per Natale
Questo racconto è solo ed esclusivamente frutto della fantasia dell'autrice. Ogni luogo o riferimento a cose o persone, vive o defunte, è puramente casuale. È vietata la riproduzione sia parziale che totale dell'opera in qualsiasi forma. Potete seguire l'autrice sulla sua pagina facebook Daniela Perelli o contattarla tramite e-mail
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Sinossi: È il periodo più magico dell’anno: le vie di Genova sono affollate, le vetrine dei negozi illuminate a festa, l’aria pungente non risparmia i visi già arrossati dei anti con, tra le mani, i primi sacchetti colmi dei regali acquistati. Tutto è così perfetto, eppure… qualcosa di inaspettato e pericoloso avviene. A essere coinvolta una frizzante e determinata Nina che, anche questa volta e nonostante la sua vita da sempre difficile e solitaria, affronta la brutta situazione senza pensarci due volte. Ed è proprio in quel momento che, di lì, a Sergei: il giovane proprietario del Papillon, il locale più in voga della città, non può credere ai suoi occhi. Quella ragazza dai capelli stravaganti, vestita in modo decisamente buffo, ha coraggio da vendere, una vera eroina! Certo è che non può starsene lì a guardare, deve e vuole intervenire… E così avviene il loro primo incontro, in un modo strano e inaspettato, sotto gli occhi di molti increduli anti. Nina, la sua vita umile, difficile, insieme ai suoi due amici, gli unici amici, i più cari. Sergei, la sua vita dedita al lavoro e ai suoi pochi affetti, per non pensare a ciò che di tragico lo ha toccato per sempre, nell’animo, qualche anno prima. Un periodo magico ma che loro tanto temono e che, pian piano, giorno dopo giorno, cominciano ad apprezzare di nuovo. Se non che un’incredibile scoperta rischia di rimescolare tutte le carte in tavola facendoli, invece, allontanare per sempre.
Dedico questa storia, una favola d’amore moderna, a tutte quelle donne, ragazze, che non hanno un unico sogno, ma tanti… A tutte le donne che desiderano viaggiare. A tutte le donne che desiderano sposarsi con il proprio principe azzurro. A tutte le donne che desiderano diventare mamme. A tutte le donne che con determinazione cercano di realizzarsi nel lavoro. A tutte le donne che sono delle speciali migliori amiche. A tutte le donne che desiderano diventare zie o nonne. A tutte le donne che desiderano una casa piena di cani e gatti. A tutte quelle donne che desiderano viaggiare, sposare il proprio principe azzurro, diventare mamme, realizzarsi nel lavoro, che sono delle speciali migliori amiche, che desiderano diventare zie o nonne, che desiderano una casa piena di cani e gatti… Tutti i sogni possono avverarsi, anche insieme, sta solo a noi decidere ciò che davvero ci rende felici.
Un pensiero speciale a mio marito e ai miei figli. Un grazie speciale alle mie lettrici e alle nuove che leggeranno la mia storia. Un grazie speciale alle mie colleghe autrici e a tutte le blogger.
"Non capisco come un mondo che crea cose tanto meravigliose possa essere cattivo". La Sirenetta
"Ohana" significa famiglia, famiglia significa che nessuno viene abbandonato... o dimenticato". Lilo e Stitch
Prologo
“Sua altezza, le mie più sentite congratulazioni, è davvero una bambina bellissima. Già degna erede al trono, se mi permette” disse il maggiordomo di fiducia della famiglia reale di Solona, in Svezia. Anche lui, lì, in quella stanza d’ospedale ricca di colori. Adornata ad arte per l’arrivo della piccola e tanto attesa Isobel nata dopo un inaspettato cesareo e, finalmente, tra le braccia della sua mamma. “Grazie, Percival, sono felice che anche tu sia qui” rispose la regina Lauren Odessa Barnaby con in braccio un piccolo frugoletto rosa, mentre al suo fianco suo marito, nonché re Alexander Phillips Barnaby, accarezzava i già folti capelli neri come carbone della sua piccola principessa e un sorriso gli illuminava il viso. “Sua altezza, il popolo di Solona è in attesa di vedere la dolce erede al trono. Se ve la sentite…” La regina sorrise. “Ma certo, è giusto, anche il popolo con il suo affetto ha atteso con noi questa gioia immensa.” Con l’aiuto del suo re, la regina Lauren si alzò dal letto, la sua piccolina stretta al petto. Il maggiordomo aprì la finestra della stanza e un bel sole caldo di un 15 maggio del 1996 entrò con i suoi raggi scaldando ancor di più la regina che, con il re al suo fianco, si affacciò, cosicché il loro fedele popolo potesse applaudire
una dolce e importante nascita.
Lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze perché la vera bellezza si trova nel cuore. La Bella e la Bestia
Capitolo uno
Genova, dicembre 2017
Quando Nina entrò per la prima volta in quella lavanderia di via Venti Settembre, nel centro di Genova, non aveva idea di come in realtà sarebbe cominciato il suo turno di lavoro. Aveva avuto il colloquio con le due proprietarie, sorelle gemelle intorno alla cinquantina e di certo non molto garbate e gentili, solo una settimana prima. Non era la prima volta che le capitava di lavorare e collaborare con persone non proprio affabili, questo non la metteva di certo in difficoltà, e poi non poteva permettersi di fare l’altezzosa quando si trattava di lavoro. Le due donne la salutarono un po’ impettite, sapeva di essere piuttosto eccentrica: i suoi capelli rosa non aiutavano di certo, ma le piaceva tanto portarli lunghi e di quel colore, si sentiva a suo agio. Per il resto era una ragazza davvero semplice, sicuramente un po’ confusionaria e sopra le righe per il suo modo di vedere la vita, ma nulla che la fe sembrare una persona poco affidabile. E poi, si sa, l’abito non fa il monaco! Si ripeteva spesso. Quindi, perché quelle due signore nerborute le facevano cominciare il lavoro in un modo che anche per lei era davvero strambo? Pazienza, non si sarebbe tirata indietro neanche questa volta e non solo perché quel lavoro le serviva come l’aria che respirava, ma anche perché ogni sfida per Nina doveva essere
affrontata a testa alta. “Oggi indosserai questo costume per distribuire i volantini di fronte al negozio” disse la prima gemella. La signorina Guendalina, l’altra si chiamava Rosetta. Più le osservava e più pensava che quei due nomi non si addicessero a loro proprio per niente. Avrebbero dovuto chiamarsi Bellatrix e Narcissa, proprio come le cattive di Harry Potter. Ci assomigliavano anche un po’. Solo più tonde. Cercò, ovviamente, di trattenere un sorriso divertito a questo pensiero che, giusto un pochino, la fece sentire in colpa. “Perfetto, grazie ancora per avermi dato la possibilità di lavorare qui” disse infine con una dignità degna di pochi. “Eh, eh, carina, aspetta a dirlo. Questo è niente, da domani ti mettiamo a stirare!” bofonchiò la seconda gemella, Rosetta, o meglio: Narcissa. Nina afferrò quel costume, andò nel retro su indicazione delle due proprietarie, lo estrasse dal sacchetto e lo osservò per bene per capire se davvero si trattava di quello che le era sembrato a prima vista: sì, era esattamente una tutina verde in tessuto acrilico e sì era un cappello da Elfo quello da mettere sopra il capo creato con lo stesso tessuto, ma di un verde più scuro contornato da un merletto rosso, con su scritto “Bolle blu” (il nome della lavanderia). Indossò il costume da aiutante di Babbo Natale e uscì. Le donne, trattenendo a stento un sorriso più diabolico che divertito, le consegnarono i volantini. “Ora esci e ti posizioni a un metro di distanza dalla vetrina laterale e dai i volantini ai anti. Per oggi sarà solo questo il tuo compito!” Eh certo, che mai poteva essere stare per otto ore, di fronte alla lavanderia, vestita da Elfo con i sei gradi di un primo sabato di dicembre. “La tutina è termica al suo interno, ma se hai freddo ti darò un pile” asserì la gemella numero uno come se le avesse letto nel pensiero. A cosa doveva cotanta bontà d’animo? “Grazie” si limitò a rispondere Nina che, preso coraggio, un bel respiro profondo, uscì dal negozio. In fondo di situazioni bizzarre ne aveva già vissute. Come quella volta che, l’unica volta in vita sua che aveva bevuto un intruglio
alcolico, aveva vomitato sulle scarpe di un distinto signore che malauguratamente era ato di lì per caso, ignaro del fatto che una certa Nina Bacicalupo era proprio lì. No, essere vestita da Elfo era cosa di poco conto, in confronto. Poteva anche chiedere alle due gemelle se le prestavano il costume per Carnevale, non era tanto male come idea! Insomma, mentalmente cercò in ogni modo di affrontare quella situazione a testa alta continuando a dirsi che era bellissima anche così, con una tutina verde aderente e un cappello notevole. Le persone che eggiavano quella mattina, tutto sommato, erano anche propense ad accettare i volantini della lavanderia Bolle blu, dove i tuoi capi entreranno cupi e grigi e usciranno candidi come nuvole bianche e zucchero filato”. Ma che razza di pubblicità era? Poi le osservò un attimo, al di là della vetrina, e allora si ricordò che non era di certo il caso di stupirsi. La giornata stava anche ando veloce, i suoi piedi parevano due cubetti di ghiaccio, ma che importava? Era davvero, davvero brava come Elfo. A un certo punto, mentre continuava a distribuire volantini e ogni tanto a farne rifornimento quando a turno le gemelle uscivano per controllare che non rimanesse mai senza, Nina sentì un urlo acuto, pareva più lo squittio di un topo, ma bello grosso. Sentì poi il tonfo di un vaso che si infrangeva. Si girò nella direzione dalla quale proveniva tutto quel baccano: un ragazzo piuttosto giovane, con una faccia da schiaffi come pochi, correva via veloce mentre teneva tra le mani, contro il suo petto, una borsa che poco si addiceva a lui. “Aiuto! Mi ha rubato la borsa! Aiuto!” urlò una signora piuttosto anziana seduta a terra. Nina non ci mise molto a capire, per di più aveva seguito un corso di auto difesa qualche mese prima. Era il caso di metterlo in pratica, al contrario? Cioè, invece di scappare dal pericolo, rincorrerlo, il pericolo? Non ci vide più dalla rabbia e, come se il suo corpo ormai un tutt’uno con quel costume che per di più puzzava un po’ di muffa e stantio, lanciò a terra i volantini che, per via di un colpo di vento, cominciarono a volare ovunque. Corse a più non posso, era veloce, non tanto alta, ma quelle due gambette parevano lo stesso quelle di una gazzella. Correva e correva, faceva lo slalom tra le persone, lo stesso quel delinquente che aveva aggredito e rubato la borsa a una signora anziana e innocente, e lo raggiunse. Successe tutto in un attimo: gli saltò
addosso da dietro e lo fece cadere a terra. Il ragazzo si girò immediatamente, il suo sedere secco incollato ora all’elegante pavimento di via Venti Settembre. Lei sopra mentre cercava di strappargli via la borsa dalle mani. Il tipo si dimenava, scalciava e cercava di colpirla. Ma in che razza di situazione si era andata a cacciare? “Lascia subito la borsa! Ma non ti vergogni?” La gente intorno, molti fermi, immobili e sbalorditi di fronte a tanto coraggio. Lui teneva forte la borsa e intanto le urlava “sei pazza!”. Ah, pazza lei? Lui invece che rubava borse ad anziane innocenti? Quando si stava per arrendere, solo in quel momento, sentì da dietro le spalle una presa su di sé. Quelle due mani forti la spostarono con decisione ma al tempo stesso delicatezza per non farle male. E il tipo con quelle due mani forti, prese il posto di Nina. Tirò un bel gancio al tizio, quel tanto da stordirlo (essendo ben più piazzato del ladro lo avrebbe ridotto a brandelli) per riprendere la borsa e per far sì che non scape. Il ragazzo misterioso si sollevò da terra con la borsa in mano, si girò verso Nina per argliela, nel frattempo arrivò la polizia che qualche ante aveva certamente chiamato. Nina prese la borsa. “Grazie, la riporterò alla proprietaria, spero stia bene” sussurrò con un filo di voce mentre sollevava il capo per vedere in viso quel, all’incirca, metro e novanta di cotanta bellezza e due occhi così neri da far fatica a scorgerne il bianco intorno. Nel frattempo tutto sembrò andare alla velocità della luce: la signora stava bene, non la smetteva più di ringraziare Nina e complimentarsi con lei. Un ante, vista la scena, la aveva accompagnata lì, così Nina poté ridarle la borsa. “Ma sei un’eroina!” esclamò ancora la donna, commossa, prima di salutarla. Fu scortata da uno dei poliziotti all’ambulanza, appena arrivata, perché la portassero in ospedale. Nel frattempo gli altri due poliziotti ammanettavano quel ragazzo e lo
scortavano sino alla loro volante. Pareva quasi sollevato dall’essersi tolto da quella situazione decisamente inaspettata e sopra le righe. Un applauso sentito si levò intorno a lei e al suo salvatore misterioso che le sorrideva gentile, anche se quel viso non prometteva nulla di buono. “Grazie” gli disse Nina, un po’ dolorante. “Di nulla, ho fatto il mio dovere di cittadino. Anche se…” Si fermò. “Anche se cosa?” domandò lei curiosa. “Anche se salvare una paladina della giustizia mascherata da gnomo non è proprio una cosa da tutti i giorni.” Nina alzò un po’ gli occhi al cielo. “Intanto non sono uno gnomo ma un Elfo di Babbo Natale e poi c’è un spiegazione logica al fatto che io sia vestita così e ti assicuro che non ha nulla a che fare con la mia caccia al ladro.” “Sarà, magari avremo modo di parlarne, sono davvero curioso di smascherare la supereroina di Genova che, vestita da “folletto”, salva i più deboli dai cattivi” continuò sardonico, ma non fastidioso. In fondo cercava solo di stemperare la tensione. Si rese conto solo ora, Nina, che ciò che aveva fatto era stato davvero pericoloso. Il fatto era che lei agiva, sempre, senza riflettere troppo. “Stai bene, ti sei fatta male?” domandò poi il ragazzo ridestandola dai suoi pensieri. Nina sospirò. “No, davvero, sto bene.” Nel frattempo anche un signore della croce rossa si avvicinò per chiederle se voleva essere scortata in ospedale. Ma Nina, integerrima, rifiutò. Non si era fatta nulla. Il volontario dell’ambulanza la salutò e si allontanò. Risalì sull’ambulanza e scortò solo l’anziana. “Ora devo ritornare al negozio, sai, lavoro alla lavanderia Bolle Blu, ecco il motivo del mio travestimento” si giustificò, ancora imbarazzata dalle persone intorno che si congratulavano con lei, ma non solo. “Ti accompagno.” E non era una domanda, era un’affermazione decisa e che non
ammetteva repliche. “Come ti chiami?” domandò il ragazzo mentre le camminava di fianco: lui, così stiloso. Indossava un paio di jeans consunti ad arte sulle ginocchia, una camicia bianca con le maniche arrotolate e sbottonata sul davanti, un gilet aperto e una scarpina intorno al collo. Ma non aveva freddo? Ai polsi portava molti braccialetti di cuoio e argento. Già, lo aveva notato bene, Nina. E come avrebbe potuto non notarlo? Lei vestita da Elfo… Si sentiva un po’ in difetto in effetti, il minimo che potesse fare era notare quanto invece il tizio curasse i dettagli. “Nina. Nina Bacicalupo, e tu?” “Sergei” gli rispose senza aggiungere altro. Quel nome di certo gli si addiceva. Quando furono di fronte alla lavanderia notò gli occhi stralunati delle gemelle che, già sapeva, non gliela avrebbero fatta are quella “scappatella” anche se era stata a fin di bene. “Eccomi, allora… ciao e grazie per aver stordito quel tipo da parte mia.” “Non c’è di che. Anche se, credo te la saresti cavata benissimo da sola.” Nina sorrise e sollevò le spalle. “Grazie per la fiducia. Ora, torno a svolgere il mio lavoro come una comune cittadina!” esclamò facendolo sorridere. “A presto, Nina, non so perché ma ho come la sensazione che ci rivedremo. Tu attiri guai, come una calamita…” La salutò e si allontanò. “Sì, non posso darti torto, Sergei, e neppure mi conosci…” sibilò quando lui si era già allontanato cosicché non potesse sentirla.
"Quando non puoi dire una cosa gentile, è molto meglio starsene zitti". Bambi
Capitolo due
Il Papillon era uno dei locali più frequentati a Genova negli ultimi anni da quando Sergei Risso lo aveva rilevato da suo padre. Arrivò con dieci minuti di ritardo nel suo ufficio: una piccola e lugubre stanza che lo faceva sentire come a casa, viste le molte ore che ava lì. Il locale richiedeva molto impegno: burocrazia, dipendenti da seguire, gruppi musicali, cantanti, ballerini che spesso contattava per delle serate particolari, come ad esempio quando qualche cliente danaroso affittava il Papillon per feste o eventi. Si sedette alla sua scrivania, erano le dieci e mezza e quella mattina aveva davvero molto lavoro che lo aspettava. Sentì bussare alla porta, era Marco, il signore ultra cinquantenne che si occupava del bar, il suo braccio destro, e suo caro amico. “Sergei, ciao. Mi stavo preoccupando. Da che ti conosco non hai mai tardato di un minuto” disse, mentre entrava e si avvicinava a lui. Il sorriso divertito sulle labbra. Sergei si portò le mani sul viso per stropicciarsi gli occhi e cominciò a ridere di gusto. Marco, incuriosito, si sedette sulla sedia proprio di fronte alla scrivania. “Che succede?” domandò corrucciando un bel po’ le lunghe e folte sopracciglia grigio scure. Sergei portò via le mani dal viso e le appoggiò al tavolo, ma non riusciva a
smettere completamente di ridere. “Non puoi credere a cosa mi è successo stamattina.” “Sentiamo” continuò l’uomo sempre più stranito dal suo comportamento. Non che Sergei fosse un tipo proprio serio o poco spiritoso, ma una risata così bella e spontanea da quel ragazzo che viveva per il suo lavoro non se la aspettava di certo. “Ero un po’ in anticipo stamani e ho fatto un giro. Stavo poi percorrendo via Venti Settembre per venire qui quando a d’un tratto vedo un gran caos: una ragazza con una terribile tutina da Elfo addosso comincia a rincorrere un tizio che ha rubato la borsa di una signora appena uscita da un negozio. Stavo per avvicinarmi alla signora, ma per fortuna due donne che erano più vicine di me l’hanno soccorsa subito. Così ho pensato di farmi una corsetta anche io per aiutare questa temeraria ragazza…” si fermò solo un istante e poi continuò. “Lo ha raggiunto, Marco, gli è saltata al collo, lo ha stesso e ha cercato di strappargli dalle mani la borsa. Allora, una volta raggiunta, l’ho aiutata. L’ho fatta spostare e ho stordito con un gancio quel lurido bastardo. Per fortuna tutto è finito bene, la donna non sembrava lesionata ma comunque è stata portata in ospedale, il tizio è stato arrestato ma spero che si faccia un bel giro lui in ospedale, anche se non credo, non gli ho fatto abbastanza male. E, infine, applausi per questa ragazza dal cui berretto spuntavano capelli rosa. Davvero, una situazione assurda, ma quel che più mi ha stupito è stato il suo coraggio.” Marco sembrò per un attimo interdetto. Ma poi rinsavì. “Di tutte le cose… vedrai che domani troveremo un articolo sul Secolo XIX. E dimmi… era molto carina questa eroina coraggiosa?” domandò infine. Sergei lo guardò truce. “Non saprei, sai, in quel momento non ho controllato e poi non è che me ne vado in giro a fare i raggi x a tutte, specialmente a quelle vestite in modi discutibili perfette per il carnevale di Viareggio!” rispose piccato, portando ora l’attenzione sui fogli che aveva sottomano. Di certo non poteva non aver notato due occhi color dell’oro e le ciglia lunghissime che li contornavano.
Marco sembrò sospettoso. “Già, che domanda sciocca…” terminò in tono sarcastico. “Comunque domani compro il giornale, chissà che non ci sei anche tu!” Sergei lo osservò di nuovo. “Tra mezz’ora arrivano le bibite per rifornire il bar” bofonchiò infine, lui. “Mi metto subito al lavoro, capo!” E si allontanò. Sergei non resistette: prese il cellulare e guardò sulle ultime notizie, ma nulla. Scorse allora la home di Facebook ed eccola lì, l’eroina era già finita sui social e lui purtroppo anche! Sorrise ancora e scosse il capo, prima di posare il cellulare. Un altro bussare alla porta: questa volta però era Lucinda, la ragazza che lavorava per lui e che stava frequentando in quei giorni. La stessa ragazza che diceva di volere solo fare tanto tantissimo sesso e che invece si ritirava spesso lì a fare la fidanzatina gelosa e la gatta morta. Ma era bella da togliere il fiato e Sergei aveva un debole per le ragazze come lei che, diciamo, avevano più o meno i suoi stessi interessi. Con uno sguardo felino e un rossetto rosso fuoco, la gonna cortissima e le calze velate, si avvicinò alla sua scrivania, fece il giro. Sergei si spostò quel tanto che bastava per farla sedere sulle sue gambe, e la voglia di prenderla proprio lì, sulla scrivania, quel desiderio che sarebbe rimasto tale fino a notte tarda perché no, durante il lavoro era davvero integerrimo, e quella amazzone tentatrice gli stava facendo ribollire il sangue nelle vene. “Mi sei mancato stanotte” gli disse prima di avvicinare la bocca alla sua. Ma Sergei si scostò, non amava particolarmente i baci sulla bocca, erano un sintomo di affetto, amore e devozione, e lui non provava nessuno di questi tre sentimenti per lei. Lui voleva solo fare sesso, per piacere, per liberare la mente quando non lavorava. “Lucinda, niente baci, per favore, smettila” le sussurrò contro il collo. “Niente baci, va bene, l’importante è che stanotte tu mi faccia quella cosa che tanto mi piace con la tua fantastica bocca” rispose mentre si strofinava il sedere in maniera provocante sopra il cavallo dei suoi pantaloni, rendendolo ancora più su di giri di quanto già non fosse.
“Adesso basta” continuò Sergei togliendosela di dosso. Lucinda si allontanò. “Ti aspetto stanotte a casa mia quando avrai finito anche tu, qui” terminò prima di andarsene. Sergei inspirò a fondo: quanto ancora poteva andare avanti così? A fare quella vita, piena di donne per are il tempo che voleva soddisfare in ogni modo, ma che lo lasciavano triste e vuoto ogni volta che ci aveva fatto sesso? Poteva invece e doveva andare avanti, perché dopo quello che era accaduto solo tre anni prima… non poteva essere diversamente.
Alcuni dicono che al destino non si comanda, che il destino non è una cosa nostra. Ma io so che non è così. Il nostro destino vive in noi, bisogna soltanto avere il coraggio di vederlo. Ribelle - The Brave
Capitolo tre
Nina tornò a casa dopo quella giornata che di certo non avrebbe mai dimenticato: abitava in una stretta via nel centro storico, luogo suggestivo ma, come dire… non proprio tranquillo. Però ci era abituata, l’importante era non uscire da sola la sera molto tardi e poi, per lo più, la via era popolata dai soliti: il vecchio Vito, un panciuto signore con le guance sempre rosse visto tutto il vino che beveva sempre, lì seduto davanti al bar del signor Gilberto, occupato per lo più a organizzare bische che a servire caffè, tanto per intenderci. Poi c’era Morena, che, come dire… in verità la considerava molto più femmina di lei nel modo di truccarsi e per quei tacchi vertiginosi che indossava con incredibile tranquillità, a parte ovviamente la sorpresina che nascondeva ben bene ai più che, quando se ne accorgevano, non sempre erano proprio contenti. Poi… diciamo che vi era un po’ di tutto ma, a modo suo, si era abituata a convivere con quella realtà che aveva anche imparato a gestire. Per poi arrivare ai suoi coinquilini: Marta, che aveva l’età di Nina e lavorava come commessa in un negozio di abbigliamento in periferia, e poi c’era Matias, loro coetaneo e attore. O almeno così si professava visto che, a quanto dire, aveva una grande dote e sicuramente avrebbe “sfondato” nel cinema erotico. Questa era la sua realtà, pensieri spesso confusi alternati a quella giornata cominciata in modo decisamente bizzarro e finita come sempre: lei che entrava in casa e sperava di non vedere Marta che aiutava Matias a fare pratica, come invece spesso accadeva. Chiuse gli occhi forte forte, accompagnando la porta, posò le chiavi sul tavolino a lato.
“Ehi, avete le mani a posto voi due?” domandò mentre un sorriso divertito si sprigionò dalla voce di Matias che, a suo dire, di sensuale aveva ben poco, sembrava più che altro Paperino. “Ma per chi ci hai preso, non siamo mica dei malati di sesso, facciamo anche altro. E, se aprissi gli occhi, ti accorgeresti che stiamo preparando una torta al cioccolato!” Nina aprì prima un occhio e poi l’altro, sorpresa, mentre si toglieva il giaccone e le scarpe. “Ma ti pare che potrei stare con uno che per lavoro va con tutte quelle donne?” domandò Marta fintamente offesa, quando in realtà era divertita. Matias alzò gli occhi al cielo. “E puoi pensare davvero che io faccia coppia fissa con una che mentre me lo…” Ma Nina lo interruppe. “Ok, ok, come non detto. Giocate a fare gli amici che fanno sesso occasionale, se questo vi rende così felici. Vi chiedo solo la cortesia di chiudervi in camera, magari, e di evitare la zona di entrata, d’accordo?” domandò avvicinandosi al lavabo per lavarsi le mani e cominciare a tirare fuori qualcosa di decente che potesse assimilare una cena. “Ma cosa fai? La torta al cioccolato è quasi pronta da mettere in forno per festeggiare il tuo nuovo lavoro, fino a che ti sveglierai e troverai finalmente il coraggio di frequentare quel corso di fotografia.” Eccola che ricominciava! “Primo, la torta al cioccolato per cena, non è che sia un’ottima idea anche se sapete che vi voglio un gran bene e vi ringrazio per averla preparata, ma, magari come dopo cena sarebbe perfetta. Seconda cosa, ti ho già detto che non ho più intenzione di fotografare né tanto meno di frequentare un corso che per un solo mese costa quanto un mio stipendio!” Matias alzò le spalle in segno di resa mentre Marta continuava a guardarla truce fino a che non cambiò argomento e si concentrò sulle omelettes che Nina aveva deciso di preparare. E, alla fine, quella torta al cioccolato, in effetti, era stata un dopo cena perfetto.
“Ho una sorpresa per voi, ragazze” cominciò Matias sventolando tre biglietti misteriosi davanti al viso. “E questi?” domandò Marta. “E questi sono degli inviti per entrare al Papillon, il disco-bar più ‘in’ che abbiamo in città. Bella gente, belle e spero anche disponibili ragazze…” “Ah, ma non ti bastano quelle siliconate con cui lavori ogni giorno?” Matias la guardò di sottecchi, Nina intanto osservava la scena divertita mentre, di tanto in tanto, si portava alla bocca una fetta di torta. “Sei gelosa, per caso?” domandò. Marta si inviperì. “Essere gelosa di te sarebbe come essere una gallina gelosa dell’unico gallo nel pollaio, razza di cretino che non sei altro, e anche narcisista, aggiungerei.” “Una gran bel gallo, dotato, aggiungerei” terminò strizzandole l’occhio e facendola irritare ancora di più. “Comunque, tornando a noi, stasera fatevi belle che si va in quel locale e non voglio sentire un no come risposta!” A Nina cadde la forchetta sul piatto, non amava i locali alla moda, lei era più da pub con gli amici, seduti attorno a un tavolo a farsi quattro risate. Sbuffò, ma nel leggere entusiasmo anche negli occhi di Marta non poté dire di no. “E va bene, andiamo in questo locale di cui tutti parlano” disse.
La tua mente è come quest’acqua, amico mio: quando viene agitata diventa difficile vedere, ma se le permetti di calmarsi la risposta ti appare chiara. Kung Fu Panda
Capitolo quattro
Sergei uscì dal suo ufficio, si affacciò alla balaustra per osservare dall’alto la gente che quella sera si trovava nel suo locale. Cercava sempre di capire e selezionare in modo accurato i clienti, non perché fosse snob, ma perché non voleva problemi e sperava sempre che i due uomini della sicurezza che stavano all’ingresso, e i due che invece vigilavano all’interno del locale, non dovessero mai intervenire per calmare risse o situazioni poco piacevoli. Ci teneva molto al suo lavoro, ci teneva molto che il suo locale fosse conosciuto a Genova come un posto speciale in cui divertirsi e stare bene. Al bar, Marco sembrava non aver bisogno d’aiuto; le consumazioni essendo ancora a inizio serata andavano a rilento. Le due ragazze che sgomberavano i bicchieri dai tavoli sembravano cavarsela bene, finalmente aveva trovato il personale giusto, di cui potersi fidare. L’unico intoppo stava diventando Lucinda che, purtroppo, stava cominciando a prendere la loro storia troppo sul serio, nonostante lui fosse stato chiaro e lei sembrasse più che d’accordo non essendo, come lui, incline a rapporti sentimentali esclusivi. Si era ripromesso che, dopo Beatrice, l’unica donna che aveva amato e che solo tre anni prima era morta i un incidente, non ci sarebbe stata nessuna. Il pensiero di innamorarsi di nuovo e perdere ancora una volta la persona amata lo avrebbe spezzato per sempre. Mentre, così, aveva trovato un suo equilibrio. Il locale si riempì ancora, presto la band che aveva chiamato per quella sera
avrebbe cominciato a suonare: si trattava di un nuovo gruppo musicale che stava riscuotendo un certo successo in città, formato da ragazzi molto giovani che suonavano musica leggera e che ricordavano molto i Luna pop all’inizio della loro carriera. Sì, sarebbe stata una bella serata, una serata perfetta, se non che il suo sguardo venne attirato a un tavolino proprio al lato ingresso. Vi erano tre persone: un ragazzo sulla trentina che attirava su di sé molti sguardi ammirati, una ragazza molto procace seduta vicino a lui e un’altra ragazza che… no, era lei? Le sembrava quello il viso, nonostante quel cappello da folletto che nascondeva un bel po’ i suoi lunghi, lunghissimi capelli lisci e rosa. Nonostante quella tutina ridicola e quel cinturone che non gli avevano permesso di osservarla bene, mentre, invece, quel vestitino nero attillato e corto, quei collant neri velati e trasparenti, e gli stivali fino al ginocchio… ora sì che la vedeva bene. Era proprio uno spettacolo, ancor meglio di come se l’era immaginata. Un po’ timida nel parlargli ma, vista la situazione in cui si era cacciata, sicuramente era coraggiosa e spavalda. Un perfetto mix che lo stava facendo andare non poco su di giri. Continuò a fissarla, con insistenza, fino a che la sua amica non si accorse che stava guardando nella loro direzione e, cercando di non farsene accorgere, le fece segno di guardare verso di lui. Solo che, in quel momento, cominciarono a arle davanti ben più persone e, così, dovette sporgersi un bel po’ per capire. Fino a che non riuscì a scorgere lo sguardo di Sergei, Nina sembrò inizialmente stupita e poi gli sorrise facendogli segno con la mano. Sergei ricambiò ma non andò lì, a salutarla. Invece si allontanò, entrò nel suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Inspirò a pieni polmoni. Dio, quella ragazza era un mix micidiale di timidezza, procacità, coraggio e bellezza da perderci completamente la testa…
No! Ascoltate voi! Per tutta la vita mi avete detto che il mondo è un posto crudele e tenebroso, ma ora vedo che l’unica cosa crudele e tenebrosa sono le persone come voi! Quasimodo, Il gobbo di Notre Dame
Capitolo cinque
“Il proprietario del Papillon, Sergei Risso, quel tipo da urlo, quando lo hai conosciuto? Perché, da come vi siete guardati e salutati, suppongo che vi conosciate…” concluse Marta sotto gli occhi increduli di Matias. “Ehi, guarda che qui a tua disposizione hai un altro tipo da urlo, stronzetta che non sei altro” le disse. Marta gli fece un gesto con la mano come a dirgli di smetterla. Nina era un bel po’ sconvolta, non credeva che la sua amica lo conoscesse. “Ecco, in effetti, non vi ho raccontato proprio tutto del mio primo giorno di lavoro…” E così, cominciò a dir loro tutto quello che era accaduto e, quando terminò, entrambi i suoi amici avevano la bocca spalancata, soprattutto perché non avevano ancora, e nemmeno lei, sbirciato sui social dove vi era il video dell’eroina che aveva bloccato un ladro di borse fino a che un uomo misterioso, poi scoperto il proprietario del Papillon, non venne in suo soccorso, e questo fece sbarrare gli occhi anche a lei. “Oddio, quel ragazzo venuto oggi in mio soccorso è il proprietario di questo locale…” “Cazzo, l’eroina vestita da Elfo che ferma un criminale. Per di più hai fatto pubblicità a quelle due stronze della lavanderia!” continuò Matias. “Modera un po’ i termini, sei sempre sboccato!” lo sgridò Marta. Rivolgendo poi uno sguardo alla sua amica, come a non credere che non avesse mai sentito
parlare di Sergei Risso, era proprio un caso disperato! “Mentre scopiamo però ti piace se sono sboccato…” E si beccò un bel colpo di mano in testa. Nina scosse il capo, pensando a quanto fossero perfetti quei due insieme. “Avevo quel ridicolo costume addosso, ma a quanto pare mi ha riconosciuta.” “Mhmm, il belloccio ti ha riconosciuta, eccome.” Nina sospirò. “Secondo voi, dovrei andare a parlargli? Non so, per ringraziarlo ancora…” “Se non ci vai ti ci spedisco io a calci…” Ma Matias posò un dito sulle labbra di Marta in modo sensuale. “Modera i termini…” sussurrò divertito. Nina alzò gli occhi al cielo e con la scusa che l’ambiente intorno a lei si stava surriscaldando, decise di allontanarsi e… sì, voleva parlare ancora con quel Sergei, anche se doveva ammettere, con se stessa, che quel tipo la intimidiva molto, e lei solitamente era tutto fuorché timida.
Preferisco morire domani che vivere 100 anni senza conoscerti. Pocahontas
Capitolo sei
“Cosa fai, salvi le donzelle indifese, adesso?” domandò Lucinda palesemente impettita mentre si chiuse la porta alle spalle per raggiungere Sergei che era in piedi davanti alla sua scrivania. “Non dovresti essere giù a lavorare?” le domandò scocciato dalla sua presenza ma soprattutto dalla poca professionalità che aveva palesato da quando avevano cominciato quella specie di storia. “Ah, se non ricordo male la scorsa settimana non hai avuto nulla da ridire se mi sono allontanata per un po’ dal sevizio ai tavoli, per fare un “servizio” a te, o sbaglio?” continuò ora divertita. Puntò lo sguardo fisso su di lei, uno sguardo che nonostante la spavalderia che le apparteneva, l’aveva messa in difficoltà. “Hai perfettamente ragione, ho sbagliato, ho sbagliato tutto. Sono stato egoista e per niente professionale, però è anche vero che ti ho detto sin dall’inizio come stavano le cose, sei stata tu la prima a dirmi che non volevi una storia seria ed esclusiva. Ma ora, a quanto pare, le cose stanno cambiando e vuoi di più. Altrimenti non si spiega questo tuo comportamento, o sbaglio?” terminò lui. Gli occhi ancora puntati verso di lei. “Se solo provassi a lasciarti andare un po’ forse la smetteresti di pensare alla tua ragazza morta” disse tagliente. Ma Sergei non ne fu ferito, in verità gli dispiaceva per la ragazza che aveva di fronte, per di più una sua dipendente e, ancora di più, per non aver bloccato quella situazione in tempo.
Scrollò il capo. “Non sai neppure di cosa stai parlando, Lucinda. Una cosa è certa, però: chiudiamo qui, da questo momento in poi torna tutto come prima.” La ragazza si agitò visibilmente e cercò di fargli cambiare idea anche se aveva imparato a conoscerlo nell’ultimo anno, quando diceva una cosa, quando prendeva una decisione sul lavoro, era quella, non tornava indietro. Il suo cuore era come di pietra e i pochi sorrisi che gli aveva visto riservare erano solo per Marco e per sua zia. Le uniche persone che avevano un posto speciale per lui. “Non ho più intenzione di lavorare qui, grandissimo stronzo che non sei altro. Anzi, a dire il vero è già da un po’ che mi è stato offerto un lavoro migliore di questo e ti dirò di più: non finisco neanche il mio turno, me ne vado ora…” Ma, prima di aprire la porta e chiudersela alle spalle si girò ancora verso di lui. “Ah, carina la tua performance, sei l’attrazione della rete insieme a quella specie di spaventaeri cacciatrice di ladri.” E uscì. Sergei fece un respiro profondo, non voleva farla soffrire ma in cuor suo era felice che se ne fosse andata e dandosi mentalmente dell’idiota per aver intrapreso una relazione con una sua dipendente. Si rimboccò le maniche e raggiunse i suoi collaboratori, a quanto pareva per quella sera avrebbe tolto bicchieri vuoti e sporchi dai tavoli. La musica era piacevole, il gruppo stava riscuotendo un discreto successo, la gente ballava e si divertiva: osservare da quella postazione era decisamente più coinvolgente che non dall’alto e al di là di quella balaustra che lo divideva e lo teneva lontano da tutti, spesso rintanato nel suo ufficio, al sicuro da quella vita che lo aveva messo in ginocchio in maniera permanente, perché il suo cuore non sarebbe mai guarito. Perché anche lui sapeva che i suoi sorrisi erano rivolti solo a due persone speciali. Perché sapeva che anche se involontariamente ora stava guardando in quella direzione, là in mezzo alla pista, dove quella ragazza bellissima, con i capelli lunghi e di un colore improbabile, con gambe tornite da mozzare il fiato, mentre si muoveva felice e sorridente a tempo della musica con i suoi amici e quegli occhioni che ora aveva incrociato con i suoi illuminandosi e riservandogli il più luminoso dei sorrisi così, senza nulla avere in cambio che un po’ di gratitudine per la situazione strana in cui entrambi si erano tirati fuori… nulla sarebbe cambiato.
Alice: Sto diventando matta, papà? Padre: Ho paura di sì, Alice: sei matta, svitata, hai perso la testa… Ma ti dirò un segreto: tutti i migliori sono matti. Alice in Wonderland
Capitolo sette
“Siamo su tutti i social, è imbarazzante, non ti pare?” domandò Nina. La serata era quasi volta al termine, lo aveva osservato più volte curiosa di capire come mai Sergei Risso, il proprietario del Papillon, avesse per tutta la sera lavorato al posto di quella ragazza tutta tette e gambe che, improvvisamente, si era defilata. Sapeva di essere invadente e sfacciata, di solito agiva così, senza pensarci troppo, non poteva proprio farne a meno. E così, approfittando del fatto che Marta e Matias un bel po’ brilli si erano forse chiusi in uno dei bagni del locale, bagni che aveva notato essere incredibilmente puliti da far invidia a quello sgangherato del loro microscopico appartamento, lo aveva seguito su per le scale prendendolo di sorpresa prima che lui potesse entrare in quello che aveva compreso dovesse essere il suo ufficio. Sergei trasalì e si voltò di scatto. “Ho visto e devo ammettere che, riguardandoti attraverso uno schermo, quel costume da Elfo non ti stava per niente male” affermò in un tono tra il divertito e lo strafottente. Nina alzò le spalle, cercando di essere come suo solito spavalda ma con quel tizio imponente non era così facile, doveva fingere per bene e poi si sentiva davvero in debito con lui, per il suo gesto. Avrebbe potuto come molti altri anti godersi lo spettacolo, invece era andato in suo soccorso, un gesto che ai giorni d’oggi, per lei, non era così scontato.
“Cosa vuoi, ho il mio fascino” rispose. Sergei dovette trattenersi, era di certo la tizia più strana che gli fosse capitata da… da sempre, in effetti. Incrociò le braccia al petto e inclinò lievemente il capo. “Allora, Nina dai capelli rosa, sei solita comportarti da paladina della giustizia?” domandò davvero curioso di sapere qualcosa in più su di lei. “Oh, cosa vuoi, era il mio primo giorno di lavoro alla lavanderia Bolle Blu, dovevo pur cominciare col botto.” Sergei, sempre più divertito, si appoggiò allo stipite della porta, le mani ora in tasca. “Quindi, dovrò starti un po’ alla larga, non so perché ma ho idea che girarti intorno vorrebbe dire avere un bel po’ di grane” continuò, però, pentito di averle detto “girarti intorno”. Perché in effetti un bel giro lo avrebbe fatto volentieri, alla fine il lupo perde il pelo ma non il vizio anche se poi, inspiegabilmente, non voleva sapere che tipo di ragazza fosse, in quel senso. “Da lunedì starò ben chiusa lì dentro. Per punizione dall’essermi allontanata, Bellatrix e Narcissa mi metteranno sotto con lo stiro, credo che per qualche giorno non distribuirò volantini.” “Bellatrix e Narcissa?” domandò, curioso, Sergei. “Ah sì, scusa, intendevo le gemelle proprietarie della lavanderia. Forse non ci sei mai entrato ma…” si avvicinò un po’ di più. Un po’ troppo. Tanto da mettere Sergei in allerta, visto che ora quel profumo di mughetto invadeva in maniera prepotente le sue narici. “Assomigliano alle due cattive di Harry Potter, hai presente?” E ora sì che cominciò a ridere, tanto da farsene accorgere anche da Marco che, da dietro il bancone, alzò lo sguardo stupito. Ma davvero era da tempo che non rideva così per far stupire il suo amico? “Hai molta fantasia, sei coraggiosa, sguardo intelligente, bella… Cosa nascondi ancora?” La mise in imbarazzo, riusciva a imbarazzarla e la cosa lo faceva impazzire non poco. “Oh, cosa vuoi…” Ci pensò un po’ su e poi lo guardò di nuovo con attenzione. “In effetti spesso mi chiedo da chi ho preso pregi e difetti, devo essere stata figlia di qualche figura mitologica, altrimenti non si spiega, l’unica cosa certa è che sono nata in Svezia, il mio simpatico cognome Bacicalupo mi è stato affibbiato da un ufficiale dello Stato Civile e quei simpaticoni dei miei genitori
affidatari italiani hanno poi scoperto di aspettare improvvisamente un bambino e non mi hanno più voluta. A parte questo… non saprei cosa aggiungere.” Era sorridente nel dirlo, eppure a Sergei dispiacque. Era sola, proprio come lui, ma la vita le aveva fatto il dono prezioso del coraggio e della gioia di ogni singolo giorno. Sentiva di ammirarla in effetti, lui non era così coraggioso e positivo. Quella ragazza era un raggio di luce che si insinuava prepotente nelle pieghe del tempo che per lui scorrevano spesso desolate. “Ma tu, piuttosto: sbaglio o sei il proprietario di questo locale? E poi come mai questo nome da star del cinema e non semplicemente Sergio? Ti ho visto poi prendere il posto di quella sventola che all’improvviso è scomparsa” continuò Nina battendogli un dito sul petto. Ma aveva una macchinetta al posto della bocca? Pensò divertito. “Sì, ma come vedi sono un tutto fare e poi, diciamo che… la ragazza si è licenziata stasera e, infine, per rispondere alla tua sfacciata curiosità, mia madre aveva letto questo nome su una rivista di fotoromanzi e le era semplicemente piaciuto, tutto qui” proseguì sornione. Nina socchiuse appena gli occhi. “Mhmm, comunque è davvero un bel nome, era giusto per sapere se vi era qualche fatto misterioso nella scelta. Per quanto riguarda quella ragazza… chissà perché ma ho come la sensazione che tu le abbia spezzato il cuore…” Sergei la osservò truce. “Dimenticavo di elencare i tuoi difetti: non solo troppo curiosa, ma anche incredibilmente impicciona.” Nina sollevò le spalle, ancora. “Sarà, ma ho indovinato mi sa. Bene, scusa se ti ho distolto dal tuo lavoro, il fatto è che ci tenevo a ringraziarti ancora e ti prometto che, se vorrai girarmi un po’ intorno, non ti metterò più in situazioni un po’ pericolose” affermò in modo sfacciato, stupendo se stessa per il modo di corteggiarlo, forse un po’, in modo davvero spudorato. E, come se non bastasse, si mise in punta di piedi e gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia, lasciandolo rigido come un baccalà, prima di salutarlo e allontanarsi per raggiungere i suoi amici che ora erano vicini al guardaroba e la aspettavano con uno sguardo curioso e sospettoso. Rimase lì, fermo. Marco uscì da dietro il bancone, salì le scale e gli si avvicinò. “Santo cielo, Sergei. Ma era quella ragazza che hai aiutato oggi? La paladina della giustizia?” domandò.
“Sì, proprio lei” ammise, percependo ancora quelle labbra morbide e carnose, in modo indecente, sulla guancia. Quelle labbra che avrebbe voluto su altre parti del suo corpo, in verità. Marco gli mise una mano sulla spalla. “Auguri, ragazzo, credo che tu ne abbia bisogno e… sono davvero felice che tu ne abbia bisogno.” Sergei si ricompose, scrollò il capo e lo guardò. “Vado a sbrigare due cose in ufficio, poi vengo giù e comincio a darvi una mano a pulire.” Marco annuì e si allontanò. Sergei entrò nell’ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Si appoggiò e… sorrise ancora.
Qualunque cosa accada, sarò al tuo fianco per sempre. Pocahontas
Capitolo otto
La donna era distesa su di un letto d’ospedale: intorno a lei i suoi affetti più cari, i visi tristi e stravolti che non rispecchiavano per nulla l’atmosfera che invece si respirava al di là di quella stanza. Al di là di quelle mura. Il Natale era alle porte, era ovunque: le luci colorate che illuminavano le vie più trafficate di Solona. L’aria era fredda, profumava di neve e di cioccolata calda che penetrava piacevole nelle narici ogni qual volta si ava vicino a un bar e le porte a vetro si aprivano e chiudevano per l’andirivieni dei anti. C’era già chi si portava avanti con i doni e che teneva per mano i bambini che pensavano all’arrivo di Babbo Natale. Un’atmosfera che, però, la famiglia attorno a quel letto ora non viveva più con gioia e attesa. Avrebbe sempre ricordato loro che il Natale aveva portato via la loro cara mamma, moglie e sorella. Quella stessa donna che, a loro insaputa perché brava a nasconderlo, non aveva invece mai in cuor suo vissuto quelle feste in serenità. E ora che stava per andarsene non poteva più tacere, doveva dire la verità che tanto l’aveva logorata per anni. “Annie, siamo qui, non preoccuparti, chiudi gli occhi e riposa” le disse il marito tenendole le mani tra le sue. “No, Luke, ascolta, è importante, loro devono sapere. Mi dispiace tanto, ho avuto paura, ho taciuto tutti questi anni, ma ora non posso più. Ti prego, ascoltami. Ascoltatemi tutti.” Sentenziò la donna. I suoi familiari annuirono. “Nel maggio del 1996 è nata una bambina in questo ospedale, una bambina che è stata abbandonata qui dalla madre, un’orfanella…” Cominciò a piangere. Il
marito, perplesso e stranito, le strinse le mani ancora di più per incoraggiarla a parlare. “Quello stesso giorno è nata la figlia dei reali e io… io… Ho sbagliato, non volevo, ma erano praticamente identiche. Spero che Dio mi perdoni per questo. La vera principessa ora è chissà dove e non con la sua famiglia…” Chiuse gli occhi. I suoi familiari attoniti per questa rivelazione a cui non volevano credere. Ma soprattutto tristi di aver perso la loro Annie che aveva donato a tutti loro infinito amore portando con sé un fardello così grande.
"Siamo tutti collegati nel grande cerchio della vita". Il Re Leone
Capitolo nove
Quel giorno era particolarmente freddo: Nina cominciò a decorare il portone d’entrata della palazzina malandata in cui risiedeva, con l’aiuto di Marta che non perdeva un momento nel fare smorfie di disappunto. “Nina, lo sai che ti voglio bene, ma lascia che ti dica una cosa: neanche se qui abitasse Babbo Natale, sua moglie e tutti gli Elfi con le renne questa via diventerà magica, ma soprattutto: rispettabile.” Nina si fermò un attimo e portò le mani sui fianchi. “Questo perché spesso tu non guardi al di là del tuo naso. Osserva bene tutto intorno a te: qui cara mia c’è odore di storia, di antichità. Chiudi gli occhi e prova a immaginare come era un tempo, proprio come in quelle pellicole dei vecchi film di una volta. E ora immagina tutto questo con le giuste decorazioni natalizie” affermò entusiasta e sicura di quello che disse. Continuando poi a decorare il portone. E Marta si guardò davvero un po’ intorno: sempre lo stesso Vito ubriaco che canticchiava una canzone inventata da lui. Sempre la stessa signorina Morena che, come dire, intratteneva piacevolmente qualche ante nella sua minuscola stanza all’ultimo piano e che diceva sempre a loro “ciao belle”. Il bar che, dopo le varie ronde della polizia, aveva secondo lei i giorni contati a causa di quelle bische. Per non parlare della notte: poteva affacciarsi giusto alla finestra e accorgersi che in verità il Bronx al loro quartiere faceva davvero un baffo! Ma sbuffò appena, si limitò a questo, non voleva scemare l’entusiasmo della sua amica che, in effetti, aveva portato una ventata d’aria fresca. “Sai che ti dico? Da domani comincerò a decorare anche gli altri portoni e poi
potrei fare un salto all’Ikea e prendere un po’ di quelle luci che funzionano a energia solare, così, tanto per dare quell’aria ancor più allegra, cosa ne dici?” Marta socchiuse appena gli occhi. “Peccato che qui il sole ci picchi ben poco, o addirittura mai.” Nina si fermò di nuovo. “Vedrai, sarà bellissimo!” “Oggi a che ora cominci il lavoro?” domandò a Nina, cambiando argomento rassegnata a quell’entusiasmo. “Alle quindici, il lunedì mattina tengono chiuso. Credo che le gemelle mi metteranno sotto un bel po’!” Marta rise. “Sai, stavo pensando alla faccenda del ladro di borse, alla serata che abbiamo ato al Papillon e al bel proprietario, tuo eroe, che non ti toglieva gli occhi di dosso…” ammiccò. “Ah, e dimmi: come avresti fatto ad accorgerti che non mi toglieva gli occhi di dosso se tu e Matias vi siete imboscati per un’ora?” domandò Nina divertita sapendo invece di irritare Marta che non voleva ammettere di provare qualcosa per lui e di essere gelosa della sua attuale e discutibile professione, nascondendosi con la scusa che erano solo amici che occasionalmente facevano l’amore. “Ti abbiamo vista parlare con lui, prima della fine della serata, e poi mica siamo scemi, quegli sguardi li abbiamo notati. Sono un po’ arrabbiata: io e Matias siamo o non siamo i tuoi amici? Non ci hai voluto raccontare nulla di quello che vi siete detti tu e quella specie di Jason Momoa con i capelli un po’ più corti!” Nina la osservò truce. “Vi racconterò qualcosa in più solo quando ammetterete che voi due siete cotti l’uno dell’altra.” Non che ci fosse da raccontare molto, ma era divertente lasciare Marta sulle spine sapendo quanto era curiosa e impicciona. E, come se niente fosse, tornò alle sue decorazioni mentre la vita degli abitanti di quella via continuava, nel bene o nel male.
“Un vero eroe non si misura dalla grandezza della sua forza ma dalla forza del suo cuore” Zeus, in Hercules
Capitolo dieci
I giorni avano e Sergei era molto impegnato con il locale per via delle feste natalizie. Il grosso albero di Natale che aveva ordinato era arrivato in tempo e aveva così cominciato ad addobbarlo insieme all’aiuto di Marco e di sua zia Vincenza, l’unica della famiglia che gli era rimasta. La zia era la sorella di sua madre, le somigliava moltissimo e, insieme, si erano aiutati molto a superare la morte dei loro cari. Solo che, ogni volta che arrivava Natale, era molto più dura. Sua madre andava spesso in giro a fare acquisti con Beatrice, la sua fidanzata che tanto amava. Erano molto amiche e l’entusiasmo che leggeva nei loro occhi sotto le feste era contagioso e unico. Ora non era più lo stesso, in verità non festeggiava più il Natale. Era diventato come l’avaro misantropo Ebenezer Scrooge, solo che non aveva bisogno di fare strani viaggi nel tempo e nei ricordi per amarlo di nuovo, il Natale. Nulla sarebbe servito, solo il suo lavoro e la dedizione per quel locale che suo padre gli aveva lasciato, lo portava a seguire certe ricorrenze, sapendo anche che erano ammirate e apprezzate dalla clientela che frequentava il Papillon. “Sergei, tutto bene?” domandò sua zia accorgendosi che era soprappensiero. Lui sorrise e le posò una mano sulla spalla per stringerla a sé.
“Sì zia, tutto bene, stavo solo pensando se era il caso di organizzare una serata un po’ diversa dal solito per la sera della Vigilia, tutto qui.” Anche Marco si era avvicinato per ammirare l’albero. “Non vuoi più ingaggiare un catering per il buffet?” domandò. “Oh, no, il buffet pensavo di farlo sempre. Mi chiedevo solo come vivacizzare un po’ la serata, perché per lo più la Vigilia sarà frequentata da coppie, quindi magari un po’ di musica leggera e poi… vedremo, ci penserò ancora un po’ su” terminò ancora incerto. La zia gli accarezzò una guancia. “Sono sicura che organizzerai una serata indimenticabile e ci sarà di nuovo un articolo su di te sul Secolo XIX.” Sergei sorrise. “Ma, dimmi un po’, che fine ha fatto Lucinda? Non lavora più qui?” gli domandò, spiazzandolo. Sperava che zia Vincenza non gli fe questa domanda, ma ormai… Non avrebbe raccontato storie. Marco alzò un po’ gli occhi al cielo e, a sentir nominare il giornale della città, sorrise al pensiero dell’articolo su Sergei e quella deliziosa ragazza. “Si è licenziata, ma è colpa mia. Ci frequentavamo, mi piaceva in effetti, ma ero stato sincero con lei e… diciamo che non era più molto contenta della mia sincerità come lo era all’inizio” disse senza pensarci troppo su. Sua zia sospirò. “Non importa, sono cose che capitano e mi dispiace che se ne sia andata. Ma non mi dispiace che non sia la tua ragazza, non era proprio adatta a te” terminò aggiungendo un tenero buffetto. “Quando arriverà te ne accorgerai” continuò. “Zia, non cominciare. E comunque ammetto che sì, insomma, dovrei comportarmi meglio con le donne quando decido di frequentarle.” Era vero, lo pensava sul serio e parlarne con sua zia era come confidarsi con un’amica. Proprio come con Marco, il suo unico e vero amico. “Non fartene una colpa, hai sofferto molto, e poi finché sarai completamente sincero, non avrai nulla da rimproverarti. Non è colpa tua, non sei tu che crei
false illusioni.” Le parole di sua zia lo rincuoravano sempre. Parlare con lei era terapeutico, eppure questa volta non riusciva a essere completamente onesto. Aveva paura di ammettere che, dopo tre anni dalla morte di Beatrice, cominciava a pensare a lei un pochino meno. Perché il pensiero era a volte sostituito da quella ragazza, quel raggio di sole porta guai e, per questo motivo, si sentiva ancora più spezzato e terribilmente in colpa. Si sentiva come se la stesse tradendo. “Ora devo andare a fare compere, ti aspetto per cena, ok?” “Va bene zia, o solo un attimo a casa prima di venire.” “A stasera, tesoro.” “A stasera, zia.” Salutò Marco e se ne andò. La sua vecchia macchinina la aspettava nel parcheggio di fronte al locale: tra i suoi pensieri sua sorella Laura e suo cognato Roberto, i genitori di quel nipote che tanto amava, e quel grande dolore che mai si sarebbe affievolito davvero.
Finiti gli ultimi ritocchi all’albero e, avendo ancora un po’ di tempo prima della cena, Sergei salutò Marco chiedendogli di chiudere lui il locale che, come ogni lunedì sera, sarebbe stato inattivo. Decise di fare due i, sarebbe tornato poi indietro a prendere la macchina per tornare a casa. Si diresse per le vie del centro, il Papillon era poco più distante. ò per via Venti Settembre. In realtà sapeva dove stava andando, anche se non lo diceva a se stesso. Guardò l’ora, erano le diciannove: la vide intenta a pulire la vetrina esterna della lavanderia. I suoi lunghi capelli rosa erano raccolti in una crocchia disordinata. Sembrava molto stanca, eppure quel profilo era così candido e delicato. In quei giorni si era chiesto molte cose su quella ragazza, mettendo da parte la voglia di vederla, qualche volta. Magari di cenare assieme e poi… No, nonostante fosse molto spavalda, espansiva e solare, non riusciva a immaginarla con lui. Non era decisamente la ragazza adatta a cui spezzare il cuore e in cuor suo lo sapeva. Lo sapeva così tanto da girarsi di spalle o tornare indietro, sui suoi i.
Non sapeva che, in realtà, ora era Nina girata verso di lui, e lo guardava allontanarsi. “Ridere di se stessi vuol dire amarsi.” Topolino, in Fantasia
Capitolo undici
Mancava esattamente una settimana a Natale: l’antica via era davvero irriconoscibile. Gli abitanti si guardavano spesso intorno ogni qual volta uscivano dai negozi, dalle loro abitazioni, o spuntavano dalle finestre di quel vicolo così stretto che le persiane di una palazzina non potevano essere spalancate da chi vi abitava contemporaneamente a quelle dalla parte opposta, perché si sarebbero scontrate. Nina, Marta e Matias stavano pranzando: Nina per la pausa preferiva tornare a casa e mangiare un bel piatto di pasta al pesto con loro. Chiudeva il negozio alle 12:30 e, a meno che non dovesse fare il continuato se i giorni dedicati allo stiro erano piuttosto impegnativi, riapriva verso le 15:00, o magari arrivava un po’ prima e terminava il lavoro prima che i clienti venissero a reclamare i propri capi, trapunte o giacche. Marta faceva più o meno gli stessi orari, lavorando anche lei in un negozio, seppur come commessa. Matias, invece, non aveva degli orari prestabiliti da rispettare. Con quel suo sorriso sempre spavaldo, anche se dentro di sé si sentiva sporco. Di certo non era la carriera che sognava, e il sesso, be’, non era quello fatto per lavoro che lo soddisfaceva. Anche se non avrebbe ammesso che, in verità, Marta era molto più che un’amica per lui. Si sedettero a tavola, la tv accesa su Sky tg 24, ascoltavano le notizie mentre parlottavano e commentavano tra loro quella che, a quanto pareva, era la notizia da gossip più gettonata.
“Ma vi immaginate scoprire che chi tanto hai amato dal primo giorno che hai posato gli occhi su di lei non è tua figlia? Per di più non la legittima erede al trono!” bofonchiò Marta tra un boccone e un altro. Nina era davvero sconcertata, mentre tra le mani teneva ancora, e sempre incredula, una copia del quotidiano della città che parlava di lei e Sergei in difesa di quella anziana donna. “Mi chiedo che fine avrà fatto quella povera orfanella, la vera figlia dei reali di Solona” terminò sinceramente dispiaciuta. Matias e Marta la guardarono, i loro lievi sorrisi di conforto nel sapere che la loro più cara amica era stata abbandonata dalla madre quando era ancora in fasce e aveva sempre vissuto in un istituto fino a che, una volta raggiunta la maggiore età, se ne era andata. Aveva fatto ogni tipo di lavoro e poi, una volta conosciuti loro, avevano affittato un piccolo appartamento e, da allora, vivevano lì tutti insieme. Non che la vita di Marta e Matias fosse stata rose e fiori, ma per lo meno una famiglia, anche se lontana, entrambi la avevano. “Nina, hai mai pensato di cercare la tua famiglia di origine?” domandò Matias improvviso. In effetti, era la prima volta che uno di loro aveva azzardato questa domanda, sapendo che sotto quella dura e forte allegra corazza, in realtà si nascondeva una fragile ragazza che aveva sofferto molto. Nina mangiò l’ultimo boccone, posò la forchetta sul piatto e sospirò. “L’unica cosa che so è che non sono nata qui in Italia, e mi ci hanno portata in un secondo tempo, sballottandomi da un istituto a un altro perché, come sapete, non ero proprio facile da gestire. Ne combinavo di tutti i colori. Ma nessuno mi ha mai detto in quale ospedale sono nata, c’era e c’è molta omertà nei confronti di noi bambini abbandonati in fasce: una madre può partorirti e lasciarti lì, senza un nome, senza lasciare più traccia di sé… No, se doveva essere così vuol dire che questo era il mio destino. E poi, a essere sincera, non sono arrabbiata con lei, chiunque sia. Non posso permettermi di giudicare una persona che chissà cosa avrà ato, invece…” Ma Marta la interruppe. “Le sei grata perché non ti ha lasciato in strada non permettendoti di essere viva, oggi. Qui con noi.” Nina sorrise, i suoi amici la conoscevano meglio di chiunque altro, forse anche più di se stessa. “Direi che sono stata fortunata” disse infine. Matias ascoltava senza dire nulla: il bene che voleva a quelle due ragazze era difficile da descrivere ma, orgoglioso
come era, non lo avrebbe mai esternato a parole, solo con i gesti e i suoi modi di fare spesso divertenti. Terminarono il pranzo, continuarono ancora per un po’ a commentare questa notizia che arrivava da posti a loro lontani e poi, ognuno di loro, continuò la propria giornata sapendo che, comunque, a casa, anche se pareva più un tugurio per quanto cercassero di curarla in ogni minimo dettaglio, si sarebbero sempre ritrovati.
“I momenti speciali di oggi sono le memorie di domani” Genio della lampada, in Il ritorno di Jafar
Capitolo dodici
Erano ancora le ore sedici di un freddo pomeriggio. Il cielo era plumbeo e minaccioso. Qualche piccola goccia di pioggia si stava trasformando in minuscoli fiocchi di neve. Sergei si stava recando al locale: con il suo comodo fuoristrada un po’ retrò stava attraversando via Venti Settembre per raggiungere Piazza della Vittoria. Il Papillon si trovava proprio lì e il suo ingresso sotto uno dei porticati dei tanti maestosi e storici palazzi che, dal lato opposto, davano le spalle al museo di Storia Naturale. Il Papillon aveva un piano superiore dove vi erano comodi divanetti e tavolini e il piano inferiore dove vi era il bellissimo anche se non troppo grande locale insonorizzato. Il suo piccolo ufficio, ricavato da un soppalco che, grazie a quella balaustra di sicurezza, gli permetteva di osservare tutto dall’alto. I tavolini contornavano la pista da ballo e all’angolo sinistro vi era il bancone del bar e, dal lato destro, il palco che accoglieva dj o gruppi musicali, invece, sovrastava. Non poté fare a meno di dare un’occhiata sfuggente alla lavanderia dove Nina lavorava: mise la freccia, svoltò nella prima traversa e parcheggiò la macchina nell’aria adibita con il disco orario. In fondo gli bastavano pochi minuti. In fondo non era impazzito.
Voleva solo are a farle un saluto, anche se la sua mente stava facendo forte violenza al suo cuore che, invece, non ascoltava più la ragione. Quella mente che lo riportava all’ultima volta che aveva visto i suoi genitori, Laura e Alberto, quei nomi che poco pronunciava, insieme a Beatrice. Gli aveva detto ti amo davanti a loro, felici e sorridenti di quella storia d’amore. Completamente affezionati a quella ragazza educata, dall’animo gentile e premurosa. Felici dell’imminente matrimonio. E lui che, un po’ imbarazzato, in risposta, aveva accennato un timido anche io. Senza aggiungere altro, facendoli anche un po’ sorridere, perché tutti e tre ben sapevano quanto in realtà Sergei fosse poco incline a certe esternazioni. Inconsapevole che, invece, non sarebbero mai più tornati da lui e, deciso che mai con nessun’altra avrebbe aperto il suo cuore completamente, quando avrebbe dovuto e avrebbe voluto tornare indietro nel tempo anche solo per far sapere loro che li amava più della sua stessa vita. Perché se ne fossero andati colmi del suo amore. Perché i loro ultimi istanti su questa terra fossero stati preziosi nel pensiero di lui che diceva di amarli tanto. Uscì dalla macchina, chiuse la portiera e bloccò la sicura. E poi, come se le sue gambe vivessero di vita propria, si incamminò fino alla lavanderia. Si fermò di fronte alla vetrina, la vide subito. Stava parlando con una signora, le sorrideva mentre le ava i suoi capi puliti e il resto dei soldi. Osservò poi le due signore nerborute tutte intente a sproloquiare di chissà cosa tra loro mentre piegavano delle stoffe. Solo quando le vide andare nel retro decise di entrare. Il camlo della porta a vetri suonò, Nina alzò gli occhi dalla cassa e, per un attimo, fu sorpresa di vederlo. Ma poi gli sorrise. Quel sorriso sciolse il cuore freddo di Sergei ancora un po’. “Sergei, ciao, cosa ci fai qui?” domandò dall’altra parte del bancone. Lui si avvicinò approfittando del fatto che in quel momento non ci fosse nessuno. “Volevo invitarti a pranzo fuori, uno di questi giorni” disse senza alcun filtro. In verità era solo ato di lì per guardarla dalla via come un matto e poi andarsene, non entrare e chiederle un appuntamento. Un appuntamento, lui? Per
pranzo, poi? “Oh, ecco, mi cogli di sorpresa, io…” “Tu cosa?” chiese un po’ divertito incrociando le braccia al petto. Nina sorrise a sua volta. “Non mi sembri proprio il tipo da un invito a pranzo, ecco” continuò con un tono di voce un po’ più basso per non farsi sentire dalle gemelle. Che però si accorse erano sgattaiolate fuori dalla porta sul retro per fumare una sigaretta. Sergei inclinò la testa da un lato. “E come ti sembro, invece?” Era davvero incuriosito da quella ragazza senza peli sulla lingua. Nina alzò le spalle. “Voglio essere completamente sincera.” “Spero proprio che tu lo sia!” esclamò lui. “Sei più un tipo che non promette giornate romantiche, che non manda fiori per illudere una ipotetica conquista. Sei quel tipo di ragazzo che mette subito le cose in chiaro e magari ti offre un aperitivo ando poi direttamente al dolce per poi scappare via e non guardarsi più indietro” affermò, sicura, guardandolo negli occhi. Sergei rimase stupito, non si aspettava di certo un’analisi così dettagliata. Ma poi Nina continuò, e fu proprio dopo le sue ultime parole che lo spiazzò del tutto. “Quindi, mi domando cosa ho di diverso per portarti a chiedermi un appuntamento e bada bene che non è il tuo aspetto un po’ rude o il tuo modo di vestire che mi porta a pensare così, perché ti assicuro che di stronzi in cravattino che portano fiori e promettono “in grande” ne ho conosciuti e di certo tu non sei uno stronzo, anche se vuoi sembrarlo a tutti i costi.” Sergei la osservò ancora per qualche istante, in silenzio, poi cominciò a dire la sua. “Nina dai capelli rosa, tutta questa analisi accurata è per dirmi che verrai a pranzo con me o no? Perché vedi, in realtà sono venuto qui per osservarti da fuori, come un cazzo di psicopatico e poi andarmene. Invece mi ritrovo qui a chiederti un appuntamento, cosa che effettivamente non faccio mai e, a dirla tutta, l’unica certezza è che mi farebbe davvero piacere are del tempo con te, conoscerti, per il resto… non so dirti altro e né tanto meno posso prometterti
altro, in effetti” ammise, totalmente sincero. Nel frattempo entrarono due clienti. Nina li salutò, poi tornò a osservare Sergei. “Sì, verrò a pranzo con te. Non sono quel tipo di ragazza che vuole promesse, Sergei, e credo che, in cuor tuo, tu lo abbia capito…” terminò. Più che altro lo aveva sperato. Prima di andarsene e lasciarla al suo lavoro le diede un biglietto con il suo numero di telefono e le disse di fargli uno squillo quando poteva cosicché potesse memorizzare il suo numero e chiamarla. Quando uscì di lì Sergei si sentì così strano, così vuoto. Per una volta, per la prima volta avrebbe tanto voluto, invece, vedere la speranza di tante promesse non fatte, di un’illusione, in un viso. E quel viso era solo quello di Nina. Il cuore gli faceva male un po’ di più, la ragione invece gli diceva che era stato fortunato, che poteva frequentare una ragazza che, per prima, non aveva alcun interesse in una storia impegnativa e… lo aveva inteso benissimo dalle sue parole, non era solo tanto per dire come spesso già gli era successo con le altre ragazze.
Ricorda, sei l'unica che può riempire il mondo di sole. Biancaneve e i Sette Nani
Capitolo tredici
“Nina, domani dovresti fare orario continuato” le disse la gemella numero due con il suo tono sempre scorbutico e saccente. “Va bene, nessun problema” rispose. Quella sera si sentiva davvero stanca. Era stata una giornata intensa: esternare, dopo tanto tempo che non lo faceva, tutti quei suoi sentimenti repressi con i suoi più cari amici e poi l’arrivo improvviso di quel ragazzo, così bello, affascinante e dall’aspetto selvaggio che l’aveva spiazzata non poco. Le piaceva, la incuriosiva, pensava a come sarebbe stato baciarlo e… Cercò di cacciare dalla mente altri pensieri. Lui, seppur il suo cuore sussultava un po’ di più nel vederlo e nel pensarlo, sarebbe stato soltanto come altri ragazzi avuti in ato, seppur si potevano contare sulle dita di una mano, una storia di aggio, un’avventura che, comunque, aveva paura anzi, era certa, l’avrebbe travolta.
Le persone fanno sempre cose pazze quando sono innamorate. Hercules
Capitolo quattordici
Sergei osservava il locale: l’albero a festa, le luci, i decori… lo portavano indietro nel tempo. A quando da ragazzino veniva qui per aiutare suo padre, entusiasta, dell’imminente arrivo del Natale. Solo che, ora, quei profumi di festa che caratterizzavano la città non li percepiva più. Era come morto dentro, in quel periodo. Marco lo sapeva e lo comprendeva, sua zia si sentiva un po’ come lui, eppure, il giorno di Natale lo avrebbero ato di nuovo assieme. Loro erano la sua famiglia, l’unica rimasta, l’unica a cui si era aggrappato con tutto se stesso e che lo faceva sentire amato. In certi momenti era davvero una bella sensazione, fino a che i pensieri non lo riportavano a lei e ai suoi genitori e, allora, si sentiva in colpa a provare certi momenti inaspettati di felicità. Il suo cellulare squillò, improvviso. Lo prese da sopra la scrivania, vide quel numero sconosciuto, lo memorizzò in rubrica sotto “Nina dai capelli rosa” e, senza aspettare un momento di più, accogliendo quel momento di felicità, quel sorriso improvviso che stupì anche Marco che, arrivato di fronte alla porta del suo ufficio, aperta per metà, aveva deciso di non entrare, felice di quel sorriso che negli ultimi giorni vedeva più spesso, e tornò giù. Non era importante, adesso, parlare di faccende di lavoro, lo avrebbero fatto più tardi. Sergei si sedette. “Ciao, Nina.” “Ciao Sergei” rispose lei dall’altra parte. “Allora, quando sei libera, per pranzo?”
“Se per te va bene, venerdì, domani faccio orario continuato.” “Sì, a quell’ora sono sempre libero, verrò al locale un po’ più tardi. Direi che è perfetto.” “Ok, allora ci vediamo…” “Dove abiti? o a prenderti a casa, oppure ci vediamo fuori dal negozio?” “Ci vediamo fuori dal negozio, chiudo intorno alle 12:30 e riapro verso le 15:30.” “Ok, allora ti aspetto di fronte alla lavanderia. Ciao Nina, non vedo l’ora di incontrarti…” Lei sospirò. “Anche io, ciao Sergei.” Nina chiuse subito quella telefonata, posò il cellulare come se scottasse. Era davvero felice di rivederlo e a quanto pareva lo era anche lui. La attraeva in un modo che non credeva possibile, ci pensava spesso durante le sue giornate. Anche se da una parte era spaventata da queste sue sensazioni. In cuor suo leggeva negli occhi di Sergei una tristezza e una malinconia che lo rendevano incredibilmente unico. Non era solo il suo aspetto, qualsiasi ragazza avrebbe potuto perdere la testa per lui anche solo ammirandolo. Sprizzava desiderio e ione. Il suo corpo emanava sicurezza, determinazione. Ma i suoi occhi no, e lei che aveva davvero conosciuto il dolore dell’abbandono, aveva ritrovato in quegli occhi i suoi.
Honey: Che non ti salti in mente di precipitarti a fare cose eroiche! Sono due mesi che abbiamo programmato questa cena! Lucius Best: C'è gente in pericolo! Honey: La mia serata è in pericolo!!! Lucius Best: Dimmi dov'è la mia supertuta, donna! Si tratta di forza maggiore! Honey: "Forza maggiore"?! Sono tua moglie!!! E sono io l'unica tua "forza maggiore"! Gli incredibili
Capitolo quindici
Quel venerdì Nina era da sola in negozio: si insultò mentalmente per non aver detto a Sergei di vedersi un pochino più tardi. Avrebbe preferito prima are a casa a farsi una doccia, ora che aveva capito che sarebbe arrivata all’ora di pranzo in condizioni pietose. C’era un via vai continuo, per di più il macchinario che ruotava i capi appesi, lavati e stirati, si inceppava continuamente. Quindi, quando un cliente gli consegnava il biglietto con i propri dati, doveva infilarsi in mezzo a quel marasma e cercare da sola i capi tirati a lucido da riconsegnare. Per di più doveva finire di stirare e, come se non bastasse, aveva anche la povera sarta tra i piedi che veniva saltuariamente, a chiamata, per fare orli o rammendare. Ma non voleva dare buca a Sergei, le dispiaceva e poi, a essere sincera, aveva una voglia incredibile di vederlo.
Si dava da fare, non c’era che dire, ormai stava diventando una vera esperta in quel lavoro che, oltretutto, cominciava davvero a piacerle. La gratificava, in un certo senso. Oramai, aveva abbandonato del tutto la sua ione per la fotografia: aveva nascosto tutti i suoi book che contenevano ritratti di paesaggi, situazioni, che negli anni aveva fotografato, essendo lei sempre stata un’attenta osservatrice. Ma il tempo era davvero poco e il fatto di non aver potuto, per un po’, frequentare quel prestigioso corso di fotografia dopo le superiori e non aver potuto avverare il suo sogno, l’aveva gettata nello sconforto. Preferendo così mettere da parte quel ricordo che aveva paura di far riaffiorare. E, “appendere al chiodo” la sua vecchia macchina fotografica, comprata a un mercatino delle pulci anni prima con non pochi sacrifici, ma era stata la scelta più giusta. Argomento che non toccava mai, da molto tempo, con i suoi amici ormai rassegnati a spronarla di nuovo a continuare. Erano così tra loro, si spronavano a vicenda, seppur quando si trattava di loro stessi erano i peggiori a darsi consigli e a trovare il coraggio di seguire le proprie ioni. Arrivò mezzogiorno in un lampo, la sarta la salutò cordiale prima di andare via, Nina riuscì a sistemare il negozio prima della chiusura mattutina e a guardarsi allo specchio. Si ò le dita tra i capelli lunghissimi e li arruffò per dar loro un po’ di volume. Ma nulla, era un disastro. Allora li raccolse e, alla velocità della luce, si fece una treccia. Per lo meno era ordinata. Spuntò dalla tenda laterale per controllare fuori, per fortuna non era in anticipo e non sembrava che dovesse entrare qualcuno all’ultimo momento. Per lo più i anti si fermavano a guardare la vetrina decorata a festa il giorno prima e le lucine di tanti colori, ricevendo anche inaspettati complimenti da Bellatrix e Narcissa per quegli addobbi. Andò in bagno, finalmente ebbe anche il tempo di fare pipì, le stava scoppiando la pancia. Si tolse la casacca da lavoro, il reggiseno, prese la saponetta e si diede una rinfrescata. Tutto sommato non era poi così male. Indossò già il lupetto celeste che lì dentro non era molto indicato, ma fuori, sotto la giacca, con sei gradi, era a dir poco perfetto. Il Natale era davvero alle porte, mancavano pochissimi giorni e non aveva
ancora comprato un regalo per Marta e Matias. Accidenti al tempo che le stava volando sotto mano. Si tolse i pantaloni comodi da lavoro, indossò i leggings neri felpati all’interno e i suoi stilavi, questa volta con un tacco un po’ più alto, avrebbe sopportato. Sergei era così alto e imponente, lei a confronto sembrava Memole. Be’, i capelli rosa un po’ si avvicinavano al Lilla della gnometta che aveva fatto la storia dei cartoni animati anni ‘80. Sorrise a questo paragone. Spense le luci del negozio, lasciando solo attivato il generatore, visto che solo tre ore dopo avrebbe riaperto. Prese la sua capiente borsa a tracolla e si avvicinò alla vetrina per girare il cartello da open a closed. Sergei era lì, le sorrise. Una giacca imbottita e trasandata ad arte, con quella coppola poi portata al contrario e gli stivali da motociclista che spuntavano dà in fondo i jeans anch’essi trasandati ad arte… Gli sorrise, indossò anche lei il suo cappello, ma di lana, e la sciarpa, uscì e chiuse a chiave. Sergei la aiutò a far scendere la saracinesca. “Grazie.” “E di cosa… Sei molto carina” le disse, con fare irriverente che lo contraddistingueva. In realtà Nina non sapeva che lui non solo la trovava carina, ma la trovava irresistibile, sexy, perfetta. “Anche tu stai bene, sei sempre così stiloso!” commentò mentre cominciarono a incamminarsi per la via. “Sono solo vestiti” rispose lui. E a Nina piacque molto quella risposta. “Dove andiamo a mangiare?” gli domandò. “C’è un ristorante molto carino, proprio a due i da qui. Il Bistrot, ci sei mai stata?” Nina ci pensò un po’ su.
“In realtà non sono una che va spesso al ristorante. Preferisco cucinare per i miei amici e mangiare a casa.” Sergei non si fece scappare questa risposta. “Allora, la prossima volta, sarai tu a cucinare per me…” continuò, sempre con un tono malizioso e irriverente, ma non fastidioso. Era il suo modo di fare. “Certo, ma ti avverto: la nostra cucina è poco più grande di uno sgabuzzino!” affermò divertita. Sergei la guardò curioso mentre le apriva la porta a vetri del ristorante per farla entrare per prima, in un gesto galante. Una cameriera molto cordiale li fece accomodare al loro tavolo che era proprio vicino alla vetrina che si affacciava sul lato interno della via. Si tolsero le giacche e i cappelli, Nina tenne ancora un po’ la sciarpa visto che sentiva ancora freddo, e sistemarono il tutto dietro la sedia prima di accomodarsi. “Nostra?” domandò curioso. “Sì, che stupida, scusa, non te lo avevo detto: abito con i miei amici, gli stessi che erano con me nel tuo locale due settimane fa.” “Sì, li ricordo, se non sbaglio sono spariti per un po’…” continuò mentre teneva il menù in mano e un sorrisetto gli incurvava le labbra. “Hanno qualche problemino ad ammettere i loro sentimenti, eppure…”. Sergei riportò ora la completa attenzione su Nina. “Che peccato, mi sembravano molto affiatati” disse sincero e con uno sguardo ora un po’ più cupo. Nina posò l’attenzione sul menù per sfuggire a quello sguardo. “Diciamo che non è ancora il loro momento” terminò. Sergei non disse nulla sull’argomento, le chiese cosa avrebbe voluto mangiare. Ci pensarono un po’ su e, alla fine, ordinarono le lasagne al pesto e le scaloppine al vino bianco, entrambi. Durante il pranzo parlarono del più e del meno, del loro lavoro, per lo più. Senza addentrarsi troppo nei dettagli della loro vita. Ordinarono poi un tiramisù e solo Nina il caffè. Sergei pagò il conto e andarono via.
“Ti va di fare due i?” le domandò. Avevano ancora un’ora abbondante da are insieme. Un’ora che nessuno dei due voleva che finisse. Sergei si era incantato, durante il pranzo, nell’osservarla mangiare con gusto. E poi avrebbe tanto voluto sollevarsi e sporgersi per raggiungere e baciare quelle labbra così carnose e morbide. Solo che lui non era un tipo da baci in pubblico. In verità gli unici baci erano stati donati a Beatrice, l’amore della sua vita. Quei pochi… solo per rendere più intense le sue performance con le ragazze che spesso si portava a letto. “Sì, certo” rispose Nina. Camminavano vicini, ogni tanto Nina si fermava a guardare le vetrine, ammirava le luci e i colori del Natale. Avrebbe tanto voluto sapere cosa si provava a camminare mano nella mano e a fermarsi ogni tanto, così, in mezzo alla strada, per darsi un semplice bacio. Arrivarono sino in Piazza della Vittoria, raggiunsero l’arco. Il sole era forte e il freddo più sopportabile. Si stava davvero bene. Nina si appoggiò con la schiena a quel marmo intarsiato e antico, Sergei era di fronte a lei. Sollevò lo sguardo su di lui. Un sorriso timido da parte di entrambi, come se fossero due ragazzi adolescenti al primo appuntamento. Era emozionante, in un certo senso, ma faceva anche tanta paura gestire nel migliore dei modi quelle emozioni che tutti e due volevano esternare senza riuscirci. “Vorrei sapere qualcosa in più su di te, Nina. Mi ha colpito molto quello che mi hai detto al locale quella sera, senza giri di parole, sulla tua vita in orfanotrofio” le disse. “In verità anche io vorrei sapere più cose sul tuo conto, però mi chiedo a cosa servirebbe se già sappiamo entrambi che, molto probabilmente, ci vedremo forse ancora qualche volta. Che molto probabilmente faremo sesso e poi, tanti saluti e grazie…” Non si stupì nel sentirla parlare così, aveva capito, sapeva che era tremendamente sincera. Solo che i suoi occhi la tradivano adesso, stava costruendo un muro tra loro, per proteggere se stessa. E non aveva tutti i torti, perché anche lui sapeva che doveva andare così. Che non c’era spazio per l’amore da entrambe le parti.
“L’essere stata abbandonata da tua madre e da quella famiglia affidataria, non sapere nulla neppure di tuo padre, ti fa ancora tanto male per farti parlare cosi, vero Nina?” le domandò. La capiva, eccome se la capiva. Nina era indecisa sul da farsi ma alla fine gli rispose. “Sono così tanto abituata a stare sola, non avendo una famiglia. Ho vissuto in orfanotrofio, in più di uno in verità, sino a diciotto anni, mi sono diplomata al liceo classico per avere un’istruzione ma con fatica, lavorando nel frattempo, ho sofferto, ma da sola mi sono costruita la mia vita. Marta e Matias sono la mia famiglia e… per questo ora che ho trovato il mio equilibrio, non credo di aver bisogno di altro.” Era come dire che in realtà non voleva più soffrire. Che non voleva essere abbandonata ancora una volta. “E tu?” gli domandò a bruciapelo. Sergei si irrigidì. “I miei genitori sono morti tre anni fa in un incidente, la mia fidanzata con loro. Avremmo dovuto sposarci un mese dopo” sibilò, un pochino più vicino a lei. “Mi dispiace tanto” disse Nina. “Dispiace tanto anche a me per quello che ti è successo, però una famiglia da qualche parte ce l’hai. Non hai mai provato a scoprire qualcosa sulle tue origini?” le domandò, infine. Nina scosse il capo. “No, non mi interessa, non voglio sapere” rispose. Sergei le accarezzò una guancia. “Se io avessi anche solo una possibilità di rivederli, non me la farei scappare” sussurrò. Nina lo guardava negli occhi. Lo capiva, lo comprendeva. “Non toglierti questa possibilità” continuò. Per la prima volta non ebbe paura di cercare, di sapere. Era davvero tentata a farlo. “Sai Sergei, tutto quello che ti ho detto, sul fatto che tu… che io… ecco, insomma… In questo momento non riesco neppure a ragionare, a dire il vero.” Sorrise debolmente. Sergei si sporse ancora un po’ di più, verso di lei che ora non aveva più spazio perché bloccata dal suo corpo contro quel marmo. “Non ci pensare, non so spiegare neanche io come mi sento, in questo momento, qui, con te.”
Le sue labbra si unirono a quelle di Nina. Un bacio così desiderato, un bacio dolcissimo che Sergei si era ripromesso di non dare mai più a nessuna. Solo che Nina non era nessuna. Lo aveva sconvolto, affascinato, la desiderava tantissimo. Nina ricambiò, le braccia ora intorno al collo di lui, in punta di piedi, lui l’aveva raggiunta a metà strada, per quel bacio che, pian piano, diventava sempre più intenso e apionato. Fu Nina la prima a interromperlo. “Ora devo tornare al lavoro, non vorrei fare tardi.” Sergei annuì. La fronte appoggiata alla sua. “Voglio rivederti, mi fai impazzire Nina, non immagini quanto ti desidero. Non dirmi di no, a ancora del tempo con me, non pensiamo al dopo. Se poi non vorrai più vedermi, non mi rivedrai più” sussurrò. E se fosse stata anche una sola notte? Davvero sarebbe bastato a entrambi? Aveva così paura di soffrire, di essere abbandonata, non aveva mai provato sensazioni così forti per nessuno. “Va bene.” Ancora un bacio, questa volta più sfuggente. “Il lunedì è l’unico giorno in cui il locale è chiuso, lavoro solo la mattina e il primo pomeriggio in ufficio, se sei libera, la sera vengo a prenderti al lavoro” le disse. Nina annuì. “D’accordo, allora… cucinerò io, puoi venire a cena da me.” Lunedì sarebbe stata sola: Marta era a Torino dai suoi familiari, sarebbe sopravvissuta un giorno per l’antivigilia. Matias sarebbe stato via due giorni per lavoro a Milano. “Va bene, a lunedì allora” terminò. Poi, questa volta le loro mani intrecciate che si allontanavano sempre più, ma molto, molto lentamente, sino ad allontanarsi da lì: Sergei andò al locale, Nina tornò alla lavanderia. Quel contatto che era stato così forte, così diverso, così intenso. Quei piccoli attimi di felicità che sarebbero bastati a entrambi.
Mufasa: Simba, lascia che ti dica una cosa che mio padre disse a me. Guarda le stelle. I grandi re del ato ci guardano da quelle stelle. Simba: Davvero? Mufasa: Sì. Perciò quando ti senti solo, ricordati che quei re saranno sempre lì per guidarti. E ci sarò anche io… Il Re Leone
Capitolo sedici
“Allora, non devo preoccuparmi di nulla, starai sicuramente bene… prima a pranzo insieme e ora…” ammiccò Marta prima di uscire di casa. Matias era già in viaggio: lo aspettava un lungo cortometraggio natalizio che, per la prima volta, aveva poco a che fare con il cinema erotico. Nina infatti lesse speranza negli occhi della sua più cara amica, sapeva benissimo che quel che frenava entrambi dallo stare insieme era proprio il lavoro di Matias, lavoro che però in quel periodo così difficile lo aiutava a vivere per lo meno dignitosamente. Lui diceva che gli piaceva, che era fortunato, quelle attrici erano una più bella dell’altra, ma era tutta una facciata. “Si tratta solo di una cena, Marta” affermò. “Sì, certo, il fatto è che dei tuoi precedenti ragazzi non hai mai invitato nessuno qui e di certo non hai mai cucinato per nessuno…” Non aveva tutti i torti e Nina lo sapeva. “Marta, tanto per iniziare quegli altri non erano i miei ragazzi, erano solo appuntamenti, tutto qui. Certo, ammetto che Sergei mi ha colpita in modo particolare, e anche io credo di piacergli, però credo anche che tanto dipenda dal modo sopra le righe in cui ci siamo conosciuti, tutto qui. Lui è un po’ come me, in un certo senso, allergico alle storie d’amore. Direi che per questo sì che siamo
perfetti insieme!” terminò con soddisfazione cercando di convincersi. E allora cos’era quel piccolo dolore al petto? “Posso anche capirlo, da quello che mi hai raccontato non deve essere stato facile. Perdere i genitori e la sua fidanzata… Però, c’è sempre una possibilità, se ha già amato profondamente una volta, è più che possibile che sappia amare ancora.” Nina la guardò di traverso. “Ma perché tutta questa saggezza improvvisa non la applichi su di te e Matias?” le domandò aprendo la porta di casa per accompagnarla fin giù dal portone. “Non cominciare, Nina” la minacciò puntandole un dito contro. Una voce le fece sussultare. “Nina! Per l’amore del cielo! Ma questa via sembra diventata un Luna Park! Ma tutte queste luci e le renne e i Babbi Natale!” esclamò Vito che, per la prima volta da che viveva lì, pareva sobrio. “Su, che in fondo ti piace, ammettilo.” L’uomo si guardò ancora un po’ intorno e scrollò il capo. Per poi sedersi di nuovo sul gradino del bar dove al momento regnava un losco silenzio. Marta rise sotto i baffi e salutò Nina. “Ci vediamo domani sera, dobbiamo organizzare il pranzo di Natale!” Nina annuì e pensò che, prima di andare alla lavanderia, sarebbe ata in quel negozio che ai suoi amici tanto piaceva e avrebbe preso loro due dischi in vinile, perché i due testoni avevano anche gli stessi gusti musicali. Era da tre mesi che metteva da parte i soldi per i loro regali di Natale e non vedeva l’ora di vedere le loro facce nel trovarsi quei dischi dei Beatles e dei Rolling Stones.
Il pomeriggio scorse velocemente: in negozio aveva avuto molto da fare ma era riuscita a terminare in tempo per la chiusura, aveva acquistato i dischi in vinile per i suoi amici. Per di più, nell’ora del pranzo, aveva preparato le lasagne e l’arrosto da poter scaldare per la cena con Sergei. Era agitata, nervosa: prese la borsa, le chiavi, salutò le due donne che quella sera si sarebbero fermate un po’ di più per controllare i conti. Uscì fuori imbacuccata dalla testa ai piedi, c’era un freddo incredibile ma era
così bello di sera con le luci e, sulla sinistra, intravedeva Piazza de Ferrari. La fontana illuminata da luci di tanti colori e il grande e maestoso albero allestito a festa. E poi, si girò e, sulla destra, notò Sergei che la guardava. “Ciao, hai parcheggiato la macchina? Possiamo andare a piedi, non serve” parlò, un po’ nervosa. “Ciao Nina. Sì, l’ho lasciata in piazza Dante. Ma, dove abiti?” domandò curioso. “Nei vicoli…” rispose spostando ora lo sguardo e cominciando a camminare. Sergei le prese la mano e la fermò. “Nina, non è proprio il posto migliore per viverci.” Sembrava davvero preoccupato ma non voleva neanche essere maleducato. Nina sorrise. “Ma non vivo sola, lo sai, ora i miei amici sono via, ma siamo in tre e di certo non esco in orari di fuoco. Non è così male, però, sai? E tu, dove abiti?” “Io vivo nell’entroterra, in campagna. A Livellato, lungo la strada che porta alla Madonna della Guardia. “Caspita, fai un bel viaggetto per venire al lavoro!” affermò stupita mentre, sempre tenendosi per mano, proseguirono. “Sì, ma sono cresciuto lì, diciamo che vengo in città solo per lavorare. Quando torno a casa, però, mi piace stare in un posto tranquillo.” “Lo capisco, è la casa della tua famiglia?” “Sì, ci erano vissuti i miei nonni, poi io con i miei genitori e ora ci abito da solo. Nella casetta di fianco invece c’è mia zia Vincenza, la sorella di mia madre.” “Non deve essere stato facile neanche per lei…” Sergei camminava guardando dritto davanti a sé, ma la mano di Nina non la lasciava neanche per un momento. “Ci siamo fatti coraggio a vicenda, mi vuole molto bene e io ne voglio a lei” disse. Erano in Piazza de Ferrari adesso, di fronte alla fontana che, grazie ai giochi di luce che il Comune aveva installato tra le bocchette da cui sgorgavano zampilli, cambiava colore in continuazione. C’era molto freddo ma loro non lo
sentivano per niente. Erano persi in uno di quei momenti di felicità che ora li accomunava. Poi Sergei si voltò verso Nina che a sua volta fece lo stesso. “Allora, hai pensato al fatto di scoprire qualcosa sulle tue origini?” domandò lui improvviso. Nina era davvero spiazzata perché per la prima volta cominciava a sentirne la necessità. “Sì, ci ho pensato…” Sergei sorrise e la tirò un po’ verso di sé per proseguire. “Bene, sono felice per te.” Quando entrarono nella stretta via, Sergei rimase stupito nel vedere quelle luci, quei colori. Era adibita a festa. Rimase affascinato e Nina se ne accorse. “Allora a qualcuno piace! Io e Marta ne abbiamo fatto di lavoro!” esclamò. Sergei la guardò. “Lo hai fatto tu con la tua amica, davvero?” “Davvero, anche le persone che abitano qui meritano di essere felici” sibilò. “Soprattutto le persone che abitano qui” terminò Sergei. Nina non disse nulla. Quando arrivarono al portone, lei girò la chiave nella toppa, diede il solito colpetto d’anca, essendo il portone difettoso, e questa volta si aprì quasi subito. Salirono le scale, aprì la porta ed entrarono in casa. Sergei si tolse il cappotto, la sciarpa e il berretto. Nina fece lo stesso e poi posò il tutto sul piccolo divano all’ingresso. Fece fare un giro della casa a Sergei, se così si poteva dire, scusandosi un po’ del disordine, ma lui la trovava davvero carina. “Mi piace, e mi piace ancora di più il profumino che arriva dalla cucina” disse. “Ho preparato le lasagne e l’arrosto. Per dolce una crema di nocciole, spero ti piaccia tutto. Siediti, devo solo scaldare le lasagne e l’arrosto in forno. La tavola era già stata apparecchiata, con semplicità ma in maniera accurata. Sergei si sentì come a casa, rassicurato. Si sentiva bene. La osservava mentre accendeva il forno, osservava quelle curve perfette e al
tempo stesso morbide che i jeans e il golfino aderente risaltavano in maniera spettacolare. Quando Nina si girò gli sorrise. Aveva i capelli sciolti, erano così lunghi e quel colore, che poche persone davvero avrebbero potuto permettersi, le stava d’incanto. Quando tutto fu pronto si sedette di fronte a lui, un po’ imbarazzata. Mangiarono le lasagne, Sergei fece addirittura il bis. Parlarono di tante cose, sorrisero ora al ricordo del loro incontro e lui le spiegò che si era informato sul quel ladro di borse. Voleva essere sicuro che non cercasse Nina, dopo ciò che era accaduto. Ma un suo amico poliziotto, che alle volte faceva la ronda vicino al suo locale, gli aveva spiegato che si trattava di un ragazzino scappato da una comunità e ora tornato nella città da cui proveniva. “Cosa fai per la Vigilia e per Natale?” le domandò finendo l’ultimo pezzo di arrosto. “Di solito la Vigilia non facciamo nulla, il pranzo invece lo organizziamo qui tra di noi” spiegò dopo aver bevuto un sorso d’acqua. “Per la Vigilia organizzo sempre un buffet con serata a tema nel locale. Perché non vieni con i tuoi amici? Come miei ospiti, si intende.” “Mi piacerebbe, ne parlerò con loro. Marta torna domani sera, Matias proprio la mattina della Vigilia.” Sergei bevve l’ultimo sorso di vino rosso che Nina aveva acquistato per lui pensando che gli fe piacere, e aveva indovinato anche se non era un gran bevitore. Poi sparecchiò, Sergei si alzò per aiutarla a mettere i piatti in lavastoviglie e le chiese come aveva conosciuto i suoi amici. Nina preparò il caffè e mise in tavola il dolce. “Ci siamo conosciuti a una festa: quella sera avevo ben pensato di bere un alcolico, devi sapere che sono astemia, alla fine ero ubriaca fradicia. Ci siamo scontrati, più che incontrati, visto che era scoppiata una rissa, e ho vomitato addosso a un signore… E da lì siamo diventati amici.” Sergei sorrise divertito. “Allora non mi sono sbagliato, è proprio vero che porti guai.” Nina gli fece una buffa linguaccia.
“Però, per un po’, sono stata famosa sul web. La paladina della giustizia genovese vestita da Elfo!” terminò con una smorfia buffa facendo sorridere ancora di più Sergei. “Era tutto buonissimo, Nina. Sei una cuoca bravissima. Grazie per questa cena.” “Mi fa piacere, grazie a te per essere qui… con me…” terminò lei, con un velo di imbarazzo. Si alzò dalla sedia per togliere le coppette del dolce ora vuote, metterle nel lavandino e servire il caffè. Sergei la guardò, il cuore che batteva in petto come un pazzo. La ragione che lo voleva portare via di lì, ma lui non la stava ascoltando. Finito di bere il caffè, si alzò dalla sedia e si avvicinò. Nina sollevò il capo prima rivolto al lavandino. Sergei le posò una mano sui fianchi e la fece girare verso di sé. Si abbassò, le tirò su il mento con una mano e la baciò con vigore. Nina non si tirò indietro, accettò quel bacio. Già sapeva che quella notte sarebbe cambiato tutto. Sapeva che, se avesse fatto l’amore con lui, non avrebbe poi più potuto fare a meno di lui. Sergei… anche lui lo sapeva. Eppure, nessuno dei due aveva intenzione di fermarsi. Le mani di Sergei dai fianchi scivolarono più su, fino al bordo del golfino di Nina. arono sotto, accarezzò la sua pelle, continuava a baciarla spingendo il bacino sempre di più contro di lei. Anche le mani di Nina cominciarono a cercare la pelle di lui. Quel contatto, quell’esplorarsi a vicenda. Si spogliarono entrambi dalla vita in su. Erano, ora, nudi dalla via in su. “Ho desiderato questo dalla prima volta che ti ho vista, Nina” sussurrò mentre con le mani cominciò ad accarezzare i suoi seni, grandi e morbidi, ando poi la lingua sui capezzoli, facendoli indurire all’istante. Nina gemette portando la testa indietro mentre con le mani continuava ad accarezzarlo. Con una mano Sergei continuava a toccarla, con l’altra le afferrò con decisione ma altrettanta delicatezza il capo, per portare quel viso di nuovo davanti a sé, per baciarla ancora.
“Ti piace come ti tocco?” le chiese poi. “Sì” sibilò Nina. “Non smettere” continuò. Sergei sorrise felice di quelle parole e cominciò a scendere sempre più giù, piano, con lentezza, baciandole ancora i seni poi ancora più giù sino alla pancia. Le slacciò i jeans e, delicatamente, li fece scivolare lungo le gambe di Nina che sollevò uno alla volta i piedi per toglierli completamente insieme alle calze. Poi, con quelle mani così belle e grandi, sfilò via le mutandine, soffiò appena sull’intimità di Nina e, improvviso, cominciò a baciarla, a leccarla. Su e già, con quella lingua calda che sembrava sapesse come darle piacere. Nina strinse i capelli di Sergei, faceva fatica a stare in piedi. Le gambe le cedevano per il piacere incredibile che stava provando. Sergei gemeva, quello che le stava facendo stava mandando in paradiso anche lui. Continuò fino a che non bevve l’ultima goccia di Nina che non riuscì più a trattenere gemiti e grida di piacere. Quando Sergei tornò su, finì di spogliarsi con urgenza. Ora era completamente nudo, anche lui, di fronte a lei. Nina lo toccò, le loro mani non riuscivano più a fermarsi. Ancora baci sulla bocca, ancora gemiti e parole sporche e strozzate. “Mi piace il tuo sapore, mi piace tutto di te. Provo un desiderio incontenibile di entrarti dentro. Tu lo vuoi, Nina? Vuoi che lo faccia? Vuoi che faccia l’amore con te?” le sussurrò. “Sì, ti voglio dentro anche io, Sergei.” La prese in braccio e la portò nella sua camera. La posò delicatamente sul letto e si mise sopra di lei. “Aspetta un attimo” le disse dandole poi un bacio e sollevandosi. Andò in cucina ma tornò subito. Indossò il preservativo e tornò di nuovo su di lei.
Sentivano i loro cuori battere l’uno contro l’altro. Era bellissimo, unico e spaventoso allo stesso tempo. La baciò ancora e, in modo deciso, ionale, entrò dentro di lei. “Oh, dio…” sibilò Nina. Sergei le prese la gamba sinistra e se la portò intorno al bacino per rendere ancora più intensa la penetrazione. E poi… non vi era più nulla intorno a loro. Solo gemiti, parole forti e cariche di indecente ione, mentre lui affondava con forza e vigore, completamente sconnesso dalla realtà, senza darle il tempo di prendere il respiro. E a Nina piaceva, piaceva da morire. “Ancora, non smettere, ti prego, non smettere, più forte” gli diceva, Nina, completamente persa nel piacere. “Non voglio smettere, ti scoperò tutta la notte, ho voglia di infilarti il cazzo ovunque…” le parlava Sergei, in modo indecente, mentre spingeva con vigore, ancora e ancora. Le braccia di lei ora sopra la testa tenute ferme da lui con una mano, mentre l’altra continuava a tenere la gamba sinistra di Nina intorno al suo bacino per penetrarla sempre più a fondo. “Ancora, ancora…” continuava Nina “più forte.” “Lo sento come ti piace, principessa, lo sento come è bello stare dentro di te...” Poi continuò a fare l’amore con lei, ad alternare spinte più dolci e lente accompagnate a baci profondi, a spinte forti che la facevano muovere sotto il lui, il seno che andava su e giù a ogni colpo e che lo stava mandando in visibilio. Quando entrambi furono travolti dal piacere, scossi da quella ione arrivata per caso, si guardarono, sudati e stanchi, per un tempo indefinito alternando baci sulle labbra, sulle guance, sul collo, a carezze dolcissime e lente, senza smettere più di sorridersi. “Non so proprio se riuscirò a rinunciare a te, in verità ho più paura di perderti dopo averti avuta…” Nina, ora uno di fianco all’altra, gli accarezzò una guancia e gli spostò quel ciuffo ribelle che lo rendeva irresistibile. Aveva capito i suoi sensi di colpa verso quella donna che tanto aveva amato e che ora non c’era più,
ma che ancora tanto rispettava. E la paura che aveva esternato con tutta sincerità. “Non credo che andrò da nessuna parte, Sergei. Non mi sono mai sentita così felice come adesso…”
Che cosa ho sognato? Non posso dirvelo perché un sogno svelato non si avvera più. Cenerentola
Capitolo diciassette
Per un attimo si sentì spaesata: nuda, a pancia in giù, stringeva forte i lati del cuscino ora che quelle mani che le avevano fatto conoscere piaceri non ancora esplorati la stavano di nuovo toccando. Una mano, grande e calda, le sfiorava la schiena, provocandole brividi su tutto il corpo. L’altra mano si faceva strada, dal suo sedere scivolava sempre più giù. Quelle dita esperte dentro di lei. Sollevò il bacino beandosi di quelle carezze ansiose di darle piacere e frasi sussurrate all’orecchio alternate da baci delicati. Nina strinse ancora più forte il cuscino, quasi le fecero male le mani per la forza che ci mise. Quasi le fece male il cuore per le sensazioni che, insieme al piacere, andavano oltre, sino alla mente…
Sergei si girò su un fianco, Nina lo abbracciò portando il viso sul suo petto. Lui cominciò ad accarezzarle i capelli. “Come mai questo colore?” le domandò. Nina sollevò il viso, appoggio il mento sul suo petto per poterlo guardare negli occhi. “L’anno scorso, ando davanti alla vetrina di un negozio di parrucchieri, ho
visto la foto di una modella con i capelli di questo colore e, senza pensarci più del dovuto, sono entrata. In verità il mio colore naturale è il biondo cenere” terminò prendendo una ciocca di capelli tra le sue dita. Sergei continuava ad accarezzarli. “Sono belli, ti donano davvero molto.” “Grazie” rispose arrossendo. Sergei fu divertito. “Abbiamo fatto sesso in ogni posizione, in ogni modo possibile e arrossisci per un semplice complimento?” domandò in tono irriverente. “In verità… non sono abituata ai complimenti.” “Mi vuoi dire che i ragazzi con cui sei stata non ti hanno mai detto che sei bellissima?” proseguì in tono insolente. Nel frattempo la sua mano scendeva per accarezzare ancora ogni centimetro di quel corpo fatto per essere baciato e posseduto. Nina scostò un po’ il viso di lato, beandosi di quelle carezze un po’ spinte. “Forse è anche colpa mia, non sono mai stata molto brava nel gestire gli appuntamenti, mi sono sempre tenuta a debita distanza, non sono mai stata una ragazza da cuori e fiori, ecco, forse lo trasmettevo, forse mettevo in soggezione. Non saprei.” Sentì, Sergei, dentro di sé, una felicità inaspettata. Perché, in verità, con lui, era tutto diverso. Nina era diversa da come si era appena descritta. E… ne era spaventato, ma felice. “Sei mai stata innamorata?” le domandò, ancora. Ma cosa diavolo stava facendo? Perché quella domanda? Nina sospirò. “No, forse una volta ho creduto di esserlo, ma mi ero sbagliata.” Lo osservò con ancora più intensità nello sguardo. “Sergei, tu cosa provavi a essere innamorato? Cosa ti ha portato a scegliere lei… come tua futura moglie?” gli domandò, non aveva potuto farne a meno. Eppure, sapeva che non ne aveva il diritto.
“Scusami, sono stata indiscreta” Scostò subito gli occhi dai suoi. “No, non preoccuparti, non lo sei stata.” Le sorrise prima di continuare. Nina percepì quel sorriso e tornò a guardarlo. “In realtà non è una cosa che si può spiegare, avviene in modo naturale. Stai bene con una persona, la pensi spesso, desideri are ogni momento con lei, ti piace parlare con lei, farci l’amore, senza desiderare altro… Provavo tutto ciò per Beatrice” terminò guardandola un po’ più intensamente. Dentro di lui tutte quelle sensazioni che aveva descritto le sentiva sotto la pelle, nella pancia, nel cuore, erano ancora lì per Beatrice, oppure… erano nuove sensazioni che cominciava a provare per quella ragazza tra le sue braccia? Nina cercò di mantenere il contatto visivo, ma era difficile. “Sono tante cose, molto belle” rispose, scossa anche per aver sentito pronunciare quel nome. “Già” rispose lui, continuando a toccarla ma sentendo l’incredibile impulso di cambiare repentinamente argomento. Era diventato tutto troppo intenso per riuscire a sopportarlo. “Hai delle ioni, Nina? Cosa ti piace fare nel tempo libero?” le domandò, infine, curioso. “Sì, diciamo che mi piace molto la fotografia, amo incorniciare luoghi, momenti. O meglio: amavo. Perché non ho molto tempo per continuare. Ho preferito accantonare tutto. E tu?” “Solo la lettura, mi piacciono molto i classici, i gialli e i romanzi, mi piace nuotare e, tempo permettendo, vado in piscina. Il lavoro mi impegna moltissimo, però cerco di ritagliarmi comunque qualche momento. Peccato tu abbia smesso di seguire la tua ione. Hai delle foto scattate da te? Mi piacerebbe molto vederle” disse, infine. Nina rimase immobile per qualche secondo, indecisa sul da farsi. Poi, come se il suo corpo non ascoltasse più la sua mente, si sollevò prendendo un lembo del lenzuolo e portandolo verso di sé per coprirsi un po’. Con il risultato che ora, Sergei, era completamente nudo sotto il suo sguardo attento. Quel corpo perfetto e virile… lo avrebbe assaporato per sempre. Arrossì di nuovo, lui per nulla
imbarazzato si sollevò per sedersi e appoggiare la schiena contro la testiera del letto. Le sorrise e Nina rispose a quel sorriso prima di raggiungere l’armadio, aprirlo e tirar fuor dalla piccola cassettiera al suo interno una scatola. La portò con sé per appoggiarla sul letto, aprirla e avvicinarsi a lui di nuovo, che la osservava, nuda e bellissima, mentre si accoccolava tra le sue gambe con un diario in mano. Per un attimo perse la concentrazione nell’osservare quel seno prosperoso e morbido che aveva toccato e baciato con devozione. Nina si beò di quegli sguardi maliziosi fino a che Sergei prese quell’album per sfogliarlo. In quella scatola vi era anche la vecchia macchina fotografica di Nina. Sergei continuava a sfogliare le pagine, a guardare quelle foto; ce ne erano diverse dedicate alla via in cui lei abitava, i visi delle persone, ritratti di momenti anche difficili. Strappandogli però qualche sorriso per i personaggi bizzarri che vi erano impressi, sotto gli occhi di Nina che faceva spallucce ben consapevole. “Sono bellissime, Nina. Non dovevi smettere di fotografare.” Nina gli accarezzò una guancia e gli sorrise. Sergei non aggiunse altro, continuò a guardare le fotografie chiedendo dove alcune di esse erano state scattate e che cosa rappresentavano per lei. Nina si soffermò sulle immagini dedicate al luogo in cui viveva. “Questa raffigura semplicemente l’unico posto che io riconosco come casa.” Sergei annuì. La capiva. Solo quando rimise l’album e la macchina fotografica nella scatola le si avvicinò di nuovo, un po’ di più. “Viene qui” le sussurrò. Nina gli andò incontro e si sedette a cavalcioni su di lui che era ancora seduto con la schiena contro la testiera. Fecero l’amore ancora, quella volta però in modo più dolce e lieve, guardandosi negli occhi per tutto il tempo. Si addormentarono e si svegliarono il mattino promettendosi di rivedersi al Papillon per la sera seguente che sarebbe stata la Vigilia di Natale.
Si fecero una doccia e, anche se lo spazio era davvero ristretto, era bello quel contatto. Quell’intimità nel lavarsi a vicenda, nell’insaponarsi, facendo scorrere le mani sui loro corpi scivolosi. Era qualcosa di unico che Sergei non provava da molto tempo e che Nina mai aveva provato.
La vita non è un cartone animato in cui canti una canzoncina e i tuoi futili sogni per magia diventano realtà. Zootropolis
Capitolo diciotto
Erano di nuovo tutti e tre assieme: Matias era tornato dal suo viaggio di lavoro proprio la mattina della Vigilia. Marta la sera prima, sopravvissuta alla giornata con la sua famiglia che non faceva altro che criticarla dai tempi dei tempi. Stavano facendo colazione: Matias raccontava con entusiasmo del suo nuovo lavoro, Marta lo guardava con quella luce negli occhi oramai sempre più evidente e, una volta che entrambi ebbero raccontato i loro aneddoti, e terminato la loro tazza di caffelatte, si voltarono verso Nina che sorseggiava il suo tè alla vaniglia. “E tu, che sei così silenziosa, cosa hai fatto di bello in nostra assenza?” domandò infine Matias. Nina, con una calma apparente da fare invidia al più in gamba agente della Cia, bevve l’ultimo sorso di tè e posò la tazza. Alzò lo sguardo sui suoi amici e disse loro tutto, Marta già sapeva della cena. Matias era rimasto ancora al loro primo appuntamento per pranzo. “Ho rivisto Sergei, è stato qui ieri, abbiamo cenato e ha dormito qui. Abbiamo fatto l’amore e…” e poi proseguì tirando fuori tutto, senza tralasciare alcun dettaglio, forse giusto qualcuno, i più peccaminosi, spiegando che era solo una storia senza nulla di certo, senza veri sentimenti da parte di lui, ai suoi più cari amici per nulla stupiti, in quanto si erano accorti da subito di quanto si piero, in un modo tutto speciale.
“Direi che hai fatto un’analisi accurata ma, dimmi… come fai a sapere che lui non prova dei sentimenti per te?” domandò Matias. Nina sospirò. “Ha perso i suoi genitori e la sua fidanzata tre anni fa, stavano per sposarsi…” “Ah, cazzo” imprecò Matias. Marta già sapeva anche questo. “Hai paura di soffrire, così anche lui. Da quello che ci hai raccontato, dal modo in cui hai raccontato ciò che avete vissuto, è perfettamente chiaro” puntualizzò Marta. Matias la guardò con aria di sufficienza. “Già, e tu saresti l’esperta dei cuori infranti!” esclamò irritandola. “Più di te, sicuramente” rispose composta quando in realtà avrebbe voluto cavargli gli occhi. In tutto ciò Nina guardava un po’ nel vuoto e un po’ in direzione del loro piccolo e spennacchiato albero di Natale, insultandoli mentalmente per la loro stupidità nel reprimere quei sentimenti che stavano per scoppiare dentro di loro. “Comunque, non ho voglia di discutere di queste cose con te, ora ciò che è importante è aiutare Nina” proseguì Marta. “Non ho bisogno di aiuto, non sono un caso disperato!” Marta alzò gli occhi al soffitto accorgendosi che l’intonaco non era messo proprio bene, ma fece finta di nulla, come per tutti gli altri piccoli disagi in quel vecchio appartamento. “Certo che no, ma… come siete rimasti d’accordo?” “Ci ha invitati stasera per il buffet della Vigilia al Papillon. Se vi va di andarci, siamo suoi ospiti.” Matias strabuzzò gli occhi. “Certo che ci va!” E subito osservò l’espressione di Marta per capire se era d’accordo. “Assolutamente sì! eremo una bellissima serata e poi rivedrai il tuo Sergei e… chissà…” ammiccò Marta.
“Già, chissà…” continuò Nina in tono beffardo.
Se metti buona volontà il mondo tutto ti darà. Però se tu non rischierai, nulla mai rosicherai. La spada nella roccia
Capitolo diciannove
Le gemelle decisero di chiudere la lavanderia un’ora prima. Avrebbero riaperto il ventinove dicembre. Ad aspettarle, una cena con i loro familiari, zii, cugini e chi più ne ha più ne metta. Non avevano fatto altro, per tutto il pomeriggio, che parlare di cosa indossare, le scarpe adatte con il tacco alto per fare morire di invidia una certa Romina. Nina non aveva capito bene il grado di parentela di quella povera sventurata. Questo chiacchiericcio tra un cliente e un altro, senza un attimo di sosta. Verso le diciotto cominciarono a sistemare e, siccome non vi era più davvero l’ombra di un cliente, chio e si augurarono buone feste. Nina si coprì come una eschimese -era un bel po’ freddolosa- e uscì dalla lavanderia. Avrebbero chiuso loro pochi minuti dopo. Si diresse verso casa a o spedito. Non era distante ma neanche troppo vicina. Poco importava, però: una macchina non poteva permettersela, almeno per il momento e poi a cosa le sarebbe servita? Non vi era alcun parcheggio libero e quei pochi erano sempre occupati. Imboccò la via: alcune teste spuntavano dalle finestre per augurarsi tra loro un felice Natale, qualcuno per la via di già barcollava ubriaco, Morena indossava già un vestito procace per mettersi al lavoro… Insomma, la solita routine della via, ma con qualcosa di magico che aveva creato lei e che aveva reso felici molti: tutte quelle luci colorate. Anche le persone che vivevano lì avevano diritto
di are quei giorni di festa nel miglior modo possibile e se era anche un solo sorriso rivolto alle luminarie, poco importava. Era speciale, eccome. Marta e Matias erano già a casa. “Ciao Nina, pronta per la serata?” domandò Matias con aria maliziosa. “Più o meno” rispose Nina togliendosi la giacca, la sciarpa e il cappello per riporli all’ingresso. Marta sorrise. “Allora, dobbiamo fare il punto della situazione: ci siamo ridotti all’ultimo, ci sono al momento solo i nostri regali sotto l’albero, comprati di fretta e furia e un panettone, non siamo assolutamente organizzati per il pranzo di Natale, questa volta. Domattina scendiamo a prendere qualcosa al Market, che dite?” Nina annuì. “Ma sì, per una volta possiamo anche prenderla come viene, siamo stati tutti così impegnati… E poi, vi ricordate tre anni fa? Eravamo così spiantati che per Natale abbiamo acquistato una confezione da tre di Muffin e li abbiamo mangiati sul tappeto mentre guardavamo alla televisione “Il Canto di Natale” continuò Nina facendo sorridere i suoi amici. “Mamma mia, è stato memorabile! Lo scorso anno per lo meno abbiamo preparato un pranzo di tutto rispetto e adesso siamo di nuovo punto e a capo, ma questa volta per via del poco tempo” proseguì Marta. “Sarà un Natale bellissimo anche questo perché sono con voi, siete la mia famiglia” disse Nina visibilmente commossa come sempre le accadeva in questo periodo dell’anno che, seppure non sentiva per niente suo, era comunque speciale perché condiviso con degli amici speciali. Marta e Matias lo sapevano bene, le sorrisero senza aggiungere altro.
Più tardi Matias trovò un parcheggio proprio vicino al Papillon. Scesero tutti e tre dalla minuscola 107 di Matias e si avviarono verso l’ingresso. L’atmosfera era magica, le luci tutto intorno, le Stelle di Natale ai lati dell’ingresso e quel freddo pungente che arrossava i visi.
Lì di fronte un gigante con sguardo serio che, poco alla volta, faceva entrare le persone che avevano prenotato. Guardò Nina e i suoi amici come ad aspettare che gli fero vedere l’invito, solo che loro non lo avevano. “Siamo ospiti di Sergei Risso” sibilò appena Nina. L’uomo le sorrise. “Lei è Nina?” domandò. “Sì.” “Prego, entrate.” Si scostò per permettere loro di entrare. Matias non se lo fece dire due volte, adorava quel locale, per di più quella sera a intrattenere gli ospiti vi era un gruppo musicale inglese, poco conosciuto in Italia, ma che a lui piaceva molto. “Buona Vigilia” fece Nina al buttafuori e Marta e Matias lo stesso. “Grazie, anche a voi” rispose l’uomo. Rimasero per un po’ a bocca aperta una volta entrati: l’atmosfera dentro il locale era romantica, sensuale e il buffet era ricco di piatti di pesce e colori, candele accese tra un vassoio e un altro. I tavolini posizionai ai lati erano anch’essi decorati con candele rosse e piccole Stelle di Natale. Alcune persone erano già sedute, mangiavano, chiacchieravano, mentre la musica era appena cominciata. Matias era in visibilio per il suo gruppo preferito, Marta gli sorrise accompagnando una piccola gomitata complice. “Dopo sarò sfacciato e chiederò loro un autografo” disse con gli occhi che gli brillavano davvero. Marta continuava a osservarlo, trovandolo bellissimo in giacca e cravatta. I capelli biondi raccolti in un muccetto che gli dava quell’aria un po’ più spavalda del solito e che facevano contrasto con il colore rosso dei suoi capelli corti e sbarazzini.
Nina, a sua volta, osservava loro: quando desiderava vederli insieme quei due testoni. Si guardò poi intorno per scorgere Sergei. Lo vide, era dietro al bancone del bar che aiutava il barista a servire bevande. Anche lui la vide, disse qualcosa all’uomo accanto, uscì da dietro il bancone e le si avvicinò. Era come se tutto andasse a rallentatore, lo guardava avvicinarsi, i capelli pettinati all’indietro ma che sfuggivano un po’ ai lati per quei riccioli ribelli e la barba lievemente incolta. Indossava un completo grigio scuro molto elegante, ma al tempo stesso fresco e moderno. Era perfetto. “Stai benissimo, principessa” le disse prima di tuffarsi sulle sue labbra. Si sentiva molto carina, in effetti, ed era così bello essere chiamata principessa. Lei che si era sempre sentita una semplice ragazza nata e cresciuta sulla strada. Indossava un abitino di ciniglia bordeaux molto accollato ma che scopriva completamente la schiena, calze nere velate e scarpe col tacco alto ma sobrio. I capelli raccolti in una treccia dritta che, sulla schiena nuda, la faceva sentire a suo agio, percependo una scossa elettrica quando Sergei gliela sfiorò, e le sfiorò la schiena. “Anche tu stai molto bene, non ti avevo ancora visto così sobrio ed elegante.” Di solito era eccentrico e stiloso, con quel look falsamente trasandato che lo rendeva sexy da morire. Anche così però era… perfetto. “Non ti ci abituare” le rispose nell’orecchio mentre con le mani accentuava ancor di più la presa sul corpo di lei. Nina dovette trovare tutta la sua forza di volontà per staccarsi da lui, era come un magnete che la attraeva a sé in un modo che ancora faceva fatica a gestire. “Ti presento i miei amici” disse mentre loro si avvicinavano. Sentiva le sue guance andare a fuoco. I tre si presentarono. “Sono felice di conoscervi, Nina mi ha parlato tanto di voi.”
“Spero abbia detto solo cose belle” cantilenò Matias rispondendo a quella stretta di mano in maniera decisa. Sergei sorrise anche a Marta. “Sedetevi pure, se vi va, il vostro tavolo è il numero cinque.” “Mangi qualcosa con noi, Sergei?” domandò Marta. A Nina aveva fatto davvero piacere che glielo avesse chiesto. Sergei annuì. “Certo, molto volentieri. Finisco di sbrigare alcune cose e vi raggiungo” disse. Marta e Matias si avvicinarono al buffet e cominciarono a servirsi e poi a portare i piatti al tavolo. Nina rimase ancora un po’ lì, con lui. La musica di sottofondo era davvero romantica, perfetta per la Vigilia di Natale. Un Natale bello, ma soprattutto inaspettato. “Vuoi ballare?” le domandò. “Sai ballare?” rispose Nina con un’altra domanda. Ovviamente divertita e provocatoria. “Me la cavo con i lenti…” Le strizzò l’occhio. “Oh, spero di non pestarti i piedi” gli disse. Sergei sorrise. “Dai, vieni.” La prese per mano e la portò in pista. Alcune coppie avevano già cominciato a ballare. La strinse forte a sé: Nina posò la mano sinistra sulla sua spalla mentre l’altra era stretta alla mano sinistra di Sergei che, con la destra, le cingeva la vita con fare possessivo. “a la notte con me, vieni a casa con me” le sussurrò all’orecchio. Nina chiuse per un attimo gli occhi per assaporare ancora di più quel momento. “Vorrei tanto, ma domattina devo organizzare il pranzo con Marta e Matias” rispose, ora guardandolo in viso mentre si muovevano piano a tempo con la
musica. “Pranzate da me. Ci saranno mia zia e Marco. Siamo sempre soli noi tre… mi farebbe piacere avervi con noi.” Nina, nonostante l’incertezza nella sua voce, aveva capito che ci teneva davvero e non lo aveva detto solo per cortesia. Sapeva come si sentiva in quei giorni di festa, perché era esattamente come si sentiva lei. Gli sorrise. “Ne parlo con loro, ma sono sicura che farà piacere a entrambi” rispose. “Possono raggiungerti da me per l’ora di pranzo” continuò lui. Nina annuì e si lasciò stringere ancora un po’; coccolati dalla musica continuarono a ballare. Da quanto Sergei non ballava un lento? In verità, l’ultima volta, era stato con Beatrice, alla loro festa di fidanzamento. Festa organizzata dalla famiglia di lei, sua mamma e suo papà che, dopo la morte della loro unica figlia, erano andati via da Genova per raggiungere i loro parenti a Torino. Non li aveva mai più visti, loro si erano rifiutati di incontrarlo. Ricordava loro la figlia e ne soffrivano molto. A dire il vero neanche Sergei aveva più voluto vederli. Finite le due canzoni, Sergei si staccò dal corpo di Nina. “Vieni, ti presento Marco.” Si avvicinarono al bar, Marco strinse la mano a Nina. “Ehi, bella ragazza! Sei un’eroina, eh! Sono felice di conoscerti” esclamò l’uomo, entusiasta. “Il piacere è mio, Marco.” Nina strinse la mano imponente dell’uomo anche lei con presa decisa. “Sergei, è bellissima questa ragazza!” Il viso di lui si illuminò. “Sì, hai ragione, è davvero bellissima.” Nina arrossì. “Domani per il pranzo di Natale ci sarà anche lei con i suoi amici” continuò. Marco per poco non si strozzò con il sorso d’acqua che ora stava bevendo. Ma non tanto per lo stupore -nessuna donna prima di Beatrice e dopo Beatrice aveva
mai ato del tempo a casa sua nel suo mondo -quanto per la felicità di vedere di nuovo sorridere quel ragazzo sempre nei perfetti panni dell’imprenditore, serio e integerrimo. Ora sembrava solo un giovane uomo di ventisei anni, cotto come un’adolescente. “Tua zia ne sarà davvero felice” terminò l’uomo. Anche Sergei ne era sicuro. Parlarono ancora per poco e poi lo lasciarono continuare con il suo lavoro. “Mangia qualcosa, arrivo tra poco” le disse prima di darle un bacio. “Questa sera festeggerai anche tu la Vigilia, allora?” domandò Nina speranzosa. “Sì, sbrigherò le ultime cose, ho davvero voglia di festeggiare” rispose carico di promesse che, a dire il vero, spaventavano entrambi, eppure non potevano farne a meno.
La serata era perfetta, il cibo a base di pesce delizioso e speciale. Marta e Matias ballarono per quasi tutto il tempo ed erano anche un po’ brilli, quel tanto che bastava per dar loro di nuovo il coraggio di perdersi in tenere effusioni in pubblico. E Nina lo vide molto bene quel bacio al centro pista tra loro, eccome se lo vide. A un certo punto, al lato destro della pista, scese come per magia un vischio decorato. C’era un fotografo che cominciò a immortalare le coppie che non ci pensarono due volte a scambiarsi baci proprio lì sotto. Il bacio sotto il vischio. Improvvisamente avrebbe tanto voluto avere con sé la macchina fotografica, dopo tanto tempo ne sentì davvero il bisogno quasi fisico, e si sentì ancora più felice. Quando l’ennesima coppia si allontanò dopo aver avuto il proprio scatto, si avvicinò al vischio, socchiuse gli occhi, combattuta tra quella felicità spontanea alla paura di perdere i suoi affetti. Solo che non ebbe il tempo di continuare quei suoi pensieri, perché Sergei si avvicinò, sentì il suo profumo, la prese
delicatamente per la vita portandola verso il suo corpo e la baciò con trasporto. Lui, che i baci aveva cominciato a detestarli così tanto negli ultimi tre anni della sua nuova vita, non desiderava altro che posare le labbra su quelle morbide e calde di Nina e, insieme, scacciare ogni giorno di più quel dolore, quella paura di perdere ancora una volta le persone a cui tenevano così tanto.
Olaf: Allora, com'è stato quel bacio? Anna: Mi sbagliavo. Io non so niente sull'amore. Olaf: Fa niente. Io sì! Vedi, l'amore è mettere il bene di qualcun altro prima del tuo. Come Kristoff, che ti ha portata qui rinunciando a te per sempre. Anna: Kristoff mi ama? Olaf: Cavolo, allora tu non sai proprio niente sull'amore. Frozen
Capitolo venti
Erano le tre del mattino. Marta e Matias diedero un bacio sulla guancia a Nina prima di salutarla e salire in macchina. “Sono felice per te, Nina. Tanto, tanto felice. Sergei ci ha dato il suo indirizzo, domani saremo lì per pranzo” disse Marta. Nina annuì e la ringraziò. “Mi raccomando, approfittate della mia assenza…” ammiccò infine a entrambi che grazie al cielo erano del tutto sobri, adesso, altrimenti li avrebbe obbligati a lasciare la macchina lì e li avrebbero accompagnati. Gli occhi dei loro cari amici si incrociarono ma, questa volta, lesse qualcosa di diverso: più sicurezza, felicità e… quella voglia di amarsi e stare insieme.
Aspettò Sergei, era emozionata come se fosse la prima volta che ava del
tempo con lui. In realtà le molte sensazioni che avevano vissuto insieme erano state così intense e inaspettate, a tratti profonde. Non sapeva per quanto tempo sarebbe andata avanti quella storia, tra loro, quanto tempo avrebbero ato ancora insieme prima di prendere strade diverse. Perché era quello che realmente volevano, giusto? Prendere, acciuffare attimi di felicità, farne il pieno, per poi tornare alle loro giornate. Ai loro pensieri solitari. Alle loro certezze che, così, stando soli con loro stessi, non avrebbero rischiato di perdere. “Possiamo andare” la risvegliò Sergei dai suoi pensieri. “Domani terrò il locale chiuso e il 26 verrà una ditta delle pulizie, così potrò riaprire il giorno seguente. “Sei uno stacanovista” lo rimbeccò Nina in tono scherzoso. Sergei le diede una leggera pacca sul sedere, prima di accarezzarla, con fare malizioso. Andarono nel retro dove vi era il magazzino per conservare bibite e stuzzichini, salutarono Marco che anch’esso si apprestava a tornare a casa, e salutarono i ragazzi della ditta del catering che stavano sgomberando le ultime cose. Durante il tragitto in macchina parlarono poco, per lo più della serata, di come era stato bello vedere quelle coppie, più o meno giovani, baciarsi sotto il vischio come in un film di Natale. Come poi avevano fatto anche loro… Gli disse anche che le dispiaceva un po’ non aprire i regali con Marta e Matias ma, proprio in quel momento, come se tra loro vi fosse una vera e propria telepatia, arrivò un messaggio sul suo cellulare con su scritto che avrebbero portato i doni con loro per aprirli a casa di Sergei. Nina ne fu davvero felice e commossa. Poi si appisolò per qualche minuto, si svegliò quando sentì il bacio di Sergei sull’angolo della bocca. Un bacio carico di tenerezza, ma anche di promesse proibite. Sì, perché Sergei era ionale, rude, faceva l’amore in un modo sconvolgente. Con nessuno mai, prima, Nina aveva provato sensazioni tanto inebrianti e totali. Non si era mai sentita così desiderata, voluta. Sapeva che ciò che vi era tra loro
non era di certo amore, ma una scintilla, una fiamma che avvampava sempre più. Che bruciava e che li attraeva l’uno verso l’altro. Il desiderio nell’aria quando erano vicini si poteva percepire. Ma era bello anche parlare, lo semplice stare insieme, per conoscersi sempre un po’ di più, per parlare della loro infanzia, dei loro compleanni che erano sempre stati vissuti in maniera così diversa da bambini, compleanni tristi per Nina e compleanni felici per Sergei. Ed era ciò che davvero li spaventava e li faceva riflettere: il conoscersi in maniera totale, nel bene e nel male. Nella felicità e nella tristezza. Nessuno dei due poteva concedersi il lusso di amare. No, non si sarebbero amati per poi perdersi. E così vivere quei momenti così intensi e speciali era l’unica prospettiva. Ricambiò quel bacio fino a che, senza fiato, scesero dalla macchina accolti dal freddo ancora più pungente.
“Hai una casa bellissima. E il caminetto… è stupendo, come anche l’albero!” Le sorrise, ma non le disse che era la prima volta che decorava la casa, dopo la morte dei suoi cari. “Grazie, principessa. Sono legato a questo posto, ci sono nato, ho molti ricordi che… faccio davvero fatica a lasciare andare.” Nina si rabbuiò. “Sono belli i ricordi, loro non ci sono più, è vero, ma ti hanno voluto bene…” Sergei si accorse subito di aver sbagliato, non doveva dire così. “Mi dispiace, scusa…” le disse. Nina non aveva ricordi, ma soprattutto non sapeva se quella donna che l’aveva lasciata in quell’ospedale in verità la amasse e, per scelta non sua, avesse dovuto separarsi dalla sua bambina. “No, non dispiacerti, Potrà sembrare strano, ma anche io ho dei bei ricordi, sai? Gli abitanti di quella via che per i più è pestilenziale, ma solo perché non conoscono i veri drammi che vi sono avvenuti, e la forza di molte persone a rialzarsi per ricominciare. La solidarietà di chi è stato vicino a queste persone che, invece, non ce l’hanno fatta o non volevano farcela. Incontrare poi Marta e Matias, vivere con loro, abbellire la casa e la via per le
feste, scattare qualche istantanea… Ogni momento mi ha lasciato qualcosa e… poi ci siamo conosciuti, non è mica cosa da poco. Sarà anche questo Natale assieme un ricordo memorabile, non credi?” terminò cominciando a girarsi un po’ intorno per guardare quel salotto così accogliente e le belle foto dei suoi genitori alle pareti. Il sorriso di una ragazza che era sicuramente la sua ex fidanzata. Distolse poi lo sguardo imbarazzata, come se improvvisamente si sentisse fuori luogo. Ma Sergei lo capì e si avvicinò un po’ di più. “Direi di sì, sono tutti ricordi bellissimi però solo sull’ultima parte ho un bel po’ di insicurezze: adesso che sei qui, con me, nella mia casa, non voglio pensare a te come a un ricordo. Non ce la faccio…” Ora proprio di fronte a Nina, leggermente ricurvo in avanti, per appoggiare la fronte alla sua. “Che cosa vuoi dire?” domandò Nina con voce tremante. “Voglio dire che potremmo provare a stare insieme, sul serio, per conoscerci meglio e questo includerebbe” si fermò solo un attimo con un sorrisetto ammiccante, “più cene, eggiate, cinema, chiacchierate, baci e… ovviamente tanto, tantissimo sesso…” terminò senza lasciarle il tempo di replicare nulla. Nina posò le mani sul suo petto per fermarlo e avere tutta la sua attenzione. “Sai che sei un bel po’ arrogante ed egoista? Praticamente hai deciso tutto tu!” esclamò. Sergei ci pensò un po’ su, accentuando il modo di fare proprio come se sulla sua testa si fosse formata una nuvoletta dei pensieri. “Hai ragione, sono arrogante ed egoista, ma sono contento di esserlo. Mi piaci, mi piace stare con te. Mi piaci perché non cerchi di scacciare via da me i ricordi e il mio senso di colpa che, anche se mi rendo conto che è del tutto irrazionale, ho nei confronti di Beatrice.” La sua risposta, cominciata in tono scherzoso, terminò in modo serio e profondo. “Non potrei mai e poi… anche tu mi piaci molto e sento proprio qualcosa qui, nel petto, all’altezza del cuore.” Portò la sua mano proprio in quel punto preciso. Il bacio che continuarono a darsi era colmo di ione, ma anche di speranza, nonostante quella paura di perdersi l’un l’altro eppure convinti che un “per sempre” non sarebbe mai più esistito, vivendo così ogni momento per quello che era.
Sergei fermò quel bacio giusto il tempo di accendere il caminetto e la radio per avere della musica di sottofondo. Dalle casse si sprigionò una voce dolcissima, incantevole: non aveva mai sentito prima quella canzone, Nina. Ma se ne innamorò subito. Era perfetta. Sergei, poi, prese dal divano una coperta morbidissima e la posò sul tappeto ai piedi del divano. A far loro da contorno quell’ambiente così accogliente: piccoli souvenir che Sergei negli anni aveva accumulato quando, per scacciare via i pensieri, andava in giro per le città i pochi giorni che riusciva ad avere tutti per sé. Quadri con paesaggi innevati, fotografie, una piccola libreria con vecchi e vissuti volumi, le decorazioni di Natale… Era tutto perfetto. Con delicatezza, senza più perdere il contatto visivo con Nina, la portò con sé, si tolsero le scarpe, si sdraiarono su quella morbida coperta. Sergei era sopra di lei. Cominciò a baciarla dappertutto, ogni parte di quel corpo piccolo e armonioso, mentre la spogliava. Anche Nina cominciò a esplorare quel corpo, con le mani, con la bocca. Uno scambio continuo di carezze, sussurri, gemiti, parole dolci e forti. Si toccavano, si baciavano, in modo così intimo e disarmante. Sergei aveva il viso teso dal piacere che provava nell’avere ora quelle labbra morbide attorno alla sua intimità. Stava perdendo completamente la ragione. “Sì, principessa, non smettere, fallo ancora.” E Nina non se lo fece ripetere. Continuò fino a quando Sergei non le sollevò delicatamente il viso con le mani per portare quelle labbra, ora, sulle sue. Per farla sedere sopra di lui. Per entrare dentro di lei. Cominciando a muoversi entrambi, con delicatezza e poi con ione sempre crescente. “Sergei” sibilò sulle sue labbra che ancora non si erano staccate, le mani tra i suoi riccioli scuri mentre lui teneva i suoi fianchi accompagnandola nei movimenti. “Così, principessa, continua così, muoviti così. Lo senti com’è bello?” E poi si baciarono ancora profondamente, assorbendo ogni loro gemito o mugolio.
Sensazioni uniche accompagnate dallo scoppiettio del fuoco nel camino, dalla musica. Quei momenti erano un crescendo di emozioni, di sensazioni. Forse il Natale, da quel giorno, sarebbe stato davvero un giorno bellissimo da festeggiare…
Dory: Quando la vita si fa dura sai che devi fare, Marlin? Marlin: No, non lo voglio sapere. Dory: Zitto e nuota, nuota e nuota, zitto e nuota e nuota e nuota. E noi che si fa? Nuotiam, nuotiam! Alla ricerca di Nemo
Capitolo ventuno
Si svegliarono solo cinque ore dopo: Sergei guardò l’orologio sul comodino. Dopo aver fatto l’amore davanti al camino erano andati a letto e si erano addormentati subito, stanchi e appagati. Si sporse verso Nina e le diede un bacio sulla tempia. “Dobbiamo alzarci, dormigliona. Buon Natale.” Nina si stiracchiò, un sorriso le illuminò il viso ancora assonnato ma bellissimo. Lui le scostò il lenzuolo e la coperta per guardare ancora quel corpo nudo, quella pelle bianca come il latte. Quei capelli rosa e lunghissimi che le arrivavano sino al sedere, erano un perfetto contrasto su quella pelle. “Hai fame?” le domandò dopo averle dato un leggero morso sulla spalla. “Un po’ sì. Buon Natale anche a te” rispose Nina. “A che ora arrivano Marta e Matias?” “Verso mezzogiorno. Mi dispiace di non aver avuto il tempo di preparare qualcosa da portare a casa di tua zia.” Sembrava davvero dispiaciuta e in imbarazzo.
Gli diede un bacio prima di alzarsi, avvicinarsi alla finestra e scostare la tenda per guardare fuori il piccolo giardino con al centro una capannina di legno. “Non preoccuparti, nel pozzetto in cantina ci sono vassoi di ravioli congelati fatti da me e mia zia per un reggimento.” Nina si girò verso di lui. “Sai fare i ravioli… questa davvero non me l’aspettavo.” Sergei la guardò ancora, dappertutto. Quella intimità che aveva assaggiato, quella lieve e morbida peluria che gli aveva solleticato il naso… Si ò la lingua sulle labbra asciutte, per inumidirle, ripensando a quel momento. Nina arrossì, ma non disse nulla. Era bello quello sguardo. “Diciamo che l’ho aiutata, ma da qui a mettermi da solo a prepararli ce ne a. Sai, vivere in campagna ti porta a imparare molto.” “Hai anche degli animali? Ho visto quella casetta…” continuò Nina scostando di nuovo la tenda per indicarla. “Sì, in quel cascinotto ci sono le galline. Fanno uova fresche tutti i giorni. In estate le teniamo in un recinto, con una piccola tettoia per il sole, ma stanno all’aperto. Ora, con queste temperature, stanno al caldo. Lavorando fuori casa, non abbiamo altri animali, solo loro e due galli. Avere molti animali richiede impegno e dedizione costante, sarebbe bello, ma non posso dare troppo lavoro a mia zia. Già loro di cui occuparsi è un grosso impegno.” “Certo, lo immagino.” Sergei si alzò di scatto dal letto, ignorando quel momento di eccitazione che lo pervase di nuovo, si rivestì con una tuta comoda. “Aspetta qui” le disse uscendo dalla camera. Sentì poi la porta di casa chiudersi e lo vide in giardino mentre entrava nella casetta. Uscì pochi minuti dopo, aveva in mano le uova. Nina si rivestì velocemente e lo raggiunse in cucina. Appena entrato la guardò soddisfatto.
“Un bel caffè e uova sbattute con lo zucchero, cosa ne dici?” Nina si avvicinò, curiosa. “Non ho mai mangiato le uova con lo zucchero.” Sembrava stranita. Ma poi capì che quella era una colazione speciale. Una di quelle colazioni che una zia o una nonna ti preparavano la mattina presto se la notte prima avevi dormito da loro. Non si sentì triste, ma coccolata come mai prima d’ora. Si mise sulle punte dei piedi e lo baciò sulla guancia. “Devono essere buonissime, grazie.” Sergei capì, si limitò a sorriderle senza aggiungere altro. “Prego, principessa.” E si mise a preparare tutto. Quel profumo di caffè, quel profumo di uova fresche e zucchero… “Ho già l’acquolina in bocca.” Si sedettero al tavolo e fecero colazione insieme. “Grazie di averci invitato per pranzo.” “Sono felice di avervi con noi. Sono felice soprattutto adesso, di averti qui… tutta per me” le rispose facendole un occhiolino accompagnato a un sorriso malandrino da far girare la testa. Bevvero l’ultimo sorso di caffè. “Pranzeremo qui? Vorrei tanto darvi una mano.” Sergei le sorrise. “No, da mia zia, ha un salone più ampio. Era davvero felice quando le ho detto che avremmo avuto ospiti, le ho scritto ieri sera sul tardi, non c’è stato verso di farla venire al locale.” Alzò gli occhi al cielo, ormai rassegnato al fatto che sua zia Vincenza non era per nulla amante delle feste mondane. “Sai, dopo Beatrice... Nessuna è più stata qui…” Nina sorrise, si alzò dalla sedia per raggiungerlo. Lui si scostò per farla sedere sulle sue gambe. “Sono felice di saperlo, vuol dire che ci tieni davvero, a noi…” Sussultò per le sue stesse parole. “Noi…” ripeté Sergei. Questa situazione così familiare, la colazione, l’ambiente circostante, il profumo di casa, la ione tra di loro, li aveva resi così vivi.
Si baciarono, avvolti completamente da quelle sensazioni che erano come una calda coperta. Rimasero così ancora per un po’.
Bagheera: Baloo, ognuno deve stare con quelli fatti come lui! Tu per esempio la sposeresti una pantera? Baloo: Non saprei... Ah! Ora che ci penso nessuna pantera mi ha mai chiesto la zampa! Il Libro della Giungla
Capitolo ventidue
“Zia, eccoci” disse Sergei bussando e nel frattempo aprendo la porta, prima di entrare. “Oh, tesoro, ciao!” La graziosa donna si asciugò le mani con uno strofinaccio per raggiungerli all’ingresso. Sergei le diede un bacio sulla guancia e poi si girò verso Nina e le presentò. “Vincenza, molto piacere! Che bello conoscerti, Nina. Che bella che sei e che bei capelli! Sai, quando ero una ragazza portavo sempre una ciocca di colore diverso in base all’umore. Erano altri tempi, quindi parevo un po’ strana, ma a me piaceva così tanto cambiare! Blu se era un periodo intenso, verde se ero un po’ malinconica, gialla se ero felice e rossa se ero innamorata!” terminò ridendo divertita. A Nina piacque subito, si sentì a suo agio immediatamente. “E perché non portarla ancora una ciocca colorata?” le domandò con naturalezza. La donna ci pensò un po’ su, aveva lo stesso sguardo di Sergei, in quel momento. Le somigliava molto, sembrava la sua mamma. “Quasi quasi… il rosa in effetti è un colore che non ho mai provato!” Sergei scosse il capo divertito, sua zia era speciale ma al tempo stesso eccentrica. Non
amava girare per la città e andava al locale con Sergei solo quando era ancora chiuso, eppure le piacevano i vestiti colorati e anche i capelli sbarazzini. Nina era davvero felice di essere lì, con loro. “Spero solo che non disturberemo…” continuò. In effetti non c’era stato nessun preavviso. “Ma figurati, è bello avere ospiti. Sai, la vita di campagna è bellissima, ma spesso ci si sente un po’ malinconici. Andare in giro per le città affollate non mi piace molto, per questo sono felice quando qualcuno viene a farci visita. Ma adesso, bando alle ciance, venite, non stiamo qui nell’ingresso!” Nina annuì, comprensiva. Poi sia lei che Sergei la seguirono in cucina. Nina si guardò un po’ intorno complimentandosi per la casa e per il posto incantevole in cui vivevano. Nel frattempo il camlo alla porta suonò: era Marco e con lui, contemporaneamente, erano arrivati anche Matias e Marta, con in mano i regali da aprire e un vassoio di pasticcini freschi appena acquistati per un intero reggimento. Dopo le presentazioni e i saluti, il viso di Sergei era raggiante: tutti insieme in quel giorno che aveva sempre temuto dopo la morte dei suoi cari, grazie all’incontro inaspettato con quella ragazza che aveva i capelli come una principessa delle fiabe e che gli aveva rubato il cuore. Nina e Marta aiutarono la signora Vincenza in cucina, mentre Marco, Matias e Sergei finivano di apparecchiare la tavola a festa. Poi, come bambini curiosi, aprirono i loro regali. Matias e Marta erano stupiti e felici per i dischi in vinile che Nina aveva regalato loro e lei lo stesso per il set da macchina fotografica che, al suo interno, conteneva rullini, stampe, in più una macchina digitale per poter così mettere le foto anche in un dischetto. Nina ne fu felice, quell’insistenza da parte dei suoi amici, questa volta, le aveva fatto davvero piacere. Anche Sergei, sua zia e Marco, aprirono ognuno i loro regali che, come ogni
anno, si facevano. Solo dopo, Sergei si allontanò per poco, per prendere e dare a Nina il suo. Tutti erano curiosi. Lei invece era senza parole, felice ma imbarazzata. Non se lo aspettava. “Non dovevi…” gli disse. “Aprilo” si limitò a risponderle lui. Nina si sedette sul divano, inspirò, sfilò il fiocco e tolse la carta: era una cartellina e quando la aprì non riuscì a credere ai suoi occhi: al suo interno vi era una piccola targa in cartoncino con una scritta e il suo nome inciso. Era un corso di fotografia, completamente pagato da lui, che sarebbe iniziato in primavera. La zia di Sergei guardava suo nipote, commossa e felice perché aveva capito che stava andando avanti. Era sulla strada giusta per la felicità. “Io non posso, io…” Toccava quella targa, incredula. “Sì che puoi” continuò lui. Marta e Matias si guardarono complici. Erano felici per lei e si sentivano incredibilmente vicini. Vicini come non mai. Nina mise a posto la targa, posò sul divano la cartellina che la conteneva nuovamente, come a proteggerla, si alzò in piedi e abbracciò Sergei fortissimo. “Grazie, non so cosa dire… Io, non ti ho regalato nulla…” sibilò, infine. “Non sono d’accordo” le rispose, semplicemente. Averla tra le sue braccia era il vero regalo.
Quando furono tutti a tavola zia Vincenza disse un breve preghiera prima di mangiare. Era un momento così intimo, familiare… Tutto ciò che Nina non aveva mai provato. Essere a tavola con due persone adulte, con i visi segnati dal tempo, due persone che parevano due genitori… Era questo che provava per la prima volta. Il pranzo continuò tra risate, parole per conoscersi tutti un po’ di più. Era perfetto, era come se tutti gli equilibri stessero tornando al loro posto. Come se quello fosse davvero stato il Natale dei cambiamenti. Non potevano di certo aspettarsi, invece, ciò che di lì a poco sarebbe accaduto. Nina sentì squillare il cellulare nella sua borsa, chiedendosi chi potesse essere. Forse le due gemelle, nonché datrici di lavoro, che le volevano fare gli auguri? Le sembrò improbabile. E poi, i suoi unici affetti, erano tutti lì in quella stanza. Si pulì la bocca con il tovagliolo e si scusò prima di alzarsi da tavola per rispondere. Prese il cellulare da dentro la sua borsa che era appoggiata alla spalliera del divano. Non riconobbe il numero, rispose comunque pensando che si trattasse di una qualche compagnia telefonica. Quando disse ‘pronto’ una voce maschile dall’altra parte le domandò se stava parlando con Nina Bacicalupo. “Sì, sono io” rispose. “Signorina, mi scuso per questa telefonata in un giorno di festa, ma vede…” E da quel momento Nina quasi non capì più nulla. Pensava si trattasse di uno scherzo: legale, reali di Svezia, abbandonata, uno sbaglio, principessa… L’unico gesto che decise di compiere fu avvicinarsi al televisore in salotto, sotto gli occhi ora preoccupati di tutti. Marta che continuava a chiedere cosa era accaduto, chi era al telefono. Sergei era preoccupato, non l’aveva mai vista così. Tremava mentre cercava di accendere la tv. Si alzò bruscamente da tavola per andarle incontro. E poi il telegiornale… Ogni canale che trasmetteva programmi o film era stato interrotto per dare una notizia
straordinaria, un ritrovamento e una conferma improvvisa. Sotto gli occhi increduli, scioccati, di tutti, le notizie correvano alla velocità della luce. Di certo, però, Nina non poteva aspettarsi che i suoi genitori, coloro che tante volte aveva immaginato senza mai farne parola, coloro per cui aveva pianto chiedendosi il perché di quell’abbandono da parte di quella donna, e chi potesse essere il suo papà, se sapeva che lei esisteva da qualche parte… I suoi genitori erano, in verità, i reali di Solona. Un paese vero, seppur fiabesco, della Svezia. Non ci fu il tempo di metabolizzare la veridicità di quella scoperta. Improvvisamente divenne tutto nero. L’ultima cosa che percepì, furono due braccia forti che la sorressero.
Principessina, se la triste profezia si avverasse bimba mia, non per questo morirai, ma nel sonno tu cadrai e il tuo sonno cesserà, se l’amor ti bacerà. La bella addormentata nel bosco.
Capitolo ventitré
Era un Natale davvero inatteso… Nina riaprì gli occhi: era tra le braccia di Sergei che le accarezzava i capelli. “Si sta riprendendo” disse. Marta e Matias ai suoi piedi. “Cosa… cosa è successo? Credo di essere svenuta e di aver fatto un brutto sogno.” Sergei le sorrise, rassicurante. Anche se dentro di sé non riusciva a spiegare la sensazione che stava provando. “No, non era un sogno e adesso capisco perché non posso fare a meno di chiamarti principessa” terminò con un sorriso, per rassicurarla. Un pezzo di lui, però, stava morendo sempre di più. La stava perdendo. Questo era il suo destino. Perdere le persone che amava. La zia Vincenza e Marco, vicini, si guardavano sgomenti. Marta e Matias per la prima volta senza parole. Senza nulla da dire.
Nina inspirò: era ancora a terra, il busto sorretto da Sergei che continuava ad accarezzarle i capelli. Poi le diedero un bicchiere d’acqua e zucchero. Nina lo bevve e poi parlò, con calma, come se dovesse analizzare ogni parola che stava dicendo. “L’uomo con cui ho parlato era un avvocato. Mi ha detto tutto, chi sono in realtà. Hanno detto che domattina ci sarà un volo privato per me. Ora una guardia del corpo dei reali è di fronte a casa nostra, non ho voluto dire loro dove sono, gli ho buttato il telefono in faccia, io… io…” Parole confuse, incredibili, impossibili. Sergei continuava a tenerla stretta a sé. “Oh, tesoro, dobbiamo calmarci tutti adesso, riprendere fiato, elaborare la cosa. Preparo una camomilla, ci vuole proprio” continuò la zia di Sergei. “Ma sarà vero? Magari si sbagliano!” proseguì Nina. Nel frattempo Matias si stropicciava il viso, incredulo. Al telegiornale le informazioni proseguivano: una foto di Nina, i giornalisti nella via non abituata ad avere tante attenzioni su di sé, tante informazioni. La lavanderia dove lavorava Nina, informazioni su Marta e Matias… Tante notizie, tante parole… Il tutto alla velocità della luce. Era già stato svelato che la piccola Isobel, morta anni prima, non era la vera principessa e che erano partite le ricerche per trovare la verità, ma mai poteva aspettarsi di essere proprio lei quella verità. “L’unico modo per saperlo è andare fino in fondo a questa storia” proseguì Marco. “Oddio, gli ho sbattuto il telefono in faccia e ora ha ripreso a squillare, ma non voglio rispondere…” “Non preoccuparti, ora cerca di stare calma, quando te la senti ti accompagno a casa” terminò Sergei. “Ma certo, Nina, se poi vuoi possiamo richiamare noi quell’avvocato e parlarci.” Nina scosse il capo.
“No, non voglio tediarvi, risolverò questa situazione, la affronterò, perché sono sicura che si sbagliano. Non sono io, non è possibile. Sono stata abbandonata e quel giorno è nata Isobel, la principessa di Solona, forse è uno stupido scherzo, una burla… Non è possibile…” “A quanto hanno detto al tg, l’infermiera dell’ospedale ha sbagliato: tu eri la loro bambina. Lo ha confessato dopo tutti questi anni, in punto di morte. Tutti questi anni in cui tu…” Le parole morirono in bocca a Matias, ma Nina sapeva benissimo cosa volesse dire. “Al momento l’unica cosa che voglio è continuare questa giornata, come se nulla fosse accaduto” disse, scostandosi un po’ da Sergei. “Ma…” “No Sergei, per favore. Stasera tornerò a casa, chiamerò di nuovo quell’avvocato, dirò lui che andrò a parlare con queste persone, che le ascolterò. Cercherò di capire questa situazione assurda, impossibile da comprendere. Stasera. Non adesso.” “Ok” sibilò lui. Continuarono davvero la loro giornata, l’atmosfera era cambiata. Non ne volle più parlare, fino al momento in cui si fosse allontanata da lì. Il cuore si frantumò in tanti piccoli pezzettini e solo Sergei era in grado di ricomporli.
Biancaneve: Il fischio è un elisir | che fa ringiovanir | e fa tornare al cuore | il buonumore, anche nel lavor. Da Impara a fischiettar. Biancaneve e i sette nani
Capitolo ventiquattro
Marta e Matias erano tornati a casa un po’ prima per capire la situazione. Nina rimase ancora con Sergei, salutò Marco con affetto e abbracciò la zia di Vincenza, promettendole di rivedersi presto. “Nina, io spero che tutto sia vero, ti meriti una famiglia, meriti di essere felice” le disse la donna prima di chiudere la porta. Nina annuì incerta e la ringraziò per il pranzo. Avevano mangiato i pasticcini accompagnati dalla camomilla che la donna aveva preparato. Era stata dura continuare. Ma era ancora più dura, adesso, che era di nuovo a casa di Sergei. Seduti ora di fronte al caminetto che lui aveva , su quella calda coperta dove avevano fatto l’amore. “Io non so cosa fare nel caso fosse tutto vero, ma suppongo che non avrei molta scelta. Una principessa, ecco, non sono esperta, ma da quel che so, non se ne può di certo andare in giro per le città da sola o lavorare in una lavanderia. Non sarà più lo stesso…” disse con un sorriso tirato, scuotendo il capo. Sergei le accarezzò i capelli. “Non dovrai far altro che accettare la situazione ed essere felice per la vita che ti
aspetta” le disse. “Ma qui io ho tutta la mia vita, i miei amici, le mie certezze che mi sono creata in tutti questi anni e poi… ci sei tu…” Cominciò a piangere. Sergei non l’avrebbe consolata, però. Non voleva legarla a lui ancora di più. Avevano sbagliato tutto, entrambi. Affezionarsi, l’un l’altra, era stato uno sbaglio. No, non l’avrebbe abbracciata per dirle che si era innamorato di lei. Per dirle che non voleva che se ne andasse, non sarebbe stato egoista. Lo era già stato molto, nell’esprimere a gesti, con i fatti e con parole appena accennate, sussurrate, i suoi sentimenti. Doveva essere duro, non trapelare emozioni. Aveva la possibilità di essere felice, di vivere una favola meravigliosa. L’avrebbe lasciata andare. “Non c’è un noi, Nina. Ci siamo fatti trasportare dall’attrazione che proviamo, da momenti di debolezza che ci accomunano, ci siamo sentiti meno soli. Ma adesso lo capisco: è stata tutta un’illusione. Ci tengo a te, mi piaci da impazzire, ma il mio cuore…” inspirò a pieni polmoni perché sapeva che era una menzogna, ma non poteva far altro. Tutta l’attenzione di Nina era rivolta a lui, le lacrime si erano fermate per quelle dure parole che stavano arrivando come lame pronte a recidere ogni certezza che stava acquisendo in loro. “Il mio cuore non sarà mai di nessun’altra. Ho amato solo una donna nella mia vita e, per quanto tu mi abbia fatto sentire bene, non potrò mai amarti…” Nina era ferita, cercava di leggere nei suoi occhi la verità. Per un attimo credette alle sue parole, ma i suoi occhi lo tradivano. Era serio e imperturbabile, ma nel suo animo sapeva, sperava, che non fosse vero. Che in realtà si fosse innamorato di lei, come lei si era innamorata di lui. All’improvviso pensò a loro, ai suoi genitori che presto avrebbe conosciuto. Alla piccola principessa che avevano perso quando era ancora una bambina. E che, se tutto fosse stato vero, era lei quell’orfanella lasciata in ospedale. “Ora ti accompagno” le disse, deciso, mentre si tirava su. Non poteva stare
ancora lì con lei, su quella coperta dove avevano fatto l’amore. Nina si sollevò, gli andò incontro e lo abbracciò da dietro. Gli cinse la vita con le mani, appoggiò il viso sulla schiena di lui. Sergei strinse gli occhi, prese le chiavi dal tavolino. “Ora andiamo.” Nina si staccò da lui. Non aggiunse nulla.
Durante il ritorno, in macchina, nessuno dei due parlò. Nina si lasciava alle spalle la magia di quelle colline innevate. Di quel profumo di legna bruciata, di quell’incanto, per ritornare in città. Un solo bacio sfuggente sulla fronte da parte di Sergei, perché potesse entrare subito nel portone di casa visti tutti i giornalisti lì ad attenderla, a fare scatti. Una guardia del corpo era già lì, si presentò. Scesero dalle scale anche Marta e Matias. Quei sacchetti tra le mani, con quei doni dei suoi amici, ma soprattutto quella cartellina stretta al petto, il regalo di Sergei, mentre si chiedeva se mai avrebbe potuto partecipare a quel corso che, con amore, lui gli aveva regalato. E fu in quel momento che capì, che rinsavì. Lo guardò ancora una volta, mentre il portone si richiudeva. Anche lui aveva compreso quello sguardo e, il regalo che le aveva fatto, era la dimostrazione delle sue menzogne prima di lasciarla sotto casa. Salutò i suoi amici, salì le scale ed entrò con loro in casa, mentre la guardia del corpo rimase lì fuori. Si affacciò dalla finestra: Sergei andò via velocemente, nonostante i curiosi e i giornalisti cercassero di parlare col ragazzo misterioso che aveva rubato il cuore di una principessa… Il giorno seguente anche gli abitanti della via la salutarono, commossi, per il
buon cuore di quella ragazza che, spesso, di nascosto, li aveva ritratti con la sua macchina fotografica e che aveva a cuore quella via, più di chiunque altro…
“Per quanto il vento ululi forte, una montagna non può inchinarsi ad esso.” Mulan
Capitolo venticinque
Abbracciò forte i suoi più cari amici quando era ancora a casa, quella casa che era ben consapevole non avrebbe più vissuto. Non avrebbe permesso loro di accompagnarla all’aeroporto, sarebbe stato ancora più doloroso salire su quell’aereo, sapendo che erano lì a vederla andare via. “È pronta, principessa?” domandò quel gigante prima di aprire la porta di casa con tante emozioni contrastanti nel petto. Si girò ancora una volta verso Marta che le sorrideva, tratteneva le lacrime. E Matias che le strizzò l’occhio, anch’esso con un nodo al petto. “Ci sentiamo presto, ok?” disse loro. Annuirono. Non vedevano l’ora di sapere e speravano con tutto il cuore che la loro amica più cara fosse davvero quella principessa e che in realtà non era mai stata abbandonata. Sembrava un film, una favola, invece era tutto reale. Ancora qualche tv locale era stazionata lì, ancora cercarono di estorcere parole, ma Nina non avrebbe parlato con la stampa prima di essere davvero sicura. Prima di aver toccato con mano.
La macchina aveva i vetri oscurati, era stata affittata dai reali perché Nina fosse scortata in aeroporto in tutta sicurezza. Durante il tragitto ricevette una telefonata inaspettata: erano le due gemelle, sue
datrici di lavoro, che stupite le dicevano di aver appreso la notizia. Erano gentili come noi mai, ma non si stupì e non le importava. In fondo, nonostante il loro carattere duro, le avevano offerto un lavoro, non era arrabbiata con loro. In verità le comprendeva. Le salutò dicendo che sarebbe tornata a trovarle, ma nulla più. I giornali e le tv erano anche lì, in aeroporto, di certo non era stupita, ma al tempo stesso non abituata a questa improvvisa notorietà. Il massimo che le era capitato, un video virale di lei che, vestita da Elfo, fermava un ladro e poi l’arrivo di Sergei, il suo salvatore. Lo stomaco le si contorse al pensiero di lui. Scese dalla macchina, la guardia del corpo vicinissima, flash che arrivavano da ogni dove. Si sentiva così spaesata e, per la prima volta da che ne aveva ate molte, anche impaurita. Solo quando una hostess prese il suo unico e minuscolo bagaglio, percepì due occhi su di sé: Sergei era lì, poco più distante, in un angolo in disparte. Quegli occhi rassicuranti su di sé… Allora, ebbe ancor di più la certezza che le ultime parole pronunciate da lui non erano vere. In cuor suo lo sapeva, ma l’incertezza l’aveva fatta vacillare. Se era lì, allora provava davvero ciò che lei provava per lui? Non ci pensò ulteriormente su, perché quell’impulsività che tanto la contraddistingueva la pervase nuovamente come un fulmine a ciel sereno. Fu un attimo: cominciò a insinuarsi tra la gente, corse più veloce che poteva sotto gli occhi attoniti della sua guardia del corpo e dell’uomo di fiducia del re che non riuscirono ad acciuffarla in tempo, visto quel gesto inaspettato e poco prevedibile. Non poteva andare via senza abbracciarlo per lo meno un’ultima volta. Sergei comprese immediatamente il suo gesto, ancor prima che cominciasse a correre. Lo aveva letto negli occhi di Nina. Le corse incontro per prenderla tra le sue braccia e tenerla lontana dalla folla curiosa. Quando la tenne finalmente stretta, non vi era più nessuno intorno a loro. Quei brevi momenti li avrebbero vissuti e ricordati per sempre. Sarebbero stati preziosi.
Le macchine fotografiche lavoravano senza sosta, i fotografi scattavano senza tregua, immortalando ogni momento. Le televisioni erano in diretta nazionale. Quell’abbraccio durò troppo poco, fino a che non tornarono a guardarsi occhi negli occhi. “Sergei, io… io…” “Sssh, non dire nulla, ora vai dalla tua famiglia e sii felice. Io sono qui, e non mi dimenticherò mai di te.” La baciò, non fu possibile aggiungere altro perché le fu strappata dalle sue braccia, dall’uomo della sicurezza. La stavano portando via da lui e sebbene sapesse quanto tutto ciò fosse giusto, quanto Nina avesse il diritto di essere felice con la sua famiglia, Sergei la guardava allontanarsi sempre più fino a sentire il suo cuore che andava in frantumi. Un cuore che era guarito e ora sanguinava di nuovo, fino ad ammalarsi irrimediabilmente. Nina era una principessa, la sua principessa e ora… Non l’avrebbe mai più potuta stringere a sé.
Ciuchino: Shrek, la ami questa donna, no? Shrek: Sì. Ciuchino: La vuoi abbracciare? Shrek: Sì. Ciuchino: Con piacere?! Shrek: SI! Ciuchino [cantando]: E allora dacci dacci dentro, con la tenerezza! Shrek
Capitolo ventisei
Durante il volo non riuscì a pensare ad altro che a lui. Pianse, senza sosta, sotto gli occhi inermi della guardia del corpo e del segretario del re che, di certo, seppur dispiaciuti, non avevano la capacità e neppure la voglia di consolare la giovane principessa di Solona. Una ragazza che, sino a quei giorni, era stata completamente invisibile agli occhi del mondo. Eppure quell’invisibilità le aveva permesso di conoscere gli affetti più cari, persone che erano entrate nel suo cuore per non uscirne mai più. Arrivati all’aeroporto di Stoccolma, una macchina li aspettava per condurli al palazzo reale di Solona. Una limousine d’epoca, non credeva neppure che esistessero nella realtà macchine così. Pensava che venissero create solo per i film. Il tragitto fu silenzioso, qualche sorriso incerto e imbarazzato, rubato in alcuni momenti, fino a quando il silenzio e il panico cominciarono a invadere l’abitacolo e a essere soffocanti. Quando arrivarono e l’immenso cancello si aprì, scese dalla macchina, accompagnata dal segretario e raggiunta anche da un elegante signore che si presentò come l’avvocato che, il giorno prima al telefono, le aveva dato la notizia. Si scusò imbarazzata per aver terminato bruscamente la chiamata e poi non averlo, in verità, più richiamato. L’uomo le sorrise rassicurante. Si bloccò per osservare attentamente tutto ciò che la circondava. Un glorioso giardino reso ancor più incredibile dal labirinto di siepi sul lato destro del palazzo. Mentre sul lato sinistro vi era un roseto ora imbiancato da neve e ghiaccio.
Si strinse nelle spalle consapevole di non possedere un abbigliamento adatto per il gelo pungente e ben diverso da quello dell’unica città che aveva mai conosciuto: Genova. Il segretario del re la incoraggiò a procedere, nel frattempo l’autista portava il suo misero bagaglio sino all’entrata cosicché la servitù potesse portarlo all’interno del palazzo. Tutti erano stati gentili e premurosi con lei e, nonostante la scappatella improvvisa in aeroporto per abbracciare Sergei, nessuno aveva osato rimproverarla. Ora, a quanto pareva, era una vera principessa, faceva parte dei reali e i suoi comportamenti avrebbero inciso in tutto. Un paio di film sull’argomento e qualche gossip sui reali d’Inghilterra, seppur molto poco incisivi, le avevano fatto comunque capire qual era la realtà, che la vita per loro era ben diversa. Inspirò ed espirò a pieni polmoni. Entrò, ad aspettarla lì, nell’androne, il personale di sevizio: visi commossi, increduli e poi, sempre lì ma al centro, due figure eleganti e regali. Gli occhi colmi di lacrime a stento trattenute, incredulità, paura, felicità per quelle due figure che, in quel momento, erano solo un padre e una madre che avevano perso la loro figlia quando era ancora una bambina e ora, dopo tanti anni, si ritrovavano di fronte la loro vera figlia. Li osservò, tutto intorno un rispettoso silenzio. Non vi erano dubbi. La somiglianza, i lineamenti del viso, il naso all’insù, gli occhi dal taglio allungato, la pelle diafana... La regina era identica a Nina, due gocce d’acqua. Era lei, come sarebbe stata venti anni dopo. O come la regina era stata vent’anni prima.
Come poi il re, con i capelli biondo cenere, lo stesso biondo che Nina nascondeva sotto il colore rosa. Gli occhi scurissimi e quelle fossette ora accompagnate da finissime rughe, quando cominciò a sorridere. Le stesse fossette che si formavano agli angoli della bocca di Nina, quando anche lei sorrideva. Non stava andando come aveva pensato, nessuno poté spegnere quella sensazione, quel desiderio di correre da loro per abbracciarli. Non era rimasto nulla di tutto quello che aveva pensato: gli sguardi non erano dubbiosi, non vi era più quella voglia di scappare via e i suoi genitori, seppur ancora collegati al ricordo, all’amore incondizionato per la bambina che avevano perso molti anni prima, in quel momento non provarono più tristezza e malinconia. E il forte dolore si era un po’ affievolito. Quell’abbraccio, invece, inaspettato. Nina li stringeva entrambi, piangendo mentre loro le accarezzavano i capelli, cercando di essere più forti di lei in quegli istanti carichi di emozioni, ma fallendo miseramente. “Ci dispiace così tanto, bambina mia” sussurrò il re con il viso premuto tra i capelli della figlia. Quegli abbracci erano infiniti. Di parlare, di raccontarsi… ne avrebbero avuto tutto il tempo.
Anastasia: Cuor non dirmi no | Forza non lasciarmi | Non abbandonarmi qui... | È la vita che | Mi offre un'occasione | Ma io ho paura, sì... | Oh, il mondo è immenso se non hai | Dei ricordi | Dietro te... Anastasia
Capitolo ventisette
Sergei continuava ad armeggiare con il cellulare: la voglia di scriverle anche un solo e semplicissimo “mi manchi” era difficile da controllare. Ma a cosa sarebbe servito? Sarebbe stato solo un gesto egoista da parte sua. Doveva lasciarla andare, sapevano entrambi sin dall’inizio che non si sarebbero mai appartenuti veramente. Avrebbero continuato a vivere ognuno la propria solitudine, quei momenti insieme intensi, ionali, belli, divertenti… esatto, erano solo momenti. “Ragazzo mio, ti stai tormentando. In queste ultime settimane era così bello vederti di nuovo felice, non scappare da questa situazione, affrontala, potete stare insieme. Nina ha ritrovato la sua famiglia, la sua storia ha avuto un finale meraviglioso, incantato, ma mancherà sempre qualcosa, mancherai tu nella sua vita, come lei mancherà nella tua” proruppe Marco avvicinandosi alla scrivania di Sergei e sedendosi di fronte a lui, i gomiti ora appoggiati. Lo guardava. Solo in quel momento Sergei alzò lo sguardo verso il suo affetto più caro, l’unico, dopo la zia. Sospirò. “Marco, è figlia di un re e una regina. Una principessa! Mi sono innamorato di una principessa, non posso crederci, cazzo!” esclamò posando con forza il cellulare e alzandosi di scatto. Marco lo seguì con lo sguardo. “Ero di nuovo felice, hai proprio ragione. Eppure quel piccolo barlume di lucidità in me, quel barlume che mi ha permesso di sopravvivere in questi anni senza mia madre, mio padre e Beatrice, era sempre lì, in guardia. Ho combattuto
con la mia coscienza in questo ultimo mese, ho afferrato quei momenti felici con lei, per imprimerli in me e ricordarla così se un giorno la nostra storia fosse finita e poi, invece… mi sono lasciato andare completamente, pensando che sì, era mia e io ero suo, e nulla ci avrebbe impedito di stare insieme. Mi sono anche dato del coglione per quelle fottute paure senza senso, era tutto così semplice, perfetto, senza complicazioni… eravamo così simili… E invece, guarda”, si interruppe solo un attimo per osservare fuori dalla piccola finestra del suo ufficio, “siamo completamente diversi e no, non c’è niente di semplice e spontaneo. Lei non tornerà mai, non è possibile e sono consapevole che è dannatamente giusto così! Avrei voluto essere io, soltanto io la sua felicità, da bastardo egoista quale sono e ora mi ritrovo innamorato e consapevole di non poter far parte della sua vita” terminò. Marco si alzò dalla sedia, gli occhi lucidi. Si avvicinò, mettendosi tra lui e la finestra. Senza pensarci due volte lo abbracciò forte, come solo un padre sapeva fare con un figlio, ed era ciò che in quel momento provavano entrambi. “Sono sicuro che ti sbagli, ragazzo mio. Io non sono di certo un esperto in sentimenti, dopo anni ancora faccio fatica a esprimere a tua zia quello che provo per lei. Ma sono stato un bambino anche io, e ricordo molto bene le fiabe che mia mamma mi raccontava la sera prima di addormentarmi. Chiudevo gli occhi, sempre, alle ultime parole che leggeva, parole che portavano inevitabilmente a un finale lieto…
Anastasia e la nonna: Questa dolce melodia è il ricordo di sempre. Tu con me amor mio quando viene dicembre. Anastasia
Capitolo ventotto
Seduti su poltroncine di velluto in quell’elegante sala da tè, Nina con mani tremanti cercò di portare il cucchiaino ricolmo di zucchero nella tazza di cioccolata calda che aveva di fronte a sé. Quel senso di imbarazzo, prima travolto da emozioni incredibili, cominciava a farsi sentire. Il re e la regina erano seduti, uno di fianco all’altra, di fronte a lei. La regina fu la prima a spezzare quel silenzio. “Abbiamo perso Isobel, la nostra bambina, che aveva solo dieci anni. È sempre stata fragile, si ammalava spesso. Pensavamo fosse normale, in fondo tutti i bambini hanno spesso malanni ma poi, dopo l’ultima volta in cui notammo dei lividi violacei sul suo corpo, preoccupati e facendola immediatamente visitare dal medico, la sua diagnosi fu violenta e irremovibile: leucemia. Quella terribile malattia scorreva nel suo sangue. Abbiamo cominciato subito le dovute cure, ma non ci fu nulla da fare. Morì poco dopo.” Una lacrima scivolò sul viso della regina che, pronunciando quelle parole in un italiano ostentato ma capibilissimo, si alzò e andò a sedersi vicino a Nina. Posò le mani su quelle di lei che, ancora tremolante, aveva lasciato la tazza sul piccolo tavolino. “Abbiamo sempre goduto tutti di ottima salute, non riuscivamo a capacitarci di quello che era successo. Eravamo disperati, un re e una regina che non sapevano cosa fare. Noi che ci occupavamo del nostro principato, del popolo di Solona, non potevamo salvare nostra figlia.
Poi, vivendo ogni giorno con questo fardello, facendoci coraggio l’un l’altra, siamo riusciti ad andare avanti. Tutti questi anni. “Solo venti giorni fa abbiamo scoperto tutto: la famiglia di quell’infermiera che ora non c’è più è venuta da noi. Abbiamo cercato di mantenere toni giusti, quasi silenziosi, ma la stampa e le televisioni sono tanto scaltre e hanno scoperto tutto prima nel momento in cui avevamo deciso di contattarti. Ti abbiamo seguita a distanza per un po’ quando il direttore dell’ultimo orfanotrofio in cui sei stata ci ha detto tutto di te, mantenendo il riserbo anche nei suoi confronti. Abbiamo visto un video che ti ritraeva mentre compivi quel gesto eroico nei confronti di quella donna, è bastato per capire che sì, eri proprio tu. Degna principessa che tiene alle persone, in difesa dei più deboli, senza alcuna paura nel momento del bisogno. Ci siamo tanto emozionati, ma al tempo stesso sentiti in colpa nel ricordo della nostra Isobel. Ci è sembrato di tradirla. La sua morte ancora ci ha lasciato il cuore diviso in due e ora quella parte mancante, quella parte che si discosta dalla sofferenza, è ricolma d’amore, quell’amore che è stato portato da te.” Anche il re cominciò a piangere, Nina non distoglieva gli occhi da quelli di sua madre, era come guardarsi in uno specchio. L’aveva ascoltata con il fiato corto, il cuore in gola, lo stomaco in subbuglio. “Sei la nostra bambina che ci è stata negata per tanti anni e speriamo con tutto il cuore che col tempo imparerai ad amarci. So che non sarà facile, la vita per te cambierà, sappiamo che hai vissuto difficoltà inimmaginabili, in orfanotrofio, in diverse case famiglia, e poi in una piccola casa di un quartiere poco raccomandabile, ma siamo ben consapevoli che era comunque la tua vita, quella che da sola ti eri costruita e noi… noi… siamo così orgogliosi di te. Speriamo con tutto il cuore che sarai felice qui, con noi…” Il re parlò a singhiozzi, la voce spezzata dalle lacrime. Lo sguardo di Nina era rivolto a lui, mentre la regina continuava a tenere le mani sulle sue. Lei cercava di metabolizzare, i suoi pensieri si spostavano alla sua casa, ai suoi amici più cari, alla sua vita colma di momenti difficili, al suo quartiere e ai frequenti appostamenti della polizia. Ma, ora più che mai, i suoi pensieri erano rivolti a Sergei. Prese un profondo respiro. “So benissimo che la mia vita sarà diversa, non potrebbe continuare tutto come se nulla fosse accaduto. Sono stata circondata dai giornalisti, dai curiosi, sono finita in mondovisione. Tutto il mondo sa che sono vostra figlia, che sono una
principessa. Ho paura, certo, paura di non tornare più alla mia vita di prima, difficile e incerta, ma avevo trovato il mio equilibrio. Però, quello che spero, è di imparare a meritare di essere una principessa, di imparare ad aiutare davvero, a fare del bene. Io posso solo dirvi che… ce la metterò tutta” continuò Nina posando lo sguardo un po’ sul viso del re, e un po’ sul viso della regina. Il cuore di lei, però, sanguinava copioso. Qualunque ragazza avrebbe voluto essere al suo posto, qualunque ragazza sfortunata avrebbe fatto i salti di gioia. Di cosa doveva essere triste? Si era riconciliata con la sua famiglia, aveva scoperto che non era stata abbandonata, era diventata ricca, avrebbe avuto sì tante responsabilità, ma una vita colma di ricchezze, viaggi, studi, tanto amore. Tutto ciò che aveva sempre desiderato era arrivato all’improvviso. Si sentiva in colpa per non essere riconoscente di tutto ciò, ma non poteva farci nulla: in quel momento si rese conto ancor di più che l’unica sua certezza era l’amore che provava per Sergei. Lo amava, lo amava davvero e, invece, avrebbe dovuto rinunciare a lui per sempre.
Più tardi, nella sua stanza dai soffitti alti, bordati di lustri e stucchi dorati, era seduta sul soffice e altissimo letto a baldacchino. Il cellulare in mano. Non aveva il coraggio di chiamarlo, di sentire la sua voce. Perché, se solo avesse sentito quel suono così profondo, caldo, deciso, avrebbe pensato sempre di più a loro due, insieme, mentre facevano l’amore. Avrebbe continuato a pensare alla ione che Sergei trasudava da ogni poro. Al suo modo di fare spesso dolce, spesso da duro. No, non poteva chiamarlo e non avrebbe inviato neanche uno stupido e freddo messaggio. Si alzò dal letto, si avvicinò all’antico scrittoio dove vi era della carta da lettere, delle buste e una penna. Sorrise, ma non si stupì. Si sedette, tolse il cappuccio alla penna e cominciò a scrivere una lettera.
Caro Sergei, Solo pochi minuti fa avevo il cellulare tra le mani, indecisa se telefonarti o no. Non ho avuto il coraggio di farlo. Io, che sono corsa dietro a un ladro di borse e l’ho steso a terra, non ho il coraggio di parlare, di esprimere i miei veri sentimenti… Buffo, non trovi? Non posso però far finta di nulla, non posso neanche inviarti un misero messaggio con il cellulare. L’unico modo che ho per riuscire a comunicare con te è attraverso questa lettera, la punta della penna scivola via sul foglio di carta come se scriverti fosse davvero la cosa più naturale al mondo. E, in effetti, non c’è nulla di più semplice e naturale del fatto che ti amo. Sì, mi sono innamorata di te, forse la prima volta che ti ho visto ti ho amato già. Un principe azzurro non proprio convenzionale, e per questo perfetto. Non mi ero mai sentita così al sicuro. So che quello che ti ho scritto, e che arriva dal profondo del mio cuore, forse non cambierà nulla. Sei stato così indeciso, così insicuro per la prima volta da che ti ho conosciuto e lo capisco, ti comprendo. Non so cosa accadrà tra noi, ho come la sensazione che non ci incontreremo mai più, sento questa morsa nello stomaco che mi terrorizza. Qualunque sarà il tuo pensiero dopo che avrai letto questa lettera, sappi che tutto quello che ti ho scritto è vero: io ti amo, sei e sarai per sempre nel mio cuore. Nina
Sergei aprì la cassetta della posta, prese la lettera che vi era al suo interno: era di Nina. Aprì la busta senza esitare un solo momento, estrasse il foglio e la lesse. Il cuore che scalpitava.
Anastasia: Questo posto… è come il ricordo di un sogno…
Epilogo
Un mese dopo… Nel momento esatto in cui Nina cominciò a scendere la scalinata per recarsi alla festa tenuta in suo onore nella grande sala del palazzo, tutti i pensieri di quei giorni riaffiorarono. Lo studio che tanto l’aveva impegnata, la sua lingua d’origine da imparare alla perfezione, il galateo, gli incontri, diverse conferenze stampa… Tutto era cambiato nel suo frangente sociale, tutto tranne il suo modo di essere. I suoi capelli erano sempre gli stessi, il suo modo di fare esuberante aveva portato vita nel palazzo, la sua gentilezza, disponibilità, il suo intrufolarsi nelle cucine la notte… Il re Alexander Phillips Barnaby e la regina Lauren Odessa Barnaby la osservavano, ammiravano questi suoi modi di fare eccentrici e diversi da ciò che, in verità, l’etichetta imponeva. Ma a loro non importava, non avrebbero mai cercato di cambiare ciò che Nina era: una principessa, la principessa del popolo bisognoso. Eppure, nonostante i suoi sorrisi, sapevano che dietro quegli occhi spesso si nascondevano lacrime e, nonostante sapessero il vero motivo di quelle lacrime nascoste, non avevano mai chiesto nulla. Il loro intento era solo di renderla felice e ci sarebbero riusciti. Erano lì ad aspettarla, all’ingresso del salone. Nina ricacciò indietro tutti quei pensieri e prese un respiro profondo. Indossava un vestito senza spalline, che ricadeva dritto sul suo corpo. Di un azzurro tenue, impreziosito da ricami delicati e gemme sul corpetto. I capelli erano raccolti in maniera netta e ordinata, portava la tiara e i guanti di raso sino ai gomiti. Sorrise al re e alla regina. Insieme entrarono nel grande salone. Tutti gli invitati,
tra cui non solo famiglie importanti, ma anche gli abitanti di Solona, la sua casa, la sua terra, ora. Avanzò incerta, porgendo mani e saluti sinceri. Poi, solo allora la musica dell’orchestra cominciò a suonare. Riconobbe quella canzone, era la stessa canzone, bellissima anche se poco conosciuta, che le casse della radio avevano sprigionato quando aveva fatto l’amore con Sergei a casa sua. Chiuse gli occhi per un attimo, cercando di trattenere le lacrime. Percepì i suoi genitori allontanarsi. “Se le fiabe esistono davvero, voi siete la più bella di tutte le principesse.” Aprì gli occhi di scatto nel sentire quella voce, forse stava sognando? No… era proprio Sergei, il ragazzo in smoking di fronte, i capelli pettinati all’indietro. Le porse la mano. A Nina mancavano le parole. La accettò, tremante, prima di cominciare a guardarsi intorno, incredula. Lì, c’erano anche i suoi amici più cari, eleganti e felici. Vicino a loro la zia di Sergei e Marco. Sentiva addosso gli occhi dei suoi genitori, si girò per un attimo a guardarli, le sorridevano commossi. Solo allora si rese conto che, sì, era tutto reale. Seguì Sergei fino al centro della sala, erano uno di fronte all’altra. Lui le cinse la vita con la mano destra, la mano sinistra di Nina sulla spalla destra di Sergei, la mano destra stringeva la mano sinistra di lui. Cominciarono a muoversi a tempo di quella musica, tutti intorno a loro li osservavano. “Cosa… cosa…” “Cosa ci faccio qui?” terminò lui, divertito. Nina annuì. “Non potevo lasciarti andare. Anche io ti amo, Nina. Anche io ti ho amata dalla prima volta che ti ho vista, la mia bellissima eroina. La mia bellissima Nina dai capelli rosa” terminò. “Ma quanto starai, il tuo lavoro…” La paura di averlo lì, con lei, e poi di vederlo andare via. Sentire uscire dalle sue labbra quelle parole tanto sperate… No, non lo avrebbe sopportato. Sergei lo capì e le sorrise, stringendola a sé ancora più forte. “Ho ceduto il locale a Marco: quando ho deciso solo tre giorni fa di venire da te, ho ricevuto una telefonata dai tuoi genitori. Mi hanno detto che eri così triste e
mi hanno chiesto, senza giri di parole, quali erano i miei sentimenti per te. Ho detto loro che stavo per raggiungerti, che ti amavo da morire e che non potevo are più un solo giorno senza di te. Quella notte ho sognato Breatrice e i miei genitori: mi sorridevano, Nina, per la prima volta da che erano morti li ho sognati e mi sorridevano felici. E allora ho compreso, ancora più fortemente, che era la scelta giusta. Andare via da Genova per venire da te, non sono pentito di nulla. Io ti amo, Nina, sono felice solo se ci sei tu con me” continuò prima di posarle un dolce bacio sulle labbra. Nina aveva gli occhi lucidi, il cuore che le batteva come un pazzo. “La nostra città, la nostra Genova che ci ha fatto conoscere, mi mancherà sempre più.” “Anche a me, ma potremmo tornarci quando potremo, e tu frequenterai quel corso di fotografia! Andremo a trovare Matias e Marta, mia zia e Marco, nessuno potrà impedircelo, ti pare?” Nina si girò un attimo per guardare ancora nella direzione dei suoi amici. Matias e Marta si tenevano finalmente per mano e anche Marco e la zia Vincenza sembravano molto uniti. La musica finì e cominciò una nuova musica, anche gli altri invitati cominciarono a ballare. Nina guardò ancora nella direzione del re e della regina, visibilmente commossi e mimò loro un grazie prima di tornare tra le braccia del suo amore. “Questo vuol dire che ora sei il mio principe” gli disse. Sergei le sorrise. “Il tuo principe e tu la mia principessa delle fiabe. Vediamo un po’” ci pensò un po’ su e poi continuò,” Ariel aveva i capelli rossi, Mulan i capelli neri, Aurora era bionda… E tu, sei reale, una principessa nuova, con i capelli rosa, che un’intera generazione di ragazze e donne prenderanno da esempio.”