Simone Panzeri
Confessioni di uno speaker
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Table of contents
Ho deciso di confidarmi. La prima diretta Sono solo in casa. Due anni E' l'una di notte. Milano E' un po' che penso. Il tempo scorre Sono ati giorni. E' lunedì notte. Anni felici Ho appena finito. Ti scrivo da un ipad. Avevo bisogno di Sono le sette di sera. Qualche problema Sono appena tornato. Periodo di transizione
E' un giorno triste. Inghilterra Non ti saluto mai. Ecco tutto. Nuova radio Sono appena rientrato. Momenti Difficili E' un pomeriggio splendido. Valentina E' una fresca serata. Ritorno a Milano Ciao caro diario. Radio Sound E' notte fonda. Ormai siamo amici. Routine E' una giornata di festa. Laura Oggi è una fantastica giornata. Relazioni finite Questa mattina ho ricevuto un messaggio.
E' notte. Sbalzi d’umore Ti scrivo così mi distraggo un po'. Basta non prendersela Ti scrivo in questa sera. Cambiamenti Lo sai che non succederebbe niente. Si vivesse solo di inizi. Nuove esperienze Come stai? Mi sono preso una pausa. Difficile Buon ascolto. E' un periodo. Lenta ripresa Senza più emozioni Sono via. Mesi Difficili Così non va Io abbastanza bene. Nuovo orario
Quotidianità Ci siamo, siamo arrivati alla fine. Ringraziamenti
“ Ma come diceva lui, non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia e qualcuno a cui raccontarla”
NOVECENTO
Chi ha paura di sognare, è destinato a morire. BOB MARLEY
Ma non serve aumentare la definizione per vedere più grande un coglione. DANIELE SILVESTRI
Ho deciso di confidarmi.
Caro diario, ho deciso di confidarmi con te e ogni volta che lo faccio metto un disco per farmi compagnia. Ogni tanto un vinile, ogni tanto un cd ma, devo ammettere, non disdegno questi moderni mp3. Il vinile ha sempre il suo fascino, però spesso mi devo alzare dalla sedia per cambiar lato così da interrompere la scrittura; poi perdo il filo, la poesia, la concentrazione e scrivo solo stronzate. Le canzoni in mp3 sono comode, le puoi caricare dal computer, ascoltare all’infinito in base a quanta musica hai, però io penso che, nella mia vita, ho comprato più musica che pane. Oggi sto suonando Joe Henry, Blood from stars, e appena parte Channel, la traccia numero 3, mi fermo per ascoltarla e apprezzare le sue fantastiche melodie. Ho deciso, alla mia non giovane età, di scrivere un diario, modernamente chiamato blog, perché ho voglia di raccontarti come ho vissuto questi 30 e a anni di carriera radiofonica. Non sono mai diventato uno speaker di fama internazionale anche se ci sono andato vicino più volte senza mai riuscire a fare il famoso grande salto. Penso che mi sono sempre difeso bene e che ho molte cose da raccontarti sul mezzo di comunicazione che più ho amato. Ho iniziato a far radio quando bastavano un microfono, delle cuffie e i giradischi. Non c’erano computer, non c’erano lettori cd perché non esistevano i cd, non
c’erano messaggi o mail o social network, non c’era nulla, o quasi, di tutto quello che c’è adesso. C’era la musica e la voglia di raccontare qualcosa. Si andava in onda per divertimento senza pensare che potesse diventare un lavoro. Nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno le radio sarebbero diventate così potenti da poter trasmettere in tutta Italia. Senza poi considerare che con internet possono arrivare in ogni angolo del mondo. Eravamo solo dei ragazzini che avevano pensieri confusionari e che provavano a dire qualcosa davanti ad un microfono. Il risultato era quello che era, però al massimo potevano sentirci ad un km di distanza dallo studio radiofonico. Se penso che ho scritto “studio” mi vien da ridere. Era una stanza con un tavolo, due giradischi, un paio di cuffie, un microfono e un po’ di vinili. Questa era la radio e questa, ogni tanto, è la radio che vorrei ascoltare di nuovo. Ragazzi che parlano di musica e che, senza ambizione alcuna, si divertono con semplicità. Ricordo la prima diretta con la stessa emozione e la stessa sudorazione. Eravamo in cinque in una stanza di dieci metri quadrati. Ad un certo punto, appena prima di andare on air, Ciccio, guardandomi dall’alto dei suoi venticinque anni, mi sposta con arroganza perché mi ero messo davanti ad uno dei due giradischi.
La prima diretta
Ad un certo punto, appena prima di andare on air, Ciccio mi guarda dall’alto dei suoi 25 anni e mi sposta con arroganza perché mi ero messo davanti ad uno dei due giradischi. - Cazzo Gianluca ti ho detto più volte che non ti devi mettere qui. Sei il più piccolo e non puoi pretendere di fare quello che facciamo noi. In questi momenti lo odiavo, però sapevo che senza di lui il progetto della radio non sarebbe mai nato. Una delle tante domeniche pomeriggio ate in piazzetta con la bottiglia di cedrata tra le mani, Ciccio ebbe la brillante idea di voler diffondere musica in tutto il paese. Nessuno, ascoltando bene le sue parole, aveva immaginato che si trattasse di un qualcosa simile ad una radio. Tra me e me, e per fortuna che non ho espresso la mia opinione per non fare la figura di merda del secolo, ho pensato che lui volesse andare sul campanile e, con qualche marchingegno collegare un giradischi alle campane così da diffondere Have you ever seen the rain dei Creedence Clearwater Revival in tutto il paese. In realtà lui non avrebbe mai messo un pezzo simile. Se ci fosse stata una votazione, io e Valentina, la ragazza di Ciccio, avremmo messo i Creedence, Janis Joplin, i Pink Floyd, Elton John o musica simile. Tutti pezzi melodici e godibili a qualsiasi età. Lui, Mena e Yuri avrebbero pestato giù duro. Sarebbero saliti con dischi dei Deep Purple, di Jimi Hendrix, degli Stooges o, per essere romantici e melodici, secondo i loro standard, un disco dei Kraftwerk. Non ho nulla contro questi artisti o la loro musica, però penso che le mie scelte
fossero un po’ più popolari e meno da fattoni. Non ci vedo Don Lorenzo che si muove facendo la air guitar su un pezzo degli Zeppelin. Piuttosto lo immagino cantare Signor G, mentre si prepara per la messa. Comunque non c’è stato questo pericolo visto che il mio pensiero, per fortuna, è rimasto nella mia testa. Ragazzi, ho un’idea che farà notizia in questo paesino di quattro anime. Faremo la rivoluzione senza essere dei rivoluzionari contro lo Stato. Abbiamo bisogno di poche cose, di tante idee e di poca vergogna. Nessuno di noi capiva cosa avesse in mente Ciccio. Il fatto era che, essendo lui il più vecchio e quello che prendeva decisioni a nome di tutti, noi non ci permettemmo di dire nulla. Solo Mena, dopo non poca esitazione, provò a dire - Si, ma alla fine cosa significa? Non si capisce nulla di quello che vuoi fare. Ciccio lo guardò male perché lui pensava d’essere stato chiaro. Secondo me si era anche un po’ pentito d’averne parlato con noi, però visto che eravamo cresciuti insieme non avrebbe mai potuto escluderci dal suo progetto. - Voglio fare una radio. Ho già in mente il nome. Ci fu un lungo attimo di silenzio. Nessuno sapeva se era meglio parlare, se era meglio dire cosa pensassimo della sua idea o se era meglio stare zitti. Scegliemmo l’ultima soluzione, all’unisono, senza accordarci. Come al solito avrebbe pensato lui a tirarci fuori da ogni imbarazzo. - Si chiamerà Radio Compa. - Radio Compa? - rispondemmo tutti in coro. - Ma si, siete i soliti idioti che non capiscono un cazzo. Radio Compagnia è troppo lunga, quindi Radio Compa penso che sia l’ottimo compromesso.
Iniziammo a turno una serie di domande. Yuri disse: “ Ma come facciamo a fare una radio? Qualcuno di voi - rivolgendosi a tutti noi - ha in mente da che parte si comincia?” Ciccio rispose che aveva già delle idee e bastava trovare un posto per iniziare a scatenare l’inferno in quel paesino. Iniziò a raccontare tutto quello che aveva già pensato e parlava sentendosi un messia che portava la Parola di Dio. Noi ascoltammo e io, di nascosto, guardavo Valentina. Mi era sempre piaciuta ma non avevo mai avuto il coraggio di provarci. Era fidanzata con Ciccio da almeno 5 anni però l’avevo sempre vista sofferente in quella relazione ed ero sicuro che lei fosse insieme a lui solo perché era il più grande ed era quello che faceva più il figo. Era l’unico con una macchina e l’unico che poteva permettersi la frase: “ o a prenderti sotto casa”. Noi al massimo ci spostavamo in bicicletta e lei sicuramente preferiva appoggiare le sue rotondità sul morbido sedile di un’automobile che non sulla canna di una bici. La guardavo ogni giorno e, ogni giorno, fantasticavo rapporti sessuali con lei. Puntualmente, una volta entrato in casa, concludevo l’amplesso solo con la mia mano anche se lei era nella mia testa tanto quanto nei miei ormoni. Quante pippe pensando a lei e quanta vita regalata venendo nel lavandino. Ogni tanto penso che se avessi messo incinta ogni ragazza con tutte le seghe che mi son fatto, adesso sarei padre di una nazione grande come la Cina. Guardavo Valentina di profilo e vedevo le sue tettine che puntavano dritte verso l’infinito. Ad un certo punto Ciccio smise di parlare e mi fissò. In quell’istante mi cagai addosso perché capii d’esser fottuto.
Invece la fortuna o il destino, scegliete voi, mi salvarono. Mi chiese semplicemente cosa ne pensavo dato che ero il più esperto di musica. - Penso che sia una bellissima idea - dissi con la voce un po’ rotta di chi sa che ha rischiato la pelle - però dobbiamo capire bene come fare perché servono più persone e noi siamo solo in cinque. - La solita risposta del cazzo da uno che non ha mai le palle per dire quello che pensa veramente - ribattè Ciccio. - E' quello che penso, e per dimostrartelo porterò i dischi e andrò in onda. Mi pentii all’istante di quello che avevo detto, però pur di non fare il cagasotto di fronte a tutti, e soprattutto, di fronte agli occhi di Valentina, buttai lì la prima cosa che mi fosse venuta in mente. In realtà non avevo mai pensato alla radio, e anche se ero molto apionato di musica, non sapevo nemmeno da che parte iniziare un discorso davanti ad un microfono. Ero l’unico che aveva finito le scuole perché Ciccio lavorava nel panificio del padre da quando aveva 13 anni, Yuri faceva il meccanico di moto ancor prima di iniziare a camminare, Mena non si capiva come viveva perché non aveva un lavoro, e Valentina non c’entrava con il progetto radio. - Le donne sono escluse, ovviamente - aveva detto Ciccio dopo aver buttato lì l’idea della radio. Io ero l’unico con un diploma e cercavo un lavoro come geometra. Ero quello che se la cavava meglio con l’italiano, però, in fondo in fondo, Ciccio non aveva poi tutti i torti nel dire che ero un cagasotto. Non ho mai preso una decisione e ho sempre avuto paura di affrontare la realtà ed ero il solo che a vent’anni non aveva ancora limonato. Ciccio ne aveva 25 ed era fidanzato, quindi presumo che con Valentina avesse limonato e non solo, Yuri poteva bullarsi in giro per il paese con moto sempre diverse prese in prestito dall’officina in cui lavorava e, questa cosa, non lasciava
indifferenti le ragazze, mentre Mena era quello bello e dannato. Pur non facendo un cazzo da mattina a sera aveva quell’aria sbattuta che faceva cadere le ragazze ai suoi piedi. Io ero il più piccolo, però a vent’anni ero ancora vergine. Il contatto più ravvicinato con una donna fu quando mia mamma, per salutarmi, usava baciarmi fuori da scuola. In quel caso mi dava anche un po’ fastidio perché mi vergognavo mentre ora potrei pagare per avere un solo bacio dal gentil sesso. Il pomeriggio trascorse parlando, con le voci e le idee che si sovrapponevano, di quello che avremmo voluto e dovuto fare per essere nell’etere entro un mese da quella data. Andai a casa con la mia bicicletta, entrai, salutai i miei genitori che già mi aspettavano per cena però, prima di sedermi con loro, andai in bagno per mantener fede al mio rapporto sessuale immaginario con Valentina. Cinque minuti dopo ero seduto a tavola, come se niente fosse, per mangiare l'ottimo minestrone di mamma. Non ne avrei mai parlato con i miei genitori anche perché Radio Compa per adesso era solo un’idea, e come tale doveva rimanere della compa. Nei giorni seguenti ebbi molto tempo per pensare visto che non avevo ancora un lavoro. Con gli altri ci si trovava il sabato e la domenica pomeriggio perché durante la settimana ognuno aveva i propri impegni e non ci si vedeva quasi mai. In realtà io non avevo un cazzo da fare, però per non esser sempre preso di mira mi fingevo indaffarato. Avevo pensato ad alcune idee carine e avevo organizzato i vinili. Il sabato successivo alla domenica in cui Ciccio aveva illuminato tutti noi con l’idea della radio, arrivai in piazzetta con una borsa piena di dischi. - Ma che cazzo fai con tutti quei dischi?- disse Ciccio con la sua gentilezza disarmante.
- Ho portato qualche pezzo così possiamo discutere su cosa mettere in onda come prima canzone. Non vorrai mica lasciare tutto al caso? - gli chiesi sapendo che la scelta musicale era troppo importante e poteva determinare un buon successo per l’inizio di Radio Compa. - Sei il solito imbecille che vuol far sapere a tutti cosa stiamo facendo - disse Yuri. Mi stupii molto della sua risposta perché lui non era solito a queste uscite. Si vede che Ciccio aveva avuto un’influenza troppo forte su tutti noi. Rimasi un attimo in silenzio e dopo un po’ d' imbarazzo iniziai a parlare. - Secondo me se vogliamo iniziare bene questa nuova avventura e, se vogliamo conquistare subito la gente del paese, dobbiamo iniziare con Tanto Pè Canta’ o con Fiori Rosa Fiori di Pesco. E' importante mettere un pezzo che tutti conoscono così li invogliamo a stare incollati alla radio. Se partiamo con qualcosa di straniero, perdiamo subito ascoltatori come le vecchiette che ci ascoltano mentre pregano e tengono il rosario tra le mani. Nessuno si aspettava questa mia decisione nel parlare e nello scegliere in maniera così decisa i pezzi. Ciccio si avvicinò a me e mi diede una pacca sulla spalla dicendomi: - sei un imbecille ma se ti impegni puoi dire cose intelligenti. Smisi di tremare e fui contento del mio gesto. - Gianluca sceglierà le canzoni, Yuri seguirai la parte tecnica della radio, Mena ti occuperai delle frequenze e io, parlerò a tutto il paese. Sapevo che alla fine sarebbe andata così. Ci rimasi un po’ male perché parlare era il mio obiettivo, però ero sicuro che prima o poi sarei finito davanti al microfono con le cuffie in testa. Fino ad una settimana prima non avevo mai pensato alla radio, ora era diventata un’ossessione. Nelle settimane seguenti fummo tutti presi nei preparativi della diretta.
Yuri recuperò dei giradischi rotti ma riuscì comunque a sistemarli. Uno era un Krundall Tahiti e l’altro un Teppazz Tourist. Quest’ultimo era in una valigetta pronto per essere trasportato in viaggio. Una cosa molto figa, da ricconi, che a noi andava benissimo per essere lasciato sul tavolo in maniera del tutto statica. Con quelle attrezzature non potevamo certo diventare i migliori, però potevamo diffondere idee e musica nel paese. Yuri li trovo’ in discarica mezzi rotti, li prese e li aggiustò, così almeno una cosa era pronta. Mena si organizzò per capire come si poteva fare con le frequenze. Non lavorando aveva molto tempo libero per pensare e provare ad utilizzare tutto quello che avevamo recuperato e che serviva per andare in onda sui 90.5 mhz. Era emozionante pensare che da lì a poco avremmo avuto una nostra frequenza e avremmo potuto trasmettere qualcosa, anche se ancora non sapevamo cosa, però eravamo consapevoli che mancava poco. Ognuno pensava ai propri compiti e io, ogni giorno in maniera ripetitiva, mettevo e toglievo i dischi dalla borsa pensando alla giusta sequenza musicale. Come dicevo, avevo in mente un disco italiano per iniziare ma ero molto combattuto su quale potesse colpire l’attenzione della gente. Giravo tra le mani i dischi di De Andrè, De Gregori, Lucio Dalla, Giorgio Gaber, Lucio Battisti, Mia Martini, Loredana Bertè, sco Guccini e altri mostri sacri che periodicamente compravo su 45 giri per poi ascoltarmeli a tutto volume in camera mentre mia madre imprecava perché perdevo tempo con la musica al posto di uscire a cercare un posto di lavoro. L’attenzione cadde su un disco di Celentano. Era il 45 giri che da un lato aveva Due nemici innamorati, ma dall’altro aveva il pezzo che cercavo da giorni: Chi non lavora non fa l’amore.
Appena presi in mano quel disco capii che era fatto apposta per provocare stupore e, allo stesso tempo, sconcerto tra la gente. Era un pezzo che si portava dietro molte polemiche per via del testo, però in fondo era così orecchiabile che diventava impossibile non apprezzarlo. In testa canticchiavo l’inizio: “ Chi non lavora non fa l’amore...” e io, disoccupato da quasi un anno, ero più felice perché pensavo alla mia verginità con la scusa del non lavoro. Non mi facevo tutti questi problemi visto che avrei iniziato a fare l’amore non appena avrei trovato un lavoro ed era solo questione di tempo. A volte l'autoconvinzione era l’arma migliore. Nei giorni successivi continuai la mia personale scelta dei dischi. Ci trovammo, come ogni fine settimana, in piazzetta per parlare della settimana trascorsa e per fantasticare sul nostro futuro. Ognuno di noi aveva dei sogni incredibili e fu solo con il are del tempo che ci accorgemmo che, sogni erano e sogni rimasero. Per adesso la radio occupava gran parte dei nostri pensieri e quello bastava per accantonare ogni nostra utopica aspirazione. - Ho trovato il disco perfetto per iniziare l’avventura di Radio Compa - dissi con molta convinzione. - Ho deciso di mettere il pezzo di Adriano Celentano, Chi non lavora non fa l’amore. Ci fu un attimo di silenzio e di stupore. Ciccio mi guardò e con il suo sorriso da bastardo mi disse - l’hai messo perché sei l’unico che non lavora e non fa l’amore, almeno hai una scusa valida per non farti prendere per il culo. Si misero tutti a ridere e questa cosa mi diede molto fastidio. Dissi che l’avevo scelto perché era un pezzo che poteva far discutere e che avrebbe dato ottimi spunti per iniziare un discorso.
Lui rispose che io blateravo parole confuse e che, comunque, quel disco andava bene indipendentemente dal motivo. Alla fine era lui quello che parlava, quindi erano fatti suoi se non aveva argomenti una volta aperto il microfono. Il pomeriggio ò parlando del posto in cui avremmo potuto mettere tutte le nostre attrezzature. Per adesso ognuno aveva le cose in casa che iniziavano a diventare ingombranti e c’era il rischio che i genitori, di lì a poco, avrebbero fatto domande troppo scomode. Decidemmo di portare tutto in officina da Yuri lasciando i giradischi e i trasmettitori sotto un telo nella speranza che suo padre non li avrebbe trovati. Avevamo molte idee, però erano tutte irrealizzabili senza un luogo che potesse essere usato come studio. Ad un certo punto mi venne in mente un’idea che poteva dare la svolta positiva a quel noioso pomeriggio affogato in bottiglie di cedrata e stronzate dette a caso. - Perché non facciamo lo studio nella vecchia filanda? Mena mi guardò tra il serio e il faceto dicendo - è una buona idea anche se è una ditta dismessa. - Appunto, per quello lì possiamo trasmettere senza essere beccati e senza che nessuno venga a disturbarci - risposi con molta convinzione - e poi lì non diamo fastidio perché la fabbrica è in disuso da parecchi anni. Nel giro di dieci minuti fummo tutti davanti alla rete che separa il parcheggio della ditta dalla strada che porta al centro città. Scavalcammo stando attenti a non farci vedere dalle perpetue di paese. Le porte erano tutte rotte quindi non fu un problema entrare. Girovagammo un po’ per la ditta cercando di capire quale fosse il posto migliore dove piazzare il tutto per iniziare a cambiare il mondo, almeno questo era quello che pensavamo riguardo a Radio Compa.
Dopo un po’ arrivammo nell’ufficio del direttore. Era ampio, con un tavolone in legno e una poltrona di quelle che avevo visto solo nei film americani. Senza parlare capimmo che quello era il posto perfetto. Iniziai a pensare come sistemare i giradischi per facilitarmi con i cambi e non lasciare troppo spazio vuoto tra un pezzo e l’altro. Ciccio si mise sulla sedia come un vero direttore e iniziò a fantasticare sulla posizione che avrebbe assunto per trasmettere le sue idee a tutta la città. Yuri pensò che il tavolo potesse reggere senza problemi il peso dell’attrezzatura e Mena provò a capire se il segnale potesse essere trasmesso da quello studio fino al punto più alto della città. Valentina guardava stupita e non parlava. In quei momenti l’avrei abbracciata per poi baciarla fino allo svenimento, mentre quel coglione di Ciccio era più impegnato a farsi bello davanti a noi che non a render felice quella bellissima ragazza. Uscimmo dalla fabbrica che era quasi buio. Andammo a casa tutti contenti per via della soluzione trovata. Io entrai e mi diressi verso il bagno per espletare la mia quotidiana abitudine di scopare con me stesso. Dopo poco, anzi pochissimo, andai in cucina per cenare con i miei. Era sempre strano pensare che fino a pochi minuti prima ero in bagno con una mano sul mio pisello e poco dopo la stessa mano, spesso non lavata con accuratezza, asse il pane ai miei genitori. Mi son sempre promesso che da mio figlio non vorrò mai avere un pezzo di cibo toccato dalle sue mani dopo che è uscito dal bagno. In via del tutto eccezionale quella settimana ci fu una riunione per decidere come
e quando partire. Ciccio venne a prendermi con la macchina sotto casa e così fece con tutti gli altri. Valentina non fu invitata. Ci trovammo in piazzetta per discutere su come potevamo affrontare la prima diretta. Era mercoledì sera e dopo un paio d’ore decidemmo che la nostra radio doveva aprire i battenti entro i prossimi dieci giorni. Fu così che il sabato successivo, alle 21, fu tutto pronto per trasmettere il primo pezzo e la prima trasmissione di Radio Compa. I dieci giorni che arono tra quel mercoledì e il sabato della diretta furono così veloci che nemmeno capii cosa stesse succedendo. So che quel sabato fu un giorno speciale. Mi svegliai prestissimo, verso le sei, dopo una notte insonne. Decisi di fare una moka di caffè. Ero agitato e non avrei dovuto bere il caffè ma non avevo alternativa perché i miei genitori bevevano più caffè che acqua. Avevo iniziato a bere l’oro nero già a dieci anni perché per mamma era salutare e mi aiutava nella concentrazione scolastica, per papà era un toccasana perché mi considerava un rincoglionito e pensava che la caffeina potesse darmi una svegliata. Dopo la colazione uscii a fare due i per schiarirmi le idee. Avevo riato la scaletta a memoria e sapevo bene cosa dovevo fare. C’eravamo trovati in settimana per provare a fare tutti i collegamenti. Yuri portò i giradischi e li collegò in modo che la musica potesse diffondersi nell’etere e non solo in quella stanza. Provammo a collegare il microfono e le cuffie, e ogni volta che qualcosa funzionava, ci abbracciavamo come dei
bambini dopo un gol sul campo dell’oratorio. Era tutto pronto e Mena, in cima alla collina riuscì a portare a termine il collegamento. Arrivò in bici tutto sudato per la fretta e l’ansia. Dovevamo solo provare per capire se ci fossimo impossessati dei 90.5. - Dobbiamo solo mettere un disco per vedere se trasmettiamo qualcosa, non possiamo parlare perché se qualcuno sente può insospettirsi - disse intelligentemente Ciccio. Siccome io ero il deejay, presi un disco dalla borsa e lo misi sul piatto. Non un disco qualsiasi. Scelsi Let it Bleed dei Rolling Stones. Un 33 giri del 1969. Era proprio un capolavoro. Misi l’ultima traccia, la più lunga. Avevamo bisogno di qualche minuto per uscire dalla fabbrica/studio, e capire se stessimo trasmettendo qualcosa o se il fruscio avrebbe continuato imperterrito sulla nostra frequenza. Partì You can’t always get what you want e noi uscimmo di corsa per sentire se tutto funzionava. Appena sentimmo le note della canzone sui 90.5 scoppiammo in lacrime abbracciandoci da amici veri. Quella fu la prima cosa a cui tutti noi partecipammo con il cuore, e fu il primo dei tanti “ brick in the wall ” che mettemmo nella nostra vita. Avevamo creato qualcosa di nostro ed eravamo estremamente orgogliosi. Ascoltammo tutto il pezzo. Erano 7 minuti di canzone ma ci sembrò durare solo
pochi secondi. Appena entrammo in studio mi misi al microfono, senza accenderlo, e raccontai il perché di quella canzone. - Il primo pezzo di Radio Compa è You can’t always get what you want dei Rolling Stones perché parla di una storia accaduta in prima persona a Mick Jagger, il cantante di questa fantastica band che si trovava in un pub quando ordinò una Cherry soda. John Birkemeier, allora studente e barista della Ball State University, rispose che non disponeva di ciliegie per realizzare il cocktail. Mick lo guardò esterrefatto e John disse: “ You can’t always get what you want”. Quella fu l’ispirazione per il testo del fantastico pezzo appena ascoltato. Buona serata a tutti e buon ascolto, qui, su Radio Compa. Rimasero tutti a bocca aperta. A turno, prima Yuri, poi Mena e infine, con molta incredulità, Ciccio, mi abbracciarono pensando che fu un peccato che quel discorso non si diffuse in tutto il paese. Io dissi che l’avevo fatto solo perché sapevo che il microfono era chiuso e che non avevo l’adrenalina della diretta. Tolsi il disco dal giradischi, lo rimisi nella borsa, tornai a casa a piedi per assaporare un po’ di tepore serale. Mi sentivo intoccabile e avrei potuto camminare sulle acque come Gesù Cristo. La mattinata del fatidico sabato trascorse senza intoppi. Alle due del pomeriggio ero già in studio e sapevo che ci sarei rimasto fino alla fine della trasmissione, prevista per le 23. Decidemmo di iniziare con due ore, dalle 21 alle 23. Per farci un po’ di pubblicità lasciammo di nascosto dei biglietti con scritto: “ Sabato sera, sui 90.5, Radio Compa accenderà le vostre case diffondendo musica e parole in assoluta libertà.”
Eravamo molto vaghi su cosa fosse e su chi avesse progettato il tutto. Verso le 19 arrivarono tutti gli altri. Mena portò otto birrette, un paio a testa. Decidemmo di berne una subito e una dopo la diretta per festeggiare ed eravamo convinti che, in ogni caso, avremmo dovuto festeggiare la nostra prima puntata. Aprimmo le birre e iniziammo a parlare di quello che Ciccio avrebbe potuto dire. Lui era teso, nervoso e non era il solito. Non era quello che prendeva decisioni a nome di tutti, quello con le spalle larghe, l’unico fidanzato con prospettiva di famiglia, quello che scopava più di tutti. Non era il solito. - Ciccio tutto bene? Dai che tra mezz’ora apri il microfono e fai vedere a tutti chi sei e cosa pensi - gli dissi per incoraggiarlo. Lui mi guardò, e forse per la prima volta non mi insultò. Mi diede una pacca dicendomi che avrebbe voluto avere la mia sicurezza. - La fai facile tu. Alla fine io parlo mentre tu scegli solo la musica. - mi disse con aria di sconforto. - Però guarda che hai scelto tu i ruoli e hai scelto tu di fare lo speaker. Adesso non ti puoi tirare indietro e non puoi lasciarci nella merda perché ti caghi addosso - disse Yuri in modo molto serio. Valentina, che a quanto detto non doveva essere ammessa in quanto donna, guardava il suo Ciccio con molta comione. - Non mi sto cagando addosso, è solo che non è come parlare la domenica in piazzetta. - Vedrai che alla fine sarà la stessa cosa. Dopo il primo intervento non vorrai più fermarti. - gli dissi per cercare di capire se colui che era sempre stato il più figo
del paese, avesse ancora i coglioni o se cercasse di nascondersi con la coda tra le gambe. 20.59, il disco era pronto e io lo tenevo fermo con la mano. Appena sentimmo il rintocco delle 21 la mia mano lasciò il 45 giri del molleggiato per far suonare, in tutto il paese, Chi non lavora non fa l’amore. Fu così che partì la prima diretta di Radio Compa. Iniziò l’ultima strofa e feci segno a Ciccio di prepararsi. Celentano cantava: “ Dammi l’aumento signor padrone ” e da lì a pochi secondi il pezzo sarebbe sfumato per lasciar spazio al nostro primo intervento. Ciccio era immobile, non rispondeva e aveva lo sguardo perso nel vuoto. Gli dissi che doveva mettersi le cuffie e aprire il microfono per iniziare quest' avventura. Già immaginavo la figura di merda di tutti quelli che erano all’ascolto. Avevamo fatto pubblicità dicendo che avremmo diffuso le nostre parole in libertà, talmente in libertà che chi doveva parlare si sentiva libero di non farlo. In quel momento, a trenta secondi dalla fine del disco, guardai Mena e gli dissi di correre al microfono. Lui mi disse di no e a posteriori fu un’ottima idea. Sapeva quattro parole in croce e non avrebbe mai potuto fare un discorso di senso compiuto. Guardai Yuri e lui, anticipandomi, mi disse che si metteva ai piatti al posto mio e io avrei dovuto mettermi le cuffie e aprire il microfono. In meno di dieci secondi ero on air. - Buona sera a tutti da Radio Compa. Abbiamo iniziato questa trasmissione con un pezzo italiano molto discusso ma che è conosciuto da tutta la gente di questo piccolo paese. Stasera inizia una nuova avventura che vi terrà compagnia tutti i sabato sera, che vi farà conoscere musica internazionale e renderà liberi i
pensieri di giovani ragazzi che hanno la ione della radio. Il discorso continuò per tre minuti circa e feci le lodi ai miei collaboratori spiegando che la radio era più affascinante della televisione per via dell’immaginazione data dall'assenza di immagini. - Dopo Celentano vorrei farvi ascoltare un pezzo di Bob Dylan, Like a Rolling Stones. Lo ascolto insieme a voi e poi vi spiego il significato. Questa è Radio Compa e io sono Luke on the night. Spensi il microfono, ascoltai le prime note della canzone, e mentre Bob cantava Once upon a time you dressed so fine, tolsi le cuffie e feci un gran respiro. Erano tutti sorpresi dal mio intervento e Valentina mi disse che Luke on the night era un nome proprio figo. In quel momento sentivo che avrei potuto farla mia per sempre, peccato che Ciccio, lo stesso che prima, con arroganza, mi disse di spostarmi dal giradischi perché ero troppo piccolo, aveva la testa tra le sue mani in segno di sconfitta. Un po’ come quando i genitori accarezzano il viso dei bimbi per proteggerli dal mondo. Provai ripudio nei suoi confronti perché stava per far saltare tutto. Però, proprio quella sera e proprio grazie al suo comportamento, capii che il mio mondo era davanti ad un microfono, con le cuffie e la musica. Fu così che la mia vita prese la strada giusta, quella della radio.
Sono solo in casa.
If I keep holding out, will the light shine through? under this broken roof, it’s only that I feel I’ve been wishing out the days...ohh ohh oh come back.... Caro diario, sono solo in casa e ascolto in loop questo pezzo. La voce di Eddie Vedder mi fa compagnia. Pochi cantanti mi fanno il suo effetto. E' una voce calda, perfetta per la solitudine e che diventa ancor più bella con il are degli anni. Questo pezzo, Come Back, lo scrisse per il suo amico Johnny Ramone. Quante cose ti potrei dire sulla musica e quante ragazze ho ammaliato parlando dei cantanti e delle loro vite spericolate. Lo speaker ha la parlantina facile e sa parecchie cose sulle canzoni. Almeno quando ho iniziato io a far radio la si faceva perché c’era la ione per i dischi e la radio era quel mezzo in cui ci potevi lavorare se le canzoni erano la tua ossessione. Adesso la radio è lo scarto della televisione, infatti ci sono in onda speaker che non sanno la differenza tra i Pink Floyd e David Guetta. Oggi bisogna fare ascolti, non importa in che modo, l’importante è che l'ochetta televisiva di turno sia on air per far fare numeri.
E' diventata una merda. Non è più la radio che amavo e che ho amato per moltissimi anni. I network sono delle macchine da soldi che non guardano in faccia nessuno. Ci sono tantissimi ragazzi che potrebbero fare gli speaker perché apionati di radio e di musica; invece per i direttori artistici è più importante mettere in onda un’ex Miss Italia o una velina qualsiasi, che non ha nemmeno un buon rapporto con la lingua italiana, figuriamoci poi con la musica. Ultimamente, complice anche l’età, sono diventato polemico e intollerante verso il mondo che mi ha regalato tanta gioia. Non concepisco una radio diversa da quella fatta di ione, di buona musica, di dischi nuovi da proporre, di cantanti da intervistare... Adesso la radio deve quasi per forza far ridere, deve essere commerciale e non importa più la professionalità. Importano gli ascolti che lo speaker fa e i soldi che entrano grazie alla pubblicità. Ho fatto in tempo a smettere un attimo prima che tutto ciò mi logorasse. Non mi ci rivedo e non voglio nemmeno far parte di gente che fa un uso improprio del mezzo di comunicazione più bello del mondo. Stasera, vista la mia vena malinconica, rimango sempre con Eddie Vedder ando dal disco omonimo dei Pearl Jam, Pearl Jam, al suo da solista composto per la colonna sonora di Into the wild. Che gran disco e che gran film. Quante volte avrei voluto avere il coraggio di Alexander Supertramp...prendere tutto e mollare i beni materiali per iniziare a vivere la mia vita. Niente schiavitù, niente impegni lavorativi e niente rotture di coglioni. Io e la mia vita. Non sono mai riuscito perché la radio ha occupato i miei pensieri dal primo
minuto appena sveglio, all’ultimo appena prima d’addormentarmi. Mi ricorderò sempre i primi anni di trasmissioni fatte per il solo gusto di trasmettere. Non si guadagnava e non c’era nemmeno l’idea che la radio potesse diventare un lavoro. Era solo un hobby. C’era chi giocava a calcio, chi a carte, chi ava il tempo in osteria e chi oziava su una panchina in attesa di un qualcosa che nemmeno lui sapeva. E poi c’era chi, come me, non vedeva l’ora di mollare tutto e correre in radio per trasmettere, per mettere le cuffie, per ascoltare i dischi e sognare fino a notte fonda, quando gli occhi erano talmente stanchi che il lento girare del vinile diventava un qualcosa di ipnotico. E il giorno dopo ancora tutto uguale. La voglia di sentire l’odore dei dischi e la voglia di esprimere le proprie idee. Questa è la radio, ed è un peccato che oggi non sia più così. Il cd di Eddie Vedder sta suonando Society, forse il mio pezzo preferito. Caro diario, questa sera ti saluto così: You think you have to want more than you need until you have it all you won’t be free Society, you’re a crazy breed I hope you’re not lonely without me.
Due anni
Radio Compa era presente nei sabato sera delle famiglie da due anni. Io ero quello che oggi verrebbe definito direttore artistico, non tanto per la mia bravura davanti al microfono, ma per il fatto che ero in radio dal primo giorno ed ero colui che aveva “ aperto le danze”. L’avventura continuava con alti e bassi. La ione aumentava ogni volta che finivo una puntata e mi proiettavo nella successiva. C’era la voglia di trasmettere ogni giorno ma non c’era la possibilità. Finalmente avevo trovato un lavoro che non era certo quello che speravo o cercavo essendo diplomato come geometra, però andava bene perché mi dava tempo libero per la radio. Lavoravo presso una pasticceria di paese e il laboratorio era vicino a casa. Andavo a piedi tutte le notti, iniziavo alle due del mattino e finivo alle dieci. Di solito arrivavo a casa e dormivo quattro o cinque ore, giusto il tempo di riprendermi un pochino, poi mi facevo una doccia e pranzavo. Il resto del pomeriggio lo avo pensando alla puntata del fine settimanain. Facevo tutto io, dall’organizzazione del parlato alla scelta dei pezzi per la scaletta musicale. Mi piaceva informarmi e cercare sempre canzoni nuove. Lo stipendio da pasticcere non era male e gran parte lo spendevo in dischi visto che avevo ancora la fortuna di vivere con i miei genitori e di non spendere soldi per le bollette o la spesa.
Potevo giostrarmi i miei guadagni e molto del mio tempo libero non dedicato alla radio lo avo al Paradiso del vinile. Era un negozietto a dieci km da casa mia e ci andavo in bici dopo il riposo post - lavoro stando lì fino a chiusura. Mi piaceva chiacchierare con Antonio, il proprietario del negozio. - Allora Antonio, qualche novità questa settimana? - Ciao Gianluca, finalmente sei arrivato. Ho messo da parte questo fantastico disco per te. Il lunedì era il giorno dei nuovi arrivi. Di solito io facevo un salto di mercoledì o giovedì così davo tempo ad Antonio di fare una prima cernita. Conosceva molto bene i miei gusti musicali e mi fidavo di lui più di ogni altra persona. Teneva da parte sempre una decina di dischi così me li ascoltavo con calma e poi sceglievo quali comprare. - Allora fammi sentire questa perla rara. - Siediti, ti faccio un caffè perché questo è un disco da meditazione e devi ascoltarlo con tutta la concentrazione possibile. Ero quasi agitato perché non avevo mai visto Antonio così tanto preso per un vinile. Era un 33 giri ma non riuscivo a capire di chi fosse. Non volle che mi avvicinassi al giradischi perché voleva che io ascoltassi quella sublime magia, così come l’aveva definita lui, prima di scoprire chi fosse l’autore. Mise la moka sul fornello e iniziò a parlarmi dei vari dischi che aveva tenuto da parte per me. Sapeva della radio, e ogni sabato sera andava a casa di un suo amico per
ascoltare la musica che sceglievo. Che poi, alla fine, era quasi tutta quella che sceglieva lui per me. Era contento e gli bastava per sentirsi fiero e continuare in questo lavoro parallelo, cioè quello di scegliere i dischi, oltre a quello di mantenimento del suo negozio. Mi diede il caffè nero e bollente e finalmente il grande momento arrivò. - Allora Gianluca sei pronto per ascoltare qualcosa che ti lascerà a bocca aperta? - Sono tutt’orecchi Anto’, vai che mi hai messo una curiosità addosso che non sto più nella pelle. Partì un suono di chitarra acustica molto bello e interessante, e dopo qualche secondo arrivò la voce, un po’ graffiata, del cantante. Rimanemmo immobili, in silenzio e chiusi all’interno del negozio fino alla fine del lato A. Finì Things behind the sun e la puntina tornò nella sua sede principale. - Allora cosa ne pensi ? - mi chiese Antonio. Rimasi in silenzio qualche secondo perché la mia mente era rapita da così tanta bellezza. - Non ho mai sentito un disco simile. Come si chiama? - Si chiama Pink Moon e il cantante è Nick Drake. Lui lo pronunciò così com’era scritto visto che Antonio era un ometto di 55 anni non molto avvezzo all’inglese. Dopo un po’ di anni scoprii che era il terzo e ultimo disco di Nick Drake, però all’epoca fu una scoperta sconvolgente. Lo comprai subito e lo ascoltai così spesso che i solchi del vinile erano diventati delle voragini. Quel pomeriggio fui rapito talmente tanto da quelle sonorità che decisi di non
ascoltare gli altri dischi che Antonio aveva scelto per me. Tornai a casa per sentire all’infinito il mio nuovo acquisto. Ero andato da Antonio con la corriera perché pioveva forte e sapevo che dovevo prendere la numero 54, ma ero talmente confuso che presi la 52, cioè quella che andava nel senso opposto. Non mi accorsi per i primi dieci minuti, il tempo necessario che di solito impiegavo per tornare a casa mia, poi scesi e aspettai quella giusta. Una volta entrato in casa andai dritto in camera, alzai il coperchio che proteggeva il giradischi dalla polvere, appoggiai il disco, misi le cuffie e tirai la levetta start che fece girare il disco posizionando la puntina perfettamente sul punto d’inizio. Chiusi gli occhi e mi feci trasportare dal suono di chitarra e dalla voce di Nick Drake. Penso che sarei potuto rimanere in quella posizione fino alla fine dei miei giorni. Quel disco mi piaceva moltissimo e lo ascoltavo con piacere dalla prima traccia, Pink Moon, fino all’ultima, From the morning. Era scontato che l’avrei messo in onda sabato sera. Tornai il giorno dopo da Antonio per sentire le altre scelte musicali e appena entrai mi fece mille domande sul disco, ma io mi limitai a dire che ero ancora rapito dalle note di chitarra presenti su Pink Moon. - Dai Antonio fammi vedere cos' hai tenuto da parte per me. Vediamo se hai scelto bene... - Ho sempre scelto bene e tu lo sai. Siediti comodo che ti ho già preparato le cuffie vicino al giradischi così i un ottimo pomeriggio ad ascoltare musica. In effetti aveva ragione. Era difficile che non comprassi un disco che aveva tenuto da parte per me. E' capitato solo una volta quando mi ha proposto All things must past di George Harrison. Non tanto perché il disco non fosse bello, però ero troppo legato ai Beatles come gruppo e facevo ancora fatica a concepire
i loro dischi solisti. Quando nel 1970 si sciolsero, non uscii di casa per almeno quindici giorni. Per me George Harrison era quello di While my guitar gently weeps e non riuscivo ad associarlo ad un disco solista. Antonio arrivò con la solita pila di lp. I primi due erano italiani, Umanamente uomo: il sogno, di Lucio battisti e Radici di sco Guccini. L’ultima traccia di Radici mi colpì in modo particolare. Il vecchio e il bambino fu una fitta al cuore perché mi fece tornare in mente mio padre che purtroppo morì l’anno prima per colpa di un infarto e da quel momento, in casa mia, l’aria fu molto pesante. La canzone finiva dicendo, “mi piaccion le fiabe, raccontane altre” e su quelle note mi scese una lacrima. Mi asciugai subito il viso per non farmi vedere da Antonio e dai clienti, e decisi di cambiare decisamente genere musicale. Misi Al Green con Let’s stay together e il sorriso tornò subito sul mio volto. Quel giorno decisi di comprare quei tre dischi e di tornare a casa ad ascoltarmeli bene prima di proporli in radio. Era già giovedì sera e mancavano solo due giorni alla diretta. In radio andavo due o tre volte a settimana per preparare la puntata. Potevo farlo anche da casa, però l’idea di stare nello studio, con il microfono, le cuffie, i giradischi e l’atmosfera magica di quel luogo, rendeva tutto più affascinante. C’erano delle novità nel nostro piccolo palinsesto. Ciccio non era più tornato in radio dopo la figura di merda della prima puntata. Sapevamo che era un ascoltatore affezionato ma non lo diceva per orgoglio. Per lui il sabato sera era sacro, e a ventisette anni non poteva sprecarlo ad ascoltare
me che parlavo di dischi semi sconosciuti. Per fortuna che ero in buoni rapporti con Valentina e lei mi raccontava che dalle 21 alle 23, ogni sabato sera da quella prima famosa diretta, lo avano in macchina ad ascoltare la trasmissione. Era la mia piccola, silenziosa e fredda vendetta. Dopo che per molti anni aveva sparato merda sul mio conto, finalmente riuscivo a fare qualcosa che catturava la sua attenzione. Non che la cosa mi importasse più di tanto, però sotto sotto ero contento. Valentina aveva sempre bellissime parole nei miei confronti e ovviamente lo faceva quando Ciccio non era presente. Diceva che con quella voce e con quei dischi avrei potuto avere tutte le ragazze del paese. Io ero ancora innamorato di lei e una sera, dopo qualche birra di troppo, le dissi che non mi interessavano le altre perché a me interessava solo lei. - Grazie alle radio posso avere chi voglio, è quello che mi dici sempre tu. Non voglio le altre, voglio solo te. E' dalla prima volta che ci siamo conosciuti che ti desidero e non hai idea quanto ti renderei felice. - Ma cosa stai dicendo? Sei scemo? Sai che se lo sa Ciccio ti ammazza di botte? - Non mi interessa. Lui non ti merita perché pensa più a se stesso, a farsi figo davanti agli altri piuttosto che a valorizzare la ragazza che sta al suo fianco. - Smettila, e poi non è vero. Tu sei Luke on the night, e in paese dal sabato mattina alla domenica sera non si fa altro che parlare di te. - Non me ne frega un cazzo di quello che dice la gente.... - Perché, sentiamo cosa direbbe la gente di un dj da quattro soldi come te - disse Ciccio arrivando con arroganza alle nostre spalle. - Non so cosa dice e non sono interessato alle chiacchiere di paese. So cosa dico io quando sono davanti al microfono e sicuramente non mi ammutolisco come hai fatto tu.
Ormai non mi fregava più nulla della sua amicizia. In realtà non ero mai stato interessato a Ciccio come amico. Era il più figo di tutti, il bullo di turno e per questo era meglio averlo come amico che come nemico. Adesso dalla mia avevo la radio e il piccolo successo che la mia trasmissione, Musica diversa, questo era il titolo, mi stava dando. Non mi preoccupai nemmeno se lui avesse sentito quello che avevo appena detto a Valentina, anzi, da un lato avrei sperato che lo sentisse. Senza quella ragazza lui era perso e io non mi capacitavo del perché lei continuasse a stare con lui. Yuri e Mena facevano ancora parte della radio perché erano fondamentali. Yuri era diventato bravissimo come tecnico, non sbagliava mai un lancio, era sempre attento, pronto e preciso nel mollare il disco appena il mio discorso finiva. Io gli facevo un cenno con la mano e lui capiva che era il momento della musica. Mena aveva continuato ad approfondire la sua ione per le cose elettroniche ed era sempre pronto a garantire un segnale perfetto. In paese avevano scoperto tutto. Riuscimmo a tenere nascosta la radio per i primi mesi, poi, siccome la trasmissione divenne popolare, la gente fece domande a vicenda finché scoprirono gli artefici di tutto ciò. All’inizio il prete voleva chiudere la radio perché diceva che distoglieva l’attenzione dal rosario e dalle preghiere. Per due settimane il comandante dei vigili, il signor Mazzolino, sequestrò tutta la strumentazione. Dopo quel breve tempo in cui si accorse che Musica diversa mancava a lui in prima persona, decise di mettere a tacere tutte le malelingue e di ripristinare la radio. Era un lunedì sera, e non appena fu tutto come prima, decidemmo di fare una
puntata speciale per festeggiare il ritorno di Radio Compa e di Musica diversa. Avevo portato dei dischi per provare se tutto funzionasse come prima, senza però l’intenzione di andare in onda. Appena partì Lucy in the sky with diamond dei Beatles, io, Yuri e Mena ci guardammo con uno sgaurdo di complicità che non ci fece esitare dall’aprire il microfono e diffondere idee e musica in libertà, così come ci eravamo promessi appena era iniziata l’avventura della radio. Andai totalmente a ruota libera e Yuri pescava dischi a caso dalla mia borsa. Non conosceva molto la musica ma s' impegnava ad ascoltare quello che io proponevo. Prese a caso Idea, il disco dei Bee gees e mise la prima traccia. Non conoscendo nemmeno una canzone si limitava a mettere sempre la prima, a meno che non ricevesse delle precise indicazioni sul pezzo da suonare. Partì Let there be love, un lento perfetto da ascoltare in casa sul divano abbracciato alla ragazza che ami. Quel disco che ognuno dovrebbe mettere in sottofondo la prima volta che vuole baciare qualcuna. Ho sempre promesso a me stesso che avrei messo quel pezzo per baciare Valentina, anche se per adesso era solo un sogno, ma prima o poi sono convinto che si realizzerà. Tolsi le cuffie e guardai Yuri. - Bel pezzo, anche se tu non l’hai mai sentito sappi che hai scelto un grande disco. Segnatelo così appena porti qualcuna a casa tua le fai ascoltare queste dolci note. - Si ma io non ho nemmeno il giradischi, figuriamoci il disco o tantomeno una ragazza da portare a casa. Per adesso mi accontento di ascoltarlo qui e di farlo ascoltare a tutto il paese. - Non essere pessimista e vedrai che prima o poi porterai a casa qualcuna a cui far ascoltare Let there be love. Come prossimo pezzo metti Misirlou dei Beach Boys, dovrebbe essere la numero tre del lato A del disco Surfin’ USA.
Era uno dei miei preferiti perché con quel disco avevo capito che la musica poteva farti viaggiare. Era del 1963 e mio padre me lo regalò all’età di tredici anni. All’inizio non capivo la loro bellezza e non capivo i dischi in inglese. Tuttora non capisco le parole, però so che quello è un disco spettacolare. Scelsi Misirlou che era solo strumentale perché avevo bisogno di un pezzo che svoltasse la serata e che fe muovere il culo flacido delle persone all’ascolto. Lo ascoltai in cuffia ad altissimo volume, infatti quando le tolsi a fine puntata mi fischiavano le orecchie. Andammo avanti quasi due ore e chiudemmo la puntata con 4/3/1943 di Lucio Dalla, un pezzo italiano che ci dava la sicurezza di catturare l’attenzione di tutti quelli che in paese ascoltavano solo musica italiana, cioè tutti tranne noi che facevamo la radio. Quando uscimmo dalla vecchia filanda trovammo Mazzolino con l’auto dei vigili urbani. Ci guardammo impauriti perché pensavamo che tutto sarebbe finito da lì a pochi minuti. Invece, il comandante dei vigili in persona, scoppiò in un pianto liberatorio dicendo che quella sera superammo noi stessi con le canzoni che avevamo suonato. Fu subito festa e da li a poco ci trovammo nell’osteria del paese, che aveva appena finito di trasmettere Musica diversa, a mangiare e bere dell’ottimo vino. Fu una serata fantastica, forse la più bella della mia vita fino a quel momento. Andai a casa contento e felice senza preoccuparmi dell'ora tarda. Avevo un’ora di tempo prima di iniziare una nuova giornata lavorativa. Entrato in casa mi misi sul divano perché non avevo voglia di andare a letto solo per un’ora ed ero talmente euforico e pieno di adrenalina che non chiusi occhio.
Un po’ per la radio e un po’ anche per l’effetto del vino che mi faceva girare la testa regalandomi questa sensazione di leggerezza. Radio Compa continuò la sua avventura per circa due anni. Anzi, io continuai la mia avventura per due anni dalla nascita di questa piccola emittente. Un sabato sera, mentre ero in onda, arrivarono dei signori tutti vestiti bene, accompagnati dal comandante Mazzolino. Appena chiusi il microfono li guardai quasi impaurito. - E' successo qualcosa? - No Gianluca non ti preoccupare. Continua pure la tua trasmissione perché loro vogliono vedere chi è il famoso Luke on the night. - Famoso, comandante lei esagera sempre. Sono semplicemente io che ho deciso di cambiar nome per non farmi riconoscere, però ormai in paese tutti hanno capito chi sono. E poi famoso per chi, per quei pochi abitanti che ci sono qui? - No, ti sbagli caro Luke. Ormai il tuo nome inizia a diffondersi anche fuori da questo piccolo paese. Tutti parlano della tua voce e della tua conoscenza musicale...sei diventato una piccola star. - Disse uno dei due uomini in giacca e cravatta. - Manca poco, dai apri il microfono e vai in onda. - Disse Yuri con la solita agitazione. Era impressionante vedere come si emozionava ogni volta che doveva mettere un disco o ogni volta che doveva avvisarmi perché quest’ultimo finiva. Ci metteva sempre la stessa ione, ed era per questo che Musica diversa funzionava, e funzionava proprio bene. Mancava solo un pezzo alla fine e in onda dissi che mancava il Pezzo, non semplicemente un pezzo. - Manca la canzone che chiuderà questa puntata e questa settimana. - Feci una pausa, presi fiato facendolo sentire al microfono, chiusi gli occhi e iniziai di
nuovo a parlare - Adesso dovete solo alzare il volume della radio, spegnere la luce, mettervi comodi e sognare perché, direttamente dal Cotton Club arriva Cab Calloway con il suo successo Minnie The Moocher. - Tenni gli occhi chiusi per qualche secondo senza fare nessun cenno a Yuri, e lui, da bravo amico e regista, non mollò la presa sul disco. Lasciai qualche attimo di silenzio prima di fare il cenno che sanciva l’inizio dell’ultimo pezzo in scaletta. Partì questa canzone del 1931 e io parlai sull’inizio del disco. Questa è per voi perché la musica deve insegnarvi a sognare. Go Cab go. In realtà non sapevo l’inglese, però Go Cab Go l’avevo sentito e l’ho ripetuto perché mi dava quel tocco internazionale. Lasciammo il pezzo in sottofondo mentre il comandante Mazzolino e i signori al suo fianco iniziarono a farmi i complimenti. - Non conosciamo nessun ragazzo così giovane con una cultura musicale simile Disse l’unico dei due che parlava. - La ringrazio molto, sono lusingato ma chissà quante persone ci sono migliori di me. Io mi diverto e cerco di portare in onda quello che so...se la gente apprezza sono contento. - Parlavo con queste persone ma ancora non mi era chiaro chi fossero. - Scusate, non vorrei essere indiscreto, ma voi chi siete? - Gianluca non vedi che questi due signori vestiti bene sono venuti apposta per te?Non è carino rivolgersi a loro in questi termini. - Disse Mazzolino subito interrotto da uno dei due. - No, comandante, Gianluca ha ragione. Scusaci ma non ci siamo nemmeno presentati. Siamo Mario e Carlo e siamo i proprietari di Radio Milano. Saremmo molto lieti di parlare con te per offrirti un posto di lavoro. Fu così che la mia avventura a Radio Compa finì e iniziò una nuova esperienza di vita, non solo radiofonica.
E' l'una di notte.
Caro diario, è l’una di notte e sono sveglio a scrivere. Mi piace la notte e mi piace l’atmosfera cupa e mistica che si crea appena il buio prende possesso del mondo. Sto ascoltando il secondo album dei Bombay bicycle club, Flaws. Il volume è basso per non disturbare i vicini. Mi soffermo sulla traccia numero tre, Dust on the ground. Il testo è stupendo e ne riporto solo il pezzo iniziale anche se varrebbe la pena trascrivertelo tutto. “ It's that ancient love, that you won't outgrow It's the fee you pay, it's the debt you owe It's that subtle way that you throw me down And I'm inches above the dust on the ground. ” Caro diario, l’amore fa fare molte follie. E non parlo solo dell’amore tra esseri umani. Si può essere innamorati di molte cose, e io , come avrai capito, ero e sono innamorato della radio. Grazie a lei, che viene definita amante bastarda dalla mia amica Laura, ho imparato molte cose e ho vissuto la mia vita al cento per cento, ogni giorno, anche quando la realtà era dura da affrontare. Quando apri il microfono ti dimentichi di tutto. Non ti interessa se non stai bene
fisicamente o moralmente perché nella tua mente c’è lei. Sai che con le cuffie in testa, con la giusta intesa col regista e con la musica in sottofondo i tuoi problemi vengono offuscati. E' un lavoro particolare, pieno d’adrenalina che ti regala emozioni che pochi altri lavori al mondo sanno regalare e non è nemmeno troppo faticoso, anzi direi che non lo è per nulla. Forse non dovrebbe far parte della categoria lavoro. Se fa freddo hai il riscaldamento e se fa caldo l’aria condizionata, non sei in miniera o in fabbrica e non ti sporchi le mani. La gente, almeno si spera la maggior parte, ti adora. Devi solo parlare e tra un disco e l’altro fai tutto quello che vuoi. Sei sempre al centro dell’attenzione perché, facendo un paragone calcistico, sei il regista della situazione e tutti attendono le tue mosse. Sono innumerevoli i vantaggi di questo lavoro...per non parlare poi di quante donne puoi abbordare ammiccando al microfono. Non hai idea quante ragazze ho portato a letto grazie alla radio, specialmente quando andavo in onda di notte ; era facile e divertente, ed era una scommessa con sco, il regista di quel fantastico periodo in cui vivevo solo di notte e dormivo quasi tutto il giorno. Loro ti vedono come un mito semplicemente perché tu sei quello che ha il potere di esprimere le proprie idee davanti ad un microfono. Nemmeno s'immaginano che molte frasi vengono pronunciate esclusivamente per far colpo su una certa fascia di persone. Buona parte della radio è finzione, forse non in quello che viene detto ma nell’atteggiamento della persona in onda rispetto a quello nella vita reale. In onda siamo tutti un po’ attori e cerchiamo di recitare la nostra parte per piacere al pubblico, mentre nella vita ognuno ha il proprio carattere e spesso,
credimi, non coincide con quello dello speaker. E' da quasi un’ora che ti scrivo e non ho molte idee per la testa...anzi avrei tantissime cose da raccontarti ma temo che starei davanti al computer per una settimana o più. Mi limito a salvare quello che ho fatto finora e mi sdraio sul divano ascoltando Tears of Joy di Tuck and Patti. Spero di non addormentarmi prima della loro fantastica versione di Time after time. Buona notte caro diario.
Milano
- Allora Luke, sei pronto per infiammare la città con la tua voce? - Insomma, non saprei.Sono molto lusingato della vostra fiducia ma non sono sicuro di essere all’altezza. Tutto questo accadeva una settimana prima della diretta a Radio Milano. Avevo firmato un contratto annuale per trasmettere ogni sera dalle 21.00 alle 23.00. Non mi ero ancora sistemato con l’alloggio ma stavo guardando un po’ i prezzi degli affitti. Mi pagavano abbastanza bene e potevo permettermi un monolocale in una zona relativamente centrale. - Siamo contenti che tu abbia firmato con noi e siamo sicuri che farai una grande carriera in radio. Questo sarà il tuo trampolino di lancio. - Disse Mario con molta sicurezza. Mario era quello che parlava di più. Da quel poco che avevo capito Mario era il direttore artistico, mentre Carlo colui che metteva i soldi. - Per qualsiasi cosa chiedi pure a me perché Carlo lo troverai poco in radio. Lui sarà a casa a godersi la tua trasmissione. Questa loro sicurezza nei miei confronti mi spaventava assai perché non ero sicuro di essere bravo come dicevano loro e soprattutto non avevo mai fatto la radio tutti i giorni come un vero lavoro.
In quel momento nell’ufficio della direzione, con i miei due capi al di là della scrivania, mi tremavano le gambe e l'ansia mi assaliva creandomi vampate di calore. Non ero più sicuro di voler far radio e non ero nemmeno sicuro di voler lasciare il mio paese per andare a vivere, da solo, in una grande città. Lo stomaco mi si chiuse e fui ad un o dal mollare tutto. Quel giorno uscii dalla radio e girovagai, perdendomi, nella famosa Milano. Per un ragazzo di provincia come me non era facile capire la frenesia di quella città. C’era molto traffico, la gente camminava velocemente con la testa bassa, non si scusavano se ti urtavano la spalla nel camminare e tutti sembravano avere così tanta fretta come se il loro tempo su questa terra stesse finendo. Non ero abituato a tutto questo. Salii sul treno e tornai a casa per preparare le ultime cose da portare a Milano e per licenziarmi definitivamente dalla pasticceria. Mentre guardavo il paesaggio scorrere dal finestrino, nella mia mente cantavo “ Il ragazzo della via gluck ” e nascondevo il viso tra le mani per non far vedere che piangevo. Ero indeciso tra l'essere contento per il contratto appena firmato e l'essere triste perché lasciavo il mio paese, i miei amici, mamma e Antonio che mi aveva sempre riempito d’attenzioni e di vinili. Nella radio nuova non dovevo pensare all'acquisto dei dischi perché c’erano delle persone che facevano solo quello di lavoro. Una volta arrivato a casa andai subito in stanza per prendere le ultime cose che mi restavano, e decisi di lasciare dischi e giradischi a mia mamma, così d'avere un’ottima scusa ogni volta che tornavo a trovarla. Il giorno dopo, prima di salutare tutti, andai da Antonio per salutarlo e ringraziarlo.
Gli portai delle paste fresche alla mandorla, le sue preferite e lui mi stava aspettando perché sapeva benissimo che sarei ato. - Allora Gianluca sei pronto per la grande città? - Non saprei Anto’, sono spaventato perché non so se ho fatto la scelta giusta. Come ogni volta cha andavo a trovarlo, mi portò una tazza di caffè e ci sedemmo nel suo ufficio a parlare. Non me ne sarei mai voluto andar via perché stare con Antonio era un toccasana per lo spirito. Parlammo circa due ore e quando capii che era il momento di salutarlo mi venne un groppo in gola indescrivibile. - Antonio adesso devo proprio andare perché il treno parte e poi faccio tardi. Oggi pomeriggio ho un appuntamento a Milano per un appartamento e mi sembra una cosa abbastanza interessante. Se non chiudo il contratto va a finire che devo dormire in hotel e non ho molti soldi da spendere. - Aspetta Gianluca mica te ne vorrai andare senza un disco. - No Antonio grazie, preferisco lasciare tutti i dischi a casa così posso tornare quando voglio con la scusa di ascoltare di nuovo i capolavori che mi hai sempre consigliato. - Si si lasciali pure qui, però voglio farti un regalo. Voglio regalarti quel disco che non hai mai comprato perché ne è arrivata solo una copia e tu hai sempre voluto che la tenessi io. In quel momento ho capito che Antonio stava facendo un gesto che andava al di là del regalo materiale. Mi stava regalando un pezzo di cuore da portare sempre con me, e visti dall’esterno sembravamo proprio padre e figlio. - Ti faccio sentire solo la prima traccia e poi ti lascio andare. Mise il disco sul giradischi, girava andando un po’ su e un po’ giù perché non era perfettamente piano...appoggiò la puntina e partì il giro di basso inconfondibile di Roadhouse blues dei Doors. Mi misi a piangere senza nascondere la mia emozione perché capii che quella
era una perla rara che speravo d'avere sin dalla sua data d’uscita, il primo febbraio del 1970. Da adesso in poi era mio e Antonio aveva appena fatto una delle cose più belle che mi capitarono nella mia vita fino a quel giorno. Decisi di portare Morrison Hotel a Milano e di tenerlo in camera così d’avere un legame fisico con il mio piccolo paese e con quel grande uomo che mi insegnò a conoscere la musica. Salutai tutti tra baci, abbracci e lacrime. Arrivò anche Ciccio alla stazione ma si limitò a salutarmi con la mano da una distanza di cinque metri circa. Valentina mi abbracciò e mi baciò sulla guancia. La strinsi forte a me e le sussurai nell’orecchio: - un giorno verrò a prenderti per portarti via, e vedrai che quel giorno non sarà poi così lontano. - Sappi che un po’ ci spero - rispose lei sussurrandomelo nell’orecchio. Sono sempre stato consapevole che tra me e lei potesse nascere il grande amore. Peccato che quell’arrogante di Ciccio si era messo in mezzo a rompere i coglioni. Salii sul treno con il mio disco e le parole di Valentina nella testa. Se prima avevo dei dubbi che lasciare il mio paese fosse una cazzata, adesso ne ero certo. Avevo scelto la radio al posto di Valentina, Antonio, mia mamma, Yuri e Mena. Erano loro le persone che contavano di più nella mia vita. Sapevo che, forse, non le avrei mai più riviste tutte insieme. Arrivai a Milano e Mario venne in stazione a prendermi. Non sapevo ancora muovermi in città quindi mi affidavo a lui. - Morrison Hotel? E' un nuovo gruppo? - chiese lui.
- No, è il quinto disco dei Doors. Non li conosci ?Quelli di Waiting for the sun, People are strange? Mai sentiti nominare? - I nomi che mi hai detto non mi dicono nulla. Io non conosco la musica e non mi interessa, io mi occupo degli speaker. Voglio solo preoccuparmi che chi parla dica cose intelligenti in maniera chiara e comprensibile. Paghiamo voi per intendervi di musica, e in radio ci sono persone che ano tutto il giorno ad ascoltare dischi. Penso che possa bastare, non trovi? - Certo, è solo che mi sembra strano che un proprietario di radio non conosca i Doors. Pensavo che per avere una radio bisognasse per forza essere apionati di musica. Durante il tragitto in macchina mi parlò di Radio Milano e di quanto fosse diversa dalla piccola radio in cui io ero abituato a trasmettere. Un po’ mi spaventava questo enorme cambiamento. Avevo solo ventidue anni e non sapevo nemmeno cucinare un piatto di pasta e soprattutto, quella sera, non avevo in casa nemmeno il sale e la pasta per cucinare. Decisi così di chiedere a Mario se potevo mangiare in un’osteria a poco prezzo. - Caro ragazzo, qui sei a Milano e puoi trovare quello che vuoi. Ci sono ristoranti di classe e ci sono ristoranti dove non spendi tanto. Sta a te scegliere, ma per questa sera sei ospite di Radio Milano. Fui contento di non dover andare in un ristorante tutto solo anche perché avrei dovuto sceglierne uno molto vicino a casa per paura di non trovare più la via del ritorno. - o a prenderti per le 20.00 circa e ti porto a mangiare in un ristorantino fantastico. - Ok, sarò pronto per quell’ora. Appena chiusi la porta alle mie spalle mi appoggiai con la schiena al muro,
guardai il soffitto e iniziai a piangere. Non so bene per quale motivo, però ero preoccupato d’aver fatto una cazzata e in testa mi rimbombava continuamente la frase di Valentina. Avrei voluto prendere il primo treno, tornare a casa e andare da lei per portarla via da Ciccio, ma ho resistito perché il solo pensiero di non dovermi più alzare alle due per andare al lavoro, era un motivo più che valido per aver accettato il trasferimento. Sistemai un po’ di cose anche se, in valigia, avevo quasi solo vestiti. Sentivo già la mancanza dei miei dischi ma ero contento d’averli lasciati a mamma, e pensavo che potesse essere un piacevole ricordo ogni volta che lei vedeva quegli scaffali pieni di musica. Feci una doccia e uscii per andare a fare un po’ di spesa. Comprai almeno le cose necessarie come caffè, pane, biscotti, acqua, pasta, riso, sale, olio e, ovviamente, un paio di birre. Non c’è casa che può essere definita tale se non ci sono sempre un paio di birre in frigorifero. Vicino a casa mia c’era il cinema Ariston. Sapevo che sarebbe diventato uno dei miei posti preferiti e quella settimana c’era in programmazione Il Padrino. Avevo letto parecchi giudizi positivi sui vari quotidiani e decisi che nei prossimi giorni sarei andato a vederlo. Tornai a casa con la spesa da sistemare e non mi accorsi che mancavano solo dieci minuti alle otto. Sistemai la spesa giusto in tempo per uscire perché il camlo suonò non appena misi via l’ultima cosa rimasta nella busta di plastica, la scatola di pasta. - Allora Gianluca, sei pronto per vedere come vive la gente di città? Qui la notte si esce e c’è gente che sta sveglia fino al mattino. Non siamo nel tuo paesino del cazzo con quei tuoi amici sfigati. Qui c’è la vita Gianluca, svegliati. Non mi era piaciuto per niente il tono di Mario nel parlare del mio paese e dei miei amici. Sicuramente non ero abituato ad un traffico simile e non pensavo minimamente che la gente stesse in giro tutta la notte. Però chiamarlo paese del
cazzo e amici sfigati no. Non ci stavo. Ero sul punto di dirgli come la pensavo quando lui tornò a parlare. - Vedrai, è solo questione d’abitudine. Appena ti ambienterai e conoscerai un po’ di persone giuste ti dimenticherai al volo la tua vecchia vita. Tra qualche mese, quando andrai a trovare i tuoi amici potrai raccontargli quanto è bello vivere a Milano. Io stavo zitto, non sapevo se dire di sì o mandarlo a fare in culo. Non me lo potevo permettere anche perché non avevo ancora iniziato a lavorare. Avrei almeno voluto trasmettere prima di licenziarmi. Sapevo che per calmarmi avevo bisogno del microfono e delle cuffie, il disco giusto e parlare a tutti come se stessi parlando con i miei amici attorno ad un tavolo. - Lo spero Mario, per adesso sono solo molto confuso. Non vedo l’ora di trasmettere perché ho bisogno di tornare in onda per ritrovare il mio mondo ideale. - Si lo so, però non aver fretta. Dopo parliamo anche di questo. A cena ci sarà anche Carlo e con lui discuteremo solo di radio. Per adesso stai zitto e guarda fuori dal finestrino perché vedi più persone qui in cinque minuti che nel tuo paese in vent’anni. Non sapevo se mi stesse sui coglioni lui o se il suo modo di fare era abitudinale dei cittadini milanesi. Da me, nel paesino del cazzo come lo definiva lui, c’era più rispetto per le persone e sicuramente un’accoglienza migliore per chi si trasferiva. Arrivammo a cena in un ristorante molto di lusso, e al tavolo c’era Carlo con sua moglie che ci stavano aspettando. - Piacere, Gianluca. - Piacere mio, sono Anna. Era bellissima, alta, magra, bionda e molto elegante.
Appena si alzò per salutarmi fu inevitabile non guardarle le tette. Erano grosse e sembravano molto sode. Io non me ne intendevo perché ero vergine, però potevo immaginare che sotto quel vestito c’era un immenso mondo di felicità. La cena fu abbastanza noiosa. Carlo e Mario parlarono di cose che non conoscevo, e spesso parlavano solo tra di loro. Io guardavo Anna, fantasticavo notti di sesso con lei e rimpiangevo il bagno di casa mia perché in quel momento avrei voluto rifugiarmi per cinque minuti. - Scusate, vado un attimo in bagno. - dissi giusto per alzarmi dal tavolo e fuggire momentaneamente da quei discorsi troppo noiosi. - Vengo anch’io così mi fai vedere dov’è, e mi aspetti all’uscita perché ho paura ad andare da sola. - replicò Anna. In quel momento il sangue mi si gelò perché non mi era mai capitato che una donna prendesse l’iniziativa in quel modo. Guardai Carlo sperando dicesse di no, che l’accompagnava lui. Invece mi disse di prendermi cura di sua moglie e di non farle prender paura. Ci dirigemmo verso il bagno e io camminavo qualche o avanti a lei. Sapevo che non era galanteria ma ero troppo agitato. Arrivati davanti alla porta le indicai quella delle donne e io andai verso quella degli uomini. - Dove vai Gianluca? Non hai capito che era una scusa? Non avevo voglia di stare al tavolo con quei due e mi sembra che anche tu ti stia annoiando parecchio. - No, non mi sto annoiando. Parlano di cose interessanti. Parlano della radio e io sono affascinato da quel mondo...sono curioso di capire come funziona. Mentre stavo finendo di parlare mi prese per mano e mi spinse dentro al bagno delle donne.
- Cosa fa Anna? Io non posso entrare in questo bagno... - Stai zitto, è tutta sera che mi guardi le tette e che fantastichi su di noi. Non dire di no perché non sai mentire. In effetti era vero, però non potevo dargliela vinta e cercai di liberarmi in maniera gentile. In meno di due minuti avevo il mio uccello nella sua bocca. Era la prima volta per me e non immaginavo potesse essere così bello. Lei sembrava contenta anche se io durai solo una manciata di secondi. Rimasi incantato e non mi resi conto di quello che era appena successo. Lei stava già uscendo dal bagno mentre io ero ancora appoggiato al muro con le mutande alle ginocchia. - Rivestiti in fretta prima che ti veda qualcuna, caro verginello. Non mi interessava nulla del “ caro verginello ”. Una donna, pure bella, mi aveva appena fatto un pompino. Tornai al tavolo con una faccia da ebete. - Tutto bene Gianluca? Ti vedo un po’ strano, con uno sguardo assente. - mi chiese Carlo. Rimasi in silenzio per qualche secondo e poi dissi - tutto bene, non sono mai stato meglio e sono contento d’avervi conosciuto. La serata finì in un locale dove si ballava musica rock. Non avevo voglia di muovermi dalla sedia perché ancora non ci credevo. Andai in bagno e guardai quello che avevo nelle mutande. Per ventidue anni era stato di mia proprietà e l’avevo diviso solo con la mia mano, ma da stasera io e lui avevamo avuto un incontro ravvicinato con il gentil sesso.
Solo pochi secondi, però erano stati molto intensi. Tornammo a casa verso le tre del mattino, orario in cui io ero solito lavorare. Salutai e ringraziai Mario per il aggio. - E' un piacere averti con noi. Ti aspetto domattina in radio verso le dieci così inizi a vedere lo studio e a conoscere i tuoi colleghi. Entrai in casa e andai subito in bagno. Mi masturbai con violenza pensando ad Anna, e quando finii il mio uccello era rosso perché l’avevo stretto troppo con la mano. Prima d’addormentarmi mi misi sul divano con una birra e lasciai l’altra aperta sul pavimento pronta per esser bevuta non appena avrei finito quella che avevo in mano. Non potevo dormire subito perché avevo bisogno d’assaporare quel momento tanto atteso. Fantasticai su che disco poteva farmi compagnia e dopo pochi secondi capii che solo uno era perfetto per quella notte di cambiamenti. See Emily play di Syd Barrett. L’avrei messo a ripetizione rimettendo la puntina all’inizio del 45 giri ogni due minuti e cinquanta circa. Conoscevo quel disco a memoria e la psichedelia di Barrett mi avrebbe aiutato a viaggiare con la mente. Cazzo quanto mi mancavano i miei dischi. Andai a letto in uno stato confusionale, brillo ma felice. Il giorno dopo avrei finalmente riassaporato il mio mondo. Mi mancava e adesso ero convinto d’aver fatto la scelta giusta.
E' un po' che penso.
Caro diario, è un po’ che penso di scriverti ed è un po’ che rimando questo appuntamento. E' domenica mattina e sembra che il mondo si sia fermato. E' stupendo percepire il silenzio e la calma di questa giornata, ovvero la quiete prima della tempesta visto che domani tutti torneranno al lavoro. Per adesso mi godo questo momento e assaporo la felicità. Ho messo un disco italiano che però mi distrae mentre scrivo perché mi viene automatico cantare le canzoni. Appena finisce Alfredo, dei Baustelle, in assoluto uno dei loro pezzi migliori, lo cambio e metto il caffè sul gas per sentire il profumo che si diffonde in casa. Mi piacciono questi piccoli gesti che rendono bella la vita e penso che sia inutile cercare chissà cosa o aspettare che venga quel giorno che cambierà il nostro destino per iniziare ad essere felici. Bisogna imparare a vedere la felicità in ogni gesto e capire che è attorno a noi in ogni momento della giornata. A me basta poco per sorridere ed essere felice. Una donna, una bella donna, mi rende felice perché la sua bellezza splende anche in una giornata piovosa. Una chiacchierata con un amico, un bel disco, un buon vino, un buon caffè, un bel film, un bel libro....insomma caro diario, penso che tutti noi siamo circondati da piccole cose che ci rendono felici e tutti dovremmo imparare a rendercene conto.
E' finito il disco. Lo cambio, metto su il caffè e torno con la tazzina per farti sentire il profumo. Ho messo l’album Joyful di Ayo. Ha una voce molto bella che si appoggia perfettamente sulle note di chitarra che fanno da sottofondo in ogni suo pezzo. Penso che sia ottimo per iniziare bene una giornata. Il caffè è pronto e non baratterei mai la mia moka con quelle macchinette a cialde moderne. A me piace il rito della moka, mi piace mettere l’acqua e poi la polvere, mi piace sentire il rumore che fa il caffè quando sale e mi piace il profumo che si diffonde in casa. Con le cialde, queste mega supposte sigillate che infili in una macchina e in cinque secondi esce il caffè, si perde tutto il romanticismo. Abbiamo tutti fretta. Di cosa non lo so, però posso garantirti che abbiamo tutti fretta. Nemmeno più il tempo di fare un caffè come si deve. Supposta, pulsante e il tuo caffè è pronto. No, voglio rimanere affezionato al vecchio stile. La bella musica mi distrae troppo facilmente, non riesco a concentrarmi e una parte della mia attenzione viene catturata dalla musica, dalle parole e dalle note. C’è un pezzo di Vinicio Capossela, 25 aprile, che ha un assolo di sax che mi distrae più di ogni altra cosa. Anche se sono nel mezzo di una discussione e sento quel pezzo, la mia attenzione e la mia mente vanno solo sulla musica estraniandomi completamente dalla situazione in cui mi trovo.
Mi capita anche mentre faccio l’amore. Penso che sia fondamentale mettere un ottimo disco di sottofondo nei momenti più intimi della propria vita, ma il mio problema è che anche mentre faccio l’amore una parte della mia attenzione viene catturata dalla musica. Ogni tanto sussurro il testo nell’orecchio della ragazza per farle capire l’immensa bellezza di ciò che stiamo ascoltando. Devo confessarti che non è sempre stata una buona idea. Qualcuna si è arrabbiata accusandomi di prestare più attenzione alla musica che non a lei. In realtà non è proprio così, è solo che non riesco a non associare ogni momento della mia vita ad una canzone. Ho riletto quello che ti ho scritto mentre bevevo il caffè. Lo bevo amaro perché lo zucchero altera il sapore e non capisco tutti quelli che mettono lo zucchero...è inutile perché il caffè deve essere bevuto così com’è. Sarebbe come mettere lo zucchero nel vino per renderlo dolce. E' assurdo secondo me. Sono le undici del mattino, fuori nevica e in casa il camino regala un’atmosfera quasi surreale. Mi vien voglia di sdraiarmi sul divano e mettere un vinile. Anzi, adesso mi sdraio sul divano e ascolto Desire di Bob Dylan da vinile. “Here comes the story of the Hurricane, the man the authorities came to blame”. A presto caro diario e buona domenica anche a te.
Il tempo scorre
Abitavo a Milano da una settimana e mi stavo, lentamente, molto lentamente, abituando a ritmi completamente diversi. Già il solo fatto di non dovermi svegliare ogni notte all’ una era fantastico e anche se mi piaceva fare il pasticcere non avrei mai potuto farlo per tutta la vita. Durante questa settimana non andai mai a dormire prima delle tre del mattino. avo gran parte della giornata in radio cercando di capire come funzionasse, come trasmettevano i miei colleghi e conoscendo più gente possibile. Avevo il chiodo fisso delle canzoni da mettere in onda la prima puntata. Mancavano solo due giorni alla diretta ed ero emozionato come un bambino. Parlavo molto con Claudio, colui che seguiva le novità musicali e che conosceva bene i dischi italiani e un po’ meno quelli stranieri. Diciamo che Carlo e Mario mi avevano scelto anche per le mie conoscenze sulla musica che andavano al di là di quelle italiane. Avevo deciso di non tagliare completamente i ponti con la mia vecchia vita, così settimanalmente chiamavo Antonio per avere novità sui dischi. Lui mi diceva quello che meritava e io andavo nei vari negozi milanesi ad ascoltare e comprare quello che mi sembrava interessante. - Gianluca sei pronto che tra due giorni sarà il tuo momento? - Disse Mario mettendomi una mano sulla spalla. - Non vedo l’ora. Io e Claudio stiamo scegliendo i pezzi da mettere nella prima puntata. - Bravi...voglio che la tua trasmissione abbia qualcosa di diverso dalle altre. Devi insegnare a tutti i tuoi ascoltatori che c’è tanta musica e che la gente deve
conoscere anche quello che le altre radio non ano. Contiamo molto su di te, Luke on the night. - Luke on the night non vi deluderà - risposi io parlando in terza persona e vergognandomene all’istante. Ma che cazzo, di solito quelli che parlano in terza persona si danno delle arie come se fossero i più importanti al mondo. Io non sono nessuno e devo dimenticarmi in fretta di parlare in questo modo. Con Claudio mettevamo molti dischi per terra a mo’ di ventaglio e avamo ore e ore a fantasticare l’annuncio e il disannuncio del pezzo. C’erano talmente tante canzoni che era quasi impossibile scegliere. Decidemmo di prenderci una pausa e andare in un locale situato sotto la radio a bere una birra. Si chiamava Bar Scroto. Era ambiguo come nome e chiesi a Claudio il perché di Scroto. Mi disse che al barista, Giovanni, stavano un po’ tutti sui coglioni e quindi decise, non potendo fare bar Coglioni, di chiamarlo in maniera educata e, secondo lui molto fine, Scroto. Non so perché, però a me stava simpatico. Sicuramente noi non stavamo simpatici a lui, però ammiravo il suo coraggio per quel che aveva fatto. Bevemmo cinque birre a testa mangiando qualche panino abbastanza schifoso. Uscimmo dal bar verso mezzanotte ed eravamo un po’ alticci. Io abitavo abbastanza vicino e potevo andare a piedi, Claudio abitava nella periferia e doveva prendere i mezzi pubblici ma non si era accorto che l’ultima corriera per casa sua ava dalla radio alle undici e trenta. Iniziò ad imprecare ad alta voce e io scoppiai a ridere. Forse eravamo ubriachi, non solo alticci.
Gli proposi di tornare in radio per scegliere qualche pezzo da mettere in onda nella prima puntata ma lui mi rispose sbiascicando qualcosa che non capii. A quel punto gli dissi di venire a dormire da me e che l’avrei messo sul divano. Il giorno dopo non lavorava, ci svegliammo a mezzogiorno circa, il tempo di bere un caffè, mangiare due biscotti e mi buttai sotto una doccia fredda. Avevo bisogno di riprendermi. Il problema è che avendo bevuto il caffè e mangiato i biscotti, l’acqua fredda non fu una buona idea. Mancava poco che cagavo sotto la doccia. Riuscii appena in tempo ad arrivare alla tazza e sudai freddo bagnandomi la fronte più di quanto non avesse fatto l’acqua. Tornai sotto la doccia girando la manopola dell’acqua calda e rimasi lì, appoggiato con la schiena al muro e con l’acqua che batteva sulla mia testa, almeno una decina di minuti. Andai in salotto e Claudio era sveglio ma aveva una faccia un po’ strana. Mettemmo qualcosa sul fuoco per fare un pranzo appena decente visto che io sapevo fare solo la pasta ma per oggi poteva bastare, dopo di che saremmo andati in radio per concludere la scaletta. Era il giorno libero di Claudio ma lui volle venire lo stesso perché era talmente apionato di musica che lavorare non gli pesava. ava anche dieci ore al giorno in radio. Arrivati li andammo subito nel suo “ufficio”, cioè una stanza molto piccola con scaffali pieni zeppi di vinili che poteva far concorrenza ad un negozio di musica. - Ne preferisci uno italiano o uno straniero come inizio?- mi domandò quasi convinto che io potessi rispondere così senza pensarci minimamente. - Non saprei. Sicuramente uno italiano è più facile da apprezzare, però visto che metterò molta musica straniera, forse è il caso che io inizi con qualcosa di forte, un po’ di rock and roll.
- Ok, dimmi cosa vuoi e lo cerchiamo. - Ci sono, Led zeppelin II, prima canzone del lato A, Whole lotta love. La lasciamo tutta e voglio che la gente percepisca la bravura di Jimmy Page nel suonare la chitarra. Voglio soprattutto far sentire la psichedelia di questo pezzo e la potenza della musica. Chiusi gli occhi mentre parlavo e mi immaginai la diretta. Fui trasportato dall’emozione e dal suono del disco che avevo ben stampato in mente. Claudio mi guardava stupito e non s' immaginava che riuscissi a proiettarmi così facilmente nel mio mondo, quello della radio. - Ci sto, e io sarò il primo ad ascoltare il perché tu abbia voluto scegliere quel pezzo. - disse Claudio non appena ebbi finito di parlare. - Dai, il primo l’abbiam scelto, tutto il resto è in discesa. Quella sera andai a casa con un peso in meno sulla coscienza. Sapevo che da domani in poi, oltre alla diretta, ogni giorno avrei ato almeno un paio d’ore per scegliere le canzoni, ascoltarle e capire se una stava bene in coda a quella precedente. Era impegnativo, però era il mio lavoro, e soprattutto era il mio mondo. Quella notte dormii poco perché ero agitato per la diretta del giorno dopo ma per fortuna avevo una scorta di birra in casa che mi aiutò nei momenti di solitudine. Mi mancava solo la musica, il giradischi e i miei dischi. In realtà mi mancava anche una ragazza, però adesso che non ero più illibato, o almeno in parte non lo ero, sapevo che potevo stare più tranquillo. Avevo fatto il grande o nel fantastico mondo del sesso, almeno quello orale. La mattina mi svegliai molto presto e misi subito la moka sul fornello. Nel frattempo mi feci una doccia e poi, dopo la colazione, andai in radio. Nel tragitto casa-radio mi fermai al bar per fare una seconda colazione. Mi piaceva molto potermi permettere cappuccio e brioches perché mi dava quel senso di ricchezza che non avevo mai avuto.
Mi fermai al bar Scroto e ordinai la mia colazione, cappuccio con brioches alla crema. Incontrai Mario che stava andando in radio e che si era fermato per un caffè. Era molto contento che il giorno tanto atteso era arrivato, mi offrì la colazione e andò in radio. Continuai a leggere il giornale per cultura personale e per qualche spunto per la trasmissione. Anche se non facevo un programma d’intrattenimento volevo essere informato su quello che succedeva nel mondo. - Allora Claudio, sei pronto per stasera? Mi guardò un po’ stranito. - Gianluca, ma sei in anticipo di quasi sette ore. Cosa fai in radio adesso? - Volevo respirare l’odore di vinile e assorbire le ottime sensazioni che la radio sa trasmettere. E poi dobbiamo fare la scaletta per domani. Ti sei dimenticato che siamo in onda ogni giorno da lunedì a venerdì dalle 21 alle 23? - No, no, non mi sono dimenticato. E' solo che fino alle cinque di questo pomeriggio non riesco a pensare alla tua scaletta. Tu esci di qui, goditi la giornata e torna per quell’ora. Facciamo la scaletta e poi vai in onda. Seguii il consiglio di Claudio, uscii e eggiai un po’ per Milano. Trovai una cabina e chiamai Antonio per qualche consiglio musicale e poi chiamai mamma. Non la sentivo da qualche giorno e lei scoppiò a piangere perché pensava mi fosse successo qualcosa. Le mamme sono così. Non le senti per due ore e pensano che sei morto e qualcuno ti stia già organizzando il funerale. - Mamma, ricordati che stasera sarò in onda dalle 21 alle 23. Sintonizzati sulla stazione giusta e ascolta la musica che ho scelto. - Non ti preoccupare. Ho già messo la radio sulla frequenza e non la tocco più se no ho paura di non trovarti e non ascoltarti. Mi raccomando figlio mio, stai attento. - Mamma devo fare una trasmissione in radio, non devo andare in guerra.
- Sì ma stai attento perché Milano è grande ed è piena di pericoli. - Ok mamma non preoccuparti. Adesso vado e ci sentiamo stasera in radio. Un bacio. Tutti mi parlavano di questi pericoli di Milano ma io in una settimana non ne avevo visti. E sinceramente, speravo di non vederli. ai il pomeriggio a casa a leggere un bel libro. Lessi una buona parte di “Sulla Strada” di Jack Kerouac. Era uscito da quindici anni circa ma non ero mai stato troppo interessato ai libri perché li trovavo noiosi fino a quando non iniziai a far radio. Parlando al microfono mi accorsi subito che il mio italiano era molto limitato, quindi decisi di migliorarlo leggendo il più possibile. Ero affascinato dallo stile di vita di Dean, il protagonista del libro, e in fondo un po’ lo invidiavo. Andava da una costa all’altra degli Stati Uniti come se niente fosse, cambiava donne molto facilmente e aveva una vita da vera rockstar. L’unica cosa che faceva e che a me non interessava era l’abuso di droghe. Però se non ne avesse fatto uso, e abuso, la sua vita non sarebbe stata così interessante. Sentii le campane suonare e capii che erano le cinque del pomeriggio. Il tempo esatto per il tè della regina d’Inghilterra, e il tempo esatto per me per andare in radio e immergermi con mente e corpo nella prima puntata. - Luke, sei pronto? Tra poche ore toccherà te. - Disse Mario appena entrai in radio. - Sono pronto, prontissimo. Adesso faccio la scaletta per domani e poi mi concentro sulla puntata. Era difficile pensare ad altre canzoni da scegliere per il giorno dopo quando in mente avevo quelle della puntata che dovevo ancora fare. Con Claudio decidemmo di cambiare metodo e di fare la scaletta giorno per
giorno. Bastava andare in radio un’oretta prima e scegliere tutti i pezzi. Mancavano pochi minuti alla fine della trasmissione condotta da Marta, la ragazza che mi precedeva e che stava per disannunciare il suo ultimo disco. Chiuse il programma con Respect di Otis Redding interpretata da Aretha Franklin. - E questo era l’ultimo pezzo per oggi. Vi saluto, vi auguro una buona serata e rimanete su Radio Milano perché da stasera inizia una nuova trasmissione con Luke on the night. Corro anch’io a casa per sentire che canzoni ci proporrà il nostro nuovo collega. Un saluto a tutti e buona fortuna caro Luke. Fu così che in pochissimo tempo misi le cuffie e sistemai il disco sul piatto, i Led Zeppelin erano pronti e io ero agitatissimo. Di fronte a me tutti mi guardavano. C’erano Mario, Carlo, Claudio, Marta e altre persone che lavoravano lì. Tutti in attesa del mio primo intervento. Sudavo freddo e in quel momento mi pentii di ogni mia scelta. Finì lo stacco tra Nuvole rosa, la trasmissione di Marta, e Back on air la mia trasmissione, e io mollai Whole lotta love che iniziò a girare sul piatto. Sapevo d’avere qualche secondo prima che Robert Plant iniziasse con You need coolin’, baby, I’m not foolin’. - Questi sono i Led Zeppelin, Whole lotta love il pezzo e io sono Luke on the night. Benvenuti a tutti. Iniziò così la mia trasmissione. Finii la piccola presentazione e il pezzo suonava nelle casse di tutti quelli all’ascolto. Ero gasatissimo perché in cuffia avevo un volume molto alto e gli Zeppelin rendevano giustizia con il loro rock and roll. Non ero più pentito delle mie scelte e non vedevo l’ora di iniziare a parlare. La trasmissione volò, le due ore furono così veloci che non mi accorsi nemmeno che il tempo era ato ed ero totalmente immerso nella musica e così concentrato nei parlati, che non mi resi conto che era già arrivato l’ultimo disco. Per chiudere misi un pezzo di Chuck Berry, Johnny b. goode.
Presi il disco “The London Chuck Berry” session e decisi di mettere una versione live del pezzo. - Siamo arrivati alla fine della prima puntata di Back on air qui su Radio Milano. Come ultimo pezzo ho scelto una registrazione live di Johnny b. goode di Chuck Berry. Non ho nient’altro da aggiungere se non, godetevi questo capolavoro. Vi saluto, vi auguro buona notte e tornerò domani per regalarvi un po’ d’emozioni con la mia musica. Ciao da Luke on the night. Partì il pezzo e tenni le cuffie per ascoltarlo. Ero contento perché tutto era andato bene. Tra me e me pensai che la musica e la radio mi avevano salvato da una vita altrimenti monotona. Feci un gran respiro e guardai il soffitto pensando che la fortuna era dalla mia parte.
Sono ati giorni.
Caro diario, sono ati giorni in cui avevo voglia di scriverti ma non ho mai trovato l’ispirazione giusta. Avevo in mente molte cose da raccontarti ma poi, una volta arrivato a casa, mi mancava quel qualcosa che mi faceva scattare la scintilla della scrittura. Oggi è già la seconda volta che ti scrivo. Stamattina ho ascoltato tutto Desire di Bob Dylan. Che gran disco. Ogni volta che sento capolavori simili è un po’ come se li sentissi per la prima volta, perché rimango a bocca aperta e scopro dei aggi musicali che fino a quell’ascolto mi erano sfuggiti. Adesso sto ascoltando Big Calm, il secondo album dei Morcheeba e la prima canzone, The Sea, vale il prezzo del disco. E' perfetto visto che sono le due del mattino e io sono ancora sveglio con la mia birra, la terza della serata, che sto sorseggiando pian piano. I Morcheeba regalano un’atmosfera strana che mi aiuta in questa notte insonne. Quante volte ho messo i loro pezzi in radio. Quando trasmettevo di notte tenevo le luci dello studio spente perché mi piaceva vedere il verde e il rosso dell’amplificatore andare su e giù , e mi piaceva ascoltare questi pezzi in cuffia. Non so se scegliessi le canzoni più per gli ascoltatori o per me. Ho sempre avuto la fortuna di poter suonare la musica che volevo e penso che non sia una cosa
da poco. Quante canne e quante birre mentre avo questi pezzi. E' impossibile non fumare con musica simile anche se non ho mai fumato troppo, solo quando l’atmosfera lo richiedeva...e in questo caso lo richiedeva. Pezzi dei Morcheeba, dei Massive Attack, degli Air, degli Hooverphonic sembrano fatti apposta per fumare. E' quella musica elettronica con un beat lento che ti fa viaggiare anche se non sposti il culo dalla sedia. Che bei ricordi caro diario, che bei momenti che ho vissuto grazie alla radio. Forse ti sembro malinconico nel parlare in questo modo, in realtà sono molto felice di ricordare tutto quello che ho vissuto. Lo rivivo come se lo stessi vivendo adesso. Fuori continua a nevicare e mi piace guardare la neve che dolcemente, senza rumore, si appoggia su ogni superficie e la ricopre, cancella ogni cosa e rende tutto più bello. E' vero che crea disagi, però quando vedi un paesaggio imbiancato rimani a bocca aperta. Con la neve torniamo tutti un po’ bambini. Prima di andare a letto guardo qualche notizia in internet giusto per tenermi informato. Non trasmetto più ma continuo a leggere quello che succede nel mondo per avere le idee più chiare su alcuni concetti, anche se spesso mi vien voglia di staccare il cervello e non pensare a niente. Ci sono notizie talmente brutte che andrebbero evitate a priori. A quest’ora cerco di leggere qualcosa di non troppo negativo altrimenti dormo male. Ti saluto e ti auguro una buona notte. Adesso ascolto Real life di Joan as a police woman.
Penso sia adatto alla mia notte insonne.
A presto.
E' lunedì notte.
Caro diario, è lunedì notte e sono sveglio a scriverti per raccontarti non so bene cosa. Sono le tre del mattino e sto bevendo una Guinnes. E' una birra strana perché ci sono periodi in cui ne berrei dieci al giorno e periodi in cui una media mi stanca. In questo momento penso sia adatta perché trovo che mi aiuti molto a riflettere. La guardo un po’ affascinato e penso come abbiano fatto ad inventarla. E' così scura, con la schiuma densa e bianca che sembra un fermo immagine. Ne bevo un sorso e sono contento di sentirla sulle mie labbra così posso leccarmi i baffi con la lingua. Sono solo in casa quindi non è un problema se ne rimane un po’ sulla bocca. Fossi stato in un locale pubblico avrei usato un fazzoletto, o il dorso della mano per pulirmi così da non sembrare ridicolo agli occhi altrui. Mi soffermo ad ascoltare, con la mente persa nel vuoto, un disco che ho comprato qualche giorno fa. S' intitola Bad Machines ed è un disco pop country. Lui è australiano, si chiama Shane Nicholson e la sua musica difficilmente arriverà in Italia. Sono i misteri del mercato musicale. Dobbiamo ascoltare tanta di quella merda nelle radio italiane che non c’è sufficiente spazio per i musicisti veri. Non ho mai capito questa cosa e mi son sempre rifiutato di capirla. Penso che la gente vada abituata bene, e se una radio a buona musica prima o poi gli ascolti arrivano.
Evidentemente i direttori artistici non la pensano come me. Ormai è quasi un anno che non trasmetto. Almeno non da uno studio radiofonico. La bellezza della tecnologia è che ti permette di far radio e televisione da ogni angolo del pianeta perché basta avere una connessione internet e il gioco è fatto. Ovvio che la qualità audio/video non è paragonabile a quella degli studi, però il concetto che arriva all’ascoltatore è lo stesso. Basta avere un computer con una webcam e puoi essere live, ovunque, in qualsiasi momento. E poi da quando ci sono i social network puoi anche scrivere o filmare ogni volta che vai al cesso. Non sono contrario ai vari facebook e twitter, però penso che andrebbero usati con intelligenza. Io mi sono iscritto ad entrambi perché mi servivano per pubblicizzare la mia trasmissione visto che è un modo gratuito per dare voce alle proprie idee ed è la tua vetrina sul mondo. Pensa che ho ritrovato i miei amici con cui ho iniziato la mia avventura in radio. Yuri ha un profilo facebook e lo usa un po’ per i fatti suoi e un po’ per pubblicizzare il suo lavoro. Ha ritirato l’officina in cui lavorava, e adesso ripara anche le macchine. Ogni tanto lo sento per un saluto veloce e sembra che le cose gli stiano andando bene. Mena ha trovato lavoro presso il comune, quindi continua a non fare un cazzo così come quando aveva vent’anni. Ciccio, per il quale provo solo immensa tristezza, lavora per Yuri e sistema i motori delle macchine da mattina a sera. Alla fine si è sposato con Valentina e questa cosa non mi dà pace ancora adesso a distanza di parecchi anni. Lui non ha facebook perché è troppo ritardato per saperlo usare, lei invece ha un suo profilo curato molto bene.
Ogni tanto la sento giusto per un saluto, ed io sono sempre più convinto che lei non sia soddisfatta della sua vita. Non ho mai capito perché non ha avuto il coraggio di cambiare le cose. Poteva farlo, non solo con me. Poteva perché era molto bella e non avrebbe fatto fatica a trovare una persona che le dava più gioia più di quanto non abbia fatto quel coglione in tutti questi anni. Il giorno del loro matrimonio ho inventato una trasferta in quel di Londra pur di non vederla giurare eterno amore a quel buffone. Ancora non mi do pace. Mi spiace quando le persone non hanno il coraggio di prendere in mano la propria vita e iniziare ad assaporarla con felicità. E' inutile vivere con il freno a mano tirato. Se una cosa ci rende felici dobbiamo farla a costo di fare delle rinunce e solo in questo modo potremo godere dell’immensa bellezza che ci sta attorno. Forse ho bevuto troppa Guinnes e inizio a fare discorsi filosofici che non mi appartengono. Il mio amico Giorgio dice che sono fortunato perché ho la saggezza e la filosofia giusta per affrontare la vita....non so se credergli o meno. Per adesso finisco la birra, spengo lo stereo e me ne vado a letto.
A presto.
Anni felici
- Pronti per iniziare un nuovo pomeriggio pieno di ottima musica? Io ci sono, il microfono è aperto, le cuffie alte e i dischi non mancano mai. Iniziamo con Baby please don’t go rifatta da una band australiana chiamata AC/DC - Fu così che iniziai uno dei miei tanti pomeriggi in radio. Mario aveva deciso di spostarmi dalla sera al pomeriggio. Diciamo fine pomeriggio visto che trasmettevo dalle diciotto alle venti. Si erano invertite le parti tra me e Marta perché ormai ero io che avo la linea a lei. Erano già ati quattro anni dalla mia prima diretta a Radio Milano e le cose andavano molto bene. C’erano stati dei cambiamenti che avevano migliorato e facilitato il modo di trasmettere. Nuovi mixer, nuovi giradischi, nuovi microfoni e nuove persone con la voglia di fare quel lavoro. Claudio era un pilastro portante e non poteva mancare mai, almeno nella mia trasmissione. Mi dava una mano a cambiare i dischi tra un pezzo e l’altro e ormai era indispensabile. Non avrei più potuto farne a meno. Conosceva la musica e spesso bastava uno sguardo per capire quale sarebbe stato il pezzo successivo. Alcune volte cambiavamo la scaletta mentre eravamo in onda perché ci accorgevamo che un disco poteva star meglio rispetto a quello che avevamo scelto, e lui prontamente andava in archivio a prenderlo per poi suonarlo a tutto volume. C’era molta sintonia anche fuori dalla radio. Spesso uscivamo insieme e bevevamo molto, soprattutto birra. Ero fortunato perché trasmettendo di pomeriggio avevo tutto il tempo necessario per riprendermi visto che non andavo mai a letto prima delle quattro o cinque del mattino e mi svegliavo sempre attorno a mezzogiorno. La prima ora la avo in uno stato comatoso
cercando di capire chi e dove fossi, un po’ per la birra della sera precedente e un po’ per la vita poco regolare che facevo. Di solito, dopo una doccia e due o tre caffè, iniziavo a ragionare e a concentrarmi sulla trasmissione. Erano lontani i tempi in cui lavoravo come pasticcere e la mia vita era d’esempio per chiunque. A quell’epoca non bevevo quasi mai, anzi non mi ubriacavo quasi mai, andavo a letto presto, mangiavo cose sane e avevo un aspetto quasi perfetto. In questi quattro anni sono invecchiato di almeno dieci. Il fatto che non dovevo lavorare, almeno finché la radio la consideravo un divertimento ben retribuito, mi dava la gioia e la voglia di vivere che il lavoro vero mi aveva tolto. Ogni sera, quando finivo la trasmissione, mi sentivo libero, vuoto e spensierato. Un po’ come dopo una scopata, quando si guarda il mondo con occhi migliori e non ci si preoccupa dei problemi che ci stanno attorno. Ecco, ogni volta che chiudevo il microfono a fine trasmissione avevo un orgasmo mentale paragonabile a quello fisico. Ero proprio fortunato perché oltre a tutto questo piacere ricevevo uno stipendio mensile. Mi pagavano per godere. La vita da single mi piaceva e mi divertiva molto. Avevo cambiato casa scegliendone una un po’ più spaziosa e avevo anche una stanza degli ospiti nella quale di solito dormiva Claudio dopo che le troppe birre bevute non gli permettavano di tornare a casa. Mi ero comprato la vespa 125 primavera color blu e ogni volta che salivo in sella mi sentivo un re. Guardavo tutti dall’alto al basso perché lei era splendente, sempre pulita e funzionante, e il suo rumore era musica per le orecchie di tutti quelli che erano in grado di sentirla. Posso dire che, da quando c’era lei, la mia vita cambiò radicalmente.
Potevo muovermi più in fretta e andare lontano da casa per fare delle commissioni. La usavo spesso per andare nei negozi di dischi. Quelle mattine che volevo fare un po’ di acquisti musicali, mi svegliavo presto per il mio stile di vita, verso le dieci, e insieme alla vespa giravo Milano alla ricerca di novità da comprare e ascoltare in casa. Non mi preoccupavo di prendere musica per la radio perché a quella ci pensavano già loro. Avevo comprato un bellissimo impianto che avevo messo in salotto. Mi ero rifiutato di comprarlo con il mangiacassette perché ero troppo affezionato al vinile e mi piaceva sentire il suono un po’ sporco. Ero totalmente rapito dal fruscio della puntina sul disco che potevo ascoltare quel suono per ore. La musicassetta era più comoda, però non faceva per me, almeno non ancora. Le mie giornate trascorrevano tra radio, libri, film, musica e un discreto numero di ragazze. Ormai il sesso faceva parte della mia vita quasi quanto la radio. La prima ragazza con cui andai fu Marta, la mia collega e mi ricordo che la prima volta fu abbastanza imbarazzante, però poi ebbi modo di rifarmi alla grande. Una sera, dopo la diretta, scesi dalla radio per andare a casa e la trovai sotto ad aspettarmi. - Cosa fai qui? - le domandai stupito di vederla. - Avevo voglia di fare due chiacchiere con te e ti ho aspettato. Ti dà fastidio? - No, assolutamente. Cosa ne dici se beviamo una birra insieme? - Ok, ci sto.
Ci fermammo da Giovanni del bar Scroto. Forse il nome del bar non era dei più azzeccati per portar fuori una ragazza al primo appuntamento, però in questo caso era lei che mi aveva aspettato e quello era il posto più vicino. Ci sedemmo e ordinammo subito due birre. Mi colpì molto la sua decisione nel decidere di prendere una birra perché l’ho sempre ritenuta una bevanda più maschile, però ero molto affascinato dalle donne col boccale in mano. - Come mai hai deciso di aspettarmi fino a quest’ora? - Mi andava di parlarti perché mi affascini, mi piace il tuo modo di lavorare e mi piace la musica che scegli. E' sempre un piacere ascoltarti quando arrivo a casa. Il mio fidanzato dice che sei un montato, invece secondo me è solo geloso perché io ti ascolto, e mentre lo faccio pretendo silenzio assoluto così da farlo incazzare. - Sei fidanzata? Non lo sapevo. Nello stesso momento in cui pronunciai quella frase, cercai ogni scusa per alzarmi e andarmene. Non avevo più interesse nei suoi confronti, o meglio, non a quell’ora perché volevo solo andare a letto. Era stata una giornata lunga e difficile e volevo solo riposare. - Si, sono fidanzata ma le cose non vanno troppo bene. Non so se continuare a stare con lui o no. Viviamo insieme da due anni ma ogni giorno il nostro dialogo diminuisce. Ci sfoghiamo solo quando facciamo sesso, ma anche lì le cose non vanno più come prima. Appena ci siamo conosciuti scopavamo sempre, ovunque e in qualsiasi posizione...invece adesso sembra che è più faticoso venire a letto con me che non andare al lavoro. Lo facciamo una massimo due volte a settimana per sua gentile concessione. Non ne posso più e mi sa che se le cose continuano così lo lascio. Non sapevo bene cosa rispondere visto che in quell’ambito ero ancora vergine. - Non so perché parlo con te di queste cose. E poi chissà quante donne che hai attorno. Chissà quante ammiratrici che ascoltano il famoso Luke on the night. La
tua voce è proprio bella e tu hai gusti musicali che ben pochi hanno. Non ti sarà difficile finire a letto con qualcuna. Lasciai qualche secondo di silenzio, forse troppi, e bevvi quasi una media con un sorso. Guardai Giovanni e ne ordinai subito altre due. - Perché ne ordini due? La mia è ancora piena. - Non preoccuparti, se non ti va la bevo io. Comunque cosa stavi dicendo del tuo fidanzato? Cercai in tutti i modi di portare il discorso da un’altra parte ma non ci fu verso perché iniziai ad agitarmi e sbiascicare parole a casaccio. - Ma stai bene? Mi sembri un po’ strano. - Non preoccuparti tutto bene. E' solo che ogni tanto la birra mi va di traverso e mi fa un effetto strano. - Allora, sei fidanzato? - No, preferisco rimanere da solo perché non mi va di impegnarmi seriamente. La verità era che non avevo mai scopato e finché non uscivo con le ragazze il problema non si poneva, ma adesso non potevo mentire, anzi forse dovevo mentire per salvare la dignità di Luke on the night. - Infatti, fai bene. E' vero che, come si dice in radio, trovi una ragazza diversa al giorno? - Cosa si dice in radio? Chi lo dice? - Voci, le famose voci di corridoio. Tra noi ragazze ci sono queste voci anche se nessuna ha ancora avuto la fortuna di provare ad uscire con te. - Non è vero, hai visto che tu sei uscita? Sei la prima e domani potrai dire che sei uscita con me, ma non penso sia poi questa grande fortuna. - Invece lo è, e poi io non intendo uscire a bere una birra. Intendo quello che hai capito.
Con un altro sorso simile a quello di prima finii la seconda birra perché l’agitazione saliva, il sangue ribolliva nelle vene, l’alcol faceva il suo effetto e nelle mutande iniziavo a sentire un certo movimento. Cercavo di mettere le mani avanti il più possibile ma ero molto combattuto. Da un lato volevo a tutti i costi portarla a casa mia e sbatterla contro ogni parete facendola urlare a squarciagola. Dall’altro sapevo che era solo una mia fantasia perché dopo due minuti lei gridava allo scandalo per la mia deludente prestazione. - Penso che dopo questa birra per me sia meglio andare a casa se no mi ubriaco anche questa sera. - C’è qualcuna che ti aspetta? Ti sto facendo fare tardi? - No, non c’è nessuna. E' solo che ultimamente sto bevendo un po’ troppo e vorrei tornare ad avere una vita più sana.Ogni mattina mi serve almeno un’ora per riprendermi dalla sbornia della sera precedente. Non posso continuare così. - Ma vuoi andare a casa tutto solo? - Penso di si, nel senso che non c’è nessuno che viene a casa con me a quest’ora. Cercavo in tutti i modi di non darle modo di autoinvitarsi a salire a casa mia. Sapevo che era sua intenzione ma non volevo fare la mia prima figura di merda con lei perché ero consapevole che il giorno dopo mi avrebbe sputtanato in tutta la radio. Al posto del playboy Luke on the night, potevo diventare lo sveltino Luke in the bed. - E se ci venissi io? - Mi domandò con uno sguardo talmente sensuale che sentii il cuore battere nel pisello che nel frattempo era diventato duro come la gamba del tavolo di legno su cui erano appoggiate le birre. - Se vuoi, però non ho molto da offrirti. Devo andare a fare la spesa e non ho nulla da stuzzicare. Ho solo un paio di birre.
- Non è un problema, non sono le birre che mi interessano. Lei era propositiva e lanciata, io ero troppo timido, vergine, e impaurito da quella cosa di cui tutti parlavano e che sembrava essere la più bella del mondo, ma che io non avevo mai visto se non su qualche giornaletto erotico o un po’ di volte in un cinema porno. Ogni tanto andavo in quei cinema ma facevo fatica a guardare tutto il film perché dovevo assolutamente masturbarmi e non mi andava di farlo lì. So che tanti lo facevano di nascosto sotto il giubbotto che tenevano piegato sulle gambe, ma a me non piaceva. E poi che schifo uscire dal cinema con una macchia da qualche parte, che poteva essere sulla giacca, sulla maglietta o sui pantaloni. Era una cosa troppo imbarazzante. - Allora finisco questa birra e poi saliamo da me. Non ho nemmeno un giradischi, quindi non possiamo ascoltare la musica. Ho lasciato tutto da mia mamma perché quando vado a trovarla voglio ritrovare tutti i miei dischi, però prima o poi lo prenderò anche per la casa di Milano. - Non preoccuparti, hai sicuramente quello che voglio. - Speriamo - dissi io per fare una battuta. Però sotto sotto avevo una paura fottuta. Finii la birra e salimmo verso casa, entrammo dal portone e lei mi mise subito la lingua in bocca. All’inizio non sapevo bene cosa fare, poi mi lasciai trasportare dalla situazione e dell’emozione del momento. E, forse, anche un po’ dalle tre birre medie bevute molto velocemente. Salimmo i due piani di scale che andavano dal portone d’ingresso a quello di casa mia continuando a baciarci, camminando un po’ di lato e appoggiandoci sia al corrimano sia alle pareti delle scale. Era stupendo e mai avrei immaginato fosse così bello. Davanti alla porta di casa mi staccai dalla sua bocca per cercare le chiavi nelle tasche della giacca. Lei era molto eccitata e mentre io ero impegnato a cercare lei prese il mio pisello in mano. - Aspetta, non qui. Aspetta almeno che entriamo. - No, voglio farlo qui, adesso. E' più eccitante...e poi lo facciamo anche in casa. -No, dai qui non posso. Ci sono persone che mi conoscono e se mi vedono mi cacciano di casa.
In realtà non avevo nulla di cui preoccuparmi visto che a quell’ora, mezzanotte inoltrata, nessuna vecchietta che abitava nel palazzo era ancora sveglia, e visto che la mia prestazione sarebbe stata di pochissimi minuti. Era impossibile che in quei pochi minuti e a quell’ora qualcuno salisse le scale. Dovevo essere proprio sfigato. Mi lasciai tentare e decisi di farlo lì, in piedi, contro il muro. Tirai giù del tutto i pantaloni e rimasi un attimo impacciato perché non riuscivo a muovermi visto che mi andarono alle caviglie e ogni o rischiavo di cadere. - Mettiamoci contro quella porta. Voglio ancora più rischio. - disse lei indicando la porta di fronte alla mia. - No, quello non possiamo farlo. E' la porta dell’amministratore e se mi sente mi butta fuori stanotte stessa. Facciamolo contro la mia se vuoi. - Ok. Per adesso mi accontento ma sappi che prima o poi lo faremo lì. Non sapevo bene cosa fare. Lei si era tolta pantaloni e mutande in un colpo solo e si era messa di spalle rispetto a me, le gambe leggermente divaricate, la schiena inarcata e le mani appoggiate alla mia porta. Aveva una voglia che le pulsava pure in mezzo alle gambe. La vedevo, era nera e rosa e mi guardava come a dirmi di svegliarmi. Mi avvicinai, misi il pisello in una posizione che pensavo corretta e iniziai a spingere con tutta la foga che avevo in corpo. Lei mi guardò dopo che mi agitavo in malo modo alle sue spalle. - Aspetta, così stai scopando l’aria e mi stai dando delle gran botte sul culo. Prese in mano la situazione e direzionò il membro nella posizione corretta. Le diedi una decina di colpi e sentii un calore salire dalla punta dei piedi fino alla testa. Ero un fremito unico e venni in poco meno di un minuto. Si girò stranita ma non disse nulla. Forse si accorse che non ero poi questo gran esperto.
Io avevo la faccia di un rincoglionito, un po’ per le birre un po’ per il fatto che avevo finalmente fatto il mio primo incontro con il sesso femminile. Incontro vero. - Forse sono state le birre. Magari dovremmo farlo un’altra sera ed è meglio che tu ti riposi. Ci rimasi un po’ male perché io ero in una situazione di meraviglia e stupore e non avevo minimamente pensato che un minuto era poco. Avevo appena fatto sesso e non pensavo certo se la mia prestazione fosse stata deludente o meno. Ero venuto non per merito della mia mano e questo mi era sufficiente per essere al settimo cielo. - Forse hai ragione, ho bevuto troppe birre. - Mascherai così la mia prestazione al limite del ridicolo. - però se ti va possiamo entrare e farlo di nuovo. Sicuramente la seconda volta andrà un po’ meglio. - Non preoccuparti. Facciamo un'altra volta. E' meglio che vada a casa visto che si è fatto tardi e il mio ragazzo mi starà aspettando. Ci salutammo con un lunghissimo bacio e poi entrai nel mio appartamento. Ero troppo contento anche se non pensavo alla delusione che le avevo recato. Sapevo che potevo rifarmi e sapevo che la birra poteva essere usata come scusa. In casa scolai subito le due birre che avevo, poi mi feci una doccia e guardai il mio pisello con orgoglio. Aveva appena fatto visita alla sua compagna femminile, finalmente, dopo ventitré anni di vita era venuto a contatto con una patata. Non dormii tutta la notte. Riuscii a prender sonno verso le sei del mattino e mi sveglia alle quattro del pomeriggio. Avevo la diretta alle nove e andai di corsa in radio per fare la scaletta. Appena arrivato cercai Marta perché volevo invitarla di nuovo a casa mia.
Lei stava per andare in onda ma aveva ancora un’ora di tempo. - Ciao Marta, tutto bene? - Ciao Luke...bene, anche se ieri ho litigato con il fidanzato e penso che questa volta sia quella definitiva. Stasera torno a casa e lo lascio ed entro domani voglio che se ne vada via. - Allora stasera non sei libera? Avevo intenzione di invitarti a casa mia. - No, mi spiace. Se vuoi facciamo domani, però questa volta non bere perché se il risultato è quello di ieri preferisco non venire. - Non preoccuparti, fuori di qui andiamo dritti a casa mia. Ero sicuro di quello che dicevo ma in fondo sapevo che non erano le birre. Decisi comunque di fregarmene perché prima o poi dovevo iniziare e, visto che mi si era presentata l’occasione, mi sembrava stupido rinunciare. Da quel momento in poi il sesso con Marta occupava i miei pensieri più di ogni altra cosa. Scopavamo ogni giorno, sempre dopo la mia diretta. Non vedevo l’ora di chiudere il microfono per andare a casa con lei. Era molto bella e io ero un po’ innamorato ma lei non voleva una storia. Alla fine andava bene così perché di giorno facevo tutto quello che volevo e la notte la avo con lei. Niente impegni, niente obblighi e niente regali o eggiate in centro. Solo sesso. Le prime volte furono tutte un po’ così così perché io dovevo abituarmi bene alla nuova situazione. Se facevo tutto da solo sapevo come muovermi visti gli anni d’allenamento, ma con un’altra persona ero all’inizio e avevo molte cose da imparare. Lei mi dava una mano e mi insegnava, inconsciamente, moltissime cose. Alla fine scopammo anche contro la porta dell’amministratore. Lui non si
svegliò perché decidemmo di farlo una notte verso le quattro del mattino, orario in cui lui era sicuramente tra le braccia di Morfeo. Fu bellissimo perché lei tratteneva i gemiti per non svegliare nessuno e si sentivano solo i rumori dei due corpi che venivano a contatto. Andammo avanti così per circa un anno, poi lei trovò l’uomo dei suoi sogni e mi lasciò. Da un giorno all’altro decise di non vedermi più senza darmi troppe spiegazioni. - Non è che non mi piaci più, è che adesso preferisco stare un po’ da sola. Questa fu la sua ultima frase prima di smettere di parlarmi definitivamente. Non capisco perché lei non mi abbia detto sinceramente che aveva un altro ragazzo. Non eravamo fidanzati e questa sua nuova frequentazione non avrebbe rovinato i nostri rapporti. Almeno saremmo rimasti amici, invece lei tagliò ogni tipo di conversazione. Fu il primo dei tanti gesti senza senso che le donne fecero nei miei confronti. Per qualche mese, dopo che Marta trovò un altro ragazzo, mi ammazzai di seghe perché non riuscivo a trovare nessuna. Ogni giorno dovevo masturbarmi almeno due volte perché la voglia di sesso era troppa. Per fortuna che pian piano riuscii ad andare con un po’ di ragazze. Alcune fan della trasmissione, altre invece conosciute a caso nei locali. Da Marta in poi fu comunque un successo e le voci che c’erano in radio sul mio stato di playboy, adesso avevano delle fondamenta valide.
Ho appena finito.
Caro diario, ho appena finito d’ascoltare 19 di Adele e adesso metto il suo nuovo disco, 21. Ha una voce sublime e in questo ultimo anno ogni radio a i suoi pezzi svariate volte al giorno. E' sempre un piacere ascoltarla ed è stupendo sapere che al mondo esistono voci come la sua. Sono qui a scriverti mentre fuori fa molto freddo ed è normale visto che siamo a gennaio, però la gente continua a lamentarsi. Ad agosto si lamenteranno perché farà troppo caldo, adesso per il freddo, la neve o la pioggia. E' un continuo lamento da parte di tutti. Penso che dovremmo imparare ad accettare quello che la natura ci offre. Sono convinto che l’uomo non ha mai avuto il rispetto giusto nei confronti del mondo che l’ha ospitato. L’abbiamo sempre maltrattato e adesso ci lamentiamo se lui si ribella. Siamo nel torto ma non ce ne rendiamo conto. Basta vedere quante macchine ci sono in strada. E' assurdo che in ogni famiglia ci siano almeno due macchine, spesso una a testa. Ormai nessuno fa più un chilometro a piedi perché se usi la bici sei solo d’intralcio agli automobilisti, e se sei un pedone non hai nulla da fare e tempo da perdere per permetterti di camminare.
Trovo assurda tutta questa frenesia. La gente ha sempre fretta ma non capisco dove deve andare. Hanno fretta appena svegli al mattino, hanno fretta in pausa pranzo, hanno fretta quando finiscono il lavoro, hanno fretta quando escono dalla palestra...hanno sempre troppa fretta. Spero per loro che non abbiano questa fretta quando devono soddisfare le proprie amate. Un’altra cosa che non capisco è questa moda della palestra. Perché non vanno al lavoro in bici o a piedi piuttosto che pagare un abbonamento in palestra? E poi sei sempre al chiuso, con le luci finte, l’aria condizionata, il sudore altrui che non è mai una cosa attraente, la musica a palla o le televisioni su canali musicali che mandano video di qualità discutibile. Non so, ritengo quasi assurdo stare tutto il giorno chiusi in ufficio o in fabbrica e poi andare a far sport ancora al chiuso. Tanto vale prendere un po’ di freddo e pioggia ma farsi una sana corsetta all’aperto. E poi non c’è niente di meglio che sentire le stagioni sulla propria pelle. Se fa freddo ti copri, se fa caldo ti basta una maglietta. Sono quelle cose che ormai, arrivato alla mia età, mi rifiuto di capire. Io continuo a godermi la vita con tranquillità. Il mio lavoro, la radio, mi ha permesso di stare sempre abbastanza pacato e di non dovermi mai spaccare la schiena per portare a casa uno stipendio. Ho sempre vissuto la mia vita facendo le mie scelte in maniera serena e felice e oggi che sono in “pensione” faccio la stessa cosa. In realtà per lo Stato non sono ancora in età pensionabile, però visto che economicamente me lo posso permettere, ho deciso di smettere prima e di vivere con serenità la mia terza età. Voglio continuare a viaggiare perché è sempre stata la mia più grande ione, e caro diario ti porterò sempre con me per tenerti aggiornato su quel che farò. Adesso mi rilasso cucinando qualcosa e ascoltando Abbey Road dei Beatles.
So già che quando partirà Octopus’s garden la canterò all’impazzata. A presto amico mio.
Ti scrivo da un ipad.
Caro diario, ti scrivo da un ipad. Sono seduto su una panchina al parco e mi sto godendo questo tiepido sole primaverile. Che bello quando le giornate iniziano ad allungarsi, i fiori spuntano timidamente risvegliandosi dall’inverno, la natura assume colori forti e vivi e la gente è un po’ più sorridente perché si sveglia con il sole. La tecnologia è molto affascinante perché con una “tavoletta”, così come la chiamano loro, ti posso portare ovunque e posso rimanere collegato con il mondo. Un tempo c’erano le radioline portatili o i giornali, però una volta letti erano praticamente da buttare mentre adesso posso usare internet e aggiornarmi su quello che succede in tutti gli angoli del pianeta. Posso mandare mail e fare videochiamate con persone che abitano in posti con dodici ore di fuso orario. Io sto tranquillo sulla panchina di un parco e loro sono a venti e a ore di volo. Mi stupisco sempre di questa cosa nonostante questi oggetti siano entrati nella nostra vita come quotidianità e pensa che mentre scrivo ascolto pure la musica. Dieci anni fa tutto ciò era impensabile, oggi se non sei al o ti considerano un pesce fuor d’acqua. Siccome il tempo è bello e l’umore me lo consente ascolto Live at Apollo di James Brown. E' un disco degli anni ’60, del 1963 se non sbaglio, ma suona meglio di tanti dischi odierni. Quello che fa la differenza è la classe di James Brown, The Godfather of Soul, e
dei suoi musicisti, dei fenomeni allo stato puro. Penso che ogni apionato di musica dovrebbe avere in casa questo disco perché fa bene all’anima, allo spirito e lo si può ascoltare in qualsiasi momento della giornata. Lo sto ascoltando in maniera shuffle, cioè casuale, ed è partita I lost someone. Una ballata che mette i brividi. Mi prendo una pausa dalla scrittura e l’ascolto chiudendo gli occhi e facendomi scaldare il viso da questo timido sole. Ho ascoltato tutto il disco e sono rimasto assorto, come fosse la prima volta, dalla sua bellezza. Mentre godevo, musicalmente parlando, guardavo quanta gente ava davanti ai miei occhi. Tanti che correvano, tanti con il cane ed il resto era gente che andava di fretta da una stazione all’altra della metro. Quelli con la giacca e la cravatta, la forfora sulle spalle e l’alito pesante che quando parlano ti stendono. Non ho mai capito come fanno le mogli o le fidanzate di queste persone. Spero per loro che prima d’entrare in casa mangino una decina di mentine. E' quasi mezzogiorno e tra poco pranzerò con una mia amica. Abbiamo scelto un posticino molto carino in zona navigli dove non si spende molto e si mangia abbastanza bene. E' uno di quei posti che adotta la formula dei quindici euro a pranzo, cioè danno il primo, il secondo con contorno, il dolce o la frutta, acqua vino o birra, e caffè. Non esco molto a mangiare perché mi piace cucinare e sapere cosa mangio, però conosco il proprietario del locale e so che è una persona di cui ci si può fidare. Se riesco ti scrivo prima di andare a letto così ti racconto come ho ato la giornata, altrimenti ti aggiorno appena posso. Adesso vado perché andando a piedi ci vuole una mezz’oretta buona.
Mi piace camminare e, ogni tanto, chiudere gli occhi per qualche metro e farmi direzionare dal sole. Sembra da pazzi ma è una cosa che ti da un’infinita libertà. Vorrei che tutti provassero a farlo almeno una volta nella vita. Inconsciamente sorridi mentre cammini. A più tardi. Ciao.
Avevo bisogno di
Avevo bisogno di qualcosa, ma non sapevo cosa. La mia vita andava alla grande, non potevo lamentarmi di nulla. Facevo il lavoro dei miei sogni, avevo una casa molto carina, la mia vita sessuale andava bene, avevo uno stipendio più alto della media ma alcuni giorni non riuscivo ad essere completamente felice. Non so perché, però c’erano giorni malinconici in cui tutto mi sembrava triste, cupo e senza senso. Erano giorni bui in cui non avevo voglia di fare nulla, non avevo voglia nemmeno di pensare che non avevo voglia di fare nulla. Ero apatico, e appena sveglio me ne stavo nel letto pensando come mai oggi era uno di quei giorni. Per le donne la scusa era subito pronta. Potevano dire che avevano le loro cose ma io no, non potevo, quindi non mi capacitavo del perché in quei momenti la malinconia era la mia miglior compagna di vita. Mi svegliai verso le dieci spegnendo la sveglia ma con la voglia di spaccarla contro il muro. Dopo circa venti minuti di cazzeggio e rotolamento nel letto mi alzai per fare colazione. Misi un caffè sul fornello e un disco sul giradischi. The Dark side of the moon dei Pink Floyd. Fu la colonna sonora di una mattinata in cui facevo proprio fatica a stare al mondo.
Partì Speak to me che in realtà è una traccia particolare. Non è una canzone, è il preludio di Breathe, il pezzo successivo. Mangiai qualche biscotto mentre la mia mente era rapita, totalmente rapita, dai suoni dei Pink Floyd. Arrivò The great gig in the sky, l’ultimo pezzo del lato A. Una canzone senza un testo preciso, con dei vocalizzi che fanno rizzare i peli della braccia e delle gambe e una musica che ti fa viaggiare senza farti spostare il culo dalla sedia. “I’m not frightened of dying, any time will do, I don’t mind. Why should I be frightened of dying? There is no reason for it, you’ve gotta go sometimes. I never said I was frightened of dying”. Ascoltai questo pezzo con incredibile attenzione. Lo sapevo a memoria, ogni nota, ogni parola e ogni vocalizzo, però era sempre come se fosse la prima volta. Finì il lato A del disco e rimasi paralizzato sulla sedia cercando di capire come potesse esistere musica così bella. Penso che artisti come i Pink Floyd, nella vita, potessero fare solo i musicisti altrimenti sarebbero stati dei talenti sprecati. Mi alzai per andare a cambiare il lato del disco e subito il mio stomaco andò in subbuglio così andai in bagno ad espletare il mio compito e fui subito più leggero. Pensai che cagare al mattino fosse proprio liberatorio. Rimasi un po’ sul divano ad ascoltare il disco e poi presi in mano il libro che stavo leggendo, Il giovane Holden di Salinger. Invidiavo a Holden la voglia sfrenata di lettura perché io mi stavo pian piano apionando a questo mondo, però non riuscivo a stare ore e ore a leggere. Potevo farlo con i dischi ma non con i libri. Se avessero fatto un libro su di me qualcuno avrebbe potuto invidiare la mia voglia di musica.
Mi addormentai con il libro appoggiato sul petto e mi svegliai verso le due del pomeriggio. Decisi di uscire a fare due i anche se il tempo non era bellissimo. Avevo addosso questa tristezza che non mi permetteva di sorridere alla vita. Camminai per Milano senza meta finché non vidi un negozio di dischi. Entrai, e l’odore di vinile fu un toccasana. Decisi di uscire subito per chiamare Antonio e chiedergli qualche novità da comprare. Mi faceva star bene spendere soldi nei dischi. - Antonio sono io, Gianluca, come stai? - Gianluca da quanto tempo? Ti sei dimenticato di me? E' già un mese che non ti fai sentire e ho un bel po’ di dischi da consigliarti. Dai dai prendi carta e penna e segnati questi titoli. Come al solito iniziava ad elencare titoli su titoli e non pensava a nient’altro se non a convincermi che quelli scelti per me erano i migliori. - Come primo disco ti consiglio The Alice Cooper show, molto rock in classico stile Cooper. E' un live e ci sono dei pezzi interessanti che puoi far ascoltare per distinguerli dai classici registrati in studio. iamo a Bob Marley con Exodus, a Low di David Bowie, a Mina con Mina con Bignè giusto per proporti qualcosa di italiano, a Never Mind the bollocks, Here is the Sex Pistols dei Sex Pistols che infiammerà le casse degli ascoltatori, a Rocket to Russia dei Ramones e per finire il best of di Lou Reed che si intitola Walk on the Wild Side. Hai segnato tutto? - Si, grande Antonio sei prezioso come sempre. - Ti ascolto tutti i giorni Gianluca, sei proprio in gamba. Sei il migliore in Italia. - Non esagerare, chissà quanta gente è più brava di me...io sono solo fortunato perché sono circondato da persone che amano la musica e mi consigliano pezzi
stupendi, e tu sei una di queste persone, lo sai. - Grazie Gianluca le tue parole riempiono il mio cuore di gioia. E' entrato un cliente, ti devo salutare. Fatti sentire più spesso. Ciao a stasera. - Ok Antonio, a stasera e grazie di tutto. Appesi il telefono e rimasi un attimo immobile dentro la cabina. Ero felice e malinconico. Felice perché Antonio era speciale, unico, e gli volevo proprio bene. Malinconico perché avrei voluto vederlo di persona e dargli un grande abbraccio. Con gli occhi un po’ lucidi tornai nel negozio e scelsi di comprare tutti i dischi che mi consigliò. Di solito prima di comprarli li ascoltavo, oggi invece avevo deciso così, e così fu. Andai in radio con i dischi e ascoltai velocemente alcune tracce di ognuno per capire se potevo mettere qualcosa in onda. Scelsi Anarchy in the Uk dei Sex Pistols che colpì subito la mia attenzione. - Claudio senti questo. E' grezzo, chitarra un po’ distorta e voce non troppo pulita, però senti che suono e che spinta ti dà. - Non so, mi sembra un po’ troppo forte.Vuoi metterlo dopo? - Certo. Come fai a non sentire questa musica? Non intendo ascoltarla semplicemente con le orecchie, dico proprio sentirla con tutto il corpo. E' qualcosa che ti entra dentro e che non ti lascia indifferente. Claudio mi guardò stupito e disse - Sei unico Gianluca, proprio unico. Se la metà della gente che lavora in radio avesse la tua stessa ione, questo sarebbe un mondo migliore. Ti voglio bene. Era la prima volta che un ragazzo mi diceva che mi voleva bene. Ero contento ma anche un po’ preoccupato perché faceva un effetto strano. - Non preoccuparti, mi piacciono le donne...comunque mi andava di dirti che sei un amico al di là del fatto che lavoriamo insieme, per questo che il mio ti voglio bene non può essere frainteso.
- Ok, così va meglio Cla, e a questo punto anch’io ti voglio bene. Dopo questo disco ascoltai Rocket to Russia e capii che i Ramones erano un o avanti a tutti. Mi fermai sulla traccia numero sei, Sheena is a Punkrocker. Bella, semplicemente bella. - Dopo i Sex Pistols possiamo andare un po’ più morbidi con questa Sheena is a punkrocker. - Ma non mi sembra molto più morbida, anzi, penso che sia solo un attimo più lenta ma abbia la stessa cattiveria musicale di quella di prima. - Claudio ci risiamo. Tu ascolti e non senti. Questo è un pezzo meno aggressivo e anche se non capisco nemmeno una parola mi sembra una canzone dedicata ad una ragazza. Per me è più tranquilla e può starci come seguito ai Sex Pistols. Dai troviamo qualcosa da mettere dopo. Non fu facile scegliere un pezzo degno di queste due band. Pensammo e ascoltammo dischi per una mezz’ora buona. Alla fine la scelta arrivò come manna dal cielo. - Siamo arrivati in fondo a questa puntata ricca di novità. La musica di radio Milano e soprattuto quella di Back on air con Luke on the night al microfono e Claudio, the Music Man che sceglie i dischi per voi, sta per finire ma vi lasciamo con un pezzo che vi regalerà una splendida serata. Siete pronti ad alzare il volume delle casse? Se si, allora questo è il momento perché dopo i Sex Pistols e dopo i Ramones arrivano i Trashmen con Surfin Bird....dai tutti in piedi e noi ci sentiamo domani. Buona musica e buon ascolto. Un abbraccio affettuoso dal vostro Luke. Partì il pezzo e io Claudio lo ballammo come due pazzi. Era corto, durava circa due minuti e dovevamo lasciare lo studio a Marta che entrò appena partì la canzone e ci vide ballare divertiti come due bambini. - Che coglioni - sussurrò tra sè e sè. Non le dissi niente anche se avrei voluto risponderle a modo.
Abbassò il volume e ci fece uscire perché doveva andare in onda. Si comportava proprio male con me e io me ne fregavo perché non avevo più interesse in lei. La nostra storia fu interessante, ma non poteva continuare se non con delle sane scopate. Eravamo troppo diversi, e poi, se proprio devo dirla tutta, non sopportavo quel suo diastema nel quale potevo infilarci un dito. Le prime volte poteva esser sexy, adesso la guardavo e mi chiedevo come fe a piacermi quell’enorme spazio che aveva tra i due incisivi centrali. Uscii con Claudio per bere qualche birra e come al solito finimmo la serata sbiascicando, ridendo e trascinandoci verso casa. La malinconia era solo offuscata dall’alcol, però sapevo che se fossi stato sveglio avrei avuto la depressione post alcolica e avrei voluto scopare tutta la notte, ma sicuramente non potevo trovare nessuna a quell’ora. Salutai Claudio e decisi di andare in una zona della città dove potevo trovare qualche puttana. Non sapevo nemmeno se ci sarei andato o no, però l’idea di pagare per possedere una donna solo per portarmela a letto, mi faceva andar fuori di testa. Qualche anno fa non avrei mai immaginato di poter anche solo pensare di pagare una donna. Stasera avevo talmente tanta voglia e talmente tanta birra in corpo che non pensavo ad altro se non a sfilarle le mutandine, e rendermi conto che quella cosa lì sotto poteva rendere felice ogni uomo eterosessuale della terra. Arrivai in un quartiere famoso per la prostituzione. Mi fermai un centinaio di metri prima, mi appoggiai al muro un po’ ubriaco e mi feci molte domande. Pensai se fosse giusto, etico e virile andare con una puttana. Mi sentivo come uno dei cartoni animati con il diavolo e l’angelo sulle spalle. Il diavolo mi diceva che per star bene non può star bene solo l’anima ma anche il corpo, quindi dovevo assolutamente andare per sfogare ogni mia voglia, l’angelo mi parlava in maniera più poetica dicendomi che non era il caso e che l’indomani sarei rimasto molto deluso dal mio gesto. Non sapevo cosa fare. Mi misi seduto sul marciapiede con la testa tra le mani e pensai che comunque avevo una voglia fottuta. Potevo andare a casa e fare come avevo fatto per parecchi anni, però adesso che sapevo cos’era il sesso non mi
accontentavo così facilmente di una sega. Sentii una mano sulla spalla e mi spaventai parecchio. - Scusa non volevo spaventarti - disse la ragazza con una voce molto dolce - è che ti ho visto accasciato per terra con la testa tra le mani e pensavo non stessi bene. - No, non preoccuparti sto molto bene - risposi un po’ impaurito e indietreggiando. - Non spaventarti, non faccio nulla di male. Io lavoro qui e di solito le persone si fermano perché vogliono venire a letto con me. E' questo che vuoi? - No. E' solo che ho bevuto un po’ troppo e mi sono perso. - Non sapevo cosa dire ed ero molto imbarazzato. In quel momento ho capito d’essere totalmente fuori luogo e impacciato anche solo nel parlare con una di loro. Subito pensai di scappare e lasciarla li così, però non sarebbe stato giusto visto che lei era stata molto gentile. - Sei sicuro di star bene? Comunque mi chiamo Giada. - Piacere, Gianluca. - Dove abiti? - Abito a circa una ventina di minuti da qui infatti mi sa che tra poco vado. - E come ci sei finito qui? - Te l’ho detto, mi sono perso. - Come fai a perderti nella città in cui vivi? Te lo dico io, tu volevi scopare ma non hai il coraggio di pagare perché ti sembra una cosa dispregiativa. - No. Non è vero. Ho bevuto un po’ troppo e mi sono perso. - Non ti devi giustificare o vergognare. La maggior parte delle persone non vogliono ammettere a loro stesse di pagare per fare sesso. Ci trattano malissimo pensando che pagando hanno il diritto di schifarci e trattarci come degli oggetti.
Comunque se vuoi posso farti un buon prezzo. - Grazie ma preferisco di no. Non è vergogna è solo che avevo voglia ma non me la sento di pagare. Almeno non adesso. Magari un giorno terrò conto di questa opportunità. Spero di non offenderti. - Non preoccuparti, non mi offendi. Sono abituata ad insulti di ogni genere e le tue parole sono le più gentili che mi siano mai state dette. Adesso ti lascio perché devo lavorare per guadagnare qualcosa. E' stato un piacere Gianluca. Si avvicinò e mi diede due baci sulle guance. - E' stato un piacere anche per me Giada. Ciao e buon lavoro. Sembrava che tutto d’un tratto l’effetto dell’alcol fosse sparito. Mi sentivo bene perché mi sarei vergognato per il possibile gesto, però mi dava fastidio che le persone le trattassero male solo perché, pagando, si sentivano superiori. Tornai verso casa con questa amarezza in bocca. Lo sapevo che la giornata non poteva finir bene perché era iniziata in maniera anonima ed era finita con mille pensieri sulla vita. Volevo solo mettermi nel letto e spegnere ogni mio pensiero. Arrivai a casa un po’ ciondolante e capii che l’effetto alcolico era ancora in possesso delle mie capacità di intendere e di volere. Prima di trovare le chiavi di casa e di infilare quella giusta nel portone, arono almeno dieci minuti. Entrai in casa e decisi di vomitare tutto infilando due dita in bocca così da eliminare ogni traccia alcolica nel mio stomaco. Spesso facevo così anche per ridurre il rincoglionimento del giorno successivo. Non avevo voglia di dormire e scelsi un disco da ascoltare. Mentre guardavo tra le possibili scelte, mi capitò tra le mani proprio quello che stavo cercando, Strangers in the night di The Voice, Frank Sinatra.
Il disco partì proprio con la canzone omonima al titolo del 33 giri e iniziai a ballare da solo. Con questo capolavoro Frank Sinatra vinse due Grammy nel 1967, uno come miglior voce maschile e uno come miglior disco. Facevo questi pensieri come se dovessi spiegarlo ai miei ascoltatori. Ormai lo speaker e la persona erano una cosa unica e spesso in casa parlavo da solo facendo dei possibili discorsi che potevano andar bene in onda. Riguardo a Strangers in the night non si poteva non pensare che quello era un cazzo di capolavoro. Ascoltai la prima canzone travolto dalla musica e dalle parole e poi mi lasciai cascare a peso morto sul divano. Sentii tutto il disco senza fare il minimo rumore. Appena la puntina fece il classico fruscio che fa appena arriva alla fine di un lato, mi alzai e mi accorsi che erano le quattro del mattino. Era giunta l’ora di andare a letto e dimenticare quella giornata poco sorridente.
Sono le sette di sera.
Caro diario, sono le sette di sera e sono appena rientrato dopo una giornata piena d’impegni. Alcune volte non realizzo come anche da non lavoratore il tempo possa scorrere così velocemente. E' già sera e la giornata è volata in un batter d’occhio. Questa mattina sono andato in posta per sbrigare alcune commissioni e ogni volta che vado in posti simili mi piace guardare le persone che soffrono mentre aspettano in coda. Sembrano sull’orlo di una crisi di nervi e mi sembra impossibile che tutti abbiano sempre fretta. Chissà mai cosa devono fare. Io sono convinto che la fretta gli venga solo ed esclusivamente perché sono in coda, altrimenti sarebbero calmi e pacifici. Magari le stesse persone, cinque minuti prima, erano al bar sedute, tranquille e beate a gustarsi un caffè. Io ero nel mio microcosmo musicale circondato da 3mc and one dj, ovvero i Beastie boys. Avevo bisogno di carica e come primo pezzo ho scelto Sabotage, dopodiché ho lasciato la riproduzione casuale su tutti i loro album. Penso che siano in grado di regalare energia anche alla persona più svogliata del mondo. Dopo la posta sono andato in un piccolo negozio di alimentari, uno dei pochi che ancora resiste nel caos degli ipermercati ( citazione presa da Il nulla dei Baustelle ) a farmi fare un paio di panini con prosciutto e formaggio. Ho preso una birra, sono andato al parco e mi sono seduto su una panchina a gustarmi il mio piccolo pranzo. Nel pomeriggio ho incontrato un paio di ragazzi che vorrebbero far radio e mi hanno chiesto dei consigli, così ci siamo trovati nel loro piccolo studio e non ho potuto mentire. Sono alle prime armi e si sente moltissimo perché non hanno i ritmi radiofonici e non sanno tenere un discorso come si dovrebbe. Vogliono fare la solita trasmissione comica che non ha né capo né coda. Nessuno pensa che per far ridere ci vuole grande preparazione e molto lavoro dietro ai pochi minuti
in cui ci si espone al pubblico. Tutti credono che basti dire due parolacce o sfottere qualcuno e si è subito dei comici. Con loro sono stato sincero e penso, anzi spero, di non averli demoralizzati. Ho espresso il mio giudizio come se fossi un ascoltatore e ho detto che non avrei mai potuto ascoltare una cosa simile. Spero che la ione, la costanza e la voglia facciano sì che questi ragazzi continuino senza mollare mai. Sono uscito dalla radio verso le cinque e mi sono accorto che un po’ mi manca quel mondo. Anzi no, mi mancano le cuffie, il microfono e i dischi da annunciare. Non sento la mancanza di tutta la merda che c’è nel mondo dello spettacolo, l’assurdo trattamento che le persone riservano alla radio non l’ho mai sopportato e, ancora oggi se ci penso, mi viene l’ulcera. Ho girovagato un po’ per la città facendo mille pensieri. Avrei voluto entrare in un negozio di vinili come facevo una volta, ma diciamo che al giorno d’oggi, negozi simili, sono rari quanto una quindicenne vergine. Mi sono accontentato di una libreria, del profumo di libri e delle copertine colorate. Un po’ come mi accadeva per i dischi sono molto attratto dalle copertine perché è una vetrina importante. Se la copertina è bella, interessante e incuriosisce il cliente, penso che sia un ottimo punto di partenza. Non ho comprato nulla però sono uscito con una ricchezza interiore che difficilmente riesco a spiegare. Mentre tornavo a casa guardavo la gente che aveva appena finito di lavorare e come ti dico spesso, sempre di fretta, anche dopo otto o nove ore di lavoro. Tutti che devono prepararsi per l’aperitivo o per la palestra.
Io camminavo ascoltando Dan Auerbach in cuffia. Ha fatto un disco solista intitolato Keep it hid, un album del 2009 che è un misto tra rock, blues e ballate struggenti. Appena è partita When the night comes avrei voluto abbracciare tutti quelli che incontravo. E' una poesia musicata, con una chitarra in sottofondo che dà un ritmo lento, preciso e perfetto per quelle parole. Penso che sia uno scempio sapere che la maggior parte delle persone non conosca musica simile. Tutti dovrebbero aver la possibilità di ascoltare canzoni così belle, o tutti dovrebbero avere un amico che fa il dj così che lui possa consigliare pezzi simili. Quando cammino ascoltando album come questo penso di non toccare terra talmente rimango affascinato da quello che sto ascoltando. Riesco a staccare completamente il cervello, a non accorgermi nemmeno di quello che mi accade intorno, e se entro in casa e in cuffia ho un pezzo stupendo non sono capace di spegnere l’ipod così da stoppare la musica; faccio le mie cose tenendo le cuffiette fino alla fine del pezzo e appena spengo l’mp3 accendo lo stereo di casa. Mentre ti scrivo ho deciso di suonare un vinile perché sentivo la nostalgia del gesto. Aprire la copertina, sfilare il disco, appoggiarlo sul piatto, alzare la puntina, metterla delicatamente sul vinile e sentire il grezzo fruscio prima dell’inizio del pezzo. Tutto questo rende l’ascolto ancor più bello. Sto ascoltando I am a bird now di Antony and the Johnsons. Il cantante si chiama Antony Hegarty e per fortuna che la sua bellezza non va di pari o con la sua voce. E' brutto, proprio brutto. Però ha una voce che ti stende.
L’ho sentito un paio d’anni fa con l’orchestra sinfonica di Milano al teatro degli Arcimboldi e lui, con la sua voce, era in grado di coprire il suono dei musicisti. Non ha molta presenza scenica, però il suo ruolo è quello di cantare e pochi lo sanno fare come lui. Mi soffermo su Fistful of love, canzone fatta in collaborazione con Lou Reed. Nel finale c’è un leggero sentore funky e me lo godo a tutto volume, tanto i miei vicini sono abituati. E' bello che anche i dischi moderni escano in 33 giri. Io li compro sia in cd che in vinile perché per me hanno un effetto diverso. Adesso me lo godo tutto e poi cucino qualcosa.
Buona serata caro diario.
Qualche problema
Erano i primi anni 80 e in Italia si stava diffondendo sempre più la disco music. A me non faceva impazzire, però da amante della musica era proprio stupido non accorgersi che quella potesse essere una svolta importante. In radio arrivavano molti dischi stranieri, soprattutto americani, riguardo a questo fenomeno che si stava propagando sempre più. Mi ricordo vinili di Glorya Gaynor, di Donna Summer, degli K.C. and the Sunshine Band, dei Village People e di gruppi simili. Tutte canzoni molto allegre e orecchiabili, però io ero ancora legato al rock and roll. Anzi, ero legato alla chitarra, al basso e alla batteria. Potevo ascoltare un disco di quelli ma non era il mio genere preferito. Nelle discoteche milanesi i djs iniziavano a suonare solo quel tipo di musica perché alla gente piaceva moltissimo, le ragazze impazzivano e ballavano come delle scatenate. Di solito si alternavano un paio di pezzi veloci ad uno lento che serviva per baciare la ragazza che si conosceva nel locale, almeno quando si era fortunati. Mario insisteva sempre più affinché io iniziassi a are la disco music. Avrei snaturato molto la mia trasmissione, però in un certo modo accettai per non rischiare di perdere il lavoro. Per me e per Claudio era molto difficile riuscire a mettere in successione un disco dei Clash con un pezzo dei Santa Esmeralda. Era anche carina la loro Don’t let me be misunderstood, che tra l’altro pochi sapevano che era una cover di Nina Simone, però non era proprio facile fare le scalette delle puntate. Ci salvavano un po’ i dischi della Motown e per fortuna c’erano pezzi di Marvin Gaye, di Stevie Wonder, di Sam Cook o di Michael Jackson che potevano fare da
cuscinetto tra il rock e questa nuova frontiera musicale. Ogni giorno avamo almeno due ore per scegliere tutte le canzoni da mettere in onda e puntualmente Mario a fine puntata aveva da ridire perché secondo lui la musica era troppo di nicchia. - Non va bene così. Vi ho detto che dovete puntare di più sulla musica che c’è adesso, la disco musica o come cazzo si chiama in inglese. - ci disse pochi secondi dopo la fine della trasmissione. - Sì però noi abbiamo una nostra coerenza musicale. Chi ci segue sa quello che iamo e sa cosa ci piace...ci devi dare del tempo e non puoi pretendere di cambiare dall’oggi al domani.- -- Non hai capito, non me ne frega un cazzo di quello che pensate. Sono io che vi pago e sono io che gestisco la radio. Vi è chiara questa cosa? Se sì, fate come dico io, se no, uscite da quella porta e non entrate più. E se ne andò bofonchiando qualcosa che non riuscii a capire. In quel momento avrei voluto mandarlo a fare in culo e spaccare il giradischi per terra, peccato che avevo troppo rispetto per A Forest dei The Cure, cioè il pezzo che chiudeva la puntata appena finita e che stava ancora suonando. Una canzone stranissima come era stranissimo Robert Smith, il cantante di questa band britannica. In quel pezzo la musica aveva un’importanza incredibile, più del testo secondo me. Ho continuato ad ascoltarla per farmi are la rabbia anche se in studio era arrivata quell' acida di Marta e aveva abbassato il volume. Sicuramente aveva visto tutta la scena e origliato ogni singola parola. - Non vanno molto bene le cose caro il mio Luke on the night. Era la prima volta che mi rivolgeva la parola dopo anni di indifferenza assoluta. Non che la cosa mi desse fastidio, però proprio non capivo questa sua inutile esternazione. Anzi, forse lei non aspettava altro.
- Vanno benissimo invece. Tu pensa alla tua trasmissione e agli stronzetti che ti chiedono dediche del cazzo. Alla musica ci penso io perché se fosse per te la radio potrebbe chiudere nel giro di una settimana visto che di musica non ne capisci proprio. - Sei il solito stronzo. Non vale la pena parlare con te. - No, infatti. Non vale così tanto la pena che per anni sei stata zitta nei tuoi inutili silenzi. Non hai dato spiegazioni e non ti sei nemmeno degnata d’essere un minimo educata. Adesso pretendi che io venga qui a risponderti come se niente fosse? Non ci si comporta così e non ho nemmeno la voglia di parlare con te visto che ho problemi maggiori da risolvere. - Infatti, pensa che magari tra poco non avrai più la tua trasmissione. - Vaffanculo. - Anche a te. Uscii dallo studio sbattendo la porta e imprecando contro di lei. Non aveva il diritto d’essere così arrogante e maleducata nei miei confronti. Non le avevo fatto nulla e l’indifferenza poteva anche andarmi bene, ma gli insulti no. Quella sera mi ubriacai più del solito. Con Claudio andammo al bar Scroto e bevemmo due medie quasi alla goccia, mangiammo un panino schifosissimo e subito dopo altre due birre. Era venerdì sera e avevamo davanti tutto il weekend. Volevo sfondarmi, e così fu. Volevo dimenticare la discussione con Mario e l’inutile scambio di insulti con quella stronza di Marta. Dopo quattro medie andammo un po’ in giro per la città, l’alcol iniziò a fare effetto e noi eravamo solo contenti.
Finimmo davanti ad un pub e decidemmo di bere qualcosa. C’era un’ampia scelta di birre e ci buttammo sulla prima che capitò. Non ci interessava bere cose buone, l’importante era bere cose alcoliche. Bevemmo altre due medie, io continuavo ad andare in bagno, barcollavo vistosamente e ridevo per ogni minima cosa. Tornai al bancone da Claudio e guardandoci negli occhi capimmo che quella sera saremmo stati svegli fino all’alba. Uscimmo dal pub per andare in una discoteca. Un posto buio, con il soffitto basso, le luci di tutti i colori anche sul pavimento, la palla argento appesa al soffitto in mezzo alla pista e la gente che sembrava non divertirsi così da anni. Io, all’inizio, ero abbastanza schifato dall’ambiente, però le sei birre medie non mi diedero modo di pensare che non era il mio tipo di musica. Ballai in mezzo alla pista in un modo molto ridicolo ma non ero preoccupato del giudizio altrui. Ad un certo punto, un po’ ballando un po’ barcollando, andai addosso ad una ragazza che non era proprio carina ma con tutto quello che avevo bevuto poteva sembrare una modella. Diciamo che se l’avessi rivista al mattino mi sarei vergognato di me stesso. - Ciao sono Gianluca, come ti chiami? - dovetti urlarle nell’orecchio perché eravamo proprio sotto la cassa. - Mi chiamo Maria, piacere. Nel giro di pochi minuti stavamo limonando. Le mie mani toccavano il suo corpo con la stessa grazia con cui un meccanico tocca il motore di una macchina. Ero troppo ubriaco per rendermi bene conto della situazione. La baciavo e la toccavo e ad un certo punto le infilai le mani sotto la maglietta ma lei le tirò via con un gesto repentino. Mi guardò negli occhi e mi disse che lì non era possibile. Andammo nei bagni del locale e ci sfogammo come non mi capitava da tempo.
Le abbassai appena i pantaloni, giusto per scoprirle la patata, la girai facendole appoggiare le mani al muro, le alzai leggermente una gamba e la penetrai con una certa violenza. Non mi era mai capitato di conoscerne una e farci l’amore senza sapere quasi nulla di lei. Fu breve ma intenso. Eravamo entrambi soddisfatti e dopo essere usciti dal bagno sembravamo due perfetti sconosciuti. Claudio era appoggiato al muro vicino alla consolle. - Allora Cla, cosa fai qui? Non ci provi con nessuna? - No preferisco ascoltare che pezzi mette così magari lunedì facciamo una scaletta diversa e Mario non si lamenta. - Cosa te ne frega di quello che pensa lo stronzone... - era la prima volta che lo chiamavo così, però nel pomeriggio mi aveva fatto proprio incazzare. -Goditi la serata e cerca qualcuna così almeno ti diverti un pochino. Claudio era una persona stupenda. Pensava sempre al lavoro, anche il venerdì sera, dopo sei birre e in una discoteca piena di donne. Avrebbero dovuto valorizzarlo molto di più, invece in quella radio lo trattavano come uno schiavo. Ogni tanto mi dispiaceva per lui e prendevo la situazione a cuore perché non si meritava quel trattamento. ava almeno dieci ore al giorno in radio e tutti davano questa cosa per scontata. Ogni tanto gli speaker si incazzavano con lui perché non riusciva a trovare dei dischi. Avevamo milioni di pezzi ed era veramente difficile trovarli ma lui conosceva l’archivio a memoria ed ogni tanto, in rarissime occasioni, capitava che non si ricordava il titolo di un album e non riusciva a trovarlo. Era lecito ma purtroppo tanti non lo capivano. Lui non aveva il coraggio di rispondere e accettava ogni critica. Più volte abbiamo parlato di questa cosa e più volte ho cercato di fargli capire che non doveva permettere a nessuno di trattarlo male.
Fondamentalmente lui aveva paura di perdere quel lavoro che tanto gli piaceva e per questo era disposto ad accettare anche gli insulti. - Dai Claudio vai in pista a ballare e divertiti con qualcuna di queste ragazze. Sono tutte mezze troiette, le metti la lingua in bocca e poi te la scopi nei bagni. - No Gianluca preferisco star qui appoggiato al muro perché mi sa che ho bevuto troppo. - Troppo poco intendi...vado subito a prendere altre due birre per festeggiare. - No, per me no. Disse lui mentre avevo già ordinato le due birre al bar. - E poi cosa vuoi festeggiare? - Nulla in particolare, la nostra serata. Si, la nostra serata è un ottimo motivo per festeggiare. - Ok, allora alla nostra serata. Erano le cinque del mattino ed eravamo sdraiati sul pavimento di casa mia. C’erano tre bottiglie di birra rovesciate per terra e un po’ di vomito sui miei vestiti. Ero contento anche se non stavo bene. Mi alzai con quel poco di forze che mi restava e mi trascinai a letto. Non mi tolsi nemmeno i vestiti perché tanto non sarei stato in grado. Mi addormentai e il giorno dopo mi svegliai verso le tre del pomeriggio. Appena sveglio andai in bagno per vomitare qualsiasi cosa. Dopo qualche minuto mi accorsi che Claudio era steso sul pavimento e aveva la faccia immersa nei cuscini che aveva preso dal divano. Era stata una serata proprio pesante.
Barcollavo ancora un pochino ma non mi preoccupai perché avevo anche la domenica per riprendermi. Misi il caffè sul fornello e fu la prima volta che preferii il silenzio a qualsiasi disco. Claudio si alzò e si sedette al tavolo. - Allora, come va? - Non bene, non bene. Questa è più pesante del solito. Tra poco vado a casa e dormo fino a lunedì mattina. - Buona idea. Magari dopo esco a fare due i per prendere una boccata d’aria fresca e ti riaccompagno a casa. Facemmo una sorta di colazione a base di caffè e biscotti. Non avevamo troppa fame ma sapevamo che in questi casi mangiare poteva far bene. Feci una doccia anche perché puzzavo di vomito. Rimasi sotto l’acqua calda per almeno venti minuti lasciandomi coccolare dal getto e dal calore. Uscii e andai a vestirmi dicendo a Claudio di farsi una doccia con calma. Non volle, così decidemmo di andare a fare due i. Dopo un po’ lui andò verso casa sua e io tornai verso casa mia. Seguii il suo consiglio e ai buona parte del sabato, e tutta la domenica, tra letto e divano. Il lunedì arrivò in fretta, troppo in fretta. La mattina mi svegliai abbastanza fresco dopo che ai un giorno e mezzo in stato comatoso. Uscii a far colazione perché in casa non avevo più niente e andai a far la spesa comprando un po’ di cibo sano. Tornai giusto in tempo per mezzogiorno così da cucinare qualcosa prima di andare in radio, e nel frattempo ascoltai qualche disco nuovo che avevo
comprato la settimana precedente ma che non avevo ancora avuto l’occasione di sentire. Andai in radio e incontrai subito Mario. Non volevo vederlo e mi accorsi che la rabbia nei suoi confronti non era svanita. - Sei pronto per una nuova settimana? - disse lui con un sorriso da stronzo stampato sulla faccia. - Si. - risposi in maniera lapidaria. - Senti Gianluca, il tuo comportamento ultimamente non mi sta bene. Rispondi in modo arrogante, pretendi sempre di fare di testa tua e in più pensi d’essere il migliore al mondo. Se continui così ti lascio a casa subito. In realtà non era vero quasi nulla di quello che diceva ma doveva parlare e fare la voce grossa solo perché era il capo. Io non risposi e gli feci credere che aveva ragione. A volte è meglio dire di sì anche se non la si pensa alla stessa maniera. Con alcune persone è impossibile parlare e con Mario, ultimamente, era diventata impossibile ogni minima forma di colloquio. Andai da Claudio molto tranquillo e iniziai a parlare di alcuni pezzi che potevamo mettere in onda. Lui mi guardò un po’ impaurito e mi diede un foglio pieno di canzoni. - Che cos’è? La scaletta della stronza? - dissi io leggendo i titoli dei pezzi. - No, è la tua? - Cosa? - E' la tua. - E chi ha deciso questi pezzi? Che cazzo mettiamo in onda Claudio...che musica è questa? - Non ho deciso io. Ho trovato questo foglio appena sono arrivato questo
pomeriggio. Andai subito nell’ufficio di Mario ed entrai con prepotenza senza bussare. Lui mi fermò con la mano appena vide che sventolavo quel foglio. - Quella è la musica che metterai oggi. E da domani regolati perché dovrai fare sempre scalette simili. - Ma che caz...- mi interruppe ogni forma di risposta sul nascere. - Se non ti va bene sei libero d’andartene. Ho la coda di persone che non vedono l’ora di prendere il tuo posto. Uscii dal suo ufficio prendendo a calci ogni cosa che trovavo di fronte a me. Ero arrabbiato, deluso, frustrato e senza scelta. O così o nulla. Andai in onda mettendo bene i puntini sulle i. - Buona sera amici di Radio Milano e benvenuti a Back on air. Buon inizio di settimana da parte di Luke on the night e da Claudio the music man. Quest’oggi, e forse per tutta la settimana, anzi tutto il mese, no tutto l’anno o fino a che la prossima moda musicale non arriverà a sconvolgere di nuovo la nostra scaletta, suoneremo solo ed esclusivamente disco music per la felicità di Mario che gestisce la radio e che se ne fotte di tutto quello che abbiamo costruito in questi anni. Io avrei voluto continuare a mettere la musica che eravate abituati ad ascoltare all’interno di Back on air, ma oggi né io né Claudio abbiamo avuto la possibilità di scegliere i brani da suonare. Direi che è giunto il momento di iniziare con la musica e di mettere il primo pezzo. Non potevamo, anzi non poteva il nostro Mario scegliere una canzone peggiore di questa, YMCA dei Village People. Alzate le casse e ascoltate questo scempio. Feci giusto in tempo a chiudere il microfono che fui aggredito verbalmente da Mario. Era una bestia e non l’avevo mai visto così. - Adesso stronzetto del cazzo sentimi bene. Finisci la tua trasmissione di merda e te ne vai per sempre da questa radio. Io rimasi zitto e lo lasciai sfogare. Sfoggiavo un sorriso che rendeva molto bene l’idea di quanto lo stessi prendendo per il culo e lui andava su tutte le furie
vedendo il mio comportamento quasi indifferente. - Avessi potuto scegliere liberamente la musica adesso avrei messo un pezzo dei Blondie, di Bob Dylan, dei Sex Pistols, dei Beatles, dei Rolling Stones o qualcosa di simile, ma siccome oggi abbiamo Mario che sceglie per noi e per voi, vi lascio ascoltare la sua musica di merda e mi rifiuto pure di annunciarla. Luke on the night vi saluta e questa è l’ultima volta che mi sentite parlare ai microfoni di Radio Milano. Grazie a tutti e ci sentiamo sicuramente da qualche altra parte. Mi alzai buttando le cuffie per terra e senza mettere nessun disco sul giradischi. Claudio corse ai ripari mettendo la prima cosa che capitava e, guarda caso, era ancora il disco dei Village People. Mario venne verso di me ed era imbufalito. Mi affrontò con la sua faccia ad un centimetro dalla mia e all’inizio cercai d’evitarlo. Lui non si spostava, gridava parole senza senso e mi alitava in faccia. Aveva pure un alito pessimo. Era accecato dalla rabbia così gli mollai un pugno talmente forte che lo mandai a terra. Lo scavalcai tenendomi la mano per il dolore e lo lasciai lì a rantolare insieme ai leccaculo che gli chiedevano se stesse bene o meno. - Un saluto da Luke, caro pezzo di merda. Me ne andai sbattendo la porta così forte che pensavo potesse staccarsi dal muro. Ero libero. Libero dal lavoro anche se la cosa mi spaventava. Sapevo che potevo trovare un’altra radio però per adesso ero libero e volevo godermi la mia libertà. Dovevo riflettere su quello che era successo e sul perché eravamo arrivati ad odiarci. Avevo continuato a trasmettere sempre nello stesso modo, però da un giorno all’altro le cose non andarono più bene e arrivai a pensare addirittura che quella stronza di Marta avesse potuto parlare male di me o si fosse inventata cose non vere. Ero confuso, felice, malinconico, sorridente e triste. Cambiavo umore ogni dieci
secondi e mi pentivo di quello che avevo fatto un momento si, e un momento no. Mi fermai al bar Scroto per una birra e vidi Mario uscire dalla radio con un fazzoletto sul naso. Ero pronto a rifare tutto quello che avevo fatto anche se la mano mi faceva malissimo. Si meritava di peggio quel bastardo. Uscii dal bar e mi incamminai verso casa. Ero un trentenne senza lavoro, felice, libero e consapevole di quello che era successo.
Era giunto il momento di are ad una radio migliore.
Sono appena tornato.
Caro diario, sono appena tornato dal concerto di Davide Van de Sfroos. Sono andato con un mio amico, Christian. Siamo stati colleghi per un po', poi lui ha mollato perché diceva che lo speaker non gli garantiva un futuro certo e ha preferito un lavoro da contratto indeterminato. Adesso è sposato con figli ma continuiamo comunque a fare le nostre serate. E' stato un peccato che non abbia tenuto botta, come si dice in questi casi, perché era proprio bravo. Tornando al concerto devo dire che Davide merita sempre. E' la terza volta che lo vedo nel giro di pochi mesi ed è sempre emozionante. Lui è un grande narratore, infatti tra un pezzo e l’altro racconta molte cose con un lessico invidiabile. Sicuramente si prepara un piccolo discorso in testa, però poi parla improvvisando molto. I suoi musicisti sono eccezionali e ti assicuro che il risultato è anche meglio del disco. Ho visto parecchi concerti e poche volte i cantanti replicano la bravura e la classe di quello che hanno fatto in studio. Quando registri puoi modificare tutto quello che vuoi, e la tua voce può sembrare intonata anche se non lo è, mentre quando sei live e canti in prima persona non puoi mentire. Si dice che Madonna non canti mai dal vivo ma sempre in playback...non so se è
vero, però se fosse così penso sia vergognoso. Davide Van de Sfroos è un menestrello della musica italiana tanto quanto cantautori più famosi di lui. E' di nicchia perché le sue parole non sono comprensibili ai più, però ti posso assicurare che scrive delle poesie. Dopo i concerti mi piace sempre fare una full immersion delle canzoni del cantante che sono appena andato a vedere perché gli stessi pezzi hanno qualcosa di diverso. Li ascolto con gli occhi chiusi e rivedo le immagini del concerto, rivivo le stesse emozioni e spesso mi viene la pelle d’oca. Mi piace sdraiarmi sul divano con le cuffie e ascoltare questi brani che mi regalano emozioni indescrivibili. Adesso ti saluto e vado a sentire un suo disco prima di addormentarmi. Mi piaceva condividere con te questa mia nottata ricca di sentimento musicale. A presto amico mio.
Periodo di transizione
Avevo trent’anni e non avevo più un lavoro. Non un semplice lavoro ma quello dei miei sogni. Ero disoccupato da una settimana e non avevo ancora detto nulla a mia mamma. Ovviamente si era accorta perché non mi sentiva più in onda, però io le avevo mentito dicendole che mi ero preso una pausa per riflettere su alcune cose. - Ciao Antonio sono Gianluca, come stai? - Ciao Gianluca. Ma non ti sento più in onda? Come mai? Cos’è successo? Non lavori più?- Antonio un attimo, calmati, adesso ti spiego. Ho lasciato la radio perché non andavo d’accordo con il direttore...ed è stato meglio così, credimi. Mentre dicevo queste parole cercavo pure io di autoconvincermi che fosse la verità ma purtroppo trasmettere mi mancava moltissimo e mi mancava l’ambiente radio. - Ma come? Ma sono matti a farti andar via? Tu sei il migliore e nessuno conosce la musica meglio di te. Non capiscono niente Gianluca, sono loro che stanno sbagliando. - E' un discorso lungo Antonio. Mi avevano vietato di mettere le canzoni che volevo e mi son rifiutato di continuare a trasmettere. Non mi sentivo a mio agio con musica diversa da quella che sceglievo io. - E adesso? Come fai con i soldi? - Non preoccuparti ho messo via qualcosina, me la posso cavare ancora per un po’. E poi non è detto che io non riesca a trovare un’altra radio. Come dici tu, sono o non sono il migliore? - Lo sei Gianluca....lo sei. Sono sicuro che troverai qualcosa di meglio di quella
radio, e sono sicuro che i tuoi nuovi capi valorizzeranno meglio la tua professionalità. Vuoi che ti consigli qualche disco? - No Antonio non preoccuparti. Ti ho chiamato solo per salutarti. Verrò a trovarti presto. Prima di iniziare un nuovo lavoro farò un salto in paese. Adesso ti saluto e ti mando un grande abbraccio. A presto. - Ciao Gianluca e fatti sentire. Appesi il telefono con il cuore in gola, come sempre. Parlare con Antonio era come farsi fare una carezza da una persona che si ama. Avrei voluto andare a trovarlo più spesso ma non potevo, anzi inventavo scuse a me stesso per are il weekend a Milano e non tornare nel mio paesino. In otto anni di vita milanese ero tornato solo una volta al di fuori delle varie visite natalizie. In quel momento ero deciso e convinto che sarei andato presto. Per adesso volevo solo cercare una radio. Avevo dei contatti con una grossa emittente che si chiamava Radio International. Mi cercarono loro qualche mese fa ma non risposi perché stavo bene a Radio Milano e mai avrei potuto immaginare una fine come quella realmente accaduta. Decisi che la mattina seguente sarei andato lì per parlare con il direttore. In questo istante avevo solo voglia di godermi il pomeriggio e così andai al cinema. Guardai un capolavoro, The Blues Brothers. Splendide le interpretazioni di John Belushi e Dan Aykroyd e splendida la colonna sonora. Una volta uscito dal cinema avrei voluto correre in radio per raccontare le mie
emozioni e suonare uno di quei fantastici pezzi. Erano le sei del pomeriggio e andai in un negozio di dischi per cercare la colonna sonora perché mi piaceva molto possedere i vinili originali con le musiche dei film. Ne avevo parecchie di Ennio Morricone anche se non ero appasionato di film western. La sua musica era incredibile, perfetta in ogni situazione. Praticamente un genio. Trovai il disco tra le novità assolute, lo comprai e corsi verso casa per ascoltarlo e rivivere le immagini del film. Ascoltai ballando, Everybody Needs Somebody, Shake a Tail Feather, Gimme Some Lovin e poi arrivò lui, Cab Calloway con Minnie the Moocher. Mi fermai imbambolato davanti al disco che girava e suonava. Ero come un corpo inerte, non reagivo perché quella era la canzone con la quale avevo chiuso la mia avventura a Radio Compa. Mi tornarono in mente tutti i momenti ati con Yuri e Mena e mi tornò in mente anche Valentina. Mi misi sul divano dopo aver spento il giradischi e dopo aver aperto una bottiglia di vino rosso. Ero emozionato, agitato, e il mio corpo era pervaso da strane sensazioni. Non sapevo se piangere per i ricordi e la malinconia o ridere per i bei momenti che avevo ato. Mi tornarono in mente tutti i sabato sera ati nella vecchia filanda, le litigate con il signor Mazzolino, il comandate dei vigili, tutti i pomeriggi da Antonio a scegliere i dischi, e le serate per organizzare la diretta. Quella era la radio che volevo tornare a fare, la radio che nell’ultimo periodo mi era stata privata e che tanto mi mancava. Ora dovevo scontrarmi con una radio che era tale quale ad un’azienda. Loro dovevano guadagnare a costo di ridurre la qualità dei parlati e soprattutto della musica. C’erano accordi assurdi tra le case discografiche e i direttori artistici. Questi ultimi avrebbero venduto la propria madre pur di avere un pezzo in anteprima.
Che vergogna!!! Ero contento d’essermi un po’ ribellato al sistema anche se ero molto pensieroso per il mio futuro. Con un lavoro normale non sarei mai riuscito a mantenere quella casa, e soprattutto ero abituato a non fare un cazzo dalla mattina alla sera. La radio non era un lavoro, era un divertimento ben retribuito, e iniziare a lavorare dieci ore al giorno, a trent’anni, non era un’idea che mi fe stare molto bene. Finii la bottiglia da 750 ml e non mi accorsi che erano già le undici di sera. Non avevo ancora cenato e soprattutto ero abbastanza brillo. Non euforico ma malinconico, di quella malinconia che ti prende dopo che bevi troppo. Dovevo assolutamente mangiare perché il mio stomaco era parecchio in subbuglio, così feci un semplice piatto di pasta al sugo visto che erano le uniche cose commestibili e non scadute che avevo in casa. Andai a letto verso le due deciso a svegliarmi relativamente presto per propormi a Radio International. La sveglia suonò alle dieci e mi alzai all’istante. Stavo bene e non sentivo l’effetto del vino bevuto, così feci subito una doccia per svegliarmi meglio e poi preparai un buon caffè. Era una delle poche cose che mi veniva proprio bene. Misi sul giradischi, Il mio Canto Libero di Lucio Battisti, perché c’era la mia traccia preferita, Io Vorrei non vorrei ma se vuoi. Appena partì: “ Come può uno scoglio, arginare il mare, e anche se non voglio, torno già a volare, le distese azzurre e le verdi terre, le discese ardite e le risalite, su nel cielo aperto e poi giù il deserto e poi ancora in alto con un grande salto....” cantai questo pezzo a squarciagola. La potenza di questa canzone era devastante perché lui cantava con calma fino a salire all’unisono con la musica. Era proprio quello di cui avevo bisogno mentre mi preparavo per una mattinata importante. In fondo era quello che pensavo, Io vorrei, non vorrei, ma se vuoi. Uscii di casa pronto e carico per propormi a Radio International. Andai a piedi anche se la radio non era vicina. Ci volle quasi un’ora, ma fu una camminata molto rilassante.
Arrivai in radio e mi presentai al portinaio chiedendo di parlare con il direttore artistico. Erano le undici e trenta del mattino e avrei potuto sfruttare la pausa pranzo per chiacchierare con lui fuori dal suo ufficio. Il portinaio mi disse che in quel momento era occupato, che non poteva parlare con nessuno e se volevo potevo aspettarlo in portineria. Sapevo bene che non era vero perché conoscevo il mondo delle radio e la scusa di ogni direttore era quella della riunione anche mentre facevano la pennichella nel loro ufficio. Chiesi gentilmente al portinaio se poteva dire che ero Luke on the night. Lui mi guardò e mi disse : “ Sa che l’ascolto sempre? Lei è proprio bravo anche se io non potrei dirlo visto che lavoro qui. E' un piccolo segreto.” - Io manterrò il segreto se lei mi farà salire a parlare con il direttore - Risposi stando al gioco del simpatico vecchietto in portineria. Chissà come mai la riunione finì all’istante e io salii ai piani alti della radio, ai dagli studi dando un’occhiata qua e la per vedere che differenze c’erano tra Radio Milano e una radio così grossa come quella. Riuscii solo ad intravedere qualcosa. Arrivai davanti alla porta e bussai con un leggero tremolio alle gambe. - Prego si accomodi pure signor Luke on the night. - No la prego mi chiami Gianluca. Ci presentammo stringendoci la mano. - Allora, ha combinato un bel casino con Mario a Radio Milano. Ci rimasi di merda perché non sapevo che lui era al corrente di quello che era successo. - Devi sapere caro Luke, anzi caro Gianluca visto che lo preferisci, che noi direttori ci conosciamo tutti e parliamo dei nostri dipendenti. Voi siete i
dipendenti del microfono e io so bene cos’è successo l’ultima volta che hai trasmesso da loro. - Si però forse lei conosce solo la loro versione. La verità è che... Mi interruppe dicendomi che non era interessato ad ascoltarmi. - Non voglio sapere chi ha ragione tra te e Mario. So che lui è un professionista e ogni tanto pur di guadagnare qualcosa in più potrebbe vendere l’anima al diavolo. Di te so solo che sei molto bravo al microfono. Adesso dimmi perché sei qui, anche se lo posso facilmente immaginare. Vuoi lavorare da noi? - Sì, sono venuto perché ho bisogno di trasmettere e non riesco a stare senza radio. Mi piacerebbe iniziare una nuova avventura qui da voi. - E perché hai scelto proprio questa radio? - Perché è la più grossa di Milano ed è quella meglio organizzata. - Pensi di essere all’altezza? Sai che noi abbiamo il doppio se non il triplo degli ascolti di Radio Milano... - Sì lo so, ma credo che riuscirò a trasmettere dell’ottima musica regalando un paio d’ore spensierate. - Sarò molto sincero con te. Ti abbiamo cercato qualche mese fa perché la tua trasmissione era la più seguita in tutta la città e noi volevamo farti entrare nella nostra famiglia. Tu non hai nemmeno risposto alla nostra proposta snobbandoci e pensando di non aver bisogno di noi. Perché adesso dovrei far finta di nulla e assumerti? - Perché allora stavo bene a Radio Milano e non avevo nessun impedimento da parte di Mario. Negli ultimi mesi lui ha iniziato a modificare le canzoni in scaletta e questa cosa non rientrava negli accordi. Finché si trattava di uno o due pezzi potevo anche chiudere un occhio, ma quando ho visto che tutta la scaletta era fatta da lui ho reagito come ben sa. Io voglio regalare emozioni vere e se non posso farlo con la musica non vedo che senso ha far radio.
- Sono tutte bellissime parole però, solo con le emozioni, non si pagano gli stipendi. Adesso noi non abbiamo bisogno, ma terrò conto della tua proposta. Se si dovesse liberare un posto sarai il primo ad essere chiamato. Fu così che uscii da quell’ufficio e da quella radio molto scontento, deluso e amareggiato. La mattinata non andò come previsto. Vagai per Milano senza una meta precisa, senza sapere cosa volevo fare o cosa mi potesse dare sollievo in quel momento così buio. ai davanti ad un negozio di dischi, ma non ebbi nemmeno la tentazione di entrare a comprare qualcosa. eggiai con sconforto finché non vidi una vetrina di un’agenzia di viaggi che offriva dei soggiorni a Londra. Avevo sempre sognato di poterci andare ma non avevo mai preso in considerazione l’idea. Entrai, e nel giro di una decina di minuti mi trovai in mano un biglietto aereo per la metropoli inglese. Dopo due giorni partii e fu così che scoprii un mondo che nemmeno immaginavo.
E' un giorno triste.
Caro diario, è un giorno triste per l’Italia e per la musica italiana. E' morto Lucio Dalla. Uno dei migliori mai esistiti, sia per le sue capacità vocali che per la sua bravura nello scrivere testi. Quante volte il venerdì ho finito la trasmissione usando una sua celebre frase tratta dalla bellissima Anna e Marco: “Con un’aria da commedia americana, sta finendo anche questa settimana”. Sono triste perché in questi giorni continuo ad ascoltare pezzi di questo artista che ritengo semplicemente un grande poeta. Non riesco a non guardare i telegiornali e non leggere gli articoli che parlano di lui. Sembrano essere tutti i più grandi conoscitori di Lucio, però mi piace comunque leggere, vedere e ascoltare le sue canzoni di continuo. Ci sono due dischi che tutti gli apionati di musica dovrebbero avere in casa, Lucio Dalla del 1979 dove ci sono due pezzi molto famosi, Anna e Marco e l’Anno che verrà, e Dalla del 1980 dove ci sono Balla Balla Ballerino e Futura. Anche tutte le altre sono bellissime e su questi due album le canzoni ti tolgono il fiato talmente sono belle. Adesso ho messo la riproduzione in modalità shuffle e sto ascoltando Meri Luis: “Questa vita che a accanto e con le mani ti saluta e fa bye bye, questa vita un po’ umida di pianto con i giorni messi male, vista dall’alto sembra un treno che non finisce mai....”
Mi fermo ad ascoltare e mi vengono i brividi per le belle parole. E' appena partita Cosa Sarà: “ Cosa sarà che fa morire a vent’anni anche se vivi fino a cento...” Non so cosa sarà ora della musica italiana. Ci si rende conto dell’immensità di alcuni artisti solo quando se ne vanno. E' incredibile. Ancora non mi capacito, e più ascolto e riascolto le sue canzoni, più penso e mi convinco che sia una grande ingiustizia. Lui era pazzo, stravagante ed era un’artista, uno dei pochi veri artisti degli ultimi anni. Non si atteggiava da tale, lo era. Punto e basta. “Ah sì, è la vita che finisce, ma lui non ci pensò poi tanto, anzi si sentiva già felice e ricominciò il suo canto”. Quante frasi che potrei scriverti...quanti ricordi con le sue canzoni, quante lacrime versate in questi giorni anche se secondo me, lui, non avrebbe voluto vedere gente triste al suo funerale. Era talmente matto che avrebbe potuto organizzare un banchetto allestito a festa per festeggiare la sua morte a ritmo delle sue canzoni. “Vorrei girare il cielo come le rondini e ogni tanto fermarmi qua e là. Avere il nido sotto i tetti al fresco dei portici. E come loro quando è la sera chiudere gli occhi con semplicità. Vorrei seguire ogni battito del mio cuore per capire cosa succede dentro e cos’è che lo muove. Da dove viene ogni tanto questo strano dolore. Vorrei capire insomma che cos’è l’amore, dov’è che si prende dov’è che si dà.” Non mi dilungo ulteriormente nello scriverti frasi dei suoi pezzi, però caro diario sappi che Lucio Dalla ha regalato pagine e pagine di storia di musica italiana. Grazie Lucio. A presto caro amico mio...e come diceva lui: “Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’....”.
Inghilterra
Ero a Londra da una settimana e mi sembrava che non avessi ancora visto nulla. Era immensa, piena di strade, di vie, di monumenti, di gente, di traffico...insomma era piena di vita. La immaginavo grande, ma non così. Dormivo in un ostello un po’ fuori dal centro perché i prezzi erano veramente alti. Avevo trovato una sistemazione comoda ed economica vicino a King’s Cross. Andava bene perché da lì partivano molti treni e c’era una grossa stazione della metropolitana. Non sapevo quanto tempo sarei rimasto perché ero confuso e per adesso volevo solo scoprire un mondo diverso da quello in cui avevo vissuto per trent’anni. Non che l’Italia non mi pie più, però c’erano cose che mi davano parecchio fastidio, tipo gli italiani in generale. L’Italia poteva anche essere un bellissimo paese, peccato che fosse piena di italiani. Non avevo avvisato nessuno della mia partenza, nemmeno mia mamma. Non sapevo se chiamarla oppure no, non sapevo come avrebbe reagito e sicuramente avrebbe iniziato a preoccuparsi inutilmente per i soldi e per la mia incolumità. Per il momento decisi di non chiamarla anche perché non sapevo se sarei tornato nel giro di qualche giorno o settimana. Sicuramente non mi sarei fermato più di un mese. In questa settimana avo le mie giornate girovagando senza meta, mi lasciavo trasportare dal flusso di persone e dalla voglia di vedere o meno quella via. Entravo nei negozi scoprendo usi e costumi completamente diversi da quelli milanesi. Eravamo in piena era post punk e molti inglesi continuavano a vestirsi come Sid Vicious. Pantaloni strettissimi, magliette corte spesso strappate, chiodo di pelle nero e capelli spettinati se non addirittura con creste alte venti centimetri.
I primi giorni rimanevo scioccato da questo loro abbigliamento e mi immaginavo un ragazzo simile nel mio paesino di origine. Avrebbero fatto un articolo sul giornale locale parlando di lui come di un alieno. Dopo una settimana avevo fatto l’abitudine e non ci facevo più caso. Londra era proprio una città viva a qualsiasi ora del giorno e della notte. La gente era sempre in strada, nei locali o nei negozi e tutto ciò era impressionante rispetto a Milano. C’erano moltissimi negozi di dischi e avo del gran tempo tra gli scaffali cercando di comprare qualcosa di interessante. La maggior parte dei cantanti non li conoscevo perché in Italia non arrivavano. Da noi stava impazzendo la disco music ed era anche il genere musicale che mi aveva fatto perdere il lavoro, ma non tanto perché non mi pie ma semplicemente perché tutti mettevano sempre le solite canzoni. Qui in Inghilterra c’era un’incredibile quantità di musica. Si trovavano dischi dei Culture Club, dei Depeche Mode, dei Duran Duran, dei Buggles, degli Art of noise, di Elvis Costello, di Billy Idol, di Morrisey, di Paul Weller, di Annie Lennox, dei Madness, dei Police, degli UB40, dei Big in Japan, dei Waterboys, dei Clash, degli U2... Si trovava di tutto, qualsiasi genere recente e non. Era il paradiso per uno come me. Dovevo comprare con moderazione anche se era difficile reprimere la voglia. Mi ero imposto un limite di uno, massimo due dischi al giorno. Entravo in questi negozi molto molto affollati e avo due o tre ore a cercare dischi da ascoltare, poi mi sedevo di fronte al giradischi e ascoltavo le mie scelte. Quasi sempre li avrei comprati tutti, però mi limitavo a seguire la regola da me imposta. Ne sceglievo uno e a malincuore lasciavo gli altri al commesso che poi li avrebbe risistemati. Quel giorno uscii dal negozio con in mano Joès Garage di Frank Zappa. Qui era molto noto, in Italia non lo conosceva quasi nessuno e io l’avevo sentito grazie ad Antonio che più di una volta mi aveva consigliato dei suoi dischi. Aveva un
gran gusto musicale e a volte era sprecato in quel piccolo paese. Avrebbe dovuto lavorare in un negozio di dischi di una grande città così da poter consigliare lp fantastici a tutti quelli che entravano. Dove abitava lui la maggior parte delle persone volevano sempre e solo le solite cose, e non erano interessati a nulla di nuovo. Mi mancava molto Antonio e mi sarebbe piaciuto dirgli che ero a Londra immerso nei vinili che lui tanto amava, anzi mi sarebbe proprio piaciuto venire fin qui insieme a lui. C’erano dei pub bellissimi e spesso mi fermavo a bere una birra a metà pomeriggio. Erano dei posti sempre bui, con il pavimento in legno molto vissuto, musica rock e tante specialità di birre. C’era l’imbarazzo della scelta e per me era parecchio difficile visto che non parlavo mezza parola d’inglese. La lingua era uno scoglio insormontabile. Entravo, sceglievo e indicavo con il dito la mia scelta, mi sedevo al tavolo, guardavo la gente, il disco che avevo comprato, mi gustavo la birra e avo un’oretta tranquillo e rilassato. Era un modo diverso di affrontare la giornata. Non avevo pensieri perché mi ero promesso di godermi questo periodo senza pensare al lavoro o ai vari problemi che mi aspettavano una volta tornato in Italia. Ero felice e non volevo che la malinconia mi fe compagnia. Verso sera tornavo in ostello per rilassarmi dopo innumerevoli chilometri. Usavo poco la metropolitana perché non avendo nulla da fare non avevo nemmeno la fretta d’arrivare in un posto. Mi godevo la città, la sua gente, il suo grigiore e quella pioggerellina che cadeva senza dare il minimo fastidio. Dormivo in una stanza con una decina di persone ma la cosa non mi dava noia perché potevo comunque fare quello che volevo e rientrare a qualsiasi ora del giorno o della notte. Se Londra era viva durante le ore di sole, quel poco che si vedeva tra le nuvole, al calar di quest’ultimo diventava ancora più movimentata. Era incredibile, piena di locali, pub, discoteche e piena di gente che aveva voglia di divertirsi.
Quando uscivo andavo al pub a bere un paio di birre e poi finivo in locali dove la musica era talmente alta che non riuscivo nemmeno ad ordinare una consumazione al barista. Alcune volte andavo a sentire band che suonavano dal vivo, altre andavo in discoteche con musica stranissima che comunque sembrava piacere visto che la gente la ballava. Con le ragazze era molto più facile che in Italia perché non importava se non parlassi la lingua e spesso finivo a letto senza nemmeno sapere il loro nome. Uscivano tutti di casa appena compivano diciotto anni e questa cosa li rendeva liberi come mai avevo visto nella mia vita. In Italia si usciva di casa solo quando si decideva di sposarsi, se no era troppo comodo stare con la mamma che preparava tutto al proprio figlioletto. Qui vedevo ragazzi e ragazze di vent’anni che avevano una libertà inimmaginabile per me che venivo da un paesino. Nei locali le ragazze si avvicinavano e dopo poche parole, che puntualmente non capivo, mi mettevano la lingua in bocca e spesso finivamo a casa loro. Dopo una piacevole scopata uscivo a riassaporare il fascino della notte. Era giusto per il gusto di farlo, nulla di più. Avevo notato che le ragazze inglesi avevano il pallino fisso del pompino perché succhiavano più di quanto aspiri il miglior aspirapolvere in commercio. Appena tiravo giù i pantaloni loro me lo prendevano in bocca e iniziavano a succhiare. Lo facevano con gusto, a differenza delle italiane che spesso e volentieri lo facevano solo per fare un piacere al partner, un po’ come se stessero dando una leccata ad un calippo. Le inglesi succhiavano come un bimbo succhia il biberon. Che goduria, quasi meglio della scopata. Non vedevo l’ora di conoscere una ragazza per farmelo succhiare e vederla compiacersi del gesto appena compiuto. Tutto ciò era molto appagante. Non erano bellissime, spesso un po’ sovrappeso, ma ciò aveva poca importanza. In mezzo alle gambe c’era comunque quella cosa che regala immensa felicità ad ogni maschio eterosessuale. E poi non era il caso di fare lo schizzinoso visto che ero in terra straniera e tutte quelle che mi scopavo me le dimenticavo dieci minuti dopo la fine dell'amplesso.
Non dovevo né sposarle né portarle in Italia. Solo una scopata, una sacrosanta scopata preceduta da un sacrosanto pompino. Il mondo che avevo sempre sognato. Pensavo che fosse giunto il momento di tornare in Italia visto che i soldi iniziavano a scarseggiare, mi mancava la radio e mi mancavano i miei amici. Presi il biglietto di ritorno per il lunedì successivo dopo ormai tre settimane di permanenza in Inghilterra. In tutto ai lì un mese intero. Ero contento della mia scelta anche perché avevo conosciuto gente nuova e musica diversa. In quest’ultima settimana tornai nei posti più significativi per me, e Camden Town era il capostipite. Mi piaceva perdermi nelle vie piene di bancarelle e annusare i vari profumi delle cucine di tutto il mondo. Camden era l’isola felice di Londra, il cuore pulsante dei giovani che volevano esprimere la propria vita. Era un quartiere a parte, anzi un microcosmo a parte. Andare a Camden era come respirare aria diversa, di festa ma allo stesso tempo aria di giovani artisti che cercavano la loro forma d’espressione. Spesso non ci riuscivano però bisognava apprezzarne almeno l’impegno. Avrei comprato di tutto da quelle bancarelle. C’erano oggetti così strani che anche solo metterli su una mensola in salotto rendevano più particolare la propria casa. C’era tutto a Camden. Dai vestiti, ai giochi, ai profumi, ai tappeti, ai dischi, agli oggetti per la casa, agli oggetti d’antiquariato...tutto, proprio tutto quello che uno senza un necessario bisogno d’acquisto trovava per giustificare la sua spesa economica. Avrei voluto vivere a Camden anche se dopo un po’, forse, mi avrebbe annoiato. Era bella a piccole dosi, ed era stupenda vista con gli occhi di un turista, ed io ero un turista che si godeva ogni centimetro di quel fantastico posto. Era l’ultimo giorno a Londra ed ero un po’ malinconico, già mi mancavano alcune cose e soprattutto già mi soffocava il pensiero del non lavoro appena atterrato in Italia.
Non volevo pensarci ma era inevitabile. Dovevo anche chiamare mamma per spiegarle questa mia assenza prolungata e per dirle che non avevo più un lavoro. Adesso non ci volevo pensare, avevo ancora un giorno e volevo arlo respirando il cielo londinese. Andai nel mio negozio di dischi preferito, il Rought trade shops. Si trovava sull’angolo tra Portobello road e Westbourne park road. Potevo andare in metropolitana, scendere a Nothing hill gate e camminare fino al negozio. Decisi di andare a piedi per vivere più intensamente quella giornata. Entrai come feci tante volte nell’ultimo mese. Era un negozio molto grande, non uno di quelli piccoli e intimi nel quale il commesso sembra il tuo migliore amico, però qui c’era veramente di tutto. Ero deciso a prendere un paio di dischi per ricordarmi questo splendido periodo ato a Londra. Ormai ne avevo già comprati una ventina e iniziavano ed essere ingombranti. Comprai Song in the key of life di Stevie Wonder, disco che volevo comprare da un po’, ma non riuscivo più a trovarlo in Italia. Ero innamorato del pezzo Isn’t she lovely che il cantante aveva dedicato alla figlia. Un capolavoro assoluto che mancava nella mia collezione, così lo presi subito. Andai alla ricerca di qualcosa di speciale che potevo trovare solo lì. Trovai un disco del 1978 dei Walker Brothers, Nite flights. La copertina era stupenda, me ne innamorai subito anche se non conoscevo bene la band, ma avevo già sentito parlare del cantante, Scott Walker. Lo presi e lo misi subito sul giradischi, alzai il volume e ascoltai gran parte del lato A. Quando partì la title track dell’album capii subito che quella era la scelta giusta.
Un disco particolare, rock con non poca psichedelia all’interno. Era il disco che cercavo. Andai alla cassa e pagai con un sorriso sulla faccia che faceva capire che avevo scelto i due dischi che volevo. O forse loro avevano scelto me. Mi girai di scatto per andare verso l’uscita e nella foga andai a sbattere contro un signore. D’istinto mi venne da chiedere scusa in italiano e il caso volle che Sergio, il signore appena urtato, era un milanese in vacanza/lavoro a Londra. - Mi scusi - Pensando subito che lui non potesse capire, infatti mi guardò con l’aria un po’ perplessa e poi mi sorrise chiedendomi se fossi italiano. - Si, piacere sono Gianluca. - Piacere, Sergio. Aspetta che pago e poi usciamo per fare due chiacchiere. Una volta usciti andammo in un pub per bere una birra e parlare un pochino. - Cosa fai in Inghilterra? - mi chiese lui appena dopo il primo sorso di quella ottima e fresca pinta. - Sono qui perché non ho più lavoro in Italia e mi sono preso un mese di libertà da tutti i miei impegni. Domani torno a Milano e vedo se riesco a trovare di nuovo lavoro. - Che lavoro fai? - Lavoro in una radio, sono uno speaker. - Davvero? Non ci credo, è impossibile. - Si, è vero. Ho lavorato per un po’ di anni a Radio Milano, poi me ne sono andato sperando che Radio International mi prendesse ma, nulla da fare. Così ho deciso di venire a Londra per comprare un po’ di dischi, vedere la città e trovare nuovi stimoli. - Hai lavorato da quei due figli di puttana di Carlo e Mario?
- Si...e ho anche spaccato il naso a Mario. - Lui si fece una gran risata. - Ma almeno ti sei scopato Anna, la moglie di Carlo? E' una gran zoccola e tutti quelli del mondo della radio se la sono ata. - Si, subito la prima sera che l’ho conosciuta al ristorante. - In realtà mi aveva fatto solo un pompino, il primo della mia vita, però non mi andava di sputtanarmi così. - Immaginavo. Non c’è speaker o dj che non abbia conosciuto ogni centimetro del corpo di quella gran troia. Però scopa proprio bene...e lui che pensa che lei gli sia fedele... - Ma come fai a conoscere così bene Mario e Carlo? - Perché noi direttori artistici ci conosciamo tutti. Dovresti saperlo. E posso intuire che tu sei Luke on the night perché ho sentito che te ne sei andato spaccando il naso a Mario. In ogni caso hai fatto bene. - Si però adesso non ho lavoro. - Non è un problema. Tra qualche giorno torno a Milano e possiamo sentirci. Conosco molto bene il tuo stile perché ti ho ascoltato parecchie volte e devo dire che mi piace la tua personalità. Possiamo vederci per un colloquio e magari ti trovo un posto in radio. Adesso devo salutarti, ti lascio il numero e vado perché devo incontrare una band che vuole propormi il loro disco. Aspetto la tua chiamata. E' stato un piacere, e non sprecare questa immensa fortuna che ti è capitata. A presto. Se ne andò così e mi lasciò al tavolo con i bicchieri ancora pieni e il dubbio che mi fece compagnia per tutta la giornata. Non sapevo nulla di questo Sergio e non sapevo per che radio lavorasse. Conosceva l’ambiente perché parlava con assoluta padronanza, però non aveva specificato nulla in merito. Decisi di bere ancora tre pinte e poi di camminare un po’ per Londra. Non sapevo cosa pensare anche se in effetti era stato proprio un colpo di fortuna.
ai la serata nel pub sotto l’ostello pensando e ripensando all’incontro con Sergio ed ero contento anche se lui era stato molto misterioso. Non sapevo niente di lui, della sua radio e soprattutto non sapevo nulla del mio futuro. Andai a letto con questi mille dubbi che non mi fecero chiudere occhio. Il mattino seguente avevo solo qualche ora prima di andare in aeroporto. Feci due i cercando un posto per far colazione, la tipica colazione inglese che non mi esaltava molto, però avevo bisogno di mangiare perché una volta arrivato a Milano non avevo cibo in casa. Sarei atterrato per le quattro del pomeriggio e non so se avrei fatto in tempo ad andare a fare la spesa. Mangiai uova, bacon, omelette e bevvi un caffè. Uno di quelli lunghi che non mi dispiacevano. Non avevano lo stesso gusto dell’espresso però te lo gustavi più a lungo. Chiusi la valigia e andai in aeroporto. Finì così il mio mese in terra inglese, pieno di immagini fantastiche, dischi stupendi, pompini che mai dimenticherò, pinte su pinte e questo incontro misterioso. Volai verso Milano con l’ignoto come vicino di posto.
Non ti saluto mai.
Caro diario, buongiorno. Non ti saluto mai, lo do sempre per scontato quando in realtà nulla deve essere scontato. Ho iniziato la giornata bevendo un tazzone di caffè americano. In realtà faccio il caffè normale della moka e poi lo allungo con dell’acqua bollente. Mi piace perché posso scrivere tenendo la tazza vicino al computer, così ogni tanto rileggo e bevo un sorso. E' un modo diverso di gustarsi il caffè. Oggi è la festa della donna. E' pieno di mimose e di persone che, ad ogni semaforo, tentano di venderti un rametto a prezzi assurdi. Con quello che pago quel pacchettino potrei comprarmi una pianta di mimosa. Regalare è un bel gesto, che sia un fiore o un pensiero non importa, l’importante è che sia qualcosa che possa rendere omaggio al gentil sesso. C’è molta ipocrisia attorno a questa giornata, infatti sui vari social network tutti si impegnano a scrivere frasi che anche loro stessi non capiscono. Le prendono facendo copia/incolla e non pensano al significato di quello che fanno. C’è chi scrive che non bisogna regalare una mimosa ma rispettare le donne ogni giorno perché sono la cosa più bella che esista. Posso anche essere d’accordo, però quella stessa persona che ha postato in internet quella frase, qualche minuto dopo è capace di dare della puttana ad una donna che fa una manovra azzardata in macchina. Forse ci vorrebbe più coerenza tra frasi e gesti, imparare a leggere, a capire e alcune volte spiegare le frasi altrui che si prendono e si usano come se fossero proprie.
Sembrano un po’ tutti colleghi di Oscar Wilde da quando esiste internet. Ognuno è libero di scrivere qualsiasi cosa senza nemmeno citarne la fonte. E' un po’ la giungla del qualunquismo. Penso che se si prende una frase altrui è obbligatorio scriverne l’autore o perlomeno specificare che non è farina del proprio sacco. Anche perché spesso se chiedi il significato della frase non la sanno spiegare e fanno delle facce strane come per dirti che sei tu che non la capisci. Ti guardano con l'espressione che sembra dire che è così facile, scontato, che mi sembra assurdo che tu non capisca cosa voglia dire. Mi viene sempre in mente la poesia Mattina di Giuseppe Ungaretti. Tutti la conoscono per la sua brevità ma solo poche persone sanno spiegarti il significato infinto di quelle due parole. Li c’è dentro tutto il mondo, a volte non serve scrivere pagine e pagine, serve esprimere il concetto e lasciare che l’intelligenza dell’essere umano possa coglierne la sublime importanza. Con i social network purtroppo non è così. Siamo diventati tutti scrittori di frasi da cioccolatini e galleggiamo su questa fantomatica cultura...che tristezza caro diario. Bevo un sorso di caffè e mi soffermo ad ascoltare Ancient Spirit di Patrice. E' un disco stupendo pieno di sfumature reggae e di good vibes. “ Everyday is good because of being alive, alive yeah, from the day I was born till the day that I will die...” Questa è una citazione da Everyday Good: gran pezzo credimi e le parole che ti ho appena scritto le ho fatte diventare un mio inno di vita. Tornando alle donne, io sono convinto che noi maschi dovremmo celebrarle ogni giorno perché loro sono stupende e hanno qualcosa che noi non abbiamo, anche solo nell’estetica.
Ci sono molti film e molte canzoni che parlano dell’universo femminile e potrei citartene moltissimi per riempire pagine e pagine di questo diario. Mi limito a riportartene solo una da, “L’uomo che amava le donne”, di Truffaut : “ ...rappresentano una sorta di mistero insondabile, insondabile. Le gambe delle donne sono dei comi che misurano il globo terrestre in tutti i sensi, donandogli il suo equilibrio e la sua armonia...” Mi fermo qui, per non pensare troppo al mondo femminile che tanto ho amato e che continuo ad amare, pur senza essermi mai legato con una sola donna per un lungo periodo. Grazie della bella mattinata caro diario. Ciao.
Ecco tutto.
Caro diario, piove. Ecco tutto. Volevo dirtelo e andare un po’ contro corrente apprezzando una giornata come questa. Chi dice che se piove non può essere una splendida giornata? Certo non dal punto di vista climatico, ma può comunque essere splendida sotto altri aspetti. Io mi godo la pioggia. La guardo dalla mia finestra e la sento battere sull’asfalto, sui tetti e sulle ringhiere. E' la natura che ci fa vedere e sentire che è viva e decide cosa fare quando gli pare e piace. D’estate la pioggia che cade sull’asfalto caldo produce un odore buonissimo. E' l’odore della mia infanzia, di quando noi bambini giocavamo nei cortili delle case. Non esistevano computer o telefonini e si giocava anche con dei semplici fili d’erba perché vivevamo d’immaginazione, immaginando mondi lontani in cui noi potevamo fare e dire tutto ciò che volevamo, almeno fino a quando mamma o papà ci riportavano sul pianeta terra. La natura era parte integrante della crescita di un bambino, mentre i ragazzi d’oggi non si sono mai sporcati con il fango perché non sanno cosa vuol dire stare all’aria aperta. Quando pioveva eravamo tristi e guardavamo fuori dalla finestra con la speranza che la pioggia finisse per poter andare a correre nei prati. Oggi non è importante se piove perché gli adolescenti ano la maggior parte del tempo davanti ad uno schermo. Sono in casa, in piedi con la spalla appoggiata al muro, una tazza di tè in mano,
lo sguardo perso nelle gocce di pioggia che cadono armoniose e l’attenzione rapita da Miles Davis. Per alcuni può essere una musica malinconica, per me è solo magia. Qualcosa che pochi altri, forse nessun altro, è in grado di riproporre. E' meditativa e in questa mattinata uggiosa direi che è perfetta. Rifletto sulla vita, guardo la pioggia, bevo un po’ di tè e mi meraviglio ascoltando Kind of Blue. A presto caro amico immaginario.
Nuova radio
Ero tornato a Milano da qualche giorno e mi stavo riorganizzando la vita. Avevo chiamato subito mia mamma per rassicurarla che stessi bene. - Figlio mio dove sei sparito? Non ti ho più sentito in radio e non ti sei fatto più vivo...pensavo al peggio. - Era in lacrime come se fossi morto per davvero. - Non preoccuparti mamma, sono vivo, sto bene e sono a Milano. Sono andato un mese a Londra per conoscere dei gruppi nuovi perché avevo bisogno di musica interessante che nessuno conosce. - Londra? Ma è lontana? E ci sei andato in treno? - No mamma sono andato in aereo perché Londra è in Inghilterra, in un altro stato, ci sono regole diverse, monete diverse e pure la lingua è diversa. Ci fu un silenzio di qualche secondo che mi lasciò pensare che mia mamma fosse svenuta a terra. - Ma perché figlio mio fai queste pazzie? Perché non torni a vivere qui con la mamma che ti cucina ogni giorno cose buone, ti lava i vestiti e si prende cura di te? - Perché ho trent’anni, abito a Milano e lavoro qui. Non posso tornare da te e non voglio fare il pasticcere. La mia vita è fatta di musica e di radio e poi non ricominciare con questi discorsi se no non ti chiamo più. Il mese prossimo vengo a trovarti qualche giorno così stiamo un po’ insieme. - Va bene figlio mio, ti aspetto e stai attento a non andare troppo in giro che c’è la gente brutta. Un bacione da mamma tua. - Bacio. A presto. Mia mamma era così apprensiva che a volte mi metteva l’ansia. Per lei c’era
sempre la gente brutta e non bisognava mai andare in giro quando faceva buio. Ricordo che appena arrivava l’imbrunire chiudeva le persiane di casa e si preoccupava perché poteva essere pericoloso. Non ho mai capito dove fosse questo famoso pericolo, però non potevo certo contraddirla ogni giorno, così la lasciavo fare anche perché all’epoca ero poco più che un ragazzino. Chiamai anche Antonio raccontandogli un po’ di cose su Londra e sui negozi di vinili. Lui fu molto emozionato e a tratti non credeva che io avessi visto e vissuto quell’esperienza. ai quei giorni milanesi con l’attesa che Sergio tornasse in città per un colloquio e, finalmente, un possibile incontro in radio. Intanto mi godevo la primavera, il cinema, i libri e tutti i miei dischi che avevo comprato e non ero riuscito ad ascoltare. arono quattro giorno dal rientro a Milano e provai a chiamare Sergio. Il telefono squillava ma nessuno rispondeva. Non mi preoccupai più di tanto perché non sapevo fino a quando lui sarebbe rimasto a Londra. Provai a chiamarlo ogni giorno per una settimana ma non rispondeva così iniziai a preoccuparmi anche perché i soldi stavano finendo e avevo assolutamente bisogno di un lavoro. Non di uno qualsiasi, ma di una radio dove poter trasmettere. Volevo anche tornare a trovare mia mamma ma non potevo finché non riuscivo a fare questo benedetto colloquio. Non avrei mai potuto presentarmi da lei dicendole che non avevo un lavoro e che avevo quasi finito i soldi. Insistetti finché finalmente qualcuno rispose. - Pronto? - Pronto Sergio? - Si, chi parla? - Sono Gianluca, ti ricordi? Ci siamo conosciuti a Londra.
- Gianluca certo che mi ricordo. Sono rientrato ieri a Milano e ci rimango solo pochi giorni perché poi parto per Madrid. Dimmi tutto. Questo suo “dimmi tutto” mi spiazzò completamente perché pensai che lui si fosse dimenticato del nostro colloquio e di un possibile posto di lavoro. - Ti chiamavo per chiederti se è andato tutto bene a Londra. - Certo, grazie. Ascolta Gianluca non ho molto tempo, mi devi dire qualcosa di importante oppure vuoi fare solo due chiacchiere. Se vuoi solo parlare è meglio che ci sentiamo in un altro momento. Ho sempre odiato le persone troppo indaffarate. Che poi penso che non lo siano affatto, si atteggiano da tali solo ed esclusivamente per darsi importanza. - Certo che ti devo dire una cosa importante. Non avevamo parlato di un possibile colloquio per un posto di lavoro? Mentre pronunciavo queste parole mi tremavano le gambe per la paura. - E questo lo chiami importante? a domani in radio e ne parliamo. Ti aspetto alle 15 in via Procaccini 13. - Grazie Sergio, sarò puntualissimo. - A domani. - Ciao. - Ciao. Ero felicissimo. Non avevo in mano nulla ma ero contento anche solo per la possibilità. Andai in un bar per bere un paio di birre e festeggiare quest’occasione. Tornai a casa verso sera per mangiare qualcosa e riposarmi visto l’importante impegno del giorno successivo. Appena entrai misi sul giradischi London Calling dei Clash e lo ascoltai ad
altissimo volume perché avevo bisogno di carica, e quel disco era perfetto. Cucinai un piatto di pasta come primo, una bistecca e dell’insalata come secondo e mi concessi pure il dolce. Avevo comprato una torta al negozietto d’alimentari vicino a casa mia. Il tutto accompagnato da un’ottima bottiglia di Chianti. Finita la cena mi misi sul divano con la bottiglia e il bicchiere, giusto per gustarmi quello che rimaneva di quel fantastico nettare divino. Cambiai disco e ascoltai Sings Hank Williams, di Johnny Cash e quando partì Folsom Prison Blues fui musicalmente così eccitato da emozionarmi e mettermi a piangere. Non so per quale motivo, forse per il vino o per la gioia di potermi riavvicinare al mondo della radio. Rimasi sul divano fino alle due pensando alla mia vita e a quello che avevo combinato finora. Forse ero entrato nel vortice della crisi dei trent’anni anche se mi ritenevo molto più fortunato dei miei coetanei che si spaccavano la schiena al lavoro. Pensai anche alle ragazze, e al fatto che non scopavo da quando ero tornato dall’Inghilterra. Il solo pensiero di quei fantastici pompini mi eccitò talmente tanto che mi masturbai dolcemente nella notte. Andai a letto dopo una bella doccia calda pronto per riposarmi ed essere in splendida forma per il giorno successivo. Mi svegliai verso le dieci del mattino con la testa un po’ pesante per via del vino e decisi di rifarmi una doccia tiepida per ripigliarmi un attimo. Dopo la doccia misi il caffè sul fornello e il disco di Lucio Dalla, Lucio Dalla, per farmi una cantantina. Non ascoltavo molta musica italiana ma durante gli anni ati a Radio Milano, Claudio mi consigliava spesso dischi splendidi. E questo era uno di quelli. Rimasi in casa fino alle due circa e poi andai verso la radio a piedi. Ci voleva una mezz’oretta e me la presi con calma. Non sapevo nemmeno il nome della radio.
Era tutto nuovo e misterioso. Arrivai in via Procaccini 13 con dieci minuti d’anticipo e cercai sul camlo il nome dell'emittente. Feci scorrere il dito finché non trovai Radio Sound. Non l’avevo mai sentita e non sapevo cosa aspettarmi, ma non ero certo nella posizione di poterla snobbare, infatti suonai e salii al terzo piano. Arrivò Sergio direttamente alla porta d'ingresso e mi condusse nel suo ufficio. - Benvenuto Gianluca, andiamo subito nel mio ufficio, gli studi li guardi dopo. - Va bene. Lo seguii e riuscii ad intravedere un paio di studi in uno dei quali stavano trasmettendo. Sentii il cuore battere forte per l’emozione e la voglia irrefrenabile di mettere le cuffie e poter andare in onda. - Vieni caro ragazzo, finalmente siamo riusciti ad organizzarci. Domani parto per Madrid e sto via almeno due settimane quindi sarebbe stato difficile vederci. - Stai viaggiando molto. Beato te perché io l’unico viaggio che ho fatto è stato a Londra. - Viaggio per lavoro perché contatto dei discografici che poi mi promettono delle anteprime. Siamo Radio Sound e non possiamo mettere la musica che mettono gli altri. Qui voglio un tocco più internazionale con qualche pezzo italiano che si incastra bene tra canzoni più o meno famose. Noi puntiamo tutto sulla musica e non ci interessa quello che fanno gli altri. Vogliamo che la radio sia sinonimo di diffusione musicale, non per forza famosa e italiana. Paghiamo i deejay per scegliere le canzoni e se questi non sono intenditori di musica non possono certo lavorare qui da noi. Mi sentivo una pressione addosso come mai prima d’ora, non sapevo se ero all’altezza di quelle parole, e soprattutto non capivo bene cosa avesse in mente. - Sono d’accordo, anche per me la musica è la cosa più importante in una radio e
questo è uno dei motivi per cui me ne sono andato da Radio Milano. - Veniamo al dunque caro Gianluca o Luke on the night. - No, preferisco Gianluca, Luke è solo quando sono in onda. Nella vita di tutti i giorni sono Gianluca e nulla più. - Cosa vorresti fare qui da noi? - Vorrei poter tornare in onda perché senza radio mi sento soffocare. Vorrei semplicemente scegliere dei pezzi, mettermi le cuffie, aprire il microfono ed emozionare la gente. Non chiedo nulla di più. - Ti sembra poco? Mi stai chiedendo una trasmissione, giusto? - Si, è quello che vorrei. - Il nostro palinsesto è pieno e difficilmente abbiamo la possibilità di inserire nuovi speaker. Mentre lui pronunciava queste parole la mia mente tornò al colloquio di Radio International. Mi sembrava di rivivere le stesse situazioni ma volevo un esito completamente diverso. Ci credevo e pensavo di meritarmelo. - Come ti dicevo sarà molto difficile riuscire a darti uno spazio giornaliero e perciò stavo pensando a te come una possibile cavia per la radio notturna. Cosa ne pensi? Rimasi un attimo in silenzio perché non sapevo cosa dire. Da un lato ero contento che finalmente sembrava potessi tornare in onda, dall’altro mi toccava farlo di notte quando la gente dormiva. - Pensaci Gianluca. Nessuno fa radio di notte e tu potresti essere il primo. Potresti aprire le frontiere per un nuovo tipo di intrattenimento fatto di musica e di telefonate. La notte è magica, affascinante e la gente che ti ascolta lo fa perché ha voglia, non perché è costretta ad ascoltare quel tipo di radio dal suo capo ufficio. Se vuoi, questa è la proposta. Prendere o lasciare. Non ci pensai minimamente.
- Accetto Sergio, accetto. Ho voglia di trasmettere e una nuova esperienza mi darà sicuramente nuovi stimoli. Quando posso iniziare? - Ne parliamo quando torno. Per queste due settimane in cui io non ci sono vieni in radio quando vuoi e fai amicizia con i tuoi colleghi. Dopo ti presento sco che ti farà la regia. - La regia? - Si, qui da noi lo speaker parla e basta. La musica e le telefonate vengono gestite dal regista. Benvenuto Gianluca. - Grazie. - Quando torno ti faccio firmare il contratto, per adesso gira un po’ negli studi e fai come se fossi a casa tua. Uscii dal suo ufficio e andai un po’ in giro per i due studi della mia nuova radio. Ero perplesso per la proposta, ma ero troppo contento perché da lì a poco sarei tornato in onda. Rimasi in radio fino al tardo pomeriggio e guardai un po’ le varie dirette. Parlavano poco tra un disco e l’altro, c’era molta sintonia tra il regista e lo speaker e bastavano pochi cenni per far capire le intenzioni reciproche. Mi sarei dovuto abituare a questo tipo di radio, ma avevo tutta la voglia del mondo. E poi ero contento perché qualcuno aveva avuto di nuovo fiducia in me. Lasciai gli studi e tornai verso casa. Era un gran giorno e adesso avevo due settimane per riposarmi totalmente e poi immergermi fino alla morte nella mia nuova avventura radiofonica. Tornai a casa deciso di chiamare mia mamma per darle la buona notizia. E poi avrei chiamato anche Antonio. Aprii la porta di casa e il telefono stava squillando ma non feci in tempo a rispondere, così decisi di farmi una doccia per scaricare un po’ la tensione. Era la terza in poche ore ma avevo bisogno di stare un po’ sotto l’acqua calda. Non
avevo ancora un contratto, non sapevo nulla dei soldi che mi avrebbero dato, ma ero comunque fiducioso perché Sergio mi sembrava una brava persona. Decisi di mettere Sensitive and Delicate di Stephen Schlaks, un disco di un genere musicale che non saprei definire. Diciamo simile alla musica classica, suoni molto dolci e melodici, e in quel momento era perfetto per rilassarmi. Feci una doccia e rimasi sotto il getto d’acqua calda per almeno un quarto d’ora, finché non squillò di nuovo il telefono. Corsi tutto bagnato in salotto per rispondere. - Gianluca, sono Antonio. - Antonio che sorpresa, ho un sacco di cose da raccontarti e non potevi chiamarmi in un momento migliore. - Gianluca, aspetta un attimo devo dirti una cosa. - Antonio dimmi tutto. - Tua madre è morta. Rimasi immobile, con la cornetta in mano e le gocce d’acqua che cadevano sul pavimento. Era diventata la giornata peggiore della mia vita. Avvisai Sergio e gli dissi che per dieci giorni circa sarei tornato nel mio paesino per organizzare il funerale e sbrigare tutte le faccende legate a questa tragedia. Lui mi disse di prendermela con comodo e che, appena fosse tornato da Madrid, mi avrebbe chiamato per una cena e per fare due chiacchiere in amicizia. Appesi il telefono, spensi il giradischi, e quello fu l’unico momento della mia vita in cui nemmeno la musica poteva aiutarmi. Mi asciugai, mi vestii e mi lasciai cadere sul divano. Rimasi in quella posizione, con lo sguardo perso nel vuoto, fino alla mattina seguente quando mi alzai per andare a prendere il treno e andare da mia mamma per darle l’ultimo saluto.
Sono appena rientrato.
Caro diario, sono appena rientrato dopo una lunga giornata. Questa mattina avevo delle faccende da sbrigare, e come al solito quando devi andare a pagare qualcosa fai delle code chilometriche. La mattina è volata via e non me ne sono nemmeno accorto che era già ora di pranzo. E' bello quando arriva la primavera e puoi iniziare a sederti sui tavoli esterni con il sole in faccia mentre mangi. Mangi un boccone, chiudi gli occhi e guardi il sole così ti fai baciare dai suoi raggi e godi il suo tepore. Ho pranzato bevendo un ottimo Brunello di Montalcino. Solo due bicchieri perché poi nel pomeriggio avevo degli impegni, dovevo essere lucido e non potevo rischiare di abbioccarmi per colpa del vino. Ho incontrato un po’ di vecchi amici alcuni dei quali vorrebbero fare una webradio, e io posso aiutarli molto per la mia esperienza, però per adesso non so se ho la voglia di tornare in onda. La cosa mi stuzzica, anche se voglio valutarla molto bene perché se ne faccio parte do il cento per cento di me stesso, e questa cosa mi porterebbe via tempo libero. Non che io abbia impegni inderogabili essendo un giovane vecchietto in pensione, però mi piace poter fare quello che voglio senza dover render conto a nessuno. Ho basato la mia vita su questo concetto e ho portato avanti la mia idea per tutti questi anni. Tornare ad avere un impegno fisso mi mette un po’ d’agitazione. Loro sono molto entusiasti e fanno bene anche se non sanno da che parte cominciare. Non hanno mai fatto radio e vorrebbero provare con questa nuova esperienza. Internet dà la possibilità a chiunque di esprimersi in maniera libera, non devi più aspettare una radio o una televisione per essere il protagonista. Ti basta una webcam, un microfono e vai on air in tutto il mondo. E' un po’ come negli anni
’80 quando le radio erano libere e ognuno poteva attaccarsi alla frequenza che voleva. Adesso sta accadendo la stessa cosa con il web. Tutti possono andare in video o in audio con una semplicissima connessione internet e lo puoi fare da qualsiasi parte del mondo senza avere chissà quale teconologia. E' il bello di chi sa sfruttare in maniera intelligente quello che l’uomo è stato in grado di creare. Se non si perde tutto il giorno a guardare foto inutili dei vari amici su facebook, si possono trarre enormi vantaggi da questa teconologia sempre più alla portata di tutti. Io sono ancora in una via di mezzo. Per alcuni versi amo essere al o con i tempi, per altri preferisco rimanere ancora legato al vintage. La musica la compro anche in mp3, però se posso voglio il cd o il vinile. E' ovvio che il file ha una facilità d’uso che non ha eguali, però in casa suonare un pezzo da vinile ha tutto un fascino diverso. E poi è anche un buon motivo per stare attenti a quello che si mette perché dopo qualche canzone devi cambiare lato del disco, mentre con gli mp3, se ne hai tanti, puoi andare avanti giorni e giorni senza interruzioni. Adesso è appena finito il lato A del vinile di Ben Harper, Diamond on the inside. Ben Harper è un musicista e cantante molto bravo e mi piace per la sua alternanza di pezzi veloci con ballate strappa lacrime. La sua voce è perfetta per il tipo di musica che fa. Si adatta bene quando ci deve dar dentro e si addolcisce quando l’occasione lo richiede. Cambio lato e torno. Ho preso anche una birra. Anzi mi sa che mi metto sul divano, sorseggio questa fantastica bevanda e mi godo la musica di Ben Harper. Buona serata caro diario. A presto.
Momenti Difficili
Era il momento più difficile della mia vita. Non pensavo che una cosa simile potesse accadermi proprio ora. Avevo sentito mia mamma qualche giorno prima e sembrava stesse bene, e invece così di colpo, senza nessun preavviso, se ne andò tra mille domande che mai troveranno risposte. Avevo già sofferto molto per la morte di mio padre, però in quell’occasione non volevo farlo vedere troppo a mia mamma perché oramai ero l’unico uomo di famiglia e volevo darle una mano, sia moralmente che fisicamente. Ora che anche lei se n’era andata ero proprio solo. Avevo appena lasciato la stazione centrale di Milano per tornare nel mio piccolo paesino ed ero seduto in treno con mille dubbi che mi ronzavano in testa. In stazione rimasi immobile a guardare il mondo che si muoveva. La gente aveva una frenesia che ancora non capivo, tutti di fretta che camminavano sapendo in anticipo qual era la loro destinazione. Nessuno che guardava in faccia gli altri, tutti con la testa bassa, il o veloce e questa rincorsa verso chissà dove. Avrei voluto urlare per far capire a queste persone che il mondo non è fatto di solo lavoro, che l’unica vita che abbiamo è quella che stiamo vivendo e che non possiamo sprecarla così in fretta visto che un giorno non ci saremo più. Avevo tanta rabbia in corpo che mi sentivo di dire tutte queste cose per giustificare la morte di mia mamma. Rimasi in piedi a guardare la gente, in silenzio con lo sguardo perso nel vuoto, estraniato da tutto e da tutti e pensai che forse era meglio stare zitto e buono. Avrebbero potuto scambiarmi per un matto anche se io pensavo che i matti veri
erano loro. Salii sul treno e andai a sedermi vicino al finestrino. Appoggiai il braccio al bracciolo del sedile, il mento al pugno della mano sinistra e in quella posizione sembravo una statua. In mente sentivo e ripetevo “Meraviglioso” di Domenico Modugno. Era straziante specialmente nel momento in cui lui cantava: “...ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso, meraviglioso, perfino il tuo dolore potrà apparire poi, meraviglioso...” e non riuscivo proprio a capire come e quando quel dolore potesse diventare meraviglioso. Avevo gli occhi lucidi e il cuore in gola. Il treno partì e rimasi immobile per tutto il viaggio avendo l’aria di una persona assente. C’ero, ma era come se non ci fossi. Non volevo relazionarmi con il mondo esterno, non volevo vedere nessuno né tantomeno parlare con nessuno, non avevo avvisato Antonio o i miei amici del mio arrivo perché una volta lì sarei andato subito a casa mia. E così fu. Scesi dal treno e mi diressi subito a casa. Fuori dalla porta d’ingresso c’erano i signori delle onoranze funebri. Mi presentai chiedendo di vedere mamma per l’ultima volta. Avevano sistemato tutto nel salotto. Lo stesso salotto in cui avevamo fatto tante cene natalizie, tante risate, tante serate ascoltando la radio. Lo stesso salotto che si usava solo nelle occasioni speciali se no si correva il rischio di rovinare la mobilia della festa. Era tutto così diverso, l’atmosfera cupa, triste, malinconica e quell’aria
soffocante per via delle persiane chiuse. Andai verso la bara di mamma e mi accorsi che aveva un grosso ematoma sul viso. Chiesi spiegazioni e mi dissero che nel cadere a terra aveva picchiato la parte destra del volto contro il tavolo della cucina. L’avevano trovata così, per terra con un po’ di sangue vicino alla testa, la faccia sul pavimento e il corpo leggermente rannicchiato. Era morta per infarto mentre stava preparando la cena. Come al solito la casa era chiusa perché quando arrivava il buio lei si rintanava come se vivesse in un bunker. Si sono accorti i vicini di casa vedendo le finestre ancora chiuse al mezzogiorno successivo. Fui pervaso da una tristezza immensa pensando che mia mamma era tutta sola da quel giorno in cui io me ne andai a vivere a Milano. Immaginai quanta malinconia c'era stata per molti anni in quella casa. Mentre lei era sul divano a pregare per me, io ero sicuramente a sbronzarmi con Claudio o a scoparmi qualche ragazza che trovavo nei locali. Lei avrebbe voluto vedermi sposato con figli, invece io avevo scelto la via della libertà. In quel momento mi sentii veramente un uomo di merda, mi pentii all’istante di quasi tutta la mia vita odiandomi per quello che avevo fatto e per il comportamento maleducato che avevo tenuto nei suoi confronti. Sarei potuto tornare più spesso a trovarla, però mi frenava il solo pensiero di rivedere la gente di quel paesino. Ormai abitavo nella città, a Milano, e guardavo i miei vecchi amici dall’alto verso il basso. L’unica cosa che loro potevano fare la sera era andare all’osteria del paese e vedere sempre le stesse facce sedute negli stessi posti che facevano le stesse cose. La noia più assoluta, l’abitudine delle azioni giornaliere che io avevo dimenticato andando a vivere in città. Li schifavo e per questo motivo non ero tornato tanto spesso, ma ora che di fronte a me giaceva esanime il corpo di mia mamma, avrei voluto vivere la vita che lei avrebbe voluto farmi vivere.
In fondo non era poi così male fare il pasticcere, stare con i miei amici, giocare a carte, vivere con lei fino a quando non mi sposavo con qualcuna del paese e vederla felice ogni giorno che ava. Adesso era tardi per i rimpianti. Le mie scelte le avevo prese a ventidue anni e non potevo certo tornare indietro. Lasciai la casa per andare a fare due i. Era tutto uguale. Erano tutti uguali. Mi guardavano come se fossi sceso dalla luna. Un po’ perché mi vedevano come quello di città e un po’ perché parlottavano riguardo a cosa potessi pensare dopo questa tragedia. Andai al bar per un caffè e subito tutti iniziarono a farmi domande. Mi chiesero della radio, di Milano e mi consolarono per mia mamma dicendomi che era stata una donna fantastica, che in paese tutti le volevano bene e che mancherà tantissimo a tutti loro. Erano delle stronzate perché mia mamma usciva poco e con quelle persone non aveva il minimo rapporto. Che grandissimi lecca culo. Volevo starmene da solo, non volevo parlare e soprattutto non volevo vedere le solite facce che mi stavano già sul cazzo anche se non le vedevo da un po’ di mesi. Decisi così di andare da Antonio, presi la corriera e in pochi minuti arrivai al negozio. Entrai, però questa volta non per farmi consigliare dei dischi ma per fare una chiacchierata con lui. - Gianluca... E si diresse verso di me abbracciandomi forte. In quel suo Gianluca c’era il mondo intero. Non ci volevano altre parole. Era tutto lì.
Mi abbracciò a lungo e io mi lasciai andare in un pianto liberatorio. - Dai dai non fare così se no piango anch’io. - Hai ragione Antonio, però metti un bel disco che è da ieri sera che non sento nemmeno una nota. - Ci penso io. Mise 4 Way Street di Crosby, Stills, Nash & Young. Fu la scelta perfetta. Una traccia più bella dell’altra, e poi la voce di Neil Young era impressionante perché arrivava nella mia anima come nessun’altra voce avrebbe potuto fare. E ancora una volta Antonio non si smentì. - Li conosci Gianluca? - Sì, me li avevi consigliati tu e mi sono comprato i loro dischi. Amo Neil Young. Grazie Antonio. - E' un piacere lo sai. Allora ti va di raccontarmi un po’ di cose? - Non oggi, erò in settimana, tanto ho deciso di fermarmi una decina di giorni così sistemo tutto prima di partire di nuovo per Milano. erò per prendere dei dischi e per chiacchierare un po’ sulla vita. Lo guardai negli occhi, gli presi le mani e gli dissi: - Ti voglio bene Antonio, sei l’unica persona con la quale voglio mantenere un legame con la mia vita ata. Grazie di tutto. Lui mi abbracciò e notai che gli occhi gli erano diventati lucidi. Uscii perché dovevo andare in comune e are nell’ufficio dell’onoranza funebre per firmare tutte le carte. ai anche dal prete e mi accorsi che non mettevo piede in chiesa da quasi
dieci anni. Lui mi accolse come se fossimo i migliori amici e io questo loro modo di fare non l’ho mai accettato. Ci accordammo per il funerale che si sarebbe tenuto il pomeriggio successivo. Tornai a casa per cucinare qualcosa, tanto sapevo che mia mamma avrebbe avuto la credenza piena. E infatti c’erano scorte per un mese intero. Cucinai il solito piatto di pasta e poi andai in camera mia. Non ero ancora entrato e la vista di tutti i dischi mi tolse il fiato. Di colpo tornai indietro nel tempo di circa dieci anni. Quanti ricordi, quanta bella musica grazie ad Antonio e quanta Radio Compa nascosta tra gli scaffali. Accarezzai tutto dolcemente prima di sfilare a caso dei dischi per vedere cosa mi capitava tra le mani. Sapevo che tutta quella roba l’avrei portata a Milano ed ero contento di riappropriarmi dei miei dischi e, in parte, della mia giovinezza. Il giradischi era nella stessa posizione in cui l’avevo lasciato l’ultima volta ed era tutto funzionante perché mia mamma non aveva toccato nulla, anzi faceva la polvere ogni giorno perché era convinta che prima o poi io sarei tornato a vivere con lei. ai il pomeriggio sdraiato sul letto ad ascoltare musica. Ero così stanco che mi addormentai. Mi svegliai la mattina seguente alle sette rendendomi conto d’aver dormito dodici ore, o forse più. Dovevo recuperare anche l’insonne notte precedente nella quale ero stato immobile sul divano di casa mia a pensare alla terribile notizia ricevuta da poco. Feci colazione con caffè e biscotti, uscii per fare due i e in paese trovai i soliti vecchietti che erano già in giro.
Il funerale, in questo caso quello di mia mamma, era un po’ un evento in quel paese dove non succedeva mai nulla. Tornai a casa a metà mattina e mi preparai. Andai in onoranza funebre per assistere alle ultime operazioni prima di chiudere la bara e poi mi diressi direttamente in chiesa. Rimasi all’ingresso così da salutare e ringraziare tutti quelli che erano venuti a dare l’ultimo saluto alla donna più importante della mia vita. A poco a poco arrivò un flusso di gente che mai mi sarei aspettato. Molti li conoscevo solo di vista e iniziarono a raccontarmi in che modo erano legati a mia mamma. Parlavano di quando erano giovani e di cosa avevano fatto insieme. Io fingevo interesse anche se non mi importava nulla di quello che dicevano. Avevano tutti un’età abbastanza avanzata, a molti di loro puzzava l’alito e non riuscivo a stargli vicino mentre mi parlavano, però allo stesso modo dovevo essere presentabile ed educato. Fingevo molto bene anche se respiravo una volta ogni trenta secondi. Arrivarono anche Mena, Yuri, Ciccio e Valentina. Appena vidi Ciccio capii che l’odio e la tristezza che provavo nei suoi confronti non svanirono negli anni e soprattutto non arono inosservati nemmeno in una giornata così triste. Stessa cosa fu per Valentina ma con sentimenti totalmente opposti. Era bellissima, ancor più bella di come me la ricordavo. I maschi mi salutarono con una stretta di mano e con un abbraccio, tranne il coglione che si limitò a darmi la mano. Lei mi abbracciò forte e poi, mettendomi una mano dietro la testa per inclinarmela un pochino, mi diede un bacio sulla guancia. Le sue labbra erano morbide e calde e in quel momento avrei proprio voluto baciarla. Capii che era la donna della mia vita e nel suo sguardo c’era qualcosa di malinconico. I suoi occhi erano tristi, non per il funerale ma per la sua
situazione. Era splendida anche vestita di nero e con l’aria sbattuta. Mi limitai a scambiare due chiacchiere un po’ con tutti e con lei mi limitai ad un bellissimo gioco di sguardi. Fu intenso, senza parole ma con dialoghi muti che ebbero più significato di qualsiasi cosa pronunciata. Lei era Valentina e i miei occhi non si riempivano di così tanta bellezza da troppo tempo. Avevo avuto molte donne in questi anni ma nessuna mi aveva rubato il cuore, la mente e l’anima come aveva fatto lei. Era unica, e questo suo modo d’essere la rendeva così bella al mio sguardo che non potevo fissarla più di qualche secondo. Ad un certo punto, quando eravamo tutti pronti per entrare, si avvicinò al mio orecchio e con un tono di voce basso mi sussurrò: - Ricordati che una volta mi hai fatto una promessa, e sappi che le promesse si mantengono. Sto ancora aspettando. Mi lasciò di stucco, mi fermai sull’ingresso del sagrato e rimasi immobile per qualche secondo fino a quando sentii che la funzione funebre stava per iniziare. Entrai in chiesa e gli ai di fianco senza però guardarla negli occhi. Fu abbastanza per sentire di nuovo il suo profumo. Salutammo mia mamma nel giro di un’ora e mezza e quando tutti tornarono alla loro vita come se niente fosse, io rimasi un po’ al cimitero e mi incamminai verso casa con la consapevolezza d’essere solo e affranto. Mentre camminavo avevo in mente le parole di Valentina e quello fu il mio pensiero fisso fino ad un secondo prima d’addormentarmi.
E' un pomeriggio splendido.
Caro diario, è uno splendido pomeriggio primaverile. Il sole di primavera è magico. La primavera è magica. C’è vita nell’aria, nella natura e finalmente anche nelle persone. La gente durante l'inverno va in letargo e si sveglia ai primi raggi del sole...che bello vedere le donne con le gonne, con le magliettine che scoprono una parte del loro corpo e con le scarpe senza calze. Le donne sono uniche, stupende e andrebbero amate incondizionatamente. Sto ascoltando Midnights Talks dei A Toys Orchestra, una band italiana che canta in inglese. Sono contento che nel mio paese ci siano ancora ragazzi interessati alla musica e non al successo, visto che oramai si punta solo al ritornello stupido e famoso che serve per firmare autografi nelle discoteche. La musica non è questo, la musica è arte e ci vuole gente che ci crede ancora. Questi ragazzi ci sanno fare. Conosco solo questo disco e mi piace parecchio. Se fossi stato in radio li avrei ati sicuramente e forse li avrei addirittura invitati per una chiacchierata in onda. Mi piaceva molto parlare con gli artisti e invitarli in studio per fare una session live acustica, anche se erano pochi quelli che accettavano perché erano pochi gli artisti veri. Come dice Caparezza in una sua recente canzone: “Gli artisti veri sono veri come i muppets”.
Alcuni li avrei mandati a fare in culo dopo pochi minuti e mi dispiaceva che non facevano un lavoro nel quale si rompevano la schiena dalla mattina alla sera. Non erano grati alla vita e non realizzavano che la fortuna li aveva baciati sulla bocca, non solo in fronte. Ci sta che poi dalla loro avevano il talento, non per tutti ovviamente, però per arrivare a quei livelli un po’ di fortuna ti serve e penso che nella vita non ti devi mai dimenticare di questa cosa. Tornando alla primavera e al fatto che tutto sembri più bello, in questi giorni ho avuto la conferma di quanto ti ho scritto sopra. E' bello quando cammini per la città e la gente ti sorride, quando non vedi i musi lunghi di quelli che vanno in ufficio, quando ti accorgi che le persone dopo il lavoro hanno la voglia di stare in giro, di vivere la propria vita, quando senti alcuni profumi e vedi i fiori che sbocciano. La primavera è vita, è il risveglio del mondo. C’è una bellissima frase di Pablo Neruda che dice: “Potranno recidere tutti i fiori ma non potranno impedire l’arrivo della primavera”. Mi piace perché è semplice quanto veritiera. La primavera è dentro ogni persona e nessuno la può uccidere se non noi stessi, ma penso che nessuno abbia la voglia di farlo perché siamo tutti in attesa di questa botta di vita che arriva dopo i mesi invernali. E' tardo pomeriggio e il sole inizia a calare. L’allungarsi delle giornate è qualcosa che ti dà la voglia di stare sveglio e di fare sempre di più. Adesso esco, vado al parco, ascolto in cuffia un disco dei Beach Boys e mi bevo una birretta godendomi il mondo che si risveglia e la gente che ritorna a vivere. Sono felice. Ci sentiamo presto caro amico. Ciao.
Valentina
Erano già ati due giorni dal funerale, non avevo voglia di uscire e in casa c’erano scorte alimentari che mi permettevano di sopravvivere ad un’epidemia. Non mi sono mai spiegato perché mia mamma comprasse così tanto cibo essendo da sola. Eravamo l’opposto, io con il frigorifero e le credenze vuote, lei così piene da far concorrenza ad un negozio d’alimentari. Durante il funerale avevo rivisto i miei amici e c’eravamo promessi qualche serata all’osteria per bere qualcosa insieme e fare due chiacchiere. Era una di quelle promesse da marinai dettate dall’occasione, perché in realtà non avevo la minima voglia di rivederli. Non tanto perché non mi stavano più simpatici, solo perché non volevo parlare sempre e solo io di quello che succedeva a Milano. Ogni volta che tornavo si creava la situazione in cui io ero quello che parlava e gli altri ascoltavano, nessuno aveva nulla di interessante da dirmi riguardo alle loro vite ed ero sempre io che raccontavo della città, delle ragazze, delle sbronze, della radio e della musica. Non avevo voglia di ricreare la solita serata, ma avevo voglia di rivedere Valentina. Il giorno del funerale, quando lei si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia, capii che i miei sentimenti nei suoi confronti non erano mai cambiati. Risentirla così vicina fu un colpo al cuore incredibile. Sentire il suo profumo e le sue labbra appoggiate al mio viso mi fecero aumentare la pressione. Avevo proprio voglia di rivederla da sola, non insieme a tutti gli altri. Volevo stare con lei, chiacchierare e cercare di capire perché aveva deciso di sprecare la sua vita con quel coglione se ciò non la rendeva felice.
Per la prima sera decisi di stare in casa, ascoltare un po’ di musica e bere qualche birretta. Era l’unica cosa che mia mamma non aveva perché era astemia. Le avevo comprate di ritorno da Antonio qualche giorno prima e avevo fatto una bella scorta, tanto nel caso fossero avanzate le avrei portate a Milano. La mattina seguente mi svegliai abbastanza presto, verso le nove e mezza. Feci una colazione abbondante con caffè, biscotti e marmellata fatta in casa da mia mamma. Dopo la colazione mi misi un pochino sul divano con una tazza di caffè americano. Mi piaceva godermi il risveglio tranquillamente, senza far nulla e con qualcosa da sorseggiare. Ascoltai Fandango degli ZZ Top. Del sano rock americano che mi serviva per uscire di casa con la giusta carica. Ascoltai l’intero album, lavai le stoviglie della colazione e della cena precedente, andai in bagno per darmi una sistemata e uscii di casa per andare a fare due i nelle vie della mia infanzia. Ero profumato di bagnoschiuma, fuori c’era una splendida giornata di sole e mi sembrava di iniziare a riprendermi dopo la batosta. Camminai un po’ a caso nelle vie del paese per rivivere i posti in cui ero cresciuto, tornare nella piazza dove il sabato e la domenica pomeriggio insieme agli amici facevamo delle chiacchierate con la speranza di poter cambiare il mondo e andare a salutare qualche vecchio amico e respirare di nuovo l’aria casalinga. In maniera inconscia andai dritto verso la vecchia filanda dov' era nata Radio Compa. Una volta arrivato notai con stupore che l’avevano abbattuta. Era lasciata andare da parecchio tempo, ma mai avrei pensato di trovare solo le macerie. Ci rimasi parecchio male perché era come se avessero tolto due anni felici della mia vita.
Il ricordo della prima radio era ancora molto vivo in me, e sempre lo sarebbe stato. Era un pezzo del mio cuore e poter vedere il posto in cui tutto nacque mi dava una certa tranquillità, mi faceva fare uno splendido sorriso a trentadue denti. Ora quel sorriso si era spento per colpa di alcune persone senza cuore che avevano abbattuto tutto per costruire dei condomini. Lasciai quel posto e mi diressi verso il piccolo centro di paese. C’era il mercato così ai in mezzo alle bancarelle, non tanto per comprare qualcosa quanto per sentire gli odori freschi che solo il mercato sapeva regalare. Andai in comune a salutare Mena e mi fermai a pranzare con lui. Mi raccontò un po’ di curiosità del paese ma, nonostante gli anni ati, mi sembrava che nulla fosse realmente cambiato. Un banale incidente con la macchina era l’evento del mese sul quale tutti costruivano la loro storia. Dopo dieci persone che lo raccontavano, non rimaneva un banale incidente ma si trasformava nella scena finale dell’inseguimento dei Blues Brothers. ai un paio d’orette felici nelle quali io raccontai un po’ la mia vita e lui mi raccontò la sua. Ci salutammo e mi diressi verso l’officina di Yuri ma non mi esaltava l’idea di vedere anche Ciccio. Arrivai e andai dritto verso la macchina che stava riparando. Lo salutai e parlammo un bel po’ bevendoci un paio di birre. Ciccio lo salutai appena entrato e poi non gli rivolsi nemmeno più la parola ma, dopo circa un’oretta di chiacchiere con Yuri, arrivò vicino con la sua aria da coglione e mi disse: “Allora hai visto come si lavora, come ci si sporca le mani? Non come fai te che sei davanti ad un microfono a dire solo cazzate”. Aveva ancora tanta rabbia dentro per non essere stato in grado di riuscire a fare lo speaker, non come lavoro nella vita, ma quella volta che dovevamo fare la prima diretta. Mi ricordo ancora la sua faccia da cagasotto. Era rosso come un
pomodoro e dopo quella sera sparì per due settimane per la vergogna. Che imbecille. - Almeno io davanti ad un microfono riesco a dire cazzate, tu sai stare solo zitto facendoti tanta di quella merda nelle mutande che ancora si sente la puzza, e quella sera la si sentiva anche ad un chilometro di distanza. Non avevo più paura di rispondergli a tono. Non mi interessava anche perché, a differenza di quando ero adolescente, adesso avrei saputo difendermi molto bene. Lui accusò il colpo e tornò verso la macchina che stava riparando. - Ma come fai a lavorare con un coglione simile? - Chiesi a Yuri appena Ciccio si allontanò. - Ma dai alla fine non è cattivo. E' solo un po’ burbero però il suo lavoro lo sa fare. - Sarà, ma io con uno simile non ci lavorerei mai. Mi darebbe fastidio vederlo subito di prima mattina. - Alla fine ti abitui, io sono il suo capo e con me non si comporta così. E poi tu ogni volta gli rinfacci di non esser stato capace di parlare al microfono. Magari aveva solo bisogno di tempo. - No, o ci sei un minimo portato o sei solo bravo a criticare gli altri. E lui solo quello sa fare. Salutai Yuri con un forte abbraccio perché non so quando l’avrei rivisto di nuovo. Uscii dall’officina ando apposta vicino a Ciccio. Lo guardai dicendogli: “un’ultima cosa Ciccio...se sai che sparo solo cazzate significa che mi ascolti perché altrimenti non avresti la minima idea di cosa dico in radio. Buon lavoro, e spero che un giorno tu riesca a realizzare qualcosa nella tua vita senza dover perder tempo a giudicare gli altri”. Mi alzai e me ne andai senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
Tornai verso casa ando dal bar per bere un’altra birretta. Ero contento d’aver detto quelle cose a Ciccio ed era come se mi fossi tolto un peso dallo stomaco. Mentre bevevo la birra vidi are Valentina, così uscii di corsa e andai verso di lei per fermarla. - Ciao. - Ciao, mi hai spaventata. - Scusa non era mia intenzione, ero al bar e ti ho vista are. Tra un paio di giorni torno a Milano e non sapevo come salutarti. Non volevo partire senza poterti vedere di nuovo. - Si ma non puoi salutarmi così di fretta fuori da un bar. Perché non ci vediamo domani? Sei ancora a casa di tua mamma? Se vuoi o nel pomeriggio così parliamo un po’. - Va bene, facciamo verso le due? - Ok, a domani. - Ciao Mi diede un bacio sulla guancia e mi abbracciò forte. Prima di salutarmi mi accarezzò il viso e questo suo gesto mi fece perdere la testa. In quel momento l’avrei baciata e poi avrei fatto l’amore con lei, lì in mezzo a tutti, non me ne fregava nulla di chi ci avrebbe guardato. Lei si girò e se ne andò. Era stupenda. Tornai a casa di mia mamma che era già ora di cena ma avevo le farfalle nello stomaco per l’incontro del giorno dopo. Mangiai qualcosa al volo e mi scolai tre birre, una dietro l’altra. Ero abbastanza brillo da addormentarmi sul divano. Mi svegliai verso le tre del mattino con la vescica che mi scoppiava, andai in bagno e poi mi addormentai in camera mia.
La mattina seguente ero un po’ frastornato ma la doccia, il caffè e Rimmel di sco De Gregori furono perfetti per rimettermi in forma. Mangiai leggero per non farmi venire l’abbiocco post pranzo e aspettai con ansia il suo arrivo. Sistemai due o tre cose in casa giusto per non far vedere il mio disordine. Mancavano cinque minuti alle due e il mio cuore batteva all’impazzata, così misi Harvest di Neil Young sul giradischi giusto per creare quell’atmosfera perfetta e cercare di rilassarmi un attimo. Arrivò e non capii più nulla. Aprii la porta, e il solo vederla mi mandò in paradiso. - Non mi fai entrare? - Si si, prego, vieni. Chiusi la porta alle mie spalle e mi diede un bacio sull’angolo della bocca. Rimasi immobile come se mai nessuna donna mi avesse baciato in vita mia. - Da te non manca mai la musica...io non me ne intendo ma sicuramente hai scelto bene. - Grazie, si chiama Neil Young. Dovresti ascoltarlo perché è un ottimo artista. - Non ho nessuno che mi consiglia dischi e nessuno in radio che mi interessa a tal punto da ascoltare la sua trasmissione. Ti ascoltavo prima che smettessi di trasmettere a Radio Milano. Come mai non sei più in onda? - E' una storia un po’ lunga. Diciamo semplicemente che ho avuto problemi con il direttore e non siamo rimasti in buoni rapporti. Ho mollato la radio e me ne sono andato un mese a Londra. Quando tornerò a Milano dovrei iniziare in una radio nuova, ma andrò in onda di notte. - A Londra? Beato te...io non sono mai uscita da questo paese.
- Tuo marito non ti porta da nessuna parte? Non ha ferie dal lavoro? - Si le ha. Quindici giorni ad agosto ma le iamo qui perché lui dice che lavorando non riesce mai a godersi il suo paese. - Che coglione, perché l’hai sposato? Non riuscii a trattenermi e mi scappò quell’insulto nei confronti di Ciccio. - Non parliamo del mio matrimonio, parliamo della tua vita che è sicuramente più interessante della mia. - Cosa vuoi sapere? - Chissà quante ragazze ha il nostro Luke on the night... Diventai rosso e cercai comunque di non sbilanciarmi troppo. - La radio mi dà una grossa mano perché sono sempre in una posizione privilegiata, però non credere che io abbia poi così tante donne al mio fianco. Mi hai visto sempre solo, sbaglio? - Qui vieni da solo perché vuoi mantenere il fascino dello scapolo bello e dannato. Mi guardò e scoppiammo entrambi a ridere. Dopo pochi secondi di silenzio, di sguardi ammiccanti e di avvicinamenti reciproci, lei mi baciò. Iniziò a baciarmi dolcemente sulle labbra con dei piccoli baci. Mi baciava, poi si staccava un pochino guardandomi, sorridendomi, poi mi baciava di nuovo e si staccava, mi accarezzava il viso e io sentivo il suo respiro sulle mie labbra. Dopo qualche minuto ci baciammo con la lingua, senza frenesia, con molta dolcezza. Non davo così importanza al bacio da parecchi anni perché per me ormai era diventato solo il preludio al sesso. Con lei il bacio tornò ad avere un’importanza incredibile.
Eravamo seduti sul divano entrambi desiderosi d’assaporare il corpo altrui. Non avevamo fretta e io avrei voluto che il tempo si fermasse per sempre, lì, sul mio divano a baciare la donna che avevo sempre sognato. Lentamente le mani iniziarono a muoversi per accarezzare, sfiorare ed eccitare alcune zone. Ero molto contento di quello che stava succedendo anche se avevo un po’ la paura di non essere all’altezza della sua bellezza. Appoggiò la schiena al bracciolo del divano. Seguii il suo movimento così da trovarmi completamente sopra di lei. Fu tutto così naturale che quella era la perfetta espressione di come due corpi, uno maschile e uno femminile, si incastrino perfettamente tra di loro. Inziammo ad eccitarci parecchio strusciandoci insieme uno sopra l’altro. I movimenti erano lenti ma precisi. Io le accarezzavo i capelli e continuavo a baciarla perché volevo riempire la mia bocca del suo sapore, e più la baciavo più mi rendevo conto che non avrei mai potuto saziarmi di un piacere così sublime. Iniziammo a spogliarci e le scoprii il seno. Non era molto grande ma era sodo e in quel momento aveva i capezzoli turgidi...quei capezzoli che avevo tanto immaginato guardandola ogni volta che arrivava in piazza con Ciccio. Adesso erano lì, di fronte a me. Potevo toccarli, baciarli e non mi feci certo pregare due volte. Fu un piacere immenso. Le sfilai i pantaloni, le accarezzi le gambe e con le labbra risalii pian piano, dalle caviglie fino alle mutandine. Le spostai appena appena e mi fermai un attimo a guardarla. Ero di fronte a quella cosa che ogni uomo sogna e alla quale non dai mai uno sguardo come si deve. La guardai e iniziai a toccarla con le dita per poi regalarle piacere con la lingua.
Sapeva di donna, era buona pure lì. Le tolsi tutto e tornai ad assaporare ogni centimetro del suo corpo, tornai a baciarla e lei iniziò a toccarmi delicatamente. Me lo prese in mano e mi disse: “ Ho voglia di sentirti dentro di me”. In quel momento il mio uccello diventò ancora più duro così iniziammo a fare l’amore. Prima di penetrarla completamente giocai facendolo andare un po’ su e giù, un po’ dentro e fuori e facendola bagnare ancora di più. Poi la penetrai sdraiandomi di nuovo su di lei e la baciai intensamente. Facemmo l’amore per almeno un’ora, cambiando posizione ma quasi senza mai smettere di baciarci. Avrei voluto venirle dentro per poi avere un figlio. Non ho potuto perché lei non voleva, così decisi di venire sulla sua pancia. La pulii subito e dopo aver fatto l’amore rimanemmo sul divano, nudi, abbracciati e in silenzio. Sentivo il suo respiro sul mio collo visto che aveva appoggiato il suo viso tra la mia spalla e la mia testa. Giocavo con i suoi capelli che erano morbidi, castani e profumatissimi e capii che in quel momento il paradiso era il mio salotto e pensai che fino a quel pomeriggio non avevo mai goduto così tanto, infatti non pensavo nemmeno che una donna fosse in grado di rendermi così felice. Rimanemmo sul divano per un paio d’ore e lei si addormentò. Fu stupendo il suo lasciarsi andare tra le mie braccia. Mi sentivo uomo. Quando si svegliò mi baciò, mi sorrise e si alzò da lì. Le diedi una mano a rivestirsi e ai miei occhi era bellissima, sempre di più.
Bevemmo un caffè, parlammo un pochino facendo tante pause tra una risposta e l’altra e, in quelle pause, c’era il significato di molti anni in cui tutti e due avremmo voluto una storia ma la vita, o le scelte personali, ci portarono a strade diverse. Sentivo già il groppo in gola perché sapevo che quella era l’unica volta in cui avrei potuto avere Valentina tutta per me. Andò verso la porta e mi prese per mano. Mi guardò negli occhi e inziò a piangere. - Vorrei che questo fosse solo l’inizio, però io ho un marito e ho la mia vita. Devo tornare alle mie abitudini. - Perché? Se non vuoi non devi. Scegli quello che ti dà più felicità. Non scegliere le abitudini, stravolgi la tua vita se necessario e cambia le cose se hai la voglia di cambiarle. - Non posso Gianluca, non puoi capire. - Cosa non posso capire? Che preferisci una vita di rinunce di fianco ad un coglione piuttosto che mollare tutto per vivere e affrontare la tua vita? E la tua felicità dove la metti? La nascondi dietro ad un matrimonio inutile? Lui non ti ama, ha solo paura di perderti, di rimanere solo...non ti tratta come una principessa e non sa darti il giusto valore. Per lui è tutto scontato, anche te sei scontata nella sua vita. Ci sei e non deve fare nulla per farti rimanere. Sa che arriva a casa e tu hai preparato la cena, sa che si sveglia e tu hai fatto la colazione, sa che può sporcarsi come un bambino tanto tu gli lavi i vestiti. a la domenica a guardare le partite di calcio con gli amici, sporca per terra tanto tu lavi...ma come fai a stare con un uomo che non sa valorizzare la tua bellezza? - Ma dai non è proprio così. Ha anche delle attenzioni nei mie confronti. - Quali? Si ricorda del tuo compleanno e ti porta dei fiori, o si ricorda di Natale e ti regala qualcosa? Sono queste le attenzioni di cui parli? O se sei fortunata ti regala la mimosa alla festa della donna? Lei abbassò lo sguardo con gli occhi gonfi di lacrime perché sapeva che era tutto vero, però non lo voleva ammettere a se stessa.
Si adattava alla sua vita, e tutto sommato le andava abbastanza bene perché non aveva mai avuto il coraggio di lasciarlo quando da bullo del paese era diventato il coglione del paese. Lei era affezionata a lui ma i matrimoni non vanno avanti perché ci si affeziona alle persone. O ci si ama o l’affetto lo si dona ai parenti e agli animali. - Pensaci Valentina, sei ancora giovane e hai tutto il diritto di prendere in mano la tua vita e condurla verso la felicità. - Non posso Gianluca, non posso. - Non vuoi, è diverso. L’amore va coltivato giorno per giorno. E' un po’ come per una pianta, non puoi ricordarti di lei solo una volta al mese quando le dai l’acqua giusto per non farla morire. Devi volgerla verso il sole, lucidarle le foglie e darle il concime. Solo così lei ti regalerà il più bel fiore, altrimenti continuerà ad essere una pianta che sembra tale solo qualche giorno dopo che l’hai inaffiata. Per il resto rimane spenta e moscia. L’amore non può essere donato con il contagocce e non ci si può ricordare di donarlo solo quando ci si accorge che la persona amata ne ha bisogno. Deve essere tutto naturale, spontaneo, senza che nessuno ti faccia notare cosa fare. Facendo così un giorno si potrà godere della bellezza di questo fiore, altrimenti saremo sempre quelli pronti a dare in estremis l’acqua ad una pianta giusto per non farla morire, così da lavarci la coscienza fino alla prossima volta. Perché tu vuoi essere così? Perché non scegli d’essere amata ogni giorno, conquistata con piccoli gesti che ti fanno sentire importante e svegliarti al mattino con il sorriso sulle labbra? Perché decidi di rinunciare a tutto questo? - Non rinuncio, è che dopo tutti questi anni è difficile prendere una decisione così importante. A casa mia sto bene, ho i miei spazi e la mia vita. Forse quello che dici te è vero, però adesso io non posso cambiare le cose. In quel momento capii che mai avrei potuto far sì che Valentina diventasse la mia compagna. Staccai le mie mani dalle sue perché non avevo più voglia di continuare quella discussione. - La differenza è tra il potere e il volere, tu non vuoi non è che non puoi. Hai
paura, non hai il coraggio. L’abitudine ti rende spenta, apparentemente felice ma con la consapevolezza che qualcosa non va. Il non sapere cosa ti può accadere l’indomani ti agita e non ti permette di viverti la tua vita. In realtà sarebbe solo una situazione iniziale, perché appena inizi a pensare che non c’è cosa più bella che affrontare la vita giorno per giorno, capisci che hai sprecato un sacco di tempo dietro ad un coglione. Mi spiace solo che tu non capisca questa cosa e sappi che io sarei pronto anche a rapirti come mi hai chiesto tu qualche anno fa, però non hai la voglia di essere rapita. Ti piace l’idea, ti stuzzica il voler cambiare ma non hai il coraggio di farlo. Arrivi lì lì per saltare ma ti mancano le forze per darti lo slancio. Se non ti convinci da sola di questa cosa io non posso farci nulla. Mi dispiace vedere la tua rassegnazione...e complimenti perché sei tanto brava a nasconderla dietro ad una parvenza di felicità. Ti auguro solo di non avere rimpianti. - Lo spero anch’io. Mi baciò ma rimasi immobile perché non volevo che lei mi baciasse. L’avrei fatto se l’esito finale fosse stato diverso, però in questo caso non volevo. O forse sì, non lo sapevo nemmeno io. Se ne andò e chiusi la porta. La sua lapidaria risposta mi lasciò senza parole. Andai sul divano e il suo profumo sui cuscini era molto forte. Ne presi in mano uno, lo strinsi al petto e rimasi in quella posizione a pensare. Non mi capacitavo della sua scelta e della sua rinuncia. Io che avevo sempre vissuto la vita in maniera opposta, senza mai rinunciare alla mia felicità e mettendola sopra ogni cosa. Non capivo come lei potesse affrontare una vita da infelice, insoddisfatta e fingendo che con il marito andasse tutto bene. Avrei voluto andare da Ciccio e spaccargli la faccia perché non si rendeva conto dell’immensa fortuna che gli stava accanto ogni giorno. Non mi dava fastidio l’idea di pensarli fare l’amore, anche perché se andava
bene lo facevano una volta ogni quindici giorni giusto per ricordarsi che erano marito e moglie, mi dispiaceva di più che lui potesse godere di Valentina in ogni momento della sua vita senza nemmeno accorgersene. Per lui lei era lì e non aveva fatto più nulla da quel giorno che lei si concesse per la prima volta. In questi momenti la vita mi sembrava brutta, piena di negatività e piena di persone deludenti. Non avevo nemmeno la radio per sfogarmi e dovevo solo attendere che il tempo fe la sua parte, ma quando capisci che una donna è speciale e unica, anche il tempo non può nulla. Valentina fu l’unica in grado di farmi emozionare a tal punto da piangere, un po’ per la gioia e un po’ per la rabbia. Rimasi sul divano col cuscino abbracciato fino al mattino dopo. Decisi di partire il giorno seguente così avevo tempo di salutare Antonio, dare una sistemata alla casa, prendere i dischi e tornare a Milano per essere di nuovo on air.
E' una fresca serata.
Caro diario, è una fresca serata nella quale posso permettermi di tenere le finestre aperte. Sento il rumore delle macchine e la città che si sta muovendo, lentamente rispetto al giorno, ma capisco che in giro c’è comunque vita. I locali tengono aperto fino a tardi e i ragazzi stanno fuori a chiacchierare e bere le loro birre. Escono sempre con la speranza di trovare qualche ragazza. Che bello quando sei giovane e di sera arriva il momento in cui puoi fare nuove conoscenze. Vai in un locale e speri sempre che ci sia la donna dei tuoi sogni. Di solito ce ne sono sempre tantissime con le quali poi vorresti uscire o fare l’amore, però non è sempre facile conoscerle. Stasera sto in casa anche se un po’ mi dispiace. Non sono certo uno che va alla ricerca di qualche ragazza da portarmi a letto, però mi piace stare in giro, bere qualcosa e fare due chiacchiere con le persone. Di solito vado nei locali che conosco, quelli in cui mi sento a casa mia, anche se non dico mai di no se qualcuno propone qualcosa di nuovo. Oggi sono stato proprio bene. Stamattina ho deciso di fare colazione al bar, mi son seduto fuori e ho preso cappuccino e brioches. Dopo la colazione ho fatto due i, mi sono seduto al parco tranquillo e beato ad ascoltarmi un po’ di musica. Ho sentito White album dei Beatles e ho capito, per l’ennesima volta, che erano proprio dei geni. Forse nessuno al mondo ha avuto o avrà di nuovo quelle loro idee.
Me lo sono goduto tutto con il sole in fronte che mi riscaldava e avevo gli occhi chiusi per godermi meglio il momento. Sono andato poi in un supermercato per comprare un panino con la mortadella, una birra e qualche cioccolatino come dolce. Sono tornato sulla mia panchina e ho pranzato. Non era nulla di che ma mi sentivo come un re. Ogni tanto la situazione che vivi rende il momento indimenticabile. Poco importa se sei in un hotel a cinque stelle o in un parco qualsiasi su una panchina che di notte diventa il letto di qualche senza tetto. Ero felice e soddisfatto. Mi sono goduto ancora un po’ il momento e poi mi sono incamminato verso il bar nel quale dovevo vedermi con Sara. Siamo stati colleghi in radio e adesso siamo molto amici nella vita. Lei faceva la redattrice per varie trasmissioni ed era proprio brava. Sempre precisa e puntuale e rendeva il lavoro dello speaker molto più semplice. E' arrivata con il suo cagnolino...molto bello e sapeva che ho sempre avuto un debole per i cani. Mai per i gatti perché non mi ci sono mai trovato, ma per i cani provo tuttora un amore sfrenato. L’aveva appena preso dal veterinario dopo che l’aveva fatto sterilizzare. Abbiamo parlato un po’ di questa cosa e di quanto io fossi perplesso. Lei si ostinava a dire che l’ha fatto per il suo bene, ma io penso che ad un maschio non puoi tagliare le palle per il suo bene. Per il suo bene lo fai scopare con cento cagnette diverse, non gli tagli le palle. Lei continuava a dirmi che così non aveva più nemmeno la tentazione. Io proprio non capivo. Poveri maschi, e semmai dovessi rinascere cane, vi prego padroni non tagliatemi gli attributi, anche perché sono convinto che se lui
potesse parlare, mai e poi mai si sentirebbe così tanto maschio senza le sue adorate palle!!! Siamo rimasti insieme fino alle diciotto circa. Lei continua a lavorare in radio anche se adesso segue una sola trasmissione che si occupa d’attualità, quindi non può seguire più di una diretta. E poi vanno in contemporanea in televisione perciò ci sono molte cose da seguire e preparare. E' proprio una ragazza d’oro, anche se ha reso il suo cane virile come una voce bianca. Ci siamo salutati e sono tornato a casa con la voglia di raccontarti tutte queste cose. Appena entrato ho fatto una cosa che non facevo da un po’ di tempo, da quando ho smesso di lavorare. Ho la radio per vedere che effetto mi faceva. Non mi sono fermato su una sola stazione, ho fatto un po’ di zapping ma devo dire che ho fatto fatica a trovare una canzone che mi pie e così, dopo una decina di minuti, ho deciso di mettere un disco per ascoltare della buona musica. Ho messo l’ultimo degli Arcade Fire, Suburbs. E' quello che li ha resi famosi in tutto il mondo, è il loro terzo album ed è un po’ diverso dai primi due. I primi erano più sperimentali, con pezzi lunghi e molto suonati, mentre questo ha delle hit che sono andate anche in radio. E' comunque bello, interessante e pieno di suoni un po’ fuori dal comune. E' una band molto valutata dai grandi artisti e c’è chi li considera un po’ il futuro della musica. Ho ascoltato il disco, mi sono fatto una doccia e poi ho cucinato qualcosa. Mentre cucino bevo quasi sempre un bicchiere di vino rosso. Non so perché lo faccio, però mi da soddisfazione. Forse l’ho visto fare molte volte nei film americani e quindi ho preso anch’io questa abitudine.
Dopo cena ho visto un film documentario sulla storia di tre grandi chitarristi, Jack White degli White Stripes, The Edge degli U2 e Robert Plant dei Led Zeppelin. Il cortometraggio si chiama It might get loud. E' interessante soprattutto se sei apionato di chitarra e ovviamente di musica. Tre stili e generazioni diverse che però suonano la chitarra come se fosse la cosa più semplice del mondo. Appena ho finito di vederlo mi è venuta voglia di ascoltare un disco per ognuna delle band rappresentate nel filmato. Ho iniziato, e lo sto continuando ad ascoltare, Achtung Baby degli U2. Per me in assoluto il loro lavoro migliore. Adesso mi rilasso sul divano e mi godo in sequenza Elephant degli White Stripes e poi Led Zeppelin IV dei Led Zeppelin. Buona serata caro diario.
Ritorno a Milano
Decisi di anticipare il mio rientro a Milano perché non aveva più senso rimanere in quel paese, almeno non per il momento. Presi i dischi, i vestiti che avevo lasciato nell’armadio e che usavo quando tornavo a salutare mia mamma, il cibo avanzato che poteva servirmi a Milano e chiusi bene la casa senza sapere cosa farne, se venderla o tenerla. Andai in stazione per tornare a casa. Ormai casa mia era lontana da lì. Quello era il paese dov’ero cresciuto, quello a cui ero molto affezionato e dove avevo vissuto la mia infanzia e la mia adolescenza, però non era più casa mia. Specialmente ora che mia mamma non c’era più. Valentina aveva dimenticato delle forcine per capelli sul tavolo in salotto e ne presi un paio da portare con me, così d'avere sempre qualcosa di suo. Era una cosa da nulla però mi faceva piacere sapere che ogni volta che il mio sguardo incrociava quelle forcine, il suo ricordo tornava vivo facendomi battere forte il cuore. Salii sul treno appoggiando la testa al finestrino e con lo sguardo abbastanza spento. Potevo gioire per il fatto che sarei tornato in onda da lì a poco, però purtroppo non ero dell’umore giusto. Arrivai a Milano e andai dritto in casa, sistemai i dischi che adesso iniziavano ad essere tanti e iniziavano ad occupare quasi tutta una parete. Nel sistemarli mi capitò tra le mani Pink Moon di Nick Drake e mi tornò in mente quel pomeriggio con Antonio. Io e lui nel suo negozio, il caffè e l’aspettativa che lui creò sull'ascolto di questo album.
E fu proprio un pomeriggio stupendo. Mi venne la pelle d’oca al pensiero del tempo ato e dei ricordi legati ad ogni singolo disco che scorrevo tra le mani. Misi Nick Drake e mi lasciai andare a peso morto sul pavimento. Era il disco perfetto per crogiolarmi nella mia malinconia. “ I saw it written and I so It say Pink Moon is on it’s way And none of you stand so tall Pink Moon gonna get you all It’s a pink moon...” Mi lasciai rapire dalle parole, che capivo appena appena, e dalla musica che invece conoscevo a memoria. Mi scese qualche lacrima per mia mamma, per Valentina, per alcuni aspetti della mia vita e anche per Antonio. Avrei voluto guadagnare più soldi per poterlo ospitare in casa mia senza farlo più lavorare. Sarebbe stato bello vivere con un intenditore di musica che ogni giorno avrebbe potuto consigliarmi dischi vecchi e nuovi. E poi mi sarebbe piaciuto molto are serate intere a chiacchierare con lui. Potevo farlo al telefono ma non era la stessa cosa. Piansi fino alla fine del disco e lasciai che le lacrime scendessero prima sul viso e poi sul pavimento. Piansi come un bambino. Avevo voglia di sfogarmi, e così fu.
Era primo pomeriggio e la pioggia cadeva forte, non volevo uscire e non dovevo nemmeno farlo visto che in casa avevo il necessario per cucinare. Tolsi il disco e lo riposi con cura nella custodia, poi sullo scaffale. Decisi di cucinare con il rumore del silenzio in sottofondo. Feci un semplice risotto e aprii un buon vino rosso, mangiai con calma gustandomi quello che avevo preparato. Ero solo con i miei pensieri, solo con me stesso, le mie paure, le mie angosce e per la prima volta nella vita mi sentii realmente solo. ai il pomeriggio a sistemare un po’ di cose in casa e poi mi sdraiai sul divano a leggere fino a sera. Sapevo che Sergio sarebbe tornato nel giro di due e tre giorni e me la presi con comodo così da rilassarmi e farmi trovare abbastanza in forma per poter ripartire con questa nuova avventura. ai i due giorni seguenti più o meno nello stesso modo. In maniera apatica, sopravvivendo e non godendomi nulla. Non ascoltavo nemmeno la musica perché avevo troppi ricordi malinconici legati ai dischi che presi da casa mia. Alcuni mi ricordavano Radio Compa, altri Valentina, altri Antonio, molti mia mamma e specialmente le sue urla nel tentativo di farmi spegnere o abbassare la musica. Gridava mentre io ascoltavo un assolo di Hendrix e non capivo come lei potesse rovinare un momento simile. Adesso avrei pagato oro per sentirla di nuovo gridare, e invece non potevo più fare nulla. Mi rimaneva semplicemente il suo ricordo. In questi giorni mangiavo e oziavo sul divano, un po’ leggendo e un po’ pensando alla radio. Avrei voluto trovare qualche idea da proporre a Sergio ma non mi venne in
mente nulla. Pensavo solo che la mia vita sarebbe cambiata molto dovendo andare in onda di notte. La mattina seguente lo chiamai. - Sergio? - Sì chi parla? - Ciao sono Gianluca, tutto bene? - Ciao Gianluca io sto bene. Tu? Sei già tornato a Milano? - Si sono tornato un paio di giorni fa e ho deciso di starmene un po’ per i fatti miei. - Hai fatto bene. Allora ti va se ci vediamo per una cena? Se vuoi domani sera sono libero, o a prenderti con la mia macchina? - Va benissimo. Ti aspetto per le 20.30 circa? - Ok, a domani e stai su con il morale che il mondo della radio ha bisogno del Luke on the night che tanto manca agli ascoltatori. Appesi il telefono contento per le belle parole che Sergio mi aveva detto, anche se non so se lo aveva fatto per aiutarmi a sorridere in questo momento difficile o se lo pensasse veramente. Poco importava, erano belle ed io appesi il telefono con un sorriso nel cuore.
Ciao caro diario.
Ciao. Ciao caro diario. Oggi è una giornata in cui non mi sento, non esisto ma sopravvivo, non ho voglia di fare nulla e tutto mi sembra noioso. Fuori è grigio, il traffico è impazzito e la gente è sempre più di corsa. Le notizie sui giornali sono pessime, la situazione in Italia peggiora ogni giorno che a e io me ne sto in casa non avendo nemmeno la voglia di stare con me stesso. Non posso scegliere e sono obbligato a vivere questa mia situazione. Non ho un motivo reale e quando sono così preferisco non uscire per evitare che i soliti rompicoglioni mi chiedano cosa c’è che non va. Non c’è un cazzo che non va e non voglio che me lo chiedano perché la cosa mi fa solo incazzare!!! Ci sono giornate in cui non riesco proprio a sorridere. Capitano a tutti e io in questi giorni voglio stare solo con la mia malinconia..che mi va bene, la accetto e me la vivo per quella che è. Non mi piace quando le persone cercano in tutti i modi di capire cosa non va o cosa c’è alla base di questo essere malinconico. Oggi lo sono e basta, e i Sigmund Freud dei poveri che vogliono interpretare ogni tuo gesto o espressione, li voglio evitare a piè pari. Si sentono tutti in dovere di chiederti se possono fare qualcosa. L’unica cosa che potete fare è quella di non rompermi i coglioni. Ho bisogno d’essere malinconico perché così facendo posso apprezzare meglio
le cose belle che la vita mi regala ogni giorno. La malinconia aiuta gli artisti e, anche se non sono un artista, capisco perché in queste situazioni loro siano più ispirati. Oggi me la vivo così. Forse per la prima volta ti ho scritto senza ascoltare musica. Adesso mi metto in salotto e leggo immergendomi totalmente nella realtà parallela che solo una bella lettura ti sa regalare. Ti lascio con queste parole del buon Vasco che oggi rappresentano il mio stato d’animo: “perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia, sopra la follia...” A presto caro diario.
Radio Sound
Erano ati cinque giorni dalla cena con Sergio e ne mancavano solo un paio dalla prima diretta su Radio Sound. In questi pomeriggi andavo in radio per parlare con sco, il mio regista, e pensare all’esordio. Si discuteva su come organizzare le puntate, su quante canzoni mettere e come affrontare le telefonate, che in fondo erano la grande novità. Ogni venti minuti circa dovevamo portare in onda un ascoltatore e farci raccontare come mai a quell’ora fosse ancora sveglio. Con Sergio mi ero accordato per tre ore di diretta, da mezzanotte alle tre del mattino. All’inizio avrei beccato quelli ancora svegli, mentre verso la fine quelli che si svegliavano molto presto come pasticceri, camionisti o panettieri. L’idea mi affascinava e l’entusiasmo cresceva ogni giorno di più. Per adesso avrei fatto da lunedì a giovedì, così da lasciare solo musica il venerdì per quelli che uscivano e non avevano voglia di sentirne uno parlare. Era venerdì sera e io e sco eravamo ancora in radio per chiudere le sigle e i jingle. Ci stavamo lavorando parecchio tutti i giorni per non fallire con questo esperimento. Sergio era stato chiaro, o funziona o tra un paio di mesi si taglia la diretta notturna. Noi ci credevamo, puntavamo molto sulle nostre idee, eravamo affiatati e il legame con sco era simile a quello con Claudio. Mi sarebbe piaciuto che anche lui fosse qui con noi per portare quel suo
entusiasmo nel fare il lavoro dei suoi sogni. Era circa mezzanotte ed eravamo esausti, però era pur sempre venerdì sera così decidemmo di uscire e andare in un locale dove suonavano musica dal vivo. Il posto era pieno, c’era un sacco di gente con la birra in mano, i jeans stretti e il chiodo aperto con una magliettina bianca sotto. Noi eravamo un po’ fuori luogo visto il nostro abbigliamento, ma non ci importava nulla perché volevamo solo farci un paio di birrette e ascoltare un po’ di musica. Ne bevvi tre e, un po’ la stanchezza un po’ l’alcol, mi appoggiai al muro con lo sguardo perso tra la gente. Una ragazza si avvicinò e si mise a parlare ma non capii quasi nulla perché la musica era troppo alta e io un po’ troppo stanco o brillo. Le dissi il mio nome, qualche altra parola sbiascicata nel suo orecchio quando ad un tratto lei si girò di scatto e mi baciò. Mi mise la lingua in bocca, ci baciammo per una decina di minuti ma ad un certo punto arrivò una sua amica che la prese per il braccio e la portò via. Rimasi appoggiato al muro con il pisello duro e quel senso di vuoto che mi lasciò questa ragazza di cui non sapevo nemmeno il nome. Era lo stesso senso di vuoto che mi portavo dietro da quando avevo lasciato il mio paese. Non riuscivo ad essere felice se non quando ero in radio. Solo lì stavo bene. Appena tornavo a casa cadevo in questa malinconia che non mi dava pace. Quella sera finì tardi, o finì la mattina presto verso le sei in un bar a far colazione con cappuccino e due brioches. Andai a letto con la pancia piena e dormii tutto il giorno come un bambino. Io e sco decidemmo di prenderci il weekend di pausa prima di tornare a
lavorare alla prima puntata. Ci saremmo visti lunedì verso le cinque di sera per fare la scaletta e poi finalmente andare in onda. La domenica la ai cercando di recuperare le energie e l’umore giusto per tornare dietro ad un microfono. Mi mancava molto il mio lavoro e mai come questa volta volevo rimettermi le cuffie e tornare a sognare. Arrivò il lunedì, e con esso l’ansia da prestazione. I mille dubbi mi assalirono appena sveglio. Come ogni prima volta ero in preda a mille domande sul perché avessi scelto quel lavoro con la chiara conseguenza d’espormi al giudizio del pubblico. Sapevo che dopo il primo intervento tutte queste domande sarebbero cadute nell’oblio, però fino a quel punto avrei avuto il cuore in gola e lo stomaco chiuso a tal punto da stare a digiuno. Andai in radio verso le cinque e c’era molta agitazione per questa novità. Non bastavo io ad essere agitato, ci mancavano anche i miei colleghi. Per non parlare poi di Sergio che mi venne incontro parlandomi molto velocemente di tutto quello che voleva io fi e creandomi una gran confusione in testa. - Sergio calmati perché se fai così mi agito anch’io e va a finire che chiudiamo la trasmissione dopo dieci minuti. Mentre gli dissi questa frase cercai di mantenere una calma che in realtà non avevo. Finsi alla grande e il risultato fu soddisfacente. - Hai ragione, e poi al massimo sei tu che devi essere agitato, io non devo andare in onda. Stanotte ti ascolterò da casa con mia moglie e le chiederò consiglio. Non le ho voluto dire nulla a riguardo e voglio che lei sia come tutti gli altri ascoltatori. Sappi che se il suo giudizio sarà negativo domani te lo dirò senza problemi. - Non preoccuparti che io e sco non vi deluderemo, abbiamo in mente molte cose interessanti e stanotte sarà solo un’anticipazione di quello che
diventerà la trasmissione nei prossimi giorni. E poi io sono Luke on the night, quindi la notte fa parte della mia vita quanto la mia vita fa parte della notte. Che frase del cazzo che avevo appena pronunciato, però era una di quelle frasi ad effetto. Mi piaceva che Luke on the night andasse in onda di notte e, a pensarci, era scritto anche nel mio nome d’arte quindi, era scritto nel mio destino di speaker radiofonico. - Ciao Fra tutto bene? Sei pronto? - Si però mi sto cagando addosso. Ho paura di sbagliare e se sbagliamo ci cacciano. - Stai tranquillo, se dovesse succedere qualcosa tu fammi segno e io cercherò di intrattenere gli ascoltatori fino a quando tu non risolverai il problema. - Speriamo. Per adesso mi tremano le mani. - Dai non agitarti e pensiamo alla scaletta, vedrai che pensando ad altro sarà tutto più facile e arriveremo rilassati all’inizio della trasmissione. Cercavo di rassicurare tutti anche se in realtà io ero il primo in cerca di rassicurazione. Ci mettemmo al lavoro scegliendo i dischi e cercando di indirizzare la puntata su un argomento. Non potevamo lasciare libero arbitrio agli ascoltatori se no avremmo rischiato di parlare di sport e, dieci minuti dopo, di sesso. Dovevamo, anzi volevamo mantenere una linea guida. Eravamo talmente presi dalla musica e dai nostri discorsi che non ci accorgemmo dell’ora. Mancavano solo venti minuti e avremmo esordito su Radio Sound. C’erano due studi, così ci si alternava sempre. Erano praticamente identici e potevano essere usati anche per registrare.
Era la miglior radio, almeno come organizzazione e attrezzature, nella quale io avessi lavorato. Sistemammo un po’ tutto, dal microfono, al volume delle cuffie, alle luci soffuse in studio e al telefono che doveva squillare per poter parlare con gli ascoltatori. sco era di fronte a me, eravamo separati da un vetro e provavamo i vari gesti per intenderci mentre saremmo stati in diretta. Io dovevo farmi capire nel momento in cui volevo partisse una canzone, e lui doveva farmi capire l’intro con il conteggio della mano e la fine di un disco per poter tornare in onda. Avevamo fatto delle prove e sembravamo andare abbastanza d’accordo. C’era sintonia e c’erano ampi margini di miglioramento. Io ero pronto e sco pure. Mancavano pochi minuti, chiusi gli occhi, feci dei respiri profondi e in quel momento capii che non potevo e non volevo essere da nessun’altra parte. Finì il disco che separava la trasmissione precedente, l’ultima diretta fino alla precedente settimana. Iniziò la sigla, la linea ò nel nostro studio, sco mi fece segno con la mano e io iniziai a parlare con una voce baritonale per dare quel tocco affascinante e misterioso. - Buona notte a tutti, io sono Luke on the night, questa è Night Mood e da questo momento vi terrò compagnia per le prossime tre ore. Avremo molto tempo per parlare, quindi adesso mettiamo un disco e ascoltiamo Barry Manilow con la sua dolcissima Mandy. E così iniziò di nuovo la magia...
E' notte fonda.
Caro Diario, è notte fonda, le luci della città sono spente e il silenzio regna ovunque. La notte è stupenda e a me piace stare sveglio sul divano con una luce soffusa che illumina solo dove ne ho bisogno. Ho sfogliato alcuni aggi di un libro che ho letto due anni fa, Shantaram. Quando leggo e trovo frasi interessanti le sottolineo così ogni tanto posso rileggerle. Stanotte ti saluto con queste parole: “Ogni battito del cuore di un uomo è un universo di possibilità”. Buona notte, e vorrei tu fossi una persona così da poter meditare su quanto ho appena scritto.
Ormai siamo amici.
Ciao amico mio. Ormai siamo amici visto che è parecchio tempo che ti scrivo. Ti ho già parlato dei social network e di cosa ne penso. Detto ciò non torno sull’argomento ma non ti nego che ogni tanto, durante la giornata, guardo se qualcuno ha scritto delle cose interessanti o se ha pubblicato delle canzoni che mi piacciono. Capita spesso di scambiare delle battute con i miei amici e qualche volta vado a curiosare la pagina di Valentina. Devo ammettere che lei è l’unico grosso rimpianto della mia vita. Oggi ho visto che ha pubblicato una canzone che per me ha un significato vitale, Ultimo Amore di Vinicio Capossela. Lei ha conosciuto questo cantante perché un giorno, sempre tramite facebook, mi ha chiesto di farle ascoltare un’artista italiano che non cantasse le solite banalità. Le ho girato un po’ di link di Vinicio e le ho dedicato Ultimo Amore dicendole che era la mia preferita e aggiungendo: “ è per te stellina cara”. Lei non ha capito l’importanza di quella parola. L’ha sottovalutata pensando che valesse tanto quanto cara, tesoro o quelle parole sdolcinate che si usano quando si è innamorati tipo, pasticcino, micetto, patatino e ci ci mi mi o cagate simili. Invece stellina ha un’importanza unica. Solo una donna nella vita, forse due, possono avere questo onore.
Quello di essere paragonate ad una stella. Bisogna stare molto attenti quando si usa questa parola in ambito amoroso perché la stella è un qualcosa di estremamente affascinante che splende lassù nel cielo. Già il solo fatto che lei stia su e che guardi tutti dall’alto al basso, le dà un valore incommensurabile. Poi la stella splende e illumina le tenebre. E' un punto che riflette una luce che è visibile da ogni angolo del mondo. Ti rendi conto caro diario? La bellezza e lo splendore di una stella sono visibili in ogni parte del pianeta, da qualsiasi angolo tu la guardi, da sdraiato o in piedi, seduto o accovacciato, da nord a sud a est a ovest. Lei è lì, luccica e ti fa vedere la sua grandezza. La stella è unica nel cielo come la ragazza che ami è unica sulla terra. Se tu le dici stellina, o stella che sia, dai un’importanza che lei deve saper cogliere perché, per te, lei splenderà sempre, e al tuo sguardo sarà la luce più bella che possa mai abbagliare i tuoi occhi. Quando ho scritto stellina a Valentina non mi aspettavo nessuna sua reazione, però non speravo nella sua totale indifferenza. Mi sarebbe piaciuto poterle spiegare il significato, ma lei ha sorvolato perché se fosse tornata sull’argomento sarebbe caduta di nuovo in tentazione. Non la vedo da parecchi anni, ma sono sicuro che lei non abbia mai affrontato realmente il suo problema e abbia vissuto rinunciando alla sua felicità. Per questo su facebook ci sentiamo molto raramente anche perché ogni volta è un colpo al cuore per entrambi. Mentre ti ho scritto della canzone di Vinicio mi sono fermato per ascoltarla, e
anche se penso d’averla sentita tot mila volte, non mi stancherò mai di chiudere gli occhi e abbandonarmi a quelle dolci parole. C’è un aggio nel quale si capisce che lui è un poeta e noi no. “La luna altre stelle pregava, che l’alba imperiosa cacciava...” E' un modo straordinario per dire che la notte sta lasciando posto alla mattina, però a differenza nostra che avremmo usato parole semplici e banali, lui ha romanzato questo fatto quotidiano. Dopo questo pezzo ho messo il disco Simple Things degli Zero 7. E' il loro primo lavoro e penso che la loro musica sia perfetta per scrivere, meditare e da usare come sottofondo in una serata romantica. Mi piace moltissimo il pezzo In the Waiting Line che è stato usato anche come colonna sonora del film La mia vita a Garden State. Un altra canzone presente in quel film è New Slang degli Shins. Un capolavoro. E' uno di quei dischi che ascolti in loop senza mai stancarti perché è un pezzo perfetto, sia che tu sia triste sia che tu sia allegro. Se sei triste ti aiuta a stare nella malinconia, se sei allegro è bellissimo sentire il cinguettio degli uccelli ad inizio canzone che fanno subito primavera. E poi te la canti anche se non sai l’inglese. Mi è venuta voglia di sentirla, mi prendo una pausa, l’ascolto e poi ritorno. L’ho sentita tre volte, ho mangiato un pezzo di cioccolato fondente al 99%, ho riletto quello che ti ho scritto pensando che tante parole vorrei dirle a Valentina e un po’ mi dispiace che lei non le possa leggere. Questo diario lo scrivo per me stesso, per il gusto di scrivere e di raccontare, però se fosse un libro le farei una dedica e lo invierei a casa sua. Sono sicuro che non rimarrebbe indifferente a molte cose scritte da me, scritte
prima con il cuore che con la testa. Invece sarà tutto chiuso in questo file, nessuno lo leggerà, a parte noi due. E' una cosa un po’ stupida...un po’ come voler far radio senza farsi sentire da nessun ascoltatore. Io scrivo per diletto, non per vendere o pubblicare, però quando parlo di alcune persone non ti nego che vorrei che leggessero i miei pensieri. Tornando a Valentina, e al fatto che io l’abbia paragonata ad una stella, voglio salutarti dandoti una chiave romantica di questo mio modo di soprannominarla. Andando parecchio indietro negli anni, quando non esisteva la tecnologia moderna, i marinai si affidavano alle stelle per seguire la giusta rotta, mettendo così la loro vita nelle mani del cielo e nella loro capacità di farsi guidare e di sapersi districare attraverso le rotte stellari. Quei punti luminosi nel cielo erano di vitale importanza. Così dovrebbe fare un uomo con la propria amata. Affidare la rotta della sua vita a questa donna che splende ogni giorno di più, così da navigare insieme verso una vita di coppia che amplifica ogni singola emozione finora vissuta da solo. E la donna dovrebbe fare lo stesso con l’uomo. Bisogna stare molto attenti ad usare questa parola se non si è delle persone superficiali. Caro diario, io sono affascinato dai colori e dalle immagini che stanno dietro alle parole, perciò cerco sempre di ponderare bene quel che dico. Purtroppo, spesso, chi ascolta non dà la mia stessa importanza e mi ritrovo a dire cose che vengono considerate poco utili per una serena vita quotidiana. Ogni tanto sarebbe bello fermarsi e riflettere sulla bellezza delle parole. Se dovessi proporre alla gente questa cosa verrei scambiato per pazzo.
Figuriamoci se c’è la voglia o il tempo di pensare a quante belle cose possono evocare alcune parole. Non voglio elogiarmi dicendo di essere piu colto degli altri, però mi piacerebbe che le persone dessero più valore ai soliti vocaboli che spesso vengono pronunciati in maniera ripetitiva durante la giornata. Ti saluto con le parole di Lucio Dalla che valorizzano tutto quello che ti ho scritto qui sopra riguardo alle stelle: “A due a due gli innamorati, sciolgono le vele come i pirati, e in mezzo a questo mare, cercherò di scoprire quale stella sei, perché mi perderei, se dovessi capire che stanotte non ci sei...” Buona notte.
Routine
Erano già due anni che trasmettevo a Radio Sound e tutti erano soddisfatti di quello che facevamo io e sco. Sergio ci faceva sempre molti complimenti perché gli ascolti miglioravano, e aveva deciso di farci trasmettere anche la domenica notte. Da lunedì a giovedì avevamo mantenuto l’orario mezzanotte-tre, invece la domenica andavamo in diretta dalle dieci all’una, ed era bello trasmettere domenica sera perché il posticipo di serie A finiva poco dopo l’inizio di Night Mood e in linea ci capitavano sempre molti tifosi. Io non seguivo il calcio però mi piaceva parlare con ragazzi che gioivano o si disperavano per la loro squadra del cuore. A me sembrava tutto così assurdo visto che nella mia vita io e il calcio non c’eravamo mai incontrati, ma ricordo tifosi che piangevano dalla gioia così come alcuni che urlavano dalla rabbia. Fino a quando si riusciva a fare una chiaccherata decente li tenevamo in onda, dopo appendevamo il telefono senza tante scuse. Alcuni perdevano le staffe per quello che era successo in campo e diventavano veramente ingestibili. C’erano ascoltatori di ogni genere, e il bello di trasmettere a quell’ora era la libertà degli argomenti e la possibilità di lasciarsi andare di più rispetto al giorno. Spesso ci chiamavano quelli che avevano appena finito di fare l'amore con la ragazza e stavano tornando a casa dopo averla riaccompagnata, alcuni erano ancora eccitati, altri sembravano aver raggiunto la pace dei sensi. Era bello parlare con tutti quelli che avevano voglia di dare libero sfogo alle proprie idee.
Prima di iniziare questa mia nuova esperienza non avevo mai pensato che in radio fosse divertente fare qualcosa di diverso dalla trasmissione musicale che avevo sempre fatto, e invece in questa nuova veste mi ci trovavo proprio bene. Era bello confrontarsi con i propri ascoltatori ed era bello scoprire chi, e perché, ci ascoltava. Molti erano diventati dei fedeli di Night Mood, e anche se non c’eravamo mai visti mi sembravano amici di sempre. La notte regalava quell’atmosfera intima che mi permetteva di parlare con queste persone come se io fossi il loro fratello più grande, perché si confidavano con me, piangevano o condividevano momenti felici, parlavano dell’amante o dei problemi con la moglie, si sfogavano perché le cose al lavoro, o nella loro vita, non andavano troppo bene e io li stavo ad ascoltare senza poi giudicarli. Mi limitavo a dire loro quello che pensavo senza aver la presunzione d’essere un giudice nei loro confronti. Li ascoltavo e gli davo spazio su Radio Sound e loro, dopo i primi secondi d’emozione per la diretta, si lasciavano andare e spesso dovevo interromperli per seguire i ritmi radiofonici fatti di parlati e canzoni. Fosse stato per me li avrei lasciati parlare molti più minuti perché, più si andava avanti con il discorso e più la chiaccherata si faceva interessante. Sergio più volte mi aveva detto di fare al massimo cinque minuti di intervento e di ritenermi fortunato perché di giorno non si poteva superare la soglia del minuto e mezzo. Ogni tanto sforavo anche i sette minuti ma nessuno si era mai lamentato. C’era molto rispetto da parte mia nei confronti di Sergio e da parte sua nei miei confronti. Non eravamo i migliori amici però ognuno rispettava il lavoro altrui. Io portavo ascolti e lui mandava avanti l’emittente. Tra una chiacchierata e l’altra mettevamo musica scelta da me e sco e che potesse suonare bene durante le ore notturne. Non seguivamo le mode musicali del momento. Ce ne fottevamo e
continuavamo a mettere i pezzi che ci piacevano di più. Spesso non erano hit che tutti avano, ma rarità che io cercavo durante il giorno e che Antonio mi suggeriva. Sergio aveva da subito lasciato carta bianca per la musica perché sapeva che si poteva fidare di me. In questi due anni la mia vita era cambiata molto, vivevo di notte e dormivo di giorno, non vedevo mai l’alba se non quando stavo sveglio dopo la trasmissione. Di solito, dopo la diretta, io e sco andavamo a bere e mangiare qualche panino in giro per Milano e senza mai andare a letto prima delle cinque, e di conseguenza senza svegliarsi mai prima di mezzogiorno. Una volta sveglio facevo colazione, poi una doccia per capire chi ero e per rimettermi un attimo in sesto prima d’affrontare una nuova giornata. Appena prima di cena andavo in radio per fare la scaletta e prepararmi alla diretta. Avevo cambiato casa andando più vicino alla radio, ed era già la terza casa che cambiavo a Milano. Questa era un po’ più piccola ma molto più graziosa. Per il trasloco mi aiutò Sergio con la sua macchina visto che io non l’avevo mai comprata e avevo sempre la mia vespa con la quale mi divertivo a girare la città. Per la casa nuova avevo comprato uno stereo molto moderno, con il giradischi e il lettore cd. Ne avevo pochi in casa anche se iniziavano a prendere sempre più piede e a diffondersi più facilmente rispetto al 33 giri. Erano più piccoli, ci stavano più canzoni e poi erano tutte su un lato. Diciamo che mentre facevo l’amore non avevo il problema di interrompermi per cambiare lato del disco come accadeva con il vinile. Avevo messo le casse in ogni stanza così da non tenere un volume assurdo per
sentire la musica anche sotto la doccia. Il tragitto radio casa era meno di venti minuti di camminata, o cinque di metropolitana, ma andavo quasi sempre a piedi per fare due i e cercare di organizzare le idee prima della diretta. Mi piaceva camminare tra la gente e vedere le loro facce stanche dopo svariate ore di lavoro, mentre io me la ridevo sotto i baffi perché a quell’ora non avevo ancora fatto un cazzo e avevo proprio l’aria serena e rilassata. Arrivavo in radio verso le sei e trovavo sempre Laura, la voce del pomeriggio di Radio Sound. Non era una figa esagerata però sapeva il fatto suo, e soprattutto sapeva farsi piacere. Per quasi un anno non abbiamo mai parlato e le nostre conversazioni finivano sul nascere dopo il più banale dei saluti. Io la guardavo immaginandomela a gambe aperte nel mio letto senza pensare che quello era il preludio di ciò che sarebbe successo più avanti. Un giorno arrivai in radio e lei fu più gentile del solito, anzi fu la prima volta che mi rivolse la parola. - Ciao Luke tutto bene? - Ciao... Mi limitai a dire un ciao stranito perché mai e poi mai mi sarei immaginato una conversazione con lei. Nei miei sogni più volte avevo fatto un faccia a faccia con la sua patata ma nella realtà non era mai accaduto. - Ciao Laura...si tutto bene, te? Hai finito la diretta? Il suo sguardo era molto ammiccante e provocatorio e non lasciava spazio ai fraintendimenti.
- Sì, finita da poco. Sono sempre esausta dopo due ore di trasmissione e avrei bisogno di un bel massaggino alle spalle per rilassarmi un pochino. Saresti capace di farmelo? - Non saprei però potrei provarci. Ma vuoi che te lo faccio qui? - No non possiamo qui davanti a tutti, rischieremmo il licenziamento. - Posso invitarti a casa mia, ma io finisco troppo tardi e mi sa che a quell’ora tu stai già dormendo. - Infatti, e poi il massaggio io lo voglio adesso. Seguimi. La seguii fino al piano di sotto, quello dove c’erano gli archivi con i dischi e un sacco di documenti cartacei. Non sapevo dell’esistenza di un bagno dietro ad alcune file di scaffali e penso che la maggior parte della gente che c’era in radio non ne fosse a conoscenza. Entrammo e lei chiuse la porta. Ero già barzotto perché i miei pensieri erano volati al momento in cui le sfilavo le mutande e le mostravo tutta la mia virilità. Lei si slacciò leggermente la camicetta, la fece scendere appena appena per scoprire le spalle e mi disse di iniziare il massaggio. - Mi piacerebbe che mi massaggiassi le spalle per poi scendere fino a metà schiena...e se vuoi mi sfilo il reggiseno così le spalline non ti danno fastidio. Parlava con una voce molto sexy, con un ritmo lento e arrapante. Iniziai a massaggiarle le spalle senza distogliere i miei occhi dal suo culo. Aveva un paio di pantaloni che esaltavano il suo fisico da sportiva. Il viso non era bellissimo, però nel complesso era una quarantaduenne degna di nota. E poi il solo pensiero che lei fosse più grande mi faceva pulsare quello che avevo di vivo nelle mutande. Continuai a massaggiarla sulle spalle muovendo la mani in maniera circolare,
andando dall’esterno verso il centro per poi toccarle la parte del collo che va verso la testa. E' una zona sensibile, e in alcuni momenti sembrava stesse godendo. Continuammo così per una decina di minuti e io non mi preoccupavo se sco mi stava aspettando per la scaletta. Ero impegnato in altre faccende ben più divertenti che non sfogliare un bel po’ di dischi per trovare i pezzi giusti. Ad un certo punto inarcò la schiena e appoggiò il suo culo al mio uccello. Iniziammo a simulare i movimenti dell’atto sessuale fino a quando lei si girò dicendomi: “So che non vedevi l’ora di tirarmi giù i pantaloni e di farmi sentire quanto sei maschio”. - Hai ragione, molto spesso ho sognato questo momento e adesso me lo voglio godere tutto. - Fai godere anche me. Iniziai a toccarla da dietro mettendole le mani sulle tette. Prima sopra il reggiseno e poi, una volta slacciato del tutto, direttamente sui capezzoli turgidi che stimolavo con l’indice e con il pollice. Il suo culo continuava un dolce e rotatorio movimento che mi faceva battere il cuore proprio nel punto più duro del mio corpo. Pian piano la accarezzai, prima sulla schiena e poi sul ventre per scendere verso il paradiso. La toccai sopra i vestiti e dolcemente iniziai ad infilare le mie mani sotto i jeans. Le slacciai il bottone, le abbassai la cerniera e la mia mano era sulle sue mutandine. Feci scendere i suoi pantaloni notando un perizoma che mi lasciava ammirare quel suo bel culo marmoreo e solido. I jeans le scesero fino alle caviglie e lei aveva tutta l’intenzione di lasciarli lì durante l’amplesso. Da dietro feci are il mio dito sul bordo delle mutande arrivando fino alla sua
patata che iniziava ad essere un po’ bagnata. Arrivai davanti e la stimolai con le dita mentre la baciavo sul collo, o sulla bocca solo quando lei decideva di girare appena appena il viso verso di me per accogliere tra le sue labbra la punta della mia lingua. Mi slacciai i pantaloni facendoli cadere per terra e sfilai subito le mutande. Lei non giocò con il mio pisello e continuai a stimolarla con le dita penetrandola leggermente. Senza toglierle le mutandine finalmente la penetrai non più con le dita e lei fece un gemito di piacere che mi provocò una scossa che partì dai piedi e arrivò fino a i capelli. Allargò le mani sulla porta, inarcò ancora di più la schiena e si mise nella posizione migliore per accogliermi dentro di lei. Non si girò mai durante l’amplesso e, ogni tanto, le mettevo le dita in bocca, le accarezzavo i seni o la stimolavo sul clitoride. Venni praticamente sulla porta del bagno e quella scopata fu il riassunto di tanti sogni e di tante seghe che mi ero fatto immaginandomi con lei. E dal vivo era pure meglio di come l’avevo pensata. Era stata proprio una bella scopata. Mi appoggiai al lavandino freddo e provai una sensazione strana appena le mie chiappe vennero a contatto con la ceramica. La guardai rivestirsi. - Avevi immaginato di scoparmi nel bagno della radio o comodamente in casa tua? - Forse più in casa mia però mi è piaciuto anche qui. - Devo dire che come massaggio non è stato niente male. Dovrai provvedere più spesso perché ogni giorno dopo la puntata sento questi dolori alla schiena e non so proprio come fare.
- Non preoccuparti, penso non sia un problema perché amo fare i massaggi e come hai visto mi piace farli con le dita e non solo. - Allora ti aspetto caro Luke. - A domani. - Ciao. Se ne andò, e solo in quel momento realizzai che c’erano stati pochissimi baci, giusto qualcosa con la lingua ma niente di che. Mi pulii, pulii la porta del bagno e andai di sopra per fare la scaletta. Avevo quasi un’ora di ritardo ma non dovevo certo timbrare come in fabbrica, quindi qualsiasi scusa poteva andar bene. - Ciao Fra sono in ritardo perché ero stanco e ho dormito un po’ di più. - Non fa niente Gianluca, magari la prossima volta avvisami così mi organizzo. Si vede dalla faccia che sei stanco...stai bene? - Si grazie, tutto bene. E' solo che ho un po’ di sonno ma tra poco mi riprendo. Beviamo un caffè prima di iniziare la scaletta così mi sveglio. Ero confuso perché avevo addosso il suo profumo e la voglia di scoparla di nuovo. Presi il caffè e mi buttai a capofitto nella puntata lavorando con sco. Poco prima della diretta pensai ancora a Laura, alle sue tette, al suo culo, e ciò mi fece fare un gran sorriso perché capii che da oggi sarebbe iniziata una bella storia di sesso. - Gianluca due minuti e sei in onda, sei pronto? - Quando vuoi. E così iniziò un’altra puntata della mia vita che era paragonabile ad una nuova puntata di Night Mood.
E' una giornata di festa.
Ciao caro Diario, è una giornata di festa e quindi faccio tutto con calma. Non che di solito io debba correre visto che ho smesso di lavorare, però oggi mi allineo con il mondo e mi prendo una giornata di pausa dalla mia solita vita. Mi sono svegliato e come prima cosa sono andato in bagno a fare la pipì. Che liberazione. E' una sensazione strana e piacevole. Per tutta la notte la tua vescica è piena, e finalmente quando ti svegli vai dritto in bagno per liberarti. Da quel momento in poi la giornata può iniziare tranquillamente. Ogni mattina, prima di fare qualsiasi cosa, metto un disco per rilassarmi mentre faccio colazione. Oggi ho scelto Innervisions di Stevie Wonder. E' un disco del 1973 e lo ascolto ancora da vinile. Ci sono pezzi molto funk come Higher Ground o Living for the city, però la grandezza di Stevie Wonder è quella di mettere sullo stesso disco anche ballad come All in love is fair e Golden Lady. Poi c’è Too High che tradotto letterlamente significa “troppo alto”, ma in realtà è un gergo che si usa quando uno fa abuso di droghe e si trova in quella situazione in cui non riesce più a controllarsi. “ I’m too high I’m too high but I ain’t touched the sky” Una volta ho portato questo disco a casa di un mio amico per ascoltarlo come sottofondo durante la cena e lui mi disse che non aveva mai sentito un pezzo di
Stevie. Lo conosceva di nome...e grazie al cazzo mi verrebbe da dire...però non sapeva dirmi nemmeno un suo pezzo. Con molta nonchalance, dopo un po’ che lo stavamo ascoltando, mi disse che in fondo questo Stevie Wonder non era poi così male. Io sono rimasto basito perché ci può stare che non conosci un mostro sacro come lui, ma non puoi dirmi che in fondo non è poi così male. Sembra un giudizio che si dà ai cantanti dei reality. Forse loro possono essere giudicati in quel modo. Stevie Wonder deve essere messo nell’olimpo dei cantanti che hanno fatto la storia della musica. Per fortuna che ho smesso di prendermela per affermazioni simili, al contrario di quando ero giovane che andavo su tutte le furie e sarei stato capace di prendermi il disco e andarmene a casa, o al bar, a bere una birretta per dimenticare simili stronzate. Oggi pomeriggio vado in centro a fare una eggiata, e trovo sempre curioso vedere come cambia la città e come cambiano le persone durante queste festività. Le loro facce sono più rilassate, nessuno va di fretta, non tengono lo sguardo per terra, si guardano attorno e magari notano particolari che sono sotto i lori occhi ogni giorno ma, per la frenesia della loro vita, non riescono a notare. Le coppie camminano abbracciate, e questa cosa mi fa veramente ridere perché sono sposati da anni e il massimo del loro piacere è abbracciarsi il sabato pomeriggio per camminare in centro. Se va bene scopano una volta al mese, o i più fortunati due volte al mese, e per il resto del tempo la moglie è come un oggetto sempre presente in casa. Il marito sa che lei c’è, che lei cucina, che lei pulisce e manda avanti casa e famiglia. Lui esce al mattino, pensa al lavoro e quando rientra la sera parla con lei dei suoi problemi del lavoro, mangia quello che lei ha cucinato e poi si siede sul divano a guardare la televisione perché è stanco e non ha voglia di fare niente.
Questo è un po’ il riassunto della vita matrimoniale della maggior parte delle persone. Lui però si sdebita il sabato pomeriggio portandola in centro...o quindici giorni ad agosto portandola in vacanza facendola sentire una signora. Per tutto il resto dell’anno la considera quasi una palla al piede. A questo punto mi chiedo: Perché le persone si fidanzano o si sposano? Sono molto entusiaste all’inizio, ma poi questo entusiasmo si trasforma in routine e tutta la loro ione svanisce, fanno l’amore come due robot, senza sentimento ma solo per il gesto animalesco di fare l’amore. Lui sopra, se ha voglia, lei sotto a fingere orgasmi gemendo con versi improbabili che fanno sentire l’uomo un vero maschio perché la sta penetrando con tutta la sua voglia. Peccato che spesso la donna finge e non vede l’ora che lui si levi dai coglioni. Il solo pensiero mi fa molta tristezza e penso che le donne meritino molto di più, almeno d’esser trattate come donne, non come mogli o mamme. C’è sempre un’etichetta che ci viene associata nella vita. Prima figlio, poi fidanzato, marito, padre e nonno. Questa è la classica escalation e nessuno pensa che sotto a quelle vesti c’è sempre una persona. La donna è una donna prima ancora d’essere mamma, moglie o qualsiasi altra cosa. E' donna e tale deve rimanere, e tutti gli uomini hanno il dovere di comprendere questa cosa per far sentire le proprie amate, ogni giorno che a, le persone più importanti della loro vita. Trovo normale che l’enfasi iniziale pian piano svanisca, però trovo assurdo che il suo posto venga rimpiazzato da una routine che non lascia spazio ai sentimenti. Io non lo accetto e forse per questo vivo da solo alla mia età. Ogni volta che affronto questo argomento con i miei amici loro pensano che io
sia una persona molto triste, solitaria, malinconica e non capiscono che non è così. Cerco di spiegare che amare la moglie non significa are ore al bar e rientrare solo per pranzo o cena, andare la domenica a messa con lei o accompagnarla alle varie visite mediche e lasciarla a casa appena queste sono finite così da recuperare il tempo perso stando seduti su una cazzo di sedia. Mi rispondono che io non capisco perché non sono fidanzato, ma sinceramente sono proprio contento di non capire il loro punto di vista. Scusami per lo sfogo caro diario ma è un argomento sul quale ho discusso molto e ancora non mi do pace. Vado a mangiare. Buon appetito. Gianluca.
Laura
Erano già parecchi mesi, forse sei o sette, che la storia con Laura continuava ogni giorno dopo la fine della sua trasmissione. Andavo in radio, e quando stavo per arrivare iniziava a diventarmi duro al solo pensiero. Entravo, scendevo in bagno, e lei sistematicamente arrivava dopo qualche minuto. Scopavamo, e poi ognuno per la sua strada. Non c’era colloquio, non c’era ione e spesso non ci baciavamo nemmeno. Un po’ mi dispiaceva perché lei mi interessava e avrei voluto parlarle mettendoci un po’ di sentimento. Invece nulla, solo sesso. Giù i pantaloni e via. Si scopava praticamente solo nel bagno della radio, tranne una volta che l’abbiamo fatto a casa mia. Mi ricordo la sera che lei mi aspettò fuori dalla portineria, un po’ nascosta per non farsi notare da sco, e appena girai l’angolo mi seguì prendendomi un braccio. Mi spaventai perché alle tre del mattino di solito la città era deserta. - Che cazzo fai? - le dissi con tono spaventato. - Scusa, pensavo di farti una sorpresa visto che oggi non ci siamo visti. - Si ma mi hai fatto prendere un colpo. - Se ti spavento vado a casa. - No, è che mi ha spaventato parecchio perché non è normale che a quest’ora
qualcuno ti afferri il braccio come se nulla fosse. A proposito, come mai oggi non eri in radio? - Non potevo fermarmi, avevo delle commissioni e sono dovuta andar via subito. Ti è dispiaciuto? Ti sono mancata? - Certo, che domande del cazzo. Ormai mi hai abituato troppo bene e faccio fatica a rinunciare. Non vedo l’ora di arrivare in radio per andare di sotto con te. In quel momento la presi e la baciai. Lei rimase immobile perché non si aspettava un gesto simile però dopo qualche secondo si sciolse e iniziò anche lei a baciarmi apionatamente, facendo scorrere le sua mani su e giù dai miei fianchi. Aveva la schiena appoggiata al muro e avrei voluto scoparla lì, sul marciapiede, con il rischio che qualcuno potesse vederci. - Andiamo da te? - mi disse con la voce interrotta dall’eccitazione. - Dobbiamo camminare una ventina di minuti. Pensi di resistere o le tue voglie le soddisfiamo in un angolo buio di Milano? - No, voglio farlo comodamente nel tuo letto. Ci incamminammo verso casa mia e penso che non impiegai mai così poco tempo per fare il tragitto radio - casa. Una volta entrati nel portone principale iniziammo a baciarci di nuovo. Non era mai capitata una scopata con Laura preceduta da così tanta ione visto che di solito ci davamo qualche bacino di circostanza ed ero dentro di lei dopo pochi minuti. Salimmo il pianerottolo di scale che portava al mio portone senza mai staccare le labbra dalle rispettive bocche. Aprii la porta continuando a baciarla e appena entrati in casa ci togliemmo buona parte dei vestiti.
Rimasi a petto nudo con i jeans e lei con la gonna e il reggiseno. -Voglio godermi questo momento e fare tutto con calma. Non siamo in radio...qui abbiamo tutto il tempo che vogliamo - le sussurai all’orecchio mentre con le mani le accarezzavo il culo da sopra la gonna. Era tonico e rotondo, quasi perfetto. - Anch’io voglio finalmente are più tempo con te. Devi farmi sentire donna, non solamente la ragazza che ti scopi ogni pomeriggio in un fottuto bagno di un seminterrato. La sua frase mi lasciò basito perché sembrava che io la stessi usando per i miei scopi anche se, in principio, era stata lei ad iniziare questo gioco. A me sarebbe andato bene vederla anche alla luce del giorno, ma lei insisteva dicendo che nessuno in radio doveva sapere nulla se no avremmo rischiato il posto di lavoro. Non capivo il perché, però per me non era solo sesso tanto che mi prendeva anche mentalmente e avrei voluto frequentarla così come si frequentano un maschio ed una femmina con chiare intenzioni diverse dall’amicizia. - Mi impegnerò al massimo per non farti sentire solo un oggetto sessuale, però per farlo ho bisogno della tua complicità. - Cosa intendi? - Intendo che voglio giocare a fare l’amore con te. Ci stai? - Spero di non pentirmi nel dirti di sì. - Fidati. Si fidò di me e ci divertimmo molto. Tornammo a baciarci con molta ione così come stavamo facendo fuori dalla porta e iniziai a stimolarla con le mani, dolcemente, senza soffermarmi troppo su un solo particolare del suo corpo. Giocai con i suoi capezzoli, con le sue labbra, con il suo clitoride e con ogni centimetro della sua pelle che meritava d’essere accarezzato. Le sfilai leggermente il reggiseno per vedere quei suoi bei capezzoli turgidi che
mi fissavano chiedendo d’essere stimolati in continuazione, e lo feci con le mani, con la lingua, leccandole un po’ il seno e un po’ la bocca. La sua pelle aveva un profumo che non avevo mai provato su nessun’altra donna. Era pulita e profumava di sesso. Mi piaceva annusarla, baciarla, accarezzarla e leccarla in ogni centimetro. Non pensavo che fare l’amore con lei fosse così bello. Ci sdraiammo sul tappeto e le alzai leggermente la gonna per metterle una mano sotto il perizoma. Mi piaceva sentire come cambiava il suo modo di baciarmi in base al piacere che le mie mani le provocavano. Quando il suo piacere aumentava la sua testa andava leggermente all’indietro, la sua lingua toccava la mia con delle piccole pause, si fermava, godeva, e poi riprendeva a baciarmi magari stringendomi più forte. La sentivo in tutti i sensi e mi inorgoglivo perché capivo che le faceva piacere. Ci alzammo dal tappeto e andammo in camera mia, la feci sedere e pian piano le sfilai la gonna. Era nuda con solo il perizoma, e quel vedo non vedo mi eccitava di più che vederla senza nessun indumento addosso. Iniziai a baciarle i piedi, poi le gambe, l’ombelico, i seni e infine la bocca. Ci baciammo a lungo facendo aderire i nostri due corpi e muovendoli in maniera sinuosa, eccitante e piacevole. - Aspettami che torno subito. Voglio farti fare una cosa che non hai mai fatto - le dissi con la mia fronte appoggiata alla sua e con le labbra che si sfioravano ad ogni parola. Andai in cucina, scaldai leggermente e velocemente un po’ di miele, nel frattempo misi qualche cubetto di ghiaccio in un bicchiere e tornai in camera da letto. - Cosa vuoi fare con il ghiaccio e il miele?
- Voglio darti un cubetto così lo tieni in bocca per raffreddare la lingua. Lo presi tra le dita e lo misi tra le sue labbra che si aprirono prendendo il ghiaccio. Mi guardò stranita. - Tienilo in bocca per qualche minuto, poi ti spiego. Ad un certo punto lei sputò il cubetto perché era troppo freddo e allora le misi il miele tiepido sulle labbra. La guardai e lei capì subito che doveva succhiarmelo per far sì che il contrasto tra le labbra tiepide e la lingua fredda mi avrebbe fatto impazzire. E così fu. Ogni tanto metteva un po’ di miele e teneva qualche secondo il cubetto in bocca, poi succhiava di nuovo e sentivo pulsare così tanto che nel mio uccello potevo contare i battiti del cuore talmente ce l’avevo duro. L’aiutavo nel movimento spingendole leggermente la testa da dietro la nuca, anche se devo dire che era proprio brava e mi avrebbe fatto impazzire anche senza questo mio giochino. Volle farmi venire a tutti i costi e ovviamente non mi tirai indietro. A questo punto toccava me giocare con lei e, una volta sdraiata sul letto, le sfilai il perizoma. Avevo ancora del ghiaccio quindi decisi di continuare a stimolarla con le mani, la lingua e il freddo. La sentivo gemere, ogni tanto mi stringeva i capelli tanto da tirarmeli, si dimenava, allargava e stringeva le gambe in maniera convulsa. Le piaceva tantissimo e non faceva nulla per nasconderlo. Andai avanti per un bel po’ fino che ad un certo punto sentii proprio il bisogno di penetrarla. Facemmo l’amore in maniera classica, lei sotto e io sopra.
Fu bellissimo, dolce, intenso e profondo. Venni baciandola e tenendole il viso con le mani in segno d’affetto. Continuai a baciarla anche dopo perché capii che non si limitava alla scopata. Mi sentivo bene e lei mi aveva fatto impazzire. Per la prima volta avevamo fatto l’amore e non l’avevo scopata nel bagno. Mi sdraiai al suo fianco e iniziò ad accarezzarmi il viso. - Grazie Gianluca...era quello che volevo fare con te. Speravo non fosse solo una cosa corporea e stasera mi hai fatto capire che avevi voglia di fare l’amore. Aveva una voce bellissima, molto sensuale e che poteva far eccitare chiunque anche leggendo la cronaca nera. La guardai senza rispondere, la fissai negli occhi e la baciai. Fu un lungo bacio e non mi sarei più fermato. Lei si staccò, si alzò e andò in bagno a lavarsi. Quando uscì ero ancora nella stessa posizione. La guardai, la presi per mano e la tirai verso di me. Lei si mise a ridere e iniziò a dirmi che era tardi e che doveva andare. - Perché te ne vai? Fermati a dormire da me. Domani non trasmetto, ci svegliamo con calma, facciamo colazione e poi quando vuoi vai in radio per la trasmissione. - Non posso perché non voglio che nessuno ci veda. Non si sa mai, è meglio che vada a casa adesso. Mi chiami un taxi? - No dai rimani.Magari domattina ci svegliamo e facciamo di nuovo l’amore, poi prendi un taxi così nessuno ti vede. E poi che palle con questa storia, chissenefrega se qualcuno ci vede, siamo adulti e non dobbiamo dare giustificazioni. Lei si girò di scatto e mi fulminò con lo sguardo. Non capii cosa dissi di sbagliato ma capii che lei non si sarebbe mai fermata da
me. - Mi chiami un taxi per piacere? - Ok. Il suo tono di voce cambiò e il suo sguardo fu molto più freddo, simile a quello della Laura che avevo sempre visto in radio. - E' stato molto bello, forse anche meglio di come lo immaginavo. Però non posso proprio fermarmi, cerca di capire. Non dissi niente perché tanto non capivo e non mi sforzai nemmeno di provare a capire. Andai in bagno a lavarmi e rivestirmi, poi aspettai il taxi con lei. Furono momenti imbarazzanti perché nessuno dei due parlava. La situazione era veramente assurda. Fino a qualche minuto prima eravamo padroni dei corpi altrui, adesso sembravamo dei perfetti estranei alla fermata del tram, e non mi capacitavo come fosse possibile questa freddezza e questa situazione in cui eravamo estranei l’uno all’altro. Per fortuna il taxi arrivò velocemente, lei mi baciò sulle labbra, mi ringraziò, io rimasi immobile e muto, la guardai salire sul taxi che si allontanò agli albori dell’alba milanese. Salii in casa e cercai di dormire, ma prendere sonno non fu per niente facile, così rimasi nel letto con gli occhi sbarrati, il suo profumo sulle labbra, sulle lenzuola e il ricordo di una notte d’amore tra le più belle della mia vita.
Oggi è una fantastica giornata.
Caro diario oggi è una fantastica giornata. C’è il sole, fa caldo e l’estate sembra che stia finalmente arrivando. La primavera è stata offuscata dal brutto tempo e adesso ho proprio voglia di sole, di aria aperta e di giornate lunghe. Speriamo che da oggi in poi possa andare al parco e scriverti le sensazioni che provo nel guardare la gente che vive la propria vita. Mi riposo sul divano ascoltando un disco che riproduce il suono del mare. E' rilassante e mi piace chiudere gli occhi e sognare. Ciao.
Relazioni finite
Erano le dodici di un venerdì qualsiasi. Anzi no, le dodici del venerdì dopo che avevo fatto l’amore con Laura. Mi svegliai un po’ frastornato cercando di capire perché lei non si fosse fermata a dormire e perché il suo tono e la sua espressione erano cambiate radicalmente dopo che si fosse rivestita. Sembrava un’altra persona. Non capivo. E più mi sforzavo di trovare una soluzione, più non la trovavo. Appena sveglio misi Dark Side of the Moon dei Pink Floyd per creare quell’atmosfera quasi mistica che poteva essere in qualche modo riflessiva. Feci la moka da tre, aprii la credenza per cercare i biscotti, la marmellata, le fette biscottate e mi lasciai andare sul divano seguendo la gravità che mi tirava verso il basso rimanendo immobile fino a quando il caffè fu pronto. Feci una bella colazione, abbondante, dolce e nutriente, sia per il fisico che per la mente. Finii di ascoltare il disco perché un capolavoro simile non lo si può interrompere a metà senza un valido motivo. Una volta finito feci una doccia e mi vestii per uscire a fare due i in centro. Andai in qualche negozio di dischi e poi mi infilai in libreria. Erano anni che volevo comprare Siddharta e appena lo vidi sullo scaffale non esitai a prenderlo visto che me ne avevano parlato molto bene. Uscii dal negozio e mi incamminai verso casa.
Erano le sei di sera, mi fermai in un bar a bere un paio di birre e quella era l’ora migliore perché la gente usciva dal lavoro, iniziava a festeggiare la serata e oggi, in particolare, l’inizio del weekend. Rimasi solo con i miei pensieri e le mie tre birre, dopodiché decisi di andare a cucinare qualcosa per cena. Arrivai a casa e misi sul fuoco l’acqua per la pasta e in un pentolino piccolo un po’ di sugo per non mangiarla, come sempre, con burro e salvia. Ero un po’ brillo per via delle tre birre medie ma ero contento del mio stato di euforia immotivata. Ascoltai Never Mind the Bollocks dei Sex Pistols per darmi un po’ di carica. Ballavo in maniera improponibile chiudendo gli occhi e barcollando da una parte all’altra della stanza. Mi vennero in mente gli ultimi attimi con Laura e lì per lì mi feci una risata pensando che era una povera cogliona. Appena l’effetto dell’alcol svanì leggermente subentrò la malinconia post alcolica, cioè quello stato d’animo che mi prendeva quando bevevo e l’euforia spariva. Mangiai la pasta al sugo senza troppa voglia e cambiai disco. Misi Hotel California degli Eagles e mi accomodai alle sonorità tranquille del disco. Ero giù di morale, ma allo stesso tempo incazzato con lei. Non mi aveva chiamato, era sparita nel nulla e continuavo ad alzare la cornetta per vedere se c’era la linea e assicurarmi che lei potesse chiamarmi. La linea c’era e la malinconia aumentava perché realizzavo, ogni ora che ava, che il suo distacco era voluto e non impedito da cause esterne. Non capivo. Ero seduto sul divano con lo sguardo perso nel vuoto, le orecchie che
ascoltavano il silenzio del disco che aveva finito di suonare e i pensieri che mi tormentavano e non mi lasciavano in pace. ai qualche minuto, forse ore, in quello stato inerte subendo ivamente la malinconia senza cercare di fare nulla per farmela are. Ad un certo punto squillò il telefono e feci un balzo dallo spavento rischiando di cadere per terra. Erano circa le undici e speravo fosse Laura per dirmi che stava per arrivare. Mi affrettai nel rispondere e con l’affanno pronunciai il piu speranzoso dei pronto che avessi mai pronunciato nella mia vita. - Pronto? - Gianluca, ciao sono sco...dormivi? In quel momento avrei potuto anche appendere perché la mia contentezza per lo squillo del telefono svanì all’istante. Rimasi un attimo in silenzio e poi con sconforto risposi. - No non dormivo. Ero sul divano e mi stavo rilassando. - Rilassando? Ma se non fai un cazzo dalla mattina alla sera...guarda che quelli che si rilassano sono quelli che lavorano veramente...tu sei già rilassato tutto il giorno, anzi sei nato rilassato. - Ma vaffanculo Fra, cosa vuoi? - Birretta? - Non ho voglia, mi sa che adesso mi ributto sul divano e dormo qui. - Dai non fare la merda. o a prenderti, andiamo in qualche locale a bere qualcosa e poi andiamo a ballare per cercare qualche ragazza. - No dai non stasera. - Tutto bene? Ti sento giù...è successo qualcosa?
- Tutto bene tranquillo. E' solo che non ho molta voglia di uscire. - E cosa prevede allora la tua serata? - Nulla. Sto qui, ascolto un po’ di dischi, leggo Siddharta e quando ho sonno dormo. - Che botta di vita, non sai come ti invidio. Dai cazzone o tra mezz’ora in moto e ti porto a vivere un po’ di pura vida. - No Fra, non ho voglia. - Mezz’ora e sono li. Muovi il culo, fai la doccia e profumati come una puttana. A dopo. - No... Non feci in tempo a dire di nuovo no che lui aveva appeso. Non avevo scelta, mi toccava cambiarmi e uscire. Forse era la cosa migliore perché tanto non avrei letto nemmeno una riga e sarei rimasto sveglio fino a notte fonda tormentandomi con pensieri inutili. Se Laura avesse voluto chiamarmi l'avrebbe già fatto. Intanto non potevo vivere la mia vita aspettando lei, quindi che pura vida sia. Suonò il camlo. - Chi è? - Sono io, chi vuoi che sia a mezzanotte? Dai scendi, non spengo nemmeno la moto. - Arrivo. Andammo un po’ in giro per Milano per vedere quali locali erano pieni e quali no, e usare la moto in queste situazioni era l’ideale perché non avevamo problemi di parcheggio e potevamo fermarci velocemente per capire se il locale era carino o se era meglio scegliere qualcosa d’altro.
Arrivammo in zona navigli e c’era l’imbarazzo della scelta. Un bar attaccato all’altro e gente che entrava e usciva come fosse una processione. Parcheggiammo la moto in un posto abbastanza sicuro e iniziammo il giro di birre nei vari locali. A noi non piaceva fermarci troppo in un posto. Prendevamo una birra in un bar, poi un’altra in un altro e la serata proseguiva spostandoci da un locale all’altro senza troppa cognizione di causa. Dopo quattro o cinque locali non eravamo in grado di intendere e volere e andavamo dove ci portava la sbronza. Capitava di trovarci in discoteca, in un bar, o stesi sul marciapiede che tanto per la nostra situazione mentale e fisica poco cambiava. Eravamo in giro, vivi e contenti, e questo era ciò che ci piaceva. Eravamo felici. - Allora cosa c’è che non va? Problemi in radio? - No ma figurati, lì va tutto bene. - Problemi di soldi? - No assolutamente. - Salute? - No. - E mi diedi una bella ravanata ai coglioni. - Allora dimmi che problema hai. Non ti sarai mica innamorato? - Ma figurati, sei scemo? Ovvio che no. Non potevo dire a sco che ero stato a letto con Laura perché nessuno sapeva della nostra storia e lei mi aveva raccomandato di tenere la bocca chiusa. Anche se avrei voluto parlarne con lui non potevo perché non le volevo mancare
di rispetto. - Sono solo un po’ giù perché mi sembra sempre che mi manchi qualcosa. - In che senso? Hai tutto nella vita, e soprattutto fai il lavoro dei tuoi sogni. - Lo so, però ogni tanto mi sembra che la mia vita sia incompleta. Non so se riesco a spiegarmi. - No, non ti spieghi. Mi sembrano capricci inutili, specialmente da un ragazzo come te che è sempre positivo. Pensa a quelli della tua età che lavorano tutto il giorno, si spaccano il culo, odiano il loro titolare, non guadagnano molti soldi e vivono ancora con i genitori o con una moglie rompicoglioni. Tu sei libero, felice, non lavori, guadagni, scopi e ti diverti. Hai bisogno altro? - Hai ragione però oggi va così, non ci posso far niente e ogni tanto mi capitano dei momenti di sconforto. Posso avere anch’io un po’ di malinconia? - Certo puoi avere quello che vuoi, puoi anche deprimerti ma sappi che se ti comporti così sei solo un viziato del cazzo. - Sarò un viziato del cazzo allora. - No non ti permetto di fare l’offeso e se ti dico questo è solo perché sei un grande amico e ti voglio bene. Non mi va di vederti giù e conoscendoti un po’ so che hai un motivo ma non me lo vuoi dire. Non sei il tipo che si abbatte inutilmente e di solito con un buon disco torni a sorridere però se questo non basta vuol dire che ti è successo qualcosa. Mi spiace che tu non ne voglia parlare però rispetto la tua idea. sco aveva azzeccato in pieno il problema e mi stupii nel sentirlo parlare con così tanta decisione. Avrei voluto parlargli ma non potevo sapendo che avrei fatto solo casini in radio rischiando anche qualche cazziatone da Sergio. Non era il caso perché a Radio Sound mi trovavo bene e non volevo cambiare. Avevo la mia dimensione e negli anni c’eravamo creati un nome. Night Mood funzionava in tutto, nella musica, nei parlati, nelle telefonate e io e Fra ci impegnavamo molto per ottenere ottimi risultati e per adesso avevamo
parecchie soddisfazioni. - In effetti hai ragione, c’è un motivo ma non ne posso parlare. Vorrei, credimi, però non posso. - Non è un problema. Gli amici servono per sfogarsi, distrarsi e non pensare ai turbamenti che la vita ci reca quotidianamente. Beviamoci sopra. Brindammo all’amicizia. Bevvi la birra in un sorso, ne ordinai altre due e gli dissi: “Posso solo dirti che è per colpa di una ragazza”. Lui scoppiò a ridere e io non capii. - Che cazzo ridi stronzo. - Rido perché non ti ho mai visto così per una ragazza. Il grande Luke on the night si è fatto fottere da una puttanella. - Non è una puttanella coglione, è una ragazza, anzi donna. Mi piace e da un momento all’atro è sparita senza motivazione. Mi spieghi perché si comportano così?Ci sono andato a letto e poi nulla. Io non le capisco e ogni volta che mi capita sbatto la testa contro il muro per capire se sono io che sbaglio o loro che se ne fottono. - Non farti seghe mentali, è andata così e basta. Goditi la serata e se capita l’occasione con qualcuna non fartela sfuggire perché stai pensando a quella. - No tranquillo. Anche se non ero per niente convinto della mia risposta. - Ma non ti sarai mica innamorato? - Non sono innamorato, è che questa mi ha preso più delle altre. E' donna capisci? Cazzo...intendo donna nel senso che emana essenza femminile da ogni poro, profuma di sesso già dai capelli. Li annusi e ce l’hai subito duro. La tocchi e capisci che è una bomba che sta per esplodere perché ti sa prendere sotto ogni aspetto, e non intendo solo quello sessuale. Basta fare l’amore con lei una volta e
capisci che poche altre donne hanno questo potere visto che sa farti godere sia mentalmente che fisicamente, ti riempie d’emozioni e quando se ne va porta via un pezzo del tuo cuore. Ho voglia di rivederla, di baciarla, di giocare al gioco dell’amore divertendomi e godendo con lei, però sono sicuro che non ci sarà nessun’altra occasione. Abbiamo scopato tanto, ma solo una volta abbiamo fatto l’amore. E quella volta è bastata per capire che difficilmente mi capiterà di nuovo una così. - Ma chi è questa donna? E' vera? Voglio conoscerla. - Non posso dirti chi è e ti ho già detto troppo. Nel frattempo arrivarono le due birre. - Brindiamo a colei che ti ha fatto vivere queste emozioni così intense. - A lei. - A lei. E anche questa birra andò giù come un bicchier d’acqua. Cambiammo locale parlando del più e del meno continuando a bere e perdendo sempre di più la lucidità. Erano le due del mattino e finimmo in un posto con musica altissima e gente strafatta. Noi eravamo ubriachi e le vibrazioni delle casse bastavano per farci andare da una parte all’altra del locale. Sicuramente non potevamo tornare a casa in moto, dovevamo chiamare un taxi e sco si sarebbe fermato a dormire da me come spesso accadeva quando facevamo serata insieme e lui non riusciva più a guidare. Aveva lasciato a casa mia dei vestiti, lo spazzolino e delle salviette giusto per l’evenienza. Un po’ come fa la fidanzata quando muove i primi i verso casa del fidanzato. Mi misi in un angolo del locale, un po’ rincoglionito dalla musica e molto dalla birra.
Non so quanto avevo bevuto però la mia serata era iniziata verso le sei di sera con le tre birrette d’aperitivo e adesso ero stanco, provato e avevo voglia di tornare a casa. Non vedevo nemmeno più sco. Ad un certo punto arrivò da me abbracciato ad una ragazza e mi disse che lui andava a casa sua. - Non puoi guidare in queste condizioni. Chiama un taxi. - Non c’è problema, andiamo con la sua macchina. - Stai attento, non fare cazzate. - Non preoccuparti. Vai in mezzo alla pista e trova qualcuna con cui divertirti, non pensare alla tua donna. Divertiti e sappi che ognuna di loro in mezzo alle gambe ha la stessa cosa di quella che ti ha fatto perdere la testa. Mi diede una strizzata forte alle palle e scoppiammo a ridere entrambi. Lui se ne andò e io rimasi solo in mezzo a tutta quella gente. Decisi di tornare a casa a piedi tanto abitavo a quaranta minuti circa e non mi spaventava l’idea di fare due i, anzi, potevano anche farmi bene visto il mio stato di ubriachezza.
Questa mattina ho ricevuto un messaggio.
Caro diario questa mattina ho ricevuto un messaggio da una mia amica che diceva: la tua normalità è follia altrui. E' stato bello leggere queste parole e mi ci sono rivisto al cento per cento. Ho pensato a quanto lei mi avesse scritto e sul perché avesse deciso di dire ciò, e sono giunto alla conclusione che nella mia vita non mi sono mai posto limiti così da rendere, quasi qualsiasi cosa, normale e non eccezionale. Sto ascoltando Boys and Girls, il disco di debutto degli Alabama Shakes. Che potenza, non nel senso che è un disco con musica potente, nel senso che la cantante, Brittany Howard, ha molta potenza vocale. Ha del soul nelle sue corde e i musicisti la seguono regalando atmosfere incredibili. Sono contento che ci siano ancora band come loro che con l’album di debutto riescono a lasciare milioni di persone a bocca aperta. L’altro giorno cercavo un po’ di live degli Alabama Shakes e ho scoperto una versione di “You ain’t alone” che mette i brividi, nella quale la voce della cantante è perfetta e le note della tastiera e della chitarra l' accompagnano magistralmente. Spero di sentire spesso dei loro pezzi in radio nella speranza che facciano una grande carriera. Tornando a noi, e tornando al messaggio, devo ammettere che difficilmente mi sono posto dei limiti e se l’ho fatto era solo per spronarmi a raggiungerli e poi superarli. Spesso sono le persone a pensare che qualcosa sia impossibile solo perché sono arrendevoli, non ci provano rinunciando in partenza e pensando che è meglio criticare invece di agire. Se non si riesce a fare una cosa è sempre molto facile
dare la colpa agli altri e trovare mille scuse pur di non ammettere le proprie responsabilità. Spesso non ci si prova nemmeno, e questo atteggiamento rende le persone in grado di giudicare tutti quelli che hanno dei sogni, e forse in modo invano provano a realizzarli. C’è un famoso detto che dice che, al lunedì mattina al bar sono tutti i migliori allenatori di calcio. In effetti non c’è cosa più veritiera. Ognuno ha la sua idea e la vuole imporre a tutti come se fosse quella giusta. L’allenatore ha sbagliato formazione, ha sbagliato sostituzioni, ha sbagliato modulo o chissà quante altre cose, poi ognuno va a fare il proprio lavoro, chi operaio, chi banchiere, chi impiegato, chi meccanico, però hanno tutti la convinzione di sapere sempre qualcosa in più degli altri. E intanto l’allenatore torna al campo sapendo che alla fine è sempre lui che decide. Non mi sono mai posto limiti perché sono sempre stato convinto delle mie capacità. Spesso mi hanno accusato di mancanza d’umiltà, invece ho sempre pensato che se mi ritenessi in grado di realizzare quella determinata cosa allora avei dovuto provarci, a costo di dire agli altri e a me stesso che ce la potevo fare. Ogni mio obiettivo raggiunto è stato il punto di partenza per quello successivo. Non mi sono mai fermato, non ho mai aspettato che le cose accadessero da sole e ho sempre fatto di tutto per incontrarle a metà strada. Non mi son mai pianto addosso e se non riuscivo a raggiungere il mio scopo entrando dalla porta principale, cercavo di arrivarci da quella laterale per poi fare l’ingresso in maniera trionfale. Nessuno mi ha mai regalato niente e mi incazzo tutt’oggi quando mi dicono che ho avuto una vita privilegiata. Non lo nego, è stato proprio così, ma questi privilegi me li sono cercati e guadagnati. Può darsi che abbia avuto fortuna, ma ciò non toglie che la perseveranza e la determinazione abbiano fatto si che io sia
riuscito a realizzare la maggior parte delle cose che volessi fare. Chi rinuncia in partenza è semplicemente un perdente. Chi trova più facile criticare gli altri rinunciando a provare mettendosi in gioco in prima persona, è un fallito. Da giovane me la prendevo parecchio, ora rispondo solo se necessario e se capisco che la discussione non sfocia in baracconate paesane. Penso che se mai dovessi tenere delle lezioni all’università parlerei proprio di questo. Non ponetevi limiti perché è solo una vostra condizione mentale. Abbiate la forza, la volontà, la perseveranza di continuare sulla strada che voi ritenete giusta e se vi doveste accorgere che non lo è, siate intelligenti da cambiar rotta per non sprecare altro tempo. Che poi comunque non si tratta di tempo sprecato perché ogni esperienza di vita, positiva o negativa, insegna qualcosa e non c’è insegnamento migliore della vita vissuta. Non c’è libro, insegnante, scuola o università che possano insegnarvi come stare al mondo. Penso che un viaggio affrontato da solo con il proprio zaino possa insegnare molto di più rispetto ad anni ati sui libri o ad ascoltare noiosi professori. Direi queste parole ai giovani laureandi di fronte a me. Non ho mai avuto l’occasione di parlare con loro e mi sarebbe piaciuto interagire con le loro speranze di vita. Sarei stato molto curioso, specialmente in un periodo così difficile per il nostro paese, di capire cosa li porta ad avere tutta questa forza e questa energia per continuare a lottare. Sono sicuro che ogni tanto anche a loro farebbe bene spezzare la routine delle lezioni classiche e intraprendere dialoghi costruttivi. Quando fai una bella conversazione e poi esci con i tuoi amici o con la fidanzata, hai molti argomenti da trattare, bevi una birra e sai di cosa parlare. Se invece fai sempre le stesse cose ti annoi molto facilmente e spesso non hai
argomentazioni, non sai portare avanti una tua tesi, non hai la capacità di interagire con le persone perché al di la delle classiche frasi non sai più cosa dire, e in questi casi l’uscita finisce con i rispettivi componenti della coppia che ano il tempo guardando il telefonino. Pensa che conosco amici che si sentono su facebook anche quando sono nella stessa casa, magari uno aggiorna il proprio stato e la fidanzata o moglie risponde utilizzando il social network. Io la trovo una cosa parecchio assurda. Ma porca puttana se sei nella stessa casa non puoi comunicare a voce? Devi far sapere al mondo intero quello che puoi dire a lei sapendo che si trova a dieci metri da te? Chiudendo il discorso della mia normalità che all’apparenza altrui può sembrare pura follia, la mia amica mi ha mandato questo messaggio perché le ho detto che vorrei partire per un anno, da solo con il mio zaino e viaggiare nel mondo per conoscere nuove persone, nuova musica, nuove esperienze...insomma vorrei partire per tornare a sentirmi vivo e quindi, di conseguenza, per tornare a vivere visto che in questo ultimo anno di prepensionamento ho avuto tempo per riflettere e per capire che non è ancora giunto il momento di sedermi e guardare la vita che mi a accanto.
E' notte.
Ciao amico, è notte. Per alcuni mattina, per me ancora notte. Per le gente della notte, quella citata da Lorenzo, baristi, spacciatori, puttane e giornalai, poliziotti, travestiti, gente in cerca di guai, padroni di locali, spogliarelliste, camionisti, metronotte, ladri e giornalisti, fornai e pasticceri, fotomodelle...per queste persone può essere notte o mattina. Alcuni sono già svegli per affrontare una nuova giornata lavorativa, altri stanno per andare a letto e affrontare nuove ore di meritato riposo. Ho sempre preferito la seconda categoria e grazie alla radio ho potuto vedere molte più albe che mattine. Ora sono sveglio, sono le quattro e ascolto un disco perché non riesco a dormire. Ho messo 9 di Damien Rice. E' il secondo album di questo artista e lo trovo più difficile da ascoltare rispetto al primo. Ha avuto meno successo ma ciò non significa che sia meno bello. Mi sdraio sul divano e ascolto. A presto e buona notte.
Sbalzi d’umore
Mi incamminai verso casa in uno stato d’ebrezza non indifferente. Camminavo ciondolando un pochino ma con l’intento di respirare aria fresca, sia per le idee che per il fisico. Spesso finii in quella situazione e sapevo bene come comportarmi. Non mi interessava vomitare, dovevo solo stare attento a non farlo sui pantaloni o sulla maglietta. Ogni tanto mi fermavo per riprendermi e riposarmi. Arrivai in una zona di Milano piena di puttane e sapevo che ando di lì sarei caduto facilmente in tentazione perché erano anni che avevo in mente di provare l’esperienza del sesso a pagamento e dopo il tentativo fallito mi ero promesso di riprovarci. Guardavo facendo finta di nulla ma, inevitabilmente, lo sguardo finiva su ogni ragazza alla quale avo di fianco. La scelta era difficile ed ero combattuto da un demone morale che mi diceva di non commettere quell’atto impuro. Da sobrio potevo controbattere queste voci che girovagavano nel cervello, da ubriaco non riuscivo nemmeno a capire se queste voci erano solo nella mia testa o se qualcuno me le stesse suggerendo. Le ragazze mi guardavano e capivano che ero imbarazzato ma allo stesso tempo curioso di provare quell’ esperienza. Non sapevo da chi fermarmi, non avevo la più pallida idea su come si approcciasse una prostituta. Sicuramente i convenevoli non servivano, tuttalpiù era importante stabilire la cifra. Le guardavo con lo sguardo sfuggente per non farmi notare troppo anche se
sapevano bene che stavo solo prendendo tempo per trovare il coraggio di fermarmi da una di loro. Mi fermai, era da parte a me, mi guardò e mi disse qualcosa che io non riuscii a capire. - Scusa? - Le dissi guardandola come se mi stesse infastidendo. - Vuoi venire con me? Hai soldi? Lo facciamo in macchina o in motel? Non sapevo cosa dirle anche perché non avevo, né la macchina, né un motel dove andare e non potevo certo portarla a casa mia. - No. - Cosa no? Macchina e motel? Non è un problema ci penso io. - In che senso? - Conosco un posto qui vicino e possiamo andare a piedi. Ci incamminammo insieme e, se non fosse stato per il suo look da battona, potevamo sembrare una coppia che rientrava a casa dopo una serata di bagordi. In effetti il motel era molto vicino e in meno di cinque minuti arrivammo. - Ciao Gigi mi dai la solita stanza? Paga il giovane dietro di me. - A te le chiavi. Si conoscevano e ciò mi fece pensare che spesso lei portava qui i suoi clienti. Non so perché ma in quel momento mi sentii quasi geloso. Lei, questa ragazza di cui non sapevo nemmeno il nome, era la mia puttana e non la volevo condividere con gli altri. Salimmo in camera da letto senza nemmeno rivolgerci la parola, e una volta entrati si sfilò il vestito, o quello che all’apparenza poteva sembrare un vestito e mi disse di andare in bagno a fare il bidet.
Andai senza batter ciglio e sembravo un verginello di fronte alla sua prima donna nuda. Tornai in camera e aveva addosso solo il perizoma, sistemammo la situazione economica e poi lei si spogliò completamente. Non ero nemmeno eccitato e le chiesi di darmi una mano per far si che lui rispondesse in maniera virile. Era tutto molto freddo, distaccato e patetico. L’amplesso durò poco più di dieci minuti e fui molto contento di finire in fretta per tornarmene a casa e lasciare quella situazione che mi stava soffocando. Uscimmo dal motel come due sconociuti e mi salutò contenta perché in poco tempo aveva guadagnato qualcosa. Tornai verso casa, ubriaco dalla birra e da quel che avevo appena fatto pensando che andare a letto con una puttana fosse una cosa bellissima, invece quella sera mi aveva fatto schifo pure scopare. Forse le troppe birre, forse il ricordo così vivo dell’esperienza con Laura, forse la freddezza con la quale si consumò il rapporto. Non saprei ma tutte queste cose crearono dentro di me un senso di vuoto incolmabile. Arrivai a casa, mi misi subito sotto la doccia e rimasi lì per almeno mezz’ora con l’acqua calda che lavava l’odore della serata e di quella scopata consumata con addosso così tanta tristezza. Mi asciugai e andai subito in camera da letto sotto le coperte. Non riuscii a chiudere gli occhi, fissai il buio, ai almeno un paio d’ore in quella posizione e quando mi svegliai erano le due di sabato pomeriggio. Appena sceso dal letto, ero un po’ frastornato dalla sbronza, però nel giro di pochi minuti realizzai tutto quello che era successo. Ancora non credevo che quell’esperienza era stata così brutta.
Ci misi una pietra sopra e ascoltai Uprising di Bob Marley perché in quel momento avevo bisogno di musica allegra e solare, e Bob era il meglio che potessi suonare. La giornata ò tranquillamente tra qualche pagina di Siddharta, qualche disco, tanto ozio e dei biscotti mangiati per colmare il buco allo stomaco. Decisi di rimanere in casa e non uscire perché non avevo voglia di vedere nessuno. Dovevo ancora assorbire la botta di Laura e della puttana della quale non sapevo nemmeno il nome, e un po’ mi dispiaceva non aver avuto il minimo colloquio. Mi chiamò sco verso ora di cena. - Tutto bene Gianluca? Ieri sera poi sei tornato a casa sano e salvo? - Tranquillo Fra che me la so cavare anche senza di te. - Non si direbbe visto che se non ti chiamo io sei sempre chiuso in casa. - Ma non dire cagate. - Ma sei tornato da solo o hai trovato una dolce compagnia? - Da solo. - Ma come? Ti ho lasciato in un posto pieno di ragazze e tu torni solo come uno sfigato? - Sì perché non avevo voglia di conoscere nessuna e sono andato via poco dopo che tu sei uscito con quella specie di donna. - Guarda che non era brutta, e poi quella specie di donna ha un nome. - Sentiamo, come si chiama? E' già tanto che questa volta le hai chiesto il nome. sco era così, un tipo. Non era bello ma molto affascinante. Vestiva sempre bene e con le ragazze ci sapeva fare parecchio. Il suo look classico era quello di Arthur Fonzarelli e ogni tanto lo prendevo in giro imitando Fonzie che dava pugni al Juke Box per far partire una canzone e poi ammiccare con i pollici
alzati pronunciando, Yeah. Lui se la prendeva, però poi ridevamo insieme. Sempre con il chiodo, i jeans e la maglietta. Amava le moto e quando non lavorava andava in giro sulla sua due ruote sentendosi uno di Easy Rider. Aveva quel fascino da ragazzo vissuto e ogni volta nei locali conosceva molte ragazze. Spesso ne portava a casa qualcuna e a lui bastava così, non si voleva innamorare ma solo divertire perché diceva che era ancora troppo giovane per una storia seria. Sul lavoro era impeccabile e pochi altri erano così bravi in regia perché non sbagliava quasi mai, dettava perfettamente i tempi e sincronizzava jingle, canzoni, pubblicità e telefonate in maniera perfetta. Fuori dalla radio dava libero sfogo al suo io e si liberava da tutto lo stress che accumulava al lavoro. - Si chiama Marina. - Carino come nome. - Anzi no, forse Martina, o forse Marta. - Per fortuna che te lo ricordavi. Direi che ti ha proprio preso il cuore. - Senti non me lo ricordo, iniziava per M e poi boh. Ma alla fine cosa importa? Non la chiamerò mai più quindi non mi devo preoccupare. - Non fa una piega latin lover. - E tu come stai? Ti sei ripreso? - Da cosa? - Dai non fare finta di nulla, sei ancora sotto per quella? - Quella ha un nome e io me lo ricordo bene. Non te lo posso dire ma me lo ricordo benissimo.
- Sentilo come Romeo difende la sua Giulietta. Mi sa che sei ancora innamorato e hai il cuoricino spezzato. - Ma vaffanculo coglione, se mi hai chiamato per prendermi per il culo appendo e vado a cucinare. - Mamma che carattere. Con te non si può più scherzare. - Sai che lo puoi fare quando e come vuoi, però questa volta è diverso. Non mi va che scherzi su di lei. - Ok non preoccuparti. Dimmi almeno come va. - Abbastanza bene. Oggi mi sono riposato perché dovevo riprendermi dalla sbronza di ieri sera. Mi dispiace non sentirla ma questa è la sua decisione e la voglio rispettare. - Ma sì dai, vedrai che il tempo sarà dalla tua parte. - Speriamo. - Quindi stasera niente movida? - No sto qui tranquillo, tu esci di nuovo? - Non so. Forse è meglio che mi riposi un po’. Dai magari ci sentiamo domani per una eggiata in centro. Facciamo come le coppiette che la domenica pomeriggio vanno a eggiare in città, però sappi che io non ti darò la mano e non ti abbraccerò. - Nemmeno io, anche se rimani la mia pazza preferita. - Anche tu tesoro. A domani. - Ciao. - Ciao. Nella vita privata sco era molto brillante e avrebbe potuto essere un animale da palcoscenico. Sarebbe stato perfetto per condurre una trasmissione televisiva o radiofonica se non fosse per la sua totale fobia del microfono e della
videocamera. Mi trovavo benissimo con lui, sia al lavoro che nella vita e spesso facevamo lunghe telefonate per parlare della puntata precedente e analizzare le cose che non ci erano piaciute. Mi interessava il suo punto di vista che era più simile a quello degli ascoltatori visto che lui non partecipava in voce e non metteva in onda le sue idee. Stava nel dietro quinte e manovrava lo show come un uomo manovra le marionette. Lasciava a me lo spazio parlato mentre lui era l’artefice di tutto il resto. Finita la chiamata con sco cucinai qualcosa, poi mi misi sul divano con un bicchiere di vino rosso, appoggiai sul giradischi King of Delta Blues Singers di Robert Johnson, uno dei padri fondatori del blues, e mi lasciai andare al piacevole ascolto. Il vino e il tocco di chitarra di questo mostro sacro crearono una magia impareggiabile. Ero sul divano ma era come se non fossi appoggiato a nulla perché il mio corpo fluttuava nell’aria seguendo le note delle canzoni, e il vino riempiva la mia anima rendendola sempre più leggiadra. “I got to keep movin’, blues fallin’ down like hail. And the day keeps on worryin’ me...there is a hell hound on my trail”. Ascoltavo Hellhound on my Trail, percepivo la potenza della musica e nulla in quel momento avrebbe potuto distrarmi, nemmeno Laura. Ero concentrato nell’ascolto, ero assorto nel sentire la sua voce e la sua chitarra e in quel momento ero totalmente immerso nel mio mondo. Finii di sentire il disco, su vinile ovviamente, bevvi un altro po’ di vino e poi andai a letto per recuperare anche il sonno arretrato della notte precedente. Mi addormentai come un bambino. Mi svegliai la mattina seguente abbastanza rilassato, tranquillo e con la voglia di godermi la giornata senza troppi impegni. Mi andava di prendere le cose così come venivano senza pensarci troppo. Appena sveglio, come fosse un rito, feci la moka e misi What’s going on di Marvin Gaye.
Un disco spettacolare che parlava di guerra, droga e povertà. Affrontava temi importanti e anche se non riuscivo a capire tutte le parole c’era una frase che mi rimaneva impressa ogni volta che ascoltavo il pezzo What’s going on: “War is not the answer”. Quel disco fu perfetto per una domenica mattina degna d’esser chiamata tale. Sul tavolo avevo messo ogni cosa possibile immaginabile. Caffè, spremuta, biscotti, marmellata, burro, zucchero, miele, fette biscottate e del pane che era avanzato la sera prima. Ovviamente non mangiai tutto però i miei occhi si riempirono tanto quanto il mio stomaco e appena finii di fare colazione lavai i piatti della sera precedente e feci un altro caffè. Mi piaceva berlo dopo aver mangiato. Era quasi mezzogiorno ma avevo un pomeriggio soleggiato tutto da vivere e uscii con la vespa andando verso casa di sco. Arrivai da lui senza avvisarlo e sapevo che poteva essere ancora a letto. E così fu. Suonai e non mi rispose. Suonai con insistenza finché non si affacciò alla finestra insultandomi sia a voce che a gesti. Mi fece salire, preparò il caffè che non rifiutai e si mise sul divano per parlare un po’. Parlammo un paio d’ore abbondanti e poi decidemmo di andare in centro a fare due i. La giornata era bella, il sole splendeva, la gente rilassata si godeva la città e io e sco eravamo tranquilli e beati su una panchina a mangiare un gelato. - Sai cosa penso? Mi spaventava sempre quando iniziava con questi discorsi perché non sapevo mai dove voleva arrivare e, conoscendolo, poteva parlare di politica, attualità, calcio, moto, ragazze, sesso o di quante volte andava al cesso. - No e forse non lo voglio nemmeno sapere.
- Penso che in fondo siamo fortunati. Come ti dicevo l’altra sera al locale, noi non ci spacchiamo la schiena per guadagnarci lo stipendio, amiamo il nostro lavoro sempre che lo si possa chiamare tale, abbiamo molto tempo libero, guadagnamo bene, andiamo con un sacco di ragazze. Ma guardaci, chi ci ammazza più? - Spero nessuno. - Dai sii serio, non possiamo lamentarci. Siamo stati baciati dalla dea fortuna. - Lo so, però ciò non significa che ora dobbiamo adattarci e tutto quello che viene va bene perché la nostra posizione di privilegio non ci dà il diritto di lamentarci. - Non dico questo, però ogni tanto dovremmo essere più contenti e sorridere di più. - Ma io sono contento. Magari non sorrido molto ma ciò non significa che io non sia contento. - Lo spero per te. Io lo sono e me ne rendo conto, e penso che sia un buon inizio. Continuammo a mangiare il gelato e a godere del fantastico sole che ci scaldava. Verso sera andammo in pizzeria per concludere il fine settimana con una pizza tranquilla. Ci alzammo dal tavolo verso le nove, andammo in radio in vespa perché dovevamo trasmettere. Non avevamo ancora preparato la scaletta ma tanto ormai eravamo rodati e non avevamo più bisogno di così tanta preparazione pretrasmissione. Spesso sceglievo i dischi a casa mia o appuntavo su un foglietto le canzoni che volevo mettere in onda, poi andavo in radio, ne parlavo con sco e cercavamo di capire se il tutto potesse funzionare. Quella sera fu perfetta. Trovammo subito i dischi che volevamo suonare e poi, come al solito, per il resto della trasmissione ci affidammo agli ascoltatori.
- Anche questa domenica è finita e inizia una nuova settimana di Night Mood su Radio Sound. Io sono Luke on the night e di fronte a me c’è sco. Vi diamo il benvenuto con le parole di Vasco: “Cosa importa se è finita e cosa importa se ho la gola bruciata, ciò che conta è che sia stata come una splendida giornata”...buona notte, noi siamo pronti e voi? Così iniziò la prima puntata della settimana.
Ti scrivo così mi distraggo un po'.
Caro diario, ti scrivo così mi distraggo un po'. Ho solo cambiato la parola “amico” con diario e voglio continuare a mantenere vivo il ricordo di Lucio nella mia vita. Lo sto ascoltando parecchio in questi mesi, non solo per la sua scomparsa ma perché rimango affascinato ogni volta che sento un suo testo nonostante lo conosca a memoria. Ci sono aggi delle sue canzoni che, ogni volta, mi lasciano a bocca aperta e vorrei condividere con persone alle quali voglio proprio bene. Mi capita che dopo sue canzoni chiami qualche amico o amica per parlarle di quanto è bella la vita. Loro non si stupiscono più perché ormai mi conoscono. Ogni volta ti dico che disco sto ascoltando e anche oggi non voglio esimermi dal farlo. No Reason to Cry di Eric Clapton. Per molti è uno dei suoi dischi migliori, per me è semplicemente un capolavoro. La traccia numero tre, Sign Language, è cantata insieme a Bob Dylan. Capisci caro diario...due mostri sacri della musica che duettano per regalare magia ad ogni ascolto. La canzone che preferisco è Double Trouble perché ha una carica erotica senza eguali. La chitarra di Clapton canta, non suona. Lui la tocca con decisione, sa dove mettere le dita e sa come far impazzire la gente ogni volta che la tocca.
E' un disco perfetto da suonare in casa per creare il sottofondo giusto con una ragazza. Un buon bicchiere di vino, Double Trouble che incanta, gli sguardi associati ai gesti che valgono più delle parole e il bacio è il o successivo praticamente obbligatorio e automatico. Se lei non coglie nemmeno con questo disco allora non è una ragazza degna di nota. Ieri ho letto su facebook una frase che mi è piaciuta molto: Ogni storia d’amore dovrebbe cominciare con “Scusa per il ritardo”. L’ho salvata sul telefonino perché mi sembra molto bella e penso che se detta alla donna giusta sia affascinante. Bisogna dirla sapendo quello che si dice e dando un contorno alla frase perché, se la si pronuncia così in maniera isolata, rimane bella ma può esser presa dai Baci Perugina e riportata senza alcun significato. Credo che ogni parola, ogni gesto, ogni sentimento debba avere delle spiegazioni valide, se no è solo un qualcosa fatto tanto per fare o detto tanto per dire. Una volta un direttore mi ha detto: “Ricordati che quando apri il microfono non puoi friggere l’aria”. Ho sempre pensato che nella vita sia indespensabile sapere come e quando parlare, perché se apriamo la bocca solo per dire stronzate, allora il silenzio vale più di ogni parola. Tornando alla frase, come al solito la gente si sente in dovere di commentare come se loro ne sapessero sempre più di tutti. C’è chi ha scritto che ogni storia d’amore va vissuta così da farsi le proprie esperienze e arrivare a quella importante con un buon bagaglio sulle spalle, c’è chi dice che quella frase è una stronzata e chi dice che non vale la pena d’esser detta perché semmai la storia dovesse finire quelle sono state parole pronunciate a caso. Io difficilmente lascio commenti e spesso non capisco perché la gente non si faccia gli affari propri. Forse questo è il gioco dei social network dove uno
pubblica una cosa con la speranza che qualcuno la commenti. Non sono ancora entrato in quest’ottica e non capisco alcuni accanimenti tra persone completamente sconosciute...sono più per il “vivi e lascia vivere”. Se quella frase ti è piaciuta leggila e imparala, se non ti è piaciuta non ti cambia certo la vita e non perdere tempo a litigare con persone che nemmeno conosci. E' finito il disco e colgo l’occasione per metter su un caffè. In maniera simbolica lo offro anche a te. A presto amico mio. Gianluca.
Basta non prendersela
La prima diretta della settimana, quella della domenica sera, andò via come niente fosse e fu proprio un toccasana per tutto, corpo, mente, anima e spirito. Dopo la trasmissione mi fermai in radio con sco per cercare delle idee nuove da inserire in onda. - Dici che dovremmo cambiare qualcosa? - chiesi a sco. - Non saprei perché penso che il programma vada abbastanza bene così. Sergio non si lamenta mai di nulla, gli ascoltatori sembrano contenti e noi due ci divertiamo. Perché vuoi cambiare qualcosa? - Non è che voglio cambiare, però vorrei introdurre qualche novità...un piccolo spazio nel quale ogni notte parliamo di qualcosa di diverso e cogliamo maggiormente l’attenzione dell’ascoltatore. Ti sembra una stronzata? - No non dico questo. E' che non vorrei rischiare di fare un buco nell’acqua. Cosa proponi? - Mi piacerebbe ritagliarmi un quarto d’ora a notte per parlare di un disco. - Ma lo fai già. Ogni volta che metti un pezzo dici sempre qualcosa sulla canzone o sull’autore. Non vedo nulla di nuovo in quello che proponi. - Lo so che lo faccio già, ma la mia idea sarebbe quella di parlare di un solo disco a notte. Mentre io ne parlo tu metti qualche secondo del pezzo di cui sto parlando e alla fine del mio intervento lasciamo andare una canzone per intero. - Non saprei. - Domani facciamo una prova in registrato così capisci meglio cosa voglio dire. Proviamo, e se non ci piace accantoniamo l’idea, se invece la cosa potrebbe funzionare la proporrò a Sergio.
- Ok, sei tu l’artista quindi lascio a te la decisione. - Non dire così perché la trasmissione la facciamo entrambi e se l’idea non ci convince, nessuno ci obbliga a portarla avanti. - Dai ne riparliamo domani con calma. a un po' prima così facciamo una prova. Accompagnai a casa sco con la vespa visto che eravamo in giro dal pomeriggio. - Allora domani a in radio un po' prima così proviamo. - Va bene Fra, a domani. - Buonanotte. - Buonanotte. Feci un giretto per Milano godendomi una tiepida e stellata notte. La città era deserta per via del fatto che poche ore dopo fosse lunedì mattina e la gente avrebbe iniziato la propria maratona lavorativa. Io e la mia vespa girovagavamo alla ricerca del nulla e ciò mi piaceva assai. are nelle vie principali ed essere l’unico a far rumore in quella notte silenziosa, arrivare ai semafori lampeggianti e non aver problemi di traffico, sentire il profumo delle pasticcerie e delle panetterie che erano già al lavoro e magari avevano finito di sentire la trasmissione, incrociare lo sguardo assonnato di quelli che partivano per consegnare i giornali appena stampati. Tutti questi spaccati di vita erano ciò che mi dava la voglia di guardare il lento risveglio della città prima di tornare a casa a riposarmi. Arrivai e parcheggiai la mia amata vespa nel cortile del palazzo. Finalmente avevo ottenuto un permesso speciale per parcheggiarla all’interno perché più volte avevano tentato di rubarmela. Salii in casa e mi misi un po' sul divano. Era uno dei miei momenti preferiti.
Dopo una giornata intera, e dopo la trasmissione, mi piaceva sedermi e riflettere su cosa fosse andato bene o su cosa si poteva migliorare. Quella sera i miei pensieri erano confusi per le nuove idee che volevo portare in trasmissione e per il chiodo fisso di Laura. Lasciai perdere tutto e andai a dormire. Il giorno dopo arrivai in radio nel pomeriggio per parlare con sco e per fare qualche prova. Incrociai Laura che non aveva ancora iniziato a trasmettere. - Ciao Laura. - Ciao - fu la sua semplice risposta senza nemmeno guardarmi in faccia e continuando a camminare come se tra di noi non fosse successo nulla. Ci rimasi un po' male, anzi ci rimasi proprio di merda. - Come mai sei lì impalato? Hai visto la Madonna? - mi disse sco dandomi una pacca sulla spalla. - No, nessuna Madonna. - Infatti anche perché l’unica donna che ti è ata vicina è Laura e non assomiglia certo alla Madonna. - Infatti. - risposi rimanendo impalato. - Oh...sei sveglio? - Sì, sì. E' solo che non capisco come mai faccia così fatica a salutarmi. - Ma chi? - Lei. - Lei chi? - Laura, quella che hai appena visto.
- Ma che cazzo te ne frega di quella? Si sa che è lunatica. Lasciala perdere che con lei hai solo grane. - Perché dici questo? - Dai Gianluca non dirmi che non lo sai. - Sapere cosa? No, comunque non lo so. - Ma dove vivi. In radio tutti lo sanno. Diventai bordeaux perché speravo che nessuno sapesse quello che era successo tra di noi. - Sanno cosa Fra, dimmelo. - Sì ma non ti scaldare. Non capisco perché ti prendi così a cuore questa cosa. Non mi sembra che lei sia la persona più amichevole di questo mondo. - Non mi interessa se è amichevole o no. Mi sta sul cazzo che saluta come se le desse fastidio vedermi. - Tutto le dà fastidio, ricordatelo. Nessuno vuole fare la trasmissione con lei perché è talmente lunatica che cambia idea ogni cinque minuti e fa delle inutili scenate isteriche. E' una viziata Gianluca, credimi. - Me ne sono accorto, comunque cosa sa la radio che io non so? - Che lei si fa Sergio. Ma dai non dirmi che non lo sapevi. Rimasi immobile. Non sapevo cosa dire e il mio sguardo parlava da solo. - Ma cosa ti ho detto di così sconvolgente? Ti giuro che lo sanno anche i dischi di questa radio. Aveva in mano una raccolta di Lous Prima e mise la copertina davanti alla sua faccia. - Guardami Gianluca, sono Louis Prima e anche se sono morto anch’io so che
Laura si fa scopare da Sergio. Dai sveglia ma dove vivi? Lo guardai e scoppiai a ridere. - Sei proprio un coglione. - Almeno ti faccio ridere. - Ma da quanto tempo i due si danno da fare? - Non so, penso da qualche anno. - E io non mi sono mai accorto di nulla? - Non solo, ma non ti sei mai chiesto come mai lei qui dentro è intoccabile, nessuno le può dire nulla, fa sempre quello che vuole e si permette di trattare tutti come stracci da pavimento? - Sinceramente pensavo fosse solo il suo carattere. - Che carattere di merda. - Sì lo pensavo pure io. - Qui nessuno vuole lavorare con lei perché se non le vai a genio e ti permetti di dirle qualcosa, lei ti sputtana quando vuole. Capisci perché le può dar fastidio anche solo vederti? - No non capisco visto che io non le ho fatto nulla di male. - Non è questo il punto, è viziata e fa come meglio crede. Quel giorno che Sergio si stancherà di lei saranno cazzi perché una così non te la togli più. E' capace di andare a raccontare tutto alla moglie e lì non so cosa potrebbe succedere. - Ok però nemmeno lui è un santo. - Parla colui che non sa nemmeno cosa sia la fedeltà, anzi colui che non sa nemmeno l’esistenza della parola fedeltà. - Ma sei proprio scemo. Io non sono fidanzato e non mi pongo il problema d’essere fedele. Semmai un giorno mi sposerò, ti prometto che non la tradirò con
altre donne. - Ma con altri uomini si? Dai dimmi quando...che magari un colpo da Luke me lo faccio dare pure io. - Fanculo. - e gli diedi un calcio su una gamba. In quel momento ò Laura e ci guardò dall’alto verso il basso. - Ancora che vi mettete le mani addosso come i bambini, voi maschi non crescete mai. - Almeno noi facciamo le cose alla luce del sole. Lei mi fulminò con lo sguardo e se ne andò. - Ma sei scemo? Guarda che quella ti fa mandar via dalla radio. - E come? Solo perché le ho detto quella frase? E poi non credo che Sergio sia così stupido. La nostra trasmissione funziona e non ci manda via per volontà di una squilibrata. - Credimi Gianluca non scherzare troppo su questa cosa. - Ti credo ma penso anche che lei non abbia tutto questo potere. Non riesco ad immaginare Sergio che mi chiama nel suo ufficio e mi dice che mi licenzia perché gliel’ha detto Laura. - Certo che non sarà così. Lui non si sputtana con questa storia però sai che può lasciarti a casa. - Per quale motivo? La trasmissione funziona, abbiamo inventato le dirette notturne e adesso anche le altre radio ci copiano, abbiamo introdotto le telefonate e anche questo ci viene copiato. Mi spieghi per quale insulso motivo dovrebbe licenziarmi?Per colpa di quella lunatica del cazzo? - Ok non prendertela, forse è meglio che cambiamo discorso. - Cambiamolo pure, ma sappi che se Laura dovesse mettermi in cattiva luce, per lei sarà la fine. Fidati di me.
- Mi fido anche perché mi sa che non ti ho mai visto così arrabbiato. Ti va un caffè al bar? - Andiamo. Eravamo molto in anticipo per la diretta, quindi ci prendemmo una lunga pausa, anche se in realtà non fu una pausa perché sviluppamo alcune idee che avevo in mente. Al posto che chiuderci in uno studio radiofonico a discutere, parlammo seduti al tavolo di un bar. - Hai pensato a quello che ti ho detto ieri sera? La trovi un’idea stupida? Se vuoi facciamo una prova. - Non la trovo un’idea stupida ma devo capire bene cosa vuoi fare. Non vorrei che il parlare di un solo disco diventasse una cosa noiosa da ascoltare. - E qui subentri te per evitare di cadere nella noia. - E in che modo? Sai che io e il microfono non andiamo d’accordo. - Non preoccuparti non devi parlare. Subentri te mettendo musica. A me interessa fare dei brevi interventi, da un minuto circa, e poi suonare una parte di una canzone che lasci in sottofondo mentre prepari la prossima e io parlo di nuovo dicendo qualcosa sul disco. Appena ti faccio cenno tu parti con quella successiva. Possiamo mettere cinque o sei pezzettini di canzone e poi alla fine mettiamo quella più significativa del disco. - L’idea non mi sembra male ma credo che dobbiamo fare un bel po' di prove perché devo avere il tempo di cambiare canzone mentre tu parli. Dopo saliamo e proviamo. Hai in mente altre cose? - Si, mi piacerebbe portare degli ascoltatori in studio. sco rimase di stucco e fece la mia stessa faccia quando scoprii che Laura se la faceva con Sergio. - Sai che non ce lo faranno mai fare. - E chi lo dice?
- Dai Gianluca è una cosa quasi impossibile. - Quasi, hai detto bene. Io la propongo a Sergio e sono sicuro che insieme troviamo un modo per invitare un paio di ascoltatori a notte. Magari qualcuno che vince dei premi o qualcuno che vuole assistere. Non li dobbiamo per forza mandare in onda, possono venire e assistere alla diretta. Ma ci pensi? Per noi sarebbe bellissimo perché avremmo un contatto diretto con chi ci ascolta, e per loro sarebbe comunque un’emozione perché finalmente potranno dare un volto alle persone che tengono loro compagnia ogni notte. - L’idea è bella e sai quanto mi piace stare in mezzo alla gente, ma credo sia irrealizzabile. - Un po' d’ottimismo Fra. Se siamo noi i primi a non essere convinti di quello che proponiamo, non possiamo certo pretendere che Sergio ci dia alcuna possibilità. - Hai ragione. - Così mi piaci. Dai magari andiamo insieme a proporgli queste nuove idee. - Sai che io con le parole non sono molto bravo e poi mi faccio condizionare troppo facilmente dalla figura del capo e ho paura di ammutolirmi. - Non fare il cagasotto. - Quando hai intenzione di parlargli? - Non so, facciamo prima una prova con un disco, registriamo e poi gli portiamo l’audio. E già che siamo lì parliamo anche degli ospiti in studio. In un paio di giorni potremmo fare tutto e andare a parlargli. Cosa ne dici? - Che sei tu l’artista e la mente di Night Mood, quindi io mi fido. - Smettila con questa stronzata dell’artista. La trasmissione è nostra e tu ne fai parte tanto quanto ne faccio parte io. - Se lo dici tu. Tornammo in radio per fare una prova e pensare alla scaletta della puntata, poi
andammo in onda tranquillamente come ogni notte. Ormai eravamo rodati alla perfezione e bastavano gli sguardi per capire che era giunto il momento di mettere un disco. Ritornai a casa molto soddisfatto per la diretta e per la chiacchierata al bar con sco. Erano le quattro di mattina e squillò il telefono. Mi preoccupai perché nessuno mi chiamava a quell’ora e pensai subito a sco. Magari un incidente con la moto o un malore improvviso. Pensai ad Antonio o qualcuno del mio paese. Mi tremava la mano e fui lì lì per non rispondere ma alla fine alzai la cornetta. - Pronto? - dissi con voce tremolante. - Se ci tieni al tuo posto di lavoro non azzardarti mai più a dire una cosa simile davanti ad altre persone. Sono stata chiara? - Ma sei scema? Mi chiami alle quattro del mattino per questa stronzata? - Questa stronzata, come la definisci te, ti può costare il posto, sappilo. - E per che cosa, perché ti scopi il capo? Sappi che pure io ho i miei assi nella manica quindi fai poco l’arrogante e continua per la tua strada. Io mi faccio i fatti miei e tu i tuoi, così siamo tutti felici e contenti. E poi potevi dirmelo che andavi a letto con Sergio. Perché sei venuta con me allora? Lui non ti soddisfa abbastanza? Adesso mi è chiaro perché insistevi sul non farci vedere in pubblico. Sbaglio o sei tu quella che può rischiare di non lavorare più qualora io decidessi di parlare? - Fottiti stronzo. Fu una delle ultime volte che rivolsi la parola a Laura, e viceversa. Dopo quella telefonata mi sentii più libero, con l’anima più leggera, mi misi in salotto con un bel sorriso stampato sulla faccia indeciso se mettere un disco oppure no, e per una buona mezz’ora rimasi con lo sguardo fisso nel vuoto pensando quanto fosse puttana quella donna. Non puttana nel senso sessuale del
termine, ma per il suo comportamento. Si era divertita con me, aveva giocato finché il gioco le andava bene e una volta che si era stancata mi mollò senza nessuna spiegazione. Per di più aveva tentato di minacciarmi e di dire a Sergio qualcosa, non so di preciso cosa, per farmi perdere il posto in radio. Avrei voluto chiamare sco per raccontargli tutto ma non potevo farlo perché avrei rischiato che prima o poi qualcosa sarebbe uscito. Ci tenevo troppo al mio posto di lavoro e non volevo fare cazzate. A Radio Sound avevo trovato la mia perfetta dimensione ed ero sicuro che con qualche piccola novità sarebbero arrivati molti più stimoli. Mi alzai, scelsi il disco, o lui scelse me, lo misi sul giradischi, presi una birra e mi sedetti sul divano per ascoltare la poesia cantata e musicata. “Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni....” Finii di sentire l’album, andai a letto che era già mattina, la luce entrava dalle finestre e il giorno si faceva spazio in mezzo all’oscurità. Mi sdraiai felice e consapevole che sarei tornato in radio con lo stesso entusiasmo della prima diretta di Radio Compa.
Ti scrivo in questa sera.
Caro diario, ti scrivo in questa sera di tarda primavera. Il cielo è grigio e il tempo non ci sta regalando grandi soddisfazioni. Piove quasi ogni giorno e questo rende la città abbastanza monotona, molto trafficata e sicuramente più nervosa per via della gente che non riesce a godere di un semplice raggio di sole. Mi sto rilassando ascoltando The best of Kokua Festival di Jack Johnson and Friends. Ci sono un sacco di artisti come Ziggy Marley, Damian Marley, Ben Harper, Eddie Vedder e molti altri del loro calibro. E' un festival che Jack Johnson organizza ogni anno per raccogliere fondi da devolvere alla salvaguardia del pianeta. E' un artista molto attivo sotto questo aspetto e la cosa mi fa piacere. Un giorno mi piacerebbe andare alle Hawaii per vedere dove abita e come ci si sente a svegliarsi ogni giorno in un paradiso terrestre. Qualche giorno fa ho visto Paradiso Amaro di George Clooney e il monologo inziale fa riflettere perché dice che anche gli abitanti delle Hawaii, nonostante vivano in uno dei posti più belli al mondo, hanno i loro problemi. Per noi è facile ogni volta che visitiamo un posto come turisti, perché vediamo sempre il bello e non pensiamo che anche per gli abitanti esistano problemi. Non bastano il mare e il sole per essere felici e spensierati. Questi due fattori aiutano ma non sono affatto sufficienti. Come ti dicevo in un post precedente, mi piacerebbe partire per un viaggio di un anno o forse più, camminare in mezzo alla gente e scoprire posti nuovi, ascoltare musica che non ho mai sentito, provare cibi che non ho mai assaggiato
e godermi una birra pensando a quanto è bella la vita. Ci sto pensando e sto raccogliendo molte informazioni in internet per ridurre al massimo i rischi di un viaggio simile. Mi adatterei parecchio tra campeggi e ostelli, non mi interessano gli hotel e le comodità. Voglio viaggiare, non voglio fare una vacanza. Ho bisogno di crescere internamente e penso che non esista un limite d’età per farlo. Nessuno può dirmi che sono vecchio e che non posso pensar d’aver la voglia di scoprire il mondo, di conoscere nuove persone e di ampliare il mio bagaglio culturale. Per me i vecchi sono quelli che ano le giornate al bar parlando, spesso alle spalle, di questo o di quell’altro, oppure se ne stanno in panciolle sapendo sempre tutto su tutti e avendo le soluzioni per qualsiasi cosa, dalla politica allo sport e al sesso che non praticano più da anni ma ne parlano come se Rocco Siffredi fosse un verginello. Quelle sono persone vecchie, non di età ma di mentalità. Ho provato ad accennare la mia voglia di partire e subito mi hanno detto che non ho più l’età per certe cose e che dovrei pensare a sistemarmi una volta per tutte dopo i bagordi trascorsi. Rimango disgustato e basito da questi loro discorsi pensando che ognuno sia libero di vivere la propria vita come meglio crede. Per adesso mi godo la preparazione del viaggio, se poi partirò o meno te lo farò sapere. Buona serata caro amico.
Cambiamenti
- Allora domani pomeriggio proponiamo le tue idee? - mi disse sco al telefono con la voce tremante come se qualcuno gli stesse puntando la pistola alla nuca. - Va bene però stai tranquillo, non agitarti e dormi sereno. - E' che ho paura che s’incazzi e poi la cosa ricada sulla trasmissione. - Ma incazzarsi per cosa? Perché proponiamo delle migliorie alla trasmissione? Ma no dai, al massimo ci dice che sono delle cazzate e noi continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto. - Sarà, spero vivamente che sia come dici te. - Fra mi fai un favore? Stai tranquillo, appendi il telefono e riposati serenamente. - Ci proverò. - Buona notte. - Buona notte. Poteva far regia davanti a centinaia di persone e non aveva la minima agitazione, però appena doveva dire qualcosa al capo, o a qualche suo superiore, succedeva che si agitava e non dormiva. Gli volevo bene anche per questo. Appesi il telefono e andai verso la stanza quando ad un tratto tornò a squillare. Sapevo benissimo che era di nuovo sco, così risposi a botta sicura. - Cosa c’è ancora? - E' che volevo dirti che non voglio perdere il mio posto di lavoro. Ho bisogno
dei soldi e non vorrei fare cazzate. Forse non è meglio che vai te da solo? - Te l’ho già detto che non perderemo il posto di lavoro solo perché vogliamo proporre idee nuove, male che vada le idee rimarranno tali e la trasmissione continuerà ad esistere così come ha sempre fatto. - Si lo so che continui a dirmelo in continuazione ma preferirei non venire. Ti incazzi? - No stai tranquillo cagasotto che non sei altro. Andrò io e poi ti farò il resoconto per filo e per segno. - Grazie...ti voglio bene. - Sì vaffanculo, solo quando ti conviene mi vuoi bene. - Non è vero e lo sai. - Buonanotte. - Anche a te e grazie, sei proprio un amico. Questa volta finalmente riuscii ad andare a letto. Non so come mai sco avesse questa fobia, sapevo solo che per are una nottata tranquilla era meglio dirgli che andavo da solo. Dormii tranquillamente senza il minimo pensiero e appena mi svegliai, misi la moka sul fuoco per diffondere quel fantastico aroma in tutta la casa. Suonai una raccolta di Dean Martin che mi metteva allegria e mi sembrava perfetta per iniziare la giornata. Avevo appuntamento con Sergio per le due del pomeriggio e dopo mi sarei fermato direttamente in studio per fare la scaletta e raccontare tutto a sco. Arrivai in radio molto tranquillo perché non avevo il minimo pensiero, e per me era solo una chiacchierata e nulla più. Salii le scale per andare a salutare sco e lo trovai alla macchinetta del caffè.
- Ciao Gianluca tutto bene? Vuoi un caffè? - No grazie, quando vado nell’ufficio di Sergio lo bevo con lui. Io bene, tu? Hai dormito? - Sì sì, e mi sono sentito un po' stupido nel richiamarti. - Un po' lo sei stato, ma a me piaci così, spontaneo e genuino. Adesso vado se no faccio tardi con il capo. - In bocca al lupo. - Crepi. Arrivai da Sergio carico più che mai e convinto che potessi portare avanti le mie idee sapendo di trovare un riscontro positivo. Bussai alla porta del suo ufficio. - Avanti. - Ciao Sergio. - Vieni pure Gianluca, accomodati che adesso ci facciamo portare il caffè. - Grazie. - Allora dimmi di cosa vuoi parlarmi. Non chiedermi un aumento perché sai bene che non posso darti di più...qui dentro sei il più pagato e rispetto agli altri fai la vita da ricco. - Non voglio chiederti più soldi, voglio solo proporti delle idee nuove per la trasmissione. - Dimmi. - Una è una piccola rubrica odierna nella quale parlo di un disco in maniera abbastanza approfondita, mettendo circa un minuto di ogni canzone e poi facendo suonare per intero il singolo ufficiale. Diciamo che metterei quattro o cinque pezzi da togliere dopo una manciata di secondi così di avere la possibilità di continuare a raccontare la storia dell’album, e poi lascerei suonare per intero il
singolo più rappresentativo. Mi guardò un po' stupito e non sapevo cosa dire o fare. - C’è qualcosa che non va Sergio? - No, tutto bene è solo che non capisco perché ne parli con me. - Perché sei tu il direttore ed è giusto che tu venga messo al corrente di quello che succede all’interno delle trasmissioni. - Sì ma tu sai che io mi fido di te quindi queste piccole cose non devi nemmeno chiedermele. Se poi io le sento e non mi piacciono te lo vengo a dire. Devi parlarne con sco e, se lui è d’accordo, fatela pure da settimana prossima. Ora dimmi l’altra. Tra me e me pensavo che sco era proprio un coglione, nel senso buono del termine, ma pur sempre un coglione. - La seconda proposta necessita una premessa. Ascoltala, valuta bene la cosa nei prossimi giorni e poi mi farai sapere con calma. - Vai dimmi. - Mi piacerebbe avere degli ascoltatori in studio, magari un paio a puntata così da farci conoscere e far vedere ai fedelissimi che volto hanno le voci che tengono loro compagnia ogni notte. Mi fermai a guardarlo e subito mi pentii perché lui non mi sembrava convinto. - Ottima idea, bravo Gianluca. - Veramente o mi prendi in giro? - No, ti sto dicendo che la trovo un’ottima idea che però va studiata bene per evitare affollamenti ingestibili. Bisogna far sì che la radio inviti solo un paio di persone a puntata segnando nomi e cognomi di chi entra ad assistere alle trasmissioni. Magari all’inizio possiamo fare solo un giorno a settimana, poi se la cosa piace a voi e a loro, possiamo pensare di ampliarla a più giorni. Cosa ne pensi?
- Giusto...penso che all’inizio sia meglio provare un solo giorno e poi vedere se la cosa è fattibile o meno. - Erano queste le due proposte? - Si, ti aspettavi dell’altro? - No va bene così. Sono contento che tu abbia la voglia di provare cose nuove e quindi avere nuovi stimoli. Sai che ho molta fiducia in te e nella tua trasmissione, quindi so che non mi deluderai nemmeno questa volta. Organizzati con Sara del centralino così vedi come fare per far venire gli ospiti. E per l’altra idea, ti ripeto, non perdere nemmeno tempo a parlarmene. Hai quasi carta bianca, quindi giocatela bene. - Grazie Sergio. Allora appena mi organizzo ti faccio sapere e se tutto va bene potremmo iniziare già da settimana prossima. - Va bene. Ora scusami ma ho da fare. -Ciao. - Ciao Uscii dal suo ufficio molto soddisfatto, contento e pronto per dare la buona notizia a sco.
Lo sai che non succederebbe niente.
Ciao caro amico o diario che sia, ti riporto alcune parole di una canzone. ... “ lo sai che non succederebbe niente, anche se non si sapesse un accidente di quello che succede in qualche posto dall’altra parte del mondo o dell’universo...” è un pezzo preso da L’aquilone di Vasco Rossi che si trova sul suo ultimo album, Vivere o Niente. Questa mattina ho fatto un giro per la città con le bici del bike sharing e, mentre ascoltavo musica casuale dal mio ipod, è partita questa canzone che mi ha fatto riflettere. In effetti ultimamente tutti ci preoccupiamo di sapere cosa accade in ogni angolo del mondo guardando curiosità e notizie alle quali non diamo nessuna importanza, però poi spesso ci dimentichiamo che siamo i principali spettatori di tragedie incredibili che accadono a pochi metri da noi. E non parlo solo di cronaca nera o disastri ambientali...ma parlo di morti bianche, di giovani senza lavoro e futuro, persone di trenta e a anni che non riescono ad uscire di casa, prezzi che salgono alle stelle ogni giorno che a o fatti quotidiani che alcune volte vengono offuscati da notizie più leggere. Non credo molto alle teorie del complotto però penso che ci sia un attento studio sulla sequenza delle informazioni date nei tg o scritte sui vari siti internet. Sicuramente fanno si che l’attenzione del lettore, o dell’ascoltatore, sia rapita in parte su fatti importanti nazionali, e in parte su cose molto leggere che alla fine non fanno più riflettere su quanto detto in precedenza. In radio, almeno in quelle in cui ho lavorato io, i giornalisti non hanno mai avuto influenze da parte dei direttori su come dare le notizie o su quanta importanza imprimere a certe cose che accadevano.
Non sono sicuro che ci sia tutta questa libertà anche in televisione, però mi stupisco sempre più che siamo curiosi di sapere ciò che accade nel mondo senza pensare che il nostro paese sta andando a rotoli. Non ho mai fatto discorsi politici e non ho intenzione di inziare a farli ora, ma ti assicuro che è un bene che tu non capisca quello che sta succedendo in Italia. La corruzione è la fidanzata degli uomini di potere e noi, che dovremmo essere tutelati da chi ci “comanda”, in realtà siamo le vittime innocenti delle loro decisioni. Penso che al giorno d’oggi non sia facile essere un giovane pieno di speranze e con la voglia di realizzarsi nella vita. Purtroppo questa famosa crisi ha tagliato le gambe un po' a tutti e sono convinto che venga utilizzata anche come scusa pur di non assumere nuove persone. Non so cosa farei se oggi fossi un ragazzo in cerca di lavoro, specialmente nel campo della radio. Come ti dicevo un po' di tempo fa, oggi la radio la puoi fare comodamente da casa tua, con una connessione internet, un computer e un microfono. Per iniziare ti puoi accontentare di questo e la gavetta la fai così, però la visibilità in rete, almeno all’inizio, è sicuramente scarsa e di profitti nemmeno a parlarne. Può rimanere un surrogato di quelle che erano le radio locali degli anni ’80 e ’90 e sotto questo punto di vista molte realtà web non hanno nulla da invidiare a quelle piccole emittenti. Anzi, da un lato la tecnologia in questo campo è nostra alleata perché tramite i social network si può far pubblicità in maniera gratuita raggiungendo chiunque e pubblicando la registrazione delle puntate. C'è da dire che senza soldi il risultato sarà sempre peggiore rispetto alla ricca concorrenza. Una volta mi è stato detto: “ non esiste grande o piccola radio, ma grande o piccolo conduttore”. Sono d’accordo con questa affermazione anche se il grande conduttore in una piccola radio è limitato e non sempre la sua bravura lo porta a diventare uno speaker di una grande emittente.
Un po' come in molte cose nella vita ci vuole anche fortuna, e una volta che sei entrato nel famoso giro, sta a te sapertela cavare stando a galla in maniera dignitosa. C’è un pezzo di Bugo intitolato Nel Giro Giusto che in un aggio dice: “ ....se frequento te è la volta che trovo uno spazio per me, fammi entrare per favore nel tuo giro giusto....” In fondo è vero quello che dice perché può capitare di incontrare la persona giusta che abbia la voglia di darti una mano e allora la tua strada può essere in discesa, ma spesso la salita è più lunga di quanto ci si aspetti e molta gente decide di mollare visto che la fatica è maggiore rispetto al risultato ottenuto. Io sono sempre stato abbastanza fortunato, specialmente quando ho incontrato Sergio a Londra. Il fato fece sì che io mi girassi, così da urtarlo, proprio nel momento esatto per poi conoscerlo e arrivare infine ad un rapporto lavorativo. Devo ammettere che ho avuto fortuna, ma ho sempre portato avanti le mie idee con molta testardaggine e spesso il mio rifiuto nello scendere a compromessi mi ha portato a scontrarmi con i direttori delle radio. Solo una volta sono arrivato alle mani, ma ti assicuro che in varie occasioni sono volate parole grosse da parte di entrambi perché nessuno dei due voleva trovare un punto in comune. Ognuno fermo nella sua posizione e guai ad ammettere che l’altro potesse dire cose intelligenti. Né sarebbe andato dell’orgoglio personale. Devo però dire che questo mio essere così convinto in quello che dicevo mi ha sempre portato molto rispetto da parte dei miei capi, perché non mi hanno mai visto come un lecchino ma come uno pronto a mettersi in gioco pur di portare avanti la propria tesi. Ogni volta che discutevo animatamente con qualcuno cercavo di calmarmi bevendo una birra, e devo dire che era un ottimo espediente.
Ti dirò che mi è venuta voglia e quasi quasi vado in un pub per sorseggiarne un po'. Ci sentiamo presto. Ciao.
Si vivesse solo di inizi.
“ ...ah, si vivesse solo di inizi di eccitazioni da prima volta quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora...” Caro diario, questa è una delle bellissime strofe della canzone Costruire di Niccolò Fabi, un grande artista secondo me troppo sottovalutato. Lui non scrive canzoni adatte ad un palinsesto radiofonico e per questo difficilmente i suoi brani si possono ascoltare in onda, però quando qualcuno mi chiede un consiglio su un bel disco italiano, spesso raccomando una sua raccolta. La canzone sopra citata narra di quanto sia difficile costruire un rapporto dopo che l’entusiasmo iniziale svanisce, e ogni volta che la sento penso alla mia vita riflettendo su quello che ho costruito in amore. Credo di non esser riuscito a combinare quasi nulla anche perché avrei voluto avere un rapporto serio solo con Valentina, o forse anche con Laura, ma non ne sono del tutto sicuro. Per il resto ho sempre vissuto l’eccitazione da prima volta stancandomi subito di quello che potesse succedere in futuro. Anche solo l’idea di un rapporto mi metteva in crisi facendomi agitare. Non sono in grado di dire se rimpiango le mie scelte oppure no, però so per certo che le ho prese in assoluta libertà senza farmi mai condizionare da nessuno. E tuttora, vivendo in questa assoluta libertà, ti dico che continuo ad ascoltare Niccolò, salutandoti e augurandoti buona giornata.
“...nel mezzo c’è tutto il resto e tutto il resto è giorno dopo giorno e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire e costruire è potere e sapere rinunciare alla perfezione...”
Nuove esperienze
Andai dritto da sco che era rimasto alla macchinetta del caffè bevendone almeno una decina. Appena mi avvicinai era in trepida attesa di una mia risposta riguardo al colloquio con Sergio. - Ma quanti caffè hai bevuto? - Non ti preoccupare dimmi cosa ti ha detto. - Fra, tu devi rilassarti e stare più tranquillo, soprattutto non devi bere tutti questi caffè di fila perché ti rendono troppo nervoso. - Ecco lo sapevo che era una cazzata andare da lui a parlare. Te l’avevo detto che rischiavamo di perdere la trasmissione e che era meglio lasciare le cose così com’erano. Dai lo sai anche te che se una trasmissione funziona non bisogna cambiarla, e non capisco come mai tu abbia voluto proporre idee nuove. - Oh ma che cazzo stai dicendo. Ti calmi o vuoi un calcio in culo per riprenderti. Lasciai are qualche secondo di silenzio guardandolo in malo modo. - Smettila di farti seghe mentali inutili. Sergio ha detto che per l’idea del disco non c’è problema e in futuro non ne devo nemmeno parlare con lui visto che mi lascia carta bianca, e per quanto riguarda gli ospiti ha accolto l’idea con entusiasmo, però mi ha detto di parlarne con Sara per organizzare bene gli inviti. Lui mi guardò un po’ sbigottito, con lo sguardo perso nel vuoto e con gli occhi che non volevano incrociare i miei perché non sapeva cosa dire. Era imbarazzato e sono sicuro che dentro di sé si sentiva un coglione per quello che aveva appena detto e per il fatto che non aveva avuto il coraggio di venire a parlare da Sergio. - Sei un coglione, lo so, ma ti voglio bene appunto per questo. Non dire niente e andiamo a preparare la scaletta per la puntata.
Ormai lo conoscevo bene perché lavoravamo insieme da circa cinque anni e avo più tempo con lui che con qualsiasi altra persona. Mi piaceva vedere il suo imbarazzo, la sua incapacità di uscire da questo stato d’animo rimanendo immobile in attesa che qualcuno lo tranquillizzasse dicendogli che non era successo niente e che tutto era come prima. Penso che pur di non perdere un’amicizia avrebbe potuto procurarsi del dolore fisico. Ci chiudemmo in studio con la testa bassa sui dischi per cercare di fare una scaletta adatta al nostro umore positivo dopo le belle notizie ricevute da Sergio. Come primo pezzo andai a colpo sicuro mettendo Chase the devil di Max Romeo perché regalava quel misto di allegria e spensieratezza che mi serviva per iniziare bene la puntata. Da lì in poi fu tutto facile e la trasmissione andò liscia senza intoppi. Il giorno dopo arrivai in radio un po' prima per parlare con Sara e iniziare ad organizzare le puntate con gli ospiti. Decidemmo di fare una prova, che poteva rimanere isolata come esperimento, o poteva diventare l’inizio di una nuova esperienza. Nel pomeriggio io, Sara e sco ci trovammo per capire come potevamo fare senza creare disturbo in trasmissione. - Ciao Sara, Sergio ti ha parlato di quello che vorremmo fare io e sco? - Mi ha solo accennato qualcosa ma è stato vago dicendo che me ne avresti parlato tu in maniera più accurata. - Abbiamo pensato di invitare un paio di ascoltatori per farli assistere alla puntata così da fargli vedere com'è fatta una trasmissione radiofonica. Dobbiamo stare attenti a non focalizzare la puntata su di loro perché per la gente a casa non deve cambiare nulla, però noi abbiamo la possibilità di farci conoscere e fare due chiacchiere con chi viene ospite. Cosa ne pensi? - Non è male come idea, e poi se Sergio ha deciso di provare io non ho
comunque voce in capitolo. Sto a quello che mi dice lui e lavoro alle idee di persone che fanno la radio da molto tempo. - Voglio precisare una cosa ad entrambi e voglio farvi capire che da oggi, Night Mood sarà fatto da tutti e tre, quindi accantonate l’idea che voi lavorate per la mia trasmissione. Noi lavoriamo per la nostra trasmissione perché Sergio ha deciso che io parlo, sco fa regia e tu Sara ti occupi di organizzare tutto quello che sta attorno alla trasmissione. - Sì ma io sono semplicemente una segretaria e non penso di essere all’altezza, e poi gli ascoltatori sanno che Night Mood corrisponde a Luke on the night. Intervenne anche sco che fino a quel punto fu in religioso silenzio. - Ha ragione Sara dai. Grazie per volerci coinvolgere ma devi renderti conto che tu parli e tu fai la trasmissione. Noi possiamo aiutarti, ma siamo comunque dietro le quinte...tu metti la voce, le idee, esprimi i tuoi pensieri e io ti aiuto solo a mandarli in onda. - Come fai a dire solo? Sei importante quanto lo sono io e da oggi Sara fa parte di Night Mood, quindi voglio chiudere qui la discussione e non accetto più che voi diciate queste cose. Da oggi siamo in tre e lavoriamo insieme per migliorare ogni puntata. Sono ben accette idee nuove e consigli utili, e da qui in poi qualsiasi cosa verrà discussa insieme come stiamo facendo ora. Spero che sia ben chiaro perché ribadisco che, in questa stanza, nessuno di noi ha più importanza di un altro. Dissi queste parole con un tono di voce abbastanza serio che non dava loro modo di replicare. Non volevo fare la parte dello speaker che se la tira e che vuole persone che lavorano per lui, cercavo di costruire una squadra che potesse lavorare ogni giorno per concretizzare i pensieri e le idee di cui si discuteva prima, e dopo la diretta. Penso che solo in questo modo avremmo potuto ottenere risultati migliori. Fino adesso in radio esistevano gli speaker, i registi e i collaboratori che seguivano la parte burocratica. Nessun programma era fatto da tre persone che contrubuivano attivamente alla messa in onda, e io ero orgoglioso di poter iniziare questa nuova esperienza sicuro del fatto che avrebbe avuto successo. - Dai iniziamo a pensare come scegliere gli ascoltatori. Potremmo fare delle
domande in diretta e il primo che risponde correttamente viene ospite con un suo amico. - Potremmo mettere un disco e chiedere il titolo esatto, così il primo che vince viene a trovarci. - Sì qualcosa di simile. Tu Sara cosa dici? - E' un ottimo modo per attirare l’attenzione degli ascoltatori. Da quando volete cominciare con questa novità? - Direi che una volta che organizziamo bene le idee possiamo iniziare a parlarne in radio, vedere come rispondono gli ascoltatori e da lì capire quanti ospiti invitare ogni settimana. - Allora parlane già stanotte, tanto mi sembra che sia tutto chiaro. - disse Sara in modo molto convinto. - Ci sto. Dopo lo dico in diretta e già domani prepariamo un disco per questo gioco. Non qualcosa di sconosciuto altrimenti nessuno indovinerà. - Scegliamo qualcosa che sta andando in questo momento...ne mettiamo un pezzo e vediamo se può bastare o dobbiamo suonarlo di nuovo - replicò sco che interveniva ogni dieci minuti circa perché per il resto del tempo era con noi fisicamente ma la sua mente viaggiava chissà dove, forse sul corpo di Sara che non era niente male. Il viso era normalissimo, di quelli che quando li vedi non ti colpiscono particolarmente, e alcuni giorni ti sembrano belli perché ti sforzi di trovare del bello in loro mentre altri li guardi e ti vergogni d’aver fantasticato su una sua espressione nel momento dell’orgasmo. Aveva i capelli castani lisci che le facevano un viso molto magro e un po’ allungato, l’espressione sempre tra il sorridente e il serio e spesso non capivi se ti sorrideva per gentilezza o per prenderti per il culo, un fisico magro e minuto ma con due belle tette sode. Almeno così sembrava a guardarle dalla camicetta. Il culo era piccolo, giusto per la sua statura ma sicuramente non potevi toccare chissà che. Diciamo che con lei ti soffermavi sopra senza badare troppo al lato b. Io la vedevo come collega di lavoro e vista l’ultima esperienza con Laura mi ero
promesso che non avrei più avuto storie con persone all’interno della radio. Se l’avessi incontrata fuori, magari dopo un paio di birre, avrei potuto giurarle amore per tutto il tempo in cui i nostri due corpi si trovavano nudi uno sopra l’altro, però finito l’amplesso sarei tornato alla musica e alla birra. sco invece se ne fregava se lavorava insieme a lei. Per lui l’importante era portarsela a letto come faceva con la maggior parte delle ragazze che conosceva. Non esitevano quelle belle e quelle brutte, esistevano quelle che lui si scopava e quelle che lui avrebbe voluto scoparsi, praticamente il 90% della popolazione femminile di questo mondo. - Allora sei vivo caro amico? Eri lì seduto senza dire nulla? - Certo che ci sono e sto ascoltando attentamente. Sai che non parlo molto. - Ok allora stanotte anticipiamo tutto e domani facciamo la prima prova. La notte stessa dissi in radio tutto quello che avremmo fatto già dal giorno successivo, e gli ascoltatori risposero entusiasti perché avevano la curiosità di vedere uno studio radiofonico dal vivo. Con sco decidemmo di mettere l’inizio di “Tieni il tempo” degli 883, lasciarla suonare una decina di secondi e poi aspettare il più veloce per invitarlo in radio. Scegliemmo un disco italiano per agevolare gli ascoltatori. Il giorno dopo eravamo tutti e tre molto contenti ed emozionati per questo esperimento, non tanto per la chiamata in diretta alla quale ormai eravamo abituati, ma per il seguito che questa chiamata avrebbe portato. - Pronto come ti chiami? - Sono Elisa. - Ciao Elisa benvenuta all’interno di Night Mood. Sei stata la più veloce e sentiamo se indovini il titolo della canzone. - Dovrebbe essere Tieni il tempo degli 883.
- Senza il dovrebbe perché è proprio quella...hai vinto la possibilità di venire a trovarci in studio la settimana prossima. Con chi verrai? - Verrò con mio marito che mi ha dato una mano a rispondere. - Come si chiama? - Michele. - Va bene, allora adesso mettiti d’accordo con Sara e settimana prossima tu e Michele sarete i primi ospiti di Radio Sound per assistere a Night Mood. Ti aspettiamo, buona notte. - Buona notte anche a te Luke. Appena dopo la chiamata andai in regia da sco e Sara e decidemmo subito di invitare gli ascoltatori il lunedì notte, cioè la seconda puntata della settimana. Da quel giorno in poi iniziammo ad avere due persone fisse ogni volta, e devo ammettere che fu parecchio divertente. Tra un disco e l’altro si chiacchierava spesso con chi era venuto a trovarci, qualcuno poi aveva il coraggio di intervenire in diretta mentre la maggior parte se ne stava in regia affascinato e stupito dal mondo che io tanto amavo. Avevamo preso un buon ritmo e devo dire che quest’idea mi piaceva parecchio.
Come stai?
Caro amico come stai? Te lo chiedo anche se non puoi darmi una risposta. E' domenica mattina, piove, fa un po’ freddo e questa sembrerebbe la giornata perfetta per stare sotto il piumone, guardare film, ascoltare musica e fare l’amore fino a farsi male. Io per adesso ascolto musica. E' difficilissimo scegliere il disco della domenica, almeno quando la tua settimana lavorativa ti concede solo questo giorno di relax. Per me non è così perché non lavorando più riesco a svegliarmi quasi sempre come se fosse domenica. In realtà anche quando lavoravo non avevo grossi problemi perché l’amore per la radio era talmente forte che mi svegliavo pensando alla diretta e focalizzando la mia attenzione quasi solo sulla puntata. Per i lavoratori veri la domenica è quella mattina senza sveglia, dove il tempo si dilata per fare quello che non riesci a fare durante gli altri giorni e la scelta del disco è fondamentale. Oggi sto ascoltando il primo dei The XX, una band inglese che produce musica che non saprei nemmeno definire. Forse elettronica lenta, ma non ne sono sicuro. Ho scelto il primo disco e non il secondo, uscito da pochi giorni, perché lo trovo più diurno rispetto a quello nuovo che invece crea magiche atmosfere notturne, però poco adatte al momento del risveglio. I loro pezzi hanno un beat lento sopra il quale appoggiano note di chitarra e altri strumenti, accompagnandoli con una voce femminile delicata.
Volevo solo proporti questo disco e condividerlo con te. Buona domenica.
Mi sono preso una pausa.
Caro diario mi sono preso una pausa dalle pulizie domestiche. Non mi sono mai pesate, non ho mai voluto prendere una donna delle pulizie che pulisse casa mia anche se avrei potuto permettermela, ma non so per quale motivo non mi piace l’idea che una persona entri in casa mia, nella mia intimità, e si metta a toccare, spostare, guardare e pulire cose non sue. Ho sempre preferito prendere scopa e straccio e fare da me. Di solito alzo la musica ad un livello sufficiente per sentirla anche quando l’aspirapolvere è , e oggi ho messo un disco di una band inglese chiamata Hidden Orchestra. La definisco musica riflessiva perché ascoltandola puoi fare quei viaggi mentali che solo alcuni brani sono in grado di farti fare. Mi piace ascoltare questi dischi in religioso silenzio, sdraiato sul divano e sorseggiando qualcosa da gustare tanto quanto la musica che mi accompagna. Oggi l’ho messo anche se lo sto sentendo in condizioni diverse, con i rumori degli elettrodomestici e non con la giusta attenzione, però ogni tanto riesco comunque a percepire alcuni suoni che mi rendono felice senza nessun motivo particolare, ma semplicemente perché mi faccio trasportare da questo insieme di note comunemente definito musica. Buona giornata amico caro. Gianluca.
Difficile
Arrivai in radio nel tardo pomeriggio, come ogni giorno, per preparare la scaletta e poi cenare con sco prima di andare in diretta. Sulle scale dell’edificio, che portavano agli studi della radio, incontrai Laura che scendeva di fretta con un’aria molto arrabbiata come se avesse appena finito di litigare. Nella foga dello scendere più scalini per volta mi toccò con la spalla, e guardandomi senza però fermarsi, mi disse - L’ho sempre detto che questa radio è piena di coglioni e tu non sei da meno di quelli che stanno al piano di sopra. Vai, sali che i tuoi amici teste di cazzo ti aspettano. Non dissi nulla anche perché non capii come mai mi apostrofò in quel modo. E' vero che tra di noi non c’erano buoni rapporti, ma così mi sembrava un po' eccessivo visto che non ci parlavamo da parecchio tempo e non aveva alcun senso ricevere tutti quegli insulti. Quando fu sull’uscio della porta si fermò e guardandomi mi disse - Come al solito non dici niente perché sei sempre stato uno senza le palle e che preferisce star zitto piuttosto che dire la sua. Sei una merda e lo sei stato anche quando...vabbè lasciamo perdere e corri di sopra che Luke deve fare il figo in onda mettendo canzoni che solo lui conosce. Disse questa frase con una voce ironica e prendendomi palesemente per il culo. Rimasi immobile ed in silenzio per qualche secondo, giusto il tempo necessario per capire che l’ultima volta che parlavo con lei non potevo lasciare il discorso in sospeso. Corsi velocemente giù dalle scale e la inseguii fino a raggiungerla prendendola per un braccio.
- Eh no cara mia, non ci sto. Che cazzo vuoi da me? Cosa ti succede oggi? Sei più lunatica del solito? Sei tu che sei sparita dalla mia vita senza nessun motivo, anzi avevi paura che Sergio scoprisse che ti facevi scopare pure da me e hai temuto per il tuo posto di lavoro. Sai benissimo che io avrei voluto continuare la nostra storia e se sono stato zitto l’ho fatto per rispettare la tua scelta. E a questo punto non so se ho fatto bene, tanto io il lavoro non l’avrei sicuramente perso. - Sei sempre stato bravo a parole, il migliore che abbia conosciuto. Peccato che i fatti non corrispondevano mai a quello che dicevi. - Ma che cazzo dici? Ma sei totalmente impazzita? Chi voleva che quella notte tu rimanessi a dormire da me? Chi voleva che io e te uscissimo insieme come fanno due persone normali? Chi ha deciso di chiamare il taxi dicendomi di non farmi più vivo? Chi mi ha chiamato a casa di notte minacciandomi e dicendomi di stare attento perché avrei potuto perdere il lavoro? Sono stato io o forse ti fa comodo pensare che tu non abbia colpe così da scaricare tutto sugli altri? Hai sempre giocato con i sentimenti delle persone facendo la gatta morta, arrivando al punto di far credere a chiunque che con te era una cosa facile...poi ti irrigidivi, diventavi stronza e ti chiudevi in te stessa dando del coglione al lui di turno dicendo che si era illuso inutilmente. Ora sei da sola ed è quello che ti meriti perché hai sprecato troppe occasioni, e se finalmente uno di quelli che hai sempre preso in giro ti ha mandato a fare in culo, non posso dire che abbia fatto una cosa sbagliata. Ero furioso ma allo stesso tempo molto lucido e preciso nel dirle le cose. Il suo sguardo si abbassava e non aveva più il coraggio di guardarmi negli occhi perché sapeva benissimo che stavo dicendo la verità e che colpivo il suo orgoglio. Ad un certo punto si mise a piangere e io alzai lo sguardo al cielo senza sapere cosa fare, se abbracciarla o lasciarla in quello stato.Mi aveva fatto molto male e forse avrei dovuto abbandonarla al suo destino fottendomene e tornando in radio per lavorare sulla puntata. Sapevo che comunque non avrei potuto pensare alla musica perché in testa avevo il suo sguardo e le sue parole, quindi in ogni caso mi sarei fatto prima un paio di birrette per calmare l’agitazione che questa discussione aveva suscitato in me. Si avvicinò, appoggiò la fronte alla mia spalla e scoppiò in un pianto liberatorio.
In quel momento capii che era una persona mentalmente instabile, che nascondeva la sua debolezza dietro un apparente scudo di coraggio e superiorità, ma che in realtà soffriva la solitudine ed era spesso in conflitto con se stessa. Mi dispiaceva molto perché era una donna intelligente, affascinante e che non aveva nessun problema a relazionarsi con gli altri. Almeno questa era l’idea che un esterno si faceva vedendola senza conoscerla. Purtroppo era tutta una maschera e ciò non giocava a suo favore anche perché non era in grado di dare spiegazioni e preferiva fuggire lasciandoti quei dubbi, e quell’amaro in bocca, che non ti facevano dormire. Era bravissima a rigirare la frittata in maniera molto furba facendoti are per colpevole anche quando in realtà eri solo la vittima del suo gioco meschino. E io ne sapevo qualcosa. Non sapevo cosa fare ma in automatico la abbracciai e avvicinai la mia testa al suo viso. Sentii il suo profumo, quello che mi mancava da troppo tempo e che risvegliò in me ogni desiderio di possederla di nuovo, anche solo per una volta, per respirare l’odore di donna che solo lei sapeva emanare. Scoppiò in lacrime e mi abbracciò forte e io cercai comunque di darle un po' di conforto. Avevo una lotta interiore che da un lato mi diceva di consolarla e dall’altro di lasciarla in mezzo alla strada, però vinse la prima e le dissi anche qualche parola meno cattiva rispetto a quelle che avevo pronunciato pochi istanti fa. Ad un certo punto si staccò da me, si asciugò le lacrime e singhiozzando, sempre tenendo lo sguardo basso, mi disse - Perché fai questo? Perché non te ne vai in radio lasciandomi sola e mandandomi a fare in culo? Dopo tutto quello che ti ho fatto sei ancora qui ad abbracciarmi e consolarmi in questo momento di crisi? Sembro una pazza isterica che cambia idea ogni cinque minuti e tu ancora mi ascolti? - Togli pure il “sembro”, sei una pazza isterica ma comunque sei una persona alla quale ho voluto molto bene e per me non è facile tagliare ogni rapporto semplicemente con un vaffanculo. Non ci riesco e forse non lo voglio nemmeno
fare. Penso spesso a quella sera e rimpiango di non aver fatto l’amore altre volte con te, ma soprattutto mi spiace non aver mai affrontato il discorso perché la tua ostilità nei miei confronti era impressionante. - Hai ragione ma Sergio iniziava a sospettare di noi e ho preferito tagliare ogni rapporto. - Non sapevo nemmeno che tu andavi con lui, me l’ha detto una volta sco e sono rimasto basito. Quella notizia fu un fulmine a ciel sereno. - Purtroppo in radio qualcuno deve averci visto uscire dal bagno insieme e deve averlo detto a Sergio. Io ho sempre negato tutto ma lui aveva capito che un fondo di verità c’era. - A me non ha mai detto nulla. - Ovvio perché a lui non fregava se tu scoi una o l’altra, a lui interessava che io fossi solo la sua amante. Mai se la sarebbe presa con te e poi sei importante per la radio quindi prima di lasciarti a casa ci avrebbe pensato mille volte. Io da oggi non ho più lavoro anche se pensavo di mollare Radio Sound a fine anno. - Come non lavori più? - Non preoccuparti te lo spiegheranno quando salirai. Prima, mentre ti insultavo sulle scale, dentro di me speravo tanto che tu prendessi l’iniziativa di rispondermi e di fare quello che hai fatto. Grazie perché mi hai dimostrato di essere intelligente e che in fondo un pochino, ci tieni a me. - Ce ne hai messo di tempo a capirlo. Io ci tenevo a te, ma purtroppo non mi hai dato la possibilità di dimostrartelo. Non si trattava di scopare solo nel bagno, tu mi piacevi come persona e mi prendevi mentalmente. E poi dopo quella notte ho capito che con te sarei stato felice perché hai scopato come forse nessun’altra aveva mai fatto. Profumavi di sesso, di ormoni e soprattutto di donna, e mentre prima eravamo abbracciati ho respirato di nuovo quel profumo capendo che è difficile dimenticarti. Sei donna e non lo sottovalutare. - Grazie delle belle parole anche se non so come fai a parlare così di me dopo quello che ti ho fatto. Non penso di meritarmelo e sappi che è stato difficile comportarmi in quel modo. Non volevo farlo ma sono stata obbligata per allontanare ogni dubbio. Volevo che la gente pensasse che tu mi fossi proprio
antipatico ma in realtà, mentre ti trattavo di merda, dentro di me mi rodeva il fegato dalla rabbia. Ho pensato d’aspettarti di notte fuori casa tua e chiederti scusa per la situazione, saltarti addosso e finire nel tuo letto a giocare a fare l’amore con te, però avevo sempre paura che qualcuno ci potesse vedere e che ciò avrebbe creato grossi problemi con Sergio. Ho ato notti ad ascoltarti, eccitandomi sentendo la tua voce e ripercorrendo quello che c’è stato tra di noi, e ogni volta che finivi mi preparavo per uscire e venire a casa tua. Mi sono trovata spesso vestita, con la borsa sotto braccio e le chiavi di casa nella serratura della porta che facevano mezzo giro e poi tornavano indietro, ma alla fine tornavo in casa lasciandomi abbandonare in pensieri che mi tormentavano fino all’indomani. Ascoltai tutto silenziosamente e quella fu la mia piccola rinvincita. Non che la cosa mi aveva reso felice però avevo capito che in fondo il problema era solo suo, o meglio del posto di lavoro in bilico per una storia di sesso che secondo me poteva sfociare in una bellissima storia d’amore. Se da una parte ero stato contento per le sue parole, dall’altra fui assalito dalla malinconia per tutto il tempo perso e che forse mai avrei recuperato. Pensai subito a quante volte avrei potuto fare l’amore con lei, quanti momenti magici avremmo potuto condividere insieme, quante risate, cene, film, canzoni...insomma quanta vita ata e momenti belli non condivisi per degli stupidi motivi. Perché sono sicuro che se lei me ne avesse parlato, avremmo potuto trovare una soluzione. Eravamo in piedi, uno di fronte all’altro e ci fu un attimo di silenzio e di imbarazzo. Avrei voluto baciarla e fare l’amore fino all’esaurimento delle nostre forze ma non sapevo se dirle qualcosa a riguardo o no. Mi sentivo uno stupido perché in quel momento avevo paura di perderla ma, guardando la realtà, lei non era mai stata mia se non per poche ore e non capivo perché ero così agitato al pensiero che da un momento all’altro potesse finire tutto. Alzò la testa, aveva gli occhi rossi, gonfi, pieni di lacrime e in quell’essere donna fragile io persi il mio sguardo nel suo viso e non esitai a baciarla. Fu un bacio inaspettato da parte di entrambi ma dopo qualche secondo la ione fu talmente forte che quel bacio disse silenziosamente più di mille parole urlate a squarciagola. Non so quantificare la durata ma avrei potuto continuare per ore, e la cosa strana
è che non mi era mai capitato di baciare una donna senza sfiorarle le parti intime con le mani. Le accarezzai il viso e i capelli, e il rumore di quell’effusione fu la miglior colonna sonora del momento. Non so per quale motivo ci staccammo, ma rimanemmo ad occhi chiusi con le fronti appoggiate l’un l’altra e i nasi che respiravano il profumo altrui. Era di nuovo tra le mie braccia e avrei voluto rimanesse lì per sempre. - Stiamo bene insieme - mi sussurrò nell’orecchio. - Te lo dicevo ma tu non volevi sentir ragione. - Adesso sai il perché e sai pure che avrei voluto. - Possiamo sempre recuperare il tempo perso. Ora che sappiamo che tutti e due desideriamo la stessa cosa non vedo perché non possiamo almeno provarci. - Non saprei. E se ci vedesse Sergio? Se lo venisse a scoprire? - Non preoccuparti e anche se fosse io non avrei nessun problema. Tu sei libera e matura di fare quello che vuoi, con chi vuoi, e senza render conto al tuo datore di lavoro. Poi adesso lui non conta più nulla per te. E' la tua vita e vivila al meglio. Appoggiò il viso alla mia spalla e sentii il suo respiro sul collo. Fu un momento molto erotico anche se eravamo sul marciapiedie davanti agli occhi indiscreti della gente. - Ho voglia di fare l’amore con te - le dissi a bassa voce nell’orecchio. Lei fece un sorriso e non rispose, almeno non subito perché dopo qualche secondo mi disse - Io ho voglia di giocare con te. E poi di fare l’amore come abbiamo fatto quella volta a casa tua. Parlavamo piano scandendo ogni parola e mettendo ogni sintomo d’emozione in quello che dicevamo. Le parlavo appoggiando le mie labbra sulla pelle, sulle orecchie, sulle guance e ad ogni parola mi fermavo per darle un bacio, sentire il suo respiro diventare affannoso e la sua voglia aumentare ogni istante che avamo abbracciati in
quel modo. Lei rispondeva baciandomi il collo in modo molto sensuale e stringendomi sempre più forte. - Come facciamo? Tu devi lavorare e poi hai pure la diretta, anzi sei già in ritardo perché sco ti starà aspettando. - Non preoccuparti, posso salire un attimo, dirgli che ho un impegno e che arrivo verso le undici, giusto un’ora prima di andare in onda. - Non mi sembra una buona idea. Magari poi sospettano di noi visto che il portinaio ha assistito alla scena e non mancherà di riferire tutto a chiunque. - Non mi interessa, ormai sei libera e puoi fare quello che vuoi. Io non ho problemi perché non penso di rischiare nulla se esco con una ragazza che lavora, anzi lavorava con me. - Sergio sarebbe capace di lasciarti a casa anche se ti ritiene fondamentale. - Non credo lo farebbe mai. E poi posso sempre sputtanarlo con la moglie. Anzi perché tu non l’hai fatto? - Sono sicura che lei sia a conoscenza di tutto ma a me non interessa mettere in cattiva luce nessuno. Mi ha lasciato a casa per una questione lavorativa e non certo per gelosie sessuali, visto che con lui si trattava solo di questo. Le strinsi il viso tra le mani e in quel momeno l’avrei mangiata di baci. - Senti io ora salgo, cerco sco e gli dico che arrivo tardi. Tu aspettami qui e poi andiamo da me. Ci stai? Rispose di sì con la testa e i suoi occhi si riempirono di luce nonostante le lacrime. La baciai per qualche secondo e le diedi una carezza prima di correre velocemente in radio per avvisare Fra. Feci le scale saltando quattro gradini per volta e appena entrato andai subito in studio - Ciao Fra, scusa il ritardo ma ho un impegno improvviso e stasera
arriverò poco prima della diretta. Scegli tu qualche canzone, tanto sai cosa mi piace. Perdonami ma oggi va così. Pronunciai queste ultime parole mentre stavo già tornando giù e non sentii nemmeno la sua risposta. Arrivai in strada con il cuore che batteva all’impazzata e l’irrefrenabile voglia di baciarla ovunque. Il marciapiede era vuoto, anzi era pieno di gente che camminava ma lei non c’era. Rimasi immobile come se avessi visto chissà cosa. Gli occhi erano sbarrati e il mio corpo mandava segnali di rassegnazione verso quello che era il mondo esterno. Non sapevo cosa pensare, cosa fare o con chi parlarne. Non l’avrei fatto con nessuno perché era un mio segreto e tale sarebbe rimasto, e poi mai sarei riuscito a spiegare cosa significò poterla riassaporare anche solo per pochi istanti. Mi crollò tutto addosso e non capii perché lei cambiò di nuovo idea. Forse ero stato troppo precipitoso, forse avrei dovuto lasciarle più tempo per pensare, ma in quei pochi istanti anche lei mi sembrava sulla mia stessa linea d’onda e per questo mi ero lanciato senza nemmeno pensarci troppo. Ero distrutto moralmente anche perché per la seconda volta mi aveva sedotto e poi abbandonato, e questa volta fu quella definitiva. Pensai di andare a casa sua o di chiamarla per chiederle come mai avesse cambiato idea in cinque minuti, ma ciò non avrebbe portato a nulla. Avevo pensieri contrastanti che mi dicevano di inseguirla per dimostrarle che veramente valeva qualcosa per me, e ne avevo altri che mi ripetevano di rispettare la sua scelta e lasciarla in pace. Ormai sapeva cosa provavo per lei e penso che un o nei miei confronti avrebbe potuto farlo.
Mi abbandonai al tormento di mille perché e lasciai che la sua scelta fosse quella giusta per lei. Solo per lei.
Buon ascolto.
Caro diario, sto ascoltando il rumore del silenzio.
Buon ascolto anche a te.
E' un periodo.
Caro diario, è un periodo nel quale sto comprando parecchi dischi nuovi e faccio fatica a trovare spazio in casa perché non so veramente più dove metterli. E' ora che inizi a pensare come fare se partirò per quel viaggio di cui ti ho tanto parlato. Non so se lasciarli qui o metterli in uno scatolone così, se affitterò casa, non avrò problemi che qualcuno me li possa danneggiare. Affittare casa è strano, nel senso che non mi fido e non concedo facilmente i miei spazi. Non mi è mai capitato di lasciarla in mano a qualcun altro, a meno che questo non fosse un amico fidato, e sinceramente non so se lo farei nonostante il profitto mensile. Mi spiace pure chiudere tutto per un tempo non ben determinato. Ci devo riflettere, ma prima di pensare a questo è bene che io sia convinto di mollare e partire come fanno i ragazzi di vent’anni. Non mi spaventa l’idea, e soprattutto non avendo mai fatto una famiglia mia non ho grossi problemi affettivi, però è un o importante sul quale sto riflettendo da parecchi mesi. Tornando alla musica ascolto pezzi che mi aiutano a pensare, come il nuovo dei Submotion Orchestra che si intitola Fragments. Non so dire a che genere appartenga la loro musica, per me è bellissima specialmente se ascoltata di sera o di notte. Ora me la godo un pochino prima di andare a dormire. Buona notte amico mio.
Lenta ripresa
Furono mesi difficili quelli che seguirono il distacco definitivo da Laura. Non eravamo una coppia e soprattutto non avevamo mai avuto una storia, però io negavo a me stesso il fatto che mi sarebbe piaciuto stare con lei e che, quindi, soffrivo quando non la vedevo. Da quella famosa sera fino a quell’ultimo abbraccio fuori dalla radio, il tempo aveva fatto la sua parte, ma nonostante ciò il suo solo riavvicinarsi provocò in me le stesse sensazioni che provai in camera da letto con lei. Questo significava che la mia mente l’aveva dimenticata, ma il mio cuore era ancora ferito dal suo comportamento. Bastarono pochi minuti per rivivere un’esplosione di sentimenti, ma parecchi mesi per tornare a sorridere come se niente fosse. All’inizio caddi nell’oblio dando la colpa alla monotonia delle mie giornate, al fatto che non viaggiassi mai e che non avessi una vita sentimentale stabile. Parlavo di tutto ciò con sco e lui mi riportava sulla giusta strada dicendomi di smetterla di farmi seghe mentali. Era un amico, il mio migliore amico, e il suo aiuto fu fondamentale per aiutarmi ad uscire da tutto ciò. Non gli dissi mai cosa mi turbava così tanto e cercai di non parlare di Laura in radio per non rischiare di lasciarmi sfuggire qualcosa. Ci volle tempo e rassegnazione perché solo così riuscii a dimenticarla quasi completamente. Non lo feci del tutto perché non volevo eliminarla dalla mia vita, in fondo era stata una ragazza importante che meritava comunque un posto nel mio cuore. Le riservai un angolino vicino a Valentina.
Qualche mese dopo scoprii che lavorava in una radio di Torino e cercai d’ascoltarla per risentire la sua voce, ma non riuscii a trovare la frequenza giusta. Meglio così, almeno non rischiai di cadere di nuovo nella malinconia. Per qualche mese feci il bravo ragazzo, infatti quasi sempre dopo la diretta andavo a casa cercando di addormentarmi ad un orario decente per svegliarmi la mattina e vivere di più con la luce del sole. Iniziai a bere di meno e a condurre una vita più sana, anche se con sco non fu facile perché mi faceva cadere in tentazione. Non andai a letto con nessuna per qualche mese perché avevo in mente Laura, e quello che volevo fare non era del semplice ed animalesco sesso. Avevo riassaporato il gioco dell’amore, ma all’ultimo mi fu tirato via lasciandomi quella voglia che difficilmente avrei soddisfatto con altre ragazze. Non avevo voglia di andare nei locali a bere e conoscere donne delle quali non ricordavo quasi mai il nome. sco continuava la sua vita imperterrito, uscendo quasi ogni sera e portando a casa molte ragazze con le quali poteva divertirsi fino al mattino. All’inizio tentava di convincermi fino a quando dicevo di sì perché non lo sopportavo più, ora mollava in partenza perché sapeva di sprecare le sue energie. Avevo solo bisogno di tempo e i mesi che ai tra me e me furono fondamentali per capire molte cose. Pensai molto alla vita, ai miei genitori, ad Antonio, ai miei amici d’infanzia, a quel coglione di Ciccio, alla radio...insomma pensai a tutte le persone che erano state più o meno importanti nella mia esistenza. Mi venne quasi voglia di tornare a casa di mia mamma, ma il pensiero di rivedere Valentina mi bloccò più volte. Stavo già soffrendo troppo per Laura e non sarebbe stata una buona idea sommare pure la sofferenza per un’altra ragazza.
ai molte giornate a riflettere sul futuro e a pensare al mio ato. Quante cose concluse e quante ancora da compiere. Sei o sette mesi, forse otto o nove per iniziare una lenta ripresa verso la normalità di una vita che apparteneva ad un giovane ragazzo di quasi quarant’anni.
Senza più emozioni
Erano più di dieci anni che trasmettevo di notte con sco e devo dire che nonostante i miei quarantacinque anni continuavo a divertirmi come le prime volte. La radio era cambiata perché la tecnologia ci dava una grossa mano e velocizzava molto il lavoro del regista. Gli studi erano stati rifatti e ce n’era uno abbastanza grande per ospitare qualche piccola band o un gruppo di ascoltatori che volevano assistere alle trasmissioni. Lo si usava soprattutto di giorno perché la notte era difficile far salire più persone in radio, però ogni tanto erano state fatte delle feste in diretta e, tra un parlato e l’altro, si chiacchierava, si mangiava e si beveva. Funzionava tutto alla grande. Avevamo cambiato giorni, infatti eravamo in onda da lunedì a venerdì e ogni tanto trasmettevamo anche il sabato e la domenica da alcune postazioni esterne. La radio si era attrezzata per fare le dirette lontane dagli studi di Milano così, una o due volte al mese, io, sco e Sara andavamo in trasferta per trasmettere dalle piazze d’Italia. Erano esperienze fantastiche perché potevamo stare in mezzo alla gente e conoscere gli ascoltatori, interagire con loro di persona e farci dare consigli su come migliorare la trasmissione. Ormai noi tre eravamo una squadra quasi perfetta e lavoravamo divertendoci senza nemmeno capire che il tempo ava e le ore scorrevano veloci come un batter di ciglia. Avevamo appena finito una diretta domenicale vicino a Milano, un centinaio di chilometri dal capoluogo, e stavamo tornando verso casa.
Io e Sara in macchina mentre sco con la sua inseparabile moto perché aveva un impegno e non poteva fermarsi dopo la trasmissione. Andammo dritti in radio per lasciare alcune cose che avevamo preso in prestito per l’esterna e trovammo Sergio nel corridoio. - Cosa fai qui? - mi venne spontaneo domandargli visto che era domenica e sarebbe stato più logico se avesse ato la giornata con la moglie. - Devo dirvi una cosa, però sedetevi ragazzi. Il tono non era dei più allegri e il suo viso sembrava molto preoccupato. Pensai subito che la radio aveva problemi economici e che lui non poteva più continuare ad sostenere le spese. - Si tratta di sco. - disse con una voce bassa e rassegnata. Guardai subito Sara con gli occhi sbarrati dal terrore e con il cuore che rimbombava persino nella mia testa. - E' successo qualcosa che non sappiamo? - E' stato picchiato ed ora è in ospedale. - Come picchiato? E da chi? - Non so molto, so che aveva dei debiti di gioco e qualcuno l’ha aspettato oggi, dopo la diretta, per fargliela pagare. Io rimasi esterrefatto senza sapere cosa dire o fare, guardai di nuovo Sara che aveva già gli occhi lucidi e non avrebbe retto ancora per molto quella tensione. - Come sta ora? - chiesi con voce preoccupata ma piena di speranza. - Non sta molto bene. E' svenuto per delle botte forti alla schiena, gli hanno rotto le gambe e stanno facendo accertamenti alla testa perché ha perso molto sangue. - Ma non è in pericolo di vita? Ci fu del silenzio, qualche secondo che sembrava infinito.
- No cazzo Sergio, dimmi che non è in pericolo di vita. Mi alzai in preda al panico e alla disperazione, diedi un calcio fortissimo alla sedia e strinsi le spalle di Sergio guardandolo fisso negli occhi. - Dimmi come sta. Voglio la verità. - Purtroppo non sappiamo ancora se riuscirà a sopravvivere, comunque andiamo in ospedale a parlare con i medici, perché al telefono non mi hanno detto quasi nulla. Salimmo in macchina, Sara pianse tutto il tragitto ma nessuno di noi tentò di consolarla perché non eravamo in grado di controllare i nostri pensieri così da non badare al pianto di una ragazza. C’era traffico, non fu facile arrivare in ospedale e purtroppo non riuscimmo a vederlo perché era in terapia intensiva. Tentai di parlare con il dottore ma non disse nulla perché non eravamo parenti di sco, e siccome era in prognosi riservata noi non potevamo esser messi al corrente della situazione. Parlammo coi suoi genitori anche se nessuno di noi li aveva mai incontrati. Sua mamma ci disse che il dottore non prevedeva nulla di buono visto che la colonna vertebrale era rotta in più parti e aveva subito delle lesione cerebrali. Secondo i medici non sarebbe mai più tornato a camminare, e molto probabilmente la sua memoria non avrebbe più funzionato come dovrebbe. Aveva perso molto sangue e rischiava di morire anche perché i suoi organi non gli garantivano più le funzioni vitali. Non ci volevo credere e in quel momento non sapevo cosa pensare. Ero sconvolto, senza parole, senza pensieri e con lo sguardo perso nel vuoto. Parlai un po’ con i suoi genitori ma anche loro purtroppo erano sotto choc. Non potevamo stare lì e gli infermieri ci chiesero gentilmente di abbandonare
l’ospedale e di tornare la mattina seguente. In ogni caso solo i parenti più stretti avevano la possibilità di vederlo dai vetri della stanza. Per noi che eravamo i suoi colleghi di lavoro e di vita non c’era questa possibilità. Uscimmo dall’ospedale e salimmo in macchina senza sapere dove andare. Nel pomeriggio ero andato in radio a piedi mentre Sara arrivò con i mezzi, ma questi erano i nostri ultimi pensieri e comunque Sergio ci avrebbe accompagnato in qualsiasi posto. Non era solo un direttore, quando voleva, sapeva anche essere un grande signore. Non disse nulla, avviò la macchina e ci portò al ristorante. - No Sergio ho lo stomaco chiuso, non mi va di mangiare. - Anch’io Sergio, sono troppo sconvolta e non penso di riuscire a mandar giù un boccone. - Dai ragazzi sono le nove di sera e avete lavorato anche oggi. Dovete sforzarvi di mangiare qualcosa anche perché digiunando non cambia nulla. Andiamo dentro e ordinate solo quello che vi va, però non potete non mangiare. Le sue parole furono come quelle di un genitore, molto dolci e affettuose e non ci fu bisogno di aggiungere altro perché da lì a poco eravamo tutti e tre seduti al tavolo del ristorante a mangiare, almeno a tentare di spizzicare qualcosa. Parlammo poco e nella mia mente continuavo a pensare ai momenti vissuti con sco. Le innumerevoli serate ate insieme, le notti a casa mia perché lui era troppo ubriaco, la sua paura del microfono, la sua agitazione prima della diretta ogni volta che qualcosa andava storto, il suo amore per la radio, il suo amore per la vita e la consapevolezza dell’esser stato baciato dalla dea fortuna. Mangiavamo e guardavamo il piatto tenendo la testa bassa e ad un certo punto Sergio disse: “ Cosa vuoi fare con la diretta domani?” Rimasi un attimo in silenzio e un po’ spiazzato perché non avevo ancora pensato
alla trasmissione visto che il mio pensiero era fisso sul mio amico bloccato nel letto d’ospedale. - Non saprei, non avevo ancora pensato alla diretta. - Lo so che il momento non è dei migliori, ma comunque bisogna pensarci. Se vuoi ti do un periodo di pausa e diciamo agli ascoltatori che Night Mood viene sospeso per motivi personali. - Non saprei. Sicuramente andare in onda così non è facile perché il pensiero va sempre a sco, e poi con un altro regista non so come possiamo fare. Ho bisogno di una persona che mi capisca al volo perché la trasmissione deve essere tutta d’un fiato, senza interruzioni, e in questo Fra era è il migliore. - Lo so, e poi avevate molto feeling e lo si percepiva anche da casa. Però ci sono dei registi bravi in radio. - Non è questione di bravura. Comunque per adesso non ci sto pensando. Sara cosa ne dici? - Io non penso di riuscire a trasmettere anche perché se invitiamo gli ospiti in studio non possiamo mentire, lo capirebbero dalle nostre facce. Non penso di poter fare quella allegra sapendo che uno dei miei migliori amici forse non sopravviverà. - Non dire così. Dai cerchiamo comunque d’essere positivi per lui. - Da quello che dicono i medici sarà quasi impossibile che a lui torni la memoria e che riesca a reggersi di nuovo sulle sue gambe. Mi spieghi come posso pensare di avere di nuovo il mio regista? E cerco di farlo nella maniera più positiva che esiste ma, credimi, proprio non ci riesco. - Lo so, e non dico che vi dovete illudere, però può anche darsi che i medici si sbaglino. Finché non sappiamo nulla è meglio non disperare. E poi ci sarà anche un’indagine della polizia per capire chi l’ha ridotto così e a quanto ammontavano i suoi debiti. Ma tu non ne sapevi nulla? - Figurati, e se lo avessi saputo l’avrei aiutato subito. Ma lui è fatto così. Sono sicuro che piuttosto che chiedermi aiuto ha rischiato altre volte, però questa gli è costata parecchio.
- Se ne avesse parlato con noi sicuramente qualcuno l’avrebbe aiutato. - Ma se non l’ha fatto ci deve per forza essere un motivo. Forse aveva troppi debiti e si vergognava a parlarne, o forse non aveva il coraggio di chiedere dei soldi in prestito. La serata continuò così, con mille ipotesi sul perché sco era stato picchiato brutalmente e su quante cose avremmo potuto fare noi per aiutarlo. Purtroppo erano tutti se e tutti ma, solo supposizioni che non portavano a nulla perché la realtà dei fatti era ben chiara, e il nostro amico rischiava la vita in un cazzo di letto d’ospedale.
Sono via.
Caro diario, sono via per il fine settimana o weekend che dir si voglia. Sono in montagna per vivere un po’ d’atmosfera natalizia, con la neve, le casette in legno e la gente che scia e si diverte. In questi posti mi sembra sempre che le persone vivano in vacanza, forse perché il paesaggio che offre la natura è simile a quello che vediamo sulle cartoline o sulle varie foto che rappresentano paesaggi da favola. Sicuramente poi anche gli abitanti di questi paesi hanno pensieri e problemi come nel resto del mondo, però sono convinto che l’esser cullati da un paesaggio simile è una fortuna incredibile. Io non scio anche se mi piacerebbe “surfare” sulla neve come fanno gli sciatori. Provo sempre un po’ d’invidia per quelli che sanno scendere così bene e sembrano in perfetta simbiosi con i loro sci. E poi questo è uno sport fantastico per chi ama la natura perché sei in mezzo a posti quasi immacolati e riesci a vedere lo stacco tra la neve e il cielo, il bianco e l’azzurro di un colore così intenso che ti tolgono il fiato ogni volta che ne assapori l’essenza. eggio e mi godo l’aria fina, mi siedo in qualche bar gustandomi un’ottima cioccolata calda e faccio il turista che cammina curiosando ogni vetrina e volendo comprare quasi tutto. In questo periodo sto ascoltando il nuovo disco di Xavier Rudd che si intitola Spirit Bird, e lo trovo veramente fantastico. Lui è uno che ama la sua terra, l’Australia, e assorbe tutte le energie positive che gli trasmette per poi trasformarle in note e rendere la sua musica unica. Suona parecchi strumenti e si è costruito una pedana sulla quale c’è una sedia al centro e tutto quello che suona sta attorno a lui, dai didjeridoo, alle chitarre, alla gran cassa, ai tamburelli e altri vari piccoli strumenti.
Consiglio a tutti di vederlo dal vivo perché è un’artista incredibile e il suo suono ti trasmette energia positiva e voglia di vivere. C’è un pezzo nel quale dice questa frase: “ Follow, follow the sun, and which way the wind blows, when this day is done. Breathe, breathe in the air, Set your intention, Dream with care. Tomorrow’s new day for everyone, a brand new moon and brand new sun.” In queste sue semplici parole puoi trovare tutto l’amore per la natura. E' incredibile quanto si possa rimanere senza fiato guardando uno splendido panorama, e trovare artisti come lui, Ben Harper o Jack Johnson che sono in grado di portare questa bellezza in musica. Tutto ciò mi fa sentire meglio ogni volta che decido di ascoltare un loro disco. Si potrebbe usare questo come terapia per le persone depresse, cioè far ascoltare loro bella musica che li aiuti a percepire la bellezza del mondo tramite delle semplici canzoni. Sono salito a 2400mt e ora mi sdraio a prendere il sole. Da qui posso sentire i raggi che mi scaldano il corpo e la musica che mi scalda l’anima, quindi mi immergo nei miei pensieri e ci rimango fino a quando mi va. A presto amico mio.
Mesi Difficili
Non fu affatto facile accettare l’esito del pestaggio ai danni di sco perché fu una botta alla quale nessuno di noi era preparato. Qualche mese dopo quella fatidica domenica, uscì dall’ospedale su una sedia a rotelle, e quella fu la sua nuova compagna di vita, per l’eternità. Non fu l’unica brutta notizia, infatti oltre all’essere invalido aveva perso la capacità di interloquire con le persone perché non riusciva a muovere in maniera coordinata i muscoli facciali. Nessuno di noi sapeva se lui capisse o meno. I medici erano convinti che lui recepiva le nostre voci senza però riconoscerle perché aveva perso la memoria. Appena uscito dall’ospedale tutti gli parlavamo come si parla ad un bambino e lui aveva lo sguardo fisso nel vuoto come se il corpo fosse con noi e la mente da un’altra parte. Un po’ speravo che con i pensieri potesse viaggiare lontano da quei momenti tristi, da quell’immagine raccapricciante di un corpo inerte che non aveva nulla a che vedere con il mio ricordo di sco. Mi sarebbe piaciuto pensare che lui e la sua fantasia erano in locali pieni di gente, con la birra, con le ragazze, con una moto, in radio...insomma in qualsiasi posto che lo rendesse felice pur di non saperlo bloccato per sempre in quella posizione senza nemmeno riuscire ad esprimersi. I genitori organizzarono una festa per il suo rientro a casa e fu la cosa più triste e squallida alla quale avessi mai partecipato. Mi spiace dirlo perché loro si impegnarono moltissimo, ma non c’era proprio nulla da festeggiare. Il suo rientro a casa non fu certo dei migliori e nessuno sapeva se lui capisse quello che gli stava succedendo attorno. Eravamo tutti intenti a festeggiare, a brindare, ad abbracciarci e fare finti sorrisi per un non so che, visto che il festeggiato era il primo che non poteva esprimere i suoi desideri, le sue emozioni, e non riusciva a trasmettere nulla se non dei fastidiosi ciondolii con la testa. Ad un certo punto la mamma lo portò in bagno per cambiarlo e noi rimanemmo in salotto con lo sguardo che faceva capire che nessuno di noi avrebbe voluto festeggiare quel momento. Tutti erano un po’ sul “ che cazzo facciamo qui a sorridere e bere
prosecco quando uno dei nostri migliori amici è in stato semi vegetativo”, però nessuno aveva il coraggio di dire nulla e la farsa continuò per un’oretta circa. Dissi a Sara che non ce la facevo più e che era arrivata l’ora di andarmene fuori di lì perché non potevo vedere Fra in quella situazione. Lei mi seguì e una volta salutati i genitori andammo in un bar per bere una birra e togliere dai nostri pensieri quei finti attimi di felicità. Ci sedemmo e rimanemmo lì per circa un’ora senza praticamente aprir bocca, sorseggiando la birra e senza incrociare gli sguardi perché nessuno sapeva cosa dire. Agli occhi esterni sembravamo due fidanzati dopo un litigio o due persone che non avevano molto da dirsi, in realtà potevamo esplodere di rabbia e sentimenti che metà bastavano per far crollare quel bar di merda in cui eravamo seduti. Ce ne andammo fuori di lì, ognuno per la sua strada sapendo che ci saremmo rivisti qualche ora dopo in radio. In questi mesi le dirette non erano state per niente facili e quella di questa notte sarebbe stata ancora più difficile. Il nuovo regista si chiamava Luigi, un ragazzo giovane che aveva la ione per la radio e che aveva fatto uno stage da noi prima d’essere assunto. Io e Sergio decidemmo di mettere un tecnico con poca esperienza, così avrei potuto indirizzarlo al meglio e fargli fare la regia come volevo io per cercare di non far capire agli ascoltatori che qualcosa era cambiato. Ovviamemte più persone ci chiesero come mai sco non era più dei nostri, però fui sempre bravo a nascondere il problema inventando scuse sempre nuove, finché, un giorno, dissi che aveva cambiato radio e città. Nessuno avrebbe potuto riconoscerlo in quelle condizioni, quindi non mi preoccupai che qualche ascoltatore, che era stato ospite in radio, potesse incrociarlo così da scoprire la cruda verità. Con Sara facemmo la promessa di andare a trovarlo una volta a settimana e la mantenemmo per due mesi circa.
Ogni volta la situazione era sempre più imbarazzante perché non era facile avere un colloquio con i genitori di sco che, nonostante fossero molto accoglienti e gentili, appartenevano ad un’altra generazione e le cose in comune con noi erano ben poche. Di solito ci sedevamo in salotto, ci offrivano da bere e portavano Fra sulla sedia vicino al divano. Lui ciondolava con la testa e guardava un punto fisso, non rispondeva ma soprattutto non sembrava nemmeno presente. Era come un soprammobile, anzi come una pianta che ogni tanto andava innaffiata per mantenerla in vita. Quella scena mi metteva l’ansia e il magone: infatti né io né Sara sapevamo cosa dire o come rivolgerci. Le prime volte provammo a fare due domande a sco ma l’esito fu ai limiti del ridicolo visto che lui nemmeno ci guardava e noi tenevamo il viso rivolto verso il suo con un sorriso di plastica e la sensazione di sentirci dei coglioni per quello che stavamo facendo. La cosa che più mi dava fastidio o mi creava mille domande alle quali non sapevo rispondere era che ogni volta i suoi genitori gli parlavano come se lui capisse o potesse rispondere, cercando di creare un colloquio tra me e il mio ex regista. Più di una volta sono stato vicino ad alzarmi e dire a sua mamma che non era il caso di chiedere a sco di salutarmi per non essere maleducato, perché la sua non era maleducazione ma soltanto incapacità di intendere e di volere, non era il caso di ripetere quello che dicevo guardando la faccia di suo figlio come se ogni suo minimo ciondolio corrispondesse ad una risposta, non era il caso di alzargli la mano e salutarci ogni volta che eravamo sull’uscio della porta dicendogli di ringraziare i suoi amici d’esser venuti a trovarlo. No cazzo, non era il caso di fare tutte queste cose perché lo rendevano ancora più malato di quanto non fosse e mi irritavano a tal punto che a lei avrei dato un pugno in faccia per poi chiederle di ringraziarmi d’esser andato a trovare suo figlio. Un giorno uscii da casa di so e dissi a Sara che quella era l’ultima volta per me, che da quel giorno in poi non l’avrei più rivisto perché non sarei riuscito a reggere quella situazione. Lei scoppiò a piangere, mi abbracciò, appoggiò la testa alla mia spalla e ci fermammo in quella posizione per qualche minuto, poi alzò lo sguardo e mi baciò. In un primo momento rimasi abbastanza immobile anche perché non me lo aspettavo, poi la baciai con ione senza però pensare di portarla a letto.
Dopo qualche minuto ci staccammo e in maniera molto candida mi disse che quello fu un bacio d’affetto e nulla più, che non ci sarebbe stato nessun seguito e che non si sarebbe ripetuto. Non risposi, la abbracciai e ci incamminammo verso la macchina abbracciati come due innamorati.
Così non va
arono circa due anni da quel terribile giorno in cui sco fu pestato e ridotto in quelle condizioni, e la vita continuò con alti e bassi. La trasmissione si riprese pian piano e l’anima del nostro regista era sempre con noi. Sapevamo che i suoi genitori accendevano la radio tutte le notti che noi eravamo in onda con la speranza che qualcosa potesse cambiare, ma in realtà non accadde mai nulla. Luigi se la cavava molto bene nonostante la poca esperienza e si era inserito perfettamente nel gruppo. Sara era la solita macchina, nel senso che sapeva gestire molte cose contemporaneamente e non si fermava un attimo. Io pensavo alla scaletta e alla parte parlata di Night Mood avendo assoluta libertà, visto che per Sergio ormai ero come un figlio acquisito. Tra me e Sara non ci fu più nulla dopo quel famoso bacio e lei fu veramente di parola nel dirmi che era solo un bacio d’affetto. Si fidanzò con un regista della radio e la cosa era abbastanza seria visto che pensavano ad una casa insieme, una famiglia con dei figli e un futuro più stabile del mio. Ogni giorno la stuzzicavo dicendole che prima o poi si sarebbe annoiata con un solo ragazzo e lei mi diceva che anch’io avrei trovato quella giusta che mi avrebbe fatto mettere la testa a posto. Nessuno dei due credeva alle rispettive parole: infatti ridevamo consapevoli che non fossimo convinti nemmeno noi di quello che dicevamo. Un pomeriggio arrivai in radio e trovai Sergio alla macchinetta del caffè che
parlava con Sara ed entrambi avevano un’aria molto triste. Mi avvicinai sapendo che da lì a qualche secondo pure io avrei potuto avere la stessa espressione e infatti fu proprio così perché mi dissero che sco era morto a causa dell’aggravarsi improvviso delle sue condizioni. Rimasi immobile per qualche secondo e dentro di me rividi tutti i momenti felici ati insieme a lui, quelli che mi ricordavo con amore fraterno, e non accennai nemmeno un secondo al suo ricordo in stato vegetativo. Guardai Sara e Sergio dicendo che per me Fra era morto due anni fa quando lo avevo visto condannato sulla sedia a rotelle per l’eternità, e che oggi era solo avvenuta la morte del corpo ma non quella dell’anima. Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato quel momento e non mi stupii più di tanto perché non sopportavo l’idea di vedere uno dei miei migliori amici, se non il mio migliore amico, in quello stato. Pure per me ci fu tristezza e amarezza per l’ingiustizia con la quale era stato pestato, la codardia di questi quattro stronzi che lo avevano ridotto in quelle condizioni. Per fortuna che giustizia fu fatta visto che una telecamera nascosta, di un negozio situato vicino al luogo del pestaggio, aveva ripreso il tutto aiutando la polizia a trovare questi delinquenti. Mi isolai in studio ascoltando un po’ di canzoni casuali senza nemmeno prestare troppa attenzione alla musica o alle parole finché, il caro e buon Vasco cantò : “...e ogni volta che cammino e mi sembra d’averti vicino...”. Mi soffermai sulle parole di questa canzone che avevo sentito centinaia di volte e mi accorsi che la sua bellezza era struggente e che il ricordo di sco era meno doloroso pensandolo su note così dolci. Aprii la puntata con “Ogni Volta” di Vasco Rossi e dedicai tutta la trasmissione a colui che aveva partecipato alla creazione di Night Mood. Fu una diretta speciale, senza interruzione e senza ascoltatori; soltanto io con le canzoni dedicate al mio grande amico, e tornai a fare radio un po’ come quando iniziai la mia avventura a radio Compa. Nel mezzo suonai “Friends will be friends” dei Queen e finii la puntata con “L’anno che verrà” di Lucio Dalla che iniziava con : “ Caro amico ti scrivo...”.
Chiusi il microfono su queste splendide parole e scoppiai in un pianto liberatorio. Sara venne in studio e mi abbracciò forte. - Non piango di dolore per la sua scomparsa, piango perché da due anni non condivido più momenti indimenticabili con lui. - Lo so ma non ci puoi fare niente. Oggi è morto e forse è meglio così perché vederlo in quello stato era frustrante. Una persona così esuberante bloccata dentro quel corpo scheletrico...e chissà se era in grado di capire oppure no, nessuno lo saprà mai. - Dobbiamo ricordarlo come lo abbiamo conosciuto, su una moto, dietro al mixer o con la sua amata birra. Non lo voglio dimenticare e adesso vado a bere qualcosa in suo onore. Vieni? - Certo, non lo devi nemmeno chiedere. Uscimmo a andammo nel primo bar vicino alla radio per bere qualche birra insieme e parlare della vita, dei momenti belli ati con Fra e di quello che sarebbe stato di lì a poco. - Ormai sono più di vent’anni che faccio la radio anche se alcune cose, anzi troppe cose, sono cambiate, non vedo più la ione negli occhi dei ragazzi che si avvicinano a questo mondo e non mi ci rivedo in loro. Faccio molta fatica ad accettare che la radio sia diventata un’azienda che pensa solo al guadagno, senza più curarsi della musica, delle capacità di chi ci lavora o della ione per il lavoro. Trovo che sia diventata meno romantica e meno affascinante, più paragonabile ad un qualsiasi lavoro. Tutto ciò mi fa tristezza e non so fino a quando riuscirò a trasmettere senza far finta di nulla. - Cosa intendi dire? Cosa vorresti fare? Non puoi mollare. - Non so se mollerò, però parlerò presto con Sergio e gli dirò esattamente quello che ho detto a te. Magari cambierò orario o trasmissione, però sono stanco di alcune situazioni che si sono create e che difficilmente concepisco. - Ma tu non puoi smettere perché in radio sei fondamentale. Tutti ti cercano e ti chiedono consigli, e poi sei uno degli speaker storici della città. Dai non puoi
svegliarti un giorno e pensare di lasciare tutto così come se niente fosse. - Infatti non mi sveglierò un giorno mollando tutto di colpo, sarà una decisione ponderata e presa con molta calma. Comunque penso che nessuno si taglierà le vene se Luke appenderà le cuffie al chiodo. Ci saranno altri speaker più bravi di me che faranno compagnia ai nottambuli. La conversazione continuò su questa falsariga per un’oretta circa e poi decidemmo di andare a casa a dormire visto che la giornata non era stata delle più facili. Il funerale di sco fu tre giorni dopo la sua morte e decisi di andare stando però lontano da tutti e senza farmi vedere da nessuno. Aspettai fuori dalla chiesa con una bottiglia di birra in mano. Ero un po’ nascosto per evitare i parenti e i colleghi della radio e mentre il feretro uscì, alzai leggermente la bottiglia verso il cielo facendo un brindisi al mio grandissimo amico. - Alla tua Fra. - E scoppiai in un lunghissimo pianto. Non andai al cimitero e nemmeno a casa dei genitori perché non volevo partecipare a questo dolore comune e preferii starmene da solo. Andai subito nel bar in cui avevo bevuto troppe birre con sco e mi sedetti al tavolo ordinando da bere a volontà. Uscii praticamente ubriaco, ma la vera ebrezza era data dal dolore e dalla malinconia, più che dall’alcol. Incontrai Sergio per strada che mi chiese come mai non ero presente al funerale. - Sono rimasto fuori dalla chiesa perché non mi andava. - Ti capisco, è stato parecchio struggente...specialmente sua mamma che si accasciava sulla bara e urlava di dolore. - Per fortuna che non ho visto la scena perché non so se avrei retto la situazione. - Io ho fatto un giro per respirare un po’ d’aria fresca perché ne avevo bisogno. Adesso vado in radio per distrarmi e per cercare di lavorare anche se sarà molto dura. Ci vediamo dopo?
- Non so, sinceramente pensavo di non andare in onda perché rischierei di fare un’altra puntata come quella dell’altro giorno, piena di canzoni che lo ricordano e che mi fanno venire il magone. - Fai come vuoi, ti capisco se preferisci saltare. Anzi prenditi una settimana di pausa e rilassati. Ti aspetto quando avrai smaltito la botta e sarai pronto per fare il tuo lavoro come solo tu sai fare. - Grazie Sergio, sei un amico non un titolare. Quando torno devo parlarti di alcune cose riguardo la trasmissione e la radio. - Ok, ora però non pensarci e goditi la pausa. Adesso avviso anche Sara perché pure lei ne ha bisogno. Ci abbracciammo come solo gli amici sanno fare, anche se tra me e lui c’era sempre stato un rapporto lavorativo sfociato in qualche serata e nulla più. Non avevamo mai legato come due amici veri però ci rispettavamo per il lavoro altrui. Tornai a casa meditando sul da farsi e sulle parole da usare con Sergio per dirgli che non volevo più trasmettere di notte. Feci qualche o, respirai un po’ d’aria a pieni polmoni e pensai che avrei riflettuto su queste cose il giorno in cui sarei tornato in radio. Ora era il momento della libertà mentale, e così fu.
Io abbastanza bene.
Caro diario, come stai? Io abbastanza bene e sto organizzando il mio viaggio. In realtà non ho ancora pensato ad una meta, però sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di partire e lasciare tutto e tutti per un po’. Il famoso anno sabbatico dei ragazzi ventenni io lo faccio alla mia età, e non è detto che sia solo un anno. Vedremo come mi troverò nei panni del backpacker e se viaggiare sarà uno stimolo importante per continuare a vedere e conoscere nuovi posti. Ho voglia di esplorare, voglia di parlare con persone che non conosco, voglia di vedere culture diverse, di assaggiare nuovi cibi, di ascoltare nuove canzoni, di capire come vivono alcune persone, di riavvicinarmi alla natura...ho voglia di vivere. Sono curioso ed è per questo che penso che la mia partenza sia imminente. Qualche settimana e via. Sono come un bambino pronto a scartare un gioco nuovo e non vede l’ora di provarlo. Per me è il gioco della vita, una nuova vita. Fino ad oggi sono stato molto fortunato perché ho sempre fatto il lavoro dei miei sogni, ho avuto molte ragazze, non mi sono mai rotto la schiena come i miei amici, ho fatto cose che altri non avrebbero potuto permettersi, però visto che ora ho più tempo libero non lo voglio sprecare ad osservare e criticare quello che fanno gli altri. Voglio vivere la mia vita in prima persona e per questo ho bisogno di nuovi stimoli. Mi emoziono semplicemente parlando o pensando a quello che mi aspetta, e non vedo l’ora di salire sul primo dei tanti aerei che prenderò. Forse farò una pausa anche da te, non lo so, ci devo pensare.
Per adesso ti saluto sulle note di Ventura Highway degli America che mi sembra la canzone perfetta da suonare sulle boulevard americane guidando una cabriolet anni ’70 tipo mustang. “...Ventura Highway In the sunshine Where the days are longer The nights are stronger than moon shine...”
Nuovo orario
Rimasi tutta la settimana a Milano perché non mi andava di spostarmi. La notizia della morte di sco mi aveva scosso parecchio, così preferii starmene tranquillo qualche giorno e vivermi le giornate senza nessun impegno. Non uscii di casa per tre giorni di fila perché non ne sentivo la necessità, non volevo incontrare nessuno e volevo evitare inutili sorrisi. Ascoltai molta musica, lessi parecchio, ai molto tempo ad oziare fissando il soffito e facendomi mille domande sulla vita. Avevo in testa tantissimi perché ai quali non sapevo dare nessuna risposta, e più mi sforzavo più i miei pensieri diventavano contorti e la mia mente entrava in un tunnel senza la minima via d’uscita. Sentii molta musica classica, molta musica elettronica con beat lenti e ripetitivi, e scoprii che avevano in comune la capacità di farti riflettere e viaggiare con la mente. Chiudevo gli occhi e ascoltavo mentre pensavo, rimuginavo pensieri contorti che non avevano filo logico o conclusione, sorseggiavo tè durante il giorno e birra verso sera mangiando in maniera confusa e casuale. Casa mia era diventata ben diversa da come ero abituato a tenerla, sempre in ordine e pulita e non mi andava di prendere la scopa o di pulire i mobili anche perché tutto ciò mi sembrava assolutamente senza senso. Pensavo solo che le persone alle quali ho voluto più bene nella mia vita non c’erano più. Tutto sommato i giorni arono in fretta e tornai in radio per parlare con Sergio. Avevo riflettuto anche sul fatto che senza nuovi stimoli non sarei mai riuscito a continuare, quindi pensai di proporgli una trasmissione mattutina.
- Ciao Sergio tutto bene? - Bene, abbiamo ripreso a pieno ritmo mantenendo comunque vivo il suo ricordo. Tu come stai? ata bene la settimana? - Sì dai, non ho fatto nulla di particolare perché non ne avevo voglia. - Mi dicevi qualche giorno fa che volevi parlarmi, dimmi pure senza problemi. - La prendo un po’ alla larga perché vorrei evitare di essere frainteso. Capisco benissimo che la radio è un’azienda e come tale deve portare a casa dei soldi per rimanere attiva, però ultimamente ho perso un po’ di fiducia nel mezzo che ho sempre amato e rispettato. Non mi ci rivedo più perché si pensa solo al guadagno e alla notorietà. A nessuno interessa conoscere la musica, parlare dei dischi o proporre qualcosa di nuovo, andare a scoprire novità e portarle in onda il giorno dopo. E' diventato tutto simile, ogni trasmissione mette sempre quelle canzoni che ti nauseano dopo sei ascolti giornalieri e soprattutto gli speaker non sono più in grado di fare gli esperti di musica. Tutto questo mi fa tristezza e credo che se continuerà così perderò ogni minima speranza. Ci fu una sua risata e non capii se mi prendeva per il culo oppure no. - Sai perché rido? Perché sapevo benissimo che prima o poi saresti venuto a farmi questo discorso. So che per te la radio è ione, amore, dedizione, musica e tutto quello che dovrebbe essere per coloro che indossano le cuffie e accendono un microfono, però purtroppo le cose cambiano e non puoi rimanere attaccato agli anni che furono. Tu hai avuto l’immensa capacità di adattare il tuo stile a quello dei giovani di adesso, non ti sei fossilizzato sull’impostazione della voce come si faceva negli anni ’80, però devi anche capire che per mandare avanti una radio servono tanti soldi, e i soldi li facciamo solo se abbiamo ascolti. Per avere ascolti dobbiamo trasmettere quello che piace alla gente, però noi come emittente vogliamo comunque mantenere delle trasmissioni, e la tua ne è l’esempio, che parlano di musica e trasmettono pezzi meno famosi. Per questo che amo Luke on the night e la sua Night Mood. - Tutto chiaro e sapevo benissimo che avresti risposto così. Ma il punto è che non riesco più a fare Night Mood perché non mi sento circondato da persone che vogliono fare questo lavoro per amore. Non so fino a quando riuscirò a
trasmettere. Non pensavo di smettere ma volevo chiederti di cambiare orario. Magari potrei fare la mattina, mettere qualche canzone che serve per fare soldi e qualche pezzo da far conoscere alla gente. Potremmo fare un misto, cosa ne pensi? - Penso che così mi incasini tutto. Non ero pronto ad un tuo cambiamento e non posso certo rimanere indifferente visto che tengo più a te che a tutti gli altri speaker assieme. Mi devi dare un po’ di tempo per pensarci perché adesso non riesco a darti una risposta. - Ok, facciamo che per questa stagione, visto che manca solo un mese alla fine, continuo di notte, però dal prossimo palinsesto mi metti al mattino e vedrai che non ti deluderò. - Lo so già che non lo farai, la questione è che devo spostare qualcuno di notte. Ci penso su questo mese e poi ne riparliamo. Uscii dal suo ufficio molto soddisfatto e convinto che mi avrebbe aiutato perché mi voleva bene come persona e teneva a me come speaker. Iniziai l’ultimo mese di Night Mood senza dire nulla a Sara, a Luigi e agli ascoltatori. Prima volevo essere sicuro di cambiare orario e poi parlare privatamente con loro. Qualche settimana dopo Sergio mi chiamò nel suo ufficio e mi diede la bella notizia. - Sei fortunato perché Sabrina ha deciso di cambiar radio e puoi prendere il suo posto la mattina. Ti metterò dalle dieci a mezzogiorno, però non potrò darti completa libertà musicale. Farai la scaletta con i ragazzi della programmazione musicale e ricordati che non parlerai ad un pubblico notturno. - Tranquillo vedrai che andrà tutto bene. Grazie mille della possibilità. - Non c’è di che, sei sempre il mio speaker preferito. - Mi sa che lo dici a tutti. - Sì ma sto attento a dirlo solo ad uno alla volta così da evitare gaffe in pubblico.
- Sei un paraculo. - E tu un uomo fortunato, sappilo. - Lo so. A presto. Chiusi la porta contento e andai da Sara e Luigi per comunicargli che avevo deciso di continuare a tenerli con me per andare in onda al mattino.
Quotidianità
Trasmettevo dalle dieci a mezzogiorno già da cinque anni e con il are del tempo capii che anche l’orario nuovo mi andava stretto. Mi divertivo, facevo delle belle chiacchierate con gli ascoltatori parlando di cose molto leggere, mettevo qualche pezzo che mi piaceva e tutto sommato avevo una vita più regolare rispetto a quando trasmettevo di notte, però ciò non bastava. Ogni giorno sentivo un peso che non mi sapevo spiegare. Amavo la radio, il microfono, le cuffie, andavo d’accordo con tutti ma avevo sempre un senso di vuoto, di uomo incompiuto e non so se tutto ciò era riconducibile al lavoro o alla vita privata. Uscivo con una donna da un paio d’anni e non ci stavo male anche se definirla una relazione era puro eufemismo. Facevamo più sesso che eggiate in centro o cene romantiche, ma a tutti e due andava bene così e nessuno si poneva il problema di ufficializzare la cosa. L’ho tradita più volte ma non mi sono mai sentito in colpa perché, non ritendola la mia fidanzata, credo di non aver fatto nulla di male, e poi sono convinto che anche lei sia uscita con altri maschi e ci sia andata a letto senza problemi. Non eravamo gelosi l’un l’altro e questa era la cosa che ci teneva uniti. Non la potevo definire solo trombamica perché avamo molto tempo a parlare, specialmente dopo aver fatto sesso e ci piaceva farlo di pomeriggio così da tirare sera sotto le coperte parlando di tutto, senza omettere nessun argomento. Era molto matura e non parlava mai a sproposito. Sapevo benissimo che in ogni momento uno dei due avrebbe potuto smettere di voler uscire con l’altro, ma non ci preoccupavamo perché vivevamo la giornata godendoci i nostri incontri come fosse sempre la prima volta. Ogni incontro era una piacevole scoperta del corpo e della mente altrui.
La mia vita sembrava quasi stabilizzata su due binari che l’avrebbero condotta verso un periodo sereno, ma non mi sentivo pronto per sedermi e lasciarmi guidare. Avevo ancora voglia di vivere, sentivo il fuoco ardere dentro di me e ogni giorno pensavo di mollare la radio, prendermi una pausa e poi partire per un viaggio. Avevo capito che il problema non era la diretta notturna, mattutina o tutte le stronzate che mi raccontavo per convincermi che in radio non c’era più ione. Non me ne fregava un cazzo dei giovani che trasmettevano per soldi o per notorietà, io facevo il mio e cinque minuti dopo la diretta ero già fuori dagli studi. Il problema era che la quotidianità mi uccideva, mi logorava e non avevo nessuno stimolo per continuare a vivere in quel modo. Negli anni ero riuscito a risparamiare una bella somma ed ero convinto che sarei riuscito a smettere di lavorare senza problemi. Avevo quasi cinquantacinque anni e non mi ritenevo né giovane né vecchio. Ero in una fase transitoria nella quale mi autoconvincevo che la soluzione migliore era quella di smettere di andare in onda e godermi la vita senza nessun impegno. Una mattina, dopo la diretta, andai a mangiare con Sergio e gli dissi tutto. - Ho deciso di smettere e credimi che nulla mi farà cambiare idea. Risparmiati la fatica perché finisco l’anno e mollo il colpo. Ho voglia di partire e in questi anni ho capito che qui mi sta tutto stretto. All’inizio avevo pensato che cambiando orario avrei risolto le cose, ma non è stato così, se non il primo anno. Pian piano tutto è tornato come prima e sono arrivato al punto che preferisco smettere e godermi la libertà. Ci fu un attimo di silenzio con un leggero imbarazzo. - Hai trovato un’altra radio? Ti pagano di più? Se è così dimmelo che rivediamo il contratto. - Ma cosa dici? Non ho trovato nessuno, voglio solo smettere perché penso che sia arrivato il momento giusto. Non mi sembra il caso di continuare a fare il finto giovane in onda risultando patetico. Lasciamo spazio ai ragazzi...se vuoi posso darti una mano nel trovare qualcuno ed insegnare qualcosa a quelli che hanno voglia, però per adesso ho bisogno di libertà. Magari tra un anno torno e ti
imploro di darmi una trasmissione serale, ma per adesso credimi che è la cosa migliore. Sergio rimase senza parole perché non si aspettava una mia decisione così netta. - Sei sicuro che non c’è proprio nulla che io possa fare per farti cambiare idea? - Nulla, credimi. Promettimi solo che se mi rendo conto d’aver fatto una cazzata mi darai la possibilità di trasmettere ogni tanto. - La radio per te sarà sempre aperta. Siamo arrivati dove siamo anche grazie a te. Non potrei mai chiuderti la porta alle spalle e dimenticarti. Sei sempre il mio preferito. - Ancora con questa frase del cazzo. Ormai non ci casco più. - Hai fatto bene a non cascarci fino adesso, ma oggi ci devi assolutamente credere. Continuammo a pranzare e parlare della mia scelta, di quello che avrei voluto fare e del perché avevo così bisogno di staccare da tutto. Non lo sapevo bene nemmeno io ma la sensazione era quella. Non volevo fermarmi e come spesso feci nella vita seguii il mio istinto. La libertà della vita mi stava a cuore e occupava i miei pensieri, dal primo all’ultimo respiro della giornata, e non avrei potuto reggere la situazione ancora per molto. Arrivò il giorno dell’ultima diretta e fui emozionato più di ogni altra volta. Sergio mi lasciò libera scelta sulla musica, come quando facevo Night Mood. Chiusi la carriera e la trasmissione con Canzone di Vasco Rossi perché quelle parole racchiudevano tutto il mio stato d’animo, e ascoltai il pezzo in cuffia ripensando alla mia vita, dalla prima diretta del sabato sera di Radio Compa a quella appena conclusa su Radio Sound. Fu così che Luke appese le cuffie al chiodo.
Finito il pezzo andai dai ragazzi della radio per salutarli e insieme stuzzicammo qualcosa innaffiandolo con dell’ottimo prosecco. Si sprecarono baci e abbracci e sembrava che dovessi partire per la guerra. Li rassicuravo dicendo che comunque sarei ato a trovarli anche perché non sarebbe stato facile staccare la spina per sempre. Lasciai Sergio per ultimo e andai nel suo ufficio per ringraziarlo di tutto, per la fiducia che mi aveva sempre dato e per la disponibilità che non era mai mancata. - Ci siamo, ormai è andata anche l’ultima. Prometto che verrò a trovarvi e ogni tanto usciremo insieme a pranzo o cena. - Spero non sia una promessa da marinaio e se ho bisogno di un buon maestro per dei giovani speaker sappi che non esiterò a chiamarti. - Fai pure. Ci abbracciamo a lungo dandoci qualche pacca sulla spalla, poi lui mi diede una busta. - E' una buona uscita per ringraziarti di tutti questi anni. Sei stato un pilastro fondamentale per Radio Sound. - Grazie mille. Non so cosa dire, mi hai lasciato senza parole. - Non dire niente e usali per il viaggio. - Lo farò. - Ora vai se no mi metto a piangere, e mi raccomando, non dimenticarti di noi. - No no, verrò a curiosare negli studi però tu promettimi che ogni tanto mi chiamerai così da non farmi sentire vecchio e inutile. - Promesso, e ricordati quello che ti ho sempre detto ogni volta che uscivi dal mio ufficio. - Che sono il tuo speaker preferito?
- Esatto. - Ma vaffanculo, questo è quello che avrei sempre voluto risponderti. Scoppiamo in una grossa risata e uscii dalla radio. Fu l’ultima volta che feci quelle scale come dipendente, perché anche se fossi tornato a trasmettere non sarei più stato assunto dall’azienda ma avrei lavorato come libero professionista. Mi lasciai tutto alle spalle. La carriera, la radio, la vita negli studi, la monotonia che non sopportavo più, le canzoni di merda che ero obbligato a suonare e tutta la vita che feci fino a quel momento. Fu una vita splendida e invidiabile, ma ora la libertà mi abbracciava e mi teneva stretta come fanno due innamorati che camminano senza seguire una linea retta perché i loro corpi premono l’uno contro l’altro facendo cambiare loro continuamente direzione. Mi sentii libero di respirare l’aria a pieni polmoni, e iniziai così il mio viaggio verso la mia nuova vita.
Ci siamo, siamo arrivati alla fine.
Caro diario ci siamo, siamo arrivati alla fine. Ho deciso di partire per il mio tanto sognato viaggio senza però pensare ad una data di ritorno. Parto, vado, viaggio e vivo. Forse poi, un giorno, tornerò. Forse però. Sono stato indeciso fino all’ultimo se portarti con me o no, e sono arrivato alla conclusione che ti salvo su una chiavetta così posso tenerti in tasca e renderti partecipe delle mie avventure. Magari ogni tanto leggerò qualche vecchio post e chissà se mi verrà la nostalgia di Milano o dell’Italia. Non credo, però non lo posso sapere. Lascio le chiavi di casa ad un amico che verrà a dare una controllata una volta a settimana per vedere se è tutto a posto. Ho preferito non affittarla perché, nel caso in cui ci fossero stati problemi, non avrei potuto interagire in prima persona...e poi non avevo la voglia di togliere tutti i miei dischi, i miei libri e gli affetti a cui sono legato. Non potevo scriverti senza suonare una canzone, e oggi devo ammettere che il pezzo è davvero splendido. Sto ascoltando “Stella del mattino” di Ludovico Einaudi. Da togliere il fiato, credimi. Ha un modo di suonare il pianoforte che rende la musica classica alla portata di tutti. Ho sempre pensato che un certo tipo di musica sia difficile da ascoltare se non la si studia o se non si è abituati sin da piccoli e tra questi c’è la musica classica
che è talmente bella da guadagnarsi l’olimpo, e il “titolo”, di genere musicale migliore in assoluto, però c’è da dire che non sempre un profano è in grado di percepire queste note nella maniera corretta. Einaudi riesce a renderti partecipe del suo pianoforte, delle sue emozioni, dei suoi sentimenti così da farti chiudere gli occhi e sognare. Ascolto i suoi cd ad un volume abbastanza alto e mi piace sentire che durante un pezzo lui riesca ad aumentare la potenza suonando sempre lo stesso strumento. Se lo accarezza regala momenti di sospensione, se invece preme i tasti con decisione esce l’animo deciso che arriva dritto al punto. Pura magia caro diario, pura magia. E per fortuna che uno come lui sia riuscito a fare il musicista nella vita, altrimenti pensa che spreco. Potrei tergivesare con argomenti inutili giusto per non rendermi veramente conto che è arrivato il momento di salutarti, ma preferisco dirti arrivederci perché sono sicuro che non può essere un addio. Almeno non lo è per il momento, quindi caro diario tornerò presto a scriverti da qualche parte del mondo e so che avrò molti stimoli in più. Da domani sarò on the road, in viaggio, e affronterò le giornate senza prefissarmi nulla. Ozierò o camminerò, poco importa perché nessuno, se non la mia anima, potrà dirmi cosa fare. Seguirò il vento, mi fermerò al sole, mi farò bagnare dalla pioggia e mi coprirò se farà freddo, ma tutto questo lo farò semplicemente perché vivere diventerà il primo, anzi l’unico, impegno della mia vita. Ti abbraccio virtualmente e ti ringrazio per avermi ascoltato. Apro la porta di casa e la chiudo subito alle mie spalle, perché da domani si apriranno nuovi orizzonti che riempiranno i miei occhi di una luce così intensa che racconterà ogni mia emozione senza che io pronunci nessuna parola. Buona vita a te amico mio.
Gianluca.
Ringraziamenti
Ringrazio tutti quelli che comprano il libro perché contribuiscono, anche se involontariamente, a pagare il mutuo di casa mia. E' come se un mattone vi appartenesse...e citando i Pink Floyd, mettendo un altro mattone nel muro ( Another brick in the wall ) pian piano la casa avrà solide fondamenta anche grazie al vostro piccolo investimento letterario.
Grazie.
Simone.