Dilhani Heemba
Bruci il mare
Nuova Terra Saga
© 2013 di Dilhani Heemba. Tutti i diritti riservati.
Titolo | Bruci il mare - Nuova Terra Saga Autore | Dilhani Heemba ISBN | 9788891127136 Prima edizione digitale 2013 Youcanprint Self-Publishing Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)
[email protected] www.youcanprint.it Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.
Alle amiche del rifugio.
Perché voi sallate.
Alle lettrici che mi hanno chiesto di Tip.
Attenzione: consigliato a un pubblico adulto per i contenuti espliciti e alcune tematiche affrontate.
Per i lettori di Nuova Terra.
Questa storia nasce per gioco, non ha le grandi pretese dei due libri che avete letto fino a ora, non ha neppure la pretesa di essere un erotico. Nasce dalla richiesta di alcune lettrici di scrivere uno spin off a sfondo sessuale, ma la sua autrice non ha grandi esperienze di romanzi rosa, tanto meno di erotici. Non è un libro rilassante, nonostante la brevità, perché non sarebbe entrato nelle mie corde un testo tranquillo e sereno, tuttavia ho cercato di tracciare una vicenda il più possibile lineare. Non vi aspettate una storia d’amore, è una storia di caratteri e sentimenti; non vi aspettate scene a tre, camere rosse o il kamasutra, beh, forse il kama… no, niente del genere! Se lo leggete per uno di questi motivi, lasciate perdere, se invece lo vorrete leggere per are qualche ora in compagnia di Tip e della sua vita da sbarazzino, di farabutto dal cuore d’oro, o semplicemente per curiosità, andate avanti e buona lettura.
Personaggi
Umani di Nuova Eyropa
Alessandro Sander Jannacci - amico di Tip, delle Isole di Taormina
Andrea Tap Esposito - fratello di Tip, delle Isole di Taormina (defunto )
Comar Jannacci - delle Isole di Taormina (defunto)
Elena Esposito - sorella di Tip, delle Isole di Taormina
Estella Jannacci - sorella di Sander, delle Isole di Taormina
Iaafani di Giovanni - amico di Tip, di Nuova Sousse
Katia Pratesi - moglie di Roberto, di Santa Maria
JJ Jennie Jannacci - sorella di Sander, delle Isole di Taormina
Gustav Tip Esposito - contrabbandiere, maniscalco, delle Isole di Taormina
Marcus Perera - avvocato, di Roma
Roberto Blanco - amico di Tip, delle Isole di Taormina, vive a Santa Maria
Sarina Jannacci - sorella di Sander, delle Isole di Taormina
Teresa Jannacci - madre di Sander, delle Isole di Taormina
Tomas Jannacci - fratello di Sander, delle Isole di Taormina
Toni Jannacci - fratello di Sander, delle Isole di Taormina
Umani dell’Africa
Alì Mussamì - datore di lavoro di Tip e proprietario di un allevamento di cavalli a Mizke
Amira Ben Hamida - donna che lavora alla locanda, di Nuova Sousse
Hazima, proprietaria della scuderia di Sidi El Hani
Naïma Ben Hamida - ragazza che lavora alla locanda, di Nuova Sousse
Shoala - sorella di Tamila
Il Topo – avvocato, di Nuova Sousse
Tamila - amica di Tip
Taoufik Ben Hamida - proprietario della locanda, di Nuova Sousse
‘Modificati’ (Lupi, Tigri e Mezzosangue)
Ahilan Dahaljer Aadre - marito di Shayl’n Til, Tigre Bianca
Alessio MaliakCaroline Lech Aadre - figlio di Shayl’n Til, erede al trono, mezzosangue
Danka Kijowski - guardia del copro speciale di Shayl’n Til, Tigre Bianca
Maisha CāndaMaria Lech Aadre - figlia di Shayl’n Til, erede al trono, mezzosangue
Nilmini Louise’s Til Lech Aadre - figlia adottiva di Shayl’n Til, Umana
Shayl’n Til Lech Aadre - principessa dei Lupi Grigi e sovrana delle Tigri Bianche, mezzosangue
Glossario
Baghrir, gallette
Rhu qalbi, cuore mio, vita mia
Habibati, mia amante, mio amore, mia signora (riferito sempre a donna)
Lalla, titolo riservato alle donne borghesi equivalente a signora
Picciridda, piccolina
Salam aleik, ciao, salve
Sharmotah, puttana
Shukran, grazie
Swak, radice che si usa per pulire i denti
Tagelmust, lunga fascia di cotone a metà tra il turbante e il velo, che lascia liberi solo gli occhi. Viene usato dai tuareg per difendersi dal vento e il sole del deserto
Tesbah ala kheir, buonanotte
- parole inventate -
arindo ichslavo, lingua delle Tigri Bianche
bretençal, lingua parlata dai Lupi Grigi
iuropìan romanzo, lingua degli Umani
POD meglev, mezzo di trasporto che sfrutta l’energia del campo magnetico
tapi, stoffa lunga portata intorno alla vita da Lupi Grigi e Tigri Bianche
Le favole raccontate esistono davvero nella cultura africana e sono:
- I tre pesci, fiaba araba
- Le donne timide, fiaba algerina
- Haina, fiaba marocchina
Anche la leggenda siciliana La Pellegrina esiste, anche se qui è post 2012.
1
Tamila aveva ventiquattro anni e non ne dimostrava uno in più, né in meno.
Questo la rendeva sicura di sé. Aveva la carnagione olivastra, ma era sempre abbronzata e la pelle brillava come polvere di cannella; i capelli neri, di un riccio setoso che tutte le invidiavano; il contorno degli occhi era disegnato da una matita nera, così come facevano le mussulmane dei villaggi dove aveva abitato, o per lo meno quelle che non coprivano il viso.
La sua famiglia proveniva dalle Tribù del Sud, gli incroci delle diverse etnie però scorrevano nel suo sangue e la rendevano perfetta agli occhi di uomini e donne.
Lo stesso sangue colorava ora le guance della sorella Shoala, che beveva altro alcol dalla bottiglia che le avevano offerto, eppure lei non aveva la bellezza di Tamila: sua sorella aveva i fianchi troppo larghi rispetto al corpo e le labbra troppo gonfie rispetto al viso delicato. Aveva un anno più di lei, ma ne dimostrava una trentina. I ricci erano quelli di tutte le ricce: crespi. Avevano lo stesso bel colore di pelle, reso vivo dalle ore ate a coltivare sotto il sole nordafricano: quello, più di ogni altra cosa, le accomunava.
Nonostante tutto, erano simili anche per il carattere, per questo motivo erano sempre insieme. Erano a Mizke, ora, perché Shoala si era presa una cotta per quel bell’imbusto che costruiva selle per i cavalli e domava puledri di razza, Alì, il nome più banale di tutta Nuova Terra, o per lo meno di quella che conosceva lei.
Non che Tamila lo avesse detto alla sorella, dopotutto sapeva che sarebbe stata una cosa eggera, come sempre, del resto. Non la biasimava mai, lei sapeva che prima o poi si sarebbero sposate tutte e due e avrebbero avuto tanti bei bambini e i loro figli sarebbero stati sempre insieme, come loro.
La casa di Alì Mussamì era a nord del villaggio, una casetta come le mille altre che erano a Mizke: due piani, squadrati, un giardino minuscolo e polveroso sul retro, il tetto dove molti camminavano ando di casa in casa, senza problemi, come se i tetti di Mizke fossero altre strade che ognuno poteva percorrere a proprio piacimento.
Avevano mangiato pollo e lenticchie, in abbondanza.
Alì era bravo nel suo lavoro e sulla sua tavola non mancava mai nulla. Era stato lui a dirlo, poche ore prima, mentre cenavano. Sosteneva che in quelle mura mancasse solo la sua donna.
Shoala aveva riso; Tamila aveva guardato Alì e poi il suo amico, e dalla sua espressione aveva capito che in quella casa, di donne, ne sarebbe ate ancora tante.
Ora erano seduti sui cuscini rossi, neri e gialli di quella grande stanza priva di qualsiasi altro ornamento. Alì, una kefiah marrone sul capo, parlava del suo lavoro, inserendo particolari inutili che non interessavano a nessuno, ma che loro ascoltavano ridacchiando tra un bicchiere e l’altro di alcolici.
Shoala protese il beccuccio del narghilè e Tamila aspirò.
«E il mio amico Tip a le giornate a litigare con i ferri di quelle povere bestie», disse Alì in un pesante se, una delle lingue parlata dalle sorelle.
Tamila soffiò il fumo vaporoso tra le labbra carnose, in direzione di Tip. «E si guadagna bene a fare il maniscalco?» domandò abbassando il mento e assumendo un’aria innocente.
Lui le prese il beccuccio dalle dita sottili. «Con la mia faccia, guadagno bene a fare qualsiasi cosa.»
Alì e Shoala scoppiarono a ridere, Tamila gli sorrise guardandolo di sottecchi; non dubitava affatto di quelle parole.
«Lo tieni da te, questo esemplare?» chiese la sorella ad Alì.
Lui le ò un braccio sulle spalle. «Certo, è il segreto del mio successo.»
Di nuovo, entrambi scoppiarono a ridere.
Tamila non si scompose a vedere la sorella leccare le labbra di Alì, prima di infilargli la lingua in bocca.
«Ti guadagni da vivere sulle spalle di un cucciolo?» gorgogliò Shoala, senza
smettere di guardarlo.
«Oh, Tip non è affatto un cucciolo, bimba. Ma io sono il padrone.»
Risero come matti, prima di baciarsi ancora.
Tip osservò le mani di Shoala percorrere il petto nudo di Alì. Notò che le due sorelle erano tanto vicine da confondere i ricci dei capelli tra loro, tuttavia Tamila non si spostò, mentre la sorella trasformava le sue carezze in tocchi meno pudici.
«Se sono ubriachi, non si nota affatto», commentò ironico riando a Tamila il narghilè.
Lei si strinse nelle spalle, aspirando, per nulla turbata dal seno scuro di Shoala che usciva dalla maglia di lino azzurro. Buttò fuori il fumo, mentre la sorella gemeva di piacere. «Non so il tuo amico, ma ubriaca o meno, per mia sorella sarebbe stato uguale.»
Tip la scrutò, mentre il silenzio della casa era disturbato dalla musica allegra di qualcuno sulla strada o in una casa vicina. Tamburi, forse non troppo grandi, che vibravano sotto le mani di qualche ragazzo. Tamila lo ricambiava. Il viso sensuale, lo sguardo furbo, il trucco troppo pesante che si abbinava ai colori dei vestiti. «E non ti dispiace?»
Tamila allungò il beccuccio e nel farlo sfiorò le dita di Tip. «Dovrei?» chiese con
un’ottava più bassa del necessario. Si spostò accanto a lui e guardò Alì lasciare il seno di Shoala per abbassare la mano tra le sue gambe e sollevarle la gonna.
Tip distolse lo sguardo, ma Tamila richiamò la sua attenzione. «Sotto non ha nulla», sussurrò nel suo orecchio.
Lui inspirò e la guardò per non vedere le dita di Alì entrare dentro sua sorella.
Lei inclinò appena il capo, perforando per qualche istante gli occhi castani di Tip, occhi screziati di nero, come le era capitato di vedere a volte nelle etnie provenienti da Nuova Eyropa, dal taglio profondo dietro le lunghe ciglia scure; gli fece un mezzo sorriso. «Ti imbarazza?»
Tip aprì la bocca e la richiuse, rendendosi conto di dove fosse la mano di lei e che la propria erezione pulsante non avrebbe potuto mentirle. Se doveva evitare di guardare Alì che si impossessava di Shoala, con quelle dita che aveva visto lavorare sulle selle tantissime volte, doveva pur far qualcosa. Baciò le labbra carnose di Tamila, che lo ricambiò senza nessuna titubanza.
Erano morbide, accoglienti, avide.
Quando lei si spostò da quella posizione scomoda per entrambi, lui si alzò e l’afferrò da terra. Senza badare agli altri due, la condusse nella camera da letto di Alì. Nella stanza, c’erano un lungo mobile in legno scuro, due sedie e un letto; uno dei rari letti di Mizke ad avere le doghe.
Ma nessuno dei due vi si sedette; Tamila sfiorò la barba corta e scura del suo viso, lo baciò e, senza mai smettere di farlo, gli tolse la camicia e sbottonò i pantaloni, prendendo con entrambe le mani il suo membro turgido e muovendolo su e giù. Tip l’allontanò da sé, accese un moccolo di candela e le tolse la maglia, godendo a pieno dei suoi seni colmi e grossi. Si abbassò a prenderne in bocca uno, stuzzicandole l’altro con una mano; Tamila gemette di piacere, facendo da eco alla sorella, nell’altra stanza.
Questo la eccitò ancora di più. Con una mano, spinse Tip fino al letto e lo obbligò a sedersi; finì di abbassargli i pantaloni. «Complimenti», sussurrò con voce calda, quindi si inginocchiò tra le sue gambe e lo prese in bocca, priva di esitazioni, perché voleva quell’uomo, e lo voleva subito.
Tip mugolò al contatto di quelle labbra grandi, che lo avvolsero e lo tormentarono con dolcezza e insistenza al tempo stesso, fino a farlo diventare di marmo. Afferrò Tamila per i capelli, costringendola ad alzarsi, e la tirò verso di sé.
Con un sorriso compiaciuto, lei fece scivolare via la gonna; anche Tamila sotto non aveva nulla. Fradicia di desiderio, salì sopra di lui e guidò il pene tra le proprie labbra inferiori, umide e pulsanti, accogliendolo dentro di sé come se nella sua vita non avesse fatto altro. Si inclinò un poco in avanti e gli ò un dito dal mento allo sterno fino all’ombelico, senza mai smettere di guardarlo negli occhi.
«Shoala si sarà anche presa il padrone, ma io ho preso il più bello.»
Tip le ò le mani sulle natiche, percorrendo con lo sguardo le curve perfette del corpo di quella ragazza piena di vita. Sollevò lo sguardo sul suo viso; la luce della candela dietro di lei che le indorava i riccioli leggeri. «Anche io ho preso la
sorella più bella», sussurrò con voce roca.
Si mossero insieme.
Spinti dal piacere per afferrarne ancora e ancora, trovando il ritmo giusto, cambiandolo e ritrovandolo; udendo solo loro stessi, come se Shoala e Alì non stessero facendo un gran baccano oltre la parete, come se i tamburi fuori non rispondessero alle mani dei loro suonatori.
Tip si concentrò per non raggiungere l’apice e allontanò Tamila dal suo membro lucido di umori. La rigirò sul letto, in modo brusco, e, tenendola inginocchiata, in un unico colpo la penetrò ancora; percepì le contrazioni del suo massimo piacere in quell’istante, ma prima di raggiungerla le strinse un seno e affondò con insistenza tra le sue carni lisce.
Ancora e ancora.
La spinse sulle lenzuola e lasciò che il suo seme si perdesse sulla schiena lunga e scura di Tamila; poi, con il cuore che martellava beato nel petto, si stese accanto a lei.
***
Era ato quasi un anno da quando il marito di Elena era stato operato.
Tip aveva deciso di partire già da un po’ di tempo. Suo cognato stava migliorando, contro ogni previsione, e sua sorella stava tornando a vita nuova insieme a lui e ai bambini. Aveva deciso di rimanere per lei, per aiutarla, perché il suo dolce viso era ormai perduto, ma ora la vedeva sorridere, così come quando era piccola. Elena era il sorriso di casa Esposito da quando lui ne aveva memoria: sorrideva alla madre, al padre, ai fratelli. Nonostante fosse la più piccola, non si stancava mai di aiutare.
Era stata lei a far sorridere tutti per la prima volta dopo la morte del padre, dopo la morte di Tap. Era stata lei a far sorridere lui, dopo la morte della madre. Il minimo che Gustav Esposito detto Tip potesse fare era cercare di ricambiare; e così si era preso cura di lei, dei nipoti, del cognato; aveva medicato, fatto spesa al mercato, portato l’acqua, giocato, aveva raccontato barzellette e storie incredibili.
Ora, però, era tempo di partire. Più di un anno nello stesso posto era qualcosa di inconcepibile per la sua natura vagabonda, e lui non aveva intenzione di arrivare a tanto.
Nonostante questo bisogno impellente di prendere le sue cose e salpare per altri lidi, Tip si trovava a trastullarsi nelle abitudini che erano diventate il suo quotidiano, tra cavalli da ferrare, ortaggi da vendere e nipoti da far ridere almeno una dozzina di volte al giorno.
Inoltre stava domando una cavalla di otto anni, che faceva impazzire Alì. L’aveva portata un uomo dalla pelle più nera del mantello della giumenta, aveva detto di averla comprata a buon prezzo, ma che la bestia scappava via da sotto il suo sedere appena partiva al galoppo, lasciandolo a terra a gambe all’aria. Alì aveva imprecato per giorni dietro alla cavalla già formata, indubbiamente abituata a qualcosa che nessuno conosceva, senza ottenere nulla se non gli occhi impauriti e spaventati che quasi uscivano dalle orbite.
Tip si era avvicinato a lei con calma, esattamente come faceva con i puledri; si chiamava Fiamma della Notte e a Tip piaceva quel nome. La muscolatura splendente, il portamento altero, i riflessi rossi e blu del mantello; seppe di averla conquistava quando lei iniziò a seguirlo lungo il campo dove pascolavano i cavalli di Alì. Ciò non le impediva di lasciarsi andare alle vecchie abitudini di tanto in tanto e fare di testa sua. Benché il suo padrone fosse già soddisfatto, Tip non era dello stesso avviso.
Alì gli chiese se non se la volesse tenere per sempre.
Tip aveva visto Tamila un paio di volte, poi era partita con la sorella per Tampàr. Shoala non era più tornata, Tamila era ata per far visita a un’amica dalla quale doveva rimanere a dormire, tuttavia quella notte non aveva dormito. Tip le aveva tolto tutte le forze e il giorno dopo lui era tornato al suo lavoro e lei si era avventurata a sud, in cerca dei parenti della madre, con gli occhi gonfi di sonno.
Tip si aspettava di vedersela spuntare tra le strade polverose di Mizke da un giorno all’altro.
Non che gli bastasse. La ragazza che lavorava da Alì, aiutandolo con le consegne, aveva un bel corpo. Gli occhi troppo grandi e sua coetanea, con l’unico vero difetto di volere troppo: lo cercava tutti i giorni e si informava su cosa fe e cosa non fe in ogni attimo della sua vita. Tip l’aveva presa nel magazzino di Alì, sulle balle di fieno appena arrivate, che pizzicavano sulla pelle lasciandola rossa; il solo breve attimo in cui la ragazza era rimasta senza una parola, dopo di che non le aveva più neppure risposto. La salutava solo per buona pace di Alì. Lei alla fine aveva smesso di frignare e aveva fatto finta che non esistesse.
A spingerlo a rompere quella monotonia arrivarono i figli di Comar Jannacci, vecchia conoscenza di suo padre; erano tre fratelli provenienti, come lui, dalle Isole di Taormina, amici di infanzia. Due maschi e una femmina, Sander, Tomas e JJ; Sander, il più grande, aveva fatto il contrabbandiere di armi insieme a lui per diversi anni, avevano la stessa età e condividevano la ione per le barche, benché il pescatore di casa fosse Tomas; JJ era la figlia più piccola, da ragazzina era stata amica della sorella, fino a quando Elena non si era sposata ed era andata a vivere a Mizke in maniera definitiva. Non ricordava quanto fosse più piccola della sorella, ma era sempre stata un palmo più bassa di lei.
Tomas e JJ erano brevi apparizioni nella sua vita girovaga: benché li avesse visti spesso, non condividevano molte esperienze.
Lui e Sander, invece, erano sempre stati insieme, non in modo continuativo, perché entrambi amavano spostarsi, tuttavia potevano non vedersi per mesi per poi tornare amici come prima. Questa volta, però, erano ati almeno due anni. Sicuramente non lo vedeva da prima della fine della guerra dei modificati, poi c’era stata la guerra civile e in quella guerra molti amici erano ati a miglior vita.
Di solito Tip non chiedeva mai informazioni su quelli che erano stati suoi amici; la sorella lo accusava di non avere a cuore nessuno, ma la verità era che non aveva coraggio, il coraggio di sapere che non c’erano più, che un pugnale, un proiettile o la cattiva giustizia di Nuova Sousse se li era portati via.
Così, pensava che non avrebbe più rivisto Sander.
Ma i tre fratelli Jannacci erano ati per Mizke e JJ si era impuntata per ritrovare la sua amica di infanzia. Non era stato troppo difficile.
Quando i fratelli l’avevano accompagnata a casa di Elena, non si aspettavano di incontrare di nuovo il loro vecchio amico Tip.
Li aveva trovati a casa, tornando dal lavoro, in quel cortiletto dietro la casa privata di Elena che lei tentava invano di tenere pulito dalla sabbia.
Tip rimase immobile sulla porta che dava sul giardino. Sander invece, vedendolo, saltò in piedi come un ragazzino che attende un regalo e lo andò ad abbracciare. I capelli scuri, gli occhi nerissimi, le spalle larghe, lo abbracciò come avrebbe potuto fare un fratello; ed era così che lo percepiva Tip. Lo amava come avrebbe amato Tap, se fosse arrivato a quell’età insieme a loro.
«Brutto pezzente», lo apostrofò Sander, lasciandolo. «Vengo a trovare Elena e ci trovo questo balordo.»
«Per l’oceano nero, piano con i complimenti», replicò dando una pacca a Tomas. «Poi spiegamelo un po’: sei venuto per Elena?»
Sander indicò JJ, che si era alzata a sua volta. «È colpa sua.»
Tip baciò una guancia alla ragazza, capelli corti, color mogano; sul polso aveva tatuato un ippocampo, lo stesso e sullo stesso punto in cui lo aveva Tomas. Due palmi abbondanti più bassa di Tip.
«Pensavamo fossi schiattato. Cercavo tua sorella, ero certa che fosse più viva di
te.»
Tip le fece un gesto scaramantico. «Le tue lenticchie sono germogliate?» la canzonò indicando con il mento le efelidi sul naso e la parte superiore delle guance.
«Perché non sei schiattato?» replicò lei, sarcastica.
Tomas, l’unico biondo che i fratelli Esposito ricordassero delle Isole di Taormina, tirò la sorella guardando Tip. «Non le toccare le lentiggini. È quel tasto che si preme quando uno ha voglia di prendere un ceffone.»
«Ah, ecco a cosa servono quei bottoncini», rispose Tip, ma si allontanò dalla ragazza che gli lanciò un’occhiataccia.
Anche Elena, che cercava di allontanare il figlio più grande dalle armi che i loro amici avevano lasciato sul tavolo, lo guardò in malo modo.
Tip fece una bocciaccia e chiese dove stessero andando. «A casa», fu la risposta e per tutti loro casa significava un unico posto.
I fratelli Esposito li invitarono a rimanere per la cena, e loro accettarono di buon grado. Quando sulla tavola rimasero solo le briciole del pane e i bicchieri vuoti, Tip aveva già deciso di seguirli verso le Isole di Taormina ed Elena, che si aspettava quel o già da diversi giorni, lo aveva già accettato.
La lasciarono con il marito e JJ a occuparsi di casa e figli e uscirono sulle stradine di Mizke; i tre amici eggiavano al limitare del deserto ridendo nel buio della notte, sotto le stelle che li avevano visti crescere insieme.
«Quel cretino di soldato», stava dicendo Sander, che aveva partecipato alla guerra civile, dalla parte degli africani «pensava di combattermi a mani nude. Era rimasto solo lui sulla via principale, lui e i miei amici, che si stavano sbellicando dalle risate. Mi ha fatto pena, quel poveretto, così ho gettato le mie armi; mi ha caricato credendosi un toro e non mi ha torto un capello. È finito a terra prima che potesse dire mezza parola.»
«Smettila di fare il gradasso.»
I tre uomini si voltarono e JJ apparve da dietro una recinzione, che oltreò con facilità.
«Che fai, ci insegui?» Sander tentò di scompigliarle i capelli.
Lei si scansò. «Vi si sente per tutta Mizke.»
«È solo perché stai sempre con le orecchie tese», la rimbeccò Tomas.
«E faccio bene, fratello.» Lanciò uno sguardo a Tip. «Non sai quante stronzate dicono. Fai attenzione, ammiraglio.»
Lui la fissò per alcuni istanti, un ricordo che affiorava alla mente. «Lo so bene, che dicono stronzate, alzabandiera.»
«Ehi, ehi, ero io l’ammiraglio», precisò Sander parlando sopra la voce di Tip.
«Nemmeno per niente», lo contraddisse il fratello, e JJ gli fece una smorfia.
«Tu zitto che eri sempre l’ultimo.»
Tomas aspirò il fumo da una sigaretta. «Sì, ero il più piccolo, ma tu non eri ammiraglio: Tip arrivava prima di te.»
JJ gli ò il braccio sulla spalla fingendo di consolarlo, Tomas la lasciò fare. Tip non stava badando a loro.
C’era un molo, un tempo, nel paese più grande delle Isole di Taormina, dove loro e qualche altro ragazzino facevano corse ando da una barca e l’altra. Non sempre Tip arrivava per primo, ma una volta Sander cadde in acqua, e da quella volta il posto non fu più il suo.
Tip ricordava il gioco e le corse, ma aveva dimenticato JJ che sull’ultima barca segnava chi fosse il primo. Chissà per quale motivo la chiamavano alzabandiera.
«Solo perché ho perso una volta», si difese Sander.
«Non una sola, e poi quella volta fu memorabile», sentenziò JJ.
Avevano raggiunto i loro cavalli, lasciati in custodia da un mandriano nel pomeriggio. L’uomo li vide e li raggiunse, loro lo pagarono e tornarono sui loro i, tirando le bestie per le briglie.
«Era tanto che non pensavo a quelle corse», disse Tip, accarezzando uno dei cavalli.
«Era una vita fa», replicò Tomas e strinse la sorella per la vita. «Eri così carina, allora. Poi ti sei rovinata», aggiunse con aria dispiaciuta, ma le baciò una guancia con dolcezza.
«E tu eri così biondo.»
Tip annuì. «È vero. Era una vita fa, prima che partissi definitivamente per l’Africa.»
«Eravamo proprio piccoli», convenne la ragazza.
«JJ, tu eri una mocciosa, così mocciosa che ti ricordo a malapena.»
Lei gli diede una leggera spinta. «Bell’amico.»
«Non eravamo amici, tu eri amica di mia sorella.»
«Certo, ero io però a decretare che tu fossi ammiraglio, non tua sorella.»
«Oh, però sei venuta a cercare lei, non me.»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Nemmeno i miei fratelli hanno avuto la brillante idea di cercarti: non è colpa nostra se fai vita nomade.»
«Anche tuo fratello fa vita nomade, la metà della quale vissuta con me.»
«E allora?»
«E allora… allora…» non ricordava più perché stesse facendo quel discorso.
Sander scoppiò a ridere. «Lasciala parlare, Tip, tanto vince sempre lei.»
JJ fece una linguaccia al fratello e con un balzo salì sulla propria giumenta. «Dunque, ammiraglio, dov’è la nostra terra?»
Tip corrucciò la fronte. «Non torni da Elena? Mi ha detto che ti avrebbe fatto
preparare una stanza.»
«Oh sì, lo ha detto e lo avrebbe anche fatto, ma non ho nessun interesse a dormire in un dormitorio per donne.»
«Non è un…» Tip si grattò la testa. «Avresti una stanza tutta tua.»
JJ fece spallucce. «Sì, un buco che puzza di muffa, se ti dice bene, e un materasso macchiato gettato a terra, con un lenzuolo bucato e accanto a una mezza candela.»
«Ehi, sono tutte cose lavate.»
«Non si offenda, ammiraglio, sono contenta del vostro interesse e non metto in dubbio quanto dice, ma perché privarmi delle stelle e della mia coperta che almeno, se puzza, puzza di cavallo?»
«Ma…»
Sander gli diede una gomitata. «Ricorda cosa ti ho detto poco fa», disse con fare cospiratorio. «Lasciala parlare, non hai scampo.»
Tip gonfiò le guance a palloncino e poi buttò fuori l’aria con uno schiocco. «Va bene, allora partiamo dopo domani, all’alba sono da voi. Domani potete stare da Elena, come vi ha detto, ma io non ci sarò: ho un po’ di cose da sistemare, prima
di partire.»
«Non c’è problema, non abbiamo fretta.»
«Domani pomeriggio sono da Alì, se volete are.»
Tip li accompagnò in una radura con un fontanile e resti di vecchi fuochi, dove spesso i viandanti si fermavano a dormire. Due uomini erano poco distanti, vestivano con tuniche bianche e il capo avvolto in una stoffa rossa, parlavano arabo e non si voltarono a guardare i nuovi arrivati.
I fratelli Jannacci salutarono Tip, che tornò a casa di Elena a piedi, con o veloce.
2
Alì Mussamì, proprietario del secondo allevamento di cavalli più importante a Mizke, gonfiò il petto guardando come lui e i suoi amici erano riusciti a sistemare il capannone in pochissimo tempo.
Ora che tutti gli invitati si aggiravano tra i tavoli e i musicisti strimpellavano i loro strumenti senza sosta, si sentiva fiero di sé.
«Va bene, capo, è una festa bellissima», commentò Tip con un sorriso divertito ma sincero.
Alì si grattò la barba, poggiando il sedere sul bordo del tavolo sul quale si trovavano le bevande. «Cosa non si fa per gli amici.»
«Sono mesi che volevi fare una festa», replicò Tip, guardandolo di sottecchi prima di bere della birra.
L’altro fece spallucce, bevendo anche lui. «Che ci posso fare se hai deciso di andartene mentre avevo questa idea in mente? Io faccio le feste e tu accampi diritti.»
Tip emise una risata leggera. «Per gli amici, eh?»
Alì borbottò qualcosa che Tip non si preoccupò di comprendere. Lanciò un’occhiata al tavolo di Elena dove sedeva con il marito e i figli; non pensava che sarebbero venuti e invece erano lì, nonostante quel tipo di vita non appartenesse a nessuno dei due. Accanto alla sorella, c’erano i fratelli Jannacci.
Tomas aveva bevuto più del necessario e le sue guance erano colorate di rosso, risaltando sul viso incorniciato dai capelli biondo cenere. Sander aveva parlato tutta la serata con il marito di Elena e Tip si chiese cosa avessero mai da dirsi quei due.
C’era una cinquantina di persone e Tip le conosceva tutte, tranne due componenti dei musicisti e le ballerine che aveva fatto arrivare Alì. Erano dieci e si muovevano sensuali nello spazio lasciato al centro del capanno.
«Dove le hai pescate?»
Alì dondolò il capo. «Sono belle, vero?»
Tip sogghignò. «Ti ho chiesto dove, non come sono.»
«Oh, il figlio di Nabad qualche tempo fa mi ha detto che il loro gruppo stava girando qui al sud, sono di Nuova Sousse, ma credo che vengano un po’ da tutta l’Africa, non ho chiesto. Le ho dovute pagare care per farle venire proprio questa sera, e tutto per colpa tua.»
«Grazie, capo, mi mancheranno i tuoi amorevoli pensieri per me.»
«Non sai quanto. Rimpiangerai questa maledetta decisione di tornare a casa, rimpiangerai questo lavoro e le belle donne che ti trovo.» Lo guardò con aria sorniona.
Tip rise. «Alle belle donne», disse sollevando il proprio bicchiere.
«Alle belle donne che ti presenta il capo.» Avvicinò il viso con fare cospiratorio. «Mi dicono che queste ballerine dietro le quinte fanno dei bei servizi.»
Tip gli lanciò un’occhiata di sbieco. «Certe dicerie vanno verificate.»
«Sarà un peccato perderti. Non farle innamorare di te e lasciane qualcuna agli altri invitati.»
Davanti a loro, le ragazze facevano vibrare i propri sonagli, seguendo il ritmo dei tamburi. Indossavano vesti leggere, di seta sgargiante, il ventre nudo, i riflessi dorati degli orecchini. Tutti i movimenti erano calcolati e catturavano l’attenzione della maggior parte dei presenti.
Tip ne studiò una per una. Solo la ragazza vestita di rosso non mostrava alcun difetto: un seno sodo, un viso pulito, nonostante il trucco abbondante, gli occhi nerissimi e i capelli schiariti che rilucevano accanto alle fiamme delle braci. Muoveva i fianchi con leggerezza, come se il bacino scivolasse nell’aria.
Seguendo la propria danza, la ragazza si voltò e incontrò lo sguardo di Tip,
abbassò il capo e gli sorrise.
Alì gli diede una botta. «Almeno falla finire di ballare.»
Tip deglutì. «Sì, c’è tempo.»
Lasciarono il tavolo delle bibite e Alì attaccò a parlare con due ragazzi, amici di Tip, che sperava venissero a sostituirlo nel lavoro.
Tip tornò al proprio posto.
Tomas beveva del vino ambrato e gli altri erano rapiti dalle parole di Sadek, un ragazzo dalla carnagione talmente scura che sul suo volto, nel capannone illuminato da fiaccole e candele, risaltavano solo gli occhi. Stava raccontando alcune favole al figlio più grande di Elena, ma lo stavano ascoltando tutti.
Quando smise, il nipote più grande batté le manine. «Raccontamene un’altra.» Aveva i riccioli del padre e gli occhi inconfondibili di Elena.
Sadek ci pensò su. «La conosci la favola delle donne timide?»
«No, raccontamela, dai!»
Sia Tip che Elena sapevano che quella storia la conoscevano tutti i bambini di Mizke, tuttavia non dissero nulla.
«C’era una volta un gruppo di donne algerine analfabete, timide, completamente velate. Indossavano l’haikm rema, l’abito che copre interamente dalla testa fino ai piedi. Decisero di andare a scuola per la prima volta. Appena entrate in aula si tolsero il velo.
La loro insegnante scrisse alla lavagna la frase “Omar entra”. Subito le donne si misero il velo pensando che fosse entrato veramente questo Omar.
Poi l’insegnante scrisse: “Omar è uscito”. Le donne allora si tolsero il velo. La maestra, che aveva notato le loro reazioni, cominciò a scherzare. Quando toglievano il velo scriveva: Omar è entrato, quando se lo rimettevano scriveva: Omar è uscito, e così via per tutta la lezione. Quando tornarono a casa, il figlio di una di loro chiese: “Mamma, è andata bene a scuola?” E la madre rispose: “Ma come puoi pensare che sia andata bene, con quel ragazzo di nome Omar che entrava e usciva continuamente come un soldato e non ci lasciava studiare niente?”»
Il figlio di Elena rise in maniera esagerata, stropicciando gli occhietti nello stesso tempo.
JJ, seduta accanto a Tomas, scansò delle briciole di pane sul tavolo con la mano. «La raccontate qui, questa storia? È sciocca.»
Sadek le rivolse uno sguardo sorpreso. «È una storia che si racconta da secoli e secoli e spiega l’usanza delle donne di portare certi abiti. Fa parte della nostra
cultura.»
Elena scoccò un’occhiata di avvertimento all’amica, che, però, fece finta di non averla vista. «È una storia che vorrebbe dire quanto sono stupide le donne, ma non lo sono affatto; i secoli e secoli non vi hanno spiegato granché.»
«La raccontano per far ridere i bambini», si intromise Elena, «non c’è niente di male.»
«Ci sono modi meno sciocchi per far ridere i bambini.»
Sadek si strinse nelle spalle. «Tu non sei di qui, non puoi capire. Non ho detto che sei stupida, mi piacciono le bianche di Nuova Eyropa, ma a volte quelle come te non vogliono capire.»
«Quelle come me non vogliono capire?»
Tip cercò lo sguardo di Sander, che tamburellò le dita sul tavolo e guardò la sorella. «Dacci un taglio, JJ, si tratta solo di una storiella.»
«Una storiella stupida.»
Sadek le fece un sorriso tirato. «Come dicono dalle vostre parti: il mondo è bello perché è vario», citò in iuropìan romanzo.
«Come dico io, il mondo è una merda perché è avariato», replicò JJ nella stessa lingua.
Se il significato fosse chiaro o meno non le fu chiaro: il ragazzo si limitò ad addolcire il sorriso ed Elena si alzò insieme al marito che teneva in braccio il figlio più piccolo, addormentato sulla spalla del padre. Tip si alzò a sua volta. «Andate via?»
Lei annuì. «Sì, è tardi. Dormi a casa, stanotte?»
«Sì.»
«Ci salutiamo domattina.»
Tip le baciò una guancia. «Ti sei divertita?»
«Nel modo in cui posso divertirmi io alle tue feste.»
Lui le fece l’occhiolino, salutò il marito e fece una carezza al nipote più grande, che lo guardò con gli occhi assonnati. «Buonanotte, piccola peste.»
Il bimbo sollevò le braccia e lui lo afferrò; quando furono alla stessa altezza, il nipote gli diede un bacio appiccicoso. «Buonanotte, zio», farfugliò con voce
impastata, prima di allungarsi verso la madre che lo prese tra le proprie braccia.
Elena salutò JJ. «A domani», le disse e lasciò che Tip li accompagnasse all’uscita del capannone.
Tip rimase lì a parlare con un’altra famiglia fatta di soli uomini, perché le donne, spesso, non mangiavano con loro e non venivano portate alle feste. Quando si salutarono, altri due ragazzi arono a parlare con lui; erano ubriachi e non facevano altro che ridere e dire fesserie. Cercavano di far ballare Tip, nonostante la musica fosse finita da qualche minuto. Andarono via continuando a sghignazzare.
Un ragazzo di nemmeno quindici anni, il viso butterato, gli si avvicinò.
Quando Elena era rimasta sola con i figli, tutti e quattro avevano mangiato nella grande sala dei loro vicini, lì dove mangiavano tutti insieme e avevano accettato la presenza di Elena, su richiesta del marito. Il ragazzo molte volte era stato allo stesso tavolo e provava una malcelata ammirazione nei confronti di Tip.
«Allora te ne vai», disse toccandosi il mento ancora glabro se non per qualche singolo pelo.
«Per un po’, ma prima o poi torno.»
«Perché c’è Elena.»
Tip gli diede un leggero scappellotto. «Che pensi, che torno per te, ragazzino?»
L’altro si spostò in ritardo, tuttavia sorrise mostrando i denti storti. «No, no, lo so che non vieni per me. Però vedi di tornare, ogni tanto.»
«E tu vedi di studiare. Tua madre mi ha detto che sei una capra.»
«Ho smesso di studiare, ma se me lo chiedi lo farò.»
Tip sospettava che fosse una menzogna e gli lanciò un’occhiata intimidatoria.
«È vero», si difese il ragazzo ridacchiando. «Dai, ci provo, promesso.»
«Ecco, così già va meglio. E fila a letto, ché è tardi.»
«Ma no, è presto, sono solo…»
«È l’ora che tua madre ti vuole a casa e tu lo sai benissimo.»
In quel momento, la ragazza vestita di rosso che Tip aveva visto ballare si avvicinò a loro e sorrise prima a Tip e poi al ragazzo, che fece una smorfia infantile.
«Anche io devo fare certe esperienze», brontolò divorando con gli occhi il seno della ragazza.
«Sono certo che le farai molto presto. Ma non stasera, altrimenti tua madre non mi farà più partire. Mi vieni a salutare domani mattina, ora fila.»
«Ma…»
«Fila!»
Il ragazzo abbassò le spalle e girò sui tacchi. Tip lo guardò allontanarsi mogio nella notte illuminata dalle fiaccole di Mizke. Poggiò le spalle allo stipite del capannone e incrociò lo sguardo della ragazza.
«E tu sei?»
«Oana.»
Tip cercò Alì oltre le spalle di Oana e lo vide fargli l’occhiolino da un punto in penombra del capannone e uscire con una ragazza. La metà delle ballerine era sparita e, tra i tavoli, non c’era quasi più nessuno, di sicuro non c’era Sander e Tomas era a testa china sul tavolo.
«Quanti anni hai, Oana?»
«Ventidue.»
La pelle liscia e delicata, le labbra morbide, il trucco pesante a dipingerle un viso perfetto; le guance paffute, gli occhi pieni di vita, i denti ancora bianchissimi.
«Ventidue meno… cinque? Meno sei?»
Oana abbassò lo sguardo e sbatté le palpebre, poi ci ripensò, fece un sorriso malizioso e gli baciò le labbra.
Benché avessero un buon sapore, Tip l’allontanò da sé, con gentilezza. Lanciò un’occhiata al tavolo delle bevande, dove si trovavano JJ e Sadek.
«Vieni, piccola Oana, andiamo a bere qualcosa.»
Non lesse la delusione nello sguardo di lei, perché si voltò e raggiunse il tavolo. Prese una bottiglia ancora piena e la stappò. «Vuoi?»
Oana scosse il capo, distratta dai due ragazzi poco distanti da loro.
La ragazza dai capelli corti fumava una sigaretta, poggiata al tavolo, le gambe
incrociate; indossava stivali da cavallerizza e pantaloncini troppo corti per le donne che giravano sul suolo africano. Portava una camicia chiara e un cappello a falda larga e teneva un pugnale sulla cintola, dove erano legati i guanti.
Oana non capiva perché il ragazzo, carnagione nera, muscolatura scultorea e occhi vispi, ci stesse provando con lei.
Sadek accarezzò il viso di JJ. «Ma ora tuo fratello è ubriaco fradicio, lascialo lì, neppure si accorgerà che ti sei allontanata.»
«Sto aspettando Sander per portarlo via», replicò lei in un se stentato e con un tono duro.
«L’altro tuo fratello? Quello sì che si sta divertendo. Dai, facciamo presto, promesso.»
JJ aspirò la sigaretta guardando in basso. «Ti ho detto di no.»
«Non ti piaccio?»
Lei sbuffò. «Trovati qualche altra ragazza, ok?»
«Ma io voglio te.»
«Ammazzati», ringhiò JJ cercando di spostarsi.
Sadek, per nulla intimorito, sorrise e le sollevò il viso tentando di baciarla.
JJ provò a divincolarsi, senza riuscirci.
Oana fece un o indietro, quando Tip li raggiunse e afferrò il braccio del ragazzo. «Sadek, ti ha detto di no. Sei sordo?»
«Oh, Tip, sta solo facendo la preziosa.»
JJ spinse via Sadek, però lui continuò a serrarle il polso.
Tip cercò conferma nello sguardo della ragazza, che però non lo guardò. «Lasciala.»
Sadek aveva una ventina di anni, il corpo virile di un uomo fatto, lo sguardo di chi la sapeva lunga; conosceva Tip ed Elena da quando era un ragazzino. La lasciò e Tip l’attirò a sé. «Grazie, troppo gentile. Andiamo a fare un giro, JJ.»
«Non ho bisogno di essere salvata», protestò JJ, ma si lasciò trascinare senza opporsi.
Tip riprese la bottiglia dal tavolo e si rivolse a Oana. «Vieni con noi?»
Riluttante, lei guardò Sadek. «Beh, magari c’è qualcuno che ha bisogno di me, se non ti dispiace.»
Tip sbatté le palpebre, poi sollevò la bottiglia verso di lei, come a brindare. «Buon per lui», disse senza ombra di sarcasmo e spinse JJ oltre i tavoli.
«Non ho bisogno della balia», si lamentò lei. «Se vuoi andare con la tua amichetta, fai pure.»
«Aiutami a portare fuori Tomas.»
JJ esitò prima di aiutarlo a trascinare fuori il fratello e il suo mandolino e caricarli sul cavallo pezzato.
Tip slegò il proprio.
«Potevi benissimo rimanere con la tua amica.»
«Potresti benissimo ringraziarmi e basta?»
JJ strinse le palpebre. «Me la sarei cavata comunque. »
«Ne sono certo. Ti ho facilitato le cose, tutto qui. Ti scoccia così tanto?»
Lei inspirò. «Avrei potuto farlo da sola, senza rovinare la tua sfavillante serata con la ballerina.»
Tip si attaccò alla bottiglia e bevve; fece scorrere lo sguardo sulla ragazza dall’alto verso il basso e viceversa. Come Tomas aveva un orecchino d’oro, gli altri quattro buchi senza nulla. La fronte corrugata, in attesa, come una bimbetta; ebbe l’impulso di lasciarla lì. «Senti, lo so che sei una rompicoglioni, ma stava andando via.»
«Certo. E com’è che l’avevi appena baciata?»
Tip non riuscì a nascondere la sorpresa. «Ci stavi guardando?»
«C’eravate solo voi.»
«Non proprio. Comunque, mi ha baciato lei e se ne stava andando.» Le porse la bottiglia. «È vino rosso. Vuoi?»
JJ lo prese e bevve attaccandosi anche lei, poi gliela riò leccandosi le labbra. «Beh, lei era piuttosto contrariata.»
«Sarà felice di essere finita nelle braccia di Sadek: pare che lui sia un fantastico amatore. Non sai cosa ti sei persa», esclamò montando a cavallo.
JJ lo imitò e prese le redini del cavallo su cui giaceva Tomas. «Quando posso, faccio beneficienza.»
«Stento quasi a crederlo.» Tip strinse le gambe sui fianchi della propria cavalcatura, tornando a bere. «Ti accompagno alla radura di ieri, aspettiamo lì Sander, poi me ne vado.»
«Non ho dodici anni.»
«Undici.»
3
Partirono all’alba, come avevano detto; i cavalli riposati, l’aria fredda, il sole rosso e pieno. Tip si sentiva in forma.
Nonostante i saluti.
Elena sapeva che prima o poi sarebbe andato via e non poteva biasimarlo, era abituata alla vita girovaga degli uomini di casa Esposito; sua madre, seppure contrariata, era scesa a patti con quello stile di vita: era stata sulle Isole di Taormina mentre il marito girava per i villaggi, prendendo la barca tutti i giorni; lo aveva seguito in Africa e si era abituata alla sua lontananza, lui a volte insegnava ai bambini e agli adulti dei villaggi in cui vivevano, a volte spariva per settimane intere, nonostante questo, non le faceva mancare nulla e ogni volta che tornava sembrava una nuova luna di miele. Ma quando il marito e il figlio più grande erano morti, lei era morta con loro.
Elena era viva a quel tempo, più viva che mai, era una ragazzina, ma era l’unica a gestire la casa, mentre il fratello prendeva strade sconosciute e pericolose. Sapeva che andava a caccia, a pesca, che rubava e faceva soldi con qualsiasi cosa gli asse per la mente, compreso il contrabbando, e sapeva che quello era l’unico modo per mantenere tutti in vita. Era cresciuta così, sapendo che lui c’era e non c’era, che tornava per lasciare a lei e la madre tutti i suoi averi; quando erano cresciuti, gli disse che poteva smettere per un po’ di fare quello che faceva, perché non ce n’era più bisogno. Lui aveva annuito, aveva comprato una piccola abitazione a Mizke, accanto a persone che conoscevano lui e la sua famiglia e soprattutto il padre, perché questo lo faceva sentire sicuro; era rimasto in casa un mese intero, poi era sparito per qualche giorno, era tornato con un mucchio di soldi e le aveva detto che non avrebbero avuto bisogno di altro per un bel po’. In quel modo se n’era andato e non lo aveva visto per quasi un anno;
in seguito, si giustificò dicendo che era stato a casa loro, nelle Isole di Taormina, e che sarebbe rimasto nei paraggi per un bel po’, perché la madre stava male, e in quel periodo lei si sposò. Poi la vita cambiò ancora: la madre li lasciò e qualche tempo dopo lei rimase sola con la famiglia del marito. Il fratello lo vedeva di rado.
Il marito non era ricco, ma se la cavavano bene, Tip però non mancava di portarle denaro e regali, quando ava a trovarla. Andava sempre via. Poi era arrivato con la mezzosangue reale, ed Elena non sapeva come sarebbe andata a finire, in quel periodo, con un bimbo piccolo e un neonato, era certa che sarebbe rimasta presto vedova; aveva chiesto a Tip di rimanere e lui non aveva battuto ciglio, non se ne era mai lamentato e al massimo era stato via due giorni per qualche lavoro.
Ora, non poteva che lasciarlo andare di nuovo.
Lui l’aveva tenuta stretta, ridendo e scherzando, e aveva fatto espressioni sciocche e divertenti ai bambini, come solo lui sapeva fare. Elena aveva sorriso, ebbra di amore per quel fratello dalla presenza effimera.
Tip amava il viso della sorella, così simile a quello del padre, e ne leggeva i sentimenti malinconici sotto gli sguardi incoraggianti e affettuosi. L’amava anche per quello.
Mentre risaliva a nord, verso Nuova Sousse, per la prima volta dopo tanto tempo, si concentrò sul suono degli zoccoli dei cavalli sulla strada sterrata e si lasciò cullare dall’andatura sicura e tranquilla della sua bestia, un castrone dal mantello scuro.
Pranzarono presto, lungo il corso di un ruscello che avrebbero lasciato a breve. C’era un caldo umido che disegnava sulla pelle un abito appiccicoso.
Tomas si sdraiò sul prato, il cappello sul capo, una sigaretta in bocca. Un cerchio alla testa, residuo della sbronza del giorno precedente.
«Hai mezz’ora, non di più», lo ammonì il fratello più grande.
L’altro chiuse gli occhi. «Me lo hai già detto, non sono sordo.»
JJ gli ò accanto, gli prese la sigaretta di mano e aspirò una lunga boccata.
«Sorellina, non si fuma!»
Lei si drizzò. «Il bue che dice cornuto all’asino.» Fece uscire il fumo dalle labbra.
«Mi costano un sacco di soldi. Compratele.»
«Ma io non fumo», rispose ridacchiando e sfuggendo a un calcio del fratello. Guardò Sander e Tip. «Vado a fare un giro.»
«Dove?» Sander le lanciò un’occhiata indagatrice.
«Sulla Nuova Terra», replicò facendo una smorfia infantile.
Tip le lanciò un sassolino. «Non ti allontanare troppo.»
JJ si voltò e piegò la testa; il sole sul capo le regalò riflessi ramati. «Me ne bastano due, di fratelli, sai? E comunque ho solo due gambe, mica un POD.»
«Smamma.» Le rispose Sander e rise quando lei gli fece un gestaccio.
La seguirono con lo sguardo dare qualcosa da mangiare che non vedevano alla sua giumenta, farle una carezza e allontanarsi a piedi.
Tutti e tre avevano lo stesso taglio di occhi, indubbiamente preso dalla madre. Ma se Sander aveva gli occhi neri e liquidi, Tomas e la sorella riflettevano una luce più chiara e densa; a Tip faceva pensare alle pietre di sardonice che portavano alcune donne delle Isole di Taormina.
Tip, seduto accanto a lui, tolse della polvere dai pantaloni. «Gli altri tuoi fratelli sono a casa?»
«E come ti sbagli? Estella e Sarina non lascerebbero Taormina neppure se ne andasse della loro vita. E Tonio è ancora piccolo.»
«Tua madre ne sarà contenta. Tre su sei mi pare un ottimo risultato.»
Sander si strinse nelle spalle. «Sette su sei sarebbe l’unico risultato che le andrebbe bene. Ed è sempre la stessa rottura di coglioni, quando torniamo a casa e poi ripartiamo; sarà così anche questa volta.»
«Non intendi rimanere?»
«Non lo so. Forse rimango un anno su, ne parlavo qualche giorno fa con i miei fratelli; per loro è uguale. JJ per lo più va dove va Tomas o il contrario, ancora non ho capito. E Tomas al momento ha deciso di starmi appiccicato al culo.»
«Guarda che ti sento», fece il fratello.
«E dormi», lo rimbrottò Sander, prima di rivolgersi a Tip a voce molto più bassa. «Vedo cosa ci sta da fare da quelle parti e poi decido. Insomma, come fai tu.» Ammiccò all’amico.
Tip poggiò i gomiti sull’erba. «Abbiamo abbastanza soldi a casa, per permetterci di non fare niente», replicò anche lui a bassa voce.
L’altro gli lanciò un’occhiata obliqua. «Ma a noi non piace non fare niente.»
«Vedremo.»
Erano già a cavallo quando JJ tornò indietro, assieme a una donna dalla carnagione scura e i capelli ondulati grigi e bianchi. «Lei viene con noi», spiegò la sorella, prendendo il proprio cavallo. «Le serve un aggio e non vuole andare da sola: dice che ci sono dei tizi che la seguono.» Dal tono di voce era ovvio che non ci credesse neppure lei.
La donna guardò i tre uomini e rimase ferma dove si trovava; un filo d’erba in mezzo al verde.
JJ aprì le braccia. «Cos’è, troppo batacchio per te? Sono fidati.»
«Batacchio?»
«Sì, batacchio, testosterone», spiegò infilando i guanti di pelle con i quali cavalcava.
La donna aggrottò la fronte. «Testosterone?»
Con uno sbuffo, JJ salì a cavallo; non aveva la più pallida idea di come si traducesse in se. «Non abbiamo tutto il giorno, vieni o no?»
Vedendo che gli altri si allontanavano, la donna si fece aiutare per salire dietro la ragazza, che, nonostante tutto, la sollevò con facilità. Non aveva granché voglia di parlare con lei, le aveva solo offerto un aiuto quando glielo aveva chiesto, tuttavia, dopo i primi dieci minuti di silenzio, la donna chiese dove stessero
andando.
«Alle Isole di Taormina.»
«Oh, venite da lì?»
«Sì.»
«È bello?»
«Sì.»
«Sono tuoi amici questi?»
«No, li ho incontrati per caso mentre rubavano uova a una poveretta.»
Tomas si voltò a guardarla trattenendo a stento una risatina, mentre la donna rimase in silenzio per un minuto buono. «Davvero?»
«No.»
«Oh.»
«E chi sono?»
«I miei fratelli.»
«Oh, siete in tanti. E vostro padre non si preoccupa?»
«È morto.»
«E vostra madre?»
«Pure.»
Sander le lanciò un’occhiataccia, ma lei fece finta di non averlo visto.
«Mi dispiace.»
«Perché? Non li conoscevi.»
«Oh. Sì, lo so. Mi dispiace per voi. Comunque, ecco, a me piacerebbe vedere
Taormina, l’altra parte del mare, non ci sono mai stata lì, sono sempre stata in Africa; però da bambina abitavo vicino a Tampàr, beh, dopo Tampàr, e andavo sempre al mare e facevo il bagno. Mi piaceva molto il mare; e fare il bagno. Tu nuoti?»
«Sì.»
«Sì, anche io. Ho imparato lì, dopo Tampàr. Facevo sempre il bagno. Non lo so come ho imparato, ma nuotavo. Era bello. Anche se mi davano fastidio i vestiti. Nuotavo con i vestiti, sai, così facevamo noi. A te davano fastidio?»
«No. Non usavo i vestiti.»
«Perché eri piccola, ora li ai.»
JJ raggiunse Tip, che era davanti al gruppo, e lo superò. «No. È stupido nuotare con i vestiti.»
«Oh. E se ti vede un uomo?»
«Beh, meglio. E se ci sono tanti uomini, meglio ancora. Almeno hanno qualcosa da guardare. E chissà, forse pure io ho qualcosa di bello da guardare.»
La donna si morse un labbro screpolato; JJ non poteva vederla, tuttavia sorrise tra sé. Ma non durò a lungo.
«Beh, io andavo vestita, perché non è bello andare nudi. E nuotavo un sacco e saltavo tra le onde. Era divertente. Mi piacerebbe vedere Taormina, magari faccio il bagno. È bello.»
JJ alzò gli occhi al cielo. «Guarda che ho capito, eh, non c’è bisogno che lo dici ancora.»
«Ah, sì, scusami.»
Non le rispose, si voltò a guardare i compagni di viaggio e fece un gesto a Tip, che era proprio dietro di lei, dopodiché partì al galoppo su un punto pieno di dossi. La donna si strinse a lei con le braccia magrissime, usando tutta la forza che aveva, concentrandosi per non volare via.
Poco prima dell’ora di cena, arrivarono nei pressi di un villaggio dove si fermarono e lasciarono la donna in una capanna piena di facce che li studiarono, ansiose. Loro scesero dai cavalli al centro del villaggio per cenare in una piccola locanda che conosceva Tomas.
Tip ò accanto a JJ mentre allargava il sottopancia della propria bestia. «L’hai trattata malissimo, quella povera creatura», la stuzzicò con voce seria.
«Insopportabile.»
«Che ha fatto di male?»
JJ mise la propria borsa a tracolla, baciò con delicatezza la guancia della sua giumenta e l’accarezzò con la punta delle dita. «Perché certa gente non si ammazza?»
«Non sarà che sei un po’ troppo acida?»
Lei lo guardò e lo spinse da una parte, facendosi spazio tra i loro cavalli, per raggiungere i fratelli. «Non sarei acida, se il mondo non fosse fottutamente basico.»
«Non mi intendo di chimica.»
«Allora taci.»
Il pasto non era dei più buoni e non c’era una posata che fosse dritta, ma il locale era pulito e il leggero chiacchiericcio era rilassante.
Sander stava raccontando di un grosso bue che aveva mangiato anni fa a sud, facendo a gara con alcuni amici del posto a chi ne mangiava di più. Era stato male per tre giorni, ma non aveva permesso a nessuno di batterlo.
«È stato fantastico.»
«È stato schifoso», commentò la sorella arricciando il naso.
«Io ero talmente ubriaco che non me lo ricordo», aggiunse Tomas.
«Lo eravate tutti e due.»
Sander staccò un pezzo di pane. «Oh, ma io me lo ricordo benissimo.»
Tip rise. «Non avevo dubbi», disse voltandosi a guardare un uomo che aveva intravisto entrare con la coda dell’occhio. Li stava fissando, o meglio, stava fissando proprio Tip.
L’uomo gli fece un sorriso sdentato e si avvicinò, tenendo una mano sulla pancia gonfia con fare borioso.
«Ehi, tu sei Tip, figlio di Esposito.» Non era una domanda.
Tip mandò giù un sorso di birra e poggiò il calice sul tavolo, con deliberata lentezza.
«E tu chi saresti?» domandò JJ usando la stessa lingua dell’uomo, l’arabo.
L’uomo si piegò un poco. «Io sono un assassino, sorella.»
«Non sono tua sorella, ciccione.»
L’altro socchiuse appena le palpebre. «Se fossi mia sorella, ti metterei a battere sulla strada, per far soldi col tuo…»
Sander saltò in piedi. «Brutto figlio di puttana! »
Tip lo trattenne per il gomito. «State buoni. Che vuoi da Tip?»
«I soldi che mi ha rubato.»
Sander si sedette, sbattendo le palpebre.
«Non ho mai rubato soldi ai poveracci sfigati come te.»
L’uomo prese la sua birra. «Hai rubato un sacco di soldi, a un poveraccio come me: dopo averci rivelato il suo valore, hai rubato la principessa modificata a me e i miei uomini. Bel ringraziamento per averti liberato, figlio di Esposito.» Digrignò i denti, mostrando i buchi. «E questo è quello che mi ha lasciato uno dei tuoi uomini.» Mandò giù un po’ di birra. «Questa roba fa schifo», commentò.
«Mi spiace per i denti», replicò Tip, ignaro di quella perdita e sinceramente dispiaciuto. «Ma gli esseri umani non sono in vendita.»
«Era una modificata e valeva una marea di soldi, suo zio, quel re dei lupacchiotti, l’avrebbe pagata oro. E tu me l’hai rubata solo per scopartela.»
«Io non…»
L’uomo gli gettò la birra rimasta sui pantaloni. Di nuovo Sander si alzò e di nuovo Tip lo bloccò.
Il proprietario del locale, avvicinatosi nel frattempo, strabuzzò gli occhi. «Signore, per favore…»
«Non me ne frega niente, ladruncolo», continuò l’altro rivolgendosi a Tip. «Io, tuo padre, nemmeno lo conoscevo: di te non me ne frega niente di niente, guardati le spalle, perché a me i soldi non li ruba nessuno.» Lanciò uno sguardo alla macchia che si allargava sui pantaloni. «Fai bene a fartela sotto.»
Si voltò a guardare i presenti che, in un silenzio interessato e preoccupato, li osservavano. L’uomo fece un gesto incomprensibile al proprietario e si incamminò verso l’uscita.
«Tutto bene? Posso aiutarvi? Serve qualcosa per asciugarsi?» domandò il padrone del locale ai quattro amici.
Tip fece un cenno di assenso. «Tutto bene. Non si preoccupi. Finiamo di mangiare e poi ho il cambio.»
L’altro se ne andò.
«Gli hai rubato la modificata?» chiese Tomas, incredulo, togliendosi una ciocca bionda dagli occhi.
«Ti sei scopato la modificata?» aggiunse Sander, altrettanto sorpreso.
Tip sospirò. «No.»
«Cosa, allora?»
«Non sono affari vostri.»
JJ batté il palmo aperto sul tavolo. «Prego? Per colpa della modificata, quello stronzo mi ha dato della puttana: sono anche affari miei.»
«Ha detto solo che avresti dovuto farlo», precisò Tip, acre.
Sander lo fulminò con lo sguardo.
«Se fossi stata sua sorella. Ma non lo sei.» Nel dirlo tenne gli occhi in quelli
dell’amico.
Se ne andarono alla svelta, dopo aver pagato e recuperato i cavalli. Uscirono dal villaggio e si accamparono su un prato, accanto a un piccolo corso d’acqua. Quella notte fecero i turni per rimanere di guardia, ma nessuno li disturbò.
4
Si rimisero in marcia molto presto e di buona lena. E la sera si fermarono non molto lontano da Nuova Sousse, che avrebbero raggiunto il giorno seguente. Cenarono seduti sulle proprie coperte, mangiando lenticchie e i dolci alle mandorle fatti da Elena.
Sander e Tomas suonarono rispettivamente marranzano e mandolino, ma non fecero troppo tardi.
Tomas si preparò al suo primo turno di guardia e alla fine si sedette pulendosi i denti con un bastoncino di swak. Tip si coricò a terra, poggiando la testa sulla sella del suo cavallo, legato poco distante insieme agli altri. Una volta giunti a Nuova Sousse, avrebbero dovuto trovare un modo per imbarcarsi e avrebbero raggiunto le Isole di Taormina, questa idea, l’imminenza del suo arrivo, lo metteva di buon umore.
«Perché sorridi, ammiraglio?» domandò JJ, in un sussurro. Era sdraiata sulla propria coperta. Gli occhi che riflettevano le fiamme rossicce.
«Non sto sorridendo», sussurrò anche lui.
«Invece sì.»
Lui sbuffò. «Sei sempre stata una mocciosa rompipalle, JJ.»
«Ma se neppure ti ricordi di me, cabròn.»
«Cabròn, anche tua madre lo diceva sempre.»
«E lo dice ancora.»
Tip volse appena il capo per guardarla. «Una volta mi hai tagliato una rete da pescatore.»
«Perché me l’avevi rubata.»
«E quando abbiamo trovato la nostra grotta segreta, tu hai seguito tuo fratello e hai detto a tutti dov’era.»
Lei si sollevò ad appoggiare la testa sulla mano, puntellando il gomito sulla propria sella. «Prego? Stai parlando della grotta giù al faro? Quella grotta, l’avevo trovata io per prima, l’avevo detto a Sander e lui ci ha portato i suoi amichetti. Mi avete rubato anche quella; chiedilo a Elena, ci avevamo messo le nostre bambole di pezza.»
Lui la scrutò per alcuni istanti, ma non mollò. «Le bambole… beh, eri una mocciosa, comunque: le bambole potevi tenerle a casa.»
JJ tornò di peso a sdraiarsi, guardando il cielo stellato tra le fronde delle palme. «Anche voi potevate toccarvelo da un’altra parte.»
Tip scoppiò a ridere e Tomas, seduto oltre il fuoco, si voltò a guardarlo male. «Per tutti i merluzzi, Jennie», tornò a sussurrare. «Eri proprio una mocciosa rompipalle.»
«Non chiamarmi Jennie.»
«Jennie Jannacci, questo nome te lo ha dato tua madre, onoralo.»
«Questo nome me lo ha dato mia nonna, che vantava sconosciuti avi nordici; sai quanto me ne frega?»
«Anche JJ ha una pronuncia nordica e ben poco a che vedere con lo iuropìan romanzo.»
Pur senza guardarlo lei incrociò le braccia. «Per l’oceano nero, vuoi sempre avere ragione tu, Gustav.»
Lui fece spallucce. «Ho sempre ragione io.»
«Basta che ci credi.»
«È la verità. E tu sei la persona più acida del mondo.»
«Io non sono…»
«Sì, sì, è il mondo che è basico e tutte quelle fesserie chimiche che sai tu. Sai, non muore nessuno se non sono tutti intelligenti come te.»
«La conosci la favola dei tre pesci?»
«Ha un riferimento sessuale?»
JJ gli tirò un sassolino. «No, cabròn! È una storiella che raccontano a est, ai bambini.»
«Non la conosco e non mi interessa.»
«Visto che non ti interessa, te la racconto.
C’erano una volta tre pesci che vivevano in uno stagno: uno era intelligente, un altro lo era solo per metà e il terzo era del tutto stupido. Avevano una normalissima vita, come quella dei pesci di tutto il mondo, finché un giorno arrivò un uomo.
L’uomo portava una rete e il pesce intelligente lo vide attraverso l’acqua. Facendo appello all’esperienza, alle storie che aveva sentito e alla propria intelligenza, pensò: “Dato che ci sono pochi posti dove nascondersi in questo stagno, farò finta di essere morto”. Così l’allegro pesciolino decise di are all’azione e, raccolte tutte le sue forze, balzò fuori dall’acqua e atterrò ai piedi del pescatore, che si mostrò piuttosto sorpreso.» JJ mimò con le mani il salto del pesce. «A quel punto, visto che il pesce tratteneva il respiro, l’uomo lo immaginò morto e lo ributtò nello stagno. Allora il nostro allegro e intelligente pesciolino si lasciò scivolare in una piccola cavità sotto la riva.
Il secondo pesce, quello intelligente solo a metà, non aveva capito molto bene quanto era accaduto. Così raggiunse il pesce del tutto intelligente per chiedergli spiegazioni. “Semplice”, disse l’allegro pesce tutto intelligente, “ho fatto finta di essere morto e così mi ha ributtato in acqua”. Immediatamente, il pesce mezzo intelligente balzò fuori dall’acqua e cadde ai piedi del pescatore. “Strano”, si disse il pescatore, “tutti questi pesci che saltano fuori dappertutto!” Ma il pesciolino mezzo intelligente si era dimenticato di trattenere il respiro, così il pescatore si accorse che era vivo e lo mise nel suo secchio. Riprese a pescare guardando la superficie dell’acqua, ma quanto successo con i pesci che atterravano sulla riva, ai suoi piedi, lo aveva in qualche modo turbato, così si dimenticò di chiudere il secchio.
Quando il pesciolino mezzo intelligente se ne accorse, riuscì faticosamente a scivolare fuori e a riguadagnare lo stagno a piccoli salti. Andò a raggiungere il primo pesce e, ansimando, si nascose accanto a lui.
A quel punto, il terzo pesce, quello tutto stupido, non era naturalmente in grado di trarre vantaggio dagli eventi, neanche dopo aver ascoltato il racconto del primo e del secondo pesce, perché era stupido!» esclamò JJ con voce da bambina. «Allora gli amici pesciolini riesaminarono ogni dettaglio con lui, sottolineando l’importanza di non respirare quando si finge di essere morti. “Molte grazie, adesso ho capito!” disse il pesce tutto stupido, e con quelle parole si lanciò fuori dall’acqua e andò ad atterrare proprio accanto al pescatore.
Il pescatore, che aveva già perso due pesci e imparato la lezione, lo mise subito nel secchio senza preoccuparsi di verificare se respirava o no. Poi lanciò ancora la sua rete nello stagno, più e più volte, ma i primi due pesciolini erano ormai al sicuro nella cavità sotto la riva. E questa volta il suo secchio era ben chiuso. Alla fine, il pescatore rinunciò a prenderne altri. Aprì il secchio, si accorse che il pesce tutto stupido non respirava, lo portò a casa e lo diede da mangiare al gatto.
Fine della storia.»
«È una storia bruttissima.»
JJ fece una smorfia. «La gente stupida dovrebbe ammazzarsi.»
«Ringraziamo le sacre divinità di Nuova Terra e vecchia Terra tutta per averci dato gente intelligente come te.»
«È una fiaba araba e molto istruttiva. Non hai capito niente della storia.»
«Evidentemente, tu sei un pesce tutto intelligente e io tutto stupido. Ringraziamo anche le divinità arabe tutte. Ora dormi e fai dormire anche me.»
Lei grugnì in risposta, ma non aggiunse altro.
Rimase lo scoppiettare del fuoco, il russare rilassato di Sander e il leggero ticchettio della punta del pugnale che Tomas sbatteva su un sasso.
Fu un rumore concitato di i a svegliare Tip. Sbatté gli occhi, perché nel suo sogno stava correndo, e per comprendere la realtà impiegò qualche secondo di troppo. Un fendente luccicò nella notte, dietro un’ombra scura; nell’ovattato momento in cui comprese si trattasse di un pugnale pronto a fargli la pelle, rotolò di lato. Qualcuno emise un suono che voleva essere un grido.
Tip fece per alzarsi.
«Fermati, fottuto ladruncolo», l’ombra gli afferrò una caviglia impedendogli di alzarsi.
Tip scalciò.
Invano.
L’ombra tonda torreggiò su di lui, si gettò sul suo corpo, inginocchiandosi e togliendo tutta l’aria dai polmoni di Tip.
Doveva raggiungere il proprio pugnale, ma di nuovo la lama partì contro di lui; non avrebbe mai fatto in tempo. Nemmeno per una preghiera. Nemmeno per dire mezza parola.
Il gelo perforò le sue carni, sul fianco. Non troppo a fondo, come se il proprietario non avesse avuto forza, tuttavia abbastanza per far sentire Tip lacerato. L’ombra rimosse il pugnale e fece per colpire un altro punto. Sussultò due volte. Spalancò gli occhi nella notte e si accasciò sul corpo di Tip.
Il suono inconfondibile di due spari arrivò alla mente di Tip con qualche secondo di ritardo. Cercò di spostare l’ombra, ma fu JJ a spingerla via, a rigirala e osservarla. «Vaffanculo, è morto. Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo!» ripeté con rabbia isterica.
Tip si lasciò sfuggire un gemito.
Lei strinse le labbra e lo guardò. «Come stai?» domandò mentre li raggiungeva Sander, formulando la stessa domanda.
«Affondato», lamentò in risposta, mentre cercava di sollevarsi a guardare la ferita.
«Merda!» sbottò Sander.
JJ gli aprì la camicia, sbattendo per alcuni istanti le palpebre. «Portami la mia sacca e l’acqua», disse al fratello. «E fai un po’ di luce, il fuoco è lontano», aggiunse mentre l’altro si alzava.
«Tomas?» domandò Tip.
«Sta bene. Si è slogato la caviglia. Erano in tre, due morti e l’altro è scappato, Sander lo ha raggiunto e ha fatto fuori anche lui.» Gli fece bere l’acqua mentre Sander cercava di fare più luce.
«A chi hai rubato la pistola?» le chiese il fratello.
JJ si chinò sulla ferita per pulirla. Poi la studiò con l’aiuto delle fiamme. «Non dovresti avere gravi lesioni interne, ammiraglio. Te la caverai con poco. Devo solo farti qualche cucitura.»
«E come te la cavi?»
«Sono bravissima.»
Lui la scrutò, ma lei era concentrata nel suo lavoro e diede un paio di ordini ai fratelli; le mani piccole, sottili, che si muovevano svelte. «Sei una mocciosa sarta?»
Sander fece un piccolo fuoco accanto a loro e mise una coperta piegata sotto la testa dell’amico.
«Sono una mocciosa guaritrice. Ci ha insegnato nostra zia, era la guaritrice del paese.»
«Me la ricordo, vostra zia. Mi ha sradicato un dente come fosse erbaccia nel suo
giardino.»
«Avrà avuto le sue buone ragioni. È bravissima. Ci ha insegnato un sacco di cose. Io ho usato le sue conoscenze soprattutto per i cavalli, ma non temere, me la cavo con le bestiole come te.» Indicò con il capo i fratelli. «Anche loro in teoria, però non hanno pazienza.»
Tip emise una risatina bassa. «E tu sì?»
JJ gli lanciò un’occhiataccia, scostandosi un ciuffo di cappelli dalla fronte che si macchiò di sangue. «Se non la smetti di fare il cretino, la perderò molto presto.»
Tip sollevò la mano per toglierle la striscia rossa con un pollice e le accarezzò il viso. «Tesoro, toccami quanto vuoi: mi piacciono le tue manine su di me.»
Lei sbuffò, senza scostarsi. «Questo è fare il cretino! Piantala o impallino anche te.»
Tip tornò serio. «È la prima volta che uccidi qualcuno?»
«No.» Dalla risposta secca, Tip comprese che non aveva desiderio di parlarne.
«A chi hai rubato la pistola non importa, ma dove hai preso i proiettili? Se ne trovano pochi in giro, ultimamente.»
«Fai troppe domande, te lo ha mai detto nessuno?»
«Oh, sì.»
Lei non rispose e Tip si concentrò su Sander che aveva messo i tre morti uno accanto e l’altro e stava guardando cosa avessero nelle tasche.
«Mi devi due favori, ammiraglio.»
Tip la guardò sistemare una benda. «Perché due?»
«Perché ti ho salvato la vita e perché ti ho ricucito. I tuoi bellissimi addominali torneranno come prima.»
«È un complimento?»
Lei aprì la bocca e poi la richiuse. «Sì, a quanto sono brava», borbottò. «Sander, portami una delle vostre camicie e aiutami a togliergli questa, così la laviamo.»
Quando ebbero finito, il fratello sbadigliò. «Beh, immagino che oggi non si andrà da nessuna parte. Torno a dormire, domani sistemiamo quei tre. Te la senti di fare il tuo turno, JJ?»
Lei annuì. «Sì.»
«Sei sicura? Stai bene?»
Sollevò il capo a guardarlo. «Potrei stare meglio, su un letto di ricconi a farmi massaggiare i muscoli. Riposati.»
Sander le accarezzò la testa con fare fraterno. «Se serve, strilla.»
Lei ridacchiò. «Sarà fatto.» Guardò Tip. «Dormi.»
«Non ho sonno.»
«Ti farà bene.»
Fece un gesto con la mano. «Non cambia il fatto che non abbia sonno.»
JJ sbuffò e si mise la pistola in grembo. «Allora parlami di te: hai davvero rapito la modificata a quell’uomo?»
«Si chiama Shayl’n e non l’ho rapita. Loro avevano rapito lei e le sue guardie del
corpo e anche me. Mi hanno liberato perché ho detto chi ero e un paio di loro conoscevano papà; e poi sono tornato con Zamar e i suoi amici a liberarli.»
«Perché? In fondo cosa le dovevi per toglierla a chi si era fidato di te?»
Lui fece una smorfia. «La stavo accompagnando, in un certo senso era sotto la mia protezione. E poi non si rapiscono le persone. E si fidavano di mio padre, non di me. E…»
«Quante giustificazioni! Ho capito», lo interruppe. «Insomma, te la scopavi: il grande Tip Esposito con la mezzosangue reale più famosa di Nuova Terra.»
«Non me la scopavo, JJ. Mi ha salvato la vita.»
Lei inarcò le sopracciglia. «Oh, ti piace farti salvare la vita dalle belle ragazze? Potevi dirmelo subito, mi sarei preparata meglio.»
«Ti stai dando della bella ragazza, mocciosa?»
«No! Io non… io… no. Volevo solo capire la storia. Se non ti conoscessi, direi che sei innamorato di lei.»
«Se non ti conoscessi, direi che sei gelosa di lei.»
JJ lo fissò. «E non mi conosci, infatti.»
«Quindi, stai dicendo di essere gelosa?» Nonostante tutto, gli sfuggì un’espressione sorpresa.
Lei aggrottò la fronte. «Sto dicendo che non mi conosci affatto.»
Tip la scrutò. Indossava pantaloni scuri, corti, che le lasciavano le gambe al freddo, tanto che poteva scorgerne la pelle d’oca, e una maglietta larga, con le maniche bombate, sicuramente fatta da qualche donna africana. Era chiara, molto leggera e macchiata di sangue, la sera prima era andata a dormire con una giacca di pelle simile alla sua, l’aveva tolta per metterla sotto la sua testa, prima che Sander ci mettesse la coperta.
«Copriti, fa freddo.» Alzò un braccio. «La tua giacca deve essere da queste parti.»
JJ non se lo fece ripetere due volte.
«Quando eri ragazzino, non eri così premuroso», commentò con aria canzonatoria.
«Non lo sono neppure adesso, mocciosa. Ma non mi piace avere debiti.»
«E, secondo te, salvarmi dal gelo della notte mi ripaga dall’aver ucciso un uomo
per te?» Nella sua voce non c’era ilarità.
«Ti dispiace?»
Lei fece spallucce. «Beh, sei vivo.»
«Ma non volevi ucciderlo.»
«No…» Non riuscì di impedirsi di guardare i tre corpi accantonati lontano dal loro bivacco. «Sander lo fa, dice che se lo meritano tutti, però…» esitò. «La maggior parte delle persone che ho ucciso è stato per sbaglio, perché non sono riuscita a controllarmi. Perdo la testa, non capisco più niente e, dopo, scoprire di averli uccisi mi fa impazzire.»
«A me non sembra che tu abbia perso la testa, prima. A me sembra che ti sia dispiaciuto, ma che poi tu abbia focalizzato il problema del momento, ovvero la mia ferita, e agito di conseguenza con calma. Se fossi impazzita, mi sarebbero toccati o un auto cucitura o il morire dissanguato.»
JJ non credeva che questo fosse vero, lei era cresciuta tra morte e violenza, ma sua madre le aveva insegnato che uccidere era la più vile delle scappatoie. Era colpa di Martine Valicia: lui voleva fare ancora del male e lei lo aveva ucciso, a diciassette anni; da allora non si era più fermata.
Tip la tirò per una manica con un sorriso divertito. «Ehi, mocciosa, non fare quella faccia, mi piacciono davvero le tue manine sulla mia pelle.»
«Ci stai provando con la sorella del tuo migliore amico, ammiraglio?» Nonostante tutto, sfuggì un sorriso anche a lei.
«No, sto provando solo a farla smettere di pensare.» Continuò a tirarle la manica, benché il movimento gli costasse fitte di dolore sotto la benda. «Saresti quasi carina se non tenessi quel muso lungo e contrito.»
«Quasi?»
«Ehi, mica mi faccio salvare solo da belle ragazze.»
JJ gli lanciò un’occhiata truce. «Salvando tua madre, sei sempre stato un figlio di puttana, Gustav!»
«Sono solo sincero.»
«Sei solo uno stronzo.»
«A questo mondo, sono gli stronzi a sopravvivere.»
«Questo perché una scema come me ha deciso di salvarti le palle.»
«Come sei volgare, Jennie Jannacci.»
«Mai come te. E ora stai zitto e dormi.»
Lui sbuffò, ma lei non parlò più e la stanchezza e le pulsazioni regolari della ferita lo fecero assopire molto presto.
5
Il mattino seguente, con il sole che si intravedeva sulle punte delle palme, Sander preparò una colazione abbondante, mentre la sorella si occupava dei due feriti. Poco più tardi, li lasciarono da soli, con le armi e le cure per Tip, caricarono i tre corpi su un cavallo e insieme salirono sulla fulva giumenta di JJ. Sarebbero tornati in tarda mattinata, dopo aver seppellito i cadaveri in un luogo sicuro e dopo aver fatto rifornimento di viveri al villaggio.
«Quando torneremo a casa», disse Tomas prima di aspirare una sigaretta. «Voglio prendere una barca e fare un giro completo delle isole, per il solo gusto di rivederle tutte. E le voglio contare.»
«Dicono che nessuno conosca il numero preciso», osservò Tip, lanciandogli un’occhiata di sbieco.
«Esatto. Io invece voglio contarle e stabilire quante sono.»
«E questa è la prima cosa che vuoi fare?»
Tomas giocherellò con un ciuffetto di capelli, che sotto il sole riverberò uno scintillio dorato. «La prima cosa che voglio fare è rivedere mamma e i miei fratelli. La seconda è cercare Clara De Silva, il secondo più bel culo di Taormina, spero non si sia sposata e se così fosse, spero che ci ripensi.»
«Clara De Silva?» chiese Tip, sorpreso. «Clara dell’Isola Rossa?»
«Proprio lei.»
«Non sapevo ci andassi a letto. Non la vedo da mille anni.»
Tomas lo guardò di sottecchi. «Mi fa girare la testa, quella donna.»
«È notevole», convenne Tip con un sorriso allegro. «E, dimmi, chi avrebbe il culo più bello?»
Con fare plateale, Tomas alzò le braccia al cielo. «Che tutte le divinità marine mi perdonino, ce l’ha mia sorella! E non puoi capire che spreco assurdo sia, quando scelgo una donna, devo fare il confronto con lei. L’ingiustizia divina, non potevano dare il più bel culo a, che ne so, la mia dirimpettaia, quella che abita insieme alle barche del padre, è pure carina. E invece no, dovevano darlo a mia sorella.» Ridacchiò come un ragazzino. «Non glielo dire, Tip, a JJ, intendo: se scopre che dico queste cose mi ammazza.»
Tip scoppiò a ridere. «Sei davvero pessimo, nemmeno Sander arriva a questi livelli. Poi, dopo Clara, me le hai dette tutte, quella lì ha dieci anni più di te, quando noi eravamo piccoli, incontrava i maschietti alle calette del vento del sud. Te lo ricordi?»
Tip e Tomas chiacchierarono a lungo degli aneddoti della loro infanzia, fino a quando rimasero senza argomenti. Fu Tip a continuare a parlare di ciò che
capitava, tuttavia quando l’ora di pranzo ò, rimase silenzioso anche lui. Si sforzò di alzarsi per urinare, poi tornò a sedersi e controllò la ferita, infine propose all’amico di mangiare.
Tomas suonò il proprio mandolino, nel tentativo vano di distrarsi.
Quando si fece sera iniziarono ad allarmarsi: Tomas disse che sua sorella non avrebbe mai lasciato la borsa con i medicinali e la pistola, se avesse avuto intenzione di non tornare subito indietro; ma attesero. Attesero per due lunghi giorni, ascoltandosi l’un l’altro fare ipotesi e tranquillizzarsi; dopo di che, infagottarono quello che avevano, presero i cavalli e raggiunsero il villaggio in cui avevano cenato qualche giorno prima.
Comprarono dell’acqua e chiesero in giro di Sander e JJ; nessuno li aveva visti. Tip cercò un medico, raccontò di essersi ferito per caso mentre lottava con il suo amico.
Dalla faccia del dottore, un uomo barbuto, la pelle del colore delle mandorle e un turbante storto sul capo, era evidente che non avesse creduto al suo paziente; tuttavia non insistette, ma vietò a Tip qualsiasi movimento e lasciò libero Tomas.
Tip rimase nella dependance del dottore, mentre l’amico andò in cerca di informazioni. Dopo qualche giorno, il medico tolse i punti che aveva messo JJ, studiò la ferita e gli disse di ritenersi fortunato. Gli lasciò un unguento e lo congedò.
Tip sostò nella locanda in cui aveva dormito Tomas, che andava e veniva e alla fine lo raggiunse, due giorni dopo, in camera, con le occhiaie per la stanchezza,
la barba lunga e gli occhi sgranati.
«Li hanno arrestati», esclamò a voce troppo alta.
Tip era a torso nudo davanti allo specchio, stava studiando la ferita in via di guarigione che, in quel momento, perse ogni interesse. «Hai bevuto!»
«Sono sobrio», rispose l’altro piccato, benché odorasse senza ombra di dubbio di alcol. «Li hanno presi mentre seppellivano i cadaveri e li hanno accusati di omicidio. Li hanno separati, hanno portato Sander a Nuova Sousse e hanno portato o stanno portando JJ ad Ani El Baltora.»
«Ad Ani El Baltora? Perché?»
«Pare ci siano i parenti delle vittime, lì. La processeranno in loro presenza.»
«La processeranno? Conosco i loro processi», ringhiò Tip vestendosi e afferrando le proprie cose. «La uccideranno, se non peggio.»
«Peggio?»
«Peggio.»
«Cosa pensi di fare? Sander è da tutta altra parte. È più vicino, ma non faremmo mai in tempo a raggiungere JJ, se andiamo prima da lui.»
Tip gli lanciò un’occhiata, prendendo la pistola della ragazza. «Ci separiamo. Vai da Sander e vedi se riesci a liberarlo o a intervenire in qualche modo; a Nuova Sousse sono più diplomatici.» Afferrò l’unguento del medico e lo ficcò nella tasca della sua sacca. «Io vado da JJ, conosco quei posti.»
«E la tua ferita?»
«Sta benissimo.»
Scesero al piano terra, pagarono, ringraziarono e uscirono con urgenza, verso i cavalli.
Tip sistemò la sua sella e montò in groppa alla bestia con i suoi averi e quelli di JJ. «Ci vediamo a Nuova Sousse, al carcere, al tribunale o da Iaafani. Sander sa chi è.»
Fece un gesto con il capo in segno di saluto e partì al galoppo. Corse quasi senza mai fermarsi, se non per prendere acqua, controllare la ferita e far riposare la sua cavalcatura.
Viaggiava sulle strade principali, perché era certo che percorressero quelle più battute e veloci. Corse per undici giorni, ricordando quando una volta suo padre fu arrestato per sbaglio e portato a Nuova Sousse a piedi; oggi non solo avevano
i cavalli, ma potevano avere anche qualche furgoncino veloce; in quel caso il rischio era di arrivare davvero troppo tardi.
Dentro di sé, si maledisse per aver sottovalutato il suo assalitore, aveva pensato che fosse mosso solo da orgoglio, invece faceva sul serio: avergli tolto Shayl’n Til e suoi avvoltoi non gli era andato giù. E ora Tip si ritrovava a salvare le chiappe a una ragazzina che non c’entrava niente.
A due giorni da Ani El Baltora, iniziò a chiedere informazioni, ma fu solo il giorno dopo che ottenne qualche risposta interessante. Due uomini e una donna erano in viaggio con un’assassina per conto della legge, sostavano nella giungla da due giorni e avrebbero cercato volentieri di aiutare Tip a contattare la giustizia locale, in fondo lui era stato mandato dalla giustizia di Nuova Sousse. O almeno, questo era ciò che raccontava.
Tip rubò due stracci da una piccola abitazione, ne bastò uno con il quale si coprì dal naso in giù. Attese la notte e si appostò alle quattro figure ferme attorno al fuoco, caldo e brillante nella notte del sud ovest.
JJ era legata contro un albero, inginocchiata a terra, era con il volto contro la corteccia rugosa, con il chiaro intento di umiliarla. Indossava solo una lunga veste bianca, poco adatta a proteggerla dal freddo della notte e dai pizzichi di zanzara.
La donna era molto vicina a lei, gli altri due, però, non erano neppure a tre metri da loro. Tip sfoderò la pistola di JJ e controllò che fosse carica; mise un cappello sul capo e si chiese se potesse essere credibile come cowboy o se appariva come uno tra i tanti predoni del deserto; in ogni caso, l’importante era che non lo riconoscessero. Con il viso semicoperto, si fece strada tra il fogliame umido e balzò accanto al fuoco.
«Ehi, ragazzi, come va?» disse in uno dei dialetti arabi, puntando contro di loro la propria arma.
Gli altri rimasero fermi, scrutandolo. Uno dei due uomini inclinò il capo, facendo un sorrisetto. «Fratello, abbassa l’arma; cosa vuoi, un po’ di cibo? Rilassati, mangia con noi.» Aveva anche lui un’arma da fuoco a portata di mano.
«Davvero, fratello?»
L’altro indicò la pentola. «Tutto quello che vuoi», replicò compiacente.
Tip indicò JJ con la punta della pistola. «Voglio la ragazza.»
«È una puttana assassina», sbraitò la donna, che aveva la paura disegnata sul volto e sulle corde vocali.
L’altro uomo non cambiò espressione. «Non è male, vero? Te la posso dare per stanotte, fratello. Ma domani va dritta alla forca dei parenti di quel poveraccio che ha ucciso, non ti consiglio di fare troppi progetti.»
«Io non ti consiglio di mandarla per le lunghe. La ragazza, ora. Liberala.»
«La conosci?» chiese il secondo uomo.
«No. Ma conosco quel farabutto che lei avrebbe ucciso. Se lo meritava, sai.»
Il primo uomo si alzò.
«Non ti ho detto di muoverti.»
Fece spallucce. «Non devo liberarla?»
«Fallo fare alla donna.»
Si scrutarono qualche secondo, Tip credeva che alla fine lo avrebbero ascoltato, invece l’uomo si mosse velocemente e afferrò la pistola. Tip lo freddò due istanti dopo. La donna urlò. Il secondo uomo sfoderò la propria arma.
«Io non lo farei», intimò Tip.
Ma quello non ascoltò e Tip sparò alle gambe, facendolo gridare e cadere a terra.
La donna alzò le mani. «No, no.»
Tip la ignorò, raggiunse l’uomo e prese la sua arma, gli assestò un calcio, prima
di piegarsi e prendergli con forza le mani che tenevano la gamba lesa.
La donna piagnucolò.
«Libera la ragazza», le ordinò Tip. Quella non se lo fece ripetere due volte e armeggiò con i nodi, mentre Tip legava i polsi del ferito. JJ si sedette a terra per sciogliere i nodi alle caviglie e Tip legò anche la donna. «È un’assassina», ripeteva tra sé e sé.
Tip la legò alle spalle dell’uomo e la guardò. «Quando si farà giorno, tornate sulla via principale, forse qualche anima pia deciderà di slegarvi.»
Prese tutte le loro armi, da fuoco e non, le munizioni, il cibo, da bere e li caricò su uno dei loro cavalli. Recuperò il proprio e aiutò JJ a salire, infine montò dietro di lei e partì al galoppo.
6
Era metà mattinata quando si fermò lungo il corso di un fiume e scese da cavallo. Osservò la ragazza: aveva un occhio livido, un labbro gonfio e piedi e polpacci pieni di graffi. Tutti e quattro gli arti bruciacchiati dal sole equatoriale, lì dove il vestito cencioso era strappato, lasciandole la pelle scoperta. Tip prese uno dei due stracci che aveva rubato, tolse gli stivali, la prese in braccio ed entrò dentro l’acqua con lei.
«Se ti lascio, riesci a reggerti in piedi?»
JJ fece un mezzo sorriso e annuì. Non aveva detto una parola da quando l’aveva recuperata. Tip la lasciò, bagnò lo straccio e le pulì il viso. «Questa sarebbe la nostra giustizia?» brontolò cercando di togliere terra e sangue incrostati sui capelli.
«Ho cercato di scappare», spiegò lei con la voce rauca.
«E hai fatto bene.» La voltò con gentilezza, fregando il collo impolverato.
«Mi hanno fatta camminare dietro ai cavalli, a piedi scalzi. Ma ho solo dei taglietti.»
Tip le abbassò la veste sulla schiena, rivelando un tatuaggio alla base del collo che rappresentava un cavallo in corsa verso lo spettatore. «Ne è valsa la pena:
hai rallentato loro il o e hai evitato di arrivare a destinazione; non credo ti avrebbero lasciata sopravvivere.»
JJ sollevò appena le spalle e gli prese lo straccio di mano. «Posso?»
«Sì.»
«Posso rimanere da sola?»
Lui esitò. «Sì, certo.» Tuttavia non si mosse. «Jennie, loro… non ti hanno…»
Lei distolse lo sguardo. «No. La donna non glielo ha permesso.»
«Va bene. Scusami. Torno ai cavalli, chiamami quando hai fatto, così ti vengo a prendere e lasci guarire i piedi. Ho la tua borsa con i medicinali, se serve.»
Le sfuggì un sorriso imbarazzato e si piegò a bagnare lo straccio.
Tip la lasciò da sola e tornò a prenderla per rimetterla in sella; mangiarono qualcosa lungo il cammino e si fermarono solo per i propri bisogni. JJ si addormentò tra le sue braccia e lui continuò a o spedito percorrendo così molta strada, fino a che la notte tra le palme e gli alberi del paradiso non divenne troppo scura e le gambe troppo dolenti. Si accamparono alla meglio e cenarono con lo stesso cibo del pranzo: carne secca e baghrir.
JJ sollevò il viso a guardare le stelle oltre gli alberi. «Da che parte stiamo andando?»
«Verso il mare. A nord ovest.»
Lei incrociò il suo sguardo. «Non ci cercheranno in quella direzione», notò. «Ma Sander sarebbe stato processato dopo un mese, non faremo mai in tempo.»
«Se Tomas non è riuscito a liberarlo, sarà comunque lì con lui. Non posso salvarci la pelle e portarti da lui per il processo nello stesso tempo.»
JJ lo guardò di sottecchi, prima di aprire un barattolino che aveva nella propria borsa. «Non ti stavo rimproverando.»
«Non l’ho preso come un rimprovero. Mi dispiace non riuscirci, vorrei essere lì anche io.»
«Lo so», mormorò andosi un unguento sui taglietti delle gambe e dei piedi.
Lui sospirò. «Domani iamo in un centro abitato. Ti prendo un paio di scarpe e dei vestiti.»
«Va bene. La tua ferita come sta?»
Scrollò le spalle. «Mi sono fatto togliere i punti e ho continuato a metterci il cicatrizzante che mi avevi dato.»
JJ chiuse il barattolo e lo mise via.
«Come hanno fatto a prendervi? Tomas non ha fatto in tempo a dirmelo, sono corso subito qui.»
Lei trasse un lungo respiro. «Beh, non è stato molto complicato: avevamo seppellito il primo e stavamo procedendo con il secondo. Eravamo sotto la sponda del fiume, non li abbiamo neppure visti arrivare. Erano in sei e l’idea di scappare credo non sia ata per la mente neppure a Sander: mi ha guardata, ha fatto una smorfia e a loro ha detto un normalissimo “non è come sembra”. Ovviamente non gli hanno creduto.
Il resto non lo so. Non so cosa lui abbia detto. Io ho negato l’omicidio. Ci hanno separati e mi hanno spedita ad Ani El Baltora, perché una delle vittime era stata identificata e uno aveva detto che i parenti erano di qua. Non ci hanno pensato troppo: detto fatto.»
Tip gonfiò le guance a palloncino e tirò fuori l’aria. «Spero che Tomas abbia liberato Sander, altrimenti non sarà una cosa facile.»
JJ fece un’espressione indecifrabile e restò ad ascoltare i rumori della notte, dietro lo sfrigolare del fuoco.
«Te la senti di fare il secondo turno di guardia?»
«Faccio il primo. Ho dormito oggi pomeriggio.»
Tip le ò le armi. «Come dice tuo fratello: se succede qualcosa, urla a squarcia gola.»
Si risvegliò con la luce del sole e la prima cosa che vide fu il profilo di JJ, concentrata a pulire le armi da fuoco. Era china sulle ginocchia, chiare e magre; il suo viso sembrava meno un mascherone di violenza e la luce del mattino le conferiva un aspetto delicato e fanciullesco. Il taglio di capelli corto, il riflesso ramato e lo sguardo intento ricordarono a Tip il signor Comar Jannacci, piegato sulle reti da pesca, quando erano bambini. Lei, come Sander, e diversamente da Tomas, gli assomigliava molto, benché fosse molto femminile e avesse i colori della madre.
Sentendosi osservata, JJ si voltò verso di lui e gli sorrise. «Buon giorno, ammiraglio.»
Tip si mise a sedere. «Perché non mi hai svegliato?»
Fece spallucce. «Dormivi così bene.»
«Hai bisogno di dormire anche tu.» Tip si stiracchiò prima di ripiegare la coperta.
«Ho tutta la giornata per farlo.»
«Non è la stessa cosa.»
JJ lasciò le armi e raccolse le proprie cose. «Ti lamenti come una donna, Gustav Esposito.»
«Scusami tanto se mi preoccupo per te.»
Si lasciò aiutare per montare a cavallo. «Inizi tardi a farlo.»
«Come dicono i saggi, meglio tardi che mai.»
«Che è una giustificazione assolutamente inutile.»
Tip le fece il verso e accarezzò il muso del cavallo. «È una mocciosa», disse rivolto alla bestia.
«Sai dove si trova la mia?»
«La tua cosa?»
«La mia giumenta. Quando ci hanno arrestati se la sono portata via. Si chiama Ariath e sta con me da quasi due anni.»
Tip si fece serio, continuando ad accarezzare il muso del castrone sottratto ai carcerieri. «Non ne so nulla, né della tua né di quello di Sander. Mi dispiace, lo sai come vanno queste cose.»
Se lo sapesse o meno non importava; JJ distolse lo sguardo, accigliata. «Beh, pazienza. Non ci ero molto legata», mentì. «Andiamo. Dove vai?» gli chiese vedendo che si allontanava.
Tip fece una smorfia, togliendo la maglia con cui aveva dormito. «Posso fare pipì e darmi una sciacquata oppure ho bisogno del tuo permesso?»
JJ si morse l’interno del labbro, osservando la muscolatura delineata del torace, e distolse lo sguardo. «Permesso concesso.»
«Ma non te l’ho chiesto!»
«Muoviti.»
Tip si allontanò parlottando.
Ripresero il cammino e a ora di pranzo raggiunsero un gruppo di case, dove trovarono del pane fresco e delle patate. L’unico paio di scarpe erano dei costosissimi stivali provenienti da Nuova Sousse, che nessuno usava perché troppo caldi per quelle temperature. Tip li prese comunque e prese un paio di camicie da uomo e dei pantaloni molto leggeri.
Viaggiarono altri tre giorni prima di vedere il mare in lontananza.
JJ, che ora stava sull’altro cavallo, lasciò scorrere le redini sui guanti che aveva recuperato dalla propria borsa e galoppò avanti a Tip, su uno dei pochi punti pianeggianti che avevano trovato. Il ritmo degli zoccoli sul terreno, la potenza dei muscoli dell’animale sotto di lei, il vento sul viso; JJ si concesse un sorriso.
Tip decise di rincorrerla e gareggiarono lungo la piana, fino a che raggiunsero la foresta, poi decisero di fermarsi, a ridosso di un fiume, per mangiare e riprendere fiato. C’era un caldo appiccicoso, e gli insetti pizzicavano la pelle sudata.
Sistemarono di nuovo i bagagli, ma decisero di riposarsi un po’ e di ripartire nel primo pomeriggio. «Riempiamo i contenitori di acqua», suggerì JJ.
«Sì, ma non troppa», replicò lui prendendo la propria borraccia. «Non ce n’è bisogno: seguiamo il corso del fiume e arriviamo a Barkesh, poi seguiremo la costa fino a Nuova Sousse.
«Quanto pensi ci vorrà fino a Barkesh?»
«Spero di esserci tra un paio di giorni. Conosco qualcuno che potrebbe ospitarci e magari darci una stanza un po’ più fresca.»
JJ annuì. «In questo momento vorrei essere nelle terre dei modificati a prendere un po’ di freddo.»
«Ora che la guerra è finita, mi piacerebbe andarci.»
JJ si fece largo tra le fronde per raggiungere un punto comodo e riempire la bottiglia. «Ci pensi mai alla mezzosangue? Magari a quest’ora potevate stare insieme, tu potevi essere famoso.»
«Sono già famoso, mocciosa. E sì, mi capita di pensarle, ma è qualcosa che come è arrivato se n’è andato, piacevole nella sua… inconsistenza.»
JJ sollevò un sopracciglio. «E non ti dispiace?»
«No.»
Lei rimase in attesa.
«Non eravamo fatti per stare insieme.»
«Perché?»
«Apparteneva a un altro.»
JJ inclinò il capo. «Oh, davvero carino da parte tua. Belle parole. Ma…»
«La pianti di farti gli affari miei? »
«Era per parlare», si difese con tono lagnoso, sollevandosi dopo aver riempito la bottiglia.
«Allora parliamo del tuo fidanzato. Non ti sposi? Sei troppo acida per tenertene uno?»
«Non sono troppo acida e non ho un fidanzato. E non lo so, se voglio sposarmi.»
Tip bevve dalla propria borraccia. «Perché no? »
«Perché sì?»
Lui si grattò la testa. «Beh, non lo so, insomma, capisco che tu non sia una giumenta ben piazzabile, ma tutte le mocciose vogliono sposarsi.»
«Smettila di insultarmi.»
La ignorò riempiendo ancora d’acqua il proprio contenitore. «Forse hai altre esigenze.»
JJ tornò sui loro i. «Spaccare il culo a quelli come te? Oh, sì.»
«Me lo puoi dire, sai?» La seguì. «Voglio dire, io non ho problemi, se sono le donne che…»
JJ si voltò verso di lui, gli strappò la borraccia di mano e gli versò l’acqua addosso. «Mi hai rotto le palle.»
Tip rimase interdetto qualche secondo, infine decise di ricambiarla e allungò le mani sulla bottiglia della ragazza.
Lei scartò. «Non ci provare.»
«Non mi sfuggi, nessuno mi fa questo senza rimanere impunito.» Le corse dietro, mentre lei saltellava a destra e a sinistra, svuotando nello stesso tempo la propria bottiglia; era vuota quando alla fine la raggiunse. «Per tutti i merluzzi, sei una ragazza o una ranocchia?»
JJ tentò invano di liberarsi delle braccia di lui, che le stava dietro; non riuscendoci, si piegò in avanti e poi di lato, nel tentativo di farlo cadere. Quando lui perse l’equilibrio, però, non la lasciò ed entrambi finirono a terra. «E tu non sei un ammiraglio, sei una cozza appiccicosa», brontolò con un ansito.
Tip la tenne stretta fino a quando lei smise di agitarsi.
«Ok, mi hai presa, e allora? Dobbiamo stare qui per il resto del giorno?»
Con un po’ di forza, Tip la girò sotto di sé e le bloccò le braccia. «Non lo fare mai più.»
«Gne, gne, gne.»
«Oceano nero, sei insopportabile.»
«Io sono insopportabile? E tu allora?»
«Io sono senza cuore, ranocchia mocciosa, ma sono un uomo, tu invece sei una ragazzina, dovresti innamorati di un brav’uomo, sposarti e fare tanti bei bambini.»
«Ma sentiti, nemmeno mia madre parla così», replicò cercando ancora di liberarsi della presa ferrea di lui. «E poi io, nell’amore, non ci credo. È una parola inventata dagli uomini per innaffiare e dalle mamme per avere nipoti.»
Tip scoppiò a ridere, lasciandola finalmente libera. «Questa è bella.» Si sedette accanto a lei togliendosi l’erba dalla maglietta. «Quanti anni hai adesso, diciotto, diciannove?»
JJ sbuffò. «Ho ventitré anni e mezzo, cabròn. Altrimenti come facevo a fare l’alzabandiera quando eri ragazzino?»
«E mezzo? Di solito i bambini aggiungono il “mezzo”, invece tu sei grande e dovresti avere un marito e dei figli; ma ci sei mai stata con un uomo?»
Lei strabuzzò gli occhi. «Questa è una domanda personale.»
«Quindi non ci sei mai stata.» Sollevò un sopracciglio, divertito.
Lei gli puntò contro uno sguardo algido e si alzò, finendo di gettar via erba e terra dai pantaloni. «Qualcuno si è preso quello che ha voluto», disse in tono secco.
All’improvviso conscia di quanto le fosse uscito di bocca, fece per allontanarsi, ma Tip scattò in piedi e cercò di farla voltare, trattenendola per un braccio, invano.
«JJ…»
«Lasciami.»
Lui la lasciò. «Mi dispiace»
Lei sollevò appena lo sguardo. «Non è come pensi.»
«Io non so…»
«Gustav», lo interruppe. «Non sono affari tuoi.»
Tip non insistette, la seguì in silenzio, tornarono a riempire i contenitori di acqua e raggiunsero i cavalli; si rimisero in cammino scambiando solo poche parole.
7
La sera si fermarono su un promontorio dal quale era possibile vedere le flebili luci di alcuni villaggi e la vastità del Mar Mediterraneo.
L’aria era fresca e umida, nel cielo notturno non c’era una nuvola. La Via Lattea si disegnava imponente sopra le loro teste; una fascia di luce chiara, frastagliata, che Tip aveva imparato a conoscere con suo padre, da bambino, e che ancora oggi, ogni notte, innescava in lui un tripudio di emozioni.
JJ tolse la corteccia dal bastoncino di swak, prima di bagnarlo con l’acqua e potersi pulire i denti con le setole al suo interno. Quando ebbe finito ripose il tutto nella propria borsa.
«Pensi che a Barkesh sia arrivata l’elettricità?»
«Non credo, lo scorso mese avevano tutto pronto a Tampar, ma niente di funzionante. Come al solito corrente che va e viene.»
«So che a Barkesh volevano impianti solari.»
Tip, seduto accanto a lei davanti al fuoco, fece una smorfia. «Figurati se al nuovo governo frega qualcosa di contrattare con gli Stati Membri dell’Oceania per un po’ di luce.»
«Doukkali ha tutte le possibilità di farlo e ne gioveremmo tutti a lungo termine.»
«Beh, vedremo», replicò Tip in tono secco.
Lei si alzò, prese la propria coperta e la stese accanto a quella di Tip, fissarono il fuoco a lungo, come rapiti, fino a che lei non ripiegò le ginocchia e si schiarì la voce.
Avvertendo lo sguardo di Tip su di sé, però, le viscere si contorsero e la sua mente arrancò nel tentativo di affrontare altre strade. «La cavalla che era a Mizke, quella che hai montato quando siamo venuti a vederti dal tuo amico, prima della festa.»
«Sì?»
«È tua?»
Tip fece scrocchiare il collo. «No. Si chiama Fiamma della Notte; è molto bella, vero?»
JJ si rilassò. «Sì, molto. Pensavo fosse tua, mi sembrava che aveste un buon affiatamento: ha fatto tutto quello che le dicevi di fare, anche quando le hai chiesto il massimo, lì in mezzo alla polvere. Era una bella immagine, voi due al tramonto; lei sembrava fosse fatta apposta per te.»
Rendendosi conto della velocità con la quale stava parlando e del silenzio di Tip, si fermò.
Tip annuì. «Purtroppo è di un uomo che l’aveva portata per farla domare, anzi, avrei dovuto darla indietro prima.»
«Senti, riguardo quella cosa di oggi…» azzardò infine JJ, incapace di trattenersi. «Non so cosa io abbia lasciato intendere, ma non è come hai capito… non proprio.»
«Non devi spiegarmelo. »
Lei non vi badò; le parole le uscirono di bocca come non le era mai successo. L’urgenza di raccontare qualcosa che per anni era rimasto chiuso dentro di lei; raccontarlo a qualcuno che conosceva da sempre e non abbastanza da sentirsi legata. Qualcuno che avrebbe compreso, senza guardarla con comione.
«Eravamo in uno dei villaggi qui in Africa. Mamma, le mie due sorelle e Tonio erano rimasti a casa come sempre, Sander doveva essere da qualche parte con te, non lo so, comunque poteva permettersi di pagare un affitto per una casa minuscola, di quelle in paglia, di un suo conoscente. Ero con Tomas, in quel periodo lui la notte faceva la guardia alle capre, perché nel villaggio c’erano stati diversi furti notturni e il proprietario di casa voleva che qualcuno controllasse. La padrona di casa faceva un pane buonissimo, così buono che la conoscevano tutti, lì.»
«Ghita.»
«La conosci? »
Tip si limitò ad annuire.
«Beh, io portavo le sue gustose opere in giro, anche in altri posti, per chi non poteva permettersi di viaggiare. Così ho conosciuto un ragazzo. Era della Repubblica del Mediterraneo, del sud, vicino alle Isole di Taormina, non ricordo dove di preciso, insomma, mi sembrava uno dei nostri. Ho iniziato a vederlo spesso, a volte la notte rimaneva a dormire da me, perché Tomas non c’era. Quando ha chiesto di più l’ho accontentato; è stato… irruento, a volte doloroso, ero certa che fosse colpa mia. Lui mi derideva per questo. Avevo sedici anni e non avevo amiche abbastanza amiche da starmi a sentire.
Una sera mi portò a una festa molto bella, di quelle che fanno le Tribù del Sud; mi fece conoscere i suoi amici e mangiammo carne a volontà, una delle poche volte in cui ho mangiato in abbondanza. C’erano i cavalli, io adoro i cavalli, e c’era gente di ogni tipo.»
«È la festa del solstizio di inverno.»
«Sì, non l’avevo mai vista. Quella sera mi è parso di vedere il mondo intero in un’unica piana. Ho mangiato, ho bevuto, sono stata male e ho ribevuto. Martine mi ha accompagnata a un ruscello, per farmi riprendere, e poi abbiamo continuato a bere, lì, nell’oscurità.»
JJ si morse il labbro inferiore. Si chiese se fosse vero che stava raccontando quella storia al migliore amico di suo fratello. Tip era certo che le mani, intente ad accarezzare fili di erba oltre la coperta, le tremassero, tuttavia non le disse niente.
«Mi ha spogliata, è salito su di me e ha fatto quello che faceva di solito. Avevo la mente altrove, pensavo che c’erano le stelle, che era romantico, che… presto sarebbe finito. Ma non finiva mai. Non vedevo quasi niente, le sensazioni erano distorte. In un primo momento io… io…» La voce le si spezzò in gola. Fermò le mani e fissò un punto a terra, poi allungò un braccio sulla sinistra. «C’era qualcuno qui. E di qua… dalla parte opposta. E, non lo so, dovevano essere in quattro, le altre volte erano sempre in quattro. Non so i loro nomi e non ricordo i loro volti, era sempre tutto buio. Bevevo, bevevo sempre, e mi drogavo, sapevo cosa mi aspettava e prendere certe cose mi rendeva tutto più facile, fingevo di farmelo andare bene, mi dicevo che mi piaceva così; non ho mai fatto troppi problemi.
Da una donna di un altro villaggio mi sono fatta spiegare come evitare una gravidanza, aiutavo mia zia con le cure e di piante medicinali me ne intendevo un po’; tutti i giorni - anche adesso - continuo a usare questo rimedio. Hanno fatto quello che volevano con il mio corpo: se durante i rapporti piangevo o provavo a ribellarmi, mi picchiavano e ferivano l’interno gamba della mia cavalla, così ho smesso subito; solo una volta ho detto a Martine che volevo smettere, mi ha detto che non era vero e che se lo avessi fatto avrebbe detto a mio fratello che lo facevo con cinque ragazzi insieme.
Dopo quel giorno, cercavo di mandare ancora più in fumo la mia mente. Per lo più, ci riuscivo.
Non hanno mai chiesto cosa volessi, cosa pensassi, non gli importava di me; io non dicevo nulla, né a loro, né ad altri, nemmeno a me stessa. Poi, una volta, in uno dei villaggi dei due fiumi, ho visto Martine con una ragazza, una ragazzina.»
Per la prima volta da quando aveva iniziato a parlare, incrociò lo sguardo con quello di Tip. «Avrà avuto tredici anni. Li ho seguiti. Lì, tra le valli, ci sono foreste molto fitte. Quando l’ha lasciata andare, l’ho affrontato. Gli ho detto che non avrebbe rovinato anche la sua vita, che era troppo piccola, lui mi ha risposto che era una puttanella come me e che le sarebbe piaciuto.»
JJ inspirò a fondo e rilasciò piano l’aria, strappò un filo d’erba e ne fece un fiocchetto.
«Sono andata dalla ragazzina e le ho detto che non doveva più vederlo e cercarlo, perché era una persona cattiva.»
Visto che non aggiungeva altro, Tip annuì. «E ti ha ascoltata?»
«In un certo senso…»
«Strano che lui ti abbia ascoltata.»
Lei aprì la bocca e la richiuse.
«Jennie…»
«Non mi ha ascoltata! Ma non poteva fare altro, non poteva più fare altro: era morto. È morto nella foresta tra i due fiumi. Ucciso da una diciassettenne.»
Tip aprì e chiuse la bocca. Infine la guardò. «Tesoro, non ti dirò se sia stato giusto o meno, non ne ho idea, ma leggo colpa nel tuo viso e questo non è giusto.»
Lei fece un sorrisetto tirato. «Qualche anno fa, ne ho accennato a una donna medico di quelle delle Tribù del Sud, non so perché ne parlai con lei, forse perché aveva capito e mi aveva chiesto; è stata l’unica a sapere. Mi disse che non tutti gli uomini sono così, ma che la maggior parte delle donne vive quello che ho vissuto io almeno una volta nella vita e non potevo essere biasimata per aver salvato la vita a un’altra ragazza, una che neppure conoscevo.»
Tip le ò un braccio sulle spalle e l’attrasse a sé, con dolcezza, lasciandole appoggiare il capo nell’incavo del collo.
«È la prima volta che mi chiami tesoro», sussurrò lei dopo qualche minuto.
«Ti sbagli, ho detto mocciosa.»
«Ah-a.»
Tip le tirò un ciuffo di capelli.
«Comunque non ho più visto quei ragazzi e ci ho messo due anni abbondanti per riprovare: sono stata con altri due, il primo mi ha detto un sacco di cose carine, ma poi se ne è andato senza motivi; l’altro si era preso una vera cotta per me,
ma… non lo so, non mi piaceva, benché avessi preso in considerazione l’ipotesi di sposarlo.»
«Doveva essere un santo.»
«Lo era. Però non mi ha aspettata, si era scocciato del fatto che me ne andassi in giro con Tomas o Sander, scocciato del fatto che i miei sentimenti fossero incerti. Mi ha lasciato con un pugno di mosche e non potevo nemmeno rimproverarlo, ho pianto come un’isterica, ma la verità era che lo avevo portato io a sparire.»
«Se ti avesse amata, sarebbe rimasto, piccola pesciolina tutta intelligente.»
«L’amore non esiste, quello che tu chiami amore è un gioco effimero di cui nessuno ci ha insegnato le regole, perché ognuno si fa le proprie. L’amore è la massima espressione dell’opportunismo. E, se io fossi stata lui, non avrei resistito così tanto.»
«Neppure io.»
«Tu non aspetti neppure di finire la cena, Gustav.»
«Non esagerare.»
«Sander mi ha raccontato che frequentavi una ragazza di Mizke, una tuareg, una
di quelle dalla pelle nera e senza un pelo.»
Tip scoppiò a ridere. «Per l’oceano nero! Raaihma Tourè, sì; la ricordo, lo aveva, qualche pelo, e non era niente male, ma era davvero insopportabile. Una sera stavamo cenando e mi ha chiesto di conoscere la sua famiglia, beh, mi sono alzato e me ne sono andato.»
JJ sollevò lo sguardo su di lui; qualcosa in quella risata genuina aveva disteso l’atmosfera e le aveva scaldato il sangue nelle vene. «Sei senza cuore.»
«Mai negato il contrario.»
«Poi ti chiedi perché io non voglia sposarmi: sono le favole che raccontano le mamme e gli uomini che vogliono averla a portata di mano per svuotarsi.»
«È probabile, ma piace anche a voi.»
«A me no. Mi piace l’idea, mi piace l’estetica, ma poi nella pratica non è questo granché. Direi che è sopravvalutato.»
«Perché non lo hai mai fatto davvero. Dovresti provare con qualcuno che se ne intende.»
JJ lo guardò di sottecchi. «Tipo con te?»
Lui emise una risata bassa, sciogliendo l’abbraccio. «Sei la sorella di Sander, non metterti in testa strane idee: tuo fratello mi ammazzerebbe.»
«Mio fratello non deve necessariamente saperlo.»
Tip sistemò la coperta e la sella dietro la testa. «Non tentarmi.»
«Oh, sono una tentazione, adesso?»
«Sei una mocciosa insopportabile.»
Lei alzò gli occhi al cielo, ma lui non la vide perché aveva chiuso i propri sotto il cappello. «Questo me lo hai già detto. Non sarà invece che tu non sei quel qualcuno che se ne intende? Errore mio che non l’ho messo in conto.»
Tip non si mosse neppure.
JJ lo pungolò con uno dei rametti che avevano radunato per il fuoco. «Lo so che non stai dormendo.»
«Svegliami quando è il mio turno.»
«‘fanculo», borbottò.
«Ti ho sentita.»
«‘fanculo due volte.»
«Grazie, pesciolina, buonanotte anche a te.»
8
Nel pomeriggio del giorno dopo Tip fece una deviazione dalla strada principale che stavano percorrendo dalla mattina, l’unica che fosse asfaltata. JJ drizzò le spalle, vedendo che imboccava un sentiero dalla terra rossa tra i banani rigogliosi.
«Dove stiamo andando?»
«A trovare un amico.»
«Beh, di certo l’orientamento non ti manca», commentò con un borbottio che lui non udì.
Quando raggiunsero una casa bassa e tozza, Tip scese da cavallo e chiese di Nourredine Bramiv ad alcuni ragazzini che stavano giocando con una palla fatta di foglie di banana.
Un uomo alto, corpulento, dalla carnagione olivastra e i capelli neri, venne verso di loro con un gran sorriso. «Tip, che bello rivederti», disse con un forte accento arabo.
I due si abbracciarono con affetto. «Sono qui per caso.»
«Come sempre.»
Indicò JJ con un pollice. «Ho salvato questa ragazzina da un’ingiustizia.»
«Anche questo, come sempre.»
JJ si morse la lingua per non replicare.
«È la sorella di Sander. Te lo ricordi?»
«Come no?» La squadrò. «Gli assomigli. Come sta?»
«Non bene», rispose Tip. «Si trova a Nuova Sousse, anche lui vittima di un’ingiustizia.»
«A sentire te, i tuoi amici sono tutti vittime di ingiustizie.» Nourredine scoppiò a ridere. «Dai, non ve ne state lì impalati. Volete bere qualcosa? Abbiamo giusto l’acqua sul fuoco.»
Tip annuì. «Ci servirebbe anche una stanza o un angolo qualsiasi, se lo hai. Rimaniamo solo stanotte. Domani vorrei essere a Barkesh, Il Cammello ha un debito con me e vorrei incontrarlo prima di proseguire per Nuova Sousse; iamo da Zamir. Abbiamo i tempi stretti e non siamo qui per un viaggio di piacere, purtroppo.»
Nourredine scoppiò a ridere di nuovo, mentre JJ scendeva a terra. «Lo hai mai fatto un viaggio di piacere, ragazzo?»
Tip replicò accennando una boccaccia.
«Va bene, vi faccio preparare un buco e vi offro qualcosa.» Chiamò due ragazzini e gli diede un paio di ordini in arabo, quelli schizzarono via e Nourredine chiese a un ragazzo di prendere i cavalli.
Fece entrare i due ospiti in casa, un’abitazione modesta, piccola, ma di ampio respiro perché aveva tutte finestre. Una donna salutò Tip con un paio di battute premurose e si affrettò a liberare un tavolo pieno di banane, posando biscotti e tazze fumanti sul ripiano in legno.
Tip spinse JJ sulla panca di legno, verso il muro e si strinse accanto a lei. «Non preoccuparti, Adrah, c’entriamo.»
La donna annuì e chiamò Nourredine. «Torno subito. Voi fate con comodo.»
JJ guardò i biscotti e la tazza fumante.
«Spostati», ordinò Tip, schiacciandola verso il muro.
«Non ci entro.»
«Non starti a lamentare. Tieni, prendi», le porse un biscotto, che lei prese sospettosa.
«Occupi tutto lo spazio, cabròn.»
Lui piegò una gamba sull’altra poggiando il ginocchio sulla coscia di lei. «Sì, e anche di più. Su, su, mangia, qui si offendono facilmente, claro?»
Gli lanciò un’occhiata torva. «Se la prendessero con te, che porti sempre ragazzine qui.»
«Sì, la loro figlia più grande. Dovresti vederla, è bellissima, i capelli lunghi, nerissimi e due occhi in cui perdersi.»
«Immagino.»
Tip le fece una smorfia divertita. «Adesso dovrebbe avere quattordici o quindici anni.»
JJ sbuffò. «Guarda che non sono gelosa.»
«Immagino», bofonchiò in risposta masticando un biscotto che aveva messo in bocca intero.
«Potresti spostare la tua stupida gamba? Non c’è spazio qui.»
Tip prese un altro biscotto. «Sono buonissimi.»
«Spostati.»
«Perché? Sto comodo.»
«Io no.»
«Pazienza», replicò mettendo in bocca due biscotti assieme.
JJ sospirò e assaggiò la bevanda, scottandosi la lingua e imprecando subito dopo. Nourredine li raggiunse e prese la propria tisana rimanendo in piedi e chiacchierando come se non avesse mai fatto altro in vita sua. JJ giocherellò con le cuciture dei pantaloni di Tip e più volte fu tentata di addormentarsi.
Cercava di seguire i discorsi, tuttavia solo Tip riusciva a capire un arabo colloquiale e spedito come quello della famiglia di Nourredine.
Erano in tanti, almeno una dozzina di persone tra adulti e bambini e lo spazio era quello che era; per fortuna, i bambini stavano per lo più fuori casa e la moglie di Nourredine se ne stava da una parte, anche durante la cena a base di pollo e banane.
La figlia più grande, che in effetti era di una bellezza magnetica, cercò di intavolare un discorso con JJ, che la esaminò per qualche istante prima di parlare. «Non capisco», mentì. «Parli troppo veloce.»
La ragazzina, in piedi dietro la sedia di JJ le sorrise in imbarazzo e riprovò. «Mi dispiace, lalla, io parlo più piano.»
JJ, però, non aveva nessuna voglia di chiacchierare con lei e si limitò a ostentare un sorriso a sua volta, prima a lei, poi alla madre e poi a un ragazzino strabico. Tip continuava ad ascoltare Nourredine, tuttavia aveva preso la mano di JJ con la propria, tenendola contro il ginocchio e impedendole di grattare la cucitura dei pantaloni.
Adrah le porse un vestito, era intero, giallo e marrone e fatto di una stoffa leggera. Lei lo prese, ringraziò, ma non lo mise. La ragazzina, tutta sorridente, tentò un nuovo approccio mentre il fratello toccava i capelli di Jennie; lei non le diede spago ancora una volta e si allontanò dalle mani appiccicose del bambino.
Riuscì a non emettere alcun suono irritato quando scoprì che il letto in cui avrebbero dormito era un cumulo di erba secca nella stanza dei figli di Nourredine. Quando le luci furono spente e Tip smise di fare il buffone per far ridere i bambini, JJ ringraziò il cielo, voltandosi verso di lui.
«Sono tutti così appiccicosi», sussurrò in iuropìan romanzo.
«Sono carini», la contraddisse, sdraiandosi accanto a lei.
«Per niente.»
Tip sollevò lo sguardo su JJ, nell’oscurità ne distinse a mala pena il capo. «Sei la solita mocciosa acida.»
«Potrò anche essere acida, ma questi sono stucchevoli, ti si appiccicano addosso, in tutti i sensi.»
Le ò un braccio attorno al corpo e l’attrasse a sé. «Stai zitta e falli dormire.»
Lei rimase in silenzio, sorpresa da quel gesto, e lasciò che il respiro di lui calasse sui suoi capelli, fino a che si addormentò.
***
Partirono il mattino dopo, molto presto e non molto riposati.
Nourredine regalò loro un sacchetto di noci moscate.
«Ecco cos’erano quegli alberi intorno a casa loro», osservò JJ schiacciando una zanzara sul braccio. «Mi sembrava di conoscerli, ma non ricordavo cosa fossero.»
«Qui ci sono molte coltivazioni di questo tipo, le noci moscate le vendono ovunque.»
JJ annuì. «Sì, ma ce ne sono diverse anche a sud est: ne hanno così tante che neppure le raccolgono tutte, perché non hanno abbastanza acquirenti. Io e Tomas le raccoglievamo per strada.»
Tip fece un’espressione piena di significato. «E che ci facevi?»
«Proprio quello che pensi.»
«Per tutti i merluzzi, è una droga molto pericolosa.»
Lei sollevò le spalle. «Lo sono tutte, papà.»
«La noce moscata è un allucinogeno potentissimo.»
JJ strinse le palpebre e abbassò un poco il mento. «L’hai mai fumata?»
«No.»
«Allora non hai neppure idea di quanto sia vero.»
Tip scosse il capo cercando qualcosa da dire.
Lei ridacchiò. «Non preoccuparti, ammiraglio: grande fratello Sander ci ha fatto giurare di non farlo mai più», disse con voce solenne e allegra.
«Io non ci scherzerei, comunque sono contento di sapere che almeno uno dei tuoi due fratelli abbia un minimo di intelligenza.»
Per tutta risposta, JJ allungò le redini, facendole scorrere tra le dita, e con le gambe invitò il cavallo a rompere di galoppo.
Si fermò in una radura tra gli scuri tronchi di ebano e alti eucalipti, incuriosita dal vociare isterico di un uomo. Tip si accostò a lei, osservando la scena davanti a loro: un ragazzino di una decina di anni che indossava solo un piccolo turbante sporco, legato a un albero; l’uomo che urlava come un matto dietro di lui, con in mano le redini di un cavallo macchiate di sangue, e un adolescente che teneva un casco di banane con gli occhi sgranati, indosso una tunica logora.
«Non è uno spettacolo per voi», disse l’uomo in arabo.
«Nemmeno per i bambini», replicò Tip, poggiando una mano sul pomello della sella. «Che cosa ti hanno fatto di così brutto?»
L’uomo indicò il ragazzino. «Mi ha rubato le banane. E non è la prima volta, ora le pagherà tutte.»
«Se lo frusti non ti torneranno indietro.»
«Infatti dopo gli taglierò le mani.»
«Non ti pare esagerato per un ragazzino che ha mangiato banane. Ce ne sono così tante qui.»
L’uomo strinse appena le palpebre. «Non ho idea di chi tu sia e di che cosa voglia, ma ti consiglio di andartene alla svelta.» Un attimo dopo le redini schioccarono sulla schiena del ragazzino che strillò di dolore.
JJ si lasciò sfuggire un respiro spezzato. Tip cercò il suo sguardo e lei, con la bocca ancora aperta, annuì. Un attimo dopo, Tip era a terra e stava raggiungendo l’uomo, che puntò la frusta contro di lui.
«Non immischiarti.» Fece un o indietro e sfoderò un coltello molto lungo.
JJ gli puntò contro la propria pistola. «Quanto scommetti che sono più veloce io?»
«Io scommetto che non è neppure carica.»
Lei replicò sparando un colpo in aria che fece fare due i indietro al suo cavallo; senza perdere di vista l’uomo, con l’altra mano JJ calmò la bestia.
Tip le lanciò un’occhiata che lei non riuscì a interpretare. «Non mi toccare», intimò l’uomo a Tip.
«Non ne ho la minima intenzione», replicò lui oltreandolo e slegando il bambino.
L’uomo guardò prima lei e poi Tip e poi di nuovo lei. Stizzito batté le redini a terra. «Vi farò prendere dalla giustizia.»
«Siamo appena scappati dalla giustizia», lo rimbeccò JJ guadagnandosi un’occhiataccia da Tip.
«Il Signore è giusto e vi punirà.»
JJ fece un sorrisetto sarcastico. «Se il tuo Signore è giusto, ci rivedremo presto: marciremo all'inferno guardandoci strappare le budella a vicenda.»
Tip evitò di esternare il proprio disappunto e caricò il bambino sulla sella, poi
tornò indietro e prese il casco di banane dalle braccia dell’altro ragazzo, che lo lasciò subito, impaurito.
«Non c’è bisogno di prendere anche quelle», protestò l’uomo.
«Il mio stomaco dice che c’è bisogno», rispose Tip. «E fossi in te, non farei più certe cose. o spesso qui», mentì con un sorriso. «La prossima volta non la i liscia.»
«Non ci credo. Io non ti conosco, non so chi sei.»
«Ma io so chi sei tu.»
Tornarono sui loro i e lasciarono il bambino a casa di Nourredine; dopo una prima medicazione veloce da parte di JJ, aveva smesso di piangere, tuttavia si era limitato a mettere il broncio e non guardare nessuno.
«Un grazie poteva anche dirlo», commentò JJ, salendo di nuovo a cavallo e facendo un segno di saluto ad Nourredine.
«Lo hai fatto per farti dire grazie?» chiese Tip imitandola.
Lei sbuffò. «No.»
«Allora stai zitta e muovi il culo, siamo in ritardo. E la prossima volta evita di dire che sei scappata alla giustizia o qualche altra stronzata del genere.»
«Non ci avrà creduto.»
«E tu non fargli venire il dubbio.»
JJ alzò gli occhi al cielo. «Posso ancora decidere quello che posso o non posso fare, sai?»
«Nemmeno per idea. Sei con me e decido io.»
«Ammazzati.»
«Sei più piccola e più bassa, porta rispetto. E sbrigati con questo asino che hai sotto al culo.» Si piegò a staccare una foglia di una piccola palma e la frustò sul sedere del cavallo di JJ, facendolo partire al galoppo.
Piccata, lei imprecò qualcosa che Tip non udì.
9
Giunsero a Barkesh a metà pomeriggio.
Si trovarono inghiottiti in una cittadina fatta di mura e giungla, strade e barche, bambini urlanti e cani randagi. Barkesh si allungava tra il delta del Fiume Bianco e il mare; per lo più fatta di baracche di ogni materiale possibile, al centro presentava costruzioni dallo stile arabo, non molto grandi e pretenziose, tuttavia diverse dal resto delle abitazioni.
«Sei mai stata qui?» chiese Tip, percorrendo la via principale.
JJ scosse il capo. «Mai stata a ovest di Mizke, prima d’ora.»
«Hanno le banane e i mango più buoni del mondo e le scimmie del posto sono piuttosto simpatiche.»
«Le scimmie?»
«Sì, non sono come quelle quattro spelacchiate che stanno da noi e queste hanno così tanta roba dalla natura che qui rubano ben poco.»
JJ fece una smorfia. «Le nostre devono avere qualche problema di autostima e
gli rode sempre il culo.»
Tip sorrise e scese da cavallo. «Le capisco, sono in minoranza.»
«Ci credo, quella mica era terra loro. Sai che prima del 2012 le scimmie non c’erano, da noi?» JJ lo imitò. «Siamo arrivati?»
«No, ma non ne posso più di stare a gambe allargate.»
«Brutta cosa per un uomo», lo canzonò con un’occhiata obliqua.
Tip le fece il verso e una boccaccia. «Comunque, saputella, non c’erano neppure le isole di Taormina, se è per questo, e le palme e…»
«Ehi, guarda che la conosco la storia.»
Le ò un braccio sulla spalla e avvicinò la bocca al suo orecchio. «Lo so», sussurrò come fosse un segreto. «Da ragazzina eri una secchiona.»
Lei lo spintonò, cercando, invano, di liberarsi di lui. «Non ero una secchiona, eravate voi che non studiavate mai niente.»
«Tu le sapevi sempre tutte: eri alta come l’ananas e ne sapevi come noi grandi;
sempre a fare la pesciolina tutta intelligente.»
«Leggevo quello che ci dava la maestra e facevo domande, tutto qua.»
«Tu fai sempre domande.»
«Tip, non farmi are per quella che non sono: voi eravate sudici ragazzini sempre a zonzo, io facevo i compiti pure per Tomas. E poi venivo a zonzo con voi.»
«Stavi sempre in mezzo ai piedi.»
Lei fece per assestargli una gomitata e lui la bloccò.
«Vedi che sei insopportabile?»
JJ si fermò, strattonando il proprio cavallo, e lo guardò. «Perché ce l’hai con me?»
Tip piegò appena il viso su quello di lei. «Mi piacciono le tue lentiggini, quando ti arrabbi.»
Lei aprì la bocca e la richiuse, aggrottando la fronte. «Le mie lentiggini?»
Tip scoppiò a ridere e riprese a camminare.
JJ lo tirò per la camicia. «Smettila di prendermi in giro, brutto stronzo.»
Un uomo che camminava con un carico di pane accanto a loro li osservò. Tip afferrò il gomito di JJ e se la mise sotto braccio. «Non dare spettacolo, mocciosa. Qui parlano arabo, non capiscono cosa dici.»
«Buon per loro», borbottò, ma si lasciò portare a quel modo, in silenzio, fino a che raggiunsero un comprensorio di case in muratura sulla costa mediterranea.
JJ lanciò un’occhiata alle onde rossicce sotto il sole che tramontava da qualche parte dietro gli alberi. Tip legò i cavalli alla staccionata e le fece cenno di seguirlo.
Un uomo simile a Nourredine li raggiunse, sorridendo.
«Tip, che ci fai da queste parti?»
«Ciao, Zamir. Sono rimasto a dormire da tuo fratello, stanotte. Siamo diretti a Nuova Sousse, ma rimaniamo un paio di giorni, hai una stanza per noi?»
«Come no?» Lanciò un’occhiata a JJ. «Una sola?»
«Sì, alla mia amica non dispiacerà.»
Jennie annuì, benché Tip non l’avesse neppure guardata.
«Ci servirebbe anche fare un bagno.»
Zamir, una tunica beige a sovrastare le spalle larghe e un addome gonfio, guardò i cavalli. «Quelli sono vostri? Ve li faccio mettere con gli altri.» Indicò il mare. «Vi conviene farvi una eggiata, la stanza sarà pronta tra un po’. E anche il bagno.»
«Perfetto. Ci vediamo dopo. Grazie.» Si volse verso JJ. «Vieni, ti faccio vedere il mare di Barkesh.»
La guidò sul sentiero tra le alte palme, fino a raggiungere la sabbia fine e setosa che sulla destra si perdeva a vista d’occhio. Il sole si disegnava da qualche parte sull’orizzonte, nascosto da un piccolo promontorio a ovest, che gettava una lunga ombra in cammino su tutta la spiaggia di Barkesh.
Si tolsero gli stivali e camminarono in silenzio verso il mare. Quando lo raggiunsero, Tip allargò le braccia e trasse un profondo respiro. JJ gettò la propria borsa sulla sabbia, raccolse una conchiglia e la analizzò, drizzandosi.
«Come mai una stanza sola?»
Tip si voltò verso di lei, che non aveva staccato gli occhi dalla conchiglia. Si tolse la maglia, le poggiò una mano sulla spalla e con l’altra le sollevò il viso. «Non vuoi una notte sfrenata con me?» domandò in un sussurro deciso.
JJ aprì la bocca, poi la richiuse, abbassando lo sguardo, e deglutì.
Tip emise una risata bassa, lasciandola e facendo cadere a terra anche le proprie cose. «Sto scherzando, mocciosa. Ho preso una stanza sola, perché Zimer le fa pagare care e io non ho intenzione di dargli più soldi del dovuto. Nemmeno fosse a Nuova Sousse.»
JJ si riscosse e lo seguì. «Cabròn.»
«Grazie.» Le prese un polso e la trascinò sul bagnasciuga, dove entrambi si immersero fino alle ginocchia. «Che te ne pare di quest’acqua?»
Lei si piegò per immergere anche le mani tra le piccole onde trasparenti che si rincorrevano calme. «Pensavo fosse più fredda.»
«Anche io, è adatta per fare un bagnetto divertente.»
«Non ci pensare nem…» iniziò, ma non fece in tempo a terminare la frase.
Tip l’afferrò per i fianchi e cercò di farla cadere; aiutato dal movimento dell’acqua e dal’instabilità della sabbia sotto i piedi, riuscì a mandarla giù in pochi attimi. JJ tossì e imprecò; cercò di ricambiarlo, ma lui uscì alla svelta dal mare, ridacchiando come un bambino.
JJ lo inseguì, mentre raggiungevano le loro borse, dove Tip si voltò e allungò le mani per tenerla lontana. «Non puoi bagnare la tua roba, JJ.»
«Ma posso bagnare te, visto che mi hai inzuppato i vestiti!»
Tip scartò un paio di volte, quando alla fine non riuscì a evitarla, la prese e la gettò a terra, facendole finire il viso sulla maglietta. Le salì sopra, cavalcioni, e le bloccò le mani sopra la testa, mentre lei si agitava e mugugnava. «I vestiti dovevi farli lavare comunque. E guarda come sono stato carino: ho anche avuto la bella idea di non insabbiarti il viso.»
«Lasciami.»
«Prego, pesciolina tutta intelligente. Lo so che sono fantastico, non c’è bisogno di dirmelo.»
Tentò di muovere le braccia. «Sei più fastidioso di Tomas, ed è tutto dire.»
«Mi piace essere fastidioso.»
«Ti riesce benissimo. Ora lasciami.»
«No finché non ti calmi.»
«Io non devo calmarmi, cabròn.»
Tip le ò la mano libera sulla schiena, seguendo i punti dove il tessuto umido si attaccava alla pelle. «Invece sì; senti, sei tutta tesa.»
«Grazie a te.»
Le fece il verso e le lasciò i polsi, andole le dita sulle scapole. «Tu ce l’hai con il mondo e rispondi male a tutti, e questi sono i risultati; rilassati o finirai per trasformarti da pesciolina a squaletta.»
«Rispondo nel modo corretto a chi se lo merita. E se voglio essere uno squalo, farai bene a non essere uno stupido pesce», replicò, ma abbassò la voce godendo di quel massaggio inaspettato.
«Stai zitta, mocciosa.»
«No.»
«Zitta e medita», insistette, andole le dita accanto alla spina dorsale. «O vuoi ammutinare?»
«Sempre», borbottò, però non aggiunse altro.
Chiuse gli occhi ascoltando l’infrangersi quieto delle piccole onde, il vociare di qualcuno in lontananza, beandosi del tocco leggero e preciso di Tip. Aprì gli occhi solo quando lui si spostò e le alzò i fianchi per toglierle i pantaloni, umidi e pieni di sale e sabbia.
«Posso?» Non aveva atteso la sua risposta, che non arrivò, se non con il suo lento spostamento di bacino.
Benché i tagli sotto i piedi di JJ fossero ancora netti, quelli sulle caviglie erano poco più che graffi. Iniziò da lì, ando le dita con delicatezza, perché i piccoli granelli di sabbia che non se ne volevano andare rischiavano di irritarle la pelle.
Nella sua vita, Tip non aveva mai fatto un vero massaggio, di solito lo riceveva e neppure così spesso come avrebbe desiderato. Applicare una teoria che non conosceva ma di cui era stato oggetto lo incuriosì, o forse non era solo quello: erano le gambe chiare e sottili di JJ, il segno della abbronzatura dei pantaloncini corti che non portava più da giorni, la peluria soffice appena accennata e schiarita dal sole, il suo silenzio, i muscoli che si rilassavano pian pano sotto le sue mani.
Desiderò avere a portata di mano dell’olio, quando le sue dita risalirono le cosce, la pelle delicata dell’interno, la muscolatura resa perfetta dall’incessante stringere sui fianchi del cavallo. Continuò a massaggiarla a lungo, ma quando le
sue dita furono troppo alte tra le sue gambe e JJ deglutì con forza sulla sua maglia, Tip si rese conto di quanto fosse precaria quella situazione.
Il sole era tramontato e le prime stelle facevano capolino nel cielo, ma una mezza luna rischiava di annebbiarle.
Ruppe quel contatto. «Ti sei calmata?»
Lei soffiò appena.
«Vado a sciacquarti i pantaloni, qualcosa dovrai pur mettere per rientrare.»
JJ lo raggiunse e si tuffò in acqua, perché aveva sabbia ovunque.
Quando si fu rivestita, Tip raccolse le borse di entrambi e poi puntò un dito a est. «Raggiungiamo quella barca, lì dove c’è quella staccionata, e poi torniamo indietro. Fa caldo e c’è vento, ti asciugherai un po’.»
«Va bene.»
«Sai, qui in vacanza non ci viene mai nessuno. Le stanze che Zamir mette a disposizione prima le usava per ricevere i delegati di Nuova Sousse, ma ormai saranno due anni che non viene più nessuno qui.»
«Doukkali ha di meglio da fare.»
«Mi pare evidente.»
Raggiunsero la staccionata e si fermarono. Era un’unica linea di legno impregnato di umidità salmastra, che non sembrava voler dire niente, lì tra le barche. Tip fece qualche ipotesi sulla sua utilità e ne saggiò la robustezza, scoprendo che pencolava sotto il peso delle mani; poi restò a guardare le onde sotto il raggio lunare.
«È bello, qui», mormorò JJ. «La spiaggia è immensa, non come da noi.»
«Da noi sono tutte montagne.»
«Sì, è vero. Mi piace anche da noi, mi piacciono le calette chiare e gli scogli scuri che abbiamo. Sai, tornare a casa mi rende felice, anche se sono quasi fuggita, da ragazzina, e continuo a fuggirne ogni volta che torno. Ma il mare fa parte di me. Mi sembra di averlo dentro.»
«Saresti morta soffocata.»
JJ gli lanciò un’occhiataccia. «Non puoi capire.»
«Lo capisco, invece: il mare è il tutto ciò che sei e il nulla che hai.»
Lei sollevò lo sguardo su di lui. «Sì. È il potere, la rabbia e la calma; e il mistero che ne conserva.»
Tip annuì. «È ciò che tutti vedono e nessuno trattiene.»
«È la libertà del blu più scuro.»
«È il silenzio e il frastuono.»
«È il continuo movimento che nessuno vedrà mai.»
«È il dolore degli abissi irraggiungibili.»
JJ lo fissò. «Stai parlando di me o di te?»
Lui distolse lo sguardo e poggiò i gomiti sulla staccionata. «Parlo del mare.»
Anche lei si poggiò sulla staccionata a contemplare le onde nella loro danza irrefrenabile. «Sì», sussurrò. «Puoi capire.» Si strinse le mani l’un l’altra, in un movimento agitato. «Mi piacerebbe… bruciarlo, questo mare.»
Tip le prese una mano e distese le dita, osservandole, come se le vedesse per la prima volta; con una carezza le sfiorò il tatuaggio dell’ippocampo sul polso. Un disegno poco più che stilizzato, eppure molto chiaro tra le linee che gli giravano intorno come se uscisse fuori dall’acqua in bolle e tratti curvi. «Ma il mare non brucia.» Incrociò il suo sguardo e indugiò sulle sue labbra; il veemente impulso di baciarla.
Di spingerla contro la staccionata umida e dondolante, di aprirle le gambe e farla sua fino a che le onde spumose e salate non avessero invaso entrambi.
JJ liberò la propria mano. «No. Il mare non brucia.»
10
Quando tornarono nel comprensorio, Zamir mostrò loro la stanza e li accompagnò ai bagni, che non potevano essere ancora utilizzati.
«Ecco, li trovate qui. Mi dispiace, non aspettavamo clienti e le condutture del pozzo non funzionano», disse in se, parlando piano per farsi comprendere da entrambi. «I ragazzi sono al lavoro e prima di andare a dormire vi prometto che potrete fare una bella doccia. In ogni caso, per la cena sarete miei ospiti: mia moglie e io siamo a casa con i suoi parenti, e vorremmo ci foste anche voi.»
Tip e JJ si scambiarono un’occhiata.
«Se non è di alcun disturbo, per noi va bene.»
Quando percorsero il viale che univa il comprensorio alla casa di Zamir si resero conto che all’uomo e la sua famiglia avrebbe creato più disturbo non farli venire: attorno a un grosso fuoco c’erano una ventina di persone di diverse età e un numero indefinibile di bambini che, come gli spiritelli delle storie delle Tribù del Sud, scorrazzavano sotto gli alberi di cocco, tra le ombre gettate dalle fiamme.
Nessuna delle donne venne a salutarli, tranne la moglie di Zamir. Gli uomini invece vennero a salutare Tip e dargli pacche sulla schiena come se lo conoscessero da sempre.
Fu una cena a base di pesce e verdura.
Sia Tip che JJ erano abituati a quei pasti dove uomini e donne rimanevano divisi e non se ne preoccuparono, perché conoscevano le diverse abitudini dei popoli africani.
Una ragazzina con un ammasso informe di capelli ò attraverso i cuscini su cui sedevano gli uomini e raggiunse JJ. «Abbiamo un regalo per te, lalla», disse mostrando il buco lasciato dai denti da latte.
JJ prese dalla sua manina un braccialetto di perline rosa e gialle.
La bambina indicò le donne, che le stavano osservando, in attesa. «Stasera tutte noi lo indossiamo. Nonna pensa che tu lo devi mettere come noi.»
JJ annuì e lo infilò al polso. «Shukran.»
«Devi metterlo a questo altro braccio, lalla, dove hai questo disegnino.»
Tip notò che JJ trattenne uno sbuffo spostando il braccialetto da un polso all’altro.
«Va bene così. Ciao, ciao.» La bambina non attese risposta e corse da dove era venuta
JJ si sforzò di fare un sorriso al gruppo di donne oltre al fuoco. «Odio il rosa», sussurrò in iuropìan romanzo.
«Odi tutto, squaletta mocciosa.»
«Soprattutto starmene tutta appiccicosa di salsedine qui.»
Tip le ò delle polpette di verdura che entrambi mangiarono in silenzio.
Quando tutte le pance furono sazie e i bambini seduti a terra, una delle donne anziane cominciò a cantare una nenia lenta; pian piano tutti le fecero il coro, e due ragazzi adolescenti li accompagnarono suonando due strumenti a percussione.
«Conosci il bendir?» sussurrò Tip nell’orecchio di JJ.
Lei scosse il capo.
«Sono questi strumenti.»
JJ annuì.
Il coro di voci si spense all’improvviso su una nota alta e giocosa; l’attesa che seguì fu riempita di silenzi e sguardi speranzosi rivolti all’anziana donna che aveva iniziato il canto. Fece un sorriso sdentato e chiuse gli occhi.
«In terre lontane, una bellissima fanciulla di nome Haina, fidanzata con un bel giovane del suo villaggio, un giorno si allontanò per raccogliere legna nel bosco con le sue amiche. Mentre raccoglieva i rami secchi, notò a terra un mortaio d’oro.» L’anziana serrò le labbra e sembrò masticare qualcosa. Benché non stesse usando una voce troppo alta, parlava lentamente con un tono trasognato.
Anche Tip e JJ riuscivano a seguire le parole.
«Haina pensò di prenderlo perché era molto bello e assai prezioso, e così lo mise da parte per poterlo portare a casa: infatti, aveva in mente di venderlo e di ricavarne tanti soldi. Quando fu l’ora di fare ritorno, lo prese e si rese conto che era molto pesante. Decisa nel suo intento, s’incamminò con le amiche ma faticava molto a tenere il o. Le ragazze cercarono di dissuaderla dal portare quel fardello, ma lei a tutti i costi volle trasportare il tesoro con sé. Rimase sempre più indietro e, a un certo punto, non vide più nessuno e si ritrovò da sola.
Fu a questo punto che dal mortaio uscì un diavolo brutto come la morte che le disse di volerla sposare e le ordinò di seguirlo nella sua casa tra le montagne. Quando il povero fidanzato si accorse che Haina non aveva fatto ritorno a casa, disperato partì alla sua ricerca, ma nel bosco non c’era alcuna traccia della ragazza. Prese a cercarla ovunque, camminò in tutte le direzioni finché arrivò alle montagne dei Sette Colori e chiese alla prima montagna se avesse per caso visto la sua ragazza, ma la montagna gli rispose di no. Poi chiese alla seconda e poi alla terza e così via, ma né la montagna gialla, né quella arancione, né quella rossa, né quelle di altri colori avevano notizie da dargli. Fu la montagna Marrone a sapergli dare una risposta e lo informò che la sua ragazza era stata portata a casa del diavolo, nella montagna Nera.
La montagna Marrone mise in guardia il giovane e aggiunse che, se il diavolo l’avesse riconosciuto, se lo sarebbe mangiato in un solo boccone gustoso.»
La donna aprì gli occhi e guardò i presenti, il sorrisetto degli adulti, gli occhi sgranati dei bambini che luccicavano riflettendo le fiamme rosse del grande fuoco.
Tip mise un braccio sulla spalla di JJ. «Non ti preoccupare, è solo una storia.»
Lei lo spintonò appena, tuttavia non si spostò; si sorprese a poggiare la testa nell’incavo del suo collo e si sorprese ancora di più quando Tip le accarezzò i capelli e lei fremette all’idea di averli appiccicati di sale e sabbia. Si concentrò sulla storia che aveva ripreso l’anziana.
«Il giovane prese una pelle di mucca, si travestì per non farsi riconoscere e salì sulla montagna Nera. Finalmente trovò la ragazza, la vide che stava pettinando i capelli dell’orribile diavolo. Di nuovo fece ritorno alla montagna Marrone e questa gli consigliò di prendere molto sale e un ago; infatti il diavolo non sopportava il sale e con l’ago avrebbe potuto ucciderlo. Il giovane tornò alla montagna Nera e vide il brutto diavolo che si era addormentato, allora gli buttò il sale negli occhi, prese Haina e fuggì.
Quando il diavolo si svegliò, si accorse che i suoi occhi bruciavano e urlò dal dolore, poi si rese conto che la ragazza non c’era più e corse come un pazzo fuori dalla montagna Nera. All’orizzonte, vide i due fuggiaschi e cercò di raggiungerli; quando fu vicino a loro, il giovane buttò dell’altro sale che mise ancora una volta il diavolo in difficoltà. Quando tutto il sale finì, il diavolo fu lì lì per prenderli e divorarli, ma il giovane gli gettò l’ago e il diavolo brutto morì. I
due giovani tornarono finalmente liberi al loro paese, si sposarono e vissero felici e contenti.»
«Oooh», fece un bambino e la donna gli sorrise.
JJ si liberò dell’abbraccio di Tip. «In queste storie è sempre l’uomo a salvare le giovani fanciulle», commentò con una smorfia.
«Questo ti offende, pesciolina tutta intelligente?»
«Nemmeno un po’: il problema è di chi ci crede.»
Avrebbe perorato la sua tesi con qualche dettaglio, ma un ragazzo che non era alla cena raggiunse Zamir e questo disse loro che potevano raggiungere i bagni.
Le docce erano in comune e, benché ve ne fossero quattro, decisero di farla in momenti diversi.
JJ la fece per prima e vi rimase a lungo, godendosi il getto dell’acqua diretta, tiepida e pulita, che le toglieva di dosso la sporcizia del viaggio e la salsedine del pomeriggio. Uscì con calma e raggiunse la propria stanza, dove si vestì con gli abiti che le aveva dato una ragazza dai riccioli morbidi. La stessa prese i loro vestiti sporchi per lavarli e le porse quelli puliti da consegnare a Tip.
JJ la ringraziò ancora, poi uscì per raggiungere i bagni. L’acqua era chiusa e
c’era silenzio. Entrò nell’area delle docce e trovò Tip di spalle, intento ad asciugarsi.
«Non hai più il culo flaccido che avevi da ragazzino, ammiraglio.»
Lui fece uno scatto e si affrettò a coprirsi. «Potresti guardare da un’altra parte, JJ?»
Lei fece spallucce, posando i vestiti puliti sul tavolo. «So com’è fatto un uomo, sai?»
«Beh, non me ne frega niente di quello che sai», contestò legandosi l’asciugamano intorno alla vita. «Io vorrei un po’ di privacy.»
«Oh, beh, se hai qualcosa da nascondere… non posso biasimarti, voi uomini siete così attenti a non mostrate le vostre piccolezze», replicò con voce bassa e canzonatoria.
Lui la raggiunse e la voltò verso di sé; JJ lo ricambiò con un sorrisetto innocente osservando la sua barba appena fatta. Incoraggiato da quell’espressione, Tip la spinse contro il muro e ci poggiò i palmi delle mani, bloccandola. «Vuoi davvero sincerarti di quello che dici?»
JJ si schiacciò contro la parete per non toccarlo; abbassò lo sguardo sui suoi pettorali, sul disegno simmetrico degli addominali, sulla cicatrice con il segno dei punti che lei stessa aveva cucito. Qualcosa di impalpabile le premette sullo
sterno, mentre il sorriso di lui si disegnava a pochi centimetri dal suo viso. Cercò di deglutire.
«Non hai coraggio, eh, mocciosa squaletta!» Piegò il capo da un lato, divertito, e la lasciò andare.
Lei lo trattenne, tirandolo per l’asciugamano. Si sollevò appena sui piedi e lo baciò.
Sentendo la sua lingua, Tip schiuse le labbra e la ricambiò. La strinse a sé e affondò la propria bocca in quella della ragazza, che gemette piano. I respiri fusi, lo schioccare elettrico della saliva.
Quando i suoi lombi fremettero, Tip la allontanò in maniera brusca. «JJ», disse con voce roca. «Vai via di qui.»
Lei boccheggiò. «Scusa?»
«Esci!» Vedendo che esitava, strinse un pugno. «Esci via di qui», poco meno di un ringhio. «Per favore.»
Incapace di comprendere, JJ ubbidì.
Si chiuse in camera e iniziò ad andare avanti e indietro per la stanza, in attesa che lui tornasse, lacerata dal dubbio, l’imbarazzo che cresceva nel petto per
arrivarle sulla punta delle dita. Ma lui non tornò.
Alla fine, si decise a spegnere le candele e mettersi a letto. Un letto vero, con un materasso e le molle, cigolante e con la vernice in parte tolta, ma comunque letto.
Una comodità che aveva avuto di rado negli ultimi anni e che le ricordava casa, benché allora avesse diviso il piccolo letto con la sorellina Estella. Sorrise ricordando che quella piccoletta aveva sempre i piedi sporchi; ora doveva aver compiuto diciannove o venti anni. Angustiata, si concentrò sui ricordi di infanzia.
Finse di dormire, quando Tip, molte ore dopo, tornò in camera e si sdraiò in silenzio accanto a lei, dopo aver sciolto la zanzariera che pendeva dal soffitto su di loro.
Il mattino dopo si alzarono tardi, riposati per la prima volta dopo tanti giorni. Erano stati svegliati dagli uccelli della giungla, ma entrambi avevano messo la testa sotto ai cuscini, bianchi e profumati.
Più che fare colazione, fecero un vero e proprio pranzo. Zamir fece portare pietanze a base di banana, latte di mucca, zenzero e cannella e promise un grosso pesce pescato in mattinata, per la cena.
Poiché JJ si limitò a dire qualche monosillabo, Tip lasciò il comprensorio nel primo pomeriggio senza una parola e si addentrò nel villaggio di Barkesh. Diversamente da altri luoghi, Barkesh era popolata da un’unica etnia dalla pelle color mandorla, i capelli ricci e neri e di religione musulmana.
Trovò Il Cammello proprio dove pensava di trovarlo: all’unico ferramenta di tutta l’area. Un uomo della sua età, con una kefiah in testa, il viso lungo e due incisivi enormi, messi in mostra dal sorriso che fece quando vide Tip.
«Salam aleik, guarda», tubò in uno iuropìan sforzato. «C’è il mio amico bianco che viene a trovarmi!»
Tip lo strinse a sé. «Non sono certo venuto a trovare te, amico mio.»
L’altro sghignazzò, mostrando il buco degli altri denti. «Cerchi donne, come sempre.»
«Non ho questa reputazione», replicò facendo un segno di saluto a due ragazzi che lavoravano su alcuni ferri di cavallo.
«Allora cerchi armi, amico.»
Tip fece un mezzo sorriso abbassando un poco il capo. «Nemmeno. Sono tornato perché hai qualcosa che mi appartiene; non fare fina di niente.»
«Oh, oh!» Il Cammello tolse dei guanti e posò un attrezzo. «È per questo che vengono a trovarti gli amici, per il denaro che gli hai tenuto in caldo.»
«Cosa pensavi, che fossi qui per il tuo dolce faccino?»
«Non lo sei?» Il Cammello fece una smorfia femminile e finse di tirarsi dei lunghi capelli che non aveva.
Tip rise e gli lanciò un bacio. «Sei sempre la mia preferita.»
L’altro si rivolse ai due ragazzi, ordinando di continuare il lavoro, e guidò Tip dietro la casa. Gli diede un sacco contenente denaro in contanti e poi lo invitò a bere una tisana fresca e troppo dolce.
Parlarono per un paio d’ore, come vecchi amici.
«Prima di andare via», disse Il Cammello «a a trovare mia madre: le farà piacere.»
«Ci o adesso.»
L’altro annuì. «Oh, amico! Il debito è estinto, non sarà che tornerai tra un paio d’anni a chiedere altro, no?»
«erò a chiedere il tuo corpo, amico, mi sembra che tu sia ben disposto.»
«Oooh, non approfittartene solo perché sono la tua preferita.»
«Lo farò, se non mi darai false speranze.»
L’altro sghignazzò. «Che Dio ti benedica, amico. Torna a trovarmi.»
Tip deviò per andare a salutare la madre, come aveva promesso, e infine si avviò al comprensorio di Zamir con denaro e biscotti appena fatti.
Entrò in camera pensando di trovare JJ, ma lei non c’era. Sistemò i suoi averi e uscì, chiedendo di lei. Solo una ragazza gli rispose che sarebbe tornata per ora di cena, ma non aveva idea di dove fosse andata.
Contrariato, Tip andò a riempire qualche bottiglia di acqua potabile, così da averle pronte per il viaggio che avrebbero ripreso il mattino dopo. Zamir lo chiamò per mangiare, e lui lo raggiunse.
«Hai visto la ragazza?»
«No. La faccio cercare.»
Zamir lo lasciò al suo tavolo e, dopo una decina di minuti buoni, tornò con JJ.
Tip le lanciò un’occhiata, indossava pantaloni prestati e la sua camicia da uomo, aveva i capelli bagnati e non lo degnò di uno sguardo, mentre si sedeva di fronte a lui.
«Vi faccio portare il pesce», disse Zamir.
Tip annuì. «Dove sei stata?» le chiese sforzandosi di non essere troppo duro.
«Stavo facendo una doccia.»
«Oggi, dove sei stata?»
Lei incrociò il suo sguardo. «Tu dove sei stato?»
Tip aggrottò la fronte. «A trovare un amico, mi doveva del denaro.»
JJ lo scrutò, come se stesse stabilendo se fosse una menzogna o meno; infine abbassò gli occhi sul bicchiere. «Sono stata al mare.»
Zamir portò loro il pesce; ancora intero, era di un blu lucido e, se non fosse stato per l’occhio immobile, sarebbe apparso come vivo. «Ecco qua, il migliore della giornata, tutto per voi.»
I due ragazzi lo ringraziarono e mangiarono in silenzio quella portata e anche quelle successive. Alla fine della cena, Zamir portò loro un cocktail alcolico a base di cocco e menta.
Quando se ne andò, JJ appoggiò la schiena alla spalliera della sedia e incrociò le gambe sotto il tavolo. «È molto buono. Sarà anche caro, ma almeno vale il prezzo di quello che offre.»
Tip annuì e non aggiunse altro per tutta la durata della propria bevanda. Quando posò il bicchiere, guardò la ragazza. «Preferirei che non andassi in giro da sola.»
«È una vita che vado in giro da sola», replicò lei, algida.
«Potrebbe succederti qualsiasi cosa.»
«Mi è già successa qualsiasi cosa.»
Tip abbassò un poco il mento. «E non ti basta?»
Lei mise i gomiti sul tavolo e avvicinò il viso. «Cosa dovevo fare, aspettarti chiusa in camera?»
«Non sarebbe stato male.»
«Senti, non sei mia madre e nemmeno i miei fratelli. Risparmiatelo.»
«Sono solo preoccupato per te.»
JJ sollevò gli occhi al cielo. «La prossima volta che sei preoccupato per me, potresti evitare di lasciarmi da sola.»
«Pensavo volessi rimanere da sola.»
«Beh, non pensare: la prossima volta usa la bocca per chiedermelo, invece che per dire cazzate.»
Tip gonfiò la bocca a palloncino e la svuotò.
JJ si alzò. «Torno in camera.»
«Io», esitò. «Vado prima a farmi una doccia.»
Lei non si voltò. «Vai dove ti pare.»
11
Tip si lavò e recuperò i propri indumenti, pagò Zamir e gli disse che si sarebbero salutati il giorno dopo. Entrando in camera si sorprese di trovare le lampade accese e JJ china sul davanzale. Quando chiuse la porta, lei si voltò.
«Per quale motivo hai pensato che volessi rimanere da sola?»
Lui si strinse nelle spalle. «Perché… non lo so, dopo ieri non hai più detto una parola, così...»
«Nemmeno tu.»
Tip si grattò una guancia.
Lei sospirò. «Va bene, senti, per… quella storia di ieri, sai, del bacio… Io non volevo obbligarti a…»
«JJ», la interruppe con un tono deciso ma basso. Si avvicinò a lei e le accarezzò il viso con la punta delle dita. «Nessuno mi obbliga a baciare una bella ragazza.»
Lei si morse un labbro, lui glielo sfiorò con il pollice; una traccia più scura del pestaggio che aveva subìto giorni prima, una leggera linea sullo zigomo tra le
piccole efelidi.
«Lo lasci a me, questo?» sussurrò.
JJ socchiuse la bocca, cercando di rispondere qualcosa di sensato. Ma lui la baciò e l’unica risposta possibile fu sfiorare la sua lingua con la propria. Il calore umido, il sapore del cocco e della menta, il fremito dolce nelle viscere.
Lo allontanò da sé per guardarlo. «Tip, la tua… reazione, ieri, è stato per quello che ti ho detto? Ti… ti dispiace per quello che in ato io…»
«Sì, è stato per quello che mi hai detto, però non per quello che hai fatto, ma per quello che ti hanno fatto. Ieri mi hai preso alla sprovvista e, quando mi hai baciato… ti avrei presa all’istante; ma non è quello che voglio.»
«Io… io lo voglio…»
«Posso decidere io?»
Lei lo guardò con aria interrogativa.
«Ti piace questa stanza?»
«Eh? ...sì, io credo…» replicò confusa.
Tip le ò le braccia dietro le ginocchia e la sollevò.
«Ehi! Che intenzioni hai?»
Alzò lo sguardo a incrociare quello di lei. «Ti piace questo letto?»
JJ ridacchiò. «Farà rumore.»
«Perché, cosa vuoi fare?» domandò stendendola sulle lenzuola.
Lei lo attrasse a sé per baciarlo. «Niente di che, ammiraglio: giocare», rispose maliziosa.
«Mi piace, alzabandiera. Ho atteso abbastanza. Adesso basta, giochiamo.»
JJ avvertì una morsa piacevole nello stomaco che le scese in picchiata tra le labbra inferiori.
Tip le leccò il contorno della bocca, che lei teneva aperta, in attesa. Con la punta della lingua le accarezzò una guancia, la linea delicata della mandibola, il collo. Le mordicchiò il lobo dell’orecchio, rubandole il primo gemito.
Quando la punta delle dita di Tip le sfiorarono un seno, JJ emise un suono secco. Lui fece per allontanare la mano, ma lei gliela trattenne con la propria, lì, sul cuore. «Resta», sussurrò.
Tip le baciò la guancia, vicino all’orecchio. «Resto», bisbigliò anche lui, prima di succhiarle la pelle liscia del collo, prima di iniziare a sbottonarle la camicia grande, da uomo.
JJ gli ò le dita tra i capelli, gli sfiorò la spalla con l’altra mano, la base del collo e la collanina di cuoio. Lui si allontanò per contemplarla, mentre le apriva i lembi della camicia. «Mi piacciono le tue clavicole», commentò con un sorriso infantile.
Lei rise piano. «Le mie clavicole?»
«Sì, non sono troppo grandi, né troppo piccole, non sono troppo affossate o larghe: sono perfette.»
JJ non riuscì a evitare di guardarlo con dolcezza. Tip si sollevò per farsi togliere la maglietta e lei gli baciò la pelle tesa della pancia; le era capitato di vederlo a torso nudo e di toccarlo quando aveva ricucito la ferita, tuttavia ora avere quei disegni virili e sensuali sotto le mani, sotto le labbra, appagava da sé un desiderio recondito.
Lui la fece distendere nuovamente e le baciò lo sterno, per poi spostarsi sul seno inturgidito dal suo tocco. La propria bocca lo raccolse, la propria lingua lo
stuzzicò; lo stesso fece la mano con l’altro seno. Di nuovo JJ gemette e sentì il proprio basso ventre fremere, come se un’onda le si fosse infranta dentro, da qualche parte, sconosciuta.
Tip le calò l’elastico dei pantaloni; avevano una stoffa leggera, delicata, ma la pelle di lei era ancora più delicata, setosa, liscia, fino a che le sue dita incontrarono riccioli leggeri.
«Mmm», mugolò, lasciandola.
Lei tenne gli occhi chiusi, sollevando il bacino, per farsi denudare. Lui l’accontentò, lentamente, ando le dita sulla linea esterna delle cosce, godendo di quegli attimi di scoperta. Inginocchiato davanti a lei, che si lasciava guardare, pur tenendo le gambe chiuse, Tip si trovò a deglutire.
Non aveva seni molto grandi, ma avevano una forma perfetta ed erano in armonia con il corpo minuto. Sull’inguine, a destra, dove prima c’era l’elastico dei pantaloni, aveva un tatuaggio: un simbolo arabo.
«Cosa significa questo disegno? È una parola araba?»
«Sì, è la parola usata per indicare uno dei sentimenti più sopravvalutati di questo mondo. Mi ero ripromessa di non concedermi più a nessuno, se non… per quel sentimento.»
Tip si stese su un fianco, accanto a lei, e le accarezzò la pancia e il bordo
superiore del pelo crespo del pube. «Ma tu non credi a quel sentimento.»
Lei gli lanciò un’occhiata, prima di richiudere gli occhi. «Infatti.»
«E?»
«Non pensavo di concedermi più…»
«Sei una strana mocciosa», commentò con un sorriso. «E mi piacciono i tuoi tatuaggi», aggiunse facendo scivolare la mano verso il basso.
Benché le avesse tenute ben strette fino a quel momento, JJ aprì le gambe sotto le sue dita. Tip si piegò sul suo seno, mordendo e leccando; le sue dita si inumidirono tra le labbra di lei, mentre le massaggiava con delicatezza.
Con il pollice trovò il nodulo femminile e ci girò attorno con cerchi sempre più piccoli.
«Oh…» Un suono basso, morbido.
Continuò a baciarle il petto, le spalle, il collo, la guancia. Affondò nella sua bocca, nello stesso momento in cui affondava nella sua intimità con un dito umido.
JJ gemette dentro di lui.
Le loro lingue si accarezzavano, frementi.
Con le mani afferrò il capo di Tip, tenendolo contro la propria bocca, mentre le sue dita la massaggiavano, la penetravano, le regalavano vibrazioni intense, un crescendo di bruciante piacere. Lo allontanò. «Tip, fermati…»
Lui la guardò. «Vieni», sussurrò.
«Ma…»
«Sssh.» Le sfiorò le labbra. «Vieni per me.»
Non poteva rifiutarsi, non con quelle dita sul suo sesso, non con quegli occhi che conosceva da una vita così vicino ai suoi, in attesa, sereni. Chiuse le palpebre e si lasciò trasportare da quella marea che era salita oltre ogni dire, fino all’ultimo scoglio, dopo il quale le onde esplosero, gemettero e scemarono in colate di lava. Scevra di alcuna finzione.
Tip la guardò fremere e stringere con una mano le lenzuola, sentì le sue contrazioni avvolgergli le dita, a lungo, perché non le lasciava il clitoride, teso sotto il suo pollice in movimento. Provò un improvviso senso di eccitazione e tenerezza.
«Tip! Oh…»
Quella pluralità di esplosioni le strappava le parole, nemmeno l’imbarazzo di contorcersi selvaggiamente sotto la sua mano riusciva a spegnere l’incendio intenso e prolungato oltre ogni misura.
Tip la lasciò solo quando lei si rilassò; appagata, distese del tutto le gambe, inspirò ed espirò lentamente. Le baciò una spalla e lei si piegò per rannicchiarsi contro di lui.
Lui le accarezzò il capo.
«Shukran», bisbigliò JJ sul suo petto.
«Non devi ringraziarmi per questo.»
Lei sollevò lo sguardo. «Non per questo. Per essere qui e per altre mille cose che non potrei riuscire a dire.»
Le baciò il naso e la strinse tra le braccia, cullandola appena.
JJ si rilassò, sorrise sui pettorali di lui, lanciò un’occhiata veloce sulla cicatrice rosata e lo mordicchiò; leccò un capezzolo, risalì sulla spalla e lo spinse sul letto, continuando a baciare e leccare il collo; leggermente salata, la sua pelle le ricordava il sapore delicato ma inconfondibile delle mandorle. Fece scorrere le
labbra fino ad arrivare alla sua bocca.
Armeggiò con la cinta e i pantaloni e quando li ebbe aperti si intrufolò dentro, trovando un membro duro e pieno.
«Interessante, ammiraglio», commentò con un sorriso candido.
«Mmm», fu tutto ciò che replicò Tip.
JJ lo baciò, lui la ricambiò, lasciando che lei si appropriasse di lui per un lungo, piacevole momento; poi l’afferrò e la rigettò con la schiena sul letto. «Cosa vuoi, pesciolina mocciosa?» Non lo aveva preventivato, ma gli uscì un tono tra il sensuale e il tenero.
Lei gli accarezzò il viso. «Voglio te, ammiraglio.»
«Dove mi vuoi?»
JJ fece finta di pensarci, prima di guardarlo con l’aria di chi la sapeva lunga. «Precisamente, tra le mie cosce, dentro di me.»
Tip le morse la spalla. «Mi avrai», replicò con voce suadente.
Si spostò, le aprì le gambe e ci ficcò la testa senza troppi complimenti, ma le regalò una lunga, lenta leccata.
JJ si morse un labbro per non gridare e, quando lui la succhiò, prese un cuscino e se lo premette sulla bocca. Tip si sollevò in ginocchio, denudandosi, e le tolse il cuscino. «Non barare. Voglio sentirti e vederti.»
Lei osservò la sua virilità eretta e pulsante. «E io voglio te. L’ho già detto?»
Protese una mano, ma lui si allontanò. «Con calma.»
«Con calma? Mi vuoi far morire?»
«Non ancora.»
Tornò ad assaggiarla, a leccarla, morderla e succhiarla. Umida ancora una volta, lui scivolò con un dito dentro di lei e premette, leggero, verso l’alto, strofinandola da dentro. Avvicinò il viso e tornò a leccarle il nodulo gonfio e luccicante.
JJ si contorse sul letto, colma di piacere, ò le mani tra i capelli di Tip, accarezzandolo e nello stesso tempo attirandolo verso di sé. «Oh…» mormorò infine «Mi piace…»
Lui si sollevò, uscendo, e mise il dito in bocca. JJ lo fissò sorpresa. «Mi piaci
anche tu; sai vagamente di melone. »
Lei scoppiò a ridere. «Oddio, Tip, non mangerò mai più un melone nello stesso modo.»
«È buono il melone», replicò fingendo innocenza. Si chinò a baciarla; lei lo ricambiò con dolcezza, prima di mordergli, leggera, il labbro.
«Ti voglio.»
«Anche io, pesciolina», rispose inginocchiandosi tra le sue gambe. «E mi avrai, te l’ho detto che mi avrai.»
Davanti al suo sesso aperto, però, lui esitò, guardandola. Per tutta risposta, lei sollevò il bacino e con la mano guidò la punta del pene turgido verso di sé, strusciandolo sulle labbra e inumidendolo. Tip si inclinò, le afferrò i fianchi e penetrò dentro di lei, che gemette di piacere. Poi, lentamente, arrivò fino in fondo.
«Sei così… perfetta… e calda… e molto, molto bagnata.»
JJ sollevò lo sguardo a cercare il suo. Non ci sarebbe stato ritorno, ormai. Piena, stretta attorno a lui, presa e libera, come non avrebbe mai sperato, come non le era mai accaduto. «Ti stavo aspettando da una vita, ammiraglio», le sfuggì in un mormorio.
Tip le prese una mano, come fossero due bambini pronti a intraprendere la dolce strada verso casa; uscì un poco per poi rientrare.
«Sono arrivato.»
JJ ansimò sotto le sue spinte. «Ma devi ancora venire.»
«Vai di fretta, mocciosa?»
«La notte è lunga.»
«Bene. Perché questa notte sarà molto lunga.»
12
Barkesh era sveglia da diverso tempo, quando lasciarono le sue abitazioni e la larga spiaggia dietro di loro.
Con il sole del mattino davanti, percorsero al o la costa, spingendo i cavalli sulla battigia bianca e spumosa e diffondendo schizzi di mare nell’aria; la lasciarono per godere dell’ombra della giungla nelle ore più calde, grati del sole che filtrava appena tra le foglie; poi furono costretti ad addentrarsi ancora, per trovare un guado in cui oltreare un fiume.
In quel punto l’Africa assumeva i contorni frastagliati del nuovo continente che era diventato dopo il 2012: picchi appuntiti si alzavano lasciando il terreno senza un albero. Da uno dei punti più alti che percorsero, osservarono le immense montagne del sud, tanto alte da avere la neve anche lì, a poca distanza dal sole equatoriale. Per quanto ne sapevano, lì non ci abitava nessuno.
Tip le raccontò ciò che avevano vissuto Shayl’n Til e il marito e le spiegò cosa fossero gli Spiriti del Male.
«Hai paura di loro?»
Lui si strinse nelle spalle. «Non andrò a cercarli.»
«C’è qualcosa di inquietante, ma non riesco ad averne paura, come fanno gli
abitanti del posto: molti non li vogliono nemmeno sentir nominare.»
«È perché non sei nata qui. Loro ci crescono, con questa paura, e con ogni probabilità fanno anche bene. Ma per noi sono solo racconti, qualcosa di intangibile.»
«In teoria, anche per loro.»
«Non lo so, non credo sia lo stesso.» Si voltò a guardarla. «Sai quando tutta questa storia mi ha fatto più paura? Quando ho saputo cosa fossero davvero e quello che loro erano davvero si leggeva nello sguardo allucinato del marito di Shayl’n, mentre lei lo raccontava.»
JJ rifletté su quanto stava dicendo e infine annuì. «Eviterò accuratamente di andare anche io.»
La sera si fermarono a mangiare in un minuscolo villaggio silenzioso; si trovava in una piccola valle, e in lontananza si poteva scorgere il vulcano che si era formato ed era cresciuto per anni, dopo il Grande Terremoto. Sulla cima c’era un fumo perenne, tuttavia nessuno della popolazione ancora in vita lo aveva mai visto eruttare.
La foresta, in quel punto, era formata da una vegetazione che JJ non aveva mai visto. Tip non seppe spiegarle di che piante si trattasse.
Poiché nessuno poteva ospitarli, si accamparono sulle pendici della valle, tra gli
alberi alti e filiformi, con le chiome scure, a pallone, che si perdevano nel firmamento.
Le rischiararono accendendo un fuoco modesto.
Tip srotolò le coperte sul terreno in discesa e si assicurò che i cavalli fossero ben legati, attendendo che JJ tornasse da dovunque fosse andata per urinare.
«Non c’è bisogno che tu vada troppo lontana», la biasimò quando fu di nuovo accanto al fuoco.
JJ gli lanciò un’occhiata indecifrabile, prima di chinarsi a prendere una bottiglia di vino che avevano preso al villaggio.
Cercando le parole giuste, Tip le cinse la vita da dietro e le sfiorò il collo con un bacio. Sorpresa, JJ inghiottì il liquido caldo e staccò la bottiglia dalle labbra.
«Cos’è, mancanza d’affetto, ammiraglio?»
Tip la strinse più forte e strusciò la guancia sui capelli di JJ.
«Che c’è?»
«Cosa sono quelle cicatrici che hai dietro, sul fianco?» era dalla sera prima che desiderava porle quella domanda e ora se ne pentì subito, sentendola irrigidirsi tra le sue braccia.
Involontariamente, JJ abbassò il capo e strinse la bottiglia tra le dita, tanto forte da sbiancarsi le nocche. Però non si spostò.
«Scusami», sussurrò Tip e fece per lasciarla.
Lei lo trattenne e posò la mano libera sul suo avambraccio premuto sulla propria pancia. In molti le avevano fatto quella domanda e lei non aveva mai risposto, tuttavia Tip sapeva qualcosa di lei che nessun altro aveva mai saputo, sbilanciarsi un altro poco non avrebbe fatto molta differenza.
Bevve altro vino e si schiarì la voce. «Sono bruciature da sigaretta. Me le hanno fatte gli amici di Martine. Sai, era il loro modo di dirmi che ero roba loro.»
Fu lei a voltarsi verso di Tip; si aggrappò con la mano sul suo bicipite e puntò lo sguardo in quello di lui, dove rilucevano le fiamme vermiglie.
«Ho provato a curarle, per farle andare via il prima possibile, ma quando lo hanno capito, me le hanno rifatte, così non ci ho provato più. Penso che rimarranno lì.»
Non poteva sapere se avrebbe trovato comione, ma sul volto di Tip c’erano rabbia e dolcezza e JJ sorrise, accarezzando con la punta delle dita la sua
guancia.
«Non è assurdo come alcuni possano credere di possedere qualcuno solo perché lo decidono loro?»
JJ sospirò. «Purtroppo non è assurdo e crederlo a volte basta per renderlo reale. Ora però sono solo un segno sulla pelle. No?»
Tip annuì con un sorriso.
«Mi dispiace solo perché mi rovina il culo.»
«Hai un bellissimo culo, JJ.»
Lei rise piano, il cuore che si alleggeriva; Tip riusciva a starle dietro, a spezzare il dolore semplicemente cambiando parole e tono.
«Dici?»
«Una volta qualcuno mi ha detto che avevi il più bel culo delle Isole di Taormina, beh, aveva ragione da vendere.»
«Chi lo ha detto?»
«Ho giurato di non dirlo mai, neppure sotto tortura.»
«Dimmelo.»
Tip la lasciò. «Mai!»
«Ehi, riguarda me. Dimmelo.» Lo strattonò per una manica.
Lui si scostò. «Ho fatto una promessa.»
Con un gesto esasperato della mano, JJ rinunciò. «Sì, le tue promesse da marinaio.»
«Faccio il primo turno», propose Tip, inginocchiandosi ad attizzare le fiamme.
JJ si sedette accanto a lui. «Mmm.»
Si voltò a guardarla e lei sollevò lo sguardo su di lui.
Quando Tip si piegò a baciarla, lei gli cinse il collo con le braccia. Con un sospiro di piacere, JJ si stese sulla coperta, prima di allontanarlo da sé.
«Scommetto che farai il primo turno con me.»
Tip sorrise sulle sue labbra. «Non pensare di sfangarla con il tuo, mocciosa, non pensarlo minimamente.»
«Non farmi pensare è un compito che spetta a te», replicò lei cingendogli le gambe con le proprie.
***
Proseguirono sulla via principale che collegava Barkesh a Nuova Sousse e incontrarono diverse persone, per lo più commercianti con la propria merce da vendere.
Aumentarono l’andatura, perché avevano ancora molta strada da fare e li attendeva una zona desertica che li avrebbe rallentati, secondo i calcoli di Tip.
«Cosa pensi di fare, quando saremo a Nuova Sousse?» domandò JJ, abbassandosi sul collo del proprio cavallo per are sotto alcuni rami.
«Ho un po’ di idee, in mente», replicò Tip imitandola. «Prima di tutto bisogna vedere dove sono: se Tomas lo ha liberato, saranno da un amico che conosciamo io e Sander.»
«E se così non fosse?»
A Tip non sfuggì la nota apprensiva nella voce di JJ.
«Sono certo che sarà così. Ma se così non fosse, cerchiamo Tomas e ci facciamo aggiornare sugli eventi. Probabilmente, Sander è già stato giudicato, bisogna capire quale sia la condanna.»
«Potrebbero averlo ucciso?» domandò JJ, fingendo disinteresse.
Tip la guardò, ma lei mantenne lo sguardo davanti a sé. «No», mentì.
«Tomas diceva sempre che Sander si sarebbe fatto ammazzare, che non avrebbe superato i venticinque anni.»
«Beh, li ha superati.»
JJ si strinse nelle spalle. «Non mi stupirebbe sapere che non arriverà ai trentacinque. È sempre stato il più irresponsabile di noi, nostra madre ogni volta che riusciamo a sentirla non chiede come sta, chiede se è ancora vivo.»
Tip emise una risatina bassa. «Ti assicuro che tuo fratello non è affatto irresponsabile, forse è pazzo - del resto mi frequenta - ma non è uno sciocco, sa difendersi molto bene, e prima di agire vaglia bene tutte le mosse che può fare.»
«Non lo so, io e Tomas lo abbiamo sempre visto fuori dagli schemi.»
Per alcuni istanti, Tip corrugò la fronte, serrò le labbra e agitò le guance come se tenesse acqua nella bocca. Inspirò con un suono secco. «Ha uno schema suo. E funziona.»
JJ annuì, ma non parve convinta.
«Quando fai questa vita, le cose vanno a caso.» In un punto aperto, Tip affiancò il proprio cavallo a quello di lei. «Essere come tuo fratello non sempre salva, ma spesso non è per quello che si fa: mio padre non ha mai giocato con la morte, eppure lo hanno ucciso.»
Lei gli lanciò un’occhiata. «Tua madre non la pensava così.»
«Perché lo voleva a casa, al sicuro tra le quattro mura che aveva tirato su.»
«E non poteva rimanerci?»
«Proprio tu me lo chiedi?»
«Io non ho una famiglia.»
Tip scrollò le spalle. «Mio padre ci voleva bene. Però teneva molto a quello che faceva e, per farlo, doveva girare il mondo: quello che faceva, lo faceva credendo a qualcosa.» La guardò di sottecchi. «Tu invece cosa fai, JJ? Fuggi?»
Lei aprì la bocca e la richiuse, poi risucchiò un respiro spezzato. «Tu non mi conosci, Tip.»
«No», convenne, pacato. «Allora spiegamelo. Perché vai in giro per l’Africa senza una meta, senza sapere cosa fare? O limitandoti a seguire Tomas?»
JJ aggrottò la fronte, fece un’espressione tra il sorpreso e il contrariato e scosse il capo. «Non ti devo nessuna spiegazione.»
«Claro.»
«Allora, quali sono i tuoi fantastici piani, quando saremo a Nuova Sousse?»
Tip sospirò. «Non lo so. Come faccio a fare piani, se non conosco la situazione?»
JJ emise un mugugno incomprensibile, quindi partì al galoppo, lungo una zona pianeggiante e dal terreno reso arido dalla mancanza di pioggia.
Si fermarono la sera, non molto distanti dalla strada. Il mattino dopo Tip la condusse al fiume, dove fecero scorte di acqua, perché oltre quel punto non vi
sarebbero stati altri grossi corsi. Ne approfittarono anche per lavarsi e cambiarsi i vestiti.
Il caldo era asciutto, l’erba gialla tra i tronchi bianchi degli alberi. Con aria stanca, i loro cavalli muovevano le code per allontanare gli insetti.
Il cavallo di JJ quella mattina non aveva intenzione di farsi mettere l’imboccatura e sollevava il muso scuotendo il capo. Con uno sbuffo, JJ aprì le braccia. «Va bene. Ti lascio qui nel deserto e morirai da solo, senza amici.»
Tip rise piano. «Guarda che lo capisce se fai l’acida.»
«Meglio per lui, se lo capisce», replicò JJ, tentando di infilare le dita nella bocca dell’animale.
Tip si avvicinò e li guardò con aria divertita; quando JJ inserì il pollice tra le labbra del cavallo, riuscendo a fargli aprire la bocca, e quello con un scatto spostò il muso e lo sollevò, Tip rise di nuovo, di gusto. «Perfetto.»
JJ sbuffò. «Perché non mi aiuti, invece di stare lì a prenderci in giro?»
«Giuro solennemente che non sto prendendo in giro lui, ma solo te. Ficcagli le dita in bocca e agli un braccio sul collo per tenerlo fermo.»
Sgranando gli occhi con l’aria di biasimare la sua stupidità, JJ si posò i palmi sui
fianchi. «Non ci arrivo. Altrimenti lo avrei già fatto.»
«Povera piccola squaletta in miniatura», la canzonò Tip, prendendole l’imboccatura di mano.
Visto che non ne poteva più, lei lo lasciò fare e non gli rispose quando lui le disse che era stato facilissimo. Si immersero tra le acque, sui ciottoli, e lavarono i vestiti.
Tip posò la propria camicia sulla sella, aprendola sotto il sole della mattina.
Con fare critico, JJ sciacquò il sapone dai propri abiti ancora una volta.
«Hai fatto?»
Lei si drizzò. «Vai di corsa?»
«Tu che dici?»
JJ gli porse la propria borraccia. «Riempila», ordinò, spostandosi a sistemare anche i propri vestiti sui sacchi al lato del suo cavallo. «Ho capito perché la Mezzosangue modificata non ti ha minimamente preso in considerazione: sei un rompipalle.»
«Lo hai capito ora?»
«Ho ricollegato i fatti.» Strinse il sottopancia della cavalcatura.
Tip le ridiede la borraccia, che lei fissò alla sella, prima di tornare al fiume. «Quanto chiacchieri. Dove vai?»
«A lavarmi le mani, ammiraglio. Posso? Oppure devo chiedere il tuo permesso per ogni singola cosa che faccio? Lavo i panni, tolgo il sapone, posso? Prendo l’acqua, posso? Vado a fare tanta pipì, posso?»
«Sbrigati.»
JJ alzò gli occhi al cielo. «Era solo un esempio, cabròn.»
«Allora usi la bocca a sproposito.»
Lei gli fece un sorrisetto, posò il palmo della mano sul suo sterno e lo spinse contro la corteccia liscia e chiara di un eucalipto dietro di lui. «Dici?» Fece scorrere le dita sui suoi addominali alti, scendendo lentamente verso il basso, sfiorando la pelle liscia, seguendo i disegni precisi della muscolatura, fino ad arrivare al bordo dei pantaloni. Lambendo con una mano la peluria sotto l’ombelico, con l’altra sbottonò i calzoni.
«JJ…»
Lei si piegò sulle ginocchia.
«Tu non vuoi…»
Tirò fuori un membro già gonfio e pulsante.
«Non vuoi davvero…»
«Tip! Poi dici che sono io. Ci rimettiamo subito in cammino.» Lo guardò in viso, mentre la sua lingua lo percorreva nella sua interezza. «Ce la fai a stare zitto cinque minuti?»
«Oooh…»
«‘Oh’ te lo permetto», gli rispose, prima di avvolgerlo con la sua bocca calda, prima di succhiare e muovere le labbra avanti e indietro.
Tip le afferrò i capelli e le spinse il capo contro il proprio sesso, guidandola sul giusto ritmo. Lei lo assecondò e gli tirò giù i vestiti, per poi massaggiarlo con dolcezza tra le cosce con una mano, risalendo sempre più in alto.
Suo malgrado, Tip si sentì completamente smarrito.
Si abbandonò a quei movimenti cadenzati, al percorso intransigente delle labbra, alla lingua che batteva sul punto più sensibile, al massaggio della mano, all’ippocampo che appariva e scompariva. Chiuse le palpebre, si abbandonò e si perse, fino a quando non ebbe un brivido lungo tutta la schiena.
«Tesoro, spostati», mormorò.
Lei gli lanciò un’occhiata e richiuse le palpebre, lo attrasse a sé ando la mano libera dietro i suoi glutei, senza smettere di muoversi, aumentando il ritmo.
«Jennie», mugolò, ma non sapeva se la stesse avvertendo, rimproverando o godendo di lei. Non importava, perché i suoi lombi fremettero senza tregua, chiuse gli occhi anche lui e il piacere si diffuse in tutto il suo corpo, la sua essenza invase la bocca di JJ, mentre il calore lo avvolgeva percorrendo ogni singola vena.
Osservò la ragazza deglutire, prima di lasciarlo e sedersi sui talloni. Lo guardò in cerca di qualcosa; lui tirò su i pantaloni e si inginocchiò di fronte a lei. Le sorrise, pulendole l’angolo della bocca con un pollice. «Ok, questo non è assolutamente a sproposito.»
JJ ricambiò il sorriso. «Sai di latte e caffè.»
«Una rarità, da queste parti.»
«Una rarità.»
Tip la baciò, con dolcezza, a lungo, fino a che lei lo allontanò.
«Andiamo, ammiraglio, prima che mi si accusi di aver fatto perdere di vista la terra all’intera ciurma.»
13
Viaggiarono per due giorni senza vedere un rigagnolo di acqua, tirava un vento secco da nord, che talvolta portava granelli di sabbia pronti a depositarsi sui loro vestiti. Sul capo tenevano avvolti dei tagelmust che Tip aveva preso a Barkesh in previsione del deserto.
Tip conosceva quella strada, sapeva che non vi fosse nulla di preoccupante, tuttavia osservava JJ con apprensione. Se lei temeva qualcosa, non lo diede a vedere.
Incontrarono solo un gruppo di ragazzi delle Tribù del Sud.
«Dove sono tutti quelli che percorrevano la strada principale?» domandò JJ da sotto la striscia di cotone che le nascondeva bocca e naso.
Tip sollevò un braccio e con il dito disegnò un semicerchio. «ano di là. Il terreno è diverso, più confortevole, ma ci vogliono quattro o cinque giorni in più.»
JJ annuì. «La prossima tappa sarà direttamente Nuova Sousse?»
«No, il giorno prima ci fermiamo a Sidi El Hani, da Hazima. Dormiamo e, forse il giorno dopo o la notte successiva, raggiungiamo Nuova Sousse, nell’anonimato.»
«Anonimato, eh? Sander dice sempre che per essere un contrabbandiere sei una fottuta celebrità.»
Tip scimmiottò un inchino. «Signore e signori, Tip, il contrabbandiere più famoso di Nuova Terra.»
JJ scosse il capo. «Davvero poco credibile», lo canzonò con una risata. «E poi sentiamo, chi sarebbe Hazima?»
«Oh, non essere gelosa di lei, mocciosa. Non ne la vale la pena.»
Quando arrivarono e conobbe Hazima, dovette ammettere che non ne valeva davvero la pena: doveva avere una cinquantina di anni e una cinquantina di chili di troppo, il viso butterato, un sorriso troppo largo, ma contagioso. Aveva dieci figli, tutti maschi; il più grande era sposato con una giovane che sembrava una bambina, nonostante avesse la stessa età di JJ.
Sebbene non avesse stanze per loro, Hazima accolse Tip come se fosse il suo undicesimo figlio e, quando si furono fatti una doccia e cambiati, rimpinzò il suo piatto e quello di JJ di ceci e pane bagnato.
«‘sto ragazzino ha imparato ad andare a cavallo a casa mia», spiegò la donna a JJ. «Il signor Esposito ha insegnato a leggere e scrivere e a far di conto a tutta ‘sta gente che vedi qui.» Con la mano grassoccia indicò tutta la famiglia, ora sparsa per la sala e l’esterno. «E mica solo a loro. Ah, era un uomo troppo simpatico, ci faceva ridere tutti, ma come era serio quando doveva insegnare a
noi poveretti.»
JJ le sorrise con affetto.
«Aveva la barba e portava un cappello a falda larga, sempre.»
«Lo ricordo, signora. Era proprio come lo sta descrivendo.»
Hazima la squadrò con aria bonaria per alcuni istanti. «Sei anche tu delle Isole di Taormina?»
Tip prese un pezzo di cocco da una ciotola. «È la terzogenita di Comer Jannacci. Te lo ricordi? Venne una volta qui con papà.»
La donna ci pensò. «Comer Jannacci, sì, è venuto più di una volta, prima che tu venissi a conoscermi. Me lo ricordo.» Guardò JJ. «Aveva i tuoi occhi, ma non questi punti sul naso.»
«Le lentiggini?» chiese JJ abbassando lo sguardo e ripiegando le maniche della sua camicia bianca. «Le ho prese dalla famiglia di mia madre.»
«Oh», esclamò Hazima studiando le macchioline sulla pelle. «Beh, come sta il vecchio?»
«È morto diversi anni fa. Per un’infezione.»
«Mi dispiace. E ora dove state andando?»
«Torniamo a casa», replicò Tip, lanciando una vaga occhiata a JJ. «È molto che manchiamo. Il marito di Elena è stato male, così sono rimasto con lei e i bambini, ma avevo voglia di tornare. Sto accompagnando anche questa ragazzina.» Le ò un braccio sulla spalla.
JJ lo lasciò fare.
Hazima mostrò i denti storti in un sorrisone. «‘sto figlio è un bravo ragazzo. Non ho figlie femmine, altrimenti me lo facevo parente. Veniva qui a cavallo da ragazzino, col padre, voleva andare sui cavalloni, quelli più grossi. E dopo due giorni di cavallo è finito con il culo sulle erbacce. Quelle che prudono. Dovevi vederlo: quando lo abbiamo raccolto non ha versato una lacrima, ma quando sono spuntate tutte quelle bolle rosse sulla sua pelle bianca, che Allah ci salvi, strillava come un ossesso.»
JJ rise al racconto e alla voce profonda che faceva la donna.
«Hazima, queste sono faccende private», brontolò divertito Tip.
«Oh, ‘sta storia la sanno tutti, qui. Non ci siamo mica solo noi con ‘sti cavalli.»
JJ lo spintonò appena. «Vedi: sei una celebrità», lo prese in giro.
Il figlio più grande di Hazima rientrò nella stanza. «Abbiamo sistemato la scuderia», disse in iuropìan, con un accento più delicato di quello della madre.
La donna annuì, prima di guardare Tip. «Siete certi di non voler dormire con i bambini?»
«Sì, non ti preoccupare.»
«Se rimarrete qualche giorno, vi farò sistemare un posto più adatto.»
Tip e JJ si alzarono. «Non c’è problema, davvero. Domani andiamo via e non vale la pena tutto questo trambusto.»
Hazima si strinse le spalle, prendendo i piatti dove era stata la frutta. «Come volete, ragazzi. Farid», si rivolse al figlio. «Li accompagni tu?»
Il ragazzo acconsentì e li guidò lungo il sentiero, fatto di piccole pietre e contornato da alberi di melograno, fino alla scuderia. «Non ho più stanze, mi dispiace, davvero. Ma questo spazio è tutto vostro», disse mostrando il box che avevano liberato. «Lalla, se vuoi per te c’è la camera delle mie bambine, a mia moglie sta bene.»
Lei scosse il capo. «Non preoccuparti, qui starò benissimo.»
Farid toccò la parete «Questo lato della stalla è di pietra, tiene caldo nelle notti fredde e freddo quando fa caldo.»
Tip indicò i ganci in ferro battuto, al muro. «Ci torturi i cavalli qui?»
«Non proprio. Abbiamo avuto per molto tempo un cavallo irrequieto, doveva avere qualche problema al cervello, il poveretto: lo tenevamo qui, era tutto legato per non farsi male e tutto intorno, prima, c’erano delle imbottiture.»
«Non potrei mai trattare un cavallo in questo modo.»
«Neppure io. È stato un martirio.»
«Che fine ha fatto?»
Farid fece una smorfia. «Lo hanno abbattuto. Ora in questo spazio teniamo qualche attrezzo, anche se hanno il loro posto laggiù, per lo più teniamo in questa bacheca i finimenti e qui questi secchi. Vi dispiace se rimangono qui?»
«No, non disturbati, domani andremo via; quando dicevo a tua madre che non ne vale la pena, dicevo sul serio.»
L’altro annuì. «Allora vi lascio riposare. Vi lascio la lampada, ma non
mandatemi tutto a fuoco, e questo secchio è pieno di acqua potabile, usatelo se mandate a fuoco il capannone.»
«Stai tranquillo», rispose Tip posando la lampada al lato del box e seguendolo lungo il corridoio per poi richiudere la porta da dentro. «Tesbah ala kheir, Farid. Shukran.»
«È un piacere. Buonanotte, Tip.»
JJ si stava guardano intorno, analizzando la situazione, quando tornò da lei. «Che ne dici?»
«Una stanza come un’altra», commentò Tip.
«Mi sono lavata per niente», replicò allungando un piede per spostare la paglia.
Tip l’aiutò e poi distesero le coperte pulite ma dure che aveva dato loro Hazima. «Trattasi di posticino romantico per coppiette.»
JJ mugugnò.
«Basta non guardare tutti questi ganci sparsi ovunque e non penserai di essere in una stalla per cavalli da camicia di forza.»
La ragazza rise, avvicinandosi alla bacheca con i finimenti. «Un manicomio per cavalli, ecco dove mi fai dormire.» Gli puntò un frustino contro.
Lui inarcò un sopracciglio. «Posalo»
«Paura?» chiese in falsetto, poggiando la punta sul suo petto.
«Mi ecciti con questo affare in mano. Posalo subito.»
«Mmm.» JJ fece scorrere il frustino su di lui. «Interessante, ammiraglio.»
«Non farti strane idee, pesciolina», replicò, afferrando il frustino dall’estremità opposta e tirandolo verso di sé, costringendo, così, la ragazza ad avvicinarsi.
Lei sollevò lo sguardo su di lui. «Non ti piacciono certe cose, ammiraglio? In fondo, hai detto che il posto è romantico.»
«L’ho detto.» Le tolse il frustino di mano e lo buttò a terra. «E ci sono tante cose che mi piacciono, ma non il frustino.»
«E», continuò JJ come se lui non avesse parlato «mi pare che tu abbia un debito con me.»
Tip l’attrasse a sé. «Pago sempre i miei debiti.» Chinò il viso su di lei e la baciò.
La sua lingua si spinse dentro la bocca di lei, vorace; le sue mani le strinsero i fianchi e la fecero indietreggiare fin contro il muro, mentre la foga del bacio bruciava le loro labbra.
«Sai, io penso che i cavalli non abbiano bisogno della frusta», le disse con un tono di voce caldo e basso. «Hanno bisogno della voce e delle redini», continuò prendendo delle briglie dalla bacheca. Si scostò appena per prenderle le braccia e arle una cinghia sui polsi. «Non sei d’accordo?» domandò senza mai staccare gli occhi da lei.
«È solo teoria, ho molte ipotesi sui cavalli.»
Le baciò il collo e si strusciò contro di lei. «Affinché tu possa credere, te lo dimostrerò.»
«Dimostramelo.»
Le sollevò un braccio e fece are le redini sull’anello di ferro più vicino. «Le redini servono a dare una direzione alla povera bestia spaesata», disse, riafferrando la striscia di cuoio e tirandola verso il basso per tenere il polso il più in alto possibile. «La destra e la sinistra devono essere un messaggio chiaro», spiegò, annodando le cinghie. «Quando corri su una strada, dietro una preda o quando fuggi da un malvivente», continuò legando l’altro polso nella stessa maniera.
«Solo questo?» chiese JJ fingendo delusione.
«C’è un tipo di monta che usano al nord, che discende addirittura dagli inglesi.» Le sbottonò la camicia. «Si tiene salda e tesa la redine destra e si apre la sinistra, lasciandola morbida, per far spostare il cavallo in quella direzione.» Si piegò a baciarle un seno.
JJ trattenne in gola un ansito, che riverberò in un suono gutturale carico di piacere. Tip la morse e lei fece un leggero scatto.
«Sicché, a ogni azione del genere corrisponde quella del cavallo.» Le sfiorò l’altro seno con la punta delle dita. «E sarà la stessa cosa per l’altra parte: lasci libera la destra e tiri la sinistra.» Le pizzicò il capezzolo e poi si piegò a baciarlo.
«E ti piace quel tipo di monta?»
«Non lo so. Sono abituato a tenere le redini con una mano sola, che tengo al centro e sposto di qua e di là.» Con le dita disegnò una curva serpentina sulla sua pancia, scendendo fino ai pantaloni, che aprì, mentre di nuovo le rapiva le labbra con le proprie, incontrando la lingua, il respiro spezzato.
Tip la lasciò per denudarle le gambe. Lei lo aiutò scalciando via i vestiti e rimanendo con solo la camicia aperta; gemette quando Tip si accostò a lei premendo il gonfiore nei pantaloni sul suo basso ventre; le piegò il capo con una mano per baciarle il collo, il muscolo sollevato della spalla e di nuovo le labbra.
Si sbottonò la camicia anche lui, osservandola.
JJ strinse le gambe, perché sapeva di essere già pronta, e si morse un labbro quando Tip le fece scorrere la mano lungo l’interno coscia spostandola dall’altra. Non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, che la stavano fissando con quei riflessi ambrati, l’espressione tra l’arrogante e l’attesa; stava studiando le sue reazioni e lei reagì: una colata umida si riversò dalle sue viscere sulle dita di Tip, che, premute contro le sue labbra inferiori, le tolsero il respiro entrando dentro di lei. Erano due e si mossero in maniera secca, senza tregua, ma lei era talmente bagnata che non percepì il minimo dolore: scivolavano dentro infuocando ogni parete.
Tip le poggiò l’altra mano su un fianco per poi farla scendere tra le gambe della ragazza e alzargliene una; con l’altra uscì da lei, con il pollice trovò il suo piccolo nodulo turgido e ci girò intorno. Si avvicinò e la baciò sotto l’orecchio. «Con una mano sola», sussurrò senza spostarsi, «il cavallo può capire cosa vuoi: destra, sinistra, avanti, indietro.» Con un unico movimento, penetrò dentro di lei, tra i glutei sodi e le labbra gonfie.
JJ emise un grido soffocato; dolore e piacere. Il suo petto si schiacciò contro quello di Tip, lui la baciò, spingendo anche la lingua dentro di lei, muovendo le dita in tutti i suoi orifizi, massaggiando il clitoride con il pollice e divorando la sua bocca così tanto a lungo che JJ non fu più in grado di sentire altro se non il piacere dilagante.
«Vieni, piccola giumenta.» Le morse un labbro. «Vieni per il tuo cavaliere.»
JJ non se lo fece ripetere, si incendiò contro di lui, agitando le braccia, che facevano tintinnare gli anelli di ferro, ansimando.
Tip la lasciò appena le contrazioni si affievolirono.
«Sei una brava giumenta.»
Lei strinse le labbra; le sembrava di aver perso l’uso della parola, le sembrava di avere avuto tutto e di non aver avuto abbastanza, ora che il sangue stava defluendo. La vista di Tip che si toglieva la camicia e si slacciava i pantaloni le saettò un brivido lungo la schiena.
«È così che doma i suoi cavalli, il mio cavaliere?»
Lui la guardò; si teneva in punta dei piedi, le braccia tese ai suoi lati, che le lasciavano la camicia completamente aperta. Si dovette controllare nel guardarla e si dovette controllare quando lei, conscia di quello sguardo, serrò le gambe.
A Tip sfuggì un sorrisetto divertito. «Pare che la mia piccola giumenta sia insaziabile.»
«Pare…» mormorò JJ.
Lui le sfiorò le labbra con le proprie. «Sai cosa è importante quando si parla di redini e cavalli?»
JJ scosse appena il capo.
«I movimenti che fa la bocca: ogni monta ha un contatto diverso e ogni cavaliere deve stare attento.»
Si inginocchiò davanti a lei e le sollevò una gamba con una mano, con l’altra le allargò le labbra, luccicanti al lume della lampada, e leccò dall’alto verso il basso e viceversa.
JJ mugolò di puro piacere e lui poggiò le proprie labbra sul suo sesso; non le lasciò scampo: leccò, succhiò, mordicchiò e infilò ancora una volta un dito per darle piacere e per controllare le contrazioni. La lasciò quando le sembrò sull’orlo del precipizio.
«No…» le uscì in un lamento denso.
Tip si alzò. «No? Sono io a domare i cavalli, tesoro.»
«No, ti prego.»
Lui si tolse i pantaloni. «I cavalli non pregano.»
Le premette il membro gonfio e duro contro i riccioli del pube.
«No», ripeté JJ in preda alla frustrazione.
«Piccola giumenta, mi costringi a usare il frustino.» Le sollevò le gambe, si piegò appena per scendere tra le sue labbra aperte e si sollevò entrando dentro di lei con un’unica spinta lacerante. JJ strinse le mani attorno alle cinghie, per non ferirsi i polsi, ma lui lo trovò incredibilmente eccitante e affondò ancora una volta; gemendo insieme a lei, muovendosi insieme a lei, che innalzava il bacino contro il fallo dritto.
JJ mandò la testa indietro, contro la parete, e cercò invano di respirare.
«No?» le chiese Tip.
«Sì…»
Lui le fece spostare le gambe per farsele allacciare dietro la schiena e le ò le mani sotto i glutei, per tenerla e attrarla verso di sé. Spostò una mano verso il basso per inumidirsi un dito e farlo entrare dentro di lei, tra le natiche concentrate a spingere in avanti.
Proprio come un cavallo, JJ soffiò; di piacere. Tip accelerò i colpi e cercò il suo viso, indugiando con lo sguardo sulle sue palpebre chiuse, le labbra appena aperte. «Sì?»
«Oh, sì.»
Seguiva un ritmo regolare, sinuoso, pigiava i pettorali contro il suo seno sodo mischiando il proprio sudore a quello di lei. Il suono dolce del piacere che si confondeva tra i loro respiri, inebriante, ineluttabile. Durò a lungo. Lei raggiunse l’apice esplodendo attorno al suo pene, che continuava a spingere, a diffonderle quella marea di onde spumose e calde per tutto il corpo, come se ogni singolo nervo potesse goderne appieno.
Poi Tip cambiò ritmo, più secco e profondo, e si lasciò andare quando le braccia di JJ stavano tremando irrimediabilmente sopra di loro.
Gemette sotto il suo orecchio e la tenne stretta, si fermò lentamente, godendosi il piacere intenso che andava a scemare. Se non fosse stato per le braccia, sarebbero rimasti immobili, avvinghiati in quel modo.
Tip le baciò una guancia e si scostò, facendole posare i piedi a terra; con il fazzoletto pulito le tolse dalle cosce il proprio fluido denso e perlescente; la liberò dalle redini e la tenne contro di sé. JJ gli ò le braccia intorno al collo e lo baciò; lui la sollevò, andole le mani sotto le natiche, e volteggiò sulla paglia sparsa a terra.
«Ne è valsa la pena, lavarsi?»
Lei ridacchiò, piegando il viso su di lui. «Direi di sì.»
Le baciò il naso. «Mi piaci, mocciosa.»
«Anche tu, ammiraglio.»
Tip uscì dal box, tenendola in braccio.
«Dove andiamo?»
«A vedere i cavalli», le rispose percorrendo il corridoio.
La luce della lampada gettava ombre nere tutte intorno, e i cavalli semiaddormentati si mossero appena al loro aggio. Come una bambina, JJ si strinse a Tip. «Mi sono sempre piaciuti i cavalli», sussurrò come se potesse disturbarli. «Sognavo di avere un prato enorme con tutti i cavalli del mondo.»
«Io ce l’ho.»
«Cosa? Tutti i cavalli del mondo?»
«No, sciocchina. Ho un prato enorme, sulle coste a nord delle Isole di Taormina. Lo comprammo io e mio fratello, ma poi lui è morto e io sono tornato raramente: c’è una casetta piccolina e dormivo lì quando portavo il pesce nell’entroterra.»
«Mi piacerebbe vederlo.»
«Ti ci porto, quando tutta questa storia sarà finita.»
Lei ebbe un leggero brivido, tuttavia Tip non era certo che fosse per il freddo. In ogni caso, tornò sui propri i e la lasciò scivolare sulle coperte; si sdraiò accanto a lei e le ò la punta delle dita sulla spalla, per poi massaggiarla e continuare sul braccio; fece lo stesso sull’altro lato, distendendo i muscoli con le dita e analizzando i piccoli nei con gli occhi.
«Va meglio?»
«Va benissimo.»
JJ si voltò verso di lui, si puntellò su un gomito e lo baciò. «Mi piace Hazima», disse spingendolo a terra.
«Esiste a questo mondo qualcuno che ti piace?»
Lei gli fece una linguaccia e si protese verso il secchio d’acqua; con il mestolo ne tirò fuori un po’ per berla. «Vuoi?»
Tip scosse il capo.
JJ si fece scendere un po’ d’acqua sulle mani per pulirle e lasciò il mestolo; con le dita bagnate schizzò il ventre di Tip con un’espressione infantile e soddisfatta.
«È fredda», protestò Tip, ma la lasciò fare.
«Quanto fredda?» domandò sfiorando il pene abbandonato su un lato.
Tip si limitò a guardarla, tenendosi sui gomiti, mentre lei prendeva la sua virilità tra le mani umide. La strinse un poco come a saggiarne la consistenza, fece scorrere la pelle verso il basso e di nuovo lo richiuse, lentamente. Teneva la bocca appena aperta e il viso concentrato.
«Non ne ho mai visto uno innocuo da vicino.»
«Innocuo?» ripeté Tip percependo il sangue pulsargli verso il basso.
JJ inclinò il capo. «Sì, come sei adesso. Ok, come eri fino a qualche secondo fa», aggiunse con una risatina, conscia del gonfiore che cresceva nella sua mano. «Penso che la natura vi abbia fatto in questa maniera così perfetta, quasi dolce.»
Tip strinse le labbra. «Mmm.»
«Ma poi diventate dei tali bastardi.» Sorrise, maliziosa.
«Non così perfetti, allora.»
Con un movimento lento, JJ si abbassò su di lui e baciò la punta del glande con una strana tenerezza; con la lingua seguì le diramazioni delle vene e la linea sottile e tesa del frenulo. Quando alzò gli occhi verso Tip, il fallo ormai turgido rispose con una goccia di seme traslucida, che lei leccò via prima di far scorrere le labbra, centimetro dopo centimetro, attorno a lui.
Chiuso dentro la sua bocca, delicata e avida, calda e in movimento, Tip emise un gemito di piacere.
JJ chiuse gli occhi dedicandosi del tutto a lui, e si sorprese di quanto tutto questo le sciogliesse le membra. Non aveva mai neppure sospettato che dare quel tipo di piacere a un uomo potesse eccitarla tanto.
Si allontanò e guardò Tip, steso sulla coperta.
«Visto che è qui che hai imparato a cavalcare, pensi che potrei farlo anche io?»
Tip fece un’espressione confusa.
Lei si spostò un poco, sentendosi sciocca. «Posso?» domandò mimando il gesto di salire cavalcioni su di lui.
«Non lo hai mai fatto?»
JJ si morse un labbro, sentendosi ancora più sciocca. «Beh, no; io pensavo che voi… che non fosse bello per voi.»
Tip si sollevò a sedere, le prese il volto tra le mani e l’attrasse a sé per baciarla; il proprio sapore sulle labbra di lei. «Montami quanto vuoi, piccola giumenta.»
Lei sorrise sulla sua bocca. «Non posso montarti se sono io la giumenta.»
«Questa volta hai ragione, mocciosa», disse sollevandole una gamba e aiutandola a mettersi su di lui. «Ma a me piace, a molti uomini piace.»
JJ prese l’erezione con una mano, inclinandola verso il proprio sesso. «Ti faccio male?» sussurrò.
«No.» Tip le prese i fianchi e la fece scivolare sull’asta rigida.
JJ si riempì di lui, con un misto di piacere e sorpresa; si mosse piano, cauta, e infine seguì il movimento ritmico che le davano le mani di lui.
Tenendole un palmo sui glutei, con le dita dell’altra mano Tip risalì la sua schiena, sotto la camicia, e si piegò a baciarle il collo, la guancia e la bocca.
JJ rispose al suo bacio e aumentò il ritmo, andogli le dita tra i capelli castani, affondando nella sua bocca, danzando con la sua lingua; poi lui la lasciò, con un ansito languido.
«Oh, sì», mugolò sdraiandosi a occhi chiusi. «Scopami fino a impazzire.»
Lei sorrise, poggiando le mani su di lui. «Fino a impazzire, ammiraglio.»
Fino a impazzire; fino all’apice del desiderio, fino a rimanere avvinghiati, fino ad addormentarsi con i corpi nudi, inermi e appagati.
14
Lasciarono Sidi El Hani più tardi del previsto.
Le ore centrali della giornata portarono un caldo umido che si appiccicava alla pelle come un secondo vestito. Insetti fastidiosi pizzicavano ogni istante, sotto le palme che precedevano Nuova Sousse.
Senza un motivo conscio, rallentarono l’andatura e si fermarono per un’ultima notte all’addiaccio.
Facendo attenzione, JJ tirò fuori dalla borsa i propri soldi e li contò. «Con questi spiccioli non riuscirei a mangiarci nemmeno una settimana.»
«Tienili stretti, i miei bastano per tutti e due.»
Lei fece una smorfia. «Anche Sander dice sempre la stessa cosa, ma ti assicuro che non è incoraggiante.» Incrociò il suo sguardo. «Dipendere sempre da qualcuno, intendo.»
Tip si strinse nelle spalle. «Posso immaginarlo, però non ci vedo nulla di male: mia madre sosteneva che i legami affettivi esistono per aiutarsi, altrimenti madre natura ci avrebbe creato diversamente.»
«Madre natura ci ha creato diversamente», obiettò più acre di quanto avesse previsto. «Altrimenti il mondo sarebbe migliore.»
«Non credi neppure nei legami affettivi, JJ?»
«Io non credo a niente, Tip. Credo a quello che vedo, credo al momento in quel momento; per me e per gli altri.»
«L’affetto per i tuoi fratelli non vale niente? A me pare che vi vogliate bene.»
JJ inspirò, fissando il fuoco, stringendosi le ginocchia con le braccia. «Non ho detto di non volere bene a nessuno; ho detto che non credo nella sacralità dei sentimenti, nella loro esistenza a tutto tondo, negli incastri perfetti, quelli che durano per sempre, nell’impegno costante. Sono solo belle parole in cui alcuni credono per andare avanti. È un’illusione.»
«Anche quella che c’era tra i tuoi genitori?»
Fece spallucce. «Non ho idea di cosa ci fosse tra loro. Dopo una brutta litigata, da ragazzina, chiesi a mia madre perché stesse con quell’uomo, mi rispose che è così che si fa; cerchiamo persone che ci possano comprendere, sopportare, aiutare, far vedere il mondo più rosa. L’amore è opportunismo. La gente ama qualcuno per il proprio bene.»
«Dalle nostre parti si dice che si cerca la propria seconda metà della mela. Lo conosci questo detto?»
«Certo che lo conosco, ed è una cazzata. La gente cerca la seconda metà della mela, ma spesso non ha trovato nemmeno la prima. Io non cerco mele, io cerco di dare forma a quel mare che sento dentro, cerco di contenerlo e di non farlo prosciugare allo stesso tempo.»
«E cerchi di bruciarlo.»
Lei piegò le labbra, abbassando lo sguardo sulle mani. «Non lo so. Come dici tu, il mare non brucia.»
Quella sera, cercando di scacciare fastidiosi insetti, Tip la prese con frenetica dolcezza, ascoltando le urla di qualche animale invisibile nella giungla prima di Nuova Sousse.
La città portò un caldo meno umido e una leggera brezza dal mare.
Con il sole prossimo sull’orizzonte, si accesero le prime luci e JJ le guardò con un senso di malinconia. Era moltissimo tempo che non vedeva luci artificiali accendersi tutte insieme sull’asfalto scuro della strada. Da quando viveva in Africa, ogni volta che vedeva quella magia le si spezzava il fiato.
Nonostante tutto, la baraccopoli della periferia rimaneva un quadro straziante di povertà, anche ora che l’Africa era indipendente e la ribellione aveva smesso di mettere a ferro e a fuoco la città. Benché altrettanto povera, JJ preferiva la propria terra fatta di modeste case sparse, moli piccoli, giardini curati; la baraccopoli di Nuova Sousse urlava le grida dei bambini cenciosi e respirava il
puzzo delle fogne a cielo aperto.
Tip le lanciò un’occhiata di traverso. «Era quasi meglio durante l’assalto dei ribelli.»
JJ fece una smorfia. «Perché?»
«Perché da queste parti non c’era nessuno, erano tutti andati via oppure rinchiusi dentro casa.»
«Chiamala casa», esclamò osservando una capanna che cadeva a pezzi.
«Beh, sì, quello che è», convenne Tip a bassa voce.
Il centro della città era un’altra storia, una storia fatta di muri e siepi colorate, l’incontro quasi romantico tra arte mediorientale e occidentale. Tip guidò il proprio cavallo tra le strade dritte del centro, dove il naso si riempiva di spezie e cipolle fritte.
In una di quelle vie, fermò il cavallo davanti alla scritta Locanda il sole di Nuova Sousse, una costruzione ridipinta da poco di azzurro e giallo, e scese a terra, imitato da JJ.
«Aspettami qui», disse lasciandole le redini della propria cavalcatura.
Uscì poco dopo con un uomo che portava una kefiah rossa e bianca sul capo e sorrideva con le labbra carnose. Salutò JJ in arabo presentandosi come Taoufik Ben Hamida e prese i due cavalli per portarli via con solo le selle.
Tip si caricò di tutti i loro averi e rientrò nella locanda, seguito da JJ; salirono le scale, dove una donna che portava un velo leggero li stava aspettando davanti a una porta.
Tip lasciò sul pavimento tutti i loro sacchi e sorrise. «Amira, lei è JJ, una mia amica.»
La donna fece un cenno con il capo alla ragazza e consegnò le chiavi a Tip. «Tra un’ora vi faccio portare la cena da Naïma, figliolo.»
«Grazie.»
Chiuse la porta e si voltò a guardare JJ, che stava osservando la stanza. Era la più grande che avessero avuto fino a quel momento; oltre al letto - un baldacchino semplice con la zanzariera azzurra - c’era un tavolo con due sedie, e aveva un bagno privato, acqua corrente e calda.
JJ fu la prima a usarlo. Dopo, rimase nuda sul letto, con le braccia ancora indolenzite, e si addormentò.
Quando bussarono alla porta, Tip la coprì con un lenzuolo, prima di aprire. Una
ragazza piccola di statura, ma dai lineamenti graziosi e le labbra carnose, lo salutò con una voce musicale.
JJ aprì appena le palpebre per osservarla, mentre entrava nella stanza per posare la loro cena sul tavolo. «Salam aleik, Tip.»
«Aleika salam, Naïma. Come stai?» le domandò Tip a voce bassa; probabilmente temeva di svegliarla, tuttavia c’era intimità in quella intonazione.
«Come sempre», rispose Naïma, anche lei sussurrando, ma con allegria. «È una tua amica?»
«Sì.»
Tip indossava solo i pantaloni e la cicatrice a ricordo della pugnalata era evidente. Senza il minimo imbarazzo, Naïma la sfiorò. «Cosa hai fatto?»
«A botte.»
Lei incrociò il suo sguardo e scosse il capo con un sorriso. «Non cambi mai?»
«Mai.»
«Quanto rimani?»
Si strinse nelle spalle. «Non lo so. Abbiamo alcune faccende da sbrigare qui a Nuova Sousse e non sappiamo quanto siano complicate. Di certo, qualche giorno.»
«Tu e la tua amica?»
JJ si chiese se gli stesse chiedendo qualcosa in particolare da leggere tra le righe.
Tip si limitò ad annuire.
Naïma sussurrò qualcosa in arabo e JJ non comprese, la guardò lasciare la stanza, con Tip che la accompagnava alla porta; chiuse le palpebre quando lui si voltò e venne verso di lei.
Tip si sedette sul letto e le tolse il lenzuolo, lasciandola di nuovo nuda, poi non si mosse. JJ si impose di non aprire gli occhi per scoprire cosa stesse facendo. Per alcuni lunghi istanti desiderò che se ne andasse, oppure che la prendesse lì dov’era, affondando dentro di lei, senza una parola, donandole quel piacere inebriante che sapeva fosse capace di darle.
Invece le accarezzò i capelli che le scendevano appena sopra il collo. «JJ?» la chiamò con dolcezza. «C’è la cena, se vuoi.» La scosse piano, vedendo che non rispondeva.
Poi lei sollevò lo sguardo su di lui e si sentì lo stomaco chiuso. «Non ho fame: mangio più tardi, se mi sveglio.»
«Va bene», le rispose, ma rimase seduto accanto a lei per un minuto buono, prima di srotolare la zanzariera sul baldacchino.
Lei lo ascoltò mangiare in silenzio, bere, andare in bagno. Infine uscì, ma tornò quasi subito indietro; si cambiò, si sdraiò accanto a lei e, con ogni probabilità, si addormentò prima di lei.
JJ si risvegliò udendo lo scalpitio degli zoccoli di un cavallo sulla strada asfaltata. Da qualche parte, veniva l’odore del pane appena fatto. Era rannicchiata in posizione fetale sotto le lenzuola di lino bianco, ancora nuda. Quando si voltò dal lato di Tip, scoprì di essere da sola.
***
Lungo le strade di Nuova Sousse, Tip incontrò diversi militari che pattugliavano la zona. Era ato parecchio tempo da quando era stato lì l’ultima volta, tuttavia il centro della città gli parve lo stesso, o quanto meno lo stesso di quando ava lì con il padre e il fratello.
La gente camminava con calma, il caldo rendeva qualsiasi movimento insopportabile, solo i bambini più vivaci che non frequentavano la scuola azzardavano a correre e ridere. Tip percorse il tragitto a piedi, perché di stare a cavallo non ne poteva più, ma fu contento di giungere alla meta.
Iaafani Di Giovanni era un uomo di una sessantina di anni, sedeva all’ombra delle paglie sul pergolato del bar. Era famoso per quel locale che aveva portato dalla costa del Sud di Nuova Eyropa, la sua famiglia vantava di avere sempre lavorato in quel settore da prima del 2012, che fosse vero o meno a nessuno importava: di padre in figlio si erano tramandati l’arte di fare gelati, dolci, granite e tisane e di quello avevano sempre vissuto da che lui se ne ricordava. Anche Tip ricordava solo quella storia della famiglia Di Giovanni.
Da un amico aveva sentito che il bar era stato chiuso durante la guerriglia, ma Iaafani se l’era cavata con qualche tavolo rotto e sedie sparite. Meglio di tanti altri.
«Beata Vergine!» esclamò quando vide Tip. «Allora sei ancora vivo?»
«Dipende per chi», replicò con un abbraccio virile.
L’altro lo allontanò da sé e lo squadrò. «Per me, piccolo bastardo! Ti cercano tutti.»
«Tutti chi?»
Con un sorriso scaltro, Iaafani si toccò lo stomaco gonfio. «Sander, tanto per cominciare. E quel suo fratello sciroccato.»
«Sono stati qui?» domandò speranzoso.
Iaafani gli fece cenno di sedersi e ordinò a una ragazzina di portargli qualcosa di fresco.
«Qualche giorno fa è ato qui il fratello, mi ha spiegato la situazione, così l’ho accompagnato a trovare Sander. Vuoi sapere dove sono? Sono entrambi in gatta buia.»
Tip sgranò gli occhi. «Tutti e due?»
«Che Nostra Signora mi sia testimone, tutti e due. Al processo, Sander ha dichiarato di non aver ucciso nessuno, così è esploso un gran casino perché lo avevano beccato a seppellire ben tre corpi. Si è giustificato dicendo che li aveva solo trovati e voleva dargli una sepoltura decente; non gli ha creduto nessuno. Lo hanno condannato a morte, ma il fratello si è piombato in mezzo a quel gran casino e ha detto che era innocente, che era stato lui a uccidere quelle persone. Legittima difesa. Ah, c’era quasi da ridere, dovevi vedere la faccia di quegli idioti.»
Tip bevve un succo di ananas e pompelmo. «Nemmeno Tomas è stato particolarmente furbo.»
«Perché non hai sentito Sander. Gliene ha dette di tutti i colori.»
«Lo hanno sentito?»
«Oh sì, ma Sander non s’è fatto scappare niente. Ci sarà una nuova udienza dopo
domani, però non la vedo tanto bene: non hanno veri avvocati a difenderli, solo un paio di cretini, sai, quelli di ufficio che prendono due soldi, pagati per lo più con il baratto; come se non bastasse, il fratello ha ammesso di aver commesso un omicidio, anzi tre.»
«Tomas ti ha raccontato la verità di questa storia?»
«Sì, mi ha detto che stavi andando a cercare la sorella.»
Tip annuì. «Si trova qui a Nuova Sousse, è con me.»
Iaafani lo fissò per alcuni istanti. «È ricercata. Non dovresti tenerla qui.»
«Sanno che sono stato io a liberarla?»
«No, nessuno ha più parlato di te. La famiglia di Driss Moula, uno di quelli uccisi, ha detto che non c’entravi niente.»
«Loro hanno detto che non c’entravo niente?»
«Sì, evidentemente ti conoscono e non volevano avere a che fare con te. Avevano il pollo da ammazzare.»
Tip scosse il capo. «Quella gente voleva farmi fuori. Far fuori me! Se i miei amici sono in questo casino è solo per questo.»
Iaafani si strinse nelle spalle. «Non frega niente a nessuno.»
«In questo posto non frega niente a nessuno nemmeno degli omicidi», osservò stringendo il proprio bicchiere.
«È una brutta faccenda: Sander si è fatto beccare da alcuni militari fuori servizio. Hanno preso loro la situazione in mano, legalmente, intendo; le famiglie di quei disgraziati non hanno fatto problemi, perché non si potevano permettere nulla di meglio.»
«E c’è… di meglio?»
Iaafani guardò fuori la strada, dove ava un uomo con un carretto pieno di damigiane di acqua. «Non puoi permettertelo.»
«Chi è?»
«Lo chiamano Il Topo. Più che un avvocato è uno stronzo, riesce a fare il lavoro che fa solo perché è ammanicato ovunque e ha i militari dalla sua parte, nonché il governo. Ne esce vincitore più per questo che per altro, ma non accetta qualsiasi causa.»
«Bella la giustizia del nuovo governo.»
Iaafani fece un’espressione indecifrabile. «Prima era uguale. Non c’è mai stata la giustizia.»
«C’è quella che mi faccio da solo.»
«Sì. Ma non è abbastanza.»
«No, non lo è.»
L’uomo inspirò. «Qualsiasi cosa stai pensando, ti stai mettendo in un brutto affare.»
«Ci sono già, in un brutto affare.»
«Il fratello di Sander mi ha detto che ci sei finito per colpa della Mezzosangue, quella che ora sta col culo sul trono dei modificati. È vero?»
«Più o meno.»
«Beh, fallo pagare a lei, questo affare di merda.»
Tip distolse lo sguardo. «Non mi ha chiesto lei di liberarla.»
«Ma lo hai fatto e lo hai fatto a tuo rischio e pericolo, te lo deve.»
«Non mi deve nulla, te lo garantisco. E comunque non saprei come rintracciarla: non trovi l’indirizzo di un reale Mezzosangue dove capita e il tempo che ci rimane è poco.»
«Hai intenzione di entrare in gioco come protagonista, Tip? Perché se è così, di tempo nei hai tanto.»
«Ho saltato un processo, non voglio saltare anche il prossimo. Come protagonista posso attendere, ma non come amico, devo muovermi e subito. Potresti gentilmente fornirmi informazioni su come contattare questo Topo di fogna?»
Iaafani inspirò di nuovo, guardò il proprio bicchiere, lo scolò e si schiarì la voce accarezzandosi il grosso stomaco. «Va bene.»
15
Tip rientrò alla locanda poco prima del tramonto. Di corsa salì le scale e, quando voltò la prima rampa, quasi si scontrò con Naïma, che trasportava lenzuola pulite e fresche di bucato.
«Eeehi, dove corri?» cantilenò la ragazza sollevando il lembo di un lenzuolo sul braccio.
«Scusami.»
Lei gli sorrise con dolcezza; indossava un paio di jeans e sopra una maglia in stile arabo, i riccioli legati in una coda di cavallo, che le lasciava liberi ciocche ribelli sul collo. «Vuoi qualcosa da bere? Magari ti rilassi un po’.»
«Non posso adesso: devo parlare con JJ, la mia amica, magari più tardi.»
Naïma si strinse nelle spalle. «Va bene, come vuoi. Ma la tua amica non c’è.»
Tip aprì la bocca e la richiuse, rimangiandosi un’imprecazione delle più volgari. «Dov’è?»
«Non ne ho idea.»
«Dove può essere andata? Quando è uscita? Ti ha detto qualcosa? La devo trovare subito, è importante.»
«Cerchi me?»
Tip abbassò lo sguardo sulla rampa di scale che aveva appena percorso. JJ era ferma al primo gradino, l’espressione serena, almeno finché non scorse il sacco bordeaux che aveva in mano Tip.
«Oceano nero», esclamò lui nello stesso tempo. «Vieni subito su, ti devo parlare.»
JJ pencolò sulle gambe, indecisa se ubbidire a quell’ordine secco; la curiosità ebbe la meglio e lo raggiunse lanciando un’occhiata obliqua a Naïma, ferma sulle scale dove prima era Tip.
«Ti sei accorto, per caso, di avermi di nuovo lasciata sola?» disse quando entrambi furono dentro la camera.
Tip non l’ascoltò neppure. «JJ, non puoi uscire da qui: sei ricercata.»
Lei aprì le braccia in un gesto teatrale. «Oh, fantastico, una notizia da fine del mondo, nuove Razze mutanti si impossesseranno della Nuova Terra, diventerà Nuova-Nuova Terra.» Si gettò di peso sul letto, incrociando le braccia. «Forse sono stata arrestata per triplice omicidio. Forse sono scappata mentre mi
portavano al patibolo. Forse qualcuno è molto arrabbiato. E pensa, dicono che sono ricercata, che strano.»
«Non è divertente.»
«Non ho mai detto che lo sia.»
Tip si asciugò la fronte imperlata di sudore. «Non puoi andartene in giro per la città come niente fosse. Claro?»
«E non l’ho fatto. Ero nel giardino interno a bere un succo di frutta; mi arresteranno per questo?»
Tip si sedette accanto a lei con un sospiro.
«Quel sacco… è il mandolino di Tomas?»
«Ok. Ascoltami, Sander e Tomas sono entrambi dentro; Sander accusato di occultamento di cadavere e favoreggiamento; Tomas è accusato di omicidio.»
JJ si alzò e sbatté un pugno sul muro. «Tomas è un cretino! È stato lui a darsi la colpa, ne sono certa.»
«Sì…»
«Doveva solo tirarlo fuori da lì, solo questo.» Stringendo i pugni lungo i fianchi, JJ guardò fuori la finestra, ma stava guardando qualcosa che solo lei poteva vedere. «Diamine, come fa a essere sempre così idiota? Ora tocca fare il lavoro per due e si è pure autoaccusato. Ma perché è sempre così cretino?»
«Voleva solo salvare Sander: nonostante tutto, era stata chiesta la pena capitale.»
«E lui non ha avuto la pazienza di aspettare.» Si voltò a incrociare lo sguardo di Tip. «È sempre stato così: stava ore ad aspettare di pescare, ma fuori da quella fottuta barca non ha mai avuto la pazienza di aspettare niente.»
Tip sapeva che era vero. «Senti, domani vado a trovarli. Io non sono ricercato, né accusato di nulla, pare che nessuno sia interessato a me. Vedo cosa mi dicono e poi cerchiamo una persona: è un avvocato, o almeno sembra.»
«Che vuol dire?»
«Si tratta di uno invischiato nella criminalità.»
JJ emise una risata isterica. «Scherzi?»
«No.»
Lei lo fissò prima di scuotere il capo. «Non lo so.»
«Neppure io. Credo che porrò la situazione a Sander e vedrò cosa preferisce fare.»
Lei annuì distrattamente. «Io, di certo, non posso venire.» Non era una domanda e Tip non rispose «Sai qual è la cosa assurda? Che Tomas è l’unico che non ha mai ucciso nessuno in vita sua. Questo lo rende il migliore di noi. Vorrei vederlo, vorrei dirgli “Ehi, cabròn, ti metti in guai che non ti riguardano”; so che alla fine ci riderebbe pure.»
Tip sorrise. «È probabile. Ma abbiamo ancora tempo. Andiamo a fare una bella cena e poi andiamo a dormire: domani mattina voglio andare presto, così avremo tutta la giornata per decidere cosa dobbiamo fare.
***
Tornò per l’ora di pranzo, guidando una macchina a energia solare, tra le più costose sul mercato dell’Africa e di Nuova Eyropa. JJ si costrinse a rimanere in camera e aspettarlo, invece di precipitarsi giù dalle scale.
«E quella?» chiese a Tip quando aprì la porta.
Lui la osservò indicare fuori la finestra. «È solo in affitto. Domani mattina torna a casa.»
JJ oscillò sulle gambe. «Mmm. Li hai visti?»
«Sì.» Richiuse la porta. «Sander mi ha raccontato tutta la storia. È preoccupato per Tomas più che per se stesso.»
La raggiunse e lanciò un’occhiata alla macchina oltre il davanzale.
«Hai detto dov’ero?»
«No.»
«Non te lo hanno chiesto?»
Lui incrociò il suo sguardo. «Tomas me lo ha chiesto, ho detto che non sapevo che fine avessi fatto.»
«E Sander?»
«E Sander sai benissimo che è un po’ più furbo da non farmi queste domande.»
JJ si sforzò di deglutire. «Se non sa che venivi a cercarmi, forse pensa che io sia
morta.»
«Se avesse anche solo avuto questo sospetto, me lo avrebbe chiesto. Io non ho detto nulla e neppure lui, questo chiariva le cose più di quanto sembra.»
Lei andò a sedersi di nuovo sul letto. «Come stanno?»
Tamburellando le dita sul davanzale, Tip cercò le parole giuste, giuste per dire che Tomas aveva il viso scavato e lo sguardo spento, il biondo coperto di sporco e l’espressione imbronciata di un bambino; giuste per dire che Sander si faceva forza, rideva e scherzava, nonostante la preoccupazione per i fratelli, nonostante fosse stato picchiato così duramente da perdere due denti, tra cui un incisivo inferiore che lasciava un buco ben visibile.
Le parole giuste, vere, non c’erano. «Stanno bene.»
JJ ava le dita ritmicamente su una piega del lenzuolo, pensierosa. «Cosa avete deciso?»
«Di provare con Il Topo. Sander mi ha chiesto di contrattare, vedere cosa vuole e studiare le nostre possibilità. Domani al processo chiederà che venga rimandato per un cambio di avvocato; dice che la legge glielo permette.»
«Dov’è questo Topo?»
«Sulla strada per Tampàr, a un’ora fuori Nuova Sousse. Vado oggi pomeriggio.»
«Vengo con te.»
«No.»
«Sì; questa persona non ha idea di chi io sia e io voglio vederlo. E non ho nessuna intenzione di aspettare in questa stanza tutto il tempo. Sarò più sicura con te fuori da qui.»
Tip si voltò e fece scrocchiare il collo, piegando il capo a destra e sinistra. «Hai un vestito da mettere?»
JJ aprì la bocca per protestare, poi la richiuse e annuì guardando il proprio sacco, gettato a terra. «Ne ho uno nero, molto semplice; non lo uso mai, sarà spiegazzato e...»
«Andrà bene. Hai pranzato?»
Fece segno di no con la testa.
«Beh, cambiati, andiamo a mangiare e poi partiamo.»
A tavola, non ci furono parole; il chiacchiericcio degli altri commensali riempiva l’aria, ma loro erano altrove, scambiarono qualche frase di cortesia con Amira che li serviva, perché non potevano evitarla. Distrattamente, JJ notò che la donna fosse più alta e più tonda del marito.
«Sai guidare?» le chiese Tip quando furono in macchina.
«Sì, quelle che vanno a petrolio.»
Lui le mostrò un sorriso divertito ma delicato. «Si guidano nello stesso modo.»
«Allora la so guidare.» Guardò fuori il finestrino. «Ce lo ha insegnato Sander proprio qui, a Nuova Sousse, tre o quattro anni fa. Ma non c’erano queste macchine a energia solare e nel nulla è più facile ricaricare un cavallo che una macchina a petrolio.»
«Con questa non avremo problemi.»
«Costa molto», commentò JJ con voce atona.
Tip si strinse nelle spalle. «Per qualche ora me la posso permettere.»
«Era davvero necessaria?»
«Sì. Il Topo la noterà.»
Tip pensava che non avrebbe aggiunto altro, che di nuovo sarebbe tornata ai suoi pensieri, invece quei pensieri le uscirono dalle labbra, seguendo il filo dei ricordi: di Sander che adora le macchine e non ne ha mai avuta una; di lei e Tomas che fanno a gara su chi guida meglio; di Tomas che prende una staccionata e dichiara di rinunciare; di Comer Jannacci, che diceva che il nonno ne aveva una, ferma fuori casa, perché nessuno sapeva dove prendere il carburante giusto, e ogni nuova generazione ava l’infanzia in quel catorcio arrugginito, favoleggiando su percorsi inesistenti. E poi, chissà che fine aveva fatto quella macchina che nessuno dei viventi ricordava.
Seguendo le indicazioni sulla strada asfaltata ma piena di buche, Tip si trovò a pensare che la voce di JJ era una musica leggera, pulita, spruzzata, nelle sue espressioni più colorate, di una sensualità fanciullesca.
Con qualche difficoltà, trovarono l’ingresso della tenuta che cercavano: una piccola oasi tra le colline brulle. Li bloccarono alcuni uomini, vestiti con abiti arabi e le pistole sui fianchi.
«Che cercate?» chiese uno di loro in arabo.
«Vorremmo parlare con l’avvocato», replicò Tip.
«Avete un appuntamento?»
«No, ma abbiamo una faccenda urgente da porgli.»
L’uomo scambiò qualche battuta con un altro, prima di rivolgersi a Tip. «Lasciate qui la macchina», ordinò indicando un piccolo spiazzo. «Vediamo se ha voglia di ricevervi.»
Tip annuì, spostandosi dove indicato.
«Se ha voglia», ripeté JJ in un borbottio. «Non se ha tempo, solo se gli gira bene.»
Tip si limitò a lanciarle un’occhiata comprensiva.
Quando una delle guardie tornò dando il permesso, furono scortati da due uomini lungo un vialetto di palme di ogni tipo.
Davanti a loro si disegnò una villa dal sapore vittoriano che cozzava con la vegetazione tropicale che si perdeva sul tetto, tuttavia nessuno dei due ci fece troppo caso, perché era facile trovare costruzioni di quel tipo, all’interno di Nuova Sousse. Quella aveva solo la caratteristica di essere fuori città.
Furono accolti in una sala sul retro, piena di tappeti sul pavimento, sui muri e sul soffitto, al centro c’era un tavolo in legno massello dipinto di nero, con un’unica sedia; nell’aria c’era un forte odore di vaniglia che a Tip diede la nausea.
Rimasero in piedi, fermi accanto a un mobile scuro dalle striature rosse, fino a che arrivò un uomo dalla carnagione molto chiara che contrastava con i ricci neri. Vestiva pantaloni occidentali e una casacca rossa di seta in stile orientale, e sul capo portava un turbante dello stesso colore.
Era alto come Tip, ma sembrava essere magro la metà. Nonostante gli occhiali tondi sul naso, a JJ fece pensare a un cammello più che a un topo; non la degnò di uno sguardo, fece solo un gesto con il capo a Tip. «Lei è?» esordì in arabo.
«Gustav Esposito. E lei è…»
«Piacere, Gustav», lo interruppe ando allo iuropìan romanzo. «A cosa devo la sua presenza?»
Tip lo fissò per alcuni istanti. «Ho due amici incarcerati ingiustamente, vorrei chiedere il suo aiuto.»
Il Topo abbassò lo sguardo a studiare i suoi vestiti, poi fece un cenno a uno degli uomini con una mano. Quando quello tornò con una sedia, invitò Tip a sedersi di fronte a lui, al tavolo.
Per niente intimidita, JJ rimase in piedi accanto a Tip.
«Sa, nel mio lavoro non si chiede aiuto, nel mio lavoro si contratta.»
«Contrattiamo.»
Il Topo emise una risata nasale, mostrando denti perfettamente allineati, ma con due incisivi superiori troppo grandi. «C’è tempo per contrattare. Mi spieghi la situazione.»
Tip gliela spiegò.
«Non è di mio interesse», replicò infine. «Mi dispiace.»
«La pagheremo molto bene», intervenne senza pensarci JJ. «Tutto quello che desidera.»
Il Topo alzò gli occhi per la prima volta su di lei, la studiò per un lungo minuto, scendendo a osservarle le spalle, il petto e la vita, per tornare a guardare Tip. «Chi è la ragazza?»
«Una mia amica.»
«Non voglio i vostri soldi, non me ne faccio nulla. E non potete offrirmi nulla che ne valga la pena. A meno che…» Socchiuse appena gli occhi e abbassò un poco il mento. «Per una settimana non lasci a mia disposizione la tua amica, allora ti difenderò.»
JJ sussultò in maniera impercettibile.
Tip non mostrò la propria irritata sorpresa. «No.»
«Perché?»
«Perché non è in vendita.»
L’altro fece un sorriso scaltro. «Non me la vendi, signor Esposito, me l’affitti. Altrimenti, puoi guadagnare l’uscita da solo, i miei uomini ti scorteranno. Ma io ci penserei bene.»
Tip si alzò. «Se questi sono i suoi mezzi, troverò qualcun altro.»
«Non lo troverai.»
JJ fece un o avanti. «Tip, forse dovrei poter dire la mia.»
Lui le scoccò un’occhiata truce.
Il Topo scoppiò a ridere. «La cagna è in calore, Gustav, dammela e avrai soddisfatto tutti e tre.»
Tip prese la ragazza per un polso. «Le farò sapere. Muoviti», aggiunse rivoltò a JJ.
«Davvero, ragazzo, pensaci bene.»
Tip la tirò via e uscì cercando di mantenere la calma, la mantenne così a lungo che, nonostante i vari tentativi di JJ, non aprì bocca fino a che non arrivarono in macchina e partirono.
«Tip, ascoltami.»
«No.»
«Potrei...»
«Stai zitta, cazzo!» intimò battendo una mano sul volante.
JJ incrociò le braccia e non parlò più, ma sentiva una rabbia sottile montarle dentro, impetuosa e devastante, e desiderava lasciarla libera il prima possibile, benché non le fosse chiaro da dove venisse; forse, da troppi posti insieme.
Quando arrivarono in camera, buttò la propria borsa sul letto e lo guardò. «Allora? Che cosa vuoi fargli sapere? Cosa tu hai deciso per il mio corpo?»
Lui sembrò sorpreso. «Era solo un modo per andare via. Non gli darei mai il tuo corpo.»
«No, Tip, non gli daresti mai il mio corpo perché non è tuo. E se io decido di darglielo, non sarai tu a dire di no.»
Lui la fissò confuso. «Stai davvero dicendo di voler essere una puttana?»
«Quello che voglio essere non è affar tuo.»
«Jennie, ne troveremo un altro. Forse…»
«Non ne troveremo un altro. Siamo arrivati da lui proprio sapendo questo.»
Tip scosse il capo, come frastornato. «Non stai dicendo davvero.»
«Sto dicendo davvero. Quelli dentro le mura del carcere sono i miei fratelli, la mia famiglia e farò qualsiasi cosa per portarli via da lì.»
«Non è questo il modo.»
Fece un gesto secco e pieno di rabbia con la mano. «Tip, decido io qual è il modo. Io non appartengo a te.»
«No. Ma cosa abbiamo costruito fino a ora?»
«Niente, assolutamente niente. Non ho mai detto di volere qualcosa di più, non lo hai mai detto neppure tu. Sono una tua amica, no? Volevi scopare e lo hai fatto, in fondo, te lo dovevo.»
«Me lo dovevi? Jennie, che stronzate stai dicendo?»
«Beh, sei venuto a salvarmi, no?»
Lui la scrutò. «Non sei venuta a letto con me solo per questo.»
JJ fece un o indietro e deglutì. «Ok, forse all’inizio no.» Distolse lo sguardo. «Dopo ho fatto quello che volevi. Come sempre, in realtà, dovevo pagare la mia parte di viaggio, no?»
«Non posso credere a quello che stai dicendo.»
Lei si morse un labbro. Non poteva crederci nemmeno lei, ma questo non lo diede a vedere: aveva altro a cui porre attenzione.
«Non dovevi pagarmi nessun viaggio, non è per questo che l’ho fatto.»
«E perché allora?»
«Perché mi andava», replicò esasperato.
Lei aggrottò un poco la fronte. «Perché ti andava… quindi, alla fine, sei tu che dovresti pagare me.»
Tip la raggiunse e le prese il viso con una mano, alzandoglielo. «È questo che sei?» sibilò; la confusione che diventava ira dentro di lui.
Lei non si mosse.
«È questo che sei, JJ?» urlò «Una puttana?»
JJ poggiò le mani sul suo addome cercando di allontanarsi. «Posso fare quello che mi pare con il mio corpo, Tip, darlo a chi voglio, per ottenere quello che voglio. L’ho già fatto. Mi dispiace se hai compreso il contrario, solo perché non ti ho chiesto il corrispettivo in denaro.»
«Mi fai schifo», ringhiò, stringendo le dita sulla sua mascella.
Lei abbassò una mano e la poggiò tra le sue gambe. «Non ti faceva così schifo quando era gratuito», sussurrò gelida, strusciando il palmo sul suo membro.
Tip la strattonò e la tirò per un braccio. «Non lo sei, JJ.»
Lei si limitò ad alzare il mento.
Buttando fuori aria, Tip si slacciò i pantaloni. «Dimmi che non lo sei e mi fermerò.» La voltò contro il muro. «JJ, fermami, dimmelo: dimmi che non è questo quello che vuoi.» Le sollevò il vestito, le scansò con foga le mutandine, premendosi contro le sue natiche. «Dimmi che non vuoi una scopata per essere pagata.»
«Fai quello che devi fare», replicò atona.
Tip sentì come se lo avesse appena preso a schiaffi in pieno volto; entrò dentro di lei. Era talmente asciutta che lui stesso sentì dolore, tuttavia JJ non disse una parola, fissava la parete del tutto indifferente. Neppure lui disse una parola. C’erano solo i colpi della cintura che sbatteva sulla parete.
Solo dopo, quando lui la girò verso di sé, a lei tremò il labbro inferiore.
«Quanto vuoi per questo?»
JJ lo fissò, ma era come se non lo stesse guardando sul serio.
La scosse. «Quanto vuoi per questo, JJ?» gridò sul suo viso e allora lei abbassò lo sguardo.
Frustrato e con una rabbia accecante, Tip prese le proprie cose, frugò nella sacca e le lanciò dei soldi. «Sai una cosa? Hai ragione: quello che fai con il tuo corpo e la tua vita sono affari tuoi. Sander è tuo fratello, Tomas è tuo fratello, sono la tua famiglia, quella a cui oggi vuoi bene e domani chissà; fai quello che ti pare.» Imboccò la porta. «È stato un piacere.»
16
«Sbrigati, è già tardi. Non stanno ad aspettare noi.»
Iaafani di Giovanni, seduto al posto di guida della propria macchina bianca con il cofano arrugginito, spinse Tip verso l’esterno.
«Faccio subito.»
Tip prese aria ed entrò nella Locanda il sole di Nuova Sousse, dove trovò Naïma intenta a contare soldi, piegata sul bancone. Sentendolo arrivare, sollevò il capo e gli sorrise.
«Ciao, Naïma. La mia amica è su?»
«No, non c’é.»
Tip strinse un pungo. «Dov’è?»
«Eeehi, te la perdi sempre, questa amica!»
«È importante.»
Naïma piegò il capo a destra; era vestita con abiti occidentali, ma indossava un velo verde che le copriva i capelli e le faceva risaltare gli occhi neri. «È sempre importante», sussurrò. «Ma non so aiutarti. È uscita questa mattina, ha preso le sue cose e il suo cavallo. E poi non l’ho più vista.»
«Non l’hai fermata? Dovevamo ancora pagarvi.»
«No, c’era il tuo cavallo, e poi lo so che non vai via senza pagare. Nemmeno mio padre ha detto qualcosa.»
«Tua madre può averla vista andare via?»
«No, mia madre è andata da zia ieri sera, perché sta poco bene e mio cugino è piccolo.»
«E la mia amica non è tornata a pranzo?»
Naïma lo guardò come se all’improvviso fosse pazzo. «No», replicò con dolcezza.
Non sapendo cosa fare, Tip rimase lì impalato, a sbattere le palpebre come se i suoi occhi stessero leggendo la soluzione da qualche parte nel nulla.
«Quello là è un tuo amico?» domandò la ragazza indicando con il mento Iaafani che li guardava dalla macchina.
Tip si riscosse. «Sì, è con me. Senti, se la vedi tornare dille che l’ho cercata. Dille di aspettarmi, stasera. Va bene?»
«Va bene.»
Le fece un segno di saluto e uscì nell’aria calda e fastidiosa del primo pomeriggio. Le nuvole sabbiose, cariche nel cielo.
«Non c’è», disse all’amico salendo in macchina.
«E dov’è?»
«Non lo so, è andata via stamattina e non so se tornerà.»
«Oh, Beata Vergine Maria. Allora avete proprio litigato di brutto.»
Tip evitò di guardarlo. «Andiamo, è molto tardi.»
Iaafani non replicò perché era già in movimento.
Il tribunale per i processi più importanti era al centro di Nuova Sousse; era una struttura nuova, fatta di mattoni rossi. Sul piazzale antistante, c’era molto movimento. Tip non ricordava di aver mai visto quel posto così pieno di gente di ogni tipo, da una parte era stato messo anche un mercato, che creava ancora più confusione.
I due uomini lasciarono la macchina e senza problemi di sorta entrarono in tribunale; c’era parecchia gente a seguire il processo, per lo più curiosi che avano lì per caso.
Sul banco d’accusa c’era Sander. Barba lunga, ma occhi vigili.
Seduti tra due banchi vuoti, non molto vicini ai giudici, Tip e Iaafani seguirono domande, riassunti, accusa e difesa per più di un’ora e mezzo.
Alla fine, Sander fu accusato di occultamento di cadavere: per questo motivo, la sua pena erano dieci anni di carcere. Tip non conosceva le regole della legge e dei tribunali, né quelle delle Terre del Sud di Nuova Eyropa, né quelle dell’Africa, ma gli parve tutto insensato e superficiale. Nessuno che citasse leggi o ricostruisse fatti in maniera logica.
Con un moto di stizza pensò che, probabilmente, si fero discorsi più ragionevoli al mercato vicino.
Prima di essere accompagnato fuori, Sander chiese un rinvio a giudizio, per un cambio di avvocato. Nella sala ghermita di uomini e donne si sollevò un mormorio sorpreso. Tuttavia il giudice, un uomo dalla pelle nera e il turbante in testa, glielo concesse.
In prima fila si sollevarono insulti e un generale disappunto.
«Sono i famigliari di Driss e Mohamed», spiegò Iaafani, sottovoce.
Tip annuì.
Dopo una pausa di nemmeno venti minuti, fecero entrare Tomas. Nonostante l’aula fosse grande, a semicerchio, con grandi finestre aperte, era impregnata di sudore. La tortura questa volta durò due ore e mezzo; tempo in cui il secondogenito di Comar Jannacci non disse una parola e non sollevò mai lo sguardo sul pubblico. Tutto ciò che disse fu che era innocente.
Nonostante questo, quando il tramonto era ato da un bel po’, fu accusato di triplice omicidio, e la pena sarebbe stata di morte. A Nuova Sousse, la pena capitale prevedeva l’impiccagione, perché era la più economica.
Il giudice dichiarò che questa sarebbe avvenuta da lì a un mese.
Se i parenti dei defunti acclamarono con eccessiva foga, tanto che si dovette richiamare la calma, fu proprio il silenzio a invadere la sala quando Tomas, come il fratello, si alzò in piedi, si tolse una ciocca bionda dagli occhi come se potesse
renderlo più sicuro, e chiese un rinvio a giudizio per avere un avvocato personale.
Il giudice sospirò e glielo concesse.
Non ci fu soluzione di continuità tra le parole del giudice, i tre spari che seguirono e il caos che scoppiò nella sala.
Tip sentì il proprio cuore fermarsi per alcuni lunghissimi istanti, come se fosse stato lui a essere colpito, come se qualcuno gli avesse afferrato le viscere e le avesse tirate via in un unico movimento. Gli occhi castani di Tomas, sgranati per la sorpresa, erano spariti nel caos. Fu in quel disordine fatto di grida, di gente che si picchiava, di sangue e veloci arresti, che Tip vide JJ. Indossava un velo giallo, era in piedi tra il terzo e il quarto banco, tremava così tanto che tornò a sedersi, di peso.
«L’ho vista», disse Tip con voce roca a Iaafani, ma non riuscì ad aggiungere altro: spintonati da civili e militari e rintronati dalle grida stridule delle donne, vennero separati.
Tip non badò a lui, cercò di farsi strada in mezzo a quella che ora più che mai gli sembrò una folla puzzolente e confusa, impazzita oltre ogni dire.
Non servì a nulla. Tutte le donne con il velo gli sembravano JJ, ma non era mai lei, e alla fine si trovò sulla strada, in mezzo a gente che scappava e altra che arrivava incuriosita.
Girò su se stesso due volte, studiando il capo delle ragazze, come fosse una trottola. Poi qualcuno lo afferrò per una spalla, fermandolo. «Tip! Tip, mi dispiace.»
Cercò di far scendere gli occhi in quelli di Iaafani.
Quando comprese il significato di quelle parole, si accasciò lì dov’era, sul prato calpestato di un aiola verdeggiante. Aveva pensato solo a JJ, ma quello a cui avevano sparato era Tomas.
Tomas che si era accusato per difendere i fratelli.
Tomas che non c’entrava nulla.
Tomas che non aveva mai ucciso nessuno in vita sua.
Restò lì a terra, attonito, la voce di Iaafani ovattata, la folla che si diradava, l’amico che si allontanava, poi tornava e poi si allontanava ancora. Il marciapiede che tornava in superficie sotto le luci artificiali della città che coloravano le nubi di una tinta tetra.
«Devo…» disse infine, quando sul piazzale c’era poca gente e la notte era ormai fonda. «Devo trovare JJ.»
Iaafani annuì. Non gli disse che era tardi, non gli consigliò di dormire un po’, gli
offrì la propria macchina e Tip gliene fu infinitamente grato. Girarono le strade della città, viaggiando piano, non incontrarono nessuno, tranne pochi uomini e un gruppo di ragazzi sbronzi.
L’amico gli suggerì di provare alla locanda per vedere se fosse tornata indietro.
«Facciamo un altro giro», rispose Tip.
Ne fecero un altro e poi un altro ancora e, quando Tip si rese conto che Iaafani guardava di continuo il livello del carburante, acconsentì a vedere se JJ fosse tornata alla locanda.
Come immaginava, non era lì.
***
JJ scese da cavallo, lanciò un’occhiata agli uomini che le puntavano contro mitra di ultima generazione. Alzò le mani, mostrando la propria pistola legata alla cinta, e attese che una delle guardie gliela togliesse, quindi che la scortassero in casa.
Come la prima volta, rimase ferma nella sala piena di tappeti; ora, però, dietro a una coltre di nuvole il sole era tramontato, perché aveva impiegato troppo tempo per fare chiarezza nella testa e per trovare la strada giusta. Quando Il Topo la raggiunse, la scrutò per alcuni secondi, prima di far scendere lo sguardo lungo tutto il suo corpo. JJ distolse il proprio fino a che lui fece un o verso di lei.
«Non andate tanto d’accordo, tu e il tuo amico», esordì in una semplice affermazione priva di sfumature.
Lei si limitò ad abbassare il mento e socchiudere un poco le palpebre.
Il Topo rise con quella risata nasale e troppo piena per la figura secca che nascondeva sotto le vesti. Alzò una mano per toccarle il viso, ma lei si scansò.
«Uno dei due imputati è stato ucciso.»
«L’ho sentito.»
«Sono qui per tirare fuori l’altro. Solo questo.»
«Non ti importa di vendicare un omicidio? Sarà divertente mandare a gambe all’aria la famiglia dell’uomo che ha ucciso ingiustamente tuo fratello.»
La replica morì nella gola di JJ.
Il Topo fece una smorfia infantile. «Ti assomigliano così tanto, non è difficile intuire che siate fratelli.»
Con uno sforzo immane, lei fece uscire dalle labbra parole gracchianti. «Non mi interessa, mi basta far uscire Sander.»
«Sicché sei tu a volerti mettere a gambe all’aria.»
Serrando un pugno, JJ si morse un labbro. «Per tutti e due avevi chiesto una settimana, ti do due giorni.»
Il Topo rise a bocca chiusa. «Tre giorni. E prima voglio una valutazione»
«Che vuol dire?»
«Che oggi mi dimostrerai quello che sai fare e, se mi piacerà, accetterò la tua offerta.»
JJ aprì la bocca e la richiuse per tre volte.
Il Topo inspirò e fece un cenno all’uomo che l’aveva portata. «Accompagnala fuori.»
JJ chiuse gli occhi. L’immagine di Tomas con il sangue che gli usciva dalla fronte e colava lungo il suo bel viso, sugli occhi sgranati che non avrebbero visto più niente, sulle ciocche bionde così rare nelle terre dell’equatore. E Sander. Dietro quelle mura. Anche lui da solo nel suo dolore per troppo tempo.
«Va bene.» Un suono sputato fuori.
Il Topo, già nel corridoio, si voltò a guardarla e non nascose il proprio stupore. «Immagino che sia l’amore per il fratellino a parlare, tuttavia ammetto che questo sia un punto a tuo favore. Potresti essere sulla buona strada per salvarlo dalle mura del carcere africano.»
«Fa’ che lo sia.»
Il Topo sollevò un sopracciglio, poi si rivolse allo stesso uomo di prima. «Chiama Brida, dille di farle fare un bagno.»
Quel bagno le rimosse ogni traccia di sporco che aveva sulla pelle per farlo entrare dentro di lei. Sarebbe rimasto lì, come sempre, per sempre. Brida, una donna piccola, dalla pelle nerissima e metà viso bruciato e coperto da un velo leggero, l’aiutò a indossare una vestaglia dalla dubbia utilità: corta e trasparente, era a beneficio degli uomini. Quando Brida l’accompagnò in una stanza foderata di tappeti bordeaux, con le tende scure a coprire le finestre e con tre guardie a petto nudo dentro, JJ cercò il suo sguardo, ma la donna non aveva mai incrociato il proprio con quello della ragazza.
A JJ venne in mente anche di parlarle. Fammi sentire la tua voce, una voce femminile, dimmi cosa mi aspetta.
Non riuscì neppure a finire il pensiero che l’altra si allontanò per far are Il Topo.
Anche lui indossava una vestaglia e, benché non fosse trasparente, non serviva molta fantasia per capire che aveva solo quella. Senza turbante, le appariva ancora più osceno con il suo viso da cammello, i capelli nerissimi sulla pelle diafana. Senza preoccuparsi di chiudere la porta, con delicatezza, le prese il gomito e la spinse verso il tavolo.
Nella stanza, c’era solo quello. Avvicinandosi, JJ notò subito che, oltre alle bottiglie, sulla superficie erano fissate alcune cinghie. Si sforzò di deglutire e non ci riuscì. Un nodo duro le serrò la gola.
Il Topo le porse un bicchiere colmo di un amaro secco. JJ lo mandò giù in un’unica sorsata.
Lui le voltò il viso verso il proprio, facendole un sorrisetto obliquo. «Non hai coraggio, se non hai paura.»
Le venne in mente una risposta volgare, ma si limitò a rivolgergli un’occhiata gelida.
Il Topo sorrise mostrando i denti e peggiorando ancor più il suo aspetto; le riempì di nuovo il bicchiere. «Ma io non desidero che tu abbia paura. L’alcool aiuta.»
E questo, lei lo sapeva bene. Mandò giù anche il secondo bicchiere, senza staccare gli occhi da lui. Occhi grigi, come un topo. Quando lui glielo tolse di mano, ò la lingua nel punto in cui lei aveva appoggiato le labbra.
JJ ebbe un moto di disgusto così profondo, che prese un’altra bottiglia piena e mandò giù un liquido graffiante, suscitando la risata nasale di quell’ometto quasi deforme. Lei percepì il calore dell’alcol spargersi nelle sue vene e non emise un suono quando le prese la bottiglia, ormai quasi vuota, le aprì la veste e lasciò che le ultime gocce le colassero dalla spalla sul petto.
Le fece scendere a terra la vestaglia e fece un o indietro per osservarla. Con lo sguardo seguì il percorso del liquore sul suo corpo. «Amore», tradusse in iuropìan leggendo il suo tatuaggio.
JJ si sforzò di non mordersi un labbro, se lo avesse fatto, sarebbe fuggita a gambe lavate. Si era fatta delle promesse e non le aveva mantenute. Sua madre le diceva sempre di non farle, perché non sapeva mantenerle, ma no, lei si era fatta quello stupido tatuaggio.
Come se questo non bastasse, nonostante l’alcool che le era salito al capo e le stava mandando a fuoco il viso, il Topo la costringeva a pensare: quella lentezza nell’azione, gli occhi pieni di errata lussuria, non era abituata a sopportare questo, a doversi dare tanta forza. Era sempre stato tutto veloce e pratico, tanto da poter quasi trattenere il respiro; anche con gli amici di Martine.
Il Topo le poggiò una mano sul fianco e la fece scorrere dietro, sui lombi, attirandola a sé. Posò le labbra sulla sua spalla, dove aveva fatto cadere il liquido bianco, e la leccò. Sotto la veste, lui doveva essere magrissimo, tanto da sembrare malato, eppure la sua eccitazione era pulsante e rigida, contro di lei.
JJ chiuse gli occhi, perché per alcuni istanti li sentì affollarsi di lacrime. Non avrebbe pianto; non lo aveva mai fatto. Ma quando Il Topo le strinse un seno con
la mano, si ricordò che se c’era una cosa da non fare mai era chiudere gli occhi: la vista le donava un distacco che le tenebre non erano in grado di darle.
Nel riaprirli, non poté non rendersi conto della completa nudità delle tre guardie e della loro erezione. JJ ansimò e allontanò da sé Il Topo. «Questo», disse indicando i tre uomini con il mento e reggendosi al tavolo con una mano «non era nei patti.»
«Oh, dolcezza.» Il Topo fece cenno a uno di loro di avvicinarsi. «Nei patti» disse prendendole un polso «tu saresti stata a mia disposizione! Come io meglio preferisco.» Le guidò la mano sul membro dell’uomo.
Lei l’allontanò. «Vai a farti fottere», sibilò.
«Sarebbe quella, l’intenzione.»
La guardia, che aveva un corpo ben più massiccio, l’afferrò per il collo e la sbatté sul tavolo, sollevandola e aprendole le gambe subito dopo.
«Sharmotah!» la insultò mentre le bottiglie vacillavano.
JJ non mangiava dal giorno prima e l’alcol in circolo le dava alla testa, non riuscì neppure a scalciare; si sentì soffocare e strinse le palpebre e i denti pronta a sentirlo penetrare dentro di sé con tutto il dolore che avrebbe portato quella mossa rude.
Il Topo emise un suono secco, in arabo, a metà tra un ordine e un’espressione divertita. JJ non conosceva la parola, e non le interessava saperla, le bastava essere ancora sola con se stessa. Guardò Il Topo fare un mezzo sorrisetto. L’altro la rimise in piedi e la lasciò.
«Non sei obbligata, dolcezza», disse Il Topo con voce incolore. «Sono un avvocato, faccio patti, contratto, non faccio violenza. Non ti chiedo di provare piacere, ti chiedo di fingerlo: sarai tu a volermelo succhiare. A me e a loro, come e quando dirò io. A meno che tuo fratello non valga abbastanza.»
JJ si rese conto di avere l’affanno, mentre lo fissava senza guardarlo. Allungò la mano verso un’altra bottiglia piena e questa volta la finì. La testa le girò frenetica; sbatté le palpebre e poggiò di nuovo una mano per sorreggersi, nonostante ciò mantenne la voce ferma. «Prega il tuo Dio di farti riuscire a liberare mio fratello, o giuro che ti ammazzo con le mie mani.»
Il Topo sollevò un sopracciglio con espressione divertita. «Mi eccitano le tue parole.» Tolse la vestaglia, mostrando una pelle quasi trasparente.
JJ non ebbe il tempo di provare disgusto, l’altro uomo la riprese e questa volta la piegò in ginocchio davanti al Topo. Si sentì la mente ovattata, affogata nell’alcol che ancora una volta saliva tutto insieme nel cervello: una cascata al contrario. Sollevò una mano sulla gamba secca del Topo, perché non riusciva a mantenere l’equilibrio, ma il braccio le tremò insieme allo stomaco gonfio.
L’altro uomo, dietro di lei, la sorresse e le aprì le gambe, strusciandosi sulle sue natiche, lambendo la sua intimità in attesa di un ordine. La mente di JJ registrava a malapena gli uomini accanto a lei. Pensava solo che non era pronta, non lo era mai stata; tranne che con Tip.
Fu allora che una lacrima le sfuggì oltre il bordo delle palpebre.
17
Le ombre scure sul soffitto non potevano che essere il risultato di una luce intensa. Il sole doveva essere alto e si rifletteva su qualche superficie che disegnava contorni netti nella stanza. Dove erano finiti i nuvoloni del giorno precedente?
Se aveva dormito, non se ne era accorto. Tip si mosse nel letto, il corpo rigido, la bocca cattiva, gli occhi gonfi di lacrime e sonno. Scrocchiò il collo e scese dal letto quasi barcollando. Aveva dormito, ma nei suoi incubi era stato decisamente sveglio.
Quando morirono suo padre e suo fratello, in seguito lui si era svegliato ogni mattina ripercorrendo la realtà, stupendosi della sua spietatezza; ogni giorno doveva convincersi che loro non c’erano più. Ora era tutto limpido, chiaro: Tomas che viene colpito a morte da un uomo della famiglia di Driss, il sangue, le urla, il panico tra la folla; l’uomo che viene arrestato.
E JJ.
Che rimane in piedi tremante e poi crolla di nuovo a sedere, tra la gente che grida e spintona. Che non lo vede e sparisce nel nulla. Che lui vorrebbe stringere a sé ora più che mai.
Ora che il mondo le è crollato addosso, perché non ha più senso per stare in piedi, e lui lo sa; sa quanto sia pesante quel mondo frantumato, fatto di laceranti
pezzi di vetro, di silenzi assordanti, di domande che non avranno mai risposte.
Si rimise a sedere sul letto. Non era colpevole della morte di Tomas, sarebbe successo comunque, però aveva lasciato JJ da sola, nonostante Sander, da dietro le sbarre, lo avesse supplicato di prendersi cura di lei senza mai nominarla. Lui lo aveva promesso e poi avevano riso insieme, per quella mocciosa che li univa e li separava, perché non gli aveva detto quanto fosse bella senza vestiti, quanto riuscisse a essere dolce e divertente dietro quella maschera di acidità, quanto fosse fragile e forte al tempo stesso. Sander gli avrebbe spezzato le gambe perché lo conosceva e sapeva che per lui il sesso era solo sesso.
O forse no.
Allungò la mano su una bottiglia piena d’acqua e ne mandò giù due lunghe sorsate. Perché gli aveva fatto così male sapere cosa faceva JJ? In fondo, quelle con cui andava a letto erano tutte così. Tamila, la bella Tamila era andata a letto con l’uomo più ricco di Tampàr per una cena a base di squalo azzurro e a lui non era importato un bel niente, ci avevano riso insieme, sotto le lenzuola di lino.
Gli venne in mente di chiamare Elena, di chiederle come andasse, di dirle che Tomas non c’era più, che non sarebbe mai tornato a casa e che ora non ci sarebbero andati neppure loro. Bloccati a Nuova Sousse, persi a Nuova Sousse. Ma Elena un telefono non lo aveva.
Forse doveva tornare da lei, forse non sarebbe mai dovuto partire con i fratelli Jannacci. Doveva abbandonare tutto e sparire. Elena non glielo avrebbe perdonato. Forse, neppure Shayl’n Til.
Shayl’n Til rimasta senza parole dall’altro capo della cornetta, perché lei un telefono lo aveva eccome. C’era stato così tanto silenzio che lui aveva pensato che non lo avesse riconosciuto. Oh, sì, gliene avrebbe dette un bel po’; ’fanculo ai ricchi, pensano che sia tutto facile.
Sbatté la bottiglia sul comodino in legno.
No, la principessina modificata lo sa, che non è tutto facile, che la vita è una merda.
Emise un lungo respiro e buttò l’aria fuori dal naso, come un toro.
Un suono che gli rimase spezzato, quando la porta della sua stanza si aprì.
«Tip, sei sveglio?» La voce profonda di Iaafani di Giovanni.
Sbattendo le palpebre, Tip si strinse nelle spalle. «Non lo so.»
L’amico aggrottò la fronte e lo studiò alcuni istanti. «Mi pare di sì.»
«Beh, se sono ancora vivo, pare di sì.»
Iaafani annuì e indugiò con il viso contratto.
«Che c’è? Che ore sono?»
«Ora di pranzo.»
«Ottimo», biascicò, alzandosi e afferrando la maglia che aveva su una sedia.
«Tip…»
Si voltò a guardarlo. «Che c’è?»
«Credo di sapere dove sia la tua amica.»
***
Lo schiaffo arrivò secco, improvviso o forse era a rallentatore; o forse erano due. Il primo improvviso, il secondo lento; o il contrario. Cosa importava?
Era a terra.
Sulla morbidezza devastante del tappeto a contatto con la sua pelle nuda e rigida; quel viso da cammello così vicino al proprio, che la guardava mandando saette
dagli occhi grigi.
«Non. Puoi. Piangere.»
Era in grado di ringhiare, Il Topo.
Ed era in grado di mandarla a terra con le sue manine lunghe e gracili. Era facile: si era tenuta su perché la guardia la teneva per le spalle, sarebbe caduta comunque, non appena l’avesse lasciata. E l’aveva lasciata, forse prima che lui la schiaffeggiasse.
Non lo sapeva.
Sapeva che la testa le scoppiava, che doveva farsi forza per Sander, che desiderava essere morta come Tomas. Prendimi, prendimi e basta e falla finita.
Ma non lo disse, neppure le parole volevano ubbidirle. Le sue, quelle del Topo, che minacciava e insultava; e non arrivavano alle sue orecchie. Prendimi e basta. Come fanno tutti. Lo aveva detto? Perché lui la stava mettendo supina, si stava inginocchiando davanti a lei. Ma ci voleva tanto?
Se ti metti in piedi non funziona. Se ti allontani non funziona. Se non ti vedo. Dove sei?
Una delle guardie la sollevò da terra. La tenne per la vita.
No, le guardie erano sul tappeto rosso. Il rosso del sangue, come quello di Tomas.
«Jennie? JJ, riesci a tenerti? Stai bene?»
Lei si sciolse di nuovo sul tappeto, ci vomitò tutto quello che aveva nello stomaco, ovvero niente, tranne bile. Qualcuno le pulì il viso, la tenne stretta a sé e poi la prese in braccio.
JJ gli cinse il collo con quel po’ di forza che le rimaneva. Lui aveva il viso coperto da una stoffa dura e nera, ma lei lo sapeva chi era, perché quando aveva fatto sesso con lui era sempre stata lucida.
Tip la fece scivolare a terra, la coprì con un lenzuolo. Lei rimise ancora e lui ancora la ripulì. Parlò con qualcuno, la riprese tra le braccia. L’umidità della notte le lambì la pelle nel tragitto tra la villa del Topo e la macchina all’ingresso.
Non ascoltava cosa diceva Tip agli altri uomini, benché parlasse a voce alta, tuttavia era confortante quel suono caldo, deciso e familiare. Come quella dei suoi fratelli. Ignorava come avrebbe portato via Sander e vendicato Tomas, adesso che Il Topo non c’era più, ma non volle pensarci. Si rannicchiò tra le braccia di Tip, udendo il vecchio motore della macchina sforzarsi per raggiungere la strada asfaltata e, esausta, si addormentò.
C’era il mare, nei suoi sogni, rifletteva i raggi solari, il caldo della sua terra. Lei nuotava veloce, oltre gli scogli della Sirena Azzurra, dove i bambini andavano a
tuffarsi. Era con tutti i suoi fratelli, con Elena, Tip e Tap e qualche bambino di cui non ricordava il nome. Qualcuno l’affondò nell’acqua salata; lei cercò di liberarsi, tossì, scalciò.
«Tesoro?»
Mi uccidi. Mi uccidi.
«Jennie?»
JJ spalancò gli occhi, Tip trattenne il respiro e la guardò deglutire più di una volta, prima di guardarlo. «Gustav», mormorò con la voce roca.
Le sorrise. «Come stai?»
JJ si toccò il capo chiuso in un cerchio invisibile. «Una merda.»
«Lo vedo.»
Sbattendo le palpebre cispose, JJ si voltò su un fianco. «E allora cosa me lo hai chiesto a fare?»
«Volevo sapere se avevi ancora la lingua per parlare», disse alzandosi.
Lei gliela mostrò.
«Brutto affare», commentò rigirandola e cercando di prenderla, in maniera buffa.
«Perché? Cosa fai? Che ore sono? Dove mi porti?»
Tip la prese in braccio. «Ecco perché: senza lingua non mi avresti sfondato i timpani.»
«Dove andiamo?»
«A fare il bagnetto e svegliarci un po’, sono dieci ore che russi», le rispose entrando nel bagno privato della loro camera della Locanda il sole di Nuova Sousse.
«Io non russo.»
Lui non le rispose, si piegò per farla scendere nell’acqua calda della vasca di rame. JJ si rese conto di essere nuda e gli lanciò un’occhiata, che lui male interpretò. «È fredda?»
Scosse il capo.
Tip si sporse verso il davanzale per prendere sapone e spugna, mentre lei si immergeva tutta in acqua per poi riemergere e mettersi seduta.
«Hai… recuperato i miei vestiti, per caso?» domandò senza mascherare il proprio imbarazzo.
«No. Te ne ho fatti comprare altri stamattina. Abbiamo recuperato solo la tua borsa, il mandolino e la tua pistola.»
JJ si strinse nelle spalle. «Meglio: non li avrei rimessi.»
Tip le porse sapone e spugna. «Ce la fai?»
Lei abbassò lo sguardo su i due oggetti nelle sue mani e li fissò, poi tornò a guardarlo. «Sì», mormorò. «Ce la faccio.» Ma non li prese.
Tip scrutò le goccioline d’acqua sulle sue ciglia lunghe, sulle piccole efelidi del naso, sulle guance lisce. Si mise in ginocchio. «Voltati», sussurrò.
Lei ubbidì e lui le insaponò i capelli e li sciacquò con l’acqua pulita, prima di insaponarli ancora e massaggiarle il capo, come faceva sua madre con lui, Tap ed Elena quando erano bambini. In lontananza sentivano alcuni ragazzini giocare a calcio con qualche barattolo, dalla cucina di Amira veniva profumo di biscotti alla vaniglia.
Quando le ebbe lavato i capelli un’altra volta, la fece alzare e mandò via l’acqua dalla vasca. Indugiò sul tatuaggio del cavallo, un disegno perfetto, reale, in rilievo, quasi fosse vivo; poi le strofinò la schiena con gentilezza, le spalle, le braccia, le gambe e i glutei, le cicatrici lasciate dalle sigarette. Più e più volte. Come se volesse toglierle qualcosa che ignorava se fosse ancora lì.
«Ti hanno fatto male?» mormorò.
Lei si voltò verso di lui; con i pantaloni bagnati e la spugna che gocciolava sul pavimento, la stava guardando come se avesse fatto la domanda più difficile del mondo.
JJ si schiarì la voce. «Diciamo che, quando sei arrivato, non mi ero ancora guadagnata il diritto di difendere Sander.» Abbassò lo sguardo perché era chiaro che lui si stesse sforzando di non sorridere di sollievo. Sollevò un poco le braccia per invitarlo a continuare a lavarla.
Tip le ò di nuovo la spugna sulle spalle e le braccia, per poi scendere con delicatezza sui seni e l’addome. Esitò prima di scendere tra le sue gambe.
Era delicato; era delicato Tip Gustav Esposito, mentre le ava le dita insaponate sul pube. Mentre la toccava con attenzione, ma nel modo più innocente, come mai nessuno aveva fatto da quando sua madre aveva smesso di occuparsi di lei, per dedicarsi ai fratelli più piccoli. Tip, che lo sapevano tutti che era uno stronzo, era gentile, ora che, piegato verso di lei, si aiutava con la spugna per sciacquarle le cosce.
Si drizzò sulle gambe. «Pensavo che non avrei mai fatto in tempo.»
«Come facevi a saperlo?»
«Ero… ero al processo e ti ho vista. Ti ho cercata tutta la notte con Iaafani e alla fine ho rinunciato perché era finito il carburante della sua macchina. Sono rimasto a casa sua. La mattina dopo lui ha incontrato Naïma che gli ha detto di averti vista sulla strada per Tampàr.» Gonfiò le guance a palloncino prima di far uscire l’aria. «Gli avevo raccontato la storia, non ci ha messo molto a capire dove stessi andando.»
«Gli hai… raccontato tutto?»
«Sì.»
Le fece scorrere addosso l’acqua pulita e le tolse le ultime tracce di sapone usando il palmo della mano e le dita. Quando chiuse il rubinetto, l’avvolse in un telo giallo.
«Tip…»
«Tieni», la interruppe porgendole un asciugamano per i capelli. «Ti aspetto di là.»
«Tip», insistette.
«C’è il pranzo, se te la senti di mangiare. E i vestiti che ti ho fatto prendere, puoi scegliere tu cosa mettere.»
Non attese la sua risposta, uscì dal bagno e cambiò le lenzuola al letto, con quelle pulite che gli aveva dato Amira. JJ lo raggiunse, indossò un vestito leggero, color beige, e si sedette al tavolo, perché, nonostante la nausea, aveva davvero fame.
Tip mise sul letto una crema, un pettine e un po’ di pasta di dentifricio. Dopo aver mangiato, lei usò solo l’ultimo. Poi si sedette accanto a lui sul letto, dalla parte opposta della testiera.
«Jennie, devo spiegarti cosa faremo nei prossimi giorni», iniziò con fare pratico.
«Gustav, io devo spiegarti qualcosa.»
Lui incrociò le braccia. «Non mi devi spiegare nulla.»
«Una volta, ero in viaggio, avevo venti anni e mezzo, stavo morendo di fame, ero sola, raggiungevo Sander in uno dei villaggi delle Tribù del Sud; mi aveva mandato un sacco di soldi, un gruzzolo con il quale avrei potuto comprare una casetta e tre cavalli. Mi hanno rubato tutto quello che avevo, a parte qualche spicciolo che tenevo nelle scarpe. Ho incontrato un ragazzo. Ho offerto quel denaro in cambio di cibo, lui mi ha detto che non lo voleva, che mi avrebbe dato del cibo se avessi pagato in un diverso modo. Ero nelle valli dei mandorli, lì inizia a fare freddo e la fame la senti subito, così, ho accettato.
E un’altra volta, quando eravamo nell’ultima casa dove abbiamo abitato, Tomas stava malissimo: aveva un’infezione, era una settimana che vomitava, era deperito, non parlava neppure più; so che c’era un virus che girava e che qualcuno ci aveva lasciato le penne. Non avevo il coraggio di lasciarlo da solo per andare a cercare una di quelle donne medico e le mie conoscenze non erano riuscite a curarlo, non sapevo cosa fosse, sicché quando è ata una donna le ho chiesto di aiutarmi; lei mi ha mandato un medico, lo conoscevo di vista, mi ha detto che la visita costava troppo per me. Sapevo che non era vero. Avevo ventidue anni, non ero una sciocca e avevo un sacco di soldi che ci aveva lasciato Sander. Gli ho chiesto cosa volesse, me lo ha detto e gliel’ho dato. E lui ha guarito Tomas, è rimasto da noi cinque giorni, un… un ottimo medico.»
Tip indugiò con lo sguardo in quello di lei. «E Tomas ti ha permesso di farlo?»
Lei lo scrutò cercando di capire se la stesse prendendo in giro, poi fece un’espressione come a dire che fosse una domanda sciocca. «Tomas non lo sa.»
«Non è così che funziona il mondo.»
«No, Tip, è proprio così che funziona il mondo. E tu lo sai. Ci vivi anche tu in questo mondo, sai quali sono i ricatti, gli abusi, i mezzi che mancano per avere giustizia. Non ho mai chiesto denaro, mai. Ma gli uomini a volte ti fanno pagare un prezzo che tu puoi permetterti, l’unico che puoi permetterti.»
«Non sono uomini.»
«Purtroppo sì, sono proprio uomini. Non renderci migliori di quello che non siamo.»
«E tu, vuoi essere migliore di quello che sei?»
Mosse la mandibola, come se stesse masticando qualcosa lentamente. «Tu pensi che sia stato facile, per me? Dopo la prima volta, pensi che non te ne importerà più niente e forse sarebbe successo, se fossi stata costretta più spesso a tutto questo, forse… forse succederà, in futuro. Non lo so. Ma se pensi che fosse facile, sbagli di grosso: un corpo che ti sta addosso, che ti entra dentro e devi fingere di provare piacere, perché è questo che vogliono; l'odore che ti penetra nelle narici e ti rimane addosso per giorni, i gemiti che non condividi; ti assicuro che non è così facile. Insomma, non sto percorrendo la strada del successo, sto percorrendo la strada della sopravvivenza.»
«Si sopravvive così?»
Lei scosse il capo. «Tip, in che mondo vivi? Sembra che vieni dal mondo perfetto che non avremo mai. Quello che dici non è quello che sei, quello sai, quello che fai. Ho scambiato il mio corpo per la mia vita, per la vita di mio fratello, ed è stata la decisione peggiore che potessi prendere e anche l’unica; lo rifarei altre mille volte. E tu, Tip, tu lo fai nello stesso modo, quando il mondo fa schifo non ti tiri indietro a subirlo: uccidi pur di vivere. Tu hai ucciso per far vivere me; tu, questa notte, hai ucciso in cambio del mio corpo, di una salvezza che non avrà mai; e, nonostante tutto, ne sono felice. Vuoi dirmi che non è così che sopravvivi anche tu?»
La scrutò e poi abbassò lo sguardo, incapace di dissentire, ma anche di darle ragione. Incapace di vedere la ragione in quel mondo che lei dipingeva a tinte forti e nette e di cui lui faceva parte, senza dubbio. Aveva ucciso perché le
guardie del corpo del Topo si erano ribellate, aveva ucciso perché lo avevano fatto gli uomini che erano con lui, amici di Iaafani, ma questo non cambiava le cose. Anche da solo sarebbe stato pronto a uccidere per salvare JJ, per salvarla dal Topo, per salvarla dal ricatto, dall’impiccagione certa ad Ani El Baltora, per salvarla da se stessa.
Non lo disse, perché lui non si era mai fermato a riflettere su cosa fosse giusto e cosa no, aveva smesso anni prima, quando pensarci era un po’ come pensare a Dio: rognoso e inutile.
Si aspettava che aggiungesse altro, invece lei rimase in silenzio, giocherellando con le pieghe delle lenzuola.
Tip si schiarì la voce. «Ho trovato un altro modo per salvare Sander», disse deciso. «Mi sono mosso in ritardo, ma sarebbe cambiato poco. Da ora in poi promettimi che terrai un po’ di più al tuo corpo.»
«Perché? Perché ci tieni tu?» Se voleva essere una frase altrettanto decisa, non le riuscì.
Tip aprì la bocca e la richiuse, posando lo sguardo sul tavolo apparecchiato.
«Se tu non avessi trovato questo modo che dici, Sander non avrebbe nessuna possibilità, ora», aggiunse con una calma piatta.
Tip aggrottò la fronte. «E invece ora ce l’ha.»
«Ma non Tomas.»
«Non l’avrebbe avuta comunque», esclamò. E si rese conto troppo tardi che la voce di JJ si era inclinata e i suoi occhi si erano riempiti di lacrime.
Lei distolse lo sguardo e tirò su con il naso, cingendosi le ginocchia. «No, non l’avrebbe avuta comunque.»
Tip rizzò la schiena e l’attrasse a sé.
Come una diga che cede all’improvviso, JJ scoppiò in laceranti singhiozzi tra le sue braccia; il cuore che si frantuma, gli occhi che si annebbiano, il mondo che perde la sua consistenza, il dolore che ti divora, martellandoti la testa, contorcendoti le viscere, ti possiede e ti lasci possedere perché altra energia non ne hai. Non fece resistenza, si accasciò su se stessa, contro di lui e pianse tutte le lacrime che aveva trattenuto. Pianse a lungo, senza parole, sussultando come una foglia al vento.
Tip la tenne stretta e la cullò, accarezzandole il capo, udendo quel pianto inconsolabile, perché niente può consolare dalla perdita di un fratello, di una persona che si ama. Di quel dolore, ne conosceva ogni sfaccettatura e lasciò che il proprio petto accogliesse lacrime e singhiozzi, fino a che non rimasero il silenzio e il tramonto fuori la finestra.
Lei non si mosse e lui non l’allontanò, anche se una gamba si era addormentata e la schiena si era indolenzita.
«Sono… contenta che tu sia tornato», sussurrò. «Non pensavo che lo avresti fatto, pensavo fossi andato via. Dopo quello… che…» Le parole le morirono sulle labbra.
Tip le baciò i capelli. «Sono qui.»
«Resta con me.»
«Resto.»
Lei si allontanò un poco e distese le gambe. «Tip, se ho fatto certe cose con te, non le ho fatte per denaro o perché…» Aggrottò la fronte. «Io… anche io le ho fatte perché mi andava. Perché mi andavi tu. Mi dispiace per quello che ti ho detto.»
Tip sospirò facendo scrocchiare la schiena. «Sei una gran mocciosa rompipalle, JJ, ma dispiace anche a me per come ho reagito. È stato… è stato sciocco e crudele.»
JJ sorrise, gli occhi ancora rossi. «Beh, hai fatto quello che dovevi.»
Lui scosse il capo. «Decisamente non dovevo.»
Spostandosi, JJ si sedette sulle sue gambe e gli cinse il collo con le braccia; lui la ricambiò stringendole la vita. Lei aprì e richiuse la bocca un paio di volte.
Tip inclinò il viso e premette le labbra su quelle di lei; sapevano del sale delle lacrime. I loro occhi si incontrarono mentre le loro bocche si allontanavano e si ritoccavano. Le loro lingue si sfiorarono appena quasi esitando a fare di più e lo stesso facevano le labbra, morbide e calde, umide e gentili; tocchi leggeri, come se si stessero appena scoprendo, insieme ai respiri così vicini e calmi. JJ chiuse le palpebre e spinse di più la lingua, ma Tip si allontanò prima di tornare ad accarezzarle la bocca con la propria.
Era un bacio che si ostinava a essere delicato.
Tip trovò la sua lingua e l’accarezzò, lentamente, come le onde sulla battigia del loro villaggio, quando nell’aria non c’era un filo di vento e il mare riposava pigro; le schioccò piccoli baci lievi e si domandò se avesse mai baciato qualcuna in quel modo.
Si scostò un poco e indugiò nei suoi occhi dalle lunghe ciglia folte e castane, che le donavano una sensuale profondità. Le ò una mano dietro la testa, tra i capelli che gli coprivano appena le nocche, e la baciò, questa volta coprendo tutta la sua bocca con la propria.
JJ si lasciò trasportare seguendo la danza armoniosa delle loro lingue intrecciate; se solo avesse potuto, lo avrebbe fatto per il resto della sua vita. Un cerchio chiuso, un cerchio perfetto, tanto intimo da far male.
Poi lui le baciò una guancia, con dolcezza, e l’abbracciò. Così, come si
abbracciano i bambini. Dondolò entrambi avanti e indietro e a entrambi questo bastò.
18
«Tra tre giorni dobbiamo essere al molo di Nuova Sousse.»
JJ sollevò lo sguardo su di lui. «Per fare cosa?»
«Bisogna andare a Roma.»
Lei aggrottò la fronte, spostandosi un poco sul letto.
Tip inspirò e rilasciò aria lentamente. «Ne ho già parlato con Sander, prima del processo. Per lui va bene. Lì… c’è una persona che potrebbe aiutarci. Un avvocato.»
«Chi è? Come lo conosci?»
Si scostò da lei, distolse lo sguardo e poi tornò a guardarla. «A dire il vero, non lo conosco. Devo ancora sapere chi è, solo che…» Riempì le guance prima di schioccare aria fuori. «Ho trovato qualcuno a Roma che può… che potrebbe indicarcene uno molto valido, senza grosse spese.»
«E chi sarebbe questo qualcuno, ammiraglio?»
Non volendo, Tip esitò. «Shayl’n Til.»
«Shayl’n Til», ripeté JJ senza storpiare il nome. «La principessa Mezzosangue che ti ha salvato il culo.» Nella sua voce c’era incredulità e un vago disappunto.
«Proprio lei.»
Si scrutarono qualche secondo, studiando le rispettive reazioni.
«E come hai fatto a contattarla?»
«Mi aveva lasciato il suo numero telefonico privato.»
A JJ sfuggì una risatina che non aveva molto di ilare. «Hai il suo numero privato? Di una modificata. Di una mezza Tigre o mezza Lupo o quello che è, di purissimo sangue reale, che governa non so in che modo ben due Regni.»
«Eh, così dicono…»
JJ si ò una mano sul volto stanco, il cerchio alla testa aggravato dal pianto. «Non sapevo la sentissi ancora.»
«Non l’ho più sentita, infatti. Non ricordavo neppure di avere modo di contattarla.»
«E perché proprio ora?»
Tip si strinse nelle spalle. «Dopo che siamo stati dal Topo, dopo… dopo che me ne sono andato da qui, ho raggiunto Iaafani. Mi ha accompagnato a riconsegnare la macchina e mi ha accolto da lui, a patto che gli spiegassi cosa fosse successo. La storia la sapeva, è stato lui a raccontarci tutto, ricordi?»
Lei annuì.
«Beh, la prima volta mi aveva detto che era uno scotto che dovevo far pagare a Shayl’n, perché in parte è per lei che si è creata questa situazione; gli ho detto di no, perché non è in debito con me - lo sai e, lì per lì, non ho pensato di avere un modo per rintracciarla. Quando le cose sono precipitate, mi sono ricordato di avere il suo numero, da qualche parte tra le mille scartoffie che mi porto dietro. Iaafani ha insistito perché la chiamassi.»
«E lei che ti ha detto?»
«Niente, era sorpresa.»
«Ti ha riconosciuto subito?»
«Non lo so. All’inizio è rimasta in silenzio.»
JJ chiuse gli occhi, immaginando la voce baritonale di Tip che parlava al telefono con la modificata. Aveva visto una foto della ragazza su un giornale in bianco e nero, quando era stata rapita da una rete criminale a nord delle Terre d’Oriente, ma non le aveva prestato troppa attenzione.
«In che lingua parlate?»
«La nostra: iuropìan romanzo. Lei è cresciuta a Roma.»
«Per questo la vediamo lì?»
Scosse il capo. «No, mi ha detto che stava partendo per Nayband, per il processo a quel gruppo di criminali che avevano rapito il figlio e poi lei. Mi ha detto che al ritorno sarebbe ata per Roma e se potevo farmi trovare lì. Il viaggio in nave…» esitò. «Il viaggio in nave costa troppo, così ieri mattina sono andato a chiedere un aggio per due a un amico. Parte tra tre giorni.»
«Per due.»
«Non ho nessuna intenzione di lasciarti qui.»
JJ fece un’espressione che Tip non riuscì a comprendere.
«Non fare questa faccia da mocciosa.»
«Stavo solo pensando!»
«A cosa?»
Sbuffò e voltò il viso a guardare fuori la finestra. «Che tipo di imbarcazione è?»
«Di quelle che conosci anche tu. Piccole e scrostate. Partiamo la mattina e dovremmo arrivare la sera del giorno dopo. Al molo di Vento del Gallo.»
«Dov’è?»
«Costa sud della Repubblica del Mediterraneo. Vicino alle Isole di Taormina. Non lo conosci?»
Scosse il capo. «Di nome, ma non ho mai capito dove fosse di preciso.»
«Adesso lo vedrai.» Si alzò dal letto. «Ora andiamo a cena. Domani torno da Sander e lo aggiorno.»
JJ lo imitò. «Lo hai già visto?» sussurrò. «Intendo… dopo che… dopo che Tomas…»
«Sì», le venne in soccorso. «L’ho visto questa mattina, per poco tempo.» Indossò una maglia bianca.
«Come sta?»
«Bene.»
JJ scosse il capo, più veloce del necessario, frustrata. «Devi smetterla di trattarmi come una bambina: ho il sacrosanto diritto di sapere la verità.»
«Io non…»
«Non mi hai neppure detto che avesse perso dei denti. Eppure era così evidente che io l’ho visto al processo, di certo lo hai visto anche tu. Tip, te lo richiedo, come sta?»
Tip ci rifletté. «Come te.» Le lanciò un’occhiata indagatrice, ma lei si chinò, veloce, a infilare gli stivali comprati sulla strada per Barkesh.
«Vorrei vederlo», sussurrò drizzandosi di nuovo. «Sapere che lui è ancora vivo, che sa che lo sono anche io, in un modo o nell’altro.»
«Lo sa.»
«Tip, tu… non gli hai detto del... non gli hai detto che io…»
«No, non lo sa. Non ne sa nulla, di tutta questa storia.»
Lei prese la propria borsa. «Grazie», mormorò.
Tip si fermò sull’uscio della porta, senza aprirla. «A cosa stavi pensando prima davvero?»
JJ sollevò lo sguardo a incrociare quello di lui; sapeva esattamente a cosa si riferiva. «Pensavo a ieri mattina: prima del processo e dopo che te ne eri andato.»
Senza muovere un muscolo, Tip attese che continuasse.
JJ si mordicchiò l’interno della bocca. «Beh, pensavo al fatto che stavi chiedendo aiuto per Sander e Tomas niente di meno che ai reali modificati; pensavo al fatto che stavi cercando un aggio per mare. Per due.»
Tip le sollevò il mento con una mano. «Non vi avrei mai lasciati così e non ti avrei mai lasciata da sola in questa città.»
Aggrottando appena la fronte, JJ deglutì. «Non è quello che hai detto, però.»
«Evidentemente, ancora non mi conosci bene, pesciolina tutta intelligente.»
***
Sentirla piangere, nella notte, non era facile.
Quando si raggomitolava contro di lui, la teneva stretta, altre volte lei metteva la testa sotto il cuscino e lui la lasciava libera di singhiozzare da sola. Di giorno non aveva più pianto, si era sforzata di ricacciare le lacrime indietro, nonostante fossero lì a velarle gli occhi.
Entrambi sapevano che erano lì, ma lei non le lasciava scendere.
Tip era andato da Sander, anche lui gli pareva distrutto. Gli aveva portato un po’ di frutta e gli aveva spiegato tutti i piani. La notizia della morte dell’avvocato più potente di Nuova Sousse viaggiava tra la gente, eppure loro non ne parlarono. Se Sander sapeva, o anche solo immaginava, non lasciò trapelare nulla. Scrisse una lettera alla madre, la signora Teresa Jannacci, e Tip la avrebbe inviata il giorno stesso; poche parole, scritte con calma dalla calligrafia tremula di Sander. Le scrisse più volte, perché non sapeva come dare quella notizia che sua madre si aspettava da anni; che si aspettava di avere per il figlio più grande. E invece ora era proprio quel figlio più grande a doverle dare quella notizia che nessun genitore vorrebbe mai sentire. Sander non aggiunse molto di più, precisò che lui e Jennie stavano bene e presto sarebbero tornati a casa; una menzogna
che non gli costò neppure fatica, tanto non poteva essere diversa.
JJ lesse quelle parole, strinse le labbra, respingendo via le lacrime, e mise la sua firma, prima di chiudere la busta e lasciarla nelle mani di Tip.
Si sentiva come se fosse morta anche lei, chiusa nella stanza della locanda, con le ore afose che avano piene di pensieri e ricordi che la tormentavano. Tirò un sospiro di sollievo, quando, il sole già sopra l’orizzonte, Iaafani venne a prenderli per portarli al molo.
Naïma Ben Hamida le lanciò uno sguardo indecifrabile, mentre Tip salutava tutti e tre i proprietari della locanda; sapevano che JJ era stata male e non avevano fatto domande, tuttavia era evidente che la ragazza non ci avesse creduto. JJ pensò che, se tra lei e Tip non c’era stato niente, di certo Naïma avrebbe preferito che qualcosa ci fosse.
A lui non lo disse.
Nuova Sousse non era una città dalle grandi distanze e il centro non distava neppure trenta minuti a piedi dal molo dove erano diretti. In ogni caso, Tip aveva preferito far viaggiare JJ nell’anonimato dei vetri dell’auto che scivolava sull’asfalto caldo per il sole equatoriale che vi batte tutto il giorno.
I cavalli erano rimasti da Iaafani. Tutti i loro averi erano nelle loro sacche, che caricarono su una barchetta verniciata di verde, arancione e blu. Matteo, che oltre al pesce trasportava posta per i più poveri da consegnare sulle diverse coste del Mediterraneo, presentò il proprio mozzo e la stanza in coperta.
«Noi non ci dormiamo mai. Io e Hamed dormiamo sempre fuori, per sicurezza, e ci diamo il cambio, insomma, è tutta vostra. C’è solo un bagno, ed è di qua. E per mangiare si mangia fuori, mi spiace.»
«Va benissimo così», replicò Tip.
«Bene. Allora sistematevi. Io torno su a mollare gli ormeggi.»
Quando furono partiti, Tip e JJ salirono a poppa. Gli uomini arono qualche ora a parlare di barche e pesca e Matteo raccontò qualche aneddoto divertente. Prima di pranzo, Tip incrociò le gambe sedendosi accanto a JJ, lo sguardo fisso davanti a lei, sull’orizzonte blu.
«L’ultima barca che ha avuto Tomas era molto simile a questa», disse senza guardarlo. «Era rossa e bianca, l’aveva presa all’Isola Madre, da un uomo che ne aveva comprata una più grande. Era la sua prima vera barca, l’ha usata per anni. Ogni volta che tornavamo a casa, mamma gli diceva di venderla, ma lui niente, anche se non la usava più, anche se ormai viveva più in Africa che a Taormina. Una volta mi disse che se l’avesse venduta, avrebbe tradito una parte di sé, la più importante, e non poteva farlo, perché lui voleva tornare a questo: vivere al mare. È anche per questo che stavamo tornando.» Chiuse le palpebre e ci premette pollice e indice per ricacciare le lacrime.
Tip le ò un braccio sulla spalla. Li conosceva, i sogni spezzati delle persone che ami.
JJ mostrò il polso con l’ippocampo. «Lo abbiamo fatto insieme, prima di partire per l’Africa in maniera definitiva. Io volevo una stella marina, lui una tartaruga; alla fine abbiamo optato per il cavalluccio. Sono simmetrici tra loro, come se fossero allo specchio. Lo ho fatto solo perché era lui, perché volevo che ci fosse qualcosa tra noi che potesse durare in eterno. E invece è già finito.» Inspirò a fondo. «I miei tatuaggi non hanno realizzato nulla di ciò che volevo.»
«E il cavallo? È un disegno stupendo, mi piacerebbe averne uno simile.»
«Davvero?»
«Sì. Prima o poi me lo farò. E la vita non dipende dai tatuaggi, e tu lo sai.»
JJ si strinse nelle spalle. «Non lo so. Sai, dove io ho il cavallo, Tomas ha una rosa dei venti, spero lo porti nella direzione giusta, ora, ovunque sia, se c’è un dopo oltre questo schifo.» Lasciò penzolare le gambe nel vuoto, in balia del vento che le riportava indietro. «So che non è corretto, ma se fosse stato Sander, avrebbe fatto meno male: ero pronta all’idea di perderlo prima del tempo.»
«Non si è mai pronti alla morte di chi ami.»
«Lo so; ma è diverso quando ti ripeti che quella persona la perderai, quando quasi esulti nel vedere che è ancora viva; però quando dai per scontata una persona, quando è tutti i momenti accanto a te e non esulti perché è viva, ma la vivi e basta, ti lascia un dolore che non puoi immaginare.»
«Non si può immaginare.»
«Io farei di tutto per Sander, lo sai. L’ho sempre pensato. Ma Tomas era parte di me e neppure me ne ero resa conto. È così… è così assurdo.»
«Continuerà a esserlo per molto tempo.»
«È stato così per Andrea?»
Tip aprì le gambe e le lasciò penzolare anche lui fuori dalla barca. Era da tantissimo che non sentiva nominare suo fratello in quel modo così personale. «Credo di averci messo almeno quattro anni prima di rendermi conto che non fosse più accanto a me. Non avevo fatto quasi nulla senza Andrea, anche se aveva quattro anni più di me, a volte non mi sopportava, perché gli stavo appiccicato come una cozza; oggi so che io ero insopportabile e anche che lui mi sopportava tantissimo.»
«Non lo ricordo molto bene. Non giocava con noi.»
«Immagino ringraziasse Nostra Vergine Maria, quando giocavo con voi: almeno per un po’, ero fuori dai coglioni.»
«Beh, per me era decisamente troppo grande. Forse non ci siamo mai parlati. Di lui ricordo che era riccio e che ballava con te il Tip Tap.»
«Sei una mocciosa, JJ: cosa vuoi ricordare?»
Lei tirò fuori la lingua. «Però ero un’ottima alzabandiera.»
«Potevi solo fare quello.»
«Beh, tanto nessuno di voi voleva farlo.»
Tip la guardò. «E perché tu sì?»
JJ emise una risatina. «Non lo so. Forse perché era l’unica cosa che mi permetteva di fare Sander, e a me di stare a casa non andava proprio.»
«Non ti è mai andato.»
«Mai.»
Hamed li chiamò per il pranzo e il viaggio rallentò per poi riprende veloce nel pomeriggio e rallentare di nuovo dopo cena, quando la barca quasi si fermò sulla distesa di acqua e sale che li avvolgeva.
Dopo essersi lavati nello strettissimo bagno dell’imbarcazione, Tip e JJ si chio nella stanza, spostando le loro cose per avere spazio sull’unico
materasso a loro disposizione; benché profumasse di bucato, aveva un colore giallo e piccole macchie di umidità sul fondo.
C’era un’unica debole luce, non era sufficiente per leggere, ma bastava a illuminare la piccola camera.
Tip stese il lenzuolo e ci si inginocchiò sopra. «Che lato preferisci? Quello con il buco o quello con le macchioline di non si sa bene cosa?»
JJ si inginocchiò davanti a lui, sorridendo. «Tu cosa preferisci? »
«Preferisco sempre i buchi.»
Lei produsse un gorgoglio basso, ilare. «È un invito?»
Tip si sedette sui talloni, facendosi serio. «No, è la verità. Comunque ho deciso che prenderò questo lato.» Fece per spostarsi, ma JJ gli posò una mano sulla spalla e si protese in avanti per baciarlo.
Tip esitò prima di ricambiarla. Lei gli prese il viso liscio per essere stato rasato quella mattina e sprofondò in quel bacio poco più che rubato; spostò le mani sulla sua camicia, cercando il primo bottone, ma Tip si scostò un poco e lei lo guardò confusa.
«Chiedimelo», le disse con voce bassissima. «Dimmi quello che vuoi.»
JJ si perse per alcuni istanti nei puntini neri che screziavano i suoi occhi castani. «Voglio te.»
«Perché?»
Lei sorrise abbassando un poco lo sguardo e sedendosi a sua volta sui propri talloni. «Me la sono voluta, questa situazione, vero?»
Tip l’attrasse di nuovo a sé e chinò il capo, cercando i suoi occhi.
«È che tu… sei come un fratello per me, con la differenza che posso scoparti! E se esiste un Dio da qualche parte, sarebbe l’unico a sapere quanto io ti abbia desiderato per anni, quanto io adori le tue mani su di me, quanto adori il tuo modo di aspettare il mio piacere e il gusto con cui lo aspetti.»
Tip di nuovo cercò i suoi occhi, che si ostinavano a trovare qualche appiglio nello spazio stretto attorno a loro; le morse un labbro, divertito. «Credi in Dio, adesso, Jennie Jannacci?»
Lei si decise a ricambiare il suo sguardo. «No», mormorò con voce fanciullesca. «Ma posso farci un pensierino, quando mi guardi così.»
Tip le premette le labbra con le proprie. «Sia mai che inizi una giovane all’oppio delle religioni», disse in finto tono burbero, e la baciò.
JJ sollevò il mento e spinse la lingua ad accarezzare la sua. Così calda, così leggera. Un movimento delicato che echeggiava lo sciabordio melodico del mare contro la barca, sotto di loro.
Tip le percorse la schiena con le mani, fino in basso, dove raggiunse il bordo della maglia e lo tirò; lei si allontanò per farsela sfilare e rimase a petto nudo, di fronte a lui, che si protese in avanti a baciarle il collo, mentre JJ gli slacciava la camicia e faceva scorrere le maniche sulle sue braccia.
Quando fu libero, Tip le accarezzò i seni, prima di fare pressione su di lei, obbligandola a sdraiarsi; le prese un capezzolo con le labbra e giocherellò con l’altro, mentre leccava e succhiava, roteando la lingua sull’areola rosata. JJ mugolò beata, gli occhi chiusi e la bocca aperta in un sospiro deliziato.
Tip spostò le labbra sul torace, per scendere a baciare l’ombelico. JJ si rese conto che stava trattenendo il respiro, ora che la bocca di lui strisciava verso il basso, sul bordo dei pantaloni che veniva spostato, mostrando i peli castani del pube.
Sollevò il bacino per farsi denudare completamente e strinse i denti, nell’avvertire la bocca di lui sfiorarle le cosce tese.
Tip le baciò la pelle liscia tra le gambe, andole una mano sul fianco e sull’esterno coscia.
JJ non aveva paura del sesso, aveva superato quel senso di terrore anni prima, ciò che temeva era il dolore, quello fisico e quello che raschiava in un punto
imprecisato dello stomaco, ogni qualvolta che qualcuno si impossessava del suo corpo, anche se tentava in tutti i modi di trarne piacere - a volte riuscendoci nonostante la finzione. Tip l’aveva già presa, baciata ovunque potesse baciarla, fatta godere in tanti modi, sorprendendola, eppure ora che, nonostante tutto, era di nuovo lì, a regalarle piccole carezze di piacere, la parola che più descriveva ciò che stava provando era la paura. Una paura che non conosceva.
Si sollevò sui gomiti e guardò i capelli castani di Tip, che le solleticavano la pelle; erano più scuri di quelli che aveva da ragazzino. Le ò una mano tra le gambe e le aprì di più, e lei rimase in attesa della sua bocca sul proprio sesso, come se stesse attendendo una fitta di dolore.
Non arrivò.
Giunsero le dita di Tip che le massaggiavano la pelle dove era ancora coscia, giunsero baci delicati tutto intorno. Ebbe l’impulso di gridare, di dirgli di andare al punto; si morse un labbro, perché a gridare di umide colate fu la sua pulsante intimità.
Cullato dalle onde del mare, Tip ne seguì il ritmo, riempiendo di baci i punti più delicati di JJ, senza fretta; il desiderio di lei fu palese, sorrise alle sue labbra inferiori e ò la lingua nel loro solco, risalendo verso l’alto.
La sentì trattenere un gemito e, tornando verso il basso, spinse più a fondo, schiudendola sempre di più, facendo propria la sua essenza voluttuosa, che si mischiava con la saliva; una fusione che pervase la mente di gioia infantile. Continuò ancora un poco, poi con una mano le sfiorò un seno, con le dita dell’altra allargò le grandi labbra che palpitavano contro di lui e fece scorrere la lingua ancora verso l’alto, questa volta fino a raggiungere il nodulo gonfio e turgido; lo succhiò.
JJ lasciò cadere indietro la testa e ansimò; le gambe si contrassero da sole in brividi di piacere e il bacino si agitò sulle lenzuola. Un’esplosione improvvisa e involontaria.
Tip allontanò un poco la bocca e la guardò fremere, continuando a stuzzicarle un capezzolo; JJ prese aria e incrociò il suo sguardo. «Scusami, io non volevo già…»
Lui protese una mano sulla sua bocca e le fece segno di non parlare, quando lei annuì, fece scivolare la mano sul suo petto e il suo ventre, si spostò appena, per farla are tra le sue gambe e tornare a massaggiarla. Inserì le dita dentro di lei e la penetrò più volte, lentamente.
Ancora piena di piacere, JJ si distese e lasciò che lui le allargasse le gambe ancora di più; il pollice che trovava il clitoride di nuovo pronto; l’eccitazione che fluiva da lei senza soluzione di continuità. Non riusciva a trattenere i gemiti.
Tip roteò le dita e le strofinò sulla parete anteriore, premendo con delicatezza verso di sé. Spostò il pollice e attese qualche attimo prima di sostituirlo con la lingua, che girò, leccò e fece spazio ai denti, per poi leccare di nuovo, con dedizione, aumentando il ritmo, perdendosi da quello del mare, ormai lontano dalla sua mente.
Non importava che il membro durissimo stesse esplodendo nei propri pantaloni, attese che lei venisse ancora e a lungo, fino a urlare e dimenarsi contro il suo viso.
JJ tentò di riprendere aria e si ò una mano sul seno, mentre con l’altra scendeva ad accarezzare il capo di Tip. Lo guardò e gli fece cenno di raggiungerla; lui ubbidì e la baciò. Sapeva dei propri umori e sapeva di qualcosa di intangibile.
Tip la baciò con calma, come se le stesse dipingendo la bocca con la propria, suggendole l’anima da quel tripudio di lussuria e ingenua arrendevolezza; poi si fermò a guardarla.
«Che c’è?» chiese JJ aprendo le palpebre e ricambiandolo con un moto di apprensione.
«Io pensavo» esitò «che sei molto bella. E sei molto bella quando provi piacere.»
JJ distolse lo sguardo, cercando di trattenere un sorriso, e ò una mano sui suoi pettorali, sfiorando la leggera peluria bruna. Scese sugli addominali duri e lisci e tornò a guardarlo. «Tu sei molto bello sempre.»
Tip le prese la mano e la baciò.
«Pensi che Matteo e Hamed mi abbiano sentita?»
«Penso proprio di sì», replicò andole un dito sulla linea dritta del naso spruzzato di efelidi.
Lei emise un suono a metà tra il disappunto e una risatina. «Non sono riuscita a fermarmi.»
«Mi piace quando non ti fermi, habibati.»
«Habibati, che vuol dire?»
«Non lo sai?»
«Se lo sapessi, non te lo avrei chiesto.»
Tip si piegò a mordicchiarle il lobo dell’orecchio. «Pensavo lo sapessi, perché hai… Non te lo dirò mai», sussurrò, giocoso.
«Dimmelo.»
«Mai.»
«Dimmelo o non avrai niente.»
Tip inarcò un sopracciglio. «Va bene, evidentemente non ti è piaciuto. Ora andiamo a dormire.»
Gli diede un colpetto sulla spalla. «Mmm, stronzo ricattatore che non sei altro. Ok, ci sai fare, ammiraglio, ti voglio e mi piace quello che mi fai.» Si voltò su un fianco, restando alcuni istanti in posizione fetale in cerca di qualcosa che si agitava nei pensieri. «Chi ti ha insegnato?»
«Sei certa di volerlo sapere?»
JJ ci pensò, ma la curiosità era più forte e annuì.
«Un po’ tutte. Qualcuna di più, qualcuna di meno. Il resto viene da sé e il tuo corpo mi dice cosa ti piace in quel momento.» Tip fece scorrere le dita sul tatuaggio arabo sull’incavo sensuale tra il bacino e la coscia. «Tutto qui.»
«Tutto qui, eh? Sei un bastardo, ammiraglio. Ti sei mai innamorato?»
«Forse.»
«Forse?» Lo guardò meravigliata e curiosa. «Perché forse?»
Si strinse nelle spalle. «Ero un ragazzino, non lo so se fossi innamorato.»
«Quanti anni avevi?»
«Diciotto.»
«Povero cucciolo», lo canzonò, facendo scivolare la mano sul suo basso ventre. «Chi era?»
Tip si spostò un poco per permetterle di sbottonargli i pantaloni. «Una ragazza di Tampàr. Aveva gli occhi più neri che avessi mai visto, le labbra piene e rideva sempre, anche quando faceva l’amore. Aveva la mia età.»
JJ prese in mano la sua erezione. «E poi?»
Tip chiuse gli occhi godendo dei suoi movimenti. «E poi niente, ha detto che non poteva funzionare, non so bene perché. Ho aspettato che ci ripensasse e alla fine sono partito.»
JJ gli leccò il collo e si inebriò del sapore dolceamaro che le ricordava le mandorle. «Perché ti eri innamorato?»
«Non lo so. Forse perché rideva sempre.»
«Allora non ti innamorerai mai di me: io non rido mai.»
Tip aprì gli occhi a guardarla e le circondò la mano con la propria facendole
aumentare il ritmo. «Tu non ci credi in queste cose.»
«Nell’innamoramento non c’è nulla da credere: è uno stato, eggero, direi. Una persona ti piace, per come sembra che ti guardi, per quello che dice, per come ti fa sentire quando siete insieme, chissà, forse anche quando non siete insieme, probabilmente per motivi inesistenti. Poi a.»
«Sei sempre stata così cinica?»
«Non sono cinica, è la realtà», rispose spingendolo sul materasso.
Tip annuì. «Si fanno un sacco di stronzate quando si è innamorati, decisamente poco raccomandabile: non mi innamorerò mai di te, mocciosa.»
JJ gli lanciò un’occhiata indagatrice, ma lui aveva chiuso gli occhi. Si abbassò e gli baciò la punta delicata e tesa del membro. «Siamo già troppo complicati», sussurrò prima di prenderlo in bocca.
Succhiò e leccò e osservò il suo bel viso riflettere il piacere che provava. Spostò la testa avanti e indietro, aiutata dalle mani di lui, che le tenevano il capo. Tip spingeva il bacino in alto seguendo il ritmo che lui stesso le dava, ma era la sua lingua in movimento a farlo impazzire.
Quando gli parve di essere arrivato al massimo, la allontanò da sé e la fece stendere sul letto con un movimento deciso che lo distanziava dal punto di non ritorno; prese aria e si fermò. Lei aprì le gambe e lo guardò, in attesa. Con più
dolcezza, Tip le ò le dita sulle grandi labbra e si sorprese di trovarla pronta.
«JJ», mormorò osservando quel corpo delicato. Le accarezzò il clitoride gonfio di voluttà e cercò il suo sguardo. «Dio, sei…» Scosse appena il capo, stringendo le labbra tra loro.
«Cosa?» chiese lei, di nuovo in apprensione.
«Nulla.» Si spostò tra le sue gambe e guidò la punta del pene dentro di lei. Affondò centimetro dopo centimetro, beandosi del guanto caldo che lo avvolgeva, delle gambe che lo cingevano, del dondolio della barca, del sommesso infrangersi delle onde.
«Cosa volevi dirmi?» insistette JJ.
«Non lo vuoi sapere.»
Gli accarezzò il viso liscio. «Dimmelo», sussurrò.
Tip sorrise. «Hai mai pensato che sei troppo curiosa?»
«Non devo pensarlo: lo so. Tu hai mai pensato che sei uno stronzo? Mi accenni le cose e poi pretendi che non sia curiosa.»
Con calma, Tip si spinse dentro di lei e riuscì, osservando le grandi labbra scivolare sull'asta dura come l'acciaio. JJ strinse le mani sui suoi fianchi, fermandolo.
Con un leggero sospiro, Tip cercò le parole. «Pensavo che sei incredibilmente donna e incredibilmente bambina e…» Gonfiò le labbra a palloncino, ma aprì la bocca come se avesse trattenuto l’aria ancora dentro.
«E?»
Di nuovo scosse il capo, piano. «Io non posso credere che, in questo mondo, ci siano stati degli uomini che con il tuo corpo hanno fatto…»
«Shhh.» Come lui prima, ora lei posò le proprie dita sulle labbra di Tip. Un istante di vita tanto perfetto da apparire irreale; mai il suo corpo aveva reagito così, in quell’estasi totale, continua, insaziabile, devastante, neppure con chi aveva provato ad amarla. «C’è stato un unico uomo per il mio corpo, Tip, e quello sei tu.» ò la mano dietro la sua nuca e lo attrasse a sé per baciarlo.
Dentro di lei, Tip fremette, essendo già sull’orlo del barato del piacere; si mosse appena, avanti e indietro, lento come le onde calme, come se, da dentro le pareti calde e umide di lei, potesse accarezzarle l’anima. Stava per scoppiare, tuttavia attese, attese che lei si sciogliesse fuori e dentro, che lei contraesse i muscoli e lo stringesse a sé, e fu un’attesa dolcissima e ben ripagata: raggiunsero l’apice insieme, con quel movimento languido e intimo, che mai avrebbe pensato potesse farlo arrivare a tanto.
Dopo, ci fu solo il mare.
19
Giunsero a Roma con un giorno di anticipo, rispetto all’appuntamento con Shayl’n Til; avevano viaggiato con i cavalli che facevano la staffetta sulla strada principale, che percorreva il sud di Nuova Eyropa, e infine avevano trovato un aggio in macchina.
La prima cosa che notarono, arrivati a Roma, furono gli elicotteri; la seconda fu il movimento della gente, che girava per le strade quasi correndo.
Cercarono una stanza da affittare per quella notte e andarono a dormire presto. Il giorno seguente si alzarono con calma e uscirono poco dopo pranzo, per raggiungere il Colosseo con le indicazioni date dall’uomo che aveva affittato loro la stanza. Benché fosse la costruzione più alta della città, si stagliò davanti a loro all’improvviso, dietro un angolo infestato di ragazzini urlanti.
Sollevarono lo sguardo sopra la tenda di una bancarella e rimasero a guardare per aria, mentre raggiungevano la grande piazza al centro della quale si trovava il monumento illuminato dal sole pieno del primo pomeriggio. Ricostruito per intero dopo il Grande Terremoto, il Colosseo era quanto di più immenso potessero vedere, e anche di più antico.
Fu Tip il primo a distogliere lo sguardo. «Beh, almeno possiamo dire di aver visto il Colosseo», commentò dandole di gomito.
JJ osservò la folla che girava per il piazzale e indicò alcuni POD fermi in più
punti. «E di quelli, ne avevi mai visti?»
Tip scosse il capo.
«Antico e moderno. Questa è Roma.»
Lui sorrise, incamminandosi sul lastricato assolato. «Puoi dire che ti ci ho portato io, mocciosa.»
JJ gli diede una leggera botta con la mano, prima di seguirlo in una eggiata attorno al Colosseo, osservando i mariani che entravano a pregare, le bancarelle di frutta e verdura, i bambini che giocavano, la gente che andava e veniva. Da lì sotto, il Colosseo appariva ancora più mastodontico, dando loro un senso di vertigine.
«Pare che» disse Tip «vicino a Nuova Sousse ci fosse una costruzione come questa, di nome El Jem. Non si sa che fine abbia fatto dopo il 2012, eppure in molti, tra i viandanti, la cercano.»
«Io sapevo che El Jem fosse il nome della città che aveva un anfiteatro come questo.»
«Pensi fosse vero?»
JJ si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea.»
Andarono a vedere ciò che rimaneva dell’epoca dell’impero romano e dell’epoca della repubblica italiana, tra resti di chiese cristiane e binari della metropolitana spezzettati e le colonne del Vittoriano che si innalzavano nel cielo sereno. Lessero i cartelli di ogni cosa che vedevano e poi rimanevano a fissare i frammenti di vite ate.
«Una volta sono andata con Tomas all’Isola Madre di Taormina, abbiamo raggiunto a nuoto il punto in cui si vedono i resti del 2012, nell’acqua. Ci sei mai stato?»
«Sì, qualche volta. Ma non è uno dei miei posti preferiti.»
«Mette un notevole senso di angoscia. C’è tutto ciò che è finito in modo brusco e tutto quello che è accaduto dopo.»
«Mai quanto qui», commentò Tip. «Si vede che qui ci sono stati i Bamiy, da noi tante cose non ci sono, sembra un luogo diverso.»
JJ masticò una radice di liquirizia, che aveva comprato al mercato. «Non ho mai visto un Lupo Grigio. Solo una volta in una delle Tribù del Sud ho visto uno schiavo della Razza delle Tigri Bianche, ma non ho mai parlato con lui, lo ricordo appena. Era bello, dicono tutti che sono belli, ma se non fosse stato legato, non credo mi sarei avvicinata.»
«Mi stai dicendo che hai paura?»
«Non proprio, mi sembra solo strano. Quando erano i Lupi a governarci, mio padre diceva che se mai fossero scesi a Taormina gli avrebbe staccato le gambe.»
Tip sorrise a quel ricordo. «Diceva che non voleva Lupi a Taormina.»
«Ma era come se fossero lì.»
«Non lo so, ai Bamiy non fregava molto del Sud di Nuova Eyropa, durante la guerra, e poi se ne sono andati e a Rodriguez non interessa molto di più.»
«Però ha fatto fare la strada asfaltata.»
«Per un paio di macchine che ci ano e nemmeno mezzo POD.»
JJ si massaggiò la pancia, dolorante per via del ciclo. «Beh, spero che nessuno ci sbrani vivi; per il resto, andiamo a sederci.»
Sostarono per un’oretta sotto piccole palme dal tronco ampio e quando fu l’ora giusta raggiunsero l’entrata a sud del monumento. Attesero pochi minuti, prima che un POD si fermasse proprio lì davanti a loro e aprisse le porte, lasciando uscire una breve scala.
Vestita in jeans e maglietta bianca, Shayl’n Til Lech, una mano aggrappata a una
maniglia sulla soglia, sporgendosi, fece un gesto a Tip.
Senza riuscire a nascondere lo stupore, lui prese JJ per mano e la tirò verso il POD.
JJ provò un infantile senso di agitazione e strinse le labbra tra loro nella speranza di non darlo a vedere. Lo seguì sugli scalini e rimase in disparte quando la porta si chiuse e la ragazza modificata abbracciò Tip, che la ricambiò con una smorfia. «Principessina, quanto tempo.»
Shayl’n Til aveva un sorriso pieno. «Come stai?»
«Da Dio, come sempre.» Lanciò un’occhiata alla donna dietro le sue spalle. «Oh, c’è anche l’avvoltoio.»
Danka Kijowski fece un gesto di saluto con il mento. «Contrabbandiere.»
«Ed è sempre cattivissima. Dov’è l’altro avvoltoio?»
«A fare il suo lavoro.» L’accento straniero era palese.
«Ovvero?»
«Guardia speciale del corpo del re.»
«Pensavo fosse la guardia del corpo di Shayl’n. Oh, beh, e come sta?»
«In piedi.»
«E io che pensavo fosse steso. Moribondo. O magari sotto di te.»
Danka inclinò il capo. «Non ti ho mai dato questa confidenza.»
«Beh, ok, come dite voi? Touchè. »
«Sono i Lupi, quelli.»
Tip alzò gli occhi al cielo. «Per l’oceano nero, madame, il tuo avvoltoio è diventato insopportabile.»
Shayl’n Til non la difese, si limitò a inarcare un sopracciglio, prima di spostare lo sguardo su JJ. La scrutò abbassando appena il viso.
«Lei è l’amica di cui ti parlavo: JJ.»
«Ciao.» Shayl’n Til le porse la propria mano, che JJ strinse impacciata, incerta su cosa dire.
«Piacere, altezza, io sono la sorella di Alessandro Jannacci. Tip mi ha detto che le ha spiegato la situazione.»
«Fai un inchino», la riproverò Tip.
JJ esitò.
«Lasciala in pace, Tip. Chiamami Shayl’n, per favore, odio tutte queste stronzate. Lei è Danka, la mia guardia del corpo.»
La donna, in tenuta militare e con le armi in bella vista, non le tese la mano e JJ la imitò, fissando per alcuni attimi i suoi occhi azzurrissimi e gelidi come non aveva mai visto. Per quanto non si potesse negare la sua bellezza, la intimoriva la sua algida femminilità. Tornò a guardare Shayl’n Til che disse di partire.
«Dove andiamo, così di corsa?» domandò Tip, guardando con curiosità l’abitacolo del POD.
«È pieno di Lupi, lì fuori», replicò Shayl’n. «E non ho nessuna intenzione di farmi riconoscere.» Fece segno di accomodarsi sui sedili imbottiti, dalle linee delicate ed eleganti.
«Come fai a sapere che ci fossero Lupi, se non sei neppure uscita, madame?»
Lei fece finta di non averlo sentito. «Allora, ti cacci sempre nei guai?»
«Ah, senti chi parla», commentò Tip, sedendosi accanto a JJ.
Shayl’n Til sorrise di nuovo e JJ si scoprì sorpresa a fissarla: sembrava una ragazza normale, nonostante fosse di una bellezza indiscutibile. La pelle caramellata e i capelli neri, che scendevano poco sopra le spalle, le risaltavano uno sguardo verde e magnetico, quasi irreale.
«Te lo concedo. Pare che ti abbia messo in questo pasticcio proprio io, a quello che dici.»
«Beh, sai tutta la verità che dovevi sapere.»
Shayl’n Til annuì. «Sono riuscita a trovare un avvocato, è un Umano. Però poteva raggiungerci qui solo domani. Mi ha detto che avrebbe ascoltato volentieri la storia e cercato di capire che aiuti potesse fornirvi; ha studiato a Roma e sostiene di conoscere le leggi di Nuova Sousse - se non sono cambiate dopo l’indipendenza dell’Africa. Mi sembrava interessato a questo caso.»
«Pensi che potrebbe venire giù? »
«Mi ha detto che lo avrebbe fatto, qualora accettasse il caso.»
JJ si appoggiò allo schienale. «Quanto costa?»
Shayl’n Til posò lo sguardo su di lei, osservando per alcuni istanti le efelidi sotto gli occhi castani e sul naso dalla linea dritta; non ricordava di averne mai viste su un Umano. Lanciò una rapida occhiata a Tip e tornò a guardarla. «Non importa quanto verrà: la corona pagherà ogni spesa che servirà a scagionare Tip.»
«Tip?» domandò JJ, stupita.
«Tip», ripeté lui.
Shayl’n Til inclinò il capo. «Anche i tuoi fratelli, ovviamente.»
JJ si voltò a guardare Tip, il volto pieno di confusione e un misto di paura e qualcosa che né Shayl’n Til né Danka compresero.
Tip fece per dire qualcosa, ma il POD, che non si era neppure accorto si fosse fermato, aprì la porta.
«Siamo arrivati, venite.»
Scesero le scalette per trovarsi tra alte palme di cocco giallo. Davanti a loro una piccola costruzione di due piani e sulla destra, poco lontano, una costruzione più
lunga, molto semplice. Fermi sul viale, suore di diverse etnie, tre militari e tre donne vestite di azzurro e una quarta che teneva in braccio una bambina.
Alcuni dei presenti fecero una riverenza, al loro aggio, facendo sentire Tip e JJ a disagio. Shayl’n Til li salutò e si diresse dalla donna con la bambina, che prese tra le proprie braccia, dandole un bacio.
La bimba gorgogliò felice, scalciando i piedini sotto una gonna bianca con i fiorellini rossi. Shayl’n Til la voltò, mentre gli altri si allontanavano, lasciandoli soli - eccetto i due militari che dovevano essere sul POD insieme a loro e i tre che erano già lì.
«Stellina, questo è Tip e questa è JJ. E lei è Maisha CāndaMaria.»
Tip accarezzò una guancia della bimba, salutandola con una vocina in falsetto. JJ si morse un labbro, colta alla sprovvista dall’intimità di quella scena, o forse era perché Tip rendeva tutto leggero, oppure perché la reale modificata sembrava un’amica come tante, nonostante tutto.
«Maisha», ripeté JJ, senza il coraggio di toccare la bambina. «È swahili?»
Con il volto piegato sulla figlia, Shayl’n Til incrociò il suo sguardo. «Sì.»
«Nuova vita», tradusse, mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni. «È un bel nome.»
«Hai sentito, stellina? È un bel nome.» Aggiunse qualcosa in arindo ichslavo ai ragazzi vestiti da militare e condusse tutti nella casa, che regalò loro aria più fresca.
«Quanto ha?» domandò Tip, accomodandosi sulla poltroncina in vimini e senza smettere di fare boccacce alla bambina.
«Cinque mesi», rispose Shayl’n Til sedendosi con Danka, mentre le altre guardie rimanevano alla porta. «Grazie, Sandra», aggiunse rivolta alla ragazza che aveva portato loro da bere e un po’ di biscotti.
«Allora è vero che eri incinta quando sei finita nella rete dei criminali in Terre d’Oriente?»
«Potevi dubitarne?» Fu il commento di Danka.
Tip scosse il capo; osservò madre e figlia con curiosità. Se possibile, la mezzosangue era più bella di come la ricordasse: c’era una serenità sul suo volto che non possedeva quando l’aveva conosciuta. Lo tenne per sé. «Hai una figlia stupenda, direi che ha i tuoi colori, ma assomiglia molto a tuo marito.»
Shayl’n Til mise Maisha seduta sulle proprie ginocchia. «Tua sorella e i tuoi nipoti come stanno?»
«Se la cavano. Mio cognato ha ripreso le sue attività e ora che sono andato via staranno in pace. E gli altri tuoi figli?»
«Sono a Santa Idnak, abbiamo casa lì, ormai; Nilmini studia e Alessio si è stufato presto delle trasferte per il processo. Maisha invece deve farle per forza, ma non sembra che le dia fastidio: per ora, l’importante è poter dormire e mangiare quando ne ha voglia, il resto non conta, nemmeno quello che vuole sua madre.»
«Quello non conta per nessuno, sei solo tu a crederlo.»
Shayl’n Til portò alle labbra il bicchiere con un’eleganza che probabilmente aveva innata. «Non sei cambiato molto, marinaio.»
«Dovevo?»
Lei gli rivolse un sorriso delicato. «No.» Posò lo sguardo su JJ, immobile sul divano affianco a Tip. «Non bevi? Vuoi acqua?»
JJ si leccò le labbra, prima di prendere il proprio bicchiere e guardarci dentro; sentiva il profumo dell’ananas, ma lo analizzò con troppa attenzione.
«Ti assicuro che non è veleno.»
Tip le ò un braccio sulle spalle. «È una mocciosa, è timida.»
JJ gli lanciò un’occhiataccia, tuttavia non si scostò. Fissando Shayl’n, mandò giù il succo di frutta in un’unica lunga sorsata.
«Per questa brutta storia abbiamo tempo, domani con l’avvocato potrete raccontarmi bene tutto, vi risparmio di ripeterlo troppe volte. Se vi va, parlatemi di voi. Posso chiederti quanti anni hai, JJ?»
«Ne ha ventitré», disse Tip.
JJ picchiettò le dita sul ginocchio di lui con più forza del necessario. «So ancora rispondere alle domande che mi fanno», osservò, risentita. «Ho ventitré anni e mezzo e, se se lo sta chiedendo, vengo dalle Isole di Taormina, conosco Gustav da quando siamo bambini, so qualche parola di swahili e parlo un po’ di se, perché ho vissuto gli ultimi anni in Africa, per questo so il significato del nome di sua figlia, altezza.»
«Shayl’n.»
«Shayl’n», ripeté JJ. «Ho risposto alle sue… alle tue domande? O ne hai altre che vorresti farmi?»
«Perdonala, è un po’ acida», intervenne Tip, accarezzandole il capo come per rabbonirla.
«Ho solo detto quello che avrebbe voluto chiedermi.»
Con la coda dell’occhio, Shayl’n Til notò Danka trattenere un sospiro. Lei si limitò a guardare ora Tip ora JJ, giocherellando con la gonnellina della figlia, rannicchiata sul proprio grembo.
«Sì, ti avrei fatto queste domande, forse», concesse infine. «E volevo ringraziarti per aver salvato la pelle a Tip.»
JJ spostò appena il capo, il desiderio non troppo recondito di prendere a schiaffi la mezzosangue. «Non è che l’ho salvato per te.»
«Ovviamente no, ma pare che se sei dovuta arrivare a tanto è stato per colpa mia. E mi dispiace.»
JJ si strinse nelle spalle. «Dovresti dispiacerti perché per questa storia, uno dei miei fratelli ha perso la vita.»
Shayl’n aggrottò la fronte e cercò lo sguardo di Tip.
Lui riempì le guance a palloncino prima di far uscire aria. «Ti devo un po’ di aggiornamenti. Possiamo prima sistemarci e fare una doccia?»
«Certo. Vi faccio accompagnare. Vi ho fatto preparare una sola stanza, vi dispiace?»
«No. Va benissimo una sola stanza», replicò JJ con troppa foga.
Shayl’n Til la scrutò e alla fine sorrise.
Tip salì in camera insieme a JJ. Benché fosse una stanza molto semplice, aveva rifiniture eleganti e intarsi in legno sui mobili e alle finestre che davano sul palmeto; sotto i loro piedi un marmo rosa e delicato che giungeva fin dentro il bagno; bagno fatto di luci e specchi, biancheria linda e un profumo delicato di saponi.
«Wow», fu il commento di JJ.
Quando lei si decise a fare la doccia per prima, Tip tornò di sotto. Shayl’n Til parve sorpresa di vederlo, tuttavia non disse nulla, e lui prese a giocare con Maisha.
«Vuoi andare da Tip, stellina?»
La bambina guardò l’uomo davanti a sé e non si oppose quando lui la prese in braccio. Gli toccò la barba scura e corta ed emise un gorgoglio incuriosito saggiandone la consistenza.
«Pizzica?» chiese Tip cambiando voce.
Maisha rispose con un gridolino gioioso, prima di schiacciargli il naso con la manina. «Andiamo a fare un giretto?» Senza attendere alcuna risposta, prese a camminare per la stanza e raggiunse la finestra, dove tamburellò sul vetro.
Maisha seguì estasiata il rumore e il movimento della mano di Tip e batté i piedini sul davanzale, contrariata, quando lui smise. Continuarono con quella comunicazione per qualche minuto, poi lui la roteò e la fece volare per aria, facendola ridere a più non posso.
Shayl’n Til e le guardie seguivano la scena da qualche metro di distanza.
Tip si sedette accanto alla principessa dei Lupi, sfiorando il suo braccio liscio con il proprio, ma non riconsegnò la bambina alla madre. «Forse un giorno farò una cosa del genere.»
«Con JJ?» domandò lei a brucia pelo.
Tip la guardò di traverso e solleticò il pancino della bambina. Fece una boccaccia, seguita da una linguaccia che Maisha tentò di imitare, poi la sollevò sulle ginocchia e lei prese a giocare con la collanina che aveva al collo. «Tuo marito non è venuto?»
«Non viene mai al processo, non ne ha motivo. Domani sera devo raggiungerlo a Praha, Ahilan mi aspetta lì; sai, abbiamo avviato le pratiche per l’adozione di Nilmini. E la faccenda pare sia piuttosto complicata.»
«Non era già tua figlia?»
«Non legalmente.»
Tip annuì. «Beh, bella famigliola, principessina.» Si voltò verso di lei. «Ti devo aggiornare.»
Shayl’n Til annuì. «Anche io vorrei dirti un paio di cose a proposito degli Spiriti del Male. Cose che, a parte i miei soldati, le alte cariche dell’Oceania e il Sultano di Nayband, nessuno sa.»
Fece un’espressione divertita, quando Tip inarcò le sopracciglia.
«C’è qualcosa di assai delizioso nel vederti sorpreso, signor contrabbandiere.»
«Principessina, sei sempre stata capace di sorprendermi, più di quanto riuscissi a fare io con te.»
«Dici?»
«Credo che tu stia per dimostrarmelo.»
***
«C’è la ragazza», disse Danka Kijowski guardando oltre il paravento di legno e piante rampicanti. «Posso farla entrare?»
JJ non udì la risposta, ma la guardia del corpo della principessa del Lupi le fece segno di raggiungerla; JJ lanciò un’occhiata ai due uomini sulla porta e infine entrò nella stanza osservando il riverbero del tramonto sul palmeto oltre le finestre.
Quando oltreò il paravento, trovò Shayl’n Til seduta su una sedia a dondolo, la figlia attaccata al seno gonfio, liscio, un colore che le ricordava le caramelle morbide che sua nonna faceva ai bambini, quelle con il latte e il caramello che a lei e ai fratelli piacevano tanto.
Danka andò via.
«Ciao», salutò Shayl’n Til.
JJ sollevò lo sguardo in quello magnetico della ragazza. «Ti disturbo? Ti dà fastidio se resto?»
Shayl’n Til le rivolse un sorriso dolce, ma la risposta non fu all’altezza. «Se mi desse fastidio, non ti avrei fatta entrare.»
«Giusto.»
Si sedette davanti a lei e osservò i cioccolatini sul tavolino in vetro. Benché la cioccolata fosse fatta in terra africana, era cibo per ricchi, l’oro alimentare del post 2012. Shayl’n Til lo sapeva bene: nella sua infanzia la cioccolata era
l’occasione rara di qualche ricorrenza o qualche momento.
«È tutta tua, se vuoi.»
Colta di sorpresa, JJ trattenne un sospiro e tornò a guardare la bambina che ciucciava senza sosta. «Sei sempre così perfetta?»
Shayl’n Til fece un risatina bassa e accarezzò i cappelli sottili di Maisha. «Sarebbe interessante sapere cosa ne pensa mio marito, di questa affermazione, o anche Danka; temo che non potrebbero essere meno d’accordo.»
«Senti», tagliò corto JJ «sono venuta a chiederti perché hai detto che difenderai Tip. Non so cosa ti abbia raccontato, ma siamo stati io e Sander a uccidere e… e Tomas è morto ingiustamente, non ho neppure capito perché.»
La mezzosangue distolse lo sguardo, perché era evidente che per quanto JJ si fosse sforzata di mantenere la voce ferma, Tomas le era vibrato sulle corde vocali.
«Tip mi ha aggiornata prima», rispose con un tono delicato, «mentre eri a fare la doccia tu. Mi dispiace per tuo fratello, davvero, se potessi riparare a questo lo farei. So quello che è successo, ma Tip vuole entrare in campo e scagionare del tutto il suo amico, l’altro tuo fratello. Dichiara di essere colpevole di omicidio per legittima difesa.»
«Ma…»
«Dovresti parlarne con lui», la interruppe subito. «E con l’avvocato. Posso darvi gli strumenti, ma se vorrete usarli in modo diverso, non posso decidere io quale sia il migliore. Ho detto che difenderò Tip a qualsiasi costo, tuttavia se si tratterà di te o tuo fratello, beh, è uguale.»
«Lo fai per Tip?» domandò con un’intonazione troppo bassa.
«Lo faccio per Tip e lo faccio perché mi sento responsabile della situazione. Ti dispiace?»
JJ si voltò a guardare fuori. «E cosa vuoi in cambio?»
«Ti risulta assurdo credere che non voglio nulla in cambio?»
Fece spallucce. «Sono cresciuta sapendo che non si fa nulla per nulla.»
Shayl’n Til sospirò. «Lo so; anche io, credo. Ma non voglio nulla da voi, neppure da Tip, se è questo che ti preoccupa. Sono riuscita a trovare Ahilan, quando tutti lo pensavamo morto, e ci sono riuscita grazie a lui; se c’è qualcuno che sarà sempre in debito, tra noi due, quella sarò io.» Scostò da sé la figlia, che si era addormentata, e con gesti fluidi e sicuri si ricoprì il petto, prima di pulire la bocca della bambina e adagiarla di nuovo sul grembo.
JJ incrociò le braccia e accavallò le gambe. La mezzosangue sprigionava una pigra sensualità in ogni movimento, che trascendeva dal suo essere felino.
«State bene insieme, tu e Tip.»
«Non stiamo insieme.»
«No?» Inarcò un sopracciglio. «Non lo avrei mai detto, visto che stai marcando il territorio da quando sei qui.»
«Io non sto marcando nessun territorio», esclamò piccata.
Shayl’n Til sorrise. «JJ, davvero, non lo so cosa pensi che siate voi due o cosa pensi di me, ma qualsiasi cosa ci sia, è piuttosto evidente e non sarò certo io a rovinartela. Tip a te ci tiene e si vede. »
«Siamo amici da quando eravamo piccoli.»
«Ma tu vuoi di più e lui te lo darà o forse già lo sta facendo.»
JJ strinse i pugni sui braccioli, con la netta sensazione di sentirsi scoperta e vulnerabile. «Non voglio nulla, altezza, e tu non conosci Tip e non sai proprio niente della sottoscritta.»
«Posso chiederti perché ce l’hai tanto con me?»
«Non lo so. Sei… sei… troppo bella.»
Se c’era una cosa che JJ non si aspettava, era vedere il rossore sulle guance abbronzate di una sovrana. Shayl’n Til abbassò il viso, aprì la bocca e la richiuse.
«L’impressione che dai è che tu sia perfetta e irraggiungibile», aggiunse JJ a voce bassa. «E mi irrita questo genere di persone.»
«Beh, ok, non ti devo piacere per forza, no?»
JJ fece oscillare la gamba in un moto di nervosismo. «No, il problema è che mi piaci, ma non mi piaccio io accanto a te.»
L’altra inclinò il capo, scrutandola con quello sguardo da mozzare il fiato eppure innocente e vellutato. «A me piaci e mi piace la tua sincerità. È vero, non ti conosco, e probabilmente non ti rivedrò mai più, ho la certezza che non te ne freghi niente, però quello che ho detto di te e Tip lo penso sul serio e ci tenevo a dirtelo.»
JJ si decise a prendere un cioccolatino e restò a meditare su quella dolcezza che si scioglieva sulla lingua. «Posso prenderne uno per Tip?»
«Non stavo scherzando quando ti dicevo che potevi prenderne quanti volevi. Sono cresciuta a Roma: conosco il valore di certi cibi superflui.»
«Cibi superflui», ripeté quasi a saggiarne il concetto. «Vivevi qui?» Indicò la casa.
Shayl’n Til indicò fuori. «Nella struttura che hai visto in lontananza. Apparteneva alle suore dell’ordine mariano; ora si sono trasferite e Santa Idnak con i bambini, qui è rimasta questa struttura di proprietà della dinastia Erdreè, ci vivono altre suore e le novizie di Roma. Se vengo qui, rimaniamo a dormire in questa casa; mio zio preferisce sostare nell’albergo accanto al palazzo del presidente.»
«Non ci sono più bambini?»
«No, ma so che volevano fare degli accordi, per far entrare gli orfani Umani anche qui.»
JJ annuì pensierosa.
Maisha respirava piano, la bocca rosata e umida piegata in un sorriso leggero, l’espressione serena nel sonno sicuro tra le braccia della madre. Un esserino tanto piccolo, eppure erede al trono di due Regni e geneticamente più forte di lei. «Non amo molto i bambini», si lasciò sfuggire JJ in un sussurro.
«Nemmeno io.»
«Davvero ironico detto da una che a venticinque anni ha già tre figli.»
Con una grazia e una morbidezza sincera, che JJ non aveva mai visto, la sovrana delle Tigri Bianche rise. «Ok, te lo concedo.»
Sentendosi comunque in imbarazzo, JJ posò lo sguardo sulla libreria di legno chiaro. «Ci sono un sacco di libri, qui.»
«Ti piace leggere?»
«Sì.»
«Allora, qualcosa in comune, lo abbiamo. Cosa leggi?»
«Tutto quello che capita, se capita. Sono anni che non vedo un libro. Quando sono partita per l’Africa, un mia vecchia insegnante mi regalò dei libri: un romanzo di Pirandello, un’avventura per bambini e un’enciclopedia, ma avevo solo dalla A alla C, la E e dalla L alla M. Li ho portati con me per diversi anni, nonostante il peso: li ho letti un sacco di volte.» Abbassò lo sguardo sulle mani, prendendo coscienza di quanto fosse ridicola quella storia.
Eppure la modificata non parve sorpresa. «Gli Umani non avevano tanti libri, ne ho fatti portare qui un bel po’: le suore hanno una biblioteca dove fanno leggere i bambini della zona o chiunque sia interessato. Sono in iuropìan romanzo, se ne vuoi, prendine qualcuno. Loro ne hanno tanti, adesso.»
«Era strano vivere tra gli Umani?»
«No, non sapevo di essere quella che sono. È stato strano tutto il resto, a volte lo è ancora.»
«A me fa strano parlare con te.»
Shayl’n Til si limitò a osservare gli occhi castani, le ciglia lunghe, i capelli che arrivavano appena sotto le orecchie, i riflessi rossicci sotto il sole al tramonto, la pelle chiara tra le efelidi nonostante l’indiscutibile appartenenza alla Razza Umana. Si alzò, tenendo Maisha in braccio. «Vado a mettere la bambina a letto. Ci vediamo a cena.»
20
C’era uno strano cielo color sabbia, quando l’elicottero li lasciò nei prati della costa sud di Nuova Eyropa.
Tip e JJ avevano programmato di dormire durante il viaggio, tuttavia non erano riusciti a smettere di guardare la terra che scorreva sotto di loro. Tip respirò il profumo del mare a pieni polmoni e condusse JJ tra le dune di sabbia e i fiorellini verdi.
Oltrearono alcuni canneti e ridiscesero una collina di piccoli alberi bassi, fino a che il terreno si fece pianeggiante e la vegetazione di palme, alberi del paradiso e qualche eucalipto, si aprì su una minuscola valle verde.
JJ puntò il dito su una casetta circondata di piante rampicanti, seminascosta da due frangipani dai bianchi fiori carnosi. «È quella?»
A Tip non sfuggì la sua intonazione scettica. La sorò e si fece strada tra gli alti fili d’erba. «Sarà da sistemare un po’, ma ha un pozzo e ben tre stanze, tra cui un bagno.»
JJ bofonchiò qualcosa di incomprensibile, che lui badò a non chiarire. Quando furono a una decina di metri, lui deviò, lasciò le borse e si mise a cercare accanto a una palma caduta a terra, tra l’erba; ne riemerse mostrando sulle mani sporche di terra una scatoletta in latta.
«Eccola qui.» Aprì la scatola e tirò fuori delle chiavi. Sul portico, Tip si voltò verso la ragazza. «Che te ne pare?»
«L’hai scelta tu?»
«La scelse Tap. Ufficialmente la casa è sua; il terreno, invece, è mio. Tre anni dopo la sua morte, l’ho comprato tutto. E dietro quella collina, a… quindici minuti a cavallo, c’è Santa Maria. Non ho idea di quanti abitanti abbia, ma è il villaggio più grande della zona. Ha un porto e dal suo porto con una barca a motore si arriva all’Isola Madre in un’ora e mezzo circa.»
JJ fissò la collina, pensierosa.
«Sei certa di non voler tornare a casa tua?»
Lei scosse il capo. «Non me la sento di affrontare mia madre e i fratelli da sola, preferisco rimanere qui.»
Tip girò la chiave nella serratura e forzando la porta, che si era incastrata, la spalancò. «Va bene. Allora benvenuta a casa mia.»
A parte l’odore di chiuso e la polvere ovunque, l’interno appariva molto accogliente. Aprirono tutte le finestre e lasciarono arieggiare. Il muro era di un verde delicato, ma il pavimento era di uno bizzarro rosso scuro, screpolato su più punti, al piano terra, e intatto, al piano superiore.
JJ poggiò un apparecchio sul tavolo. «Il satellitare, lo mettiamo qui.»
Tip lo prese. «Questo funziona con il sole, non possiamo tenerlo qui.»
«Non puoi nemmeno tenerlo fuori tutto il tempo, cabròn.»
«Beh, poi vediamo. Io direi che possiamo riposarci un’oretta, poi andiamo a Santa Maria a compare un bel po’ di cose.»
«Cose tipo?»
«Tipo un paio di cavalli, un paio di sedie, dei vestiti, un materasso, saponi e magari un paio di galline.»
JJ inarcò un sopracciglio. «Un paio di galline?»
«Va bene, per ora una dozzina di uova può bastare.»
«Perché per te viene prima l’uovo della gallina…»
«Dipende dalla gallina.»
JJ alzò gli occhi al cielo, e lui la spinse fuori dalla stanza per farle vedere il resto della casa; quando il brevissimo giro fu finito, Tip ò una scopa mal ridotta togliendo la polvere dal pavimento, infine aprì le coperte che avevano con loro e si riposarono al piano di sopra.
Più tardi si lavarono con l’acqua del pozzo e raggiunsero Santa Maria. Nessuno dei due badò troppo al villaggio, perché non era molto diverso da quelli in cui loro avevano ato l’infanzia: era un insieme di palme di cocco giallo, reti da pesca, mercatini di ogni genere e ragazzini dalla pelle abbronzata.
Comprarono due cavalli, vecchi, dallo sguardo indifferente, uno con il mantello sauro, chiaro e l’altro grigio con il posteriore maculato. L’uomo che li vendette loro aveva insistito perché comprassero cavalli più belli e costosi, ma Tip non parve interessato.
A casa, quando li legarono agli alberi sul retro, JJ gli domandò perché avesse scelto proprio quelli.
Lui si strinse nelle spalle. «Non li avrebbe presi nessun altro e noi dobbiamo solo andarci a Santa Maria.»
«Ma moriranno presto», replicò lei, accarezzando il muso della bestia più chiara.
«Non credo. E poi per altri cavalli c’è tempo. Così potrai decidere quello che preferisci. Non vuoi un bel cavallo bianco con il principe blu?»
«Si dice il principe azzurro. Sai che le africane non conoscono il principe azzurro?»
Tip emise un basso ululato canzonatorio. «Beh, il principe blu fa più sangue blu, che senso ha il principe azzurro?»
«Non ne ho idea, forse perché nelle leggende è vestito di azzurro.»
«Beh, insomma, non lo vuoi questo principe dal sangue blu e il vestito azzurro e gli occhi indaco e la pelle cerulea e le unghie celesti?»
JJ si caricò in spalla parte della spesa e ridacchiò. «Temo di doverti deludere: il principe azzurro non esiste.»
Tip la seguì, entrando in casa. «E ti credo, sarà un marziano. Il cavallo bianco, però, esiste.»
«Sì, ma temo di deluderti ancora: desidero con tutto il cuore un cavallo nero da quando sono piccola. Uno stallone da poter montare a pelo.»
Tip posò i sacchi sul tavolo e le alzò il viso con una mano. «Mi avresti deluso, se avessi voluto qualcosa di diverso.»
JJ fremette all’intonazione bassa e l’espressione lasciva negli occhi di Tip. Non le importava essere ancora negli ultimi giorni di ciclo: si lasciò prendere sul pavimento rosso, tra le patate e le lenticchie appena comprate.
Travolto dall’eccitazione improvvisa, Tip non aveva neppure finito di spogliarsi; dopo si sciacquarono e sistemarono la casa con quel poco che avevano. Cenarono presto e l’indomani mattina tornarono a Santa Maria. Questa volta comprarono un carretto, sul quale caricarono un materasso e pali di legno con i quali Tip era intenzionato a fare una staccionata.
Nessuno dei due aveva desiderio di pensare al processo e alla sorte che sarebbe toccata presto a entrambi e a Sander. Tolsero le piante che si erano arrampicate fino al tetto, pulirono il prato attorno alla casa e, con l’aiuto di due ragazzetti del villaggio in cerca di lavoro, Tip iniziò a recintare tutto l’appezzamento di terra.
Fecero il bagno al mare schizzandosi come bambini e fecero il morto a galla, trascinati dalle onde pigre di un giorno con poco vento. Tornarono indietro a nuoto e, a piedi, sotto il sole che picchiava sulla pelle, raggiunsero una caletta a est; piccoli ciottoli lisci che si mischiavano alla sabbia, ai loro corpi intrecciati, sotto il pelo dell’acqua.
Comperarono due galline, che scapparono via.
La sera avevano i muscoli a pezzi, ma la mattina si alzavano presto, come avevano sempre fatto nella loro vita.
«Ho trovato Roberto», esordì Tip, tornando un pomeriggio da Santa Maria.
«Chi?» chiese JJ che era fuori a raccogliere i panni.
Tip scese da cavallo. «Roberto Blanco, non te lo ricordi? Ha l’età mia e di Sander, abitava sulla mia isola.»
JJ rizzò la schiena, con la bacinella in mano. «I Blanco; sì che me li ricordo. E che ci fa qui?»
«Si è sposato circa un anno fa, con Katia Pratesi, e sono venuti ad abitare qui. L’ultima volta che l’ho visto mi ha consegnato Shayl’n Til.»
Lei inarcò un sopracciglio.
«Ok, storia lunga, te la racconto lungo la strada. Stasera siamo invitati a casa loro.»
JJ aprì la bocca e la richiuse.
«Che c’è? Non ti mangeranno.»
«No, certo. È che, non lo so… non lo vedo da quando eravamo ragazzini e Katia l’avrò vista un paio di volte, nemmeno la ricordo. Poi loro penseranno che noi due… come gli spieghi la storia di Sander?»
«Già la sa.»
«Oh, beh, allora…»
Tip le diede un buffetto. «Non fare la solita asociale.»
«Non sono asociale.»
«Allora preparati e andiamo.»
Con malcelata riluttanza, lei ubbidì.
La famiglia Partesi possedeva un bel pezzo di terreno poco fuori da Santa Maria; benché fosse coltivato con diverse piante, il grosso del terreno era diviso a metà, una parte dedicata alle palme da dattero e l’altra alle viti di zibibbo. Anche le due case erano separate, solo un piccolo portico a unirle.
«Mio padre e i miei due fratelli più piccoli stanno sempre qui», stava dicendo Katia, occhi e capelli nerissimi, guance tonde e piene. «Mio fratello più grande spesso si allontana per vendere i nostri prodotti; da quando la guerra dei modificati è finita, le richieste vanno molto meglio.»
«Tuo fratello più grande ha l’età di Tip e Sander?» domandò JJ.
«Sì, e di Roberto; tra breve sarà il suo compleanno.»
JJ scosse il capo. «Mi spiace, non lo ricordo per niente.»
«Beh, sono venuti raramente a Taormina. Venivo io perché mio padre pensava che lasciarmi da mia nonna materna mi fe bene. Ero l’unica femmina qui. Lo sono anche ora», aggiunse con un mezzo sorriso. «Se decideremo di avere figli spero siano femmine.»
«Per ora non li volete?»
Katia si strinse nelle grosse spalle morbide. «Roberto li vorrebbe, ma io non mi sento pronta, insomma, un poppante, da crescere da sola, perché qui sono tutti maschioni al lavoro sui terreni. E comunque non ho questo amore profondo per i bambini.»
JJ annuì. «Ti capisco.»
«C’è la signora del forno, al centro, non so se l’avete già conosciuta, ecco, stalle lontana: ti chiederà ogni giorno come mai ancora non hai figli, lo dice a tutte le ragazze che hanno superato i venti anni e poi ha il coraggio di dire che non lo decidiamo noi, che alla fine i bambini ce li ritroviamo dentro il giardino di casa.»
«Una di quelle persone che dovrebbero ammazzarsi», commentò JJ.
Tip prese un dattero. «Secondo JJ, la metà della popolazione di Nuova Terra dovrebbe ammazzarsi.»
«Anche secondo Katia», intervenne Roberto.
«Allora scopa! Si sono trovate», sogghignò Tip.
Entrambi gli uomini risero. Katia scosse il capo. «Lasciali parlare, per gli uomini è tutto facile e di poco interesse, indipendentemente dagli idioti che ti snervano tutto il giorno.»
Katia era piuttosto bassa e in sovrappeso, e quando rideva le ballava il seno prorompente. Contro ogni sua aspettativa, JJ trovò gradevole la presenza di quella donna che apparteneva a una delle famiglie più ricche di Santa Maria. Per lo più però furono Roberto e Tip a raccontare qualche aneddoto dell’infanzia, qualche racconto più recente e della mezzosangue modificata.
Prima dei saluti, Katia indicò Tip e JJ con il mento. «State insieme, voi due?»
«No» rispose JJ e, benché si fosse aspettata quella domanda, non riuscì a non arrossire.
«Dicono tutti così», la canzonò Roberto ridendo.
Anche Katia sorrise, ma non infierì. «Beh, se il vostro non è un nido d’amore, se volete potete venire a stare da noi. Abbiamo diverse stanze su, anche una a testa, se vi fa sentire più liberi.»
Tip finì il vino dorato che era rimasto nel bicchiere e si alzò. «Ho intenzione di risistemare casa, fino a quando sarò qui, quindi grazie per l’offerta, ma devo declinare. Ovviamente JJ può fare ciò che preferisce.» Le lanciò un’occhiata di traverso.
«Beh, io… io», balbettò. «Io preferirei stare da Tip, perché se succede qualcosa a Sander, sarà lui che avvertiranno.»
Katia le fece un sorriso comprensivo. «Mi sembra giusto. Comunque, mi farà piacere se vorrai venire a stare da me per qualche giorno, c’è troppo testosterone in questa casa.»
Tornarono alla piccola valle nel buio della notte; le stelle tremolanti, la Via Lattea, i rumori della giungla mediterranea, tutte cose che sia Tip che JJ conoscevano benissimo. Camminarono con i cavalli lungo la battigia per poi deviare verso la casetta che Tap aveva scelto anni prima.
***
«Posso fare un orto?» domandò JJ la mattina dopo, cercando i sassolini tra le lenticchie.
«Se avessi idea di dove iniziare, lo farei», replicò Tip, posando un martello sulla cassettiera comprata il giorno prima.
«Io lo so fare, un orto», rispose JJ senza alzare lo sguardo dai legumi scuri. «Forse starò qui per breve tempo, ma per quel breve tempo avremo verdura gratuita e magari medicine. Potrei anche rivenderle a Santa Maria. E poi potrei piantare la ferula; al mercato la vende una ragazza - e la mia prima o poi finirà.»
«La tua ferula? Di cosa si tratta?»
JJ lo guardò di sottecchi. «Del mio contraccettivo. Non lo sapevi?»
«Non ho neppure idea di cosa sia. Non mi hai detto cosa usavi.» Prese il martello con il quale avrebbe messo nuovi chiodi alla staccionata.
Lei si strinse nelle spalle, alzandosi, e mise le lenticchie pulite in una bacinella di legno. «Non mi pare che tu me lo abbia chiesto. La prima volta che lo abbiamo fatto, sei semplicemente andato fuori di testa, quando ti ho detto che puoi venire dentro di me quando ti pare.»
Tip posò ancora il martello sulla cassettiera, osservando la ragazza che si protendeva sul tavolo per prendere un altro sacchetto di lenticchie. I piedi scalzi, le gambe abbronzate, nude sotto la maglia bianca, leggera, semitrasparente. Sapeva che, come aveva detto un tempo Tomas, sotto c’era un fondoschiena invidiabile. «Mi sembra un’ottima idea. L’orto, dico.»
JJ si fermò nell’udire la voce roca dietro le proprie spalle. Quando si voltò e trovò Tip a due i da lei, premette le cosce tra loro. «Ti stai dimenticando il martello.» Fece scorrere lo sguardo verso il basso. «O forse ce n’è un altro che non la smette di starsene buono.»
Tip le prese i fianchi e la sfregò contro il pene pulsante. «Non puoi dirmi quando ti pare e credere che il mio martello se ne stia buono…»
«Quando ti pare ti eccita?»
Lui le ò le mani sui glutei. «Sei tu che mi ecciti, pesciolina tutta intelligente.»
JJ gli poggiò le mani sui bicipiti. «I ragazzi ti aspettano al lavoro a breve», gli rammentò, tuttavia il suo timbro non dava l’idea di volerlo scoraggiare.
«Mi stai davvero dicendo che dovrei fermarmi?»
«Mi stai davvero chiedendo di fermarti?»
Tip abbassò il viso su quello di lei. «Sei insaziabile, rhu qalbi.»
«Io sono insaziabile?»
Lui la sollevò da terra, facendosi cingere dalle gambe di lei, che si aggrappò al suo collo con un broncio innocente. «Proprio tu, mocciosa.»
Salì le scale e la gettò sul letto. Le sfilò le mutandine in maniera brusca e si abbassò i pantaloni.
JJ allungò una mano, ma Tip le diede una leggera sberla sul dorso; rimanendo in ginocchio sul letto, le sollevò il bacino e la penetrò rubandole un grido a metà tra dolore e piacere. Si spinse dentro la fessura in attesa con colpi secchi, beandosi della vista del membro lubrificato e teso che affondava nelle carni aperte, gonfie e rosate, della vista di lei con la schiena inarcata, i pugni a stringere le lenzuola, la maglia che le risaliva il corpo, lasciandole scoperto il seno turgido.
Riempita della sua pienezza, JJ lo sentiva sprofondarle nelle viscere; il sangue caldo di piacere che le affluiva alla testa. Le natiche contratte strette dalle dita di Tip.
Quando qualcuno chiamò da fuori, mugolò di disappunto.
Al secondo richiamo, Tip la lasciò e JJ si accasciò sul letto, imprecando sotto voce. Tip si piegò a baciarle la pancia. «Dammi tre secondi, pesciolina», sussurrò, e senza rivestirsi si affacciò alla finestra.
«Tip, sei in ritardo. Ti stiamo aspettando dalla parte del salice.»
«Puoi aspettarmi altri cinque minuti e poi scendo.»
«Aspetto qui?»
«Dove vuoi», gridò Tip, tornando a letto.
JJ aggrottò la fronte. «Fallo andare via o ci sentirà.»
Lui tolse del tutto i pantaloni e la sovrastò; lei scosse il capo e chiuse le gambe.
«Tip, no, per favore.»
Con fermezza, lui le prese il viso tra le dita, serrando la presa. «Voglio scoparti. Ora.» La voltò su un fianco e incrociò il suo sguardo sul riflesso del lungo specchio che dovevano ancora appendere.
«Dico davvero. Non posso farcela così…»
Si sdraiò dietro di lei e le ò una mano davanti, per massaggiarle il clitoride duro e umido. «Non mi risulta», obiettò, alzandole una gamba ed entrando dentro di lei subito dopo.
Dallo specchio, JJ lo guardò scivolare nella propria traslucida intimità e si morse un labbro per evitare di gemere di puro piacere. «È Lucas, vero? Ha diciassette anni», gorgogliò con un tono che voleva essere querulo, ma era solo pieno di
libidine.
«E ne sa quanto te.»
Tip non accennò a fermarsi; le trovò di nuovo il nodulo gonfio tra le grandi labbra e lei ansimò. Le ò l’altro braccio sotto il collo e le mise la mano sulla bocca, attirandola contro di sé. «E ora dimmi che non puoi farcela», sussurrò nel suo orecchio.
JJ non lo disse, perché lui la riempiva del tutto, strofinandola internamente, le sue dita erano nei punti giusti, i suoi occhi fissi sul vetro non avevano nessuna intenzione di sganciarsi dai propri e lei si sentiva inerme a quella presa serrata e sensuale. Non lo disse, perché era già al punto di non ritorno e stava solo resistendo.
In meno di cinque minuti, esplose due volte, a lungo, fino a quando lui la colmò e la lasciò a fremere sulle lenzuola, dopo un rapido bacio sulla sua guancia accaldata, al quale lei rispose con un tenero sorriso.
21
Insieme vangarono un angolo del terreno laterale. JJ gli mostrò i semi e le piante che aveva comprato al mercato, gli insegnò a distinguerle e gli disse che cosa curavano. Tip canticchiava, quando seminavano, e stava in silenzio ad ascoltarla quando lei gli spiegava qualcosa di nuovo.
JJ tolse il mandolino del fratello dalla sua sacca bordeaux e Tip fu sorpreso di scoprire che lo sapesse suonare anche lei.
«Giusto qualcosa», si giustificò lei, un imbarazzo che Tip si aspettava ancor meno. «Ho avuto il primo mestruo a undici anni, è stato piuttosto tragico: non sapevo di cosa si trattasse perché nessuno me ne aveva mai parlato. Ho detto a Tomas che stavo per morire; lui prese una barca di un nostro cugino e mi portò a largo. Pescò in silenzio e quando fu soddisfatto mi disse: ‘visto che sei ancora viva, ti suono qualcosa’.»
JJ sorrise a quel ricordo che le sembrava appartenere a un’altra vita e che graffiava il cuore.
«Ma non suonavo spesso, lo faceva lui; quando eravamo con Sander, che suona il marranzano, riuscivano a tirar fuori qualcosa di interessante; erano piuttosto bravi.»
Questo, Tip lo sapeva.
Con i due ragazzini e gli amici di Roberto, ultimarono la recisione e alzarono una piccola stalla. JJ e Katia li aiutarono, ma finirono per prenderli in giro tutto il tempo e ridere a crepapelle.
Il Chiaro e Il Grigio, così ormai chiamavano i loro cavalli, furono liberi di scorrazzare nel terreno e le loro selle e il carretto ebbero un posto fisso sotto il tetto di legno. Il pozzo non aveva acqua potabile, né era potabile l’acqua del ruscello che scorreva al lato della piccola valle. Sicché ogni sera accompagnavano i loro amici sulla strada per Santa Maria e si fermavano a caricare grosse bocce alla fontana sull’incrocio; giocavano a schizzarsi l’acqua come ragazzini, e poi tornavano a casa a cambiarsi, fare la doccia e preparare la cena.
Si insegnarono a vicenda qualche ricetta imparata in terra africana, ma scoprirono che la unica vera ione di entrambi era la pasta.
«A Tomas piacerebbe questo posto», osservò una sera JJ, ando a Tip i piatti da lavare. «E lui adora la pasta», aggiunse pulendo la pentola con un pezzetto di pane bianco.
Tip non la corresse, perché lui aveva impiegato più di due anni prima di parlare del fratello al ato. «Sander una volta preparò della pasta a dei ragazzi delle Tribù del Sud: gli dissi che aveva fatto un piatto schifoso, era troppo cotto e sembrava una pappa per bambini. Beh, loro l’hanno adorata.»
Dopo aver sgomberato il tavolo, JJ ci posò sopra un cocco e un casco di banane. «Quando eravamo piccoli, Sander stava per far fuori Estella: fece cadere a terra l’acqua bollente e lei era lì a pochi i.»
«Me lo ricordo, perché i tuoi lo hanno tenuto in punizione per un mese.»
JJ annuì. «Estella glielo rinfacciava sempre e regolarmente lui se la prendeva a male. Non sai quanto la ha detestata.»
«Non riesco a vedercelo: Sander è uno molto razionale.»
«Solo perché è il tuo migliore amico.»
Tip le lanciò un’occhiata di traverso e scosse il capo, sedendosi accanto a lei e allungando la destra sul tavolo. Lei la prese e la osservò.
«Te lo avevo detto, che avevi un’altra scheggia.»
Lui mimò una faccia sconsolata. «Potresti togliere anche questa?»
JJ si leccò le labbra cercando di rimanere seria e si concentrò sulle dita lunghe e sottili di Tip. «Posso are tutte le sere a toglierti schegge?»
«Per favore, sarò un bambino buono…»
«Potevo togliertela prima, ma tu no. “Non ce l’ho, non ce l’ho”», gli fece il verso JJ muovendo i polpastrelli sul palmo di lui. «Te la tolgo, ma non voglio più sentirti», concluse fingendo una voce da rimprovero.
A entrambi sembrava di stare lì da una vita, eppure erano ati solo sedici giorni da quando avevano lasciato Roma; e fu allora che il satellitare che Shayl’n Til aveva regalato loro suonò.
Era Marcus Perera, il loro avvocato.
«Parlo con il Signor Esposito? »
«Sì, sono io.»
«Buongiorno, la sto chiamando da Nuova Sousse; due pomeriggi fa ho avuto un lungo incontro con il Signor Alessandro Jannacci, e questa mattina sono riuscito a ottenere un dialogo con i legali delle famiglie interessate. Le confesso che la situazione non è delle più rosee, tuttavia credo potremo uscirne nel migliore dei modi, perché le famiglie sono… propense a farsi comprare per una grossa somma di denaro. Mi sono permesso di parlare prima con sua altezza reale, la quale mi ha comunicato che il denaro richiesto lo avrebbe fornito la corona. In questo caso, non ci sarà bisogno di venire qui.» Soffiando sul sibilo della comunicazione, rimase in attesa di una risposta.
«Devo pensarci», farfugliò Tip.
Il satellitare restò silenzioso, a parte un flebile fischio.
«Ho modo di scagionare Alessandro? Vorrei che fosse libero di girare in terra africana in seguito, se ne avrà voglia.»
Marcus Perera si schiarì la gola. «Sì, come avevamo già detto, può presentarsi qui e dichiararsi colpevole. Temo che, in ogni caso, l’unica via di uscita sia il denaro: i legali sanno perfettamente quale è stato il suo ruolo, e le famiglie non vogliono mettersi apertamente contro di lei, tanto più che nessuno l’ha vista, quel giorno, mentre hanno sorpreso in flagranza di reato Alessandro e Jennie Jannacci.»
«Quanto tempo ho per pensarci?»
«Quindici giorni, a partire da oggi. Ma se vuole dichiararsi colpevole, le consiglio di raggiungermi a Nuova Sousse almeno tre giorni prima.»
Tip sospirò. «Va bene. Le faccio sapere a breve. Se ha modo di sentire Shayl’n Til, le dica che ho intenzione di pagare io la somma richiesta.»
Quando spiegò la telefonata a JJ, lei fece una smorfia. «Hai davvero intenzione di andare?»
«Sì. Lo sai, ne abbiamo parlato anche a Roma.»
JJ si morse un labbro alcuni istanti. «E i soldi? La tua amica modificata ha detto che va bene? Credi che tutto questo si risolverà con il denaro?»
«Questo non lo so. È ciò che ha detto l’avvocato.»
«Se dovessi scegliere tu, cosa faresti?»
Tip ci pensò sedendosi sul bordo del letto, dandole le spalle. «Quando mio padre e mio fratello furono uccisi, mi dissi che, se fossimo stati ricchi, tutto quello non sarebbe successo. Ho cercato di mettere da parte più soldi possibili per la mia famiglia e per me stesso, ho fatto qualsiasi lavoro mi fosse offerto, ho sempre accettato il denaro di buon grado e l’ho chiesto sempre, a meno che dall’altra parte non se lo potessero permettere. Non ero così avido e forse è per questo che mi sono fatto molti amici, o per lo meno gente pronta ad aiutarmi.
Di fatto, il denaro non ha portato indietro né papà né Andrea. Però conosco il suo potere. Le famiglie coinvolte potrebbero prendere il denaro e non lasciare in pace Sander, ma se si dovesse trattare di me, se è vero che non vogliono problemi con quello che rappresento, o che rappresentava mio padre per loro, forse prenderanno i soldi e ci lasceranno in pace.»
JJ si avvicino a lui. «È un ricatto.»
«È più esatto dire che stiamo comprando il loro silenzio.»
«Ed è questo che vuoi dalla giustizia?»
Tip voltò il viso per guardarla. «Non lo so. Davvero non lo so più. Quello che vorrei è riportare in vita Andrea e Tomas perché avevano mille cose da portare a termine e sogni da realizzare, e per questo non posso fare nulla.»
JJ trattenne un respiro: il luccichio nello sguardo di Tip le strinse il cuore; dopo quasi la metà dei suoi anni, quell’uomo spensierato, divertente, che non si era mai dato per vinto, soffriva ancora per la perdita del fratello. Deglutì, condividendo il dolore dipinto negli occhi di Tip. «Ma puoi fare qualcosa per Sander e per te stesso; è questo che vuoi dire, vero?»
«Sbaglio?» sussurrò.
JJ si alzò, osservò il blu trapuntato di stelle che brillava sopra la valle scura e silenziosa. Infine si voltò verso Tip e gli accarezzò i capelli con una mano. «So che hai da ridire su certi miei comportamenti, ma non sarò io a criticare le tue scelte, anche se dovessero contraddire ciò che hai detto a me. O confermarlo.»
Tip l’attrasse tra le proprie gambe e posò il viso sul grembo di lei. Non senza sorpresa, JJ si lasciò trascinare in quella stretta casta, quasi infantile, tra le braccia dalla muscolatura delineata che sembravano chiederle di sorreggere tutto un corpo su un precipizio.
***
Tip decise di partire e avvisò l’avvocato già il giorno seguente; giorno in cui né lui né JJ parlarono di quella questione. Bruciarono tutte le erbacce che avevano
tagliato in quei giorni e unirono lunghi tubi che dal pozzo raggiungevano il loro orto.
Il giorno seguente montarono lo specchio nella camera e finirono la vernice prima che il cancello dei cavalli fosse completato. Pulirono il pesce che aveva portato Roberto; un pesce freschissimo che gli amici pescatori gli avevano venduto a buon mercato.
Il giorno dopo ancora, Tip attaccò il loro carretto a Il Grigio e tornò insieme a un ragazzo che possedeva un camioncino e scaricò da loro materiale edile. Sul carretto, Tip aveva messo mandorli, aranci e due banani, tutti da piantare.
JJ osservò i suoi mille movimenti dal portico e quando lui le chiese aiuto, lei glielo fornì in silenzio.
In casa mangiarono riso e lenticchie, e Tip raccontò che Santa Maria gli aveva dato l’ok, per far arrivare la corrente in casa loro.
«Chiedere impianti solari è praticamente impossibile. Pare che Roma stia contrattando con gli Stati Membri dell’Oceania, ma i tempi sono lunghissimi. Tra una quindicina di giorni potrebbero fare gli allacci; visto che non ci sarò, ho lasciato l’incarico a Roberto di seguire le operazioni.»
Pulirono la cucina e spazzarono a terra. Quando fu tutto sistemato, Tip propose di riposarsi un po’.
JJ gli chiese cosa dovesse fare con il materiale edile.
«Voglio costruire una vera stalla», replicò Tip, con semplicità. «Quando tornerò vorrei occuparmi di cavalli, perché nelle vicinanze nessuno lo fa e il maniscalco più vicino dista da qui due giorni. E vorrei ingrandire casa. Ho già preso l’impegno con alcuni uomini. Non ci saranno tutti i cavalli del mondo, ma avrai un bel vedere, mocciosa.»
JJ si voltò e inspirò per dosare le parole. «Hai denaro per comprare tutto questo?»
Tip fece un sorriso sincero. «E molto di più. Tesoro mio, ho denaro a sufficienza per vivere di rendita, credo.»
JJ accigliò la fronte. «Io no.»
«Ma Sander sì.»
«Scusa?»
Tip si mise a sedere sul tavolo. «Vieni qui. »
JJ non si mosse e Tip sospirò.
«Hai idea degli anni di contrabbando che abbiamo fatto io e tuo fratello?»
«Vagamente.»
«Buona parte di quei soldi andavano alla tua famiglia, un’altra parte veniva accumulata per te e Tomas; il resto la usava per vivere, ma sai che non è mai stato di molte pretese.»
JJ deglutì. «E non poteva darceli prima?»
«In Africa non è così facile fare transazioni di denaro, denaro fisico: quando poteva, li lasciava al sicuro a Nuova Sousse; una parte di quelli è morta insieme a Tomas, perché li aveva fatti prendere a tuo fratello, per pagare i militari che lo accusavano e per comprare un biglietto per casa a voi due. Erano tanti, ma Tomas si è fatto arrestare e i soldi sono spariti. Me ne ha fatti prendere degli altri quando è uscita fuori la storia con Il Topo.»
«E tu dove li tieni, i tuoi?»
«Un po’ ovunque: li avevo a Nuova Sousse anche io, ma buona parte li tengo a l’Isola Madre, un altro po’ è qui. Altra ancora la tenevo a Mizke e un decimo di tutto quello che ho al momento è a Tampàr. Sander ne ha altrettanti. Come pensi che sia campata tua madre, dopo la morte di tuo padre? Sarina e Tonio avranno adesso… quanto, quindici, sedici anni? Come poteva crescerli tua madre da sola?»
«Non ne ho idea. Pensavo aiutando mia zia…»
«JJ, tua madre faceva bene a essere preoccupata per Sander, per la sua vita, per la sua incolumità, perché lui ha sempre rischiato grosso, ma è uno che tutto ciò che ne traeva lo dava a lei o a voi. Quando non faceva quello che faceva, ha sempre cercato di percorrere la vostra stessa strada; certo, non faceva che lamentarsi di voi, ma quando non era con voi era sempre arrabbiato, scontento e preoccupato. I veri scapestrati della famiglia siete tu e Tomas.»
JJ aprì la bocca e la richiuse, stringendo i pugni.
«Aveva preso un pezzo di terreno e una casa per voi a Tampàr, ma non voleva che tu ci andassi adesso.»
«Perché non ce lo ha detto?»
Tip si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea, credo volesse portarvi a casa, a Taormina. So che voleva farlo già prima della ribellione, ma poi si è fermato tutto, lo sai anche tu. Ci siamo persi di vista anche noi.»
JJ fece un o indietro. «A Nuova Sousse sei riuscito a riprendere tutto il tuo denaro. Molto denaro.»
«A parte quello di Tampàr e quello di Taormina.»
Lei nemmeno lo ascoltò. «Hai detto che non potevi permetterti di pagare una nave…»
Tip gonfiò le guance a palloncino e scese dal tavolo, avvicinandosi a lei. «Potevo permettermelo, JJ, ma servivano i nostri documenti.»
«E io sono ricercata.»
Incerto su cosa replicare, Tip rimase in silenzio.
«Perché non me lo hai detto e basta?»
«Non lo so. Eri in uno stato… eri traumatizzata dalla morte di Tomas e da quello che era successo con Il Topo. Non volevo caricarti anche di questo.»
JJ scosse il capo con una smorfia e un flebile sbuffo. «Continui… continui a trattarmi come una ragazzina. Sono grande abbastanza per sapere cosa fai per me. Se devo usufruire del tuo denaro, almeno voglio sapere il motivo: ho il diritto di saperlo, Tip. E vale anche per Sander: non volevo i suoi soldi, non li voglio neppure ora, ma io e Tomas avevamo il diritto di saperlo.»
«Lo sapevi, JJ. Vi siete ritrovati con i suoi soldi una marea di volte, ha cercato di farvi stare fissi da qualche parte, ha cercato di farvi lavorare e farvi guadagnare da soli, ma non siete stati in grado di fare nulla.»
«Ho ventitré anni e mezzo, Tomas ne aveva venticinque...»
«E Sander non vi ritiene abbastanza responsabili.» Tip fece un o in avanti accorciando ancora la distanza tra loro.
JJ emise un suono incredulo. «Lo pensi anche tu?»
Tip si limitò a guardarla.
Lei lo spintonò. «'Fanculo, venire a letto con me però ti piace. Sono abbastanza responsabile per questo!»
«Jennie», disse afferrandola per un polso.
«Per te è tutta solo una questione di sesso?»
«Sei tu che riduci tutto solo a una questione di sesso.»
Cercò di liberarsi, invano. «Non sono una stupida.»
«Non l’ho mai pensato.»
«Allora cosa?»
La strinse a sé e la immobilizzò. «JJ, io credo che Sander avrebbe dovuto rispedirvi a casa, a tutti e due, già da tempo. Lui ha sempre cercato di aiutarvi come poteva, ma era vostro fratello, e non era in grado di farvi da genitore.»
«Non doveva farci da genitore.»
«No, infatti, ma vi ha perso per strada, in tutti i sensi. Non sei una stupida, non lo sei affatto, ma guardati attorno, ripercorri la tua vita, le tue scelte, quelle di Tomas. Cosa avete costruito? Cosa volevi costruire?»
«Io… non lo so.»
«Smettila di essere così… così…»
JJ si liberò con uno strattone. «Così cosa?» sibilò.
«Di essere infantile, egocentrica e sopra le righe. Sembra sempre che tu ce l’abbia con tutto e tutti, che non ti importi niente di niente e di nessuno, che non devi fare nulla tranne scappare da te stessa.»
Con il viso contratto accennò a un broncio rabbioso. «Hai altro da aggiungere?» Il tentativo di rimanere algida fallì miseramente.
Tip prese aria. «Sì, penso che dovresti piantarla di scappare da qualcosa che non sai neppure tu cosa sia. Ma, in fondo, a te non frega niente di questo, non ti frega niente di quello che pensa Sander, non ti frega niente di quello che penso io.»
Fissando il suo petto, lei lo colpì con entrambe le mani, così all’improvviso che lui boccheggiò. «Vaffanculo, Tip! Mi frega di quello che pensi, cazzo! Mi frega così tanto che ne ho paura. Mi frega così tanto che con tre parole hai appena fatto a pezzi quel briciolo di autostima che avevo.» Fece per colpirlo ancora, tuttavia questa volta lui la bloccò. «Evidentemente non sono l’unica a essere egocentrica, qui. Ma a te, a te che cosa frega degli altri?»
«Lo pensi davvero?» Benché fosse un sussurro, mantenne la voce ferma.
Con i polsi serrati tra le sue mani, JJ distolse lo sguardo; la mandibola tremante per lo sforzo di non sentirsi umiliata e vulnerabile. «Io non… No.»
C’era dolore sul suo viso, un dolore fatto di frustrazione e insicurezza. «Non volevo ferirti.»
«Lo hai fatto, però.»
«Non so se riesco a spiegarmi, se puoi capirmi…»
«Ti capisco», lo interruppe incrociando il suo sguardo. «È stata una pessima idea quella di venire a letto con te e la cosa bella è che lo sapevo e nonostante tutto lo
volevo più di ogni altra cosa. Mi dispiace se questo ha cambiato le cose.»
Tip la lasciò.
«Torno a casa. Come voleva Sander, in fondo è lui il fratellone saggio.»
«Quello che voglio io non importa?»
«Lo hai espresso molto bene, Tip. E sia chiaro che non ce l’ho con te; tu… io ti ringrazio per tutto quello che è successo in questi mesi: per i miei fratelli, per me, per avermi fatto riscoprire il sesso, per… per tutto. Sì, per tutto il tempo, dopotutto, ti devo la vita.»
«Anche io, se è per questo.»
Lei fece un sorrisetto mesto, abbassando il mento. «Sì, la devi a un po’ di persone, persone con cui non vai a letto.»
Tip le prese i fianchi e l’attrasse a sé con dolcezza. «Resta.»
Contro la propria volontà, JJ posò le mani all’altezza delle sue clavicole e si lasciò trasportare dal formicolante senso di sicurezza di quell’uomo, che le accendeva tutti i sensi, anche quando non doveva, anche ora.
Scosse il capo, piano, con la mente confusa, il corpo languido, le viscere contratte. Il suo corpo lo voleva, lo voleva sempre. Di nuovo, lo respinse usando entrambe le mani.
«Vado da Katia.»
«JJ…»
«Ho bisogno di darci un taglio, Tip. Almeno finché questa situazione non sarà finita. Forse, quando Sander sarà tornato a casa, le cose cambieranno e potrò tornare a Taormina con lui. E se devo spendere i soldi di qualcuno, vorrei che fossero i suoi, non i tuoi.»
«Ho i suoi soldi, se vuoi tornare a casa.»
Nonostante fosse stato un mormorio sommesso, a JJ arrivò come un pugno in pieno petto. Si voltò, perché era conscia delle lacrime che le stavano salendo agli occhi: quelle non erano le parole che voleva sentire. Prese la propria borsa e imboccò le scale. «Vado a prendere i miei vestiti e vado da Katia.»
Amareggiato da quella decisione, dal quel cambiamento così repentino, Tip non la fermò: a braccia conserte, la guardò montare sul cavallo chiaro e allontanarsi verso Santa Maria.
22
Era tutto pronto per la partenza.
Il borsone ai piedi del letto, la kefiah nera con la quale sarebbe sbarcato, la casa aggiustata, l’orto innaffiato. Aveva depositato i soldi alla banca di Santa Maria e altri li aveva con sé per il viaggio. Aveva pagato in anticipo i due ragazzini perché si occuero delle piante e dei cavalli e aveva chiesto a Roberto di venire a controllare ogni tanto.
Tip prese il satellitare e uscì sul portico.
Aveva cenato con la carne che gli avevano regalato e che sarebbe andata a male se non l’avesse consumata, e ora si sentiva pieno; decise di fare due i sulla riva.
Uno spicchio di luna riluceva sulle piccole onde che si perdevano in lontananza. I Pratesi stavano dando una festa per il compleanno del fratello maggiore di Katia; Roberto aveva invitato anche Tip, tuttavia lui era riuscito a declinare l’invito con la scusa della partenza imminente.
Solo Roberto sapeva che era stata rimandata di un giorno, ma non aveva insistito perché la partenza era all’alba.
Tip era tutto concentrato sul processo, sui soldi, sulla sistemazione della casa.
Aveva preparato una lettera per Elena, che avrebbe spedito appena sbarcato a Nuova Sousse. Non aveva molto tempo da perdere.
Per questo si stupì quando i suoi piedi lo portarono al cancello dei Pratesi.
L’ora di cena era ata già da un bel po’, ma i suoni della festa e le luci della casa erano nitide oltre gli alberi che nascondevano parte dell’appezzamento.
Benché ignorasse il motivo per il quale era lì, si disse che poteva salutare i suoi amici e fare gli auguri al fratello di Katia.
Fu lei la prima a vederlo. Era in giardino a parlare con alcune ragazze. «Tip Esposito», esclamò con un sorriso raggiante forse intensificato dall’alcool. «Alla fine sei venuto.»
Tip le baciò una guancia e salutò le ragazze. «Sono venuto a salutarvi e volevo fare gli auguri a tuo fratello. Vorrei lasciare il satellitare a JJ», aggiunse dopo una breve pausa.
Katia inarcò un sopracciglio, chiaramente divertita dalla faccenda. Con il mento indicò il complesso alle prese con gli strumenti musicali che stava a metà tra la sala e la veranda. «Sono lì. E se vai dentro trovi anche qualcosa da bere, non penso che abbiano già finito tutto il vino. Quanto a JJ, non so con chi sia: la devi cercare.»
Tip si limitò ad annuire.
«E fai buon viaggio», gli gridò dietro.
Due bambini che correvano finirono sulle gambe di Tip e ridacchiarono mormorando delle scuse, per poi scappare via. Roberto lo vide e gli regalò un sorriso amichevole, raggiungendolo.
Tip gli diede una pacca sulla spalla.
«Tutto pronto? Problemi?» alzò la voce, per sovrastare la musica.
«Nessuno. Vorrei fare gli auguri a tuo cognato e lasciare il satellitare a JJ. Me ne vado presto, altrimenti domani non mi alzo.»
Roberto lo tirò per la manica. «Prima fatti un goccio con me.» Prese un bicchiere e lo riempì di zibibbo. «Fatto con le mie mani. Beh, le nostre.»
«Ti calza questa nuova dimensione», commentò Tip, prendendo il bicchiere.
Roberto lo guardò di sottecchi. «Quando finirà questa storia della mezzosangue, di Sander e compagnia bella, cambierà anche la tua. Alle nostre nuove dimensioni.»
I bicchieri tintinnarono e loro bevvero tutto in un sorso.
«Al cognato, se è ancora sobrio, puoi fare gli auguri lì» indicò alcuni ragazzi che saltellavano seguendo la musica come matti. «E JJ la trovi…» si guardò intorno, ma non la vide. «Non lo so.»
«La cerco. Grazie, ci sentiamo per telefono.»
Fare gli auguri al fratello di Katia fu più complicato del previsto: era sbronzo e inafferrabile tra i suoi amici, e quando alla fine riuscì a parlare, Tip non fu certo che lui avesse compreso. Lo lasciò e si riempì di nuovo il bicchiere di dorato zibibbo.
Il centro della sala, tra i tavoli non del tutto sparecchiati, era gremito di ballerini di ogni età. Tip notò il signor Pratesi e pensò di andarlo a salutare, quando con la coda dell’occhio vide il sorriso delicato sotto le efelidi di JJ.
Due ragazzi stavano parlando con lei e si abbassavano sul suo collo per farsi sentire e coprire il suono della musica. Tip provò una fitta al petto del tutto sconosciuta.
JJ portava una gonna leggera, chiara, che le arrivava alle ginocchia. Probabilmente era l’unica in tutta la festa, o forse in tutta Santa Maria, ad avere un paio di stivali ai piedi. Indossava una camicia a mezze maniche di una taglia più grande e piccoli orecchini - che Tip non le aveva mai visto - su tutti e cinque i buchi delle orecchie; sul polso un braccialetto che aveva notato anche sul polso di Katia.
Con una mano stringeva un bicchiere vuoto e con l’altra si torturava il tatuaggio dell’ippocampo. Le apparve più minuta e fragile di quanto ricordasse.
Uno dei due ragazzi, carnagione olivastra, capelli neri, lunghi, naso sottile come il corpo, le ò una sigaretta, che lei aspirò - con una battuta che li fece ridere e poi riconsegnò. Immobile, Tip non mosse neppure un muscolo, eppure si sentì le interiora in movimento e finì per darsi dello sciocco. Forse aveva mangiato troppa carne e troppo di corsa.
Il ragazzo della sigaretta le versò del vino. Nel finirlo, gli occhi vivaci di JJ incontrarono quelli di Tip, che si rese conto di essere fermo a fissarla.
Le fece un segno di saluto impersonale. Lei aprì la bocca e la richiuse, cambiando espressione; disse qualcosa ai due ragazzi, posò il bicchiere e lo raggiunse.
«Tip.» Poco più che un mormorio, il cuore che aveva deciso da solo di martellarle in gola.
«Alzabandiera», replicò lui sollevando il bicchiere.
Lei corrucciò la fronte. «Non dovevi andare da Sander?»
Tip annuì. «Parto domani mattina, con la Rosita.»
«La nave che è al porto.»
«L’hai vista?»
«Ieri pomeriggio. Come sapevi che sarebbe arrivata?»
«Un paio di giorni fa ho chiesto a un ragazzo di portarmi all’Isola Madre perché dovevo andare a Nuova Sousse, e lui mi ha detto che sarebbe ata qui la Rosita, se non avevo fretta. Volevo partire prima, ma in realtà potevo aspettare, e così ho fatto.»
JJ abbassò lo sguardo sulle proprie mani. «Roberto non mi ha detto nulla. Non pensavo che potessi venire alla festa.»
«Non sono venuto alla festa, mocciosa. Volevo dirti dove avevo lasciato i soldi di Sander: ho pensato che forse ti saresti scocciata di stare qui. E ti ho portato il satellitare; a me non serve, mentre a te… beh, così, per qualsiasi cosa.»
«Sì, grazie», replicò senza guardarlo. «Lo metto al sole, così sarà sempre pronto.»
Tip le accarezzò una guancia, un gesto improvviso e dolce, tanto intimo da fare male a entrambi. Si allontanarono l’un l’altra.
«Come stai?»
«Bene.»
Ma lui lo sapeva che replicare bene non significava nulla, che bene non è mai bene e basta, che bene è il risultato di un momento e, ancora più spesso, la menzogna di una vita.
«Mi piace questa gonna che porti»
JJ si strinse nelle spalle. «È una vecchia gonna di Katia, che a lei non sta più. Me l’ha regalata dicendo che l’avrebbe buttata.»
Tip scrutò i suoi occhi castani, spostando lo sguardo da destra a sinistra e viceversa, come in cerca di qualcosa che non riusciva a comprendere neppure lui. «Chi è il ragazzo che ti ha offerto da bere?» chiese infine.
JJ aprì la bocca per rispondere, ma le parole vennero meno; è strano come una domanda tanto innocua possa farti stringere le viscere se a pronunciarla è la persona alla quale stai pensando da giorni. Scosse il capo come a voler scacciare un’idea sciocca. «Non lo so, credo sia un amico di uno dei fratelli di Katia.»
«Ho visto che sei in buona compagnia: c’è molta gente. Domani parto e posso stare tranquillo che non sarai da sola.»
JJ esitò nel vano tentativo di dare un senso a quelle parole. «Non lo siamo sempre?»
«Che cosa?»
«Soli. Ci intrecciamo mille volte a tante persone, accogliamo sorrisi e parole, forse di più, però alla fine siamo sempre soli.»
Tip emise un sospiro leggero. Sì, lo sapeva. Guardò le persone che danzavano nello spazio dietro di loro. «Balli con me?»
«Cosa?»
«Hai ballato con qualcuno?» gli sfuggì.
JJ aprì la bocca, fissandolo. «Che diamine stai tentando di dirmi?»
Tip lasciò il proprio bicchiere su un tavolo. «So che con Tomas ballavi… Ti scoccerebbe tanto ballare con me?»
«Io… io e Tomas scherzavamo, per lo più.»
«E puoi farlo anche con me, prima che parta?»
Se anche avesse voluto dirgli di no, il suo corpo si protese verso quello di lui, che l’afferrò, spingendola tra le altre coppie intente a vorticare nello spazio tra i tavoli, non tutte seguendo il ritmo.
In un primo momento non ebbero parole, solo la musica che li avvolgeva, gli sguardi che si studiavano a vicenda.
«Ti ricordi ancora come si balla il tiptap? Lo fai mai?»
«No.»
JJ non sapeva a quale delle due domande avesse risposto, tuttavia non aggiunse altro. Lo osservò guardare oltre le sue spalle: qualcosa o qualcuno che gli disegnò un cipiglio involontario.
«JJ», disse con voce calma. «Ci saranno ragazzi che ci proveranno con te, qui. Pensi di accontentarli?»
«Prego?» Allentò la presa, ma lui la tenne stretta.
Tip incrociò lo suo sguardo di sardonice con deliberata insistenza, consapevole che ormai non sarebbe potuto tornare indietro.
Lei socchiuse appena le palpebre. «Non me lo stai chiedendo davvero.»
«Ho bisogno di saperlo.»
JJ percepì una devastante rabbia crescerle nel petto, mista a desiderio e frustrazione. «Non sono affari tuoi», replicò con un sorriso tirato.
Tip rimase imibile e lei riuscì a fare altrettanto; se uno dei due voleva esplodere con una scenata, non lo davano a vedere. Solo loro due sapevano che tra i loro corpi c’era una tensione quasi palpabile.
Quando la musica cambiò, Tip la lasciò come se si fosse scottato. «Ti faccio chiamare da Sander appena ne avrà modo», disse tornando ai tavoli. «Ora me ne vado, domani mattina salpiamo presto.»
JJ lo seguì; scottatura o meno, lei si sentiva inesorabilmente fredda, ora. «Sei con Il Grigio?»
«No. Sono venuto a piedi» quasi per caso, ma non lo disse.
JJ lanciò un’occhiata agli invitati che chiacchieravano e continuavano a ballare. «Ti accompagno fuori.»
Tip si limitò a fare un segno di saluto a Roberto, che gli sorrideva bonario dall’altra parte della sala.
L’aria all’esterno era umida, non c’era un filo di vento, le fiaccole alzavano fumo nel cielo sereno. Un gruppo di ragazzi prendeva in giro i ragazzini più piccoli, e i bambini giocavano a nascondino.
Percorsero il vialetto che separava il terreno dei datteri da quello dello zibibbo e che conduceva alla strada asfaltata, percorso da siepi di alloro e spini-di-Cristo; camminarono piano, immersi nei pensieri capricciosi. La musica sembrava inseguirli anche lì.
Il buio li avvolse, aiutato dalle fronde degli alberi del paradiso che si trovavano verso il cancello; poi Tip si fermò, trattenendola per un gomito. «Perché sei andata via, se non dovevi tornare da tua madre?»
JJ boccheggiò per l’intensità della sua voce. «Perché sarei dovuta rimanere?»
Tip aggrottò la fronte. Il viso di JJ era contratto, la pelle abbronzata sotto le efelidi che appena si intravedevano nella notte; sapeva quanto fosse liscia e morbida lì, sugli zigomi, attorno alle labbra, sulla linea della mandibola, la curva del collo. «Per me», sussurrò.
JJ abbassò lo sguardo sulla mano che le teneva il braccio, percorsa da un brivido irrazionale. «Perché non mi hai trattenuta? Non mi hai detto di restare?»
«L’ho fatto.»
JJ si liberò della sua presa. Il suo sguardo bastava a bloccarla lì dov’era, contro
la propria volontà. «Non lo hai fatto, quando ti ho detto che sarei venuta da Katia e Roberto. Perché?»
Tip scosse il capo. «Non lo so.»
«Tu non sai mai niente! Non sai niente di quello che mi a per la mente, di quello che fai, di quello che vuoi davvero, non sai neppure perché sei qui. Non è così che…»
«JJ», la interruppe afferrandole le spalle, con veemenza.
Lei provò a spostarsi, ma lui le prese il viso con entrambe le mani e la baciò; JJ poggiò i palmi su di lui, nel vano tentativo di allontanarlo da sé: premette a caso sul suo corpo, senza riuscire a smuoverlo, mentre fremeva, si incendiava e soprattutto ricambiava quel bacio dai contorni dolorosi, dal sapore denso del vino dolce dipinto sulle loro lingue.
Comprese di essersi arresa solo quando le sue dita scivolarono tra i capelli folti di Tip; le loro bocche che si riconoscevano, si penetravano in un grido silenzioso.
Fu lui a staccarsi, con il respiro corto. Cercò uno sguardo confuso e arrabbiato e ne trovò uno carico di dolce desiderio.
Gli scaldò il cuore in un corpo già bollente.
Con delicata fermezza, fece forza sui fianchi di lei e la spinse oltre le siepi, fino a premerla contro uno degli alberi prima dei filari di viti. JJ lo attrasse a sé e posò le labbra sul suo collo, leccò la pelle gustandone il sapore dolceamaro di mandorla.
A occhi chiusi, Tip le sollevò la gonna, ando le dita sulla linea esterna della coscia, sul bordo inferiore delle mutandine; la baciò quando lei protese il bacino e lui trovò il suo centro del piacere femminile turgido e umido.
«Oh, Jennie…»
Lei avvampò: l’imbarazzo di essere già al punto di non ritorno, la voglia di allontanarsi da quel corpo languido contro di lei, la brama irrefrenabile di avere di più. E la sua voce, la sua voce che pronunciava il proprio nome, bassa, sorpresa, sensuale; inconfondibile benché la musica e il chiacchiericcio della festa fossero appena dietro l’angolo.
Tip le sfiorò la bocca. «Sono qui per te», mormorò.
Se il cuore non era già abbastanza sciolto, si consumò con uno scrosciare di battiti impazziti.
«Dovremmo cambiare posto», replicò JJ chiudendo gli occhi. «Per favore.»
Tuttavia, quando lui si piegò davanti alle sue gambe, lei non lo fermò; Tip fu libero di insinuarsi tra le sue cosce, di aprirle, di bagnarsi di lei, di mordicchiarla,
di leccarla con quella deliziosa attenzione che faceva defluire il sangue nelle vene di JJ.
Sebbene sentissero qualcuno are sul vialetto sghignazzando e canticchiando, non si fermarono; non erano certi che il buio li nascondesse, eppure attesero lo scoppio finale del piacere.
JJ strinse le mani a pugno sul capo di Tip e si lasciò sfuggire solo un breve, rauco gemito. Rimase a occhi chiusi fino a quando Tip si rizzò sui piedi e la abbracciò, scostandola dall’albero.
Lui dondolò entrambi, dandosi il tempo di raffreddare la propria libidine, perché desiderava un momento di maggior lucidità.
Dopo più di cinque minuti, JJ lo allontanò da sé, con gentilezza. «Non so se sia più felice che tu non abbia smesso o più arrabbiata», disse atona, ma il lampo appena visibile nei suoi occhi era divertito e soddisfatto.
Tip le accarezzò una guancia. «JJ, io adoro farti questo, capisci?»
Lei strinse i denti; quella morsa troppo dolce nello stomaco. «E io adoro sentirtelo fare. Tip… oh, Tip, io…» scosse il capo, in cerca delle parole.
Lui la baciò, con dolcezza. «Vieni a casa con me, stanotte?»
«Ora?»
«Sì. No… se vuoi rimanere alla festa, posso...»
JJ sorrise, poggiandogli le dita sulle labbra. «Ammiraglio, lo sai che le feste non fanno per me.» Si fece scendere la gonna. «Avverto Katia e ti raggiungo.»
In realtà, Tip non la lasciò andare da sola: tornò dentro con lei; poi montarono Il Chiaro, senza mettergli la sella, e percorsero la strada di casa. Lasciarono la bestia a ricongiungersi con Il Grigio e brucare l’erba del terreno nella notte.
Sotto il portico, con l’accendino Tip accese la lampada per riuscire a inserire la chiave nella toppa; sembrava un ubriaco in cerca della serratura. Ridacchiando, JJ gli prese il mazzo dalle mani e aprì la porta.
«Non fare la mocciosa sbruffona», la riproverò Tip, con l’intonazione alterata dal desiderio. Chiuse la porta, mentre lei accendeva la lampada lasciata ai piedi delle scale.
Voltandosi verso di lui, JJ abbassò una mano tra le sue gambe. «Vedo che sei già pronto.»
Tip le tolse le chiavi di mano. «Non ho mai smesso di esserlo.»
«Per me?» Lasciò cadere la borsa a terra e gli cinse il collo.
Tip si strusciò su di lei. «Per te, ruh qalbi. Per chi altri?» La spinse a salire il primo gradino. «Non sei tu la mia alzabandiera preferita?» La baciò, rincorrendo la sua lingua giocosa.
JJ lo costrinse a salire due scalini con lei. «Preferita, eh?»
Tip le morse il labbro e le strinse un seno con una mano, salendo un altro scalino. «Non sarei ammiraglio, senza di te.»
«Mmm», mugolò e scese con una mano a sbottonargli i pantaloni; mentre lo tirava, salirono altri gradini. «Non sai quanto è vero», disse al suo orecchio. «Soprattutto perché quando non sapevo chi fosse arrivato davvero prima, dicevo che eri stato tu.»
Con lo sguardo divertito, Tip la bloccò di lato, contro la parete. «Ah, questo non si fa, mocciosa. Alzavi bandiera per me?»
«Sempre.» JJ afferrò la sua erezione con la mano e lo baciò.
Tip ricambiò con ardore; il sangue in tumulto, il respiro spezzato. A metà delle scale, le ò le mani sotto i glutei e la sollevò. «Hai idea di quanto io ti desideri?»
«Tu hai idea di quanto ti desideri io?» Tornò a baciarlo, ma poi rise insieme a lui, perché i pantaloni lasciati aperti stavano scivolando sulla gambe di lui
impedendogli di continuare.
Tip la rimise a terra sul penultimo gradino, lei poggiò male i piedi e si sbilanciò reggendosi al corrimano di legno. Tip le afferrò i fianchi e, seguendo il suo percorso, la poggiò a terra, piegandosi su di lei.
Continuando a ridere, JJ lo cinse con le gambe e lo baciò ancora, con tutta la ione che le invadeva mente e corpo. «Prendimi, ammiraglio. Ora.»
Inginocchiato ancora sulle scale, Tip non pensò neppure di disubbidire a quell’ordine pervaso di libidine. Sollevò di più il bordo della gonna; con una mano spostò le mutandine di lei e la penetrò con un ansito di piacere.
JJ strinse con le dita l’ultima colonnina del corrimano, per rimanere avvinghiata al corpo di Tip, che stringeva con l’altro braccio.
Lui poggiò i palmi a terra. «Non solo siamo ancora del tutto vestiti, non siamo neppure riusciti ad arrivare in camera.»
JJ sollevò il bacino verso di lui. «Ti stai lamentando?»
Tip si allontanò e tornò a riempire la fessura umida, calda e accogliente. «A te cosa sembra?»
Lei cercò di prendere aria e rantolò di piacere, sotto i suoi colpi. «Che ti stai
lamentando bene», riuscì a dire infine. Poi abbandonò la testa all’indietro e lasciò che lui si spingesse senza sosta dentro di lei.
Il mare imperterrito contro uno scoglio lussurioso. Fino a scalfirla, fino a riempirla di spumeggiante ione.
23
Non durarono a lungo, ma vennero insieme.
JJ si sdraiò sul pavimento e Tip su di lei, per riprendere fiato e godere del piacere che andava scemando; poi, con le ginocchia doloranti, Tip si alzò e la prese in braccio, per stenderla sul letto.
Mentre andava a prendere la sua borsa, JJ accese le luci; si spogliarono con calma, ascoltando i propri respiri lenti. Si sciacquarono senza fretta, nonostante l'ora tarda.
Tip, seduto sul bordo del letto, inclinò il capo e riempì le guance a palloncino. JJ gliele premette - così come avrebbe fatto una bambina - e rise, sedendosi in braccio a lui, cavalcioni.
«Se confesso che mi sei mancato, mi prometti che non lo dirai a nessuno?»
Tip le accarezzò i capelli e una guancia. «Se confesso che ho chiesto tutti i giorni a Roberto cosa facevi, mi prometti che non mi prenderai mai in giro?»
«Non saprei. Solo se tu mi prometti di non fare lo stesso, se ti confesso che ho torturato Roberto ogni volta che scendevo per cena. E lui se la rideva di gusto. Il caro, dolce Roberto, che si è sempre fatto gli affari suoi e che ogni volta mi rispondeva che mi bastava venire qui per sapere cosa tu stessi combinando.»
«Ci sto, mocciosa.»
JJ gli baciò le labbra e giocherellò con la sua collanina. «Ammiraglio, sono anni che desidero venire a letto con te, ma giuro su quanto mi è più caro che non pensavo mi sarebbe piaciuto tanto, che il tuo corpo sarebbe diventata la mia miglior droga, che tu potessi far impazzire ogni centimetro della mia pelle. E mai, mai avrei pensato che io, Jennie Jannacci, sarei stata male senza di te.»
Tenendole una mano dietro la schiena, Tip continuò ad accarezzarle il viso: il naso, le guance, la fronte, le labbra, come volesse imprimere quell’immagine sotto i polpastrelli. Corrugò la fronte in cerca delle parole giuste, sentendosi del tutto inadatto; avere la battuta pronta era decisamente più facile.
Le baciò la punta del naso. «Pesciolina, sei una pesciolina tutta intelligente. Mi spiace per ciò che ho detto o lasciato intendere.»
«A me dispiace che sia vero», mormorò JJ. «Mi piacerebbe essere migliore di così, avere le idee chiare su ciò che voglio, su me stessa. Mi piacerebbe potermi guardare indietro e vedere quante belle cose ho fatto, invece del nulla che mi sono lasciata alle spalle e che mi si attacca addosso come un macigno.»
Tip le toccò la schiena con entrambe le mani. «No, non sento nessun macigno qui.» Fece un sorriso sbarazzino prima di tornare serio. «Io dico un sacco di cose, è più forte di me, ma non voglio ferirti, vorrei… vorrei…» Si morse un labbro. «Posso considerare questa relazione sessuale esclusiva?»
JJ aprì la bocca, scuotendo il capo incredula, poi scoppiò a ridere. «Questo è il massimo del tuo romanticismo?»
«Mi vuoi romantico?» domandò Tip, quasi con un broncio impudente.
«No», sussurrò. «Ti voglio e basta. E detesto l’idea di vederti andare via. Di saperti in pericolo, di saperti lontano; e saperti accanto a Naïma non mi aiuta. Anche se è per Sander, anche se condivido queste tue scelte.»
Tip le prese una mano e la baciò. «Mi aspetti a Santa Maria? Roberto sa di doverti dare una controllatina.»
«Ah sì?»
«Beh, se dovesse servirti, mentre io mi do una controllatina con Naïma.» La guardò di sottecchi.
Lei strofinò le dita sulla leggera peluria del petto, prima di scendere sul disegno degli addominali. «Vorrei poterti tenere qui, questo viaggio mi preoccupa.»
«E non ti preoccupi per Sander?»
Scosse il capo. «Lui lo so che tornerà, ma tu, Tip, tu non sei mai tornato…»
«Oh, hai questa preoccupazione. Non si torna, quando non c’è niente da cui tornare. Ma adesso qualcosa per cui tornare c’è.»
JJ si concesse un sorriso divertito, ando le braccia sulle sue spalle. «Immagino che quel qualcosa sia casa tua.»
«Ovviamente sì.»
«Cabròn.»
Tip sollevò il viso e la baciò, mentre con una mano le stuzzicava un capezzolo. I respiri che si mescolavano, la saliva che schioccava leggera.
Quando lei lo allontanò per prendere fiato, tra le sue cosce pulsava il membro gonfio di Tip. Gli lanciò un’occhiata tra lo stupore e il malizioso.
«È colpa tua», si difese Tip.
«M-mh?» Posò la fronte sulla sua. «Ma sei tu quello che si deve imbarcare tra poche ore.»
«Posso dormire sulla nave. Il Mar Mediterraneo lo conosco bene: è blu e bagnato, bagnato e blu; non mi perderò nulla.»
JJ gli leccò le labbra; con una mano fece leva su una sua spalla e con l’altra guidò il pene tra le labbra inferiori in attesa. «Detto fatto», gorgogliò scivolando sull’asta rigida.
Tip le afferrò le natiche e l’attirò verso il proprio bacino, godendo di quel guanto dolce intorno a lui e del seno sodo premuto contro il proprio petto. JJ lo cavalcò dapprima lentamente, poi aumentò la velocità e lo spinse con la schiena sul letto, a occhi chiusi.
Tip si beò della vista di quel corpo candido, delicato e infuocato su di lui, dell’espressione di dolce libidine sul viso chiaro di JJ. Poi la prese e senza uscire da lei la premette supina sotto di sé, affondando dentro di lei con un ritmo serrato. La strinse tra le braccia e JJ ò le dita sulla sua schiena; poi Tip si issò sulle mani e lei si aggrappò sui suoi bicipiti e infine sui suoi fianchi in movimento, riempiendosi gli occhi del disegno della muscolatura e delle vene del basso ventre.
Colmandola senza tregua, Tip le sollevò una gamba e infine entrambe.
Quando le lasciò, si abbassò di nuovo su di lei e JJ tornò ad abbracciarlo.
Tip le morse la spalla e le leccò il collo. «Dimmelo: sei mia, JJ?» sussurrò sotto il suo orecchio.
Lei chiuse gli occhi e sorrise. «Diciamo che, se avessi un’altra vita, probabilmente in futuro sarebbe tua. Ma in questa, adesso, non ti appartiene, ammiraglio.»
«Mmm.»
Sgusciò fuori da lei e si sedette sui talloni. Sbigottita, JJ si mise a sedere, tuttavia rise osservando il viso di Tip. «Vediamo», le disse in tono pensieroso; si guardò intorno e prese la kefiah nera, profumata di bucato.
Ancora incredula, ma per nulla turbata dal gioco, JJ se la lasciò mettere sugli occhi.
«Non ridere, alzabandiera.»
«Va bene, ammiraglio.»
Tip le leccò le labbra. «Cos’era?»
«La bocca.»
«No. Sii più specifica.»
JJ sorrise. «La lingua.»
Tip le sfiorò un seno. «Cos’è?»
«Mmm, le dita.»
Chinandosi, le prese un capezzolo tra le labbra. «E questo?»
«La lingua.»
«No.»
«La bocca.»
«No, JJ, concentrati, altrimenti la serata sarà lunghissima.»
«È già lunghissima.»
Tip la spinse sulle lenzuola. «Allora?»
«Le labbra?»
«Esatto. Vedi che se ti impegni ce la fai, pesciolina tutta intelligente.» La obbligò
a voltarsi prona per poi costringerla a stare sulle ginocchia.
A tentoni, JJ posò le mani sul muro alla testa del letto e si lasciò aprire le gambe da Tip, inginocchiato dietro di lei. Lui le fece scorrere le dita sulla colonna vertebrale, dal tatuaggio fino ai glutei, le afferrò i fianchi, attirandola verso il membro luccicante di umori e lo spinse dentro di lei, in maniera brusca, rubandole un gemito tra piacere e dolore. «Sai chi sono?»
«Tip…»
«E tu sei Jennie Jannacci. E Tip ti ha presa.»
Le fece scivolare le dita tra le cosce e le massaggiò il clitoride seguendo lo stesso ritmo con il quale la penetrava. JJ ebbe un brivido di puro piacere. Con l’altra mano le prese il viso e la fece contorcere verso di sé. «Sei mia?» sussurrò con voce roca.
JJ aprì la bocca, spingendo il proprio corpo verso il bacino di lui. «Non sono nella posizione ideale per rispondere.»
«A me pare che tu sia nella posizione perfetta», replicò a voce bassa, andole subito dopo la lingua sul collo.
JJ lasciò una mano appoggiata alla parete, per sorreggersi, e con l’altra raggiunse quella di Tip sul proprio sesso; posò le dita sulle sue e ne seguì i movimenti. L’oscurità forzata che le ampliava i sensi: i corpi sudati e languidi; lo schiocco
leggero dei loro umori che si incontravano tra le gambe divaricate; il profumo dolceamaro della pelle, del sapone sui capelli, del sesso eccitato. Si ò la lingua sulle labbra, gemendo piano.
Lui le piegò ancora di più il viso, tenendole la mandibola stretta e leccandole la spalla.
JJ spostò la mano per sorreggersi di nuovo con entrambe contro il muro; sotto la benda, gli occhi nell’oblio voluttuoso che le sprigionava quell’uomo. «In questa posizione non potrei dire che non sono tua senza mentire.»
Anche lui allontanò la mano dalle sue gambe per prenderle un seno e stuzzicarlo. «E ti piace?»
«Da morire.»
Tenendola stretta contro di sé, si mosse con veemenza nell’intimità di lei, deciso e fluido. Un’onda tumultuosa, un cavallo senza freni. I muscoli tesi, che spingono, un pulsare di battiti in una corsa liberatoria; un elegante galoppo sulla battigia bianca.
JJ sentiva il sangue palpitare per tutto il corpo, per infrangersi nello stesso tempo sulle vene del collo e il centro del piacere femminile. Si lasciò invadere da quella sensazione di voluttà e tentò di riprendere un po’ d’aria quando lui rallentò appena. «Questo ti piace da morire?»
«Da morire», ripeté come fosse una preghiera.
Tip le baciò una guancia. «Sei mia, mocciosa: adesso e in questa vita; dentro, fuori e tutto intorno.»
«Posso negarlo?» replicò arrendevole, andogli un braccio intorno al collo e cercando la bocca di lui.
Tip la baciò con la stessa urgenza con cui entrava dentro di lei, poi lasciò le sue labbra e allentò la presa sul suo viso, per permetterle di respirare meglio, mentre lei tornava ad appoggiare le mani al muro. «No, non credo che potresti negarlo.»
JJ sorrise, senza voltarsi. «Tip, parli veramente troppo. Saresti così gentile da rendermi tua in silenzio?»
La strattonò verso di sé, obbligandola a lasciare di nuovo la sicurezza del muro e di nuovo le serrò il viso con le dita. «Mia. Lo hai detto: non puoi più tornare indietro, JJ. Rimarrò in silenzio, ma tu urlerai fino a quando ogni singola parte di te non sarà mia. Ti ridurrò in brandelli.»
Alla sua mercé, nell’oscurità che tanto spesso aveva rifiutato, si arrese alle ondate di piacere, a quelle parole decise, imperative, eppure cariche di dolci implicazioni. «È una promessa?»
Non le rispose. Allargò di più le gambe per mantenere l’equilibro, le lasciò libero il viso e scese con le dita ad accarezzarle le labbra inferiori, per tornare a
stimolarle il clitoride spingendosi nello stesso tempo contro di lei; questa volta la corsa non si fermò. Si trattenne assaporandola tutta, come si assapora un cioccolatino che si scioglie sulla lingua, ma galoppando verso il mare in attesa; in attesa di essere incendiato, ansimando umido e caldo, in onde dalle alte creste luccicanti. Guidandola con le proprie redini su di lei, lasciò che JJ si sbrogliasse, fino a gridare come grida il mare, fino a bruciare come solo il loro mare poteva bruciare.
Si sentì perfettamente legato a quel corpo candido, piccolo e dalla muscolatura leggera e femminile, percepì ogni sua contrazione come fosse la propria; quando lei inarcò la schiena e gettò indietro il capo contro la propria spalla, le dita si riempirono di umori, che colarono a fiotti tra i loro corpi premuti e sudati. Incapace di resistere oltre, Tip raggiunse il proprio apice un attimo dopo quel liquefarsi di lussuria, riempiendola di un fluido più denso.
Un cavallo che si tuffa tra le acque salate, un vibrare di scintille, le fiamme su una distesa di blu nella notte, sotto il firmamento, da qualche parte dentro di loro.
24
Lo sbarco a Nuova Sousse fu ancora più rapido della partenza.
Il sole era tramontato e la città risplendeva di piccole luci che coloravano mare e cielo.
Tip scese a terra con il suo borsone e, a o lento, raggiunse la Locanda del sole di Nuova Sousse. La famiglia Ben Hamida lo accolse con grossi sorrisi e l’avvocato Marcus Perera gli raccontò quanto erano stati carini con lui in quei giorni.
Quella sera, Tip cenò e andò a dormire, perché in nave aveva ato la traversata del mediterraneo chiacchierando con un uomo di Roma che faceva quel viaggio per la prima volta. Lo aveva trovato assai simpatico, tuttavia, dopo la notte insonne, ora aveva un mal di testa insopportabile.
Si svegliò osservando l’alba colorare i tetti piatti davanti a lui.
Benché si sentisse finalmente riposato, scoprirsi in terra africana lo scosse. Si girò sul letto, in posizione fetale. Doveva chiarirsi con l’avvocato e magari are a trovare Sander prima che tutto precipitasse; prima del processo, sarebbe andato a Tampàr a ritirare i propri soldi e ne voleva spedire una buona parte a Elena. Ma aveva ancora tempo e si crogiolò nel ricordo della mattina prima.
JJ lo aveva aiutato a vestirsi e gli aveva promesso che avrebbe sistemato lei la casa. Per non stare da sola, sarebbe tornata a stare dai Pratesi; aveva promesso a Katia di insegnarle a preparare alcune ricette africane e qualche parola di se, ma sarebbe ata con Roberto a controllare la piccola valle.
Sulla banchina, avevano atteso il permesso di salire a bordo, sedendo a terra. Quando i marinai avevano detto ai eggeri che potevano salire, Tip aveva preso il proprio borsone e si era alzato. Imitandolo, JJ gli aveva ricordato di fare colazione come una chioccia.
«Agli ordini, mocciosa», aveva replicato Tip, stampandole un bacio sulle labbra.
Lei lo aveva trattenuto per la maglia, le parole che scemavano dispettose, il sole del mattino che le colorava gli occhi, i capelli e il viso di riflessi vermigli.
Poiché era riuscita solo a deglutire, Tip aveva lasciato il borsone e, tenendole il viso con le mani, l’aveva baciata, l’aveva divorata.
JJ aveva risposto a quel bacio lasciando che lui la prendesse in quel modo tanto intimo da farla vacillare e librare nello stesso tempo; poi lo aveva allontanato da sé e, con la netta sensazione di essere lacerata, non era riuscita a impedire alle lacrime tremule di scendere sulle guance.
«Non piangere, habibati», aveva sussurrato Tip.
Lei si era morsa un labbro, sentendosi una stupida. «Non lo faccio mai.»
«Ora sì.»
«Mi fai questo effetto.»
Tip aveva asciugato la pelle umida andoci i pollici. «È una cosa tanto brutta?»
JJ aveva accennato uno strano sorriso. «Doloroso.»
«Doloroso come?»
Con un’intensità delicata, JJ aveva scrutato i suoi occhi castani screziati di nero. «Come quando bruci il mare.»
Tip si era sentito ubriacare da quelle parole. «Tu… tu bruci il mio mare», le aveva risposto.
Ora si sentiva ancora così, come se fosse sotto l’effetto dell’alcool.
Si riprese in fretta, nei giorni che seguirono, in cui tutto sembrava correre insieme a lui e il tempo restringersi senza appello.
Al processo, per l’ennesima volta, Sander dichiarò la sua innocenza. Questa volta, Tip mantenne la sua versione, raccontando la verità dei fatti, o quasi.
Era stato lui a uccidere i suoi aggressori, per legittima difesa. Mostrò la cicatrice lasciata dalla pugnalata e il medico che gli aveva tolto i punti - rintracciato dall’avvocato nei giorni precedenti - confermò i tempi di quanto accaduto.
Tip disse che era stato lui a obbligare Alessandro e Jennie Jannacci - di cui nessuno aveva più notizie - a seppellire i tre cadaveri. Venne fuori la storia della reale modificata e, come se fosse la parte più importante dell’intero processo, i due accusati dovettero trovare i testimoni di tale vicenda. Tip avrebbe disturbato i reali di Sidàr, dei Lupi Grigi e delle Tigri Bianche, se fosse stato necessario, tuttavia non servì.
Neppure un paio di settimane dopo, i testimoni di Mizke e Tampàr confermarono la loro versione e il giudice considerò vera tutta la dinamica degli avvenimenti descritti da Tip. In meno di dieci giorni, Sander fu scagionato e scarcerato.
Nello stesso lasso di tempo, nonostante la difesa impeccabile da parte di Marcus Perera, Gustav Esposito fu condannato a trentadue anni di carcere per triplice omicidio colposo e occultamento di cadavere, condanna che, otto giorni dopo, venne ridotta a tre anni perché l’accusa si ritirò rimangiandosi la parola.
Se il giudice avesse compreso o meno il giro di soldi dietro a tutti quei movimenti, nessuno lo seppe.
Tip si ò le dita tra i capelli, il sudore che colava sul collo teso, la porte chiuse al pubblico, l'aria immobile; si sentiva prigioniero ben prima dell'ultima sentenza.
L’assassino di Tomas, che non aveva nessuna scusa e nessun alibi, avendo sparato più di un colpo in aula di tribunale, ebbe la pena capitale. Né Tip né Sander commentarono tale epilogo.
Il carcere di Nuova Sousse era diviso per reati e per la provenienza dei suoi abitanti. Essendo cittadino della Repubblica del Mediterraneo, Tip era nell’ala nord.
Sapeva che Sander aveva contattato Roberto, questo però non gli impedì di scrivergli. Nella busta, inserì un biglietto per JJ con scritto: “Vedo il mare”.
La risposta arrivò dopo una quindicina di giorni. Roberto gli parlò della stalla, dei cavalli, dell’orto, di quello che facevano Katia e JJ. Tip lesse davvero solo il bigliettino ripiegato più volte su se stesso. La scrittura morbida, non troppo piccola: “Vedo il mare anche io”.
Consegnò la lettera successiva a Elena che lo venne a trovare con il volto ancora sconvolto.
I carcerati di Nuova Sousse non uscivano mai dalla loro cella, così Elena, come Sander (e come Tip aveva fatto con lui), posò le mani sulle sbarre e gli fece cenno di avvicinarsi.
«Ti ho portato i datteri, so che ti piacciono.»
Tip le accarezzò il viso. «Vedo che mia sorella mi conosce ancora bene.»
«Sander mi ha raccontato tutto», replicò lei. Si riferiva a tutta la verità.
Tip si grattò la barba, che tagliava di rado. «Quanto mi stai odiando?»
Elena si strinse nelle spalle. «Almeno tu hai pensato bene di rimanere in vita.» Gli rivolse quel sorriso così simile al suo.
«Come stanno i miei nipoti?»
«Stanno bene. Non ho detto loro che sei qui, sanno che sei a Taormina.»
Tip mise in bocca un dattero. «Ce li porterai mai?»
«Sì, sai che voglio farlo. E presto saranno abbastanza grandi da fare un viaggio e da farlo fare alla loro madre.»
Gonfiando le guance, Tip scosse il capo. «Non ne sarei tanto certa: il grande assomiglia tutto allo zio.»
Elena lo guardò con una dolcezza disarmante che lo indusse a chiedersi come si potesse amare tanto una persona con la quale si condivide solo il sangue e un vago ato. Avrebbe voluto chiuderle gli occhi, mentre indugiava sulla sporcizia della sua cella e il puzzo - che lui quasi non sentiva più- doveva irritarle le narici; avrebbe voluto tapparle le orecchie, quando altri carcerati l’apostrofarono con frasi oscene e, come fosse un bisogno primario, desiderò abbracciarla senza quella griglia appiccicosa tra di loro.
Invece sgranocchiò i datteri con aria da intenditore, le raccontò che c’era una guardia simpatica e tralasciò tutte quelle che sperava non si accorgessero di lui; le spiegò che c’era un momento della giornata in cui il sole entrava di sbieco dalla finestrella e che lui si abbronzava in quel modo perché loro, con il sole, ci erano cresciuti. Le disse con una smorfia da ragazzino che gli mancavano le donne, ma che fantasticava su una che aveva conosciuto anni fa.
«Una sola?» domandò Elena scuotendo il capo.
«Beh, ci sono molte posizioni a cui pensare.»
Lei rise. «Ti prego, non voglio sentire altro.» Gli parlò dei figli, dei loro progressi, delle marachelle, delle cose che piacevano loro.
Fu così, una chiacchierata fatta di niente e di tutto.
Elena spedì la sua lettera a Roberto. Sul biglietto per JJ, Tip aveva scritto: “Qui il mare è vuoto”.
Lei rispose: “Qui il mare è in attesa”.
Erano quasi tre mesi e mezzo che era lì e Sander, rimasto a Nuova Sousse, veniva a trovarlo un paio di volte a settimana. Facevano una partita a carte e chiacchieravano un po’, fino a che le guardie non lo cacciavano via.
Tip lasciò la sua lettera per Roberto a lui. “Quando uscirò, farò un bagno in mare tanto lungo da affogarci”.
“Da bruciarti…” rispose JJ.
Tip sapeva cosa faceva JJ perché lo leggeva nelle parole sgrammaticate di Roberto. La immaginava ad aiutare la famiglia Pratesi con le viti, a prendersi cura de Il Grigio e Il Chiaro, delle piantine che lei stessa aveva piantato. Gli scherzi che facevano lei e Katia a Roberto e ai fratelli.
Senza un lamento, Tip si allenava sul letto fatto di un semplice materasso giallo e puzzolente, immaginandosi il momento in cui lei avrebbe posato le sue piccole mani su di lui.
Quando si rese conto che tre anni sarebbero stati più lunghi del previsto, strinse al polso la kefiah con la quale l’aveva bendata e le scrisse: “Questo mare perde acqua.”
JJ rispose: “Un pesciolino non può rimanere senza acqua.”
Tip sorrise nel leggerlo. “E sai se vale anche per una squaletta?”
“Lo insegnano a scuola: se tu avessi studiato come me, sapresti che una squaletta ha bisogno di un mare che bruci.”
“Non aver studiato come qualcuno di mia conoscenza non mi rende meno perfetto di ciò che sono: so già tutto, perché conosco una squaletta che ha bisogno di poveri pesci già abbrustoliti a puntino.”
“Certe perfezioni sono come alcune belle barche senza remi.”
Aveva già la risposta pronta da darle, l’aveva scritta e sigillata nella lettera che avrebbe consegnato a Sander. Lettera che non consegnò mai.
Quattro uomini armati entrarono nel corridoio semibuio dove si trovava la sua cella. Non presero niente delle poche cose che lui teneva lì. Benché chiedesse in tutte le lingue che conosceva cosa volessero, loro non risposero.
Era notte, ma gli altri detenuti si erano svegliati udendo i movimenti. Tip non li conosceva e non li guardò. Mantenne la calma, studiando gli abiti dei quattro uomini, vestiti come tutti quelli che giravano nel carcere per sorvegliarli.
Nonostante tutto, quando uscirono sul cortile, Tip respirò a pieni polmoni; se fosse stata l’ultima cosa da fare, almeno se la stava godendo. Fu breve.
Gli uomini lo condussero in un altro corridoio e infine in una stanza senza finestre. Non c’era nessuna via di fuga. Non c’era modo di evitare gli uomini e le loro armi da fuoco, non c’erano altre persone a testimoniare. Per qualche lungo istante, Tip pensò a Il Topo e si chiese se quello non fosse il risultato di ciò che aveva fatto.
Nella stanza entrò il giudice che aveva seguito ed emesso il verdetto al suo processo; indossava un turbante sul capo scuro e gli rivolse uno sguardo privo di espressione.
Tip si trattenne dall'urlare, mentre l’altro lo studiava.
«Signor Gustav Esposito, sono costretto stanotte a portarla fuori da queste mura per un ordine riservato. Sono certo che questa non sia la giustizia di Nuova Sousse, né della nazione che rappresenta», parlava lentamente, in arabo, senza staccare gli occhi da lui. «Da oggi, è un uomo libero, senza nessun dovere nei confronti dell’Africa, i sei mesi che ha ato qui dentro sono registrati come quelli ufficiali della condanna; tuttavia…» socchiuse appena le palpebre «le consiglio di lasciare questa città e questa terra il prima possibile, e di non tornarci per un bel po’.»
Frastornato, Tip non fu in grado di rispondere. Il giudice se ne andò come era venuto e i quattro uomini lo trascinarono fuori, per poi metterlo in una macchina, che lo lasciò al centro di Nuova Sousse, senza una parola.
Privo di qualsiasi avere, si recò nell’unico luogo possibile: da Iaafani Di Giovanni.
25
Alessandro Jannacci, che tutti conoscevano come Sander, mostrò un sorriso di soddisfazione, mettendo piede a L’Isola Madre di Taormina. Il sole gli colorava di blu i capelli neri e la barba che cresceva incolta sul viso virile.
Non c’era molta differenza tra le due coste del Mediterraneo, eppure quella era casa: era cresciuto lì, conosceva i suoi scogli, dove si infilava il vento, dove si pescava meglio, dove era il faro più bello e quello più esposto al vento. Mancava spesso da quei posti e ora tornava senza una parte di cuore; tutte le lacrime versate nell’umido della propria cella, per un fratello che non era riuscito a proteggere dall’ingiustizia, da se stesso, dalla vita, erano ancora lì, da qualche parte ad appesantirgli il cuore.
Eppure tutto va avanti, così gli aveva detto suo padre, quando la malattia gli aveva lasciato pochi attimi di lucidità, prima dell’ultima dipartita.
«Penso che non farò niente per dieci giorni», dichiarò voltandosi verso Tip - una sorta di fratello acquisito - che era rimasto dall’altra parte della erella.
«Penso che tua madre non ti darà tregua.»
Sander si strinse nelle spalle. Non voleva ancora pensare alla madre, perché farlo portava il ricordo di Tomas. Tomas che non c’era più, Tomas che non aveva ucciso nessuno, Tomas che era stato ucciso. Tomas che non era riuscito a difendere.
«Porta il culo di mia sorella qui, Tip. Dopo di che non ti voglio vedere per un bel po’.»
Tip gli fece un gestaccio. «Ancora non è arrivata l’ora in cui obbedire a uno Jannacci. Ti scarico quella rompicoglioni di tua sorella, ma se voglio starti appiccicato come una cozza, lo farò.»
«Oceano nero, trovati una donna, Esposito! O vuoi cambiare sponda?»
Tip fece un o indietro, sghignazzando. «Se quello che mi offri sei tu, potrei pensarci. Sei il mio favorito.»
Sander mise sulla spalla la propria borsa. «Nemmeno per idea: lo so che finirai per mettermi le corna con tutte quelle che incontri! Non ho intenzione di soffrire per te.»
«Claro!» urlò Tip, rientrando nelle viscere della nave con il sorriso sulle labbra.
Nel breve tragitto che lo stava portando a Santa Maria, rimase fuori, godendo del vento salmastro sulla pelle. Nei mesi che era stato chiuso in carcere, ogni traccia di abbronzatura era scomparsa, lasciandolo di un colore che probabilmente non aveva mai avuto se non quando era venuto al mondo.
Da quando era stato liberato, quella notte, in sordina, però, era riuscito a riprendere un po’ di colore. Nonostante l’esplicito consiglio del giudice, era
rimasto in terra africana per cinque giorni.
Era andato a Tampàr con Sander, in macchina, e al ritorno a Nuova Sousse, Elena era riuscita a raggiungerli per un pelo, prima che si imbarcassero.
«Se vuoi vedermi, devi per forza venire a Nuova Eyropa, mia cara sorella. E io ci tengo a vedere i miei nipoti.»
Il più piccolo non aveva compreso la gravità della situazione, ma il più grande aveva intuito che ci fosse qualcosa di ineluttabile in quella partenza e nella conseguente lontananza dello zio. Elena, confusa e con scure borse sotto gli occhi, aveva guardato il marito di sfuggita e aveva annuito.
Tip si fidava delle promesse della sorella, eppure ora, che finalmente lasciava l’Africa senza neppure sapere bene perché, gli sembrò che quel legame si stesse recidendo come mai prima di allora.
Sebbene con Sander e Iaafani avessero fatto delle ipotesi, non sapevano con certezza cosa fosse successo. Marcus Perera era a Roma, e loro non sapevano come contattarlo. Il recapito telefonico di Shayl’n Til Lech era rimasto a Santa Maria, sicché non potevano contattare nessuno per avere conferme in breve tempo.
Scese dalla nave con un sospiro e si guardò intorno. Vide un gruppo di ragazzini e li raggiunse. «Conoscete la famiglia Pratesi?»
Il più alto, capelli neri a caschetto, sguardo da furbo, strinse appena le palpebre. «Certo», l’ovvietà nella voce infantile.
Tip gli porse dei soldi. «Hai tempo di correre da loro e cercare una ragazza di nome Jennie?»
Il ragazzino studiò il suo volto, poi tese la mano.
Tip non lasciò la presa. «Devi dirle che Tip è arrivato e l’aspetta a casa.»
«Ah, tu sei Tip», replicò con un sorriso degno del suo sguardo, rizzando le spalle. «Vado.»
Tip non badò a quell’affermazione. Guardò il ragazzino seguito dai suoi amici allontanarsi dal porto, poi si affrettò a raggiungere la valle dove Tap aveva deciso di comprare casa.
Nelle sue lettere, Roberto gli aveva spiegato i lavori fatti, tuttavia vedere la lunga stalla, i mandorli e gli aranci, il piano inferiore dell’abitazione largo il doppio rispetto a quando lo aveva lasciato e il piccolo viale sporco di sabbia che conduceva al mare, lo fece sussultare e poi sorridere.
Dopo aver salutato i cavalli, entrò in casa con un misto di eccitazione e curiosità. Sul lato sinistro delle scale ora c’era una porta che si apriva su una sala. Benché non fosse neppure arredata, gli parve perfetta.
Il piano superiore era rimasto lo stesso, perché non aveva dato disposizioni e Roberto aveva preferito attendere il suo ritorno. Tip poggiò una mano su una parete. «Se non altro, non dovrai aspettare tre anni», disse, come se la casa potesse ascoltarlo.
Provò ad accendere tutte le luci elettriche, poi in camera lasciò scivolare il borsone sul pavimento e lanciò un’occhiata a un paio di scatoloni ai piedi del letto. Erano sigillati e c’era scritto solo “Tip”. Bussò sulla carta e cercò un paio di forbici per aprirli, poi ci ripensò e decise di fare prima una doccia.
L’acqua funzionava senza problemi e il bagno era pulito; aprì il cassettone che aveva messo prima di partire; vi trovò solo i teli che lui stesso aveva messo, gli altri ripiani erano vuoti. Si chiese se il mobile non fosse troppo grande per quella stanza, prima di entrare nella doccia.
Si ò più volte il sapone sul corpo, infine rimase sotto il getto dell’acqua fredda; gli occhi chiusi, i pensieri che si calmavano sotto il massaggio del getto.
Inspirò, tolse l’acqua dalle palpebre e si voltò.
JJ era ferma sulla porta, la spalla sullo stipite, i piedi scalzi, un paio di pantaloncini e una camicia senza maniche. Lo sguardo castano di una delicatezza devastante.
Tip percepì una stretta al cuore; ci mise qualche secondo a capire che fosse felicità. «JJ…» mormorò. «Come sei entrata?»
Lei gli mostrò il mazzo di chiavi con un mezzo sorriso divertito.
«Da quanto sei qui?» Chiuse l’acqua, ma lei lo raggiunse e la riaprì.
«Da cinque minuti?»
Tip sbatté le palpebre. «Perché non hai detto nulla?»
JJ sollevò il viso, incontrando il suo sguardo: la screziatura nera sulle iridi castane, goccioline di acqua sulle ciglia, la linea dritta delle sopracciglia, un ciuffo umido sulla fronte ampia, il naso virile, con un graffio leggero, la bocca appena aperta. Una morsa nello stomaco. «Sai, ammiraglio, quando guardi qualcosa di bello, non vorresti mai smettere di farlo.»
Entrò nella doccia, si sollevò sui piedi e gli sfiorò le labbra. Poi aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì nulla.
Poiché aveva i vestiti già bagnati, Tip l’attrasse a sé. Sprofondò la propria bocca in quella di lei; leccò la sua lingua con dolcezza e un senso di riscoperta. I lombi che fremevano.
Le riempì il viso di baci.
«Devo raccontarti un sacco di cose, mocciosa.»
«Ne sono certa. Ma il tuo corpo me ne sta già raccontando una.» Non riuscì a rimanere seria.
Tip inclinò il viso di lato e strusciò l’erezione contro di lei. JJ lo spinse via.
«Devo fare una doccia anche io.»
Tip fece scendere lo sguardo sul suo corpo. «Devi lavare anche i tuoi vestiti?»
JJ emise una risatina. «Direi di sì. Ti dispiace?»
«Preferirei se li lavassi dopo, pesciolina tutta intelligente. Ti dispiace?» Non aspettò la sua risposta per sbottonarle la camicia.
JJ si lasciò spogliare, sentendo le pulsazioni rincorrersi nelle vene nel seguire le dita di lui che le sfioravano la pelle, oltre l’acqua fredda. Gli baciò il collo, mentre Tip le insaponava i capelli e il corpo. La sciacquò e la insaponò ancora, la allontanò e si chinò su di lei, per prenderle in bocca un capezzolo.
Con un gemito, JJ inarcò la schiena, il desiderio di averlo dentro di sé, quel desiderio che per mesi l’aveva perseguitata e ora stava trattenendo con tutta se stessa. Tip stava facendo lo stesso, ma quando lei allargò le gambe, non riuscì a fermare le dita, che si fecero strada tra le labbra inferiori, gonfie di voluttà.
JJ gli cinse il collo per sostenersi e si mosse contro la mano di Tip che la penetrava, la accarezzava, con piccoli cerchi sul nodulo turgido. Nonostante il getto freddo, lei si sentiva bollente e quando lui inserì un altro dito insaponato tra le sue natiche, JJ ne trasse solo un delizioso godimento.
«Mi sei mancata», bisbigliò Tip sul suo orecchio.
JJ deglutì.
Circondata di gente rumorosa e decisa a dare aiuto nel lavoro, aveva sofferto di una solitudine graffiante: senza Tomas, l’unico amico che conoscesse, la presenza costante che le aveva lasciato un vuoto incolmabile; senza Sander, dal quale nonostante tutto non era mai stata così lontana, il vero punto fermo della sua famiglia; senza Tip, che le aveva rubato tutto per portarselo in un paese a lei negato. Grata dell’acqua sul viso, JJ si concesse di piangere, ignorando se fosse dolore o gioia. Si aggrappò ai bicipiti di Tip, cercando la sua bocca. Il frastuono delle emozioni che si contorceva sulle fiamme del piacere carnale.
Tip la baciò, spingendola contro la parete della doccia, e non la lasciò fino a quando avvertì le contrazioni avvolgergli le dita, il bacino fremere, i gemiti perdersi tra le loro labbra.
JJ rimase immobile, le spalle al muro, gli occhi chiusi.
Tip uscì da lei e le tolse il sapone dalla pelle, aiutandosi con la spugna e infine strofinando con eccessiva attenzione. JJ gli bloccò i polsi e lo allontanò.
«Finirai per consumarmi», disse girando la manopola.
«Voglio consumarti.»
Gli diede una pacca sul dorso della mano e lo voltò. «Consumami fuori da qui», ordinò posandogli le mani sui glutei con fare malizioso.
Come due bambini, si arono l’asciugamano sui capelli l’un l’altra. Tuttavia quando lei lo spinse sul letto e lo prese in bocca senza riuscire ad attendere, di infantile non avevano più nulla.
Tip sussultò di piacere tra le sue labbra. JJ roteò la lingua attorno al glande e lo succhiò; il dolce artificiale del sapone e il salato della brama maschile che si mischiavano nella bocca; il seme gelatinoso e quasi vellutato che si perdeva sulla sua lingua in una tacita approvazione; il gemito basso di Tip quando gli sfiorò il frenulo teso. Si sorprendeva sempre nel rendersi conto di quanto fare tutto questo la eccitasse: c’era qualcosa di deliziosamente intimo nel godere del piacere altrui; del piacere di quell’uomo. Continuò a far scorrere il pene nella propria bocca e resistette al desiderio di accoglierlo dentro di sé fino a quando resistette lui.
Tip la spostò e la girò sul letto; le afferrò i fianchi e la portò sotto di sé. JJ lo guidò nella stretta fessura in attesa e lui la schiuse lentamente. Più entrava, più si sentiva perso dentro di lei.
Si abbassò a baciarle la bocca morbida. Sapeva di sesso e saponetta.
«Oh, Tip!» mormorò quando la guardò; un’intonazione tra l’incredulo e la pura lussuria.
«Non stai sognando, habibati. Sono proprio qui, dentro di te.»
Le fece quel sorriso che la mandava su di giri. «Ripetilo.»
«Qui. Dentro di te», ripeté facendo un movimento circolare con il bacino.
JJ sollevò il viso a suggere avida le goccioline di acqua sulla sua spalla e gli accarezzò la leggera peluria della barba di qualche giorno. «Mi sei mancato anche tu.»
«Ripetilo. No… dopo, quando ti avrò consumata tutta.»
Con una risatina, JJ annuì. «Agli ordini, ammiraglio.»
***
Tornarono in bagno a pulirsi e JJ lavò i propri panni.
«Sander mi ha detto che saresti tornato oggi, ma non il momento preciso. Questa mattina sono rimasta al porto ad aspettarti, ma della nave neppure l’ombra.
All’ora di pranzo sono tornata da Katia.»
«Come stanno?»
Lei alzò gli occhi al cielo. «Stanno bene. Hai capito cosa ti ho detto?»
«Sì. Mi dispiace, non ho potuto avvisarti prima, è successo tutto così in fretta. Mi sembra impensabile che una settimana fa ero in carcere sapendo di doverci stare ancora anni.»
JJ si drizzò, spinse la bacinella da una parte con il piede e si voltò verso di lui. Gli sfiorò il viso con le dita. «Mi dispiace.»
Tip l’attrasse a sé e la tenne stretta; una maglietta larga indosso, i capelli più lunghi di come li ricordava, scarmigliati sul capo. Minuta tra le sue braccia.
«Roberto mi ha raccontato un sacco di cose, ma mi sembrava sempre troppo poco. Avrei voluto sapere tutto ciò che facevi, secondo per secondo.»
Con un sorriso allegro, JJ gli baciò una clavicola. «Scriveva lui, ma eravamo io e Katia a dire cosa scrivere. Roberto non sapeva mai da dove iniziare e poi gli venivano in mente tutte cose sciocche o che io non avrei voluto dire.»
«E cos’è che non volevi farmi sapere, ruh qalbi?» domandò Tip, fingendo un tono di rimprovero e preoccupazione.
«Mmm, per esempio, che aveva preso a chiamarmi la Pellegrina di Siracusa.»
«E chi è?»
JJ inarcò le sopracciglia. «Non sai chi è?» Batté un indice sul suo petto. «Ma chi sei? Tu non sei Tip cresciuto nelle Isole di Taormina, lui la saprebbe la leggenda della Pellegrina.»
Tip aggrottò la fronte. «No, non se la ricorda.»
Sinceramente sorpresa, JJ scosse il capo. «È una leggenda ante ’12: prima del Grande Terremoto c’era una località chiamata Siracusa; si dice che un giovane marinaio e una fanciulla si amarono alla follia tra le calette nelle notti di luna piena. Poi lui sparì in mare e lei, impazzita, lo cercò per l’eternità. Chi ava di là, giurava di averla vista pellegrinare sulla costa in cerca del ragazzo. A sud dell’arcipelago di Taormina c’è uno scoglio bianco, si dice che i marinai ancora la vedano lì, con la luna, l’unico scoglio rimasto e lei aggrappata sopra.»
«E tu saresti la pellegrina?» Le baciò il naso.
JJ fece una smorfia. «No, lo diceva Roberto e voleva dirtelo, che sembravo lei. Ho minacciato di bruciargli la nuova barca, se lo avesse fatto; non aveva una barca da quando si è trasferito qui. Ah, e Katia mi avrebbe aiutata.»
«Brave. Davvero due ragazze raccomandabili.» Le morse il naso. «Devo portarti
a casa, domani. I tuoi ti aspettano.»
Con uno sbuffo, lei sciolse l’abbraccio. «Se proprio devo.»
«Devi. E lo sai.»
«Già.»
Tip le posò le mani sulle spalle e la bloccò contro il cassettone. «Ma ti rivoglio a casa con me.»
JJ incrociò il suo sguardo e balbettò qualcosa che si perse sulle labbra di Tip.
Lui tamburellò le dita sul legno. «Volevo togliere questo mobile, perché è troppo grande per il bagno», disse sollevandola da terra e mettendola seduta sul cassettone. «Ma evidentemente a qualcosa serve.»
«Oh, ammiraglio, sei senza freni», protestò JJ con un tono malizioso.
Tip le aprì le gambe. «Devo recuperare i mesi persi, alzabandiera. Io, a differenza di te, ho avuto solo quattro mura e tuo fratello che giocava a carte e raccontava sempre le stesse cose come i vecchi.»
«Almeno sono certa che non ti sei fatto qualche avvenente africana; Naïma, per esempio», replicò lei, avvicinando il bacino languido.
«Devo informarti che Naïma potrebbe rischiare grosso di diventare tua cognata.»
«Scusa?»
«Credo ci sia stato qualcosa tra lei e Sander nei mesi scorsi, ma non so nulla di più di quello che ti sto dicendo. Credo che dovresti chiedere a lui, quando lo vedrai.»
Se JJ avesse avuto altri dubbi, Tip non le lasciò il tempo di porli: con la punta del pene le stimolò il clitoride, senza entrare. Con l’altra mano le alzò il viso, ma fu lui a inspirare. «E tu con chi sei stata?»
«Mi offendi, cabròn.» La voce ilare a smentirla.
Tip la fissò. «Ho bisogno di saperlo.»
«Gustav Esposito ha qualche insicurezza?» replicò con una linguaccia.
«Tu mi rendi insicuro.»
Il sorriso scemò dalle labbra di JJ, mentre cercava spiegazioni sul viso serio di Tip; non ne trovò. «Non è una cosa bella.»
«Come quando bruci il mare. Cosa ti aspetti da un mare che brucia? Un evento non calcolato, impossibile, bellissimo e devastante. Non lo sai?»
Udendo all’improvviso il cuore pomparle nelle viscere, JJ poggiò i palmi sul suo petto. Desiderava che il mare bruciasse, eppure il mare non brucia, ed ecco cosa accadeva qualora fosse successo, contro ogni previsione. «Lo so», mormorò, e cercò aria per i polmoni dolenti. «Tip… non sono stata con nessuno: aspettavo te.»
Lui distolse lo sguardo. «Sono patetico?»
JJ esitò, poi si inclinò in avanti, a baciare la sua base del collo, appena sotto alla collanina; gli cinse la vita e posò la testa sul suo torace, trovandosi immersa nel battito appena accelerato che lo invadeva. Tip le strinse le spalle con le braccia, arricciando la maglietta tra la loro pelle; lei chiuse gli occhi, ascoltando il suo cuore e il suo respiro, provando a immaginare i pensieri di un uomo che conosceva da sempre e conosceva da poco, che scopriva insieme a se stessa, un uomo che aveva vissuto come lei e che credeva alla vita molto più di lei. Si scostò e sollevò gli occhi in cerca di quelli puntellati di nero di lui. «No. Sei bellissimo.»
«Anche tu.»
«Intendo dire che vai benissimo così, ammiraglio.» Con una mano prese il suo membro, muovendolo avanti e indietro con dolcezza. Di nuovo il sorriso leggero
sotto le efelidi.
Tip gliele sfiorò con l’indice; i lombi che tornavano a fremere, il sangue a defluire in piccole onde; l’erezione che si animava nella mano sottile e delicata di JJ.
Lei ne percepì ogni palpito. Lo sguardo apprensivo che si stemperava in un’espressione sbarazzina. «Vuoi ancora recuperare i mesi perduti?»
Tip le ò il pollice sul labbro: una sfumatura sottilissima, sbiadita, a ricordo di un labbro spaccato; forse, solo lui riusciva a notarla. La linea della bocca di Tip si ammorbidì con un sorriso. «Sì.»
«Bene. Mi offro volontaria.»
***
«Insomma, tutta questa fatica per te?»
JJ si strinse nelle spalle. «La sella è tua.»
Seduto sul bordo del letto, ancora nudo, Tip osservava il contenuto dei due scatoloni: una sella nera, dalle rifiniture eleganti e la pelle lucida, e una ventina di libri.
«Ha fatto venire qui un elicottero per questo?»
«Quante volte hai intenzione di chiedermelo ancora? Sì, un elicottero, con tre Tigri Bianche dall’aspetto di ghiaccio e un fisico da urlo. Li ho fatti entrare qui e ho detto di lasciare le scatole in camera tua. Ho pensato di ringraziarli in natura. Quindi, ora smettila di chiederlo, altrimenti dirò che li ho ringraziati in natura.»
Tip le lanciò un’occhiata di traverso, poi prese di nuovo il foglio di carta che aveva trovato all’interno dello scatolone con la sella.
Maisha ha compiuto un anno, non parla, ma sgambetta soddisfatta in giardino, Alessio ne ha tre e mezzo e sembra il bambino più felice del mondo. Ahilan e io abbiamo finalmente adottato Nilmini, lei sostiene che siamo tutto ciò che desidera; non la conosci, ma ti assicuro che è la bambina più sincera che conosco, almeno fino a che sua madre non la porterà sulla cattiva strada.
È raro che qualcuno sia d’accordo con me, tuttavia mio marito ha sostenuto la tua causa almeno quanto l’ho fatto io. Desideravo che lo sapessi.
Non farci l’abitudine, contrabbandiere, perché ho sfiorato il caso diplomatico e le ire di mio zio - tutte faccende che mi hanno rallentato -, ma questa famiglia oggi esiste soprattutto grazie a te, e io non smetterò mai di esserti grata per questo. Lascio le considerazioni morali alla tua anima da marinaio e confido nelle tue capacità di costruirti una vita con chi ami.
Sai dove trovarmi.
Non era firmata. JJ lesse quella lettera insieme a lui e alla fine fece una smorfia. «Come fa questa persona a sembrare così… aristocratica e poi quando la vedi è una ragazza che parla più o meno come noi?»
«Non direi che parla come noi, direi che parla anche come noi.»
JJ alzò gli occhi al cielo.
«Non lo so, mocciosa. È una mezzosangue, non possiamo capirla noi miseri Umani.»
«Pensi di risponderle?»
Tip annuì e inviò a Shayl’n Til poche parole:
La tua famiglia esiste perché voi l’avete voluta. E ti sei dimenticata, madame, che io un’anima non ce l’ho.
Sai dove trovarmi.
26
L’indomani, Tip e JJ partirono per le Isole di Taormina nel pomeriggio, così come lui aveva detto a Sander. In poco più di un’ora e mezza, un conoscente di Roberto li portò all’Isola Madre, dove lì lasciò per tornare a casa.
Sotto la montagna sovrastata di palme di cocco giallo, Alessandro Jannacci li aspettava con un paio di ronzini. Quando lo vide, JJ gli corse incontro e gli saltò addosso allacciandogli le gambe sui fianchi, incapace di trattenere un mugolio di gioia e dolore.
Sander la strinse a sé e le baciò i capelli. C’erano state altre volte in cui non si erano visti per lungo tempo, tuttavia quello che era successo li aveva fatti sopravvivere a qualcosa che andava oltre la loro reciproca mancanza.
«Sei a casa, picciridda», sussurrò Sander, usando il vezzeggiativo tipico del padre.
JJ lo guardò e scese a terra, notando Tip con la coda dell’occhio che li osservava con sincera tenerezza. «Ti trovo bene», giudicò JJ scostando una ciocca di capelli dal viso del fratello.
«Sono sempre un gran pezzo di figliolo», esclamò lui e attrasse a sé Tip, baciandogli una guancia. «E quest’altro gran pezzo di figliolo qui, come sta?»
«Sono sopravvissuto a tua sorella.»
«Ah, questa sì che è una storia interessante.»
JJ gli diede un pugno leggero e Sander le scompigliò i capelli. «Ah, quanto sei bella, amore mio.»
«Piantala», replicò lei, ma rise.
«È la pura verità», protestò Sander. «Avete viaggiato bene, ragazzi?»
Tip annuì.
Sander notò il borsone che aveva in spalla; lo stesso con il quale era venuto in Africa. «Te ne comprerò uno nuovo», lo canzonò, poi si rivolse a JJ. «E il tuo?»
Lei sollevò il mento a indicare Tip. «È quello. Non ci servivano molte cose.»
Sander storse la bocca a destra corrucciando la fronte.
Tip fece un sorriso tirato. «Non stiamo qui molto: tre, quattro giorni al massimo e ritorniamo a Santa Maria. Devo giusto andare a chiedere quando parte di preciso la nave che fa scalo qui, perché volevo farla prendere a JJ, visto che non
ci è mai salita.» Lui stesso si accorse di parlare troppo di fretta.
Sander sbatté le palpebre. «Non rimani?» chiese alla sorella.
Involontariamente, JJ fece un o indietro. «No.»
«Perché?»
«Perché… beh, contavo di rimanere da Tip.»
Sander si voltò a guardare l’amico, poi guardò di nuovo la sorella e di nuovo Tip, che si ostinava a osservare qualcosa sulla banchina sovrastata di uccelli. Qualcosa o forse niente. Poi comprese e sgranò gli occhi.
«Oceano nero! Ti… ti fai mia sorella?»
«Ehi, forse sono io a farmi il tuo migliore amico!»
Sander spalancò la bocca. «Oceano nero», ripeté. «Hai idea… No!» Si voltò verso Tip. «Tu hai idea di quale piantagrane ti stai beccando?» Sollevò entrambe le mani, all’improvviso, e scosse il capo. «No, vi prego, non ne voglio sapere niente. Farò finta di non averlo sentito.» Poi sghignazzò. «Non ci posso credere. Ecco che diamine avevi da scrivere a Roberto Blanco, dal carcere. E ti sei ben guardato dal dirmelo.»
Tip gonfiò le guance a palloncino. «Ti dispiace?»
Sander strinse le palpebre. «Gustav, sei come un fratello per me e giuro che di fratelli non me ne mancano, quindi…» Sollevò il petto con aria solenne. «Sarò sincero: se non sei tu il primo a essere dispiaciuto, non lo sarò neppure io.»
«Lo so.»
«Oh, grazie tante», borbottò JJ.
Suo fratello fece una smorfia disperata. «Vedi? Sarà questo che avrai.»
«Sander, ci vado a letto, non l’ho sposato.»
Lui si premette le mani sulle orecchie come fanno i bambini. «Bah, bah, bah, non ho sentito niente.»
JJ ridacchiò e lo tirò per i pantaloni per avvicinare le labbra al suo orecchio. «E mi scopa da dio.»
Fingendo esacerbazione, lui l’agguantò e le mise una mano sulla bocca. «Non li voglio, i dettagli, piccola fetente che non sei altro.» La spinse verso il cavallo. «Fila a casa», ordinò lanciando un’occhiata all’amico che rideva sotto i baffi.
Se Tip provava imbarazzo, non lo diede a vedere. Montando sull’altro cavallo, seguì i due fratelli Jannacci sulle stradine polverose de l’Isola Madre, per poi riscendere su una delle calette a ovest, dove lasciarono le loro cavalcature e salirono sulla barchetta di un loro amico. Scesero su una delle isole e raggiunsero a piedi una casetta bianca, dai bordi rossi. Un unico piano terra che si estendeva su uno dei pochi punti pianeggianti dell’isola, forse di tutte le Isole di Taormina.
Due ragazzi adolescenti, fulgidi riflessi di mogano sul capo, vennero verso di loro e nello stesso tempo chiamarono la madre a gran voce. Diversamente da Tip, JJ provò un vago disagio a quell’assalto da parte dei fratelli più piccoli.
Tonio aveva una peluria leggera sul volto e una voce irriconoscibile. Sarina, i capelli sulle spalle, aveva la pelle candida e le fossette del padre. Estella uscì dalla porta, proprio quando loro la raggiunsero, sul vialetto delimitato dall’ibisco. Salutò Tip e strinse a sé la sorella maggiore, con una dolcezza femminile che ricordava più Elena Esposito che Jennie Jannacci.
Nessuno, però, strinse JJ più di quanto fece Teresa Jannacci. I capelli schiariti dalla mezza età, le minuscole efelidi su un volto che si sforzava di trattenere il pianto.
Tip si sorprese a domandarsi se, abbracciando e dondolando la figlia, non stesse facendo lo stesso anche con Tomas, ovunque lui fosse. JJ non protestò e attese in silenzio che fosse lei a sciogliere l’abbraccio.
La madre la scostò per guardarla. «Che Nostra Signora ti benedica, ti cresceranno mai questi capelli?»
JJ arricciò il naso. «No, mamma, non lo sai che i capelli dopo una certa età non crescono più? Come l’altezza.»
«Ah, queste sono le risposte che dava tuo padre», rispose assestandole una sculacciata leggera.
«Veramente, queste sono le risposte che dai tu», si intromise Estella.
«E tu non fare la spia», la rimbeccò la madre.
«Ma di quale altezza parliamo?» le canzonò Tonio.
JJ gli diede uno schiaffetto. «Sono ancora più alta di te, fratellino.»
«Per poco, vedrai.»
Teresa lanciò un’occhiataccia al figlio. «Avanti, gente, tutti in casa, al fresco; ci sono dolci e tante cose da bere.»
«Succo di cocco, cocco e acqua e cocco», spiegò Tonio con un tono più lagnoso del dovuto.
Sander gli diede uno scappellotto. «Porta rispetto, ragazzino.»
«Ma è la verità. In questa casa non si può più dire la verità?»
Tip, che ricordava Tonio più o meno in fasce, gli mise un braccio sulle spalle, notando che qualche riflesso sui capelli appariva dorato. «I fratelli grandi non capiscono niente. Lasciali blaterare.»
«Non è vero», lo contraddisse nello stesso tempo Estella. «Abbiamo preparato il ginger ale.»
«Tradizione diretta dalla nostra nordica nonna», spiegò Sander a Tip.
Lui gonfiò le guance a palloncino. «Non sarà che, sotto, sotto siete dei modificati?»
Sander lo spintonò, Tip fece per fare lo stesso, ma l’amico sgattaiolò via come un ragazzino.
Mentre il sole iniziava a scendere, allungando le ombre fuori la casa, la signora Teresa fece accomodare i figli e Tip come se stesse dando un ricevimento. Quando tutti ebbero fatto il loro primo giro di bicchieri e i dolcetti fatti la mattina iniziarono a sparire, la signora Teresa si rivolse a Tip. «Ti ho fatto sistemare una stanza, è tutta tua. Puoi rimanere quanto vuoi.»
«Grazie, Teresa, ma la mia casa a Santa Maria va benissimo. Resterò qui solo qualche giorno.»
Lei si strinse nelle spalle. «Beh, visto che Elena non c’è e sarai solo, potrai venire a stare da noi quando vuoi. E non fare complimenti.»
Sander si schiarì la gola. «Veramente, Tip tornerà a casa sua con tua figlia JJ. Le cronache raccontano che ci sia del tenero, tra i due.»
Proprio come aveva fatto lui poco prima, Teresa sgranò gli occhi e guardò la figlia. «Per tutti i merluzzi, Jennie Jannacci, te ne vai in giro per il mondo per ritornare con il tuo vicino di casa?»
Lei abbassò lo sguardo, tuttavia le sfuggì un sorriso.
«Un attimo, non eravamo vicini di casa», protestò Tip. «Al massimo eravamo vicini di isola.»
Teresa sembrò non averlo neppure sentito. «Voglio sperare che tu non sia più quel ragazzino farabutto che eri, cabròn.»
Sander le toccò una spalla, incoraggiante. «Non lo è più, ora è un uomo… farabutto.»
Lei alzò le mani. «Vergine Maria, non ne voglio sapere niente.»
«Reagiamo tutti così, è giusto», convenne Sander con fare teatrale.
Teresa lanciò un’occhiataccia a Tip.
«Ma tu, figlio di Esposito, prova a spezzare il cuore alla mia bambina e io ti spezzo tutte le gambe che hai. Tutte e tre!»
«Mamma!» la ripresero Estella e Sarina. E Tonio sghignazzò.
La donna non si lasciò neppure sfiorare dal rimprovero e alzò il mento fissando Tip, prima di cambiare argomento. Nonostante tutto, nei giorni che seguirono si dimostrò la donna che Tip ricordava, molto simile a Sander, nel suo prendersi cura della famiglia.
Il primogenito era in cerca di una barca con la quale pescare e Tip girò per i vari isolotti insieme a lui, sperando di trovare qualche affare. Tip si recò sull’isola dove era vissuto con la sua famiglia, vi rimase il tempo di vedere la sua vecchia casa - ora con una famiglia con due bambini - e tornare via.
JJ si impegnò a fondo per non prendersela con le sorelle e, contro ogni sua aspettativa, ci riuscì. Chiese a Sander di Naïma e involontariamente lui guardò Tip, più in basso, verso gli scogli, che parlava con Tonio.
«Gli è sfuggito», si affrettò a dire JJ.
«Cosa, esattamente? Perché Tip non ne sa nulla.»
JJ si mise le mani sui fianchi, guardando il fratello con un cesto pieno di banane. «E a me cosa dici?»
«Proprio un bel niente.»
«È carina», concesse.
Sander la guardò di sottecchi. «Non ti dirò nulla lo stesso.»
Dal momento che Tip non era con loro, JJ aggiunse, con ostentata indifferenza. «La chiami habibati o ruh qalbi?»
«Ma che domande fai? Certo che no.»
«Almeno sai cosa significa? Secondo me, non lo sai.»
«Certo che lo so, vuoi insegnare l’arabo a me, sorellina? Habibati significa “mia amante” o “mio amore” o una stronzata simile e ruh qalbi, non so, “cuore mio” o “vita mia”; gli arabi sono di uno smielato insopportabile! Il tuo fratellone è alla tua altezza, signorina, sei contenta?»
JJ non riuscì a trattenere un sorriso. «Contentissima.»
Sander alzò gli occhi al cielo e si incamminò verso casa.
Sebbene JJ si stesse dando della stupida, perché “amore” lo aveva tatuato sulla pelle e le sarebbe bastato ricordare una delle pronunce o accezioni, era troppo concentrata a dissimulare un’inaspettata, infantile felicità.
Poiché non trovarono la barca che Sander desiderava, Tip e JJ si fecero accompagnare al porto dell’Isola Madre e si imbarcarono sulla nave che trasportava merce e eggeri da Nuova Sousse a Santa Maria.
A casa, Tip trovò una sorpresa che non si aspettava così presto e che JJ nemmeno immaginava. Una cavalla nera, giovane, dagli occhi sfuggenti, pascolava senza fretta nel suo terreno, insieme a un puledro altrettanto nero e sfuggente.
«E questi?» domandò JJ, con la fronte corrucciata.
Tip entrò nel recinto e avvicinò le due bestie. «Vengono da Tampàr. Dovevano arrivare tra un mese, ma evidentemente li hanno imbarcati prima.»
JJ sollevò un sopracciglio mostrando che quella spiegazione fosse comunque poco chiara.
«Li ho presi io, quando ero giù. Sono andato a ritirare i soldi e li ho visti, così ho deciso di comprarli tutti e due. Il puledro è per te.»
«Per me?» ripeté JJ.
Tip la guardò; il sole le illuminava il capo di riflessi rossi. Si avvicinò al cavallino e senza toccarlo si voltò verso JJ indicando se stesso e il puledro. «Vedi? Il principe blu non c’è, e il cavallo bianco neppure. Per te, un ammiraglio e un puledro rigorosamente neri», concluse facendo la voce profonda e mettendosi sull’attenti.
JJ scoppiò a ridere.
Tip si sentì il cuore in gola. Chi lo aveva detto che non rideva mai? E, soprattutto, quando aveva pensato che bastasse una risata? Un raggio di sole dopo la tempesta diventa una carezza quando ti sfiora la pelle; l’oceano diventa infinito quando lo senti infrangersi nelle vene; la corsa di un cavallo diventa musica quando ti rimbomba nel petto; l’acqua nel deserto diventa vita quando scivola sulla lingua e rincorre il sangue dentro di te. Lei era lì, sotto il sole dell’equatore, a ridere di niente, a rubargli sorrisi che riverberavano sentimenti sconosciuti, a bruciare il mare celato in lui.
Il puledro trotterellò via.
Tip fece un broncio giocoso. «Oh, no, volevo fartelo accarezzare.»
Dolci spire di calore invasero il corpo di JJ. «Non morirò se non lo accarezzo oggi. Possiamo sopravvivere tutti e due anche così.» Sfiorò il braccio di Tip, ora accanto a lei. «È molto bello, grazie. Non credo di aver mai ricevuto un regalo tanto… importante. Stai realizzando un sogno.»
«Beh, aspetta a dirlo, habibati: lo stallone da montare a pelo sarà un problema tuo. Un bel problema, perché quel puledrino sarà uno stronzo. Però posso aiutarti nella doma», aggiunse mentre tornavano sui loro i, verso casa. «Come ti dissi, non ne avrei bisogno, ma ho deciso di fare proprio quanto detto: domare cavalli, fare il maniscalco e quello che capita quando mi va. Così do lavoro a qualche ragazzino di Santa Maria e mi… come ha detto Shayl’n? Mi costruisco la mia nuova vita.»
All’ombra del portico, si fermarono a contemplare i quattro cavalli.
Nel silenzio della valle, si udiva il fruscio del mare poco distante; i bianchi fiori dei frangipani che sembravano avere luce propria ed emanavano un profumo delicato.
«Credi», mormorò JJ «che sia sciocco, in un momento così perfetto, pensare che Tomas mi manca da morire?»
Tip le posò un braccio sulla spalla e la attrasse a sé. «No. Io stavo proprio pensando a Tap. Ho capito che sono nei momenti più pieni di emozioni che le persone che amiamo ci mancano di più.»
Il puledro prese a correre sul prato per poi sparire dietro a una vegetazione mista. Tornò indietro e girò intorno ai tre adulti un paio di volte, al galoppo, si gettò a terra, rotolò e saltellò verso la madre che con il muso gli diede una botta affettuosa, prima di sparire con lui dietro le canne sulla riva del fiume.
Tip fece tintinnare le chiavi di casa. «C’è ancora molto da fare, ho bisogno di una mano e, in caso, anche di un veterinario. Tu come te la cavi?»
JJ si strinse nelle spalle. «Non sono un veterinario. Ho solo qualche conoscenza per tirare avanti.»
Con un sospiro, Tip la lasciò. «Si inizia sempre da qualche parte. E c’è molto da fare in ogni caso. JJ, vuoi lavorare per me?»
«Cos’è, una cosa romantica, ammiraglio?»
Tip fece una smorfia disgustata. «È un’offerta di lavoro, mocciosa.»
Lei si voltò a guardarlo con un sorrisetto sbarazzino. «Ho vitto e alloggio?»
Drizzando le spalle, Tip assunse un’espressione seria. «Ovvio.»
«E quando dovrei iniziare?»
«Subito.»
JJ si sollevò sulla punta dei piedi e gli sfiorò le labbra con un bacio. «Accetto solo se posso continuare a scoparmi il titolare.»
«Sei assunta.»
Ringraziamenti
Eccomi di nuovo qui. Una pagina che ancora non mi crea problemi, ma temo lo farà presto, visti tutti i ringraziamenti che faccio durante l’anno. Ciò non toglie che io non ci tenga sempre a farli.
Questa volta, prima di ogni altra cosa, il ringraziamento va ai lettori: senza di voi, non ci sarebbe stata questa storia di Tip; non ero certa di volerla scrivere e non ero certa di volerla pubblicare e invece, alla fine, sono giunta fino a qui. Da quando ho pubblicato Nuova Terra, ho conosciuto un sacco di belle persone che mi hanno consigliata, pubblicizzata e sostenuta e questo vale tutto il prezzo della scelta di autopubblicarmi, nonostante i mille no e gli altrettanti “non è abbastanza” che sono giunti dalle case editrici. Se ci credo ancora, è perché ci credete voi, forse più di me.
Bruci il mare è una novità per la sottoscritta, perché rientra in un genere che non avevo mai pensato di affrontare, eppure è uscito fuori scrivendosi da solo, uscendo dalla penna con estrema facilità, perché prima di tutto è un disegno di caratteri e sentimenti. Grazie perché mi avete fatto vivere altre vite, altre storie, altre emozioni, non proprio caste...
Detto ciò, vorrei ringraziare Giusy Cristofaro, Jenny Marchesini, Martina Govoni, Monica Ciurli e Paola Tronchi; non vi agitate, squalette, siete in ordine alfabetico! Grazie per la sincerità, l’acidume, gli incoraggiamenti e, soprattutto, per aver sopportato tutti i giorni tutte le Dil e meno Dil che si presentavano alla porta del web.
Un ringraziamento doveroso e prurroso al mio gatto-marito virtuale, nonché
editor ufficiale, Grey Delacroix, che ha sempre un consiglio per me nonostante i suoi mille impegni di grafico in erba.
Per le notti ate a segnalarmi refusi, un grazie speciale a Claudia “f”.
Grazie a Sheila Mazzei, gallina mannara reale, nonché mia “bradigella” e portatrice di bavagli, grazie per le note, lo spam e i messaggini molto intelligenti che ci inviamo. Vedrai che arriverà anche lo spin off su Dahal e la gallina… Scusa se ho le dita incrociate proprio ora, ma mi fa fatica scrociarle!
Per le belle parole che mi arrivano ancora oggi grazie ad Alessandra Sgavetta, Barbara Castellano, Emanuela Verso, Lorenza Bartolini, Manuela Pigna, Romy Riva, Valentina Colucelli, Valentina Masserani.
Grazie alle fantastiche recensioni e commenti in giro per il web di Romina Principato, Jessica Gomirato, Angela Stasi.
Per aver pensato da sola di aiutarmi con la copertina, grazie mille a Lice Musso, che ha lottato con il fuoco insieme a me. Anche se questa in particolare non l’ha fatta lei, per lo stesso motivo un grazie infinito alla mia creatrice di copertine ufficiale, Livia de Simone, che dà volto ai miei personaggi e ascolta i miei “potresti cambiare questo e quello?”
Grazie a David Ranieri che, ormai ufficialmente tradito con Tigri e contrabbandieri, ha deciso di tenermi con sé.
Grazie per la pubblicità a Bianca Morandi, Eleonora Giorgi, Roberta Artesani e Claudio Cordella e ai blog di Diario di Pensieri Persi, La bella e il cavaliere, Romanticamente Fantasy, Scrittevolemente, Sognando Leggendo, UrbanFantasy.it.
Un pensiero va a Velluto, Sundance Kid e l’Araba: non ci siete più, ma quando penso ai cavalli, penso a voi.
Grazie a Chiara Venturini, perché sono riuscita a mollare i colli con i libri anche a lei, ma in fondo che ci stanno a fare gli amici se non si beccano almeno un paio di colli?
Poiché il titolo finale è stato deciso dai membri del gruppo di Facebook Nuova Terra, grazie a chi ha votato, anche se non vi ho accontentati tutti perché avete votato altro; l’autopubblicazione tira fuori quel po’ di democratico che mi è rimasto.
So che siete in tanti a seguirmi nella Terra della Rete, anche se non posso nominarvi uno per uno, grazie per esserci, per i consigli, le risate e, soprattutto, per la fiducia che mi date.
Grazie, per ultima ma per prima, a JJ, quella vera…
Curiosità e note d'autore su
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