LA CAMLA PERDUTA NEL NURAGHE
Daniele Santino Bosu
Testo: ©2013 Daniele Santino Bosu Tutti i diritti riservati Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa ad altri, né in formato cartaceo, né elettronico, né per denaro, né a titolo gratuito, senza l’autorizzazione scritta da parte di Daniele Santino Bosu. Questo libro è un’opera di fantasia, i nomi, i personaggi, gli avvenimenti e i luoghi – ad eccezione di ciò che da tutti è riconoscibilesono un prodotto dell’immaginazione dell’autore. Nessuno dei personaggi del libro è esistente, ogni somiglianza a persone viventi o defunte è puramente casuale. Immagine di copertina: ©2013 Valentina Bosu Elaborazione grafica, ideazione e testi: ©2013 Daniele Santino Bosu
Edizione digitale: Settembre 2013
ISBN: 9788868554750
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Ai miei genitori, Giovanna e Gonario Michele Con la Sardegna nel cuore.
La vita in Sardegna è forse la migliore che un uomo possa augurarsi: Ventiquattromila chilometri di foreste, di campagne, di coste immense, in un mare miracoloso, dovrebbero coincidere, con quello che io consiglierei al buon Dio di regalarci come paradiso.
Fabrizio De Andrè
Credo che tutti i Sardi e tutti gli Italiani, dopo aver letto questo pensiero meraviglioso e nobile, insieme a me augurino a Fabrizio, il miglior paradiso. La Sardegna
Imperioso nuraghe
Imperioso nuraghe, guardia dei nostri ricordi accogli come padre chi nella tua ombra riposa ogni tua pietra è storia e se in ciel i rami mordi rammenta quando in te partoriva gentil sposa
Immensa e gloriosa è la tua vera sapienza sconsiderati attacchi da sempre hai ricevuto a tutti noi dimostri inesauribile vera scienza restando imperturbabile, saggiamente muto
Ma un di forse anche tu comincerai a narrare e tutto il tuo sapere circolerà nel mondo gli errori che l’uomo fa potrebbe riparare dopo secoli di guerre, toccando sempre il fondo
Violenze, falsità, corruzioni, verrebbero abolite il ricco con il povero andrebbero per mano non più pene di morte a toglier nostre vite lavorar nell’esistenza sarebbe meno vano
Capisco il tuo dolore, imperioso nuraghe mio non puoi parlar ai viandanti nella via allora spero presto, ponga mano nostro Dio affinché questa non resti disattesa utopia.
D.S. Bosu
Capitolo I– La leggenda
Cosa accadde nell’isola dei nuraghe attorno al X sec. a.C.?
I Greci la chiamavano Ichnussa o Sandlyon, per via della forma tipo un piede o un sandalo. Ma il suo nome che si perde nella notte dei tempi è : Sardegna. Il popolo Sardo fiero e mai domo che da sempre viveva nel territorio, era timoroso dei propri dèi, dopo secoli di atti propiziatori per la pace e per il raccolto, andati a buon fine all’improvviso dovette chinare il capo e arrendersi all’ira divina. Gli antenati tramandarono la leggenda che furono le stesse divinità a edificare i Nuraghe, in un giorno magico, quando il sole scomparve, coperto si disse dall’occhio degli dèi, che lo coprì. Vollero donare quelle ciclopiche strutture a un solo popolo orgoglioso e giusto, come grande premio per la loro secolare fedeltà di adorazione verso gli dèi. I Fenici e i Greci che commerciavano con essi, rimasero allibiti nel vedere quelle maestose e possenti edificazioni, nate come per incanto, e non osarono mai chiedere, quale sortilegio fosse stato ad aver fatto tutto ciò. Nel nuraghe più centrale dell’isola gli dèi fecero trovare una piccola camla d’oro. E durante il sonno del capo di allora, gli apparvero in sogno e dissero, che scuotendola durante le preghiere, si sarebbero esaudite alcune specifiche richieste. Sempre che il rito fosse praticato all’interno di un nuraghe, con la luna piena e che fossero presenti sull’altare almeno tre statuette di bronzo che usavano per le preghiere e i riti. Poi aggiunsero:” Anche di una divinità minore bisogna conoscere le leggi, per ottenere da essa delle grazie.” “Trovate il filo naturale che vi condurrà da lei. Scuotetela tenuta per il collo non
sarà più magnanima”. “Non usatela per scopi che non siano: La pace fra i popoli, il raccolto, la salute dell’uomo e del bestiame, o in caso di estremo bisogno, la conquista di nuovi territori da piegare al credo degli dèi.” “O per uno stolto pagherà un’intero popolo”. Le frasi da usare anticipate e seguite da tre scamlii, sono : “Il raccolto e il benessere donateci o dèi, con la pace in terra” e...” mieteremo i corpi dei miscredenti, per voi o dèi, e la terra sarà nostra. Il giorno dopo si fece un’incontro con tutti capi villaggio, per metterli al corrente delle regole dettate direttamente dalle divinità. Poi sempre in seduta fiume con anche alcuni vecchi saggi trovarono la soluzione: Per il filo naturale bisognava usare un lacciolo di cuoio intrecciato. La camla bisognava suonarla dal piccolo manico, sempre fatto in oro e fuso in unico blocco. Di generazione, in generazione sempre rigorosamente tra pochi sacerdoti eletti e pochissimi saggi, si tramandarono i suoi suoi segreti. Come per incanto nell’isola cessarono le guerre e anche le faide fra famiglie trovarono accordi pacifici. I raccolti furono sempre rigogliosi e sani, le piogge cristalline scendevano copiose, gli animali erano in carne e i fienili abbondanti. Anche le nuove nascite, in virtù del benessere crebbero molto. Gli interessi culturali poi ebbero un successo mai visto prima,le feste, i balli e i canti erano all’ordine del giorno. Le maschere tipiche anche loro, propiziatrici per un buon raccolto, facevano il giro dell’isola, per la felicità di grandi e piccoli. Erano le progenitrici di quelle che sarebbero diventate: “Sos Thurphos, Mamuthones-Issohadores, MèrdulesBoes” e molte altre non meno importanti. Un popolo felice con la gioia di vivere nel cuore e nello spirito.
Poi, come ogni cosa bella, quell’epoca finì. Si racconta che un tempo un’adepto di nome Simus, perse la ragione e aiutato dall’amante, carpiti i segreti, propiziò la guerra. Riteneva che quel mondo irreale, fatto di pace e di serenità, non era la vera vita terrena, ma una gabbia dorata creata dagli dèi per i suoi sudditi. In poco tempo scoppiarono le prime rivolte, violente a decine di “sos meres” ( I proprietari terrieri) vennero uccisi. Poi scoppiarono piccole battaglie fra villaggi e infine fu la guerra totale fra gli umani in Sardegna e nel mondo. I villaggi più organizzati e aggressivi stavano rapidamente conquistando i centri più pacifici dediti all’agricoltura, alla pastorizia, e alla preghiera, depredando, uccidendo, violentando. Gli dèi capirono che il genere umano se non costretto in regole può diventare per sete di potere anche fratricida. Così fecero intervenire nuovamente alcuni capi villaggio, i più pacifici e con un nuovo rito, propiziarono la pace, mettendo fine a quella catastrofe. Riandarono nel sogno del capo e gli dissero: “Non saranno più tollerati sacrilegi”. L’adepto venne, dopo votazione, marchiato in fronte e nelle mani, poi allontanato e bandito. Ma evidentemente non c’era pace in quella terra sino allora baciata dalla fortuna e neanche un anno dopo scoppiò nuovamente il caos.
Capitolo II – Sacrilegio e punizione
La preziosa camla e le tre statuine erano scomparse. Si pensò subito a Simus e a un’atto vendicativo e dopo le dovute ricerche seppero che si era suicidato, gettandosi da una rupe, per il disonore, dopo la condanna. Nessuno riusciva a capire che fine avessero fatto i preziosi oggetti, né chi si fosse macchiato di un simile atto sacrilego. Nessuno poteva sapere che una mente malvagia, la rubò. Il suo nome era Pedra, bellissima donna dal fisico asciutto, capelli e occhi neri come la notte, ma che dello stesso colore aveva il cuore, con obiettivi determinati. Lei un giorno, origliò ciò che il suo capo villaggio, si diceva con altri sacerdoti in una riunione nel cortile del nuraghe, vicino al bastione trilobato. Facendo finta di sistemare delle lucerne votive di terracotta dalla figura femminile. Il gruppo parlava molto sommessamente, ma lei si era messa in una posizione dove non vista, li sentiva quasi perfettamente. Così capì che quella della camla, non era solo una tradizione ma si trattava di uno strumento che aveva una potenza fenomenale. Il nuraghe di Pedra sorgeva sul mare ad Est della Sardegna. Lei però proveniva da una parte del mondo dove si professavano altri Dii, nel regno dei Nabatei. La loro capitale si chiamava Petra nel regno magnifico della Regina di Saba. Per non essere scacciata, come accadde nel suo paese, dove fu ripudiata dal marito che la trovò con un altro, fingeva di adorare i dèi dell’isola. E la sua scaltrezza la portò pian piano ad essere una inserviente del capo villaggio, “molto intima”.
Dopo aver carpito un segreto così importante, un giorno andò al porto dove attraccavano le navi che portavano ogni mercanzia, in ogni luogo del mediterraneo. Conosceva un tizio, un mercenario di nome Coros con cui aveva avuto una storia. Era senza lavoro già da un po e gli chiese se poteva fargli un importante servigio, prelevare, dentro il nuraghe majore, a due giorni di cammino, degli oggetti sacri. Coros voleva portarsi un’amico di nome Silus e poi chiese da questa storia, cosa ne avrebbero guadagnato. Pedra pensò che era meglio andare in due e disse che a lavoro fatto gli avrebbe dato a ogn’uno un sacchetto di rame da fusione. Coros poi con fare ironico: «Lo so dove lo prendi il rame e cosa dai in cambio, al vecchio sacerdote rimbambito!». «Zitto stupido, non sai quello che dici!». Una volta chiesti maggiori dettagli, sull’ubicazione esatta, di dove il capo chiamato Oddighe, potesse tenere gli oggetti, Coros e Silus, in groppa a due somarelli con un po di scorte per il viaggio, partirono. Pedra in quei giorni era raggiante di felicità, avrebbe avuto fra non molto qualcosa di potente fra le mani. Poteva accontentare la nevrotica figlia Mira, innamorata pazza di Chires, un ragazzo figlio di ricchi mercanti di tessuti. Ella infatti gli promise che quando la luna si sarebbe specchiata nel pozzo sacro avrebbe potuto sposarsi, con lui. Era credenza che la luna si affacciasse al pozzo ogni sedici anni e ormai mancava poco. L’ultima volta lo fece quando Mira nacque. Avrebbe imposto la religione proveniente dalla sua terra, dove c’era un solo Dio. Facendo rinnegare l’attuale. Il popolo dimentica presto e sarebbe diventata la “Sacra Sacerdotessa Pedra del regno di Saba”. Pochi giorni dopo i due mercenari tornarono ma non andarono da Pedra e lei era disperata, non sapeva cosa pensare: “Sapevano anche loro del segreto?” , “Avevano un’offerta migliore?”. Intanto purtroppo morì l’anziano sacerdote capo del villaggio. Pedra era sempre più afflitta e vedeva il suo sogno allontanarsi. Dopo un paio di giorni, incontrò Silus e lo implorò. Gli avrebbe dato di più.
Visto come la guardava gli avrebbe dato il suo corpo, ma bisognava fare in fretta. Una sera allora i ladri, andarono con gli oggetti rubati, ma chiesero il triplo di quanto pattuito, altrimenti avrebbero sparso la voce, del suo commissionamento al furto, o avrebbero venduto le preziose reliquie. Pedra furiosa dovette accettare, concedendosi inoltre come promesso a Silus, che riscosse il prezzo dell’infame riscatto. Quindi gli diede la metà, del rame, come da nuovi accordi e promise di saldare entro pochi giorni. Pedra non poteva immaginare che stava per mettersi contro il volere degli dèi, perchè Chires era già promesso sposo. E Mira, la figlia di Pedra lo sapeva benissimo, ma l’invidia aveva preso il posto della ragione e annullato le virtù. Chires avrebbe sposato Lena una ragazza figlia di un’altro capo villaggio molto devoto agli dèi e sarebbe stato un matrimonio d’amore, con la benedizione divina. Insopportabile fu per gli dèi sopratutto il tentativo di sostituire la credenza delle divinità, con altre entità e per giunta con uno strumento creato poprio da loro, questo scatenò negli dèi un putiferio inaudito, mai visto. L’opposizione fu tremenda. Quando lei indossò la camla e iniziò il rito, il cordino intrecciato prese fuoco, bruciando il collo della donna e incendiandogli i capelli e la veste, lasciandola orrendamente sfigurata. Qualche giorno dopo Mira fu rapita e portata via dentro un sacco, dagli stessi ladri. Pensavano ad altri ricatti che però Pedra non poteva più pagare perchè allontanata dal suo nuraghe, dopo che si accorsero degli ammanchi di rame. Allora la figlia Mira, fu imbarcata a forza su una nave dai due ladri, che la tennero come schiava e concubina, per poi rivenderla come merce da lavoro.
Capitolo III – Il caos - Perduta nel nuraghe
Alcuni mesi dopo Pedra, girava ormai sempre ai margini del villaggio o al porto e per non farsi riconoscere indossava sempre una tunica e un cappuccio neri. Pativa la fame e la scacciavano tutti come una lebbrosa, arrivò a pensare di vendere gli oggetti, ma poi si convinse invece di riportarli al loro posto, per far placare l’ira degli dèi, sperando che facendo così gli avrebbero ridato la figlia e l’onore. Ma ormai le divinità avevano un’altro disegno: “Quel popolo non era più degno di avere il loro rispetto”. E quando Pedra si introdusse nel suo nuraghe di notte, per prendere alcune cose sue e poi partire per il nuraghe majore, inciampò malamente e cadde dentro il pozzo sacro mentre teneva in mano il sacchetto degli oggetti preziosi che per l’avidità, distrussero la sua famiglia. Si dice che ancora oggi nel piccolo nuraghe sul mare, nelle notti di luna piena si aggiri una figura con la tunica e il cappuccio neri e con un sacchetto in mano, emettendo un lamento disumano, perchè non trova pace. Sono ati ormai dodici lunghi mesi e gli dèi hanno girato definitivamente le spalle ai villaggi nuragici e al suo popolo. Si celebrarono in tutti i villaggi nuragici nei templi dell’acqua sacra. Riti sacri “Legati alla fertilità della Dea Madre terrestre” invocando anche la Luna, “Dea Madre celeste” . Tuttavia Oddighe il capo di tutti vive la disperazione della sua gente affranta dal dolore, a nulla servono le preghiere e ormai c’era carenza anche di agnelli da sacrificare. Un giorno si incamminò da solo verso il monte sacro “Inue” dove qualche tempo prima fece edificare delle grandi pietre monoliti (tombe dei giganti) di cui una rappresentava un uomo a braccia aperte in onore delle divinità. Andò in quel luogo sacro per ritirarsi in preghiera e fare penitenza con il digiuno, si struggeva
nel dolore e nel pianto, non era possibile che per una leggerezza sarebbe stato annientato un popolo e la sua storia. Se ne stava li per giorni interi in un paesaggio, meraviglioso, pieno di profumi della sua terra che non sentiva né vedeva più. Pregava, ormai privo di speranze: «O dèi fate che il dio toro si accoppi con la dèa madre natura e fate in modo che i nostri umili corpi ritrovino vita nell’aldilà. Prendete la mia vita e lasciate vivere il popolo sardo innocente e puro». Ma il capo non ottenne nessun risultato se non quello di ammalarsi gravemente. Il popolo amava Oddighe perchè era saggio e giusto e ancora una volta dimostrò il suo amore e la sua rettitudine. Malattie e carestie rischiavano sempre più di mettere fine alla storia di un popolo eccezionale, da millenni a fianco degli dèi e ora per un atto scellerato, abbandonati da essi. Si alzò un vento fortissimo quindi non potevano fare uso di segnali con il fumo. Partirono allora quattro messaggeri, in sella a vivaci cavallini della Giara, verso i più vicini villaggi nuragici e da dove ne sarebbero partiti altri,con un messaggio perentorio e urgente, uguale per tutti!. “Fuggire e riparare lungo i fiumi, i laghi, le pianure con piccoli ruscelli e riformare in quei luoghi, nuovi villaggi, perchè gli dèi erano furiosi e intenzionati a colpire duramente anche con la morte chi si fosse trovato dentro i villaggi nuragici. La sciagura era nell’aria e bisognava correre ai ripari. Il popolo tuttavia anche per espiare “la colpa” continuava a pregare gli stessi dèi, si infliggeva le punizioni del digiuno e della castità, elevava tombe dei giganti sempre più imponenti per ingraziarsi il volere divino e tornare come prima. Chiesero, implorarono per ottenere in dono un’altra camla per fare così nuovi riti propiziatori, con essa, qualcuno arrivò ad adoperarne in bronzo e in rame ma non funzionarono. Alle cerimonie si regalavano camle fatte di terracotta finemente dipinte e i bambini ne erano entusiasti.
Ma gli dèi non si intenerirono e le carestie continuarono. Ma forse la premonizione di Oddighe arrivò troppo tardi, perchè malgrado tutte le accortezze del popolo di trasferirsi presso altri siti e moltiplicare le preghiere non bastarono. Stava infatti per abbattersi sulla regione un’alluvione di proporzioni gigantesche che distrusse tutto al suo are. Tuttavia molti si salvarono. Seppellirono il grande capo Oddighe con tutti gli onori e vicino a un lago edificarono per lui un’altra tomba dei giganti, la più bella. Poi con fatica rifondarono, nuovi villaggi, per dare un nuovo popolo e una nuova storia a quella terra martoriata. Da quel tempo i nuraghes divennero dimore disabitate e misteriose.
Qualche secolo dopo con l’avvento dell’impero Romano, arrivò anche una nuova religione, quella Cristiana, che cancellò nell’isola tutte quelle antiche.
Capitolo IV – Sogno e verità
Sardegna orientale, settembre 2013, lente bracciate in un elegante stile libero, portano il nuotatore dalla barca da cui si è tuffato, verso la piccola caletta, quasi irragiungibile via terra, dominata da un piccolo nuraghe. Il mare è leggermente mosso,ma l’acqua è così limpida da far sembrare quel luogo quasi irreale nella sua magnificienza. L’uomo, arrivato nei pressi della spiaggetta, esce dall’acqua, ha capelli e occhi neri, e una barba non fatta da pochi giorni, fisico asciutto, sui trent’anni. Si distende sulla sabbia bianca che a tratti forma con le onde delle venature rosa, come realizzate da un’artista capace e fantasioso. A occhi chiusi canticchia “come è profondo il mare di Lucio Dalla”. La pace che si respira nel luogo, cozza con i fatti degli ultimi anni, perchè nell’acqua della caletta, vennero trovate alcune vittime, da annegamento, morte alquanto misteriosamente. I giornali locali riportarono che un pescatore subacqueo, venne trovato con la sagola del pallone da sub intrecciata alla vita e incastrata a un masso a soli due metri di profondità e con le braccia libere e il pugnale nel fodero della gamba. Un’altro l’anno seguente lo trovarono dentro una piccola grotta che per quanto era piccola fuoriuscivano le gambe del sub fino al ginocchio anche questa disgrazia a tre metri sotto l’acqua. Ma la morte più strana di tutte accadde quattro anni prima quando a metà maggio, un subacqueo, del luogo, fotografo professionista , con tutta l’attrezzatura, bombole d’aria allacciate e boccaglio in bocca, venne trovato abbracciato ad uno spuntone di roccia a sei metri di profondità, occhi sbarrati, morto come certificò il medico legale, d’infarto. Nel posto si sparse la voce fatta girare dagli anziani che in quella caletta e quel nuraghe c’era la maledizione di Pedra una strega dell’antichità. E non ci si avvicinò quasi più nessuno, diventando in pochi anni, ancor più ricco di flora e di fauna marina. Il sole non è fortissimo, ma gradevole e una leggera e fresca brezza marina, asciuga in poco tempo la pelle dell’uomo sempre un po abbronzata, senza
bisogno dei raggi solari, che fanno di Miki, una persona assai attraente della bella isola Sarda. La due più uno, monoalbero, dal nome “sughero” è ancorata poco distante, lui ama arrivare sempre a nuoto, per non disturbare quei luoghi, santuari naturali, che a volte l’uomo, invece di proteggere, sporca o distrugge. Si girò con le spalle al mare e guardando la vegetazione disposta a mezza luna, rigogliosa e profumata, gridò «Tu sei il mio paradiso, la mia consolazione». Chiuse gli occhi e il pensiero volò verso altri ricordi, proprio quelli che voleva dimenticare. Lara, la sua donna, che non era più con lui. Cavolo! Pensò, “proprio come quando hai una ferita, e qualsiasi cosa fai, sempre li vai a farti del male”. Scacciò il pensiero e si rallegrò di stare nuovamente in quello che considerava un po il suo rifugio, dove andava appena poteva per ritrovare se stesso, lontano da tutto e da tutti. Sarà che con quel posto aveva anche un legame affettivo particolare, gli ricordava infatti la nonna Lina, che raccontava quella che apparentemente era una leggenda, che tramandata nei secoli dai nonni, lei asseriva essere invece, storia realmente accaduta. Raccontava del popolo Sardo che all’epoca, mille anni prima che arrivasse Gesù di Nazareth, adorava gli dèi: «Si proprio così, piccolo mio, adoravano gli dèi. Poi c’era una camla d’oro, che scomparse ed è ancora nascosta nel nostro nuraghe, con quella si potrebbero fermare tutte le guerre o non scatenarne mille altre. E un giorno tu la troverai.» “Soltanto una favola”, pensò Miki, “che ho sentito cento volte”, “ma chissà, qualcuno dice che nelle favole a volte si celano grandi verità, nascoste ai più”. C’era stato decine di volte dentro le mura del nuraghe, lo conosceva pietra su pietra, aveva accompagnato decine di studiosi e turisti che volevano are dalla terra e non dal mare, l’hanno fotografato, analizzato, studiato e anche ricostruito, “Perchè una parte della struttura era franata sul cortile. Infatti risultava impraticabile solo il pozzo sacro collocato proprio li, l’intera ala lo seppellì. Occorrevano macchine con bracci enormi per rimuovere i grandi massi, ma dalla terra era impossibile arrivarci ne tanto meno si poteva operare dal mare. Aveva pensato, decine di volte prima di addormentarsi, e nei sogni, di trovare un’entrata segreta nel nuraghe, con un grande tesoro, in qualche stanza nascosta e magari un’armatura tutta d’oro. Forse dal desiderio e dalle soavi parole della
nonna, lo aveva sognato più e più volte. Tuttavia erano più di dieci anni che quei sogni non li faceva più, era più realista. Anche se in largo ritardo aveva ripreso gli studi per laurearsi in archeologia. Aveva fortunatamente un piccolo bar-tabacchi sotto casa, di sua proprietà, lasciato proprio dalla nonna, ora dato in gestione che gli procurava da vivere decentemente. Saliti quei gradini sulla roccia, entrò in quello che restava del nuraghe e in una nicchia tra due pietre prese una scatolina con dentro l’accendino e un coltellino, utili per accendere un fuoco e prepararsi il sarago che aveva pescato precedentemente, fece molta attenzione dove mettere i piedi perchè, seminascosta e incastrata dai detriti c’era da tempo immemore una grossa mina anticarro abbandonata dai tempi della guerra .
Capitolo V – Il richiamo ancestrale
Ogni volta che vedeva l’ordigno, Miki pensava a Fernando, il suo amico pescatore che un giorno gli disse: “Conosco uno che abita in un paesino non distante da noi, che fece l’artificiere, anche io me la cavo ma lui ancora oggi fa i candelotti di dinamite che chiama mine, per spaccare le montagne di granito. Potrei farla disinnescare ma dobbiamo fare da noi, oppure ci recintano il nuraghe per chissà quanti anni”. Mentre con la mano girava lo spiedino, il sarago mandava un profumo fantastico, gli occhi di Miki, si fissarono nella fiamma e come al solito il pensiero riandò su Lara, pensò: “A che serve poi litigare, ogni volta per stupidagini! d’altra parte, io sono Sardo e un po di gelosia la porto nel DNA. E pensare che il nostro incontro, fu un caso del destino, anche sei io, al “destino”, non ci credo, tutti e due apionati di storia e archeologia, e nello stesso istante ci trovammo di fronte alla stessa bancarella e insieme guardavamo la stessa camla e chiedemmo medesimo istante: «Quanto costa?» “Poi da quell’incontro casuale, un susseguirsi di appuntamenti, a parlare di storia, di misteri, di archeologia, di noi, poi il primo bacio, con un sentimento che poteva veramente diventare una cosa seria, una storia vera, dopo tante delusioni”. “La camla l’ho sempre io perchè volle che la tenessi, anche se l’aveva acquistata lei. Aveva ragione nonna, le camle magiche esistono, quella lo è sicuramente, perchè mi ha fatto incontrare la donna della mia vita, o forse magari no, ma chissà”. L’ho anche restaurata e volevo regalarla a lei per il nostro primo anniversario, poi… Finito il frugale pasto e il sole ormai per buona metà dietro i monti, Miki decise di andare, coprì con della terra la brace rimasta, anche perchè c’era un bel po di vento di maestrale, posò nella nicchia, le sue cose e si avviò verso la spiaggetta,
per riandare alla barca, quando all’improvviso sentì molto chiaramente un leggero tintinnio, caratteristico di un piccola campana. Sorrise pensando come la suggestione fe brutti scherzi, “Pensavo alla camla del mercato. Poco prima a quella che raccontava nonna Lina, ed ecco che la mente, mi fa sentire il suo suono, incredibile!” “Un po come quando pensi intensamente, a un tipo specifico di cibo, ad un fiore, o a un luogo in cui hai dei ricordi, e ti sembra di sentirne realmente il suo profumo”. “Quindi mise i piedi in acqua e stava per tuffarsi, istintivamente si fermò sorridendo e aspettava che si ripetesse, il miraggio acustico di prima, ma questa volta con i sensi in guardia”. Canticchiò, “Come mai…ma chi sarai per farmi stare quì…quì seduto ad aspettarti… pregando un tuo dlin dlin. Ah gli 883! …E il tintinnio si ripetè davvero e più volte. A quel punto Miki non sorrideva più, si mise in piedi in religioso silenzio e riecco nuovamente lo scamlio, un brivido freddo gli percorse la schiena, il cervello in quei casi vola. Pensò a quei disgraziati periti proprio in quel posto e malgrado i brividi non lo lasciassero, pian piano si avviò verso il suono. Nel frattempo il sole non c’era più e il chiarore lunare prendeva il suo posto. Così si ritrovò di fronte ad una parete di roccia, scuotendo la testa girò l’orecchio verso di essa ed ecco ancora il dolce suono, “Ma come è possibile pensò Miki”, poggiò l’orecchio sulla roccia ancora calda dal sole del giorno, risentì ancora il suono e questa volta anche un lieve spiffero d’aria, provenire dalla roccia, infatti malgrado la fiacca luce vide una piccola insenatura, talmente sottile da non arci neanche una lama. Pensò che senza una buona torcia non sarebbe comunque approdato a nulla, decise quindi di rientrare alla barca e l’indomani cercare di scoprire quel mistero. All’alba del giorno dopo, malgrado la notte l’avesse ata quasi insonne, con la giusta attrezzatura, si diresse verso la caletta, attese un po ma il suono non si ripetè. Miki non sapeva se darsi dello stupido per l’ennesima volta, comunque visto che era li, ripartì dallo spiffero d’aria che comunque era quantomeno sospetto. Ma l’alito d’aria non si percepiva più come la sera prima, ed era chiaro che esso aumentava o diminuiva in funzione della forza del vento, e così anche il
suono della camla! Salì sul promontorio all’altezza di una piccola grotta seminascosta che conosceva. Da li vide che quella roccia all’apparenza così compatta, poteva avere un vuoto all’interno e lo collocava proprio nella direzione di dove doveva trovarsi il famoso “pozzo sacro”. «Allora» pensò ad alta voce: «Il pozzo non è interamente seppellito come si pensava!». Capì che ci doveva esse una sorta di grotta dentro quella roccia, ma non si vedeva nessun ingresso. Non rimaneva che la parte del mare, ma il nuraghe si ergeva, circa quaranta metri all’interno, come era possibile. Così armato di pinne, maschera e torcia, decise di fare un controllo approfondito, per capirci meglio. In corrispondenza del fondo del mare dove cominciava la verticale di pietra, a circa quattro metri di profondità. C’era come una parete larga almeno duecento metri, di solido granito, ma non si vedeva nessun aggio, o grotta, nella direzione del nuraghe o del presunto pozzo.
Capitolo VI – La meraviglia marina
Avvicinandosi a ridosso dell’angolo che si creava, fra la base del mare e la roccia, quasi cento metri sulla sinistra rispetto al nuraghe, vide due grandi massi e al centro, nello spazio un buco di circa trenta centimetri, provò a farci cadere dei pezzetti di alga e appurò che, a fasi alterne, come picchiavano le onde sulla superficie i residui venivano risucchiati. Malgrado non era centrale rispetto al nuraghe, doveva quindi esserci un aggio, forse un tunnel che da quel punto arrivava a far are l’aria sino allo spiffero che percepì nella roccia della caletta, ecco perchè non si trovò mai alcun aggio!. Decise di andare a prendere l’attrezzatura per le immersioni, l’emozione era forte e pochi minuti dopo arrivò con la barca nei pressi delle grandi rocce che ostruivano il aggio, fortunatamente il mare era piatto, calò una catena molto robusta e la girò più volte su uno dei massi che era più oblungo e quindi si prestava meglio per essere trainato. Era incastrato li da secoli e pensò che sarebbe stato molto difficile tirarlo via, ma doveva tentare. Mise in moto, il venticinque cavalli e provò a tirare, nulla, allora tornò un po a retromarcia lasciando allentare la catena, diede tutto gas, e qualcosa accadde. Per la forte trazione si ruppero anche due bitte molto forti della barca, ma quando si affacciò e vide che il masso era messo di un lato, e che si era liberato un bel foro grande, Miki cacciò un urlo che gli fece bere un po d’acqua. Ancorò “sughero” con una cima e la catena su due rocce emergenti, si vestì di tuttopunto, gav, bombola, e scese sotto la superficie. Avanzare in apparente assenza di gravità è meraviglioso! pensò che se un giorno avesse avuto un bambino o una bambina, sarebbe una delle prime cose che gli avrebbe insegnato. Rimase stupito come tutta quella confusione del motore, della catena, invece di allontanare la fauna marina, l’avesse come richiamata.
Trovò l’equilibrio con il gav e restò un po ad ammirare la maestosità di quel paesaggio, con coralli, multicolore a dir poco meravigliosi. La flora era rigogliosa e abbondante, la posidonia ondeggiava lievemente, sembravano centinaia, migliaia di ballerine hawaiane che ondeggiavano per qualche impercettibile corrente sottomarina, saraghi grandissimi, avano lenti, un gruppetto di barracuda coloratissimi e più in la qualche tonno di buona stazza, avano anch’essi con incedere calmo e maestoso. Potè ammirare la guerra eterna fra una murena e un grongo che lottavano per accaparrarsi un polpo, quest’ultimo che li guardava e si difendeva con spruzzate di inchiostro e mutando continuamente la livrea, faceva inconsapevolmente uno spettacolo, unico e strabiliante, poi uno dei contendenti vinse la sfida, il grongo si ritirò e la murena del polpo ne fece un sol boccone, e così lo spettacolo divenne anche crudele, ma è la natura e la lotta per la sopravvivenza. Il gommone navigava sicuro e veloce, il bimotore Yamaha da trecento cavalli ruggiva e fendeva il mare, leggero. Paul muoveva i comandi e controllava la bussola, era molto abbronzato, un bell’uomo, una bellezza nordica, poichè Italo-Tedesco, biondo, occhi azzurri, mascella volitiva, muscoloso. Al suo fianco, capelli al vento, Lara, stupenda ragazza dai tratti tipici delle bellezze del Sud Italia, occhi marroni e labbra carnose, rossetto e smalto rosso fuoco e con forme, da ragazza prosperosa. Sdraiata sulla cuscineria e intenta, con movimenti studiati e aggraziati a cospargere il proprio corpo con della crema solare, poggiò il piede sulla pilotina e si accarezzava la lunga gamba. Paul si girò e le sorrise dicendo in un buon Italiano, ma che tradiva la nazione di provenienza: «Non ho mai capito se voi donne sapete quanto siete sexy, quando vi infilate una lunga calza o vi accarezzate con la crema come fai tu adesso!» e Lara con disinvoltura: «Le donne sanno come conquistare il proprio uomo…e come mollare gli sfigati creduloni». Risero molto. Era felice Lara, guardava le sue valigie accanto a lei e già sognava, una vita nuova, lussuosa con Paul, in un mondo diverso. Improvvisamente l’uomo disse: «Ci siamo, ecco la barca». Lei annuì e il viso gli diventò una maschera.
Intanto Miki stava introducendosi nel foro, appena sufficiente per la dimensione del suo corpo con l’attrezzatura subacquea. La grande torcia illuminava e faceva diventare molto luminoso il tunnel naturale e si rese conto che infatti procedeva in modo diagonale verso il pozzo e contemporaneamente saliva. Lo percorse molto lentamente, Miki era inquieto, perchè non c’era modo di tornare indietro, in quanto il diametro non lo consentiva, sudava freddo, proseguì per circa cento metri, che parevano non finire mai, poi come d’incanto il budello finì e si ritrovò subito in un ambiente più grande, dove l’acqua terminò e iniziava una salita. Si tolse l’attezzatura e sentì che il respiro divenne subito più pesante, calzò le scarpette di gomma e cominciò a salire, notò che il pietrisco che smuoveva alzava della polvere quindi l’ambiente era stranamente molto asciutto in considerazione che pochi metri prima c’era l’acqua del mare.
Capitolo VII – Scoperta sconcertante
Poi con grande stupore arrivò in una stanza circolare, fatta in pietra dall’uomo, il cuore ora batteva forte, era il pozzo sacro. Quasi tutto avvolto da grandi radici, si ergeva per circa sei o sette metri e alla fine, nella parte più alta si vedeva un’intreccio di radici che pareva sostenere il corpo di un gigante come un’enorme amaca resa concava da un grandissimo peso. Era chiaro cosa era successo, il pozzo abbandonato da secoli, era stato come tappato da grosse radici, e quando un’ala del nuraghe crollò, non si sa ne come ne quando , trovò quest’intreccio di antiche radici che come per miracolo sostenerono le pietre. Infatti è impossibile entrare o uscire dalla parte alta, l’unica via di accesso è quella che ho percorso adesso. Per terra c’erano diverse ossa umane, teschi, qualche monile e trovò tre statuette, in bronzo che servivano per i riti di preghiera, raffiguravano l’Oplita, l’Arciere, il Pugile, trovò anche delle maschere di legno, molto simili a quelle ancora in uso oggi per le feste del carnevale Sardo, con lunghe corna, appena visibili i colori che le abbellivano. Fece delle foto. Mise in una sacca un paio di monili e le tre statuette, per far fare delle prime analisi da Ada, un’amica archeologa, molto competente in materia. Al centro del pozzo si trovava una specie di enorme zanna di mammoth, bianca, sicuramente una radice secolare ormai pietrificata, con delle protuberanze verso la fine, dove la radice si assottigliava. Gli girò intorno e da un lato proprio appesa ad una di quelle piccole radici, vide qualcosa appeso! Era proprio lei, la camla, il cuore gli batteva all’impazzata, pensò alle parole della nonna Lina, “Tu la troverai, piccolo mio, lei è dentro il pozzo sacro del nostro nuraghe”. Con la piccola camera la inquadrò e mise al massimo lo zoom, era bellissima, tutta d’oro, con dei semplici cerchi concentrici, brillava ancora, malgrado avesse
perso la lucentezza della fornace che l’aveva fusa, se ne stava li da tremila anni…trenta secoli, mi gira la testa. Dio mio! Era tenuta da un cordino, sicuramente di cuoio ed esso stesso era attorcigliato a quella specie di dente. Poi vide che ondeggiava lievemente e capì che quando il mare picchiava duro con le onde, la risacca muoveva l’aria a poteva far suonare la piccola, preziosa campana. Ora si respirava meglio, infatti la campana ondeggiava e ogni tanto emetteva la sua dolce melodia, segno che il mare si era un po agitato, pensò a “sughero” legata troppo a ridosso delle rocce. Si organizzò, mise la torcia in un punto che illuminava il percorso che doveva fare e cominciò un’improvvisato free climbing, nella parete piena di radici simile a un’intreccio di mangrovie, e ogni tanto qualcuna si schiantava sotto il suo peso. Quando arrivò a circa tre metri dalla punta, senza più nessun appiglio provò a lanciare una cima più volte, stava in una posizione molto scomoda, finchè a forza di tentativi, saggiando la resistenza che si opponeva al tiro, capì che si era agganciata, tirò con uno strattone e finalmente strappò quella specie di guglia bianca che rovinò giù insieme alla camla, ma la forte trazione fece cadere tutta la radice che aveva circa trenta centimetri di diametro. Si spaccò con un grande schiocco, e cadde giù provocando un frastuono enorme e alzando un grande polverone. Istintivamente, Miki tenendosi con una mano, si alzò la maglietta portandola al naso, per proteggere la respirazione dal polverone. Ma mentre faceva questo sentì anche un boato proveniente da tunnel che aveva percorso prima e che fece vibrare tutto come un terremoto, Miki si spaventò molto e terrorizzato pensò “speriamo che non sia crollata l’unica mia via d’uscita”. Incastrò la sacca con le statuine dentro un piccolo crepaccio fra due massi, per scendere più rapidamente e andare a vedere cosa era successo. Quando fu a terra cercò e trovò la camla, era proprio deliziosa e istintivamente se la mise al collo. Ridiscese fino all’inizio del tunnel e con sgomento vide che le sue paure erano fondate, l’unico aggio era infatti ostruito, da un masso enorme, franato dal soffitto appena al di sopra. Ora si vedeva un grande alloggio concavo dove aveva
la sede la grande pietra di granito. Un sudore gelido imperlò la fronte di Miki che disse: «In trappola, come un topo!». Cercò di restare calmo e ispezionò ogni anglo, cercando una via di uscita, ma…Nulla, nulla, spense la lampada, era spossato e adesso molto preoccupato: «Cavolo! Cavolo! Una fine così no!…nooo » poi si rannicchiò in un angolo, mise il gav come cuscino e si addormentò. ò la notte in un atroce dormiveglia, era amareggiato, indolenzito. Sperava si trattasse solo di un sogno e pensava: “Adesso mi sveglio e mi accorgerò che era solo un brutto incubo”. ò la prima notte così, poi la seconda, la terza, provò di tutto, urlando a squarciagola. Poi pianse lacrime amare. Ogni volta che riapriva gli occhi, gli si ripresentava in tutta la sua atrocità, l’incubo peggiore della sua vita, proprio nei giorni che con quel ritrovamento potevano essere i migliori, una rivincita alle sfortune della vita...e invece. Provò a risalire per urlare ancora vicino la fenditura ma dovette rinunciare, era troppo debole. Seduto a terra con le braccia inerti, gli occhi sbarrati nel buio pesto, la lampada scarica già da alcune ore, ripeteva con un fil di voce…Lara…Lara. Si sfilò dal collo la camla e gli parlò:…«Tutto questo per te…perchè mi hai chiamato!, potevi stare zitta!…».
Capitolo VIII – Prigione e libertà
Miki è rimasto in trappola dentro il pozzo del nuraghe è stremato e sta disidratandosi, parla con la camla: «Volevo fare pace con Lara e adesso sono io a non darmi pace!…di essere venuto qui, il destino…Una camla mi ha dato la vita e un’altra me la toglie…perchè…perchè…». Anche se con un fil di voce, canticchiò il motivetto di una vecchia canzone di Sergio Endrigo: «La festa appena cominciata…È già finita…Il cielo non è più con noi…» ò anche il terzo giorno, sentiva che la vita lo stava abbandonando, ma udì anche se sembravano voci dall’aldilà, una voce femminile che gridava Mikiii e poi anche una maschile, lo chiamavano a gran voce. Con un’ultimo sforzo, provò ad urlare «Sono quì». Ma la sua voce era atona, allora suonò la camla che aveva in mano, una, due, tre volte. Poi perse conoscenza. La luce era accecante e filtrava libera, senza ostacoli. La mente di Miki era ancora attiva: “Meno male” Luce, mi salveranno!. “O…è la grande luce che tutti dicono si veda quando stai per lasciare la vita terrena? Gli venne un brivido, come una scossa. Quando riaprì pian piano gli occhi, vide il viso di Lara, che con un sorrisetto disse: «Miki, come ti senti». Accanto a lei vide Paul, che gli fece un cenno di saluto con la mano e disse: «Dai campione, sei fuori pericolo.» Poi aggiunse rivolto a Lara: «Andiamo! Abbiamo quell’appuntamento». Sentiva dolore in tutto il corpo come se gli fosse ato sopra un treno. Chiuse gli occhi, girava tutto, guardò la bombola di ossigeno, poi le flebo, pensò: “Dai che mi riprendo, mi sono indebolito troppo”. Poi pensò: “Ma che ci faceva Paul con Lara è proprio perchè lei faceva troppo la
civetta col tedesco, che abbiamo litigato. E lui lo sa. Credevo fosse un’amico, perchè non mi faceva pesare il fatto che lui fosse ricco e io no”. Quanti favori gli ho fatto a quello stronzo, gli ho spiegato i segreti della Sardegna, mi abbracciava! E poi comincio a pensare che abbracciava pure Lara. Però ho sempre avuto l’impressione che già si conoscessero! Quei sorrisetti, quando io ero girato. E lei? …non ci voglio neanche pensare. Poi però pensò; “Miki, convinciti che non ti meritava”. L’infermiera vide che dai suoi occhi uscivano delle lacrime e le asciugò. Dopo cinque giorni venne dimesso dall’ospedale, chiese prima di andare via se lo aveva cercato qualcuno e di poter riavere anche la sua muta subacquea. Gli dissero che, solo il giorno che arrivò all’ospedale in fin di vita, le due persone che lo portarono, un uomo e una donna, rimasero qualche ora nella sala d’aspetto, ed erano molto preoccupate, quando poi hanno visto che il suo fisico reagiva positivamente alle prime cure mediche, andarono via, dicendo che poi sarebbero tornati. «E poi?» Disse Miki . «Poi non le vedemmo più» Rispose la caposala. «Riguardo alla muta che le chiedeva, guardi che ci deve essere un’equivoco, perchè quando la portarono, qui, lei era vestito come adesso e cioè con quella tuta sportiva». «Scusi, siccome non ricordo dove sono stato trovato?» «Guardi, ecco qui la dichiarazione dei suoi soccorritori, si trovava al largo, nel mare con la barca in panne e pare che la radio non fosse funzionante». Miki annuì, non rispose, ritirò il suo cellulare spento perchè scarico. Chiamò un taxi. Mentre l’auto lo portava a casa , pensò: “Questa tuta e queste scarpe, le ho lasciate su ‘‘sughero’‘quando sono andato a fare l’immersione, mi hanno salvato e mi hanno anche cambiato, quante attenzioni! “Ma certo! Portandomi all’ospedale con la muta, avrebbero dovuto dare molte
spiegazioni, il luogo, i motivi, invece con la tuta, la cosa si semplifica molto, la barca in panne, la radio rotta. E la camla ovviamente non ce l’ho più… e bravi i piccioncini”. “Se avevo un briciolo di dubbio, ora non più”. Quando arrivò a casa, presso il porticciolo, vide con inquietudine che l’ampio monolocale di sua proprietà era stato messo a soqquadro. Pensò: “Ma chi è… Cosa cercavano”. Portò i soldi al tassista, poi risalì la piccola gradinata di casa. Rimise un po d’ordine e si rese conto che era ancora molto debole, amareggiato, disorientato. Mise in carica il telefonino e si distese sul divano. Si addormentò in un sonno profondo per diverse ore, la sera quando si svegliò si sentiva molto meglio, provò a chiamare Lara e Paolo per capirci qualcosa in più ma avevano stranamente i cellulari spenti, anche se erano solo le 20.15. Vide poi che le chiamate di alcune persone, tra cui Lara, nei tre giorni che stava nel pozzo, infatti lo aveva con se, nel contenitore stagno, ma lì non c’era linea. Lo aveva cercato anche Ada , la sua vecchia amica, che lavorava presso la sovrintendenza della regione. Pensò che l’avrebbe richiamata, anche per parlargli dei fatti accaduti. Non sapeva cosa pensare, era tutto così strano, ricordava il pozzo, la camla, il tunnel ostruito. Ma era tutto occluso quindi come mi hanno tirato fuori da li. Va bene, me ne farò una ragione, d’accordo, stanno insieme, quei due li, ma perchè una volta presa la camla non mi hanno lasciato li, ma mi hanno salvato, un atto di pietà? La mattina dopo a bordo del gozzo di Fernando, un suo amico pescatore del posto, Miki si fece accompagnare alla caletta. Il mare era calmissimo e si respirava un’aria dal forte odore di salsedine che gli ricordava le prime volte che andava al mare con i genitori, d’un tratto due delfini sbucarono dall’acqua e facevano dei salti prodigiosi.
Capitolo IX – Tradito
Era un’amico sincero e di vecchia data Fernando, fu un grande amico anche del padre di Miki. Gli raccontò tutto e lui sentita la storia, scuotendo la testa disse: «Scusa se te lo dico Miki, ma a volte sei troppo ingenuo, ti fidi troppo delle persone, forse però è proprio per questo che per me sei come un figlio, i furboni non mi sono mai piaciuti, quelli che fanno finta di esserti amico con l’unico scopo di rubarti qualcosa, sai quanti ne ho conosciuti nella vita?. Paul è uno di quelli, tutto suo padre». «Lo so» Rispose Miki «La colpa è mia, ricordo che tu mi avevi messo in guardia da quello li.» E lui: «E ricordi male Miki, ti dissi che dovevi diffidare anche di lei e per tutta risposta non ti ho visto più». Poi continuando: «Sai certa gente a chi mi fa pensare?» «No non lo so» Rispose Miki. «Sai che io ho una certa esperienza con gli esplosivi, no? Bene, quel tipo di gente li paragono agli esplosivi, innocui all’apparenza, ma micidiali, quando meno te lo aspetti». Miki gli mise una mano sulla spalla e disse: “la mia colpa amico caro, non è l’ingenuità, ma l’onestà. Fernando non lo biasimò, a volte per l’amore di una donna si fanno grandi errori. Poco dopo arrivarono in vista del promontorio e Miki fu felice nel vedere che “sughero” era li spiaggiato ma fortunatamente stava abbastanza dritto, nella caletta. Fernando fece un fischio e Miki si girò e con il mento il pescatore gli indicò un motoscafo al largo.
Lui fece spallucce come dire: “E allora?” «Ci segue da stamattina!» Miki annuì:«Si me ne sono accorto anch’io, ma per non farti preoccupare…». Comunque è il gommone di Paul, lo riconosco. «Maledizione» Imprecò Fernando che prese il cannocchiale, ma Miki glielo tolse e lo posò. «Non facciamogli capire che ci siamo accorti di loro!» Cambiando discorso, Fernando gli disse che bisognava aspettare il pomeriggio per l’alta marea e che tornava in paese, poi sarebbe tornato con più persone. «No! disse Miki, provo a cavarmela da solo, se avrò difficoltà ti chiamo». Si salutarono e poi si tuffò. Salì sulla barca e vide che anche li era tutto sotto sopra…E sconvolto esclamò: «Ma che caz…». «Maledetti Bastardi! ma cosa vogliono da me!» Poi nascosto guardò con il suo potente cannocchiale verso il grande gommone che appariva un po ondeggiante ma vide che c’erano un paio di uomini di cui uno guardava con un lungo binocolo e una donna, la riconobbe subito: «Lara!… Che delusione…Quando si riprese, scese per fare un giro esplorativo. Vide che in corrispondenza delle feritoie era stato praticato un foro, largo abbastanza per il corpo di un’uomo e fu richiuso con dei sassi. Li tolse e si affacciò ma si vedeva pochissimo, a quel punto torno sulla barca e prese la torcia, tornò sul buco e si affacciò. Illuminando il pozzo al suo interno vide che era tutto come prima e richiuse il buco. Nel pomeriggio, con l’alta marea, azionando la retromarcia del piccolo Evinrude da venticinque hp, riuscì a liberare la chiglia e così potè fare ritorno al porto. La sera stessa Miki chiamò Ada, la sua amica d’infanzia: «Pronto…Chi parla?»
«Ehi, Ada, mi riconosci?» «Mikiii, quant’è che non ci vediamo…» «E vero! Ma ti voglio sempre bene.» «Altrochè…anch’io, mi mancano le tue battute, la tua simpatia.» «Miki ti avevo chiamato qualche giorno fa per parlarti di una cosa delicata che non vorrei affrontare al telefono.» «Allora, Ada, facciamo così, siccome vorrei parlarti anche io, perchè non mi vieni a trovare qui al mare, magari per il fine settimana?» «Non ti farebbe male scappare un po dalla città.» E lei: «Ma lo sai che mi hai convinto? Vengo sabato mattina.» «Bellissimo Ada, guarda che se ti va puoi venire già stasera, ho il divano e poi per cena, ho due spigolette da fare al barbeque e per me sono troppe!» «Vabbè ma lo sai che c’è…metti la carbonella, ma il prosecchino lo porto io». Alle venti, lei arrivò e parcheggiò la Mini Cooper gialla, sotto casa di Miki. Si salutarono con un grande abbraccio. La ricordava, bella e invece si trovò di fronte una donna stupenda. Il carisma di chi sa il fatto suo, unito alla femminilità e semplicità che lui conosceva bene erano intatti e lei appariva attraente e unica come non la ricordava. I capelli neri legati con un fiocco rosso, gli conferiva freschezza al viso facendogli dimostrare qualche anno di meno di quelli che aveva. Il tailleur nero sopra il ginocchio, la cinta e le scarpette rosse con il tacco medio, gli davano quel tocco perfetto per farla diventare fantastica. Si sedettero nella piccola veranda mentre la radio sopra il frigorifero ava; “Amore che vieni amore che vai” di De Andrè. E si misero come d’incanto a canticchiarla insieme. L’aria era ancora tiepida per un fine settembre che tardava ad annunciare l’autunno, si guardavano, ed erano felici di quell’incontro atteso da sempre.
Capitolo X – Ada
Il prosecco era bello freddo e mentre i pesci si cuocevano sulla griglia, brindavano alla loro amicizia. Mangiando, bevvero anche un po di vermentino e felici ricordavano i vecchi tempi, quando a scuola erano fidanzatini con il primo accenno di bacio. Lei disse, con le mani nelle tempie: «Miki sai che ero pazza di te?» «Anche a me piacevi molto.» «Insomma, mica tanto.» «Perchè dici così?» «Ma che non ricordi? Eri innamorato della maestra!» E lui come folgorato: «Mi ero dimenticato…è veroo». Risero come due matti e lui gli diede un bacetto sulle labbra. Si guardarono, occhi negli occhi, si baciarono…e poi ancora. Finchè si ritrovarono a fare l’amore, come due pazzi…pazzi di desiderio. Poi in veranda davanti a un caffè, lei gli disse il motivo, per cui l’aveva chiamato: «Sicuramente saprai che nell’ambiente delle forze dell’ordine, si hanno contatti con malfattori, strozzini, trafficanti di ogni tipo, perchè a volte è il miglior modo per combatterli e perchè alcuni di loro poi diventano degli importantissimi informatori!» «Si, ho sempre pensato che sia così, ma che c’entra.» «Ehee amore mio. Devi sapere che anche nell’ambiente della sovrintendenza funziona allo stesso modo, con mercanti di opere d’arte, false o rubate. Vecchi
tombaroli. Falsari. Così sono venuta a conoscenza per caso che una grossa organizzazione a livello internazionale, sta monitorando i più importanti siti dell’era prenuragica e nuragica della Sardegna.» «Beh meno male, almeno sono più protetti!» «Si ok, apparentemente e mostrano anche delle autorizzazioni ma il fatto è, che il loro vero intento, spacciandosi per un’ente Onlus è quello di accaparrare reperti storici e archeologici, con la scusa di una fantomatica protezione a livello planetario». «Ho capito Ada, ma io come posso aiutarti?», «Fammi finire, adesso viene il bello! Per modo da dire!» «Una di queste squadre , reggiti forte…sta monitorando te!», «Cosa? Dai è uno scherzo!» «E lo stanno facendo da molto tempo! e hanno anche infiltrato dei Giuda, perchè è così che funziona il loro metodo, dicono che sono certi che tu sei a conoscenza di dove sono rinvenibili alcune reliquie, preziose di rilevanza mondiale, risalenti all’età nuragica e reggiti ancora più forte! Su questa cosa specifica, c’è una collaborazione strettissima con personaggi deviati, legati alla Cia americana.» «Ma qui stiamo alla fantascienza Ada!» «Lo so sembrava anche a me ma poi ho sentito anche che gli oggetti in questione, sono talmente potenti che potrebbero sovvertire gli esiti delle guerre a livello planetario!» A quel punto lui sconcertato, la mise seduta davanti a se e gli raccontò tutta la storia, per filo e per segno degli accadimenti degli ultimi giorni e della leggenda della nonna Lisa, che scatenò tutto, poi aggiunse: «Non ci capisco più nulla, che follia, per una camla poi.» «Si forse!» Disse Ada «E prima di sentire la tua storia anche io ero molto scettica, ma adesso…ragioniamo.» «Il pedinamento corrisponde, infatti ti cercavano al pozzo! E ti seguivano in mare quando stavi con Fernando.» «E anche i Giuda…altroché se ci sono!» Aggiunse lui. «Ma dimmi, tu parli sempre della camla che ti hanno rubato, ma la leggenda tramandata, da tua nonna parla se non sbaglio anche di tre statuette, ti hanno rubato anche quelle?» E Miki, come folgorato: «Le…», Ma lei capendo dall’espressione che avrebbe potuto dire qualcosa di compromettente, gli chiuse la bocca con una mano e lo
baciò e cominciò a fare dei mugolii come se stessero facendo l’amore. E gli disse all’orecchio: «Potremmo essere ascoltati!» Poi lui all’orecchio gli disse: «Le statuette, ecco perchè mi hanno salvato la vita!, non le hanno trovate!, mi ero dimenticato, avendo fatto un gesto d’istinto per la grande tensione del momento, che le misi dentro una specie di nicchia fra due massi nel pozzo!» Poi lui con un gesto della testa gli fece capire “Andiamo a prenderle” Ma Ada scuotendo la testa, disse: «Noo che sei matto? Devi mandare qualcuno di tua massima fiducia, ma fra qualche giorno». Dalla piazza arrivava il canto di un coro sardo, una melodia antica con accompagnamento di fisarmonica e launeddas. Il giorno dopo, eggiando insieme al mercato, Miki disse: «Fernando! Ecco chi ci potrebbe aiutare». Lo andarono a trovare la notte stessa. Lo trovarono che dormiva e si sentiva russare fortissimo nella cascina. eggiarono lungo la spiaggia e Miki gli disse che doveva trovare il modo senza dare nell’occhio di andare a recuperare dentro il pozzo, le tre statuette, spiegandogli i dettagli e che l’operazione era di vitale importanza perchè se chi aveva la piccola campana, entrava in possesso anche delle statuine, poteva scatenare qualcosa di irreparabile per il genere umano. Si salutarono. E loro due rimasero seduti un po su una roccia sulla sabbia ancora tiepida, a guardare quel mare d’incanto, con la luna che sembrava una “abat jour” su un’enorme letto luminoso e con delle piccole onde che gli carezzavano i piedi. Si baciarono a lungo, poi fecero l’amore, rotolandosi sulla sabbia. Poi quando si guardarono come erano ridotti risero sino alle lacrime. Un paio di giorni dopo, verso le nove di mattina, Miki sentì bussare alla porta, aprì ancora insonnolito, pensando che Ada, che era sempre mattiniera, avesse scordato le chiavi.
Capitolo XI – La trappola
Ma quando l’uscio fu spalancato si trovò di fronte tre persone. Il primo, più anziano. Vestito molto elegante con un completo “Fumo di Londra” papillon, bombetta, guanti di pelle nera e bastone, sembrava uscito da un film di 007. Parlando un’italiano discreto e con un fare da maggiordomo reale togliendosi la bombetta disse: «Buongiorno Mr Miki, mi chiamo Adam Miller, e questi sono due collaboratori, i signori Black e Jake. Facciamo parte della SSI; “Sos Story International”, fondazione che vanta milioni di iscritti in tutto il mondo. Creata negli U.S.A. Nel 2001, nientemeno che da quattro presidenti della White House e da innumerevoli senatori.» «La nostra missione è quella di salvaguardare e tutelare i beni storici e archeologici, riconosciuti come patrimonio dell’umanità e lei senz’altro saprà che tutto ciò che gravita attorno ai nuraghe ne fanno parte.» «Possiamo entrare?» E Miki, un po imbarazzato e intimorito dai due colossi a fianco di Miller, disse: «Pre…Prego, accomodatevi, vi posso offrire un mirto?». Una volta accomodato, Miller, continuò: «Intanto la ringrazio, ma ci è proibito bere in servizio. Allora, come le dicevo, signor… Miki…? » E lui con un sorrisetto da guascone: «Miki Mouse.» Miller fece una leggera smorfia di disappunto ma cercò di mantenersi calmo e disse: «Lei signore, ha voglia di scherzare, ma posso garantirle che ha di fronte persone che non amano per niente che ci si burli di loro.» E lui scocciato: «Senta signor Miller, ancora non capisco cosa vuole da me lei e questi due armadi, comunque, se volete fare i seri come dite, evitate di prendere in giro le persone, con nomi improbabili tipo “Black e Jake”». «Voi italiani, sempre con la voglia di polemizzare, mentre adesso potremmo cambiare il mondo!» Poi aggiunse molto comato: «Come può ben capire signor Miki la nostra organizzazione segue sempre casi molto delicati, quindi usare dei nomi di comodo per noi è la procedura.»
«Miller, mi tolga una curiosità, ma cosa intendeva quando disse” Possiamo salvare il mondo”» «Ehm, dicevo così per dire… Scherz…Beh, salvare e tutelare i beni archeologici, non è un po, salvare il mondo?» «E ci venite pure da oltre l’oceano? Miller? Io come tanti altri in quanto a tutelare i beni della Sardegna, non accetto lezioni da nessuno!» A quel punto Miller cambiò radicalmente atteggiamento e a denti stretti disse: «Allora signor Mouse o come diavolo si chiama, noi sappiamo che lei è in possesso di alcuni oggetti di rilevanza storica e li deve restituire subito, perchè sono di nostra proprietà!». «Miller, lei non ha nessuna autorità… ». Ad un cenno i due energumeni, tennero Miki per le braccia e Miller lo picchiò violentemente con il bastone, sul collo e sulle spalle, ma Miki, con un calcio glielo fece volare via, allora Miller continuò dandogli un calcio nello stomaco e poi una serie di pugni che lo fecero sanguinare copiosamente. E finito a terra, anche i due guardaspalle presero a dargli dei calci. Quando finirono, Miller si abbassò e gli disse a un’orecchio : «Scommetto che adesso non scherzi più, bastardo!». Fernando nel tardo pomeriggio, gettò l’ancora del suo gozzo in un punto non troppo distante dalla caletta è fece finta di pescare, ma intanto controllava tutta la zona per capire se c’erano movimenti sospetti. Vide solo una famiglia, con un bambino ed un cane, intenti a giocare e raccogliere conchiglie e piccoli molluschi su una micro spiaggeta più in la e con la barchetta, legata ad una roccia vicino a loro. Visto che la luce del giorno, stava per finire e anche la famigliola se ne andò, il nostro pescatore andò via, ma come girò il promontorio, spense il motore e ancorò nuovamente, a ridosso della roccia, per paura di essere visto. Poi pian piano si diresse nuotando a rana, verso il nuraghe che distava circa duecentocinquanta metri. Intanto, Miki, legato e incappucciato venne portato in un casolare abbandonato. I
due mastini lo gettarono senza riguardi su un pagliericcio. Poi sentiva dei rumori, strani fruscii, un crepitare di legna e poi qualche mugolio. Pensò “Ada? Maledizione!” Poi la voce di Miller: «Adesso, o parli, o la tua amichetta farà una brutta fine, però dopo il trattamento, la riconoscerai fra mille.» A già non puoi vederla, ma fra un po la sentirai urlare, come quando si ammazza un maialino.» Miki si divincolava ed emetteva mugolii prolungati di disperazione e sentiva anche quelli di Ada, misti al pianto. Intanto Fernando, con il chiarore della luna, non ebbe nessuna difficoltà, arrivò sulla spiaggetta, tenendo in mano il suo coltellino Sardo, per precauzione. Con circospezione si diresse dove c’era il foro nella roccia, rimosse le pietre che ostruivano il foro, accese la piccola torcia che aveva sulla fronte ed entrò. Pochi minuti dopo, prelevato il sacchetto, guardò all’esterno e rimase qualche altro minuto in silenzio. Poi uscì si incamminò per andare a rituffarsi, ma fatti pochi i gli venne tirata una grande rete da pesca che lo immobilizzò. Vide che si trattava di Paul e Lara, accompagnati da un nano che ridacchiava con un dobermann a guinzaglio. Capì che la scenetta della famiglia era tutto un trucco, poi Paul con un coltello tagliò un pezzo di rete, quel tanto per strappargli il sacchetto dalla mano, che lo stringeva, mentre gli diceva ridendo: «Ehi, Fernandino, stavolta nella rete ci sei finito tu».
Capitolo XII - Prigionieri
Poi con un cenno chiamò il nano con il cane, che una volta vicino alla rete incitò il dobermann di sbranare il povero Fernando, che infatti ricevette qualche morso, poi visto che si faceva troppa confusione, Paul, aiutato da Lara, lo caricò sulla barchetta della finta famiglia. Lo portò qualche metro al largo. I loro sguardi si incontrarono per un’attimo. Fernando faceva segno di no scuotendo la testa con disperazione. Ma senza nessuna pietà i due lo gettarono in mare. Miki aprì a fatica gli occhi, ma era buio pesto, si sentiva il volto tutto tumefatto e dolori in tutto il corpo, per un attimo pensò di essere morto, poi realizzò che era ancora incappucciato. C’era un silenzio di tomba, cercava di divincolarsi i polsi dalla corda che li stringevano e che gli facevano un male tremendo. Aveva anche un bavaglio, molto stretto. Fece qualche tentativo per cercare di rialzarsi e ci riuscì appoggiandosi alla parete. Poi a tastoni con i gomiti e la testa, pian piano cercava qualche sporgenza, lungo la parete. Si attendeva da un momento all’altro o una botta in testa o uno sparo, ma doveva continuare, non sapeva se quelli ancora stavano li ma sopratutto che fine aveva fatto Ada che non sentiva più i suoi lamenti ed era affranto al pensiero che le avessero fatto qualcosa di brutto. Poi ad un certo punto trovò quella che aveva tutta l’aria di essere una finestra in ferro aperta, cercò e trovò la maniglia e riuscì pian piano a togliersi il cappuccio. Quando riuscì a toglierselo, dopo un primo momento di spaesamento e accecamento, si rese conto di trovarsi in una masseria abbandonata che gli diede subito l’impressione di un posto conosciuto. Si guardò in giro e notò che quella che credeva una finestra in realtà era un portoncino che aveva l’angolo di battuta molto affilato, anche se arrugginito, cominciò così a seghettare la corda, che pian piano cedette, poi slegò la fune anche delle caviglie e finalmente era libero.
Trovò una spranga di ferro e brandendola, cominciò a girare per le stanze, finchè con terrore vide che Ada era appesa ad una trave tramite una corda, seminuda e non dava segni di vita, anche lei incappucciata e legata come un salame, il sangue gli macchiava tutta la maglietta e aveva tumefazioni in tutto il corpo, pensò; “Ma questi sono dei maledetti bastardi!” Poi sentì un rumore e si nascose dietro un cumulo di legna, un’attimo dopo entro uno dei colossi; Black, che fumando una sigaretta andò verso una finestra e ci si affacciò poggiandosi con i gomiti, subito dopo gli vibrò il telefono e rispose, parlavano in inglese e quella di Miki non era una padronanza perfetta, si limitava a quella del tipo commerciale e per il turismo, comunque fortunatamente il tipo parlava piano e capì tutto : «Le avete recuperate…ok, molto bene». Poi, accendendosi un’altra sigaretta: «Fra mezz’ora…ok, ti aspetto qui…Come? Ah si…si, allora mentre arrivi io finisco il lavoro! Poi mi avvio a piedi verso il mare». Miki ebbe un tuffo al cuore, avevano recuperato le statuette e qualcuno veniva a portarsi via fra mezz’ora la sentinella e poi…Finire “il lavoro” non poteva che essere: “Eliminare i testimoni!” Miki fu rapido al massimo e per fortuna l’energumeno gli dava le spalle, ma quando gli stava a circa cinque metri di distanza, forse un’ombra, un fruscio lo fece girare e mise mano dentro la giacca per impugnare la pistola, ma Miki gli assestò un colpo violentissimo con la spranga che in parte l’uomo deviò con il braccio ma che gli fece cadere l’arma. L’uomo lo agguantò per il collo e ridendo con la forza di un solo braccio lo alzò da terra mentre diceva: «Ma cosa vuoi fare…moscerino!.» Intanto Ada riprendendosi e sentendo gli avvenimenti urlava benché bendata e si dimenava. Di forze Miki ne aveva davvero poche ma sentendo che la compagna era viva, ebbe come un nuovo impulso vitale e riuscì con tutta la sua forza residua ad assestare un doppio schiaffo alle orecchie di Black, che mollando la presa rimase per pochi istanti intontito, questo bastò a Miki di impugnare la pistola e puntandogliela addosso, ordinò al colosso di tirare giù la donna, non appena l’ebbe fatto, l’uomo adagiandola per terra, raccolse un pugno di polvere e la tirò verso Miki che venne investito in pieno e non vedeva più nulla, poi si sentì prendere in un abbraccio violento che lo scaraventò a terra. Nell’ultimo disperato tentativo di difesa Miki esplose più colpi al fianco dell’aggressore.
Poi più nulla…Il corpo sopra di lui era immobile, capì che lo aveva colpito, aveva ucciso Black. Se lo tolse di dosso. Rimase un po in ginocchio, le mani piene di sangue nel viso. Pianse. Dopo andò a slegare Ada anche se ancora non vedeva bene, poi l’abbracciò era nuovamente svenuta, trovò una bottiglietta d’acqua evidentemente dell’aggressore e gli bagnò il viso, togliendogli anche un po di sangue, e con le lacrime disse: «Svegliati amore mio». E come per incanto lei si destò, si guardarono e malgrado il pericolo, il luogo si baciarono, tremolanti come due adolescenti al primo bacio. Poi lui aggiunse: «Ehi, tesoro, ti va sempre di scherzare a te, mi hai fatto prendere un colpo!». Fortunatamente sapeva a memoria il numero telefonico di Fernando che gli rispose con un respiro affannato, era da poco risalito sul suo gozzo e gli raccontò che Paul e Lara lo gettarono in mare avvolto in una rete e che se non fosse stato che in una mano aveva un coltellino non sarebbe qui ora a raccontagli i fatti. Miki gli disse: «Questi sono dei criminali senza scrupoli!, anche io e Ada abbiamo rischiato di essere barbaramente uccisi. Fernando! Ti ricordi quello che volevamo fare tre anni fa?» E lui: «Certo, ma…». «Si amico mio!, visto che loro usano la forza nel modo più atroce e barbaro!».
Capitolo XIII – A un o dalla morte
«Hai ragione Miki, se eravamo meno fortunati…io te e Ada, già non c’eravamo più. Farò come dici e con piacere! è l’unica soluzione». Poi Miki gli spiegò che stavano in un casale abbandonato e che gli sembrava familiare e gli spiegò che da li si vedeva il mare anche se un bel po lontano. Gli indicò anche la disposizione di qualche montagna rispetto a dove si trovavano loro. «Ci sei stato da bambino in quella casa, era di tuo zio, un fratello di tuo padre, “Antonio” che partì per la Francia e abbandonò tutto». «Mi sembrava di averla già vista! Aveva anche un pony e un somarello zio Antonio, ci avo qualche domenica credo». «Devi dirigerti al contrario del sole che sta tramontando, ma un po a destra, dopo vedrai il nuraghe». Miki intento a guardare dove sarebbe dovuto andare non sentì l’auto che arrivò dalla parte opposta della casa. E dopo un po vide Jack, che procedeva verso di lui imbracciando un “uzi”, piccolo e micidiale mitragliatore israeliano. Miki si nascose dietro una roccia ma quello avanzava e sparava, avanzava e sparava, senza sosta. Sparò a sua volta con la pistola ma finì i colpi e non aveva più pallottole di ricarica era alla mercé del killer. Arrivato a una decina di metri, il tipo si fermò, capì che miki era con l’arma scarica, Jack rideva: «Ehi, vieni fuori dai! non ti faccio nulla». Miki era terrorizzato, non poteva fare nulla, poi si sporse dalla roccia e vide con terrore che il bastardo stava togliendo la spoletta a una bomba a mano…Pensò “The
End!” Ma pochi istanti prima del lancio: “Bang…bang”. E subito dopo: “Booom”. Si affacciò di nuovo e vide con sorpresa che alle spalle di dove si trovava il tizio, c’era Ada che imbracciava un fucile da caccia cal. 12 semiautomatico, “Beretta”ancora fumante. E lui ancora impaurito: «Ma…ma come hai fatto!» «Non sapevo come fare, l’unica speranza era prendere la sua macchina e provare a ficcarlo sotto, invece non aveva le chiavi, poi ho visto il fucile…da ragazza qualche volta andavo alle pedane di tiro a piattello con mio padre, mi è servito». Poi lei gli raccontò che l’avevano rapita in modo discreto quando uscì dal fornaio al porto, dicendo che tu mi aspettavi in un posto. Non mi fidavo di loro ma temevo per la tua vita. Anche Miki gli raccontò le sue disavventure. Ada dopo averlo ascoltato disse: «Non esiste nessuna SSI, made in USA, inoltre noi come nazione abbiamo la sovranità riguardo i nostri resti storici e archeologici». Poi si avviarono verso la direzione consigliata da Fernando. Quando arrivarono su un’altura Miki riconobbe il nuraghe che si trovava un paio di chilometri da loro. Videro anche un gozzo con due persone che veniva dal porto e andava verso la caletta. Miki disse, indicando: «Fernando con l’amico artificiere». Ada lo guardò, non capiva, poi mentre si dirigevano sul posto, aveva capito che qualcosa di terribile poteva accadere nel nuraghe. Cosi lei, anche se con il fiatone disse: «Non oso pensare alle tante multinazionali…costruttori di armi, “Fabbricanti di morte!” Pagherebbero qualsiasi somma…per accaparrarsi degli oggetti di una potenza mostruosa che garantisca lo scoppiare di guerre a livello planetario, senza soluzione di continuità!». Miki anche lui stanco rispose: «Hai perfettamente ragione, ricordo che quel pallone gonfiato di Miller aveva una luce strana negli occhi quando gli sfuggì la frase: “Potremmo cambiare il mondo!», «Quel bastardo me la deve pagare per tutto il male che ci ha arrecato…E poi Lara…Paul, che infami traditori!, venduti al primo offerente. Schiacciando e infangando tutto, amicizia, sentimenti». Ada
ferita e dolorante, si accasciò più volte a terra, lui gli diceva di riposare, che sarebbe andato solo, ma lei con volontà ferrea, volle ogni volta continuare. Si accamparono per la notte perchè ancora non c’era movimento, in una grotta non lontana dal nuraghe che Miki conosceva. Da li si godeva un panorama superbo, si vedeva tutto il golfo con la spiaggia bianchissima, pochi stabilimenti balneari e qualche paese quì e là. Sotto a loro il nuraghe, si vedeva perfettamente. Quella sera c’era un leggero chiarore della luna, perchè un po velata da nuvole rade, tuttavia videro chiaramente la barca di Fernando che si avvicinò alla caletta, scesero tutti e due e salirono sul nuraghe, uno teneva un borsone. Dopo una ventina di minuti risalirono sulla barca e girato la collina la nascosero. Poi salirono anche loro il costone e si posizionarono in un punto strategico. A un paio di cento metri dal nuraghe e a circa trecento, dalla loro postazione nella grotta. Si guardarono Fernando e Miki, e si scambiarono un segno con la testa che indicava il procedere perfetto dei piani. Guardava tutto intorno se tante volte Miller avesse lasciato delle sentinelle ma evidentemente quelle che avrebbero dovuto controllare erano morte nel casolare abbandonato, infatti pensò: “Finisco il lavoro e poi mi avvio a piedi verso il mare”,così disse quel tipo”. Poi pensò: “Prima o poi li chiameranno!” Così spense i due cellulari dei guardaspalle di Miller, “Penseranno che siano scarichi”. Comunque dopo un po Miki tornò al casolare e prese dai cadaveri dei due killer i cappelli e qualche parte di indumento. Poi li mise, tenendoli con dei rami come se fossero a guardia della caletta e del nuraghe. Poi si curarono le ferite e si dissetarono, poichè nella grande Mercedes dei malfattori, trovò una cassetta di pronto soccorso che fu una vera e propria manna dal cielo, oltre a dei biscotti e dell’acqua.
Capitolo XIV - Un mondo da salvare
Le ore avano ma il posto era deserto, Miki e tutti gli altri covavano sicuramente dei dubbi: “E se avessero scelto un’altro sito per il rito? E se fossero ripartiti per poi tornare più tranquilli? L’unica speranza e che siccome l’operazione si era conclusa che stava facendo buio, avessero dovuto rinviare tutto al mattino o comunque alla giornata successiva. La notte ò senza sorprese e all’alba, lo spettacolo di quel paesaggio, che da dentro la grotta Miki e Ada ammiravano era di una bellezza sconvolgente che mozzava il fiato, forse emozionati da quella magnificenza, si baciarono promettendosi amore per tutta la vita, anche se quello fosse stato il loro ultimo giorno. Lei gli canticchiò, un po di “Sapore di sale” di Gino Paoli e si strinsero in un’abbraccio di ione. Per un po si sentirono come un re e una regina delle fiabe, nel loro regno. Come delle divinità di fronte al lavoro più ben fatto. E se anche non erano loro i creatori di tanto splendore, lo avrebbero protetto fino alla morte contro chi voleva annientarlo, seguendo dei vili e meschini calcoli economici. Per saziare i loro malvagi dii “Il potere e il denaro”. All’improvviso si destarono dai loro pensieri, perchè il silenzio venne rotto dal rumore assordante di un’elicottero, che apparve come per magia e che impunemente stava atterrando sopra la caletta. Ne scesero una decina di soldati di un corpo speciale, armati di tutto punto in tenuta da guerra, che guardarono verso l’alto e videro le figure di quegli uomini fantoccio. Accerchiarono il mezzo a mo di difesa, mentre le pale del velivolo rallentarono vistosamente, subito dopo ne scesero un po di persone. Oltre a Miller c’erano altre tre persone che avevano l’aria di essere molto importanti, accompagnate subito presso il nuraghe.
Si avvicinò anche una barca da cui scesero Lara, Paul, il nano e altre due persone mai viste e anche loro andarono dentro l’antico tempio-fortezza. Dalla grotta Miki e Ada vedevano tutta la scena, Miller indossava una tunica nera e mise al collo la camla d’oro su un piccolo altare con le statuette rivolte di spalle. Di fronte a lui Lara, Paul e il nano, armi in pugno, che controllavano se dal mare arrivava qualcuno. All’esterno e all’interno del perimetro, tutti i soldati, schierati facevano come un muro invalicabile, ognuno con il suo fucile d’assalto M4A1. La luna piena si liberò di una nuvola. Era tutto pronto per cominciare il rito, di quella che poteva diventare la terza guerra mondiale, quella del non ritorno. Dopo migliaia di anni di storia stava per accadere quanto di peggio l’uomo poteva dimostrare: “La guerra totale per soggiogare i popoli e sfruttare sempre più le risorse del pianeta facendolo diventare un guscio vuoto e arido. Appena Miki sentì Miller dire che erano pronti e di fare silenzio per il momento solenne, così da iniziare a pronunciare le parole del rito. Senza indugio uscì dalla grotta insieme ad Ada. Si alzò anche Fernando. Tutto si fermò, e tutti guardavano verso di loro, Lara, Paul vedevano increduli persone che ritenevano già sotto terra. Miller guardava i due fantocci immobili e impallidì. In un’attimo tutti capirono vedendo Fernando con un telecomando in mano e dallo sguardo freddo di Miki e Ada. La loro malvagità, l’arroganza e mancanza di pietà gli si stava rigirando contro nel modo più violento. Si raggelarono e come statue di ghiaccio, non riuscivano più neanche a battere le ciglia. Il dito schiacciò il pulsante e immediatamente ci fu un’esplosione tremenda che distrusse tutto, dilaniando i corpi all’interno e all’esterno del nuraghe. La violenza dell’esplosione sfondò anche la rete di radici che reggeva il vecchio crollo, così si spalancò l’enorme voragine del pozzo che tutto attrasse a se. Detriti e corpi, quelli non sbalzati via finirono tra le macerie in una tomba perpetua. Pochi minuti dopo arrivarono di gran carriera alcuni natanti della capitaneria di porto e varie forze dell’ordine che attraccarono alla caletta, portarono via i corpi e presero in consegna i feriti, per accertamenti. Nella confusione, Miki disse a Ada di andare al casolare, portandosi via gli
indumenti dei fantocci e aspettarlo li. Poco dopo il maresciallo Ferru si avvicinò a Miki, con in bocca il suo solito mezzo sigaro, lo guardò con un mezzo sorriso e gli disse: «Ehi Miki, cosa diavolo è successo quì. E lui gli disse che si apprestava a raccogliere qualche bacca e che vide il movimento strano nel nuraghe per quello chiamò in centrale. «E come ti sei fatto tutte quelle ferite!» «Ieri ho litigato per una donna di nome Lara al porto, con un mezzo straniero di nome Paul, che credevo un amico…penso che li conosci» Ferru annuì «Non sapevo che quelli avevano una storia! Poi sono andati via con il suo Jacht e addio…Che delusione». Ferru lo guardò: «Amico mio…E chi le capisce le donne!». Le indagini successive, portarono alla scoperta che il gruppo dell’elicottero, facevano parte di un’organizzazione che trafficava in opere rubate a livello internazionale. L’esplosione fu determinata da un’ordigno della guerra inesploso. Dei testimoni infatti; Un pescatore e un ragazzo locale, intento a raccogliere bacche di mirto, videro che un gruppo di persone armeggiava con qualcosa che sembrava una grossa mina. Era un tempo bellissimo il giorno che una mina spazzò via l’antico nuraghe, poi ricostruito dalla sovrintendenza. Ma poteva diventare il giorno più tremendo per l’intera umanità. Nessuno saprà mai dell’esistenza della camla, che rimarrà solo nei racconti dei nonni verso i loro nipoti che li guarderanno con occhi sognanti tenendoli per mano, mentre gli faranno vedere i primi i de: “Su ballu tundu”.
Indice
Cap. I Cap. II Cap. III Cap. IV Cap. V Cap. VI Cap. VII Cap. VIII Cap. IX Cap. X Cap. XI Cap. XII Cap. XIII Cap. XIV
La leggenda Sacrilegio e punizione Il caos – Perduta nel nuraghe Sogno e verità Il richiamo ancestrale Le meraviglie del mare Scoperta sconcertante Prigione e libertà Tradito Ada La trappola Prigionieri A un o dalla morte Un mondo da salvare
Personaggi : Miki Ada Lara Paul Fernando Miller Black e Jack Ferru Oddighe Pedra - Simus Coros, Silus
Archeologo, laureando Archeologa, Studiosa Ex di Miki, Archeologa Amico di Miki, Storico Pescatore amico di Miki Capo malviventi Guardaspalle di Miller Maresciallo Carabinieri Capo villaggio Profanatori camla Mercenari