Una settimana in rosa
Di Arianna Raimondi
A te, che hai tinto la mia vita di rosa: ti dedico questo libro nella speranza che molti altri potranno trarne spunto.
A te, che hai sempre creduto in me, e che da poco tempo te ne sei andata: ti dedico questo libro perché tu possa vivere in queste pagine.
A te, che amo come un figlio: perché non esiste solo l’amore romantico.
Prologo
Per chi ha voglia di innamorarsi e per chi lo è già. Per chi spera, per chi crede, per chi sogna. Perché innamorarsi è come cadere in un sogno: a volte è bello, a volte è brutto; ma ti chiederai sempre se è vero e se te lo meriti. Infine, dedicato a chi ama. Perché amare è tutta un’altra cosa. Amare non è innamorarsi, non è cadere in sogno o sperare. Amare è fare, amare è mettersi in gioco. Ami se dai parte della tua vita in mano ad un altro, ma nel frattempo tu ti fai carico della sua. Ami se sei vivo. L’amore non è il traguardo, l’amore è il premio. Per chi ha capito da tempo queste verità e per chi le deve ancora scoprire. Per chi leggendo si innamora: si innamora dell’autore, dei personaggi, dei luoghi e delle storie. Per chi sa che quella storia è stata creata apposta per lui. Per chi avrà pazienza. Perché parlare d’amore è difficile, descriverlo, lo è ancora di più. Si ama per natura così come si respira, non c’è un modo giusto di amare e uno sbagliato. Tuttavia alcuni temerari si apprestano a insegnarlo. Esattamente come nella vita, che non ne basta una per viverla senza perdersi niente, una storia non è sufficiente a descriverlo.
Quante vite servono per comprendere l’amore? Noi ne abbiamo solo una e la nostra sola esperienza non basta. Serve l’esperienza di tutti. Nessuno può insegnare l’amore perché nessuno conosce tutte le storie. Io voglio provare a raccontarlo. Abbiate pazienza perché l’amore non si può capire tutto d’un fiato in un solo giorno; l’amore come ogni frutto deve maturare per essere buono. Perciò non abbiate fretta e vivete l’amore giorno per giorno... …e se avrete pazienza, avrete la saggezza.
Giorno 1
Il palloncino del destino
Capitolo 1
Lunedì mattina, il momento più brutto della settimana. La domenica gli amici ti invitano fuori per l’aperitivo, e tu pensi, come posso mancare? Solo che, tra una cosa e l’altra il tempo scorre in fretta, e non ti accorgi che si sono fatte le 10. Stai per andare a casa quando nel parcheggio del locale trovi un amico che non vedevi da tempo e ti invita a bere qualcosa. Come si fa a dire di no? Non lo vedi da tanto ed è stata una fortuna incontrarlo così. Una bevuta in compagnia non fa male a nessuno. Ma a causa di questa decisione riesci a buttarti a letto solo all’1.
Così eccomi qui. Sono le 7.45 del mattino, dovrei essere appena fuori dalla porta pronta per salire in macchina; invece sto bevendo un caffè di fretta al posto della colazione, ho capelli da spavento e non ho il tempo di farmi una doccia, mi sono spruzzata più profumo di quello che avrei messo normalmente, e indosso la mia divisa da lavoro per risparmiare tempo. Devo essere sul posto di lavoro alle 8.00 e il negozio dista 10 minuti di macchina da casa mia.
Lavoro per un negozio di vestiti, non di quelli super lusso e di alta moda; no, io lavoro in un centro commerciale che aprirà alle 9.00, ma devo essere a quell’ora affinché io e le altre commesse possiamo disporre i vestiti nei reparti. Non ho tempo per imprevisti.
La sveglia avrebbe dovuto suonare alle 7.00, ma ovviamente non la ho sentita. Maledetto Gio! Perché ti ho incontrato nel parcheggio?! Anzi, non sarei proprio dovuta uscire per l’aperitivo. Ma se non mi diverto a ventisei anni quando lo faccio?
La cosa che mi spaventa di più è il mio capo, è più acida e aspra del limone. È acida quanto uno sgrassatore che scioglie qualsiasi cosa incontra. Non ho mai assaggiato uno sgrassatore ma sono abbastanza sicura che abbia un sapore orribile, perciò credo che il paragone sia l’ideale.
7.46 lavo i denti.
7.49 metto le scarpe, un paio di ballerine così le indosso subito. Non s’intonano alla divisa ma oggi non è aria per essere pignole.
7.50 sono in macchina.
Non ho ascoltato le notizie oggi, spero non ci siano incidenti in autostrada. Non devo entrarci, ma di solito quando accade è tutto fermo e quindi impiego 30 minuti per raggiungere il centro commerciale.
8.03 sono davanti al negozio. Non ho trovato il solito posto e quindi ho dovuto fare un po’ di strada a piedi.
Il negozio sembra essere deserto. Bene! Sguscio dentro cercando di non farmi vedere e vado ad appoggiare le mie cose.
“Cristina! Sei in ritardo!” manca poco che mi viene un infarto. Il mio capo è in piedi davanti alla porta del magazzino.
“Si, cioè, no! Ho appena finito di mettermi la divisa da lavoro Agata” cerco di mentire.
“Stai cercando di fregarmi? Sai che non sei in grado di mentire Cristina. Vai insieme alle tue colleghe a sistemare i vestiti sugli scaffali prima che ci ripenso”
“Si vado subito Agata. Appoggio solo le mie cose”
“Ah, Cristina!? Questo tuo ritardo ti costerà un’ora di straordinario. Non pagato ovvio. Se hai qualcosa da ridire dovrò fare una lettera di richiamo”
“Ma …” ma poi m’interrompo e decido di optare per un sarcastico “Grazie Agata!”. 5 minuti di ritardo e mi tocca are un’ora in più in negozio.
Ma quanto è acida quella?!
Capitolo 2
La mia pazienza fu messa a dura prova. Agata si è divertita per tutto il giorno a farmi stare in due posti contemporaneamente:
“Cristina! In cassa c’è la fila! Che aspetti a servire i clienti?”
E subito mi ritrovo costretta a lasciare i vestiti che stavo piegando per correre a servire i clienti in cassa.
“Cristina. La cassa è vuota. Potresti servire i signori che cercano una camicia per il ragazzo? Io devo già occuparmi di altro”
Fu un continuo così per otto ore di lavoro più lo straordinario. Ma cosa dovevo fare? Del resto non era la prima volta che facevo tardi al lavoro, anzi, diciamo che stava diventando una tradizione del lunedì. Quindi mi toccò ingoiare il boccone amaro e andare avanti a mangiare quell’orribile pasto. Però imparai una lezione: mai far arrabbiare Agata in periodo di saldi con una commessa in maternità e una in ferie, o la pagherai cara.
Dopo quell’orribile giornata di lavoro ero esausta. Usai le mie ultime forze per arrivare alla macchina pensando che quando sarei arrivata a casa mi sarei buttata nella mia vasca piena di oli essenziali. Non solo: avrei chiamato il “pizza man” aspettando la mia gustosissima pizza d’asporto guardando un film in televisione fino a che il sonno non si sarebbe impossessato di me.
Arrivata alla macchina mi accorgo che c’è qualcosa di strano. Mi sono sempre chiesta dove finiscono i palloncini gonfiati ad elio una volta che vengono lanciati in aria. Ho sempre avuto due teorie: la prima che uscissero dalla terra fino ad arrivare a viaggiare nello spazio fino a che qualcosa li avesse fatti scoppiare; la seconda che volassero in alto fino a che per la troppa pressione e il caldo li avrebbero scoppiati o disintegrati. In ogni caso, mai mi sarei immaginata che uno di loro sarebbe finito sulla mia macchina.
La scena sembra quasi triste: un palloncino che vola curvo come se fosse un vecchio postino stremato per la troppa strada, che regge quella letterina tutta umida, e quella cordicella impigliata all’antenna della mia macchina. Lo provo a liberare sperando che in questo modo possa riprendere il suo cammino, ma lui rimane lì fermo come se fosse giunto alla sua ultima destinazione.
Se non fosse per il fatto che è mezzo sgonfio sarebbe un bellissimo palloncino: un cuore rosso brillantato.
Adesso che era sgonfio però, assomigliava ad un cuore triste e rassegnato.
Leggo il bigliettino:
A te che troverai la mia lettera:
Ho dato le ali al mio cuore lasciandolo libero di trovar l’amore. Lui ha trovato te. Non deluderlo, cercami. Mi chiamo Cristian Leone. Vivo a R ...
Il resto del messaggio è illeggibile. Sembra una cosa così tenera e allo stesso tempo da imbranati. Spero che questo ragazzo non abbia riposto davvero tutte le sue speranze in questo palloncino. Anche se è un gesto così romantico!
Forse dovrei lasciare questo palloncino qui per permettere a qualcuno di altrettanto romantico di rispondere alle sue richieste.
D’altra parte questo palloncino ha incontrato me, quindi appartiene a me adesso.
Beh, me lo portai a casa senza rifletterci su.
Capitolo 3
Amo guardare film che ti fanno piangere come una fontana. Al lunedì sera è quello che ci vuole. Sei stremato per la ripresa al duro lavoro, tanto da sentirti isterica e desiderare di piangere. Ma piangere per il nulla è stupido. Per questo quella sera stavo guardando un film lacrimoso: per sfogare la mia isteria.
“Ehi, come è andata la giornata?”
Scatto leggermente per lo spavento. È Jennifer, la mia fantastica coinquilina, nonché migliore amica, che è appena rincasata.
“Non ci credo Cri! Stai ancora guardando quel film? Non lo sai a memoria ormai?”
Tiro su col naso prima di risponderle “No, non tutte le battute” poi sorrido un po’ e asciugo gli occhi. “Non è andata benissimo. Non mi sono alzata in tempo stamattina e sono arrivata tardi in ufficio”.
Non la vedevo da ieri. Di solito si alza anche lei alle 7, si prepara con calma e si reca nell’azienda dove svolge il lavoro di receptionist e segretaria. A volte torna a casa, e a volte cena col suo fidanzato e non la vedo quasi mai fino alle 8 di sera. A parte i casi in cui decidiamo di are un po’ di tempo assieme, ovvio.
“Ecco perché stamattina non ti ho vista. Neanche ieri ti ho vista rincasare. Avrei dovuto svegliarti scusami, ma sono schizzata fuori per sbrigare alcune faccende”
Mi sarebbe stato davvero d’aiuto se mi avesse svegliata per tempo, ma del resto come fargliene una colpa? L’unica volta che lo fece le tenni il muso per giorni perché mi aveva svegliata presto il mio giorno libero!
Comunque ormai era ata, ero una sopravvissuta, e avevo solo bisogno di riposarmi e andare a dormire presto.
“Che cos’è?” fece lei dopo aver ascoltato tutta la cronologia della mia orribile giornata. Stava puntando un dito verso quel cuore malconcio.
“È un palloncino a elio. Era impigliato all’antenna della mia macchina. Leggi qua!”
Mi alzo, prendo la lettera e gliela porgo.
“Che cosa romantica! Lo cercherai?”
“Non so neanche dove abita” mi affretto a ribattere.
“Vivo a R. R… Roma! Vive qui!”
“R. può stare per Rimini, Ravenna, Riccione, Reggio … Chissà quanti paesi cominciano con la R!”
“Ma quanta strada pensi che faccia un palloncino ad elio?” mi sta guardando male. Ma perché? Quanta strada fanno quei cosi? Fino a ieri credevo ne fero molta. Ora come ora, non lo so più.
“Quanta ne fanno?” chiedo.
“Non quanta ne credi tu. Dipende dal vento e da quanto elio contengono. Uhm ... e la loro grandezza, e il materiale di cui sono fatti. Questo qui è uno di quelli che trovi alle fiere. Non è molto grande, e ha fatto molto caldo in questi giorni. Siamo in estate e non piove da due settimane. Avrà viaggiato si e no per uno o due giorni. Quando da piccola portava a casa questi affari, rimanevano appiccicati al soffitto per circa due o tre giorni, dopo di che tornavano verso il pavimento fino a sdraiarsi completamente”
Quindi era probabile che abitava qui.
Capitolo 4
“Beh, mi sembra stupido cercarlo!”
“Ma è quello che vuole lui! Ed è una cosa così romantica! L’hai trovato tu! Non un uomo, non una donna di mezza età! Tu! Dev’essere destino, ci pensi?”
Non capisco perché discutere di questa cosa. Ricevi un biglietto, di un certo Cristian Leone, del quale non sai niente. È una cosa strana dare retta ad un messaggio così!
“Cosa ti fa pensare che questo Cristian abbia la nostra età?” comincio a scocciarmi. Quando Jennifer si fissa su qualcosa è impossibile farle cambiare idea.
“Vuoi rimanere zitella tutta la vita? Io non posso rimandare le nozze per tutta la vita!”
Si riferiva alla promessa che nessuna delle due si sarebbe sposata fino a che entrambe non saremmo state fidanzate ufficialmente. Promessa che risaliva ai tempi delle superiori, nel periodo in cui eravamo adolescenti. Promessa che le feci fare io siccome lei aveva più successo coi ragazzi di me. Perché si sa, una volta che hai una famiglia non puoi dedicare tutti i giorni alla tua migliore amica.
“Ma se Jack non ti ha ancora fatto la proposta!” ormai stavano assieme da quattro anni. La storia più lunga che Jennifer avesse mai avuto. Lei non aspettava altro che la sua proposta.
“Oh, ma lo farà prima o poi. E io non posso dirgli sì e abbandonare la mia amica in questa casa così grande tutta sola! Dai per favore! Cercalo! Che ti costa? Una piccola ricerca sui social network ed è fatta!”
Ovviamente aveva già il portatile e stava per mettersi seduta davanti lo schermo per incominciare la navigazione.
Purtroppo Jennifer è fatta così: è quella amica che non vorresti cambiare mai, ma che allo stesso tempo ti domandi perché si ostina a essere sempre così.
Capitolo 5
Non so come ma alla fine Jennifer riuscì davvero a trovare un Cristian Leone che viveva a Roma.
Non ha neanche finito di gridare “trovato!” che già gli sta scrivendo un messaggio.
“Caro Cristian. Ho ricevuto il tuo palloncino e sono molto curiosa di conoscerti!” ripete lei mentre digita.
Sicuramente quando leggerà quel messaggio bloccherà il contatto e non lo sentirò mai più.
“Ma sei pazza? Non siamo neanche sicure che sia effettivamente lui”
Improvvisamente sentii un capogiro. Mi sembrava surreale che stesse succedendo davvero. Nel mondo non ti puoi fidare davvero di nessuno, perché questo Cristian dovrebbe fidarsi di una pazza che gli scrive un messaggio del genere. Poi vai a spiegargli che quel messaggio è stato scritto dalla mia amica cocciuta.
Però devo ammettere che è molto bello. In quella foto seduto sulla sabbia con il dorso scoperto e la pelle appena abbronzata sembra un sogno. Sarebbe troppo
bello se rispondesse in modo positivo al messaggio.
“Se continui così a farti problemi e ad essere dedita solo ad un lavoro che tra l’altro odi, rimarrai zitella” dice Jennifer acida mentre chiude il sito.
“Va bene Jenni, tanto hai vinto tu”
Non le permetto neanche di ribattere e me ne vado nella mia camera. Magari quando mi sveglierò l’indomani riderò di questo sogno assurdo.
Capitolo 6
Purtroppo non era un sogno. Ci credetti fino in fondo tant’è vero che lavorai per tutta la giornata credendo che era ancora lunedì, piuttosto che martedì; ma quando tornai a casa, Jennifer distrusse letteralmente la mia illusione con la sua domanda: “Hai controllato se ti ha risposto Cristian?”
“Ho lavorato tutta la mattina” le dico un po’ acida.
“Beh allora guarda adesso! Che aspetti? Accendo subito il computer!” fa lei tutta felice.
“No!” grido un po’ troppo ad alta voce
“Oh andiamo! Non vorrai ancora rifare la storia di ieri” sta per accendere il pc.
“Ma che cosa hai capito? Non intendevo quello. Solo che voglio guardare io”
“Fantastico! Allora vieni qui che guardiamo assieme”
“Ecco … Vorrei un po’ di privacy” le dico sperando di non offenderla.
“Ah. Capisco. Beh si certo è ovvio. Potrebbe essere l’uomo della tua vita. Approvo il tuo atteggiamento. Però poi mi racconti i dettagli vero?”
“Sì, certo. Ora guardo da sola”
Cercai di farle capire che volevo che andasse nell’altra stanza, ma ovviamente lei si era già seduta sul divano, in quella comoda posizione da cui poteva sbirciare.
“Andrò in camera mia” sollevando il portatile.
Prima che possa ribattere, mi chiudo la porta alle spalle.
Comincio a darmi da fare con quella macchina, che mi sembra più lenta del solito.
Come apro la pagina mi si ferma il respiro. In alto vi è un piccolo numerino vicino all’immagine del fumetto. Ho un nuovo messaggio.
Controllo solo che sia suo, cercando di non leggere altro.
Chiudo subito la pagina per riprendere fiato.
Mi ha risposto. Potrebbe avermi risposto qualsiasi cosa: di lasciarlo stare, di smetterla di importunarlo, o che lui non ha inviato nessun messaggio in un palloncino.
Meglio ignorare quel messaggio. Se scrivessi che è stata colpa di una mia amica un po’ impicciona mi risponderebbe di tenere a bada il mio . Il che non sarebbe neanche un brutto consiglio. Per far in modo che Jennifer non venga mai a conoscenza di quel messaggio, sarebbe sufficiente cambiare la .
Dopo aver preso questa piccola precauzione contro i ficcanaso, tornai in salotto dove mi aspettava Jennifer.
“Allora?! Ti ha scritto?”
“No”
“Perché ci hai messo così tanto tempo se non ti ha scritto? Mi stai nascondendo qualcosa?”
“Il computer era lento, e poi sono tornata sul suo profilo a vedere la foto. È davvero carino!”
“Vedi che certe volte ti do buoni consigli?”
Fortunatamente le bastò quella motivazione.
Capitolo 7
Dopo un paio di settimane la curiosità si fece sentire.
Era ato così tato tempo che forse persino lui non ci pensava più. Inoltre volevo sapere quanto fosse grande la figura che avevo fatto.
Dopo un paio di giorni Jennifer aveva perso le speranze. Non provò nemmeno ad accedere sul mio profilo; o perlomeno se lo fece non venne a lamentarsi con me quando le era stato detto che aveva inserito la sbagliata.
Perciò aspettai il momento giusto per leggere finalmente il messaggio in tutta tranquillità.
“Carissima Cristina! Innanzitutto grazie per la risposta. Quel palloncino che ho inviato era un po’ un gioco. Ovviamente non mi aspettavo che qualcuno lo prendesse sul serio! Non ho neanche scritto l’indirizzo completo. Se vuoi conoscermi va bene”
A differenza di ciò che io avevo pensato, sembrava un messaggio amichevole. Cominciai a digitare la risposta.
“Caro Cristian, voglio essere sincera: non volevo rispondere in realtà. Diciamo solo che mi sono fatta troppo prendere dagli incitamenti di un’amica. Mi farebbe
piacere conoscerti. Tra l’altro mi accorgo solo ora che i nostri nomi sono quasi simili. Beh parlami un po’ di te: cosa ti ha spinto ad affidare ad un palloncino a elio la ricerca di amore? Ovviamente se me lo vuoi dire”
Sto facendolo veramente? Sto parlando con lui come se niente fosse? Se Jennifer lo sapesse, farebbe i salti di gioia continuando a ripetermi che aveva ragione.
Ci rifletto un attimo e decido che non dirò niente a Jennifer, almeno finché non avrei conosciuto meglio questo tizio.
Qualche ora più tardi Cristian aveva risposto al mio ultimo messaggio e mi disse che quel palloncino era più un impulso che una vera speranza. Si era chiesto cosa fosse successo se lo avesse fatto, e prima di poter realizzare come avrebbe reagito ad una risposta, lo aveva già destinato al suo viaggio per il cielo.
In realtà non abitava a Roma, ma in qualche paese vicino; mentre scriveva si era detto che il palloncino lo avrebbe potuto ricevere chiunque e che forse scrivere la verità era poco prudente.
Decisi di fidarmi e di dare un'opportunità a quella strana amicizia virtuale. Gli raccontai del mio lavoro da cassiera e della mia convivenza con quella amica impicciona quale era Jennifer. Le raccontai che il mio sogno in realtà era quello di disegnare vestiti, ma ero finita a venderli per mancanza di sfortuna.
Lui mi disse dei suoi gusti nella musica, nel cibo, del suo lavoro da informatico e che non aveva ancora fatto il o di vivere da solo.
Quell’amicizia virtuale si fece sempre più profonda nel giro di qualche settimana, quando lui disse di dovermi dire qualcosa di importante, ma prima voleva vedermi dal vivo.
Era arrivato il momento di dirlo a Jennifer.
Capitolo 8
“Cosa?! Perché non mi hai etto niente?” come prevedevo Jennifer è scioccata.
“Perché avevo bisogno di tempo”
“Non ti fidi più di me? Non avresti mai scritto a quel tizio se non fosse stato per me!” brontola lei.
“Non capisci Jennifer? Tu gli hai scritto senza rifletterci. Poteva essere un delinquente, un pazzo, o la persona sbagliata. Lo hai fatto senza chiedermelo prima, e col mio nome. Perciò poi alla fine ho deciso di fare a modo mio con la mia velocità!”
“L’ho solo fatto per aiutarti! Volevo dare una svolta alla tua vita sentimentale!”
“È proprio questo il problema, per una volta dovresti farti gli affari tuoi piuttosto di pensare alla mia vita sentimentale! Io non ho bisogno del tuo aiuto!”
Non lo avevo previsto, ma stavamo litigando.
“Io volevo solo aiutarti! Se tanto non t’interessava com’è che adesso lo vuoi
vedere!?”
“Nemmeno lui voleva vedermi subito. Se fosse stato per te, chissà cosa gli avresti scritto e chissà che figura mi avresti fatto fare! Non tutti sono come te, e non tutti agiscono senza pensare. Tu sei una persona che non usa il cervello quando fa le cose, io sì. Lo incontrerò perché io lo ho deciso, e tu devi solo smetterla di farti gli affari miei” vorrei rimangiarmi ciò che ho appena detto ma è troppo tardi.
Non mi sorprende che senza una parola se ne va in camera sua sbattendosi la porta alle spalle.
Rimango un po’ lì ferma chiedendomi se sia il caso di seguirla per chiederle scusa o meno. Forse dovrei, ma lei ha proprio esagerato scrivendo quel messaggio senza darmi altra scelta. Non aveva diritto di prendersela perché ho deciso di tenere un segreto.
Sono le sette in punto e il mio stomaco brontola. Tra poco Jennifer uscirà dalla stanza per andare a magiare dal suo fidanzato e non mi degnerà neanche di uno sguardo. Il frigo è quasi vuoto, e alla fine rimarrei a rodermi il fegato fino al suo rientro per far scoppiare un altro litigio.
Meglio che esco e me ne vado al primo bar che trovo. Quando avrò finito la mia cena in solitudine, uscirò con qualche amica.
Capitolo 9
Quando rientrai a casa a notte fonda, ero così assonnata che non me ne accorsi. Solo quando mi svegliai per la mia colazione domenicale, vidi il suo messaggio sul frigo.
“Hai detto che d’ora in poi dovrei farmi gli affari miei, e così sarà. Hai ragione ti ho trattata come una sorellina minore ed ho cercato di controllare la tua vita, anche rimanendo qui per pagare metà dell’affitto e aiutarti quindi a non rimanere al verde. Tu non me lo hai mai chiesto, ma data la quantità di soldi che mi chiedi sempre avevo pensato avessi bisogno di una coinquilina. Ho anch’io un segreto che non ti ho detto, lo sapevi Cri? Jack da qualche tempo mi ha proposto di vivere con lui, cosa che io ho stupidamente rimandato. Adesso mi sembra giusto accettare la tua proposta e pensare e andare avanti con la mia vita; quindi accetto la sua offerta e non tornerò indietro. Non lo farò nemmeno se dovessimo far pace. Ti auguro un in bocca al lupo per tutto, e ti chiedo scusa se sono stata un’amica così invadente”
Era un messaggio amichevole e minaccioso allo stesso tempo. Chi s’immaginava che Jennifer prendesse così a cuore una promessa fatta anni fa? Forse per lei era giusto così, quella lite l’aveva aiutata ad andare avanti.
Osservo quella casa ormai troppo grande e silenziosa.
“E adesso?” mi dico ad alta voce alla ricerca di un segno.
L’orologio batte le dieci. “Meglio che ti prepari per cominciare il turno a lavoro” dice con il suo suono fastidioso.
Odio quello stupido lavoro in negozio. Il centro commerciale non chiude mai, perciò per me non esistono weekend. Fortunatamente quel giorno il turno cominciava un po’ più tardi, altrimenti sarei stata già morta.
Nient’altro. Non arriva nulla che mi possa aiutare. Niente che mi spieghi come posso proseguire anch’io come ha fatto Jennifer.
Cerco la divisa come il solito, ma non riesco a trovare quella stupida maglietta. Adesso come faccio? Dovrò comprarmi un altro cambio che Agata detrarrà dal mio stipendio.
“Forse dovrei cercarmi un altro lavoro” penso ricordando le svariate volte che Jennifer me lo consigliava.
Sono tante le cose che dovrei cominciare a fare ora che Jennifer non c’è più. Finché lei era qui, ho sempre vissuto come se lei badasse a me. Non avevo problemi di soldi, non ero mai sola, e a volte trovavo persino la cena pronta. Vivere così era addirittura facile.
All’inizio tutto era così bello: eravamo due ragazze non ancora mature, che volevano avere un futuro e crescere in fretta. Tuttavia cinque anni non sono bastati a farci crescere, o per lo meno, non sono bastati per far crescere me. Lavoro da quattro anni in quel dannato negozio che tuttora odio, ho visto ragazze o donne assunte dopo di me a far carriera più velocemente, ma io invece sono perennemente pagata con un misero stipendio.
Sono Single da tre anni, e comunque non faccio niente per trovare un fidanzato. Forse Jennifer, pur essendo iperprotettiva, aveva in parte ragione.
Capitolo 10
Mi presentai all’appuntamento esattamente due giorni dopo. L’incontro avvenne in un bar carino non lontano da dove abitavo.
“Ciao Cristina” mi sorride educatamente.
“Cristian” dico senza riuscire ad aggiungere altro. Vedersi dal vivo è un po’ strano.
“Ti offro qualcosa da bere?”
“Volentieri”
Ci sediamo a un tavolo.
Era esattamente uguale alla foto del suo profilo: abbronzato, capelli castani, fisico tonico.
“Che situazione strana” penso ad alta voce.
“Lo penso anch’io” dice capendo a cosa mi riferisco. “Però dopotutto ciò che è strano è più divertente di ciò che è normale”
ammo due ore a parlare del più e del meno in quel bar, e alla fine lui mi disse di avere un impegno e si offrì di accompagnarmi a casa.
“Sai? Non mi hai più detto quella cosa importante” dico davanti alla porta di casa.
“Forse è meglio che ne parliamo la prossima volta”
Un po’ delusa quanto curiosa lo saluto e rimango lì ferma mentre lo guardo allontanarsi.
Si voltò solo una volta per salutarmi velocemente, e poi continuò sui suoi i guardando davanti a sé. Chissà a cosa pensava.
Capitolo 11
Dovetti aspettare altri tre incontri prima di scoprire qual era la cosa importante che doveva dirmi.
Ogni volta se ne dimenticava, e quando glielo ricordavo io a fine incontro diceva sempre “la prossima volta”.
Il secondo appuntamento avvenne in spiaggia, fu piuttosto romantico.
Il terzo appuntamento a cena e poi al cinema.
Al quarto ci incontrammo in un pub, e avvenne qualcosa che trasformò la nostra amicizia nell’inizio di una storia d’amore: il primo bacio.
Ormai cominciavo ad affezionarmi e a ringraziare segretamente Jennifer, quell’amica che non avevo più avuto il coraggio di chiamare dopo il suo trasferimento.
Al quinto appuntamento mi venne a prendermi fuori casa.
Facciamo qualche o poi interrompo il suo discorso appena iniziato: “Penso
che adesso dovresti proprio dirmi quella cosa importante”
“Sì, credo sia giusto” tutto a un tratto sembra nervoso.
“Non voglio metterti fretta, se non sei ancora pronto possiamo aspettare” dico intuendo di cosa si trattava la cosa importante che aveva da dirmi. Magari si era affezionato anche lui e doveva farmi un lungo discorso sui suoi sentimenti veri e profondi nei miei confronti. Effettivamente la mia curiosità mi aveva portata a non ragionare, e nemmeno io sapevo come reagire a un ti amo, o a un ti voglio bene.
“No, è giusto che tu sappia. Non voglio prenderti in giro” dice poi interrompendo i miei pensieri.
Comincio a pensare di aver capito male.
“Io ho già una ragazza”
“Temo di non aver capito bene”
“Ho una fidanzata. Stiamo assieme da quasi un anno ormai”
“E la tua ricerca del vero amore? E il palloncino?” sono confusa. Perché mai una persona dovrebbe cercare il vero amore se lo ha già accanto?
“Ero con dei miei amici. Avevamo litigato. Io e i miei amici ci siamo messi a scherzare dopo qualche birra con loro, e allora ho fatto una scommessa, che avrei trovato amore migliore di lei lanciando un palloncino. Perciò lo ho fatto, ma non credevo che qualcuno avrebbe veramente risposto. Lei sta cercando davvero di migliorare, e non voglio ferirla”
“Una scommessa?”
“Non eravamo sobri”
“Oh, capisco. Quindi non eri sobrio quando mi hai risposto al messaggio, o quando mi hai baciata? Oppure ti hanno offerto così tanto che hai deciso di portare avanti quella scommessa?”
“No, ho fatto tutto di testa mia. Mi sembravi una bella ragazza e davvero simpatica. Poi conoscendoti ho anche imparato ad apprezzarti”
“Baci tutte le persone simpatiche Cristian?”
“No, tu mi piaci davvero”
“Però tutto si ferma qui perché hai una ragazza che hai aspettato a menzionare finché non ti ho costretto”
“Non è proprio così”
“E com’è allora?”
Non rispose.
“Io me ne vado. Ciao Cristian mi ha fatto piacere conoscerti, meno piacere scoprire come sei veramente” mi allontano prima di scoppiare a piangere davanti a lui.
C’era solo una persona che volevo vedere in quel momento.
Senza nemmeno pensare a cosa le avrei detto presi la linea B della metropolitana e mi diressi nella nuova abitazione di Jennifer.
Capitolo 12
Al citofono rispose Jack.
“Jack, sono Cri. Posso parlare con lei?”
Lo sentii bisbigliare qualcosa lontano dall’alto parlante del citofono.
“Cri, mi dispiace ma Jenny non è in casa”
“Jack, smettila. Lo so che è lì vicino a te e non mi vuole vedere perché ci ho messo un sacco di tempo prima di cercarla. Vuole davvero finire una così bella amicizia per uno stupido litigio?”
“Non so cosa dirti Cri. Mi dispiace, non dipende da me”
Evidentemente Jennifer non era più lì accanto a lui, altrimenti avrebbe ribadito che Jennifer non era in casa. Insistere sarebbe stato inutile.
“Va bene Jack. Grazie lo stesso”
Poi mi sedetti sul marciapiede davanti al suo cancello di casa.
Non so quanto tempo ò prima che sentissi la voce di Jennifer alle mie spalle.
“Cosa stai facendo?”
Mi alzo e la vedo dall’altra parte del cancello.
“Ti aspetto” le dico
“Lo vedo, ma sono le quattro e mezzo! Non dovresti sbrigarti per andare al lavoro?”
Il lavoro! Mi ero completamente dimenticata.
“Non ci ho pensato”
“Beh allora corri e in bocca al lupo con Agata” si gira per rientrare in casa.
“Non ci vado più al lavoro ormai” le grido per fermarla “è troppo tardi”
“E se ti licenziano?”
“Ne cercherò un altro. Tu mi hai sempre consigliato di smetterla di lavorare lì”
“Sei pazza Cri”
“E tu sei l’unica vera amica che ho”
Jennifer rimane lì a guardami per un minuto che sembra interminabile, poi dice: “Se vuoi davvero rischiare, allora è meglio che tu lo faccia per qualcosa che ne vale davvero la pena”
Sento un click di apertura del cancello.
Corro ad abbracciarla e le dico: “Per te potrei anche entrare in una casa che sta bruciando” e poi scoppio in lacrime.
Quando entro in casa le racconto tutto su Cristian.
“Mi sento responsabile” dice Jenny.
“Non devi. Tu volevi solo spingermi a fare la cosa migliore”
“Adesso come stai?”
“Sinceramente male. Tutto quello che è successo, mi ha fatto capire quanto odio la mia vita”
“Cosa vuoi fare?”
“Non lo so. Posso stare qui con voi per un po’? Non voglio tornare a casa”
“Certo, finché vuoi” dice Jack mentre ci porta due tazzine con il caffè.
arono due settimane prima che mi decisi a tornare a casa.
In tutto questo tempo riuscii a trovare un nuovo lavoro non lontano da casa in un negozio di abiti da sposa.
Cominciai persino a scrivere annunci per cercare una nuova oppure un nuovo coinquilino. Sicuramente non avrei trovato nessuno meglio di Jennifer, ma almeno avevo qualcuno con cui dividere la casa. Andai a trovare persino i miei genitori, e questi si complimentarono con me, e mi dissero per la prima volta che erano orgogliosi.
Alla fine quando tornai a casa, trovai una sorpresa: Cristian era in piedi davanti
al mio citofono.
"Cosa ci fai qui?"
"Ti o scritto, ma tu non mi hai più risposto"
"Sono stata piuttosto impegnata. E poi credevo non avessimo più niente da dirci"
"Sono venuto qua tutti i giorni da quel pomeriggio, ma tu non c'eri mai"
"Sono stata a casa di una amica"
"Mi dispiace. Mi sono comportato male"
"Sei venuto fin qui solo per dirmi questo?"
"Più o meno. Volevo dirti un milione di cose, ma non so da quale cominciare"
"Comincia dalla prima"
"Ti ho risposto perché ho avuto l'impressione che se non lo avessi fatto lo avrei
rimpianto"
"Io non volevo neanche scriverti; mi ha costretta un'amica"
"Ricordami di ringraziarla un giorno"
"Cristian hai una ragazza! Vai a casa da lei!"
"Non la ho più. La ho lasciata"
"Beh mi dispiace. Prova con un altro palloncino, forse questa volta vinci la scommessa"
"Non era solo una scommessa. Mi piacevi davvero. Mi piaci ancora, per questo ho lasciato la mia ragazza da quell'ultimo pomeriggio che ti ho vista"
Si avvicina a me lentamente, quasi come se avesse paura.
"La hai lasciata per me?"
"Si"
"Non mi conosci così a fondo. Non puoi esser certo che io sia perfetta"
"Non m'importa"
Alla fine non so come, mi diede un altro bacio, io gli concessi un'altra opportunità.
Questa volta telefonai per dirlo subito a Jennifer e tutti insieme uscimmo per il settimo appuntamento.
Diventai la sua fidanzata e dopo un lungo periodo di ricerca, trovai il mio nuovo coinquilino.
Giorno 2
Scusa ma amo un altro
Capitolo 1
Demetrio era il ragazzo della porta accanto. Precisamente della mia. Abitavamo vicini fin dall’asilo, e ci conoscevamo da altrettanto tempo.
Le nostre madri erano grandi amiche da chissà quanti anni, i nostri padri si vedevano una volta a settimana per una serata “soli uomini” in sala-giochi con una palla in mano gridando a ogni Strike. Se non giocavano a Bowling bevevano una birra.
Chiamavo la madre di Demetrio zia, poiché era così che me l’avevano presentata, e per i miei primi anni di vita credetti davvero che il mio migliore amico fosse mio cugino.
Quando mia madre mi disse che in realtà la madre di Demetrio non era sua sorella, e quindi lui non era mio cugino, scoppiai a piangere.
Cominciai a notare che, in effetti, non mi somigliava per niente. Così Demetrio diventò il ragazzo della porta accanto. Rimase comunque il mio migliore amico.
Da bambino sembrava un personaggio appena uscito da un cartone. Non perché fe ridere, ma perché era uno di quegli eroi che sanno sempre risolvere le situazioni difficili. Quei protagonisti che vivono storie di avventura con animali strani e curiosi, oppure devono affrontare e risolvere qualche pasticcio. Un bimbo eroe. Aveva pure uno strano animaletto: Penny. Era una piccola meticcia che si faceva sempre trovare davanti la porta dell’asilo, e poi camminava al suo
fianco scodinzolando verso sua madre. Quei due erano sempre vicini come se fossero inseparabili. Purtroppo Penny non era così giovane, e morì quando Demetrio aveva solo dieci anni.
Non giocava con le macchine come gli altri bambini, ma giocava spesso a calcio. Era bravo in tutti i ruoli, portiere, attaccante, difensore, e il suo allenatore incitava i suoi compagni di squadra a prenderlo come esempio. Amava il calcio per colpa dei nostri padri. Persino il mio, a cui era capitata la disgrazia di un'unica figlia femmina, si divertiva ad impartirgli nozioni di quello sport da maschi. Io cominciai a giocare grazie a lui, poiché dopo gli incontri con i nostri padri spiegava tutto a me con pazienza.
Alle elementari era il preferito di tutte le maestre, il migliore amico di tutti i compagni e il sogno di tutte le compagne. Le bambine cercavano di avere la sua attenzione, e odiavano me quando giocavamo assieme. Ero un maschiaccio.
I miei genitori lavoravano, perciò dopo scuola, sua madre veniva a prenderci e mi portava a casa sua.
Fu il mio migliore amico fino ai primi anni delle superiori, in seguito la sua ragazza mi disse chiaramente di smetterla di assillare il suo fidanzato.
Quando si lasciarono, ovviamente, le cose non tornarono come i vecchi tempi. Mi chiamava e mi scriveva spesso, ma ci vedevamo di rado. Lui era sempre preso con i suoi amici, io avevo i miei; lui aveva il calcio, e io la pallavolo. Era difficile far coincidere gli appuntamenti. I nostri genitori invece continuavano a vedersi con la stessa frequenza di prima.
A quindici anni, quel bambino dai riccioli biondo scuro, alto e dolce si era trasformato in un ragazzo alto atletico e romantico. Adesso non gli interessavano più le ragazze che si divertivano giocando a calcio, bensì lo attiravano le uscite con gli amici in compagnia e ragazze odiose e popolari che si divertivano facendo gossip. Era una fase che stava ando come un’altra. Io ero sempre lì per lui, disposta a dargli consigli e a consolarlo se c’era bisogno: mi chiamava per lunghe e lacrimose telefonate, e io dovevo spiegargli esattamente cosa aveva sbagliato con quella ragazza. Tuttavia avevo pur diritto a farmi una vita anch’io. Perciò vivevamo uno accanto all’altra, frequentavamo la stessa scuola, ma ci vedevamo per lo più tra i corridoi o quando per caso uscivamo o rientravamo nello stesso istante.
Era diventata un’amicizia virtuale: una di quelle amicizie ridotte a rimanere tali solo dietro il fastidioso schermo di un computer.
Quando i suoi occhi scuri cominciarono a riempirsi di acqua come il mare a causa di quelle pettegole che si ostinava a frequentare, decise di chiudere con tutte le ragazze e di fare la corte a quell’unica amica che per lungo tempo lo aveva sostenuto.
Purtroppo però, successe quando fui proprio io a essere investita da una nuova fase: quella delle gonne, trucco pesante e serate in discoteca. Avevamo diciassette anni.
Capitolo 2
Sono stata battezzata come Maria Martina, ma mi hanno sempre chiamata Marty. In pochi sanno che il mio primo nome in realtà sia Maria, e comunque tutti hanno sempre usato il diminutivo. Ho i capelli rossi e un po’ arruffati. Il viso pieno di lentiggini, gli occhi verdi e il mio nasino un po’ a punta decora armoniosamente il tutto.
Giocherellona e solare, abbandonai le bambole già all’età di sei o sette anni per tuffarmi negli sport. Non ho mai avuto animali, e fino all’età di dieci anni non ho mai vantato altri amici all’infuori di Demetrio.
Ricordo ancora gelosamente le serate in cui mia madre faceva da babysitter a Demetrio per concedere una serata di pace a Mirella e Gianni. Dopo la cena ci concedeva qualche oretta per giocare e poi ci metteva a nanna nello stesso letto. Ci addormentavamo mano nella mano ed entrambi scoppiavamo in lacrime quando la mattina dopo questo legame era stato spezzato e scoprivamo che Demetrio era stato magicamente trasferito nel suo letto. Un giorno cercammo di rimanere svegli fino a notte fonda: eravamo determinati a non farci separare. Alla fine però il sonno prevalse e quell’abituale evento si ripeté anche quella notte.
Era comunque rassicurante avere un eroe come lui al mio fianco, almeno finché non veniva portato via.
Alle elementari eravamo in classe assieme, e durante l’intervallo s’inventava sempre un modo per cacciarsi nei guai. Io lo seguivo qualsiasi cosa lui fe.
Avevo otto anni quando mi diede un bacio. Eravamo poco più che bambini e scambiammo quel gesto innocente come un atto d’amicizia.
Alle medie ci separarono, e aspettavamo l’intervallo per vederci. Alla fine delle lezioni tornavamo a casa mano nella mano come due bambini, ma quando i compagni cominciarono a prenderci in giro dicendo che eravamo due fidanzatini, fingevamo di percorrere due strade separate. Tornavamo l’uno accanto all’altra solo quando eravamo sicuri che nessuno ci vedesse.
Mi innamorai di lui alle superiori, quando mi scoprii gelosa a vederlo are da una ragazza all’altra.
Lo aspettai. Rimasi sola di proposito nella speranza che prima o poi si sarebbe accorto di me. Anche se ci incontravamo di rado, ero sempre lì per lui, rispondevo sempre alle sue chiamate improvvise, e mi isolavo dagli amici pur di ascoltare i suoi pianti. Quando capii che ciò non sarebbe mai accaduto qualcosa in me cambiò per sempre e decisi che non volevo essere più sola. Cominciai a flirtare coi ragazzi e presto cominciai a dedicarmi anche al mio aspetto.
Quando lui si accorse di me fu troppo tardi. Non perché avevo trovato un nuovo ragazzo, ma perché il mio orgoglio mi ripeteva che mi voleva soltanto come pezzo di ricambio. Dopo tutti i suoi insuccessi con le ragazze aveva deciso di accontentarsi dell’unica ragazza che gli sembrava sincera. Quella ragazza ormai non esisteva più e faceva collezione di cuori spezzati. Alla fine decisi di collezionare anche il suo e litigammo.
Fu molto triste: si dichiarò e io lo accusai di falsità ed egoismo. Gli dissi che era uno stupido se credeva che io lo accettavo dopo averlo aspettato per anni e aver
sopportato tutta quella fila di ragazze che erano arrivate prima di me. Gli dissi che era un poverino, e che si era interessato a me solo perché adesso ero diventata una bella ragazza. Una ragazza che però non lo desiderava più.
Non ci parlammo più per due anni.
A diciannove anni trovai finalmente il mio primo vero ragazzo.
Era un ragazzo tranquillo e totalmente privo d’iniziativa.
La storia finì per colpa di Demetrio.
Fu proprio il mio ragazzo a mandarmi nella tana del lupo, dicendomi che era stupido cambiare strada e di farmi coraggio e salutarlo.
Così Demetrio incominciò a farneticare, mostrando ovviamente imbarazzo. Io gli dissi di rilassarsi gli chiesi come andava la vita. Gli dissi che il giorno precedente avevo visto con piacere sua madre e che se voleva di tanto in tanto poteva venire a farci visita. Demetrio prese alla lettera quell’invito e cominciò a farmi visita. Da una visita cortese e casuale incominciammo a vederci tutti i giorni. Dimenticai però di dirlo al mio ragazzo e in un modo o nell’altro la storia finì.
Me la presi con Demetrio ovviamente, ma si giustificò dicendo che non era colpa sua se avevo tenuto nascosto la cosa, e che il mio ragazzo era soltanto uno stupido.
Bastarono solo due mesi per rendermi conto che di quel ragazzo non ero veramente innamorata, e che forse, Demetrio mi aveva fatto soltanto un favore.
Capitolo 3
A vent’anni compiuti, il destino decise di farmi un regalo strano. Mi regalò un fidanzato di nome Giuseppe.
Lo avevo conosciuto nell'ufficio dove lavoravo, aveva cinque anni in più di me, era alto, atletico, capelli e occhi scuri.
Era davvero speciale. Non era geloso del mio rinnovato rapporto con Demetrio come il precedente ragazzo, e non avevo nemmeno paura a confessargli che ci eravamo visti ma avevo dimenticato di dirglielo.
Si fidava di me e per lui non era importante.
In sua compagnia stavo davvero bene, e mi meravigliavo di quanto veloce scorresse il tempo in sua compagnia.
Insomma era il fidanzato perfetto.
Demetrio lo odiava. Non faceva altro che dirmi quanto fosse noioso, o che fosse privo di senso dell’umorismo.
Lo accusavo di gelosia, dicevo che era egoista perché ogni volta che ero felice lui aveva sempre da ridire. Litigavamo, e alla fine Demetrio tornava dicendo che non era geloso ma che lo diceva solo perché era vero e mi voleva bene.
Gli credevo sempre.
Giuseppe era un bravissimo ragazzo. Mi rassicurava, mi riempiva di sorprese, e con lui ridevo sempre. Aveva un anno in più di me, era un gran lavoratore e un perfetto studente universitario. Mi sono sempre domandata come fe a conciliare il tutto, senza trascurare né me, né gli amici.
Tutte m’invidiavano. Non facevano altro che dirmi: “Marty come hai fatto a trovare un ragazzo così perfetto?” Ogni volta io rispondevo: “Nel negozio di principi azzurri, era l’ultimo esemplare, e così ne ho approfittato” Mi portava a teatro, alle feste, al cinema, a cena, ovunque. Lo amavo profondamente. O almeno così credevo fino a che Demetrio non rovinò tutto.
M’invitò alla sua festa di compleanno. Quel giorno Giuseppe non poteva venire perché aveva un’importante partita di basket con la sua squadra. Non provò nemmeno a insistere per dare buca a Demetrio; mi disse invece, che se per me il compleanno del mio amico era importante dovevo andare e divertirmi, e magari lui mi avrebbe raggiunta più tardi.
Essere a una festa senza di lui era davvero strano. Vedevo ballare Demetrio prima con una ragazza poi con l’altra. Sentivo dentro di me qualche emozione
che era molto simile alla rabbia.
Alla fine della festa si avvicinò a me porgendomi un cocktail e incitandomi a divertirmi di più.
Ricordo che mi feci assalire dalla rabbia e gli dissi che era impossibile per me divertirmi senza il mio ragazzo, mentre il mio migliore amico si divertiva con un sacco di sgualdrine.
Quello che successe dopo, probabilmente, fu solo a causa di quei dannati cocktails. Mi baciò all’improvviso ed io non lo respinsi. Solo quando lo allontanai da me, mi venne in mente Giuseppe e gli tirai uno schiaffo.
Lasciai la festa subito dopo.
Capitolo 4
Non era necessario che Giuseppe lo sapesse. Tuttavia avevo bisogno di sfogo, così comincia a scrivere un diario.
Da piccola lo tenevo aggiornato ogni cosa succedesse, ma con gli anni cominciai ad annotare solo i fatti più importanti.
“Mi ha baciata. Così davanti a tutti. Non mi devo agitare, probabilmente non sapeva nemmeno cosa faceva. Probabilmente domani non si ricorderà nulla ed io non devo farmi strane idee su di lui. Probabilmente non ricorderà nemmeno quelle ragazze cui ha fatto la corte per tutta la sera. Beh, meglio così, loro non lo meritano.
Però mi ha baciata. Una bacio che per anni ho desiderato e atteso. Sì, certo, era già capitato, ma eravamo bambini. Questa volta mi ha dato un bacio da grandi. Cosa significava per lui? Perché ha aspettato fino ad oggi? Perché proprio adesso che sto con Giuseppe? E perché mi sento così confusa?”
Scrissi queste parole sul diario e poi chiamai immediatamente Giuseppe. Gli dissi che ero tornata a casa perché mi sentivo stanca e perché alla festa non conoscevo nessuno ed era stata piuttosto noiosa. Ci accordammo poi per vederci il giorno seguente ed entrai nel letto.
Purtroppo non chiusi occhio per buona parte della notte: la mia mente continuava a vagare su quelle strane emozioni che erano nate con quel bacio.
Qualche giorno dopo andai da Demetrio per sapere come stava. Ero decisa a metterci una pietra sopra e probabilmente lui non ricordava nemmeno cosa fosse successo.
Sua madre disse che era uscito e m’invitò ad aspettarlo in salotto.
Chiacchierammo piacevolmente per un paio d’ore e alla fine mi rassegnai e tornai a casa. Sua madre promise che mi avrebbe fatto chiamare non appena fosse rientrato, ma niente, nessuna chiamata arrivò al mio cellulare.
Scrissi di nuovo sul mio diario.
“Dev’essere successo qualcosa. Demetrio mi evita e non capisco perché.”
La risposta al mio dubbio arrivò dopo qualche giorno quando lo vidi in centro con una delle ragazze che alla festa gli ronzavano attorno. Lo salutai, ma non mi degnò neanche di uno sguardo. A quel punto una profonda certezza attraversò la mia mente: si ricordava tutto.
Giuseppe cominciò a insospettirsi e mi chiese se davvero non fosse successo niente alla festa.
Da quel giorno scrissi sul mio diario anche più di una volta al giorno. Annotavo per lo più brevi pensieri come “Lo fa per farmi ingelosire!” oppure “non sopporto di vederlo con quella ragazza!”.
Più Demetrio mi evitava, e più io cercavo di riavvicinarmi a lui. Non potevo negare che stavo male a causa di questa distanza, e soprattutto che quel bacio aveva scatenato in me qualche emozione.
Tuttavia più mi riavvicinavo a Demetrio, più mi allontanavo da Giuseppe.
Capii di amare in realtà Demetrio quando lui mi confessò che aveva quell’atteggiamento nei miei confronti soltanto perché cercava di dimenticarmi. Dopo quelle parole fui io a baciarlo.
In quell’occasione non fuggii.
Qualcosa era cambiato: avevo definitivamente cancellato Giuseppe, e realizzato quel mio apparente destino.
Il ragazzo della porta accanto era lì in piedi davanti a me sorridente. Voleva me, e nonostante tutto io volevo ancora lui.
Mi disse di essere innamorato di me da anni ormai, e che poteva essere felice solo sapendomi al suo fianco.
Gli chiesi del tempo per pensare. Non so perché lo feci, forse per i sensi di colpa, forse perché non sapevo come liberarmi di Giuseppe.
Assorta dai pensieri scrissi sul mio diario:
“Oggi mi ha baciata ancora. Sento di amarlo. È da un po’ che i miei sentimenti sono riaffiorati, ma non ho detto niente a nessuno. Non so più cosa provo per Giuseppe. Lo amo? Non lo amo più? Non lo so. E se anche non lo amassi non so come lasciarlo. So solo che desidero Demetrio. Finalmente dopo anni che lo ho aspettato lui mi ama, e io anche! Perché non dovremmo stare insieme? Ma Giuseppe? Cosa gli dirò? Non posso ancora lasciarlo, né dirgli confessargli ciò che provo per Demetrio. Se fosse la scelta sbagliata lo perderò per sempre. E Demetrio? Si aspetta una risposta da me. Che gli dico? Io desidero ardentemente frequentarlo, lo desidero davvero. Con quel suo bacio ho provato cose che nessuno mi ha mai fatto provare”
Cominciai a frequentare Demetrio di nascosto. Involontariamente diventai fredda nei confronti di Giuseppe. Non lo amavo più. Certo, avrei potuto lasciarlo, ma ero una codarda, e non sapevo come l’avrebbe presa. Il solo pensiero di doverlo fare mi faceva venire l’ansia.
Un giorno Demetrio mi disse: “Non ce la faccio più ad andare avanti così, voglio che tu sia mia! O lo lasci, o ti lascio io” Aveva ragione. Non potevamo andare avanti così, non era giusto né nei confronti suoi, né in quelli di Giuseppe. Gli promisi che quella stessa sera avrei detto tutto a Giuseppe.
Tornai a casa, preparandomi il discorso che avrei fatto di lì a poco con il mio futuro “ex”, ma quando arrivai in camera mia, trovai una spiacevole sorpresa:
Giuseppe era seduto alla mia scrivania mentre leggeva il mio diario.
Rimasi lì, in attesa con i muscoli tesi. Quando arrivò all’ultima pagina richiuse violentemente il tutto, si alzò e se ne andò dicendomi soltanto “Addio”.
Non provai nemmeno a fermarlo. Del resto non era ciò che volevo davvero. Mi sentivo come se mi fossi liberata di un peso, e ciò che fosse successo era solo un bene.
Non si fermò, e non si voltò indietro.
Come biasimarlo dopo quello che aveva letto?
Quel ragazzo che per tanto tempo era stato speciale, ora si sentiva come un vecchio straccio, che ormai inutile, viene buttato nella spazzatura.
Fu proprio l’ultimo pensiero, scritto alcuni giorni prima, a spezzare il suo cuore.
Nell’ultimo foglio scritto appariva una frase piena di felicità per qualcuno, ma contente malinconia per qualcun altro:
“Amo un altro, e qualsiasi cosa succeda non posso fingere che non sia così”.
Giorno 3
Amore e amare ma poi…
Capitolo 1
Gli uomini … sono tutti uguali. Questo è ciò che di solito si dice per giustificare le loro ignobili azioni.
Ci riempiono di complimenti, ci fanno sciogliere un po’ a fiamma viva, e quando siamo cotte a puntino siamo pronte per essere divorate. Noi siamo così, flirtiamo con loro senza problemi, credendo che siamo noi a dirigere i giochi.
Spesso li dirigiamo veramente, ma chissà come alla fine quelle che si lamentano di esser state ferite siamo noi. Forse perché ci innamoriamo dei cattivi ragazzi e rifiutiamo i bravi. Non capiamo che i cosiddetti cattivi ragazzi sono spiriti liberi che hanno bisogno dei loro spazi e dei loro tempi. Noi invece, con l’intento di cambiarli li soffochiamo.
Tutt’altra storia è quando lui ci mente giurandoci amore eterno, promettendoci di sposarci un giorno, di onorarci e di avere solo e soltanto noi; quando in realtà nella sua testa noi siamo solo una preda facile di cui si ciberanno questa sera. Noi siamo le uniche, così giurano.
Proprio così: si tratta di quel classico uomo che non diventa cieco davanti a una bella donna, che magari col corpo da modella è più carina di noi. Quel genere che sa apprezzare le bellezze naturali, ma che purtroppo, non essendo all’altezza di tali bellezze, si accontenta.
Tuttavia ci tengo a chiedere: non è che anche voi vi state accontentando di lui?
Senza girarci attorno oltre, mi chiamo Giada. Bionda, magra, atletica, occhi verdi e alta. Non sono la classica bionda stupida che si vede nei film: sono laureata e so fare calcoli più complicati di due più due. Ne ho comunque l’aspetto. Perlomeno, questo è quello che pensavano di me i ragazzi.
Ormai credo di conoscerli bene. Per non farmi male li ho classificati in stereotipi:
Quelli che ti danno l’esclusiva, ma se li soffochi scappano. Quelli che non ti danno l’esclusiva, e allora scappa tu. Non che non ci sono stereotipi tra noi ragazze, anzi, ce ne sono molti, e alcuni sono anche peggiori di quelli sopraelencati. Si sa, noi ragazze se vogliamo, sappiamo essere cattive. Solo che a volte lo stiamo con le persone sbagliate.
Basta solo fare un esempio: rinfacciamo a un nuovo ragazzo perfetto un cuore infranto.
Potrei farne altri, ma mi allontanerei dal mio caso.
Capitolo 2
Il primo ragazzo che ebbi era un mio caro amico. Mi amava, così diceva, perché ero l’unica ragazza che gli dava attenzioni. Fu un amore infelice. Pieno di liti e privo di ione. Non so perché mi convinsi a dargli un’opportunità: forse per le sue continue suppliche o tutti quei corteggiamenti alla fine mi fecero credere che era un ragazzo speciale.
Quando tutto cominciò i corteggiamenti finirono, ci vedevamo raramente, e spesso coi suoi amici. Le mie amiche non esistevano per lui, e l’unico momento di ione era quando cercava di spingermi sotto le coperte.
Troppo poco per credere che fosse una storia duratura.
Il secondo ragazzo era un eterno indeciso. ai tre mesi a frequentarlo aspettando che lui capisse che ero la ragazza giusta per lui, ma troppo tardi capii che tre mesi senza avere l’esclusiva erano troppi. E che ci credete o no, quella che venne mollata fui io.
Il terzo fu il migliore: fui io a fare la prima mossa, ero sempre io a impegnarmi con lui, ma ad un certo punto smise di scrivermi, chiamarmi o farsi vedere. Finché non mi fiondai a casa sua e lo trovai con la sua nuova ragazza. Si era stufato di me e si era innamorato di un’altra, ma si era dimenticato di avvisarmi.
Con il quarto sono stata cieca e stupida.
Caddi tra le sue coperte dopo poche settimane che ci frequentavamo. Dopo un anno di relazione ricevetti una chiamata dalla sua amante. Se ci ripenso ora era soltanto un poveraccio che non riusciva a frenare i suoi istinti.
Ma non so perché con lui arrivai persino al fidanzamento ufficiale e a organizzare le nozze.
Capitolo 3 Fu una strana chiamata.
-Parlo con Giada? -
-Sì- risposi io
-Ho bisogno di incontrarti-
-Scusa, ma posso sapere chi sei prima? -
-Ecco, non è facile da confessare. Mi chiamo Michela. Le cose stanno così: ho avuto per qualche mese una storia col tuo ragazzo-
-È uno scherzo? -
-No, lo giuro. È incominciata da pasqua, ed è durata sei mesi. Enrico non è il ragazzo che credi… e non sei l’unica a essere stata ferita. Adesso mi ha lasciata e pare che sta con un’altra. Ti sto chiamando per vendetta-
-Cioè, fammi capire una cosa. Io sarei la ragazza che è stata cornificata, giusto?
Cornificata da te. Però adesso tu hai le corna e chiedi il mio aiuto? -
-Sì più o meno-
-Ma quanti anni hai? 12? Fammi un favore dai, vai a farti una eggiata e vai a infastidire un’altra. Perché ammesso che ti credo, non ti aiuterò mai-
E riattaccai. La voce all’altro capo del telefono sembrava davvero quella di una ragazzina. Non che io ero una donna, ma a 26 anni ero un po’ più matura di lei.
Comunque quella chiamata non mi piacque, e quando vidi Enrico gli feci are l’inferno.
-Scusa ma chi sarebbe Michela? -
-Michela? Vorrai dire Michele-
-No. Michela. Quella con cui mi hai tradita-
-Io cosa? E quest’accusa da dove arriva? -
-Da Michela, che mi ha gentilmente contattata oggi per dirmelo-
-Ma chi è questa Michela e chi l’ha mai conosciuta? -
-Non so, ma lei sembrava conoscere te. Aveva il mio numero, sapeva il tuo nome senza che glielo avessi detto io. E mi ha pure detto che la hai mollata per un’altra amante. Sai cosa ti faccio se scopro che mi tradisci? -
-Cosa mi faresti? E poi com’è che ti fidi della prima persona che ti chiama e non di me che stiamo assieme da un anno? Ti farei una cosa del genere? Pensi davvero questo di me? Mi deludi. Anzi mi dà la nausea questa tua improvvisa gelosia-
-E com’è che lei aveva il mio numero e sapeva il tuo nome? -
-Non lo so ma sicuramente sarà stato uno scherzo. Non hai detto tu di aver litigato con quella tua collega? Che cosa ci vuole? Dà il tuo numero ad una ragazzina e gli dice come realizzare lo scherzo. E tu come una stupida ci caschi. Non ti rendi conto? -
In effetti, aveva ragione. Non credevo a lui, ma mi fidavo di una persona della quale non conoscevo neanche la faccia.
-Hai ragione scusami. Sono stata stupida a essermi fidata di lei-
-Fai così. Dammi il numero e ci penso io a richiamarla domani e a dirle di non disturbarti più-
E poi il giorno dopo questa ragazza mi richiamò.
-Non fidarti di lui-
-Ancora tu? Ti ho detto di andare al diavolo. Non ti ha chiamato il mio fidanzato dicendo di smetterla di disturbarmi? -
-Sì l’ha fatto ma è troppo facile così. Posso dimostrarti di essere la sua amante se mi concedi un incontro-
-Mi dispiace ma non mi fido. Smettila di disturbarmi altrimenti sarò costretta a prendere provvedimenti-
Probabilmente mi avrebbe mostrato dei messaggi o delle foto. Comunque dopo quella chiamata non mi cercò più.
Capitolo 4
Avrei dovuto darle retta. In che mondo un traditore confessa di essere tale?
Soprattutto uno come Enrico. Un fifone come lui negherebbe persino l’evidenza.
Inoltre aveva tutte le carte in regola per essere un traditore:
E qui mi fermo e mi rifiuto di andare avanti con la lista, perché altrimenti dovrei ammettere che non mi amava e che mi sono fatta usare.
A due anni di storia eravamo in crisi. Non avevamo mai tempo per noi. Perlomeno, lui non aveva mai tempo per me. Il lunedì e il mercoledì era impegnato a calcetto. Il giovedì doveva dedicare la serata ai genitori e il martedì era la serata da uomini. Il sabato era il giorno giusto per stare soli a casa, così lo definiva lui; e il venerdì e la domenica spesso eravamo fuori a mangiare, oppure ci si ritrovava con gli amici. Tuttavia non feci niente per ribellarmi.
Due mesi in questa situazione e lui decise di lasciarmi.
-Non funziona tra di noi Giada-
-Come non funziona? -
-Non vedi? Ormai la nostra relazione è ridotta solo al weekend. E quando ci facciamo le coccole? Un giorno solo a settimana-
-Primo, non sono io ad avere sempre impegni. Secondo, mi stai lasciando per questo? -
-Non solo-
-Allora dimmi cosa succede, voglio risolvere i nostri problemi-
-Non credo sia possibile-
-Siamo messi così male? -
-Sì, sono innamorato di un’altra-
In quel momento il mio cuore smise di battere.
-Come? -
-Sono innamorato di un’altra-
-Sì ho capito, ma … non capisco-
-Non funziona tra noi. Non è più così idilliaca la nostra storia. Mentre Chiara, mi da … mi dà ciò che non mi dai tu-
-Chi sarebbe questa Chiara scusa? Visto che sei sempre coi tuoi amici in teoria maschi! Da quanto va avanti? -
-Non è mai successo niente con lei. È solo la sorella di un mio amico. E mi fa ridere. Tutto ciò che tu ormai non riesci più a fare-
Cercai di protestare ma lui m’interruppe: -Ormai è finita Giada. Non facciamoci del male-
Capitolo 5
Tornò dopo due settimane. Opposi resistenza e gli dissi che mi ero consolata con un altro. Cosa che, in parte era vera.
Una sera mi ero ubriacata ed ero finita tra le braccia di un mio amico.
Alla fine però, non so come, non capisco ancora perché, lo perdonai. Mi riempiva di rose, chiamate senza risposta, si presentava sotto al mio balcone ubriaco la notte implorandomi di dargli occasione di chiarire. Così alla fine mi convinsi.
-Spiegami perché dovrei riprenderti dopo che mi hai lasciata per un’altra-
-Perché non ci ho combinato niente con quella-
-Quindi il tuo piano di conquistarla non ha funzionato e torni dalla seconda scelta-
-No! Ti amo troppo e non sono riuscito a dimenticarti. Giada io voglio ricominciare da zero, ma con te non con un’altra. Scusami se ci ho messo due settimane per capirlo! Quando avo il tempo con lei pensavo solo ed esclusivamente a te! Giada io voglio sposarti! -
Così mi ritrovai immersa in quella storia a tal punto da accettare di sposarlo.
Incominciammo a vivere assieme, e a progettare le nozze. Organizzai tutto: vestito, chiesa, invitati, ricevimento. Tutto era organizzato nel minimo dettaglio. Ovviamente avevo dovuto fare tutto io. Lui aveva sempre qualche impegno di lavoro.
Del resto che ci potevo fare? Era un avvocato, il suo lavoro richiedeva impegno e dedizione.
La nostra storia aveva ritrovato quella sana ione dei primi giorni, e a parte quelle emergenze che aveva di tanto in tanto, era sempre al mio fianco.
Come poter credere che una persona del genere avesse una doppia vita?
Come poter credere che le avesse avute anche solo nel ato?
Lui, però, era un traditore, un bugiardo, e sarebbe sempre rimasto tale. Lo scoprii il giorno del mio addio al nubilato.
Capitolo 6
Non sarebbe dovuto succedere, avrei dovuto dormire fuori, a casa della mia amica facendo un pigiama party. Purtroppo una di noi aveva bevuto troppo e alla fine era saltato tutto.
La rabbia contro la mia amica che aveva rovinato la mia festa si era trasformata in gratitudine quando arrivai a casa mia (dove nel frattempo avevamo cominciato a vivere assieme), trovai Enrico nel letto a dormire, e scovai al suo fianco un’altra donna.
Accesi la luce ed entrambi si spaventarono.
-Immagino che tu non sia né Michela, né Chiara. Immagino che tu sia una nuova- dissi prendendo una sedia e sedendomi tranquillamente.
-Io… io mi chiamo Paola- disse la poverina tra l’imbarazzo.
-E toglimi una curiosità, tu sapevi o no di me? -
-Giada basta così per favore- fece il povero traditore. Ancora sperava di uscirne vittorioso.
-No Enrico, io ho appena cominciato. Avanti Paola, è una semplice domanda, rispondi pure-
-Ecco, io credo che tu sia sua moglie. Mi ha detto che stavate per divorziare e che non vivevate più neanche assieme e che potevamo andare da lui. Non avrei mai fatto una cosa del genere se avrei immaginato di …-
-Non ti preoccupare Paola- la interruppi prima che si mettesse a piagnucolare –è tutto ok. Non è colpa tua se Enrico è un viscido verme. E sai perché? Perché noi non siamo sposati. Non ancora. E quindi non stiamo per divorziare e tu non sei la causa della separazione. Tuttavia ci saremmo dovuti sposare tra due giorni-
-Io me ne vado, scusatemi- fece lei.
-Addio Paola- le dissi senza neanche rivolgerle uno sguardo mentre usciva dalla camera coperta dal lenzuolo e raccogliendo imbarazzata i vestiti.
Poi quando rimanemmo finalmente soli aspettai che il mio “futuro e fedele” marito dicesse qualcosa.
-L’ho appena conosciuta. Ero coi ragazzi e ho bevuto. Mi hanno costretto loro. Cambierò amici. Devo farlo hai ragione tu-
-Oh, immagino che ti abbiano spinto con la forza in questa situazione. Magari ti hanno persino minacciato. E poi sicuramente sono stati loro a raccontare a quella ragazza che stavamo divorziando. Non ti preoccupare non hai bisogno di
cambiare amici perché puoi reputare le nozze annullate. Ah, e un’ultima cosa: meglio che lasci questo appartamento poiché è intestato a me. Altrimenti spero che tu sia davvero un buon avvocato e sappia difenderti da solo-
Detto questo uscii di casa per respirare un po’. Percorsi le vie del quartiere, cercai di capire cosa fosse appena successo, poi cercai di cacciare fuori tutte le lacrime.
Incredibile: per più di due anni ero stata cieca ma ora mi accorgevo che avrei potuto aprire prima gli occhi.
Forse, la rovina del mio addio al nubilato fu un segno del destino per buttarmi davanti agli occhi la realtà.
Capitolo 7
A 27 anni avevo finalmente capito che dovevo andarci coi piedi di piombo. Ricominciai da zero e non mi buttai in una nuova storia per almeno un anno.
A 28 anni trovai finalmente la persona giusta.
Per pura omonimia si chiamava Enrico, ma non aveva niente a che fare con quello precedente.
Il nuovo Enrico era un ragazzo fine, cordiale e gentile.
Comunque quel fenomeno mi spingeva ad avere paura. O forse il nome non centrava proprio niente ed era soltanto il mio cuore infranto.
Comunque sia, mi feci attendere, e quando non lo sentivo per un po’, lo accusavo di tradimento.
Ero ingiusta lo so. Non se lo meritava perché era evidente che faceva parte della categoria del bravo ragazzo. Io però avevo sofferto tanto, e avevo paura a fidarmi ancora.
Ma amare vuol dire anche tornare a fidarsi di qualcuno quando pensiamo che in noi non c’è più niente di buono; significa cercare di offrire anche quel minimo che ci è rimasto provando a non avere paura di rimanere vuoti.
Perché alla fine di tutto sarà l’amore a riempirti.
Per farla breve, dopo continue liti sempre per causa mia, mi resi davvero conto che quel difetto di omonimia non intaccava la sostanza che vi era all’interno della persona, e che quindi non tutti gli uomini sono così uguali.
Comunque credo che non ci sia bisogno di raccontare com’è il perfetto bravo ragazzo per fornire prova della sua esistenza.
Anche perché sarebbe impossibile: ognuno è perfetto a modo suo.
Alla fine lo imparai la lezione: il nuovo Enrico era diverso, e se il mio cuore era stato spezzato non solo dal suo omonimo, ma da tutti i ragazzi precedenti, era colpa mia. Buttarsi in una storia senza amore non ne vale mai la pena.
Certo, lì per lì sei convinto di amare; ma la verità è che sei solo avvolto in un sogno e quando cominci a svegliarti, non devi fare di tutto per restare attaccato in quel sogno: a quel punto sarebbe meglio aprire gli occhi.
Non è facile. Non si può essere prevenuti davanti a tutto o si finirà per vedere solo sfumature di nero. Tuttavia, prima di lasciarsi andare col primo arrivato, è necessario chiedersi se quel ragazzo ci proteggerà come dice.
Se alla fine il cuore rimane comunque infranto l’unico modo giusto di vederla è come una sorta di dono: hai scoperto la realtà prima che sia troppo tardi.
L’importante è non diffidare mai: prima o poi la persona giusta arriverà.
Giorno 4
Se ami qualcuno, lascialo andare …
Capitolo 1
Mai, giuro, mai avrei pensato di trovarmi in una situazione simile.
Non avrei mai pensato di innamorarmi di un amore malsano, di quelli in cui senti il bisogno di vedere spesso quella persona, di sentirla sempre e di mettere in secondo piano te stessa.
Non ero mica una debole io. Ero una di quelle che pensano ad altro nella vita piuttosto che ai ragazzi. Lo sport prima di tutto, la mia carriera, e i miei sogni.
Dovevo aspettarmelo però, dato che tra i miei sogni c’era anche quello di avere una famiglia un giorno. Essere una donna in carriera e super mamma allo stesso tempo. Dev’essere quello che mi ha fregata.
Quando una donna desidera una famiglia, automaticamente si rende conto che ha bisogno di un compagno, abbassa le sue difese e da cosa nasce cosa. A quel punto anche per la donna più forte del mondo diventa un gioco da ragazzi innamorarsi perdutamente di un uomo, essere cieca davanti ai suoi difetti, e diventarne dipendente. Perché? Perché tu vuoi una famiglia e un uomo che ti coccoli; e appena un uomo ti coccola cominci a sognare un futuro assieme. È lì che sei fregata per sempre.
Caddi in quella trappola. Nella sua rete di convinzioni di esser felice, e che fosse lui l’unico a darmi questo.
-Sto bene con te, mi rendi felice! –
Davanti a questa frase dovresti accorgerti che è tutto sbagliato. Se lui se ne andasse, saresti lo stesso felice. Ma ci vorrebbe un po’ di tempo per capirlo. Quindi non è lui che ti rende felice, bensì gli stimoli che hai vivendo quella storia.
Poi mi sono resa conto che non ero me stessa. Ci ho messo quasi due anni ad accorgermene. Trascuravo i miei impegni, controllavo troppe volte il cellulare in attesa di un messaggio anche se qualcosa mi diceva che non mi avrebbe scritto: era da solo coi suoi amici e si divertiva. Che cosa importava che tu eri a casa con 39°c di febbre e l’unica cosa che desideravi era sentire la sua voce o parlare un po’ con lui?
Poi state lontani per un po’ e lui non ti scrive più in ogni momento, ormai ci è abituato alle tue partenze di lavoro occasionali.
Infine non ti dice più “ti amo” di sua spontanea volontà, te lo dice solo di rimando quando sei tu la prima a dirlo, non ti guarda più con quello sguardo ebete come se d’un tratto apparisse davanti ai suoi occhi la cosa più bella al mondo, e quella cosa sei tu.
Poi litigate e i bei tempi d’oro sono finiti. Non sembrate più immersi in quell’amore da favola ma una coppia sposata da anni.
A quel punto capii che qualcosa si era rotto.
Mai avrei pensato che mi sarei trasformata in una di quelle ragazze che stanno assieme ad un ragazzo premuroso e come delle viziate gli rinfacciano di non essere più lo stesso di cui si erano innamorate, che il loro amore non è più felice, e che fatica a dire le cose come stanno in realtà.
-Senti! Ieri sono uscita con degli amici. Uno di loro si è messo a guardarmi come se fossi bellissima. Non mi lasciava neanche per un secondo, era dolcissimo. Perché tu non mi guardi più così? Non mi dici neanche ti amo se non sono io a dirtelo per prima! Non mi scrivi quando sei coi tuoi amici. Mi sento data per scontata- ecco cosa si dovrebbe dire in certi casi.
Ma la conseguenza sarebbe che loro ti danno della paranoica, che loro ti danno tutto l’amore possibile e più di così non possono fare. Che non ti danno per scontata e che hanno diritto pure loro a divertirsi di tanto in tanto dato che quando esci con le amiche non gli scrivi in ogni momento. E che avete già discusso del “ti amo” e non lo dice perché detto troppo spesso suona banale e preferisce dimostrarlo. E non gli dite neanche della cotta del vostro amico altrimenti sareste costrette a non rivederlo più. Non perché succede qualcosa di male al vostro amico, ma perché si limiterebbero a farvi sentire male solo per aver paragonato uno qualsiasi al vostro fidanzato con cui state assieme da anni. E se voi continuate a vedere questo amico c’è qualcosa sotto.
Lo so perché è quello che ho fatto io alla fine.
Mi chiamo Claudia, ho 27 anni e sono una fidanzata eternamente insoddisfatta.
La causa di tutto ciò? Un perfetto ragazzo di 30 anni di nome Antonio.
Capitolo 2
Dopo mille tentativi inutili cercando di fargli capire che volevo di nuovo la ione dei primi momenti, avrei dovuto lasciarlo.
Forse non mi sarei trovata in quella situazione. Forse non mi sarei trovata a bussare alla porta dei suoi genitori dopo aver ato un mese da single per sua scelta.
Chissà quale fu la causa della rottura. Lui disse che era stanco delle mie continue lamentele, che non voleva continuare a trattenere una donna che con lui non poteva essere altro che infelice. Che era deluso dal fatto che nonostante tutto il suo impegno non riuscivo ad essere felice. Che se mancava la ione ed il sesso nel rapporto era a causa delle continue liti che lo mandavano in paranoia. Che continuando ad essere così infelice e insoddisfatta rendevo infelice anche lui.
Chissà come la colpa era ricaduta su di me.
Tutta questa conversazione avvenne al telefono. Dopo di che gli risposi che ero stata una stupida ad innamorarmi di un uomo così stupido, e che se mi stava lasciando faceva bene a non farsi più né vedere e né sentire. Disse solo bene e gli attaccai il telefono in faccia. Scoppiai a piangere subito dopo.
Chissà come eravamo arrivati a quel punto. Le liti ormai erano entrate a far parte del nostro rapporto; la ione sotto le coperte era calata drasticamente, tanto
che di sesso non se ne faceva da un po’. E non ci cercavamo più a vicenda come i primi momenti. Quando uscivamo con gli amici spesso ci sedevamo lontani e magari parlavamo a gruppi con persone differenti. Era cambiato tutto. Niente zucchero, niente miele. Solo due persone che si amano.
Per fortuna che c’erano anche i momenti felici. Ed erano questi che mi spingevano a continuare a desiderare un futuro felice con lui. Era incredibilmente romantico, ed era il mio migliore amico. Eravamo cambiati, ma desideravamo tutti e due far diventare veri quei progetti che avevamo fatto lungo tutto il primo anno di relazione. E quei progetti mi avevano illusa sul serio. Avevo una visione quasi idilliaca di noi nella sua casetta a dare inizio alla nostra nuova vita insieme. E non vedevo l’ora di realizzarla. Per questo spingevo di tanto in tanto per vivere assieme. Lui aveva già una casa, che cosa ci ostacolava? Ero sempre in viaggio, ecco cosa ci ostacolava. E non ero disposta ad interrompere questo genere di vita. Praticamente vivevo a casa solo poche sere a settimana e durante il weekend. Del resto essere una guida turistica comporta anche questo.
Fu quando lui si rifiutò di venire trovarmi causa mal tempo che cominciai a farmi seriamente delle domande su di noi.
-Te l’avevo detto- disse mia madre. Ovviamente non vedeva l’ora che succedesse qualcosa di simile per rinfacciarmi che il mio ragazzo era meglio perderlo che trovarlo. Lei lo odiava e non faceva altro che tirare fuori l’elenco dei suoi difetti quando si presentava occasione.
Lì per lì lo perdonai, ma la ferita non si richiuse mai completamente. Tornai e ripartii la settimana dopo per un’altra gita. Questa volta non lontano, soltanto ad una manciata di chilometri da casa. Tuttavia quella gita mi costava sei giorni lontana da casa.
La seconda sera mi venne un forte mal di testa. Talmente forte che temevo che di lì a poco sarebbe scoppiata. Dovetti sedermi. Un turista preoccupato si avvicinò a me facendomi sedere.
-Se non se la sente interrompiamo la gita, signora- mi disse.
-Signorina- lo corressi. E poi col cenno di un sorriso malinconico gli dissi che era gentile, che stavo bene e che non avrei abbandonato i miei turisti per così poco. Guidarli era la mia missione. Lui in tutta risposta mi lanciò di nuovo quello sguardo. Era uno sguardo di adorazione. Un sorriso naturale con la forza di far luccicare gli occhi. Tornò puntualmente ogni volta che ci fermavamo per assicurarsi che stessi bene. Non come Antonio che quando gli scrissi: “mal di testa atroce! Ho bisogno di una vacanza” mi rispose: “povera piccola”, senza neanche tradire la minima preoccupazione. Così decisi di non scrivergli più. Il giorno dopo gli dissi: “Ho la febbre e sono svenuta. Mi è toccato interrompere la gita. Se non miglioro entro stasera ritorno” e la risposta fu: “Mi dispiace. Vorrei essere lì a coccolarti e confortarti”.
Tutto qui? Un tempo mi avrebbe detto: “svenuta? Che ti succede?” e sarebbero arrivati una marea di messaggi ogni mezzora circa per mancata risposta.
Fu quello a farmi capire che qualcosa era cambiato veramente. E la mia assiduità nel controllare di continuo il cellulare sul posto di lavoro mi fece capire che ormai io era arrivata ai bordi di un vaso che stava per traboccare.
Capitolo 3
Così successe. La nostra storia finì qualche giorno dopo. La rabbia cresceva a ogni evidenza che nel periodo insieme non avevo notato.
Bastò per farmi essere forte e non piangere di continuo. Bastò per impedirmi di scrivergli. Bastò per farmi trovare il coraggio di uscire di nuovo con i nostri amici senza paura di rivederlo.
Ma dopo quell’evento la rabbia se ne andò e fece posto ai rimpianti.
Tutta colpa di quella sgualdrina. Non so chi fosse ma dopo un mese lui aveva già una storia con un’altra.
Solo dopo averli visti baciarsi fuori dal ristorante mentre raggiungevo il gruppo mi accorsi che in realtà avevo un doppio fine: apparire più bella che mai davanti a lui ed essere la sua pillola per la depressione.
Ma quel bacio dichiarò chiaramente che lui non era depresso e non avrei avuto altre possibilità con lui.
Così dopo circa un mese dalla rottura, ato cercando di non rimembrare i bei ricordi e tramutarmi quindi in una bellissima fontana con il pulsante rotto, andai a far visita ai suoi genitori. Mi mancavano e volevo dir loro addio.
-Ciao Claudia! Antonio non c’è. Ti ha detto che era qui? - Mi disse sua madre aprendomi la porta.
-No, sapevo di non trovarlo. Sono venuta a farvi un saluto- le dissi affettuosamente porgendole una torta.
-Sei un amore! Grazie! Ci chiedevamo quando saresti ata. Vieni, entra pure! -
Sua madre era sempre così gentile con me. Diceva che ero stata in grado di far mettere la testa a posto a suo figlio. Ma probabilmente non ero stata così brava.
Parlammo per tutto il pomeriggio davanti a quella gustosissima torta al cioccolato che ricordava tanto la felicità. Sorrisi per tutto il tempo. Almeno fino a quando sua madre non mi invitò a cena.
-Non so se è il caso! Credo di aver perso quel diritto ormai da tempo- dissi amareggiata.
-Ma cosa dici? Quale diritto? Sei la fidanzata di nostro figlio e puoi rimanere da noi a mangiare ogni volta che vuoi! Lo sai ci fa piacere! -
Ma io ero rimasta ferma all’inizio della frase: “sei la fidanzata di nostro figlio”.
-No, non sono la fidanzata di vostro figlio. Lui mi ha lasciata da un mese- e poi vedendo le loro facce scioccate aggiunsi: -Non ve l’aveva detto? -
-No, non lo sapevamo- disse il padre ancora scioccato
Non glielo aveva detto? Perché?
D’accordo, anch’io non lo avevo detto ai miei; ma io avevo una ragione più che valida: mia madre avrebbe gioito e se fossimo tornati assieme lei si sarebbe opposta con tutte le sue forze. La sua qual era?
Solo dopo quella scoperta mi accorsi che anche quella visita aveva un doppio fine: speravo in un incontro casuale.
-Cosa è successo? - suo padre interruppe le mie riflessioni.
-Non lo so. Siamo arrivati ad un punto che non riuscivamo più a comunicarerisposi amaramente. Non volevo fare la vittima e dare tutta la colpa a lui. Ero sicura che anche io avevo la mia parte di colpa, ma non completamente.
-Mi dispiace. Eravate una così bella coppia. Speravamo che un giorno … oh, non importa- disse il padre.
-Chiarirete- disse ferma la madre – Tutte le coppie attraversano questo periodo. Fa parte dell’amarsi e dell’imparare a conoscersi. Se non ci si scontra di tanto in
tanto non si impara ad apprezzare i difetti l’uno dell’altro-
Aveva ragione. Volevo indietro il mio Antonio ed ero pronta a mettere da parte l’orgoglio, e la rabbia per la sua nuova sgualdrina pur di riaverlo. Decisi di trattenermi ancora un po’. Chissà cosa avrebbe pensato se mi avesse trovata lì dai suoi senza sapere niente.
-Ci ho ripensato, mi trattengo volentieri a cena- dissi infine.
Capitolo 4
Stavo aiutando sua madre ad apparecchiare quando il tipico “click” della porta che si apre mi fece sobbalzare.
-Ecco Antonio! Vieni caro siamo in cucina! - disse la madre tutta felice.
Quando lo vidi sbucare dalla porta della cucina fui sul punto di credere che stavo per avere un infarto.
-Ciao- dissi timida. D’un tratto cominciai a chiedermi cosa ci facevo lì. Lui aveva voltato pagina, aveva una vita diversa ora e prima o poi avrebbe confessato ai suoi genitori di avere un’altra. Io non centravo più niente in quella casa.
Lo guardavo mentre mi fissava con sguardo fisso senza muoversi di un millimetro. Se ne stava lì, bello come non mai, appoggiato sullo stipite della porta.
-Vieni Antonio! Hai visto chi è venuta a trovarci? - lo incoraggiò la madre.
-Saluta come si deve la tua fidanzata! - disse il padre.
Se non avessi appoggiato in tempo il bicchiere sulla tavola, giuro, mi sarebbe caduto dalle mani. Avevo sentito bene? Suo padre stava facendo finta di non sapere per spronare il figlio a dire la verità oppure a tornare indietro nella via della pace?
Un attimo di silenzio attraversò la stanza, finché un sorrisetto quasi malefico apparve sul volto di Antonio. Lentamente si avvicinò, e mi baciò.
Potete immaginare cosa provai in quel momento. Una forte emozione mi attraversò tutto il corpo, e istintivamente sollevai le mie braccia fino a formare un cerchio perfetto per avvolgerlo in un abbraccio. Aprii gli occhi solo alla fine di quel lungo e interminabile bacio, e mi ricordai l’assurdità di quella situazione.
Era un mese che agognavo un bacio del genere. Anzi, con la crisi che ci aveva investito in quel periodo, forse lo agognavo da più tempo.
Ma quando quel bacio finì, e lui andò da sua madre chiedendo cosa ci fosse di buono da mangiare come se niente fosse, sentii crescere la rabbia dentro di me.
-Cosa significherebbe tutto questo? -
-Non capisco a cosa ti riferisci- fece Antonio calmo.
-Mi riferisco a questo! Al fatto che mi baci come se niente fosse, al fatto che tu hai un’altra ragazza e non lo hai detto ai tuoi genitori. Al fatto che dopo un mese che non ci vediamo non mi chiedi neanche come sto, e mi baci come se niente
fosse successo. Mi riferisco a questo Antonio! Al fatto che non riesco a capire cosa significa questo bacio: siamo tornati assieme? Hai lasciato la tua nuova ragazza? Ti sono mancata? O stai fingendo perché cerchi di nascondere ai tuoi genitori la verità? Perché non dici chiaramente come stanno le cose? -
Mi sentivo come se avessi appena corso una maratona.
Per così tanto tempo ci eravamo amati senza se, senza ma, senza vincoli. Poi d’un tratto abbiamo cominciato a diventare degli estranei. Io mi ero fatta prendere dalla gelosia, lui dalla mancanza di una vita di divertimento con gli amici. Io non ero disposta a sacrificare la mia carriera e fare un o avanti per vivere con lui, lui cominciava ad essere stanco di aspettarmi e dover dedicare il suo tempo libero solo ed esclusivamente a me. Sembrava tutto così chiaro, ma allo stesso tempo così confuso. Come eravamo arrivati al non affrontare i nostri problemi?
Io lo amavo ancora, e quel bacio pieno di ione dimostrava che non ero l’unica ancora attaccata alla nostra storia.
-Mamma io e Claudia usciamo un attimo- mi prese la mano e mi condusse in giardino.
La sua pelle era esattamente come la ricordavo. Quello che mi tirava delicatamente in parte era ancora il mio Antonio, e in parte non lo era più.
Quando arrivammo finalmente in giardino lui fu il primo a parlare.
-Perché sei qui oggi? -
Quella domanda mi investì come un treno. Ero lì perché non ero disposta ad arrendermi che la nostra storia fosse finita senza una spiegazione. Da quando lo vidi quella sera con la sua ragazza ero tornata in poco tempo dalla fase della depressione alla fase della negazione. Sentivo che c’era qualcosa di più che doveva essere chiarito. Sentivo di amarlo e di avere le mie colpe, e per poter arrivare finalmente alla fase dell’accettazione dovevo pulirmi la coscienza.
-Per chiederti scusa- dissi soltanto.
Per un attimo vidi Antonio confuso –Tu chiedi scusa a me? -
-Sì, sono stata capricciosa, e stupida. È vero io ero arrabbiata perché tu non eri più cieco come il primo giorno, ma non posso pretendere che la tua vita giri intorno a me. Non lo potrei pretendere nemmeno se fossimo sposati. La tua vita non mi appartiene, e l’unica cosa a cui posso aspirare è essere la persona che rimarrà accanto a te in ogni momento importante, e non, della tua vita. Ma non di essere il sole e tu il pianeta. Soprattutto se poi io non giro intorno a te. Ti ho soffocato e mi dispiace. E forse la mancanza di ione è anche colpa mia, è colpa di questo. Ti ho incolpato per il fatto che non viviamo assieme, ma tu non volevi altro che quello. Non sono mai a casa, ecco perché non abbiamo fatto quel o. Ed è ancora colpa mia. E mi dispiace anche per averti incolpato dei messaggi: neanche io quando sono fuori con le amiche e tu sei a casa adoro isolarmi per scrivere al telefono. Ma ero arrabbiata perché io facevo lo sforzo e tu no. Ma mi dispiace, non devi farlo perché ti costringo io. E mi dispiace anche che tu ti sei allontanato da me, e non hai provato neanche a farmi capire dove sbagliavo, perché credo di avere la mia parte anche in questo: litigare non piaceva neanche a me e anch’io cercavo di evitare le liti. E mi dispiace di non essermi fidata di te. Ma ho sofferto tanto nella mia vita e non riuscivo a credere che tu mi amavi incondizionatamente, e avevo paura che prima o poi mi avresti ferita anche tu-
Le lacrime cominciavano a scendere silenziose lungo le guance.
Antonio mi guardava in silenzio.
-Mi sentivo colpevole, e dovevi sapere il dispiacere che provavo. Per me la nostra storia contava molto, solo che non ero pronta ad accettarlo-
Vedendo che il suo silenzio continuava mi girai a dare sfogo alle lacrime.
-Non so cosa dire- disse soltanto.
Forse poteva farmi sapere che anche a lui dispiaceva, che aveva voglia di fare uno sforzo per tornare assieme. Probabilmente lo avrei perdonato anche se non mi avrebbe chiesto scusa. Probabilmente in quel momento, con quelle parole di scuse, lo avevo già perdonato. Avevo deciso di prendermi le mie responsabilità, e di fare un o avanti non perché credevo che fosse tutta colpa mia, ma perché anteponevo lui al mio orgoglio. E perché quella battaglia non mi interessava più così tanto.
Ma il fatto che dopo le mie parole lui non sapesse cosa dire, lasciava intendere che ormai era davvero andato oltre.
-È meglio che io vada adesso. Non è giusto che io resti qui. Per te e per me. Non è giusto neanche per i tuoi che sarebbero costretti a mangiare in un clima di ghiaccio. Ora entro a salutarli-
Quando entrai in cucina dissi semplicemente che non potevo restare e che mi dispiaceva tanto. Sua madre non cercò di insistere, ma mi diede una porzione di insalata di pollo in un contenitore di alluminio. Quel contenitore usa e getta era come un ancora di salvezza in quel momento: con uno in vetro mi sarei sentita in obbligo a tornare per restituirlo prima che fossi pronta.
La ringraziai e tornai fuori dove trovai Antonio ancora fermo dove l’avevo lasciato.
-Addio Antonio- dissi con un tono di amarezza abbracciandolo e dandogli un triste bacio sulla guancia. –Spero solo che non mi odi-
Con quella frase mi avviai fuori dal cancello che era stato gentilmente aperto dal padre, mi avviai alla mia macchina a testa alta e senza voltarmi indietro, ma con l’anima che stava riducendosi in mille pezzi.
Capitolo 5
Quando tornai a casa sentivo che ero tornata nella fase della depressione. Si stava bene lì, perché sai di essere ad un o dalla guarigione. Rimpiangi i momenti belli, e piangi perché hai capito che non rimane altro che accettare la realtà.
Fortunatamente in casa ero da sola. Mangiai in camera mia quell’insalata di pollo che sapeva soltanto di ricordi. Poi, dopo aver buttato via il contenitore mi buttai sul letto a piangere.
Quando stavo a casa, avo la maggior parte del tempo nella mia camera. A parte il bagno e la cucina, non avevo motivo per entrare nelle altre stanze della casa. Il salotto, la vecchia camera di mio fratello che ora era lo studio dei miei genitori, e la camera padronale, non le sentivo mie. La mia conteneva tutto ciò di cui avevo bisogno: la tv, il computer portatile, i miei vestiti, la scrivania, una cyclette e la mia libreria. Poi vi erano tante cornici appese alla parete, alcune contenenti paesaggi o quadri abbastanza conosciuti, altre contenenti delle foto di me e Antonio. Quando ebbi finito di sfogare le lacrime mi misi sulla schiena e abbracciai quel pupazzo che qualche tempo prima Antonio aveva vinto per me ad una fiera.
Sapevo che prima o poi avrei dovuto liberarmi di tutti quegli oggetti che mi davano malinconia. Oppure avrei dovuto imparare a far scivolare le mie emozioni senza subirle.
Ma non era quello il momento.
I miei genitori rientrarono in casa in quel momento.
-Tesoro, come mai sei sdraiata sul letto? Tutto bene? - mia madre sembrava davvero preoccupata.
Volevo dirglielo, ma per qualche ragione non ero ancora pronta.
-Sì mi stavo solo riposando-
-Sicura? Hai una faccia-
-Sì-
Ma sapevo che non sarebbe finita lì finché non avrebbe scoperto cosa mi affliggeva. In quei momenti la mia camera mi ricordava un luogo senza privacy e opprimente. Era incredibile che tutti i miei confort la mia intimità e tranquillità fossero rinchiusi in quelle quattro mura. Ed era incredibile che non riuscivo più a are tanto tempo in modo pacifico coi miei genitori. Ormai ero adulta, e sentivo il bisogno di abbandonare il nido. Lo avevo già abbandonato da tempo quando aveva accettato il lavoro da guida turistica, ma non avendo nessuno che volava assieme a me, non potevo volare poi così lontano.
Poi mi ricordai di una cosa: un tempo avevo avuto un luogo formato da più stanze dove andare in ogni momento.
Non appena aveva cominciato a viverci, Antonio mi aveva lasciato le sue chiavi di casa. Lo aveva fatto per darmi un luogo dove andare quando volevo restare da sola, e per darmi la sensazione di essere pienamente parte della sua vita. E quelle chiavi erano ancora lì, nel cassetto del mio comodino.
Non mi aveva chiamato una volta per riprenderle, così non mi aveva mai negato quel luogo di tranquillità. Nemmeno dopo la nostra rottura.
Io non ci ero più andata da quel giorno, così me ne ero completamente dimenticata.
Presi quelle chiavi e le osservai a lungo. Infine le strinsi nelle mie mani e presi una decisione: era giunto il momento di restituirle.
Capitolo 6
Eravamo in quella crisi da tempo. L’amore cresceva, ma non eravamo pronti entrambi a fare alcuni i, certe cose sembravano un salto nel buoi. Però se hai la certezza che infondo a quel buio c’è l’amore, tanto vale impegnarsi a saltare.
Per molto tempo avevo creduto che Antonio fosse il mio futuro. Lo credevo e lo desideravo con tutte le mie forze. E forse lo desideravo ancora, ma ero anche cosciente del fatto che se lui non avesse fatto qualche o per raggiungermi ci saremmo persi per sempre.
Ad ogni gradino che facevo trovavo una nuova tessera di quel puzzle malefico. Lui non aveva detto ai suoi genitori che la nostra storia era finita per lo stesso motivo che io non lo avevo detto ai miei, e per lo stesso motivo che non si era presentato alla mia porta chiedendomi le chiavi di casa: sperava che prima o poi sarei tornata e per non distruggere quelle speranze aveva lasciato esattamente tutto così com’era.
Era per quello che dopo avermi rivista mi aveva investita con un lungo bacio. Sentiva la mia mancanza.
Probabilmente se non fossi esplosa si sarebbe dimenticato di quel mese di separazione e tutto sarebbe tornato come prima.
Con quel bacio aveva deciso di non affrontare i problemi pur di riavermi con lui.
Quando discesi anche l’ultimo gradino avevo concluso quasi tutto il puzzle. Tutto tranne una tessera: quella ragazza che quella sera lo avevo visto baciare teneramente.
Capitolo 7
Il mio cuore fece un balzo quando vidi una sagoma appoggiata ai citofoni.
Più mi avvicinavo, più ero convinta che questa volta non avrebbe retto.
Antonio era lì, che fissava il cemento sotto i suoi piedi e restava immobile appoggiato al muro dei citofoni.
-Mi hanno detto i tuoi genitori che stavi scendendo- mi disse senza alzare lo sguardo.
-Sì, stavo per venire da te perché volevo restituirti le chiavi-
-Lo temevo- il suo sguardo era incollato al pavimento.
-Mi odi? - chiesi quasi d’impulso.
Alzò lo sguardo rilevando i suoi occhi lucidi. –Odiarti? Non potrei mai! - disse e mi prese le mani.
Ritrassi le mani e dissi –Ho paura che tu mi odi, perché non riuscirei a sopportarlo-
-Io ti amo ancora Claudia. Ti amo e mi dispiace di non avertelo dimostrato o ripetuto spesso. Mi dispiace dirtelo solo dopo che ti ho fatto scappare. Ma ti amo ancora, ed è necessario che tu lo sappia-
Avevo unito le tessere nel modo giusto. Tuttavia sapere la verità serviva a qualcosa? Ormai era finita giusto?
-Ti restituisco le chiavi. Credo che sia giunto il momento-
-Non le voglio- disse lui
-Come non le vuoi? -
-Cosa me ne faccio? -
-È la tua casa Antonio. E queste sono le chiavi, credo che servano per entraredissi quasi sarcastica.
-Io ho già la mia copia. Quello era il mazzo per la donna che un giorno sarebbe venuta a vivere lì con me. Di un mazzo in più non me ne faccio niente-
Per un attimo fui tentata di attaccarlo e dirgli “Dallo alla sgualdrina con cui esci adesso”, ma poi ci pensai su. Stavamo cercando di capire se era davvero finita, e non lo avremmo di certo fatto litigando come due ragazzini.
-Antonio io non posso tenerle. Non faccio più parte della tua vita-
-Io non me ne vado dalla tua- cercava di sembrare deciso, ma la sua voce tradiva una nota di supplica.
-E l’altra donna? -
-Ho sbagliato. Non ce la facevo senza di te. Avevo paura di non farcela se non saresti tornata o peggio ancora avrei scoperto che ti eri rifatta una vita-
-Così hai deciso di rifarti tu una vita per far soffrire me! - la rabbia parlava al mio posto. La ragione proprio non riusciva a giustificare il suo gesto.
-Ho sbagliato- abbassò di nuovo la testa.
Mi presi un attimo per capire cosa volevo fare. Il mio cuore voleva stringerlo e perdonarlo, ma la mia mente non ne era pronta.
Strinsi le chiavi che tenevo in mano.
-Ho bisogno di tempo- dissi.
-Capisco- disse lui.
-Vai a casa Antonio. Ti chiamo io-
Senza alzare la testa ne salutarmi si girò e si avviò alla macchina. Prima di aprire la portiera disse: -Io aspetto. Ma non far durare troppo quest’ agonia-
Salì in macchina e se ne andò. La mia mano destra stringeva ancora forte le chiavi del nostro futuro nido.
Capitolo 8
Lo chiamai la sera stessa per sapere come si sentiva. Non ero ancora pronta, ma lui era più importante di ciò che provavo in quel momento. Nonostante io ero parte della causa di quel dolore, volevo stargli accanto per confortarlo.
Inoltre, anch’io avevo bisogno di essere confortata da lui.
Non lo rividi per due settimane, ma lo sentii quasi tutti i giorni tramite messaggi o chiamate. Lentamente la ferita si cicatrizzò e capii che era giunto il momento di prendere una decisione.
Esattamente due settimane dopo diedi la notizia ai miei genitori che avrei traslocato nel giro di una settimana. Non la presero bene, ma gli promisi che sarei andata a trovarli tutte le settimane e riuscii a strappare loro un sorriso. Presi un giorno di ferie, e mentre lui lavorava ignaro nel suo ufficio, portai alcune cose indispensabili a casa sua.
Finito di sistemare i miei effetti personali preparai la cena e aspettai il suo rientro. I suoi si erano dimostrati come sempre gentili e mi avevano aiutata a sistemare tutto; poi infine lo avevano chiamato dicendo di non are quella sera perché non ci sarebbero stati.
Quando rientrò mi nascosi in camera. Un piccolo sentiero fatto di petali di rose segnava la strada dalla porta d’ingresso alla camera. Lui lo percorse come se stesse camminando sul tappeto rosso dei reali.
Quando il sentiero finì, sapeva già cosa vi avrebbe trovato una volta svoltato l’angolo e che fosse entrato completamente in camera.
Senza indugiare mi raccolse in un abbraccio, mi baciò e infine scoppiò in un pianto di gioia.
-Mi dispiace- dissi con finta tristezza –Credo che ci dovremo dare un bel da fare per raccogliere tutti i petali di rosa-
Lui mi strinse in un abbraccio, sorrise e disse: -Non te ne andare più. Ho temuto di perderti per sempre-
Giorno 5
Il vero amore non muore mai
Capitolo 1 Il vero amore non muore mai. Non si ferma davanti a nulla: non lo può distruggere né la distanza né la difficoltà. Io l’ho visto negli occhi dei miei genitori. Erano quel genere di coppia che prima di uscire per andare a lavoro si abbracciano, contano le ore prima di rivedersi, e non hanno bisogno di essere gelosi. Tuttavia hanno paura di perdersi l’un l’altro, non perché se si perdono hanno perso tutto, ma perché non desiderano vivere in altro modo. Erano quel genere di coppia che vive amandosi ogni giorno come se fosse il primo. Oltretutto sono sempre stati i miei migliori amici. Ma che cos’è l’amore? Tempo fa credevo significasse non litigare mai, essere uniti e d’accordo su tutto. Essere talmente in armonia con una persona da sentirsi sempre felici accanto ad essa. Credevo che fosse così perché i miei genitori non litigavano mai. Dovetti ricredermi quando iniziarono a litigare anche loro. Fu un periodo di paura, ma non la paura del buio o dei terremoti o degli insetti, fu un periodo dominato dalla paura di perdere la felicità. Ma allora l’amore è felicità? No, non credo sia neanche questo. Puoi essere triste, infelice o sfortunato; ma ti senti lo stesso leggero perché ami qualcuno che è al tuo fianco. Oppure puoi essere felice ma solo allo stesso tempo. No, troppo semplice per essere la risposta giusta. Ma allora cos’è? Ce lo chiediamo spesso e difficilmente troviamo una risposta giusta. Abbiamo bisogno d’amore per non sentirci soli, come se fossimo incompleti. Ma questo accade quando abbiamo conosciuto la persona giusta o anche prima? Ho pensato anche a questo, ma ho capito che ci sentiamo incompleti solo quando non siamo accanto alla persona giusta, e solo dopo averla conosciuta. Perché nel
momento che decidiamo di metterci in gioco, una parte di noi non ci appartiene più. Soltanto a quel punto smettiamo di essere completi. Abbattiamo il nostro guscio e improvvisamente diventiamo più deboli, ma se lui è al nostro fianco, siamo invincibili. Prima quella persona non esiste, è solo un’idea, perciò noi siamo ancora interi, forti, e ricoperti da quel guscio. C’era anche questo negli occhi dei miei genitori, vidi tutto nel periodo che si lasciarono.
Capitolo 2 Fu una decisione dura per tutti: per loro, e per me che vedevo crollare tutto ciò in cui credevo. Erano entrati in una di quelle liti senza fine: incominci parlando del più e del meno, fino a che giungi al discorso dell’amica che non ha ancora restituito il tagliaerba preso in prestito la settimana scorsa. La donna, dotata di profondi valori di amicizia, la difende attaccando i genitori dell’uomo, e rammentando che loro, quando devono tagliare l’erba prendono in prestito anche la manodopera oltre che il solo tagliaerba. A quel punto, l’uomo che ha fiutato l’imminente lite, ignaro che la donna odia questo atteggiamento, si alza e se ne va. A questo punto è un attimo lamentarsi dei difetti di uno e dell’altro. Ma quella volta successe qualcosa di diverso. Mia madre non lo seguì elencando i difetti i mio padre, ma venne in camera mia e disse di vestirmi e di seguirla. Fatto ciò andò da mio padre e gli disse che aveva bisogno di cambiare aria. Tornammo la mattina seguente solo per fare le valige e ripartire di nuovo. Restammo dai nonni giusto il tempo di capire che il divano letto era un po’ scomodo per una donna ed un’adolescente. - Torniamo a casa – disse mia madre un pomeriggio dopo scuola. Inutile dire quanto quella notizia mi fece felice. Avrei rivisto il mio papà! Potevo riabbracciarlo dopo quei cinque lunghissimi giorni. Ma quando tornai a casa, dopo aver corso in ogni stanza gridando - Papà, siamo a casa abbracciami! – mi accorsi che lui non c’era. - Non lo troverai – disse mia madre. - Perché? – dissi sconvolta - Sara, vedi, io e tuo padre abbiamo deciso di separarci. È la scelta giusta, ne abbiamo parlato a lungo. Lo vedrai domani, e per tutti i weekend a venire. È
meglio così, continuavamo a litigare e forse non ci amavamo neanche più – - Come puoi dire così? È colpa tua! Sei tu che non lo vuoi più! Sei un’egoista! – - Sara?!Mentre mia madre mi chiamava corsi in camera mia e mi rinchiusi lì dentro fino al giorno dopo. Uscii solo per prendere la cena che mia madre mi lasciò davanti alla porta e per riportare i piatti in cucina. Soltanto il mattino dopo chiesi scusa a mia madre. Era scioccante questa separazione, ma mia madre era pur sempre la mia migliore amica, ed odiavo litigare con lei.
Capitolo 3
- È stata una decisione dura – disse l’indomani mio padre.
- Ma voi eravate la coppia perfetta! -
- Niente è perfetto ricordatelo Sara. Vedila così, è una specie di pausa. Magari torneremo assieme, magari no. Abbiamo bisogno di stare lontani. Ormai litigavamo troppo –
In quel momento avrei voluto chiedergli “ma tu la ami ancora?” ma avevo troppa paura della risposta. Se mi avesse risposto di no avrei visto frantumarsi la mia idea di perfezione.
Cosa dovevo fare dunque? Adeguarmi ed accettare la loro decisione pur di non perderli. Mio padre aveva detto che forse sarebbero tornati assieme un giorno, mia madre diceva che era una scelta momentanea, quindi non avevo motivo di preoccuparmi, giusto?!
Così aspettai che il tempo fe il suo corso, ma i miei continuavano ad evitarsi. E se capitava che si vedevano per caso, avevano una faccia sofferente, si salutavano, sembrava che volessero farsi una marea di domande, ma nessuno dei due osava parlare.
Mi rifiutavo di credere che fossero diventati davvero due estranei dopo tutto quello che avevano vissuto.
Solo pochi mesi prima rappresentavano il vero senso dell’amore: sembravano due ragazzini che si erano appena conosciuti e appena innamorati. Il giorno del loro anniversario niente poteva impedirgli di festeggiare: cenavano assieme e da soli, non importava se a casa o al ristorante, l’importante era stare assieme come se fosse il loro primo appuntamento. Se stavano lontani per qualche giorno si sentivano al telefono anche solo per ripetersi quanto sentivano la mancanza l’uno dell’altro. Si conoscevano meglio di chiunque altro: dove erano situate le piccole imperfezioni della pelle, i lineamenti del volto senza il bisogno di averlo davanti, sapevano riconoscere il profumo anche a distanza, sapevano tutti i pregi e difetti, e si proteggevano a vicenda contro tutto e tutti. Di tanto in tanto mia madre stupiva mio padre con la sua capacità culinaria, o il suo talento per il disegno, mentre mio padre stupiva mia madre quando si occupava del giardino o suonava il piano. avano ore a chiacchierare di tutto, anche se non mancavano attimi ati in silenzio in cui un gesto valeva più di mille parole. Loro erano così. E io ero la cosa più preziosa che avevano dopo il loro amore.
Sebbene desideravano altri figli non ne avevano mai avuti. Nei miei primi anni di vita non era il caso poiché gestire due bambini piccoli sarebbe stato troppo impegnativo; gli anni seguenti non erano giusti in senso finanziario, e quelli a venire erano ati tanti anni da quando si erano occupati di un bambino piccolo che ormai non era più il caso. Tuttavia non ero sempre stata sola: a farmi compagnia negli anni d’oro dell’infanzia ci fu Leo. Era un bellissimo incrocio tra un labrador ed un pastore maremmano: giallo lungo tutto il corpo con delle macchie più scure su quel pelo più folto appena sotto la testa. Era il mio leoncino canino preferito. Fu un regalo di mio padre per il loro secondo anniversario, il loro amore era ogni giorno più grande, ma era troppo presto per avere una vera e propria famiglia, così prese Leo, il loro primo figlio. Perderlo, nonostante la consapevolezza di una vita piena e felice, non fu facile. Ancora oggi di tanto in tanto la sua mancanza si fa sentire nel mio cuore.
I desideri materiali erano tutto un discorso a parte. Mio padre era un semplice impiegato, e mia madre faceva la commessa nel negozio. Gli stipendi non erano un granché, ma almeno ci concedevano una vita rispettabile. Si risparmiava per aspirare a quella casa per le vacanze, o ad una macchina di medio - lusso, ma nei periodi di emergenza bisognava prosciugare quasi completamente quei risparmi e ricominciare da capo. Ma come già detto erano solo desideri materiali, e in una casa dove regna amore e felicità ti accontenti di quello che hai. O no?
Capitolo 4
- Amore, guarda quella borsa fantastica! È in saldo e quella che uso di solito ormai è quasi rotta – disse mia madre qualche anno prima della rottura.
- Ma costa una fortuna tesoro! Non puoi tenere quella che hai ancora un po’? – fu la risposta di mio padre.
- Si forse hai ragione. Non credo di averne veramente bisogno –
Ma nei suoi occhi si leggeva una nota di delusione. Eravamo in un periodo di crisi per via dei soldi spesi nell’operazione di Leo, i miei occhiali nuovi appena fatti, e per la mancanza momentanea dell’entrata dello stipendio di mia madre. Mia madre non era capricciosa, e non sarebbe mai caduta in richieste continue per qualcosa. E forse si sentiva un po’ responsabile della situazione per aver dato di matto dopo che quel cliente aveva provato a toccarla in parti del corpo “off limits”, mentre fingeva di aver bisogno di consulenza per un regalo a sua moglie, e quindi aver perso il lavoro. “Il cliente ha sempre ragione!” le aveva detto il suo capo. “Se metti in una situazione imbarazzante il cliente, questo non tornerà più in negozio. Un cliente in meno significa meno entrate e meno entrate significano necessità di tagli nel personale”. Comunque anche se non cadeva in tentazione facilmente, mia madre era una donna bellissima, con un buon gusto nel vestire e nella scelta degli accessori. Bisognava risparmiare e andava bene così, ma lei a quella borsa nuova ci teneva davvero.
Poche settimane più tardi la nostra macchina decise che era troppo vecchia per continuare ad accendersi ogni giorno e portare mio padre al lavoro.
- Non possiamo semplicemente ripararla? Costerebbe molto meno – disse mia madre
- È già la terza volta che succede. E ormai la abbiamo da dodici anni! Quante volte devo portarla dal meccanico? E poi la riparazione costa quasi la metà di una macchina nuova! -
Praticamente avevano quella macchina da quando ero nata. Diciamo che quella macchina fu il primo cambiamento a dichiarare al mondo: “guardate! Presto saremo genitori!” poiché era stata presa in sostituzione di quella loro prima macchina a due posti. Poi arrivò il pancione, e poi la mia nascita con conseguente seggiolino. Ma come tutto del resto, anche i macchinari invecchiano e prima o poi hanno bisogno di un riposo definitivo.
Però anche la mamma aveva ragione: proprio non era il momento giusto.
- Ma è proprio necessario? Voglio dire continuiamo a risparmiare e a risparmiare! E dove vanno poi tutti i risparmi? Spesi in una macchina? Non sai che voglia ho di rinnovare il guardaroba o di andare un pochino più spesso dal parrucchiere! Oppure quanto avrei voglia di una vacanza! – protestò mia madre.
- Che cosa credi Giada, che sia difficile solo per te? Che solo tu vuoi “rinnovare il guardaroba” o prenderti più cura di te stessa? E non farmi la predica sulla vacanza perché non mi sembra che sei tu ad alzarti alle sei del mattino per andare a lavorare! -
Ecco ciò che non avrebbe dovuto dire mio padre. Fu la prima volta che vidi piangere mia madre e gridare: - Sei ingiusto! -
Ma mio padre si ricompose e subito l’abbracciò per chiederle scusa, e rassicurarla.
Comprammo la macchina un mese dopo pagandola a rate. Un gesto che permise a mio padre di tornare a casa da lavoro con quella borsa che tanto desiderava mia madre, e di portarci tutti quanti, anche Leo, in vacanza per un weekend. Ma anche se finì bene, quella fu la prima di tante liti.
Capitolo 5
Dal periodo di crisi erano entrati nella fase liti, e faticavano ad uscirne. Incominciarono a litigare per avere un altro figlio dopo che io dissi loro che non mi sarebbe dispiaciuto avere un fratellino o sorellina con cui giocare. Mia madre non voleva cedere perché diceva che non era il momento adatto e che difficilmente avrebbero potuto dare felicità al futuro nascituro.
Poi, un paio di anni dopo arrivò il momento per Leo di attraversare il ponte dell’arcobaleno. Il tumore si era ripresentato, e questa volta il veterinario non assicurava la sua sopravvivenza ad un’ulteriore operazione.
- Tutto quello che potete fare per lui è stargli il più vicino possibile e dargli tutto l’amore che avete nell’ultimo periodo della sua vita –
Incominciò a soffrire veramente, perciò dovemmo prendere quella decisione difficile.
In quel periodo i miei cominciarono a isolarsi nel loro dolore. Sapevano che Leo non sarebbe vissuto in eterno, e sapevano anche che era naturale ciò che stava succedendo, ma o avevano amato così tanto che non riuscivano a concepire l’idea che non ci fosse più. Prima di avere me, lo avevano cresciuto come un vero figlio, poi quando ero arrivata io non avevano mai smesso di amarlo. I miei genitori non gli avevano mai negato cure, giocattoli o cibo. Lo avevano amato, e lui aveva dato loro ricordi bellissimi e indelebili.
Tornarono a sorridere dopo sei mesi, ma ebbero bisogno di tempo per conoscersi di nuovo. Parlavano degli anni di Leo, di come era affettuoso e premuroso con me quando ero ancora un’infante e di quanto sentivano la sua mancanza. Alla fine tornarono felici, non litigavano e sembravano inseparabili; fino a che mio padre un giorno si dimenticò di presenziare alla mia recita.
Lo perdonai subito, era stanco per il lavoro e soprattutto per gli straordinari che continuava a fare nonostante mia madre avesse ripreso a lavorare di nuovo già da tempo, e non aveva bisogno di qualcuno che gli fe pesare la dimenticanza. Purtroppo, mia madre non la pensava come me
- Era importante per tua figlia! Dovevi ricordarti solo di raggiungerci dopo il lavoro, non dovevi fare chissà che! –
E andarono avanti a litigare per mezz’ora. Finita la lite tornarono a non parlarsi.
Seguirono molte altre liti che non avevano senso, ma che duravano delle ore solo perché nessuno dei due voleva ammettere di aver esagerato o dichiarare sconfitta.
Discutevano persino su come educarmi.
- Smettila di essere così geloso Mauro, e lascia respirare tua figlia. Ha ormai 15 anni! Ti ha solo chiesto di andare al cinema con un amico la domenica
pomeriggio. Non impedirglielo! - implorò mia madre.
- Sara è troppo giovane per uscire con un ragazzo da sola! Sono le madri troppo permissive come te che privano le ragazze dei giusti valori! – esplodeva mio padre.
Mio padre era fatto così: quando era stanco di essere criticato incominciava ad offendere pur di spuntarla.
Non era il modo giusto per dialogare, anzi, peggiorava la situazione.
Così lite dopo l’altra arrivarono alla separazione.
Capitolo 6
Ci erano già ati no? Lite, estranei per un po’, e poi di nuovo innamorati. L’unico problema era che non vivevano più assieme quindi se avevano voglia di evitarsi erano liberi di farlo.
Avevo preso l’abitudine di cenare tre sere a settimana con mio padre e quattro con mia madre. Il sabato sera dormivo nel divano letto dell’appartamentino di mio padre, mentre tutte le altre sere nella mia stanza. Perciò quando mangiavo lì, mi riaccompagnava a casa la sera tardi e si assicurava che entrassi in casa. Dopo varie insistenze riuscii a convincerlo ad entrare: sapevo che la mamma mi aspettava sveglia davanti la tv.
- Mamma sono a casa! – gridai.
- Ehi tesoro come … - si interruppe appena vide papà.
- E non sono da sola. Ho promesso a papà un bicchiere d’acqua e gli ho proposto di fermarsi un attimo, così avevo modo di fargli vedere alcune foto! Spero non sia un problema-
- Sara insisteva tanto e sai quanto è difficile dirle di no. Ma posso tornare un altro momento. Anzi forse è meglio … - si giustificò mio padre.
- No, Mauro va bene resta pure. L’acqua è in frigo, sai già dove trovarla. Io vado a dormire così vi lascio soli –
Così non andava bene. Io ci provavo, ma loro non collaboravano.
Tuttavia non mi arrendevo.
- Mamma, non trovo la torta che abbiamo preparato nel pomeriggio! Volevo farne assaggiare una fetta a papà. Dov’è? –
- Nel frigo, tesoro! – gridò mia madre dalla camera. Fortunatamente non dormiva ancora.
- Non c’è non la trovo, vieni qua! -
- E questa cos’è? – diceva con quel suo fare da “mamma” indicandomela.
- Che sbadata non l’avevo vista! La mangi con noi? -
- No grazie ne ho già presa una fetta a cena tesoro mio. Torno in camera vi lascio soli –
Certe volte arrivavo persino a fare scherzi di cattivo gusto pur di farli parlare un
po’ di più di quelle due battute di cortesia.
- Papà, potresti andare a prendermi l’accappatoio di piscina? Credo sia in bagno –
Visto che lui aveva la macchina, e io dovevo andare in piscina, gli avevo chiesto di farmi d’autista, io in cambio avrei ato con lui sia il venerdì sia il sabato sera a casa sua, rinunciando così ad uscire con le amiche. Stavo preparando la borsa e l’unica cosa che mancava era l’accappatoio. Ovviamente, non lo avrebbe trovato in bagno, poiché era accuratamente piegato nel mio armadio. Lì dove stava andando, avrebbe trovato solo la mamma appena uscita dalla doccia, ma lui non poteva saperlo perché era appena entrato in casa.
- Scusami. Sara non mi ha detto che era occupato. Torno dopo – disse mio padre imbarazzato.
- Hai bisogno? Prendo le mie cose e me ne vado – disse mia madre tenendo asciugamano ben stretto a sé.
- No, dovevo solo cercare l’accappatoio per la piscina di Sara –
- Non lo ha in camera? – rispose sorpresa mia madre.
- No, lei mi ha detto che era qui –
- Ah. Beh vado a cambiarmi in camera così puoi cercarlo – disse mia madre uscendo.
- Grazie – disse mio padre girandosi a guardarla mentre si dirigeva nella camera matrimoniale –Ah Giada … - aggiunse poi
- Dimmi –
Ma mio padre non disse niente per una manciata di secondi.
- No, niente – concluse poi.
Capitolo 7
Ogni volta mancava sempre quel poco per rompere il ghiaccio tra i miei.
Almeno avevo capito che si amavano ancora, e questo era ciò che contava. Nei “resta pure” di mia madre c’era quella confidenza formata in tanti anni di matrimonio, e nelle pause di mio padre seguiti dai “no, niente lascia perdere” c’erano le parole “sei bellissima come sempre”. Forse avevano solo bisogno di tempo per ritrovarsi.
Una sera trovai mia madre seduta sul divano con una vecchia foto che li ritraeva. Stavano tenendo in braccio me, che allora avevo due anni e in basso Leo saltava sulle gambe di mia madre mentre tentava di rubarmi un giocattolo.
- È il mio ritratto di famiglia preferito – le dissi sedendomi accanto a lei.
- Anche il mio –
- Mamma, ti manca papà? –
- A volte amore. Ma è normale – Mi disse con quel tono dolce e rassicurante che aveva solo nei miei confronti.
- Anche a me – dissi solo.
Mancava un mese esatto al mio diciassettesimo compleanno quando mi ruppi una caviglia. La causa fu quella banalissima caduta da una discesa in bicicletta la domenica mattina insieme ad un amico.
Lui, con quel suo fare protettivo, mi aiutò a rialzarmi e poi chiamò l’ospedale, mio padre, e mia madre. Dopo di che tutto si è svolse piuttosto velocemente: mio padre infuriato se la prese con Luca, il mio amico, mia madre cercò di farlo calmare, mentre i medici mi ingessavano la caviglia.
Andammo a casa, e Luca andò via solo dopo essersi assicurato che stessi bene; mentre papà rimase lì fino a che non andai a dormire.
Faticai a prendere sonno e sentii le voci dei miei genitori nell’altra stanza.
- Sta bene, è una ragazza forte lo sai – disse mia madre.
- Lo so. Perché era in giro con quel ragazzo? È troppo piccola per uscire con i ragazzi! –
- E quando sarà abbastanza grande? E poi poteva succedere anche con me o te –
- No, proprio non mi piace quel ragazzo –
- Quel ragazzo la ama Mauro. E tu sei il solito padre geloso della sua bambina – nella voce di mia madre c’era una sorriso – Ma ti ricordi com’eravamo noi quando eravamo al loro posto? Eravamo davvero innamorati – aggiunse poi.
- Si me lo ricordo –
- Cos’è cambiato? –
- Non lo so. Non abbiamo saputo affrontare le difficoltà insieme credo – disse mio padre con un’alzata di spalle – devo andare ora -
- Ti accompagno alla porta –
Il ghiaccio ormai era stato rotto, le ferite riaperte, ma pareva on sanguinassero più. Erano completamente rimarginate. Avevano lasciato solo quella triste cicatrice, e negli occhi dei miei genitori vi era il desiderio che questa sparisse.
- Mi ami ancora? – disse la mamma mentre apriva la porta di casa.
Lui non rispose, ma si fermò di colpo.
- Mi ami ancora? – ripeté
- Mi innamoro di te ogni volta che ti vedo. Ma ti ho lasciata scappare e sto cercando di conviverci –
- Non mi hai mai telefonato–
- Lo so – disse solo mio padre sempre con la testa china.
- Perché? – ormai mia madre aveva le lacrime agli occhi.
- Perché volevo lasciarti la tua libertà. Avevo capito che era tempo di lasciarti andare perché litigavamo sempre e non eri più felice –
Rimasero in silenzio un attimo, e mio padre si girò a guardare mia madre. Erano a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro e si guardavano negli occhi. Mia madre con quegli occhioni azzurri gonfi di lacrime, mio padre con i suoi occhi scuri che sembrava avessero perso un po’ della loro sicurezza. In quel momento di silenzio i miei si dissero tutto ciò che avevano bisogno.
- Mauro, vuoi rimaner per questa notte? A Sara farà piacere svegliarsi domani mattina e trovarti qui –
- Potrei tornare anche domani mattina presto. Rimarrei qui questa notte solo se fossi tu a chiedermelo –
- Allora resti qui questa notte? – disse mia madre con un sorriso.
Capitolo 8
Credo che quella notte mio padre tornò nel nido matrimoniale per stringere mia madre fino all’alba. Ciò che successe quella notte rimane un loro segreto.
Non tornarono a vivere assieme subito, ma mio padre quando mi riaccompagnava a casa si tratteneva più del solito. Rimase a dormire da noi solo per le prime settimane, le ultime due andava via dopo avermi dato la buona notte. Di tanto in tanto combattevo la stanchezza per origliare le conversazioni tra lui e mia madre, altre volte non riuscivo a sentire nessuna voce e mi addormentavo. Ma al mattino lui non era lì. Accettò Luca strappandogli però la promessa di trattarmi come se fossi unica al mondo.
Lo stesso giorno che tagliarono il gesso mia madre disse che doveva farmi un discorso importante.
- Io e papà ultimamente abbiamo discusso a lungo sulla nostra separazione e siamo giunti ad una decisione –
- Abbiamo capito entrambi di porre fine a questo momento di “prova”. Abbiamo discusso, e non è più il caso di andare avanti così – aggiunse mio padre serio.
- Si capisco, ma cosa state cercando di dirmi? – tutta quella serietà cominciava a preoccuparmi.
- Stiamo cercando di dirti che avrai un fratellino, o una sorellina questo non si sa ancora – disse mio padre.
- E per il bene di tutti, papà dovrebbe tornare a vivere qui – concluse mia madre.
Dopo quel lungo periodo da soli i miei genitori avevano capito che preferivano la vita insieme piuttosto che separati. Che le difficoltà si affrontano, non si evitano; che è meglio essere una squadra e collaborare assieme in ogni situazione piuttosto che convivere come degli estranei. Impararono anche a conoscere che accettare i difetti dell’altra persona non basta, bisogna farli propri e imparare ad accettarli come se fossero parte della nostra personalità; e capirono che durante la separazione il loro amore non aveva mai cessato di esistere. Non solo, ne era sbocciato uno nuovo, più forte e maturo di prima.
Forse amare qualcuno vuol dire semplicemente scegliere di vivere al fianco di una persona e combattere per fare in modo che sia così.
Ecco cos’è l’amore. Amare vuol dire conoscere tutto dell’altro, con qualche tratto sconosciuto per alimentare la ione. Amare davvero, amarsi ogni giorno, senza smettere mai di farlo.
Giorno 6
Il mio angelo venuto a salvarmi
Capitolo 1
In città, tutti temevano Jacob. Era un uomo avaro e crudele che traeva soddisfazione dalle disgrazie altrui. “Cuore di ghiaccio”, ecco come lo chiamavano tutti, e se per caso vedevano Jacob are lungo il loro cammino cercavano di ignorarlo, o cambiavano strada se possibile. Era un uomo di bell’aspetto: alto, capelli mori e ricci, qualche segno di barba in crescita e uno sguardo profondo e penetrante, come se potesse vedere dritto fino al tuo cuore. Lo stesso non si poteva dire del suo carattere, che, superficiale e cattivo com’era, annullava il piacere del suo bell’aspetto. Quando Jacob era solo un bambino, tutto era diverso: il suo cuore era puro come quello di un angelo e con il suo sorriso illuminava le giornate di chiunque avesse la fortuna di vederlo. Era un bambino talmente altruista che il suo unico desiderio era quello di poter cambiare il mondo ed aiutare i bisognosi. A cinque anni, Jacob scrisse la sua prima letterina per Babbo Natale: “Caro Babbo Natale, Mi hanno detto che tu sei in grado di fare grandi cose, e che il tuo cuore è puro. Anche il mio lo è. Perciò, per questo Natale voglio che tu faccia qualcosa per me: io ho già tutto quello che desidero, ma vorrei che per un giorno il mondo fosse migliore e che tutti fossero felici e gentili.” Quando Linda, sua madre, lesse quella lettera, si abbandonò in un pianto di gioia: “mio figlio è davvero meraviglioso” pensò “sono proprio fiera di lui!”. Lo aveva cresciuto da sola cercando di non fargli mai mancare nulla, e quella lettera per lei era la conferma del suo successo e del fatto di aver dato vita ad una creatura eccezionale; purtroppo però, col are del tempo, dovette rimangiarsi quelle parole.
A sedici anni, infatti, si trasformò nel classico ragazzo ribelle ando interi pomeriggi fuori casa con un gruppo di ragazzini che lo influenzavano negativamente: in loro compagnia cominciò a rubare nei negozi, a bere come una spugna e i suoi voti scolastici calarono drasticamente. Tutto incominciò quando entrarono in un negozio di videogiochi, ed il capogruppo si avvicinò a lui dicendogli: -Metti questi nello zaino! -Sei pazzo? E se qualcuno si accorge? - disse Jacob spaventato -No tranquillo non si accorge nessuno! -Perché non li prendi tu? -Perché io non ho lo zaino! Muoviti nascondili! O preferisci per caso essere chiamato fifone? -Io non sono un fifone! - disse Jacob -Allora dimostramelo! E mi raccomando: fai esattamente come ti dico, altrimenti per te ci saranno conseguenze serie! -Va bene- rispose lui riluttante. Prese i videogiochi e li nascose controvoglia. Più si avvicinava alla porta, più cresceva la sua ansia. “Calmati!” si ordinò “non ti possono fare niente!”, ma la sua ansia continuava a crescere dentro di lui. Alla fine riuscirono ad uscire tranquillamente dal negozio senza esser fermati, e a Jacob sembrò tutto fin troppo semplice. -Non ci credo! Nessuno si è accorto di niente! È stato fantastico! - disse entusiasta. -Certo, credevi il contrario? Questo è tuo, te lo sei meritato- disse il capogruppo porgendogli uno dei dischi come ricompensa. Da quel momento Jacob cominciò a cambiare, e qualche mese in loro compagnia
bastò per seppellire negli abissi del suo cuore il suo animo gentile. Linda, dal canto suo, cercava di reindirizzarlo sulla retta via, ma l’impresa non le risultava per niente facile. Ogni giorno gli ripeteva che doveva essere un bravo ragazzo e che doveva impegnarsi a scuola per migliorare il suo futuro, ma le loro conversazioni, il più delle volte, diventavano lunghissime litigate, e Jacob le rispondeva sempre con la stessa frase: -Mamma, tu non capisci! Nessun ragazzo ormai si impegna più a scuola! Nessuno aiuta le persone, e nessuno regala oggetti a chi ne ha bisogno! La vita è cambiata, la cosa più importante, oggi, è essere popolari! Ogni volta, quelle parole erano come un coltello nel cuore di Linda. Quando Jacob terminò gli studi la madre poté tirare finalmente un respiro di sollievo poiché smise di frequentare quei suoi vecchi amici e cominciò a lavorare per comprarsi la sua prima macchina. “Lo sapevo che prima o poi il mio bambino sarebbe maturato” si ripeteva di tanto in tanto Linda; purtroppo però non poteva prevedere che, non appena comprata la macchina, suo figlio si sarebbe messo alla guida in stato di ebbrezza e che avrebbe investito un bambino, dovendo di conseguenza are i seguenti sei anni in carcere. In principio sembrava che vivere per un certo periodo in una gabbia gli fe bene: ava le giornate in solitudine; le sue notti erano assalite dagli incubi, e le mattine dai rimorsi: sembrava aver compreso la gravità della situazione. La madre andava a trovarlo spesso poiché si preoccupava della sua anima. Lei gli parlava di ciò che succedeva in città; gli ripeteva che poteva ancora diventare un bravo ragazzo e che avrebbe rimediato ai suoi errori dopo aver scontato la sua pena; lui rimaneva sempre in silenzio e non le rispondeva mai. Finché un giorno, durante una di quelle visite, Jacob si decise a parlare. -Io non merito comione, mamma- le disse -Tutti meritiamo seconde opportunità tesoro! Hai sbagliato, ma puoi sempre rimediare-No! Io ho investito un bambino! Ogni notte sogno il suo fantasma che mi perseguita perché gli ho impedito di crescere! -
La madre scoppiò in un sorriso. -Ti senti in colpa, è normale! Ma quel bambino fortunatamente è ancora vivo! E tu non gli hai impedito di crescere! - cercò di consolarlo la madre. - È ancora vivo? - Jacob sembrava scioccato - Sì, non lo sapevi? Sono andata spesso a trovare la sua famiglia per aiutarli. È rimasto in ospedale per un po’, ma ora sta bene. Quel bambino non ti odia, e i suoi genitori ti hanno perdonato! Da quel momento Jacob smise di ascoltare o parlare. Lo avevano perdonato; si trovava in prigione a dover scontare per anni una pena senza nessun motivo. Da quel momento il suo corpo incominciò a far posto alla sua vecchia rabbia e alla superficialità che lo avevano accompagnato nell’ultimo periodo della sua vita. A ventotto anni tornò a casa in libertà, ma continuò a condurre una vita da furfante e imbroglione. Due anni dopo la madre cadde in depressione, e morì quello successivo. Nemmeno la morte dell’unica persone importante nella sua vita riuscì a salvarlo da quell’orribile esistenza. Così i giorni avano e Jacob continuava a vivere nella più completa solitudine, ando le mattinate fuori città e i pomeriggi nei peggiori bar, oppure al parco dove poteva dar sfogo al suo più grande divertimento: far piangere i bambini che giocavano allegramente. Nonostante fosse ricco, non spendeva mai niente né per sé, e né per gli altri. Comunque, chi lo conosceva non aveva dubbi sulla provenienza di tanta ricchezza: erano fonte di guadagno di innumerevoli frodi. La monotonia delle sue giornate veniva spezzata soltanto una o due volte l’anno: i momenti in cui si recava al cimitero per rimanere in piedi per ore a fissare la tomba di sua madre. In una di quelle occasioni lo incontrai per la prima volta.
Capitolo 2
-Si può sapere lei chi è? - mi disse non appena mi vide davanti alla lapide di sua madre. -Solo una persona che vuole portare un sorriso ad una donna sola- dissi io. -Quale donna? Mia madre? Ma se ne è accorta che è morta? -Certo! -E allora che cosa fa qui veramente? Se si aspetta qualcosa in cambio si sbaglia di grosso! -No, non voglio niente. Gliel’ho detto, sono qui per fare compagnia ad una donna sola. Quel volto nella foto sembra appartenere ad una donna dolcissima, ed è ingiusto che nessuno le porti mai dei fiori! -Si faccia gli affari suoi! - rispose brusco Rimasi immobile senza rispondere. Volevo sfidarlo, volevo sapere fino a che punto poteva arrivare la sua cattiveria. -È per caso sorda? Le ho chiesto di andarsene! -Non sapevo fosse proibito pregare per i morti! - fu la mia unica risposta. -Lei non se ne andrà, vero? -Ci ha messo tanto a capirlo! Comunque no, io rimarrò qui con sua madre fin quando vorrò. Non c’è niente che lei possa fare per impedirmeloRimase a fissarmi in silenzio a lungo, senza avvicinarsi. Ad un certo punto decisi di rompere il ghiaccio: -Senta, perché non ricominciamo da capo e la smettiamo di farci la guerra? -
Non rispose. - Io mi chiamo Angela – dissi stringendogli la mano – e lei? - Jacob – rispose freddo -Le va di fare una eggiata insieme? Così avrà modo di conoscere meglio la persona che porta i fiori a sua madre- proposi. - Perché dovrebbe importarmi? -Sto soltanto cercando di essere gentile! Può anche semplicemente accompagnarmi all’uscita se non vuole are del tempo con me- Se proprio insiste – Ed incominciammo ad avviarci in silenzio. Dovevo trovare un modo per permettergli di aprirsi con me: dovevamo assolutamente entrare in confidenza. Solo così sarei stata capace di salvargli la vita. Quando arrivammo all’uscita gli presi un braccio con entrambe le mani. -Che cosa sta facendo? - disse ritraendosi. -Mi dispiace. Non volevo- dissi timidamente. -Mi sembrava la cosa giusta da fare. Mi sembri una persona così triste Jacob, e io voglio soltanto aiutarti! Con quella frase sferrai il primo attacco contro il muro di pietra che aveva costruito intorno a sé. -Aiutarmi? Io non ho bisogno di nessuno! Sto bene così! -Tutti abbiamo bisogno di qualcuno! Nessuno vuole rimanere da soloRimase a guardarmi in silenzio, ma questa volta i suoi occhi sembravano confermare esattamente ciò che avevo appena detto. -Sai? Devo confessarti una cosa: non sono venuta qui soltanto per tua madre-Lo sapevo! - disse scoppiando di rabbia; e prima che potesse aggiungere altro mi affrettai a precisare:
-Oggi sono venuta qui perché era l’unica occasione di trovarmi al posto giusto nel momento giusto. Sapevo che saresti venuto anche tu- Quindi ha fatto tutto questo per incontrare me. Adesso che mi ha conosciuto cosa intende fare? - continuava a darmi del Lei, mantenendo le distanze da me. Forse era giunto il momento di utilizzare l’ultima carta che avevo a disposizione per poter vincere quella partita. -Vediamoci domani pomeriggio al parco centrale e lo scoprirai- gli sorrisi e subito dopo mi allontanai da lui. Il pomeriggio seguente, quando lui arrivò e si sedette sulla panchina davanti ai campi da calcio, io mi trovavo già lì da tempo nascosta dietro ad un albero a pochi metri di distanza da lui. Decisi che sarei rimasta lì, e che lo avrei raggiunto solo al momento opportuno. Osservai ogni suo gesto: scoppiò a ridere di gusto in seguito alla caduta di un bambino, sfogliò per un po’ di tempo un giornale abbandonato da qualcuno, tirò un sasso ad un povero uccellino in cerca di cibo, fece lo sgambetto ad un corridore che cadde faccia a terra ricoperto di sangue, e lo vidi perfino calciare lontano il pallone da calcio dei bambini che giocavano la partita di fronte a lui. Sembrava di assistere alle prepotenze di un bullo nei confronti dei compagni. Peccato che il bullo aveva superato i quaranta e sembrava essere più immaturo dei bambini che aveva di fronte. Quando il sole incominciò a tramontare, si mise a guardare nervosamente l’orologio prima di alzarsi. Fu allora che lo raggiunsi. –Già te ne vai? - gli chiesi non appena si fu avvicinato a sufficienza per sentirmi. -Ti sembra l’ora di arrivare? - sembrava scocciato. -Sono qua al parco da stamattina- E allora perché non mi hai raggiunto? Perché mi hai lasciato lì ad aspettarti? - L’ho fatto. Ti ho raggiunto adesso-
-Beh, io adesso me ne sto andando-Perché fai l’offeso? Se ricordi bene non ho mai specificato l’orario in cui ci saremmo visti- Va bene- sbuffò -hai ragione tu. Adesso cosa intendi fare? Lo presi dolcemente per mano e lo invitai a fare una eggiata. Camminammo a lungo, fino a che il sole non lasciò il posto all’oscurità accompagnata soltanto dalle stelle. A quel punto ci salutammo ripromettendoci di vederci il giorno seguente. La stessa storia si ripeté per qualche settimana. Durante quelle eggiate, gli facevo spesso delle domande sulla sua infanzia, nella speranza di ritrovare il bambino che un tempo era stato, ma ogni volta cambiava sempre discorso come se le mie richieste fero emergere qualcosa contro la quale lui combatteva da tempo. Gli facevo domande a proposito di sua madre, di come era da bambino, o di come si sentiva ad essere cresciuto senza un padre. Quest’ultimo discorso in particolare era come attaccarlo con una lama affilata alle spalle. Jacob non aveva mai conosciuto suo padre. Non era morto, e non era stato presente al momento del parto del figlio. Non aveva mai chiamato, né Jacob conosceva il suo nome. Non conosceva il suo volto, e molto probabilmente se si fossero seduti su un bus l’uno a fianco all’altro non si sarebbero nemmeno parlati. Il padre di Jacob era un eterno immaturo, tanto che, quando scoprì che sarebbe diventato padre, piuttosto di sposare Linda e prendersi le sue responsabilità scappò e non si fece più vedere. Linda non parlava mai del padre di Jacob, e quando da bambino innocente lui chiedeva dove fosse lei gli ripeteva: -Caro Jacob, tu sei uno di quei pochi bambini che un papà non ce l’ha. Ma a che ti serve un padre quando hai una super mamma? - e poi si metteva a fargli il
solletico per strappagli una risata. Del resto Linda non meritava di essere biasimata se non si era mai sposata: era stata profondamente ferita, e aveva deciso di dedicare la sua vita soltanto al suo ometto. Più cresceva però, più Jacob capiva che se lui non aveva un padre, era perché o questo era morto, o li aveva abbandonati. Aveva fatto anche qualche ricerca dai vicini e alla fine aveva scoperto la verità. Suo padre non era una brava persona, e forse aveva ereditato quel gene della cattiveria. Cercai di ricordargli com’era il Natale. Come si sentiva quando si svegliava la mattina per controllare che aveva nevicato, e poi, nonostante non avesse chiesto nulla, c’era un piccolo regalo anche per lui. Come si sentiva quando scriveva la sua solita letterina, sperando che tutti rispettassero il detto: “a Natale siamo tutti più buoni”. Facevo di tutto, ma il più delle volte si innervosiva e ribaltava il discorso su di me. Tuttavia, quando si trovava in mia compagnia, riusciva ad essere un uomo dolce e gentile: sapeva essere l’opposto della persona che tutti temevano. Forse avrei potuto innamorarmi di lui. Del resto noi ragazze ci innamoriamo di continuo dei cattivi ragazzi con la speranza di cambiarli. E io riuscivo a cambiare davvero Jacob. Quando era con me cercava di correggersi: Vestiva bene, non faceva del male a nessuno, salutava i suoi conoscenti, pagava lui, e di tanto in tanto mi faceva dei regali. A me non interessavano oggetti materiali, ma ciò lo rendeva un po’ più altruista, ed io ero fiera di questo atteggiamento. Stava cambiando grazie alla mia presenza. -Ti va di mangiare qualcosa assieme? - mi disse l’ultima sera che ci
incontrammo. Era davvero dolce, sembrava un liceale nell’impresa di invitare una ragazza al ballo scolastico. Percepivo il suo nervosismo, e la sua profonda paura di un rifiuto; era chiaro che si stava innamorando della mia dolcezza nei suoi confronti. Dunque era arrivato il momento. -Non so se è una buona idea- risposi fredda. -Perché? Credevo di piacerti! - piagnucolò lui. -Vedi, in tutti questi giorni ti ho osservato a lungo. Ho visto quello che fai quando io non ci sono. Con me sembri un vero cavaliere e sei davvero premuroso. Potresti anche essere l’uomo perfetto. Ma quando io non ci sono, sei cattivo. Ti stavo osservando oggi quando hai fatto piangere quei bambini! È stato davvero un gesto orribile! -Mi stavi osservando? -Si! E non solo oggi, anche tutti gli altri giorni precedenti. Non posso fidarmi di uno come te, mi dispiace-Ma io con te mi sono sempre comportato bene! -Non mi basta. Io voglio che tu sia gentile con tutti. A questo punto credo che sia meglio se io e te non ci vedessimo più-Non mi dai nemmeno un’altra occasione? Posso cambiare te lo giuro! Fidati di me, cambierò-Devi dimostrarmelo, altrimenti non mi potrò mai fidare-Come? Dimmi cosa vuoi che io faccia, e lo farò! Gli presi delicatamente la mano e lo guardai profondamente negli occhi - Voglio che tu sia sempre gentile con tutti. Io ti osserverò come ho sempre fatto, e quando avrò la certezza che sei davvero cambiato ci rivedremo, te lo prometto-
Mi allontanai da lui con un sorriso, esattamente come avevo fatto la prima volta che lo vidi al cimitero, senza nemmeno lasciargli il tempo di ribattere. Da quella sera in poi, Jacob si impegnò ad esaudire la mia richiesta: andò a trovare sua madre una volta al mese, questa volta portandole dei fiori; smise di frequentare i peggiori bar; si iscrisse a numerose associazioni di volontariato e, anche se il suo intento iniziale era solo quello di incontrarmi casualmente, alla fine dimostrò in tutto un grande impegno e diventò più gentile con i bambini e con gli animali e con le persone. Non solo, restituì in qualche modo i soldi rubati per mezzo di frodi, e cominciò a vivere come fanno tutti: con un lavoro. All’inizio non fu facile riacquistare la fiducia delle persone, tutti credevano che fosse un suo nuovo modo per prendersi gioco del prossimo, ma col tempo capirono che era cambiato veramente. Lentamente si trasformò in una versione migliore di se stesso: quella contro la quale lui combatteva. Così, incominciò a stringere nuove amicizie ed ad aiutare le persone in difficoltà. Adesso, nessuno lo chiamavano più cuore di ghiaccio, non lo evitavano più quando lo vedevano, e non avevano più paura di lui. Le sue giornate non erano più monotone, bensì erano piene di emozioni e degne di essere vissute. Nonostante fossero ati degli anni dal nostro ultimo incontro, la speranza di incontrarmi nuovamente non lo abbandonò mai e continuò ad aspettare il mio ritorno. Ogni sera, prima di addormentarsi, pensava a me, ricordando le nostre eggiate e la dolcezza che avevo sempre dimostrato nei suoi confronti. Finché una notte mi presentai nel suo sogno. -Alla fine ce l’hai fatta, Jacob! Sei diventato un uomo migliore! - gli dissi con un sorriso. -Questo vuol dire che prima o poi ci rivedremo, non è vero? - mi chiese lui – Io
ti sto ancora aspettando, sai? -Non devi più aspettarmi, adesso sono quiAd un certo punto, l’oscurità che ci circondava fu sconfitta dalla luce, e il vuoto fu colmato da una stanza con un solo letto al suo interno. Ci trovavamo nella vecchia casa di sua madre, e lui non si era neanche accorto di essere tornato un bambino. -Riconosci questo posto Jacob? - gli chiesi dolcemente. Lui si guardò intorno come se avesse appena scoperto le bellezze del mondo che lo circondano. -Questa è la mia vecchia stanza! -Ora guarda le tue mani-Sono piccole come quello di un bambino- mi disse entusiasta –Ma che cosa è successo? -Sei riuscito a vincere la sfida più importante della tua vita: essere te stesso in ogni momento, senza farti contagiare dal mondo che ti circonda. Hai cercato di combattere contro la parte più pura di te, ma alla fine quest’ultima ha vinto contro quella malvagia. Ricordati come sei in questo momento Jacob, perché è così che dovrai essere per sempre-Mi aiuterai a ricordarlo? - mi pregò. -Non ce n’è bisogno. La mia missione è già stata compiuta mio caro Jacob! Non appena terminai di pronunciare quelle parole, si ritrovò nuovamente nella realtà. La sua vecchia cameretta era scomparsa, ma il bambino del sogno si trovava ancora in qualche parte dentro di lui. Aprendo gli occhi si accorse di stringere un piccolo foglio di carta: era la lettera per Babbo Natale che aveva scritto da bambino. La osservò a lungo, e infine comprese ciò che era successo. “Mi sono innamorato di un angelo” pensò, “un angelo che mi ha salvato la
vita”.
Giorno 7
Amore e Spine
Capitolo 1
Non credo esista amore senza spine. L’amore è come una rosa rossa: candida e bellissima in cima, ma con un gambo lungo e ricco di spine che la regge. La rosa è il sentimento: puro e bellissimo; il gambo è la strada che porta a esso: un sentiero lungo, tortuoso e pieno di imprevisti.
Conosco una storia degna di essere raccontata. È la storia della mia migliore amica, che ho sempre amato nonostante si sia allontanata da me dopo aver conosciuto l’amore della sua vita.
La persi del tutto quando ebbe il primo figlio, anche se devo ammettere che se oggi tornasse da me con l’intenzione di riavvicinarsi, io l’abbraccerei commossa.
Io e Rachel eravamo migliori amiche fin dai tempi delle elementari. Tuttavia non voglio raccontarvi la storia della nostra amicizia. Voglio bensì raccontarvi l’intensità del suo amore, il motivo che l’ha spinta ad allontanarsi di me.
Tutto cominciò quando Jonathan le chiese di vivere assieme.
Rachel
Rachel stava guidando, come al solito afflitta dai suoi pensieri. Si era affrettata a lasciare la palestra, curandosi solo di inviare un messaggio: - Non ti ho aspettato. Scusami, ma mi gira la testa e ho fretta di tornare a casa -
La testa le girava davvero, ma niente che un abbondante bicchiere d'acqua non poteva far are. No, la sua fretta era dovuta a un altro motivo: non voleva vederlo, non voleva salutarlo. Voleva evitare quel ragazzo alto, castano e dal fisico tonico e muscoloso. Aveva bisogno di tempo per sé per riflettere. "Di nuovo quel dubbio" pensò.
Erano ate due settimane da quella lite: "Andremo a vivere insieme per provare" disse lui. Come poteva dire così? Come poteva anche solo lasciar intendere che la convivenza fosse una prova per vedere che erano compatibili? Per lei la convivenza sarebbe stata l’inizio di una nuova vita. La vita da conviventi per lei non sarebbe stata diversa da quella da sposati, e accettava di convivere con lui solo perché non aveva abbastanza soldi per pagarsi un matrimonio ed era contraria a chiederli in prestito ai suoi. Del resto non si poteva nemmeno pretendere che due ragazzi ventisettenni neolaureati fossero ricchi sfondati. Lei era pronta a convivere con lui, perché sapeva che qualsiasi cosa fosse successa, si sarebbe impegnata per mantenere quel rapporto sano, maturo e indistruttibile. Tutte cose che evidentemente Jonathan non condivideva. Lui le aveva chiesto di vivere assieme per sottoporla a un test. E se alla fine di quel test lei non si fosse
rivelata adatta? No, non poteva accettare di vivere con un uomo insicuro, aveva troppo da perdere. Da quel giorno si era rotto qualcosa, lei non gli aveva più detto "Ti amo". Non che lui lo dicesse così spesso… Litigavano di continuo perché lui non le diceva mai quelle due parole che scaldano il cuore e comunque le volte lui lo aveva detto ad alta voce, si contavano sulle dita. Ecco su cosa rifletteva Rachel in macchina. Stava diventando tutto diverso e aveva seri dubbi su quanto a lungo potesse sopravvivere quella storia. Ormai faceva persino fatica a sentire quella chimica, lo desiderava in modo fisico raramente e non sentiva la sua mancanza come prima, se non lo sentiva da un paio d’ore. Tuttavia la colpa non era interamente di Rachel. Ultimamente Jonathan la trascurava ed era sempre distratto.
"Non mi ama, abbiamo perso tutto" si ripeteva nella sua testa.
A quel pensiero i suoi occhi azzurri si riempirono di lacrime. Non provò ad asciugarle, ma si scostò una ciocca bionda dietro l’orecchio. Lui d'altra parte aveva cercato di consolarla dicendole che non vedeva l'ora avessero dei bambini, che iniziassero la loro nuova vita e che non faceva altro che pensare a lei.
“Lo dice solo per farmi contenta” Pensava. A lei non servivano le parole per levarsi quei dubbi, a lei servivano i fatti: le mancava la confidenza, la complicità, le coccole, i sorrisi, la felicità di quando l’aveva conosciuto nelle dure lezioni universitarie.
Ripensava a quell'ultimo istante di pochi minuti fa in cui l'aveva visto. - Ho un po' di nausea - gli aveva detto - Non capisco perché, devono essere state quelle giravolte che abbiamo fatto – - Ascolta. Tu riposati qui fuori. Io faccio gli addominali, lo stretching e arrivo. Non è niente, il corso è stato un po' pesante - l'aveva interrotta lui. - Vado a far la doccia allora nel frattempo- disse lei. Ma lui stava già distendendo il tappetino e le rispose con un veloce – Sì Da quel momento si era fatta una doccia di fretta, si era cambiata e si era seduta sulla panca a riflettere. - Tutto bene? – le aveva chiesto una ragazza all’improvviso. - No, cioè, sì. Ho solo bisogno di un attimo – - Vuoi che chiami qualcuno? – - No, no. Ora mi alzo e vado – - Ah, allora è libera la panca? Posso usarla? – - Si – disse Rachel scocciata prima di prendere le sue cose e andarsene. Evidentemente quella ragazza non era veramente interessata ad aiutarla ma voleva soltanto prendere il suo posto.
“E adesso quanto dovrò aspettarlo?” pensò arrabbiata una volta raggiunta la sala d’aspetto.
La rabbia cresceva quasi fino a soffocarla e decise di aspettarlo fuori per prendere una boccata d’aria. Ci provò davvero ad aspettarlo per due minuti, finché l’idea di quanto lui fosse
stato egoista e quanto lui si fosse interessato poco a lei, la fece camminare automaticamente verso la macchina. Una volta liberata la spalla da quella pesante sacca da palestra, prese il cellulare, inviò quel messaggio e poi si mise alla guida. Non era fuggita soltanto per quel “sì” veloce, ma anche perché le aveva parlato poco per tutta la sera, perché durante il corso non le aveva corretto neanche un errore e l’istruttrice l’aveva rimproverata, e soprattutto per tutte quelle cose dei giorni ati che li stavano separando. Mentre rifletteva su tutto questo, due fari la abbagliavano. Aveva invaso la corsia opposta e l’altro guidatore continuava ad accendere gli abbaglianti per avvisarla. Lui tentò di schivarla e di rallentare, lei fece altrettanto, ma non fu sufficiente per evitare completamente la collisione. L'ultima cosa che riuscì a sentire fu un forte rumore di ferro, poi si spensero le luci.
Capitolo 2
Jonathan
Quella chiamata riuscì a fermargli il respiro per un attimo; dopodiché non era più in grado di capire se il suo cuore batteva e se ciò che stava succedendo fosse realtà. - Rachel è in ospedale - aveva detto il padre. Aveva appena finito di cambiarsi ed era pronto per tornare a casa a mangiare. Non trovare Rachel ad aspettarlo all'uscita era stato strano, ma sapere che in quei pochi minuti era successo qualcosa che forse l'aveva portata via, era insopportabile. No, non poteva essere vero. Forse era svenuto e adesso stava sognando. Eppure sembrava un sogno così reale. Perché Rachel se n’era andata via così di fretta? Stava davvero male, e lui l’ha trascurata? Era sempre così insoddisfatta ultimamente che non sapeva più come comportarsi. Avrebbe sbagliato se le avesse proposto di rimanere a casa a guardare un film? Avrebbe sbagliato se le avesse proposto di uscire in compagnia di qualche amico? In qualche modo lei sembrava non essere mai contenta. Prima si lamentava perché non stavano mai da soli a far qualcosa di speciale, poi si lamentava
perché invece facevano sempre le stesse cose. Lui proprio non riusciva a capire cosa lei desiderasse, e si trovava sempre in difficoltà. Gli sembrava complicato e impossibile sostenere una storia del genere. Amare richiedeva un grande impegno, e non sempre aveva voglia di mettersi in gioco fino a quel punto. D’altra parte l’amava e non si immaginava, né desiderava, qualcun’altra al suo fianco. Arrivò alla macchina, buttò la sacca distrattamente nell’abitacolo e si mise alla guida. Con la mente in un totale stato confusionale, ma pur sempre libera da ogni pensiero si diresse all’ospedale, dove avevano portato la sua Rachel. Quando arrivò all’ospedale, vide i genitori di Rachel corrergli incontro. - I medici dicono che ha battuto fortemente la testa. La stanno visitando ora – disse sua madre. La sua Rachel era in pericolo. Poteva perderla. Che importava adesso se il loro rapporto aveva delle difficoltà o era perfetto? L’unica cosa che desiderava era poter stringere di nuovo la sua amata e non lasciarla più scappare. - Dov’è adesso? Portatemi da lei voglio vederla! – disse raccogliendo tutte le forze che gli rimanevano. - Non si può ancora entrare nella sua stanza, ma possiamo aspettare in sala d’attesa – Entrando, un odore di disinfettante lo investì. Per un attimo si sentì mancare. Era davvero in quel luogo per la sua Rachel? Il cuore tornò a farsi sentire dopo quell’interminabile silenzio. Adesso batteva anche troppo.
Seguendo Michael e Allie, salì le scale e arrivò al reparto. Adesso, soltanto una parete lo divideva da lei. Chiuse gli occhi immaginando il suo respiro, e il suo volto sereno, la sua pelle liscia e morbida e i suoi occhi sempre sorridenti. Quando riaprì gli occhi, vide il medico uscire dalla stanza ed avvicinarsi a loro. Mentre attendeva che il medico riportasse la sua diagnosi, si sentì mancare.
Capitolo 3
Rachel
Si risvegliò una settimana dopo da un lungo sonno privo di sogni. Aprendo gli occhi vide il mondo che prendeva forma. Dopo un po' si accorse di un peso appoggiato sulla mano sinistra. Girò la testa di lato. Vide Jonathan con la testa china. Forse dormiva. Si guardò in giro e non vide nessun altro nella stanza, ma la porta era aperta. Dove si trovava? Cos’era successo? Cominciarono a funzionare anche le orecchie e riuscì a sentire i suoi singhiozzi, poi delle voci familiari che provenivano dal corridoio. - Ciao - disse debolmente. In quello stesso istante Jonathan fece un balzo. Ancora qualche istante e avrebbe finalmente rivisto il suo volto.
Jonathan
Jonathan alzò la testa di scatto. Come vide i suoi occhi, le lacrime smisero di scendere. - Michael! Allie! È sveglia! – disse all’improvviso, e poi la baciò. Fu un gesto spontaneo. Del resto desiderava farlo da una settimana e si era
rimproverato più volte di non averlo fatto quell'ultima volta che l’aveva vista sveglia. - Ti amo- disse poi. - Ti amo e ti giuro che te lo ripeterò sempre. Ma tu non allontanarti più da me! - Mi dispiace – disse lei - Per cosa amore mio? - Per non averti aspettato – - Sono stato io stupido ad averti lasciata andare. Non si ripeterà, lo giuro – Tornò a casa finalmente la settimana successiva. Quasi come in modo naturale Jonathan si trasformò in un ragazzo affettuoso e premuroso. Bastarono pochi giorni per cedere: - Ti amo – disse Rachel presa da una forte emozione. Era la prima volta che glielo diceva dopo mesi. - Anch’io amore –
Capitolo 4 Quando si litiga, lo si fa sempre in due. Rachel aveva accusato Jonathan di egoismo, ma lei non era stata migliore. Se avesse voluto rassicurare Jonathan, doveva incominciare a impegnarsi sul serio e provare a dirgli davvero come si sentiva. Così avrebbe fatto. Per un po’ era meglio archiviare l’argomento convivenza, lavorare sulla felicità, e solo allora la loro nuova vita sarebbe cominciata naturalmente. Alla fine i due giovani riuscirono a superare i loro dissidi e a fare il grande o. Cominciarono a vivere assieme, e quando si sposarono, nessuno dei due si accorse del cambiamento e il loro amore diventò puro e forte come quello di una rosa.
CARO LETTORE
Non so spiegare cosa sia veramente l’amore. Non so spiegare cosa sia l’amore perché ho visto troppe coppie separarsi, seppur sembrassero perfette.
Lo so, non è il modo giusto per convincere una persona a leggere una raccolta di storie che si prefiggono la missione di insegnare cosa sia questo sentimento, ma se ti dicessi che lo so mentirei.
Mi piace parlare d’amore, amo i romanzi rosa ben scritti, e mi emoziono negli attimi romantici. Ho persino una teoria sull’amore. Credo fermamente che amare qualcuno voglia dire accettarlo com’è, e avere la forza di combattere giorno per giorno per quella persona.
Penso anche che oggi giorno l’amore sia visto un po’ superficialmente. Ci sono troppi tradimenti, e troppe lacrime. Tutto questo pur di stare accanto a qualcuno.
L’amore non è questo. L’amore non è smettere di essere soli.
L’uomo è destinato ad essere solo: nasce come uno e morirà come uno, pur avendo accanto qualcuno. Certo, ti senti più forte, protetto o al sicuro; ma nella tua testa ci sei sempre e solo tu.
L’amore è un sentimento dolce, capace di renderti leggero e darti l’illusione di
esser felice con un solo sguardo. L’amore è troppo bello perché sia vissuto in modo superficiale. Questo dolce sentimento necessita di essere affrontato intensamente pur di non spegnerne mai la fiamma.
Potrei aggiungere altro, ma questo è il concetto più importante, secondo me.
Detto questo, ti voglio salutare con un piccolo pensiero: “Non ricercate l’amore per paura di rimanere soli; ricercate l’amore perché volete dare il meglio di voi a qualcuno che fa altrettanto”.
L’autrice
Arianna Raimondi
Sommario
Prologo
Giorno 1
Il palloncino del destino
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Giorno 2
Scusa ma amo un altro
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Giorno 3
Amore e amare ma poi…
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Giorno 4
Se ami qualcuno, lascialo andare …
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Giorno 5
Il vero amore non muore mai
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Giorno 6
Il mio angelo venuto a salvarmi
Capitolo 1
Capitolo 2
Giorno 7
Amore e Spine
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
CARO LETTORE