Disaccordate Voci 6717b

Gianfranco Bartolomeoli

Disaccordate voci

Versi di segale

Titolo originale: "Disaccordate voci" © 2014 Giovane Holden Edizioni Sas - Viareggio (Lu) I edizione cartacea marzo 2014 ISBN edizione cartacea: 978-88-6396-472-1 I edizione e-book agosto 2014 ISBN edizione e-book: 978-88-6396-518-6 www.giovaneholden.it [email protected]

Acquista la versione cartacea su: www.giovaneholden-shop.it Gianfranco Bartolomeoli www.giovaneholden.it/autorigianfrancobartolomeoli.html

UUID: 9788863965186

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Indice

Oltre Rialto Sarmento Normandia Argine Tarocchi Ultimo aprile Notturno Lago Canzone antica Autunno Porto Favola Stagno nascosto A una donna Sonetto I Avvento Mare Adriatico Notte dei campi

Sonetto II Settembre tornerà Canzone dell’acqua Tarquinia Noi, che un suono confonde Pomeriggio La porta Traghetto Leggenda milanese I miei fiumi Non disperare In palude Attesa Cos’era Grandi mani Spiaggia persa Rito Alza le vele Idillio Sortita Ruit Hora

L'Autore

Oltre Rialto

Poi che nebbie verranno a questi porti

e i fumidi canali perderanno

barche nere sottili e silenziose,

dagli approdi saranno tacitate

anche le ultime tue voci preziose.

Torpidi suoni stanchi di vapori

udremo dagli squeri oltre Rialto,

fragili, dai campielli disertati,

echi sospesi di timori oscuri

diranno nella sera i disperati

nostri tempi futuri.

Qui sei riapparsa, qui sarai tra giorni

solo un segno di vento sui bastioni

e le speranze un volo di aquiloni

che non hanno ritorni.

Ma sapere c’è dato per domani

di ritornare al nostro moto eterno,

primavera, estate, autunno, inverno

per immobili mani.

Sarmento

Con le spire mutevoli del vento

ritorna la parola che ci accolse

sulle rime precipiti di un canto,

quella parola amata

da noi per tanto

e per troppi silenzi rinnegata.

Torna ora scomposta dal groviglio

dei nostri calcinati disincanti

e si strema nel velo

senz’alba, senza luce, senza cielo

dei conclusi rimpianti.

Scava una ruga nuova,

un ricordo ritorce in una fuga,

irride la speranza inaridita

ultimo nodo ordito dalla sorte,

diseredato segno della vita.

Si sfalda la parola

tra le pieghe fuggevoli del vento

come sul tronco dell’alloro antico

si scioglie dall’intrico

il precario sarmento.

Al sospeso mattino

di un giorno come questo

è legato il segreto,

vieto, perenne,

andarsene, venirsene

delle foglie sul greto.

Al modesto mattino

che incombe sulla foce,

si schiudono le porte silenziose

dell’inverno precoce.

Normandia

Nelle ordinate scie

di uccelli remiganti,

esuli da siti forestieri,

salpano i bianchi, bellissimi velieri

dei nocchieri normanni,

dai tanti

vizi traviati e dagli inganni,

fra tentazioni, nefandezze e noia

nell’attesa che il giorno rinnegato

compostamente muoia.

Al tempo

di altre più avventurate vie,

quando maree scroscianti annegheranno

anche gli ultimi voti

e le melanconie baratteranno

i loro poverissimi destini

di questuanti gabbiani burattini,

forse li salverai, terra lontana,

in cambio delle loro infime gioie,

che le gelide notti avvolgeranno

dentro brumose, abbrividenti stuoie.

Argine

Sugli occhi che non sanno guardare

serrati nel tormento,

sulla bocca che non sa pronunciare

neanche un saluto stento,

sulle mani capaci di donare

la quiete di un momento

potersi addormentare.

Ritorna la tortura, lo sgomento

sul sentiero scavato sotto riva

e la donna selvatica a predare

la vita alla deriva.

Suona il vespero in chiesa

con i voli dei corvi sparsi nel frumento.

La sera infosca nascondendo la luna,

torna il vecchio al convento,

ha in tasca pochi steli di fortuna

e nel cuore, leggero, un mancamento.

Tarocchi

Scorda gli arcani maggiori divinanti

solo fati precipiti e spietati,

la matta che irride tra le dita,

il sole, la luna, l’impiccato,

le stelle, il bagatto, l’eremita.

Dika, forestiera discreta,

la tua segnata sorte

trepidi accadimenti oggi ti addita

che negheranno come per ventura

i i scompagnati della morte,

le ingannevoli storie della vita.

Ritroverai presto il funesto

greve ansimare della sorda estate,

sconterai le monotone, traverse

grigie abiezioni delle sue giornate

ma più nuove avventure incontrerà

la tua stagione di sogni rinverdita

che un inverno accidioso non distruggerà.

Bruna vestale, amica israelita,

allora mancherà

alla mia età corriva

ogni grande ansietà

e te ne andrai per patrie meno ostili

sempre più schiva.

Acque senza alcun nome e senza approdi

frangerà la mia barca

alla deriva.

Ultimo aprile

Il vento ricopre le rive di verdi subbugli,

sedati, smarriti fervori riprendono voce,

il fiume rigurgita in gorghi anonimi intrugli

che il mare respinge alla foce.

Qualcosa ancora ritorna dei piccoli istanti,

qualcosa dei trepidi incontri furtivi, precoci,

che grandi, perdute risate, bambina, e che pianti,

che gravidi e cupi rancori

e feroci.

Ricordi il rifugio discosto tra i rovi del prato,

le diafane ranule verdi uccise per gioco,

le poche parole sommesse del primo peccato,

e il sussurrato sapere gli amori da poco?

Si posa, tediosa, la nebbia

mutevole, ostile,

si spegne ogni urgenza febbrile

di vita più ansiosa,

rinnega il tuo volto apito

di sposa tradita

quest’ultima luce d’aprile.

Nel cavo del giorno che muore

silente, stranito,

un gracidío rauco, languente,

segando i licheni,

si leva dal fosso inquinato

dolente, insistito,

stremato si spegne tra i fieni.

Notturno

Angelo stanco di sogni scaduti

non serve, non serve sperare

già si cancellano

ricordi taciuti

nei gorghi spumosi del mare.

In culle di rena

riposano bionde gitane,

ansiosa

un’anima in pena

che veglia,

le vuole destare.

Parole di sabbia

un vento di rabbia rimesta,

e l’angelo canta

l’arcana canzone foresta.

Addita una via

nel quarto di luna calante

la scia

dell’ultima stella cadente

che riga la notte ad Oriente.

Lago

Le colline s’imbrumano.

Nell’oscuro rancore del bosco

le vaghe ombre dei pioppi neri

coprono di labili preghiere

le andane allentate.

Verso menzogne più pie

fuggono eri allarmati

ma il vento affoga nel fango

le loro favole.

Il lago annera,

geme l’odio feroce di una volpe,

i gracili rami delle betulle

segnano il suo letto

di bianche angosce.

Cola un lamento vano,

una mano

ricerca una mano.

A un nuovo oltraggio

si volge l’astore esecrato,

ingiuria blasfema che irrompe

sopra le alghe fluenti

dove ucciderà ancora.

Canzone antica

L’amore è un battello senza nome

che dondola in acque di smeraldo

e per un sonno di ore silenziose

che gli occhi si smarriscano,

fugge solcando un mare differente

in un altro mattino.

Occhi dipinti, non svagate altrove,

non seguite orizzonti laceranti,

ma nell’ora scavata dai rimpianti

siate carezze a una farfalla rara

che a morir si prepara nella siepe

di vibranti campanule.

L’amore è un battello abbandonato

in acque tempestose e disertate,

ammarerà sulle spiagge sassose

di barche disarmate.

L’amore è un battello senza nome

che non ha porti, che non ha bandiere,

occhi dischiusi, serbate il lontanarsi

delle sue vele, delle sue chimere.

Autunno

Segna il tramonto livide condanne,

addensa ombre più cupe sulle rive,

sorprende il vento nottole furtive

oltre le canne.

Lascia squarci di zanne

un cinghiale ferito

sui tronchi di betulla del sentiero,

scava larve in concerto,

inesausto, insistito,

un picchio nero.

Come questo sentiero è la tua vita

erratica, feroce, calpestata,

ordita di giornate depravate

che il temporale sfregia, sfilacciando

gli ultimi lembi della morta estate.

Nelle forre profonde si consuma,

rinnegato straniero,

cieco al destino il tuo tempo violato

senza poter sapere

cosa sarai, se preda o bracconiere,

se presente o ato.

Porto

Un veliero accosta,

un altro salpa silenzioso

senza saluti, senza rimpianti.

Agli attracchi cadenti

imputridiscono

navi avvolte in un tempo

di evi smarriti,

di racconti e nomi perduti,

schiave violate su rive

di sconsolata solitudine.

Il porto vuole

screziati tramonti

nei quali ondeggiare

aliene bandiere

mai più dispiegate

dopo le morti

degli esperti argonauti.

Lungo il molo

un gabbiano riscatta

il suo esitante o

di burattino frastornato

con un volo bianco

solenne, sovrano.

Dall’acqua che trepida

di lievi tremori

un ragazzo trae

pesci d’oro

per un’altera signora del borgo.

Favola

Il non senso di un amore,

di una vaga carezza

le gondole dei tuoi occhi

che riversano senza posa

la loro tenerezza

sulle acque stagnanti

della mia solitudine.

Favola di un amore

tra i rami nudi

delle tue mani argute

tese al vento del nulla.

La spensieratezza di un ritorno,

l’alba livida del giorno.

Stagno nascosto

Nell’astio delle erte scoscese

le querce scalzano i vecchi sentieri,

mugula il vento tra le frasche dei salici

peccati e rimorsi soffocati,

l’acqua si agita

di sogni intossicati.

Una donnola scava inferocita

dentro la tana

di un topo di campagna,

un luccio strazia una scardola.

Sotto le alghe dell’argine scurito

si nasconde un’anatra

al guaito di un cane.

Gracida il rospo

nere bestemmie nel canneto,

gracchia dal folto una cornacchia

il suo segreto svelato.

A una donna

Chiede la tua presenza silenziosa

doni come sorrisi per un giorno.

Del valore non sai

e mai non vuoi sapere

ma ciò che dai

un soldo può valere di ritorno

od un’eternità.

Altri amici non ha

questa avventura

che chiami vita e dura

il tempo che seguono le dita

la nube scolorirsi nella bruma.

Chiede la tua incerta fortuna

rare parole per poche verità

che il tempo sventurato non consuma

e che il cuore sa già.

Sonetto I

Si sfaldano ai livori dello scherno

le corrotte illusioni degli amanti

tradite dalle ebbrezze e dagli incanti

ottusi nell’algore dell’inverno.

Volti gravati di sconforto eterno

per le complici risa e voci e canti

ridesti nelle notti dilanianti

finiti nelle gore dell’averno.

Lontano amore, guscio dilavato

dalle acque dissennate e tempestose

teso a un porto che non hai più trovato

vecchio relitto ormai disalberato

ti abbatterai sulle spiagge pietrose

sospinto dai ricatti del ato.

Avvento

Parole senza senso

è questo amore

che non ha mani che sappiano

scaldarlo,

mani senza carezze

è questo amore

che non ha occhi più fondi

per cercarlo,

occhi senza pensieri

è questo amore

che non ha atti più dolci

a tacitarlo,

ma quest’ora stranita

di vuoti e di tormento.

eri nella via

in questa sera d’Avvento

gridano e si nascondono bambini,

raganelle del vento.

Mare Adriatico

È dell’ora solare

questo andare nel tempo senza voci,

questo nostro migrare

dalle rive alle foci.

Il mare accosta rene bianche riarse,

il vento appena cede sulle dune

e le onde eternamente ricompongono

assai tenui lacune.

Al largo un pescatore immoto affonda

nella luce dell’ora senza lena

e bianco fugge un albatro fantasma

a una roca sirena.

Poco chiedo al mio mare,

una conchiglia dal ventre ritorto,

un cavalluccio morto da donare

a una donna del porto.

Notte dei campi

La falce affilata della luna

taglia le ombre ai tralci delle vigne,

predano le martore i conigli

sui mucchi di ortiche ostili,

svariano i pippistrelli dai granai.

Nei campi dissestati

trappole e faine uccidono le talpe,

un assiolo una lucertola spaurita

tra le pietre dell’aia.

Vigila una volpe

i tuffi di uno svasso nella roggia,

una fontana gocciola e rantola.

Come un segno

di un’altra via del tempo

splende la Stella del Mattino.

Sopra la vecchia terra

la notte schiarisce lentamente.

Sonetto II

Il tuo amore è un vascello confinato

in acque tumultuose e forestiere

partito per un sito avventurato

oltre i risvolti delle tue frontiere.

Il tuo amore è un vascello disarmato

che non ha porti, che non ha bandiere,

occhi schiusi serbatene il ato

delle sue vele, delle sue chimere.

Occhi dipinti, non svagate altrove,

ritrovate orizzonti scoloranti,

non negatevi, spenti, ad altre nuove

e nell’ora scavata dai rimpianti

rinate all’illusione di altre prove

pur se tempo sarà di sogni infranti.

Settembre tornerà

Settembre tornerà

e i nostri tempi gioiosi

con la felicità

di averli già vissuti

e il piccolo rimpianto

di non averli mai sognati.

Settembre se ne andrà.

Canzone dell’acqua

Non più sentieri

non più sussurri

non più tremori

non più rimpianti,

l’acqua affonda nelle rive

i lacerati incanti.

Il cielo si chiude come una mano

in un gesto improvviso, malaccorto,

i venti riportano da lontano

le canzoni dello sconforto.

Non più sentieri né rancori,

non più dolori né racconti,

i rimorsi rubano le fortune,

le notti le lune dentro le fonti.

Tarquinia

Si addicono i disegni trasognati

della sua vita sommaria

alle trepide dita

dei venti di Maestrale.

Pause sottratte

al mattino autunnale

hanno colto nell’aria il suo sorriso,

il suo sguardo che svaria

hanno intriso

delle sfere radiose del Sole.

Aborre

la mia fragile amica

le scontate parole,

esige che le dica

le antiche, celate verità.

Vuole daccanto

l’inabitato regno

delle Muse corrusche,

le vaghe, dilavate effigi

delle etrusche Deità.

Incontrerà un giorno il suo tempo

i disertati lidi delle malinconie,

tenterà il mio disincanto

le più sconnesse vie

di questa stanca età.

Noi, che un suono confonde

Non hanno gli amanti felici

i nostri assilli di parole ansiose

né le nostre rime insidiose

per le loro

lepide ruote di destini

dai festosi confini.

Noi, che un suono confonde

e una trama di sguardi

pause chiama più nuove

per onde più affannose di pietà,

ora subiamo sopra i nostri volti

gelide carezze di rugiada.

Alle loro stagioni solatìe

bastan vie senza nome,

per le nostre

vaghe melanconie

poche certezze ancora

ci mantengono uniti,

saper di poterci lasciare

sfiniti

lungo l’usata strada.

Pomeriggio

Una farfalla nera

perdono i fiori ostili.

Il grillo sa

della sua morte certa

e resta all’erta.

Il funerale

dal campo dei lillà

seguirà il suo lamento

di trilli saltellanti.

Tanti bambini

faranno da prestanti

portatori.

In melodia uguale

dalle siepi e dagli alberi

stridono le cicale.

La porta

Questa bocca senza voce

come una finestra sbrecciata,

questa campana stonata

che geme per le strade,

questo angolo vecchio di casa

ombra alle ombre

dei platani tagliati,

questa foglia marcita

calpestata

sono io, sono io che resto

porta aperta

a chi viene e a chi va.

Traghetto

Aspetto

le gondole leggiere

dei tuoi pensieri,

di domani, di ieri

e vorrei vederne

una almeno fermarsi.

Ma sono un poveretto

che non ha proprio i soldi

per pagarsi il traghetto.

ano gondole forestiere

e sulla riva aspetto.

Leggenda milanese

A una fermata soppressa

sostano dei bambini

fingendo molta fretta.

Giunge improvvisamente in bicicletta

un messaggero

foriero di strabilianti nuove

e il gruppo si dilegua,

correndo senza tregua,

per strade che portan chissà dove

a chissà quali prove.

Uno solo continua a ricercare

tra il binario e il cemento

la vaga lumachina

di una figurina stropicciata

e conta di restare

finché l’avrà trovata.

I miei fiumi

Intendo i presagi disperati

di questi vividi, lacerati tramonti

e i voli irrisi dei gabbiani

come presentimenti,

le ali volte a orizzonti

di letali speranze.

So delle gore che lasciano acquietare

acque gelide al mare

e nel fondo labili tramare

cancellabili vite.

E il Libeccio aggredire

gli alberi del sentiero.

Cosa intendere mai,

cosa è mai vero?

Solo sottende

questo giorno ammutito alla mia pena,

sull’argine sospesa,

il fluire perenne dei miei fiumi,

del Brenta, dell’Adige, del Piave,

oltre l’ansia inesausta del mio tempo,

di ogni scorata attesa.

Solo consente

questo autunno finito,

nel cielo tumultuoso,

all’uccello di o dalla foce

fughe come un insulto atroce

verso un lido lontano, più pietoso.

Non disperare

Non disperare.

C’è pur sempre un punto nella via

ove non può arrivare

la tua malinconia.

È quell’angolo oscuro ove non sai

se sia in attesa una prostituta

od in agguato un ladro,

che tu non perderai.

In palude

Dalle rive languenti si rompe

un maldestro mattino sulla foce.

Levato appena

un grido si trascina.

Tentano gorghi lenti

gravide barche a costa,

uggiola a tratti un cane.

Preparano la posta.

Attesa

Io resto ancora qui

idiota pastore della sorte

fino a quando verrà,

vestale frettolosa della morte.

Cos’era

Ricordi cos’era tormentare

grilli cantori, monache formiche,

calpestare le redole proibite

nei campi illividiti dall’avena,

alleviare la pena

delle fragili amiche

per le prime, incomprese

amare iniquità.

Sui rami scarniti dell’ontano

provare con gli amici

pencolanti altalene,

nei solchi incustoditi oltre le fosse

tra i rabbuffi di grano ricercare

uova di starne e di pernici rosse,

tane smosse di talpe,

nidi preziosi delle coturnici,

fare colpi di mano tra i nemici

nei guazzi intorbiditi del pantano.

D’intorno

era il tempo feriale

delle indolenti

gighe delle cicale.

Troppo presto minata

dalle ingiurie di refoli insistiti

si sarebbe velata

l’estate intorpidita.

Dai rimpianti rifugi abbandonati

nei grovigli di arbusti alla barena

ci saremmo smarriti

lungo anonime strade di città,

conigli intimiditi dalla vita

senza lotte inesauste da inventare

nella vieta realtà.

Grandi mani

Grandi mani virtuose,

che tornate pietose a mendicare

ròse di gioie remote,

sfiorite, dolorose,

grandi ritrose mani appena schiuse

a un mio proponimento,

voi segue l’orizzonte dei pensieri

che ali non hanno di destino vero.

Mistero di onde che si spengono a riva

carezzando la rena,

belle mani, insidiose, invereconde

della mia pena.

Ad un alito terso

aperte io vi saprò, trafitte

dal gorgo delle cose.

E vi avrò perso, mani derelitte.

Spiaggia persa

A una brezza

il sereno si volge in temporale,

il pianto in riso in un tempo di marzo

quando sfarzo di bianco impongono

vele bianche sul mare.

Ma tu guardi gabbiani volare

verso la Jugoslavia e non si sa

se prima si poseranno

che battano le ciglia vinte al sole.

è così che vorrei

involarmi da questa spiaggia persa,

quando mi cercheresti nella tersa

immensità di un mare da regate.

D’altri simboli invece disponiamo

al seguir dell’estate.

Rito

Non sa capire

una bambola vestale

perché a un tratto uno sguardo

si spenga sopra un viso,

perché resti una volta

questo dubbio sorriso

e un’altra

una stolta parola da ignorare

o un opaco silenzio,

come sassi nell’acqua a macerare

cerchi sempre più grandi di ansietà.

Un’orientale piccola vestale

queste cose non sa.

Chiede soltanto un sole di pastello

o il canto sommesso da ascoltare

nel perdersi del mare sulla sabbia.

O la rabbia

di un cupo temporale.

Il kimono in un gesto

di grazia millenaria,

nell’ora di un vento di Grecale,

prega devote mani che la volgano

con il volto ad Oriente.

Per queste cose è nata

una maiolicata bambola vestale,

cose proprio da niente.

Alza le vele

Alza pure le vele quadrate

al vento di Levante.

Presto

in un letto di alghe sinuose

dormiranno le navi sorelle.

Ammaina le bandiere colorate.

Si parta infine.

Che la guerra si faccia senza un nome,

senza alcun forestiero e lontano

sconoscente sovrano.

Idillio

Per le sideree vie

di una notte stellata

si strema di fragili armonie

l’esitante sonata.

Iside stende irridenti

ombre sulle illusioni,

brucia stelle cadenti

alle tue perdizioni.

Mormora al fioco lucore

l’acqua della fontana,

trepida per amore

la diafana luna gitana.

Sortita

Cede il silenzio al tempo le tardive

disaccordate voci,

l’autunno vela i campi intorpiditi

delle brume precoci,

affonda nelle acque illividite

la ramaglia marcita,

vaglia al fondo lo svasso rare prede

dalla piccola vita.

Sfora serrate macchie lo straniero,

per più dirute vie,

raccoglie oscuri presagi nei grovigli

di sfatte nostalgie.

Svelano piccole larve

gli scempi delle tane dissestate,

patetiche eresie

crudelmente smembrate.

Scie di stormi migranti

seguono mete arcane,

parodie nel cielo lontananti

di litanie profane.

Ruit Hora

Trascorrono giorni indifferenti.

Geme l’alba ore

di accorati rimpianti.

La ruota del tempo

rotola lentamente.

Che la morte mi colga

in un gesto qualsiasi.

L'Autore

Gianfranco Bartolomeoli è nato a Bologna nel 1935. Ha operato per più di quarant’anni nel campo della gestione dei progetti di formazione del personale operativo e di manutenzione di grandi impianti industriali. Dagli anni Settanta si dedica alla scultura in legno e bronzo e, saltuariamente, alla poesia in italiano, dialetto veneto, se e spagnolo per la quale ha vinto alcuni premi nazionali. Vive e lavora a Ivrea.