Letizia Bernardi Cavalieri
La dieta "su misura"
LA DIETA “SU MISURA” Manuale Pratico di Bioterapia Nutrizionale Letizia Bernardi Cavalieri
Collana “Olos” a cura di Carla Casazza
ISBN 9788893370042
copyright © 2015 Antonio Tombolini Editore digital rights reserved Via Villa Costantina, 61, 60025 Loreto Ancona Italy
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Immagine di copertina a cura di Marta D’Asaro
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com) un prodotto di Simplicissimus Book Farm
Indice dei contenuti
Introduzione Il metodo Regolazione della glicemia Stimolo epatico Drenaggio d’organo Drenaggio epatico Drenaggio renale Le premesse della Bioterapia Nutrizionale Importanza della regolazione della glicemia Assicurare un corretto carico glicemico complessivo del pasto I danni del glucosio circolante e dell’insulina Fegato, laboratorio delle meraviglie Sostegno epatico Piccoli rimedi di pronto intervento Il significato dell’attivazione epatica I diversi stimoli metabolici attivabili con la dieta Stimoli fisiologici interni
Quali stimoli metabolici scegliere? Stimolo epatico e biliare Gli effetti dello stimolo metabolico del fritto Lo stimolo metabolico mediante l’utilizzo di alimenti soffritti Lo stimolo metabolico della vitamina C Lo stimolo metabolico dato dalla vitamina A Lo stimolo del ferro Lo stimolo metabolico dello iodio “Stimolare a monte, drenare a valle” Linee guida di Bioterapia Nutrizionale 1) Fornire all’organismo informazioni semplificate 2) Proporre alimenti non inquinati 3) Formulare una dieta “su misura” dello specifico bagno ormonale 4) Proteggere il Sistema Immunitario dall’infiammazione Quali strategie nutrizionali per il controllo dell’infiammazione? 5) Ripristinare un equilibrato rapporto tra gli acidi grassi essenziali AA/EPA 6) Eliminare gli alimenti che aumentano lo stato di intossicazione endo-gena 7) Contrastare l’iperinsulinismo 8) Abbassare il livello di eccitabilità 9) Neuromodulare il Sistema Nervoso
10) Fornire una dieta ricca di enzimi • L’enzima glutatione • Come aumentare la sintesi del glutatione 11) Facilitare il drenaggio e il sostegno degli emuntori 12) Distribuzione dei pasti per la regolazione dell’equilibrio glicemico Perle di consigli per diminuire l’infiammazione Importanza della prima colazione Proteggere il fegato dalle tossine Alimenti ad azione specifica antinfiammatoria Il ruolo degli antiossidanti nella dieta Vitamine antiossidanti dalla natura Minerali ed oligoelementi Bioaccessibilità e biodisponibilità degli alimenti Antinutrienti presenti negli alimenti Alimenti contenenti ossalati. Alimenti contenenti fitati Modalità di preparazione degli alimenti Crudo o cotto? I diversi metodi di cottura degli alimenti Modalità di preparazione del fritto
Accorgimenti da adottare per cucinare una sana frittura Scelte alimentari Composizione dei pasti Le ragioni di una dieta La dieta dimagrante nelle diverse costituzioni. Le diverse costituzioni organiche LA COSTITUZIONE EPATICA Linee guida nella costruzione di una dieta per la costituzione epatica PRECAUZIONI LA COSTITUZIONE SURRENALICA Linee guida nella costruzione di una dieta per la costituzione surrenalica LA COSTITUZIONE PANCREATICA Linee guida nella costruzione della dieta nella costituzione pancreatica Le altre tipologie costituzionali Schema alimentare per la dieta dimagrante La dieta per la costituzione epatica La dieta per la costituzione pancreatica La dieta per la costituzione surrenalica L’utilizzo dello stick urinario per la valutazione della dieta
a Domenica Arcari Morini
Introduzione
La Bioterapia Nutrizionale® è un sistema di scelte nutrizionali, messo a punto dalla Dott.ssa Domenica Arcari Morini, che è in grado di influire sulle funzioni organiche del corpo umano per preservarne lo stato di salute o per intervenire a sostenere le funzioni fisiologiche con rimedi naturali, anche in caso di malattia. L’obiettivo di questa metodica è quello di insegnare a ciascuno a mangiare in modo corretto per il proprio organismo per recuperare la salute o per conservarla. Noi tutti sappiamo che la nutrizione provvede al rifornimento energetico, alla costruzione e riparazione dei tessuti e alla regolazione dei processi metabolici. Tutto questo però avviene se i diversi nutrienti sono ben associati e se c’è un corretto equilibrio tra i diversi macronutrienti: carboidrati, proteine e lipidi, accanto ad un sufficiente apporto di vitamine e sali minerali. Ma non basta. Quello che viene aggiunto con questa metodica è che l’alimento deve essere vivo e vitale, alterato il meno possibile dalla cottura, escludendo dall’alimentazione tutto quello che è manipolato industrialmente, conservato, contenente additivi chimici, perché questi processi fanno perdere agli alimenti la caratteristica della vitalità e della biodisponibilità. Inoltre è importante conoscere le diverse combinazioni possibili tra i micronutrienti e gli effetti che i micronutrienti contenuti negli alimenti producono sinergicamente sulla fisiologia di quel singolo organismo. E sulla sua specifica costituzione. I tre cardini della Bioterapia Nutrizionale® si basano quindi sulla regolazione della glicemia, sullo stimolo epatico e sul drenaggio d’organo per facilitare il recupero delle funzioni fisiologiche individuali. Gli alimenti banditi sono quelli definiti “cibo spazzatura” e quelli manipolati industrialmente, conservati. Le consulenze suggeriscono il metodo di cottura, l’associazione tra i diversi alimenti, gli accorgimenti per abbassarne il carico glicemico in modo da
assicurare un corretto contributo di zuccheri, sufficienti per le funzioni organiche e costanti nell’organismo, senza pericolose oscillazioni glicemiche. La Bioterapia inoltre si serve dello studio delle costituzioni derivante dalla Medicina Tradizionale Cinese per personalizzare le consulenze. Conoscere le peculiarità delle diverse tipologie ci consente di prevedere anche le risposte di quell’organismo al metodo.
Il metodo
Il metodo si basa fondamentalmente sull’attivazione epatica in quanto sfrutta le capacità detossicanti dell’organismo, principalmente del fegato, che costituisce il più grande laboratorio del corpo umano. Il fegato è un organo fatto per lavorare, ma deve essere messo, prioritariamente, in grado di poter svolgere il suo lavoro. La Bioterapia costruisce per questo scopo una sinfonia: sostenere il fegato, drenare l’organo, sollecitarlo, promuovere la catarsi. È un addestramento al funzionamento corretto dell’organismo. Gli “strumenti musicali” sono reperibili nel mondo naturale, ma non tutto è sano, non tutto è “amico”. Bisogna perciò conoscere la biodisponibilità degli alimenti e soprattutto conoscere come la manipolazione di quegli alimenti ne trasforma gli effetti. È altrettanto importante capire la funzionalità delle diverse combinazioni tragli alimenti e la funzionalità dei vari metodi di cottura. Vitamine, proteine, carboidrati sono i mattoni dell’organismo umano, ma bisogna renderli disponibili per un organismo affaticato che spesso, a causa di diversi interferenti nelle funzioni organiche o di distruttori endocrini o anche di polimorfismi genetici caratteristici dell’evoluzione, a volte di vere e proprie mutazioni, non permette a quell’organismo di gestire quei nutrienti. Lo stress, ad esempio, qualsiasi tipo di stress, interferisce nei metabolismi; un sistema di detossificazione imperfetto interferisce sulle funzioni organiche di quell’organismo; un sistema nervoso iperattivo blocca determinate funzioni; la permeabilità intestinale da una parte non consente il giusto assorbimento dei nutrienti, dall’altra lascia are sostanze tossiche, che finiscono con l’infiammare il cervello; citochine vaganti infiammano i distretti e costringono il fegato a gestire l’infiammazione; tutto un set di disequilibri che va tenuto presente se non si vuol rischiare di affaticare ancora di più i sistemi con la nutrizione.
La Bioterapia Nutrizionale è un metodo che consente di lavorare sulle funzioni organiche rispettandole. Il metodo è l’attivazione metabolica “su misura” della persona. Un po’ un lavoro di alta sartoria…
Regolazione della glicemia
In Bioterapia Nutrizionale l’assioma fondamentale è proprio assicurare l’equilibrio glicemico attraverso uno stile nutrizionale corretto. Equilibrio che, in un soggetto sottoposto a stress cronico, è sempre molto in bilico. Ogni funzione del corpo implica processi biochimici, sia che si tratti di attività fisica o mentale, oppure dell’attività respiratoria o di quella emozionale. Ci ammaliamo fisicamente e soffriamo psichicamente per un disordine metabolico che si traduce in uno squilibrio chimico. Ma anche uno stress fisico o psichico si traduce inevitabilmente in malattia se disregola i sistemi e le funzioni organiche. L’organismo umano è sensibilissimo alle variazioni ormonali ed essendo un network citochinico lo si dovrebbe mantenere in uno stato più equilibrato possibile. La Bioterapia Nutrizionale® tiene conto dei meccanismi fisiologici al fine di mantenere stabile l’equilibrio degli zuccheri, anche in un soggetto stressato o con dismetabolismi. Un corretto stile nutrizionale parte infatti da un’organizzazione dei pasti che assicuri una stabilità glicemica pressoché costante, nell’arco della giornata e durante la notte. Sono sicuramente molto pericolose le iperglicemie, ma lo sono anche le ipoglicemie. Saltare i pasti, sostituire un pasto completo con sola frutta, ridurre i nutrienti indispensabili, al pari del fare una grande abbuffata, sono tutte situazioni che mettono un organismo in condizione di andare incontro a pericolose ipoglicemie. Per cercare di venire incontro a tali problematiche la Bioterapia Nutrizionale® si distacca dai consigli standardizzati in voga, di fare frequenti piccoli pasti oppure di proporre acqua e zucchero al soggetto in crisi ipoglicemica. Questo accorgimento può essere riservato ad occasioni straordinarie (ad es. durante una febbre defedante), ma non può costituire il rimedio standard.
Anche se il normale funzionamento del cervello dipende dallo zucchero, non è sufficiente e talvolta è dannoso assumere zuccheri veloci come miele o saccarosio che provocano una rapida increzione della glicemia. Infatti, in determinate condizioni, assumere zucchero può provocare una temporanea iperglicemia a cui segue, ad opera dell’insulina, una rapida diminuzione del livello di zucchero nel sangue. L’illusione di poter sostituire il saccarosio naturale (lo zucchero bianco di uso domestico) con zuccheri sintetici è aleatoria, non incide sulla risposta insulinica e quindi non evita le conseguenze dannose. Riuscire invece ad individuare una corretta alimentazione che assicuri la stabilità glicemica ad uno specifico soggetto, dipende anzitutto dalla funzionalità pancreatica di quel soggetto, ma non solo. In condizioni normali, il livello di glucosio nel sangue è direttamente mantenuto da due diversi tipi di alimenti: carboidrati e proteine, contenuti nella carne, nel pesce, nel latte, nelle uova e in alcuni vegetali e cereali. Il livello di zucchero nel sangue è anche influenzato indirettamente dalla quantità di grasso bruciato dai tessuti. Tutti i carboidrati che mangiamo, però, sono trasformati in glucosio, mentre solo la metà delle proteine può essere trasformata in zuccheri. Il fegato è l’organo deputato allo stoccaggio degli zuccheri sotto forma di glicogeno ed è in questa forma che parte delle proteine alimentari contribuisce a mantenere un adeguato livello di glucosio nel sangue. Per questo il lavoro di counseling nutrizionale proposto dalla Bioterapia Nutrizionale punta sulla conoscenza della fisiologia di ogni determinato individuo, sullo studio e l’osservazione dei suoi comportamenti alimentari, per are poi, attraverso la stimolazione epatica e metabolica, a riequilibrarne il metabolismo.
Nella dieta che segue i cardini della Bioterapia Nutrizionale una particolare attenzione è perciò rivolta alla costruzione di pasti che tutelino l’equilibrio glicemico. Normalmente bisogna comporre dei pasti facendo in modo che l’equilibrio glicemico resti il più a lungo stabile, non soffra di oscillazioni. La fame tra i pasti è infatti il primo indicatore che denuncia un pasto (la colazione, o anche il pranzo) che non ha rispettato questo equilibrio.
Ma anche lo stress è in grado di provocare problemi di disequilibrio della glicemia e occorre quindi maggiore attenzione per seguire chi soffre di questi problemi. Inoltre è fondamentale osservare che, per il controllo dell’equilibrio glicemico, non è affatto sufficiente considerare esclusivamente l’indice glicemico degli alimenti inseriti in un pasto (dieta a basso indice glicemico). Un’attenzione preliminare va posta anzitutto al problema dello zucchero bianco che è sempre controindicato, soprattutto quando si voglia tutelare l’equilibrio glicemico. Ma anche gli altri zuccheri semplici (contenuti come additivi nei prodotti alimentari industriali o nelle bibite industriali) possono portare sbalzi della glicemia e a lungo andare indurre problemi al pancreas. Anche in piccole dosi. In realtà il primo segno di un pancreas sofferente è proprio la ricerca di zuccheri. La voglia del dolcetto a fine pasto, i biscottini dopo cena, un eccesso di alcolici… Il pancreas cerca gli zuccheri perché manca degli enzimi indispensabili. Altri indicatori che ci informano che stiamo eccedendo con gli zuccheri nella nostra alimentazione sono: la presenza della candida o della cistite, e tra i sintomi neuroglicopenici: l’ansia, la depressione, gli sbalzi di umore, i disturbi comportamentali, così come gli attacchi di panico e finanche le convulsioni. Mangiare un bel gelato è sicuramente molto gratificante e dà immediatamente una sensazione di piacere perché procura gli zuccheri di cui il nostro organismo (dal fegato al cervello) avverte il bisogno. Tuttavia questo è un piacere temporaneo perché dopo due ore si avverte nuovamente il bisogno di mangiare (la ricerca di altri zuccheri). Questo è dovuto essenzialmente alla rapidità con cui è avvenuto l’assorbimento del glucosio che ha determinato un picco glicemico, ma subito dopo ha generato un crollo del livello degli zuccheri nel sangue. Sembrerebbe semplice, per risolvere il problema “dell’altalena degli zuccheri”, proporre dei pasti piccoli e frequenti, ma questo comporterebbe soltanto un continuo stato di oscillazione insulino-glicemico che, a lungo andare, sfiancherebbe il pancreas e predisporrebbe al diabete. È molto più importante invece assicurare una formulazione dei pasti adeguata, curando l’associazione tra i diversi nutrienti, assicurando un carico glicemico complessivo del pasto che consenta un lento e costante assorbimento degli zuccheri, indispensabile al lavoro del metabolismo e che si mantenga stabile per un congruo periodo di tempo.
Per questo consigliamo di associare, in ogni pasto, a modiche quantità di zuccheri complessi, altri nutrienti capaci di abbassare il carico glicemico: alimenti contenenti ferro, iodio, zinco, grassi, proteine, ecc. Ma è anche per raggiungere questo stesso obiettivo che proponiamo di riare (saltare in aglio e olio o nel condimento) la pasta e le verdure. Un riso in bianco è un piatto composto di zuccheri puri, inadeguato a chi ha bisogno di tutelare la glicemia. Mentre un riso (meglio ancora se integrale o basmati) saltato in padella con una proteina (es.: risotto alla norcina) riduce il carico complessivo di quel pasto e non compromette l’equilibrio glicemico, perché consente un assorbimento graduale e con ciò mantiene stabile più a lungo la glicemia. Meglio proporre un bel piatto di pasta all’amatriciana. Se poi quel piatto viene accompagnato ad un piatto di cicoria riata in padella, l’equilibrio glicemico resta molto stabile più a lungo. Riare, saltare in padella, friggere, sono accorgimenti che servono a due scopi ben precisi: oltre che ad offrire uno stimolo epatico, servono proprio ad abbassare il carico glicemico complessivo del pasto. Per noi è fondamentale, perché alla base di molti sintomi neuro-immunologici ci sono proprio squilibri della glicemia. Tutelare l’equilibrio glicemico diventa quindi un obiettivo fondamentale per assicurare la salute umana.
Stimolo epatico
La Bioterapia Nutrizionale fonda il suo metodo sulla stimolazione epatica. Il metodo dell’attivazione epatica sfrutta le capacità detossicanti dell’organismo, principalmente del fegato, che è il più grande laboratorio del corpo umano. Ma soprattutto rispetta l’individuo e le sue funzioni. Rispetta l’organismo del singolo. Lo osserva, lo controlla, monitora le sue reazioni. Lavorare per liberare un organismo dai tossici non è impresa semplice, ma è un indispensabile presupposto per una dieta sana, capace di riequilibrare le funzioni organiche. Compito della Bioterapia Nutrizionale è aiutare la produzione e lo smaltimento della bile: questo è indispensabile per far funzionare il sistema di nettezza interna dell’organismo; è la bile infatti che veicola tutte le tossine liposolubili (che si sciolgono con i grassi) ed è con la produzione della bile che si innescano tutte le altre funzioni epatiche. Con la sollecitazione dell’escrezione della bile si attiva un’azione coleretica e colagoga. Questo meccanismo innesca sistemi diversi, fa anzitutto contrarre il polo biliare (quella parte degli epatociti che guarda sul canalicolo biliare), dove dal canale biliare la bile va a finire nel coledoco che è collegato al duodeno. E in questo modo coinvolge anche l’intestino. La produzione biliare è importantissima, proprio perché è mediante questo processo che avviene la produzione e l’allontanamento delle scorie tossiche dalle cellule. La bile stimola la colecisti che si contrae. La bile va a finire nell’intestino dove ha un effetto catartico proprio perché esercita un’azione irritante sull’intestino, sollecita la peristalsi e con ciò mantiene pulito l’intestino. Fluendo in modo costante, è anche l’unico vero regolatore della flora batterica intestinale. Vince la stipsi e contribuisce all’eubiosi dell’intestino. Èimportante ricordare che la bile è il deposito di tutti i tossici e se li si vogliono
rimuovere la strada è soltanto uno stimolo epatico adeguato. Questa funzione è fondamentale perché il corpo, attraverso questa via, elimina ciò che il fegato è riuscito ad “impacchettare” attraverso la bile (dai farmaci, ai tossici dovuti al catabolismo, ai metalli pesanti, al colesterolo). Un intestino disbiotico è un intestino dove il microbiota non può realizzare il suo ecosistema e ciò porta, inevitabilmente, ad una sovra-crescita batterica impropria (Sindrome da Contaminazione Batterica del Tenue- Small Intestinal Bacterial Overgrowth - SIBO). La stipsi è spesso correlata alla disbiosi. La diarrea è collegata alla stipsi. In un intestino irritabile i due fenomeni si alternano. Uno stato di intossicazione provoca modificazioni della microflora intestinale con riassorbimento delle scorie che, ando nel sangue, causano: cefalea, gonfiore addominale, intolleranze alimentari, oscillazioni del peso, stanchezza, dolori muscolari, costipazione, atralgie, tremori.
Come stimolo epatico in Bioterapia Nutrizionale si usano: il soffritto, il fritto, ma anche lo stimolo di alcuni "irritanti" come il pepe o il peperoncino. Questi stimoli vanno comunque proposti con prudenza, considerando anche l'associazione con altri stimoli metabolici nella composizione di uno stesso pasto: lo stimolo del ferro, lo stimolo dello iodio, la sollecitazione attraverso l’impiego della vitamina C (che a volte è molto più impegnativa che non gestire un "semplice" fritto). La patata fritta, così come la carota fritta, la zucchina fritta, sono alimenti che noi consideriamo "pacifici" perché danno, sì, una bella sferzata al fegato, ma offrono contemporaneamente anche il o epatico degli zuccheri che l'alimento stesso contiene. Apparentemente la patata lessa sarebbe un piatto più accessibile a tutte le situazioni, ma il forte picco glicemico che seguirebbe all'assunzione di quell'alimento (utilizzato nella modalità “lessata”) determinerebbe nottetempo, ad opera dell’insulina, un crollo della glicemia che finirebbe con lasciare il fegato senza nutrimento per le sue funzioni e il primo organo che ne risentirebbe sarebbe il cervello (sintomi neuroglicopenici). Èfondamentale però che accanto ad uno stimolo come una patata fritta sia sempre associata una verdura cruda che consenta al fegato di avere l’acqua di vegetazione e che ci siano gli zuccheri della frutta di cui il fegato abbisogna per completare il suo lavoro.
Ad un pasto che attiva il metabolismo organico del fegato va poi fatto sempre seguire un altro pasto che aiuti il rene a liberarsi di quei tossici, ma che non sia diuretico, perché finirebbe per privare ancora una volta il fegato del o di acqua di cui ha bisogno per continuare il suo lavoro. Più intenso potrebbe risultare quello stimolo epatico quando viene associato ad uno stimolo metabolico (ad esempio dello iodio). Un esempio potrebbe essere rappresentato dalla frittura di pesce. Infatti quando si utilizza lo iodio (soprattutto quello del pesce) si lavora con uno stimolo più forte che quell’organismo in un primo momento potrebbe anche non riuscire a gestire, e quindi in alcuni casi è necessario prioritariamente ricorrere ad uno stimolo metabolico "frenato". Lo iodio è un potente stimolo metabolico. Noi utilizziamo molto in Bioterapia lo stimolo del pesce, ma non in prima battuta o su organismi particolarmente affaticati dai tossici o sensibili neurologicamente; perché potrebbe complicare il quadro. Invece utilizziamo uno stimolo “frenato” proponendo ad esempio soltanto alcuni tipi di pesci (quelli di lago, che hanno meno iodio; quelli di scoglio, che contengono anche calcio), oppure ci serviamo della bollitura per ridurre la quota di iodio. Inoltre per frenare la spinta metabolica dello iodio associamo a quello stimolo alimenti contenenti potassio (agretti, fagiolini). Il potassio infatti seda i sistemi ed evita l’irritabilità neurologica. Anche associare dei grassi o calcio al pesce (la maionese, le mandorle, es.: sogliola alle mandorle) tutela il S.N. frenando la spinta neurologica (irritativa) che lo iodio potrebbe dare.
Lo stimolo epatico va proposto esclusivamente quando è possibile sollecitare il fegato e quindi non in caso di presenza di bilirubina in un fegato sano o di un pH elevato. In quei casi il fegato va prioritariamente sostenuto. Viceversa, se nello stick urinario si evidenzia la presenza di bilirubina subito dopo aver stimolato il fegato, quello va considerato un segnale positivo, perché vuol dire che l’organo ha risposto allo stimolo. A volte in una persona con un fegato molto rallentato anche un minimo stimolo può scatenare un mal di testa atroce, altre volte invece il fegato nemmeno risponde e quindi c’è bisogno di uno stimolo maggiore. Ogni dieta va sempre
personalizzata. Sulla base delle “risposte” individuali.
Il fegato non va stimolato in caso di:
epatite o patologia epatica in corso; un PH alto delle urine. L’attivazione di tutti i metabolismi produce tossine. Il pH delle urine è segno di tossicità sistemica. Se uno stick urinario riporta un valore del pH a 7, non si può stimolare il fegato, né dare antiossidanti, né iodio, perché non si può sovraccaricare quell’organismo. In quei casi il fegato va soltanto sostenuto.
Drenaggio d’organo
La lunga catena di reazioni metaboliche che si svolge nel nostro corpo e che ci assicura l’energia di cui abbisogniamo per vivere, determina la produzione di numerose sostanze residue. Anche se il metabolismo le ricicla, in modo da sfruttare a fondo tutto quanto è disponibile, sia in termini energetici che materiali, altre sostanze sono inutili o dannose. Per evitare l’accumulo, e quindi l’intossicazione, il corpo le deve poter espellere con modalità specifiche e diverse, a seconda del tipo di sostanza. Gli organi deputati a svolgere queste funzioni sono detti emuntori. Il drenaggio generale sollecita contemporaneamente tutti gli organi emuntori (quelli che ripuliscono l’organismo dai prodotti di scarto) che sono: il fegato e il sistema epato-biliare, i reni, i polmoni, l’intestino, il sistema cutaneo e ghiandolare, il sistema linfatico. Il drenaggio provoca l’attivazione dei processi depurativi e di eliminazione dei residui tossici che sovraccaricano l'organismo: il drenaggio aiuta la funzione e sostiene l'organo.
L’attività dei polmoni, anche se sono prevalentemente impegnati nel processo di respirazione, è anche quella di un organo emuntore dei rifiuti gassosi. Lo stesso dicasi per l’intestino, la cui attività si svolge nell’insieme delle funzioni digestive. La pelle, il suo colorito, la sua luminosità, “raccontano” della qualità delle funzioni organiche. Nella prima fase di depurazione, attraverso la scelta di specifici nutrienti, si attivano quindi tutti gli emuntori; nella seconda fase, proprio attraverso il drenaggio specifico, si favorisce l’eliminazione di tutte le scorie metaboliche. Il drenaggio è utile prima di iniziare ogni attivazione ed è indispensabile nelle situazioni d’intossicazione. Il drenaggio procede alla pulizia dell’organismo nella direzione dall’interno verso l'esterno e dal profondo verso la superficie. In questo contesto il drenaggio può inizialmente aumentare la reattività ma anche sostenere l'energia individuale, accelerando la guarigione. Per cui di fronte ad una cefalea persistente potrebbe incrementare le crisi pur facendo avvertire,
concretamente, uno stato di benessere. Superata questa fase però l’organismo ritrova la sua omeostasi.
Organi emuntori per eccellenza, che riguardano il lavoro specifico della Bioterapia Nutrizionale, si considerano il fegato, l'intestino e i reni. Questi ultimi, infatti, producono urina e sudore e contribuiscono all’eliminazione di ciò che resta della degradazione di proteine, zuccheri e grassi, controllando allo stesso tempo il bilancio idrico e salino del corpo (omeostasi). L’azione di drenaggio, realizzata mediante la scelta di specifici nutrienti, individualizzati, sulla base della costituzione organica di quello specifico individuo e delle sue problematiche in corso, offre un sostegno agli emuntori ed è quindi un segmento molto importante del percorso nutrizionale, perché mette l’organismo nella condizione di riuscire a recuperare l’equilibrio e di rispondere meglio al trattamento successivo (che può essere di stimolazione, di diuresi, ecc.), secondo le esigenze di quell’individuo, in quel momento. Quando ci sentiamo gonfi, le gambe sono più pesanti, siamo più irritabili, magari dormiamo meno, la digestione diventa più difficile, quello è il momento di intervenire con un’alimentazione adeguata che ci aiuti a drenare gli organi. Quando nel nostro organismo il drenaggio non avviene efficacemente si nota infatti un fenomeno evidente di ritenzione idrica (con edemi o gonfiori), che non è altro che il ristagno dell’acqua imprigionata dalle tossine in varie parti del corpo. Quando i nostri organi emuntori sono invece efficienti avremo uno stato di benessere generale, la pelle diventa più luminosa, non sono presenti gonfiori addominali, si riduce la ritenzione idrica alle caviglie, spariscono le borse o i cerchi neri sotto gli occhi, il tono dell’umore è buono, ecc… Per capire meglio quale organo è in crisi e deve essere aiutato, la Bioterapia Nutrizionale si avvale dello stick urinario. Su quella base si lavora per uno specifico drenaggio d'organo. Il drenaggio d’organo è specifico quando va a stimolare uno specifico emuntore. Un buon drenaggio fornisce anzitutto una stimolazione adeguata degli organi emuntori, aumentando la diuresi, la coleresi, il transito intestinale, la secrezione delle ghiandole sudoripare, ecc... E contemporaneamente sostiene gli organi che
potrebbero andare in crisi per la sollecitazione. “Le malattie si sviluppano su un terreno reso debole dal rallentamento degli organi di eliminazione e dall’accumulo di sostanze tossiche, uno dei mezzi per favorire lo stato di salute è quello di diminuire il carico delle tossine….” (dott. M. Tétau)
Drenaggio epatico
Il fegato ha bisogno di essere drenato in tutti quei casi in cui sia presente un’intossicazione importante, in quelle situazioni in cui l’obiettivo fondamentale sia quello di sgravarlo delle tossine, senza affaticarlo. In quei casi non si può utilizzare lo stimolo epatico, ma si deve realizzare prioritariamente un sostegno e contemporaneamente il drenaggio dell’organo fegato. Bisogna fare in modo che la componente zuccherina degli alimenti sia resa subito disponibile, perciò – come esempio - ad un fegato in crisi è meglio proporre carote lesse anziché crude. In quelle situazioni bisogna cercare di rifornire il fegato di zuccheri facilmente disponibili, ma senza eccedere. Occorre infatti contemporaneamente tenere presente che un’iperglicemia finirebbe con il rallentare ulteriormente il fegato. E quindi a quel sostegno e drenaggio va affiancato qualcosa capace di abbassare il carico glicemico di quel pasto.
Sostegno e drenaggio vanno comunque distinti, perché con il primo si cerca di realizzare un’azione di o ad un organo che non riesce a funzionare (come nel caso di un’epatite, oppure anche nel caso della donna in fase premestruale, quando il fegato deve gestire gli ormoni ed è notevolmente affaticato, o anche il caso di un bambino con autismo, spesso carico di tossici diversi); il drenaggio invece lo si cerca di attivare soprattutto in quei casi in cui possono essere presenti dei calcoli biliari, o anche la renella biliare. O comunque in tutte quelle condizioni in cui siano presenti tossici importanti (metalli pesanti, agenti chimici, composti microbici, prodotti del metabolismo proteico, prodotti di scarto delle situazioni di infiammazione). Quando il fegato ha bisogno di essere sostenuto necessita prioritariamente di zuccheri e di acqua. Èmeglio allora in quei casi proporre una pasta all’arrabbiata (zuccheri a lento rilascio con un sostegno epatico diretto del pomodoro cotto), accanto ad una verdura cruda (insalata), che fornisca acqua di vegetazione. Inoltre la verdura cruda contiene già gli enzimi per la sua digestione. Sarà
possibile aggiungere a quest’associazione anche una mela cotta (zuccheri immediatamente disponibili). In questo modo il fegato avrà subito a disposizione uno zucchero semplice per soddisfare l’immediata richiesta di zuccheri necessari alle sue funzioni base, l’acqua di vegetazione (della verdura cruda) e uno zucchero a lenta cessione (della pasta) che consentirà al fegato di continuare ad avere zuccheri a disposizione a lungo.
Come drenante d’eccellenza si può preparare la tisana di foglia di carciofo (una foglia di carciofo bollita per 20 minuti in un litro d’acqua, va poi tenuta in frigo e se ne assume una o due tazzine al mattino a digiuno). È una tisana drenante che agisce anche sui calcoli biliari. Un altro drenante da utilizzare nel caso di calcoli biliari è la tisana di rapa rossa, bollita a lungo, è un ottimo coleretico.
Sono alimenti drenanti la pesca bianca, la tisana di rapa rossa, il carciofo, il pomodoro cotto, alimenti che offrono sostegno alla funzione epatica senza affaticarla, ma facilitano contemporaneamente lo svuotamento della bile. Questo è uno dei motivi per cui, la BTN indica, anche in tempi in cui la natura non ci rifornisce di prodotti specifici, la necessità di far ricorso ad alcuni prodotti di serra (seppur raccomandandoli biologici o comunque coltivati senza troppi diserbanti o concimi chimici).
Lo stimolo del pomodoro soffritto può tornare utile perché il fegato comunque ha bisogno di un minimo stimolo per attivarsi. Questo piatto va bene sempre, in tutti quei casi in cui è necessario aiutare il fegato con un’azione di drenaggio, tranne nel caso specifico di un’epatite virale in fase acuta, in cui inizialmente è meglio soltanto rifornire il fegato di acqua e zucchero in soluzione glucosata perché il fegato in quella condizione non può lavorare per niente ed ha bisogno soltanto di sostegno. Se il pomodoro fosse utilizzato crudo invece, essendo un attivatore, richiederebbe comunque un impegno del fegato. Anche nella condizione in cui è
presente un mal di testa di natura epatica non è consigliabile utilizzare un pomodoro crudo, mentre la pasta condita con il pomodoro soffritto può essere molto più indicata, perché rifornisce subito il fegato di zuccheri ben assimilabili, che sostengono la funzionalità epatica, senza affaticarla. In questo piatto accanto al pomodoro cotto (con un minimo stimolo del soffritto) c’è un carboidrato a lento rilascio che sostiene le funzioni epatiche. Un piatto così composto costituisce un alimento drenante per il fegato. In questi casi occorre anche non ostacolare la funzione renale (perché in caso contrario il rene non riuscirebbe a smaltire i tossici e li “restituirebbe” al fegato). Quindi bisogna costruire una dieta povera di proteine, senza lipidi saturi, con scarsa presenza di ferro, componenti che (essendo tutti stimolanti) finirebbero invece con l’affaticare ulteriormente la funzione epatica. Il fegato può avvertire problemi di affaticamento anche con alcuni vegetali ricchi di ferro biodisponibile (es.: radicchio, cicoria, ecc.) o con un utilizzo eccessivo della vitamina C. Insomma con tutti quegli elementi che sappiamo essere degli stimoli metabolici. Ed è per questo motivo che, se ci troviamo di fronte ad un mal di testa epatico, non possiamo associare quella pasta all’arrabbiata ad una cicoria riata, perché la cicoria, anche se è una verdura tra le migliori per la sua azione diuretica, ha una quota di ferro che potrebbe aggravare un fegato in difficoltà. In quel caso ci dobbiamo affidare a pochi elementi, semplificati, che il fegato sia in grado di gestire e in modo che possa rispondere adeguatamente, senza sovraffaticarsi. Una pasta all’arrabbiata associata a verdure crude (acqua di vegetazione) e frutta cotta (zuccheri rapidamente assimilabili). Una dieta che potrebbe apparire monotona al soggetto, ma in realtà lavora sul riequilibrio organico. L’acqua di vegetazione inizialmente non la si deve proporre scegliendo come verdura cruda un’insalata mista, è meglio proporre una valeriana o l’iceberg, verdure che hanno molta acqua di vegetazione e sono abbastanza facili da metabolizzare; viceversa la lattuga, che è a torto ritenuta di facile digestione, è un’insalata molto difficile per il fegato. Gli epatici non la tollerano istintivamente. Il carciofo o i cardi sono alimenti drenanti epatici per eccellenza, ma non vanno usati nelle fasi di patologia acuta del fegato (come durante un’epatite). In quei casi è meglio usare una verdura cruda, come la belga, che non affatica la
digestione. E ancora non vanno bene (in caso di affaticamento epatico) verdure come il radicchio e le puntarelle, perché contengono molto ferro che affatica ulteriormente il fegato; meglio proporre sempre la belga, perché il suo ferro non lo sovraccarica. Cercano spontaneamente radicchio e puntarelle coloro che necessitano di stimolo epatico per smaltire i tossici ma hanno un fegato ben funzionante.
Per quanto riguarda le verdure da accostare al pasto di una persona che ha bisogno di drenaggio epatico, pur conoscendo tutti le meravigliose proprietà colagoghe e coleretiche dei carciofi, non è consigliabile proporre un carciofo crudo ad un fegato in crisi, perché crudo risulta leggermente irritante per la sua quota di ferro, per la cinarina, per la lignina. Con la cottura, invece, l’inulina e gli zuccheri presenti nel carciofo diventano subito biodisponibili, quindi come drenante epatico va utilizzato prioritariamente il carciofo cotto. Se l’obiettivo è soltanto dare un sostegno al fegato, lo si può proporre semplicemente lessato. Ad esempio dopo un’anestesia si consiglia carciofo e patata lessati insieme, in modo da drenare e sostenere il fegato, per liberarlo dai tossici dell’anestesia. La patata lessata produce molti zuccheri, indispensabili al sostegno epatico e l’accostamento alla verdura ferrosa ne abbassa il carico glicemico complessivo. Quando invece si voglia stimolare la funzionalità epatica sostenendola, la soluzione nutrizionale ottimale è utilizzare il carciofo cotto nell’olio (trifolato, alla romana). Lo si proporrà trifolato se si vuole sostenere e contemporaneamente stimolare il fegatoche si giova molto dello stimolo dolce e delicato del carciofo trifolato, o del carciofo alla romana. Il carciofo in pastella (acqua e farina) va consigliato invece ad una persona che non necessita di uno stimolo forte ma che ha un fegato che in quel momento abbisogna di un piccolo stimolo, perché oltre all’azione drenante del carciofo, con quella proposta nutrizionale si offre il sostegno epatico dei carboidrati complessi della pastella. Quando invece bisogna dare uno stimolo che rasenti la “provocazione” è meglio utilizzare il carciofo fritto dorato (prima ato nella farina e poi nell’uovo), che sollecita la funzione biliare e fa superare anche una condizione di stipsi. Si
accentua quello stimolo con una spolveratina di pepe nero lungo indiano (pippali). Una proposta nutrizionale come questa invece non la si potrebbe consigliare nel caso di una cefalea epatica. Si aggraverebbe.
Consideriamo che in genere tutte le verdure affaticano la digestione perché richiedono il contributo dei succhi pancreatici e acqua e quindi nella fase di patologia acuta del fegato è sempre meglio non utilizzarle, è più opportuno invece utilizzare un frutto come la mela cotta con cannella e chiodi di garofano; oppure l’ananas, due proposte che consentono al fegato di mantenere liquidi e offrono un sostegno “zuccherino” alle funzioni epatiche.
Come frutta va consigliata quella non troppo zuccherina (mela, melone, mandarini, melagrana, ciliegie, ecc.). La migliore tra le altre è proprio la mela cotta, che costituisce il giusto sostegno per il fegato. Inoltre la modalità di cottura della mela prevede l’uso della cannella, che abbassa il carico glicemico e del chiodo di garofano, disinfettante intestinale. La banana di per sé sarebbe ottima per il suo contenuto in potassio, ma non ha acqua, è troppo zuccherina e a volte è difficile da digerire, per cui in una fase acuta è meglio non proporla.
Quando un fegato è in difficoltà si dovrebbero escludere anche le proteine della carne (proprio per evitare di sovraccaricarlo). Come proteine, in una fase acuta, come nel caso dell’influenza, quando l’organismo è impegnato a smaltire i tossici dei virus, è possibile proporre esclusivamente proteine facilmente digeribili (prosciutto crudo, uovo al piatto poco cotto, pesce bollito, una carne bianca poco cotta o ai ferri), magari associate ad una mela cotta e ad una patata lessa.
Drenaggio renale
La funzione emuntoriale renale rappresenta la tappa conclusiva del metabolismo. Per questo è necessario rispettare la sua capacità di filtrazione con gli alimenti adatti, nelle giuste proporzioni, mantenendo un buon equilibrio glicemico, perché in questo modo si permette all’organo rene di portare a termine il suo compito primario: espellere le tossine inviategli dal fegato. Il miglioramento della funzione depurativa renale, può essere ottenuto attraverso diversi meccanismi: 1. Riduzione degli alimenti che affaticano la funzione renale o Riduzione delle proteine. Un pasto molto ricco di proteine determina un’eccessiva introduzione di sodio, potassio, equivalenti acidi ed altri minerali con trattenimento di liquidi in eccesso. Si verifica quindi una espansione del volume di liquido extracellulare con conseguente aumento della perfusione e della filtrazione glomerulare. o Riduzione del glutine checontiene sostanze azotate potenzialmente tossiche; privilegiando tra i carboidrati gli amidi del riso o delle patate, paste di mais, all’uovo, di kamut (frumento a scarso contenuto di glutine). o Eliminazione di alcuni tipi di verdure ricche di ossalati: spinaci, bieta, asparagi, soprattutto verdure cotte (un eccesso di sali crea condizioni di difficile gestione al livello tubulare renale). In genere comunque, nel caso di una funzionalità renale in difficoltà, è meglio usare le verdure crude che quelle cotte. È altrettanto importante non salare mai l’acqua di cottura delle verdure bollite. È meglio salare (con parsimonia) le verdure soltanto dopo la cottura. o Esclusione di alcuni tipi di formaggi stagionati ricchi di fosforo: emmenthal e grana. 2. Introduzione di alimenti e tisane ad azione diuretica che migliorino la capacità emuntoriale renale (ananas, carciofi, cetrioli, cipolla, finocchi, ortica, sedano,
uva, tarassaco, tisana di fiori di sambuco). 3. Scelta di proteine che facilitino la funzione renale: il latte e le uova, alcuni tipi di pesce con basso contenuto di fosforo, evitando pesce spada, spigola, orata; tra le carni bianche sarà preferibile scegliere il maiale, per la parte lipidica che la costituisce, oppure il tacchino, meno ricco di sostanze azotate, ma anche pollo o vitello. 4. Attenzione all’equilibrio glicemico che incide in modo significativo sulla funzionalità renale. Una dieta equilibrata, con restrizione di proteine e di fosforo, ha un ruolo protettivo fondamentale della funzionalità renale. Una volta che il fegato è stato sollecitato bisogna far sì che il rene riesca a eliminare le sostanze depositate; per facilitare l’eliminazione di quelle sostanze, è opportuno utilizzare alimenti diuretici e drenanti come: porri, cicoria, tarassaco.
Per un’azione drenante potente, i nostri nonni bevevano al mattino l’acqua di cottura della cicoria. Tuttavia, soltanto la cicorietta di campo, le costole d’asino e il tarassaco hanno un tropismo diretto sulla funzione renale, mentre le altre verdure spontanee si limitano a non impegnarla. La cicoria non interferisce in modo particolare con nessun alimento. Si caratterizza per un’azione drenante e diuretica. Le costole d’asino hanno addirittura proprietà chelanti.
La varietà della cicoria più grande, con foglie frastagliate, disponibile nel periodo primaverile ed estivo, viene usata solo cotta a causa del suo sapore particolarmente amaro. Esiste anche una varietà primaverile ed autunnale definita “cicorietta di campo”, tanto tenera da poter essere consumata cruda. Tra queste erbette si annoverano le più note: pimpinella, tarassaco, costole d’asino, caccialepre, tutte con proprietà depurative. Come bevanda è possibile proporre il caffè di cicoria tostata. Reperibile nei negozi di alimentazione naturale. Le proprietà dell’acqua di cicoria sono note da sempre.
La cicoria proposta come verdura cotta è drenante e diuretica, invece la cicoria di campo cruda, in insalata è soltanto drenante, non avendo il potere di aumentare anche la quantità di liquidi eliminati dal rene. Alcune delle erbette di campo, come il tarassaco (anche denominata volgarmente pisciacane), o il crespino ( sonchus asper), hanno anche proprietà diuretiche. L’azione drenante e depurativa della cicoria si esplica tramite l’aumento del metabolismo generale, soprattutto per lo stimolo epatico e tiroideo indotto dal ferro. Il tropismo di questa pianta ha la capacità di mobilizzare i residui metabolici dai tessuti e dal sangue, permettendone l’eliminazione renale. Anche l’ortica ha analoghe proprietà. Anche la cipolla è un alimento drenante, ma per un meccanismo diverso: agisce in senso disgregativo su ogni tipo di deposito calcareo.
Esempio di attivazione del drenaggio renale AL MATTINO: spremuta di 1 limone diluita in acqua (tiepida se c’è stitichezza, e in questo caso può anche essere utile l’aggiunta di 1 cucchiaino di miele). Dopo la spremuta di limone: 1 KIWI per regolarizzare l’intestino. PRIMA COLAZIONE (salata)
Caffè di cicoria eventualmente macchiato con latte di mandorle (o con latte vaccino se quell’individuo possiede gli enzimi per il suo metabolismo e non ha intolleranze).
50 gr pane a lievitazione naturale (con pasta madre) fatto in casa o gallette o polenta in bianco condita con olio e sale oppure con pomodoro olio e sale, oppure con prosciutto, oppure con un uovo al piatto. Una mela verde o smith preferibilmente biologica con la buccia (se non è biologica è opportuno lavarla sempre bene con sapone di marsiglia). O pesca bianca.
Le premesse della Bioterapia Nutrizionale
Ciò di cui ci preoccupiamo preliminarmente, nell’offrire un o nutrizionale, è cercare di mantenere attivi o di incrementare i meccanismi di metabolizzazione, catabolizzazione ed eliminazione dei tossici. La BTN offre una serie di sinergie perché non considera mai soltanto le caratteristiche del singolo alimento per le proprietà chimiche o farmacologiche che ha, ma studia l’intervento globale per i suoi risultati funzionali. La Bioterapia Nutrizionale analizza, nella composizione dei pasti da proporre:
l’alimento nelle sue componenti biochimiche, considerato non solo per il suo contenuto ma anche per la biodisponibilità dei suoi principi attivi; le modalità di preparazione dei diversi alimenti, importantissime per effettuare una vera e propria azione funzionale; le associazioni alimentari, finalizzate al rispetto della costituzione organica del soggetto, delle problematiche metaboliche che lo connotano.
La sinergia dell’impostazione consente di lavorare contemporaneamente sui tre cardini descritti sopra: la regolazione della glicemia, lo stimolo epatico e il drenaggio renale, ottenendo così un riequilibrio dei sistemi.
Importanza della regolazione della glicemia
La regolazione della glicemia implica prima di tutto la necessità di ridurre dalla dieta, drasticamente, gli zuccheri semplici, compresi – ovviamente – quelli delle bevande o degli alcolici, che costituiscono un notevole incremento di zuccheri, di cui spesso non si tiene conto.
Si considera tradizionalmente il valore dell’indice glicemico (IG) come la velocità con cui aumenta la glicemia in seguito all’assunzione di 50 grammi di carboidrati. La velocità si esprime in percentuali prendendo il glucosio come punto di riferimento (100%). L’indice glicemico di un alimento, però, non fa riferimento alla quantità di carboidrati in esso contenuti, ma si basa esclusivamente sulla velocità con cui i carboidrati contenuti nell’alimento in esame possono essere assimilati. Inoltre, le diverse varietà di un frutto, i tempi di maturazione, la zona geografica di produzione, i metodi di conservazione o di essiccazione sono tutti fattori in grado di modificare l’indice glicemico. Ad esempio una banana, a seconda del suo grado di maturazione, può avere IG compreso tra 30 e 75. Il rilascio totale di insulina da parte del pancreas però non dipende dall’indice glicemico, bensì dal carico glicemico (CG), più importante ai fini della salute umana, che è definito come il prodotto tra l’indice glicemico di un alimento moltiplicato per la quantità di carboidrati (in grammi) ingerita con quell’alimento, espressa in percentuale. La modalità di preparazione degli alimenti però trasforma, oltre alla biodisponibilità degli alimenti, anche l’indice glicemico degli alimenti. Quando un alimento viene cucinato subisce una manipolazione per l’intervento dei lipidi e delle proteine, processo che può cambiare completamente quell’indice glicemico. Perciò preferiamo parlare più di un carico glicemico complessivo del pasto (CGC).
Un pasto con riso “in bianco” (condito con olio e limone) sicuramente fa innalzare rapidamente la glicemia, mentre un pasto con quello stesso riso, ma con una proteina molto grassa, come un risotto alla norcina (riso saltato nella salsiccia di maiale) determina una glicemia più stabile. Se ci si aggiunge la finocchiella o il finocchietto selvatico quel pasto diventa facilissimo da gestire. Altrettanto importante per prevenire i picchi glicemici di un pasto è quindi il modo in cui si costruiscono i pasti, associando piccole quote di carboidrati con lipidi e proteine. In generale l’incremento glicemico è massimo per i carboidrati, medio basso per le proteine e minimo per i grassi. La metodologia della Bioterapia Nutrizionale sfrutta perciò il metodo dell’attivazione epatica e metabolica per tenere sotto controllo l’intero equilibrio glicemico.
Non bisogna demonizzare i grassi, perché sono proprio questi che hanno la proprietà di rallentare l’assorbimento degli zuccheri. Ė perciò molto importante, nei casi di insulinoresistenza o iperinsulinismo o in tutte quelle situazioni in cui sia necessario il controllo dell’equilibrio glicemico, riare sempre la pasta in padella, il riso, gli gnocchi, facendoli saltare in olio bollente o nel sugo del condimento previsto per quel piatto, in modo che il grasso caldo dell’olio (rigorosamente extravergine di oliva) formi una patina protettiva intorno al carboidrato e ne rallenti l’assorbimento.
Non bisogna demonizzare nemmeno i dolci, il problema è come quei dolci sono preparati e soprattutto come sono associati. Anziché proporre il dolce a colazione alle persone che presentano disturbi metabolici, sarebbe più sensato proporre loro una colazione salata, con alimenti contenenti grassi che rallentano il tempo di svuotamento e magari utilizzare qualche volta a pranzo un dolce fatto in casa (ad es.: uno strudel, senza additivi, conservanti, grassi idrogenati, grassi trans) e associarlo alla carne e ad una verdura della famiglia delle cicorie. In questo modo non ci saranno problemi di sbalzi della glicemia perché gli zuccheri contenuti in quel dolce saranno equilibrati dai grassi e dal ferro contenuto nell’acqua di vegetazione della verdura. In fondo un dolce a pranzo può tranquillamente sostituire il primo piatto e la frutta. E ci si può godere la licenza. I carboidrati sono fondamentali per l’equilibrio del triptofano, precursore della serotonina. Bisogna soltanto far in modo che quei carboidrati non siano assorbiti
troppo rapidamente. Cosa che accade ogni qualvolta si propone un dolce da solo. E poi non consigliamo i dolci confezionati, preparati con conservanti, stabilizzanti edulcoranti, olio e grassi idrogenati, olio di palma in primis. Sono tutte sostanze non riconosciute dall’organismo, impossibili da smaltire, da metabolizzare. E sarebbero proprio questi grassi, secondo gli ultimi studi clinici, ad innescare il diabete di tipo alimentare, la piaga del nostro secolo.
Assicurare un corretto carico glicemico complessivo del pasto
Una nutrizione sana deve tener conto del carico glicemico complessivo del pasto, cioè della modulazione nella sollecitazione del pancreas nella produzione di insulina, e questo lo può realizzare impiegando alimenti a basso carico glicemico e associazioni alimentari che siano in grado di ridurre la secrezione insulinica e l’iperglicemia. Una gestione di questo tipo garantisce risultati duraturi sulla riduzione del peso corporeo perché punta alla correzione della causa del disturbo metabolico e migliora la partecipazione consapevole da parte di chi segue la dieta, che aderisce così senza sforzo alle indicazioni nutrizionali. La fame, infatti, specie nei soggetti iper-insulinemici, è il nemico più temuto e sofferto e il controllo dell’appetito è fondamentale ai fini della prosecuzione della dieta come acquisizione di uno stile nutrizionale a lungo termine. Il segreto sta anzitutto nell’associazione lipidi-glucidi: i grassi, infatti, riducono il Carico Glicemico dei carboidrati, se proposti nello stesso pasto. Poi nell’utilizzo di modalità di cottura ben precise. Il metodo della Bioterapia Nutrizionale punta tutto sulla stabilità glicemica, in quanto ogni pasto stimola solo moderatamente la secrezione dell’insulina, e allo stesso tempo non sottopone l’organismo ad uno stress da deprivazione calorica che indurrebbe un catabolismo proteico. Le diete iperproteiche o ipocaloriche, prive di carboidrati, inducono invece l’organismo ad utilizzare per prima la riserva proteica dei muscoli, con progressiva riduzione delle masse muscolari, del trofismo cutaneo e perdita d’elasticità tessutale. Il corpo “si affloscia”. La peggiore conseguenza del metabolismo iperproteico è l’enorme liberazione d’ammoniaca che, trasformata in urea dal fegato, deve essere eliminata a livello renale con conseguente sovraccarico delle funzioni emuntoriali e possibili danni
irreversibili, nel tempo. La prima manifestazione evidente è proprio lo stato nervoso sempre "su di giri"... Specie durante un regime dimagrante, consumare anche carboidrati consente di utilizzare le proteine della dieta in senso anabolico, in altre parole per costruire le strutture muscolari, in modo da preservare la massa magra e ridurre quella grassa.
I danni del glucosio circolante e dell’insulina
Qualsiasi eccesso di zuccheri può finire con il danneggiare il fegato se assunto costantemente in quantità eccessiva, ma il primo organo che danneggiano è il pancreas, a causa dell’alterazione dell’equilibrio glicemico. I livelli della glicemia nel sangue sono mantenuti entro un ristretto intervallo dalla contemporanea produzione endogena di glucosio e dal “consumo” del glucosio da parte sia dei tessuti insulino-sensibili (fegato, muscoli e tessuto adiposo) sia da parte degli organi non dipendenti dall’insulina (cervello, cuore e rene). Questo equilibrio è regolato soprattutto dagli ormoni pancreatici. In un soggetto sano, all’aumento dei livelli glicemici si associa l’aumento del trasporto di glucosio nelle cellule β, con conseguente rilascio d’insulina. Quando il sangue avverte la presenza di un elevato quantitativo di zuccheri, il segnale arriva immediatamente all’ipotalamo che comanda al pancreas di attivare l’insulina. La quantità d’insulina riversata in circolo è infatti direttamente proporzionale ai valori della glicemia in circolo. Più aumenta la glicemia e maggiore quantità di insulina viene secreta perché il pancreas secerne l’insulina proprio per permettere agli zuccheri di entrare rapidamente nelle cellule, ma quando grandi quantitativi di insulina vengono riversati in circolo, la glicemia si abbassa rapidamente, scendendo sotto i livelli normali e il corpo si ritrova rapidamente in condizioni di ipoglicemia (calo glicemico). Il repentino calo della glicemia viene captato dall’organismo che aumenta la secrezione di glucagone. Si viene così a creare un circolo vizioso e l’aumentata richiesta di insulina porta in primo luogo a una condizione definita iperinsulinismo e poi con il tempo si sviluppa un’insulinoresistenza (l’insulina non è più adatta a far entrare il glucosio nei muscoli), e questa condizione può portare, a lungo andare, ad un progressivo declino funzionale delle cellule β del pancreas. L’iperinsulinismo inoltre è uno dei meccanismi che riduce la sintesi del DHEA da parte delle ghiandole surrenali. In condizioni di iperinsulinismo, le surrenali producono cortisolo, che è l’ormone dello stress (fisico o anche psichico) cronico. Questa combinazione di cortisolo elevato e DHEA depresso provoca uno squilibrio del sistema enzimatico del citocromo P450 ossidasi del
fegato, con il risultato di un incremento consistente dello stress ossidativo e con un conseguente aumento dei trigger infiammatori. L’attenzione all’equilibrio glicemico è quindi un perno fondamentale del percorso nutrizionale, ma credere che lo si possa tutelare considerando esclusivamente il carico o l’indice glicemico è aleatorio. Non risolverebbe la situazione di tossicità endogena perché non sarebbe sufficiente ad attivare alcuno stimolo epatico. Stimolo che è l’unica vera strada per realizzare un controllo glicemico perché quando il fegato è indotto a consumare, a lavorare, consuma gli zuccheri e abbassa la glicemia in circolo. La Bioterapia si differenzia sostanzialmente da tutte le altre diete, anche centrate sull’attenzione al carico glicemico (come quella del dottor Berrye Sears - autore della dieta a Zona – che per realizzare questo obiettivo e tenere bassa l’insulina raccomanda di utilizzare pane o pasta o patate senza mai abbinarvi la frutta e la verdura), in quanto quelle diete considerano esclusivamente l’indice glicemico. Invece la Bioterapia punta tutto proprio sulla modalità di cottura: il fritto, il soffritto, per costringere il fegato a funzionare e metterlo così in condizione di tenere sotto controllo la glicemia. E considera il carico glicemico complessivo del pasto (CGC). Diventa importante abbinare, a queste specifiche modalità di cottura degli alimenti (il fritto o il soffritto), verdura e frutta per dare liquidi di vegetazione che aiutino la funzione renale e zuccheri sufficienti per are il lavoro degli epatociti.
Come cattivo esempio di nutrizione da parte di molti adulti si evidenzia la consuetudine di non fare colazione e di prendere, nel corso della mattinata, due, tre caffè senza zucchero. Questo costituisce una stimolazione violenta che costringe sicuramente il fegato a “marciare”, ma senza il necessario o per il suo lavoro e quindi deteriora l’organo. In quel modo si costringe il fegato ad attingere alla riserva di glicogeno (dal fegato e dal cervello) e lo si lascia senza risorse. Si tratta sempre di uno stimolo, ma di uno stimolo patologico. Certamente, con il metodo della Bioterapia Nutrizionale, nel dare uno stimolo epatico, si privilegia l’attivazione epatica, ma lo si realizza con dei nutrienti che non innalzino la tossicità endogena, come invece possono fare diversi caffè.
L’osservazione delle abitudini nutrizionali ci riporta che spesso al mattino alcuni soggetti presentano inappetenza e partono senza fare colazione. (“Non avevo fame perché ero ancora sazio della cena precedente”). Questo dalla bioterapia è considerato un indicatore preciso di affaticamento epatico e di un disequilibrio notturno proprio nell’equilibrio glicemico. Se il fegato lavora a sufficienza, già dopo qualche giorno di dieta si osserva che il colorito del viso diventa più vivo, il soggetto dorme meglio. Questi elementi indicano che tutti i bioritmi stanno recuperando, che le funzioni biorganiche si vanno ripristinando e questo conferma che la funzione epatica aveva proprio bisogno di essere riattivata. Il metodo della Bioterapia Nutrizionale quindi punta tutto sull’ottimizzazione dell’equilibrio glicemico, ma il meccanismo di ri-equilibrazione a anzitutto per l’attivazione epatica.
Fegato, laboratorio delle meraviglie
Il fegato è localizzato a livello della parte alta dell’addome destro ed ha come compito fondamentale quello di drenare il sangue di provenienza intestinale, catturarne le sostanze nutritive in esso contenute derivanti dalla dieta, metabolizzarle e distribuirle agli altri organi. Èun vero e proprio laboratorio chimico del nostro organismo. Anche se i cinesi hanno messo il pancreas al centro della pentacoordinazione, il fegato si trova al centro dei metabolismi perché è l’organo che deve gestire l’operato degli altri organi. Nella medicina cinese, infatti, da più di 5000 anni, il fegato viene identificato come l’organo più importante nell’uso e nella distribuzione dell’energia che il rene deve dispensare. Ma, oltre alle sostanze buone, il nostro corpo introita quasi regolarmente sostanze dannose (farmaci, tossici ambientali e additivi alimentari). Tutta questa spazzatura deve essere eliminata per la maggior parte proprio dal fegato, attraverso complesse reazioni chimiche che portano alla formazione di composti solubili in acqua che verranno successivamente eliminati per via renale e/o intestinale. Ma oggi i tossici ambientali sono diventati maggiori di quelli ai quali l’uomo era abituato in ato. E il fegato viene continuamente esposto ad un superlavoro. Lavoro che aumenta in tutte le condizioni di stress fisico o virale. Il fegato è un organo molto malleabile che può essere stimolato, sostenuto, drenato, sovraccaricato. Addirittura è anche auspicabile proporre un “insulto” al fegato, un intervento “aggressivo” nel momento in cui si deve cercare di mobilizzarlo, come pure si rischia un blocco se, nel provocarlo, si esagera con gli stimoli. Quindi le funzioni della bioterapia nutrizionale consistono essenzialmente nello stimolare il fegato per aiutarlo ad assolvere correttamente alle sue funzioni: disintossicare, drenare, depurare…
Sostegno epatico
Primum non nocere. L’azione di sostegno epatico deve essere la prima azione prevista su un individuo in cui si ravvisi la necessità di aiutare un fegato sofferente.
Dall’osservazione dell’individuo si deve riuscire a capire se è opportuno iniziare con un intervento di stimolo, oppure se prima di attivare quel metabolismo è opportuno iniziare con una settimana di sostegno e di drenaggio epatico. Un corpo in equilibrio risponde meglio ad ogni intervento.
Sono evidenti i sintomi di intossicazione o di fatica epatica che indicano la necessità di attivare, prioritariamente, un sostegno epatico, modulando lo stimolo secondo le necessità:
Ittero. Cefalea accompagnata da fotofobia. Questo è un segno di sovraccarico epatico, presente nelle donne spesso in periodo premestruale. Un rimedio utilizzato dalla BTN nella cefalea epatica è la nutrizione per un giorno con un chilo di pesche bianche, senza niente altro. Altro rimedio contro la cefalea è la fetta di limone con la buccia “panata” nello zucchero con cui si forniscono pochi citrati e il sostegno dello zucchero. Si offre un minimo stimolo dei terpeni e degli oli essenziali della buccia, ma è uno stimolo blando e va bene perché un minimo di stimolo anche nella fase di sostegno epatico è previsto. Prurito come segno di colatostasi, che dipende dal ri-circolo dei sali biliari che irritano le terminazioni. È un segno di difficoltà epatica perché quando in un fegato non funziona bene la bile non viene espulsa, quindi rigurgita in circolo.
Emorroidi. Chi soffre di emorroidi ha un problema epatico. L’epatico di costituzione può avere le emorroidi quando è intossicato. Un pancreatico può avere le emorroidi se ha un problema epatico in conseguenza di una glicemia troppo elevata. Comunque la presenza di emorroidi è un segno di disturbo epatico. Bocca amara al mattino, che è un segno prettamente colicistico, per cui in questi casi si deve sempre cercare di stimolare un po’ il fegato, ma prima è necessario cercare di metterlo in condizioni tali da non soffrire a causa dello stimolo. Se lo si stimola troppo a cena, la mattina dopo quell’individuo si può svegliare con la bocca amara, perché la sua funzione biliare è stata troppo sollecitata. Bocca “impastata”, che è la condizione che si verifica quando la bocca si “secca” perché il fegato ha trattenuto l’acqua e perché la funzione gastrointestinale, lo svuotamento gastrico, è stato sicuramente rallentato, con rigurgito, aerofagia, segni di difficoltà epatica che hanno prodotto un rallentamento della digestione. La persona che riferisce dopo pranzo una sonnolenza e difficoltà di digestione, non ha problemi di stomaco, ha un fegato che non ce la fa a produrre i sali biliari necessari a permettere lo svuotamento gastrico, e insieme alla difficoltà epatica, in quel soggetto, non è efficace la funzione pancreatica. Sono gli organi a valle che non funzionano, in questo caso, non lo stomaco. Uno stimolo epatico consente sempre di stimolare la digestione. La sete è un altro segno epatico, perché il fegato richiede acqua. Il pancreas non chiede acqua, a meno che non ci sia un diabete conclamato, ma lì non è la glicemia a richiedere acqua, bensì l’eccesso di diuresi che richiede continuamente acqua, infatti il sintomo è poliuria e polidipsia. Il meccanismo della sete è abbastanza immediato, perché parte con l’ormone antidiuretico. Se la sete viene due giorni dopo una diuresi abbondante è perché il fegato è stato messo in crisi. La stipsi. Questo stato fisiologico può essere causato dal fatto che la persona non beve abbastanza e quindi il fegato trattiene acqua, oppure da una funzione epatica rallentata. Per aumentare le evacuazioni si propongono i fritti perché questo meccanismo sollecita la bile a riversarsi nell’intestino e ciò accelera la peristalsi. Se c’è una stipsi è quindi facile intuire che la funzione biliare è compromessa e perciò va stimolata usando cibi coleretici e colagoghi, che offrono uno stimolo alla produzione e all’eliminazione della bile. Il carciofo ad esempio è coleretico e colagogo insieme perché stimola la produzione e
l’escrezione dei canalicoli. Il segreto è sempre quello di stimolare la funzione biliare. Stimolando la funzione biliare bisogna sempre tenere presente che la mobilitazione di questa attività del fegato si trascinerà dietro tutte le altre funzioni. L’epatocita svolge oltre cinquemila reazioni, e non è un numero a caso, e tra le sue tante funzioni, elimina la bile. Però bisogna sempre tener presente che se si va a stimolare una funzione importante come l’escrezione della bile, contemporaneamente verranno stimolate anche tutte le altre funzioni. PH alto delle urine. L’attivazione di tutti i metabolismi produce tossine. Il valore del pH elevato nelle urine è un indicatore di tossicità sistemica. Se un individuo presenta un pH 7 nel sue urine, non si può stimolare il fegato, né è opportuno proporre antiossidanti, né alimenti stimolanti con lo iodio, perché non si può sovraccaricare quell’organismo. In questi casi il fegato va soltanto sostenuto.
Piccoli rimedi di pronto intervento
In caso di patologia epatica seria, epatite tossica: il rimedio è la soluzione glucosata sotto forma di flebo orale (il classico bicchiere d’acqua con zucchero e limone), sorseggiata ogni dieci minuti in modo da permettere l’assorbimento sub-linguale dello zucchero, così che il sangue portale possa portare al fegato lo zucchero. Con l’assorbimento sublinguale entrerà in circolo un po’ di glucosio e un po’ ne arriverà ai tessuti, per un assorbimento più sistemico. La soluzione glucosata serve anche ad evitare il digiuno che metterebbe in crisi i metabolismi, il fegato e il cervello, ed è essenziale come sostegno ad un fegato in grave difficoltà.
Se la persona con un fegato in crisi è in grado di mangiare, la cosa migliore è dare zuccheri a lenta cessione, ad esempio la pasta. Per il fegato la pasta è il miglior carboidrato. Nel caso di cefalea però non è pensabile di aiutare il fegato con degli zuccheri fornendo soltanto pasta bollita, non serve a niente, allora è meglio una mela cotta. La scelta del tipo di o alimentare dipende dalla gravità. Ad un fegato in difficoltà si può fornire un sostegno prima ancora di proporre la pasta. Si inizia il pasto con una bruschetta con pane tostato ed olio, in questo modo si forniscono zuccheri a più veloce cessione. Nel pane tostato gli zuccheri vengono trasformati e ceduti più velocemente, per cui questo accorgimento non è consigliato per un diabetico, per il quale è più consigliabile il pane raffermo che ha già abbattuto la carica del lievito e diventa più ipoglicemizzante rispetto al pane tostato e a quello fresco. Il pane tostato è costituito da zuccheri che sono velocissimi ad entrare in circolo, quindi si può cercare un compromesso assumendolo con l’olio, che rallenta un po’ l’assorbimento dello zucchero. La bruschetta con l’olio non affatica il fegato perché i grassi a catena lunga, quelli dell’olio, non arrivano al fegato, ma vanno direttamente in circolo, vengono assorbiti dall’intestino, vanno al dotto toracico, sotto forma di goccioline emulsionate, finiscono nella linfa e non vanno direttamente nel torrente circolatorio del sangue.
Il significato dell’attivazione epatica
Il metodo della Bioterapia Nutrizionale s’incentra sull’attivazione epatica in quanto sfrutta le capacità detossificanti dell’organismo, principalmente del fegato. Il fegato è infatti uno degli organi più importanti del nostro organismo, rappresenta uno dei sistemi più complessi del corpo umano e partecipa alla stragrande maggioranza dei processi metabolici. Il fegato possiede milioni di epatociti che fanno veramente migliaia di reazioni, di cui noi conosciamo solo una parte. Anzitutto il fegato costituisce il nostro principale sistema di detossificazione. Il sangue, carico di tossine (in particolare derivanti dal materiale che proviene dal sistema gastro-intestinale), arriva al fegato, che provvede a “ripulirlo” dalle componenti nocive, attraverso un’azione sia di filtraggio, sia di trasformazione di tali componenti in altre meno pericolose. Le sostanze idrosolubili vengono inviate – attraverso la circolazione sanguigna – ai reni, mentre le sostanze liposolubili, mediante la bile, vengono immesse nell’intestino. Quindi anche i reni e l’intestino collaborano alla disintossicazione del nostro organismo, allontanano dal corpo tali sostanze, rispettivamente attraverso l’urina e le feci. Si tratta di un lavoro di cooperazione. Ma è il fegato il primo protagonista ed ha quindi un ruolo insostituibile nella neutralizzazione delle tossine. Il nostro stato di salute è inevitabilmente legato alla sua piena funzionalità. Il fegato è l’unico organo capace di rigenerarsi dopo rimozione parziale o anche dopo danneggiamento. Tuttavia un danno grave e prolungato può condurre a una cicatrizzazione irreversibile del tessuto epatico. Il danno epatico può compromettere la capacità dell’organo di adempiere alle funzioni vitali e bisogna tenere presente che in quell’organo, a differenza degli altri organi, può verificarsi un deterioramento significativo prima ancora della comparsa di una sintomatologia evidente. Molti agenti stressanti come virus, tossine, alcol, possono arrivare a ledere lentamente, ma irrimediabilmente il fegato. Il fegato va quindi prioritariamente tutelato ma anche sollecitato a compiere le sue funzioni.
Il fegato può essere stimolato in vari modi. Vedremo diverse stimolazioni possibili. Una volta che il fegato viene attivato è però ovvio che dovremo tenere presente anche la funzione renale, perché – se andiamo a stimolare la funzione epatica – i tossici si muovono dal fegato, ma rischiano di trovare una difficoltà nell’eliminazione da parte del rene. Nel dare uno stimolo epatico dobbiamo quindi sempre tenere presenti – contemporaneamente – sia la funzione renale, che l’equilibrio glicemico. In modo particolare bisogna fare attenzione quando è già presente un disequilibrio glicemico. Le precauzioni fondamentali sono quindi relative alla necessità di costruire una dieta capace di stimolare la funzione epatica, ma anche di tenere stabile l’equilibrio glicemico, bilanciando i carboidrati, accompagnando quei carboidrati ad una verdura e, non – come esempio sbagliato– alle patate (che contengono altri zuccheri che, sommati insieme agli altri carboidrati costituirebbero un eccessivo carico glicemico di quel pasto). Occorre assicurare un corretto equilibrio glicemico soprattutto nel pasto serale perché il fegato attiva le sue funzioni di detossicazione proprio durante la notte e se il carico glicemico del pasto serale risulta eccessivo per l’equilibrio glicemico di quella persona, il soggetto va in iperglicemia e subito dopo, per il meccanismo dell’insulina, finisce in ipoglicemia, privando il fegato degli zuccheri indispensabili al suo lavoro. Il fegato va in crisi e al mattino ci si sveglia più stanchi di quando ci si è coricati. Intossicati.
I diversi stimoli metabolici attivabili con la dieta
La novità di questo approccio nutrizionale è quello di riuscire ad utilizzare gli alimenti per stimolare le diverse funzioni organiche, senza utilizzare soltanto il parametro delle calorie, ma associando i diversi nutrienti sulla base delle conoscenze delle loro proprietà. Il dato calorico è un dato biochimico incontrovertibile ma in realtà ogni persona è diversa e per questo ognuno utilizza le calorie in base alla sua tipologia costituzionale. La sollecitazione metabolica avviene attraverso diverse modalità (e si hanno diverse risposte metaboliche che sono quelle che poi si rilevano attraverso lo stick urinario del mattino). Ogni stimolo metabolico (da non confondersi con il mero stimolo epatico descritto sopra) va proposto su misura dell’equilibrio di ogni persona. Ci sono quindi differenze d’intensità in ciascuno stimolo. Ad esempio un alimento che piace molto ai bambini (a tutti i bimbi del mondo, perché essendo organismi in crescita e quindi producendo tanti ROS, hanno bisogno di uno stimolo "intenso") è, sicuramente, la fettina panata. Che costituisce un forte stimolo perché c'è la sollecitazione metabolica derivante dalla carne rossa fritta, dal pane fritto, ma anche dall'uovo fritto. Anzi, ancora più intenso della fettina panata è lo stimolo del fritto "dorato" (in cui l’alimento si a prima nella farina e poi nell'uovo). Per i bambini un fritto come la fettina panata, purché sia cotta con le regole di una frittura sana, che descriverò più avanti, è uno stimolo metabolico facilissimo da gestire. Ma un organismo affaticato, intossicato, aggravato dai farmaci, non se lo può permettere all’inizio del percorso. Inizialmente perciò bisogna procedere con un drenaggio organico. Sostenere gli emuntori perché si rimettano in moto per funzionare. È comunque importante sapere che negli organismi molto intossicati ogni stimolo metabolico smuove, va a stoccare i ROS da dove sono, per portarli via. E questo può portare una temporanea acidosi. Ma è soltanto temporanea. Per questo motivo però vanno presi degli accorgimenti dietetici che offrano dei i nutrizionali adeguati: curando sia l’associazione con gli altri alimenti dello stesso pasto, che l’organizzazione del pasto successivo alla stimolazione. Si tratta di una sinfonia dove tutte le note di ogni spartito hanno un senso.
Questi stimoli metabolici li suddividiamo in stimoli fisiologici e stimoli patologici.
Sono stimoli metabolici fisiologici: ferro, iodio, citrati, capsaicina, tutte le solanacee che contengono la solanina, la clorofilla, il fosforo, le proteine; questi sono stimoli generalizzati quindi diretti a diversi organi. Li vedremo in dettaglio. È ovvio, per esempio, che se si utilizza il pesce in un pasto, si intende sollecitare la funzione tiroidea, ma se quel pesce lo si propone fritto si va a sollecitare contemporaneamente anche la funzionalità epatica.
Costituisce uno stimolo patologico invece tutto ciò che porta alla perdita di peso ma in modo patologico. Rappresentano stimoli patologici il digiuno o una dieta ipocalorica perché comunque sono condizioni fisiologiche che creano uno stress organico e quindi alterano l’assetto ormonale. Il digiuno va a far leva su sistemi di difesa che attivano metabolismi relativi alle condizioni di carestia e quindi stimola il network ormonale a produrre ormoni che mantengono il corpo in vita. Ma a caro prezzo. Un soggetto giovane si sente bene anche se digiuna perché il corpo risponde con delle attività organiche che solitamente non usava poiché non ne aveva bisogno. Anzi, lo stato che avverte è anche di leggera euforia. È noto l’atteggiamento degli anoressici che hanno l’orgoglio di aver vinto la sfida della fame (resistere, resistere, resistere) e si sentono sempre carichi di vitalità. Inizialmente. Il digiuno può anche costituire un meccanismo di disintossicazione perché non mangiando per un periodo il soggetto non produce le sostanze di scarto, e quindi non crea tossine; però questa condizione produce un’intossicazione interna, cioè c’è una maggior produzione di ormoni steroidei: adrenalina prima e cortisolo poi. Ma mentre nei primi giorni questo stress si manifesta come euforia, dopo una decina di giorni ci si accorge di essere intossicati. Inoltre il digiuno occasionale (che non è mai digiuno completo, ma integrazione con estratti di verdura e frutta, rimineralizzanti), può servire a resettare i sistemi
se viene fatto una volta ogni tanto, però non può essere continuativo. Un soggetto obeso che si sottopone a periodi di digiuno in primis rallenta il suo metabolismo perché il suo organismo si abitua a farsi bastare quella minima quota di energia e alla fine il suo corpo risulta in chetosi e non riesce a gestire quella tossicità.
Stimoli fisiologici interni
Il ferro
Tra gli stimoli va considerato il ferro contenuto sia nella carne sia in molte verdure. Il ferro ha una doppia funzione perché è importante per il trasporto dell’ossigeno nel sangue e per i citocromi. I citocromi rivestono un importante ruolo nei processi di detossicazione cellulare. Il fegato riceve parte del sangue dall’intestino tramite la vena porta, per cui le cellule epatiche sono esposte alle variazioni dei livelli delle sostanze nutritive e alla presenza di sostanze tossiche. Queste variazioni inducono un aumento nella sintesi di determinati enzimi. La funzione del ferro nella dieta è di fondamentale importanza: ad esempio se si aggiunge del prezzemolo in un piatto questo fa aumentare le reazione metaboliche. In un soggetto invece in cui sia presente un eccesso di ferro una sua integrazione può addirittura provocare un rallentamento del metabolismo perché il ferro si accumula a livello delle cellule epatiche e nel momento in cui una cellula epatica è troppo carica di ferro rallenta tutte le altre funzioni. Quando vogliamo proporre uno stimolo blando usiamo il soffritto (es.: cicoria riata) che contiene ferro, accanto ad una proteina (filetto, che pure contiene ferro) e con questa combinazione forniamo uno stimolo, anche se più blando del fritto.
La vitamina C
Tra gli stimoli va considerata anche la vitamina C. La vitamina C (in un fegato sano) è un potente antiossidante che costituisce uno stimolo epatico in quanto mobilizza una tossicità endogena e costringere il fegato a gestirla. Ad esempio il kiwi con il suo contenuto in ferro stimola il fegato, ma contiene anche un alto
quantitativo di vitamina C e con questo alimento l’attivazione del fegato avviene sia ad opera del ferro, sia per la presenza di vitamina C, perché l’acido citrico attiva il fegato. Dove c’è acido citrico c’è anche un po’ di acido ascorbico, come nel limone. I radicali liberi vanno però eliminati dal fegato, proprio mediante alimenti antiossidanti, che stimolano in maniera importante il fegato perché lo fanno lavorare. Bisogna comunque tenere presente che gli antiossidanti stimolano il fegato e mobilizzano le tossine e quindi bisogna modularne l’uso a seconda dello stato del fegato del soggetto. La vitamina C è importantissima per il ciclo di Krebs (ciclo dell’acido citrico) che attiva la respirazione cellulare. Quando noi ingeriamo la vitamina C attiviamo il metabolismo cellulare, in primis quello epatico e poi quello neurologico perché la vitamina C, attivando il ciclo di Krebs, riduce la tossicità sistemica e velocizza le funzioni organiche, quindi migliora la reattività neurologica. Per l’attività neuronale è molto importante l’uso del limone. Inoltre la vitamina C migliora l’assorbimento del ferro ed è per questo che si sceglie di utilizzare alimenti contenenti vitamina C insieme a quelli contenenti ferro.
La capsaicina
Presente nel peperoncino e in misura minore nei peperoni. Èimportante negli scambi di membrana, aumenta il tono surrenalico, attiva la risposta adrenalinica, quindi agisce direttamente sul surrene.
La clorofilla
La clorofilla, presente in tutte le verdure a foglia verde, è un attivatore cellulare importante, un antiossidante, antitumorale. Èpiù efficace nelle verdure crude.
Abbondanti fonti di clorofilla sono negli spinaci, nelle erbette, nei broccoli, nel cavolo verza, nel tarassaco, nella cicoria, nelle cime di rapa, nella catalogna, nella barba di frate. L’ideale è cibarsi di questi ortaggi crudi o appena scottati, ricordando che anche i broccoli crudi, tagliati sottili e conditi con mollica di pane, capperi, olio extra vergine di oliva, sale e aceto, sono gustosissimi.
La solanina
La solanina è presente nelle solanacee. Quindi nei pomodori, nelle melanzane e nelle patate, ma la sua concentrazione è più alta quando questi alimenti sono conservati male. Nei pomodori e nelle melanzane la sua presenza è inversamente proporzionale al grado di maturazione. La solanina è quindi più biodisponibile nei peperoni e nelle melanzane, più che negli altri vegetali ed è per questo che si utilizzano più questi che altre solanacee quando si vuole attivare lo stimolo adrenergico.
Il fosforo
Il fosforo stimola la tiroide, il sistema nervoso. Le percentuali più alte di fosforo si trovano nei semi dei cereali e nei legumi. È contenuto nel pesce come il merluzzo, l’orata, la spigola; nelle uova, nella carne, nella frutta secca a guscio, nel latte e in piccola parte anche nelle verdure.
Le proteine
La proteina è un acceleratore del metabolismo, per questo è stimolante. Nella carne rossa c’è anche il ferro che è un altro stimolo epatico, perciò la proteina con il ferro (filetto di vitella o di manzo) è molto stimolante e quando la proteina
viene proposta fritta (fettina panata) rappresenta uno stimolo ancora più intenso. Bisogna tenere presente però che la proteina fritta può costituire un carico a volte non facile da gestire.
Le diete iperproteiche
Anche le diete iperproteiche (dieta Dukan, Atkinson, dieta chetogenica, paleolitica, dieta GAPS, dieta Foodmap, ecc.) forniscono uno stimolo generalizzato, perché le proteine sono quelle che stimolano più il metabolismo e lo aumentano. Questo tipo di diete sostengono il tono generale del sistema nervoso e sono molto efficaci nel ridurre la secrezione insulinica. Purtroppo se non sono prudentemente calibrate con un controllo del carico proteico e dell’equilibrio glicemico complessivo rischiano di creare delle tossicità a livello renale, al pari dell’attività fisica esasperata. Noi applichiamo una dieta iperproteica soltanto per periodi brevi associando insieme alimenti che in quei periodi sostengano la funzione renale e assicurino un basso carico insulinico.
La frittura
Il fritto costituisce uno stimolo epatico ma anche metabolico. Piatti come: crocchetta di patate, patata fritta, fettina panata, calamari fritti, fanno lavorare il fegato. Il fegato lavora perché deve metabolizzare l’olio fritto (va usato nella frittura sempre e soltanto extravergine di oliva non ri-fritto), quindi la cistifellea comincia a lavorare attivando gli epatociti. Il fritto non sovraccarica il fegato, a meno che quel fegato non sia proprio intossicato, perché il fegato non viene messo in crisi dal fatto di dover gestire un grasso, con la frittura realizzata secondo i parametri della BTN, il fegato viene messo nella condizione di gestire un tossico che non lo mette in crisi. Se invece si mangia un tiramisù davvero si rischia di sovraccaricare il fegato perché in quel piatto ci sono grassi animali, che arrivano al fegato, zuccheri, latte, eventualmente alcool, uova, molti alimenti diversi e complessi che richiedono diversi processi di metabolizzazione. Il fegato in quel caso si troverebbe a dover gestire un eccesso di grassi senza nemmeno
aver ricevuto lo stimolo adeguato. Comunque anche tra le fritture bisogna distinguere. La carne fritta richiede indubbiamente maggior lavoro della patata fritta perché la patata ha già un suo contenuto di zuccheri (che sostengono il fegato), così come la zucchina in pastella, che oltre a contenere gli zuccheri della pastella, contiene anche il potassio della verdura che rilassa i canalicoli biliari. Con alcuni tipi di frittura si richiede effettivamente un lavoro al fegato, ma contemporaneamente - gli si fornisce l’energia per poter portare avanti quel lavoro metabolico a lungo termine. Tutto dipende dalle associazioni adottate. Se una persona si nutre con un piatto di zucchine marinate e poi prende un cucchiaino di zucchero, quello zucchero dopo un po’ sarà stato smaltito. E il fegato ne resterebbe sprovvisto. Mentre, se mangia un piatto di pasta e vi associa una zucchina marinata, il corpo si potrà giovare di un sostegno più duraturo offerto dagli zuccheri della pasta. Ugualmente avviene anche con la scelta della zucchina pastellata, dove saranno disponibili, in quello stesso pasto, i carboidrati della pastella che sosterranno il lavoro epatico.
Quali stimoli metabolici scegliere?
Non tutti gli stimoli metabolici possono essere impiegati frequentemente e non in tutti gli individui, quindi il compito del consulente di BTN è capire quali stimoli utilizzare e quali accoppiare tra loro. Queste scelte derivano dallo studio della tipologia costituzionale dell’individuo, dal monitoraggio della dieta, dall’osservazione dei cambiamenti che avvengono nel tempo seguendo la dieta, dalla sintomatologia soggettiva (appetenze, tono energetico nell’arco della giornata, funzioni intestinali, tono dell’umore). Le analisi emato-chimiche possono essere un valido o per confermare le ipotesi osservazionali e le influenze dell’ereditarietà del singolo. Se tutti i parenti di un soggetto soffrono di diabete, l’aspetto al quale bisognerà prestare maggiore attenzione, nella costruzione della dieta di quel soggetto, sarà l’attenzione all’equilibrio glicemico-insulinico.
Di seguito fornisco alcune indicazioni di carattere generale per la composizione di un menù corretto, che possa stimolare le funzioni epatiche senza aggravare il fegato. Occorre anzitutto tenere presente che in un menù equilibrato, se si stimola il fegato in un pasto, bisogna assicurare in quello stesso pasto anche l’apporto di acqua di vegetazione e di zuccheri, perché il fegato per lavorare ha bisogno di acqua e zuccheri. Nel pasto successivo, bisogna però effettuare sempre un lavoro di drenaggio. Quindi, tanto per fare un esempio: se a pranzo proponiamo una fettina panata, con due belghe (per la loro acqua di vegetazione), e un’arancia (ancora acqua, con zuccheri e vit. C); la sera bisognerà proporre una pasta al pomodoro accanto ad una cicoria riata, o spaghetti aglio e olio e peperoncino (con un po’ di prezzemolo) e poi una cicoria riata. Questa combinazione di zuccheri complessi, con un leggero stimolo epatico del soffritto della pasta saltata in aglio e olio e della cicoria con l’associazione con una verdura dall’attività specifica drenante, sosterrà l’organo epatico che è stato “frustato” a pranzo e farà eliminare l’acqua (carica di tossici derivanti dall’aver
mobilitato il fegato) in eccesso. La sequenza da rispettare nella composizione dei pasti è: stimolazione e idratazione in un pasto (a pranzo frittura con un po’ di zuccheri e acqua di vegetazione) e nel pasto successivo (la sera) sostegno e drenaggio.
Stimolo epatico e biliare
Spesso le gastriti sono dovute ad una carenza della funzione epatica. Un fegato “dormiente”. Stimolando la funzione epatobiliare è possibile accelerare lo svuotamento gastrico e quindi ridurre i sintomi della gastrite. Nei casi di gastrite gli alimenti vanno sempre cotti al dente, e la pasta va proposta quasi cruda. Un ottimo rimedio contro le gastriti che bisogna sempre prevedere nei problemi gastrointestinali è l’utilizzo “intensivo” dello zenzero.
Gli effetti dello stimolo metabolico del fritto
La ricerca ha dimostrato che lo stimolo metabolico indotto dalla preparazione degli alimenti con il fritto e con il soffritto è in grado di abbassare il carico glicemico complessivo di un pasto maggiormente che non se la preparazione degli stessi ingredienti avviene senza l’utilizzo dello stimolo del fritto.
La frittura (che rispetti alcune regole precise) agisce principalmente grazie a un’azione coleretica e colagoga, in altre parole fa contrarre e decongestionare la colecisti, facendo espellere la bile. La bile contiene molte sostanze che sarebbero altrimenti dannose per il nostro organismo, compreso il colesterolo in eccesso. Perciò la frittura, favorendone l’escrezione nell’intestino, agevola il meccanismo epatico di detossificazione. La frittura, favorendo la corretta funzione intestinale, grazie all’efficace azione catartica della bile, impedisce il riassorbimento di tossine dall’intestino che si verifica nei casi di rallentato transito o stitichezza, quando i prodotti della digestione permangono troppo a lungo nel colon. Il fritto è più digeribile rispetto ad altri tipi di cottura in quanto l’alimento si disidrata e quindi è facilmente aggredibile dai succhi digestivi. Lo stimolo epatico della frittura in olio extravergine di oliva di ottima qualità riduce il colesterolo LDL con aumento della frazione HDL, il colesterolo buono, normalizza i trigliceridi, è in grado di far regredire una steatosi epatica, previene e cura le emorroidi, risolve le stipsi croniche che, solitamente, implicano una condizione di ipofunzione epatica. Il fritto è utile e impiegabile in tutte le patologie, comprese quelle cardiache ed è controindicato soltanto in presenza di una severa patologia epato-colecistica in atto, in quanto in questi casi il fegato e la colecisti non sarebbero in grado di rispondere in modo adeguato allo stimolo.
Lo stimolo metabolico mediante l’utilizzo di alimenti soffritti
Uno stimolo epatico mediante il soffritto è il più “fisiologico” di tutti gli altri stimoli epatici e può essere utilizzato con più costanza. Consideriamo che il lavoro del metabolismo è sempre un lavoro intenso per un organismo, per cui in qualsiasi dieta è meglio partire con un pasto semplice da “demolire” e da tradurre in nutrienti utili. È importante sempre rispettare un organismo e agevolare le funzioni, sollecitandole con gradualità. Qualsiasi soggetto, anche con una patologia acuta, riesce a gestire un pasto composto da: straccetti di tacchino saltati in padella con aglio e olio e rosmarino, insalatina mista, mela.
Lo stimolo metabolico della vitamina C
Anche la vitamina C costituisce uno stimolo per l’attività epatica, ma va usata con oculatezza con un fegato “affaticato”, perché un eccesso di vitamina C comporta un aumento dei cataboliti tossici, in quanto la vitamina C è un potente antiossidante e va a rimuovere il pool di radicali da eliminare. La vitamina C non permette l’ossidazione delle proteine e assume su di sé l’ossidazione, raccoglie i radicali in circolazione, ma questo aumenta i cataboliti da smaltire. La vitamina C aumenta gli acidi e i radicali acidi, tanto è vero che un eccesso di vitamina C dà come risultato nello stick urinario successivo a quel pasto un pH alto, che indica che c’è troppa acidità in circolo, e che l’organismo non riesce ad eliminarla, invece l’obiettivo di questa “pulizia organica” è di avere un pH molto più “sano”. Se un sistema è in crisi e lo si sovraffatica con stimoli che non riesce a gestire, quel sistema “si impalla”. La vitamina C si trova molto spesso nei vegetali e in un menù equilibrato è sempre presente, come nel piatto dell’insalata. È sempre bene considerarlo ed evitare perciò di fornire con un pasto eccessi che possano sovraccaricare i sistemi. Ad es.: un menù con pesce, peperone e pompelmo, è un’associazione che è consigliabile evitare di sera per le persone che soffrono d’insonnia, anzitutto perché il pesce va utilizzato soltanto in determinate occasioni e vanno scelti soltanto alcuni tipi di pesce che non facciano impennare lo stimolo tiroideo, molto problematico se un sistema nervoso è iperattivo; poi sarebbe presente in questa associazione alimentare anche un forte stimolo della vitamina C ed è quasi scontato che, associato allo stimolo tiroideo, finirebbe con il sollecitare eccessivamente il metabolismo, scaricando una forte tossicità. Questo menù sicuramente metterebbe in crisi un soggetto iperattivo ed irritabile, perché va a stimolare troppo il metabolismo e un pasto composto in questo modo può soltanto far peggiorare il quadro, anziché migliorarlo.
Lo stimolo metabolico dato dalla vitamina A
La vitamina A è una vitamina molto delicata da gestire e spesso in un fegato carico di tossici va utilizzata con molta moderazione perché è una vitamina che si accumula nel fegato e può addirittura bloccare il lavoro di detossificazione del fegato. Tutto quello che si accumula nel fegato è potenzialmente tossico. Blocca le sue funzioni. Il ferro e la vitamina A, che tendono ad accumularsi in questo organo, in realtà sono stimoli metabolici da utilizzare esclusivamente per stimolare un fegato sano. Nella formulazione della dieta bisogna tenere presente che ci sono vitamine che si accumulano, come la vitamina D, la vitamina A, quindi questi stimoli vanno usati con parsimonia.
Lo stimolo del ferro
La funzione del fegato è proprio quella di essere dinamizzato. Se un soggetto però ha una difficoltà epatica, questi stimoli, se non sono calibrati opportunamente, finiscono con il mettere in crisi l’organo. L’attenzione deve essere data ad una sollecitazione “rispettosa”, che non finisca con il bloccare l’organo. Un pasto composto da 180 g. di filetto, un radicchio e un kiwi, costituisce un carico di ferro non indifferente, che può finire con il mettere in crisi un fegato in difficoltà. Se questa stessa associazione alimentare viene invece proposta a un’altra tipologia di soggetto, più “rallentato”, più assente, più “renale”, quel pasto funziona, perché questa tipologia costituzionale ha un fegato capace di sostenere stimoli più intensi. Non lo si mette in crisi. Il soggetto “ossidatore lento” non ha come problema principale l’equilibrio glicemico, perciò uno stimolo come il ferro non mette in crisi il suo fegato, il suo fegato si impegna immediatamente per liberarsene. Un soggetto “lento” ha invece bisogno di uno stimolo intenso come il ferro. Se però nelle analisi di quel soggetto è alto il valore della ferritina, bisogna prestare molta attenzione, perché un ulteriore “stoccaggio” di ferro metterebbe in crisi il suo fegato, costituirebbe anche in quel soggetto un’aggravante, anziché uno stimolo.
Il fegato è difficile che non sia stimolato da un pasto, perché un menù che contenga semplicemente una carne con insalata e un frutto, contiene inevitabilmente del ferro e della vitamina C, che fungono già da acceleratori metabolici. Un’altra associazione alimentare apparentemente simile, sempre contenente sostanze come ferro e vitamina C, che potrebbe essere costituita da filetto, melanzana e kiwi è però una combinazione che contiene “un carico” eccessivo di ferro e non contiene acqua di vegetazione sufficiente. Proporre un menù carico di ferro riduce sempre un po’ la capacità diuretica di un pasto, cioè mette in difficoltà la funzione di smaltimento dei metaboliti tossici da parte del rene. Bisogna sempre tenere presente che al rene arrivano tutti i tossici provenienti sia dall’intestino che dalle vie linfatiche. Quelle introdotte dall’ambiente e quelle derivanti dal lavoro del metabolismo. Inoltre la
melanzana è una solanacea che ha un forte potere irritante e può interferire con gli eventuali obiettivi di sedazione che ricerchiamo nella dieta di una persona che presenti problematiche di irritabilità neurologica. Il kiwi inoltre, contenendo oltre al ferro anche molta vitamina C, aumenterebbe notevolmente l’eccitazione metabolica. Infine il kiwi non contiene sufficienti zuccheri, indispensabili a are la funzione epatica in questo pasto. Il kiwi è un frutto che va sempre abbinato con cura ad altri nutrienti zuccherini (ad esempio nella macedonia). Inoltre questo tipo di associazione nutrizionale, così carica di ferro, se proposta ad un soggetto che soffre di disturbi gastrici, potrebbe rappresentare una forte fonte di infiammazione. Proporre un pasto con un eccessivo carico di ferro ad una persona che soffre di disturbi gastrici è come gettare alcol sul fuoco. La cicoria, la belga, sono anche queste verdure che contengono ferro, ma –essendo anche ricche di potassio – sono molto più gestibili rispetto alle melanzane, al radicchio, agli spinaci cotti, verdure che contengono una quantità di ferro che potrebbe mettere in crisi l’organo fegato e l’organo rene, perché gli alimenti ricchi di ferro non sono diuretici. Le verdure cotte inoltre concentrano sempre di più il ferro e nella cottura cristallizzano i sali minerali, perdendo così la loro capacità diuretica. Invece le verdure crude, come l’indivia riccia, le belghe crude, gli spinacini crudi, pur contenendo ferro biodisponibile, sono alimenti molto più gestibili dal punto di vista metabolico.
Lo stimolo metabolico dello iodio
Anche lo stimolo tiroideo produce radicali liberi e già per questo motivo, in un soggetto che presenti problematiche neurologiche, sarebbe uno stimolo da evitare. I pesci che sono proponibili, quando esiste un’irritabilità neurologica, o anche quando il tono dell’umore è sempre “su di giri” (iperattivi, sportivi di professione, persone esposte allo stress cronico) e il cortisolo di quell’individuo è già sempre alto, sono i pesci di lago (coregone, luccio, cefalo muggine, anguilla, ecc.) o pesci grassi di mare (calamaro, seppia, salmone) ma possibilmente proposti lessati (in modo che perdano lo iodio) e accuratamente associati a verdure o carboidrati che contengano calcio (neurosedativo) o potassio (patate, fagiolini, agretti, ecc.). Una buona insalata mista che costituisce un pasto non eccitante da proporre anche nel caso dell’eretismo psichico è: cefalo di lago lessato, spinato e ridotto in insalata con fagiolini e patate, associati ad una banana con pinoli. Una bella dose di potassio e calcio, minerali che sedano gli effetti dello iodio.
“Stimolare a monte, drenare a valle”
La lunga catena di reazioni metaboliche che avvengono nel nostro corpo e che ci assicurano l’energia di cui abbisogniamo per vivere, determina la produzione di numerose sostanze residue. Anche se il metabolismo le ricicla, in modo da sfruttare a fondo tutto quanto è disponibile, sia in termini energetici che materiali, altre sono inutili o dannose. Per evitarne l’accumulo, e quindi l’intossicazione, il corpo le deve poter espellere con modalità specifiche e diverse a seconda del tipo di sostanza. Questa funzione la svolge il sistema linfatico. Il drenaggio generale, attivato mediante uno stile nutrizionale ad hoc, va a stimolare contemporaneamente tutti gli organi emuntori: fegato, pelle, reni, polmoni, intestino, sistema linfatico. Un alimento ha proprietà detossificanti quando attiva le funzioni drenanti di un organismo, cioè quando svolge la funzione di andare a richiamare i tossici che sono disciolti nei liquidi corporei. Se c’è acqua extracellulare vuol dire che l’acqua viene trattenuta mediante sostanze che sono dei soluti, oppure da sostanze tossiche. Per eliminare l’acqua in eccesso quindi bisogna mettere il corpo in condizione di eliminare i tossici. Lo stimolo epatico sollecita il fegato a coniugare i tossici, l’acqua di vegetazione li rende solubili e attraverso quell’acqua arrivano al rene, che li elimina. Un altro cardine della Bioterapia Nutrizionale®, quindi è: stimolare a monte e drenare a valle perché dopo aver sollecitato il fegato a svolgere la sua funzione detossicante occorre tutelare il rene che deve filtrare e smaltire quelle sostanze tossiche. Se, ad esempio, con le patatine fritte (preparate in casa) si va a sollecitare l’eliminazione delle tossine, è indispensabile, in quello stesso pasto, curare il drenaggio del rene associando verdure crude (insalata, cetriolo, belga), verdure che facilitino l’eliminazione di cataboliti tossici. E che non siano verdure troppo diuretiche (ad esempio finocchi) perché l’acqua di vegetazione deve essere utilizzata dalle funzioni epatiche, non può accelerare la diuresi. Sarebbe utile che tutti acquisissero queste piccole regole di nutrizione sana.
Linee guida di Bioterapia Nutrizionale
Le linee guida di Bioterapia Nutrizionale sono riassumibili in un piccolo dodecalogo: 1. fornire all’organismo informazioni semplificate; 2. proporre alimenti non inquinati; 3. formulare una dieta su misura dello specifico bagno ormonale; 4. proteggere il Sistema Immunitario dalle infezioni; 5. ripristinare un equilibrato rapporto tra gli acidi grassi essenziali; 6. eliminare alimenti che aumentano lo stato di intossicazione endogena; 7. contrastare l’iperinsulinismo; 8. abbassare il livello di eccitabilità che causa un alterato livello del cortisolo; 9. neuromodulare il Sistema Nervoso e favorire il miorilassamento periferico; 10. fornire una dieta ricca di enzimi; 11. facilitare il drenaggio e il sostegno degli emuntori; 12. distribuire i pasti in modo equilibrato e coerente con i principi precedenti.
1) Fornire all’organismo informazioni semplificate
L’influenza dello stile nutrizionale sul Sistema Immunitario e sul Sistema Nervoso è molto più ampia di quello che la cultura tradizionale possa immaginare. Fino ad oggi ci si è limitati a fare un calcolo delle calorie e a considerare i nutrienti, ma senza nemmeno tanto riflettere sulla biodisponibilità degli alimenti, né tanto meno sull’impatto che alcuni nutrienti potevano avere sul metabolismo individuale. Un intervento nutrizionale calibrato per mantenere la vis sanatrix naturae anzitutto dovrà prevedere una prima fase di “studio” del soggetto al quale è destinato l’intervento: le sue reazioni ai diversi nutrienti, agli accostamenti nutrizionali, e dovrà operare delle scelte di lavoro su specifici organi. Per far ciò bisogna utilizzare associazioni nutrizionali che diano all’organismo, in primo luogo, delle informazioni molto chiare, semplificate, associazioni che abbiano finalità precise. Una dieta molto lineare. Caricare un organismo di nutrienti diversi infatti, mette in crisi gli organi, che non riescono a metabolizzare e a smaltire i tossici derivanti dai diversi metabolismi, esposti ad un superlavoro. Con la Bioterapia si associano pochi nutrienti per realizzare un effetto specifico. Ad esempio, se si vuole realizzare un effetto drenante si propongono pochi nutrienti mirati allo scopo, come pasta riata in aglio e olio con cicoria riata e mandarini. Non ci sono diverse informazioni da elaborare, ma poche e chiare. Definite. Per realizzare uno stimolo epatico mirato alla detossicazione di un fegato intossicato proporremo un menù come: patate fritte, insalata mista e pesca bianca. Gli obiettivi in questo caso sono: muovere la bile, sostenere le funzioni e drenare. Invece, se vogliamo fare un altro esempio mirato, quando si cerca di are una funzione epatica in crisi, proporremo un riso al pomodoro, con insalata riccia e una banana. Sostegno al fegato con leggero stimolo, con l’integrazione di acqua di vegetazione e zuccheri assimilabili lentamente.
Non bisogna farsi prendere dall’entusiasmo di voler far provare piatti particolarmente saporiti, carichi di informazioni, che quell’organismo in quel momento non è in grado di metabolizzare. Ciò che conta è che il terapista dell’alimentazione abbia chiaro il percorso e che la persona comprenda il percorso che si sta facendo, senza farsi prendere dalla frenesia di provare o dalla considerazione che “un cibo vale l’altro” e magari si lanci in spericolate iniziative di sostituire un pasto con alimenti ritenuti, ingenuamente, molto simili. Si tratta di educazione nutrizionale, dell’acquisizione di consapevolezza sulle proprie scelte alimentari. Ma non è un percorso che si compie in quattro giorni. Occorre metodo e costanza. Ascolto e capacità di osservazione dei segnali del corpo.
2) Proporre alimenti non inquinati
Metalli pesanti, pesticidi, erbicidi, biocidi, diossina, grassi idrogenati e trans riempiono le nostre tavole, interferiscono con i sistemi immunitari, determinano uno sbilanciamento dell’asse neuroendocrino, compromettendo uno sviluppo normale. Modificano addirittura il nostro DNA, creando polimorfismi, modificazioni genetiche. Bambini che vanno a caccia di ftalati (colle, inchiostri, detergenti, saponi, shampoo, smalti, spray, lacche per capelli, coloranti, ecc.) testimoniano di un vero e proprio stato di tossicodipendenza da inquinanti. In un’alimentazione sana va assolutamente sconsigliato l’uso di gran parte dei prodotti del supermercato, quelli che la nostra nonna non avrebbe mai riconosciuto come “alimenti”, con il loro carico di ftalati (le pellicole e i contenitori per alimenti) che contribuiscono a continuare a tenere alto il livello dei tossici. Vanno anche conosciute ed evitate le sostanze che hanno la capacità di infiammare il nostro organismo.
L’ inquinamento ambientale e l’ eccesso jatrogeno provocano:
disbiosi, infiammazione cronica, disreattività immunoendocrina.
Occorre invece rivalutare il ruolo terapeutico del cibo come apportatore di sostanze energetiche e nutritive comprendendo anche il suo potenziale utile per tutelare la salute.
Un altro fattore sul quale sembra che non si rifletta a sufficienza è l’impiego sempre più sconsiderato di sostanze di sintesi, eccipienti e farmaci di ogni tipo che vengono spesso con superficialità addizionati agli alimenti proposti dalla catena industriale per assicurare l’impiego a lungo termine e la non deteriorabilità degli alimenti. Quando si acquista un prodotto al supermercato occorre sempre farsi una domanda: dall’orto a casa questo alimento durerebbe così a lungo? Inoltre, tra gli inquinanti ambientali (inquinamento indoor), che solleticano i recettori delle “droghe” domestiche dai quali molti bambini, ma anche molti adulti, purtroppo, sono “dipendenti”, ci sono:
molecole volatili che si sprigionano dalle superfici dipinte con vernici varie; sostanze contenute nei cosmetici, nei saponi, nei detersivi, nella pellicola trasparente per conservare gli alimenti, ecc….
E tutto questo contribuisce ad incrementare il carico dei tossici da smaltire… Non importa cercare il frutto grande e lucido, importa che nei limoni non ci siano anticrittogamici, che il pesce sia senza metalli pesanti, che le verdure non siano irrorate con falde inquinate come l’acqua di marrana o all’arsenico, che il mais non sia transgenico, che i prodotti non siano quelli sbiancati e decolorati, che l’olio non sia ri-trattato. E soprattutto che non siano sempre gli stessi alimenti. Questo per dar modo a un organismo di attivare i meccanismi necessari a smaltire quei tossici senza ricevere continuamente ulteriori “carichi”. Bisogna leggere le etichette ed evitare tutti quegli additivi che sono connotati dalla lettera “E”, che abbondano nelle olive, nei prodotti confezionati, un po’ in tutti i preparati industriali e soprattutto in quelli proposti per i celiaci. La BTN insegna anzitutto come fare la spesa, come orientarsi nell’industria dei prodotti alimentari presenti sul mercato, perché esistono anche alimenti proposti in modo sano, senza additivi, senza amidi, senza lieviti, senza grassi idrogenati, senza sciroppo di glucosio aggiunto. Esistono prodotti biologici, prodotti
genuini, prodotti integrali sani; esistono le catene di distribuzione alternative che si preoccupano più della salute del consumatore che non esclusivamente del profitto. Un counseling nutrizionale mirato, fondato sui parametri della BTN, offre la possibilità di recuperare tradizioni e costumi sani. E soprattutto di tutelare la salute.
3) Formulare una dieta “su misura” dello specifico bagno ormonale
La Bioterapia Nutrizionale utilizza alcuni parametri d’inquadramento costituzionale secondo i canoni della Medicina Tradizionale Cinese. Secondo la Medicina Tradizionale Cinese (nota come MTC) ogni persona nasce con una costituzione e una struttura che la rende unica e diversa dagli altri, pertanto presenterà debolezze e forze diverse rispetto ad altri individui. Questo vale anche per le appetenze fisiologiche o patologiche.
Per comprendere le caratteristiche individuali ci aiuta molto l’analisi fisicostrutturale-emotiva che la MTC è in grado di fare, informandoci in via preventiva su quale stile di vita è più utile tenere, quali cibi scegliere, quali abitudini ci possono aiutare nel quotidiano, quale attività fisica è la più indicata, quali rimedi rinforzano quello specifico personale terreno costituzionale. Osservando la struttura fisica, osservando i comportamenti di un soggetto è possibile inquadrarlo in uno specifico “bagno ormonale”, e questo ci aiuta a comprendere anzitutto se quel soggetto è anche ipercinetico e quindi avrà un metabolismo veloce, oppure è un soggetto piuttosto “spento” e quindi avrà un metabolismo molto lento. La forma fisica ci permette di comprendere innanzitutto quali sono gli organi più attivi in un individuo e anche se l’asse dello stress è più o meno iperattivo. Le problematiche saranno sempre individualizzate, ma già questo semplice dato (il terreno costituzionale) discrimina una serie di indicazioni nutrizionali. La tipologia “renale” avrà più difficoltà a gestire alcuni tipi di grassi, invece la tipologia “epatica” avrà come priorità assoluta la necessità di tutelare l’equilibrio glicemico soprattutto attraverso l’utilizzo dei grassi, che modulino la velocità di assorbimento dei carboidrati. Per il soggetto più “surrenale” sarà necessario eliminare alcuni alimenti adrenergici (come il coniglio, l’abbacchio, l’uovo, ecc.) e utilizzare alimenti che sedino l’asse dello stress.
Quando un soggetto ingrassa, ciò in genere è determinato da un accumulo di tossici, da un abuso di farmaci, oppure l’asse dello stress ha scompensato tanto i metabolismi che il cortisolo, ormone controregolatore dell’insulina, ha creato un’insulino-resistenza. Di solito però è il soggetto “pancreatico” che abusa di alimenti carichi di zuccheri e che via via si predispone al diabete. Ogni tipologia costituzionale presenta appetenze caratteristiche, abitudini alimentari e nutrizionali che, finché tutto è in equilibrio, lo aiutano a scegliere alimenti che lo tutelano. Quando quegli equilibri si interrompono, il soggetto finisce con il presentare appetenze patologiche, che aggravano sempre di più la sua predisposizione. Va a scegliere proprio gli alimenti che aggravano le sue funzioni organiche.
4) Proteggere il Sistema Immunitario dall’infiammazione
L'infiammazione è una risposta immediata e precoce ad uno stimolo avvertito dall’organismo come lesivo. È un meccanismo di difesa innato, che rappresenta una risposta protettiva. Si tratta di unfenomeno complessoche può avere diversi trigger di partenza: infettivi, chimici, fisici, nervosi, immunitari, emotivi, psichici. Sono tutti agenti stressogeni che fanno partire gli ormoni dell’asse dello stress, provocando la risposta infiammatoria. L’obiettivo, da parte dell’organismo che attiva la risposta infiammatoria, è quello di avviare il processo riparativo per l'eliminazione della causa del danno cellulare o tissutale. In questo meccanismo s’innesca una forte reazione vascolare con un’intensa produzione di mediatori chimici che avrebbero lo scopo di risolvere l’infiammazione: citochine, chemiochine e cellule immunitarie, come anche circuiti nervosi e neuroendocrini. Si tratta quindi di un meccanismo di base aspecifico, sistemico, che coinvolge vasi, tessuti, organi e diversi sistemi. Altre concause dell’infiammazione, che sono indipendenti dall’attacco di agenti esterni (come i virus, i batteri, i tossici, ecc.), sono:
Alterato rapporto tra gli acidi grassi essenziali AA/EPA (Acido Arachidonico/ Acido Eicosapentaenoico); Iperinsulinismo da eccessivo apporto di zuccheri nella dieta; Aumento della cortisolemia; Obesità.
Anche alcune emozioni (stress cronico) o agenti che, dall’organismo, in particolare in alcuni momenti, possono essere ritenuti irritanti o un eccesso di proteine animali nella dieta che, per la ricchezza di aminoacidi solforati, possono provocare la formazione di acido solfidrico, sono tutti fattori che possono causare un’irritazione di tipo chimico dell’apparato digerente, mantenendo viva l’infiammazione.
L'infiammazione cronica è un processo di più lunga durata, in cui persistono l'infiammazione attiva, la distruzione tissutale e i tentativi dell’organismo di riparare quella distruzione. Le infiammazioni croniche possono derivare da una persistenza degli antigeni che innescano la flogosi, perché è possibile che tali agenti non siano raggiungibili da parte dei sistemi di difesa, oppure che i sistemi di difesa dell’organismo non siano in grado di eliminare quell’infiammazione. Ad uno stato infiammatorio il corpo reagisce facendo produrre alle ghiandole surrenali grandi quantità di cortisolo, il principale ormone antinfiammatorio. L’aumento di cortisolo favorisce il rialzo glicemico (il cortisolo ha un’azione iperglicemizzante) e quindi altera la risposta insulinica. Un eccesso d’insulina provoca ipoglicemia reattiva che a sua volta stimola la produzione di cortisolo. La secrezione insulinica eccessiva per tempi prolungati riduce la capacità recettoriale dei recettori preposti alla captazione dell’insulina. Alti livelli di cortisolo aumentano l’insulinoresistenza, danneggiano le cellule nervose e deprimono il sistema immunitario…
Quali strategie nutrizionali per il controllo dell’infiammazione?
L’alimentazione può cercare di contrastare le concause dell’infiammazione lavorando contemporaneamente su diversi sistemi metabolici: 1. Ripristinando un equilibrato rapporto tra gli acidi grassi essenziali AA/EPA(Acido Arachidonico/ Acido Eicosapentaenoico). 2. Contrastando l’iperinsulinismo e riducendo l’obesità. 3. Abbassando il livello di eccitabilità che causa un alterato livello del cortisolo. 4. Riducendo lo stress ossidativo per frenare i fattori di trascrizione che regolano la reazione delle citochine, chemiochine e cellule immunitarie. 5. Rifornendo l’organismo degli enzimi indispensabili al lavoro dei diversi metabolismi.
5) Ripristinare un equilibrato rapporto tra gli acidi grassi essenziali AA/EPA
I grassi non fanno male, bisogna però imparare a riconoscere i diversi tipi di grassi. Nella categoria dei grassi polinsaturi sono comprese due importantisottoclassi di acidi grassi: gli Omega(ω)-3 e gli Omega(ω)-6. Gli Omega 6 producono eicosanoidi, una sorta di "messaggeri" cellulari con effetti vasocostrittori e proinfiammatori. Gli Omega 3, invece, tramite reazioni a cascata, provocano la liberazione di sostanze antinfiammatorie. Ma gli enzimi utilizzati dagli Omega 3 e dagli Omega 6 sono gli stessi. I due acidi grassi sono quindi in competizione. Gli oli vegetali (girasole o di mais), le carni, i cereali sono ricchi di Omega-6. Invece gli Omega-3 si trovano nel pesce, soprattutto nei pesci grassi e nei crostacei, nel tofu, nelle mandorle, nelle noci, nell’olio di lino spremuto crudo, alimenti che noi assumiamo troppo poco.
Fino a 80 anni fa il rapporto tra omega-6 e omega-3 nella dieta della popolazione era di 2 a 1. Si mangiava molto pesce (non di allevamento), si assumeva abitualmente al cambio di stagione olio di fegato di merluzzo, e in cucina si usavano grassi animali oppure olio extravergine d’oliva. Purtroppo la nostra alimentazione è oggi sbilanciata a favore degli Omega-6. Mentre gli Omega-3 generalmente sono insufficienti. Con l’avvento dell’industria alimentare e la diffusione degli oli vegetali raffinati il rapporto tra i due acidi grassi è diventato addirittura di 20 a 1. Poiché gli oli vegetali polinsaturi sono ricchi di omega-6, precursori di Acido Arachidonico, essi sono anche precursori degli eicosanoidi pro infiammatori, quali i leucotrieni e le prostaglandine di serie 2.
Gli oli di semi, più o meno indicati come “vegetali” (dizione che li vorrebbe far apparire innocui) nelle etichette dei prodotti industriali, sono ormai diffusissimi nell’alimentazione odierna, ma per riuscire a renderli stabili nel tempo debbono subire un trattamento d’idrogenazione.Normalmente gli acidi grassi di origine vegetale sono liquidi a temperatura ambiente. Questi possono essere resi solidi dal processo d’idrogenazione che però ne altera la struttura chimica, rendendoli particolarmente dannosi per la nostra salute. Grazie al processo d’idrogenazione, è infatti possibile trasformare un olio (liquido a temperatura ambiente) in un grasso solido o semisolido. Questi grassi sono presenti nella margarina, nei prodotti da forno confezionati (merendine, biscotti, piatti pronti), nelle basi per dolci, negli oli per friggere, nelle patatine fritte confezionate, negli snack, praticamente in tutti i prodotti industriali.Questo aggiunge al danno derivante dall’eccessiva assunzione con la dieta di grassi omega-6 anche il danno derivante dalla trasformazione di quei grassi in grassi trans, la cui dose alimentare giornaliera accettabile nell’alimentazione umana è pari a zero. L’organismo non li riconosce come alimenti e attiva il meccanismo infiammatorio. Ancora oggi è troppo limitato l’utilizzo dell’olio extravergine d’oliva nei prodotti industriali, pur essendo ben più sicuro e salutare. Ma sicuramente più costoso.
Perché l’industria si ostina ad utilizzare questi grassi? Gli acidi grassi polinsaturi, contenuti negli oli di origine vegetale, sono particolarmente instabili e quindi vanno incontro rapidamente ad ossidazione, irrancidimento. L’acido grasso può diventare “meno insaturo”, e quindi meno soggetto a irrancidimento grazie a questo processo d’idrogenazione che consiste nello scaldare l’olio a elevate temperature in presenza di un catalizzatore (nichel o rame o platino) e di idrogeno. È questo processo d’idrogenazioneche crea grassi vegetali idrogenati o parzialmente idrogenati. I grassi idrogenati hanno un altro potenziale nocivo: la presenza degli acidi grassi trans.
Gli effetti biologici di questi composti coinvolgono prevalentemente il metabolismo degli acidi grassi essenziali omega-3, di cui riducono la sintesi,
interferendo con l’attivazione del sistema immunitario. Inoltre aumentano la risposta insulinica al carico glicemico, riducono il livello di testosterone, alterano la permeabilità delle membrane cellulari e modificano la costituzione e il numero degli adipociti. Sono ampiamente dimostrati gli effetti proinfiammatori e pro-trombotici, l’interferenza con la vitalità neuronale, la neurotrasmissione, il corretto sviluppo del sistema immunitario. Tutti i prodotti industriali che contengono grassi vegetali non meglio identificati, siano essi trans o meno, sono quindi potenzialmente tossici. È fondamentale anzitutto cercare di eliminare quei grassi dalla dieta, perché sono proprio quei grassi che interferiscono con il metabolismo dei grassi essenziali, limitandone le funzionalità. Diversi studi dimostrano che un aumento della sintesi endogena oppure un eccessivo apporto nutrizionale di grassi omega-6 è implicata in numerosi disordini infiammatori: dall’artrite reumatoide alle malattie infiammatorie intestinali e cardiovascolari, fino a quelle neurodegenerative.
È possibile invece regolare l’infiammazione attraverso il ricorso ad una dieta ricca di omega-3 (con molta verdura e pesce grasso: salmone, acciuga, sardina, aringa, anguilla), dieta che è in grado di modificare il rapporto tra le due famiglie di polinsaturi all’interno dei fosfolipidi di membrana e quindi di moderare la risposta infiammatoria.
6) Eliminare gli alimenti che aumentano lo stato di intossicazione endo-gena
Lo stato di intossicazione è anzitutto endogena quando un organismo è costretto ad ingerire costantemente un carico consistente di informazioni nutrizionali tra loro discordanti o complesse, troppo difficili da metabolizzare. Gli scarti di quei metabolismi finiscono con l’intasare i sistemi. Ci sono poi organismi già deprivati dei sistemi naturali di detossificazione, a causa di numerosi polimorfismi che impediscono lo smaltimento di alcune sostanze naturali, presenti negli alimenti. Ma l’intossicazione può anche derivare da ciò che ingeriamo e in questo caso le tossine si definiscono esogene. È il caso dell’ingestionedi coloranti, eccipienti, conservanti, farmaci, alcol, patogeni, diossina, caffeina, pesticidi, grassi trans, additivi vari. Per depurare l’organismo è pertanto necessario stimolare le attività degli organi depuratori fisiologici del nostro corpo: i reni, il fegato, l’intestino e i polmoni. E poi c’è una buona notizia. Questo lavoro, a lungo termine, è in grado anche di “correggere” quei polimorfismi che hanno inceppato i sistemi e può rimettere in sesto un organismo aiutandolo a riconoscere le sostanze naturali e a non confonderle con i tossici.
7) Contrastare l’iperinsulinismo
La condizione di iperinsulinismo si instaura dopo un periodo di tempo più o meno lungo (secondo la costituzione del soggetto) di eccessiva assunzione di zuccheri semplici oppure di assunzione di carboidrati ad alto indice glicemico o anche di pasti costruiti con un carico glicemico complessivo tale da provocare una risposta insulinica esagerata. Un’alimentazione squilibrata nell’apporto di carboidrati nella dieta, soprattutto quando si utilizzino quelli ad alto indice glicemico non sufficientemente bilanciati dalla contemporanea assunzione di grassi e/o proteine, va ad alterare l’equilibrio glicemico, favorendo l’insorgere e il perdurare dello stato infiammatorio nell’organismo.
Il cervello è un organo ghiotto di carboidrati, ha bisogno di zuccheri. Tuttavia il cervello ha bisogno di mantenere un livello costante di glicemia, altrimenti le sue funzioni diventano irregolari, questo significa che non tollera una discontinuità nell’approvvigionamento degli zuccheri. Se i livelli di glucosio fluttuano notevolmente le sensazioni fisiologiche che si avvertono sono quelle che danno ansia, confusione mentale, vertigini, fino agli attacchi di panico. Se è vero che le diete con un contenuto troppo basso di carboidrati comportano danni notevoli nel tempo, è altrettanto vero però che l’apporto squilibrato di carboidrati nella dieta, soprattutto quelli ad alto indice glicemico, non sufficientemente bilanciati dalla contemporanea assunzione di grassi e/o proteine, va ad alterare l’equilibrio glicemico, favorendo l’insorgere e il perdurare dello stato infiammatorio nell’organismo. Per questo è fondamentale assumere nello stesso pasto sia i carboidrati che i grassi, che le proteine. Ovviamente molto dipende dalle proporzioni.
Le diete concepite con un basso tenore di carboidrati (diete ipocaloriche), e
quindi ad elevato apporto proteico (iperproteiche), nell’esperienza di molti, riducono in un primo tempo l’adipe, abbassano i trigliceridi e fanno innalzare le HDL, riducendo anche la pressione del sangue. Ma questa è soltanto una risposta a breve termine. Invece l’effetto a lungo termine mette in evidenza alcuni importanti rischi:
aumento del colesterolo totale aumento dell’LDL compromissione della funzionalità renale più alto rischio cardiovascolare.
La Bioterapia Nutrizionale prevede un apporto equilibrato di nutrienti in grado di modificare l’assetto metabolico. Riequilibrando la salute.
I carboidrati sono indispensabili alla sedazione dell’irritabilità del SN anche perché apportano triptofano, che il cervello converte in serotonina. Entro trenta minuti dall’assunzione dei carboidrati ci si sente più calmi e rilassati, con un effetto che dura varie ore. L’equilibrio del sistema nervoso dipende quindi anche dal tipo di carboidrati che s’introducono con l’alimentazione. L’assunzione di alcuni carboidrati dà come evidenza clinica un comportamento calmo, altri invece eccitano il Sistema Nervoso. Bisogna anche considerare che spesso gli alimenti utilizzati nelle diete senza glutine, naturalmente privi di glutine, come il mais e il riso (le famose “gallette”), danno un rapido svuotamento gastrico, e questa è la ragione per cui hanno un rapido assorbimento e si digeriscono molto più velocemente, ma se non si accompagnano con una giusta dose di grassi e proteine (con l’olio o con il prosciutto), finiscono per creare un picco glicemico. Anche un piatto di pasta all’olio o un riso in bianco possono squilibrare la glicemia molto più di un piatto di pasta all’amatriciana. Inoltre il triptofano si
assorbe meno senza la proteina. Un dolce mangiato da solo fa salire la glicemia in misura maggiore che se ingerito dopo un pasto a base di bistecca o pesce e insalata. I grassi infatti rallentano i tempi di assorbimento degli zuccheri. Quanto più si riesce a mantenere stabile la glicemia nel sangue tanto più le funzioni mentali saranno equilibrate. I migliori zuccheri per il cervello sono i carboidrati complessi, che non causano oscillazioni del livello glicemico come accade per i carboidrati semplici (glucosio). Le molecole dei carboidrati complessi hanno bisogno di molto tempo perché nell’intestino possano essere frammentate per poi are in circolo, per questo non c’è l’innalzamento della glicemia tipico degli zuccheri a rapido assorbimento (cosa che può avvenire con una “semplice” spremuta di arance!), con successivo calo glicemico e quindi sofferenza delle funzioni cerebrali. I carboidrati che hanno un’azione calmante sul SN, sono quelli complessi con carico glicemico relativamente moderato (cereali integrali, legumi). Il loro effetto “rilassante” è dovuto al fatto che i carboidrati complessi, a differenza di quelli semplici, non determinano grosse oscillazioni glicemiche e quindi attivano meno ormoni dello stress. Hanno invece un’azione eccitante tutti gli zuccheri semplici che determinano fluttuazioni dell’umore collegate a fluttuazioni della glicemia. La persona può diventare più o meno irritabile a seconda dell’innalzarsi o abbassarsi del livello glicemico.
Questi i problemi correlati all’innalzamento dei livelli dell’insulina nel sangue.
aumentano i livelli di Acido Arachidonico; incrementano la produzione di IL-6, citochina infiammatoria che porta alla formazione di Proteina C Reattiva, altro marker di infiammazione.
Questi sono invece i risultati di un adeguato controllo dell’insulinemia.
Glicemia costante (il sintomo evidente è una maggiore capacità di concentrazione). Consumo dei grassi (diminuzione della massa grassa, maggiore resistenza alla fatica e controllo del colesterolo e dei trigliceridi ) e incremento della massa magra. Azione antinfiammatoria. Miglioramento del flusso sanguigno. Azione antidepressiva (per l’azione di modulazione sui neuromediatori ). Diminuita produzione di radicali liberi. Produzione endogena di enzimi e vitamine antiossidanti.
8) Abbassare il livello di eccitabilità
Ad uno stato infiammatorio il corpo reagisce facendo produrre alle ghiandole surrenali grandi quantità di cortisolo, il principale ormone antinfiammatorio. Però abbiamo visto come il cortisolo, a sua volta disregoli la glicemia e l’insulina, creando un circolo vizioso. Sedare i sistemi, anche attraverso uno stile nutrizionale corretto, aiuta a frenare l’asse dello stress e a modulare gli ormoni, rimettendoli in condizione di funzionare correttamente. Un grande aiuto per uno stile di vita più sano può venire anche dalle tecniche di meditazione. Per abbassare il livello di eccitabilità attraverso menù equilibrati è possibile adottare questi accorgimenti:
neuromodulare con alimenti sedativi e favorire il mio-rilassamento periferico; scegliere alimenti costruttori del sistema nervoso; evitare alimentidistruttori del sistema nervoso; evitare alimenti che agiscono come irritanti su alcuni sistemi nervosi fragili; adottare alimenti che aumentino la vigilanza e il tono nervoso.
9) Neuromodulare il Sistema Nervoso
Le basi biochimiche del rapporto tra cibo e umore sono date dalla chimica dei neurotrasmettitori. Una volta si pensava che il cervello riducesse il numero dei suoi neuroni andando avanti negli anni. Nuove ricerche rivelano che i neuroni, anche in età avanzata, continuano a produrre dendriti e quindi creare connessioni con altre cellule. Assumendo cibi appropriati è possibile aiutare il cervello in questa funzione, a tutte le età, mantenendolo giovane. Ci sono alimenti che contrastano lo stato di eccitabilità neuronale e ci sono alimenti che contribuiscono ad aumentare quell’irritabilità.
Sono alimenti sedativi del sistema nervoso:
Aglio crudo e cotto, salvia, mandorle, pinoli, uva a, pesto al basilico per condire riso e pasta, vongole, alici, cavolfiore cotto, cetrioli, zucchine crude, zucchine marinate, lattuga cotta, belga ai ferri, parmigiano reggiano, cicoria riata in aglio, olio epeperoncino, lenticchie, mela cotta con la buccia e chiodo di garofano, mandarini. Le lenticchie, per l’elevato contenuto di potassio, fosforo, calcio, magnesio sono annoverate tra gli alimenti con effetto sedativo sul sistema nervoso, sono inoltre ricche di ferro che, se associato al carboidrato complesso (pasta o cereali integrali) ne riduce la risposta insulinica. Pasta, pane, riso, orzo, sono tutti alimenti che contengono un aminoacido, il triptofano, che favorisce la sintesi della serotonina, il neuromediatore del benessere e il neurotrasmettitore cerebrale che stimola il rilassamento. Assunti la sera sono capaci di conciliare il sonno.
Anche le noci sono ricche di triptofano. Non sono consigliate per tutti dopo le diciassette perché comunque aumentano la vigilanza.
Un altro alimento ricco di triptofano è il latte. Il triptofano non è solo responsabile della sintesi della serotonina ma anche della melatonina, l’ormone naturalmente prodotto dalla ghiandola pineale responsabile del sonno e della veglia. Ma attenzione a non scaldare troppo il latte perché in tal modo si causa la precipitazione del calcio e si sviluppa la caseina che ne diminuisce la digeribilità. Meglio consumarlo tiepido o a temperatura ambiente. È fondamentale però conoscere se un organismo ha ancora gli enzimi di lattasi o se invece ha un polimorfismo che ne impedisce un corretto metabolismo. Assumere un alimento che un organismo non è in grado di metabolizzare, non può che incrementare l’infiammazione.
Il pesce azzurro è ricco di triptofano ed è quindi consigliatissimo assumerlo anche perché ricco di Omega-3, antagonista dei radicali liberi. Meglio ancora se il pesce contiene calcio, come le vongole o le alici. La presenza di iodio in altri tipi di pesce potrebbe irritare sistemi neurologici iperattivi. Anche il tuorlo d’uovo è un alimento capace di conciliare il sonno, perché ricco di vitamina B1. È fondamentale però che l’uovo non sia troppo cotto, perché altrimenti aumenta la vigilanza. Anche la frutta è importante. Su tutti spicca la banana, ricca non solo di triptofano ma anche di vitamina B6 che induce la produzione di endorfine. Inoltre nella banana ci sono grosse quantità di calcio, magnesio e potassio che favoriscono il rilassamento muscolare.
La lattuga è ricca di flavonoidi, acido succinico e acido malico che hanno un’azione calmante e rilassante, è ottima per facilitare e indurre un corretto
riposo notturno. Meglio se proposta cotta, magari riata in padella con i pinoli. In un’associazione come: alici, fagiolini e banana, i fagiolini non bloccano l’assorbimento dello iodio, ma compensano – in un certo senso – l’effetto eccitatorio del pesce. Inoltre nelle alici c’è anche il calcio, altrettanto neurosedativo. Questa è un’associazione utile se si vuole dare un po’ di pesce con stimolo iodato ma frenato dal potassio, senza per questo bloccare l’assorbimento dello iodio. Un altro accostamento utile è la sogliola alle mandorle con valeriana e 15 castagne (caldarroste).
Esempio di composizione di un pasto molto sedativo.
Spaghetti con le vongole, agretti e fragole con pinoli.
L'equilibrio complessivo di questa associazione bionutrizionale è dato da un apporto di potassio con funzione miorilassante e facilitante la contrattilità del polo biliare dell'epatocita (agretti) e del calcio, presente in quantità rilevante sia nelle vongole, che nei pinoli, ma anche nelle fragole. Il calcio è necessario per la sua funzione neuro-modulatrice sedativa, ma anche come sedativo della conducibilità neuromuscolare, e ancora per l'azione a livello paratiroideo, che bilanci eventuali squilibri della tiroide. Quest'ultima non viene inibita dal calcio, ma soltanto equilibrata. Il cobalto è un altro nutriente che deve entrare nell’alimentazione come prevenzione dell’insonnia. Perchè il cobalto serve per produrre la vitamina B12, molto importante e a volte fondamentale per la cura dei disturbi nervosi quali ansia, depressione, insonnia. Poiché il corpo umano non ha la capacità di sintetizzare questo elemento, lo deve assumere attraverso gli alimenti, soprattutto dai molluschi bivalve (vongole, cozze), dalle bietole, dagli spinaci (crudi), dal cavolo, dal grano saraceno. È importante che i carboidrati serali contengano una buona quantità di triptofano che favorisce il riposo notturno: mandorle, pinoli, nocciole, semi di girasole, semi di sesamo e legumi.
Alimenti consigliati come costruttori del sistema nervoso
Tacchino, pollo, filetto di vitellone, uova, olio di semi di lino, lenticchie, fagioli, arance e agrumi, patate, salmone, salvia, borragine, spinaci crudi, avocado, banane, pinoli, mandorle, semi di sesamo, semi di girasole.
Alimenti sconsigliati perché distruttori del sistema nervoso
Alcool, cibi con coloranti artificiali, dolcificanti artificiali, coca-cola e similari, sciroppo di mais, bevande ad alto tasso di zucchero, grassi idrogenati, nicotina, glutine, cibo spazzatura (tutti i cibi light, surgelati precotti, merendine varie), gomme da masticare, gelati confezionati.
Alimenti che agiscono come irritanti su alcuni sistemi nervosi fragili
Funghi e asparagi: hanno un’azione irritante sul Sistema Nervoso.
Altri alimenti irritanti del sistema nervoso:
formaggio stagionato (tranne il parmigiano, del quale tuttavia non bisogna abusare nelle ore serali); alimenti ricchi di iodio, per loro natura attivatori tiroidei: alcune crucifere (broccolo, cavolo cappuccio crudo), melanzane, sedano, pera.
Alimenti che aumentano la vigilanza e il tono nervoso
Pasti ricchi di proteine, scarsi di grassi e che non contengano carboidrati a rapido assorbimento. Mele, succo d’uva, avocado, broccoli. Questi cibi contengono boro. Questo elemento è responsabile della coordinazione mani-occhi e dell’attenzione a breve termine. I cibi contenenti boro mantengono in stato di benessere le ossa e il livello della glicemia. Questi nutrienti vanno utilizzati con cautela quando non si voglia sollecitare un tono nervoso iperattivo, mentre saranno più indicati per le persone che hanno bisogno di essere stimolate.
Ridurre lo stress ossidativo per frenare i fattori di trascrizione che regolano la reazione delle citochine, chemiochine e cellule immunitarie
Lo stress ossidativo è la conseguenza diretta dell'azione dannosa esercitata da elevate quantità di radicali liberi sulle cellule e sui tessuti del nostro organismo. Il nostro organismo riesce a tenere sotto controllo l'attività dei radicali liberi attraverso speciali sostanze antiossidanti endogene (sintetizzate autonomamente) ed esogene (presenti negli alimenti). Della prima categoria fanno parte gli enzimi (gli enzimi sono i catalizzatori dei sistemi biologici) come la superossidodismutasi, la catalasi e il glutatione ridotto.
Sono almeno tre gli enzimi endogeni che regolano la prevenzione dell’infiammazione cronica: SOD (superossidodismutasi), GPO (Glutationperossidasi), CA (catalasi). Quando si attiva il trigger dello stress ossidativo, questi tre enzimi intervengono per convertire la molecola di radicale superossido in acqua. Ma fino a oggi non risultano studi scientifici che dimostrano come efficaci gli interventi con supplementazione. Invece sono risultati più efficaci correttivi degli equilibri dei cofattori. L’equilibrio della funzione GPO è regolata dal selenio, mentre l’equilibrio della funzione SOD al
di fuori del mitocondrio è regolato dal rapporto zinco/rame, invece all’interno del mitocondrio questo rapporto è regolato da manganese.
Tra le sostanze non enzimatiche con proprietà antiossidanti ci sono invece la Vitamina E, la vitamina C, i carotenoidi, i polifenoli e le antocianine. Gli antiossidanti hanno la funzione di interrompere i danni delle reazioni ossidative intervenendo sui radicali intermedi ed inibendo ulteriori reazioni di ossidazione, facendo ossidare se stessi. Per questo gli antiossidanti sono definiti chimicamente agenti riducenti, in quanto le reazioni chimiche coinvolte sono di ossido-riduzione. Per tutti gli antiossidanti, com’è stato ampiamente dimostrato, l’efficacia degli antiossidanti di sintesi è di gran lunga inferiore agli antiossidanti reperibili in natura tramite l’alimentazione, per la biodisponibilità degli alimenti. Inoltre esiste un problema opposto: troppi antiossidanti possono nuocere alla salute.
10) Fornire una dieta ricca di enzimi
Il ritmo della vita moderna, con i suoi stressor (ambientali, fisici, virali, chimici, psichici) sottopone continuamente il nostro DNA a tutta una serie di sollecitazioni improprie che rischiano di rompere la cromatina (la forma in cui gli acidi nucleici sono “impacchettati” nel nucleo di una cellula) e di creare continuamente nuovi polimorfismi. Vere e proprie “modificazioni” del DNA. Tra questi il più comuneè MTHFR. Questo determina difetti enzimatici che vanno ad incidere sul nostro organismo, creando le condizioni per la patologia, e spesso incide anche sul DNA di una nuova vita che mettiamo al mondo. Durante il periodo di gestazione ed allattamento ogni neonato dovrebbe invece poter ricevere dalla mamma una grossa provvista di enzimi metabolici utili alla sua sopravvivenza. Gli enzimi sonoproteine biologicamente attive, che agiscono come catalizzatori per accelerare le reazioni biochimiche. Le vitamine e i minerali svolgono numerosi compiti nel metabolismo, ma la funzione più importante è proprio quella della produzione degli enzimi, nella quale fungono da coenzimi. Glienzimirappresentano la base del metabolismo, vengono prodotti dall’organismo mediante la combinazione di un apoenzima, una sostanza prodotta internamente, e un coenzima, di solito una vitamina o un minerale assunto dall’esterno. L’apoenzima è prodotto in base alla programmazione genetica e varia considerevolmente da persona a persona. Quando le vitamine o i minerali scarseggiano, si verifica una diminuzionedella produzione di enzimi. Èquesto che causa la difficoltà di determinare la dose ottimale delle vitamine e dei minerali da assumere quotidianamente. Una piccola quantità di una sostanza che funge da coenzima può infatti eliminare i sintomi evidenti di una malattia da carenza, ma dosi elevate possono dimostrarsi ottimali, permettendo di aumentare la produzione di enzimi al massimo o fino ai limiti della programmazione genetica dell’individuo.
Oltre ad agire come coenzimi, molte sostanze nutritive agiscono sul metabolismo anche in maniera indipendente. Le vitamine sono sostanze organiche, contengono sempre carbonio e sono prodotte per via endogena sia dagli animali che dalle piante. Gli alimenti contenenti vitamine ne contengono sempre più o meno la stessa quantità, a prescindere dal tipo di terreno da cui provengono. Naturalmente il contenuto vitaminico degli alimenti può essere compromesso dalla raffinazione, dalla cottura e dalla conservazione. Gli enzimi ospitano un carrier (trasportatore) proteico ricco di energia vitale; le proteine negli enzimi servono come “trasportatori” di fattori di attività enzimatica. Se una mamma ha dei difetti di metilazione, il suo corredo di enzimi è già “difettoso”. Inoltre è sufficiente avere nel proprio codice genetico qualche difetto enzimatico per accumularne sempre di più. Una delle caratteristiche più importanti degli enzimi è la possibilità di lavorare in successione, creando una via metabolica in cui ogni enzima utilizza il prodotto della reazione precedente come substrato per la propria azione. Sono gli enzimi che determinano i diversi aggi del metabolismo: senza enzimi, il metabolismo non potrebbe effettuare gli stessi aggi e non sarebbe in grado di generare prodotti a una velocità sufficiente per nutrire correttamente ogni cellula. Un esempio esistente in natura che ci può far comprendere come funziona un enzima è il caglio con il quale il latte subisce una trasformazione e diventa formaggio. I due enzimi che lo permettono sono la chimosina e la pepsina.Questo tipo di trasformazioni sono quelle con le quali i nutrienti che ingeriamo si trasformano nelle nostre cellule, nel nostro microbiota, nei nostri metabolismi e dismetabolismi. Le più comuni deficienze enzimatiche sono a carico del Sistema Gastro Enterico, a causa del corredo genetico del microbioma. La bocca, lo stomaco, il pancreas, il fegato, e l'intestino producono altri, diversi enzimi il cui lavoro consiste nel suddividere qualsiasi cibo che mangiamo in componenti utilizzabili. Indipendentemente da quanto un cibo sia digeribile, o meno, il nostro corpo tenterà di scomporlo per mezzo di enzimi digestivi. Oltre a facilitare e completare la digestione, gli enzimi ci aiutano ad eliminare i rifiuti, le tossine ed altre scorie derivanti dal processo metabolico. Gli enzimi digestivi hanno tre obiettivi principali: digerire le proteine, i
carboidrati ed i grassi. I segni più comuni di unadeficienza enzimaticacomprendono: - Gas intestinale e gastrico - Bruciore di stomaco - Gonfiore addominale - Reflusso acido - Mal di testa - Difficoltà digestive - Candidosi
Gli enzimi possono svilupparsi correttamente (nel Sistema Gastro-Enterico) solo in presenza di determinati valori del pH, in presenza di determinati batteri benefici e in presenza di determinate temperature. Gli enzimi ingeriti con l’alimentazione sono molto delicati e vengono in gran parte distrutti dall’acido gastrico. Gli enzimi giocano un ruolo importante nell’organismo: quelli attivi ricoprono un ruolo determinante per il nostro sistema immunitario, in quanto regolano i processi infiammatori e il flusso ematico, mantengono le arterie "pulite", eliminando i radicali liberi, aiutando così il sistema immunitario ad espellere quelle scorie. Inoltre aumentano la dimensione dei globuli bianchi e migliorano la loro attività che consiste nell’attivare le T-cellule (gli agenti di custodia del nostro sistema immunitario).
È proprio l’assenza di enzimi che permette ai virus di essere attivi nel nostro organismo e modula il microbioma verso una flora patogena. Il nostro livello di vitalità, la nostra immunità e longevità dipendono, principalmente, dalla capacità del nostro organismo di mantenere una produzione di enzimi a livelli ottimali.
Sicuramente, una parte di ciò dipende dal pacchetto di geni (o anche di polimorfismi) che ci sono stati lasciati in eredità dai nostri avi, ma non tutto è nel DNA; l’altro fattore di fondamentale importanza è l’alimentazione.Consideriamo che ogni giorno noi introduciamo i “mattoni di ristrutturazione” delle nostre cellule, e la qualità di quello che ingeriamo incide sul risultato finale. Gli enzimi sono proteine in grado di catalizzare una reazione chimica. Nutrienti del cibo crudo che ci permettono di metabolizzare i diversi nutrienti in esso contenuto. La salvaguardia della qualità della nostra salute dipende quindi dal non impoverimento di questa riserva di enzimi, che può essere garantita soltanto da un’alimentazione sana, una corretta integrazione di probiotici vivi e assumendo enzimi dal cibo crudo. Noi possiamo anche sopperire con integratori enzimatici,anche nel caso di una carenza DPP-IV, ma in realtà la natura ci offre enzimi dagli alimenti altamente biodisponibili, che effettuano una vera e propria trasfusione di vitalità nel nostro organismo: gli alimenti crudi, non geneticamente modificati, non addizionati di pesticidi o conservanti, consumati appena raccolti. Uno degli alimenti ricchi di enzimi, insostituibili nella nostra dieta, deve essere l’avocado, noto per le sue fantastiche proprietà di aiuto nella produzione di glutatione. E soprattutto quello che conta è l’associazione di questo semplice nutriente con alimenti contenenti selenio: senape, baccalà, uova, coregone, semi di girasole, seppia, polpo, interiora di tacchino, salmone (che sia salmone selvaggio dell'Alaska), alici, pancetta (che sia di maiali allevati a terra, allo stato brado), caviale, zenzero, calamari, ecc.
Per assicurarci ogni giorno la nostra riserva di enzimi è importante iniziare ogni pasto con verdura cruda, viva e colorata. Questo insegna gradualmente all’organismo la tolleranza verso quel nutriente, quindi modula continuamente il sistema immunitario. Anche per contrastare le allergie. Incontrare frequentemente e prima del pasto frutta e verdura (altamente panallargeni, quindi in grado di sollecitare in tutti i modi possibili il sistema immunitario), è uno dei modi migliori per ‘desensibilizzarlo’. Il numero e il tipo di antigeni che incontriamo sulla frutta e sulla verdura è infatti elevatissimo e consente alle nostre difese di ‘allenarsi’ e non trovarsi impreparate quando poi incontreranno gli stessi agenti in altre situazioni (nell’aria, in altri alimenti, in natura).
Per questo la Bioterapia Nutrizionale insegna anzitutto che l’alimento deve essere “VIVO”. Il problema è che spesso invece noi mangiamo del cibo “morto”, cioè che ha subito processi di lavorazione, che è stato a lungo nelle celle frigo, che è stato arricchito di inibitori enzimatici - i conservanti e gli additivi - tutti fattori che depauperano continuamenteil rifornimento enzimatico del nostro corpo.Gli enzimi sono sostanze vive e quindi si deteriorano velocemente nei cibi non freschi… Così come si riducono vitamine e minerali. Un sistema domestico per avere sempre a portata di mano enzimi freschi è quello di procurarsi un germogliatore e coltivare in casa il concentrato della natura: i germogli.
Di semi da germogliare ne esistono di diversi tipi e con funzioni diverse, clinicamente dimostrate. I più conosciuti sono i germogli di soia. Attualmente sono in voga i germogli di broccolo per le loro riconosciute proprietà antitumorali, come già anticipava decenni fa il Valnet. Ma non è necessario acquistarne di già pronti… Si possono preparare comodamente in casa. Un altro sistema per avere sempre a disposizione cibo "vivo" è quello di utilizzare i fermentati di soia (miso) o di verdure (crauti). La fermentazione arricchisce le verdure di probiotici e ne lascia intatte le proprietà nutrizionali. Anche un buon succo di frutta e verdura fresca, meglio se estratto con l'estrattore, che è ben diverso dalla centrifuga, riesce a rifornire l'organismo di un buon carico di enzimi. L'estrattore non deteriora le proprietà dei vegetali, non ossida i vegetali e ne estrae una maggiore quantità. Un errore frequente è quello di non considerare il carico glicemico di un estratto di frutta. Sicuramente meno problematici sono gli estratti di verdure, a patto di non “pasticciare” con troppe verdure diverse che aumenterebbero il carico di minerali da smaltire. Anche su questo la Bioterapia Nutrizionale insegna le associazioni mirate, adatte ai bisogni enzimatici di ogni singola persona. La consuetudine a miscelare decine di nutrienti diversi in un solo succo è, in alcuni casi, controindicata, perché affatica il metabolismo. Meglio accostare una verdura e un frutto e
lasciare a chi se lo può permettere un estratto carico di informazioni diverse... Frutta e verdura cruda e soprattutto germogli, se sono a chilometri zero, contengono minerali quali Manganese, Zinco e Rame che esercitano un’azione di stimolo sulle difese immunitarie. Se fanno invece un lungo giro, nelle diverse celle frigo, quello che noi ingeriamo è poco più che fieno…
Infine e non di minore importanza, la Bioterapia Nutrizionale raccomanda di semplificare la dieta, dando informazioni precise all’organismo, giacché il consumo quotidiano di cibi complessi richiederebbe un processo digestivo più lungo e laborioso, che consumerebbe da solo la maggior parte della già scarsa riserva di enzimi. Ogni pasto deve contenere un numero ridotto di nutrienti semplici, non laboriosi né elaborati. Inoltre la Bioterapia Nutrizionale si fonda non tanto su questo o quel nutriente, ma sull’associazione dei nutrienti che tra loro, sinergicamente, svegliano un metabolismo spesso “dormiente”. Conoscere esattamente quali sono gli enzimi mancanti consente di evitare quei nutrienti che quel metabolismo proprio non gestisce e di integrare con i nutrienti che sostengono gli enzimi mancanti.
• L’enzima glutatione
L’organismo umano si difende dalla formazione dei radicali liberi attraverso il glutatione che è una proteina prodotta nel fegato e composta da tre aminoacidi: cisteina, acido glutammico e glicina. Questa particolare composizione chimica conferisce al glutatione un'elevata capacità di ossidarsi o ridursi, proteggendo le proteine. Il glutatione partecipa quindi direttamente alla neutralizzazione dei radicali liberi, dei composti reattivi dell’ossigeno, e mantiene gli antiossidanti interni, come la vitamina C ed E, nella loro forma ridotta, cioè attiva. Il glutatione ha una grande capacità disintossicante: grazie alla sua facoltà di chelare (proprietà di legarsi a un altro elemento e di trasportarlo) i metalli pesanti e tossici quali piombo, cio, mercurio ed alluminio, li trasporta via eliminandoli dal corpo, ed è anche un componente essenziale nella risposta immunitaria. Il glutatione insieme al selenio, forma l’enzima glutatione perossidasi, un enzima con azione antiossidante all’interno delle membrane cellulari. Eliminato il pericolo costituito dal perossido, il glutatione ossidato, per riacquistare la funzionalità antiossidante deve tornare nella forma ridotta; ciò avviene grazie a un enzima NADPH dipendente, chiamato glutatione reduttasi ed è questa capacità di rigenerarsi continuamente che ha contributo a promuovere il glutatione come il più potente antiossidante presente nell’organismo umano. Presente nell'organismo in forma ubiquitaria, il glutatione è particolarmente concentrato a livello epatico, dove protegge gli epatociti dai tossici (dai solventi, ai pesticidi, agli idrocarburi, agli steroidi, ai metalli pesanti). Una volta legatosi ai tossici è la bile che provvede ad espellerli.
Ogni tossico è di difficile smaltimento in presenza di mutazioni che danneggiano il funzionamento di questi enzimi. Anche quando l’organismo produce un eccesso di stress ossidativo o riceve un eccessivo carico di tossici, il glutatione può esaurirsi e non esplicare la sua
azione di protezione contro i radicali liberi, quindi si crea un circolo vizioso che porta ad incrementare sempre di più i tossici endogeni. Il glutatione è la nostra sentinella che ci protegge dalle malattie, ma se non è efficiente (al pari dei citocromi) ci si ammala. Perché il primo sistema che ne risente è il Sistema Immunitario che va in tilt. Sostengono le funzioni del glutatione la Nac (n-acetilcisteina), l’acido Alfa Lipoico, la silimarina (contenuta nel cardo mariano). Compensare con integratori a volte non basta, anzi potrebbe aggravare il quadro in presenza di altri polimorfismi. Gli alimenti sono invece riconosciuti come “amici” dal nostro Sistema Immunitario, che accetta di assimilarli.
• Come aumentare la sintesi del glutatione
Numerosi alimenti sono ricchi naturalmente di glutatione: arance, avocado, carote, cocomero, fragole, patate, pesche, spinaci. Purtroppo durante il processo di riscaldamento e/o cottura degli alimenti, il glutatione viene completamente distrutto. Consideriamo perciò quanto sia importante somministrare alimenti il più possibile crudi. A livello intestinale:
Inserire frutta: avocado, noci e frutta fresca in generale. Utilizzare germogli e verdure fresche: crucifere (cavolfiore, cavolo cappuccio, cavolo verza, broccolo), che contengono: cianoidrossibutene (CHB), vit. C, beta carotene, indoli, quercetina, glutatione, luteina, cromo, sulforafane ed iberina (stimolano la sintesi epatica di glutatione). Il glutatione si trova anche nella carne e nel pesce, ma questi alimenti dovrebbero essere consumati crudi (si consiglia di farli sostare nel congelatore 86 ore, prima di consumarli, per abbattere la carica batterica). Molte pescherie si sono dotate dell’abbattitrice, utilissima per preparare il carpaccio di pesce in sicurezza. Esiste anche un’abbattitrice per uso domestico, ma è possibile risolvere il problema anche con una lunga sosta preventiva nel congelatore di casa.
A livello circolatorio:
Vitamina C: 500 mg/die innalzano del 50% la quantità di glutatione nei globuli rossi.
Vitamina B6, riboflavina, selenio sono necessari per la produzione di glutatione. L’aminoacido glutammina contenuto negli alimenti innalza la quantità di glutatione più della somministrazione del preparato di sintesi dello stesso (stimola la sintesi epatica): 5/15 g/die. Il co-fattore selenio è importante per ridurre il glutatione ossidato, es: noci brasiliane.
11) Facilitare il drenaggio e il sostegno degli emuntori
Organi emuntori per eccellenza, come abbiamo visto, che riguardano il lavoro specifico della Bioterapia Nutrizionale, si considerano il fegato, i reni e la pelle. Questi ultimi, infatti, producono rispettivamente urina e sudore e contribuiscono all’eliminazione di ciò che resta della degradazione di proteine, zuccheri e grassi, controllando allo stesso tempo il bilancio idrico e salino del corpo (omeostasi). Il drenaggio, che in pratica offre un sostegno agli emuntori, è quindi un momento del percorso dietetico molto importante, perché mette l’organismo nella condizione di recuperare l’equilibrio e di rispondere meglio al trattamento successivo (che può essere di stimolazione, di diuresi, ecc.). Un alimento diuretico agisce nei vasi con i meccanismi dell’acqua attraverso i quali arriva al rene, mentre quello drenante agisce più in profondità, esegue una vera e propria “pulizia d’organo”! Non è un lavoro che può fare semplicemente l’acqua. Un alimento diuretico è quello che lavora sugli scambi di membrana e fa urinare. È un po’ l’effetto che produce l’adrenalina che fa battere forte il cuore, pompa più sangue, lo fa circolare più velocemente e fa filtrare più velocemente il rene. Senza gli effetti collaterali. L’alimento drenante è invece quello che riesce a togliere le tossine in profondità, fa eliminare i residui catabolici dai liquidi interstiziali e dalle cellule. I residui catabolici, in genere salini, attirano acqua e la portano fuori, ma con un meccanismo diverso dalla diuresi. Uno stimolo epatico può facilitare contemporaneamente il drenaggio. Ad esempio il tarassaco, che stimola l’attività epatica, ha anche un effetto sia coleretico che colagogo e di conseguenza può avere un effetto drenante. Bisogna quindi concentrare tutto il lavoro del drenaggio attraverso la scelta adeguata di alimenti che abbiano queste proprietà drenanti: porro, cipolla, cicoria (effettua un vero e proprio drenaggio tissutale, depura il sangue e quindi il sangue più depurato grava meno sul fegato, sul rene e sull’intestino), tarassaco,
belga cruda, carciofo crudo. Una dieta senza questi nutrienti non sarà mai in grado di effettuare una “pulizia d’organo”. Nell’iperinsulinismo o nell’insulinoresistenza un alimento d’elezione è costituito dalla cipolla cruda perché è ipoglicemizzante e rallenta l’assorbimento degli zuccheri. Anche l’aceto ha la stessa funzione. Meglio scegliere l’aceto di vino rosso biologico (senza solfiti). Quindi anche questi due alimenti (cipolla cruda e aceto) avranno un ruolo importante nella dieta che voglia tutelare l’equilibrio glicemico. In uno stato di iper-ipoglicemia bisogna fare molta attenzione anche alla funzione renale. In un soggetto normale, non diabetico, l’eccesso di zucchero funziona come un osmotico, cioè richiama acqua: quando arriva al rene tanto zucchero, il rene svolge la sua funzione diuretica; ma in un soggetto insulinoresistente non è possibile proporre un pasto con la zuppa di cipolla (dove la cipolla è cotta) perché quel pasto diventerebbe troppo zuccherino e problematico per il meccanismo di insulino-resistenza: l’insulina consente di assorbire tutti gli zuccheri in circolo e finisce con il peggiorare il sistema. Se invece quello stesso soggetto mangia la cipolla cruda (ovvero lo stesso alimento, ma proposto in maniera diversa), la cipolla cruda avrà il potere di abbassare la glicemia. Ci sono set di polimorfismi che sconsigliano l’uso dei vegetali con i solfiti, proprio per la difficoltà di alcuni organismi di smaltire anche lo zolfo e allora, in quei casi, bisogna rivolgersi prevalentemente alle erbe amare e selvatiche come le cicorie di campo:tarassaco, caccialepre, pimpinella, crespigno e poi belga, carciofo, ecc. Ad ogni modo queste erbe poco utilizzate perché poco conosciute, sarebbero sempre indispensabili se si vuole favorire ilfunzionamento e la depurazione del fegato. Altri alimenti indicati sonocarote, sedano, barbabietole e rosmarino. Tra lespeziesi consigliano curcuma, cumino e curry. Soprattutto se associate al pepe nero lungo indiano (pippali rasayana). Per quanto riguarda le bevande, sono assolutamente sconsigliati: caffè e bibite gassate, da sostituire conacqua naturalee con estratto naturale di mela, senza conservanti e zuccheri aggiunti. Tra le sostanze che sono in grado di aiutare l’intestino nell’eliminazione delle
scoriee combattere la presenza di batteri nocivi ci sono:aceto di mele,succo d’aloe vera e alimenti fermentati probiotici. Tra questi è consigliato l’uso dei crauti fatti in casa e del pane preparato con la pasta madre. Pane fatto lievitare a lungo, ricco di lattobacilli, amici dell’eubiosi intestinale. Ichiodi di garofano ed alcune erbe medicinali come l’artemisia assenzio sono in grado di creare a livello intestinale un ambiente ostile nei confrontidei parassiti e dei batteri nocivi.Condimenti come il curry o il berberé aiutano a mantenere pulito il nostro intestino.
12) Distribuzione dei pasti per la regolazione dell’equilibrio glicemico
L’equilibrio glicemico si stabilisce a tavola. Mangiare continuamente, o anche succhiare caramelle, cioccolatini, snack, dolcetti o bere bibite zuccherate, aperitivi, andando a sollecitare l’insulina che deve intervenire per far aprire i recettori del glucosio, è la strada migliore per disconnettere un organismo. Il aporto per il diabete. Ma anche per i disturbi dell’umore. I pasti di un bambino in crescita debbono essere cinque perché questo meccanismo serve al bambino per crescere, ma nell’adulto sono proponibili tre pasti proprio per spegnere il meccanismo di crescita cellulare. Importante è però che i pasti siano assolutamente calibrati con opportune associazioni alimentari, perché un carico glicemico troppo basso o troppo alto può altrettanto facilmente compromettere il sistema. Non si tratta soltanto di evitare un inutile sovrappeso. Bisogna evitare oscillazioni glicemiche che si traducono sempre in danni per la salute. Normalmente lo squilibrio della glicemia il soggetto iperinsulinico lo avverte con alcuni sintomi neuroglicopenici.
Fino a quando non sarà assicurato un corretto equilibrio attraverso l’alimentazione corretta, un accorgimento che si può proporre è quello di consigliare di mangiare alcune mandorle, con la loro pellicina marrone (contenente litio), nell’intervallo tra un pasto e l’altro, per sedare il senso di appetito. Le mandorle, con la loro quota in vitamina B1 ,B2 e PP regolano il sistema nervoso, il metabolismo dei carboidrati, la respirazione cellulare ed il metabolismo delle proteine e dei grassi; il loro equilibrato rapporto tra calcio e fosforo e l’importante apporto di magnesio (che contribuisce al mantenimento dell’equilibrio acido-base, ai fenomeni di ossido-riduzione, al nutrimento cellulare e all’eliminazione dei rifiuti metabolici) le rende un energetico nervino ed un ottimo equilibratore del sistema nervoso. Hanno ferro e zinco, che
potenziano le difese immunitarie. Un altro “rimedio” utile, fintanto che non si ristabilisce un equilibrio glicemico complessivo che si autoregola e quindi non faccia avvertire la fame compulsiva tra i pasti è utilizzare spicchi di finocchio da mangiare crudi. Ma i pasti debbono essere tre. Completi, sazianti e con un carico glicemico capace di durare a lungo. Questo traguardo è l’indicatore del raggiunto equilibrio glicemico.
Perle di consigli per diminuire l’infiammazione
Lo stress, qualunque tipo di stress protratto e quindi cronico: fisico, psichico, emozionale, chimico, aumenta la predisposizione di un individuo all’insorgenza di malattie infettive, autoimmuni, neurologiche, neoplastiche. L'infiammazione è il sistema di difesa che il nostro organismo attiva per affrontare un qualsiasi evento stressogeno, come avviene ad esempio quando abbiamo la febbre. Il meccanismo a attraverso la risposta immunitaria: quando il nostro corpo combatte contro un agente stressante, nemico, estraneo, dal sistema nervoso autonomo (in particolare dall'asse ipofisi-surrene) viene inviata una risposta infiammatoria. L’evento stressante può così diventare un fattore causale, un fattore trigger. Se la situazione infiammatoria non si risolve, si verifica una iper-produzione di cortisolo che, se in eccesso, produce un'immunodeficienza – vale a dire che il sistema non riesce a gestire lo stress, al punto da non avere mezzi per contrastare le infiammazioni provocate, con la conseguenza di non avere più difese immunitarie a disposizione. Se lo stress diventa cronico quell’infiammazione non si ferma più. Noi sappiamo che è l’infiammazione che determina la maggior parte delle patologie moderne. Si può cercare di “spegnere” quell’infiammazione nutrendosi in modo sano.
Evitare gli oli di semi (soprattutto quelli utilizzati negli alimenti confezionati, precotti e nelle tavole calde come nella grande ristorazione); a colazione inserire un cucchiaio o1 s di olio omega tre; a colazione inserire un cucchiaino di semi di lino macinati al momento di consumarli;
costruire pasti che contrastino l’innalzamento del carico glicemico responsabile dell’iperinsulinismo (il sintomo indicatore è: la fame tra i tre pasti ); evidenziato dall’ipoglicemia rilevabile nello stick urinario del mattino (colore azzurro). Evitare di introdurre sostanze che il nostro corpo non riconosce come “amiche”.
Importanza della prima colazione
Non bisogna partire MAI senza la colazione o peggio soltanto con un caffè… La lentezza che si avverte al mattino indica un fegato affaticato dalla cena.
Tutte le mattine aprire la giornata con la spremuta di un limone in mezzo bicchiere di acqua tiepida con un cucchiaino di miele. È utilizzabile anche lo sciroppo d’agave nei casi di conclamata intolleranza al glucosio o predisposizione diabetica. Un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo a colazione assicura gli Omega3 di cui abbiamo bisogno.
Proteggere il fegato dalle tossine
Il metabolismo di qualunque tossina (virus, metalli pesanti, conservanti, additivi) provoca la liberazione di enormi quantità di radicali liberi.
Per difendere l’organismo dall’ossidazione servono alimenti antiossidanti contenenti: vit. C, vit. E, bioflavonoidi, carotenoidi, selenio, glutatione, coenzima Q 10. Assumere fosfolipidi che proteggano la membrana cellulare e aiutino la rigenerazione dell’epatocita. Utilizzare il cardo mariano, la curcuma, in quanto agiscono migliorando le condizioni del fegato e dell’intestino.
Alimenti ad azione specifica antinfiammatoria
AGLIO: è antisettico, purificante, disinfettante, espettorante, agisce sull’ipertensione, sul colesterolo e come anticoagulante, si utilizza nella famosa tisana all’aglio soprattutto per prevenire e sostenere le difese immunitarie nelle malattie da raffreddamento.
ANANAS: è nota l’azione antinfiammatoria della bromelina che è contenuta nell’ananas (proprietà decongestionanti, drenanti e anti-edema). La sua azione antinfiammatoria è dovuta all’inibizione della trombossano sintetasi, un enzima che porta alla formazione di prostaglandine proinfiammatorie e trombossani. L’ananas ha proprietà anticoagulanti e va usata con cautela con le persone trattate con anticoagulanti (es. eparina, warfarin) o antiaggreganti piastrinici (es. aspirina). CANNELLA: la cannella è una spezia utilizzata sia perché abbassa l’indice glicemico di un cibo, sia per le proprietà anti-infiammatorie che aiutano a ridurre il gonfiore. CAVOLFIORE: come tutti i vegetali della famiglia delle crucifere il cavolfiore ha un alto contenuto di vitamina C (antiossidante) e zolfo (chelante) che ne fanno un ottimo alimento, utile ad eliminare le tossine dal nostro corpo (radicali liberi e acido urico), principali cause di malesseri. A queste si aggiunge il bromo che ha un’azione sedativa del SNC e quindi agisce anche sui recettori del dolore. CAVOLO CAPPUCCIO: ricco di selenio, antiossidante che contribuisce ad alleviare i sintomi dell’infiammazione, controllando i livelli dei radicali liberi. I composti isotiocianati contenuti in questi vegetali sono, infatti, ormai ampiamente accreditati per le loro proprietà antitumorali: il meccanismo d’azione pare essere legato alla capacità di rimuovere scorie tossiche presenti all’interno dell’organismo e potenzialmente cancerogene. In praticaquesto alimento svolge una profonda azione detossificante.. Dimostrata è anche l’azione antinfiammatoria in molte patologie per la presenza di salicilati. Utilizzati come
crauti fermentati sono un sostegno incomparabile all’eubiosi dell’intestino. CETRIOLO: per il suo contenuto in azulene ha un’azione antinfiammatoria e decongestionante. CIPOLLA: utilizzata cruda nelle insalate, o da sola, è utilissima sia per l’azione antinfiammatoria che per il fatto che migliora il drenaggio renale. Un piatto molto utilizzato in BTN è la zuppa di cipolle, proponibile anche due volte a settimana, accompagnata da crostini di pane. Oltre alla zuppa di cipolle, anche la pasta condita col sugo di cipolla ha una azione analoga: 150 o 200 grammi di cipolle tagliate sottilissime si fanno stufare in padella con un po’ d’olio e di sale, a fuoco molto basso, col coperchio finché non sono completamente cotte. Si riducono allo stato cremoso andole col atutto e ci si condisce la pasta, preferibilmente di kamut o di mais per agevolare la funzione renale. Si può completare il pasto con un finocchio crudo per migliorare il drenaggio renale, oppure con due carciofi crudi che aiutano il fegato ad eliminare le tossine. In caso di intolleranza glucidica un piatto come la zuppa di cipolla va assolutamente associato ad alimenti ipoglicemizzanti, ad esempio un’insalata mista con cipolla cruda o cicoria riata in aglio e olio. In questi casi si eviterà di associarvi la frutta, specialmente nei casi di familiarità diabetica. CURCUMA: l’attività antinfiammatoria della curcumina, il principio attivo presente nella curcuma, si è rivelata sovrapponibile a quella dei farmaci tipici impiegati per contrastare le infiammazioni, come il cortisone, ma senza gli effetti collaterali dei farmaci. In particolare, non è gastrolesiva come quelli, è ottima per lenire i fastidi di un colon irritabile e aiuta la riparazione della mucosa nell’ulcera gastrica. FRAGOLE: le fragole sono ricche di vitamine, fibre e di polifenoli, potenti antiossidanti. Hanno un basso indice glicemico, non hanno grassi, né sodio né colesterolo. Le fragole sono ricche di manganese e di potassio. Contengono, tra l’altro, acetil-salicilico che agisce sull’infiammazione e sul dolore. LAMPONI: i lamponi contengono buone quantità di vitamine. Vitamine B1, B2, B3 e B9, vitamina A e vitamina C, sali minerali come potassio, ferro, sodio, fosforo, calcio e zinco infine sono ricchi di fibre soprattutto pectine. La presenza di acido salicilico, di polifenoli e di oli essenziali spiegano la loro azione, efficace negli stati infiammatori di diversa origine.
LIMONE: le numerose sostanze benefiche contenute nella polpa e nella buccia del limone lo rendono un rimedio molto utile in Bioterapia Nutrizionale. I flavonoidi, presenti ad alte concentrazioni e i limonoidi (che si ritrovano soprattutto nella buccia e che contribuiscono a darle il tipico sapore agro) hanno il potere di limitare le infiammazioni croniche. MELAGRANA: la melagrana è un concentrato di antiossidanti, e ne contiene in quantità superiori al vino rosso e al tè verde. Un bicchiere di succo di melagrana riesce a coprire il 40% del fabbisogno di vitamina C, ma non solo, è anche ricca di potassio, vitamina A, E, sodio, ferro, fosforo e acido folico. Contiene inoltre acido ellagico, che combinato con l’azione degli antiossidanti, aiuta a prevenire e a contrastare lo sviluppo delle cellule cancerogene in alcuni tipi di tumore. Inoltre, sia i polifenoli che gli antiossidanti, presenti nel succo, contrastano l’azione pericolosa dei raggi ultra violetti. PAPAIA: la bromelina biodisponibile nella papaia, influenza la cascata di eicosanoidi e la formazione di prostaglandine pro-infiammatorie, e questo ne spiega l'azione spiccatamente antinfiammatoria. PESCE (soprattutto anguilla, aringa fresca, salmone fresco, sgombro, alici, sarde). Il pesce, per la presenza di grassi omega 3 EPA e DHA, accelera i processi metabolici e con questo meccanismo migliora l’eliminazione delle sostanze tossiche riducendo i processi infiammatori. La frequente sostituzione della carne con il pesce dà dei risultati interessanti nella riduzione dell’infiammazione. I pesci andrebbero cotti a vapore o comunque evitando di superare i 100 gradi perché gli omega 3 sono molto delicati e la loro ossidazione (favorita dalle alte temperature) riduce la loro potenzialità antinfiammatoria. PREZZEMOLO: la sua ricchezza in vitamina C e ferro, molto biodisponibile, lo rende utileper la sua azione antiossidante e per favorire l'assorbimento del ferro e di altri Sali minerali, soprattutto il calcio. In Bioterapia Nutrizionale è aggiunto sempre crudo, a fine cottura, a carni, pesci e verdure. SEMI DI LINO: il capostipite dei grassi omega 3 è l'acido alfa-linolenico contenuto in ben pochi alimenti: i semi di lino, di canapa, le noci. I semi di canapa non si trovano in commercio e le noci contengono anche acido linoleico, quindi i semi di lino sono i più indicati. Ne bastano 20 g al giorno per avere 3,5 g di acido linolenico. È necessario masticarli con molta attenzione in modo che non ino interi nell’intestino, dove non verrebbero digeriti, ma eliminati tal
quali, oppure vanno pestati in un mortaio. Possono essere aggiunti allo yogurt o a qualunque altro piatto, purché non siano cotti né riscaldati oltre i 60 gradi. Meglio evitare l'olio di semi di lino, che spesso viene estratto con metodi che non consentano di preservarne le caratteristiche. PORRI: il loro contenuto in sostanze solforate facilita l’eliminazione renale dei cataboliti tossici, svolgendo così un’azione di riduzione dell’infiammazione. UVA: la ricchezza in zuccheri e di Sali minerali, la sua attività antibatterica e anti-tumorale, la ricchezza in vitamine e in tannini, rendono l’uva un frutto preziosissimo. In particolare per la sua funzione diuretica e per la capacità di favorire l’eliminazione degli acidi urici, della renella e di altri cataboliti urinari. Con i frutti molto “zuccherini” bisogna comunque sempre prestare attenzione nelle gastriti e nelle condizioni in cui occorre cautela con l’equilibrio glicemico. ZENZERO: il meccanismo di azione dello zenzero, può essere paragonato ai classici FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei) nel contrastare le infiammazioni. Fra le sue proprietà antiossidanti, digestive, carminative, antiemetiche, stimolanti la circolazione, c’è proprio quella di essere un valido antiossidante e antinfiammatorio. Ottimo per la nausea da mal di mare, la tosse, il raffreddore e per lenire dolori articolari e reumatismi. Controindicato in dosi eccessive in gravidanza.
Queste sono indicazioni e consigli di massima, che vanno calibrati “su misura”, caso per caso, perché - tanto per fare qualche esempio - è impossibile proporre alimenti contenenti salicilati se un soggetto è intollerante proprio a quelli, oppure è inopportuno consigliere brassicacee a chi ha un set di polimorfismi (SUOX, NOS, CBS) che non consentono lo smaltimento dei solfiti. È necessario, sempre, conoscere il soggetto al quale è destinata una dieta prima di dargli dei consigli mirati. La scelta dei nutrienti e delle associazioni nutrizionali dipende da una molteplicità di variabili che vanno tutte considerate, contemporaneamente.
Il ruolo degli antiossidanti nella dieta
Il trattamento con antiossidanti per diminuire lo stress ossidativo migliora la funzione mitocondriale e la produzione di energia. La dieta deve saper integrare questi obiettivi, ma il suggerimento è anche quello di non esagerare con le proposte di alimenti antiossidanti perché l’equilibrio tra antiossidanti e pro-antiossidanti è una relazione molto delicata e deve prima di tutto tenere conto delle caratteristiche individuali e della fisiologia del soggetto al quale è dedicato. Poi anche del tipo di antiossidanti proponibili. In una dieta che abbia l’obiettivo di far eliminare i tossici endogeni molti alimenti come le brassicacee sono indispensabili: tutti i tipi di cavoli e broccoli e i ravanelli, le rape, la senape, il crescione, la rucola, il rafano, il wasabi. Questi alimenti sono utilizzabili liberamente, purché non siano contemporaneamente presenti polimorfismi che impediscono il metabolismo dei solfiti. Un altro alimento che costituisce una fonte di antiossidanti è l’avocado. Una colazione con pane tostato, salmone e avocado costituisce un pool di antiossidanti fantastico. L’avocado contiene molti antiossidanti tra cui il glutatione, la vitamina E, il potassio e la vitamina B. Contiene anche il betasitosterolo (sostanza che aiuta ad abbassare il colesterolo) che, unito al glutatione, può aiutare a prevenire disturbi cardiovascolari. Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Cardiorespiratory Exercise Laboratory della Kansas State University, pubblicato sulla rivista «Journal of Applied Physiology», ha osservato comunque che assumere troppi antiossidanti potrebbe essere addirittura controproducente. Inoltre va considerato che nessuna terapia o alimentazione “su misura” può essere perpetrata “a vita” perché la persona cambia, cambiano le sue relazioni, le sue emozioni, si modificano i suoi parametri ematici e tutto questo deve ri-orientare sia le eventuali terapie che l’assetto nutrizionale.
Vitamine antiossidanti dalla natura
Non esistono antiossidanti totalmente innocui: tutti possono avere effetti proossidanti in relazione alla loro concentrazione, come dimostrano studi cellulari in vitro. L’antiossidante in eccesso crea tossicità anche perché l’eliminazione di radicali liberi produce metaboliti e quindi richiederebbe un sistema molto attivo nell’eliminazione. Ad esempio, la vitamina C ha un’attività antiossidante quando riduce sostanze ossidanti come il perossido di idrogeno, ma proposta in eccesso o nel momento sbagliato, comporta un’azione pro-ossidante. Un esempio classico è la somministrazione della vit. C quando c’è uno stato febbrile, in quei casi produce ulteriori radicali e ingolfa l’organismo. La vitamina C stimola la reattività del surrene quindi la produzione di cortisolo, per questo è sconsigliata di sera (batifase del cortisolo) e per lo stesso motivo non è proponibile come supplemento o in dosi eccessive, nemmeno con gli alimenti, per i soggetti con iperattività neurologica. Tra i frutti più efficaci contro l’insulto ossidativo ci sono: more selvatiche, ribes, lamponi, fragole, mirtilli, seguiti da olive verdi e nere. Tra gli ortaggi: barbabietole rosse, carciofi, cime di rapa, peperoncini, verdure della famiglia delle cicorie, radicchio. Minori potenzialità antiossidanti li hanno: fagiolini, carote. Tra i succhi di frutta: il succo di limone e di arancia. Prugne fresche o secche contengono due volte in più la quantità di antiossidanti rispetto a tutti gli altri frutti.
Il poco stimola, l’eccesso inibisce. Se fegato e reni non sono perfettamente funzionanti gli antiossidanti aggravano il metabolismo. Perciò anche con i nutrienti, ad esempio con le verdure, bisogna prestare molta attenzione: le vitamine sono indispensabili co-fattori per molti metabolismi, ma vanno proposte in dosi minime, come informazioni cellulari.
Tra gli antiossidanti la vitamina E, contenuta soprattutto nell’olio extravergine di oliva, è l’unica che non presenta controindicazioni. Gli effetti biologici dei polifenoli dell’olio extravergine di oliva: - aumentano la capacità antiossidante del plasma; - manifestano un effetto protettivo nei confronti della mucosa intestinale.
La scelta dello stimolo attraverso il fritto e il soffritto, con un’ottima qualità dell’olio extravergine di oliva, oltre ad attivare un laboratorio vivacissimo qual è il fegato, ha questa caratteristica di consentire un rifornimento di antiossidanti “sicuri”.
La papaya contiene enzimi proteolitici, che si estraggono dal frutto immaturo della papaia (carica papaya). Ciò è importantissimo per chi soffre di problemi digestivi (gastrite, reflusso gastroesofageo) proprio a causa della mancanza degli enzimi. Inoltre la papaia costituisce un’importante fonte per le difese immunitarie. Per il suo contenuto di antiossidanti, la papaya ha benefici anticancerogeni, antinvecchiamento e disintossicanti essendo, nello stesso tempo, anche un buon energizzante. La papaina, contenuta specialmente in quella fermentata, mobilita e scinde i “complessi immuni”, che sono degli aggregati costituiti da diversi antigeni e anticorpi, al fine di facilitarne il rinnovamento. Poiché il sistema immunitario ha un ruolo capitale in numerosi processi fisiologici, la papaina diventa quindi una preziosa alleata della salute.
Un frutto che si rivela molto utile al microcircolo e al sistema immunitario è la melagrana. È possibile farla gradire anche ai bambini. Per esempio preparando dei succhi con lo sciroppo d’acero o d’agave. La melagrana è proponibile sia come succo fresco (con un comunissimo spremiagrumi), ma anche in chicchi. Bisogna comunque sempre tenere presente il suo carico di vitamina A e C. La melagrana va proposta per le sue proprietà attive sul microcircolo e per le sue
proprietà diuretiche e drenanti tissutali a causa del suo ridotto contenuto di fosforo e sodio. È molto indicata nelle parassitosi intestinali. A riprova del fatto che il Sistema Nervoso Enterico è direttamente connesso al Sistema Nervoso Centrale, la BTN ha dimostrato l’utilità della melagrana nelle demenze senili e nel morbo di Alzheimer, in quanto l’impiego costante delle melegrane (associate opportunamente ad altri nutrienti) ha contribuito notevolmente alla ripresa della funzionalità neuronale di soggetti affetti da patologie neurologiche, migliorando la capacità mnemonica ed il controllo neuro-muscolare.
Alcune associazioni proponibili sono: 1. 150 g di petto di tacchino al limone, 150 g di cicorietta di campo o tarassaco crudi ed una melagrana; 2. 50 g di spaghetti alle vongole, due zucchine marinate ed una melagrana.
Nel periodo invernale, l’apporto di ferro, elettroliti e vitamine A e C da parte della melagrana, costituisce una valida difesa contro le malattie da raffreddamento, le sindromi influenzali e per il sostegno energetico dell’organismo. Non basta consumare alimenti ricchi di antiossidanti, occorre anche saper scegliere come associarli. E non bisogna esagerare perché si rischia di ottenere l’effetto opposto. È interessante osservare l’interazione tra i diversi nutrienti. È stato dimostrato recentemente che il potenziale antiossidante di alcuni alimenti, come il tè, il cioccolato, i mirtilli, le fragole, può essere inibito da altri alimenti consumati nello stesso momento (latte).
Minerali ed oligoelementi
È evidente che prima di intervenire con una supplementazione o con un protocollo dietetico mirato non ci si può basare su una serie di dati statistici – pur dimostrati dalla letteratura scientifica – ma si deve valutare il profilo mineralometrico di ogni individuo.
Alcune alterazioni intestinali (come stati di diarrea prolungata, gastroenterite, malassorbimento, pancreatite), o nutrizionali (malnutrizione, anoressia, alcolismo, utilizzo di alimenti eccessivamente raffinati e lavorati) possono accompagnarsi a carenza o squilibri dei minerali.
Il magnesio
Le principali manifestazioni di carenza di magnesio si manifestano a livello muscolare e a livello del sistema nervoso. Il magnesio è un minerale essenziale che rappresenta circa lo 0,05% del peso totale del corpo; circa il 70% di esso si trova nelle ossa insieme al calcio e al fosforo, mentre il rimanente 30% è situato nei tessuti molli e nei fluidi dell’organismo. Il magnesio è collegato a molti processi metabolici essenziali. La quantità maggiore di magnesio si trova nell’interno delle cellule, dove attiva gli enzimi necessari al metabolismo dei carboidrati e degli amminoacidi.
Il magnesio svolge un ruolo importante per sedare le contrazioni neuromuscolari; aiuta a regolare l’equilibrio acido-alcalino dell’organismo, stimola l’assorbimento e il metabolismo di altri minerali, quali il calcio, il
fosforo, il sodio e il potassio ed inoltre aiuta a utilizzare le vitamine del complesso B e le vitamine C ed E. Gli alimenti che contengono magnesio sono:
cereali integrali, lumache, mandorle, ortaggi verdi con foglie, diversi pesci come il merluzzo, il pesce azzurro, semi di girasole.
Il calcio
Il calcio è preposto a: 1. costruzione dello scheletro e dei denti, 2. regolazione della contrazione muscolare (compreso il muscolo cardiaco), 3. coagulazione del sangue, 4. trasmissione degli impulsi nervosi, 5. regolazione della permeabilità cellulare, 6. corretto funzionamento di numerosi enzimi. Il calcio è importantissimo soprattutto perché riequilibra il sistema nervoso ed in particolare evita: le carie dentarie, i crampi alle gambe, la fragilità delle unghie,
soprattutto l’irritabilità ed alcune forme di mal di testa. L’aceto, e i cibi che lo contengono, sono antagonisti del calcio e vanno usati con parsimonia. Gli alimenti ricchi di calcio sono:
Pesce azzurro: alici (30 mg.%) Sogliola (44 mg.%) Salmone (27 mg.%) Uova di caviale (22 mg.%) Ostrica (130 mg.%) Calamari (32 mg.%) Seppie ( 90 mg.%) Uova di quaglia (64 mg.%) Vongole (128 mg.%) Cavolfiore (22 mg.%) Agretti (14 mg.%) Cicorie (100 mg.%) Broccoletti (108 mg.%) Rosmarino (317 mg.%) Pinoli (16 mg.%) Salvia (1652 mg.%) Tarassaco (273 mg.%)
Mandorle (266 mg.%).
Contrastano la fissazione del calcio:
Asparagi Pomodori Bietola Spinaci Legumi Lo zinco
Gli alimenti fonti di zinco sono:
Cuore di pollo Maiale (se non esiste un’intolleranza individuale) Ostrica Pesce Sciroppo d’acero Semi di girasole Semi di sesamo Tacchino
Tuorlo di uovo Zucchero bruno (con limitazione) Noci Semi di zucca Semi di di girasole Frutti di mare.
Lo zinco influenza sia l’immunità naturale che quella acquisita. Aiuta a mantenere l’integrità della cute e delle mucose. Ha un ruolo nella modulazione della risposta insulinica. Lo zinco è un potente immunomodulatore della risposta immunitaria, ma si è visto che l’equilibrio deve essere perfetto perché livelli di zinco diversi nell’organismo sono in grado di spostare l’effetto immunostimolante sui diversi piatti della bilancia immunitaria. Anche troppo zinco può far male. L’equilibrio nutrizionale si realizza con una dieta molto variata e con informazioni chiare, semplificate.
Il potassio
Il potassio interviene in molti meccanismi fisiologici: in quello della pompa sodio potassio, contrasta la ritenzione idrica, regola l’equilibrio acido basico, protegge le ossa, aiuta a combattere la cellulite, protegge pelle e capelli. Una piccola quota di potassio extracellulare è coinvolta in processi fisiologici importanti, come la trasmissione degli impulsi nervosi, il controllo della contrattilità muscolare e della pressione arteriosa. Minime variazioni dell’equilibrio cellulare di questo minerale possono compromettere le funzioni di diversi organi. L’utilizzo degli alimenti contenenti potassio è sempre benefico, a meno che non siano presenti squilibri organici o patologie renali.
Gli alimenti che contengono potassio sono moltissimi. Legumi secchi, patate, asparagi, spinaci, frutta secca, frutta fresca, pomodorini secchi, curcuma, zenzero, cumino, cacao, banane, merluzzo sotto sale, barbabietole, porri, carciofi, sono tutte fonti di potassio. L’equilibrio tra sodio e potassio è molto delicato nell’organismo: se aumenta il sodio, sicuramente ci sarà una maggiore espulsione di potassio. Il potassio è particolarmente necessario quando i tessuti si stanno formando, durante l’infanzia e l’adolescenza. Questo minerale prezioso svolge un’azione fondamentale nella sintesi delle proteine, è in grado di attivare gli enzimi e di stimolare la secrezione di insulina. Tra i primi sintomi di carenza di potassio nell’organismo si riscontrano: debolezza fisica generale, malfunzionamento del sistema neuro-muscolare, fragilità delle ossa, sterilità, ipertensione. Se manca il potassio, la prontezza di riflessi diminuisce e diventa sempre più difficile concentrarsi, i muscoli sono senza tono, i reni funzionano male, il battito cardiaco rallenta sempre più, il cuore fatica a pompare il sangue, si rischia l’obesità per ritenzione idrica. Qualora il livello di potassio fosse scarso negli adolescenti, questo potrebbe provocare anche problemi cutanei, come l’acne. Il potassio è un minerale che non deve mai mancare nella dieta quotidiana, ma allo stesso tempo non deve mai essere in eccesso. Il potassio in eccesso è dannoso, soprattutto in casi di patologie che colpiscono le persone anziane, come crampi, ipertensione, cardiopatia. I sintomi legati all’eccesso di potassio nel sangue sono crampi e debolezza muscolare, a volte tremori, squilibri di pressione, affaticamento e tachicardia fino all’arresto del battito cardiaco, shock e morte. Una delle cause principali dell’aumento del potassio è legata a un disturbo fisico connesso alla funzionalità renale. I reni ammalati, che non filtrano e non adempiono compiutamente al loro compito, non riescono a smaltire il potassio in eccesso, che si accumula e rischia di causare gravi danni alla salute. Insufficienza renale e squilibrio della pressione arteriosa sono due concause di iperpotassemia. Ma questo disequilibrio è di interesse medico e va tenuto sotto controllo.
Bioaccessibilità e biodisponibilità degli alimenti
Quando ingeriamo un alimento i diversi nutrienti vengono rilasciati dalla matrice alimentare, assorbiti dal sangue e poi trasportati ai diversi tessuti, secondo le necessità. Per molti nutrienti esiste un divario anche moltoforte tra contenuto totale dell’alimento e frazione utilizzabile. C’è differenza tra bioaccessibilità e biodisponibilità.
La bioaccessibilità indica la frazione di nutrienti rilasciata dalla matrice alimentare durante la digestione gastro-intestinale, disponibile per l’assorbimento. La biodisponibilità indica la frazione di nutrienti effettivamente assorbita dall’organismo e la velocità con cui questi nutrienti vengono assorbiti e resi disponibili nel sito di azione.
La “biodisponibilità” di un alimento è quindi quella realmente responsabile della qualità biologica dell’alimento, delle sue “funzioni” all’interno dell’organismo. Infatti i nutrienti contenuti negli alimenti, prima di essere utilizzati dall’organismo per le proprie funzioni organiche, debbono anche essere trattati o meno in modo da essere resi assorbibili dall’epitelio intestinale e debbono poi essere digeriti nei loro singoli costituenti. È chiaro che ogni disfunzione organica individuale inibisce una corretta assimilazione dei nutrienti. Ma è anche chiaro che se un alimento ha fatto un giro lunghissimo, è stato manipolato, modificato, alterato, ha perso ogni biodisponibilità.
I concetti di biodisponibilità e bioaccessibilità sono applicabili a qualunque molecola introdotta nell’organismo tramite la dieta. Il termine biodisponibilità include i concetti di disponibilità per l’assorbimento, di metabolismo, di
distribuzione dei nutrienti ai tessuti e di bioattività. La biodisponibiltà di un composto introdotto con la dieta dipende dalla stabilità del composto durante la digestione, dal suo rilascio dalla matrice alimentare (bioaccessibilità) e dall’efficienza del suo aggio attraverso la mucosa gastro-intestinale. Nonostante le difficoltà pratiche nel misurare la distribuzione e la bioattività dei composti nutrizionali su uno specifico organo, la biodisponibilità rappresenta la frazione di una dose di un composto precursore o di un metabolita attivo capace di raggiungere la circolazione sanguigna. Benché i termini biodisponibilità e bioaccessibilità sono spesso usati indistintamente è importante osservare che la biodisponibilità include la bioaccessibilità. La bioaccessibilità comprende le intere sequenze di eventi che hanno luogo durante la digestione dei cibi traducendoli in componenti che possono essere assimilati dall’organismo tramite le cellule epiteliali della mucosa gastrointestinale.
Quello che aggiunge la Bioterapia Nutrizionale® al concetto di biodisponibilità è l’esplicitazione di come utilizzare l’alimento per rendere quel determinato nutriente “idoneo alle funzioni” in un determinato organismo. Dire che nella carota è presente la vitamina K è assolutamente insignificante se non si specifica qual è la capacità che ha l’organismo umano di sfruttare quel principio attivo e quale modalità di cottura potenzia quella biodisponibilità. Se la carota si consuma cruda si utilizza il betacarotene, ma non la vitamina K. Volendo utilizzare la vitamina K della carota (in una situazione in cui serve un’azione antiemorragica, ad es.: prima di un’operazione chirurgica) è del tutto inutile mangiare carote crude. Ci sarà sicuramente betacarotene, ma la vitamina K resta completamente nelle scorie che transitano nell’intestino e viene eliminata come tale. La Bioterapia Nutrizionale® insegna come sfruttare la biodisponibilità dei nutrienti con l’adeguato metodo di cottura. Per sfruttare al meglio le proprietà della vitamina K contenuta nella carota questa va tagliata in pezzi piccolissimi e fritta nell’olio. Nell’olio bollente si libera la vitamina K. Più saranno piccoli i pezzi, maggiore sarà l’esposizione dell’alimento all’olio extravergine di oliva e maggiore vitamina K sarà biodisponibile. Se invece servono prioritariamente gli zuccheri della carota (per un sostegno in una crisi epatica, ad es.) la si utilizza lessata. L’impiego della carota cruda è
riservato ai soggetti con ipovitaminosi A, ai soggetti in accrescimento, dove lo stoccaggio della vitamina A non sia un problema. Consumata cruda avrà efficacia sulla peristalsi intestinale, contro i parassiti.
In un’associazione alimentare non conta quindi il singolo nutriente, ma soprattutto la funzione che quell’alimento, nella modalità in cui viene proposto, in sinergia con altri nutrienti proposti nello stesso pasto, svolge nell’organismo al quale viene proposto, per uno specifico scopo.
Il kiwi è un frutto che si utilizza per contrastare la stipsi perché, oltre all’alto contenuto di fibre che hanno un’azione irritante sulle pareti dell’intestino, contiene molto ferro. Ma nel caso di una patologia intestinale acuta proporre un alimento come il kiwi, peraltro carico di vitamina C, in un soggetto che ha un colon irritato, contratto, una mucosa gastrica irritata, potrebbe esasperare la sua sintomatologia, mentre una banana acerba, con il suo contenuto di potassio, può aiutare a rilassare anche le pareti intestinali e potrebbe avere un’efficacia anche maggiore, senza controindicazioni. Per la Bioterapia non conta esclusivamente il potere nutrizionale di un alimento, bensì è il modo di proporre quell’alimento, come lo si associa e a chi lo si sta proponendo, è questo il set che definisce “il potere farmacologico dell’alimento”.
Antinutrienti presenti negli alimenti
Ossalti e fitati sono antinutrienti. Molecole in grado di interferire con l’assimilazione degli alimenti o con il nostro funzionamento metabolico a livello gastrointestinale, cerebrale o ormonale. Sono composti che imprigionano i sali minerali rendendoli indisponibili all’assorbimento, attraverso un meccanismo detto “chelazione”.
Alimenti contenenti ossalati.
L’acido ossalico è una sostanza del metabolismo che viene in parte introdotta con gli alimenti nella dieta (bietole, prezzemolo, spinaci, cioccolato, rabarbaro, barbabietole rosse, peperoni verdi, prezzemolo, arachidi, uva, the) ma soprattutto deriva dal metabolismo della Vit. C e della glicina. L’acido ossalico ha proprio questo meccanismo, di legarsi in parte al calcio nell’intestino tenue e di venire poi espulso con le feci e in parte con le urine. Perciò non bisogna eccedere con l’eccessiva introduzione nelle dieta di acido ossalico. Ma soprattutto bisogna tener conto se il soggetto soffre di un disturbo enzimatico che impedisce l’assorbimento corretto dell’acido ossalico. Se si presentano cristalli di acido ossalico nelle feci o nelle urine ci potrebbe essere un problema di polimorfismi (es. VDR start-codone FokI ) o un problema a livello del tubulo renale (filtrazione glomerulare) o un aumento dell’assorbimento intestinale (come può avvenire nell’intestino “permeabile”). Ma la formazione di ossalati può anche dipendere da uno scarso apporto di calcio nella dieta o da una pancreatite cronica.
Gli spinaci contengono ferro, e per questo spesso vengono proposti ai bambini in crescita, o a chi ha carenze di ferro, ma essendo ricchi di ossalati e di fitati, quella percentuale di ferro resta molto meno biodisponibile di quella contenuta in altri alimenti, pur contenenti meno ferro, ma più facilmente assorbibili a livello intestinale. Dare ai bambini molti spinaci (per giunta cotti, processo in cui i minerali si cristallizzano) non li aiuta di certo ad assorbire ferro. Può invece aumentare il carico di ossalati.
Le accortezze, oltre a non proporre un menù carico di ossalati, sono quelle di bollire le verdure in acqua non salata (in modo che i sali non cristallizzino) e di non proporre l’acqua di bollitura di alcuni vegetali ricchi di ossalati (il classico minestrone). A chi soffre di calcoli renali inoltre si consiglia sempre la doppia bollitura delle verdure.
Approfondimento tecnico
OSSALATI: antinutrienti che impediscono l’assorbimento intestinale dei nutrienti Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Tabelle di Composizione degli Alimenti (agg. 2000), EDRA Medical Publishing L’acido ossalico è un fattore anti-nutrizionale presente in numerosi alimenti, fra cui, in quantità maggiori: spinaci, bietole, cereali, integrali e cavoli. Una volta ingerito si combina con diversi minerali (ferro, magnesio e soprattutto il calcio) formando dei sali, detti ossalati, che ne impediscono l’assorbimento. Il consumo di acido ossalico diventa addirittura tossico quando raggiunge dosi uguali o superiori ai 1500 mg. In simili situazioni gli ossalati ingeriti vengono rapidamente assorbiti nell’intestino tenue e vanno a legarsi con il calcio sierico. Il conseguente ribasso della concentrazione del minerale nel sangue causa disturbi severi, come contrazioni muscolari involontarie, tremori, crampi e crisi tetaniche. Oltre alla presenza di acido ossalico in un determinato alimento, occorre valutare anche la biodisponibilità del calcio contenuto in quello stesso alimento. Questo parametro si ottiene dal rapporto tra i quantitativi di acido ossalico e quelli di calcio (g/kg). Gli alimenti in cui tale rapporto è superiore a 2,25 possono essere considerati ‘decalcificanti’, oltre che cattiva fonte di calcio. Questo rapporto è inferiore ad uno nella lattuga, nel cavolo, nel pisello e nella cipolla; è intorno all’unità nella patata e nel ribes, mentre raggiunge valori di 7 nella bietola, nello spinacio e nel cacao.
Alimenti contenenti fitati
L’acido fitico è presente nei legumi, nei cereali integrali e - in misura minore nella frutta secca e nel cacao. Ci sono alcuni espedienti che ne riducono la presenza negli alimenti: i legumi secchi vanno tenuti a bagno con mezzo limone almeno qualche ora prima di esser cucinati, possibilmente cambiando l’acqua almeno una o due volte. Anche la frutta secca sgusciata, se si vuole ridurre il carico di fitati (anche se questa ne contiene molto meno dei legumi), può essere messa a bagno qualche ora prima di essere consumata.
Approfondimento tecnico
FITATI: antinutrienti che impediscono l’assorbimento intestinale dei nutrienti Fonte: Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione, Tabelle di Composizione degli Alimenti (agg. 2000), EDRA Medical Publishing
I fitati, o acido fitico, sono contenuti nei cereali, nella frutta secca e nei semi e possono legarsi al calcio, rendendolo meno assorbibile. L’acido fitico (mioinositolo esafosfato) si trova praticamente in tutti i semi (dunque anche cereali, legumi e semi oleosi), soprattutto nella parte esterna (crusca, buccia, ma nei legumi anche e soprattutto all’interno). La maggior parte di questi fitati si rintracciano nella crusca del frumento (4,14 %) a fronte del riso integrale che ne contiene 0,52%; Soia (1,80%); Fagioli (1,20%) a fronte delle lenticchie (0,42%). Nell’ammollo prolungato (almeno 12 ore) un po’ di acido fitico si solubilizza e rimane nell’acqua, e se l’ammollo è fatto in acqua calda (45°) e con pH fra 5.0 e 6.0 (leggermente acida, per la presenza del limone), dal 30% fino al 100% dell’acido fitico può essere neutralizzato in seguito all’attivazione delle fitasi
endogene, perché si riproduce l’ambiente adatto alla germinazione.
La vitamina C inibisce il legame fra acido fitico e minerali (soprattutto il ferro). È importante quindi associare a prodotti contenenti fitati gli agrumi (anche due gocce di limone). Questo è uno dei meccanismi per cui gli agrumi a fine pasto raddoppiano l’assorbimento del ferro dai legumi. Verdure ricche di vitamina C, o un’arancia, o un kiwi, o due mandarini dopo un pasto con i legumi o i cereali integrali sono in grado di minimizzare l’effetto chelante dell’acido fitico.
Modalità di preparazione degli alimenti
La Bioterapia si fonda sull’utilizzo di alimenti “vivi”: nella maggior parte delle ricette di Bioterapia Nutrizionale si privilegia una cottura di breve durata, con la minima esposizione al calore, partendo dal presupposto che quanto più i nutrienti resteranno integri, tanto più saranno biodisponibili per le esigenze metaboliche dell’organismo umano. Per abbassare il carico glicemico dei pasti è preferibile anzitutto scegliere di utilizzare materie prime, assolutamente controllabili e proporre, quanto più è possibile, prodotti preparati artigianalmente in casa, non industriali. Pasta fatta in casa, dolci fatti in casa, pane o piadine fatte in casa, maionese fatta in casa; ed eventualmente cercando di selezionare i prodotti industriali perché siano senza glucosio aggiunto, senza grassi idrogenati, senza farine di lupini o di carrube (addizioni che impediscono di tenere sotto controllo il carico glicemico), e poi ovviamente senza coloranti, stabilizzanti, conservanti, ecc. Senza tutto quello che il nostro organismo “fatica” a smaltire. I cereali integrali e soprattutto le farine integrali sono proponibili soltanto se sono biologici, altrimenti si tratta di prodotti trattati e poi arricchiti con la crusca, dove si sono accumulati tutti gli anticrittogamici e gli antiparassitari. Comunque tali prodotti non sono idonei all’alimentazione del bambino in età evolutiva, perché contengono molti fitati che sono, come abbiamo visto, dei “sequestratori di calcio”. È prioritario l’imperativo di cercare di far ruotare in una dieta diversi alimenti. Bisogna fare attenzione a non utilizzare sempre gli stessi nutrienti per evitare accumuli, come nel caso del mais e di altri prodotti aglutinati che contengono nichel, accumuli che andrebbero a sollecitare la risposta immunitaria, creando allergie.
Un atteggiamento fondamentale nell’impostare una dieta, dopo aver provveduto a bonificare l’ambiente eliminando dalla dieta tutti i nutrienti dannosi e gli
antinutrienti, dopo aver scelto quali alternative valide utilizzare, è sicuramente quello di comprendere la modalità di cottura più idonea per fare in modo che quel pasto possa fornire tutti i nutrienti utili a quel determinato organismo al quale è destinato, nutrienti ben calibrati sulle esigenze di quell’organismo e che tutelino tutte le sue funzioni organiche. In primo luogo il pancreas.
Crudo o cotto?
L’alimento crudo è molto più familiare al nostro organismo, più vicino a come si trova in natura. La necessità di proporre un vegetale crudo (dal succo estratto dalle verdure, all’insalata, ai cibi fermentati), ma a volte anche la proteina cruda (come il carpaccio di carne o di pesce), in un pasto è spesso determinata dal fatto che - i bimbi in particolare - ma soprattutto le persone che presentano diversi polimorfismi, non possiedono gli enzimi per metabolizzare tutti i diversi nutrienti. L’alimento crudo ha invece in sé gli enzimi necessari. Partire nel pasto con una crudità significa preparare quell’organismo a digerire meglio i nutrienti di quel pasto. Proporre delle verdure fermentate facilita ancora di più i processi digestivi.
Ogni metodo di cottura è invece in grado di modificare l’efficacia nutrizionale degli alimenti. La scelta del metodo di cottura degli alimenti può migliorare i processi digestivi, aumentare o diminuire la biodisponibilità dei nutrienti, intervenire sulla secrezione di alcuni ormoni, come l’insulina, il cortisolo, gli ormoni tiroidei, e sulla liberazione della bile dalla colecisti nell’intestino. Il metodo di cottura migliore, per fare in modo che l’alimento mantenga le sue proprietà nutrizionali, è quello più veloce, perché in questo modo s’impoverisce di meno e non si modifica il patrimonio nutrizionale di un alimento. Per questo la Bioterapia Nutrizionale adotta spesso il metodo del fritto e del soffritto.
La differenza per esempio, tra una carota cruda e una cotta lessata, è soprattutto che quella lessata ha più zuccheri, e sistemarla accanto alla pasta non farebbe che aumentare il Carico Glicemico di quel pasto. Quel meccanismo metterebbe in moto l’insulina che subito farebbe arrivare tutti gli zuccheri al sangue ma la conseguenza sarebbe anche che poco dopo il sangue resterebbe a corto di zuccheri e gli effetti potrebbero manifestarsi con un risveglio notturno fino a
problemi di umore. La cipolla, come altro esempio, ha un’azione ipoglicemizzante da cruda, mentre da cotta è iperglicemizzante perché la cottura rende più disponibili gli zuccheri che contiene.
Un esempio di quanto il metodo di utilizzo in cucina possa cambiare la funzione di un alimento è evidente con le diverse modalità di preparazione dei carciofi.
Crudi: sono indicati per drenare il fegato. Alla romana: gli zuccheri dei carciofi diventano molto biodisponibili e quindi questo metodo di cottura offre soprattutto un sostegno al fegato. Trifolati: questa modalità di cottura fornisce uno stimolo leggero al fegato ma nel contempo offre anche un sostegno perché gli zuccheri diventano più biodisponibili. Alla giudia (a fette o interi, immersi in olio bollente): una modalità di cottura che fornisce uno stimolo energico, anche se facilmente tollerabile da un fegato sano. Fritti in pastella semplice con acqua e farina: oltre alle proprietà depurative dei carciofi si fornisce lo stimolo ma anche gli zuccheri di sostegno all’attività epatica. Fritti dorati (riati nella farina e poi l’uovo fuori): lo stimolo è molto più energico, eccessivo per alcuni organismi.
Per questo le indicazioni delle associazioni nutrizionali tra i diversi nutrienti in un menù danno risultati diversi secondo il metodo di utilizzo di quegli stessi nutrienti.
I diversi metodi di cottura degli alimenti
Il fritto, il soffritto, il cibo lessato, quello cotto al vapore, o al forno, si propongono per indicazioni nutrizionali diversissime. Un alimento ha delle proprietà se viene utilizzato crudo, diverse se viene utilizzato fermentato, ma ne ha altre ancora se invece viene utilizzato cotto. Non solo, anche il metodo di cottura diverso incide sulle funzioni che quell’alimento ha su quel determinato organismo.
Bollitura
L’alimento viene immerso e lasciato cuocere in acqua bollente non salata (tranne che per la pasta), perché aggiungendo sale nell’acqua delle verdure i loro sali si cristallizzerebbero con il sale aggiunto formando cloruro di ferro, di potassio, ecc. Sali difficili da eliminare a livello renale. Bisogna tenere presente che la bollitura imbibisce di acqua e destruttura gli alimenti, per cui quegli alimenti diventano più difficili da digerire. Non tutti gli stomaci sono in grado di tollerare l’alimento lessato. È più indicato, per “educare” un organismo a riconoscere quell’alimento, a considerarlo “amico”, iniziare con il proporre soltanto l’acqua di bollitura dove quell’alimento è stato bollito.
Cottura a vapore
Viene spesso propagandata come la cucina migliore. Invece, anche in questo caso l’alimento viene imbibito e destrutturato, quindi resta sempre di difficile digestione, ma a differenza del processo di bollitura, non si ha la perdita dei sali
e delle sostanze nutritive. È quindi una modalità di cottura consigliata per creare piatti per bambini e per tutti gli organismi in crescita, per gli sportivi che debbono recuperare i sali persi durante l’attività, mentre è controindicata nei pazienti con patologie renali e con ritenzione idrica.
Doppia bollitura
È una modalità di cottura che si usa nelle calcolosi renali e nelle sofferenze renali (per evitare la produzione di “renella”). Questo metodo consente di utilizzare anche alimenti vegetali con alte concentrazioni di ossalati, eliminando i sali in eccesso.
Cottura affogata
Questo metodo di cottura, che viene anche chiamata “a crudo”, consiste nel mettere una verdura così come è direttamente nell’olio bollente, coprendo poi con il coperchio e facendo in modo che cuocia con la sua stessa acqua che evapora, aggiungendo il sale a fine cottura. Utile per cucinare i broccoletti, la verza affogata, il cavolo cappuccio, i broccoli, le zucchine, la cicoria, ecc. Anche in questo caso però le controindicazioni sono sempre le patologie renali, la formazione di calcoli e gli stati d’imbibizione tessutale.
Cottura al forno
Concentra ancora di più i nutrienti perché l’evaporazione fa sì che l’alimento si disidrati, cosa che non succede con la cottura a vapore che in parte concentra e in parte fa decadere. Questo tipo di cottura è davvero difficile da gestire per un rene in difficoltà. Poiché le cotture in forno sono in genere prolungate, ne risulta
anche una denaturazione della componente proteica dell’alimento (carne e pesce), per cui questa modalità di cottura va usata solo in rare occasioni.
Cottura al forno protetta
Esempi sono: la cottura al sale, cioè quando l’alimento (come il pesce o la carne) è ricoperto con sale grosso, o anche la cottura al cartoccio, che si può realizzare con carta da forno, oppure coprendo l’alimento con verdure o anche con le patate (pesce in crosta di patate). In questo modo si proteggere dal calore l’alimento, mantenendone così intatte tutte le proprietà.
Cottura alla brace
La cottura a legna o a carbone di legna è veloce, sicura e denatura pochissimo i cibi. È nociva soltanto se si utilizza carbone da miniera che contiene idrocarburi, tossici e cancerogeni. La cottura per fiamma diretta da gas di città o bombola è cancerogena perché il gas è un idrocarburo. Meglio scegliere del carbone da utilizzare al caminetto o sul barbecue.
Trifolato, soffritto, riato
L’alimento viene fatto cucinare in una padella con i bordi bassi. Si lascia scaldare l’olio extravergine di oliva nella padella, quindi si aggiunge l’alimento con gli aromi indicati (aglio, rosmarino, salvia, timo, zenzero). Si lascia cuocere finché non evapora l’acqua, evitando con cura che l’aglio imbiondisca e che le erbe aromatiche brucino, in quanto dovranno essere consumate con l’alimento.
Con questo processo l’alimento subisce una disidratazione che facilita l’azione dei succhi gastrici. Associando questa disidratazione dell’alimento ad un leggero stimolo epatico indotto dal metodo di cottura, si favorisce la digestione. Anche utilizzare come base la cipolla imbiondita nell’olio (ad esempio nel sugo di pachino) offre uno stimolo epatico, anche se la cipolla è più “zuccherina” rispetto all’aglio.
Si sala a fine cottura e si aggiungono: prezzemolo fresco, o basilico fresco o peperoncino, secondo le indicazioni. Questo tipo di preparazione offre un leggero stimolo dell’attività epatica. Fondamentale soprattutto per chi soffre di problemi gastrici, perché riare o cuocere direttamente le verdure in padella, disidrata l’alimento rendendolo più aggredibile dai succhi gastrici. L’olio riscaldato, inoltre, veicola meglio le vitamine liposolubili A, D, K e rende assimilabile la curcuma.
Fritto
La frittura non fa male. La frittura correttamente eseguita stimola la funzione del fegato. Inoltre il metodo del fritto consente di mantenere pressoché intatte le proprietà nutrizionali dell’alimento. Ma è necessario friggere secondo le regole della frittura sana. L’olio deve essere soltanto extravergine d’oliva, perché ha un basso punto di fumo, e alle alte temperature produrrebbe subito quell’odore acre che ci fa capire che sta diventando tossico, cosa che avviene nei più comuni oli di semi a temperature molto più basse, permettendo la liberazione di sostanze tossiche (acroleina), responsabile della demonizzazione ata del fritto. La temperatura dell’olio in frittura non deve mai superare i 180 °C, per questo la friggitrice è utilissima, perchè la si può impostare e mantenere fissa la temperatura. Anche se questo piccolo elettrodomestico richiede l’utilizzo di molto olio. Sconsigliate assolutamente le fritture dei fast food.
Il sale e le spezie vanno aggiunti all’alimento al termine della cottura. Il fritto
deve essere asciugato su carta paglia o in busta di carta paglia, che non contiene coloranti o sbiancanti che invece sono spesso presenti nella carta da cucina. Questo per eliminare il grasso in esubero. Un pasto con il fritto deve però essere sempre associato ad altri nutrienti che diano acqua di vegetazione e zuccheri facilmente assimilabili e il pasto successivo non deve essere un pasto diuretico per non privare il fegato dell’acqua di vegetazione che serve al suo corretto lavoro.
Esistono diverse modalità di frittura che hanno funzioni diverse.
Fritto “marinato”
Il fritto “marinato” si adotta per le verdure (es.:zucchine marinate) come anche per la carne e per il pesce (es.: latterini marinati). L’ingrediente che correda questa modalità di frittura è l’aceto. Deve essere aceto di vino bianco o rosso, ma senza solfiti. Nel caso delle verdure queste si immergono in olio bollente così come sono, per poi essere condite, una volta fritte, con una spruzzata di aceto e spolverate con aglio (dove consentito) e prezzemolo. Nel caso del pesce lo si a prima nella farina e poi lo si frigge. Dopodiché si a al procedimento della marinatura in aceto. Questa modalità ha il potere di sedare le ipersecrezioni gastriche e facilitare i processi digestivi.
Fritto “in pastella”
La pastella va fatta con acqua ghiacciata gasata o in acqua calda, farina e un cucchiaio di olio extravergine d’oliva (magari con l’aggiunta di un pizzico di Kuzu) e un pizzico di sale. La densità sarà differente a seconda dell’alimento da “pastellare”. Non deve essere lasciata riposare. L’impasto deve essere della giusta densità perché “vernici” gli alimenti. Questa preparazione ha un’azione di
stimolo epatico e di sostegno del fegato grazie agli zuccheri forniti dalla pastella. Utilissima per le verdure ma anche per i filetti di pesce (es.: neonata in frittelle).
Fritto “panato”
Questa modalità di frittura assorbe molto olio, ma rende disponibili subito gli zuccheri, per la presenza della farina, ed è quindi molto utile a sostenere il lavoro richiesto al fegato con la frittura. Si ria l’alimento nell’uovo, nel pane grattato o nelle farine e poi nell’olio bollente (es. : fettina panata). Lo stimolo proposto al fegato è così compensato dalla presenza del pan grattato che sostiene il fegato con i suoi zuccheri.
Fritto “dorato”
L’alimento è ato prima nella farina e poi nell’uovo (es.: carciofi fritti dorati). Fornisce uno stimolo indicato solo se il fegato è in perfette condizioni perché alla sollecitazione della frittura si aggiunge anche quella dell’uovo, le cui proteine, a contatto con l’olio bollente, subiscono una denaturazione. È la forma di stimolo più forte, adottata ad esempio in fase premestruale su un fegato imbibito che non riesce ad esprimere gli ormoni.
Modalità di preparazione del fritto
L’olio extravergine di oliva è per tre quarti costituito da acidi grassi monoinsaturi, più stabili durante la cottura, in particolare l’acido oleico che tende a polimerizzare meno rispetto a quelli polinsaturi, come l’acido linoleico di cui sono particolarmente ricchi gli oli di semi. I grassi polinsaturi, contenuti negli oli di semi tendono facilmente ad auto-ossidarsi, formare idroperossidi, radicali liberi, composti ciclici e, a contatto con gli alimenti, composti idrolitici, come mono e diacilgliceroli e acidi grassi liberi. Inoltre, quando sottoponiamo un olio ad un deciso innalzamento termico, per effetto della temperatura, l’olio è prima idrolizzato in glicerolo e acidi grassi. La degradazione dell’olio avviene poi per trasformazione del glicerolo (con perdita di acqua) in acroleina (aldeide acrilica). Questo fenomeno è evidente perché l’acroleina è visibile sotto forma di fumo che abbandona l’olio e la sua formazione è proporzionale al contenuto di acidi grassi polinsaturi dell’olio, i più sensibili al calore. L’olio extravergine, invece, presenta una stabilità termica ossidativa migliore di qualsiasi altro olio, non solo per la composizione in acidi grassi, ma per il contenuto in tocoferoli e composti antiossidanti molto potenti, come il delta-5avenasterolo. I tocoferoli, cioè la vitamina E presente nell’olio, diminuiscono con il numero delle cotture perché una quota della vitamina E viene ceduta all’alimento fritto, che lo assorbe appena viene messo in contatto con l’olio bollente. Con la frittura sana si propone un supplemento di vitamina E in un piatto gustoso.
Accorgimenti da adottare per cucinare una sana frittura
Perché una frittura possa definirsi sana però è necessario prendere alcuni accorgimenti:
Assicurarsi che sia utilizzato esclusivamente olio extravergine d’oliva. L’olio semplicemente di oliva, o peggio quello di sansa, deve contenere per legge solo una minima percentuale d’olio proveniente da olive (30%), per il resto si tratta di miscele di oli di semi. Evitare di utilizzare padelle troppo ampie, perché in tal modo si riduce il punto di fumo. Per preparare un’ottima frittura, sono indicate le padelle di acciaio che distribuiscono il calore in modo uniforme; evitare di utilizzare quelle in rame e in ferro, perché la presenza di metalli di transizione aumenta l’ossidazione e la degradazione dell’olio. Inoltre il rame è un antagonista dello zinco. Ed è incriminato nell’innesco dell’Alzheimer. Improponibili le padelle di alluminio (sovente utilizzate dalla grande ristorazione). Quando non si è particolarmente esperti, è senza dubbio meglio utilizzare una friggitrice di acciaio dotata di termostato, per mantenere costante (165°)la temperatura. Il livello dell’olio nella padella deve raggiungere almeno la metà dello spessore dell’alimento da friggere. Quando nella padella c’è poco olio, immergendovi il cibo la temperatura dell’olio si riduce ed è necessario più tempo per ripristinare la temperatura iniziale, così la crosta impermeabile non riesce a formarsi rapidamente. Le proprietà organolettiche si modificano, i tempi di cottura si allungano e l’alimento, così imbibito, diventa indigesto e tossico. Mantenere costante la temperatura della frittura intorno ai 165°, evitando tassativamente che la temperatura dell’olio superi i 180°C, punto di fumo per l’olio extravergine di oliva, temperatura in cui si sviluppa acroleina. Inoltre,
raffreddare e riscaldare l’olio, più volte, provoca una rapida degradazione dell’olio, in particolare dell’acido linoleico, per aumento della solubilità dell’ossigeno nell’olio quando si riduce la temperatura. Meglio friggere con lo stesso olio più a lungo, che più volte. Evitare che il tempo di frittura dell’olio si prolunghi oltre i venti minuti. Dopo la frittura è bene agevolare, mediante scolatura, l’eliminazione dell’eccesso di olio assorbito dall’alimento: è molto utile scuotere il fritto in un sacchetto di carta per alimenti del tipo di quelli usati per incartare il pane, oppure adagiare gli alimenti fritti su carta paglia evitando la carta da cucina, prodotta e sbiancata con sostanze chimiche. Le superfici dell’alimento fritto devono essere dorate; le parti più scure o bruciate devono essere rimosse.
Frittura delle patate.
Una sintesi delle regole da seguire per preparare questo piatto.
Pelare le patate e lasciarle a bagno in acqua tiepida qualche ora. Scolarle e asciugarle una per volta. Tagliare le patate a bastoncino o a fette tonde (come preferito). Friggerle in olio extravergine di oliva caldo, 180 °C, avendo cura di non far mai fumare l’olio. Terminare la cottura delle patate quando iniziano a cambiare colore, evitando di consumare le parti più scure. Asciugarle su carta paglia
Scelte alimentari
Ogni pasto deve assolutamente essere composto con
un piccolo quantitativo di proteine (attenzione a non eccedere, se si vuole mantenere il pH basso il tetto massimo TOTALE è di 40 g di proteine al giorno, l’equivalente di una fetta di carne da 180 g); un modesto carico di carboidrati composti da pasta di cereali o riso (secondo il peso corporeo, da 50 a 100 g a pasto) o patate; e grassi combinati.
È importante sollecitare la colecisti, facendo lavorare il fegato che in questo modo elimina i tossici, riduce il meteorismo addominale, e previene la formazione dei calcoli biliari. Proporre una pasta al ragù è molto più salutare che non una pasta all’olio. La modalità di cottura del fritto e del soffritto, oltre a dare lo stimolo metabolico, abbassa il carico glicemico perché l’olio vernicia la pasta e ne rallenta l’assorbimento, aumentandone la digeribilità. Ma è molto importante che quel ragù sia cucinato con pomodorini freschi, soffritti in olio extravergine di oliva; pomodoro fresco, non conserva di pomodoro! E poi che la carne sia appena cotta, mai cotta a lungo, perché perderebbe tutti i nutrienti di cui quell’organismo ha estremo bisogno. Se un bambino rifiuta il ragù e preferisce pasta in bianco, sta parlando per lui il suo fegato che chiede aiuto e sostegno.
Alcuni bambini mostrano istintivamente molta appetenza per le carni o i pesci crudi, e questo è un indicatore preciso: vanno a caccia di glutatione. Questa è un’appetenza che va rispettata. Bisogna però utilizzare delle precauzioni con le
crudità: carni e pesci vanno fatti sostare 86 ore nel congelatore, prima di poter essere consumati crudi, e poi vanno pre-macerati qualche ora nel limone o nell’aceto, o nell’uovo. E altrettanto è fondamentale che la pasta o il riso siano sempre cotti al dente (anche questo abbassa ulteriormente il carico glicemico) e mantecati nel sughetto o saltati in aglio (per chi non ha problemi con i solfiti) e olio. Piccoli accorgimenti che cambiano la qualità della vita. I legumi, così come le patate, vanno preventivamente fatti sostare in acqua tiepida con mezzo limone, in modo da far “scaricare” una parte dei fitati. Quell’acqua poi va buttata e la cottura deve avvenire in acqua diversa.
Composizione dei pasti
Nell’alimentazione il primo imperativo è quello di sollecitare lo stimolo metabolico, ma senza eccitare i sistemi, senza andare a sollecitare impropriamente il Sistema Nervoso e assicurando un drenaggio profondo; il secondo imperativo è senza dubbio quello di rispettare la funzione renale e a tal proposito servono tutte le regole che contrastano l’iperinsulinismo. La chiave sta nel facilitare la diuresi senza aggravare mai la funzione renale. Nella composizione dei pasti la raccomandazione è quella di fornire informazioni semplificate agli organi, in modo che non abbiano molto lavoro extra da fare. In un pasto può essere utilizzata anche l’insalata mista, in cui però è opportuno evitare, quando si voglia realizzare anche un effetto dimagrante, sia l’aggiunta del pomodoro crudo, perché ricco di sali che, sommati a quelli delle altre verdure, causano ritenzione idrica, che il mais, poiché è un carboidrato come pasta e patate. A meno che non si sia in grado di procurarsi del mais biologico e che in quel pasto il mais non sia computato quale sostitutivo della pasta. Nelle insalate miste, va impiegata con cautela la carota, sia per la ricchezza in zuccheri che per il suo contenuto di vitamina A che può aggravare una funzione epatica compromessa. Si possono mescolare tranquillamente rucola, scarola, radicchio, finocchio, cetrioli, ravanelli, indivia belga e riccia e tutte le verdure da pinzimonio, compresi il cavolfiore e il carciofo. Se si vuole realizzare un pasto equilibrato dal punto di vista glicemico non si possono mescolare in uno stesso pasto: pane, pizza, patate, pasta, fagioli. Si tratta sempre di carboidrati complessi. Sarà anche possibile prevedere in un menù un piatto con pasta e fagioli, o pasta e lenticchie, ma in quello stesso pasto gli accorgimenti atti a tutelare la glicemia dovranno essere numerosi. Anzitutto abbassando le quote sia dei legumi che della pasta, utilizzando quel piatto nella modalità soffritto, poi associando insieme un piatto diuretico come la cicoria o i finocchi crudi e non la frutta. Insomma si può mangiare di tutto, ma bisogna raccordare gli strumenti e realizzare un bel concerto. Evitando di far impennare la glicemia. La fisiologia
umana ha bisogno di stabilità.
Le ragioni di una dieta
Il motivo per cui spesso le persone si rivolgono al naturopata o al nutrizionista di BTN è, in primis, quello estetico. Si vedono ingrassare. Ma questo non è che un indicatore di un più profondo squilibrio e quello che dovrebbe invece indurre tutti a curare il proprio stile nutrizionale è l’obiettivo di salvaguardare la salute. È indubbio che molti alimenti che introduciamo oggi siano carichi di tossici, è altrettanto fuori di ogni dubbio che non siamo autonomi e liberi nelle scelte alimentari perché è la costituzione della flora batterica intestinale (microbiota) che decide per noi le appetenze. Noi non siamo davvero liberi. Se vogliamo diventarlo dobbiamo diventare consapevoli. L’ipertensione, il colesterolo, il diabete, il reflusso, i danni renali, i disturbi emotivi, il grasso superfluo, ma anche un dimagrimento eccessivo, sono conseguenze degli insulti che propiniamo costantemente al nostro organismo. Sono una tappa successiva a piccoli disequilibri che si manifestano dapprima soltanto con alcuni segnali: un po’ di grasso addominale, una fame smodata, la voglia di zuccheri a fine pasto… E ci sentiamo liberi soltanto se cediamo. Invece si tratta di prevenire e di correggere, ma i registi del processo dobbiamo diventare proprio noi. La dieta quindi, che nell’immaginario collettivo si identifica con la restrizione calorica, in verità in Bioterapia Nutrizionale non utilizza questo parametro, ma utilizza il metodo dell’associazione tra i diversi nutrienti per riconquistare la salute. Serve anche per dimagrire soltanto quando l’ingrassamento rappresenta uno stato disfunzionale, perché va a recuperare le funzioni organiche. Ma in primis serve per recuperare la corretta fisiologia organica. Ed è questo il segreto. Non altro.
Quindi è una dieta eseguibile da tutti proprio perché non impone restrizioni, non indica privazioni particolari, non costringe alla fame. Anzi, tutelando in primis l’equilibrio glicemico non deve far avvertire il senso della fame.
La dieta dimagrante nelle diverse costituzioni.
La Bioterapia Nutrizionale, anche quando si proponga semplicemente di attivare un dimagrimento, il recupero della forma fisica, non applica una dieta standard per tutti, ma osserva il singolo individuo, la sua tipologia organica, la individualizza monitorando giorno per giorno quell’organismo, per verificare le modificazioni indotte proprio con la dieta. Uno dei fondamenti che si adotta in Bioterapia è che il parametro più importante non è perdere peso, è invece molto più importante verificare che il metabolismo si mobiliti. Ed il primo indicatore è costituito dalle misure corporee. Una dieta sana è una dieta che modella.
Non sempre dimagrire infatti corrisponde a perdere peso. Il tessuto adiposo è più leggero di quello muscolare. Ma non solo. Quando si recuperano nutrienti che sono carenti in un determinato individuo si ha un aumento della struttura ossea, del volume ematico, dei globuli rossi. Le cellule diventano più sane, si realizza una complessiva ristrutturazione di quell’organismo, per cui a fronte della riduzione della massa grassa, la massa magra aumenta e si ha un’implementazione generale: l’organismo recupera vitalità, energia, salute. Questo può comportare che l’individuo in una prima fase non perda peso, ma che veda invece modellarsi le sue forme. Questo intervento chiede una compliance totale da parte della persona che vuole dimagrire. E si definisce meglio come EDUCAZIONE NUTRIZIONALE. L’individuo deve diventare consapevole di quello che fa quando si siede a tavola. Ogni dieta è perciò individualizzata, si preoccupa anzitutto di fornire un apporto nutrizionale bilanciato che non vada mai al di sotto delle necessità di quello specifico organismo, deve essere calibrata sul funzionamento di quell’individuo e della sua costituzione fisica, in quello specifico momento, garantendo il più equilibrato stimolo metabolico ed assicurando funzioni emuntoriali ottimali.
Un altro elemento di fondamentale importanza in Bioterapia Nutrizionale è cercare sempre di assicurare l’equilibrio glicemico. Secondo i parametri della dieta bionutrizionale sono assolutamente controindicati i pasti frequenti perché mangiare poco e spesso attiva una serie di enzimi, in particolare la colecistochinina (CCK) o pancreozimina (PZ) che, quando viene attivata troppo spesso, provoca la produzione di prolattina che attiva situazioni potenzialmente patologiche. Sono invece indicati tre pasti regolari, evitando di saltare i pasti, evitando i lunghi digiuni, perché un calo glicemico si porterebbe dietro, inevitabilmente, un’alterazione del ritmo insulina-glicemia-cortisolo. Con altre ripercussioni che predispongono a patologie.
Un altro must della Bioterapia Nutrizionale è evitare pasti troppo complessi, “pasticciati”, che impegnino il metabolismo, rallentandolo. Bisogna quindi evitare di mescolare in uno stesso pasto troppi ingredienti diversi. E ancora un altro cardine è rappresentato dallo stimolo epatico, che è fondamentale per attivare il metabolismo in quanto sollecita il sistema tiroideo (ovviamente tale stimolo va invece ridotto nei casi in cui ci sia in circolo una tossicità sistemica, rilevabile dalle analisi delle urine che noi effettuiamo quotidianamente). La dieta quindi non può essere generalizzata: deve rispettare le differenze costituzionali che corrispondono all’assetto neuroendocrino della persona. Occorre costruire una dieta capace di dare un apporto nutrizionale che sia bilanciato sulle necessità di quella persona. Ogni costituzione ha sue esigenze nutrizionali precise e quindi noi dobbiamo valutare come funziona quello specifico individuo.
Le diverse costituzioni organiche
Riuscire ad individuare la costituzione di un soggetto è l’aspetto più difficile dell’intervento. Anzitutto perché essendo ogni organismo costituito dalla funzionalità di tutti gli organi ogni individuo è “portatore” di tutte le cinque tipologie organiche di cui parla la medicina cinese: “legno” (fegato), “fuoco” (cuore), “terra” (pancreas), “metallo” (polmone) e “acqua” (rene). Il compito del counselor è comprendere qual è lo stato del momento della costituzione di quell’individuo. Si tratta di valutare la tipologia più evidente nel momento in cui si tratta quel determinato individuo. La tendenza all’incremento ponderale è significativa nelle costituzioni epatica, surrenalica e pancreatica. Meno frequente nei soggetti polmonari e renali, e comunque sempre per implicazioni crociate con le precedenti. Il pancreatico tende a costruire una “ciambella” intorno alla vita e potremmo rappresentarlo con l’immagine di una mela, l’epatico invece tende ad accumulare il grasso esclusivamente sui fianchi, assumendo una morfologia “a pera”, mentre il surrenalico (che appartiene alla tipologia “cuore”) si gonfia in alto, sul torace, assumendo una conformazione a “uva”. Qualche volta anche la tipologia renale si scompensa e tende ad aumentare di peso, ma si tratta più sovente di imbibizione tissutale. Però la costituzione renale difficilmente ingrassa perché è caratterizzata da una figura minuta, esile, piuttosto tende ad imbibirsi. Non detossica. La costituzione che mantiene più facilmente il suo equilibrio è quella polmonare. Anche se nessuno ha decisamente una costituzione senza “incidenze” dovute ad altri organi. Quindi nessuno ha una costituzione “pura”. Per questo ogni dieta va personalizzata sulla base della semeiotica (dei sintomi e dei segni che caratterizzano quell’individuo in quel momento).
LA COSTITUZIONE EPATICA
La persona con caratteristiche di base “epatica” ha una figura proporzionata e armonica, uno sguardo vivace, espressivo, spesso con occhi sporgenti tipici della predisposizione all’iperfunzione tiroidea. La sua muscolatura è tonica, sia cute che sottocute sono toniche, con accumuli di depositi cellulitici all’esterno delle cosce, presenta un bacino molto femminile e i glutei sono ben rappresentati. Spesso corrisponde ad una persona molto sportiva. Un epatico avrà sempre, anche quando ingrassa, un punto vita ben delineato, le gambe e le caviglie sottili, un seno e un torace piccolo. La sua muscolatura è ben definita, armoniosa, le spalle ampie, il corpo è asciutto, il colorito è pallido, i tendini e le vene risaltano sulla pelle (come intagliate nel legno). Sono presenti nodosità a livello delle articolazioni, che sono evidenti soprattutto sulle dita delle mani più sottili, gli zigomi sono pronunciati, gli occhi sono vivaci ma molto sensibili agli agenti atmosferici e alla luce. Il suo sistema epato-biliare, più che nelle altre tipologie, è facilmente il bersaglio di disordini alimentari o di eccessi tossinici: ha spesso la bocca amara al mattino, la lingua impastata, alterna periodi di stitichezza a diarrea (per l’alterato tono muscolare della parete intestinale).Dal punto di vista caratteriale il soggetto epatico è ipersensibile, irritabile, collerico, con scatti d’ira (si accende facilmente come il legno), tollera poco essere contraddetto. L’energia non è costante, per cui è un soggetto pigro e lento al mattino, anche molto irritabile, mentre la sera non andrebbe mai a letto. Ha la tendenza a malattie allergiche, forme reumatiche e artritiche, disturbi digestivi (fegato, vescica biliare), cellulite tipo “culotte de cheval”. Caratteristiche fisiche: -muscolatura stenica -cute e sottocute tonici -seno piccolo -punto vita evidente
-sguardo vivace -occhi sporgenti -caviglia sottile -mani nodose Psicodinamica della costituzione epatica -Il soggetto epatico è rappresentato graficamente con una frequenza nervosa molto rapida, con una reattività evidente e se si trova in una condizione di stress è nervoso, aggressivo, collerico. -Vive un’irregolarità nelle manifestazioni energetiche con rapidi cambiamenti di stato (a da una fase di iper-energia a fasi di anergia) Spesso ha energia prorompente e incontrollata e quindi avrebbe bisogno di scaricare questa energia in eccesso in palestra, o correndo, comunque scaricando le tensioni nervose con il movimento fisico. Infatti anche il suo umore migliora con il movimento perché il fegato più di tutti gli altri organi teme la stasi. -Non è mai remissivo e placido, è sempre combattivo, aggressivo, nervoso. Però in condizioni di mancanza di equilibrio dell’organo ha una scarsa resistenza, con facilità agli esaurimenti psicofisici. Può fare una gara dei duecento metri, ma sostiene la maratona con maggiore difficoltà. -È incostante, volubile, ha una memoria labile per instabilità attentiva, ansia da anticipazione, mancanza di concentrazione. Tendenze fisiopatologiche della costituzione epatica La prima cosa che un soggetto epatico descrive al colloquio è quello di uno stato di astenia o stanchezza mattutina (sovente dovuta ad iperglicemie notturne, come alla difficoltà di catabolismo epatico e renale) e questo avviene soprattutto quando è molto scompensato. Può inoltre riferire stati di nausea e bocca amara da ipofunzione epatica. Spesso il soggetto epatico va incontro a disturbi delle articolazioni, dei muscoli, dei tendini (crampi e contratture, tendiniti e mialgie, strappi muscolari), a causa di un ipertono sempre presente. L’epatico, in assenza di stimoli epatici adeguati,
va incontro anche a stipsi e a volte a diarrea per alterato tono muscolare della parete intestinale. A lungo andare questo stato può portare emorroidi (comunque anche senza stipsi, quando è presente un problema del circolo portale epatico). Èil soggetto che più frequentemente va incontro ad allergie e ad ipersensibilità alimentari (anche in questo l’epatico si caratterizza sempre con una forte reattività) e a squilibri elettrolitici. Altri sintomi che questo soggetto potrà raccontare sono: emicrania, cefalea epatica o tossinica. Di solito questo soggetto in giovane età soffre di ipotensione, ma quando supera i cinquanta anni invece presenta ipertensione (ipertensione molto alta nel maschio). Presenta problemi di calcolosi biliare da stasi colecistica, che si manifesta spesso dopo una dieta ipocalorica, priva di stimoli epatici, in cui precipitano i calcoli biliari. Spesso va incontro a sindrome di Gilbert, con iperbirilubinemia. I disturbi del sonno sono soprattutto in fase di addormentamento (insonnia iniziale). I bambini che vanno incontro a miopia sono proprio i bambini con la costituzione epatica, per contrattura dei muscoli retti dell’occhio. Per questo nella dieta delle persone epatiche bisogna abbondare in alimenti ricchi di potassio. Invece la presbiopia, che è un fenomeno che subentra verso i quaranta anni è dovuta al problema inverso, cioè alla riduzione della capacità contrattile del muscolo, quando è troppo rilassato. Tanto è vero che nel soggetto presbite la capacità di leggere a distanza dall’oggetto varia in dipendenza dalla stanchezza fisica del soggetto. Da giovani questi soggetti possono presentare acrocianosi (estremità bluastre da superlavoro epatico/circolazione periferica).
Appetenze della costituzione epatica Alimenti ricchi di potassio: zucchine, fagiolini, agretti, banana, patate, pomodori.
Alimenti acidi: agrumi, pomodoro, aceto. Carboidrati: pasta (soprattutto la sera). Alimenti a tropismo epatico e renale: carciofi, cicoria, pesca bianca. Carni soprattutto rosse. Ama la frittura, le spezie, il caffè, il cioccolato, i formaggi e gli alcolici. Questi infatti sono tutti alimenti che sostengono il tono adrenergico.
La costituzione epatica teme l’ipoglicemia, perché il fegato non può rimanere senza zuccheri, altrimenti smetterebbe di lavorare; accetta il potassio, ma non in eccesso, perché il potassio è diuretico e il fegato non sopporta di restare senza acqua, quindi un soggetto epatico preferisce la pasta (che è uno zucchero a lento rilascio) rispetto alle patate, che pure accetta. Èl’epatico che riferisce un calo di concentrazione a metà mattina, non il pancreatico. Il pancreatico a metà mattina avverte il bruciore di stomaco, oppure esprime l’esigenza di mangiare qualcosa di dolce. Il soggetto epatico perde la concentrazione nelle ore intermedie, quando scende la quota degli zuccheri presenti nel sangue, per questo istintivamente privilegia la pasta, che gli assicura un maggiore equilibrio glicemico. Un bambino che presenti questi “cali” di attenzione, e che in età evolutiva necessita di cinque pasti al giorno, dovrebbe mangiare uno spuntino a base di pane e prosciutto, o pane con l’uovo, mentre un bambino di costituzione pancreatica tollera meglio una merenda con dei grassi, anche a base di pane e pancetta. Avversioni alimentari della costituzione epatica Alimenti molli, pannosi, gelatinosi, troppo dolci. Alimenti troppo ricchi di ferro e amari. Vitamina A e Betacarotene (perché richiedono un impegno epatico). Vitamina K (fattori della coagulazione e microcircolazione). Alimenti contenenti zolfo (ha difficoltà a digerirli).
Crucifere (danno stimolo tiroideo, contengono zolfo). Verdure bollite, minestre e minestroni. Lattuga: l’acido lactucario rallenta la funzione epatica. Alimenti con fitoestrogeni e catecolestrogeni che placano, calmano troppo.
Linee guida nella costruzione di una dieta per la costituzione epatica
1. STIMOLO EPATICO: la sollecitazione funzionale è indispensabile. Ma quando si propone uno stimolo epatico con la frittura bisogna sempre tenere presente che si rischierebbe di mettere in crisi un fegato che non può restare senza zuccheri e senza acqua di vegetazione. Attenzione quindi agli accostamenti. 2. ADEGUATO RIFORNIMENTO ENERGETICO: il fegato come sua esigenza metabolica ha bisogno sempre di acqua e zuccheri. 3. SOSTEGNO E DRENAGGIO D’ORGANO: quando si propone uno stimolo ad un soggetto epatico bisogna sempre associarvi alimenti a specifico tropismo epatico (si tratta di quegli alimenti che “ripuliscono” le cellule epatiche: carciofi, patate, pesca bianca, sono tutti alimenti drenanti. Es. di associazione: due patate lesse, finocchio e ananas). 4. RISTRUTTURAZIONE CONTINUA: sono essenziali a questa tipologia le proteine, soprattutto della carne.
Indicazioni nella costruzione della dieta nella costituzione epatica
Per stimolare l’organo epatico: proporre 2 o 3 fritture settimanali sempre accompagnate dalla verdura cruda e da frutta acquosa e zuccherina. Es.:fettina panata a pranzo + insalata belga (ferro) e arancia (vit. C). Oppure lo si può stimolare a cena con dei carciofi fritti (sempre associati ad alimenti contenenti acqua di vegetazione e zuccheri), ma anche con delle verdure saltate in padella (stimolo del soffritto). Non bisogna eccedere con lo stimolo diuretico quando si mette un fegato al
lavoro. Bisogna fare attenzione a non far seguire ad un pasto stimolante il metabolismo epatico un pasto diuretico. Andrebbe in crisi l’organo. Se si stimola la funzionalità epatica a pranzo è opportuno che a cena lo si sostenga, ad es. con un piatto di riso al pomodoro associato a cicoria. Le carni ad un soggetto epatico vanno proposte sempre poco cotte (es. : straccetti o meglio ancora carpaccio), per favorire la rigenerazione epatica. Questo soggetto mal tollera le carni cotte a lungo. Gli alimenti ricchi di ferro sono proponibili soltanto se un fegato è in grado di permetterselo, se l’organo può sostenerli come stimolo funzionale. Lo stimolo adrenergico è proponibile con estrema cautela in questi soggetti. La funzione adrenergica va sempre modulata. Non assecondata tout court. Se l’epatico si sente stanco, si sente anche nervoso e ricerca lo stimolo. Assume caffè. Che gli serve per sostenere il tono. Perpetrando l’eccitazione. Diventando nervoso. Perciò non si deve mai eccedere con uno stimolo eccitante. È possibile assumere fino a tre caffè al giorno, ma non di più. Se una persona è anche dipendente da nicotina sarà più difficile limitare il caffè. Vive tutto il giorno su “una molla”; che cerca continuamente di ricaricare. Cautela con la vitamina A: stimola un fegato sano (ma bisogna tenere presente che la vitamina A si accumula). Alcuni fegati riescono a gestire meglio la vitamina A se gli alimenti (carote, zucca) sono fritti (frittura profonda).
PRECAUZIONI
Il fegato non va stimolato in questi casi -Se è in corso un’epatite o una patologia epatica. Inizialmente va fatto soltanto dopo un periodo di drenaggio di almeno 20 giorni. -Quando il pH delle urine è alto (ph7), perché questo è un segno di tossicità in circolo. Se il pH. dello stick urinario dà valore 7 quell’organismo segnala che non c’è stata adeguata eliminazione di radicali acidi, che sono ancora in circolo. Se si va a stimolare ulteriormente il fegato, quel fegato tende a catabolizzare ancora di più. Ovvero trasforma le sostanze di scarto in radicali acidi in quanto la sua funzione è proprio quella di cercare di rendere idrosolubili le sostanze liposolubili. Perché è in questo modo che il rene può eliminarli. Ma se ci sono troppi radicali liberi in circolo non è possibile chiedere al fegato di eliminarne altri. In questi casi il fegato va solo sostenuto e drenato. Evitare di stimolare un fegato quando il pH è 7.
Che cosa intendiamo concretamente per sostegno epatico
Sostengono il fegato (così come il cervello) gli zuccheri a lento rilascio: pasta, amidi delle patate con degradazione lenta perché assicurano un assorbimento graduale e prolungato della loro quota zuccherina. Senza sbalzi glicemici. Un’altra cosa che sostiene il fegato e di cui il soggetto epatico avverte il bisogno è il Potassio (miorilassante). Alimenti che si considerano drenanti epatici
Pomodoro cotto (quello crudo è invece anche un attivatore epatico).
Carciofo e cardo (controindicato in caso di ipertensione). Pesca bianca. Mela cotta: sostiene il fegato in difficoltà.
Per non mettere mai in difficoltà il fegato: ATTENZIONE ALLO STIMOLO TIROIDEO: ad esempio un pasto composto con carpaccio di pesce, sedano e pesca provocherebbe ad un soggetto epatico una crisi d’ansia da eccesso di stimolo tiroideo. NON TOGLIERE I CARBOIDRATI A LENTO RILASCIO LA SERA: il fegato durante la notte entrerebbe in difficoltà perché non avrebbe gli zuccheri sufficienti per le sue funzioni di depurazione, che svolge soprattutto la notte, con conseguente insonnia. NON LASCIARE SENZA ACQUA IL FEGATO: evitare gli alimenti troppo diuretici, specialmente quando si propone un pasto che deve stimolare la funzione epatica. Es.: non bisogna mai associare patate fritte (stimolo epatico) a finocchio crudo (alimento diuretico). LIMITARE I LIEVITI: impegnano molto l’epatocita e lo rallentano, quindi attenzione ad alimenti come la pizza, che è possibile scegliere come pasto soltanto se associata correttamente. Ad esempio è utile associare la pizza ai finocchi. Un altro accorgimento utile è quello di tostare sempre il pane per abbatterne i lieviti. EVITARE I FORMAGGI: rallentano la colecisti per il carico di grassi, sono antidiuretici, perché contengono troppi sali e troppi zuccheri, sicuramente non sono un alimento dimagrante. Controindicati nel Gilbert. KIWI: l’elevato contenuto in ferro e vit. C può aggravare un fegato che non sia in ottime condizioni. EVITARE L’ECCESSO DI ANTIOSSIDANTI: sottopongono il fegato ad un aggravio di lavoro. Integratori, eccesso vitaminico con gli alimenti, sono tutti “stressor” epatici.
LA COSTITUZIONE SURRENALICA
Il soggetto che si inquadra nella tipologia surrenalica è di solito rossastro in volto (in genere per couperose, o timidezza o per ipersensibilità emotiva) e soffre molto il caldo. È prevalentemente una persona di carnagione chiara, con pelle sottile, attraverso la quale si può anche intravedere il reticolo venoso e arterioso. La sua costituzione ne fa un soggetto elegante nei movimenti, la sua corporatura è armonica. Ma la caratteristica che domina sono le spalle possenti, da iperstimolazione cortico-surrenalica e le gambe sono magre con caviglie sottili e polpaccio ben tornito. La parte interna delle cosce è piena e non vuota come nel soggetto epatico. La donna surrenalica ha una circonferenza toracica ampia ma il seno non è possente come nella donna renale. Di solito ha un collo corto (taurino), a volte presenta un gibbo sulla settima vertebra cervicale. La cute non è omogenea nel colorito per effetto di zone di vasocostrizione e vasodilatazione. Dal punto di vista caratteriale sono presenti due aspetti contrapposti, a seconda che ci sia pieno di energia (prevalenza di yang) o carenza di energia (prevalenza di yin). Nel primo caso: il soggetto surrenalico è allegro, espansivo, ionale, idealista, pronto a imprese temerarie e a cause nobili. Ma può essere anche un soggetto molto emotivo ed ipersensibile. Quindi nel secondo caso può anche essere un soggetto introverso, pessimista e disfattista, e le situazioni negative (anche se riguardano gli altri) lo colpiscono in modo drammatico. Soffre di problemi vascolari (varici, geloni, ulcere varicose ecc..), turbe mestruali, ipertensione arteriosa, cellulite. Il soggetto surrenalico, spesso iperattivo al mattino, può presentare stanchezza improvvisa che coinvolge tutto l'organismo; per questo va facilmente in depressione. Fisiologicamente dorme poche ore per notte. Ma non tollera sentirsi stanco. Caratteristiche fisiche: -Spalle robuste, gibbo, pliche sottoscapolari, braccia grosse. -Maschi con peluria a mantellina.
-Diametro toracico ampio, con seno meno presente nella donna di quello della costituzione renale (il seno più esuberante tra tutte le costituzioni è quello della donna renale). -Collo incassato. -Torace anteroposteriore voluminoso. -Sedere piatto. -Gambe magre. -Muscolatura molto tonica. -Divaricazione delle gambe dal ginocchio in giù.
Psicodinamica della costituzione surrenalica - Carattere virile, carica istintiva e sessuale molto forte. - Molto energico, aggressivo e intraprendente. - Le donne sono dotate di grandi capacità manageriali. - Monopolizza l’attenzione: ha l’attitudine del leader. -Non accetta volentieri le imposizioni, neanche quelle della dieta: nella predisposizione della dieta per un soggetto surrenalico bisogna fare in modo di offrirgli la possibilità di piccole scelte.
Tendenze fisiopatologiche della costituzione surrenalica Questi soggetti in modo particolare possono andare soggetti a disturbi cardiovascolari, problemi ipertensivi ed ipotensivi; disturbi del sistema simpatico (con spasmi intestinali), disturbi allo stomaco, al cuore, disturbi circolatori venosi (varici, emorroidi) o arteriosi (arteriti, angina pectoris, arteriosclerosi). A volte soffrono di cefalee diffuse, di formicolii al cuoio capelluto o agli arti, di
spasmofilia, di colite spastica, di disturbi metabolici nell'eliminazione del colesterolo, dell'urea e dell'acido urico. Una specificità di questa tipologia organica è di andare incontro ad ipertensione; i picchi pressori possono essere presenti addirittura nei bambini di questa costituzione. I soggetti surrenalici hanno tendenza all’iperglicemia, possono sviluppare un diabete di tipo due. Anche quando non hanno un problema glicemico evidente, se di sera il pasto è iperglicemizzante, di notte vanno in ipoglicemia, che rimbalza sul cortisolo, che a sua volta aumenta la glicemia e provoca un’imbibizione mattutina notevole. Possono essere presenti problemi tiroidei conseguenti ad iperstimolazione del surrene ( ipercortisolemia da stress cronico). Insonnia mattutina (questi soggetti non hanno bisogno di mettere la sveglia). Ipercoagulabilità ematica con tendenza a patologie cardiovascolari.
Appetenze nella costituzione surrenalica La costituzione surrenalica è una costituzione che non mostra appetenze particolari, mangia proprio di tutto, non ha avversione per cibi nuovi, esotici o originali. Ma ha numerose appetenze patologiche. Sceglierebbe sempre alimenti con ferro e iodio, o vitamina C e ferro o solanina, come melanzana e peperoni (il surrenalico, come il pancreatico, di solito non ha problemi digestivi), il surrenalico ricerca questi alimenti per la necessità di mantenere un tono nervoso e neuro-psichico elevato. Anche il peperoncino è molto ricercato, perché sostiene un tono di vivacità, ma è controindicato in caso di danni renali o ipertensione. I formaggi, soprattutto quelli stagionati e piccanti, sono molto ricercati dal soggetto con tipologia surrenalica perché sono ricchissimi di zuccheri. Il loro contenuto in calcio però rallenta il metabolismo epatico e tiroideo. Invece uno dei meccanismi centrali della regolazione glicemica è proprio quello di fare in modo che il fegato sia attivo e che con la sua attività consumi gli zuccheri. La carne rossa e le uova spesso fanno parte delle appetenze patologiche del
soggetto surrenalico, il quale tenta, in questo modo, di sostenere un costante tono elevato del surrene, ma proprio per questo non sono appetenze sane. Il surrene, se troppo stimolato, tende ad esaurirsi. È meglio ridurre la carne rossa se si vogliono evitare tutte le patologie alle quali questo soggetto può andare incontro (malattie coronariche, ipertensione, ictus, infarto). Non è indicato l’uovo sodo o intero, ma l’uovo può e deve deve essere usato quanto più destrutturato possibile, come l’uovo sbattuto o strapazzato, e comunque va proposto a questa tipologia sempre poco cotto. Il pesce con troppo fosforo e iodio può essere controindicato per lo stimolo tiroideo e per l’impegno renale. La costituzione surrenalica si giova degli alimenti ricchi di potassio, ma bisogna fare attenzione, associando i nutrenti, alla funzione renale, perché alcuni alimenti contenenti potassio sono meno diuretici di altri. Utile invece l’associazione con alimenti contenenti ferro.
Linee guida nella costruzione di una dieta per la costituzione surrenalica
1. REGOLARE LA GLICEMIA (contrastare lo stress e la scelta di alimenti che favoriscono l’innalzamento del cortisolo, evitare iperglicemie con conseguenti successivi crolli glicemici). 2. FORNIRE ALIMENTI DE-STRUTTURANTI con una dieta catabolica (es.:pesce) in quanto il surrenalico va verso l’anabolismo (tende alla costruzione, alla strutturazione), trasforma tutto in muscoli. Più si riesce a ridurre l’adrenergia, più è possibile facilitare il dimagrimento. Il dimagrimento reale si realizza infatti per una de-strutturazione del grasso, dell’osso. 3. EVITARE ALIMENTI ANABOLIZZANTI. Questo soggetto ricerca uno stimolo surrenalico anche dall’alimentazione. Infatti mostra appetenze per alimenti che sostengono il tono adrenergico: carni rosse, sale, uovo sodo, formaggi stagionati, alimenti che è assolutamente meglio ridurre proprio per non incrementare il tono surrenalico. 4. PROTEGGERE IL RENE. Evitare il glutine, le carni rosse, l’eccesso di sali minerali. Anche i legumi vanno proposti con molta prudenza (a questo soggetto vanno evitati i danni da diete iperproteiche), e i legumi sono possibili soltanto se associati a cipolla cruda o a cicorie drenanti. 5. FAVORIRE LA DIURESI. Questi soggetti vanno aiutati con pasti che aumentino la diuresi (abbassando la pressione) e ristabiliscano l’omeostasi. 6. FLUIDIFICARE COSTANTEMENTE per impedire la coagulazione. 7. SEDARE IL SISTEMA ADRENERGICO.
IN SINTESI EVITARE NELLA DIETA DEL SURRENALICO:
Carni rosse, solanacee, formaggi stagionati, alimenti con troppo ferro, legumi (sono tutti alimenti programmati per la crescita), uova sode. Preferire alimenti crudi a quelli cotti. Attenzione all’eccesso di vit. C (favorisce la coagulazione anche per la contemporanea presenza di vit. K). Attenzione ai funghi e al peperoncino, soprattutto se è presente ipertensione. NO al GLUTINE: preferire saraceno, miglio, polenta, riso, patate. Attenzione alla solanina (contenuta nelle melanzane, nei peperoni, nei pomodori) che aumenta la cortisolemia. Non eccedere con alimenti contenenti ferro.
IN SINTESI SCEGLIERE PER LA COSTRUZIONE DELLA DIETA DEL SURRENALICO:
alimenti sedativi: mandorle, pinoli, cappuccina, frutta e verdure ricchi di potassio; alimenti contenenti fitoestrogeni (per ottenere effetti sedativi sul SN e contrastare l’adrenergia): salvia, borragine, origano, papaja, mango, mandorle, basilico; pesce a ridotto quantitativo di iodio; carni bianche ricche di estrogeni, come il pollo.
Indicazioni nella costruzione della dieta nella costituzione surrenalica
Colazione salata con una piccola quota di calcio per abbassare il tono adrenergico e ridurre il cortisolo (mandorle, pinoli, noci); pane olio e sale, spremuta di pompelmo oppure pane e lardo, tisana di tarassaco o di sambuco, malva o cicoria. Oppure latte e cacao, pane ricotta e cacao. Pranzo: proteina meglio se di pesce o carni bianche con estrogeni (pollo, tacchino) + verdura cruda + 1 frutto. Frutta consigliata: ciliegie, fragole, uva, melagrana, prugne, susine, albicocche, fichi, pesche (soprattutto bianche), mandorle e noci. Cena: scegliere mais, saraceno, quinoa, patate o riso ma sempre ben associati a verdure ferrose o a verdure contenenti una piccola quota di iodio (per il controllo della glicemia); ma soprattutto creme di verdure (crema di sedano, crema di finocchi, crema di asparagi). Per cena, se si vuole tutelare l’equilibrio glicemico, è meglio eliminare la frutta e proporre la doppia verdura (una con iodio come i finocchi o le crucifere e una con ferro, ad es.: tarassaco, carciofi, radicchio, scarola, indivia riccia, indivia belga, cicoria, rucola, spinaci, ortica, puntarelle). Ma vanno bene anche un piatto di lenticchie al pomodoro o i fiori di zucca in pastella senza la mozzarella. Soltanto con il fritto, anche per la costituzione surrenalica, sarà sempre possibile associare, oltre alla verdura cruda, sempre indispensabile, un frutto, anche di sera. Consigliato l’uso del prezzemolo, del peperoncino (senza eccedere, perché alzerebbe la pressione). Sono utili per questo soggetto verdure contenenti potassio: zucchine, pomodori crudi, fagiolini, agretti, asparagi, piselli, sedano, basilico, carciofi, avocado, banane, melone, pesca, albicocche secche, arancia, mela, prugne, fragole, pompelmo, anguria, olive. Il potassio frena l’asse dello stress. Come sono utili a frenare l’asse dello stress alimenti contenenti calcio: alici, polpo, vongole, latte (se è esclusa, tramite test genetico, ogni forma di intolleranza; in alternativa va utilizzato il latte di mandorle), pinoli, mandorle, ceci, alimenti in forno con bechamelle, purè di patate, ricotta, cavolfiore e tutte le verdure della famiglia delle crocifere come cavolfiore, cavolo cappuccio, rucola, rughetta.
LA COSTITUZIONE PANCREATICA
L’ individuo di costituzione pancreatica è piuttosto corpulento, spesso tende all’obesità addominale, in genere ha una corporatura brevilinea, tarchiata. Si imposta già da bambino per le forme paffutelle, tanto gradite alle pubblicità. La caratteristica che predomina è un viso rotondo con labbra grandi, a volte con doppio mento. La vita non è ben delineata come nel soggetto epatico e i glutei sono piatti. Le gambe sono grosse, anche a colonna nei soggetti più squilibrati. Il colorito è giallastro, le mani sono grosse con dita corte, forti e le unghie hanno una forgia quadrata. Questo soggetto ha una costituzione molto robusta, ben piantata, un’energia misurata ma costante. Ama la compagnia, la buona tavola, le cose stabili, le comodità, i piaceri della vita. Caratterialmente è un soggetto allegro al quale piace stare al centro dell’attenzione, è gradevole in comitiva perché ride e parla più forte degli altri. Buon comunicatore, attore istintivo, è anche un buon diplomatico e ama far da paciere fra le persone. Ma può essere messo in crisi da qualsiasi cosa faccia vacillare la stabilità del suo mondo. È un individuo che ama il confronto delle idee, ma presenta una grande difficoltà di adattamento; tende a distrarsi e dimentica. A volte però alterna questo tipo di umore con la melanconia, con il pessimismo. La sua capacità di non lasciarsi travolgere dagli eventi lo porta a cercare una consolazione nell'alimentazione. Tende per questo alla bulimia e a riempirsi preferibilmente di zuccheri e di formaggi. Ha una costituzione che tende a disfunzioni di tipo metabolico (ipertensione, diabete, ipercolesterolemia, arteriosclerosi, obesità, cellulite soprattutto su addome, glutei, cosce e ginocchia).
Caratteristiche fisiche:
Corporatura robusta Tendenza all’addome prominente Vita meno segnata Seno più evidente che nelle altre tipologie Circonferenza addominale aumentata Gambe grosse Mani carnose e toniche Viso tondeggiante Bocca carnosa e ben disegnata Tendenza all’obesità
Psicodinamica della costituzione pancreatica
Frequenza nervosa piuttosto lenta e regolare Energia presente e ben controllata Pigrizia e lentezza, resistenza agli sforzi I suoi movimenti sono dolci, regolari, armonici Caratteristiche di pazienza, accoglienza, calore umano, amorevolezza,
spensieratezza, ottimismo e remissività Non ama il movimento fisico
Tendenze fisiopatologiche della costituzione pancreatica
Squilibri della glicemia, dalla sindrome metabolica fino al diabete Diarree e problemi digestivi (difficoltà a digerire le verdure crude a foglia, ricche di cellulosa, per amilasi insufficiente) Linfatismo con imbibizione generalizzata Patologie della pelle e dermatiti Dismetabolismi con ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia Gastralgie, gastriti, ulcere, ernie iatali Coliti Disturbi dell’ovulazione Micropolicistosi ovarica Ansia, ossessività maniacale Cheliti e deficit vitaminici Parassitosi e candida
Appetenze della costituzione pancreatica
Dolci, pane, pasta, pizza, creme, gelati Alimenti ben conditi e elaborati Spezie Bisogno di qualcosa di dolce dopo il pasto
Avversioni della costituzione pancreatica
i fritti in eccesso, per impegno della funzione biliare, non tollerata dal pancreas esocrino. Alimenti con vitamina K e beta-carotene come zucca, albicocche, carota. Alimenti troppo acidi, compreso il pomodoro crudo.
La frutta acida finirebbe con il mettere in crisi il pancreas per la presenza di zuccheri e creerebbe acidità: arancia, pompelmo, mandarino, ananas, melagrana, pomodoro, limone, limetta, mela renetta, uva, pesca, prugna, ecc. La frutta acida e dolce può provocare un rialzo glicemico per inibizione del pancreas. Questa costituzione è soggetta a gastralgie mangiando la mela. Al soggetto pancreatico non sono utili le verdure ricche di potassio (zucchine, agretti, fagiolini), in quanto la natura vuole che siano anche ricche in zuccheri, ed è per questo che hanno un’ azione miorilassante. Per questa costituzione, che di zuccheri non ha particolarmente bisogno, è preferibile invece l’uso di verdure più amare (le cicorie) o meglio ancora verdure che stimolino il metabolismo, come quelle ricche di iodio (sedano, finocchi, brassicacee).
Linee guida nella costruzione della dieta nella costituzione pancreatica
STIMOLO METABOLICO IN TUTTI I MODI POSSIBILI: STIMOLO EPATICO E TIROIDEO DRENAGGIO RENALE CONTROLLO DELLA GLICEMIA
stimolo metabolico attraverso:
Alimenti con ferro e iodio, o vitamina C e ferro o solanina, come melanzana e peperoni.
stimolo epatico e tiroideo attraverso:
Cotture stimolanti la funzionalità epatica Pesce, in particolare quello più ricco di iodio
drenaggio renale attraverso:
Associazioni nutrizionali che facilitino lo smaltimento delle tossine da parte degli emuntori
attenzione alla glicemia:
Nessun pasto deve essere privo di zuccheri (s’intendono per zuccheri tutti gli amidi e i carboidrati semplici o complessi, così come alcune verdure cotte) Nessun pasto deve essere composto con un eccesso di zuccheri I carboidrati debbono essere associati in modo da assicurare un ridotto carico glicemico complessivo di ogni pasto, perciò vanno sempre accompagnati da grassi o da proteine e da verdure ricche di iodio o di ferro. In ogni pasto (compresa la colazione del mattino) deve essere presente una quota proteica e/o di grassi.
IN SINTESI EVITARE NELLA DIETA DEL PANCREATICO
Zuccheri semplici e carboidrati ad alto indice glicemico Latte e formaggi, salvo situazioni particolari: il pancreas non va d’accordo con latte e derivati. I formaggi più gestibili sono, in piccole dosi, parmigiano, provolone, pecorino (formaggi molto stagionati, privi di lattosio). Il formaggio ha un’azione di freno sulla colicisti e sul fegato, organo che consuma zuccheri, fa aumentare il colesterolo, già alto in questa costituzione, FRENA LA TIROIDE PER LA PRESENZA DEL CALCIO. Frutta e verdure ricchi di zuccheri (zucca, carota, barbabietola, uva, cachi, ananas), salvo una mirata corretta associazione. Carni rosse per salvaguardare la funzione renale sempre in difficoltà nelle
situazioni di iperglicemia.
AVVERTENZA: Non associare i legumi a pasta e riso per questa costituzione, rappresenterebbero un carico di carboidrati eccessivo.
IN SINTESI SCEGLIERE PER LA COSTRUZIONE DELLA DIETA DEL PANCREATICO
Carni bianche (pollo, tacchino, maiale, vitello, agnello) per evitare l’implicazione surrenalica che invece provocherebbe la carne rossa, implicazione sempre a rischio nel pancreatico (rapporto insulina-cortisolo). Verdure ricche di iodio: sedano, rucola, ravanelli, cavolfiore, verza, cavolo cappuccio crudo o cotto, broccoletti, ecc.
Indicazioni alimentari nella costruzione della dieta nella costituzione pancreatica
Utilissimo è il limone spremuto al mattino A DIGIUNO per attivare il fegato ad una migliore utilizzazione degli zuccheri. Colazione salata A pranzo: stimolo epatico e tiroideo accompagnato prevalentemente da verdura cruda e frutta poco zuccherina Carne di maiale: la presenza di lipidi e proteine stimola la produzione di lipasi. Attiva la secrezione biliare, contiene iodio. Pesce con omega 3 e quota lipidica: regola la glicemia e stimola la tiroide Preferire mais e orzo: zuccheri a lento rilascio. Il mais è anche ipoglicemizzante.
Aglio: cotto e crudo (zolfo, iodio, arsenico, lo rendono di difficile digestione, serve una graduale reintroduzione) Cipolla solo cruda (cotta è iperglicemizzante) da aggiungere in tutte le insalate miste, ai legumi, al pomodoro crudo. Cicoria e verdure affini (tarassaco, erbe di campo, indivie, radicchi, scarola): alimenti ideali per il drenaggio renale, con ridotto contenuto in zuccheri, e presenza di ferro che attiva lo stimolo metabolico Finocchio: stimolo tiroideo, facilita il rene, è antimeteorico, contiene vit. C Cetriolo: azione diuretica, miorilassante (azulene), antinfiammatorio, decongestionante, protegge la microcircolazione capillare (anticellulite) (spesso però il soggetto pancreatico non lo digerisce). Melanzana: iodio, ferro, pochi zuccheri, non disturba il rene, stimola il fegato provocando una leggera “irritazione”. Ravanello: iodio, migliora la digestione, fluidifica la bile. Carciofo crudo: facilita il drenaggio epatico, cotto però diventa iperglicemizzante. Crucifere: stimolo tiroideo che sollecita la funzione pancreatica esocrina ed endocrina. Sedano: iodio, pochi zuccheri. Frutti: fragole, frutti di bosco, kiwi, melagrana, avocado, limone, pompelmo (con cautela in caso di squilibrio glicemico) anguria, banana, mela verde, nespole, kiwi, susine, pesche bianche, frutti di bosco, mirtilli. Cena: evitare patate bollite e riso in bianco. Preferire paste complesse, ben condite, accompagnate da verdure stimolanti (ferro e iodio). Una verdura cotta e una cruda in sostituzione della frutta serale.
Eventualmente vino, tenendo presente il carico di zuccheri, quindi solo se la glicemia è stabile.
Eventuali spuntini tra i tre pasti (che in una prima fase di regolazione del pancreas il soggetto richiede): 1. 60 gr di olive verdi ben lavate 2. 15 Mandorle 3. 1 Yogurt intero bianco
Le altre tipologie costituzionali
Esistono poi altre due costituzioni, nella medicina tradizionale cinese, che però più raramente si scompensano aumentando di peso, se non per implicazioni con le precedenti tipologie.
E sono: la costituzione polmonare che corrisponde a individui magri, longilinei, con spalle strette, cifosi dorsale a causa della quale -con il tempo- tendono a piegarsi in avanti. La loro muscolatura non è ben evidenziata, è invece carente di tono, sono soggetti che si stancano progressivamente durante il giorno. Il colorito del viso è pallido, questi soggetti presentano una mano lunga con il palmo stretto e le dita lunghe, i legamenti non sono forti, per cui le articolazioni tendono a lussarsi con una certa facilità, sono soggetti molto sensibili al freddo per la delicatezza delle vie aeree superiori. L’aspetto e le condizioni fisiche condizionano anche il lato caratteriale, infatti questi individui cercano di economizzare su tutti gli sforzi fisici e intellettuali. Parlano e mangiano con lentezza, hanno bisogno di riposo e di molto tempo di sonno, non amano gli imprevisti e per evitare stress cercano di pianificare tutto, analizzando con freddezza qualunque problema (in medicina cinese la tipologia polmonare è rappresentata come: “il giudice”). Economi è l’aggettivo che definisce meglio i soggetti di costituzione polmonare. Organizzano frequenti periodi di riposo e di vacanze per recuperare energie. Hanno una debolezza naturale del polmone, dell'intestino crasso e dei meridiani corrispondenti. Dal punto di vista dell’umore, volgono alla tristezza e al pessimismo. Presentano problemi all’apparato respiratorio, lassità e debolezza dei legamenti articolari, ptosi viscerali (abbassamento dei reni, dell’utero, dell’intestino), secchezza della pelle. Quindi le loro aree di vulnerabilità sono l'apparato respiratorio e digestivo, con raffreddamenti facili alla minima esposizione ad una corrente d'aria, bronchiti, laringiti, influenze, sinusiti, riniti croniche. Nei casi meno favorevoli anche asma, bronchiti croniche, enfisema. Presentano sintomi digestivi come colite cronica, colibacillosi, intolleranze digestive. I soggetti di costituzione polmonare hanno anche una debolezza del sistema linfatico e della pelle.
Infine c’è la tipologia renale che si presenta con alcune caratteristiche tipiche: testa grossa, spalle strette, ventre prominente, colonna vertebrale più lunga del normale con tendenza alla scoliosi, mano corta con dita spesse e di consistenza molle. Di norma si tratta di soggetti longilinei che, se lavorano troppo con il surrene hanno anche la tendenza a camminare diritti, a testa alta, con colonna vertebrale rigida; se invece si tratta di soggetti “lenti”, iposurrenalici, tendono a camminare curvi con la testa e lo sguardo bassi. I lineamenti del viso sono spigolosi e sporgenti con tratti vivi, anche se a volte presentano un colorito grigio o biancastro, soprattutto intorno agli occhi, che sono spesso cerchiati o gonfi. Il naso può essere a becco d’aquila. Un esempio adulto potrebbe essere rappresentato dalla figura fisica dell’onorevole Andreotti. La cute spesso si presenta grassa e lucente con aspetto a “buccia d’arancia”, che è indicativa di un ristagno nei tessuti. L’ astenia e la diminuzione della vitalità si manifestano con una fatica globale e una sensazione di esaurimento. La carenza di energia si ripercuote a livello fisico, come deficienza del sistema immunitario, per cui dominano l’aspetto infettivo, le gravi alterazioni tissutali, i problemi a livello delle ossa, delle articolazioni, del midollo (osteoporosi, artriti, anemie), e la predisposizione alla cronicità: fibromi, cisti, verruche, infezioni batteriche e virali, edemi.
Schema alimentare per la dieta dimagrante
Non si può fare una dieta dimagrante senza utilizzo dei carboidrati. Se chiediamo all’organismo di smontare catene di idrati di carbonio senza consentire al fegato di gestire i chetoni che ne derivano, approvvigionandolo adeguatamente degli zuccheri indispensabili, facciamo un grande danno all’organismo perché i corpi chetonici sono tra le molecole più tossiche che l’organismo possa produrre. Abitualmente le persone che dimagriscono seguendo diete iperproteiche recuperano rapidamente il loro peso non appena riprendono un’alimentazione normale. Invece la dieta dimagrante con la BTN, puntando prioritariamente al riequilibrio organico, deve preoccuparsi che tale dimagrimento avvenga lentamente, agendo solo sulla massa grassa. Una dieta dimagrante ideale dovrebbe far perdere il 70% di massa grassa ed il 20% di massa magra (anche in questo caso si tratta del tessuto adiposo all’interno delle strutture muscolari). L’acqua è presente soprattutto nella massa magra ed è minima negli adipociti. Inoltre, bisogna tenere presente sempre che, nei casi di attivazione metabolica, l’acqua è fondamentale per le reazioni cataboliche e di eliminazione. Se il dimagrimento avviene troppo rapidamente anzitutto l’organismo intacca anche la parte strutturale, magra, muscolare e poi sarà molto più difficile mantenere tale peso. Una dieta ben fatta farà immediatamente rilevare una riduzione delle misure corporee, per cui scenderà prima il volume, poi il peso. Inoltre è fondamentale che il fegato sia sempre adeguatamente rifornito, perché se dimagrire vuol dire eliminare, il fegato deve essere in grado di farlo adeguatamente.In una dieta dimagrante, per indurre l’organo a catabolizzare i grassi in eccesso, occorre attivare una sollecitazione epatica molto intensa. E bisogna non perdere mai di vista il fegato, che per lavorare, ha bisogno di zuccheri e di acqua (che noi forniremo con un corretto apporto di frutta e verdura). Una regola generale e costante per tutti i trattamenti bionutrizionali, e in particolare in una dieta dimagrante, è che non si deve mai avvertire la fame tra un pasto e quello successivo. Se questo avviene, il regime alimentare deve essere
corretto, poiché significa che si sta mettendo in difficoltà la funzione epatica, o quella pancreatica. Se questo avviene significa che l’equilibrio glicemico non è costante e il soggetto non dimagrirà. Durante una dieta dimagrante l’attivazione tiroidea comporterà un rimaneggiamento della regolazione glicemica, così come durante una dieta per cicli anovulatori l’attivazione estrogenica (realizzata tramite stimolazione epatica) si tradurrà in un nuovo equilibrio glicemico. Tutti gli individui che hanno una regolazione insulinica non perfetta andranno più facilmente incontro a cadute glicemiche. Per ovviare a ciò è necessario mantenere una quota di carboidrati in quote contenute (50-60 g. nelle donne, 7080 g negli uomini), prescrivere costantemente una significativa quota proteica (130-150 g. nelle donne, 150-180 g. negli uomini), insieme ad una verdura cruda in sostituzione della frutta, e ad una verdura cotta; oltre al pane, sempre meglio tostato per abbattere i lieviti. Ma nell’equilibrio glicemico è bene considerare nel computo la quota di zuccheri contenuta nella frutta e del vino. 1. La prima regola è che l’apporto sia bilanciato e mai al di sotto delle necessità: per ottenere un dimagramento infatti, non si deve andare al di sotto delle necessità di un organismo. 2. La seconda regola è che per ottenere un dimagramento si deve stimolare la capacità metabolica di quell’organismo, quindi la possibilità che ha di bruciare il tessuto adiposo. 3. La terza regola è quella di favorire la funzione di eliminazione, altrimenti quell’organismo non perderà peso, per cui anche se si è fatto un ottimo lavoro con la composizione dei pasti nella giornata, se durante la notte gli organi emuntori non risultano efficaci, non si riesce a disimbibire l’organismo e il mattino dopo il soggetto si alza con un senso di tensione generalizzata. Èmolto importante l’attenzione alla funzione renale, sia nel senso di assicurare la corretta eliminazione dei tossici che debbono essere smaltiti dall’organo emuntore, sia però anche nel non attivare troppa diuresi, perché se una dieta è troppo diuretica, affatica la funzione epatica (il fegato ha bisogno di acqua!), l’organismo elimina anche i sali indispensabili e la dieta non funziona. Possiamo
cercare delle soluzioni potentemente diuretiche solo dopo aver realizzato uno stimolo intenso, ma non immediatamente dopo, per non lasciare mai il fegato privo dell’acqua di cui ha bisogno. A quel punto si può cercare di stimolare la funzione diuretica, senza eccessi però, perché se si continua a sollecitare la diuresi, il soggetto può manifestare stipsi. La stipsi dice che il fegato si trova in deficit di acqua e quell’organismo non è più adeguato ad eliminare, per cui riassorbe l’acqua indispensabile dall’intestino.
La dieta per la costituzione epatica
Èdi fondamentale importanza conoscere le diverse costituzioni descritte dalla Medicina Tradizionale Cinese, comprendere qual è la costituzione “di fondo” di un soggetto e in quale costituzione si trova un individuo in quel preciso momento, quali implicazioni ha con le altre tipologie costituzionali, altrimenti si rischia di proporre nutrienti che non avranno l’effetto auspicato. Se ad una donna di costituzione epatica (o comunque in una fase della vita in cui predomina quella costituzione) si propone un pasto con un pesce in padella o il carpaccio di pesce, un sedano e una pesca, dopo due ore dal pasto avvertirà una sensazione di “morsa sul collo” con un senso di ansia indefinita proprio dietro lo sterno, con necessità di espirare. Questi sintomi indicano l’attivazione fuori misura della tiroide, attivazione che sta mettendo in difficoltà il cuore. Se invece allo stesso soggetto si propone un pasto composto da: una fettina panata, due pomodori e una mela; quel soggetto non avrà affatto quei disturbi. L’attivazione epatica è molto ben tollerata in presenza di sufficienti zuccheri (del pangrattato e della mela). Nel soggetto epatico dunque bisogna fare molta attenzione a non forzare la stimolazione tiroidea perché non se lo può permettere in quanto è un soggetto adrenergico, predisposto a crampi e spasticità, quindi un soggetto in cui le tensioni vanno allentate, sedate, non accelerate. Esempio di dieta dimagrante in una donna di costituzione epatica nella prima metà del ciclo. Colazioni: tè al limone o spremuta di pompelmo o arancia, e pane e marmellata, o pane e miele. Caffè con zucchero (anche se spesso gli epatici manifestano un’appetenza patologica verso il caffè amaro) Utile la spremuta di un limone con acqua e zucchero ogni giorno.
La colazione dell’individuo epatico deve essere abbastanza ricca di zuccheri. Se tollera il latte, che non sarebbe male per la sua quota in calcio, potrebbe usarlo, ma il problema è che in genere questa donna è intollerante al lattosio per cui la prima cosa che dice è che ha tolto già da tempo il latte e i suoi derivati. In ogni caso è sempre bene far fare un test di ricerca dei polimorfismi di intolleranza al lattosio. I formaggi piacciono molto a questa costituzione, ma le fanno male. Allora va benissimo proporle l’orzo, il caffè di cicoria, va benissimo il tè, ancora meglio la spremuta di arancia o di pompelmo, con pane, burro e marmellata. Il soggetto epatico adora il caffè oppure, nel caso opposto, dichiara di non averlo mai sopportato. Sarebbe meglio limitare l’uso del caffè a tre al giorno. A volte questa tipologia gradisce anche la colazione con pane, burro e marmellata, che con l’uso del burro migliora la stabilità glicemica. Comunque questa costituzione accetterà anche una colazione con pane (che deve essere sempre tostato per ridurre i lieviti) con olio, pomodoro e sale. La colazione salata assicura una stabilità ancora migliore della glicemia. Per chi è intollerante al lattosio o alla caseina è proponibile il burro chiarificato.
Menù I giorno Pranzo: fettina panata, due pomodori conditi, una mela Cena: due patate fritte, insalata mista, una pesca bianca o tre mandarini
II giorno Pranzo: 150 g di straccetti di manzo con rucola, fagiolini, un’arancia. Cena: spaghetti aglio, olio e peperoncino, due carciofi trifolati, 150 g di macedonia
III giorno
Pranzo: frittata con carciofi o solo con cipolla, un finocchio, un pompelmo. Cena: due zucchine in pastella o fritte dorate, abbondante insalata mista, 1 di ananas
IV giorno Pranzo: piccatina al limone, agretti, 1 di melone Cena: pasta e zucchina o bucatini all’amatriciana, un uovo al tegamino, 150 g di macedonia.
Esempio di dieta dimagrante nella seconda metà del ciclo in una donna di costituzione epatica.
I giorno Pranzo: scaloppina di tacchino al limone, indivia riccia, 1 di ananas Cena: rigatoni al pomodoro e basilico, due zucchine trifolate, una mela caramellata
II giorno Pranzo: frittata con zucchina, due indivie belghe crude, 1 di melone Cena: riso all’arrabbiata, due carciofi alla romana o agretti lessi, 150 g di fragole
III giorno Pranzo: sogliola in padella, puntarelle, una mela
Cena: tortellini al pomodoro, valeriana, una pesca o 150 g di uva
IV giorno Pranzo:lombata di vitello con prezzemolo, aglio e olio, un finocchio, una banana. Cena: gnocchi di patate al pomodoro e basilico, una zucchina in pastella, tre mandarini
Èassolutamente importante ricordare che la quota di carboidrati è fondamentale nel soggetto di costituzione epatica. Non è possibile togliere i carboidrati di sera a questo soggetto perché non dimagrirà più, diventerà irritabile al punto da non poterci stare vicino e poi comincerà ad avere problemi di sonno e di stitichezza. La medicina cinese recita una frase emblematica: “ Il fegato va fatto fluire” e questo è quello che dobbiamo raggiungere lavorando sul metabolismo del soggetto epatico. Il suo organismo non va mai decelerato perché la lentezza non gli appartiene. Ma non serve nemmeno la spinta tiroidea. È proprio l’accelerazione discontinua che è tipica della sua costituzione che gli crea problemi di tossicità epatica, problemi ormonali di tipo tiroideo che incidono sul sistema nervoso, invece bisogna fargli trovare un equilibrio attraverso una modulazione. Modulazione che si può realizzare con una dieta che abbia un adeguato quantitativo di zuccheri costanti, che rallentano, di potassio che decontrae, di calcio che decontrae, di acidità che tende a stimolare la funzione.
La dieta per la costituzione pancreatica
Il lavoro che si propone ad un individuo di costituzione pancreatica che voglia affrontare un percorso dimagrante si differenzia molto dal lavoro che richiede il soggetto epatico. Il soggetto pancreatico, al contrario del soggetto epatico, ha una struttura fisica molto meno armoniosa. Innanzi tutto è più massiccio, con spalle importanti, un bacino abbastanza largo e la tendenza all’addome rotondo con una curva piuttosto prominente. La donna pancreatica, contrariamente a quella epatica ha la vita larga, la zona glutea più piatta, le spalle larghe ma non mascoline come nella surrenalica, un seno molto rappresentato. Tanto il muscolo dell’epatico è lungo e tonico, quanto quello del pancreatico è tozzo e carnoso, è più corto. Le sue labbra sono carnose, le narici importanti. Mentre nell’epatico la caratteristica del viso sono gli occhi (sempre molto espressivi), nel pancreatico si evidenzia la bocca, carnosa e ben disegnata. La donna pancreatica obesa è voluminosa, con un seno grande, con il bacino largo, le gambe grosse. La sua suscettibilità fondamentale è quella glicemica perché il suo principale problema è l’equilibrio della funzione pancreatica. Non è da considerare meno importante un eventuale disequilibrio del pancreas esocrino, quindi la presenza di problemi con le amilasi e con le lipasi e tendenza alle scariche diarroiche. Spesso in queste donne è presente anche la policistosi ovarica che denuncia uno squilibrio dell’insulina e uno squilibrio per eccesso di attività degli ormoni androgeni.
Esempio di dieta dimagrante in una donna di costituzione pancreatica nella prima metà del ciclo.
Colazioni: tè al limone o spremuta di pompelmo, e pane leggermente tostato con prosciutto crudo, o pane tostato e uovo strapazzato, o pane e pancetta o pane e
burro a alici. La colazione di questi soggetti non deve avere troppi zuccheri, ma una quota proteica e lipidica significativa. Si può anche lasciare una colazione a base di pane, burro e marmellata e poi la spremuta, ma in questo modo è molto probabile che alle dieci del mattino questi soggetti abbiano fame a causa del picco glicemico che si genera. Qualche pancreatico riferisce che non ce la fa a cominciare la giornata senza una cosa dolce. Questa comunicazione indica che al mattino quel soggetto è in ipoglicemia. Allora si potrà usare un bicchiere di latte con due biscotti, ma subito sarà comunque utile una colazione salata, come l’uovo strapazzato con trenta grammi di pane. Nulla di vieta proporre una colazione mista dall’inizio.
I giorno Pranzo: 1 di pollo arrosto, una melanzana ai ferri, 1 di melone Cena: pasta e lenticchie, un finocchio in pinzimonio, un kiwi
II giorno Pranzo: lombata di maiale ai ferri, verza riata, una mela Cena: rigatoni alla norcina, due belghe ai ferri, 150 g di fragole
III giorno Pranzo: saltimbocca alla romana, due carciofi crudi, un pompelmo Cena: pasta e broccoli, un uovo al piatto, una melagrana
IV giorno Pranzo: frittura di pesce, sedano in pinzimonio, una pesca Cena: tagliatelle all’arrabbiata, due peperoni arrosto, 150 g di frutti di bosco
V giorno Pranzo: due salsicce di maiale, cavolo cappuccio crudo, tre clementine Cena: spaghetti alla melanzana, rucola, cipolla e olive, un kiwi
Esempio di dieta dimagrante in una donna di costituzione pancreatica nella seconda metà del ciclo. I giorno Pranzo: tagliatelle e cavolfiore, due belghe crude e 1 di ananas Cena: pesce in padella, insalata mista con cipolla e 150 g di fragole
II giorno Pranzo: spaghetti aglio, olio e peperoncino, una melanzana ai ferri e 1 di melone Cena: petto di tacchino al pompelmo, cicoria riata e finocchio condito
III giorno Pranzo: pasta e carciofi trifolati, radicchio crudo e una pesca o tre mandarini Cena: pesce al sale, cavolo cappuccio crudo, una mela
IV giorno Pranzo: spaghetti alle vongole, cavolfiore crudo, frutti di bosco o melagrana Cena: due uova al piatto, due belghe crude con cipolla, cavolfiore riato
V giorno Pranzo: tagliatelle ai funghi, indivia riccia, tre susine Cena: agnello a scottadito, pinzimonio, 150 g di fragole
La dieta per la costituzione surrenalica
La costituzione surrenalica ha invece molta energia: spesso sono quei ragazzi, quelle ragazze molto tonici, dotati anche di grandi capacità manageriali. A volte possono avere problemi tiroidei legati alla continua iperstimolazione del surrene. Surrene e tiroide sono antitetiche nella donna, mentre nel maschio si potenziano. Cortisolo ed estrogeni lavorano in due direzioni diverse. La costituzione surrenalica tende all’iperglicemia, può sviluppare un diabete. Nella dieta di questo tipo di donna si deve prestare una grande attenzione agli zuccheri. Anche se non ha un problema glicemico evidente, se di sera il pasto è iperglicemizzante, di notte va in ipoglicemia e quella condizione rimbalza sul cortisolo, che fa aumentare la glicemia e provoca un’imbibizione mattutina notevole. In una costituzione surrenalica si possono evidenziare le seguenti tendenze patologiche: sintomi da squilibrio glicemico, diabete, ipertensione, ipercoagulabilità ematica, patologie cardio-vascolari
Esempio di dieta dimagrante in una donna di costituzione surrenalica nella prima metà del ciclo.
Colazione: cappuccino e cornetto, yogurt e frutta, latte e fette biscottate con burro e marmellata o con ricotta e miele La colazione di questi soggetti non deve avere troppi zuccheri, ma una quota proteica e lipidica significativa. Si può anche usare pane, burro e marmellata e poi la spremuta, ma è facile che alle dieci del mattino abbiano fame. Meglio orientare verso una colazione salata.
I giorno Pranzo: straccetti con salvia, fagiolini, mela Cena: due patate al prezzemolo, fiori di zucca in pastella (senza mozzarella), due belghe crude.
II giorno Pranzo: petto di pollo ai ferri, insalata mista con cipolla, una banana Cena: riso aglio, olio e peperoncino, cicoria riata, finocchio condito
III giorno Pranzo: filetto di pesce fritto, cappuccina condita, una pesca o tre mandarini Cena: pasta di mais, o kamut, o farro all’arrabbiata, due zucchine marinate, due belghe crude
IV giorno Pranzo: petto di tacchino prezzemolo, aglio e olio, due cetrioli, 1 di melone Cena: due patate fritte, insalata mista, 150 g di anelli di cipolla in pastella
Esempio di dieta dimagrante in una donna di costituzione surrenalica nella seconda metà del ciclo.
I giorno Pranzo: 200 g di pesce lesso, indivia riccia condita, 1 di ananas Cena: crema di sedano, due belghe ai ferri, 150 g di fragole
II giorno Pranzo: 200 g di pesce al sale, rucola, ravanelli e cipolla, 1 di melone Cena: riso alle erbe, valeriana con cipolla, cavolfiore riato
III giorno Pranzo: lombata di vitello in padella, puntarelle, 1 di ananas Cena: riso e verza, finocchio condito, 150 g di fragole
IV giorno Pranzo: due uova strapazzate, cavolo cappuccio crudo, 150 g di macedonia Cena: gnocchi burro e salvia, cicoria riata, insalata mista con cipolla
V giorno Pranzo: 150 g di ricotta, cavolfiore riato, tre mandarini o una mela Cena: due pomodori al riso, rucola, cipolla e olive, 150 g di funghi
L’utilizzo dello stick urinario per la valutazione della dieta
È impossibile prevedere in anticipo i risultati di una dieta, le risposte che ogni organismo avrà alle diverse sollecitazioni, ma il corpo dà sempre una risposta organica a ogni suo squilibrio. Con il counseling nutrizionale si osserva, oltre alla struttura fisica dell’individuo, che ci informa su una serie di appetenze o non appetenze, di predisposizioni o disturbi, anche il risultato dei suoi metabolismi, attraverso l’osservazione dello stick urinario. Per inquadrare i problemi metabolici di un soggetto è consuetudine fare a quell’individuo una serie di domande sui suoi sintomi, ma lo stick di osservazione dei valori delle urine è un modo sicuramente più oggettivo per capire esattamente come sta funzionando, in quel momento, quel determinato organismo. Grazie allo stick urinario è possibile capire quanto sia stata efficace la funzione emuntoriale del rene, o anche quella drenante del fegato dell’organismo al quale appartengono quei liquidi biologici. Come anche eventuali disequilibri organici. Lo stick si fa, di solito, con le prime urine del mattino perché sono quelle che indicano gli effetti dei metabolismi notturni; ma si può fare anche frequentemente, anche nell’arco di una stessa giornata (prima di pranzo, dopo pranzo, dopo due ore) proprio per valutare se si riesce a intervenire con la dieta sui disequilibri organici. Lo stick descrive dove sta andando quel determinato metabolismo, indica come si trova il corpo nell’immediato, per questo uno stick varia anche nell’arco di una stessa giornata, è variabile e cambia a seconda delle ore e della qualità delle associazioni dei pasti. Noi insegniamo a leggere lo stick. A riportarlo correttamente nei report quotidiani.
Tutte le reazioni chimiche nel nostro organismo, quindi il funzionamento enzimatico, l’attivazione e il corretto funzionamento di tutti gli enzimi, avvengono soltanto se l’ambiente è “alcalino”; più l’ambiente è acidificato e più è bloccata ogni reazione enzimatica. Questo significa che se si manda un organismo in acidosi quell’organismo non funziona più, tanto è vero che si può anche morire per acidosi respiratoria! Se si rimane in acidosi il pH ematico scende rapidamente da 7,34 a 7,30 a 7,02 e non funziona più nessun meccanismo, non funzionano gli scambi, non funzionano le pompe, per questo non c’è più produzione di energia mitocondriale.
Con l’utilizzo dello stick urinario, di fronte a determinati valori, è possibile capire come si possono sostenere con la dieta i meccanismi fisiologici di un individuo. Le analisi delle urine sono perciò lo strumento di monitoraggio del percorso alimentare, perché consentono di leggere quando è richiesto dall’organismo un sostegno epatico oppure quando è invece opportuno attivare una stimolazione epatica, o anche quando è meglio procedere preventivamente ad un drenaggio.
Un indicatore che soltanto l’osservazione diretta può evidenziare è lo stato della glicemia. Esistono diversi macchinari, anche molto semplificati, in commercio, capaci di leggere lo stick. Ma non indicano se un organismo durante la notte è andato in ipoglicemia. Invece con il reattivo noi possiamo osservare un valore che non è descritto nella legenda dello stick ma che è noto nella pratica clinica: quando il reattivo del glucosio diventa azzurro. Questo indica che durante al notte il soggetto ha avuto un crollo glicemico. Possiamo anche osservare come sta andando la funzionalità renale. Il risultato ideale delle analisi delle urine dovrebbe essere 5 di pH ed il peso specifico 1030. Questi valori nelle urine: pH 5 e peso specifico 1030 indicano che il pH all’interno dell’organismo, il pH ematico, è tra 7,34 e 7,42, quindi un pH ottimale (che si muove in un range molto ristretto).
Ogni volta che si interviene con la dieta su un organismo bisogna sempre
osservare e monitorare questi parametri mediante la rilevazione dei dati con lo stick, sapendo che con quello che si va a proporre con l’alimentazione ad un determinato organismo, si mira ad ottenere un valore del pH urinario che sia più vicino a 5, in modo da ottenere un ambiente alcalino e un corrispondente pH ematico nei range. Adottando la tecnica del monitoraggio attraverso lo stick urinario è possibile controllare i metabolismi rispetto a quello che un individuo ha mangiato, infatti non sarebbe altrettanto significativo un monitoraggio effettuato con lo stick se non è noto cosa è stato assunto con l’alimentazione da quell’organismo, mentre quando il programma nutrizionale viene proposto dettagliatamente è possibile cercare di capire con lo stick come hanno funzionato i metabolismi. Sappiamo che sono state introdotte una certa quota di proteine, di carboidrati, di zuccheri, di verdura; abbiamo costruito alcune associazioni, abbiamo stimolato il lavoro del fegato, abbiamo sostenuto l’attività renale, ci aspettiamo determinati risultati.
Ci sono poi variabili contingenti che debbono essere tenute in considerazione, come la quantità di acqua ingerita: se un soggetto beve 4 litri di acqua al giorno, questo è certamente un buon motivo per cui il valore del peso specifico delle sue urine si può abbassare, anche fino a 1005. Se il soggetto ha avuto una crisi nervosa, il suo pH sarà elevatissimo e anche il peso specifico ne risentirà. Diversamente, se non ricorrono queste condizioni, la rilevazione di un peso specifico di 1005 in genere è correlato al rapporto con il valore del pH urinario. Un rapporto che riteniamo ottimale è: peso specifico 1030 e pH 5. Viceversa un dato come pH 7 indica, a dispetto di tutte le dichiarazioni, un’acidosi interna. Eppure il valore 7 in biologia chimica indica un valore basico (alcalino). In Bioterapia parliamo comunque di acidosi metabolica perché valori del genere, nel risultato delle analisi delle urine, nel caso in cui il soggetto si sia alimentato normalmente, con giuste quote di carboidrati, proteine, ecc. fanno dedurre che tutti i sistemi tampone hanno tentato di contrastare l’acidosi, ma non ha funzionato il meccanismo di escrezione degli acidi. Quando si verifica un rialzo del valore del pH, infatti, in genere questo è interpretabile come indicatore di uno stato di “crisi” del rene che è l’organo che dovrebbe svolgere la funzione di escrezione degli acidi.
Quello che bisognerebbe cercare di capire esattamente, con lo strumento dello stick, di fronte a questi valori, è se è veramente il rene a essere in crisi. Se è davvero un problema renale, si troverà contestualmente anche sangue con tracce di proteine nelle urine, oppure in concomitanza sarà presente un valore del peso specifico basso. Anche in questi casi però bisogna indagare il problema a monte: un nutrizionista, un terapista della Bioterapia Nutrizionale® si interrogheranno sulle cause per cui il sistema renale di quell’individuo non sta funzionando adeguatamente. L’orientamento di ricerca deve indirizzarsi sull’ipotesi che dietro alla disfunzione del rene ci sia qualche altra cosa che non va, per esempio potrebbe esserci un fegato che non ha svolto adeguatamente le sue funzioni, allora un altro indicatore associato, nella rilevazione dei valori dello stick, accanto al pH 7 ed al peso specifico di 1020, sarebbe la presenza di birilubina bianca. Si constata una birilubina bianca quando il colore del reattivo che si utilizza per fare lo stick risulta più bianco di quello indicato come negativo nel reattivo. In questi casi, con questo indicatore aggiuntivo, diventa chiaro che dietro alla difficoltà renale ci deve essere un fegato che non ha funzionato bene. Questi parametri sono utili al nutrizionista per modulare la dieta rispettando la funzionalità degli organi. In questa situazione/tipo diventa imprudente proporre una sollecitazione epatica forte come un menù con la fettina panata, l’insalata mista e una mela, nonostante possa apparire importante in questi casi dare uno stimolo al fegato. Bisogna invece tener conto del fatto che, in presenza di quei valori, quel rene potrebbe non essere in condizione di sostenere il metabolismo di scarto che ne deriverebbe e potrebbe non essere in grado di gestire i tossici derivanti dall’accelerazione metabolica. L’effetto a cui potremmo assistere è quello di un intenso prurito della persona, con aumento del nervosismo. In questi casi non è opportuno stimolare il fegato, piuttosto l’organo va sostenuto e drenato con i giusti alimenti. Se la birilubina risulta allo stick assolutamente normale è possibile invece escludere il coinvolgimento del fegato ed è il caso più semplice, perché questo indica che l’alimentazione dovrà tenere conto soprattutto della fatica renale. In questi casi è meglio effettuare 2 – 3 – 4 – giorni di dieta con un drenaggio renale perché questo consente di mettere il corpo in condizione di risolvere il problema. La nostra dieta si fonda, come detto all’inizio, sull’attivazione epatica, ma
bisogna sempre rispettare le funzioni organiche e soprattutto capire quando è il momento di effettuare una stimolazione o invece occorre un bel sostegno con opportuni accostamenti nutrizionali. Lo stick ci orienta, ci fa effettuare le scelte mirate. Quello che interessa, nel percorso nutrizionale sano, è che si apprenda un modo di alimentarsi il più possibile individualizzato, centrato sui bisogni di quell’individuo e del suo stato di benessere o malessere. L’importante è promuovere salute per tutti.
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