Le Amnesie I Buchi Neri della Memoria
Louis Antinori
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INDICE Premessa La Memoria Le Fasi della Memoria I Tipi di Amnesia Le Cause dell’Amnesia La Dissociazione della Memoria L’Amnesia Anterograda L’Amnesia Retrograda Amnesia e Lesioni Cerebrali I Deficit di Memoria a Lungo Termine I Deficit della Memoria a Breve Termine Bibliografia
PREMESSA
Tutti andiamo soggetti a piccole e temporanee amnesie, specialmente se siamo in condizioni di stress emotivo. Si tratta di minuscoli episodi dipendenti dall'enorme quantità di informazioni contenute nel nostro cervello. È la memoria a breve termine a tradirci quando si dimentica il numero del telefono appena letto nella rubrica, o quando non si trovano le chiavi o non si riesce a ricordare dove abbiamo posteggiato l'automobile. L’amnesia vera e propria, invece, é una riduzione più o meno grave della capacità di apprendere e ricordare informazioni ed avvenimenti, caratterizzata da una compromissione grave e selettiva della Memoria a Lungo Termine, indipendente dalle caratteristiche verbali e nonverbali dello stimolo, e dalla modalità sensoriale. La sindrome amnesica é caratterizzata da grave difficoltà nell’apprendere e ricordare nuove informazioni di quasi tutti i tipi; difficoltà nel ricordare alcune informazioni acquisite prima dell’insorgenza della lesione; sistemi di Memoria a Breve Termine solitamente normali, o colpiti in misura molto minore rispetto alla Memoria a Lungo Termine; funzionamento normale o quasi delle altre funzioni cognitive La memoria da sempre è stata un’ argomento di forte interesse sia per psicologi che per neuro-scienziati. Oggi è oggetto di particolare valore per gli psicoterapeuti che la ritengono funzione essenziale per l’identità dell’individuo e per l’organizzazione della sua coscienza. Per questo, in questi ultimi anni, è maturata la necessità di uno studio ulteriore, di carattere interdisciplinare dei meccanismi che sottendono alla memoria proprio perché comune sia alla psicoterapia che alle neuroscienze.
LA MEMORIA
Generalmente la memoria è suddivisa in: 1) Memoria a breve termine chiamata anche memoria operativa e riguarda informazioni che possono essere mantenute per pochi minuti; 2) Memoria a lungo termine che può rimanere per tutta la vita. Secondo il modello di Atkinson & Shiffrin esiste una relazione tra memoria a breve e a lungo termine perché l’immagazzinamento delle informazioni nell’archivio della memoria a lungo termine deve are attraverso la memoria a breve termine o memoria operativa. Il modello rappresenta un sistema che permette la selezione e il aggio delle informazioni fino alla memoria a lungo termine che è di tipo seriale. Questo, però, non è l’unico modo di immagazzinare informazioni e infatti esistono anche altri modelli definiti in parallelo per cui l’informazione può essere nella memoria a lungo termine senza necessariamente are attraverso il sistema della memoria operativa. A sua volta la memoria a lungo termine comprende una memoria esplicita o dichiarativa e una memoria implicita o non-dichiarativa. La memoria esplicita può essere evocata coscientemente e verbalizzata e a sua volta può essere selettiva, episodica (inerente a fatti della propria storia di vita), oppure può essere semantica (inerente a fatti, conoscenze e capacità di dare un senso a esperienze più antiche) questo rappresenta un tipo di memoria che permette un processo ricostruttivo della propria storia. Al contrario la memoria implicita si collega a esperienze non coscienti, non verbalizzabili né ricordabili e riguarda la memoria per diversi apprendimenti. La memoria procedurale, consiste nella memoria per esperienze motorie e cognitive, come ad esempio i movimenti necessari per determinati sport, per suonare degli strumenti o per allacciarsi le scarpe e la memoria per numerosi altri eventi quotidiani che vengono compiuti automaticamente senza che essi raggiungano il livello dì coscienza. La memoria emotiva ed affettiva comprende la memoria per le emozioni vissute in rapporto a determinate esperienze affettive che caratterizzano le prime relazioni del bambino con l’ambiente in cui nasce e in particolare con la madre. Forse questo tipo di memoria implicita riguarda anche gli ultimi periodi della vita gestazionale in cui il feto vive una stretta relazione con la madre, con i suoi ritmi (cardiaco e respiratorio) e in particolare con la sua voce, che vengono a costituire un modello di costanza, ritmicità e musicalità intorno al quale si organizzeranno le prime rappresentazioni del bambino alla nascita. La neuropsicologia ha dato notevoli contributi allo studio delle strutture deputate all’immagazzinamento
delle informazioni. Soprattutto esperienze cliniche hanno offerto in questo secolo numerosi esempi di disturbi della memoria a breve e lungo termine. Molti dati sulla memoria provengono dagli studi in soggetti umani celebrolesi. Un esempio classico di disturbo della memoria è offerto dalla malattia di Alzheimer, caratterizzata dalla perdita della capacità di immagazzinare nuove informazioni e persistenza del recupero di esperienze ate antecedenti l’inizio della malattia. Questi pazienti presentano un’alterazione anche della memoria semantica, che permette di dare un senso alle esperienze nuove sulla base delle esperienze ate. L’esame con la tecnica delle bio-immagini ha dimostrato in questi pazienti una ridotta funzionalità dei neuroni dell’ippocampo bilateralmente, della corteccia del cingolo e delle aree basali frontali. Quindi, strutture del lobo temporale mediale (LTM), in particolare l’ippocampo e delle aree frontali sono necessarie per la selezione dell’informazione e per il loro immagazzinamento nell’archivio della memoria a lungo termine. Un’altra sindrome caratterizzata da amnesia nell’uomo è quella di Korsakov, che presenta la possibilità di evocare esperienze precedenti l’insorgere della malattia ma la perdita di selezionare, elaborare e trasferire esperienze recenti nella memoria a lungo termine. L’esame con la tecnica delle bio-immagini dimostra anche in questi casi un’alterazione dell’ippocampo e del nucleo mediale dorsale del talamo attraverso il quale le informazioni raggiungono la corteccia prefrontale. Una conferma del ruolo fondamentale dell’ippocampo e del lobo temporale mediale nel processo della memoria viene dalle esperienze elettrofisiologiche e neuropsicologiche più recenti. Esse hanno dimostrato che la memoria operativa necessita essenzialmente della corteccia prefrontale dove neuroni specifici organizzano “campi di memoria”. Essi sono un esempio di compartimentalizzazione del processo di memorizzazione poiché ciascun neurone si attiva selettivamente per una specifica informazione (ad esempio un volto o un oggetto con forma specifica) ed è collegato funzionalmente con altre aree associative e in particolare con la corteccia parietale posteriore. Anche neuroni della corteccia temporale inferiore partecipano alla funzione della memoria a breve termine. Il lobo temporale mediale è l’organo per eccellenza della memoria esplicita, in quanto immagazzina informazioni nella corteccia rinale considerata responsabile del riconoscimento di oggetti nella loro forma e della loro memorizzazione. L’ippocampo è essenziale nell’uomo per la selezione e codifica dell’informazione, per il suo trasferimento al nucleo medio dorsale del talamo e da questo alla corteccia prefrontale. Partecipa, inoltre, nell’uomo alla localizzazione dell’oggetto nello spazio mentre l’amigdala è essenziale per le risposte. Anche la biologia molecolare fa emergere che la memoria si attua attraverso eventi biochimico-molecolari e strutturali che si mantengono nel
tempo nell’ambito dei punti di congiunzione dei neuroni definiti già nel 1906 da Sherrington come sinapsi. Le prime esperienze di elettrofisiologia dell’apprendimento hanno dimostrato in famosi esperimenti che se, ad esempio, si stimola una radice dorsale del midollo spinale con impulsi elettrici ad alta frequenza e si registra la risposta riflessa dalla radice ventrale che è collegata con la radice dorsale da un’unica sinapsi, ci si accorge che a seguito di questa stimolazione la normale risposta è potenziata e questo potenziamento rimane nel tempo. Questo semplice esperimento suggerisce l’ipotesi che a livello di questa giunzione sinaptica del midollo spinale siano avvenute delle stabili modificazioni “plastiche” strutturali della membrana che si rendono responsabili della persistenza nel tempo del fenomeno del potenziamento. Un contributo interessante alla memoria biologica viene dagli esperimenti di “potenziamento a lungo termine” (LTP), che consistono nel dare stimolazioni ripetute a delle strutture centrali (una formazione centrale particolarmente studiata è l’ippocampo) che così potenziano le loro risposte per lungo periodo di tempo come se avessero conservato “memoria” dello stimolo ricevuto. Le sinapsi, dunque, con ripetute stimolazioni, possono andare incontro a delle modificazioni plastiche e strutturali permanenti sia per ipertrofia e quindi con creazione di nuove sinapsi per stimoli ripetuti, sia per atrofia e con riduzione del numero delle stesse per mancanza di stimoli. Un notevole o avanti nella comprensione dei fenomeni biologici responsabili della memoria è stato compiuto dalle ricerche neurochimiche di Stephen Rose che ha evidenziato come nei pulcini vi sia una memoria genetica affidata al DNA dei cromosomi. Tale tipo di memoria permette a questi animali un comportamento particolare innato in presenza di determinati stimoli. L’apprendimento prodotto da questi stimoli (una figura in movimento, come nell’esempio classico dell’anatroccolo descritto da Lorenz) dura tutta la vita ed è fondamentale per la sopravvivenza della specie. Lo stesso autore ha poi dimostrato che durante questo apprendimento il cervello va incontro a delle alterazioni biochimiche che riguardano l’acido ribonucleico (RNA) che è implicato nella sintesi proteica. È la sintesi proteica allora che diventa importante per la formazione di nuove proteine e quindi di nuove sinapsi che diventano responsabili di nuove reti e di nuovi circuiti che premettono di consolidare a lungo termine le informazioni ricevute. Numerose sono le prove oggi che nella memorizzazione a lungo termine anche di un determinato comportamento motorio (nello sport o nel suonare degli strumenti) si ha un aumento dei livelli di RNA nelle sinapsi dei neuroni coinvolti e quindi un aumento della loro sintesi proteica che facilita l’ipertrofia delle sinapsi, l’organizzazione di nuove sinapsi e quindi nuovi circuiti nervosi. In questi ultimi anni, Kandel e Coll. hanno studiato il fenomeno dell’apprendimento e della
memorizzazione in un mollusco marino denominato aplysia californica. Questo organismo, se subisce la stimolazione ripetuta dei meccanocettori del sifone, produce una retrazione della branchia. Il riflesso elementare che coinvolge essenzialmente una catena di due o tre neuroni facilmente registrabili, può andare incontro ad abitudine. Quest’ultima è una forma elementare di apprendimento che si mantiene nel tempo e che consiste nella diminuzione progressiva dell’intensità della risposta fino alla sua scomparsa per ripetute stimolazioni. Registrando dai neuroni coinvolti nel riflesso, Kandel ha potuto dimostrare che per stimolazione ripetuta i potenziali post-sinaptici eccitatori dei neuroni che muovevano la branchia diminuivano progressivamente di ampiezza fino a scomparire. La causa di questo processo è rappresentata da una inattivazione dei canali del Ca++ della terminazione presinaptica e ciò comporta una minore liberazione di trasmettitore che produce conseguentemente una minore risposta postsinaptica. Questa catena di eventi è prodotta da una modificazione dei canali ionici che fa seguito ad un cambiamento dell’espressione genica che induce una variazione, che si mantiene nel tempo, della sintesi proteica della membrana pre-sinaptica. Al contrario dell’abitudine, nella sensibilizzazione del riflesso (cioè un suo aumento che costituisce un’altra forma di apprendimento che può essere memorizzato) si ha una facilitazione presinaptica da parte di sinapsi axoaxoniche che usano la serotonina come trasmettitore. Tale facilitazione, che si mantiene nel tempo, è prodotta da un aumento dell’ingresso di ioni Ca++ conseguente ad una variazione della sintesi proteica della membrana presinaptica caratterizzata da aumento del numero dei contatti sinaptici e maggiore potenza della sinapsi. Altre ricerche, sempre eseguite da Kandel, hanno dimostrato che nel mammifero la dopamina, la cui produzione aumenta con l’attenzione, è in grado di facilitare la fissazione delle proteine espresse dai geni sulle sinapsi specifiche che presiedono alla memoria a lungo termine di alcune esperienze. Questo dato permette di fare l’ipotesi che anche nell’uomo, in quanto mammifero, la dopamina che controlla le vie del piacere e della sessualità sia nello stesso tempo implicata nei processi attentivi che condizionano la persistenza dell’informazione attraverso la plasticità di quelle sinapsi implicate nei processi di memorizzazione. Questi dati confermano l’ipotesi già suggerita da Kandel che stimoli provenienti dall’ambiente (compresa la parola, con l’attenzione, le emozioni e gli affetti che essa attiva) possano modificare stabilmente l’espressione proteica dei geni e la loro fissazione nelle sinapsi, creando una condizione di plasticità neuronale e sinaptica quale base organica della memorizzazione di una esperienza. L’interesse di queste osservazioni, che con prudenza possono essere applicate anche al cervello umano, consiste nel fatto che la stessa parola, strumento
essenziale della cura terapeutica, può agire nelle sinapsi attraverso la sua azione sui geni e rendersi responsabile di trasformazioni “plastiche” quali basi anatomofunzionali di cambiamenti nella personalità dell’analizzando. Questo potrebbe a buon diritto dimostrare come la così detta terapia della parola possa provocare un cambiamento anche a livello intra-cellulare nei pazienti affetti da psicopatologie e come l’ambiente svolga un ruolo importante nel attivare o rendere silente la trascrizione genica di alcune parti di cromosomi.
LE FASI DELLA MEMORIA
La conservazione delle tracce mnesiche interessa molte regioni cerebrali. Non tutte rivestono la medesima importanza: la memoria, di qualunque tipo sia, è il frutto di quattro processi diversi: 1. codificazione: processo con il quale si concentra l’ attenzione su informazioni nuove che vengono analizzate appena le si contatta. Dall’efficienza della codificazione (attenzione e motivazione) dipende quanto bene sarà conservata la traccia mnemonica. 2. consolidamento: quei processi di modifica delle nozioni appena acquisite, ma ancora labili, in modo da renderli più stabili e di lunga durata. Il consolidamento richiede l’ espressione di geni e la sintesi di nuove proteine. 3. conservazione: riguarda i meccanismi ed i siti in cui la memoria viene mantenuta per lungo tempo. Tale capacità di conservazione sembra illimitata. 4. recupero: quei processi che consentono di richiamare alla mente un ricordo. E’ la fase di ricostruzione di tutte le distinte informazioni, riguardanti un soggetto, che sono state “archiviate” in zone diverse del neocortex. Il primo che ottenne la prova che i processi mnemonici fossero localizzati in aree specifiche del cervello fu Wilder Penfield intorno al 1940. Stimolando con elettrodi il lobo temporale determinava l’insorgenza, nei pazienti svegli, di “ricordi” coerenti della loro esperienza vissuta. Ulteriori prove dell'importanza dei lobi temporali sono state fornite, intorno al 1950, dallo studio di pazienti che avevano subito l’asportazione bilaterale dell’ippocampo per il trattamento dell’epilessia. Classificando la memoria in termini di “tipo di informazione” possiamo distinguere due tipi di memoria che riguardano rispettivamente le capacità pratiche e le conoscenze. La memoria esplicita è molto duttile; essa si divide in episodica (riguarda eventi ed esperienze personali) e semantica (riguarda la conoscenza di fatti e nozioni). Può essere inoltre definita attraverso 3 stadi di elaborazione: memoria sensoriale, a breve termine e a lungo termine. La memoria implicita è più rigida e strettamente connessa alle condizioni originali in cui ha avuto luogo l’apprendimento. Essa non dipende direttamente da processi consci, né il suo ricordo richiede una ricerca conscia delle tracce mnemoniche. E’ una memoria che si instaura lentamente, a seguito della ripetizione di molti tentativi e si esprime soprattutto sotto forma di prestazioni e non di parole. Le diverse forma di memoria implicita vengono acquisite con
forme diverse di apprendimento con l’intervento di aree diverse della corteccia. La memoria implicita può essere definita come “un sistema della consuetudine”, come “la conoscenza che è espressa nel corso di una prestazione senza che i soggetti abbiano la consapevolezza fenomenologica di possederla”.
I TIPI DI AMNESIA
Le amnesie differiscono a seconda delle strutture cerebrali compromesse per cause traumatiche, infettive, tossiche, vascolari, degenerative o metaboliche. L’entità del disturbo dipende dalla sede, dall’estensione e dall’eventuale irreversibilità della lesione. Come per la descrizione della memoria umana, anche per l’amnesia ritroviamo le stesse discrepanze nelle descrizioni, a seconda dei sistemi di classificazione degli Autori; altresì ritroviamo gli stessi dubbi circa la questione se l’amnesia sia un disturbo unitario, o se piuttosto non comprenda dei deficit diversi. Nella letteratura infatti, troveremo che gli studiosi classificano i loro pazienti su basi completamente diverse. Le ricerche si basano su tre tipi di classificazioni, basate sull’eziologia, sulle localizzazioni cerebrali, e sul deficit funzionale. Baddeley (1982) distingueva anche una amnesia “primaria” ed un’amnesia “secondaria”. L’amnesia primaria si riferisce alla classica sindrome amnesica (amnesia “globale”) citata prima da Wilson, dove non si osservano altri disturbi cognitivi oltre a quello di memoria. Questo tipo di amnesia “pura” é molto difficile da trovare nella pratica clinica. L’amnesia secondaria invece comprende tutti quei vari tipi di disturbi della memoria che sono secondari ad alcuni deficit nelle capacità di processare l’informazione. Questi pazienti ad esempio includono quelli con Trauma Cranio Encefalico (TCE), demenza, esiti di lesione vascolare, encefaliti etc. Quei disturbi cognitivi che alterano le funzioni del riconoscimento, del linguaggio, dell’intelligenza, possono causare facilmente dei disturbi della memoria, per deficit nelle fasi di codifica, di immagazzinamento o di recupero dell’informazione. Uno dei casi più studiati di pazienti amnesici é il famoso paziente H.M. che divenne amnesico nel 1953 a seguito ad un intervento di resezione bilaterale dei lobi temporali mediali, nel tentativo di fermare i suoi attacchi epilettici. Dopo l’operazione, H.M. ha riportato un gravissimo disturbo della memoria anterograda, che é persistito per tutta la sua vita. Il caso di H.M. é stato studiato per più di 40 anni, e può essere considerato il singolo paziente che ha fornito la più ampia collezione di dati sul disturbo amnesico. Per gli approfondimenti su questo caso, rimandiamo alle descrizione della vita di H.M. fatte da Milner e coll. (1968) e Corkin (1984), che riescono a dare al lettore un senso concreto dell’amnesia.
LE CAUSE DELL’AMNESIA
Tradizionalmente le amnesie sono state attribuite a compromissioni a carico di uno o più dei processi di elaborazione dell’informazione, che costituiscono l’attività del ricordare. Questa classificazione considera l’amnesia da un punto di vista esclusivamente funzionale. Deficit di immagazzinamento Teoria del consolidamento della traccia La memorizzazione in MLT di nuova informazione richiede la formazione ed il consolidamento di una traccia mnestica: essa sarebbe registrata nella corteccia. In questa fase l’ippocampo avrebbe la funzione di legare ed organizzare siti neuronali nella corteccia cerebrale, costituendo nel tempo una traccia mnestica stabile. Sempre l’ippocampo sarebbe la sede di una “marcatura” che permetterebbe il richiamo dell’informazione memorizzata. (Thompson, 1992; Wickelgren, 1979). Ipotesi di un oblio più rapido Numerosi studi sul tasso di apprendimento e ritenzione di materiale verbale in pazienti amnesici, hanno permesso di escludere questa ipotesi. Sembrerebbe dunque che il tasso di oblio dei pazienti amnesici sia sostanzialmente simile a quello dei soggetti normali (Huppert e Piercy, 1976). Questi risultati sono compatibili con diverse interpretazioni dell’amnesia (deficit di codificazione, consolidamento anormale della traccia, deficit di richiamo). Deficit di codificazione semantica In una lunga serie di lavori sperimentali che fanno riferimento alla teoria dei livelli di elaborazione (levels of processing) di Craik e Lockhart (1972), Cermak e coll., hanno dimostrato che pazienti con Sindrome di Korsakoffmancavano di utilizzare dei processi di codificazione semantica profonda del materiale verbale da apprendere, presentando invece una tendenza spontanea ad utilizzare dei codici più superficiali, come quello fonologico. Questo deficit di codifica semantica nei Korsakoff tuttavia si inserisce in un quadro più generale di decadimento cognitivo più vasto. Non tutti i pazienti tuttavia hanno questa compromissione: alcuni infatti riescono a migliorare la prestazione se sono presenti facilitazioni di codifica o con istruzioni specifiche (Baddeley e Warrington, 1973; Mayes et al., 1980, 1985).
Deficit di codificazione visuo-spaziale Numerosi studi sembrano escludere che la genesi dell’amnesia sia da attribuire ad incapacità ad utilizzare correttamente strategie di immaginazione mentale visiva, come strategia di ausilio nella codificazione e memorizzazione di materiale verbale. Deficit di richiamo. L’osservazione frequente che i pazienti amnesici riescono a rievocare correttamente alcune informazioni, se vengono facilitati con suggerimenti per il recupero, come le iniziali o la categoria, ci suggerisce che il deficit primario dell’amnesia risieda nell’incapacità a mettere in opera strategie adeguate per richiamare l’informazione. Le prestazioni di ricordo sono spesso ricche di errori falsi-positivi, di intrusioni da interferenza proattiva, di sensazioni soggettive di avere la risposta “sulla punta della lingua”. Queste caratteristiche confermano il deficit di accesso ed ipotizzano una peculiare difficoltà ad inibire le informazioni irrilevanti (Warrington e Weiskrantz, 1968-74). Il deficit di richiamo o di accesso spiega anche il fatto che i pazienti amnesici spesso presentano anche un quadro di amnesia retrograda, oltre che anterograda. Le ipotesi di deficit di consolidamento, oblio, e di codificazione invece, erano valide unicamente per l’apprendimento di informazioni nuove.
LA DISSOCIAZIONE DELLA MEMORIA
L’osservazione clinica abituale del paziente amnesico, evidenzia come questi pazienti siano in grado di ricordare, per brevi periodi di tempo, quantità limitate di informazione, come alcuni numeri, o qualche parola. Il loro span in MBT uditivo-verbale per cifre o parole risulta essere quasi sempre nella norma. Questo ci suggerisce che i sistemi di MBT siano indenni dal disturbo, e che la dissociazione MBT/MLT sia una caratteristica comune degli amnesici. Baddeley e Warrington (1970) hanno avvalorato questa dissociazione, dimostrando come i pazienti amnesici avessero uno span uditivo-verbale nella norma, un normale effetto recenza, indice di buon funzionamento della MBT, ed uno scadente effetto priorità, indice dell’attività della MLT. Nel compito di Brown-Peterson gli stessi pazienti mostravano una curva di oblio normale fino ad una ritenzione di 60 secondi. Le stesse conclusioni sulla dissociazione MBT/MLT sono state confermate anche per i sistemi a BT visuo-spaziali (Baddeley e Warrington, 1973). Questa serie di dati avvalora il modello bi-componenziale della memoria di Atkinson e Shiffrin (1968): nell’amnesia l’informazione ha accesso ad un sistema a BT ben funzionante, ma non può essere trasferita al MgLT. Il deficit a LT inoltre é globale ed indipendente dalla modalità di presentazione dello stimolo. La dissociazione MBT/MLT viene anche ben spiegata dalla teoria del decadimento della traccia, per cui un’informazione non riesce a formare una rappresentazione stabile in MLT e decade quando non viene più mantenuta nel MgBT e sotto il controllo dell’attenzione. Questa ipotesi tuttavia non spiega la presenza di amnesia retrograda osservabile in molti pazienti amnesici. L’incapacità a trasferire le informazioni in MLT é spiegabile anche secondo la teoria dell’interferenza. In questo caso il deficit risiede nella elevata sensibilità all’interferenza pro-attiva di altre tracce simili, ed alla conseguente difficoltà a formare una traccia ben distinguibile e consolidata. Infine l’osservazione che i sistemi di MBT siano normali, dimostra che i processi di analisi percettiva e di codifica dello stimolo siano integri. Tuttavia é anche possibile che un deficit lieve nell’adeguata codifica dello stimolo, sia responsabile della formazione di una traccia mnestica più labile.
L’AMNESIA ANTEROGRADA
Il termine amnesia anterograda (AA) si riferisce a problemi che si incontrano nella memoria per i fatti correnti e per gli apprendimenti di nuove informazioni. L’AA é un disturbo caratteristico e molto comune a tutti i deficit di memoria; sono infatti molto rari i casi in cui é presente amnesia retrograda (AR) e nessun disturbo dell’apprendimento anterogrado. E’ molto più comune imbattersi in pazienti con il quadro opposto, cioè con AA senza AR, oppure con AA e lieve interessamento dei fatti precedenti la malattia. L’AA colpisce una grande varietà di nuovi apprendimenti come informazioni verbali, visuo-spaziali, e gli eventi della vita quotidiana (“everyday memory” e “ongoing memory”). A volte può capitare di trovare pazienti con deficit selettivi nel ricordare materiale verbale, di solito associati a lesioni dell’emisfero sinistro, o materiale visuo-spaziale, associati a danni dell’emisfero destro, ma questi casi costituiscono un’eccezione. I deficit dell’AA vengono misurati con una serie di prove che testano le capacità di MLT, mediante l’apprendimento di alcune informazioni verbali o visuospaziali, la loro ritenzione, e la loro rievocazione successiva. La maggior parte delle prove di MLT sono costituite da test standardizzati e tarati su campioni di popolazioni, molto usate nella pratica clinica e nella ricerca neuropsicologica. Apprendimento di una lista di parole. I pazienti vengono impegnati in compiti che richiedono l’apprendimento di una lista di parole supra-span: questo termine indica che gli stimoli da ricordare eccedono le normali capacità dello span di MBT. Solitamente infatti queste liste sono composte da 10 parole bisillabiche, ad alta frequenza lessicale (ad esempio “nave; prete; roccia etc.). Il paziente successivamente deve ripetere tutte le parole che ricorda, nell’ordine che gli vengono in mente (nelle prove di span verbale invece é richiesto lo stesso ordine di presentazione), immediatamente dopo la presentazione, o dopo un breve intervallo (30 o 60 secondi) occupato con attività non interferente. La lista può venire ripetuta un certo numero di volte per facilitare l’apprendimento (Novelli e coll., 1987). In una prova analoga, la Tecnica di Bushke-Fuld (Buschke e Fuld, 1974; Spinnler e Tognoni, 1987), dopo la prima lettura della lista, vengono ripetute al paziente solo le parole che non ha ricordato, fino ad arrivare al criterio di due ripetizioni esatte della lista, o ad un massimo di 18 presentazioni. Successivamente, dopo un intervallo di 10 minuti circa, viene richiesta al paziente la rievocazione della lista. In questo test i pazienti amnesici falliscono nell’apprendere l’intera lista anche
dopo molte presentazioni, e mostrano un normale effetto recenza ed un debole effetto priorità. Si riscontrano inoltre numerose intrusioni di parole non presenti nella lista. Le intrusioni spesso sono parole simili fonologicamente o semanticamente ad alcune della lista (ad es. “rosso” al posto di “verde”, oppure “male” al posto di “mare”). Questa osservazione suggerisce un disturbo nel recupero della parola, come anche un deficit nella fase di codifica della parola. Probabilmente le parole non vengono codificate ad un livello semantico profondo, ad esempio formando delle associazioni, oppure con la formazione di un’immagine visiva; in tal caso la traccia mnestica non fornirebbe degli “agganci” validi per il recupero. La rievocazione differita ci permette di osservare se si é verificato un oblio delle parole apprese. In un compito di riconoscimento differito nel tempo, come nel Test di memoria Verbale di Rey, il paziente, pur non avendo ricordato spontaneamente le parole, può tuttavia riuscire a riconoscerle in mezzo ad altre che fungono da distrattori. Il riconoscimento dunque ci consente di determinare se la traccia mnestica é stata formata, oppure se sia decaduta completamente. Apprendimento di coppie di parole. Un subtest della Wechsler Memory Scale (Wechsler, 1945, 1981; Wechsler e Stone, 1985) prevede la presentazione di coppie di parole, alcune con associazioni facili, come “Nord-Sud”, “fiore-rosa”, altre con associazioni più difficili, come “stella-piede”, “vino-ponte”. Il paziente deve ricordare la seconda parola della coppia dopo la presentazione della prima. Questa procedura viene ripetuta per tre volte. Altri autori hanno costruito dei test analoghi alla prova della WMS (De Renzi e coll., 1983; Novelli e coll. 1987). E’ comune osservazione clinica una prestazione di pazienti amnesici che sono incapaci di apprendere le associazioni difficili, anche dopo la terza presentazione, mentre invece hanno una buona prestazione nelle coppie facili. Questo test ci indica se il soggetto riesce nel corso delle ripetizioni delle prove, a mettere in atto delle strategie adeguate ad associare e memorizzare le coppie difficili, ad esempio formando una frase che contenga entrambe le parole (“su un ponte un uomo beve del vino”), oppure con un’immagine visiva che richiama i due termini. Memoria di prosa.
Anche questa prova fu ideata per la prima volta da Wechsler (Wechsler, 1945), ed é contenuta nel subtest di Memoria Logica nella WMS. Altri autori hanno successivamente costruito altri test analoghi (Spinnler e Tognoni, 1987; Novelli e coll. 1987). In questa prova prima viene letto al paziente un breve racconto riguardante un brano di cronaca fittizio, poi si richiede una ripetizione immediata ed una differita dopo 10-30 minuti circa. Vengono registrati il numero di elementi che il paziente riesce a ricordare correttamente. Questo test rispetto agli altri é una prova a maggiore valore “ecologico” perché più simile a situazioni che si verificano nella vita quotidiana. La prestazione risente fortemente della capacità del soggetto di organizzare l’informazione verbale in uno schema coerente e logico con l’argomento del brano. Questa sensibilità del test ne fa uno strumento ideale per valutare le capacità di strategia nell’organizzazione del brano e l’integrità delle funzioni esecutive del soggetto. Apprendimento supra-span spaziale. Questo test misura le capacità della MLT visuo-spaziale, ed utilizza lo stesso apparato del Test di Corsi. Le procedure di somministrazione sono le stesse della prova di Apprendimento supra-span verbale. In questa prova il soggetto deve riuscire ad apprendere una sequenza sempre uguale di 8 cubetti, toccati dall’esaminatore sulla tavoletta di Corsi (Milner, 1971), e ricordarla dopo un intervallo di 10 minuti (Spinnler e Tognoni, 1987). Prova del labirinto visivo di Milner In questa prova (Milner, 1965) il soggetto deve scoprire, attraverso varie prove ed errori, i “aggi “appropriati di un percorso da seguire attraverso una matrice 10 X 10 di teste di bulloni, che emettevano dei suoni diversi a seconda se era il “aggio” giusto o sbagliato. In questa prova i pazienti possono essere incapaci di imparare ad apprendere e mantenere le posizioni spaziali dei bulloni che costituiscono il percorso, oppure possono anche fallire nel seguire ed utilizzare le regole. Sostanzialmente in entrambe queste prove di apprendimento spaziale, i soggetti devono memorizzare un pattern visuo-spaziale costituito da un percorso che si snoda attraverso dei punti di riferimento all’interno di un set visuo-spaziale. Test della Figura Complessa di Rey In altre famose prove molto utilizzate nella pratica neuropsicologica, ai soggetti
viene richiesta la memorizzazione di disegni geometrici più o meno complessi. Sempre nella WMS, uno dei subtest (Riproduzione Visiva), consiste nell’osservare alcuni disegni geometrici, e riprodurli a memoria immediatamente dopo. Nel Test della Figura Complessa di Rey (Rey, 1968) e nella prova analoga di Taylor (citato da Milner e Teuber, 1968), i soggetti devono prima copiare un disegno geometrico complesso, e poi riprodurlo a memoria dopo un breve intervallo. Queste prove vengono anche usate per valutare le capacità spaziali costruttive dei pazienti, e sono quindi sensibili a deficit dell’analisi visiva e dell’organizzazione percettiva. La riproduzione a memoria quindi risente della qualità della copia del disegno eseguita dal paziente. Tuttavia la prova di riproduzione a memoria, nel caso in cui la prova di copia sia risultata nella norma, é un buon indicatore della MLT visuo-spaziale. Queste prove e test appena elencati, sono solo alcune delle procedure usate più frequentemente per valutare e diagnosticare un deficit di memoria in pazienti cerebrolesi. Di solito vengono inserite in batterie di test più ampie che comprendono anche test per le funzioni attentive, per le capacità intellettive generali, per le funzioni esecutive e per quelle linguistiche, allo scopo di indagare a fondo la natura specifica del deficit del paziente, escludendo quei disturbi che possono ovviamente compromettere la prestazione mnestica, come accade quando un paziente presenti anche un disturbo dell’intelligenza, un deficit dell’attenzione o del linguaggio, oppure ancora un deficit esecutivo di natura frontale. Quest’ultimo in particolare può compromettere le capacità del soggetto di adottare una strategia flessibile ed adeguata alla codifica ed all’apprendimento dell’informazione, e consentirgli l’accesso ed il recupero della stessa.
L’AMNESIA RETROGRADA
L’amnesia retrograda (AR) é la difficoltà a rievocare gli eventi accaduti prima dell’insorgenza della malattia. L’AR viene studiata misurando la capacità del paziente di rievocare fatti ed episodi dei due tipi di informazioni ricavabili dal nostro ato: i fatti famosi (detti anche eventi pubblici), e gli eventi autobiografici. Dobbiamo sottolineare come l’AR non riguarda il ricordo di informazioni generali concernenti la propria identità, o le conoscenze acquisite, domini questi appartenenti alla memoria semantica, quanto piuttosto la rievocazione di episodi in relazione al loro contesto spazio-temporale. Lo studio sperimentale e l’indagine clinica dell’AR utilizza dei questionari (Pizzamiglio e coll., 1979; Andreani-Dentici, e coll., 1990). La costruzione di questi strumenti pone non pochi problemi metodologici, soprattutto se si intende farne dei test neuropsicologici standardizzati. Nei questionari di fatti famosi (o eventi pubblici), si indaga il ricordo di episodi di cronaca, spettacoli televisivi, eventi sportivi, evitando i fatti la cui notorietà trascende il periodo in cui sono avvenuti. Infatti se un fatto famoso viene rievocato frequentemente per la sua importanza, anche a distanza di tempo, é probabile che rientri nel dominio della memoria semantica, cioè delle conoscenze acquisite di carattere enciclopedico. E’ necessario anche che i fatti indagati siano simili in quanto a “notorietà”, e che i questionari vengano aggiornati frequentemente. Questo tipo di misurazione ha comunque il vantaggio di poter reperire facilmente questo tipo di item, e di poterne verificare la veridicità del ricordo. Come per i soggetti normali, anche per i pazienti con amnesia, é osservazione comune che i ricordi più remoti siano meglio conservati di quelli più recenti, coerentemente con la legge di regressione di Ribot. Tuttavia la presenza di questo gradiente temporale nel risparmio dei ricordi remoti non é stato sempre confermato dalle ricerche. Gli studi che hanno confermato la presenza di un gradiente temporale nell’AR che risparmia gli eventi remoti, può essere spiegato con la teoria del consolidamento della traccia, secondo cui la traccia mnestica, rafforzandosi nel tempo, diventa più resistente ai fattori che producono il deficit di memoria (Cohen e Squire, 1981).Una lesione cerebrale può impedire od alterare quei processi di riorganizzazione ed associazione che avvengono a livello biochimico e psicologico, e che consentono la stabilizzazione della traccia.
Altresì é anche ipotizzabile che l’AR che non risparmi gli eventi remoti, sia dovuta ad un deficit di maggiore gravità. Molte delle procedure utilizzate per evidenziare l’AR includono condizioni di facilitazione (Il Compito di Galton, 1879) in cui ai soggetti venivano dati suggerimenti fonemici (ad es. le iniziali di un personaggio famoso) e semantici (informazioni biografiche). I pazienti amnesici, come i soggetti normali, miglioravano notevolmente il ricordo in presenza di queste facilitazioni. Questi risultati e la comune pratica clinica, suggeriscono che il deficit di rievocazione dei fatti ati possa essere attribuito ad un difetto di recupero dell’informazione, piuttosto che ad un deficit di immagazzinamento: il ricordo sarebbe quindi difficilmente accessibile, ma non perduto (Sanders e Warrington, 1975). Inoltre é da tenere presente come in alcuni casi di malattie ad insorgenza lenta e progressiva, un disturbo di memoria anterograda subdolo, possa compromettere la registrazione dei fatti quotidiani recenti, siano essi personali che pubblici, giustificando il risparmio degli eventi remoti che spesso si osserva. Per gli episodi autobiografici si utilizzano procedure standardizzate come interviste strutturate, o compiti in cui il paziente deve produrre un ricordo autobiografico in risposta ad una parola stimolo (ad es. “fiume” – “sono andato a pesca di trote durante una vacanza in montagna nel 1985”). Le risposte del paziente vanno ovviamente verificate con il contributo di un familiare ben informato. Come nel caso della memoria dei fatti famosi, anche in quella autobiografica é stato riscontrato un gradiente temporale, con una maggiore compromissione dei fatti personali più recenti. Inoltre, anche nel caso della memoria autobiografica, una facilitazione data al paziente, come un suggerimento per il recupero, migliora il ricordo dei fatti personali. In letteratura si possono trovare alcuni casi di pazienti che presentavano delle dissociazioni nella memoria retrograda che suggeriscono che l’AR possa colpire i ricordi in modo selettivo.
AMNESIA E LESIONI CEREBRALI
L’amnesia é associata a lesioni di alcune strutture cerebrali che includono il circuito cortico-sottocorticale di Papez (1937). Questo circuito, oltre che degli aspetti della memoria, é il substrato neurofisiologico della sfera emotivoistintiva. I correlati neuroanatomici principali dell‘amnesia sono rappresentati da lesioni bilaterali di due distinte aree profonde dell’encefalo: 1) alcune strutture, tra cui la regione ippocampale, site nella parte mediale del lobo temporale; 2) alcuni nuclei, tra cui i corpi mammillari ed il nucleo talamico dorso-mediale, siti nel diencefalo. Ippocampo Le lesioni che interessano la formazione ippocampale, causate da rimozione chirurgica bilaterale dell’ippocampo, come per il trattamento chirurgico dell’epilessia, o per infarti cerebrali bilaterali, causano tipicamente un grave disturbo amnesico. Un‘ altra importante struttura temporale mediale, l’amigdala, non sembra avere un ruolo primario nell’apprendimento, ma solo una rilevanza per gli aspetti emotivi dell’apprendimento. Considerando le importanti connessioni che l’ippocampo tiene con i nuclei del talamo, con il giro del cingolo e da lì con tutta la corteccia cerebrale, possiamo ritenere la sua funzione fondamentale nel garantire la corretta registrazione delle caratteristiche dello stimolo, la formazione di associazioni complesse, ed il consolidamento della traccia mnestica, depositata nella corteccia cerebrale. Una lesione dell’ippocampo quindi provocherebbe un deficit di immagazzinamento, piuttosto che di codifica e di recupero. Tuttavia allo stato attuale non possiamo neanche escludere che una lesione ippocampale determini anche un decadimento precoce della traccia mnestica, oppure una difficoltà a recuperarla dopo un certo periodo di tempo. Diencefalo Le lesioni di strutture cerebrali situate sulla linea mediana nella zona diencefalica, possono essere associate ad amnesia. Alcune di queste strutture hanno un ruolo fondamentale nei processi mnestici: i corpi mammillari, i tratti mammillo-talamici, ed i nuclei anteriore e dorso-mediale del talamo. La Sindrome di Korsakoff ad eziologia alcolica, causa una distruzione bilaterale dei corpi mammillari, e provoca una grave sindrome amnesica. Questa malattia ha fornito una gran quantità di dati per lo studio dell’amnesia, ed é
probabilmente la malattia più studiata per la ricerca sui deficit di memoria. Un’amnesia può anche essere provocata da lesioni bilaterali, di solito ischemiche o tumorali, dei nuclei dorso-mediale ed anteriore del talamo. In alcuni studi sembra che la lesione talamica sia il principale correlato neuroanatomico del disturbo amnestico. Lesioni che interessano i tratti mammillo-talamici provocano anch’esse un disturbo di memoria, poiché causano una disconnessione ippocampo-talamica. Queste lesioni che interessano le strutture diencefaliche, ed in particolar modo il sistema mammillo-talamico, causano amnesia, probabilmente perché impediscono una adeguata registrazione dello stimolo, mediata dalle informazioni sensoriali veicolate dal talamo, danneggiando l’immagazzinamento immediato di associazioni semplici e di informazioni sugli stimoli. Altri correlati neuroanatomici Il giro del cingolo gioca un ruolo importante nei processi mnestici. Lesioni che interessano la parte posteriore del giro del cingolo causano amnesia, forse a causa del fatto che la distruzione della corteccia retrospleniale, elimini una fonte molto ricca di proiezioni al talamo anteriore, che viene parzialmente disconnesso dall’ippocampo. Lesioni anteriori del giro cingolato invece non causano rilevanti disturbi di memoria. Il fornice é un fascio di sostanza bianca che collega soprattutto l’ ippocampo con i corpi mammillari: la sua lesione tuttavia non sempre provoca un problema di memoria. Lesioni che interessano i lobi frontali e prefrontali, possono causare dei gravi disturbi della memoria, come nel caso degli esiti di TCE, o di encefalite herpetica. In questi casi l’amnesia si accompagna a gravi modificazioni del comportamento e della personalita, ad anosognosia per il deficit e confabulazione. Le regioni frontali più interessate nei casi di amnesia sono le regioni fronto-basali mediane e paramediane (basal forebrain): infatti queste aree comprendono i nuclei del setto, che hanno importanti connessioni con l’ippocampo. Le sindromi frontali provocano quasi sempre un disturbo della memoria. Possiamo riscontrare delle amnesia globali “classiche”, o delle amnesie più lievi, secondarie al coinvolgimento frontale. In questi ultimi casi la compromissione delle funzioni esecutive gioca un ruolo primario. Queste funzioni servono a pianificare ed organizzare il comportamento diretto ad uno
scopo, ed a gestire funzionalmente tutte le fasi di processamento delle informazioni. Le funzioni esecutive hanno quindi un ruolo fondamentale nell’ adottare strategie adeguate per la memorizzazione, ed a trovare strategie efficaci di recupero dell’informazione. Anche il deficit attentivo, e soprattutto di supervisione attentiva, può compromettere gravemente l’inibizione degli stimoli irrilevanti, ostacolando la corretta registrazione degli eventi. Baddeley e Wilson (1988) avevano definito le amnesie frontali, come una “Sindrome Disesecutiva”. Complessivamente possiamo considerare l’amnesia come un caso di “Sindrome da Disconnessione”, poiché é evidente che il disturbo della memoria non é causato solamente da una lesione focale di una struttura specifica, ma dalla disfunzione di un circuito di cui questa fa parte. Riassumendo, l’amnesia può essere provocata da lesioni che disconnettono il circuito di Papez, nel lobo temporale mediale, tra l’ippocampo ed il diencefalo, il sistema frontale e le connessioni tra i lobi frontali, e tra il talamo ed i nuclei della base. Per questo motivo possiamo ritrovare un disturbo della memoria in numerose patologie cerebrali, tra cui le principali per rilevanza clinica, sono il Morbo di Parkinson la Sclerosi Multipla, e le Demenze corticali e sottocorticali. Lesioni unilaterali L’amnesia globale di solito é associata a lesioni bilaterali diencefaliche o temporali mesiali. Lesioni unilaterali producono raramente amnesia, ed in questo caso il danno interessa più frequentemente l’emisfero sinistro, ossia l’emisfero dominante per il linguaggio. Lesioni temporali mediali sinistre, o più raramente, lesioni talamiche sinistre possono causare amnesia. Visto il ruolo dominante del linguaggio nei processi di elaborazione dell’informazione, é possibile che il contributo dei processi verbali nelle funzioni mnesiche, sia comunque più importante. Lesioni unilaterali sinistre, anche se raramente provocano amnesia globale, possono tuttavia causare dei deficit più lievi di memoria, di non immediata evidenza clinica, ma evidenziabili con prove sufficientemente sensibili. Le lesioni temporali sinistre compromettono in modo selettivo l’apprendimento e la ritenzione di materiale verbale, pur in assenza di disturbi afasici, ma non quello di stimoli visuo-spaziali non codificabili verbalmente. Lesioni temporali destre, al contrario, lasciano la MLT verbale intatta, mentre interferiscono con la memorizzazione di stimoli visivi e localizzazioni spaziali, difficilmente verbalizzabili. Questa asimmetria emisferica (sinistro/verbale, destro/visuo-spaziale) é presente
anche nel caso di lesioni del nucleo dorso-mediale del talamo. Anche in questi casi il deficit é selettivo per la MLT, mentre lo span a BT, sia verbale che visuospaziale é indenne.
I DEFICIT DELLA MEMORIA A LUNGO TERMINE
Come detto sopra, il paziente amnesico é affetto da amnesia anterograda, che impedisce loro di apprendere nuove informazioni, e reca loro una forte disabilità nella vita quotidiana. Chi ha avuto la possibilità di osservare il comportamento di un amnesico grave, sarà rimasto impressionato dall’impossibilità di fare uso di qualsiasi tipo di esperienza accade loro, che li costringe a vivere in una sorta di “presente senza tempo”, dove il paziente si comporta quasi come fosse nato un momento prima, pur conservando dei ricordi confusi sul proprio ato. Questi soggetti sembrano titubanti, esitanti, spesso ansiosi e preoccupati per il loro non rendersi pienamente conto di cosa gli stia succedendo intorno, del perché si trovano in un posto, e del perché stanno parlando con quella persona, che spesso non ricordano neanche chi sia; sembra che abbiano perso “il filo della propria storia”. Fortunatamente non tutti i pazienti amnesici sono così gravi. Di solito il loro disturbo di memoria gli lascia intatte alcune capacità di apprendere e ricordare. Anche i pazienti più gravi, presentano delle facoltà residue e nascoste di poter imparare qualcosa. Una gran quantità crescente di dati sperimentali dimostra che i pazienti amnesici, in determinate condizioni, possono apprendere nuove informazioni. - Condizionamento Con delle semplici tecniche di condizionamento, é possibile evocare risposte condizionate nei pazienti amnesici. Di solito questi soggetti non ricordano, se non vagamente, l’episodio dell’esposizione allo stimolo incondizionato. Questo dimostra che, pur se ad un livello primitivo di apprendimento associativo risposta-stimolo, l’amnesico può consolidare e mantenere a breve tempo una traccia mnestica semplice (Weiskrantz e Warrington, 1979). - Apprendimento procedurale, percettivo e semantico I pazienti amnesici sembrano essere in grado di imparare dei compiti motori quando vengono impegnati in esercizi di,abilità motorie e cinestesiche, come fare un disegno osservando solamente i movimenti della mano riflessi in uno specchio (ad esempio il Mirror Reading; Cohen e Squire, 1980), eseguire un percorso in un labirinto tattile, oppure ancora mantenere la punta di uno stilo a contatto con un piccolo disco metallico (ad esempio il Pursuit Rotor Tracking Task; Corkin, 1968). Anche in compiti di analisi e discriminazione percettiva,
questi pazienti riescono a migliorare con la pratica quel determinato esercizio, dimostrando quindi di aver appreso un nuova informazione, in questo caso di natura procedurale ed esecutiva. Se vengono cambiati gli stimoli del compito appena appreso, la prestazione ritorna al livello iniziale; questo dato dimostra che l’apprendimento del compito non é dovuto soltanto ad un miglioramento generico della capacità di svolgere il compito. Esistono altre ricerche sulle capacità di apprendimento negli amnesici, che riguardano abilità cognitive complesse ed informazioni semantiche. Questi soggetti dimostravano un miglioramento in compiti di Problem Solving che richiedevano l’acquisizione e l’utilizzo di procedure logiche e di capacità di programmazione, come il Test della “Torre di Hanoi” o altri problemi complessi. Nell’ambito semantico i pazienti amnesici possono apprendere delle informazioni verbali semantiche nuove, come liste di parole, conoscenze e vocabolario per l’uso del computer, nuovi termini tecnici di determinate discipline. - Memoria implicita e memoria esplicita Riassumendo, le forme di apprendimento risparmiate nell’amnesia sono molto estese: vanno da abilità motorie e percettive relativamente semplici, a compiti di ragionamento, ed a nuove informazioni semantiche. Esse non sono limitate ad un acquisizione generica della capacità di eseguire il compito, ma si estendono alla capacità di memorizzare stimoli specifici. Le condizioni in cui il paziente manifesta l’apprendimento sono però solamente quelle di tipo indiretto, dove cioè gli viene solo richiesto di eseguire il compito, che i pazienti svolgeranno sempre meglio e con minor tempo. La prestazione invece diventa scadente quando viene richiesto loro il ricordo esplicito dell’informazione in un compito di rievocazione o riconoscimento. A questo proposito Baddeley (1982) afferma: “In tutti questi casi, il soggetto tende a mostrare segni inequivocabili di apprendimento, ma nessun segno che egli consciamente ricordi di aver eseguito quel compito che dimostra di aver appreso”. I pazienti amnesici dunque sembrano avere un risparmio delle funzioni di memoria implicita, dove cioè non viene richiesto il ricordo cosciente dell’esperienza (“essi non sanno di sapere”). Questa constatazione ci rimanda al dibattito dell’esistenza di magazzini a lungo termine separati nel sistema della memoria umana. Usando un’altra classificazione, potremmo affermare che i pazienti amnesici mostrano delle buone capacità di memoria procedurale, contro un grave deficit della memoria dichiarativa. Questo risparmio delle funzioni di memoria implicita e procedurale, contro un
danno della memoria esplicita e dichiarativa, sarà di grande importanza quando affronteremo il problema della riabilitazione dei disturbi della memoria. Infatti queste capacità residue degli amnesici, possono essere di grande aiuto per insegnare ai pazienti delle abilità pratiche che gli consentano di portare avanti quelle esigenze personali della vita quotidiana, che gli permettano di riuscire a condurre delle vite normali.
I DEFICIT DELLA MEMORIA A BREVE TERMINE
I disturbi della memoria discussi finora, si riferiscono alla cosiddetta “Amnesia globale”, dove riscontriamo deficit della MLT verbale e visuo-spaziale, con risparmio della MBT, amnesia anterograda e parzialmente retrograda. Esistono tuttavia dei casi di deficit mnesici, dove il disturbo é selettivo per le componenti della MBT, sia verbale che visuo-spaziale. Questi disturbi si differenziano dall’amnesia classica perché le capacità d’apprendimento e rievocazione sono indenni, il deficit é materiale-specifico, interessando le informazioni verbali o quelle visuo-spaziali, ed i correlati neuro-anatomici sono lesioni corticali degli emisferi. Deficit della MBT visiva e spaziale. Le capacità di ritenzione a breve termine di stimoli é stata studiata presentando visivamente delle serie crescenti di stimoli verbali, come lettere o cifre, e non verbali, come linee, figure geometriche semplici, configurazioni spaziali (tracciati, percorsi o matrici di celle), e attraverso compiti che richiedevano la generazione e manipolazione di immagini mentali. Soggetti con lesioni cerebrali dell’emisfero sinistro hanno una prestazione scadente in un compito di ripetizione immediata di stimoli visivi verbali e non-verbali (Warrington e Rabin, 1971): il loro span di MBT cioé era più basso dei soggetti normali. De Renzi e Nichelli (1975) hanno indagato i deficit della MBT non-verbale utilizzando il Test di Corsi: in questo caso invece i cerebrolesi destri hanno mostrato uno span di MBT visuo-spaziale ridotto. In entrambi i casi le lesioni che provocavano span di MBT ridotto interessavano le regioni posteriori degli emisferi (parietali, occipitali e temporo-parietali). In tutti questi casi le prestazioni della MLT verbale o visuo-spaziale erano indenni. Questa serie di dati inoltre suggerisce che nell’ambito della MBT visiva, si possa ipotizzare una distinzione tra sistemi di MBT visiva e MBT visuospaziale. Deficit della MBT uditivo-verbale. Sono stati descritti numerosi casi di pazienti cerebrolesi focali con deficit selettivi della memoria immediata per materiale verbale, come cifre, lettere, parole, presentate uditivamente. (Shallice e Vallar, 1990; Vallar e Papagno, 1995). Questi pazienti presentavano uno span uditivo-verbale ridotto, mentre la prestazione migliorava se la serie di stimoli veniva presentata visivamente. Il
deficit non era attribuibile a problemi di codifica acustico-fonologica, perché la ripetizione di singole parole era conservata, oppure a problemi di ripetizione verbale, perché la risposta su indicazione era comunque compromessa. Questi disturbi sono stati attribuiti ad un deficit selettivo del MgBT fonologico. Se la prestazione invece migliora con una risposta non-verbale, allora il deficit della MBT verbale può essere attribuito a disordini dei sistemi di produzione verbale. La grande maggioranza di pazienti con deficit dello span uditivo-verbale, ha una prestazione migliore con materiale presentato visivamente, a differenza dei soggetti normali che hanno prestazioni migliori in modalità uditiva. Questa osservazione suggerisce che il sistema compromesso nei pazienti non é sopramodale, ma può essere frazionato in due MgBT: uno uditivo-verbale (fonologico), ed uno visivo-verbale Utilizzando il modello di Memoria di Lavoro verbale e visiva della Fig. 1.3 (Vallar e Papagno, 1985), é ipotizzabile che il MgBT uditivo-verbale compromesso in questi pazienti, sia collocato in entrata, cioè sia coinvolto nei processi di comprensione del linguaggio, piuttosto che in uscita, ossia nei processi di produzione del linguaggio: se così fosse questi pazienti presenterebbero anche dei disordini nella produzione linguistica. Un interessante studio effettuato su un gruppo di pazienti con deficit dello span uditivo-verbale, ha indagato le relazioni tra gli effetti di lunghezza della parola e somiglianza fonologica, con la soppressione articolatoria (Vallar e Papagno, 1995). Questi soggetti presentavano un quadro complessivo di questi effetti, analogo a quanto succede nei soggetti normali durante la soppressione articolatoria. Questo sembrerebbe suggerire un’interpretazione del deficit di MBT uditivo-verbale, come deficit specifico del processo di rio articolatorio (rehearsal). In realtà altre prove hanno escluso che in questi pazienti il rio articolatorio fosse compromesso. L’ipotesi più plausibile rimane quella di una capacità ridotta del magazzino a Breve Termine uditivo-verbale. MBT e apprendimento I pazienti con deficit della MBT uditivo-verbale, possono avere delle prestazioni normali in vari compiti che esaminano l’acquisizione a lungo termine di materiale verbale (Vallar e Papagno, 1995): apprendimento di liste di parole, di coppie di parole, di un breve racconto etc. Inoltre nella rievocazione libera di liste di parole l’effetto priorità è normale, mentre l’effetto recenza é scadente. Questa dissociazione suggerisce che, dopo l’analisi fonologica, il materiale può accedere in parallelo ai processi a BT e LT, contrariamente a quanto previsto dai modelli seriali. Questa dissociazione tuttavia é limitata al materiale verbale già conosciuto, e che deve essere acquisito come evento, mentre invece
nell’apprendimento di parole nuove, che non dispongono di una rappresentazione semantico-lessicale pre-esistente, l’apprendimento è scadente o impossibile, a causa del ruolo del MgBT fonologico nell’acquisizione del vocabolario (Baddeley e coll. 1988). Anche nuova informazione visuo-spaziale necessita per essere appresa di un MgBT indenne, anche se alcune informazioni visuo-spaziali possono essere apprese anche con uno span visuo-spaziale molto basso. Correlati neuroanatomici dei deficit della MBT La maggior parte dei pazienti con deficit della MBT uditivo-verbale, presenta di solito lesioni che interessano il giro sopra-marginale, situato nella regione parietale posteriore inferiore sinistra. Alcuni Autori hanno misurato le variazioni del flusso cerebrale regionale mediante PET (Tomografia ad Emissione di Positroni), in soggetti impegnati in compiti di ripetizione immediata di serie di lettere. Questi studi hanno indicato il giro sopra-marginale sinistro come sede del MgBT fonologico, e l’area frontale pre-motoria (area 44 di Broca) come sede del processo di rio articolatorio, coerentemente con l’ipotesi che questa funzione coinvolga strutture che partecipano ai processi di programmazione articolatoria del linguaggio parlato. Altri studi PET su pazienti con Demenza Tipo Alzheimer (Perani e coll., 1993) hanno trovato una correlazione tra deficit di span verbale e lesioni sinistre (parietali posteriori, fronto-basali associative, e temporali superiori). Già Kimura (1963) e Warrington e James (1967) avevano dimostrato la bassa prestazione di pazienti cerebrolesi parietali destri, in compiti di stima del numero di punti sparsi presentati visivamente al soggetto. In ricerche successive la MBT visivo-spaziale é stata studiata mediante il Test di Corsi (Milner, 1971; De Renzi e Nichelli, 1975). Pazienti con lesioni parieto-occipitali destre avevano infatti uno span visuo-spaziale ridotto, confermando l’asimmetria emisferica destra nei deficit di MBT visuo-spaziale. Jonides e coll. (1993) hanno indagato mediante tecnica PET le attivazioni cerebrali regionali in soggetti normali impegnati in compiti di MBT spaziale. E’ stata osservata un’attivazione nell’emisfero destro della corteccia associativa visiva (area 19), del lobulo parietale-inferiore (area 40), e della corteccia prefrontale (area 47). Secondo Jonides e coll. l’area visiva associativa viene coinvolta nella generazione di immagini, il lobulo parietale-inferiore nella computazione delle coordinate spaziali, e la corteccia prefrontale dell ‘emisfero destro per la ritenzione dell’informazione e per la programmazione di movimenti verso il bersaglio. Infine lesioni parieto-occipitali sinistre compromettono la capacità di ripetere immediatamente sequenze di stimoli visivi verbali e non-verbali (Warrington e
Rabin, 1971). Questa serie di dati sui correlati anatomici dei deficit di MBT visuo-spaziale conferma l’ipotesi dei due sistemi di elaborazione degli stimoli visivi proposta da Ungerleider e Mishkin (1982): un sistema visuo-spaziale (“where” system) deputato alla ritenzione di informazione relativa alla localizzazione spaziale degli stimoli, localizzato nell’area associativa parietale postero-inferiore e frontale dell’emisfero destro, ed un sistema visivo (“what” system) responsabile della ritenzione di stimoli visivi verbali e non, codificati come forma, localizzato nella corteccia associativa occipito-parietale dell’emisfero sinistro.
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