Un piccolo Mistero Mortale - Le indagini di Lady Costantine Vol.2 (Torino 1806)
Annarita Coriasco
© Annarita Coriasco
Edizione Smashwords
Prima edizione
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Un piccolo mistero mortale
Tornai da Marsiglia con il cuore appesantito. Ero stato là per più di quindici giorni. Avevo rivisto la tomba dove giaceva l’ultima persona che mi aveva legato alle cose di questo mondo: mia madre. Appresi quasi subito da Lucius che Milady aveva venduto la villa di campagna dove io ero stato, per così dire, addestrato, ad un uomo molto ricco ma di origine alquanto incerta. Eravamo nella mia stanza e mentre disfacevo i miei scarni bagagli e riponevo le mie cose egli ripiegava il mio pastrano con una delicatezza del tutto impensabile in un simile marcantonio dal volto da sicario. - Ora dov’è?- gli chiesi estraendo dalla sacca un paio di brache bianche. - E’ uscita con la carrozza. La vecchia contessa Sircalchi ha un problema... Sembra che gli abbiano sottratto un raccolto di digitale. - E tu sei qui? Chi guida la carrozza? - Si è comprata un minuscolo e ridicolo calesse e se lo guida da sola... Dicono che serva per i piccoli e medi tragitti... -spiegò Lucius, tutto sussiegoso e alquanto seccato. - Ma che cosa caspita è questa digitale? - Eh, la digitale...- sospirò lui riponendo il pastrano nell’armadio -...è un’erba medicinale. Serve per abbellire lo sguardo e poi fa bene per il cuore. - La contessa è malata? – chiesi, continuando a non capirci un granché. - Non che io sappia... - E allora per cosa fa coltivare a fare... - Lei possiede ancora alcuni poderi dove si coltiva questa ed altre erbe medicinali. In questo podere qui ci lavorano i suoi nipoti… Il conte di Moncalieri. il contino Baldovino, la contessina Eugenia e le due serve rimaste con loro dopo che il conte loro nonno è stato ucciso in battaglia. Le erbe medicinali si vendono e ci si ricava un discreto guadagno. Inoltre la contessa insegna le buone maniere ai nuovi nobili napoleonici e violino, anche. Per questo motivo d’inverno risiede qui a Torino ed è ospitata presso il vescovo.
- Si, ma madame si occupa forse di ladri di erbe aromatiche?- risi divertito. - La digitale è anche un potentissimo veleno.- fu la risposta secca di Lucius. Mi sedetti sul letto. - E’ sparito un considerevole appezzamento di questa erba velenosa – continuò Lucius –La contessa Sircalchi di Moncalieri è molto preoccupata ed è per questo che ha mandato a chiamare la nostra padrona. - Ma dov’è che è andata? Al podere? Lucius fece sparire la mia sacca in un angolo remoto dell’armadio. –Si, nelle campagne attorno a Moncalieri, per la precisione. Nel casale d’un loro mezzadro ucciso dalle truppe napoleoniche qualche anno fa. La “Frescura”, mi pare. Era un allevamento di vacche, prima che questi benedetti si le requisissero, uccidendo il mezzadro, la moglie e due figli grandi perché vi si opponevano. - Ma è lontano questa Moncalieri? - Intendete raggiungere Milady? - E perché no... Forse potremmo aiutarla. - A cavallo ci vorranno due ore, suppongo... Ma io non posso venire: ho ricevuto ordini tassativi dalla signora. Devo attendere all’andamento della casa e raccogliere eventuali richieste di aiuto, per poi riferirle per lettera. - Capisco... Ma io ci andrò domani mattina e tu mi spiegherai che strada fare. Lucius annuì in silenzio. Mi salutò ed uscì dalla mia stanza. Mi sistemai velocemente, raccattai i regali e scesi per salutare la cuoca e la piccola Josephine, cameriera tuttofare. La cuoca era, come avevo appreso da qualche tempo, e non senza sommo stupore, una grassa estimatrice di poesia e, in particolare, di Lord Byron. Era anche molto simpatica e mi accolse con estrema gioia, offrendomi subito una gran tazza di tè fumante e degli ottimi biscotti all’uovo, tipici di Torino. Esaudii le sue curiosità sulla costa se e sulla mia Marsiglia. Le porsi uno scialle che avevo comprato proprio colà per lei. La cameriera era ai piani superiori ed io consegnai alla cuoca il suo dono: un paio di orecchini alla zingara d’ottone
dorato e madreperla. Le diedi anche una bottiglia di cognac per Lucius, raccomandandole però di non fargliene parola sino a che non avesse terminato il brandy che teneva nascosto nella libreria di madame. Bevvi un’altra tazza di tè mentre attendevo che l’acqua nel pentolone sulla stufa bollisse: era destinata al mio bagno. - Sapete già che madame si trova nelle campagne di Moncalieri? – mi domandò tutta seria la cuoca. - Certo. Pare una faccenda assai strana- risposi sgranocchiando un ennesimo biscotto. –Partirò domani mattina per raggiungerla. Lei fece di si con la testa e l’espressione del viso lasciava intendere che approvava la mia intenzione. - Prima la raggiungerete e meglio sarà –proferì poi con l’aria di chi la sa lunga. - Cosa volete dire? –il suo atteggiamento stava inquietandomi. - Io non dico nulla... Ma per me è meglio non lasciarla sola… - Ma che dite! – risi –Milady non è certo una ragazzina sprovveduta… Ha girato mezza Europa... Cosa potrà mai esserci in questa cittadina di vaccari, di così terribile...- ripresi a mangiare biscotti sedendomi vicino al fuoco. –In fondo non si tratta che della sparizione di pochi metri di erbacce velenose. -aggiunsi sorridendo. - L’erbaccia, come dite voi, per me non è che una scusa... Per me, io so benissimo chi l’ha tagliata via... E se conosceste quella famiglia lo sapreste anche voi... Milady stessa dice che dei conti di Moncalieri non c’è molto da fidarsi e che... In quella fece la sua comparsa Josephine e non appena mi vide iniziò ad esprimere la sua contentezza per il mio ritorno. La cuoca era divenuta d’umore nero. Non si ricordò degli orecchini che teneva in un tascone del grembiule tutto macchiato e con malagrazia disse: - Milady non ti paga per fare gli occhi dolci agli uomini... Vai subito a tirare fuori la tinozza degli ospiti, mettila nella camera stenditoio e portaci l’acqua
calda. Avanti! Mi rivolsi tutto sorridente alla cuoca e le dissi che avrei riempito la vasca da solo. Poi le rammentai “quel qualcosa” che doveva dare a Josephine. La cuoca estrasse borbottando il pacchettino dal tascone e lo porse frettolosamente alla giovane: -Ai miei tempi c’era più rispetto per il lavoro... Mentre la ragazza si estasiava alla vista dei monili da poco prezzo, io abbracciai rudemente la grassa cuoca, nel tentativo di farla smettere di brontolare. - Smettetela Maria, vi prometto che se mai mi sposerò, sarete voi che porterò all’altare... - Non c’è bisogno che mi diciate queste assurdità per convincermi che non vi sposerete mai... -mugugnò. Ma un mezzo sorrisetto era spuntato sul suo volto bonario e pacioccone. La giovane Josephine era salva. Approfittò della distrazione della cuoca per ritirarsi ad eseguire il suo ordine. Io mi congedai e la seguii per aiutarla a spostare la tinozza. Dal corridoio la voce roboante della cuoca esclamò: - Josephine! Chiama Lucius! Non penserai di aiutare quello sciocco a fare il bagnetto eh? Un’ora dopo, vestito di tutto punto e ripulito fui spedito dalla cuoca a comprare il lievito poiché Lucius doveva badare ai cavalli e Josephine doveva assolutamente stirare le lenzuola. Al mio ritorno, ne approfittai per cercare di saperne di più di questi conti di Moncalieri. La cuoca pareva essere al corrente di molte cose. Per insinuarmi nelle sue grazie, mi offrii di sbucciare le patate per la cena e mentre eseguivo l’operazione per me, assolutamente inusuale, giacché solamente da Milady avevo gustato queste strane e versatili radici, ritornai a fil di piombo su questi misteriosi conti. - Quando il povero marito di Milady era ancora in vita, i conti di Moncalieri erano sempre tra i piedi. –borbottò astiosa. – Erano gli anni in cui possedevano molti più terreni nei dintorni di Moncalieri, un palazzo, sempre nelle vicinanze di Moncalieri e una casa qui in città. Il figlio della contessa ora è vedovo, ma già a quei tempi era come se lo fosse, non so se rendo l’idea...- e mi squadrò in tralice –Insidiava giovanette e mogli altrui a tutto spiano... Lady Costantine era
molto avvenente e la vidi con i miei occhi in balia dei suoi discorsi e dei suoi sorrisi mielosi... -mi guardò con aria d’intesa. –Lui ambiva, una volta deceduta la contessa sua moglie, che tanto era appesa ad un filo, a prendere il posto di Lord Costantine... - Perché? Anche Lord Costantine era con un piede nella fossa? - Beh... Certo non era molto in salute... La gotta, i reumatismi e il cuore... Era trent’anni più anziano di Milady... Ma madame non era... Non è quel tipo di donna che la situazione potrebbe far pensare... Non l’ha mica sposato per i soldi, sapete... Un giorno mi confidò che era stata attratta dalla sua grande intelligenza... Sapete, è da lui che Milady ha preso la ione per i libri, per il ficcare il naso negli affari degli altri, per i misteri e tutte quelle cose lì... Annuii senza smettere di pelare patate che gettavo in una pentola colma d’acqua. - Milady amava sul serio il vecchio Milord... Io penso che per lei fosse un po’ come il padre che non ha mai avuto... Voi penserete che io mi impiccio troppo, ma non sapete che io la conosco da quando è uscita dal convento. Io l’ho incontrata in Francia perché avevo sposato un se, una carogna... Ma questa è un’altra storia... Vi basti sapere che io sono quasi una madre per lei, mi confida molte cose... Mi ha insegnato a leggere e scrivere che ero una ignorante da niente. - Ciò è molto interessante- commentai –ma io non capisco cosa vi preoccupa di questo conte di Moncalieri. - A vederlo così non gli dareste un soldo, ma con le donne ne sa una più del diavolo... -la cuoca prese il pentolone di patate, pesante com’era e lo rovesciò nel lavabo per procedere alla lavatura delle medesime. –Se già allora non volle saperne di questo cicisbeo, non vedo perché ora dovrebbe... - Allora era sposata con il compianto padrone... Ora e sola... Da troppi anni è sola... Non so se mi spiego –fece con l’espressione di chi la sa molto lunga. –Io sono una vecchia montagna di lardo e non dovrei dirle queste cose: ma una donna sola può essere preda di qualunque bellimbusto gli si pari innanzi. - Non Milady: è troppo intelligente e troppo fredda per cadere in simili tentazioni...- obiettai alzandomi dallo sgabello per congedarmi.
- Voi non conoscete le donne se dite che Milady è fredda. - Io... Mi sono espresso male... -dissi colpito dalla veemenza della cuoca – Volevo dire che Milady è molto portata al ragionamento e alla logica, quindi non può commettere assurdità simili... - E’ pur sempre una donna, ed è ancora giovane... Io vedo che siete un bravo figliolo e che avete scrupolo... Anche per via della vostra posizione sociale inferiore... Ma non tutti sono come voi. Milady è ricca... E’ indifesa perché io la conosco e dico che è così. Voi dovrete proteggerla da quel cascamorto... E pensavo che andaste la proprio per questo... Pensavo che Lucius vi avesse riferito qualcosa, ma mi accorgo che quella pellaccia da galera e solamente capace di nascondere liquori per tutta la casa! –la cuoca aveva ultimato di lavare le patate e le versò nuovamente nel pentolone. - Voi vi sbagliate. Io vado la per aiutare madame, come è mio preciso dovere e non sono solito mettere il naso in faccende che non mi riguardano... La signora è in grado di decidere per se stessa... In amore non si decide col cervello- sentenziò la cuoca agitando il mestolo verso di me. –lo dice anche il poeta... Quell’uomo è giovane quanto voi, bello, colto, di bei modi, affascinante... Finirà tra le sue sgrinfie, me lo sento... E ricordate che anche il vostro posto di lavoro potrebbe andarci di mezzo. - Mi pare quasi che mi stiate spingendo ad approfittarmi della situazione al posto del conte di Moncalieri. - Sempre meglio voi di un qualche sconosciuto approfittatore che potrebbe mandarci in miseria... - Se non fosse che siete con lei da così tanti anni potrei quasi pensare che vi prema di più il vostro posto di cuoca che l’effettiva felicità di Milady. Mi spingereste a tentare un approccio con la padrona? - Se ci provate vi spacco quella bella faccia con il mestolo di ferro appeso al camino –e lo indicò con il dito. –Stavo solo suggerendovi di proteggere la padrona e Dio mi fulmini se io penso che un caprone senza modi come voi potrebbe interessarla in qualche modo. - Ma sapete che mi avete dato un’idea? Finora non ci avevo mai pensato, ma
credo che tutto sommato potrei avere qualche chance... Dopotutto sono se... -e le feci l’occhiolino dileguandomi poi abbastanza velocemente per evitare eventuali tiri balistici. La sua voce mi inseguì in corridoio: -Parlerò con Milady della vostra sfrontatezza! - Fatelo e dirò a Milady che mi avete proposto di farle la corte. -la mia risata risuonò nella casa silenziosa.
Quando giunsi a Moncalieri trovai qualche difficoltà ad orientarmi nelle campagne circostanti, ma nessuno si dichiarò disposto ad accompagnarmi presso la “Frescura”, neppure in cambio d’una bella sommetta di denaro. Evidentemente la nobiltà dei suoi abitanti era oltremodo invisa alla popolazione. I villici approfittavano della situazione per manifestare la loro avversione verso gli antichi padroni e, forse, avevano anche paura di eventuali rimostranze di quelli attuali. Un oste cortese come la peste, socievole come un esercito di cavallette e allegro come una zitella inacidita, mi indicò l’esatta via, non senza un congruo compenso. Proseguii senza por tempo in mezzo: far freddare Moreno senza strigliarlo a dovere poteva nuocergli e poi avevo l’impressione che se fossi restato tra quelle botti ammuffite e tavolacci lerci un minuto di più, mi sarei preso il vaiolo. Quindi rinunciai al desinare e giunsi al famoso cascinale più affamato d’un lupo e bagnato fradicio, perché nel frattempo si era scatenato un fortunale di rilevanti dimensioni. Fermai la nuotata del cavallo nel fango del cortile e scesi con il mantello di lana che pesava una tonnellata ed il cappello pronto per essere insaponato e battuto sulla pietra del lavandaio. La mota del cortile era desolante. Un vecchio cane abbaiava sotto un carro coperto da una cerata. Gridai più volte prima che uno spiraglio d’una delle innumerevoli porte s’aprisse, per far are la cuffia d’una donna anziana. - Sono Jean, il cugino di Milady... Posso avere ricovero prima che mi si anneghino persino le pulci? Non sentii quello che la donna rispondeva. La sua voce era esile come un refolo d’aria estiva ed in più il cane latrava senza sosta e l’acqua scrosciava con l’urgenza d’un fiume in piena. Dopo un bel po’ uscì un tizio coperto sino agli occhi da un cappuccio e mi fece segno di seguirlo verso il retro del cascinale. Con la pioggia che mi sferzava il volto e scrosciava lungo la schiena dalle falde del cappello fradicio, mi disposi a seguirlo. Finalmente l’uomo aprì il portale semidistrutto d’un fienile. All’interno mi scrollai come potevo l’acqua di dosso. L’uomo si tolse il mantello e si presentò: -Permettete? Sono il conte Ferdinando Sircalchi di Moncalieri. Non mi porse la mano, ne fece alcun gesto, se non sorridermi. Decisi subito che era assolutamente scostante e antipatico. Non sapendo che fare accennai appena ad un inchino. Il suo sorriso s’allargò in una smorfia compiaciuta ed io mi sentii
sciocco e servile. Ma non potei impedirmi di recitare: - Il piacere è solo mio, conte. Sono Jean Ladini, cugino di Milady -madame voleva che io fingessi di essere un suo parente per scoraggiare eventuali bellimbusti? Ed io l’accontentavo... Il sorriso sparì immediatamente dalle belle labbra del conte: - Permettetemi di darvi il mio benvenuto in questa dimora di fortuna... -disse glaciale. - Prima mi vorrei occupare del mio cavallo... Avete striglia e biada.? Il conte fece un gesto distratto con la mano ad indicare una zona del fienile. E non mi aiutò, ne mi attese. Era inequivocabilmente un pallone gonfiato che credeva d’essere ancora alla corte del re. Uscì indossando il mantello con movimenti pomposi, come se stesse vestendosi per comparire davanti al re di Francia nei giardini di Versailles. “Peccato per la parrucca...” pensai, impedendomi di scoppiare a ridere. Però, purtroppo, avevo notato che i suoi capelli erano rigogliosi, lunghi e d’un brillante biondo dorato. Pensai ai grandi stucchi che avevo notato sul soffitto, in camera di madame: s’intonavano perfettamente al personaggio. Le parole profetiche della cuoca, non mi parevano più così stupide ed interessate. Quando giunsi d’innanzi alla porta da dove erano usciti l’anziana prima ed il cicisbeo da ultimo, bussai con una certa veemenza. Ero ormai fradicio sino all’osso e il ricordo d’un mio amico morto di febbre polmonare tra le mie braccia nel corso della rivoluzione, non mi abbandonava. Mi aprirono l’uscio e vidi subito madame seduta nella grande cucina, vicino al camino . Di fianco a lei, su una pila di cuscini dal colore incerto, era sistemata una vecchia e distinta signora, tutta vestita di nero, con il colletto altissimo che nascondeva quasi per intero il collo ossuto, ed i mezzi guanti, anch’essi neri, dai quali spuntavano artigli scheletrici, ma molto curati. Nella stanza, sedute al grande tavolo di cucina, c’erano anche la vecchia che avevo intravisto prima ed un’altra anziana dallo sguardo incredibilmente dolce e aperto. Madame mi venne incontro sorridente, avvolta in un elegante scialle di seta nera. Mi abbracciò calorosamente, lasciandomi alquanto interdetto. Mi
sovvenne quasi subito che avevo detto, come stabilito, d’essere suo cugino. Le sorrisi con distinzione e mi accomodai sulla sedia che mi veniva indicata, vicino al fuoco. In quel momento m’accorsi d’una giovane bionda dal collo esile e aggraziato, vestiva modestamente ed era intenta a mescolare del miele in una tazza colma di latte, posta sul tavolo. Era molto graziosa, ma madame mi stava presentando alla vecchia in nero, la contessa di Moncalieri. Baciai rispettosamente la mano che mi veniva porta e intorno a me si espanse un profumo di rose appena colte. Milady parlava di me in termini quasi entusiastici... Mi fu quindi presentata la bella ragazza, giovanissima e minuta. Sfiorai appena la mano che sapeva di latte appena munto... e d’altre cose non ben definite... Forse fieno e una punta di mirtillo... Poi il cicisbeo s’interpose fra noi per papparsi il tazzone di latte e miele. La giovane mi sorrise e prese una nuova scodella dalla madia: - Vi preparo qualcosa di caldo... -mi sussurrò, fresca e sorridente come una ninfa dei boschi. - Forse sarà bene che v’accompagni alla vostra stanza... Là vi potrete cambiareosservò la vecchia dallo sguardo dolce, alzandosi faticosamente in piedi e guardando con ansia verso la contessa. Quest’ultima diede un cenno d’assenso col capo e commentò rivolta a Milady che nuovamente le sedeva vicino: - Un bel giovane davvero questo vostro cugino... Le ragazze da marito di Torino lo staranno assediando. Madame sorrise con autentico compiacimento, o, almeno, così a me parve. Stavo per seguire la vecchia serva, quando un rumore di cose infrante precedette di poco l’entrata in scena di un ragazzino cicciottello e dallo sguardo poco socievole e alquanto ottuso. La tenda che separava l’ampia cucina contadina da un altro locale, crollò miseramente a terra. - Voglio mangiare- disse il nostro eroe con estrema e petulante arroganza. Le orecchie a sventola incorniciavano un volto così paffuto da esser simile ad una grossa zucca da minestrone.
- Saluta il signore, Baldovino! -esclamò rigidamente la contessa. Il flaccido bambino mi si avvicinò e con malagrazia e ostentata galanteria si inchinò brevemente: - Buongiorno a voi, signore... Quand’è che si mangia?- terminò già voltato verso la sorella. Per quel che mi era già dato di sapere il quadro era terminato. Gli occupanti della cascina “Frescura”, erano tutti presenti. Con un ultimo fuggevole sguardo alle grazie acerbe della contessina, salii le scale appresso alla lentissima serva dagli occhi buoni.
Lady Costantine mi raggiunse di lì a poco. Sentii bussare alla porta mentre stavo ancora finendo di indossare abiti asciutti. Domandai ad alta voce chi fosse e ne ricevetti un garrulo: - Sono vostra cugina. Posso parlarvi? - Entrate. Aprì piano la porta e si fermò quasi all’istante. - Oh, perdonate, ma non mi avete detto che… - E’ per i capelli? Non temete, non sono divenuto un selvaggio... Li stavo solamente asciugando. -li raccolsi velocemente con un nastro. –Sedete -le dissi, indicando l’unica sedia, che faceva anche da comodino, di fianco al letto. - E’ molto spartana questa casa.- osservò lei quasi con rassegnazione. - Per me va benissimo... Ho visto di peggio. - Comprendo –si sedette dopo aver scostato la sedia dal letto di qualche metro. – Non vi sedete? –chiese con premura. - No. Preferisco rimanere in piedi... Ma cos’è che volevate dirmi? - Sono costretta a rimanere qui. Intendo soggiornarvi, per il tempo che ci vorrà a risolvere il caso... - Intendete recuperare quell’erba?- domandai stupito. - Non credo sarebbe neppure possibile... Comunque a Moncalieri vi sono stati due morti sospette e la contessa ci consiglia di non prendere alloggio colà. Vedete, i conti sono già invisi alla popolazione, ma da quando si è saputo che le erbe che loro coltivano potrebbero essere le responsabili di quelle morti... Se dovessero venire a sapere che li frequentiamo, potrebbe essere pericoloso... - Per quanto mi riguarda possiamo alloggiare dove volete: non saranno una manciata di villici ad impensierirmi... - Non lo metto in dubbio, ma non vorrei che si esagitassero e che a qualcuno di
loro venisse in mente prima del tempo, di venire qui per tentare un linciaggio... - Perché non consigliate alla contessa di andare a Torino con i suoi famigliari: ho saputo che lei normalmente alloggia presso la curia. - L’ho fatto, ma lei è irremovibile: dice che i conti di Moncalieri non fuggiranno mai: non l’hanno fatto neppure di fronte alle armate di Napoleone... -fece un gesto con la mano a sottolineare la sua impotenza di fronte all’irremovibilità della vecchia contessa. - Ma come fanno quelli ad essere sicuri che quelle morti siano dovute alle erbe della contessa? - Qualche tempo fa, quando c’è stato il furto, il conte ne parlò in Moncalieri, per sapere, per informarsi... Offrì anche dei soldi a chi gli avesse recuperato la refurtiva... - Non mi pare che qui si navighi nell’oro. - No di certo... Ma si pensava di dare una parte del ricavato della vendita annuale a chi recuperasse il maltolto... Sapete, la digitale è una delle erbe più pregiate, una di quelle dalle quali si ricava più utile... Poi, appena tre giorni fa, ci fu il primo morto, neppure ventiquattrore dopo, il secondo. Il dottore del paese si disse certo che queste persone erano state avvelenate. E tutti pensarono alla digitale. I sintomi d’avvelenamento non sono certo evidenti. Si potrebbero confondere con un attacco di cuore. E per il primo decesso andò così. Si trattava d’un uomo di circa sessant’anni... Ma il secondo decesso fu una bimba di nove anni nel fiore della salute. Ebbe questo attacco, perse i sentimenti e non si riprese più. Così, il dottore, che aveva sentito dire del furto di digitale, iniziò a sospettare che in giro ci fosse un avvelenatore folle. - E non hanno avvisato le autorità? - Dovrebbe giungere qualcuno... Lo stanno aspettando. - Così voi sareste andata a ficcare il naso a Moncalieri, ad indagare, come dite voi, senza uno di noi che vi proteggesse! il conte si è offerto di accompagnarmi egli stesso. - Quel ridicolo cicisbeo?- mi allarmai –Non verrà mica con noi, spero!
- Non vedo come rifiutare senza offendere la sua sensibilità -madame si alzò in piedi. “Ammesso che ne sia fornito” pensai desolato. - Ora vi lascio. Ricordatevi di pettinarvi e di raccogliere i capelli prima di scendere per la cena. E sbrigatevi: qui si cena presto e si va a letto ancor prima che la luce cali. Si alzano all’alba per aprire le serre alla rugiada e mungere la mucca per la colazione. E noi ci alzeremo per andare a Moncalieri. Voglio parlare con il dottore.
Dopo una notte umida e fredda, tra lenzuola gelate e pensieri foschi, giunse l’alba e non portò alcun miglioramento ai miei cupi presagi. Per tutto il tragitto verso Moncalieri quel dannato conte non la smise un solo momento di civettare con Milady. Le previsioni della cuoca erano come un assolo di flauto nella tempesta. Io guidavo una specie di carro cigolante e scomodo come un cavallo di Frisia. Vicino a me sedeva il nauseante figuro e al suo fianco la mia padrona. Certamente lei non mostrava alcun fastidio ai racconti del beota sulla sua abilità di cavallerizzo, di spadaccino e di giocatore d’azzardo. Sorrideva e a volte, rideva alle sue prevedibilissime battute. Io tenevo le redini come se fossero la corda che mi avrebbe permesso di impiccare l’insopportabile, e guardavo avanti a me, silenzioso peggio d’un funerale. Fremetti di piacere quando il carro si impantanò in una curva dove l’acqua torrentizia del giorno prima, era ristagnata. Consigliai a Milady di prendere le redini e feci scendere l’eroico nobilotto per aiutarmi a spingere il carro. Non osò porre alcuna obiezione, data la presenza di Lady Costantine, ma si vedeva benissimo che era preoccupato come una giovanetta per le brache bianche e la giacca d’ottimo taglio, anche se un po’ vecchiotta. - Se fossi in voi, signor conte –gli dissi con profonda soddisfazione – poserei la parrucca. –s’era incipriato, il cicisbeo, e aveva indossato un cumulo di vetusti capelli imbiancati. La posò sul sedile dardeggiandomi con l’occhio ceruleo e scendemmo. Solo dopo molti tentativi e un grosso sasso messo sotto alle ruote posteriori, riuscimmo a toglierci da quel lago di mota. Con profonda soddisfazione notai gli stivali invedibili del conte, il collo a “rouche” della camicia inzaccherato e strappato. Gli schizzi sulla giacca e sui pantaloni e lo sbaffo di fango sul mento, gli donava un non so che di vissuto, che addosso a lui dava subito l’idea d’estrema decadenza: come un mobiletto d‘immenso valore irrimediabilmente bucherellato dalle tarme. Mentre saliva, non potei impedirmi di sorridere con estrema soddisfazione. Ma quando fummo a cassetta la mia segreta allegria si trasformò come per incanto, in livore: madame aiutava il damerino a ripulirsi, giungendo persino ad umettare un fazzoletto di saliva per pulire lo sbaffo di fango sul mento di quel beota. Fu con estremo disgusto che giunsi alle prime case di Moncalieri.
- Posso disturbare lorsignori per chiedere, di grazia, dove debbo dirigermi? fissai il mio sguardo in quello di madame e subito lei lo distolse per sorridere al conte. Lui si volse verso di me e disse: -Andate lungo questa via, che è la principale, giungerete ad una graziosa casetta dagli infissi verdi. Lì vive e lavora il medico al quale Milady vuole parlare. Percorsi la strada abbastanza trafficata da gente per lo più a piedi, con una certa vivacità. I sobbalzi davano fastidio anche a me, ma non potevo impedirmi di procedere così speditamente: Milady stava raccontando al conte di quanto aveva sofferto dopo la dipartita dell’adorato marito, lord Costantine. E lui, approfittando del momentaneo scoramento di Milady allo spiacevole ricordo, ne approfittava bassamente per insinuarle un braccio attorno alla spalla. Presi una buca in pieno, tanto che temetti per la ruota del carro. - Non potreste fare un po’ più d’attenzione, Jean?- si spazientì madame. - Scusate…- bofonchiai senza degnarla d’uno sguardo. - Ma perbacco! Fermatevi! Siete cieco? Non vedete la casa del dottore? – s’innervosì, chissà perché, il nobile. Fermai bruscamente il trabiccolo, tanto che i cavalli ebbero una sbandata e nitrirono all’unisono. - Non vi agitate, conte. Non siamo sul tappeto volante di Aladino. Con questo trabiccolo mi sarei fermato in tempo anche se mi aveste avvertito tra mezz’ora. Lui mi guardò scuro in volto. Stava per aggiungere qualcosa, quando Milady, nel frattempo già scesa dal carro, ahimè, senza il suo lubrico aiuto, disse: - Che cosa fate ancora lì! Se non vi sbrigate rischiate di lasciarmi sola alla mercé dei pericolosi abitanti di questo paese. Una anziana signora con la cuffia che stava ando, tutta rattrappita sul suo bastone da eggio, la squadrò con occhi acquosi e malevoli. Il giardino di fronte alla casa del dottore era così esiguo che in tre i fummo d’innanzi alla brevissima scalinata che portava all’ingresso dell’abitazione. Tutto lì intorno era gremito di cespugli d’ortensie dalle infiorescenze scurite dall’autunno alle porte. Il cicisbeo starnutì più volte e si portò il fazzoletto già sporco di mota, alla bocca. Sorrisi sotto i baffi. “Perfetto” pensai “Coltiva erbacce e magari è allergico...”
Ci aprì un’anziana signora, molto simile a quella che per strada aveva osservato Milady con diffidenza. - Che volete?- disse poco amichevolmente. - Vorremmo parlare con...- l’iniziativa del conte fu interrotta da una lieve gomitata di madame, che finì per lui: -Stavamo andando a trovare una mia zia, quando ho avuto un malore... Un signore ci ha detto che qui abita e riceve il medico di Moncalieri... La vecchia ci osservò con puntiglio ed ebbe un leggero moto di disapprovazione alla vista del fango che stazionava ancora sui miei vestiti. Tuttavia ci fece accomodare. Ci guidò attraverso un esiguo corridoio ad una lussuosa porta a vetri. –Entrate lì e sedetevi... Io avverto il dottore. Ci sedemmo su vecchie sedie impagliate, tra vasi di fiori ormai in via di estinzione e una rigogliosa, quanto esotica, pianta che era senz’altro di esotica provenienza. La riconobbi, perché ne avevo ammirata una a casa d’un colonnello, un tempo, lontano... Dopo qualche minuto, durante il quale il maledetto conte non chiuse un attimo la bella bocca, l’anziana aprì e chiamò madame. Poteva venire, il dottore l’attendeva nel suo studio.
Sulla piazza principale del paese c’era una locanda molto frequentata. Milady la scelse perché potessimo are inosservati in mezzo a tutto quel baccano di venditori di mucche, compratori di mucche, venditori ambulanti, giocolieri, straccioni e perdigiorno. Volle ugualmente che il cicisbeo posasse la parrucca e che nascondesse i rigogliosi risvolti della camicia, all’interno della giacca. Ci sedemmo ad un tavolaccio enorme, in compagnia di avventori dai modi alquanto avvinazzati, che consumavano i loro semplici, ma sostanziosi pasti, vociando tra di loro come le oche d’un allevamento. Eravamo nell’angolo più sperduto della grande tavolata e Milady raccolse più che poteva l’ampia gonna, nel timore che qualcuno la pestasse, inzaccherandola di cose innominabili... Il cicisbeo parlava di certe locande vicino a Parigi, ma questa volta Milady non pendeva dalle sue labbra. Stava pensando, così assorta che, quando le si avvicinò l’oste e ci chiese se volevamo anche noi il piatto del giorno, lei trasalì. Ci accordammo per questi famosi spezzatini con le cipolle ed io chiesi a madame se qualcosa la preoccue. - Il dottore non è stato molto munifico di informazioni. Naturalmente non gli ho detto che ero là per conto della contessa, ma si capiva che aveva dei sospetti... Mi ha parlato un poco dell’allevatore sessantenne che però, secondo lui potrebbe anche essere deceduto per cause naturali. Mi ha persino indicato come arrivare alla sua dimora... Il cicisbeo era attratto da un tavolo d’angolo dove si giocava ai dadi e non ci prestava minimamente attenzione. - Ma quando gli ho chiesto qualche particolare sulla morte della bambina, ha detto d’essere ancora prostrato per la fine di quella povera creatura e di non voler più sentire parlare della faccenda. Io gli ho fatto osservare che se verrà un funzionario da Torino, si vedrà costretto a parlarne, suo malgrado- madame s’interruppe. L’oste era giunto al nostro cospetto con un’enorme porzione del piatto del giorno e tre ciotole di terracotta munite d’un cucchiaio di legno. Ci promise una bottiglia di vino buono e si assentò, assorbito dal fumo e dal clamore degli astanti. - Ma egli ha solo potuto dire che è sicuro che quelli sono i sintomi dell’avvelenamento da digitalis. Gli ho chiesto se ha eseguito un’autopsia e lui
mi ha guardata come se fossi una bestia dal pelo viola... Poi è tornata la serva con una signora tutta sconvolta per il bambino che stava male. Il dottore si è alzato, ha afferrato una borsa e mi ha quasi messa fuori dal suo studio perché doveva accorrere al capezzale del figlio di costei. - Siete un po’ delusa, vero? Vi aspettavate di più. - Capita sovente di essere delusi cercando la verità, Jean. –mi sorrise nel modo consueto e la donna civettuola di quella mattina, non pareva poter coesistere con quella creatura, sagace, saggia e dal temperamento d’un mastino nell’inseguire la sua preda. Poi il conte riportò l’attenzione su di lei e il suo sorriso divenne istantaneamente lezioso e sdolcinato. Ma alle domande di lui su cosa avesse detto il dottore, rispose: - niente di interessante, purtroppo. Evidentemente non lo giudicava degno di condividere i suoi pensieri, ma abbastanza divertente e giocoso per distrarla. Soppressi la mia irritazione giudicandola infantile e mi dedicai allo spezzatino con notevole entusiasmo.
Nel pomeriggio ci fermammo a cento metri da una casa di legno, estremamente povera, che si trovava praticamente già fuori da Moncalieri, sulla via che portava a Torino. Milady volle che io scendessi per chiedere notizie del primo estinto, il sessantenne morto per un presunto attacco di cuore. –Mi affido al vostro acume, Jean –disse –Date le nostre vesti e i nostri modi, la famiglia potrebbe sentirsi imbarazzata, o forse, ostile. Spacciatevi per il funzionario di Torino, se credete. Noi vi attendiamo qui... La casa non era recintata e galline d’ogni colore e dimensione vi stazionavano intorno e animavano anche la strada percorribile. Bussai ad una porta d’assi scalcinate. Dal retro della casa si sentivano grufolii e proveniva un odore abbastanza penetrante. Un albero secolare incombeva sulla costruzione che non era molto di più d’una baracca. Uscì una donna dall’età indefinibile, vestita di stracci lunghi e scuri, con i capelli raccolti in una crocchia disordinata e scarmigliata. Appeso alla sua gonna c’era un bambino di circa dieci anni, sporco e macilento. - Buongiorno signore- disse la donna sorridendomi mezzo sdentata. –Volete comprare delle uova, signore? Sono freschissime... Se volete un maialino da latte, vi posso fare un ottimo prezzo... Vi ha mandato qui il curato? O la signora sindachessa? Entrate, non badate al disordine... ultimamente sono stata poco bene, ma dovete credere che le bestie le tengo bene... Più bene dei miei figli... - Non sono qui per questo, signora... -lei mi invitò a sedermi su una delle quattro sedie dalla paglia mezzo marcita. Il fuoco nel camino era spento. Sul tavolo giaceva una pila di indumenti. Lei li prese e li depose su una specie di cassapanca. –Che mi scusi, sa. Li devo stirare per la moglie del sindaco... Sa, speravo proprio... Ma si incomodi! -mi sedetti cercando di non mostrarle la pena che provavo per lo stato miserevole di quella casa. - ...speravo proprio, perché è morto mio marito e sono in tempi un po’ difficili... - Io sono un funzionario venuto per far luce su due morti sospette. - Quali morti sospette? Io so d’una povera bambina, la figlia del mugnaio, quella più grande... Ma mio marito l’era vecchio... Non so... A me mi dicono che è morto per il cuore.
- In paese si dice che invece anche suo marito potrebbe essere morto come la figlia del mugnaio...- dissi, grato alla chiacchiera di quella povera donna, che, senza volerlo mi aveva fatto un grande favore, rivelandomi quale fosse la famiglia della vittima. - Così si dice? Oh santa Maria Vergine! -la donna si sedette affranta. –Se il signore se l’è preso, è un dolore... che si può fare contro il destino... Ma così... - Non c’è niente di sicuro... Io sto indagando... - Cos’è che fa? Scusi, ma io... Sono ‘nalfabeta. - Volevo dire che sto cercando di scoprire se le voci hanno ragione di essere. Lei dovrebbe rispondere a delle domande. - Ma sicuro... Però mi deve credere che io non l’ho avvelenato il mio marito... Ho tre figli... Uno di sedici anni che sta a pascolare le capre, una di quindici che ho dovuto mandare a servizio dal sindaco e questo qua che è malato... che se non ci fosse la moglie del sindaco saremmo già belli morti di fame... Che mio marito, Dio l’abbia in gloria, spendeva! Ci aveva idee strane che voleva fare allevamenti di galline. Ha visto che ce n’ho da tutte le parti? - Mi potrebbe parlare di cosa ha fatto nei giorni prima di morire? - Ma, non so... Le solite cose... E’ andato a vendere i polli al mercato, al paese vicino e, il giorno prima di andarsene, qui a Moncalieri. Le cose che faceva sempre. Sarà andato all’ostu... - Dove, prego? - A bere... Nella locanda... Io non so. Poi quella sera stava male, male... Sempre più male. Che alla fine ho mandato il Giovanni a chiamare il dottore. L’ho mandato di notte, povero bambino... Ma che potevo fare? Io non posso mica correre, son tutta un dolore, ci ho i reumi... - E’ sicura che non abbia incontrato nessuno? Che non abbia fatto qualcosa di diverso? - No... Non so... Io sto sempre qui...
- E qui a casa, cosa ha mangiato e bevuto? - Acqua e minestra e un uovo sodo. E i giorni prima, lo stesso... Siamo pieni di debiti, con la sua mania dell’allevamento, anche dei maiali... Cosa farò adesso... Li devo vendere e anche tutte quelle galline... Io non posso andare a serva. Con i reumi, chi mi piglia? Mi ha lasciato ‘na bela cros... (1) Mi offrii di comprare un maialino e due dozzine di uova. La pagai molto più di quello che chiedeva, tanto che in tasca non mi rimase quasi nulla. Uscii scortato dalla vedova che si profondeva in ringraziamenti e mi chiamava eccellenza. Ciò che riferii quando giunsi al carro, diede abbastanza entusiasmo a Lady Costantine. Ella avrebbe voluto recarsi subito a far visita al mugnaio, ma il conte ebbe ad obiettare: - Milady, non possiamo fermarci oltre... Con il carro ci vogliono più di due ore per tornare a “Frescura”. -per una volta dovetti riconoscere, anche se solo nel mio intimo, che il conte aveva ragione. - Vorrà dire che domattina presto, ritorneremo a Moncalieri. Tanto più che se non sbaglio dovete recarvi a vendere le vostre erbe. - Io non mi occupo di codeste faccende. Vi si recano sempre Evelina e Matilde, le serve. - Ma non sono un po’ troppo anziane? -obiettai scrutando in volto la mia padrona. -Sono due anni che eseguono questa incombenza... Perché privarle di questa soddisfazione? La vecchiaia non è la fine di tutto...- il conte mi sorrideva con occhi ostili. Piazzai il maialino nel carro e l’involto contenente le uova in grembo al nobilotto e frustai i cavalli. Giungemmo senza incidenti, ma era ormai già quasi notte. La contessa e la di lei nipote ci avvistarono mentre eggiavano lungo il viale alberato che portava alla dimora. Ci fermammo. - Credevo non sareste più arrivati –disse la giovane tenendo gli occhi bassi.
- Sono contenta che abbiate seguito il mio consiglio di non fermarvi colà per la notte. – la contessa era sollevata in modo evidente. - Non credo che ci sarebbe successo granché -ribatté il figlio. –Volete salire, madre? - La mia eggiata salutare non è ancora terminata. Se tua figlia vuole ritornare... -e interrogò con lo sguardo la giovanetta. Questa, fece segno di no con la graziosa testolina. - Andate... Matilde vi ha tenuto in caldo la cena. –ci suggerì la contessa. –Al mio ritorno parlerò con voi, Milady... Sono curiosa di sapere se avete scoperto qualcosa. - Non sarete delusa, contessa. –rispose la mia padrona, accompagnando le parole con un lieve cenno del capo.
L’indomani mattina presto. Venne con noi solamente una delle due anziane servitrici. Matilde, dallo sguardo arcigno e diffidente, il portamento fiero e il corpo così ossuto, che si stentava ad indovinarlo nelle vesti scure. Dovetti caricare una quantità imprecisata di sacchi colmi di erbe varie e pensai più d’una volta che il caro gentiluomo, anche se non sarebbe venuto con noi, avrebbe potuto ugualmente darmi una mano... La contessa uscì per salutarci, avvolta in uno scialle da contadina marrone scuro. –Mi raccomando –le sentii dire a Milady, mentre finivo di caricare le erbe –Siate cauta... Il mugnaio è un sostenitore dei si... Fu un viaggio piuttosto silenzioso. Madame tentò più volte di intavolare una conversazione con la donna, ma ella rispondeva, per lo più, a monosillabi. Solamente quando Milady parlò della contessina Eugenia e del conte figlio Baldovino, lei parve illuminarsi ed iniziò a parlare. Ma ciò che uscì dalla sua bocca, non furono certo parole d’elogio o di soddisfazione: - Per quei due... -sospirò –Non c’è niente da fare: il piccolo è già rovinato. E’ peggio di com’era suo padre quando aveva la sua età... E la povera Eugenia... Non sarà certo mungendo la vacca che potrà maritarsi come le si conviene. Se il conte non fosse quello che è, l’avrebbe almeno messa in un convento... E non crediate che non fosse possibile: il vescovo è grande amico della contessa e le assicurerebbe un ottimo inizio... - Ma Matilde –la interruppe madame –per entrare in convento ci vuole la vocazione. Non è certamente un affare così leggero come voi lo presentate...- la donna la fissò bene bene in volto e poi, sbottò: - Quando non si ha più nulla, non si può guardare tanto per il sottile... Il Signore capirebbe! Sempre meglio che finire sposata a qualche bovaro del posto, dico io... - D’ogni modo queste sono cose che riguardano la contessa e il conte... - Se è per questo, ci hanno pure litigato. Non crediate, Milady, che il pensiero del convento sia farina del mio sacco. La contessa stessa ne ha parlato più volte. E, per Baldovino, la carriera militare... Ecco a cosa aveva pensato la mia signora. Ed era possibile, perché la mia signora ha ancora le sue conoscenze... - Con i tempi che corrono, non credo che sia poi una così ottima cosa- obiettò
madame. Ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Milady stava cercando di apprendere più notizie che poteva. La tecnica che usava pareva dare i propri risultati. La donna, autoritaria e dispotica, non ammetteva che le si fero obiezioni, e men che meno che le si fero all’adorata contessa. - Sarebbe sempre meglio morire in battaglia che finire i propri giorni, Dio mi perdoni, tra sguattere, donnine di malaffare e bische clandestine. - Come fate a dire che questo sarà il destino di Baldovino... E’ ancora un bambino... Povero caro... - Quello? Quello è uguale al proprio padre. Di studiare manco se ne parlava quando i conti non erano ancora caduti in disgrazia. Ha cambiato più tutori lui di quanti ne abbiano avuti in tutta la dinastia dei Savoia… Dove credete vadano a finire i proventi della fattoria? Credete veramente che se il conte non avesse il vizio del gioco e di chissà che altro, la contessa sarebbe costretta, dico io, a lavorare alla sua bella età? - Non posso credere che il conte sia come voi dite... - Oh, per me... Credete un po’ a quello che vi pare... Ma se fossi in voi non gli darei tanta confidenza... Non potei impedirmi di sorridere. La vecchia aveva dato corpo ai miei pensieri... e anche a quelli della cuoca! Milady lasciò cadere il discorso e per una mezz’ora, forse di più, l’unico suono che accompagnò il nostro viaggio, fu il rumore degli zoccoli sul fango disseccato dal sole e il cigolio delle ruote del carro. Poi la serva volle essere portata al mercato e ci indicò la strada per la piazza dove si vendevano le merci all’ingrosso. Lasciammo lì il carro e la serva che ci raccomando di tornare per mezzogiorno. –Quando finisce il mercato bisogna andarsene...- disse aspramente. Milady s’incamminò con o sicuro. –Venite, stando alle indicazioni che mi ha dato ieri sera la contessa, non abbiamo un minuto da perdere. Dobbiamo attraversare Moncalieri. Il corso d’acqua ed il mulino si trovano abbastanza lontano da qui.
Camminammo attraversando viuzze silenziose e vie abbastanza frequentate, sia da carri trainati che da persone a piedi e a cavallo di qualunque cosa avesse quattro zampe e fosse abbastanza forte per sostenere il peso d’un uomo. Vidi un ragazzino a cavalcioni d’un bue, attraversare la via con austera fierezza. Due donne che si accapigliavano mentre la gente intorno a loro rideva e le incitava. Molti mendicanti cenciosi, un ricco possidente a cavallo seguito da un grasso servo che in continuazione lucidava stivali e staffe. Finalmente le case iniziarono a diradare, sostituite da campi arati e filari ricolmi d’uva. Già la strada correva di fianco ad un corso d’acqua e ben presto, tra gli alberi fu visibile la ruota del mulino. Quando fummo a pochi metri dalla costruzione, madame si fermò e mi raccomandò di tenere un contegno che potesse confermare una nostra qualche forma di intimità. Al resto avrebbe pensato lei. – Comunque non abbiate timore di intervenire e, soprattutto, non lasciatevi sfuggire la mia nobiltà. Avete ben visto che ho vestito abiti alquanto modesti. Non ho intenzione di fomentare l’odio per i conti di Moncalieri, e, soprattutto, vorrei che quell’uomo fosse disposto alla confidenza. - Ho inteso -le confermai. Ci avvicinammo ulteriormente. - C’è qualcuno? –urlai, quando già eravamo sulla soglia aperta. Il rumore era tale che disperavo di essermi fatto sentire. Tuttavia, anche Milady gridò: -Si può entrare? Un giovanissimo garzone veniva verso di noi con un sacco colmo di farina sulle spalle. Il peso ed il volume, eccessivi per la sua costituzione, lo piegavano. Di lui erano visibili solo le gambe e le mani. Si lasciò quasi cadere all’indietro con il suo fardello su un consistente cumulo d’altri sacchi pieni. - Ehi! –gridai, per essere sicuro di superare il clangore che ci avviluppava. Ma il ragazzino, dai lunghi capelli sudati, ci aveva già notato. Stentava però ad alzarsi, evidentemente sfinito dal trasporto della farina. Si limitava a fissarci ansante, con enormi occhi diffidenti e non si decideva a tirarsi su dai sacchi di farina. Milady mosse alcuni i verso di lui. La seguii a ruota.
- C’è il padrone qui?- chiese con un sorriso. Il ragazzotto si alzò in piedi e tentò inutilmente di pulirsi dalla farina che regnava sovrana sui suoi poveri abiti. - Sta alla macina, signora – rispose con un urlo compito. - Lo chiameresti per noi? Il garzone non obiettò. Tuttavia tentò d’osservare dietro le nostre spalle. Magari voleva vedere quale carico da macinare avessimo portato per poterlo riferire al mugnaio. Milady gli porse una moneta ed il ragazzo partì come un lampo, senza più curarsi di nulla. L’attesa non fu lunga. Un uomo dalle brache e dalla camicia chiara teneva dietro al ragazzo. Poi quest’ultimo si fermò indicandoci e sparì nei meandri del vecchio mulino. Il corpulento mugnaio si mosse verso di noi con un sorriso stanco sul viso rotondo e pallido. - I signori desiderano? –chiese, accennando un lieve inchino all’indirizzo di madame. - Potremmo forse uscire un momento? Sapete, con questo rumore bisogna far molta attenzione per capire... E poi non vi sono abituata... - Ma certamente...- ci fece segno d’uscire nel vasto spiazzo circolare, attorniato da alberi le cui foglie occhieggiavano di lampi di luce. - Non vedo alcun carico- disse mentre ancora camminavamo. Milady si fermò e si voltò verso di lui. - Signor mugnaio, io e il signor mio cugino qui con me, siamo qui per parlarvi del fatto successo alla vostra povera figliola... L’uomo si irrigidì ed ebbe come un moto di ripulsa: - Non voglio parlarne –s’inquietò –e non vedo perché dovrei farlo con due estranei... - Avete ragione. Noi siamo figli di colui che doveva comprare il carico di erba
officinale sparito poco tempo prima della disgrazia accaduta alla vostra povera creatura. - Non so che caspita possa interessarmi!- l’uomo si voltò per tornare sui suoi i. Ad un cenno di Milady lo rincorsi e afferrai per un braccio: - Signor mugnaio, vi prego –esordii -ascolti quello che abbiamo da dirle... Nostro padre vuole scoprire chi mai abbia rubato quell’erba e come abbia potuto far in modo che avvelenasse delle persone... Egli si fermò di botto: -Solo la mia povera bambina è morta per colpa di quel disgraziato... E vi giuro che se lo prendo lo aggiusto io che nessuno ha più bisogno d’impiccarlo...- poi tentò di divincolarsi, ma intervenne madame: - Ebbene, se riusciamo, col vostro aiuto a prendere questo avvelenatore, vi giuro che ve lo consegneremo! L’uomo si voltò verso madame. La fissava con una luce folle negli occhi, tanto che non mi fidai a lasciargli il braccio. Sentii che tremava in tutta la persona. Vidi che faceva forza su se stesso per non scoppiare a piangere. Il suo labbro sobbalzava ritmicamente e il suo respiro era affannoso. - Se è così come dite, vi aiuterò senz’altro. Ma dovete giurarmelo sulla Bibbia. E dovete fare molta attenzione, perché se mancaste al giuramento io vi verrei a prendere anche in capo al mondo, e sarete poi voi a dovervi preoccupare... Boia vaca... - Giureremo... Ma voi ci racconterete per filo e per segno ogni cosa che vi chiederemo e se vorremo il vostro aiuto ce lo darete senza indugio. Per far questo dobbiamo incominciare però con il massimo della lealtà ed io vi confesserò qui, seduta stante d’avervi mentito poc’anzi. Sono un’amica della contessa e ve l’ho taciuto solamente perché altrimenti non avreste neppure voluto ascoltarmi. Il mugnaio fu colpito dalla rivelazione, ma non come mi aspettavo. Non batté ciglio e si limitò a dire: - Ora so che voi, signora, manterrete la parola. Non ho bisogno d’altro. Solo una
cosa vi chiedo: non fatemi incontrare quella donna o qualcuno della sua famiglia. Troppo è l’odio che nutro per loro. - Vi giurerò anche questo sulla bibbia. Lo esigo. Perché non ci sia fra di noi alcuna sorta di remore. L’uomo mi guardò interrogativamente e io gli spiegai pian piano: - Vuol dire che per fidarci l’un con l’altro, dobbiamo fare le cose chiare. Così non dovrete sospettare di noi. Andate a prendere una bibbia. - Venite con me, la mia casa è dietro al mulino... di qui non si vede... Lo seguimmo e girammo intorno al mulino. Spuntò una casetta simile a quelle che si trovano nelle fole. Tutta su di un solo piano, con le mura bianche e il tetto rosso, gli infissi e la porta verdi ed un albero carico di mele proprio di fronte, più alto della stessa casupola. - Maria... Son mi... (2)- ed entrò seguito da madame e da me che recitavamo la rituale richiesta di permesso. La porta entrava direttamente in una grande cucina con un allegro camino e un tavolo di legno scuro. Una madia intarsiata, un bimbetto che giocava per terra con una piccola trottola di legno e una donna robusta come il marito che rimestava dentro ad un pentolone sospeso con una catena sul fuoco del camino. La volta bassa e sostenuta da robuste travi di legno scuro era un po’ annerita dal fumo del camino. Una tenda di cotonaccio grezzo nascondeva alla vista un’altra stanza, probabilmente la camera da letto. Dopo brevi presentazioni, il mugnaio chiese gentilmente alla moglie se gli poteva prendere la bibbia e la mugnaia sparì oltre la tenda. Rimanemmo vicino al tavolo completamente spoglio, dove la donna aveva poggiato il mestolo fumante. Ci presentammo col nostro vero nome e l’uomo ci invitò a sedere: - Così lei è una Lady inglese... Io l’avrei detta se, voglio dire per il modo di parlare... -disse con un lampo d’arguzia negli occhi piccoli e scuri. - Sono per metà se... -ammise Milady con un sorriso contenuto. Il mugnaio mi osservò brevemente senza proferire verbo.
- Se la può interessare – dissi –Io sono il cugino se di Milady. - Un cugino realista, scommetto... - Se fossi in lei, non ci giurerei... Sorrise. Pareva divertito. Finalmente giunse la moglie con la bibbia. - Ma cosa a l’è che volete fare? -domandò preoccupata. - Pensii nen, non ci pensare... Va a dare un occhiata ai garson (3), che quelli se non ci sono io mi battono la fiacca... Come illuminata da una verità superiore, la donna abbandonò all’istante curiosità e preoccupazione per i nostri intenti. Abbrancò il bambinetto da terra, il quale, strappato al suo gioco, si mise subito a frignare e uscì precipitosamente. Era già fuori e richiudeva la porta quando gridacchiò: - Fa atension alla minestra, nè! Il mugnaio si alzò da sedere e diede un’occhiata al pentolone che bolliva, vi immerse il mestolo, mescolò e ritornò a sedersi tra di noi. Giurammo sulla bibbia di tenere fede alla promessa fattagli e lui volle giurare che ci avrebbe aiutati a ritrovare colui che a tutti gli effetti, poteva essere l’assassino di sua figlia. Ma Lady Costantine aveva intenzione di andare più a fondo nella questione. - Mi spiace, ma vi debbo chiedere come è deceduta vostra figlia: se dobbiamo scoprire l’assassino, dobbiamo prima di tutto scoprire come abbia potuto giungere a tanto... Il mugnaio la fissò per un lungo momento. Poi, come riscosso, disse: - Io non c’ero. Mia moglie dice che l’ha trovata già agonizzante. Era uscita, mia moglie... Era uscita... -all’uomo mancò per un attimo la voce. Tossì, estrasse un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, si deterse il sudore dalla fronte, e asciugò frettolosamente, quasi con rabbia, le lacrime che sgorgavano dagli occhi. Poi proseguì: -Mia moglie era uscita per portarmi da mangiare che avevo del lavoro
da finire. Quando è rientrata ha trovato la bambina stesa a terra che rantolava. Ci ha chiamati. Siamo corsi dal dottore col carro... Ma era già... Andata... Ecco! - Scusate se chiedo ancora una cosa: sapete se la bimba ha mangiato o bevuto qualcosa prima di sentirsi male? Lo so che non eravate presenti, ma può darsi che abbia avanzato qualcosa in un bicchiere... O del cibo... qualcosa che voi tenete in casa, che nessun altro ha ancora assaggiato... - Non so... Non ci abbiamo fatto caso. Eravamo tutti agitati... Correre dal dottore era l’unica cosa che abbiamo pensato... - Non importa…Lasciate stare... -il mugnaio faceva uno sforzo enorme per trattenere le lacrime... -Se ricorderete qualcosa, me lo farete sapere. Comunque vi consiglio di pensarci, anche perché forse state rischiando...
Tornammo alla “Frescura” molto prima di sera. Milady era silenziosa e meditabonda. Lo fu per quasi tutto il tragitto, mentre la serva Matilde contava i soldi che aveva ricavato dalla vendita delle erbe e soddisfatta ci decantava le sue doti di mercante, sostenendo che se fosse stata un uomo avrebbe sicuramente potuto fare molta strada nella vita. Non la smise un attimo di cianciare. E questa volta fu la mia padrona a rispondergli a monosillabi. Tanto è vero che fui io a sostenere i rari interventi di conversazione che erano richiesti dal monologo autoincensante della vecchia. Quando intravidi la sagoma del cascinale ebbi un moto interno di sollievo che mi fece rabbrividire. Dove stava andando a parare la mia vita, se potevo sollevarmi nel vedere quel vecchio cascinale gremito di nobiltà decaduta? Tutti furono felici del denaro racimolato da Matilde. Solamente la contessa non parve particolarmente lieta dell’avvenimento. Ne approfittò per prendere in disparte Milady. Per farsi raccontare gli ultimi sviluppi delle sue ricerche, supposi. La vecchia consegnò il denaro al conte. Ed io non potei fare a meno di pensare a quanto di quel denaro sarebbe finito in giocate notturne e donnine allegre. Eppure il padrone lì era lui. Almeno così pareva. Disparve con il denaro. E fu in quell’attimo esatto che l’anziana contessa si congedò frettolosamente da madame per seguire il figlio nell’altra stanza. - Si farà dare il malloppo! -esclamò Baldovino addentando una mela bacata. La sorella gli diede uno scappellotto. –Ti proibisco di parlare così della nonna e del tuo signor padre. Il contino si mise immediatamente a frignare e la dolce serva Evelina abbandonò la minestra sul focolare per correre a consolarlo. Milady mi fece cenno di seguirla e uscì ignorata dagli astanti. Mi accomiatai dalla giovane contessina, scusandomi molto cavallerescamente: - Vado ad accudire al mio Moreno –le dissi. La risposta mi lasciò spiazzato: - Ve l’ho strigliato e gli ho dato da mangiare carrube ed erbe mediche... La biada è finita ieri sera...
Dovevo uscire a costo di parere scortese. Milady mi attendeva. –Andrò ugualmente, contessina... Vorrei prendere una boccata d’aria prima di cena... Sapete, non sono molto abituato a stare in casa e non mi ci trovo... Uscii senza attendere risposta. Raggiunsi Milady vicino al fienile. - Ho raccontato del mugnaio alla contessa e lei mi ha riferito che il padre di costui fu mezzadro del conte suo marito. Non ho osato chiedere quali siano state le controversie fra il conte e il padre del mugnaio, ma pare evidente che l’avversione non nasce a causa delle simpatie politiche del mugnaio. - Ed è importante? –le chiesi tenendo d’occhio il cortile. - Non lo so ancora... Ma che avete? Si direbbe che state attendendo qualcuno... - Oh no, signora... E’ che temo che la giovane contessina mi segua in cortile... - Non temete. Ha sempre così tanto da fare che è molto improbabile che trovi il tempo per esporsi alle vostre brame. Il mio sguardo non dovette essere molto benigno, perché ella puntualizzò con una punta d’esasperazione: - Non temete: stavo scherzando... So benissimo che tra voi e una nobile non vi può essere nulla più che amicizia. Il tono della sua voce mi sorprese. Pareva in qualche modo dispiaciuta, anzi, rancorosa. La osservai più attentamente, per quanto me ne davano la possibilità le prime ombre della sera e l’addensarsi di alcune nubi grevi, foriere d’altra pioggia. Lei parve accorgersi del mio stupore e disse: - Alle volte siete sfuggente come una biscia e par quasi che non sopportiate la presenza di certe persone. Non mi riferisco certamente alla giovane Eugenia. - E a chi vi riferite?
- A me. Mi pare che a volte evitiate la mia persona. Non in modo tangibile, non potreste neppure, giacché lavorate per me, ma evitando di farmi partecipe dei vostri pensieri. - Non sapevo che vi interessassero... - Vedete? Siete scostante. - Volevo dire che credevo che il mio compito fosse quello di proteggervi e di eseguire i vostri ordini. - Vi ho preso come aiutante, non come servo... E non fatemi pentire di avervi parlato così apertamente... -s’allontanò di qualche o. –Per esempio... Queste indagini mi confondono, non so più che pensare... E voi non mi aiutate... - Come, non vi aiuto... Ho fatto tutto quello che... - ...che vi ho ordinato, lo so... Ma non fingete di non capire. Noi dovremmo lavorare insieme. Unire le nostre menti. - Scusatemi signora. Io non sono un granché come pensatore. Credevo l’aveste già capito... Non saprei cosa suggerirvi. Mi pare che ve la caviate molto bene, per quanto ne so. - Solitamente, può darsi. Ma non questa volta. - Beh, se volete cercherò di... Però non credo che vi potrà esser conveniente. Io sono abituato a far eseguire ordini che vengono dall’alto e a combattere... La mia vita si è sempre limitata a questo. - E non sentite l’esigenza di cambiare? Il mistero non vi attira? Non vi dispone alla sfida? - Penso di si –ammisi. -Ma non credo di essere all’altezza di fare ciò che fate voi... E non fatemi ammettere che mi mancano le cognizioni scientifiche, l’esperienza e la predisposizione, perché sono cose che sapete già... - Forse- ammise lei –Ma quattro occhi vedono meglio di due. - Certo. Ma se io vi dicessi che penso che il conte sarebbe capace di qualunque
cosa per denaro, voi non ne sareste soddisfatta di certo e non dareste peso alle mie parole... - E perché non dovrei farlo? –rise brevemente. –Voi credete che lo consideri un innocuo cicisbeo, piacevole a vedersi e a sentirsi? - Beh, ecco... si potrebbe dire così...- mentii, ben sapendo che erano ben altri i miei pensieri quando li vedevo civettare insieme. - Certo che lo penso, ma come voi penso anche al vizio del gioco, delle donne di malaffare e chissà quali altre nefandezze che a noi sfuggono... - Quindi lo considerate degno d’essere sospettato? - Certamente. E’ ho paura che ciò mi svii dalla giusta direzione. Non è certo vendendo mezzo ettaro di digitale che si ricavano i denari necessari a ciò che desidera il conte. - Questo lo penso anch’io. Come penso che è assai strano però, che qualcuno rubi un’erba simile... A meno che non ne conosca gli effetti e desideri far ricadere la colpa d’un delitto su altre persone. - Se non piuttosto su chi ne ha già commessi altri... - Ma in questo modo- osservai sorpreso –si può pensare che il delitto al quale aspira il nostro assassino, sia ancora da compiere... - Vedete che non siete così ottuso come volete credere? - Pensate veramente che sia così? - Non posso esserne certa, ma sarebbe l’unica via che potrebbe dare corpo a questi strani accadimenti: il furto della digitale, le morti sospette d’un povero allevatore di maiali e d’una bimba innocente. - Ma che dobbiamo fare? - Per ora non c’è molto da fare, se non scoprire con quale mezzo sono stati avvelenati la bambina e l’allevatore e nel contempo, tenere d’occhio le cose qui alla “Frescura”.
La voce aspra della vecchia Matilde ci chiamava al desco. - E vi pare poco? –le chiesi, e senza attendere risposta, mi incamminai verso la costruzione.
Erano circa le dieci di sera e la casa era congelata nel silenzio e nel buio più profondo. Non riuscivo a dormire. Il pensiero d’un possibile nuovo assassinio eccitava i miei nervi e li consigliava che era opportuna l’azione. Eppure, che fare? Bussarono alla porta. Un tocco lieve. Balzai a sedere, ma poi, dopo poco, credetti che fosse la mia ragione esagitata ad avermi ingannato. Ripiombai sul cuscino. Un altro trapestio alla porta e poi, poco più d’un sussurro. –Jean, aprite... aprite... Che fosse la giovane Eugenia? Il sangue mi diede un balzo, ma la memoria subitanea del ato me lo raggelò. - Andatevene! –esclamai. –Tornate a dormire... - Aprite... -il sussurro era divenuto imperioso. Dubitai di ciò che sentivo. Pareva proprio la voce di Lady Costantine. Un nuovo balzo e fui giù dal letto. Mi precipitai verso la porta, quindi, in preda ad ambascia, tornai indietro: indossavo solo mutandoni di lana. Infilai i calzoni e la camicia e mi precipitai nuovamente alla porta. Girai la chiave ed aprii in un battibaleno. - Alla buonora... -esclamò sussurrando la signora. Mi misi da parte per lasciarla entrare e richiusi, non prima di aver sbirciato se nel corridoio tutto fosse tranquillo e immerso nel sonno. - Non avete neppure una candela? - Ho perso l’acciarino... - Bene, vestitevi... Io vi attendo al fienile. Prenderemo due cavalli e andremo verso Moncalieri. - A quest’ora? - Certamente... Ho sentito uscire il conte e voglio vedere dove si reca a quest’ora della notte.
- Intanto non è poi così notte... E poi, dipende da quando l’avete sentito uscire, perché non è detto che quello si rechi proprio a Moncalieri... - E dove credete che vada... Ad un incontro galante con una contadina del luogo? Le uniche donne che vivono da queste parti sono ammogliate, oppure ben distanti dalla pubertà... - Potremmo scoprire insane ioni nutrite dal vostro cavalier servente -ghignai. - Alle volte non so proprio che vi prenda, Jean. Non è il momento di fare dello spirito... Finite di vestirvi e raggiungetemi in fretta. Il conte non è partito che da pochi minuti e se diventeranno molti, sarà solo colpa vostra. Ed uscì, lasciando spalancata la porta. La raggiunsi in breve tempo. Aveva già sellato i nostri due cavalli. Uno era Moreno. Mi guardai bene dal domandarle dove avesse appreso quelle nozioni che esulavano completamente dalle cognizioni d’una nobildonna. S’arrampicò quasi sul cavallo e partì di gran carriera. La seguii, veloce come un lampo. La luce incerta della luna m’aveva svelato, con mio sommo stupore, che madame indossava pantaloni, giacca e parrucca, e, complice l’oscurità, poteva are per un giovanotto in cerca d’emozioni. Ma quali emozioni si potevano cercare in un paese placido e tranquillo come Moncalieri? Galoppammo per un buon tratto, poi, Milady arrestò quasi la cavalcatura ed io, immaginando il perché, feci altrettanto. Due sagome a cavallo, si stagliavano nel tenue chiarore della luna. Uno poteva essere il nostro cicisbeo, ma l’altro? - Stanno parlottando –sussurrai . - Presto... Spostiamoci –e Milady scese da cavallo e si spinse sul ciglio estremo della strada, al limite del fossato che vi scorreva a fianco. La imitai. Li eravamo nascosti dagli alberi che percorrevano una lieve curva della via. - Guardate cosa fanno- mi ordinò. - Mi sporsi con cautela e li vidi che si incamminavano nella direzione di Moncalieri.
- Vanno... E stanno per lanciarsi al galoppo. - Seguiamoli... A distanza. Come sospettavo si fermarono ben prima di Moncalieri. Per poco non li perdemmo. Ma io trovai la stradina quasi sepolta dalla vegetazione che dovevano aver percorso. Ci avviammo per l’angusto e scomodo tracciato. Con mille cautele proseguimmo fino a che non trovammo un casino di caccia abbandonato da tempo. I cavalli dei due erano legati ad un palo li fuori. C’erano altri due o tre cavalli e una luce rischiarava l’unica finestra visibile. - Che facciamo? –chiesi a madame. - Qualunque cosa facciano, dobbiamo scoprirla... Io proporrei di entrare. - Calcolando i cavalli qui fuori, la dentro ci devono essere all’incirca dieci uomini. Cosa pensate di fare se non saremo bene accetti? - Siete armato? - Io non esco mai senza una pistola ed un pugnale... Milady, tuttavia... - Non avrete paura, spero. - Qui non si tratta di paura, ma di senso pratico. Io proporrei di spiarli dalla finestra. - Credete che così non ci scoprano? Oppure mi suggerite di andare ad orecchiare alla porta... - Ho capito... -m’infuriai in un sussurro – Spero che abbiate portato con voi la pistola e che la sappiate usare bene... Mi avviai con spavalderia verso la porta d’entrata. Lei mi seguiva e mi fermò toccandomi un braccio. - Sentite... Se fosse una riunione segreta, vi autorizzo a coprirci la fuga... Non risposi nulla, per timore di non riuscire a non essere irriverente. Mi capita sempre quando sono spaventato.
Entrammo senza neppure bussare. Tutti si voltarono all’unisono verso di noi. La maggior parte di loro stava seduta ad un tavolaccio con le carte da gioco in mano. Vidi qualche sottana abbassarsi e braccia nude coprirsi il volto. Evidentemente qualche signora compiacente del posto, non voleva che molti venissero a sapere di certe attività, per così dire, extra... - Si gioca a carte da queste parti? –chiesi con spavalderia. Un uomo robusto, carico di denti d’oro si avvicinò conciliante. - Signori cari, questo è un club privato, per soli gentiluomini. - Ma noi siamo gentiluomini. –ribattei sfrontato. –Qualcuno lo mette in dubbio? –chiesi ad alta voce. –Siamo molto amici del conte di Moncalieri. Ci attendeva: è qui tra voi? - Certo che no... -ci assicurò mellifluo l’uomo dai denti d’oro. –Tornate con lui e sarete accetti. Semmai egli ci degnerà dell’onore d’una sua visita- gli astanti risero, alcuni sguaiatamente. Milady si era inoltrata tra i tavoli e cercava con lo sguardo il cicisbeo. Poi vide che c’era una porta e prima che l’uomo, o qualcun altro potesse impedirglielo, la aprì. La vidi rimanere letteralmente a bocca aperta. Non c’era abbastanza luce per esserne certi, ma ero pronto a giurare che fosse impallidita mortalmente. Richiuse la porta, venne verso di me precipitosamente e disse una parola sola, con voce strozzata: - Andiamo. - Che succede? –le chiesi preoccupato. - Vi dico che dobbiamo andare- insistette, senza preoccuparsi di camuffare la propria voce così femminile. Feci qualche o verso la porta e nessuno, tranne l’uomo dal sorriso d’oro, parve particolarmente interessato alla cosa. Vidi apparire su qualche volto un ghigno ironico. Aprii la porta, strattonando violentemente l’uomo che cercava di impedirmelo. - Venite via, vi prego... -insistette Milady. Il conte di Moncalieri si stava sistemando la parrucca in testa, seduto ad una vera e propria toilette da donna.
Indossava già le brache regolamentari, ma aveva ancora un busto mezzo slacciato, inequivocabilmente da donna e del rosso sulle labbra. Dall’altra parte del letto, un giovane dalla barba scura, pieno di muscoli, stava finendo di rivestirsi. Chiusi la porta e raggiunsi madame. –Avete ragione... E’ meglio tornare alla “Frescura”. Lei mi seguì in silenzio. Qualcuno degli uomini che giocavano a carte si mise a ridere sguaiatamente. Richiusi la porta su di loro e aiutai Milady a rimontare a cavallo. Lei partì al galoppo sfrenato. Le tenni dietro a stento e vista l’esiguità del sentiero che portava al casino di caccia, un paio di volte fui schiaffeggiato dai rami più bassi degli alberi. Imprecai, ma non diminuii d’un sol o l’andatura di Moreno. Quando giungemmo sulla strada maestra, Milady aumentò ancora l’andatura del cavallo, ma io riuscii ad affiancarla: - Che diavolo vi prende?- urlai. –E’ buio pesto... Volete azzoppare il cavallo e magari rompervi l’osso del collo? Lei non mi rispose, ne mi degnò d’una occhiata, per quanto la scarsa iridescenza della luna non le avrebbe permesso di vedere un granché. Trascinato dal mio solito impeto, persi un’ennesima occasione per tacere: - Ve lo avevo detto che si trattava d’un uomo da poco... La bellezza e le moine riescono sempre a confondervi, a voi donne... Cercate di ragionare... Milady fermò in così breve tempo la propria cavalcatura che, mio malgrado, proseguii ancora per un piccolo tratto, prima di potermi arrestare. Tornai verso di lei che mi attendeva immobile e silente. Ma il silenzio durò ben poco, Milady mi aggredì: - Per quanto vi possa sembrare strano, stavo pensando alla povera contessa… Il solo pensiero che un uomo simile possa esserle figlio e che la contessa possa venirne a conoscenza... -la voce le si incrinò per l’emozione: -...Ma è chiaro che voi vedete le cose sotto un’altra luce... Una luce che illumina solamente le
mutande... -e ripartì nuovamente verso il cascinale gridando: - Venite presto, o volete lasciare che l’affascinante conte ci raggiunga e, magari vi corteggi sulla strada del ritorno? L’affiancai, deciso a non lasciar perdere la questione. - Volete forse sostenere che non siete stata minimamente attratta da quel... - Io civetto con chiunque, dovreste già esservene accorto... Quando mi è stato necessario ho civettato persino con voi... -rise apertamente e diede di sprone al cavallo. L’abitudine alle sconfitte non è una pratica che si esercita molto volentieri. Il mio amor proprio non ne usciva molto bene, ma era inutile continuare a punzecchiare Milady, ne avrei ricevuto solamente ulteriori batoste. Ne ero sicuro. Giungemmo al cascinale in poco tempo. Lady Costantine tornò di corsa alle proprie stanze, raccomandandomi di strigliare per bene i cavalli. Non le risposi che con un cenno del capo, al che lei si fermò e mi piazzò in volto la luce della candela che, molto prudentemente avevamo lasciato nel fienile perché ci servisse al ritorno. - L’avete su con me, Jean? Stavo scherzando, sapete... -mi sorrise. –Non dovrei chiedervi scusa perché ancora una volta siete stato scortese e per nulla cavalleresco, ma in fondo non avete tutti i torti e quindi, vi perdono... Dovetti apparirle piuttosto sconcertato perché aggiunse: - Il conte è un bell’uomo, è inutile negarlo, non vi sembra? –e, senza attendere una risposta –Anche voi, del resto, fate gli occhi dolci ad una ragazzina di sedici anni, pur sapendo che tra voi e lei, non potrà mai esservi niente di più... - Non capisco cosa intendiate... -tentai di difendermi. - Tutti hanno notato la vostra ammirazione per la contessina Eugenia... Ed io sono sicura che saprete contenerla nei limiti richiesti dalla nostra situazione... non sorrideva più. Era incredibile come costei riuscisse a rivoltare la situazione a proprio favore, ogni volta che le si presentava l’occasione.
- Spero bene che non dubitiate... -biascicai. –E per quanto riguarda il conte, vi posso dire che già ero stato prevenuto e... - So benissimo come la pensa Maria. Lei non crede che si possa far agire la ragione sui sensi... Ognuno ha la sua opinione. Per quanto mi riguarda, non potrei mai amare un uomo che non mi dia nulla dal punto di vista intellettuale. Sarebbe come mangiare una pietanza prelibata senza poterne sentire il gusto. Avrei voluto che Milady non seguitasse a parlarmi in quel modo. Sentivo che l’imbarazzo per la situazione lievitava a vista d’occhio. - Ma voi non dovete giustificarvi con me... Voi non mi dovete nulla che non sia lo stipendio per i miei servigi... - Se fosse così non mi avreste detto quelle parole... Ammettetelo, Jean...- e senza attendere una mia replica si incamminò verso la casa. - E’ stata la cuoca a suggerirmi di vegliare su di voi... -era uscita –Maledizione! grugnii e presi a calci un secchio colmo di carrube.
La mattina seguente scesi le scale con l’animo esasperato da una notte quasi del tutto insonne. Accennai dei saluti sussiegosi, sia all’indirizzo delle serve che della contessina, la quale mi porse un tazzone di latte e del pane fresco sorridendomi timidamente. Mi sedetti al grande tavolo. Di fronte a me, il contino Baldovino si inzuppava direttamente nella scodella, tanta era la foga con la quale consumava la propria colazione. Dopo qualche istante comparve il conte che con un’ incredibile faccia tosta mi salutò come se niente fosse e baciò sul capo il figlio. - Non ho ancora avuto il piacere di vedere Milady, stamani. Credete che scenderà presto? - Pare che abbia ato una notte molto travagliata... -dissi con intenzione. Ma quello serafico come un angioletto: - Vostra cugina soffre forse d’insonnia? - Oh si... In certi casi... -risposi con larvata ironia. Mi parve di vederlo arrossire lievemente, come se l’aria gli mancasse un poco. Si aggiustò il colletto della camicia: - Spero che Milady non abbia fatto dei sogni spiacevoli, degli incubi... Del resto, si sa... I sogni non sono mai attinenti alla realtà, se noi li lasciamo confinati nel loro regno notturno. - E perché mai non si potrebbe sognare ad occhi aperti? - Perché sognare ad occhi aperti può rivelarsi pericoloso... Quel miserabile osava minacciarci? Volevo esserne sicuro. Puntai il mio sguardo nel suo. Lo sostenne impavido, con aria di sfida. - Pericoloso per chi sogna, o per chi compare nel sogno?- chiesi col tono più insinuante che mi riuscì.
Stava per rispondermi, quando un fruscio di gonne richiamò la sua e la mia attenzione. Milady scendeva le scale che davano direttamente dalle stanze alla cucina. Ci dedicò un sorriso radioso e si sedette accanto a me. Eugenia mangiava in silenzio, squadrandoci di sottecchi. Baldovino si era alzato ed era corso fuori a giocare. Le due anziane erano nella stalla alle prese con la mucca. - Bene alzata Milady. –recitò il mellifluo alzandosi in piedi. La contessa madre scendeva le scale con fatica. Lady Costantine evitò abilmente l’appressarsi del miserabile che intendeva baciarle la mano, correndo ad aiutare l’anziana nobildonna. Anch’ella si sedette. A capotavola. Eugenia si affrettò a servirle la colazione. La vecchia contessa osservava silenziosa il figlio. D’un tratto gli chiese: - Dove siete stato stanotte, conte? -Un giro di carte con gli amici, maman…-le sorrise lui, tutto amabile. Mi trattenni a stento dal ridere. Milady mi agghiacciò con lo sguardo. Madre e figlio conversarono sul lavoro che c’era da fare in quel giorno. Ad un certo punto il conte mi chiese se avrei potuto aiutarlo in alcuni dei suoi lavori. Madame intervenne prontamente: - Jean non vorrà rifiutarsi di accompagnarmi a Moncalieri, spero... -e mi guardò tutta sorridente. Quindi, la contessa, rivolta al figlio: - Non capisco perché disturbate i nostri ospiti con simili richieste... -e rivolta a Lady Costantine –Vostro cugino deve accompagnarvi... Come sapete è meglio essere cauti da queste parti. - Già –ne convenni io, fissando ironicamente negli occhi il cicisbeo dalle, per me, orrende inclinazioni. - Credo che ci recheremo subito in paese -disse madame, alzandosi dal desco. La imitai prontamente. La contessa ci salutò con dignitoso calore e il mentecatto ci
tenne dietro sino al fienile, dove ci affrontò con notevole ardimento: - Spero non avrete intenzione di espandere le vostre chiacchiere... -insorse poco finemente diretto ad entrambi. Il tono era sprezzante e il portamento sconfinava nell’alterigia. - Non so di che chiacchiere stiate cianciando –lo apostrofò la mia padrona –Noi non abbiamo simili abitudini, di certo, caro signore... Non potei trattenermi oltre: - Avrei creduto volentieri che non osaste entrare in argomento con Milady in merito a questi vostri capriccetti notturni... -egli divenne livido, ma si trattenne. –Vi consiglio di togliervi di torno e di non importunare più mia cugina, se non volete assaggiare le mie, di carezze... -il nobilotto avanzò di qualche o verso di me. Aveva i pugni serrati e le labbra così tirate che parevano esangui. - Mio cugino ha ragione- insorse madame –Non abbiate timore... Non darei mai un simile dolore a vostra madre... Ed ora, vi prego, lasciateci soli... - Non vedo poi che cosa vi possa offendere... -sbottò lui, lasciandoci del tutto spiazzati –Sarei io a dovermi ritenere offeso. Mi spiate. Violate la mia intimità... - Lasciamo perdere le vostre intimità, per favore...- ringhiai –Non fatemi dimenticare che ci troviamo di fronte ad una signora. Toglietevi dai piedi... - Ora basta, Jean... -mi rimproverò pacatamente Milady –Lasciamo andare il signor conte, ricordandogli che noi siamo qui per conto della sua signora contessa madre... Il cicisbeo dissoluto arretrò. Si inchinò lievemente a Madame e disparve. - Roba da matti! Voleva assicurarsi che non avremo fatto parola di quello che abbiamo visto! Non so con che faccia abbia potuto affrontarvi... Milady non parlò e lasciò che approntassi il carretto e vi attaccassi i cavalli da tiro. - Credo che ci converrà risolvere questo caso e andarcene al più presto- disse ancora arrabbiata. –Quell’uomo mi diviene sempre più insopportabile.
Uscimmo col carro in un gran fragore di ruote che cozzavano sul pietrisco antistante il fienile. In quel mentre giunse correndo il contino Baldovino, inseguito bonariamente dal vecchio cane. Ci fermammo per lasciarli are. Poi diedi di frusta, mentre Milady li osservava allontanarsi. Eravamo già sulla strada sterrata, quando madame mi ingiunse di fermarmi in modo abbastanza concitato. - Che vi prende? - Torniamo indietro. Voglio appurare una cosa… - Appurare? Non avrete mica intenzione di affrontare nuovamente quel tipo? - Me ne guardo bene... No, vi prego... Torniamo un attimo indietro... Mi pare di aver visto qualcosa... Rassegnato, voltai il carro e tornammo in brevissimo tempo nell’aia. Madame scese dal mezzo e si mise a correre verso il retro della casa, non prima di avermi ingiunto di cercare il contino e il vecchio cane. “Ma perché non spiega mai ciò che ha in mente” m’arrabbiai tra me e me. Però scesi prontamente dal carro e mi disposi alacremente a cercare il rampollo più giovane della famiglia dei conti Sircalchi e il vecchio sacco di pulci. Ma non avevo fatto che pochi i verso gli alberi da frutto, quando Milady spuntò da dietro la casa tenendo per mano il contino. Il cane li seguiva a ruota. - Venite, Jean... -la raggiunsi. Lei mi sorrise tutta contenta, come se fossi stato lo sposo che l’avrebbe portata all’altare di li a poco. Poi scosse lievemente il contino per il braccio: - Ripetete quello che mi avete detto, Baldovino... Su, da bravo... - Lui alzò il viso verso di lei, poi mi guardò con quegli occhi sprovvisti d’un solo raggio di luce d’intelletto e disse: - Ma non è mica niente di speciale... Ho detto che gioco sempre la, dietro la casa... -e indicò con il braccio libero un punto dove iniziavano gli alberi d’un fitto bosco di noccioli e frassini.
Interrogai Milady con lo sguardo. - Osservate vi prego, i pantaloni del contino e il pelo del cane... Osservai e non vidi molto, oltre a fili d’erbe varie e fango rappreso. - Vedete quei rametti erbacei mezzo apiti? - Certo che li vedo... Ebbene? - Quella è digitale... Mi alzai in piedi. –E con ciò? - La cosa non vi suggerisce nulla? Feci spallucce. - Venite...- Madame lasciò andare la mano di Baldovino che partì trotterellando verso i campi, inseguito dal cane. –Il bambino mi ha rivelato che si reca sovente a giocare verso quegli alberi... Ci sono andata e sotto un cumulo di sterpaglie secche da bruciare, umide per la pioggia, indovinate cosa ci ho trovato? - La digitale sparita... - Giusto... Ora andiamo la e la preleviamo. Poi la porteremo in casa e la mostreremo ai componenti della famiglia e alle serve...Vedremo cosa hanno da dire... Mi munii d’un vecchio telone da carro che si trovava abbandonato li, sul retro del casolare e seguii Milady. Prelevammo tutta l’erbaccia marcescente per le recenti piogge, che ci riuscì di racimolare. Tornammo alla cucina e depositai l’involto sul tavolo al centro della stessa. Tutti i Sircalchi erano presenti tranne il contino Baldovino. Madame stava dicendo: -...Io non so chi di voi abbia portato il raccolto di digitale in quel luogo, ma so che lo ha fatto per poterla bruciare, magari avendo cura di prelevarne un certo quantitativo onde servirsene per scopi delittuosi. Ma la pioggia è stata nemica del nostro avvelenatore che, non potendo bruciare il raccolto, ha creduto bene di camuffarlo con paglia e fieno.
Sappiate che non appena scopriremo chi ha fatto questo, sapremo chi è l’assassino della piccola figlia del mugnaio e dell’allevatore di polli. E forse, se egli lo vorrà dire, sapremo anche chi si prefiggeva di uccidere. - Che volete dire? -chiese la contessa. - Voglio dire che i due morti di Moncalieri forse non sono casuali e neppure sono il vero obiettivo di questo unico assassino. Può darsi che egli in questo modo intenda disorientare chi avesse tentato di scoprirlo. La contessa si sedette. Il conte la imitò, seguito in breve da Eugenia e le due serve. Mancavano solo Baldovino e il cane. - So benissimo che tra voi c’è chi ha l’animo colmo di paura d’essere scoperto e so anche che egli spera che io non riuscirò mai a giungere fino a lui. Ebbene, si sbaglia. Egli ha i giorni contati. Il conte si guardava attorno sospettoso. La contessa pendeva dalle labbra di madame. Le due serve erano sinceramente sconvolte e ci osservavano spaventate. Eugenia mi guardava spaurita. Naturalmente non ci fu nessuna confessione. Requisimmo l’involto e sotto la guida di Lady Costantine lo portai fino all’armadio della sua camera e chiusi a chiave la porta della stessa. - Secondo me non avete fatto bene a fare quel discorsetto. Non avete pensato che potreste rischiare la vostra vita? - Se l’assassino è così stupido, può darsi che tenterà di togliermi di mezzo. In questo caso sapremo. - Avete intenzione di attenderlo nella vostra camera? Perché, se pensate che agirà di notte, sarà meglio che ci scambiamo di camera. - Si, avete ragione... Voi dormirete nel mio letto e viceversa. Per il resto della giornata staremo incollati l’uno all’altra e vedremo... - Mi avete tolto le parole di bocca. – dissi sollevato. Con Milady non si sapeva mai. Per un momento avevo temuto che decidesse di non avvalersi della mia protezione. - Ora, andiamo a Moncalieri. Voglio sincerarmi che l’incaricato da Torino non
sia ancora giunto. Non sarebbe che un guaio. E poi dobbiamo lasciare che gli abitanti di “Frescura cuociano un poco nel loro brodo... - Perché vi preoccupa tanto il funzionario? Non dite sempre che quattro occhi vedono meglio di due? - Si. Ma bisogna che quegli occhi guardino tutti dalla parte giusta... Non so se mi intendete... - Vedo che confidate molto sull’abilità dei funzionari del governatore...- risi brevemente. - Vedo che anche voi siete d’accordo con me...- anch’ella rise. Discendemmo le scale e affrontammo le domande dei sospettati piene di timore e di aspettative. Quindi risalimmo sul carro e partimmo verso Moncalieri che erano le dieci ate. Vi giungemmo che non mancava molto all’ora di pranzo e madame decise che era meglio provvedervi all’istante. Dato il nostro abbigliamento piuttosto dimesso e la necessità di non dare nell’occhio, optammo nuovamente per la bettola nella quale avevamo a suo tempo pranzato con il conte di Moncalieri. Ci sedemmo al lungo tavolo ancora semideserto e l’oste, non appena ci vide, ci raggiunse per avvertirci che bisognava attendere ancora una buona mezz’ora: - Se nel frattempo volete qualcosa da bere... Magari qualcosa di caldo per la signora...?... - Portateci del vino bianco...- disse Milady, e, rivolta a me: -Va bene anche per voi? Diedi il mio assenso e iniziai a guardarmi in giro. La mia attenzione era ben lungi dal vocio e dai volti che mi attorniavano. Dovevo assolutamente mettere in chiaro alcune cose con Lady Costantine. - Madame...- esordii. Feci una pausa nel tentativo di scegliere accuratamente le parole da pronunciare. Lei mi guardava, era a poco meno d’un metro, di fronte a
me. –Per quanto riguarda ieri notte... Non vorrei che vi faceste idee sbagliate sulla mia condotta nei vostri confronti...Vi assicuro che il mio rispetto verso di voi... - Non ho mai dubitato di voi, Jean. E’ inutile che continuiate. Sono stata molto irriverente nei vostri confronti e... - Io non dovevo permettermi di fare quelle osservazioni sulla vostra presunta simpatia per il conte. Eravate autorizzata a dirmi anche di peggio... - Sollevate il vostro animo. Non sono certamente così stupida da pensare che voi siate geloso... -sorrise in modo incantevole. Se non l’avessi conosciuta, avrei detto che stava giocando con me, come il classico gatto col topo... - Come vi dicevo... -aggiunsi –Mi sono state riferite delle esagerazioni... -mentre parlavo sentivo il mio amor proprio che si perdeva sempre più. Ma lei, inaspettatamente disse: - Non è elegante per una donna citare la propria età, ma vi ricordo che voi siete più giovane di me. E’ inutile proseguire... Ho capito perfettamente quali fossero le vostre lodevoli preoccupazioni, unite, naturalmente, ad una profonda antipatia verso il conte... Ma dato che le cose sono andate nel modo che sapete... Non avete più di che preoccuparvi, e anche Maria ne sarà lieta, credo... Era evidente che anche questa volta avrei fatto meglio a tacere. Sospirai e risposi: -Certamente Milady: Maria ne sarà molto felice... Era preoccupata per voi. - Vi ha raccontato anche di quando il conte era assiduo della nostra casa? Annuii. - Temo che mi abbia fatta sembrare un tantino leggera... - Oh no, certo che no... -mi affrettai a rassicurarla. Venne l’oste con il vino e ci comunicò con soddisfazione che quel giorno c’era dell’ottima lepre in salmì. Ne ordinammo due porzioni abbondanti. - Pagherete voi- mi disse Milady –L’altra volta ho notato che quando ho messo mano al borsellino, l’attenzione degli avventori è stata calamitata dal mio gesto...
E questo non è beneMangiammo lautamente e con soddisfazione. Stavo pagando il conto all’oste, quando Madame, aggiustandosi il mantello sulle spalle gli chiese: - Sapete dirmi se sia giunto qualcuno da Torino nelle ultime ore? - Il postale era semideserto... Fatemi pensare... E’ giunto un tizio a cavallo. Uno tutto pettoruto e piccoletto. Ma non ha preso alloggio qui. Se volete posso chiedere in giro... - Lo faccia, la prego. Sono giorni che aspettiamo un signore per regolare certi affari... –Lady Costantine gli sorrise in modo molto accattivante. L’oste si affrettò verso un gruppo di avventori in un angolo della sala. Attendemmo per qualche istante. Quando tornò, l’oste si produsse in un goffo accenno d’inchino a Milady e disse: - Dicono che il tizio sia stato visto nei pressi della casa del Sindaco. Si dice anche sia suo ospite... Però non lo posso assicurare. - La ringrazio -madame si lasciò afferrare e baciare la mano dell’oste rubicondo e ne approfittò per consegnargli una moneta di valore non trascurabile. Uscimmo in strada e ci dirigemmo verso il carretto. - E ora che facciamo? –chiesi con una certa vivacità, nel tentativo di scacciare dalla mia mente la scarsa considerazione che Milady aveva di me come uomo. - Andiamo dal mugnaio. Glielo dobbiamo... - Avete intenzione di renderlo partecipe della scoperta delle erbacce? - Non sono erbacce, Jean... E poi, per adesso non gli rivelerò alcunché. Potrebbe compiere qualche gesto dissennato che mi rovinerebbe tutto... Giungemmo in breve al mulino e lo oltreammo, recandoci direttamente nel cortile sul retro, davanti alla casa. Scendemmo e Milady bussò alla porta. La mugnaia ci aprì in un batter di ciglia. Ma la sua reazione alla nostra vista non fu delle più entusiastiche.
Comunque ci fece entrare e accomodare al tavolo da cucina. Milady chiese del mugnaio. - E’ andato a ritirare della merce da lavorare da delle famiglie che non la possono portare... -prese il bambino in braccio e si piazzo in piedi di fronte a noi, silenziosa. Madame si alzò ed io la imitai prontamente. - Credo che torneremo un’altra volta- disse. - Spero che non ci farete fare una pazzia a mio marito. Abbiamo anche questo di figlio e ne ho un altro in arrivo... -puntualizzò scura in volto. - Vi ha parlato di noi? - Mi ha detto che volete scoprire chi mi ha ucciso la bambina. E dopo? Lo consegnerete alle autorità o farete quello che ci avete promesso al mio Giuanin. - Vedremo, signora... - Ma l’avete giurato sulla Bibbia... -si ostinò costei. - Vedremo se la cosa fu intenzionale o si trattò di disgrazia... - Che dite? Io capisco mica. - Voglio dire che a volte accadono delle cose contro la nostra volontà... Comunque sapremo quando sarà il momento. Ora sto verificando... - Io ‘sti paroloni non li capisco mica, ma se credete di rovinarmi quel che mi resta della famiglia, io vi faccio are un brutto quarto d’ora... - Non alzate la voce con madame!- ringhiai. –Ma quella non si impressionò affatto. - A me le madame non mi fanno ne caud ne frèid (4). Un calcio nel culo le do, se mi rovina il mio Giovanni... Una coltellata... -il bambino si mise a piangere. La donna lo strinse ancora di più e indietreggiò verso il camino. –Non toccherete una donna incinta, brutti nobili della malora! -gridò
Milady mi fece cenno che era venuto il momento di guadagnare l’uscita, ma tentò un ultima carta. –Ero venuta per sapere se avete scoperto cosa mangiò o bevve vostra figlia quel giorno...Voi siete in pericolo! - Ma non dica cagate! Che pericolo... - Suo figlio, lei o suo marito, potreste mangiare o bere la stessa cosa e finire come vostra figlia. La donna mise il bambino in terra e si avvicinò d’un o, diffidente e timorosa. - Cosa dite? Lo fate apposta per spaventarmi? - No, ma vostra figlia deve aver bevuto o mangiato qualcosa d’avvelenato per morire così... Vostro marito mi ha riferito che era sola a casa, quindi l’avvelenamento potrebbe essere avvenuto qui, in casa vostra. La mugnaia sgranò tanto d’occhi. –E adesso me lo dite? - L’abbiamo detto a vostro marito. - Ecco perché da un po’ di tempo mi ficca il naso dappertutto... Lady Costantine prese la palla al balzo: -Speravo che poteste indicarmi un qualcosa, che aveste trovato degli avanzi sospetti, una bevanda... La mugnaia scoppiò a piangere. Il figlioletto, vista la mamma in quello stato, aumentò il suo frignare. Eravamo all’apoteosi. Milady, premurosa come sempre, abbracciò la signora e tentò di consolarla a suo modo: - Non fate così... Dovete sforzarvi di ricordare qualcosa di insolito... E’ per il vostro bene... Se sapremo la verità vi sentirete meglio, credetemi... - Ma io non mi ricordo... Non so niente... -Milady la guidò verso una sedia e la fece sedere. Le porse il suo fazzoletto di batista. La mugnaia vi si soffiò il naso energicamente e vi si asciugò gli occhi: -Quanto soffro per questa mia povera figlia, lo sa solo Iddio... -si lamentò –L’era bela come una Madona... Andava a scuola, sa? Ed era anche brava, povera cita...(5) L’era tra i primi della classe... Non siamo più noi... L’è un castigo troppo grande che Dio ci ha voluta dare... Milady tentava di consolare la povera madre ed io, senza sapere che fare, mi
sedetti presso il tavolo. Dopo un po’ madame tornò alla carica: - Vi dovete sforzare, signora... Cercate di ricordare... - Ci provo... Ma a l’è pa semplice... -la donna si asciugò ancora gli occhi e si strofinò il naso carnoso con il fazzoletto di madame. - C’era una burnìa...(6) Piccola, strana... L’era pa mia... Non so da dove venisse... Forse da scuola, il maestro... Sa... Ma era vuota... - L’avete buttata? - No che è di vetro e può servire... E’ lì sulla credenza...- Guardammo entrambi verso il mobile indicato, ma sui ripiani non c’era nessun barattolo di vetro. La donna si alzò stancamente, prese il bimbo da terra che ancora frignava sommessamente e si avvicinò al mobile. Aprì un’anta ed estrasse un piccolo barattolo di vetro. - Ma l’avete lavata? - Penso di si... Forse l’ha lavata mia cognata che quando l’è morta mia figlia è venuta ad aiutarmi per qualche giorno, che io non ci stavo più con la testa... -e nuove lacrime scesero dagli occhi già gonfi ed arrossati. La mugnaia consegnò l’oggetto in questione alla mia padrona. Lei lo soppesò con lo sguardo. - Un barattolo da conserve, si direbbe. - Già, mi ci metto le marmellate, le fringhe (7) e ‘ste cose lì. - Chi può averlo dato a sua figlia? - Non so... Forse la maestra... Un compagno. Non so. C’è la sindachessa che dà in giro dei barattoli di conserve di frutta ai bimbi poveri, ma non certo ai miei figli. Noi non siamo ricchi, ma stiamo bene... - Forse può essere stata un’amichetta. –dissi senza troppa convinzione.
- Eh, ma se uno a casa non ci ha da mangiare, non va mica a regalare barattoli di conserva in giro... -ribatté la mugnaia guardandomi con una cert’aria di sufficienza, quella che si riserva a coloro che non sanno quello che dicono. - Voi sapete se vostra figlia avesse qualche amica più affezionata? Qualche bambino che giocava sovente con lei, che magari veniva fin qui a trovarla? - Noi stiamo fuori mano... -la mugnaia si sedette col bimbo in braccio e gli pulì il nasino con il fazzoletto di batista di madame. -C’era una bambina che Marianna mi parlava sempre di lei... Poi c’era un bambino che l’era anche venuto a trovarla un paio di volte, ma non era suo amico... Mio marito gli aveva proibito di giocarci perché era sporco e stracciato... Poteva avere la rogna, che si grattava di continuo... Ma io non so di chi è figlio... Per quanto si sforzasse, la mugnaia non riuscì a ricordare altro. La ringraziammo, lei ci fece le sue scuse per come ci aveva accolto e si raccomandò perché non svelassimo il nome del responsabile al marito. Milady le promise che in qualche modo avrebbe evitato che il mugnaio si macchiasse di un qualche delitto. E, nel caso fosse accaduto, lo avrebbe aiutato in tutti i modi. Di più non poteva fare senza rischiare lo spergiuro. Ci accomiatammo dopo che madame si era fatta dare l’indirizzo della maestra della povera bimba defunta. Colà ci recammo, con una certa assiduità, nel timore di dover pernottare a Moncalieri, mancando così la possibilità di dare all’assassino l’occasione di scoprirsi. A me non sarebbe dispiaciuto certo perché mi si prospettava la prima d’una serie di notti di veglia, onde evitare che il presunto colpevole mi accope credendo io fossi Milady. Il tragitto durò quasi un’ora, perché ci toccò di attraversare alcune vie frequentate da molti carri con carichi alquanto ingombranti. Più d’una volta dovemmo sostare nell’attesa che un carro ci affiancasse nella direzione opposta senza schiacciarci. Finalmente giungemmo all’indirizzo indicatoci. Una vetusta casa in pietra a tre piani. La maestra viveva all’ultimo piano e ci toccarono tre rampe di scale scure che odoravano di muffa e di sospetti d’ eiezioni. Alfine giungemmo ad una porta verniciata di fresco. Non c’erano batacchi, ne nominativo, ne altro. Bussai più d’una volta. Alfine una voce sottile e lievemente melliflua rispose con il classico “Chi è”?
Parlò madame. –Sono una conoscente della moglie del mugnaio. Vengo per parlarle della piccola scomparsa. -la porta fu immediatamente aperta e comparve una donna di mezza età con tutte le caratteristiche e i connotati d’una zitella. Abiti ordinati, opachi e dimessi, capelli similmente predisposti e già tendenti al grigio. Occhiali cerchiati d’oro, viso pallido e spento dai lineamenti gentili, ma assolutamente privi di carattere. Occhi azzurri e sciapi. Ci fece accomodare con riverente entusiasmo e composta partecipazione al dolore della famiglia. - Povera bambina... -ripetè più volte mentre avvenivano le presentazioni e mentre ci offriva un bicchierino di rosolio e noi lo sorbivamo, attenti a non sporcare i pizzi immacolati della tovaglia del salottino. - Volevamo chiederle se lei sapeva chi fosse il bambino amico della defunta... Un bambino povero, male in arnese e, a detta della mugnaia, non molto pulito. - Ah, ma è il piccolo Gilberto, il figlio della vedova Buratti. - Dove possiamo trovarlo... -chiesi tagliando corto. - Dunque, la povera vedova Buratti dovrebbe risiedere appena fuori Moncalieri, non molto distante da dove abita il dottore... Milady mi guardò con un improvviso lampo di eccitazione. Subito dopo si rivolse alla maestra. - Ma questa vedova Buratti non è per caso la moglie d’un allevatore di polli scomparso pochi giorni prima della bambina? - Si, lo è. - Voi sapete se in quei giorni la sindachessa abbia distribuito della marmellata ai figli delle famiglie indigenti? - Certo che si. La cosa è avvenuta come accade solitamente, a scuola. Ma non capisco... - Abbiate pazienza... Ma è accaduto quando? - Non saprei dirvi... Anche perché negli stessi giorni la sindachessa ha distribuito prima la marmellata di prugne e poi il miele.
- E voi sapete da dove provenga ciò che la sindachessa distribuisce ai poveri? - Ma... Penso che lo compri alle cascine... Sa che non mi sono mai posta la domanda? -la maestra ci guardava con gli occhi spalancati, sconvolta dalle domande insolite che, per giunta, le venivano poste da dei perfetti sconosciuti. Finimmo il nostro rosolio e convenimmo ancora un paio di volte su quanto la vita fosse ingiusta con alcune delle sue creature e su come fossero imperscutabili i disegni divini sul destino della nostra esistenza. Da parte mia, uscii con la sensazione di aver dato ampia materia di discussioni future all’altrimenti monotona quotidianità della maestra elementare di Moncalieri. Era pomeriggio quando giungemmo d’innanzi la povera casa della vedova Buratti. Non appena uscì e mi riconobbe iniziò a sdilinquirsi in frasi di riconoscenza e di rispettoso affetto. Ci fece entrare in casa e solo allora ci chiese cosa desiderassimo da lei. Le spiegammo tutto quello che c’era da spiegare e la donna ci chiese di aspettare qualche minuto. Sarebbe uscita a chiamare il figlio e lo avremo potuto interrogare noi stessi. Il bambino, che evidentemente si trovava nei prati, ci mise un bel po’, ma poi fu finalmente condotto presso Milady, che gli chiese se avesse mai donato alla piccola scomparsa qualche cosa. Lui confessò candidamente che le aveva dato uno dei due barattoli di marmellata di prugne, dono della sindachessa. - Le volevo bene e a lei piaceva molto la roba dolce... -disse con infinita tristezza. - E l’altro barattolo?- chiese Milady con dolcezza estrema, carezzandogli la fronte. Lui non parlò subito e la vedova ne approfittò per dire: -Pensate che io non sapevo neanche di sta marmellata: non me lo ha detto... -e rivolta con severità al figlio: -E dillo alla madama: cosa ci hai fatto? - Mi... -si mise a piangere- mi... Mi è cascato nel secchio dell’acqua e si è rotto... -pianse ancora e poi disse: -Però ho tolto tutti i vetri e l’acqua era ancora buona... Milady si limitò a ringraziare la signora e senza spiegare nulla di ciò che era ormai evidente lasciammo la casa. - Avete fatto bene a non dire a quel ragazzo che forse è la causa indiretta della
morte di suo padre... Milady mi guardò. Sembrava sorpresa. Forse dalla mia insolita perspicacia. Miglioravo. Mi sorrise e disse: - Avevamo sbagliato, Jean. I giochi erano già stati fatti, ma qualcosa è andato storto... - Che volete dire? - Credo che l’assassino dopo aver fatto sparire l’erbaccia, come la chiamate voi, ed essersene tenuto una parte per compiere il misfatto, l’abbia nascosta in un posto male assortito. Qualcuno ha usato il contenitore dove egli aveva nascosto la digitale e... Due persone sono morte. - Non riesco a capire... Volete dire che queste due morti sono un accidente? - Già. Un incidente di percorso in un delitto premeditato... - Ma ne siete sicura? - Per ora, non vedo altre spiegazioni logiche. Credo che faremmo meglio ad avvertire subito la moglie del Sindaco raccomandandole la massima discrezione –osservai. –Bisogna evitare altre morti, ma anche una caccia alle streghe, e soprattutto l’intervento intempestivo del Funzionario –obiettò Lady Costantine. –Credo che il silenzio, purtroppo, sia ancora indispensabile, ma farò di tutto Perché sia il più breve possibile.
Quella sera stessa a “Frescura” stavo dando del fieno ai cavalli da tiro, quando sentii un movimento dietro di me. Mi voltai di scatto e la giovane Eugenia diede un balzo all’indietro. Mi scusai immediatamente per averla così tanto spaventata. Lei si scusò per non aver annunciato la sua presenza e rimase in silenzio con l’azzurro dei suoi occhi innocenti fisso nei miei. - Desideravate qualcosa? –le chiesi con premura, nascondendo un certo imbarazzo. Lei non parlò e seguitò a fissarmi in volto. Non sapendo che fare reiniziai a strigliare i cavalli. Lei rimaneva immobile. Sentivo la sua presenza incombere alle mie spalle. Senza voltarmi, le ripetei la domanda fatta poco prima. - Voi sembrate avere un po’ di simpatia per me... -disse con un filo di voce. - Certo -dissi con esagerato entusiasmo. Ero turbato ed imbarazzato. Avrei voluto che lei se ne andasse subitamente e nello stesso tempo avrei voluto che si avvicinasse a me. Lei optò per quest’ultimo mio segreto desiderio. D’un tratto sentii la sua presenza così vicina che mi fu impossibile ignorarla. Smisi di strigliare il cavallo e rimasi così com’ero. Sapevo che se mi fossi voltato, non avrei saputo resistere alla tentazione d’abbracciarla... Ma, con mia somma ambascia lei pose la mano sulla mia schiena. Un brivido mi percorse da capo a piedi. Tutti i bei propositi e le promesse a Milady andarono d’un sol colpo a farsi benedire... Mi girai con l’intenzione d’abbracciarla, ma non feci in tempo: lei mi si buttò letteralmente addosso e mi baciò sulla bocca. Non capii più niente. E lei non mi lasciò il tempo di capire. Finimmo in un angolo, sul fieno un po’ stantio, abbarbicati come due serpenti in calore... Per fortuna nessuno si affacciò al portone rimasto mezzo spalancato, sennò si sarebbe fatto una ben sconvolgente idea della virginea creatura che mi sovrastava. Quando l’incontro degno di miglior ambientazione ebbe termine, ella non mollò
la presa neppure per un secondo. Seguitava a baciare il mio volto e altre zone del corpo che non sto qui ad elencare, tanto che credetti volesse, per così dire, apprestarsi ad un nuovo amoroso amplesso, ma lei, ad un certo punto, si fermò a pochi centimetri dalla mia bocca e mi sussurrò con voce carezzevole: - Mi porterai via di qui, vero? Andremo ad abitare in Francia... Lascerai quella vecchia e ci sposeremo...Vedrai, ti darò dei magnifici figli... -mi baciò con trasporto. - Sarà meglio che ti rivesti –le dissi, non appena si staccò dalle mie labbra. - E’ tutto quello che hai da dire? -mi rispose cupa, dardeggiandomi con lo sguardo. Ma non fu che un attimo. Immediatamente mi sorrise sorniona e mi si appiccicò alla spalla, impedendomi di rimettere la camicia. Ed iniziò nuovamente le sue effusioni, partendo questa volta dal collo... La fermai con dolcezza. –Dobbiamo rivestirci e rientrare... Potrebbero scoprirci... - E con questo? - Come sarebbe a dire “e con questo... ” Intanto quello che abbiamo fatto non doveva accadere... Tu sei minore ed io sono ospite dei tuoi famigliari... - Devo forse credere che i tuoi sguardi non volevano dire che mi ami? La guardai con crescente apprensione. Non capivo, anzi, forse capivo sin troppo bene dove volesse arrivare. - Io ti amo e tu mi amerai... -disse, in un tono che non ammetteva repliche. –Tu mi porterai via da qui... Vero? La pazienza cominciava ad abbandonarmi: - Se tu vuoi andar via da qui, non hai che da andare a Torino con tua nonna. Lei mi sferzò con uno sguardo terribile. - Tu hai fatto quelle cose con me... Se non mi amassi non le avresti fatte...
Iniziavo a dubitare dell’intelletto della contessina Eugenia. - Vorresti dire che ciò che è accaduto è una mia profferta amorosa? -non potei trattenermi dal sorridere ironicamente. - Perché, oseresti dire il contrario?- s’infuriò, alzando pericolosamente la voce. Mi infilai frettolosamente la camicia e mi sistemai le brache. - Senti. Io non ti ho mai parlato d’amore. Anzi, non ti ho parlato che poche volte e solamente d’argomenti comuni, mi pare... Non capisco come tu abbia potuto pensare che io ti volessi sposare. -Si alzò in piedi con il vestito slacciato e decisamente sulle ventitré. –Anche tu mi abbandoni... La guardai senza parlare. C’era qualcosa che non andava. Sicuramente quella giovane doveva avere dei seri problemi. Le parlai con dolcezza, alzandomi in piedi a mia volta. -Mi spiace, ma deve esserci stato un malinteso Eugenia. Io non credo d’aver agito in modo tale da illuderti sulle mie intenzioni... Potresti chiedere a Lady Costantine di portarti con noi... -Non me lo permetterà mai... -pianse lei a calde lacrime. -Chi non te lo permette... La contessa? Tuo padre? –mentre parlavo, iniziai a pensare quanto fosse strana questa sua urgenza di fuggire, abbinata, per così dire, a tipi di sapienze che la sua età e il suo tipo di vita, non avrebbe dovuto ancora consentirle. Lei si scostò da me e si asciugò gli occhi con un lembo della veste. - Mio padre non me lo permetterebbe mai… - Ma, forse se gli parlasse Milady... - Tu non capisci... –lo sguardo era ridivenuto fisso e terribile. - Pareva sinceramente sconvolta. Ma le parole che scaturirono dalla sua rosea
bocca non furono quelle che mi sarei aspettato. - Mi pare chiaro che tu non mi vuoi e non vuoi aiutarmi... Potresti almeno fare qualcosa per il mio vestito? -mi sorrise angelicamente. Pareva nuovamente tranquilla e mi si avvicinò. Ero così frastornato dal suo cambio repentino d’umore che meccanicamente l’aiutai. Stavo allacciando non ricordo più cosa, quando mi si gelò il sangue: - Cosa diamine succede qui? -era la voce di Milady. Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi. L’espressione di sdegno e di ripugnanza era tale che riabbassai prontamente gli occhi e tolsi le mani dalle spalle di Eugenia. - Avete sentito, Jean? Rispondete! -la contessina corse via poco elegantemente finendo di sistemarsi mentre ava accanto a Milady, a testa bassa. - Non è come può sembrare- mentii, ma solo in parte. - Vi avevo detto di non prendervi certe libertà con la nipote della mia amica... Una ragazzina... -senza aspettare la mia risposta, si volse e se ne andò a grandi i. La raggiunsi e la fermai prima che oltreasse la soglia. - Vi ho detto che non è come può sembrare... -lei si liberò della mia mano sul suo braccio con uno strattone e rispose con un sorriso di scherno: -Non siate più disgustoso di quanto già non lo siete: la stavate praticamente rivestendo... -sibilò –Voglio pregare per voi che le vostre sciocche brame non abbiano ad avere delle conseguenze irreparabili... E non toccatemi! -si rimise a camminare a grandi i verso la casa. Io la seguivo pregandola d’ascoltarmi. Ad un certo punto, nel mezzo del cortile, si fermò e mi rivolse uno sguardo sprezzante: -Non temete non rivelerò nulla di quello che ho visto. Non per ora, almeno... - Non è per questo che vi seguo... Voglio spiegarvi... - Non c’è nulla da spiegare! - Ed invece si! -protestai ad alta voce. Lei si guardò intorno preoccupata. Non c’era nessuno. - Vi ordino di non seguirmi più e di starmi alla larga. Naturalmente non appena
torneremo a Torino, avrete il vostro ben servito... - Vi ripeto che non è come pensate... E’ stata lei... Mi ha cercato nel fienile e... - Non vorrete mica sostenere che ha abusato di voi -ghignò quasi in un sussurro Milady. - Io non avrei mai... - Tronchiamo questa penosa discussione, vi prego. -lei mi squadrava, implacabile. Quindi, prima che io mi decidessi ad argomentare si diresse quasi correndo, verso l’uscio della cucina. Non entrai. Tornai al fienile e sellai Moreno. E così come mi trovavo, senza giacca, ne cappello, spronai il cavallo in direzione del paese. Potreste ora, essere indotti a pensare che mi stessi recando precipitosamente a Moncalieri per intrufolarmi in una bettola e obliarmi in abbondanti libagioni e, chissà che altro. Ma non fu così. Anche se, non lo nascondo, inizialmente era quello il mio proposito. Ma, giunto davanti ad una taverna, di fronte alla quale stazionavano due ubriachi semisdraiati ai lati dell’uscio, non scesi neppure da cavallo e mi limitai a cambiare direzione. Stavo facendo proprio quello che Lady Costantine si aspettava da uno come me. Non sarei tornato al cascinale ubriaco fradicio. Anzi, ero in dubbio se tornarci veramente. Perché continuare sino al nostro ritorno a Torino? Non era meglio darci un taglio netto? Sparire nel nulla e tornare... Ma dove, dove potevo tornare... Bighellonai a cavallo per chissà quanto tempo. Scesi solamente un paio di volte, per bere acqua a due fonti che si trovavano in zone completamente opposte di Moncalieri. Infine, quando già spuntava il sole, presi la mia decisione. Sarei tornato alla cascina e avrei protetto Milady e affrontato il suo disprezzo e tutto ciò che sarebbe venuto. Era ciò che mi sentivo di doverle per ciò che aveva fatto per me.
Quando entrai nella cucina, dopo aver preventivamente bussato, ebbi la precisa sensazione d’aver interrotto qualcosa di estremamente serio. Madame, la contessa, il conte, il piccolo Baldovino e la giovane contessina bislacca erano tutti seduti attorno al tavolo. Nessuno di loro si mosse d’un solo millimetro. Si limitarono ad un cenno di saluto e Milady, sorridente come se nulla fosse accaduto, mi invitò a sedere, indicandomi l’unica sedia rimasta libera. Piuttosto infreddolito, la camicia madida dell’umidità notturna, mi sedetti senza proferire verbo. Il mio posto non era molto invidiabile: mi ritrovavo faccia a faccia con il conte e, alla mia sinistra sedeva con un insolito cipiglio fiero, la contessina Eugenia. - Vi informo di ciò che è avvenuto durante la vostra assenza, Jean. –Milady evitava accuratamente di guardarmi negli occhi. –Ieri sera, dopo che siete uscito, ho riunito la famiglia e ho rivelato loro le nostre scoperte riguardanti i barattoli di marmellata. Inoltre, ho spiegato loro come io penso siano andati i fatti che hanno causato due morti in paese: la povera bambina che giunta a casa ad ora di pranzo, non trovando nessuno, apre il barattolo di marmellata di prugne, per la verità abbastanza esiguo, e consuma tutto il contenuto, trovando di conseguenza la morte a causa del veleno. Poi ho parlato del barattolo di vetro caduto nel secchio dell’acqua, consumata da tutta la famiglia senza conseguenze, sino a che alla sera il padre rientra per cena e beve l’acqua sul fondo, che per forza di cose contiene una percentuale di digitale così alta da procurargli un accesso cardiaco... A questo punto, dopo le rivelazioni di Adelina conseguenti alla riunione, ho intenzione di continuare con le mie argomentazioni, sostenendo che tutto ciò è potuto accadere, poiché il nostro aspirante assassino nascose a suo tempo una parte della digitale nel pentolone della marmellata, convinto che non sarebbe stato usato che nell’anno seguente. Sennonché, come ho appreso dalla qui presente signora Adelina, egli non poteva calcolare che la sindachessa avrebbe portato delle prugne già secche, da trasformarsi in marmellata per i poveri mediante la loro posa in acqua, per l’ammorbidimento necessario che avrebbe reso possibile fattura di tale conserva. Ora, il bagno delle prugne è avvenuto di sera, quando alla luce d’una candela, la frettolosa Adelina, ansiosa di esaudire la sindachessa nel minor tempo possibile, mise a bagno la suddetta frutta nel pentolone adibito alla cottura della marmellata. Il giorno seguente, correggetemi Adelina, se sbaglio, si mise a cuocere le prugne gettando solo una minima parte dell’acqua di macerazione, perché altrimenti, la marmellata, già di non eccelsa qualità data la base, rischiava di saper di poco e nulla... Ebbene, il pentolone scelto da Adelina in fretta e furia e in condizioni di luce alquanto
precarie, già conteneva la digitale che stette tutta notte a macerare con le prugne... Vi lascio immaginare le nefaste conseguenze per chiunque mangi di questa conserva. Infatti, oggi stesso –e a questo punto Milady mi scrutò severamente in volto –Mi recherò ad avvertire la sindachessa affinché ritiri ogni barattolo. Confido nel fatto che le confezioni non erano molte ed in più, solitamente, la marmellata, in special modo tra le famiglie più povere, essendo un bene prezioso, viene consumata solo in occasioni abbastanza importanti, come feste di paese, battesimi e quant’altro... Madame era stata più che esauriente. Scrutai uno per uno, i volti degli astanti, ma nulla trapelava. Tutti rimanevano ermeticamente chiusi nel loro mutismo e per lo più, si scambiavano sguardi colmi di costernazione. - Ora si deve venire al dunque. Non sono così stupida da sperare che il colpevole mi confesserà seduta stante, piangente e sinceramente pentito, la sua colpa: si tratta pur sempre d’una persona che, anche se non aveva intenzione di uccidere l’allevatore e la figlia del mugnaio, aveva senz’altro in animo di far fuori qualcuno. Pensateci bene! Perché per forza di cose tra di voi non esiste solamente l’assassino, ma anche la vittima potenziale. Ciò detto Milady si congedò dalla contessa e dagli astanti per andare in paese, da sola, come ebbe a ribadire. Erano circa le nove e due quarti ed erano più di dodici ore che non toccavo cibo. Ciononostante mi guardai bene dal farne parola con alcuno. Durante il giorno non accadde nulla di tangibile, a parte il fatto che Madame mi evitava come la peste. La contessina mi osservava sorniona. Il conte si era alzato e salutava la madre prima d’uscire a prendere una boccata d’aria (così asseriva lui). Le due vecchie si ritirarono insieme, non prima d’aver asfissiato di premure la contessa e il piccolo Baldovino. Questi dovette salire in camera, accompagnato dalla sorella. Baciai la mano dell’anziana nobildonna che si disponeva a salire anch’essa in camera e attesi qualche minuto, affinché la giovane strampalata fosse a distanza di sicurezza, quindi salii e mi recai, come stabilito verso la camera di Milady. Entrai senza bussare, sicuro che ella si trovasse di già nella mia stanza da letto. Come a suo tempo convenuto. - Siete completamente impazzito? –sentii sibilare alle mie spalle, mentre richiudevo la porta. Feci per voltarmi: - Non azzardatevi a guardare da questa parte, chiaro?- la voce di Milady si era oltremodo alterata. La luce tenue della candela riverberava appena sul muro in
quella camera esageratamente spaziosa e vuota, per una sola persona. Come avrei potuto accorgermi prima della sua presenza? Glielo dissi e aggiunsi: -Non eravamo d’accordo che voi sareste andata a dormire nella mia camera ed io nella vostra? Avete forse cambiato idea? - Non l’ho cambiata affatto... Ma mi pare che la cosa dovesse iniziare da ieri notte. - Scusate... -mi costrinsi ad un tono sottomesso che poco si confaceva alla mia indole –Ma il fatto è che... - Si, ma ora uscite... Non vorrete rischiare la vita per un litigio? - Mi pare abbastanza stupido. Già che ci siamo, restiamo qui sino a che il corridoio sarà abbastanza silenzioso per consentirvi d’accedere alla mia camera senza destare disdicevoli sospetti... - Vi prego di non toccare simili argomenti sino a che dovremo convivere... Ignorai la sua allusione al fatto accaduto il giorno prima e non replicai. E’ inutile dire che mi sentivo in colpa. Ma di più per averla lasciata sola la notte precedente che per il resto. In fondo non avevo certo sedotto una verginella. Quindi le chiesi affabile e cortese: -Posso voltarmi, ora? - Se ci tenete... -fu la risposta, per la verità, un po’ puerile per una donna come Milady. Mi voltai. Lei aggiunse: -Attenderò che si siano messi a letto prima di cambiare camera. Come ho fatto del resto ieri senza di voi. Alla sera dopo cena tenni lo sguardo lontano dalla sua persona avvolta di tessuti bianchi, sicuramente preziosi, ma non propriamente pesanti. Non sapendo che fare mi sedetti a terra a lato della porta, appoggiando la schiena sul muro gelato come una tomba. Sentivo un freddo terribile e dovetti chiedere qualcosa da mettermi addosso. Lei si era seduta rigidamente su di un lembo del letto e mi fissava in silenzio. Si riscosse e con scarsissimo entusiasmo si alzò, prese la candela dal comodino vecchio e sgangherato e si diresse all’armadio. Ne estrasse una mantella con cappuccio da signora e fece alcuni i per porgermela. Mi alzai di scatto per evitarle ulteriore disturbo e raccolsi dalle sue mani il caldo indumento, gettandomelo poi in spalla. - Grazie -mormorai e tornai vicino alla porta.
- Non avrete intenzione di sedere a terra con la mia mantella di lana, voglio sperare! - Scusate Milady, non ci avevo proprio pensato... -mi guardai intorno, dubbioso, alla ricerca d’un posto dove sistemarmi. Lei, risiedendosi sul letto, mi indicò una poltroncina malandata sulla quale giacevano le sue vesti. Mi avvicinai, le raccolsi meglio che potevo e le misi sul letto, vicino a Milady. Lei seguitava a guardarmi con una severità che mi irritava. La casa ora, risuonava delle proteste, tutt’altro che sotto tono del contino Baldovino. Il piccolo ciccione pestifero gridava come un ossesso che non avrebbe mai messo la camicia se prima non gli davano un altro bicchiere di latte. Pareva che fosse nella camera accanto, tanto urlava, ed invece si trovava a due o tre camere di distanza - Ne avremo ancora per un po’... -dissi, tanto per rompere quel silenzio pesante come un macigno. Solo ora mi accorgevo di quanto mi dispiaceva che il rapporto quasi d’amicizia, che si era instaurato tra me e Milady, fosse irrimediabilmente compromesso. Una volta tornati a Torino, avrei dovuto lasciare quella casa, l’amicizia di Lucius, la simpatia della cuoca... E la presenza enigmatica, ma, in un certo senso, confortante di Milady. Non riuscii a trattenermi oltre e ben sapendo di scatenare l’avversione di lei, parlai nuovamente di ciò che era accaduto: - Non riesco a capire perché mi trattiate come se fossi un condannato a morte... già avevo esordito col piede sbagliato, ma sentivo che se avessi abbandonato il mio orgoglio, non avrei che ottenuto ancora più disprezzo, se era possibile. - Vi ho già detto di non tornare su questo argomento. Sono io che non capisco come possiate non sentirvi dalla parte del torto... -si alzò in piedi di scatto. - Voi mi credete capace di atrocità spaventose, e non posso contraddirvi. Sono stato un soldato, ho vissuto nei bassifondi, ho ucciso molte persone... Ma vi giuro che non ho assolutamente sedotto la contessina... - Avete una faccia tosta incredibile: volete negare l’evidenza? -si alterò Milady, ma con calcolata ironia. - Queste faccende non funzionano a senso unico, come saprete...
- La vostra impudenza è decisamente disgustosa. Uscite e tornate nel vostro antro... - Preferite addirittura rischiare la vita, piuttosto che ascoltare le mie ragioni? - A parte il fatto che ieri notte non mi siete parso così sollecito nel proteggermi. Non capisco quali ragioni possiate argomentare. Per scendere al vostro livello, vi parlerò chiaro e tondo: vi siete congiunto di proposito con una giovanetta di appena sedici anni... - A parte il fatto che conosco fior di giovanette di quell’età già madri, e comunque tutt’altro che innocenti... - Voi conoscete solamente giovanette e meno giovanette di questa risma... Voi non avete mai conosciuto altro! Mi fermai. Avevo accusato il colpo, ma ciò non mi tolse di certo la voglia di dire la mia sulla questione. - Può essere vero... Anzi, lo è. Infatti, anche ieri, mi sono congiunto, come dite voi, con una giovanetta che intendeva usarmi per fuggire da questa casa. E vi assicuro che il suo modo di fare non era dissimile da quello delle giovanette che voi mi assegnate... La mano di madame mi colpì prima che potessi sentire la sua voce: -Come osate! Miserabile!!! Gettai il mantello sul letto e guadagnai velocemente l’uscita. Ma mi fermai d’innanzi alla porta chiusa. La mano non sfiorò neppure la maniglia. Mi voltai di scatto. –Sentite... Odiatemi, disprezzatemi finché vi pare, ma non potrete impedirmi di restare qui. Anche se sono uno spregevole libertino e un avanzo di fogna, non sarò certo io a consegnarvi nelle mani di questo assassino che andate molestando! - Io non intendo restare un minuto di più alla vostra presenza! -si impedì di gridare per non rischiare che qualcuno potesse sentirci, ma il suo tono era dal livore. - Se non volete restare, recatevi nella mia camera, com’è convenuto…E vi ripeto per l’ultima volta che non sono stato io ad adescare la contessina. Lei è venuta
nel fienile, mi si è gettata letteralmente fra le braccia e non sono di certo il tipo che rifiuta simili profferte amorose!- lei stava per intervenire con qualche insulto acconcio, ma alzai la voce imprudentemente per stroncare qualunque sua velleità di controbattere: -...E se considerate che è un anno e forse più che la mia vita amorosa, se si esclude la prostituta che mi avete costretto ad adescare qualche mese fa, langue piuttosto, voi dovevate senz’altro scegliere un eunuco. Sicuramente è il tipo di uomo che saprebbe resistere ad una giovane avvenente e sapiente come la figlia del conte di Moncalieri. -Voi state cercando di giustificare la vostra indole libertina accusando quella povera giovane che da sempre vive come in clausura! -Milady mi si era avvicinata minacciosa. - Io non giustifico proprio niente. Sicuramente avrei agito in modo meritorio e probo staccandomi di dosso i tentacoli della verginella, ma è chiaro che qualcuno ha già, prima di me, compiuto lo scempio, mia cara Milady! E con questo, ho chiuso l’argomento che vi sta tanto sullo stomaco. - Non posso credervi e non vi credo! - Fate come più vi pare! –mi sedetti nuovamente vicino alla porta e mi rassegnai a battere i denti contro la fredda parete. Lei si risedette sul letto, rigida e molto sulle sue. arono istanti che mi parvero secoli nel silenzio rotto da qualche urlo dell’irritante Baldovino. Finalmente, sentii un tramestio di piedi, una porta che si chiudeva. La giovane, oggetto, per così dire, delle nostre divergenze, era riuscita a domare il fratello ed era entrata nella sua stanza. Ma Milady non accennava alcun movimento e continuava il suo rigoroso e avverso silenzio. Mi decisi a rivolgerle la parola: - Madame, non c’è più nessuno in giro, se volete, potete approfittarne per recarvi nella mia stanza... Lei non rispose immediatamente. Poi, si riscosse e argomentò le sue nuove intenzioni: - Credo sia meglio star qui tutti e due. Non vorrei che l’aspirante assassino notasse questo andirivieni. Tanto più che non potrei comunque chiudere occhio.
La osservai dubbioso. Non capivo assolutamente questo suo repentino cambio d’umore. Che cominciasse a credere a ciò che sostenevo sul conto della nipote della contessa? Lo ritenevo poco probabile, ma non impossibile. Forse la logica di cui era dotata aveva fatto breccia nel momentaneo impatto emotivo. Come era possibile che io avessi potuto dare un appuntamento alla contessina nel fienile per quando saremmo tornati da Moncalieri, se non sapevo assolutamente l’orario del nostro ritorno? Non avrei forse potuto farla entrare nella mia camera durante la notte? Queste domande non potevano sfuggire al suo occhio indagatore. Infatti, più che arrabbiata, era perplessa. Non mi avvicinai, non osando disturbare oltre le sue meditazioni. - Se volete dormire –mi disse –potete approfittare del mio letto... Io starò comodissima sulla poltroncina... - Sono qui per proteggervi, non per dormire... -risposi prontamente. –State pure comoda, signora. La poltrona sarà affar mio... -tentai di scherzare. Ella però ignorò le mie parole. Mi sistemai sulla poltrona e mi coprii con il mantello di Milady. Lei, non osando sdraiarsi in mia presenza, si accovacciò sotto le coperte, seduta sui cuscini. Quando il silenzio cominciava a pesare come una cappa di piombo sui miei occhi stanchi, Milady mi rivolse inaspettatamente la parola: - Ammettiamo che ciò che voi asserite, non si discosti poi troppo dal vero... Voi capirete che mi risulta difficile credervi a causa del fatto che la contessina negli anni dell’adolescenza, non ha mai frequentato null’altro che la sua famiglia e, per un breve periodo, il convento di... - Signora, voi non vi crederete, e ne avete ogni diritto, ma mi risulta penoso parlare con voi di questo... Ehm, incontro, avuto con la contessina... Vi prego, quando torneremo a Torino deciderete se io debba o meno andarmene... Ma per ora, non ne parliamo più... - Non ne parlo per ciò che voi credete... Certamente sono molto affezionata sia alla contessa madre, che alla giovane che ho conosciuto bimbetta... Ma, il fatto, al di là dei miei sentimenti personali, se analizzato nella sua interezza, risulta assai strano...
Ecco che Milady aveva ritrovato la solita, fredda obiettività. - Dovete solo dirmi quali sono state le parole della giovane... - Voi state tentando di capire se dico il vero... -risposi niente affatto compiaciuto. - Lo ammetto. Voglio andare a fondo di questa faccenda... Non sia mai che io trascuri la possibilità che, in qualche modo, possa essere collegata agli avvelenamenti... Non bisogna tralasciare alcuna traccia. Mio malgrado, iniziavo a spazientirmi... -Mi ha detto che saremo fuggiti da qua e che io l’avrei sposata dato che l’amavo... Poi ha detto... Si, ecco... Quando le ho fatto notare che non ero propriamente il primo amore della sua giovane vita, lei ha detto strane cose... Che anch’io l’abbandonavo. Le ho infine proposto di parlare con voi perché peroraste la sua causa e magari la portaste con voi a Torino, ma lei si è messa a piangere asserendo che il padre non lo avrebbe mai permesso. ava dall’ira alla disperazione sino alla gaiezza in un batter di ciglia. Ed infine, forse pensando che poteva ancora tentare di legarmi a lei, si è nuovamente mostrata docile e mi ha chiesto di aiutarla a rivestirsi, quindi siete giunta e... -Si, va bene... Ma cosa ha detto di tanto strano? -Ha tirato in ballo il conte come se egli la volesse incatenare a “Frescura”... La sua disperazione era tale che... - Ebbene? Vi pare così strano? -sorrise Milady avvolgendosi ben bene nella coperta. - Si, mi pare strano... Perché anche quando le ho proposto di parlarvene perché voi poteste convincerlo, lei ha seguitato nella sua disperazione e, ripensandoci, mi sono convinto che Eugenia, abbia voluto convincersi che bastava sedurmi per far si che io fuggissi con lei, lontano da questo luogo per iniziare una nuova vita... Non credo che bastino la povertà ed il lavoro per generare un desiderio così disperato… E, conoscendo come conosco quel bellimbusto... Si. Va bene... Ho capito... -mi guardò muta e scura in volto. La candela di sego fumava e risplendeva di luce alquanto incerta. –Lo credete capace di questa ulteriore nefandezza? –mi chiese.
.Rividi il conte semitravestito da donna in compagnia d’un giovane nerboruto. Lo rividi tentare di insinuarsi nelle grazie di madame... Non osai replicare. - Si- disse lei, che aveva seguito le tracce dei miei pensieri nelle espressioni del mio volto. – Lo credete possibile... - Si spiegherebbero forse così molte cose... -osservai prudentemente. - Sarebbe a dire?- mi incalzò madame. - Pare che la contessina consideri... Consideri ciò che è accaduto tra di noi come una specie di lasciaare, indispensabile per conquistare i favori d’un uomo, anzi no, il suo cuore... Milady era perplessa –Siete padrona di non credermi, naturalmente... -aggiunsi – e comunque so benissimo d’avere la mia parte di colpa in questa faccenda... - Andrò a fondo anche in questa questione... Non le risposi. Speravo ardentemente che lasciasse cadere l’argomento. Mi sentivo imbarazzato e pieno di sensi di colpa, e contemporaneamente, estremamente stupido per ciò che provavo. So che dopo poco, nonostante le sue asserzioni precedenti, madame si addormentò. Rimasi vigile per un periodo che mi parve interminabile. Nulla di quello che madame s’aspettava, minacciava d’accadere. Andai alla finestra, priva di scuri e mi persi nello spettacolo della luna, grande e nitida nel cielo terso della notte. Un gallo emise un canto strozzato e lamentoso. Il vecchio cane, forse l’unico abitante ideale di quel cascinale, rispose con un lamento degno d’un lupo. Nell’oscurità immobile, la luna, come un grande faro ultraterreno illuminò un fugace movimento nel cortile. Qualcuno sgattaiolava da dietro la casa. Immediatamente tentai di svegliare madame scrollandola anche poco cavallerescamente. Lei si svegliò di soprassalto e quasi gridò sgomenta: -Chi è? Cosa volete? - Presto, signora... Non vi posso lasciar qua da sola... Alzatevi... -le porsi la mantella che m’aveva prestato affinché l’indossasse. –Presto... Mettetevi questa e scendiamo... Ho visto qualcuno che attraversava dal retro della casa... - Che aspettate? Andate a sincerarvi... Presto! Io vi seguo... E non temete... Ho il mio pugnale...
Era l’alba quando Milady decise di svegliare tutti, tranne il piccolo Baldovino. Mi incaricò della questione e mi raccomandò di dir loro di farsi trovare entro mezz’ora riuniti attorno al tavolo in cucina. Insonnoliti ed infreddoliti gli ospiti di “Frescura” scesero le scale, l’uno dopo l’altro mentre io portavo legna nel camino e accendevo il fuoco. Non appena vide madame il conte insorse spocchioso: - Si può sapere che vi prende? E’ appena l’alba e ci buttate tutti giù dal letto... - Capisco che le vostre, come dire, attività notturne e la mia chiamata così mattutina, vi abbiano impedito di riposare... - Ma cercate di moderarvi... -finii io per Milady Ricordate che state parlando con una signora. –dissi, e per un pelo non aggiunsi “molto più signora di voi”. Ma lo pensai, e ciò mi fece sorridere brevemente, ma di gusto. Il becero, molestatore di giovanotti e, molto probabilmente, anche di giovinette, se non addirittura della propria figlia, si sedette torvo in viso, ma non emise altro suono, forse nel timore che ci lasciassimo scappare qualcosa di troppo sui suoi “divertimenti” notturni. La contessa, non appena scesa, chiese a Milady se ci fossero delle novità importanti ed ella le rispose che qualcosa c’era e non era affatto trascurabile. Matilde e Adelina si limitarono a parlottare tra di loro e quest’ultima volle a tutti i costi preparare un buon te. Cosa di cui segretamente gli ero infinitamente grato. Speravo anzi ardentemente che oltre al te ci procurasse qualcos’altro. La cena della sera precedente non era stata certo luculliana e il mio stomaco borbottava tutto il borbottabile. La contessina scese silenziosa e a occhi modestamente bassi. Si sedette ben lontano dal padre e si mise a fissare insistentemente il tavolo davanti al quale sedeva, come tutti gli altri. Milady iniziò ad informare gli astanti con la solita flemma delle occasioni importanti: - Questa notte, qualcuno ha manomesso il carretto che solitamente io e Jean usiamo per recarci a Moncalieri. Il freno è fuori uso e due ruote sono state segate
in certi punti strategici. L’assassino ha dimostrato ancora una volta d’essere poco intelligente. Forse pretendeva che un burrone si materializzasse sul piatto cammino che parte dalla “Frescura” per arrivare a Moncalieri? Sono costernata d’informarlo che molto probabilmente non avrebbe ottenuto che qualche ammaccatura e, a voler essere molto pessimisti, qualche osso rotto. sorrise amabilmente a tutti gli astanti. - Spero non crederete che io mi abbassi a fare simili cose? -s’inalberò il conte alzandosi maestosamente in piedi. La contessa madre lo fulminò con lo sguardo: - Siediti, figlio. Non mi pare il momento per darsi a questi eccessi. In questa casa qualcuno attenta alla vita delle persone e ciò è assolutamente esecrabile. Invito il responsabile a confessare i suoi abomini... Sempre che gli resti un oncia d’onore, cosa di cui dubito fortemente... Milady calcò la dose: -Questo vile, intravisto stanotte da mio cugino, crede forse di potermi tenere in iscacco ancora per molto? Non lo creda! Voi, Matilde... Amate fuori misura la vostra padrona, ma detestate il conte e il suo modo d’agire verso la famiglia... Voi, Eugenia... Desiderate fuggire da questa casa che custodisce dei segreti più grandi di voi... -a questo punto madame si fermò. Adelina posò la teiera sul tavolo, e, ahimè, non c’era nulla che potesse essere messo sotto i denti... Mi sedetti con un segreto sospiro. Il conte Baldovino discendeva le scale, assonnato e a piedi nudi:- Che cos’è tutto questo rumore?- si lamentò puerilmente. Non appena intravide la teiera si avvicinò al tavolo e si sedette. - Conte Sircalchi -continuò Milady –Il vostro modo d’agire è ben lontano dalla retta via, ma per rispetto a vostra madre, non aggiungerò altro... -lui la squadrò con una luce malsana negli occhi cerulei. - In questa casa ci sono mille ragioni di conflitto tra i suoi appartenenti... -rivolse uno sguardo alla contessa madre che la guardava tristemente. Quindi l’anziana esclamò: - Forse qualcuno di voi pensa che io nasconda in qualche luogo la fortuna che non ci appartiene più? Qualcuno di voi è così sciocco? - Ma nonna... Lo sanno tutti che non ci è rimasto un soldo! –sbottò il contino
Baldovino. Il di lui padre si alzò in piedi e approfittando del fatto che il figlio gli si era seduto di fronte, si sporse e mollò uno schiaffone in pieno viso al suddetto. Questi non si limitò a frignare, e magari a fuggir via, ma, piangente, si alzò in piedi e gridò: - Io so tutto! Tutto! E posso parlare.... Parlerò... Parlerò... -e tentò di scappare verso le scale. Il conte lo raggiunse e stava per mollargli un ulteriore ceffone, quando ebbe a che fare con le mie grinfie. Lo presi per i capelli e lo trascinai lontano dal figlio. Nel frattempo era accorsa Eugenia che abbracciava il fratello, mormorandogli chissà quali parole all’orecchio. Il bambino piangeva senza ritegno e urlava cose sconcertanti, mentre il conte tentava invano di liberarsi dalla mia presa: - Voi padre... Siete un miserabile... Ed un giorno o l’altro riusciremo a togliervi di mezzo! - Baldovino, smettila! -gli ingiunse la sorella scrollandolo violentemente. Milady, calma come un placido fiume attorniato da mille affluenti torrentizi, tolse il ragazzino dalle braccia di Eugenia, riuscì nonostante il peso a prenderlo in braccio. L’irriverente e ottuso bambino si abbandonò sulla spalla della mia padrona. Calde lacrime e disperati singhiozzi lo scuotevano da capo a piedi. La contessa si era levata faticosamente in piedi e dardeggiava il figlio con sguardo attonito e dolente. Lui, sempre tenuto a bada da me insorse: - Perché mi guardate in tal modo? Ogni buon padre picchia i figli quando se lo meritano... E non tollero che si abbia a ridire su come educo i... - Chiudi quella bocca... -sibilò la contessa. Poi rivolse l’attenzione al nipote che giaceva tra le braccia di madame. Gli prese il volto tra le mani.- Cosa dici bambino mio... Chi ti induce a desiderare la morte di tuo padre? –gli chiese dolcemente, ma con insistenza. Milady tentò di convincerla a desistere. Fu in quel momento che intervenne inaspettatamente Eugenia. - Non lo ascoltate nonna... Nostro padre è un buon padre... A volte è severo, ma ci ama... Me più di tutti... Non gli date ascolto: è geloso... -si avvicinò per sottrarre il bambino a madame. Ma questi reagì e tra le lacrime gridò:
- Non è vero! Io non sono geloso... Io non farei mai quelle cose con lui per non farlo arrabbiare... Cretina! Se non muore tu zapperai la terra per sempre... Ed io con te! La contessa madre impallidì. Il cicisbeo divenne ancora più aggressivo e con una gomitata si liberò provvisoriamente dalla mia presa. Si avvicinò a madame e fu l’ultima cosa che fece. Lo atterrai con un paio di pugni ben assestati. La contessa madre pareva imbambolata. Le due serve, impaurite e devastate da ciò che aveva detto il ragazzino, erano abbracciate vicino al camino. La giovane gridava ossessivamente e sparì su per le scale. Ad un cenno di Milady che ancora sedeva con il bimbo in braccio, rincorsi la giovane e la raggiunsi. Tentai più volte di ridurla a più miti consigli, esortandola a calmarsi, ma lei si dimenava e gridava: Vattene, carogna! Tu si che sei un vile... E osi picchiare mio padre... Maledetto... -e altre piacevolezze del genere. Comunque sia, riuscii a riportarla in cucina. Madame depose il bambino in braccio alla vecchia Matilde e abbracciò lungamente la contessa comprensibilmente sconvolta. La aiutò a sedersi sulla sua seggiola vicino al fuoco. Adelina le porse una tazza di te, ma ella non riuscì a prendere tra le mani la tazza. Tremava come una foglia, povera donna... Dopo qualche istante, mentre Milady si occupava della contessina ed io versavo una brocca d’acqua gelata in testa al conte per farlo rinvenire, la contessa madre parlò con una voce che non era la sua, ma pareva provenire dagli inferi: - Toglietemi costui dalla vista. Egli non è più mio figlio... Ho sopportato debiti, donnacce, sperperi ed eccessi vari, ma questo è troppo... Il conte, appena riemerso dall’incoscienza udì le parole perentorie di sua madre, la voce colma di dolore infinito: - Madre... -protestò debolmente –Non darete retta ad un bimbo viziato e ad una... - Fuori!!! -fu il grido disumano che la contessa tuonò alzandosi debole e vacillante, ma terribile nel gesto della mano che indicava la porta. –Fuori di qui... Prima che vi uccida con le mie stesse mani… - Avete visto? –sghignazzò la contessina in preda ad uno dei suoi repentini cambi
d’umore, che ora parevano proprio follia –Dicevate che amavate me sola ed invece... Vi ho seguito... -rise sinistramente e mi rivolse la parola con gli occhi fissi, orribili a vedersi: -Sapete perché non lo amavo più? Lo sapete perché? intuendo ciò che stava per dire tentai di rabbonirla, di fermarla, ma fu del tutto inutile... Non appena sentì la mia voce gridò stridula: -Zitto voi! Siete come lui! Siete tutti uguali... Si, egli mi tradisce con tutti, con tutte e tutti... Tutti e tutte... rise ancora e si avvicinò al conte che si era avventato sulla porta, nell’estremo tentativo di sottrarsi all’elenco delle sue nefandezze. Danzava, la contessina e gli girava intorno ostacolando il miserabile individuo nella sua uscita di scena. –Lo sai che non ti amo più? Non ti ho mai amato? Mi fai schifo... Mi fai schifo!- e si mise a ruotare con le braccia aperte. Milady accorse. Il conte sparì alla nostra vista e penso che tutti in cuor nostro gliene fummo grati. - Lo volevi uccidere, vero? –gli chiese madame quando l’ebbe calmata e sostenuta tra le sue braccia. Lei non piangeva, ma i suoi occhi erano persi nell’ignoto. Baldovino parlò con una voce stranamente e orrendamente invecchiata: - Non è stata lei... Sono stato io... Quella lì ormai non ci sta più con la testa... Le ho parlato di tutto e ha nascosto le erbe in una pentola... ‘Sta scema! Eravamo ricchissimi e siamo poveri e dobbiamo lavorare... Mia sorella ha rovinato tutto... -Gli undici anni del contino grassoccio e ottuso parevano così diversi, ora. –Ve lo dico, tanto non avete prove e non potete mandarmi a morte... Sono stato io. - E perché mai, allora, ci avresti fatto ritrovare la digitale che dovevi far sparire? - Non lo so... Quel giorno mi andava così... -e si mise a fissare il muro davanti a se. Lo sguardo ottuso perso in chissà quali pensieri. Un grido di orrore lanciato dalla serva dagli occhi buoni e tutti ci accorgemmo che la contessa madre era caduta a terra. Madame accorse prontamente e dopo poco si rialzò in piedi. Aveva le lacrime agli occhi . La contessa Sircalchi di Moncalieri non aveva retto allo strazio ed era deceduta. Baldovino si alzò dalla sedia, si avvicinò alla nonna esamine. La scrutò lungamente in volto e senza che nessun sentimento trapelasse dalla sua persona:
- Era solo una vecchia scema – disse stancamente. Tornò a sedersi sulla sedia dalla quale si era mosso per ispezionare freddamente il cadavere della nonna. Milady lo seguì con lo sguardo atterrito. Eugenia, seduta anch’essa, all’altra estremità del tavolo, scoppiò in una risata sinistra ed irrefrenabile. L’unico e indiretto responsabile non avrebbe mai pagato. Pensai stancamente. Madame mi si avvicinò: -Venite con me, Jean, dobbiamo pensare ai funerali e al destino di quei due... -mi disse stancamente. Quindi ordinò alle due vecchie serve di sorvegliare il contino Baldovino ed Eugenia. Uscimmo che il sole splendeva alto sui campi e sugli alberi ormai dorati, di quel bellissimo paesaggio agreste.
Giungemmo a casa in una sera piovosa e triste come l’animo di madame che guidava il calesse, silenziosa. I funerali della contessa si erano svolti in forma privata in quel di Moncalieri, dove i conti avevano, è inutile dirlo, una specie di mausoleo. Le spese le sostenne Milady, che con il sindaco ed il prete si occupò di trovare un convento che ospitasse la povera Eugenia, vittima delle brame disgustose del padre e, un collegio per il contino Baldovino, immensamente desolante nel suo egocentrico rancore, ormai perennemente espresso da un cinismo senza fine. Prima di partire definitivamente da Moncalieri, ci fermammo a casa del mugnaio. La moglie aprì la porta e, non appena ci vide, disse: Sappiamo già come sono andate le cose... Vi prego... Mio marito non c’è... Non vogliamo più parlarne... Non offendetevi ma... Madame le strinse la mano:- Non abbiate timore. Posso almeno sapere come sta? - Sta come sempre signora: sapere che la propria figlia è morta in modo così stupido... Il fatto che non ci sia nulla da vendicare, non lo aiuta... Pensate che, poco prima della morte della contessa, si era convinto che il colpevole era il medico del paese. Voleva venire a parlarvene... A raccontarvi chissà cosa... -le lacrime colmarono gli occhi della mugnaia. Milady l’abbracciò e le sussurrò qualche parola di conforto. Quindi si sciolse dall’abbraccio: -Sarà meglio che andiamo –disse commossa –Salutatemi vostro marito, vi prego... Il viaggio sotto una pioggerellina insistente, che si insinuava ovunque, fu scomodissimo. Milady non parlava, immersa nel suo dolore per la tragica dipartita dell’amica. Scesi da cavallo vicino alla rimessa delle vetture di madame e portai Moreno nella stalla. La raggiunsi con il dubbio che m’attanagliava: avrei dovuto affrontare subitamente il discorso riguardante il mio futuro o, visto lo stato d’animo della signora, era meglio attendere che lei stessa si pronunciasse? Decisi per quest’ultima opzione e la seguii all’interno dello spazioso appartamento. Lei si rifugiò nella biblioteca senza rivolgermi una sola parola. Chiuse la porta ed io capii che non voleva che assistessi al suo dolore per la perdita di una carissima amica. Non mi riguardava. Iniziai a salire stancamente le scale. Sentivo le risate della cuoca che quando madame era in viaggio rimaneva nella casa anche di notte. Josephine parlava e rideva anch’ella. Sentii anche il tuono della voce roboante di Lucius. Molto
probabilmente stavano mangiando in cucina. Anch’io, come Milady, non me la sentivo di vederli. E continuai a salire. Ma la porta dello studio s’era aperta alle mie spalle. La maledetta cigolava come sempre, Lucius non vi aveva posto ancora rimedio. - Venite, vi prego. Mi voltai, ma non scesi le scale. –Credo di non essere la persona giusta per tenervi compagnia in questo momento... -dissi con sincero convincimento. - Voi non siete certo peggiore del mio stato d’animo, Jean... Non mi aspetto da voi parole di conforto, voglio che veniate a leggere questa lettera che ho trovato sulla scrivania. Quell’insensato di Lucius non me l’ha spedita... E’ molto interessante- la sua voce era stranamente incrinata. Ed io, mentre scendevo le scale per raggiungerla, mi sentivo lieto d’essere fuori posto, in quella casa dove voci e risate si fondevano alla quiete e a presagi di nuovi misteri.
NOTE DI TRADUZIONE DAL PIEMONTESE:
1)-Croce; 2)-Sono io 3)-Ai garzoni 4)-Né caldo né freddo 5)-Bimba 6)-Vasetto di vetro 7)-La “fringa” è una schiacciata di frutta fatta cuocere a fuoco lento..
LIBRI DI ANNARITA CORIASCO
“UN CASO COMUNE – Delitti di provincia 1” (giallo) “OMICIDI TRA LE RIGHE – Delitti di provincia 2” (giallo) “LO SPECCHIO, LA SPADA, IL FUOCO E LE CATENE” (fantasy) “MOVIE PLANET” (giallo fantascientifico) “PROFILO D’AUTORE” (umoristico) “DISARMONY – Racconti rosa ‘sciocching’” (umoristico) “SUL SERIO MA NON TROPPO” (umoristico) “SABBIE MOBILI” (poesia) “VOCI FUORI CAMPO” (poesia) “ODI BUROCRATICHE” (umoristico) “UNICO INDIZIO: UN FILO D’ORO – Le indagini di Lady Costantine (Torino 1806)” (giallo) “IL SUONO SEGRETO DELL’ARPA – Delitti di provincia 3” (giallo) “UN PICCOLO MISTERO MORTALE – Le indagini di Lady Costantine Vol.2 (Torino 1806)” (giallo).
LIBRI DI DANILO CORIASCO
“POESIE E PENSIERI POSTUMI DI UN CARRELLISTA FIAT” (poesia)