Angelo Pagano
L'Amore di un Angelo
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ISBN: 9788893323352 Youcanprint Self-Publishing
INDICE
- Prefazione - Introduzione - Cap.1° L’infanzia di Marco - Cap.2° L’adolescenza - Cap.3° L’indipendenza - Cap.4° L’incontro - Cap.5° Nascita di un nuovo amore - Cap.6° Amore in corso - Cap.7° L’insidia - Cap.8° La signora Olga - Cap.9° L’imprevedibile Gianni - Cap.10° Il dolce epilogo - L'autore
PREFAZIONE
“ L’amore di un angelo” , è senz’altro un lavoro letterario, nuovo, pieno di fresca energia e tra gli autori contemporanei merita un plauso particolarmente lodevole in quanto, l’autore Angelo Pagano, con una silloge sostenuta da un humus creativo e con un lessico appropriato, mai volgare, egli affronta con serena semplicità il tema dell’amore nelle varie sfaccettature e ci fa capire come l’amore sia motivo itinerante per la sua e la nostra esistenza. L’angelo custode che ognuno di noi ha, viene messo in risalto in questo romanzo, quasi come uno stile di vita, dettato da sani principi di libertà, democrazia e rispetto reciproco. L’autore evidenzia in questo suo lavoro , la consapevolezza del significato della libertà e della dignità dell’uomo libero; ed il proprio pensiero filosofico non si allontana mai dall’amore reciproco; quindi sembra quasi che il suo motto sia: ” libertà non significa libertinaggio ma bensì rispetto verso sé stessi e verso il prossimo”. E’ appunto il rispetto della propria libertà e di quella degli altri il fondamento su cui si basa l’amore dell’uomo verso la propria donna, i figli che sono un dono di Dio, l’amore del proprio lavoro, l’amore verso gli altri.
Caterina Grasso ( Autrice-Docente-Poetessa)
INTRODUZIONE
L’amore di un Angelo non ti abbandona mai, egli ama te come sé stesso e ti segue lungo la tua strada dritta e luminosa, o contorta e buia che sia; egli affidatoti dalla pietà Divina, piange e gioisce con te, e nei momenti più duri della nostra breve vita sembra quasi volesse suggerirci quello che è bene o quello che è male. Il mio Angelo custode non mi abbandona mai ed instancabilmente mi protegge dal male perché sa che in fondo ai miei occhi c’è una sola aspirazione, vedere la luce del volto di Dio, nella gioia e nel dolore, è l’amore suo verso di noi ciò che conta. A volte non ce ne rendiamo conto nemmeno noi stessi, che amando la propria donna ,i figli che lui ci ha donato, il nostro prossimo, e la natura che ci circonda; rendiamo la nostra e soprattutto la vita degli altri esseri, più vivibile, cioè a misura d’Uomo, libero di esprimere sé stesso con il proprio lavoro, le proprie azioni, il proprio pensiero, nel rispetto reciproco. La libertà è bella quando non diventi libertinaggio, bensì servi alla comunità, quando con umiltà ci mettiamo al servizio dei più deboli, dei più bisognosi facendo sì che la dignità umana venga sempre rispettata e tutelata dalla legge degli uomini o quella Sovrana di Nostro Signore Iddio. Marco il protagonista principale di questo romanzo,con le sue vicissitudini ci rivela come di fronte alle avversità della vita, ciò che deve prevalere è l’amore per sé stessi difendendo la propria vita perché è un dono di Dio e ciò riesce a farlo con disinvoltura in quanto refrattario dal comportarsi incivilmente, egli vive la sua vita dignitosamente, responsabilmente sicuro di sé stesso e con fiducia affronta le sue avversità con principi di onestà verso se stesso e verso il suo prossimo. L’amore è quindi il vero motore dell’umana sopravvivenza.
L’Autore
Angelo Pagano
Cap.1°: - L’infanzia di Marco.
Il più piccolo dei suoi fratelli, Marco viveva la sua infanzia spensieratamente con la protezione di mamma, papà ed i suoi fratelli maggiori; si sentiva coccolato anche dai suoi parenti, specialmente la nonna paterna, nonostante i tantissimi nipoti che aveva, ella lo coccolava volentieri quando la madre lo portava a casa della nonna e del nonno e gli regalava spesso dei soldi con cui si raccomandava di spenderli per lo studio perché sapeva che suo figlio ci teneva molto che noi tutti studiassimo al fine di un miglioramento generazionale. A scuola pur comportandosi bene, non aveva dei risultati eccelsi e al colloquio coi vari maestri e professori la lamentela di questi era la solita frase ”è un ragazzo intelligente che pur avendone i mezzi, non rende per quelle che sono le sue potenzialità”. Alla luce di tali risultati, il padre borbottava le sue minacce tipiche a fin di bene ”ti porto a lavorare i campi come me”, manco se fosse una condanna; a Marco invece, quando suo padre lo portava con sé, lui si sentiva grande perché nel suo piccolo si rendeva conto di aver contribuito al menage familiare. Infatti durante le vacanze estive bisognava guadagnarsi il corredo scolastico dell’anno successivo andando a schiacciare e ripulire il frutto delle mandorle (50lire ogni cesta), e poi comunque sempre meglio che fare i fannulloni per strada, queste erano le parole conclusive del padre. Marco e suo fratello facevano a gara a chi ne fe di più di quelle ceste, perché poi una volta provveduto al corredo scolastico, se avanzava qualche altro gruzzoletto, erano liberi di spenderseli come, dove, e quando volevano ed il più delle volte lui li spendeva per andare al mare con gli amici e all’insaputa della madre a cui non piaceva il mare. All’età di circa 10 anni purtroppo Marco perse un pezzetto del suo mondo poiché il padre decise di trasferire la sua famiglia nella industriosa Milano nella speranza così di dare un futuro migliore a sé stesso ed a noi tutti. Ma la vita frenetica di Milano non si addiceva alla pacatezza della mamma, per cui fortunatamente per lui tornarono a casa, tutti tranne il secondogenito, Daniele
che rimase a Milano per motivi di lavoro. La vita sembrò riprendere normalmente al paese natio, ma il pensiero di un figlio lontano non giovava alla salute della madre (già provata da precedenti infarti), ed infatti un anno dopo un ulteriore fortissimo infarto, fece all’improvviso di Marco un orfano. Dopo aver perso l’affetto della madre, perse pure quello dei due fratelli maggiori rimanendo al paese presso una zia (Ezia), naturalmente tutto ciò influì negativamente sul profitto scolastico e fu solo la nonna ad inculcargli il coraggio necessario a superare quel periodo nefasto, infatti riuscì a terminare la scuola media solo con un profitto mediocre. Suo padre sembrò contento del risultato tanto da permettergli di iscriversi alle scuole superiori dove il primo anno lo superò brillantemente nonostante che poco prima dell’estate perse anche la nonna (ormai ultraottantenne morì per un carcinoma gastrico), nel frattempo incominciarono i primi amori e la zia Ezia, continuava a raccomandarsi di lasciar perdere le ragazzine e pensare a studiare. Il padre, dopo circa 4 anni che rimase vedovo, grazie alla collaborazione della sorella (zia Ezia), ed un pochino anche grazie al nostro impegno ad aiutarlo nei lavori dei campi che conduceva a mezzadria, riuscì per la prima volta in vita sua a comprarsi della terra da coltivare per conto suo, diventando così un coltivatore diretto, quel periodo la coltivazione dei carciofi dava dei buoni risultati e ciò gli consentì successivamente di trasformarla in vigneto. Pur essendo ancora giovane ed aver provato più volte a risposarsi, alla fine non l’ha mai fatto poiché ogni volta gli chiedevano l’intestazione della proprietà, tanto sudata per ottenerla, da poterla dare via così come se nulla fosse. Marco terminò le superiori diplomandosi con 52/60, per la gioia del padre che voleva subito iscriverlo all’Università; egli ignorava le difficoltà che si incontrano studiando a quei livelli, per cui Marco cercò di persuaderlo dicendogli che preferiva raggiungere uno dei fratelli maggiori (Daniele) a Milano in cerca di un lavoro che lo rendesse autosufficiente: - Ma come dopo tutto ciò che ho fatto per voi , adesso mi lasciate completamente solo, non capisco perché vuoi farmi questo, e poi hai pure preso un bel voto alle superiori, quindi non vedo la ragione per cui tu debba rinunciare a continuare gli
studi; gli ribadì che la ragione c’era ed era quella di essere indipendente, ma lui scoppio quasi in lacrime sostenendo che non gli avrebbe mai fatto mancare nulla purché gli desse la soddisfazione di avere un figlio Dottore in Agraria.
Cap.2: - L’adolescenza.
Messosi in contatto con il fratello Daniele che viveva e lavorava a Milano, Marco rimase deluso quando gli fece sapere che in quel periodo qualsiasi tipo di offerta di lavoro non ce n’era, quindi assecondò il volere del padre iscrivendosi alla Università di Bari (facoltà di Agraria). Inizialmente decise di fare il pendolare e quindi tutti i giorni che c’erano lezioni riguardanti gli esami che aveva deciso di dare in preappello (mese di maggio), prendeva il primo treno utile per essere a lezione entro le 8 di mattina, a pranzo andava alla mensa universitaria poiché spesso alle 15 pomeridiane, seguiva le esercitazioni pratiche delle materie interessate (Matematica, Fisica e Chimica Generale) che terminavano alle 17; il tempo necessario per raggiungere la stazione ed alle 17,45 riprendeva il treno per essere a casa alle 19. Naturalmente il tempo che gli restava per studiare era molto poco e quindi di comune accordo con il padre, fece richiesta di alloggio presso uno dei vari studentati dell’Università. La richiesta fu accolta e così dopo le festività natalizie, con la ripresa delle lezioni, si trasferì presso il Campus Universitario Collegio “B.Petrone”, e ritornava a casa una volta al mese. Ciò gli consentì di riuscire a dare e superare ben tre esami entro la sessione estiva con il conseguente diritto al presalario anche per il secondo anno. All’inizio delle lezioni del secondo anno mentre frequentava le lezioni di Microbiologia, in aula notò la presenza di una collega mai vista prima, la cosa lo incuriosì al punto che un giorno alla fine della lezione, si fece coraggio e quasi con indifferenza le si avvicinò e le disse: - Ciao io sono Marco e scommetto che tu ti chiami Angela perché una con un così bel viso, non può essere che un angelo; e lei gli rispose: - Mi dispiace per te ma avresti perso la scommessa, infatti io sono Luana, ma devo ammettere che il tuo modo di ”attaccar bottone”, è stato originale ed univoco inoltre ti trovo simpatico nella tua sfacciataggine tanto da permetterti di
offrirmi l’aperitivo al “bar dell’angolo”. Entrarono, si sedettero ad un tavolino libero e ordinarono entrambe un Campari, nell’attesa Marco si scusò per essergli sembrato sfacciato ma nel contempo gli rivelò subito che sentiva dentro di sé una vocina che gli sussurrava di “provarci” e di non lasciarsela scappare, lei gli sorrise semplicemente e gli disse: - Sii te stesso, e non mentirmi mai perché la sincerità reciproca è alla base di ogni rapporto di amicizia e se poi diventa qualcosa di più sarà il tempo a stabilirlo. Mentre sorseggiarono l’aperitivo, fecero in tempo a scambiarsi le solite notizie (di dove sei, quanti anni hai, sei fidanzata, che studi fai), quando il barista gli portò il conto interrompendo il loro colloquio; Marco portò la destra al portafoglio per pagare ma Luana fu più lesta dicendo al barista: - Metti tutto sul mio conto. Quindi si alzò decisa dicendogli che la stavano aspettando per il pranzo e andò via baciandolo sulla guancia sussurrandogli ciao a presto. Marco uscì dal bar ancora incredulo, e si avvio verso la mensa; forse non credeva possibile che quella ragazza che lui ostentando sicurezza di sé, volle avvicinare l’accettasse con altrettanta franchezza ed i suoi pensieri sembravano sorpresi e contemporaneamente confusi dalla semplicità con cui si erano verificati tali eventi. Per due giorni Luana non si vide neanche a lezione e lui pensò che forse non l’avrebbe più rivista, anche se dentro di sé sperava il contrario; il giorno dopo invece la incontrò a mensa in compagnia di altri colleghi (Adriana, e Pasquale), pranzarono tutti e quattro assieme parlottando del più e del meno e lui ebbe la sensazione che si conoscessero da anni in quanto gli amici di Luana si rivelarono simpatici ed allegri. Usciti dalla mensa si incamminarono verso casa di Adriana prima, e di Luana poi, che giuntavi li salutò entrambe ed a Marco gli sussurrò nell’orecchio che si sarebbe fatta trovare di nuovo a cena a mensa questa volta sola. Durante il ritorno al Campus assieme a Pasquale scoprì che anch’egli alloggiava presso lo stesso studentato il ché lo sorprese piacevolmente pensando alle volte
che avrebbero potuto uscire insieme tutti e quattro. Quel pomeriggio non vi erano esercitazioni pomeridiane e Marco poté dedicarsi allo studio, tuttavia egli non vedeva l’ora che arrivassero le 20 per incontrarsi nuovamente con Luana (questa volta per di più da soli) e lui si chiedeva come mai sembrò che volesse sottolinearlo; smise di pensarci concludendo: - Mah sarà quel che sarà e cercò di concentrarsi a studiare. Alle 20 come previsto si incontrarono a mensa cenarono ridendo e scherzando, poi quando uscirono lei lo sorprese chiedendogli che questa volta sarebbe stata lei ad accompagnarlo a casa, Marco la assecondò ed insieme salirono in camera sua eludendo la sorveglianza del portiere; - Scusa il disordine esordì lui entrando in camera, cosa posso offrirti, le chiese; e lei rompendo il ghiaccio gli si avvinghiò al collo baciandolo con una tale ione che non lasciava dubbi e si ritrovarono sul letto a far l’amore dimenticandosi persino di prendere qualche precauzione, e fu solo quando entrambe furono soddisfatti che si ritrovarono con gli sguardi al soffitto, esausti ma felici di averlo fatto. Erano nel frattempo giunte le ore 23 e ciò implicò il fatto che quella notte Luana si fermò a dormire con lui nel suo piccolo letto in quanto il cancello d’ingresso del “B.Petrone” veniva chiuso alle 23, per essere poi riaperto alle 7 di mattina. Dormirono profondamente avvinghiati l’un l’altro in quel piccolo letto fino alle 6,30 del giorno dopo, si lavarono e rivestitisi riuscirono a sgattaiolare fuori ed erano già le 7,30 quando si fermarono al“bar dell’angolo” per fare insieme una ricca colazione, dopodiché usciti dal bar si salutarono con un lunghissimo bacio e ognuno si diresse alle rispettive facoltà per seguire le lezioni che iniziavano appunto alle 8. La loro storia d’amore arrivò all’orecchio del padre di Marco che non l’approvava in quanto secondo lui ciò sottraeva del tempo allo studio di conseguenza gli tagliò i viveri mandandolo completamente in crisi tanto da indurlo a lasciare l’Università e quando si riprese dallo sconforto fece domanda di concorso per entrare nell’Esercito come allievo sottufficiale. Vinse il concorso ed all’inizio dell’anno successivo partì per Viterbo dove frequentò il corso con profitto superando le varie prove psicoattitudinali e alla
fine dell’estate successiva parti per Bologna dove si sarebbe specializzato in scienze Infermieristiche. Durante i primi mesi di corso a Viterbo, come ripicca verso il padre, non gli scriveva mai e fu l’intervento rappacificatore del fratello maggiore a farlo desistere da tale intento; infatti quando vi fu la cerimonia del giuramento erano presenti il padre il fratello maggiore (Paride),e la cognata (Dina). Paride lo convinse dicendogli: - Tu hai tutte le ragioni a non volerne sapere più niente di lui, ma non dimenticare che comunque resta sempre tuo padre e come tale merita il rispetto dovutogli per averci messi al mondo e per averci comunque tirati su facendoci essere quello che siamo. Marco scelse come specializzazione quella dell’infermiere con la speranza che alla fine del corso e con la rafferma obbligata di 5 anni fosse comandato a svolgere il suo servizio all’ospedale militare di Bari (dove chissà anche a distanza di tempo avrebbe forse potuto rincontrarsi con Luana). Il corso da infermiere si rivelò più impegnativo di quanto egli supponeva, ma il suo livello culturale gli permise di affrontare i vari esami con ottimi voti tanto che i colleghi e le colleghe del corso di Infermieristica lo soprannominarono con il nome di “ il puffo laureando”. Durante il tempo ato a Bologna si creò un gruppo di colleghi molto uniti con cui uscivano spesso insieme quando erano liberi da impegni legati ai vari tirocini e alle varie lezioni teoriche. Il suo gruppo comprendeva specialmente Mauro (un romano donnaiolo), Antonio (un casertano a cui piaceva la buona cucina) e Salvatore che era di Avellino il quale avendo il cognome Lota gli affibbiammo il soprannome di “ lota u pilota”. Al gruppo si aggiungeva spesso Umberto (un sardo bravo a disegnare a mano libera) ma che purtroppo a causa della sua timidezza rimaneva molto spesso da solo in caserma e solo noi riuscivamo a convincerlo ad uscire con noi specie quando gli prospettavamo di andare sui colli del bolognese in una trattoria dove si mangiava bene, spendendo poco e degustando cacciagione locale e una pasta e fagioli buonissima.
Mauro il romano conobbe durante un tirocinio al C:T:O: una ragazza del luogo di nome Mascia, con la quale finì col fidanzarsi staccandosi così dal gruppo; io invece continuavo a cercare di tenerlo unito e mi capitava spesso di dover dare ripetizioni di Anatomia ad Umberto che tra gli altri era quello che incontrava molte difficoltà nello studio di varie materie. Purtroppo il destino non volle che si verificasse l’eventualità che lui sperava, cioè di tornare a Bari, bensì egli appena seppe tramite il fratello maggiore, che la destinazione finale sarebbe stata l’ospedale militare di Udine scoppiò in lacrime amare e tra sé e sé si disse pronto a lasciare l’esercito pur di non andare ad Udine. A Bologna mancavano pochi mesi di corso quando seppe quella notizia che avrebbe sconvolto i suoi piani, tuttavia l’unica persona di cui si fidava cioè la monitrice (Oriella), gli diede una buona notizia e cioè che la scuola gli poteva rilasciare un attestato (dove risultavano sia gli esami superati che il monte ore dei vari tirocini già sostenuti), con il quale avrebbe potuto completare il corso e relativo esame di stato, presso qualsiasi altra scuola infermieristica d’Italia. Lasciato l’esercito, contro il parere del padre, egli finì il corso di Infermiere a Foggia conseguendo un buon risultato. Infatti all’esame di stato si diplomò con 63/70 .
Cap. 3°: - L’indipendenza.
Marco divenne Infermiere e,sbrigò velocemente le burocratiche pratiche d’iscrizione al relativo Collegio Infermieristico ed all’ufficio di collocamento; quindi per l’ennesima volta fu costretto a lasciare la terra natia in quanto durante quel periodo speranze di trovare lavoro al sud non ce n’erano, per ciò decise di recarsi a Milano dove sembrava che la famosa “carenza di personale infermieristico” avrebbe risolto finalmente il problema lavoro. Infatti dopo poco tempo iniziò a lavorare come infermiere presso una clinica privata di Milano dove gli diedero anche un alloggio oltre alla possibilità di poter usufruire del servizio mensa aziendale; lì fece le prime esperienze professionali anche grazie alla collaborazione di Dora una collega esperta che gli faceva quasi da tutor e che l’aveva preso in simpatia, il lavoro man mano che ava il tempo gli piaceva sempre più specie sotto l’aspetto umano gli dava molte soddisfazioni quando le persone lo ringraziavano dicendogli: - Sei un angelo mandato dal cielo per prendersi cura di noi. A fine mese provò finalmente il piacere di poter disporre dei suoi meritati soldi e di essere indipendente almeno sotto l’aspetto economico, ma spesso solo nella sua stanza pensava al suo angelo, Luana e si rattristava al solo pensiero di non poterla più incontrare. Dora il mattino dopo a lavoro notò il suo viso imbronciato e gli disse: - Sù con la vita, sei bello come un angelo quando sorridi, i tuoi occhi si illuminano, non lasciarti avvilire dal ato; le sue parole sagge e scherzose riuscivano a cancellare dalla mia mente la tristezza e così iniziavamo a lavorare serenamente badando di essere esaustivi verso le persone che accudivamo. Dopo circa tre mesi di lavoro, Marco pensò di aver messo da parte un piccolo gruzzoletto da utilizzare per acquistare un auto che gli consentisse di muoversi e circolare liberamente senza l’assillo degli orari dei mezzi pubblici, l’auto che scelse fu una utilitaria giovanile la A112-junior 900 di cilindrata, color avorio con paraurti e barre laterali di color nero.
Usò i suoi risparmi per l’anticipo e la rimanente somma la rateizzò con un finanziamento triennale. Il mattino seguente arrivò al lavoro contento per l’acquisto e Dora la sua collega notando la sua buona lena gli chiese il motivo del suo stato, Marco gli racconto della nuova auto appena comprata; Dora scherzando gli disse: - Ora ti tocca bagnarla offrendoci almeno un caffè a tutta l’equipe, e Marco rispose che non c’erano problemi, ma Dora subito dopo gli elargii un consiglio quasi materno dicendogli di stare attento soprattutto alla guida nonché di farne un uso opinato in base alle sue entrate; inoltre gli suggerì di chiedere alla signora Fumagalli il permesso di parcheggiare la macchina quando era ferma, nel cortile della clinica in modo da preservarla da eventuali furti o atti vandalici, che contrariamente si sarebbero potuto verificare lasciandola parcheggiata in strada. Appena ebbero l’occasione di recarsi in direzione, Dora lo accompagnò per avvallare la sua richiesta che ebbe esito positivo in quanto la signora Fumagalli gli rispose con queste testuali parole: - Marco sono già trascorsi circa 5 mesi da quando lavori con noi e devo ammettere che tutta l’equipe con cui lavori è soddisfatta di te, la tua richiesta è accordata , con l’invito a continuare a lavorare bene in modo da mettere la Direzione in condizioni di essere propositiva verso future richieste di aiuto plausibili.
Cap.4°: - L’incontro.
Alcuni mesi dopo, Marco fece conoscenza con un collega, Gianni, che lavorava come infermiere presso il “C.Besta” di Milano ed era originario di Bari; tra i due nacque un rapporto d’amicizia che si consolidava col are dei giorni. Inoltre nel frattempo fu chiamato a lavorare presso l’Istituto Nazionale per lo studio e la cura dei Tumori di Milano in chirurgia toracica; fu entusiasta del cambiamento anche se un po’ gli sarebbe mancata la rassicurante presenza di Dora, ma in compenso ci guadagnò in quanto dove lavorava adesso era un istituto a carattere scientifico e lo stipendio era significativamente maggiore , inoltre la direzione metteva a disposizione degli infermieri fuori sede dei monolocali in affitto a prezzi modici. La luce rossa della radiosveglia segnava le 18,30, c’erano ancora due ore di luce poi il sole del tramonto avrebbe lasciato il posto alle prime ombre della sera ed il vento avrebbe rinfrescato l’aria, permettendo così di poter uscire senza l’assillante calore del sole d’agosto. Il guanciale del mio letto e le spalline della mia canottiera erano intrise di sudore. Aprii le persiane della stanza da letto e lasciai che gli ultimi raggi di sole invadessero completamente la stanza, nel frattempo mi ero sfilato la canottiera e le mutande per lasciarmi avvolgere dal fresco getto d’acqua della doccia. Rimasi sotto quel getto ristoratore per più di 10 minuti, poi infilatomi l’accappatoio, mi recai nel cucinino dove mi preparai un caffè e subito dopo averlo bevuto accesi una sigaretta nell’attesa di un qualsiasi evento. Tale evento non tardò a farsi sentire, infatti la suoneria invadente del mio telefonino mi distolse da ogni pensiero. - Pronto chi parla? - Marco, sono Gianni, ti ho chiamato per svegliarti e per ricordarti che questa
sera usciremo insieme tutti, con Irene e Luana. Nel sentire quel nome mi si accapponò la pelle, anche se chiaramente non poteva trattarsi della stessa persona. Sì ma dove andiamo, hai già un’idea, o come al solito devo pensarci io? Senti ci incontriamo tutti a casa di Irene, dove andare poi si vedrà, l’importante è che non ci fai aspettare come al solito. Senti, Gianni, non iniziare con le tue solite prediche, mi sono svegliato da poco e come ben sai ho fatto il turno di notte, per cui stai tranquillo cercherò di essere a casa di Irene per le ore 21, ok, ciao a dopo. Tornai ad occuparmi delle mie faccende, ma la mia mente non riusciva a non pensare a lei, Luana. Come ci si sente soli in una grande città come Milano, è straordinario, la gente ti a accanto quasi senza neanche accorgersi della presenza altrui, lasciandoti la sensazione di essere fuori dal mondo. Pur di non restare tagliato fuori ero disposto a frequentare amicizie occasionali che a volte riuscivano solo a farmi sentire un orso solitario. Luana, dopo tutto non era altro che un nome a cui mi sforzavo di dare un volto, un’identità. Mi chiedevo: Sarà alta, bassa, magra oppure grassa, e le parti basse, l’avrà belle alte, rotonde come un mandolino, oppure basse come un contrabbasso? Non so voi, ma io preferisco quelle che hanno il sedere a mo’ di “mandolino”, ed è una delle parti femminili che più attira le mie attenzioni. Era la prima volta che incontravo Luana, certo di donne prima ne avevo conosciute tante, più o meno belle, ma ciò nonostante sentivo addosso, una tensione unica. Il mio sub-conscio evidentemente captò che non sarebbe stato il solito, semplice
incontro tra due ragazzi. Lo sguardo rivolto sull’orologio che segnava le 20; mancava solo un’ora. Già mi vedevo incolonnato, nel traffico cittadino e procedendo a zig-zag, mi affrettavo cercando di essere puntuale. Aprii l’armadio, alla ricerca di qualcosa da indossare, qualcosa che mettesse, in risalto uno dei miei pregi, dal punto di vista caratteriale, la discrezione e la inequivocabile tenacia di chi sa dove vuole arrivare. Scelsi un pantalone color ghiaccio ed una camicia bianca gessata di nero, abbinai una cravatta in seta con fiori grigi e neri. Indossai il tutto in fretta e poi d’avanti allo specchio a conferma di un pizzico di vanità, con calma osservai la mia figura riflessa allo specchio, assicurandomi che tutto quadrasse.
Cap.5°: - Nascita di un nuovo amore.
Ero tutto a posto, presi l’occorrente: chiavi di casa, della macchina, portafoglio, sigarette con relativo accendino e varcai l’uscita con destinazione “casa di Irene”. Strano adirsi quella sera riuscii ad essere puntuale, giù al portone della casa di Irene c’erano già tutti; parlottavano, ridevano e scherzavano quando il suono del clacson della mia auto li fece trasalire. - Ciao Marco, sei riuscito ad essere puntuale, mi disse Gianni. - Ciao, buona sera a tutti, risposi . - Vieni ti presento Luana, mi disse Irene. - Piacere, Luana. - Piacere mio, Marco, le dissi inchinandomi alla sua bellezza e baciandole la mano. Poi, rivolgendomi a tutti chiesi: - Allora avete deciso cosa fare e dove andare ? Diversamente propongo di andare a cenare da qualche parte e poi se siete tutti d’accordo andiamo in discoteca al “Parco delle rose” a scatenarci un po’. Furono tutti d’accordo, per cui dopo aver cenato, andammo tutti a ballare in discoteca. Luana con una disinvoltura più unica che rara, si scatenò mostrando di sapersela cavare con qualsiasi tipo di ballo, ciò che apprezzai di lei fu la naturalezza con la quale si proponeva nei vari argomenti, la schiettezza di pensiero, la sincerità. Uscimmo dalla discoteca che erano quasi le 02, non ancora soddisfatti decidemmo di andare a mangiare una fetta di anguria al chiosco
dell’angolo di via Turati, dopo purtroppo le ragazze vollero rincasare e riuscii solo a fissare un appuntamento con Luana per il pomeriggio successivo, da soli a casa mia. Quella notte ci misi un po’ ad addormentarmi, la mia mente non faceva altro che propormi situazioni vissute poco prima, quasi come se le volesse esaminare, attentamente, e tuttavia non riscontravo nulla che non quadrasse con i miei proponimenti per cui mi ripromisi che quell’incontro avrebbe avuto comunque un seguito. Il giorno successivo tornato dal lavoro, mi feci subito una bella doccia rinfrescante e quindi finito di asciugarmi, indossai una tuta ginnica e mi affrettai a mettere un po’ di cose in ordine. Poi con tutta calma, recatomi in cucina preparai una moka di caffè e mi distesi sul divano per rilassarmi un po’ con lo stereo che andava in sottovoce. Il suono del citofono interruppe la quiete atmosfera, e mi affrettai a rispondere: - Chi è ? - Ciao, Marco sono Luana. - Ciao, Luana Sali su, sono al terzo piano, così ne approfittiamo per prenderci un buon caffè, prima di uscire. Salì, suonò alla porta che aprii prontamente, e la invitai ad accomodarsi nel frattempo che venisse su il caffè; le feci vedere il piccolo appartamento in cui vivevo e lei si complimentò per l’ordine che regnava. Il rumore della moka in cucina ci avvisò che il caffè era pronto, quindi, versai il caffè in due tazzine e le chiesi se lo preferiva prenderlo con una spruzzatina di panna montata; rispose sì e degustammo tranquillamente, parlottando del più e del meno, quando ci accorgemmo che il sole si avvicinava al tramonto e con uno sguardo d’intesa, ci affrettammo a mettere in ordine tutto per poi uscire di casa ed andare ad ammirare lo spettacolo del tramonto fuori all’aria aperta, cioè al parco più vicino. Al parco Lambro conoscevo un posticino appartato con tanto di panchina e relativa vista panoramica sul fiume, e fu lì che finii col dargli il primo bacio,
subito seguito da un tenero abbraccio quasi a volerla rassicurare che tutto ciò era scaturito da un sentimento evidentemente reciproco e non da egoistico maschilismo. Tornammo a casa mia alle 21 circa, mi cambiai per poi uscire subito dopo ancora in sua dolce compagnia; andammo a cenare presso la trattoria “La Giara” dove potemmo gustarci specialità pugliesi, dopo cena la accompagnai fino sotto casa sua, augurandole la buona notte con un lunghissimo bacio. arono tre lunghissimi giorni senza che riuscissimo ad incontrarci, gli impegni di lavoro di entrambe non ci permettevano di vederci quotidianamente, per cui quando ci riuscivamo, cercavamo l’intimità, piuttosto che la presenza dei nostri amici. Durante uno di quest’ultimi incontri, senza che nessuno di noi, l’avesse preventivato, ci ritrovammo soli a casa mia e finimmo col fare l’amore per la prima volta. Lo stereo andava in sottofondo con musiche da camera, in camera la luce soffusa che penetrava dalle persiane chiuse, rendeva l’atmosfera rilassante ed il silenzio che regnava era interrotto soltanto dai nostri baci, dai nostri sospiri; quel pomeriggio inoltrato segnò sicuramente una tappa importante per la vita di entrambe, ma inesorabilmente, come sempre accade, a tutte le cose belle della vita, finì troppo presto.
Cap.6°: - Amore in corso.
Così, facendo l’amore ogni volta che potevamo, a volte parlottando tra di noi, programmavamo il nostro futuro tenendo presente unicamente le nostre esigenze estraniandoci dal mondo intero. Il nostro rapporto si fondava non solo sull’amore ma soprattutto sul rispetto reciproco, sulla comprensione verso il partner di cui nutrivamo una fiducia quasi cieca; lei infatti concordava i miei principi ed inoltre preferiva sempre la verità piuttosto che la menzogna. Con questi proponimenti il nostro rapporto sarebbe stato sicuramente duraturo ed inoltre, specialmente da parte mia, facevo di tutto pur di renderlo vivo, mai noioso come il cielo grigio d’inverno. Il mio carattere dotato di una buona dose di inventiva, facilitava il compito e con l’ausilio della complicità di Luana che era aperta ad ogni tipo di esperienza, pur di rendere interessante il nostro rapporto. Chi lo avrebbe mai detto che il sottoscritto potesse vivere una storia d’amore, così importante, da non riuscire più a pensare di poter vivere senza di lei. Luana mi era entrata nel cuore, nella mente , nell’anima; solo lei riusciva a dare un senso ai giorni miei, che avano velocemente pieni di gioia ogni qualvolta li trascorrevo in sua compagnia. Stavo vivendo la storia d’amore che tutti aspettano con ansia ed avevo paura che la noia potesse in una qualche maniera infrangere i miei sogni nel cassetto, ed è per ciò che mi concentravo nel cercare di vivere il più intensamente possibile ogni attimo della nostra storia d’amore. Solo noi e la nostra irrefrenabile voglia di stare assieme, riusciva a dare un senso alla mia vita; ma ciò nonostante sentivo qualcosa che non mi convinceva; era il timore che prima o poi qualcosa andasse storto, che avrebbe finito col stroncare sul nascere la storia del nostro amore. Naturalmente non sapevo di preciso cosa sarebbe successo, però continuavo ad
avere la netta sensazione che tutto sarebbe finito, in un niente, così come era iniziato. Anche Luana si accorse che c’era qualcosa che mi angosciava l’esistenza e fece di tutto per scoprire cosa fosse; e quando le confidai che si trattava del timore di perderla per sempre, mi tranquillizzo dicendomi: - Non smetterò mai di amarti, neanche per un istante, e solo la morte potrebbe dividerci. Così dicendo , Luana riuscì a tranquillizzarmi ed a ulteriore prova che dicesse il vero, mi abbraccio teneramente concedendosi ancora a me, con una ione tale da non lasciare il benché minimo dubbio. L’altra cosa che non capivo di lei era il fatto che contrariamente a me, lei non mi parlava mai del suo ato che per me restava un mistero; un giorno tirai fuori l’argomento chiedendogli che mi confidasse qualcosa del suo ato e lei rispose semplicemente che anche lei era orfana di madre, ed il padre si era risposato con l’attuale matrigna Olga Gerini, con cui non andava d’accordo ed era per ciò che si trovava sola a Milano, dove si guadagnava da vivere lavorando dignitosamente, libera di vivere la propria vita come meglio credeva. Il padre invece a cui lei teneva molto, dopo pochi anni trascorsi con la nuova moglie, si ammalò anche lui di una malattia incurabile che lo portò alla morte quando lei era da poco fuggita dalla sua matrigna. Aggiunse che pur avendo lasciato una cospicua eredità, il padre essendosi sposato con la signora Olga, e non avendo fatto alcun testamento, la legge affidò il tutto alla vedova Olga Gerini. La madre naturale si chiamava Dora, le mancava molto, ma lei quando il padre si risposò, giurò sulla tomba di sua madre che non avrebbe mai dato modo alla sua matrigna di entrare a far parte della sua vita, rinunciando così ad una vita agiata che avrebbe potuto condurre se al contrario accettava i voleri della matrigna. La signora Olga tuttavia, forse per scrupolo verso il defunto marito, ogni tanto si limitava a telefonargli giusto per sentire come stava.
Cap.7°: - L’insidia.
Un fremito conturbante aleggia continuamente nell’aria, insidiando l’esistenza umana, serpeggiando come una bestia appiccicosa ed immonda, il male; egli colpisce la gente senza alcuna avvisaglia, rendendola succube ed inerme, di fronte alla sua malvagità. Erano già ati diversi giorni ed al lavoro notarono un calo fisico, tale da preoccupare anche il Dr.Cataldi che mi convinse ad effettuare un check-up completo di esami, per cercare di capire cosa mi stesse succedendo. La maggior parte di tali esami furono negativi, ma una TAC spirale del torace, evidenziò delle aree a livello della base polmonare di sinistra di incerta interpretazione, e quindi si rese necessario eseguire una toracotomia esplorativa per poter fare una diagnosi certa ed eventuale lobectomia. Durante quei giorni, pur di non farla soffrire, evitai di vederla tenendola all’oscuro di quanto mi stava accadendo; quando mi chiamava, le rispondevo, mentendo, che gli impegni di lavoro non mi consentivano di poter vederci. Arrivò finalmente l’esito delle biopsie effettuatomi durante l’intervento, per mia fortuna, si trattava di alcuni noduli asportati il cui esame istologico, escludeva trattarsi di carcinoma polmonare, e si trattava di adenomi suscettibili di trattamento chemioterapico, la quale avrebbe dato buoni risultati terapeutici. Quando il Dr.Cataldi seppe che avevo una storia d’amore con Luana e che l’avevo tenuta all’oscuro di tutto, mi rimproverò fermamente di tale mio comportamento nei confronti di Luana, e mi disse di avvisarla subito, in quanto, a suo parere la lotta contro il male che mi stava affliggendo, necessitava anche della collaborazione e del sostegno psicologico di una persona cara. Era quindi evidente che mi sbagliavo, e corsi subito al riparo del suo cuore chiedendogli scusa, lei accetto le mie scuse e fu così che uniti e coadiuvati dal Dr.Cataldi, affrontammo insieme il male, fino a sconfiggerlo in modo definitivo. Anche Gianni ed Irene mi furono vicini durante quel tremendo periodo nero, e tre mesi dopo, grazie al mio angioletto custode, Luana e grazie alla mia forza di volontà, ne venni fuori alla grande tanto che ulteriori accertamenti, effettuati
dopo le cure, risultarono tutti negativi ed il Dr.Cataldi mi dichiarò clinicamente guarito in quanto la remissione della sintomatologia, e la negatività degli accertamenti eseguiti, persisteva da più di sei mesi. Il reparto dove lavoravo assistendo tanta gente bisognosa di cure, si rivelò vincente contro il male anche nel mio caso; ciò mi fece capire l’importanza di non essere soli ad affrontare il male bensì uniti nell’amore dei propi cari, e credendo nella fede in Dio, che non ci lascia mai soli specie nel momento del bisogno. Egli ci affida un angelo custode per la nostra salvaguardia contro il male.
Cap.8°: - La signora Olga.
Nel frattempo la matrigna di Luana si era sentita più volte telefonicamente con la figliastra, e l’ultima volta notò nel tono di voce di Luana che c’era qualcosa che l’angosciava, per cui concluse la telefonata anticipandole che in occasione della fiera campionaria, sarebbe venuta a Milano, per rendersi conto personalmente della situazione. Ciò, rese Luana particolarmente infastidita in quanto non gradiva la visita della matrigna; suo malgrado, alle 6,10 del giorno dopo, era in stazione centrale ad aspettare l’arrivo del treno proveniente da Venezia a bordo del quale viaggiava la signora Olga. Il treno arrivò al decimo binario con soli 10 minuti di ritardo, la signora Olga scese dal treno con un paio di valige al seguito, e chiamava un facchino per le valige, Luana la notò tra le altre persone e le andò incontro salutandola e dandole il benvenuto a Milano; io arrivai un po’ in ritardo in stazione, ma appena le vidi mi precipitai per aiutarle con le valigie, notando che presi le valigie, la signora Olga, come un’isterica iniziò a gridare: - Aiuto ci stanno rubando le valigie!! - Ma no, mamma ma cosa dici ? Calmati, lascia che ti presenti; lui è Marco, il mio ragazzo e ci sta’ solo aiutando a portare le valigie fino alla macchina, che è qui fuori al parcheggio della stazione. - Dunque lui sarebbe il tuo ragazzo, ora capisco perché ultimamente per telefono mi sembravi preoccupata, è lui il motivo delle tue preoccupazioni. Ti sbagli di grosso mamma, rispose Luana, mentre uscivamo dalla stazione. Una volta fuori la signora Olga chiamò un taxi sul quale si fece caricare le valigie, diede l’indirizzo dell’albergo dove avrebbe alloggiato, e di conseguenza costrinse Luana a seguirla sullo stesso taxi ed ebbe appena il tempo di dirmi: - Abbi pazienza, poi dopo a casa tua ti spiego tutto con calma.
Partirono col taxi, lasciandomi allibito; ma subito mi ripresi da quello sbigottimento e giunto alla macchina vi salii avviandomi verso casa mia. L’ingratitudine di quella donna nei miei riguardi, non solo mi rese furioso ma bensì, capii come l’egoismo umano finisca sempre per prevalere sulla ragione, per cui mi chiedevo che razza di “madre” fosse per comportarsi in tale modo. E’ ovvio che conoscevo troppo poco quella donna per riuscire a trovare una risposta immediata; per cui giunto a casa decisi per il momento di ignorare l’accaduto ed avvilito e stanco, sul divano finii con l’addormentarmi nonostante i mille pensieri che affollavano la mia mente. All’improvviso, lo squillo insistente del telefono mi svegliò e per un attimo lungo quasi un’eternità (‘ ngap a me pensai di distruggerlo quello strumento a volte invadente), ma poi semplicemente mi rimproverai di non averlo spento prima. - Pronto, chi parla ? - Sono io, Gianni, rispose. - Oh, ciao Gianni, sei tu !? - Certo che sono io, chi pensavi o speravi che fossi. Come stai? - Bene, grazie di aver chiamato avevo proprio bisogno di parlare con qualcuno che riuscisse a tirarmi su di morale. - Per ora accontentati di esserti tirato su da quel divano, piuttosto dimmi la tua ultima conquista è lì con te? Vi và di uscire? - Di uscire mi và; ma sappi che sono solo, Luana è a casa sua, o in albergo insieme alla madre, e per il momento è meglio così. - Perché ,cos’è successo? Avete bisticciato, chiese lui. - Smettila di fare l’ispettore dei miei stivali, gli risposi, chiedendogli però di raggiungermi a casa. Alle 17,30 il suono del citofono annunciò il suo arrivo, non di Gianni, ma di
Luana. Marco, ciao sono Luana, mi apri? Le aprii la porta e mi preparai a riceverla come si conviene ad un vero gentleman. Ciao, scusa il disordine, mi ero appisolato sul divano e non speravo di rivederti così presto. No, anzi sono io che devo scusarmi per quel che è successo stamattina, mi rispose, forse pensando di addolcirmi l’animo. Ciò che non riuscivo a spiegarmi era il fatto che non capivo per quale motivo mi parlò del suo ato solo poco tempo fa’, e perché non mi avvisò per tempo della malvagità della matrigna. Gli interrogativi si accavallavano nella mia mente e sembrava quasi non finissero mai. Luana indossava una gonna piuttosto corta e accomodandosi sul divano, finì con l’accavallare le gambe ben tornite, risvegliando in cuor mio il mio pig-malione che attratto dalle sue curve suadenti, finì tra le sue gambe in un attimo lungo un secolo d’eternità. Il suono del citofono ci sorprese ancora avvinghiati in un magico abbraccio. Frettolosamente indossai una vestaglia e nel contempo lanciai un accappatoio in direzione di Luana, chiusi la porta della camera e mi accinsi verso la porta d’ingresso per aprire a Gianni di cui nel frattempo mi ero dimenticato.
Cap.9°: - L’imprevedibile Gianni .
Certo il motivo per cui mi ero dimenticato di Gianni, era più che valido, ma non riuscii a non aprirgli, per cui mi scusai di averlo fatto aspettare forse un po’ troppo dietro la porta, e lo feci accomodare in cucina con la scusa di essermi riappisolato. Quando poi vide Luana che sgattaiolava verso il bagno, capì che a volte 1+1 non fa’ 2 ma bensì, infinito; allora borbottando uscì di casa dicendomi: - Potevi dirmelo prima!!! Luana non sembrò affatto infastidita della improvvisa venuta di Gianni, anzi sembrava compiaciuta di essere stata vista insieme a me; quasi stupita dal fatto che fosse andato via così presto, si rivolse a me dicendo: - Come mai è fuggito via senza neanche salutarmi, è la prima volta che si comporta così !!? Le risposi semplicemente dicendogli: - Non sarà mica geloso di te ? E lei borbotto, ma cosa dici, lui ha la sua Irene che si occupa di lui tenendoselo ben stretto. Affermò inoltre di stimarlo perché gli diede modo di conoscerci e che quindi anch’io avrei dovuto fare altrettanto. L’interruzione forzata, e il piccolo diverbio con Gianni, mi resero nervoso per cui conclusi pregandola di rivestirsi e di tornarsene da sua madre. Andò via salutandomi, e con un velo di tristezza negli occhi, mi disse, ciao , ci rivediamo se vuoi, quando ti sarai calmato. Nel frattempo la matrigna di Luana, la stava disperatamente cercando per persuaderla dal fatto di stare con me, in poche parole era contraria al nostro
rapporto, e quando dalla figliastra seppe gli ultimi eventi, concluse il suo dire chiedendogli di lasciarmi definitivamente. Luana prese le mie difese, nei confronti della matrigna cercando di fargli capire che non ero la persona che pensava la signora Olga, ma bensì un uomo onesto e laborioso con principi di comportamento sani e rispettosi verso se stesso e verso il prossimo. Visto la caparbietà di Luana, alla signora Olga non restò che accettare le sue decisioni, per cui il giorno dopo ripartì andandosene a casa. Gianni, approfittando del nostro bisticcio, durante una festa organizzata da Irene alla quale non potetti partecipare in quanto febbricitante, fece delle avances verso Luana che fermamente respinse in quanto era ovviamente ancora innamorata di me. La febbre ò, e di ritorno dal lavoro, incontrai casualmente Luana mentre era diretta all’Esse Lunga per fare la spesa. Ciao, Luana come stai ? Ciao, Marco, bene e tu ? Sono stato a letto per alcuni giorni con l’influenza, ma ora sto bene, e tu dove stai andando? A fare la spesa, rispose con tono invitante. Allora se tu vuoi ti faccio compagnia, così stiamo un po’ insieme. Certo che sì rispose, lo sai che con te vicino mi sento sicura. Entrammo nel supermercato e mentre faceva la spesa, mi disse che Gianni ci aveva provato a mettersi con lei, e che lei rifiutò categoricamente le sue avances poiché era sempre più innamorata di me. Io mi limitai semplicemente a dirgli: Hai capito, vatti a fidare degli amici!!
Cap.10°: - Il dolce epilogo.
Irene che naturalmente essendo amica di Luana, si confidavano tutto seppe del comportamento scorretto di Gianni nei nostri riguardi, e ciò nonostante siccome evidentemente l’amava, lo perdonò facendosi però promettere fedeltà per il futuro. Anche io quando incontrai Gianni, alcuni giorni dopo tali eventi, lo perdonai puntualizzando che il suo modo di fare aveva messo a repentaglio un rapporto d’amore ( tra me e Luana ), nonché la nostra amicizia. Egli chiese scusa, confidandomi che ci teneva comunque alla nostra amicizia e che per il futuro non sarebbero più successe cose simili. Naturalmente accettai le sue scuse e lo rincuorai dicendogli: - Io credo nel sentimento dell’amicizia quando questa si basa sul rispetto reciproco, e non si allontani dall’amore verso il prossimo. Riappacificati gli animi, il rapporto tra me e Luana riprese vigore e ciò inevitabilmente mi porto a mettere al corrente i miei parenti del nostro amore, e che avevamo serie intenzioni di coronare il nostro sogno, cioè di convogliare a giuste nozze. Anche Luana come me credeva fosse giunto il momento di unirci in matrimonio e quindi trascorso giusto il tempo necessario per preparare il tutto ci sposammo con l’intento di amarci per tutti i giorni a venire, con fedeltà, onorandoci a vicenda e accogliendo responsabilmente l’eventuale prole che il Signore avesse voluto donarci. Quella giornata fu per noi indimenticabile e fondamentale perché rappresentava il giusto coronamento del nostro idillio e decidemmo di are la nostra “ luna di miele” a Roma, la città eterna; come appunto eterno ci augurammo fosse il nostro amore. Il mio angelo custode, già me lo vedevo gioire insieme a noi, ed io ringraziandolo della sua custodia, pregai Dio di continuare ad instradarmi per le
vie dritte che portano a godere della luce del suo volto. Poiché sia io che lei vivevamo in case diverse, in affitto; decidemmo di unire le forze per comprarci una casa tutta nostra, strano a dirsi in quella circostanza, anche mio padre fu d’accordo con noi e come regalo di nozze ci elargì una cospicua somma di denaro che usammo come anticipo per comprare casa, la restante parte del prezzo la coprimmo con un mutuo decennale che la banca, essendo entrambe lavoratori a tempo indeterminato, non ebbe alcuna difficoltà ad accordarcelo. Noi facemmo un po’ di conti e per poter arredare la casa, chiedemmo una cifra maggiore, che ci consentisse di acquistare gli arredi. Dopo un paio d’anni Luana rimase incinta, e nove mesi dopo Dio ci fece il dono di avere il nostro primogenito a cui decidemmo di dargli il nome di Angelo. In onore del nostro angelo custode, e col volere di Dio, dalla unione del nostro amore , come frutto del nostro volerci bene, nostro Signore Iddio volle dimostrarci la sua benevolenza donandoci la luce di un nuovo volto; il volto di nostro figlio.
ANGELO PAGANO Autore, poeta, scrittore. Nato a Trinitapoli 1/7/1959 Indirizzo di posta elettronica:
[email protected] Dello stesso autore: - Luci dal Fondo; - Il ventaglio della signora Norha.