La Borsa Dei Segreti 313zy

Giuditta Merari

La borsa dei segreti

UUID: ce0bbc0e-69ed-11e4-8d5c-ed5308d36374

This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com) by Simplicissimus Book Farm

Indice

I II III IV V VI VII VIII IX X XI XII XIII XIV

I

Era una sera umida, quella sera, come spesso succede nella “bassa” in novembre. La nebbia è la padrona indiscussa della pianura e guidare con lei diventa un problema per chiunque. Sue alleate sono anche le amministrazioni locali con le loro tempistiche discutibili. Le bianche righe sull’asfalto, un piccolo e utile ausilio per ogni guidatore, invece di essere rinnovate in maggio andrebbero riverniciate in principio dell’autunno, ma raramente in questa stagione si vota. Questa difficoltà, insieme al buio e appunto alla nebbia, hanno contribuito a rendere il viaggio problematico. Cosa sia successo non lo si sa, si conoscono appena le tristi conseguenze. Le deboli tracce lasciate sull’asfalto bagnato non aiutano la ricostruzione esatta dell’accaduto. Alcuni lampeggianti color arancione ruotavano nella nebbia lasciando una scia che si intrecciava con i lampeggianti blu di un’ambulanza e di alcuni mezzi della polizia. Questi ultimi però, più moderni, non ruotavano, erano fermi e ritmicamente si accendevano e si spegnevano con grande visibilità. Da questo intreccio di lampeggianti è emersa la gravità dell’incidente accaduto. Un altro intreccio, ma questa volta di plastica e metallo che uscito dalla carreggiata è finito in un grande fosso. Non va dimenticato che qui di frequente belle strade lunghe e lisce e confortevoli quando c’è il sole, diventano pericolose con l’umidità e il buio; ai lati enormi fossi sembrano attendere con voracità che qualcuno perda il controllo e ci finisca dentro. Tutto fortunatamente è stato fatto a regola d’arte, non c’è che dire, prima il soccorso umano poi le rilevazioni, le indagini del caso e il soccorso meccanico. Poi è arrivato il momento in cui ti chiamano, ti spiegano alcune cose e ti riconsegnano le cose care della vittima, quelle che si chiamano effetti personali, dei quali forse neanche sapevi l’esistenza perché in fin dei conti non sono tuoi. Entri in casa, sembra vuota, al contrario della testa che ti sembra piena soprattutto di tanta confusione. Appoggi sul tavolo tutto quello che ti occupa le mani e provi a sederti e a riordinare le idee ma sembra un’impresa titanica. Vorresti urlare, chiamare mille persone, telefonare a tanta gente, ma poi ci

ripensi e preferisci il silenzio. Sì, tacere forse è la cosa giusta da fare. Allora ti cambi gli abiti ancora umidi per la stagione e l’unica azione sensata che trovi da fare è accendere il camino e scaldarti a quel fuoco. Perché non si sa come sia, o meglio lo si sa anche se in quel momento non ci si pensa, ma il fuoco ha una capacità di attirare la nostra attenzione e di mettere in moto i nostri pensieri davvero unica e irresistibile. E pensi. Pensi talmente tanto che neanche te li ricordi tutti i aggi che la mente ha fatto in quei minuti. Eppure la sensazione è bella e confortante. E tra ravvivare il fuoco e ravvivare la mente il tempo scorre rapido finché crolli in un sonno profondo. La tensione accumulata durante la giornata e l’adrenalina in corpo per quanto successo ti lasciano quasi senza forze. Il fuoco però se non è alimentato si spegne. E quando le fiamme lasciano il posto alle braci e le braci lasciano il posto alle ceneri e il tepore lascia posto al freddo ti svegli quasi di soprassalto, dolorante alla schiena per la posizione scomoda, provi a fare mente locale di dove ti trovi e soprattutto del perché ti trovi lì per poi arrenderti alla notte e andare a letto.

II

Il sole in questa stagione sembra lontano parente di quello caldo e abbagliante di luglio. Eppure, vederlo al risveglio dà sempre un tono positivo, se non altro perché vince sulle nubi e sul grigio che in autunno troppe volte comandano. La giornata, nonostante tutto, sembra iniziare col o giusto, sembra. Oggi non vai al lavoro a sai bene che non è festa, sia perché non è domenica, sia per quanto successo la sera precedente. Il caffè ha un altro sapore; il suo profumo si diffonde ugualmente e piacevolmente per casa, ma ammettiamolo: il caffè dei giorni di festa è decisamente più buono, lo puoi gustare con più calma e meno bollente. L’assunzione della bevanda nera decreta l’inizio dell’ennesima giornata. Provi a riallacciare i fili del giorno precedente: la giornata ata al lavoro, la serata insieme a lei e…e la nebbia e l’incidente mentre rientrava a casa sua. Eh sì, certi fili si riallacciano facilmente, altri proprio non vorresti credere siano da riallacciare. Eppure adesso la mente è più fredda di ieri, ora puoi ragionare meglio su ciò che è accaduto e su quanto lei sia distante da te. Un abisso. Non ci vuoi credere. Eppure la realtà ti convince che quello che stai vivendo non è un brutto incubo. Ragioni su cosa devi fare, ma farlo camminando senza senso in giro per il soggiorno non aiuta. Uscendo in terrazza oltre a non migliorare i pensieri rischi anche di peggiorare la salute, che già non è il tuo forte. Rientri, ti siedi in una delle sei sedie che circondano il grande tavolo e provi a connettere. Dopo qualche minuto, che la psicologia definirebbe di puro delirio, appoggi i gomiti al piano di legno laccato, stringi la testa tra le mani, chiudi gli occhi umidi e ti lasci prendere dallo sconforto più assoluto e dall’impotenza più clamorosa. Non sai cosa fare e pensare. Alla riapertura degli occhi e quando le mani liberano la testa e le braccia tornano lungo i fianchi, ti lasci andare nello schienale della sedia in un leggero dondolio. Quasi fosse una culla ritrovi qualcosa di materno: la fiducia e la voglia di provarci. Il tuo sguardo vaga nella stanza, prima alle finestre per cogliere come fossi un pannello solare energia dalla luce che entra, poi alle porte da dove speri

arrivi colei che ti manca enormemente e poi sul tavolo, dove ieri sera al rientro avevi appoggiato mille cose. E cosa vedi? Le tue chiavi di casa e della macchina, il tuo cellulare che ormai scarico dalla notte reclama urgentemente una ricarica e la sua borsa che gentilmente le forze dell’ordine ti avevano affidato. Sei assalito da un insolito dubbio: aprire quella borsa, non per curiosità o alla ricerca di chissà che, o lasciarla chiusa e magari metterla via, nascosta in qualche armadio chissà fino a quale giorno.

III

La curiosità è donna si dice, ma non sai se sia sempre vero. Certo, sapere cosa pensa una donna desta molta curiosità. E proprio questo desiderio ti guida nel decidere di aprire quella borsa. Nella vita non hai mai avuto troppa decisione; invece in questa circostanza ti mostri sicuro e convinto. L’età più matura ti ha fortunatamente aiutato a prendere sicurezza. Qualche lustro fa era il timore a predominare, ora va meglio. Solo una leggera idea di compiere un atto quasi sacrilego percorre per pochi istanti la tua mente, ma poi ti decidi e procedi. L’operazione può sembrare semplice e banale, ma non lo è per niente. Un piccolo progetto su come muoversi occorre averlo. Un buon criterio sull’agire può venire da quelle che sono le tue motivazioni nell’iniziare questo viaggio. Non lo fai per quella curiosità pruriginosa che spesso muove le persone nel cercare informazioni senza senso, solo per il gusto di saperle e di sentirsi per questo superiori. Non lo fai come quelli che intraprendono una vacanza in paesi lontani non perché gli importi di quei luoghi, ma solo per il gusto di raccontare agli amici che li aspettano al ritorno di essere stati dove loro non potranno mai andare. E mentre sfoggiano un’abbronzatura dorata del tutto fuori stagione si gonfiano per l’esperienza avuta. Lo fai solo per non dimenticare, perché seppure siano ate solo poche ore, a te sembrano già troppe. Lo fai solo per imprimere meglio nella mente chi avevi al fianco e pensi che certo una donna non la conoscerai mai fino in fondo, ma dalla sua borsa puoi tentare di capirne una buona parte. Progettare però è troppo difficile soprattutto quando non si hanno chiari i numeri da gestire. Le tue sicurezze da persona matura da poco elogiate già vacillano in maniera quasi imbarazzante. Allora opti per una sorta di gioco che anni fa avevi

visto fare in uno dei tanti programmi televisivi che guardavi: a occhi chiusi metti il braccio dentro la borsa, provi al tatto a capire cosa ti capita tra le mani e infine la estrai per vedere se la previsione era corretta o meno. Trovare un tono scherzoso in un momento così triste può aiutare.

IV

Quell’oggetto di pelle aveva un colore indefinibile ma certamente molto versatile. Non sai perché ieri sera lei aveva scelto quella borsa tra le tante che possiede. Difficilmente una donna sa darti una risposta; se devono dirti un motivo, giusto per dimostrare di saperlo, la buttano sul fatto che quel giorno con quelle scarpe e con quei vestiti era la borsa adatta, ma la vera risposta, quella incognita alle donne stesse, non la si avrà mai. Una borsa non la decidi solo per il colore, ma per un misto tra le sue caratteristiche e quello che lei prova quel giorno. Non è una formula matematica insomma, ma un mistero tra accessori e psicologia, tra accessori particolari e psicologia particolare, com’è quella delle donne. Quella che hai davanti è una borsa decisamente grande, grande e pesante. Ti fai l’ennesima domanda alla quale né tu né il genere femminile sa rispondere: perché a volte le bastava uscire con una borsa più piccola di un astuccio da occhiali e altre volte non le era sufficiente un intero set di valigie? Anche questo enigma rientra nel tono scherzoso ora più che mai necessario e ti fa ricordare quella volta nella quale una domanda simile gliela facesti ricevendo però come risposta un’alzata di spalle e un mugugno imprecisato con il quale lei pose fine alla questione. Eravate andati ad una serata elegante, a teatro, e lei poté sfoggiare abbinato ad un elegante tubino nero, una luccicante pochette nera di vernice, come la punta delle sue scarpe coi tacchi. Lo spettacolo di quella uscita abbastanza mondana fu veramente interessante tanto che ne parlaste molto anche nei giorni seguenti con l’idea di partecipare ad altre serate di quel tipo. I vostri progetti li avevate poi realizzati: a volte in uscite più casual altre più raffinate a seconda della circostanza.

V

Non si può però vivere di ricordi. Il presente non è una borsetta da sera microscopica attraversata da una catenina cromata ma un’ampia borsa di pelle con un contenuto tutto da scoprire. La prendi per i manici in un misto di imbarazzo e di interesse e cominci il gioco. Tante domande ano nella mente, ma un’esclamazione simpatica, che ti strappa nonostante tutto un altro sorriso dalle labbra attraversa la tua testa: quanto pesa questa borsa! Un peso certo fisico di alcuni chilogrammi, tanto da domandarti se poi davvero le donne non siano così forti; e un peso non fisico per quanto li dentro ci sia una parte di lei che ti fa ammettere che davvero le donne sono forti, molto più forti degli uomini. Sanno sempre superare i momenti difficili e il mare in tempesta, te invece sei ancora spaesato, senza riferimenti e ti fai sballottare dalle onde. In questo maremoto immergi la mano destra e provi a pescare andando contro quella regola marinara non scritta che dice di non pescare col mare grosso e di pensare solo ad uscire dai pasticci il prima possibile. Hai coraggio, nei problemi ci sei già ma non ti basta e, ignaro di ciò che potrai trovare, peschi.

VI

La prima preda cade vittima dell’esca formata dalle prime falangi del tuo pollice e del tuo indice. Sei subito tentato di farla uscire per vedere cos’è, ma ti ricordi che il gioco al quale hai deciso di partecipare ha delle regole e vanno rispettate. Al solo tatto devi prima cercare di decifrare l’oggetto, poi verifichi e ti assegni l’eventuale punteggio. Fai venire in aiuto anche le altre dita, l’unione fa sempre la forza. Si tratta di qualcosa di rigido e sottile, di poco spessore e tutto sommato leggero. Capisci la forma tondeggiante dell’oggetto e percepisci su una sola faccia una sorta di bordo, un piccolo scalino che lo percorre lungo tutto il perimetro. L’altra parte è piana, priva di alcun dettaglio rilevante. Dalla forma non ti viene nessuna idea, o meglio te ne vengono troppe tra le quali scegliere. L’aiuto fondamentale per tentare una risposta ti viene dal tatto. Senti che una parte è più fredda dell’altra, proprio quella col gradino. Puoi allora osare la prima risposta e dentro di te dici di avere in mano uno specchio. Estrai il braccio e con soddisfazione ti accorgi di aver cominciato bene. Un piccolo specchio di plastica bordeaux te lo conferma. La mente è fresca, puoi subito lanciarti in tanti pensieri. I primi non sono molto edificanti perché li riferisci immediatamente alla vanità che un tale oggetto richiama e per rincarare la dose ricordi il celebre episodio della favola di Cenerentola con la strega cattiva ossessionata dall’essere la più bella del reame. Un momento di titubanza poi ti ricredi sull’avere la mente fresca. In una frazione di secondo riassumi le favole ascoltate nell’infanzia e ti accorgi dell’errore: la strega è in Biancaneve! Poco importa pensi, ma avanzi diverse attenuanti per giustificarti. Il problema da scacciare tuttavia non è quello di conoscere le favole, che magari possono essere più adatte ad una memoria femminile, è convincerti di stare bene, di vivere questo momento difficile senza esitazioni. Invece sei proprio confuso. Oltre al legame con la vanità vuoi anche trovare un qualcosa di positivo in questo specchio. Chissà quante volte lei si è lì specchiata. Magari di fretta, prima di incontrare qualcuno nel lavoro per controllare di essere a posto col trucco e parrucco; o in macchina mentre aspettava che il semaforo da rosso diventasse

verde; o in ufficio molto probabilmente dopo la pausa pranzo per controllare che la dentatura fosse libera da chissà quale residuo e che il suo sorriso splendesse in tutta la sua bellezza, perché lei aveva proprio un bel modo di sorridere. Il pensiero più dolce però ti viene immaginandola mentre in quel frammento di vetro si ammirava gli occhi. Non solo per controllare quel filo di mascara sulle ciglia ma anche perché dei suoi occhi verdi andava orgogliosa. Giustamente ti guardavi spesso gli occhi, vorresti dirgli. Eh sì, come per te anche per lei era impossibile abituarsi ai suoi occhi belli. Solo ora comprendi perché se li rimirava assiduamente.

VII

Appoggi lo specchio sul tavolo e provi a procedere con un nuovo misterioso oggetto. Riaffondi la mano nella borsa e provi a frugare un po’ pensando a quanti oggetti ancora dovranno essere analizzati. Questa volta provi una pesca detta a fondo, un’azione difficile che spesso può creare problemi in quanto l’amo può incagliarsi, ma che è ottima per una pesca di qualità. La tua esca, sempre costituita dalle tue dita, sfiora tanti oggetti finché si ferma su uno di essi: è qualcosa di informe. Per rimanere nella metafora salmastra e marinara diresti che assomiglia ad un mollusco con numerosi tentacoli, rigidi però. Muovendolo, soprattutto per il rumore prodotto, è facile intendere che tra le mani hai un mazzo di chiavi. Di chiavi ne vedi alcune semplici, quasi uguali sia nella forma che nella dentatura; altre non sono cromate ma puoi distinguere almeno tre colorazioni: verde, arancio e rosso; altre hanno la forma della testa, quella che le unisce all’anello di metallo, quadrata invece che tonda. Poi ne spuntano due molto più lunghe e imponenti, quasi solenni. Non hanno una dentatura lunga ma hanno un finale quadrato con qualche fessura da ambo i lati. Le paragoni al re e alla regina negli scacchi: le figure più autorevoli e solenni. Ma anche loro hanno una differenza fondamentale. Una è costituita da un pezzo unico; l’altra ha una particolare costruzione nella testa che le permette di far scorrere la chiave e are da un finale all’altro, un movimento che ti ricordi lei usava fare spesso, soprattutto quando era più nervosa e pensierosa. Non lasciava tintinnare le chiavi muovendole in modo indiscriminato perché sapeva che quel rumore ti infastidiva, ma il gioco con quella chiave lunga e le due possibilità di apertura lo praticava spesso. Il tuo paragone nel mondo degli scacchi regge: il re è abbastanza rigido e lento nei movimenti, compie poche cose, apre una porta sola, ma ha un valore inestimabile, se lo perdi hai perso la partita. La libertà di movimento è una caratteristica della regina; essa ha diverse possibilità: può difendere il suo re oppure giocare d’attacco, sta a lei scegliere qual è la strategia migliore. Anche in questo caso ti tocca ammettere quante volte lei è stata la tua regina, ti ha difeso e

protetto e tu, seppur impacciato, eri davvero il suo prezioso re. Insieme eravate veramente nel vostro regno, senza territorio e senza sudditi, ma meraviglioso. Le lasci cadere sul tavolo facendole cadere per una decina di centimetri. Al contatto con la superficie emettono un brusco rumore metallico per poi adagiarsi immobili e confuse sul piano.

VIII

Riprendi la ricerca e t’imbatti in un parallelepipedo soffice e compatto. Facilmente lo riconosci come l’immancabile pacchetto di fazzoletti di carta. La sua versatilità è pressoché infinita. Nella consuetudine le serviva pochi giorni all’anno nei quali era colpita da un fastidioso raffreddore, ma nel resto del tempo le hai visto usare quei panni di carta per ogni sorta di improvvisata pulizia e lavaggio. Da quella volta che in una eggiata in bicicletta fuori porta per ripristinare la catena caduta ti eri annerito le dita con la morchia appiccicosa a quell’altra in cui prima di sedervi su una panchina pubblica per evitare future e certe macchie nei pantaloni accarezzava le assi verdi e ricurve togliendo ogni impurità. Anche in questi semplici gesti emergeva la sua delicatezza e il suo amore per te. Non puoi certo dimenticare l’uso più malinconico che le hai visto fare di quei fazzoletti. Quando i suoi occhi, i più belli per te, si rimpicciolivano e si inumidivano prima di sgorgare in un pianto. Era una cosa rara, ma qualche volta l’hai sorpresa a piangere e quando sapevi che era per colpa tua ti sentivi insignificante, anche se quel tuo ostinato orgoglio solo poche volte ti ha fatto chiederle scusa. Dopo qualche singhiozzo e respiro profondo che preannunciavano il pianto, le prime gocce si formavano piano piano sulle ciglia e quando erano troppo pesanti cadevano quasi rimbalzando sopra i suoi zigomi e poi a terra. Solo dopo alcuni istanti si creava come un piccolo rigagnolo che tracciava dall’estremità esterna dell’occhio al mento il suo volto. In quei momenti il suo sguardo paradossalmente raggiungeva gli apici della tenerezza. Poi un altro singhiozzo e un fazzoletto ava ad asciugare quelle lacrime salate e lei in pochi istanti smetteva di piagnucolare. Una cosa derivante dal suo piangere però l’hai sempre pensata e ora la riporti alla memoria. Il pianto delle donne è un altro elemento che le contraddistingue dagli uomini. Può sembrare strano, ma secondo te le donne piangono meno degli uomini dimostrandosi ancora una volta più forti. Non sai se numericamente quello che pensi sia corretto, ma certo sei convinto che una donna mentre piange sa già come uscire da quel momento brutto, ha già la possibile soluzione per andare oltre, un uomo invece, a malapena deve ancora capire cosa gli sta

succedendo e gli vuole più tempo per riprendersi. La riabilitazione sentimentale femminile, per l’occasione inventi questa espressione, è più rapida di quella maschile. Il dolore è vissuto in maniera totalmente diversa, e comunque in modo assurdo possiede un fascino sia in lei che in lui.

IX

Il ritrovamento dell’ultimo oggetto ti ha lasciato un po’ di amaro in bocca. Per ora non hai voglia di proseguire nella ricerca e decidi di prenderti una breve pausa. Solo qualche attimo per distendere le gambe e percorrere alcuni i nel terrazzo lungo e stretto di casa. Appena uscito ti accorgi che l’autunno è ormai avanzato, rientri per prendere un giaccone e ando in atteggiamento di sfida punti minaccioso lo sguardo alla borsa sul tavolo. Il vostro è ormai un duello serrato. Pensavi si potesse risolvere in poche battute e invece ti accorgi che ogni oggetto li contenuto è un’arma a doppio taglio: ti ferisce sia il ricordo di lei che ora non hai accanto, ma ancora più tagliente è il pensare alle occasioni sprecate, quelle che non ritornano più, nelle quali potevi farti sentire più vicino e attento; dentro di te lo eri ma faticavi nel farlo trapelare all’esterno. A ricordarti le temperature non più estive è anche il vapore che ti esce dalla bocca mentre respiri. Quella nuvola a velocemente e si dissolve in fretta davanti ai tuoi occhi mentre osservi alcune persone impegnate in mansioni quotidiane. In un terrazzo poco distante dal tuo, all’altezza del secondo piano, vedi una signora che appende con cura i panni nello stendino e quando ha finito l’opera rientra per uscire subito dopo ad annaffiare due vasi di gerani ormai a fine corsa; poco più sotto, a livello della strada, un uomo col cappello sta spazzando l’ingresso del palazzo eliminando le ultime foglie cadute dagli alberi. Gesti semplici, quotidiani, ma per te sono straordinari. Tu a quell’ora a casa non ci sei abitualmente e mai pensi a queste persone che gratuitamente si adoperano per rendere anche la tua città più bella. Due gerani certo non richiamano migliaia di turisti, le foglie secche tolte dal marciapiede non modificano la planimetria del tuo quartiere, ma sapere che c’è ancora qualcuno che generosamente fa le cose per il gusto di farle, non per un tornaconto, ti fa piacere e ti rende anche orgoglioso di abitare nel tuo paese. Chissà se anche tu, una volta terminato di lavorare, sarai in grado di imitare queste persone e non sarai più dominato dall’egoismo e dall’avidità che inevitabilmente la professione che svolgi t’induce ad avere.

Sfreghi le mani una dentro l’altra, fai ancora qualche respiro profondo per incamerare più aria fresca possibile e decidi di rientrare. Giusto il tempo di bere un sorso di acqua e la sfida può ricominciare.

X

Ad aspettarti trovi ancora lei, la borsa. Ma il vostro rapporto sta cambiando. Da nemici non siete ati ancora ad essere amici, vi trovate in quella mezza via nella quale comprendi che alla fine la sua presenza ti è anche utile. È vero che per un verso ti sta scavando sempre più una ferita già profonda e più che aiutarti a rimarginarla sta facendo uscire ancora più sangue; ma d’altra parte ti sta aiutando a far emergere ricordi e sensazioni che altrimenti non sentivi ed in questo allevia molto il dolore generato dalla sua assenza. Un po’ come quando metti il ghiaccio dopo aver preso una botta. Sai bene che il male c’è e rimane, ma per qualche istante quei cubetti trasparenti di acqua gelata subito ti fanno sospirare e poi hanno un effetto lenitivo quasi vitale. Ecco, gli oggetti finora raccolti sono un po’ come piccoli pezzi di ghiaccio, taglienti ma rigeneranti, che non puoi trattenere e da consumare in fretta prima che spariscano in una banale pozzanghera. La ricerca può riprendere. Ti risiedi al posto di combattimento e procedi con le stesse regole di prima. D’altronde hai sempre odiato chi cambia le regole del gioco dopo il fischio d’inizio. Questa volta la tua mano destra si imbatte in un oggetto piuttosto grande. Morbido e ruvido nella giusta misura. Riconosci facilmente che esso è un astuccio perché quella che al primo tocco di dita ti sembrava una sorta di minuscola spina dorsale capisci essere una cerniera. Pensi a quel breve viaggio che per lavoro facesti in Russia, a Mosca, qualche tempo fa. Non avevi molto tempo per visitare la città, ma qualche ora un giorno la trovasti e nel cercare un souvenir simpatico da portarle comprasti una matrioska rossa di cinque pezzi. La dinamica è la medesima: un contenitore grande con dentro uno più piccolo e via via così. Anche il clima è simile, freddo e glaciale era il termometro russo come lo è ora il tuo cuore. Non hai ovviamente in mano una bambola di legno ma questo astuccio ti incuriosisce. Lo apri senza accorgerti di assumere la stessa espressione di un bambino davanti ai regali di Natale. Quello che ti colpisce immediatamente non è ciò che vedi ma

il profumo che dall’astuccio fuoriesce. Un misto di fragranze buono e delicato. Su un lato dell’astuccio ben fermati da un elastico trovi delle matite incappucciate di lunghezza diversa. Nell’altra parte un po’ in disordine vedi diverse boccette più o meno colorate e una piccola spugna. Ecco un tipico oggetto femminile: la trousse coi cosmetici. Lei è una persona sincera e onesta, non ha bisogno di trucchi per apparire o per farsi notare ma quello che è contenuto in questo astuccio di tela le serviva più che altro per evidenziare qualche lineamento del viso e molto più spesso per nascondere i segni della stanchezza che in determinate giornate velavano il volto. Era un trucco leggero il suo, appena accennato che rispecchiava così anche il suo modo di essere, discreto e dolce. Proprio per questo non pensi si meritasse quanto accaduto la sera prima. Beh, veramente nessuno, neppure il peggior nemico, se lo meriterebbe, pensi.

XI

La mano torna a cercare. Riprovi ad andare nel fondo scansando volontariamente alcuni oggetti che senti di dimensioni considerevoli e dandogli appuntamento a più tardi. Provi ad ispezionare vicino ai bordi e proprio in un angolo della borsa senti di aver a che fare con qualcosa di apparentemente piccolo. Pure questo oggetto è informe, si lascia piegare a seconda della pressione che fai. Senti come delle piccole sfere dure. Hai la curiosità di spiare anche solo un attimo là dentro, ma il bello del gioco a proprio attraverso il rispetto delle regole che ti eri dato. Riaccendi la fantasia e provi a fare ipotesi. Non ti viene davvero in mente nulla, allora continui a prillare quella cosa indecifrata aiutandoti anche con l’anulare e il mignolo, ma niente. Sembrano delle perle chiuse in un morbido anello con una sorta di prolungamento che esce da questo cerchio. “Eureka!” esclamerebbe Archimede. Un’intuizione l’hai pensando ad un orecchino. Lei infatti, fin da bambina si fece bucare i lobi delle orecchie nei quali far are qualche pendaglio luccicante alternandolo a qualche perlina o a qualche anella di varie dimensioni e fogge. Una cosa perché ti dia vera soddisfazione non deve essere facile da ottenere. È strano, ma più fatichi per ottenerla più sei soddisfatto. Questa scoperta, stavolta davvero impegnativa, ti aveva fatto dubitare; avresti fatto fatica ad arrenderti senza trovare la soluzione, orgoglioso e testardo come sei. Estrai l’orecchino e lo appoggi insieme alle altre cose sul tavolo. Sorpresa delle sorprese. Corrucci la fronte, sgrani gli occhi, abbassi le due estremità delle labbra ed ammetti la sconfitta. Quello che hai davanti non è un orecchino, bensì un cerchio con dieci palline di legno e attaccata una croce, anche lei di legno. L’idea di essere entrato nel suo intimo ti spaventa. Le fede delle persone la ritieni una cosa molto privata e da rispettare. Quel rosario appena estratto ti imbarazza.

Eppure di fede ne parlavate spesso e non era un argomento tabù come in altre coppie. Pensavi di avere accanto una donna forte e guardando a questa decina del rosario non tentenni su questa idea di lei, anzi le dai sostanza. La sua forza forse le veniva proprio dalla fede, vissuta con sobrietà e decisione, mai sbandierata per imporla a chissà chi e mai rinnegata qualora ci fosse da prendere posizione. Era davvero una donna molto equilibrata. Non sai la frequenza con la quale queste perle di legno avano tra le sue dita; se tutti i giorni o solo in certi momenti particolari. Certo ricordi che puntualmente il mese di maggio faceva il fioretto di pregare individualmente il rosario ogni giorno e sapevi così di essere nelle sue preghiere e di non dover temere nulla. Davvero una donna grande quella che ti eri scelto e che ti aveva scelto.

XII

Quegli oggetti che prima non hai considerato ora ti stanno aspettando. Sono facili da prendere perché di grandi dimensioni. Il primo è un altro astuccio rigido e molto bombato. È quello che contiene gli occhiali. A dire il vero la sua prima missione era quella di custodire gli occhiali da sole, ma lei era riuscita con un particolare incastro a far sì che li dentro stessero anche quelli da vista. I tuoi begli occhi giustamente li dovevi proteggere dai raggi del sole e da quanto di nocivo vaga invisibilmente nell’aria. A te però faceva piacere quando li indossava perché soprattutto proteggeva i suoi occhi da quegli sguardi che con gelosia non volevi vedessero le sue pupille incantatrici. Eri già caduto tu davanti a quegli occhi verdi e non volevi cadessero altri. Il tuo però non era altruismo era gelosia e lo sapevi benissimo. Ti piaceva molto anche la sua leggera miopia. Era costretta infatti in certe occasioni, per mettere a fuoco qualcosa di distante, a stringere un po’ le palpebre e a tracciare ai lati degli occhi quelle sottili rughe che simpaticamente sono dette zampe di gallina. E quando questo movimento del viso non bastava inforcava gli occhiali da vista, distendeva i muscoli superiori della faccia e guardava. Gli occhi verdi venivano incorniciati da un rettangolo nero e assumevano un tono più professionale e serio senza perdere, anzi aumentando, la carica attrattiva. Non era solita usarli, li riteneva scomodi soprattutto quando nelle lenti si veniva a formare un fastidioso riflesso, vuoi per particolari condizioni di luce, vuoi per quella distanza che separa l’occhio dalla lente. Era ben lontana dall’avere problemi di vista, ma sapeva che soprattutto al termine della giornata, dopo diverse ore ate al computer del lavoro, aiutavano a distendere lo sguardo e a faticare meno. In casa li indossava meno solennemente e non per vanità, ma in modo efficace se si doveva guardare qualche cosa alla televisione. Per fortuna di quell’elettrodomestico nessuno dei due ne faceva largo uso, preferivate uscire e incontrare dal vivo gli amici e la gente. Tuttavia, specie nelle serate fredde imposte dal generale inverno, vi scaldavate a vicenda davanti ad un bel film. E capitava che lei si sapeva anche commuovere per qualche trama triste o per dei lieto fine inaspettati. Di tanti film visti assieme la maggioranza si concludevano

con una piacevole sorpresa e mai come adesso pensi con malinconia alla tua vita che non è un film e la quale sembra essere entrata in un buio e interminabile tunnel senza uscita, senza lieto fine.

XIII

Decidi di estrarre ancora un ultimo oggetto. Dal punto di vista emotivo questo gioco non lo credevi così coinvolgente. Ti ha stancato il cuore e ti ha stancato fisicamente. Estrai allora l’altro grande oggetto che tante volte in questa mattina avevi sfiorato e riconosciuto ma che apposta avevi lasciato. Quello che tiri fuori sembra proprio un figlio di quella borsa: stessi dettagli e stessi colori. Il suo portafoglio era elegantemente abbinato alla borsa. L’idea della matrioska precedentemente affiorata ti sembra ancora più aderente a questo articolo. Se prima quello scrigno conteneva dei trucchi, questo ha un contenuto molto più prezioso. Non ti riferisci ai soldi, perché lei, com’è tradizione delle donne, di banconote con sé ne portava poche. Un’usanza che tante volte hai provato a farle cambiare, ma con scarsissimi risultati. Non c’è peggior conservatrice di chi si crede la più grande ribelle, pensi. La preziosità del portafogli sta nei documenti che porta e in un oggetto che stai per scoprire, non nei soldi contenuti. Il ritrovamento di questo oggetto ti fa meditare sul suo uso spensierato ma molto femminile dei soldi. Non significa che fosse una dalle mani bucate, ma di certo se qualche acquisto le balenava nella mente in poco tempo l’avrebbe fatto suo; soprattutto se si parlava di moda e di accessori. Era capace di spendere cifre anche considerevoli per accaparrarsi qualcosa da te ritenuto superfluo senza invece curarsi di altro per te indispensabile. L’esempio più lampante, e ti viene da dire universale, quasi un elemento genetico che distingue il dna di una donna da quello di un uomo è la bramosia per un vestito rispetto alla superficialità nella scelta dell’auto. Qui sì che le discussioni si erano accese. Quando tu pensavi alla possibilità anche remota di cambiare automobile lei ti distoglieva dicendoti che il nuovo modello non aveva niente di diverso da quello vecchio, sempre quattro ruote, gli stessi sedili e via discorrendo. Ma se tu provavi a dirle che un certo abito alla quale lei ambiva non aveva nulla di più di altri venivi accusato di non capire. E finiva sempre che tu la macchina non la cambiavi e lei il vestito lo acquistava. Chissà

perché? E sorridi. Dentro il portafogli ti aspettava una sorpresa, graditissima. Non erano le mille carte plastificate e rigide tutte ordinate una sopra l’altra come una scala coi gradini piatti. La più in alto fa capolino su quella più in basso con appena un centimetro colorato. Con alcune pagava, con altre collezionava migliaia di punti in numerosi punti vendita illudendosi di ricevere regali e agevolazioni, che spesso le costavano più di quanto le veniva omaggiato. Non sono le tintinnanti monete racchiuse in una piccola sacca chiusa con una cerniera. Ci sono monete brune, altre dorate, altre composte da due colori. Tra di loro hanno lo stesso valore, ma siccome coniate in paesi diversi, hanno immagini disparate e fai fatica a trovarne due perfettamente identiche. Quello che ti aspetta è quel cartoncino quadrato che trovi quasi soffocato in mezzo a due banconote da dieci euro. Sarà largo un paio di centimetri e siccome la sua altezza è circa il doppio della larghezza la quantifichi in meno di cinque centimetri. È sgualcito, consumato, vissuto. Lo guardi e ti vedi, un po’ più giovane e con qualche chilo in più. È una tua piccola foto che la tua piccola – nomignolo con la quale ogni tanto la chiamavi – conservava gelosamente e segretamente nel portafoglio. Che sorpresa! Sei quasi in estasi, ti tocca ammettere di essere stato colpito al cuore. Il colpo mortale però doveva ancora arrivare. Giri la fotografia e ci trovi una scritta d’inchiostro rosso. Con la sua rotonda calligrafia aveva scritto “my love”. Due parole su due righe e al posto della vocale “o” aveva disegnato un cuore piccolo e pieno. Lei inconsciamente sfidava tante cose. Prima di tutto la modernità, una foto di carta in un mondo ormai dominato dal digitale ha un qualcosa di romantico. Il tempo a e la tecnologia è capace di fartelo notare come poche altre realtà. Sembra quasi maleducata ma alla fine i benefici che ti porta te la fanno guardare con ammirazione. Poi sfidava i tuoi dubbi. A volte ti eri tenuto dentro alcune perplessità sulla vostra vita insieme e sul vostro possibile progetto di mettere su famiglia. Pensavi, sperando comunque di sbagliarti, che lei ti tenesse meno in considerazione di quanto tu non fi con lei. È bastata una banale foto per

spazzare i tuoi dubbi e renderti contento. In più, se prima in quel piccolo specchio bordeaux avevi visto per un momento riflesso il tuo volto ora la scoperta è toccante alla massima potenza perché puoi capire come lei ti pensava. Chissà in quali momenti andava a frugare tra le banconote per guardarti e chissà quante volte l’avrà fatto ripetendoti “my love”. Domande senza risposta, felicemente senza risposta.

XIV

Il tuo autocompiacimento è alle stelle, puoi tranquillamente ammettere di non capire nulla e puoi tergere le lacrime le quali a tua insaputa e fuori dal tuo controllo escono copiose dagli occhi. Questo stato quasi irreale viene interrotto da un suono che mai come in quel momento ti sembra fastidioso: il trillo del cellulare. Lo avevi collegato al caricabatteria e alla presa della corrente ed ora era rinato, come quando tu uscivi dalla doccia dopo un’intensa sessione di allenamento sportivo. Nel display appaiono una serie di numeri che non provi neanche a decifrare. L’unica cosa sensata che pensi è che non hai memorizzato in rubrica il numero del tuo interlocutore. Decidi di rispondere. È il centralino dell’ospedale che ti chiede la facoltà di parlare col primario del reparto di terapia intensiva. Ti vuole aggiornare sulle condizioni di salute di lei. Ieri sera quello che ti avevano detto era che la situazione era molto delicata e grave e non sai spiegarti come mai nella tua testa avevi sintetizzato tutto con la parola fine. Sei sempre stata pessimista, il bicchiere lo hai sempre visto mezzo vuoto e anche per questo la telefonata ti giunge inaspettata. Provi a balbettare qualche parola ma visto il mediocre risultato ti metti semplicemente in ascolto e in maniera inebetita rispondi con un mugugno ad ogni frase del primario finché lo ringrazi e premi il pulsante rosso del telefono per chiudere la chiamata. Non credi alle tue orecchie. Quell’uomo, da te immaginato magro, vestito con un camice bianco e degli occhiali appesi con una catenella al collo, ti ha detto che la notte è stata più che positiva. Dopo le prime cure le reazioni della paziente sono state quanto mai positive e ora la diagnosi può essere delineata con più precisione e con più ottimismo. Dal tunnel nel quale eri entrato la sera prima sembrava spuntare una luce di speranza. Proprio quando avevi pensato che tutto fosse compromessoe perduto ritorni felicemente sui tuoi i. La potrai rivedere.

La potrai riabbracciare. La potrai ribaciare. Tutto però non sarà come prima. Non tanto per le condizioni nelle quali lei si ristabilirà, ma per come l’hai conosciuta attraverso quella borsa, ora amica. Non pensavi di avere accanto a te una persona così importante e bella. Dovrai ricambiare le sue attenzioni con maggior impegno e non sai se tutta la vita ti basterà per fare pari con quelle che lei ha avuto per te. Poco importa, sei messo davanti a questa responsabilità che non vuoi deludere. Le lacrime ora sono di gioia e di incredulità. Ributti tutte le cose che avevi messo sul tavolo nella borsa, strappi il cellulare dal caricabatteria e giusto il tempo di infilare il giubbotto che sei già in macchina verso l’ospedale. E mentre percorri il tragitto con un sorriso scolpito nelle labbra ti chiedi se mai le dirai di questa mattinata, se mai le confiderai di aver guardato dentro la borsa. Non lo sai se glielo dirai, certo tu non potrai fare a meno di vivere ignorando questo segreto.