facciamogliela sputare fuori.”

Insieme gli furono addosso e lo colpirono con violenza. La sua armatura si crepava sotto i duri colpi, ma lui furioso non cedeva un centimetro e continuava a rispondere; infine Mindel e Riss lo bloccarono e gli altri cominciarono a

picchiarlo liberamente.

Veno cadde in ginocchio, attraverso le crepe della corazza gocciolava il sangue che andava a sporcare il terreno.

In quel momento il cielo si oscurò, i presenti alzarono lo sguardo e videro miriadi di astronavi in fase di atterraggio.

“Vedi? I nostri amici son qui per prelevare l’energia che ti sei impropriamente preso, ora dovrai soffrire come nessuno ha mai sofferto su questo pianeta. Poi preleveremo lentamente il Prana dal tuo corpo.” – disse Würm.

Un boato scosse la terra, sembrava che il cielo copertosi di fumo stesse per crollare; le navi Androgine esplosero precipitando e schiantandosi, altre fuggirono, più che pronte a un’invasione sembravano in ritirata; dalla nube nera fuoriuscirono altre navi, ma diverse; bianche, dai lineamenti affusolati e silenziose.

I quattro Cavalieri Dell’Apocalisse si dimenticarono di Veno, sembravano terrorizzati.

“Non è possibile, non ora!” – urlarono e imprecarono.

“Ma che diavolo dicono?” – pensò Veno che dolorante non riusciva ad alzare la testa.

Dal cielo precipitarono luci bianche e atterrarono circondando i Quattro Cavalieri.

Le luci si spensero; erano uomini con vesti azzurre e bianche. Alti quasi due metri, i loro fisici erano possenti e muscolosi, anche le donne avevano fisici scolpiti, reggevano tutti delle lance dorate.

“Cosa è successo su questo pianeta?” – disse uno di loro.

“Non lo so, pensavamo fosse perso, invece vi sono ancora delle persone. Hey voi ne sapete qualcosa?” – disse uno di loro rivolgendosi ai Quattro.

Riss furioso rispose:

“Cosa diavolo ci fate voi qui? Maledetti schifosi!”

“La battaglia è finita. Avete perso il controllo di questa Galassia, i Rinnegati rimasti sono fuggiti lasciandovi qui. Siete nostri prigionieri.”

“Maledetti.” – disse Mindel. “Non ci prenderete mai vivi!”

I quattro si lanciarono contro i nemici che fermarono abilmente i loro colpi con le lance e traarono Mindell, Riss e Würm, questi caddero senza vita.

Günz era rimasto indietro e disse a Veno:

“Tu! E’ tutta colpa vostra!”

Affondò una gomitata verso il collo del ragazzo, ma Veno la parò con l’avambraccio sinistro, mentre dall’avambraccio destro uscì un lungo artiglio che si conficcò nella gola di Günz, da questa uscì molto sangue nero ed egli morì maledendolo.

Cadde al suolo, il cielo parve illuminarsi dopo secoli di buio, l’aria divenne più dolce, il sole caldo e avvolgente.

2

Verso le due del pomeriggio l’aria intorno al Maamuni si era affollata di navi bianche.

Waxtom sedeva di fianco a Romina, Veno e Simon tra i resti della costruzione megalitica si tenevano stretti l’uno all’altra. I visitatori non badavano a loro, si erano presi cura dei morti e avevano portato Joory dentro una tenda.

Un uomo alto, che era rimasto seduto su una pietra, si avvicinò a Veno; il petto nudo mostrava il fisico potente, il volto era coperto da una folta barba grigia.

“Salve abitanti della Terra, il mio nome è Thunor e in voce del popolo dei Cludwir, chiediamo il permesso di restare momentaneamente sul vostro suolo, il tempo necessario per aiutarvi e proporvi la nostra alleanza.”

I tre rimasero stupiti dalle parole, che entravano nella loro testa rilassandoli e donandogli energie nuove.

Waxtom, quasi ironicamente rispose:

“Certo, siete i benvenuti. Pensavo vi chiamaste semplicemente Dei”

“Vi ringrazio, no, quello è il nome con cui ci chiamano gli Androgini sui vari pianeti. State bene? Possiamo fare qualcosa per voi? Siamo molto dispiaciuti per il vostro pianeta e per la vostra gente. Il nostro ritardo è imperdonabile, anche se ci avete stupiti, siete il primo pianeta che riesce a liberarsi completamente da solo.”

I tre si alzarono in piedi e Waxtom rispose:

“Grazie a voi, ci avete salvato la vita. Veno è forte ma non avrebbe potuto cavarsela senza il vostro aiuto.”

“Ci spiace di non essere arrivati prima.

Vedete la vostra galassia si trova lungo il conteso confine dell’universo, tra i nostri territori e quelli degli Androgini. Fino a poco tempo fa apparteneva a loro; grazie a questa vicinanza abbiamo potuto inviare degli emissari di tanto in tanto che vi aiutassero a liberarvi dalla vostra prigionia. Sento che il sangue dei nostri antenati vive ancora in alcuni di voi.

Solo ora però siamo riusciti ad ottenere la vittoria e a conquistare questa porzione di universo. Il progetto per risucchiare il prana di questo pianeta era già in uno stadio avanzato, e non siamo riusciti a fermarli.”

“Già.” – disse Veno. “Forse non hanno risucchiato il prana, ma il nostro pianeta è lo stesso privo di energia e la vita è stata sterminata, siamo rimasti in tre.”

“Cinque.” – disse Joory avvicina dosi con Mara in braccio. “Dimenticate che posso ancora guarire, e la piccola ha capacità mentali stupefacenti, si è teletrasportata lontano da qui, credo aiutata dai Trilliferiani, poi si è addormentata.” – porse la piccola a Waxtom, che visibilmente commosso disse:

“Joory, sei vivo? Ormai non ci casco più, tutte le volte fai lo stesso scherzo.”

“Si, sono fortunato.” – rispose Joory, il suo viso era provato ma disteso.

“Ci siamo anche noi!” – urlarono i Trilliferiani, mentre decine di ologrammi delle piccole creature apparvero da tutte le parti danzando e cantando vittoria.

“Fantastico.” – disse Thunor divertito. “E voi chi siete?”

“Sono i nostri piccoli protettori, si deve a loro la nostra vittoria.” – disse Nadia.

“Puoi ben dirlo, e pare siano gli unici ad avere la forza di godersela.” – disse Joory.

“Che gioiscano, senza di loro non saremmo qui ora.” – disse Waxtom.

“E neanche noi.” – rispose Thunor. “Rallentando la presa di questo pianeta avete tolto risorse importanti ai nemici. Se avessero attinto dalla Terra avrebbero avuto la forza necessaria per respingerci.”

Thunor indicò Veno e gli fece cenno di avvicinarsi, poi gli pose una mano sulla fronte. Veno percepì del calore come se un intero universo lo stesse abbracciando.

Thunor sorrise:

“Meraviglioso, l’energia di questo pianeta ti è stata donata, dandoti una forza inimmaginabile, inoltre il suo potenziale ancora non si è espresso. E’ la prima volta dopo millenni che accade una cosa simile.”

“Già, ora però questo pianeta è morto, vi è rimasta pochissima energia al suo interno.” – disse Veno.

“Lo sappiamo. Purtroppo gli Androgini sono riusciti a deturpare un altro pianeta, voi però siete salvi e la sua vitalità vive ancora in te. Non è stata per fortuna corrotta dai loro corpi.

Avete perso il vostro pianeta, ma vi invitiamo, come ringraziamento per aver difeso la vita, a seguirci. Potrete vivere in pace su un qualsiasi pianeta dei nostri, oppure aiutarci ancora nella lotta se vorrete.”

Veno osservò Simon e i suoi compagni che annuirono.

“Aspettate.” – disse apparendo Titlis. “Il vostro pianeta forse non è più sufficientemente ricco per voi, ma la poca energia rimasta è per noi una grande

risorsa. Se ve ne andate possiamo ereditarlo? Dopotutto siamo nati qui, anche se non direttamente.”

“La trovo una magnifica idea!” – disse Simon ridendo. “Non c’è fine migliore per questo pianeta, dopo tutto quello che ha sofferto, che ospitare esseri meravigliosi come voi.”

“Sono d’accordo.” – disse Waxtom.

“Anch’io, ovviamente.” – disse Veno felice all’idea.

Joory non disse nulla e s’inginocchiò.

“Piccoli amici, vorrei chiedervi l’onore di poter rimanere con voi su questo pianeta. Ho pochi anni ancora da vivere e il mio corpo è provato, sarei felice di insegnarvi a interagire col prana in maniera da legarvi all'essenza di questo pianeta prima di andarmene.”

Titlis s’inginocchiò.

“Se questo è quello che vuoi, ne saremo lieti.” – disse aggiungendo un sorriso.

“Grazie.“ – disse Joory. “Sono convinto che in qualche modo farete rifiorire la terra riportandola all’antico splendore.

“Bene.” – disse Thunor ponendo i palmi delle mani all’altezza del viso, uno di fronte all’altro, da questi si emanò una calda luce gialla; poi girò i palmi verso il basso e un fascio di energia sprofondò nel terreno.

“Ho donato parte della mia energia a questo pianeta, in modo tale da risvegliarlo, potrete vivere qui a lungo, e vi prometto che nessuno vi disturberà. Ora è giunto il momento di andare, questioni importanti ci attendono. Quest’area è ancora considerata un campo di battaglia e dobbiamo tornare alla base. Immagino siate curiosi di visitare le meraviglie dell’universo.”

Thunor li accompagnò in un luogo che i Cludwir avevano fatto rifiorire e dove avevano seppellito i loro amici.

Si soffermarono a pregare per loro, ricordando le loro vite e i momenti ati insieme, Crumer, Trish, Emma, ma anche Mek e tutti i loro vecchi compagni.

Charles ed Ericle restarono nell’immaginario di tutti come due guerrieri esemplari e uomini indomiti, coraggiosi e leali.

Anche Hugrkan alla fine trovò spazio nel cuore di tutti col suo sacrificio.

Infine si alzarono e i due gruppi si salutarono.

Veno si avvicinò a Joory e abbracciò il vecchio maestro.

“Mi mancherai amico mio, ma so che questo è il tuo luogo e quanto sei legato ad esso. Questo pianeta ti ha sempre considerato il suo guerriero, il suo protettore e noi siamo stati un mezzo della tua volontà, che per prima ha sfidato il nemico.”

Joory gli appoggiò una mano su una spalla.

“E’ stato un onore per me farti da maestro, sono fiero di quello che sei diventato, ma se è vero che per questo pianeta ho avuto un ruolo importante, vedo per te un destino molto più importante tra le stelle. Troverai la tua strada e la gloria. Addio amico mio, anche tu mi mancherai, proteggi sempre i tuoi amici.”

“Addio.” - rispose Veno mentre da un suo occhio scendeva una lacrima.

Simon abbracciò Joory poi prese Veno sottobraccio.

Anche Waxtom e Romina salutarono il maestro.

Nadia si avvicinò per ultima:

“Vorrei tanto rimanere con te, ma non c’è nulla che mi resti qui. Prenditi cura dei nostri amici.”

“Lo farò, buon viaggio!”

In quel momento apparvero tanti Trilliferiani che cercavano di abbracciare gli amici, li tennero più di mezz’ora a dare saluti, raccomandazioni e promesse di tornare.

Infine il gruppo salì su una nave che lentamente si alzò tra le poche nuvolette placide rimaste nel cielo terso, e si allontanò sparendo verso il sole.

Joory teneva un braccio alzato, imitato dai Trilliferiani.

“Addio amici miei, la mia avventura è terminata. Le vostre sono appena iniziate...”

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