Sangue E Salame, I Fratelli Brassi 4f2y5i

SerialBook SANGUE E SALAME Episodio 1: I Fratelli Brassi

Autore: Jeff Zero

ISBN 978-88-97801-55-9

Proprietà letteraria riservata © Lettere Animate 2012 www.lettereanimate.com

I SerialBook

Cosa sono L’editoria sta attraversando un periodo di forte cambiamento. L’avanzare del digitale è ormai un fattore evidente e costante. Noi come casa editrice abbiamo subito abbracciato questo tipo di sviluppo creando i nostri ebook direttamente in “casa” e diffondendoli al pari dei cartacei. I riscontri sono stati molto positivi. Il tempo per leggere però è sempre meno e “rubato” ad altre attività giornaliere, per questo abbiamo pensato di creare una nuova collana: SerialBook.

Cosa sono i SerialBook? Mini ebook in formato epub/mobi che avranno un tempo di lettura indicativo e indicato (10 minuti/15 minuti/20 minuti/ 30minuti) e che vanno a stimolare quella parte di lettori che sono sempre di corsa, ma allo stesso tempo hanno minuti disponibili da dedicare alla lettura. Pensiamo a chi viaggia, a chi ha una pausa pranzo nella quale, oltre mangiare, non sa bene cosa fare e molte altre situazioni quotidiane. Ovviamente i SerialBook possono essere letti anche da chi ha molto tempo per farlo:-). Questo tipo di ebook non è una novità editoriale, anzi alcune case editrici hanno lanciato questa iniziativa molto prima di noi :-). Noi però abbiamo deciso di ampliare il discorso e caratterizzarlo maggiormente. Verranno create delle “serie” che avranno delle uscite definite (settimanali, mensili ecc. ecc.) un po’ come la regola del “fumetto”. Questo per dare al lettore abituale la possibilità appunto di essere già al corrente della storia base e di dedicarsi alla lettura veloce in piena tranquillità.

I Fratelli Brassi

«Sparagli in bocca a questo pezzo di merda!» Shaky Brassi teneva il ragazzo di colore per il colletto, fisso contro la saracinesca del suo negozio di giocattoli, mentre il fratello Phil lo osservava fumando qualche metro più indietro. Mezzanotte appena ata di un sabato qualunque. Bobo, così era conosciuto il ragazzo nel quartiere, sanguinava da tutto il viso, Shaky lo tratteneva talmente stretto per il collo da non permettergli di respirare bene. Ansimava, cercava di sopportare il dolore, ma la mancanza d’aria gli appannava vista e pensieri. «Phil andiamo, che cazzo stai aspettando?» Shaky era impaziente. Nervoso di carattere, un piccolo bastardello italoamericano preso più dalle sue origini che dal suo reale valore come mafioso. Alto poco più di un metro e sessanta, robusto e sempre ben vestito. La sua caratteristica erano le grosse mani rugose, da contadino, forti e capaci, “secondo leggenda”, di piegare una sbarra di ferro. Shaky “mani di ferro” Brassi. Il fratello, Phil Brassi, era molto diverso. Pacato, furbo e riflessivo. Non si faceva mancare occasione per dimostrare il suo talento di negoziatore e opportunista. Magro, ossuto quasi fino all’anoressia, di qualche anno più grande del fratello, un uomo distinto sulla quarantina, capelli brizzolati e corti, occhi vividi, chiari e sicuri. I fratelli Brassi non erano particolarmente importanti in Città, venivano ingaggiati per lavori sporchi, inutili e fastidiosi. Omicidi per lo più. Quella sera erano stati mandati da Bobo per ucciderlo, una questione razziale mista al racket. Li avevano assoldati per telefono come sempre, un cliente anonimo dalla voce non anglofona. «Phil!» gridò Shaky voltandosi verso il fratello, gli fece un cenno con la testa verso il ragazzo, come a volergli indicare di fare quello per cui erano lì.

Phil gettò la sigaretta per terra ed estrasse la pistola puntandola verso il cranio di Bobo. Fu un attimo. Il ragazzo crollò al suolo in una pozza di sangue, mentre Shaky rideva e sputava sul cadavere esanime. «Pezzo di merda!» esclamò prima di voltarsi e avviarsi alla macchina. Phil rimase qualche secondo in più, dominante sulla sua vittima, un lampione posto proprio dietro di lui permetteva alla sua ombra di abbracciare il corpo di Bobo. Si fece il segno della croce, la pistola ancora fumava. In lontananza si udivano dei cani abbaiare, scossi dallo sparo. Il quartiere era abituato a queste scene di violenza, per cui l’omicidio ò inosservato. Neanche una luce accesa in una delle tante finestre dell’ “alveare”, così veniva chiamato il quartiere “povero”. Del resto era solo un altro negro ammazzato. Prima di entrare in macchina, una vecchia Lincoln, Shaky si voltò verso il fratello aggiustandosi i pantaloni e, con voce insofferente, intimò al fratello di sbrigarsi. «Dai che devo pisciare e ho voglia di bere, quanto ci hanno pagato per questo? Duemila? Dovremmo chiedere di più la prossima volta.»

Non è il tempo degli eroi

John Righetti entrò in ufficio, caffè in una mano e giornale sotto il braccio. Il solito giaccone a coprire un abito consumato dal tempo. Anche quella notte aveva dormito male e poco, insonne corroso dai pensieri di un ato complicato. Erano trascorsi cinque anni dall’assassinio di suo figlio e dalla scomparsa della moglie, ogni notte li incontrava in sogno, ogni notte gli sfuggivano dalle mani, ogni notte finiva con una bottiglia di scotch vuota e con l’ulcera che pulsava facendogli vomitare sangue. Nel tempo avevano provato a corromperlo spesso, con una quantità di denaro sempre superiore o oggetti di lusso che lui aveva ogni volta restituito al mittente senza troppi fronzoli. Entrato in polizia per emulare le gesta del padre, morto anch’egli per mano della stessa mafia che lo aveva privato della famiglia. Ideali, ardore, ione e coraggio. Giovane poliziotto diventato presto detective, un uomo pulito, uno dei pochi rimasti in quella Città. «Hanno ammazzato un altro negro, ieri notte, nell’alveare.» Paul Peterson irruppe nell’ufficio di John senza neanche dargli il tempo di assaggiare la poltrona dietro la scrivania. «Ehi, amico, devi smetterla di bere» proseguì Paul vedendo le grosse occhiaie nere che cerchiavano gli occhi del collega. «Mi hanno chiamato stamattina due agenti in zona lì, un colpo in testa, boom! Finito. Dobbiamo fare qualche carta e chiamare i “netturbini”.» In realtà a Paul non interessava trovare il colpevole, si conoscevano i colpevoli, sicuramente un regolamento di conti, una “tassa” non pagata, nell’alveare morivano persone con la stessa frequenza con cui lui andava in bagno. Aveva sempre qualcosa in bocca: una ciambella, un panino, degli snack, qualsiasi cosa trovasse, mangiava. Non si è mai saputo quanti anni avesse, sicuramente oltre la cinquantina, grosso e spelacchiato con due grossi baffi a riempire un viso sempre ben curato e impomatato. Padre di cinque figli avuti con due donne, un divorzio alle spalle, pochi casi risolti e uno stile di vita impossibile da mantenere con lo stipendio di poliziotto.

Un corrotto, come quasi tutti. «Andiamo, che ti fa bene fare due i» Jonh non rispose, beveva il caffè leggendo il giornale e non si mosse. Paul era un suo amico, si conoscevano sin da bambini, non lo giudicava perché si era fatto corrompere, anche perché era un “segreto”, lo considerava un amico vero, anche se i suoi modi sempre così plateali lo infastidivano. Jonh non aveva più molto da dare alla sua vita, aspettava semplicemente che qualcuno lo freddasse per l’ennesimo rifiuto a una mazzetta, anzi ogni qualvolta gliene proponevano una rifiutava sempre in maniera più smaccata, proprio a voler istigare la sua esecuzione. Era ancora vivo. Paul prese a strattonare il collega dal braccio destro, costringendolo ad alzarsi. Non fece in tempo a uscire dalla stanza che squillò il telefono. «Righetti…» «Tua moglie è viva.» una voce di donna. John sgranò gli occhi, pensò subito a uno scherzo, a una buffa interpretazione del sadico. La comunicazione si interruppe immediatamente. «Pronto, pronto… chi cazzo parla?» batté il telefono sul tavolo e corse nella sala principale della stazione di polizia dove lavoravano le centraliniste. «Chi mi ha ato la telefonata?» urlò attirando l’attenzione di tutti i presenti. Una mattina di inverno, fredda, qualche fiocco di neve carezzava la Città e il cielo era bruno. Nella centrale le luci erano tutte accese, neon bianco che spruzzava luminosità. «Chi cazzo mi ha ato la telefonata? Pronto c’è nessuno?» Tutti conoscevano i problemi di John. La sua abitudine allo scotch, la sua tragedia, i suoi modi molesti di rapportarsi alla gente.

Il suo comandante gli aveva più volte proposto un pensionamento anticipato se pur avesse quarantacinque anni, per cause di tragedia familiare. Lui aveva sempre rifiutato, se non fosse stato più poliziotto le possibilità di morire sarebbero state limitate. Spesso aveva pensato al suicidio, era troppo ligio al dovere per farlo, un suicidio non porta colpevoli e nonostante sapesse bene che i colpevoli in quella Città di merda erano rari e mal condannati, non riusciva a non provare un senso di dovere anche nella disgrazia. La gente lo vedeva come un fantasma, non gli avano casi rilevanti, non lo consideravano membro di un gruppo poliziesco attivo. Era lì, solo con il suo ato a bastonargli la schiena.

Fissava i colleghi e le centraliniste con occhi affamati di verità. Nessuna risposta. Non esitò ancora nello sbraitare la sua insoddisfazione, condendo il tutto con un pugno battuto con veemenza su un tavolo. Il fragore del tonfo fece sobbalzare diverse persone, spaventate da una reazione così fuori dal comune Ispettore Righetti. «Qualcuno mi deve dire chi mi ha ato quella telefonata. Ora!» Paul Peterson , anch’egli sorpreso da tale energica esplosione, gli mise una mano sulla spalla, come per mantenere l’amico e non fargli fare alcun gesto strano, oltre quello che già stava combinando. «Jonh, ma chi era? Non gridare, dimmi chi era.» L’amico si voltò di scatto, strinse la mano di Paul con tanta forza da farlo ghignare per il dolore. «Se è uno scherzo non mi piace, qualcuno mi ha detto che mia moglie è viva.» «John, John mi fai male, ma che cazzo!» Lasciò la presa solo quando una voce si alzò dal fondo della stanza. Flebile, quasi inudibile, spaventata. «Io signore… gliel’ho ata io la telefonata.» John si rigirò su stesso lasciando andare Paul.

«Chi? Chi è stato?» lentamente si infilò fra i banchi delle receptionist posti sulla sinistra della stanza, ammassati con ordine orizzontale, in fila. Solo donne, cuffia in testa, microfono in prima linea e un monitor che illuminava loro i visi. Si udiva solo il bippare delle telefonate in ingresso che nessuno stava più ricevendo dall’inizio della sceneggiata di John.

La stazione di Polizia era un palazzone in pieno centro, angusto quanto vasto, tre piani di cemento e vetri, il riscaldamento quasi mai bastava per rendere confortevole ogni angolo. Ci lavoravano oltre duecento persone ed era un continuo via vai di gente e telefonate, arresti e denunce. La puzza di fumo di sigarette era ovunque, appestava stanze e corridoi.

Si alzò dalla seggiola una donna minuta, piccola, bassa con i capelli a caschetto biondi e una vocina da cartone animato. John la fissò. La ragazza barcollava, occhi gonfi e lucidi, riuscì semplicemente a dire che quello era il suo primo giorno di lavoro. «Non me ne frega una cazzo di chi sei tu, chi era al telefono? Ti ha lasciato un recapito?» La ragazza scosse la testa in segno di negazione, lenta e preoccupata. «No cosa!» tuonò l’ispettore avvicinandosi a grossi i verso di lei. «No non lo ha lasciato, no non lo so, che cazzo significa no? Non ti hanno detto che non puoi are telefonate senza raccogliere dati e locazione di chiamata? Levati fammi vedere il computer.» John spostò con il braccio la ragazza e si mise a pigiare i tasti del computer con frenesia. Tutto l’ufficio era fermo, alcuni si erano sporti al di là di alcuni muri finti che servivano per separare gli ambienti, altri avevano fatto scivolare la sedia con le rotelle per vedere meglio la scena. Altri invece si erano accesi una bella sigaretta per gustarsi meglio la pazzia del collega. L’unico che aveva realmente la faccia preoccupata era Paul.

Sì, era una persona corrotta, ma profondamente legata al suo amico. La corruzione era ormai d’obbligo se si voleva vivere o avere una vita normale, non per questo non si poteva voler bene. A modo suo, ma ci teneva. Di certo se gli avessero proposto: «Uccidilo o uccidiamo te» avrebbe estratto la pistola più velocemente di uno starnuto e avrebbe seccato John. «Non c’è niente qui, non c’è un fottuto cazzo di niente! Tu non stai registrando le telefonate!» John inveì contro la ragazza che non aveva avviato la procedura di registrazione delle telefonate che giungevano alla sua postazione. «Signore, io… io…» scoppiò in un pianto isterico, mani sul volto e gambe tremolanti. «Oh merda…» John sospirò. Non si impietosì vedendo quella scena, pensò solo che non quello era il tempo degli eroi.

La salumeria

«Signora Cabrini, buongiorno, che le posso servire oggi?» C’era solo un posto nell’alveare rispettato da tutti: la salumeria della famiglia Maranzano. Una bottega che spiccava fra le altre per qualità degli infissi e le per le pareti esterne sempre bianche e ben tenute, nessuna crepa, nessun intaglio e neanche l’ombra di un murales. Un gioiello nella desolazione tetra di un luogo privo di regole. «Due etti di prosciutto crudo, quello buono mi raccomando.» Non era di certo per la bontà dei prodotti che quel posto così ben tenuto era rispettato. La famiglia Maranzano era la famiglia mafiosa più importante. Davanti alla bottega stazionavano sempre due uomini armati, distinti e pronti a fare fuoco in qualsiasi momento, posizionati alle due estremità della porta di ingresso. La salumeria era semplicemente un vezzo di Don Carlo Maranzano, il boss. Una tradizione lunga cento anni, ereditata dagli avi della sua famiglia. Alle spalle della stessa era stipato il quartier generale della azioni criminose del clan. Dove tutti i lavori sporchi venivano eseguiti senza dare nell’occhio più del dovuto, anche se, per vero, tutti paventavano una conoscenza di ciò che veniva effettuato lì dentro. «Signora bella noi abbiamo sempre prodotti freschissimi.» Angelo Maranzano, il bottegaio, gestiva la parte commerciale dell’attività che, nonostante fosse una semplice copertura, produceva una buona dose di incassi. Esperto di taglio e vivisezione degli “animali”, la sua specialità era far sparire i cadaveri. Don Carlo Maranzano non si faceva vedere quasi mai dai clienti, ava intere giornate nel retrobottega, un immenso stanzone dove fra le celle frigorifere, i tavoli per le mattanze e vari oggetti utili per la salumeria si ergeva il suo ufficio.

Fumava sigari, guardava la televisione e mangiava salame. Nulla di più. Da lì controllava tutto. Collezionava vestiti, non i suoi, della gente importante che aveva fatto uccidere, li conservava con cura in un armadio del ‘700 fatto arrivare appositamente dall’Italia, ogni tanto li mandava in lavanderia, lo chiamava il suo “cimitero personale”. Anche quel giorno era lì. Seduto sulla poltrona di pelle con un sigaro fra le dita e un piatto ricco di salame tagliato finemente sul tavolino di fianco. Rideva di gusto spesso e volentieri, adorava i film datati, quelli di un ato che gli ricordava il tempo trascorso con il padre, prima che fosse assassinato per un regolamento di conti. Vicino al salame un telefono, spesso squillava, qualche vicario che chiedeva ordini o lo aggiornava sull’eseguito. Così accadde di lì a poco. «Pronto?» «Abbiamo un problema» una voce dall’altra parte del telefono, un uomo apparentemente giovane. «Dimmi» rispose Don Maranzano. «La mafia tedesca è sbarcata in Città e pare voglia prendere il controllo di molte zone dell’alveare.» «Ma che cazzo è sta mafia tedesca? C’è la mafia russa, la mafia giapponese e la mafia italiana, non esiste la mafia tedesca!» continuò il boss infilandosi a mano piena una fetta di salame in bocca. «Esiste, pare che stiano minacciando molte attività di zona chiedendo il pizzo, hanno anche ingaggiato dei sicari di qui.» «Ascolta Ricky, ma di che cazzo stai parlando? Chi avrebbero assoldato?» il boss bofonchiava con la bocca masticante. Ricky Scaglione, braccio destro della famiglia Maranzano, “l’uomo della strada” era lui a controllare il racket per conto della famiglia all’interno dell’alveare. Un professionista cresciuto nella famiglia come un figlio. Giovane, sulla trentina, ma con alle spalle già diversi crimini efferati. La sua peculiarità era la bellezza,

un viso pulito, fresco. Ricky “Casanova” Scaglione, alcuni lo chiamavano solo “il Casanova”. «E chi potevano ingaggiare: i Fratelli Brassi» rispose Ricky Scaglione. «Figli di una cagna, io lo sapevo, quei due impasticcati del cazzo, gli ho sempre detto di non prendere lavori al di fuori delle solite famiglie. E che cosa devono fare questi mangia wurstel?» «Credo che ci saranno degli omicidi in zona, che devo fare boss te li vado a prendere a questi fratelli Brassi?» «Ricky oggi arriva il carico dalla Colombia, devi andare al porto stanotte a mezzanotte in punto, mi fido solo di te lo sai, portati pure a qui due coglioni di Rocco e Angelo, ma digli di non fare cazzate. Ai Brassi pensiamo dopo, ricordati pure di chiamare a Peterson e di far tenere lontana la guardia costiera. Ciao.» Don Maranzano non attese la risposta e abbassò la cornetta ridendo per una scena apparsa in televisione.

La notte stessa Ricky “Casanova” Scaglione si recò al porto accompagnato da Rocco e Angelo, due pedine sacrificabili del sistema Maranzano. «Peterson, sono Scaglione.» Un’ora prima dell’arrivo della nave colombiana che trasportava un’ingente quantità di eroina, il ragazzo chiamò Paul Peterson. «Oh buonasera, sono a una cena da parenti con la mia famiglia, ci possiamo sentire più tardi?» rispose il poliziotto. «Vuoi che venga anche io a questa cena, così mi presenti a tua moglie, ai tuoi figli, eh?» rispose ironicamente Ricky. «No, per carità» la voce di Peterson si fece più cupa e affannosa, si stava velocemente spostando in un’altra stanza per non farsi sentire dai suoi commensali. «Allora stammi bene a sentire, il porto stanotte lo voglio pulito, hai 10 minuti

per svuotarlo.» «Ma, ma… come faccio? Che dico?» Peterson era sempre più preoccupato. «A me non me ne fotte un cazzo come devi fare, lo devi fare e basta, hai capito?» Ricky insistette con voce più sostenuta mentre sul viso di Rocco e Angelo apparve un sorriso ironico. Erano seduti davanti a una delle macchine della famiglia, rigorosamente Ford nere, parcheggiata nel piazzale principale del porto commerciale. Ricky sprofondava sul sedile posteriore. «Che cazzo ridete voi due? Vi vedo dallo specchietto, uscite e andate a fare un giro, vedete di controllare che non ci sia nessuno che possa darci fastidio.» I due aprirono le portiere della macchina ma prima che potessero uscire Ricky continuò: «Ehi , belli, senza fare nessuna merdata o questa volta è sicuro che vi faccio tagliare le gambe, intesi?» I due annuirono e uscirono dall’abitacolo. «Peterson tu hai capito bene? O vuoi diventare un sacco di prosciutto?» «Sì sì, ho capito, sarà fatto…» «Bene.» La telefonata si chiuse e Ricky abbassò leggermente il finestrino per farsi accarezzare il viso candido dalla brezza marina, frugò nella tasca della giacca e tirò fuori il portasigarette e un accendino d’oro. Se ne accese una e sbuffò il fumo fuori dalla macchina. «Che bella serata!» mormorò. Al porto vi erano poche luci artificiali. Lampioni quasi inesistenti e quelli presenti, a turno, tutti rotti. Era il atempo dei ragazzini, tirare pietre o sparare con i fucili a piombini contro le lampadine. Il cielo si poteva ammirare perfettamente, era uno dei pochi luoghi della Città dove si potevano vedere le stelle, non offuscate dal grande utilizzo di luminosità procreato da abitanti impauriti dal buio. Se non fosse stato per quella puzza insostenibile di pesce in decomposizione sarebbe stato un bel posto dove are la serata. Mezz’ora prima dell’arrivo dei colombiani Ricky scese dalla macchina

richiudendo la portiera dietro di sé. Aveva già fumato parecchie sigarette, i mozziconi giacevano spenti sul cemento vicino alla macchina, più per noia che per nervosismo. Non era un ragazzo ansioso, anzi, nonostante fosse giovane era molto sicuro del proprio lavoro, del suo potere all’interno della famiglia. Don Maranzano gli ripeteva sempre la stessa frase che lui aveva assimilato alla perfezione: “Non è importante essere un supereroe, l’importante è farlo credere, ricordati che nella Mafia e nel potere, non si ha paura di quello che ti è successo, ma di quello che di potrebbe succedere.” La sua apparenza era più forte della reale cattiveria. Freddo, distaccato e preciso. Di solito non commetteva errori sporcandosi le mani di sangue inutile, e poi era sempre ben vestito e teneva al suo aspetto. Lasciava agli altri il compito dello “spazzino”. Guardò l’orologio al polso: le 23:45, poi gettò lo sguardo al mare. Ancora nulla. I colombiani erano sempre precisi, la sua famiglia lavorava con un solo clan di narcotrafficanti: I Fernandez. La bontà dell’eroina trafficata aveva fatto sì che la scelta ricadesse su di loro, la chiamavano E2, il dosaggio minimo permetteva “viaggi” che le altre droghe simili garantivano solo dopo due o tre iniezioni. I ragazzi ne andavano matti e spendevano fortune per assicurarsela. Ricky prese a camminare vero la banchina, come promesso da Peterson non vi era alcuna luce vedetta all’orizzonte, la guardia costiera era assente. Un mutevole silenzio riempiva tutto il porto, l’unico suono udibile era lo sciabordio delle onde. Ricky arrivò al limite della banchina, oltre c’era il mare, si fermò e fissò il nero intenso dell’acqua, prese una nuova sigaretta e se l’accese. Non fece in tempo però a fare il primo tirò che nella quiete del porto si stagliò l’acuto fragore di un colpo di arma da fuoco. Uno sparo, in lontananza sì, ma sempre uno sparo. Era ben conscio che aveva mandato a perlustrare la zona Rocco e Angelo e che quei due, vittime di mania di onnipotenza dovuta all’affiliazione alla famiglia Maranzano, avevano il grilletto facile. «Quei due imbecilli…» sbottò voltandosi in direzione della strada.

Mezzanotte di fuoco

«Ehi Rò, quando saremo grandi boss tu dove vorresti vivere?» chiese Angelo sniffando una striscia di cocaina ben tagliata su una piccola lamierina di acciaio non più larga di dieci centimetri. «In che senso dove? Il paese o la casa?» rispose Rocco sfiorando con la mano destra il calcio della pistola che fuoriusciva da sotto la giacca di pelle scura. «La casa, il quartiere, io non voglio cambiare, nella Città sto bene» ribatté Angelo infilandosi in tasca la lamierina di acciaio e tappandosi la narice con il pollice della mano destra. «Sanguino sempre, vaffanculo» continuò, notando il pollice sporco del suo sangue. Rocco si scorse leggermente verso l’amico, camminavano uno fianco all’altro, per guardargli il naso. «Quanto cazzo hai tirato, lo sai che a Don Maranzano non piace che siamo fatti quando stiamo lavorando» suggerì. «Non ho tirato molto, non mi ricordo quanto, e poi mi aiuta a essere più vigile, non ti preoccupare.» I due svoltarono un angolo immettendosi nella strada principale dell’alveare, una lingua di cemento che attraversava interamente il quartiere sulla quale si affacciavano mille “vene” che si diramavano in piccole viuzze e vicoli angusti. Angelo si fermò davanti a una vetrina illuminata da un luce d’emergenza giallognola, riusciva a malapena a vedere la sua immagine riflessa nel vetro protetto da una pesante saracinesca arrugginita, voleva constatare che la piccola emorragia derivata dal tiro di cocaina fosse in estinzione. Buttò il capo verso dietro e le labbra verso il basso per individuare bene il sangue. «Tutto bene, no? Hai visto? Bello come sempre.»

Rocco scosse la testa accendendosi una sigaretta. «Che facciamo torniamo, qui mi sembra tutto tranquillo. Non vorrei che il Casanova avesse bisogno di noi.» Rocco non fece in tempo a finire la frase che l’eco del suono di uno sparo sbucò da una delle vie che si affacciavano nella strada principale. Angelo poggiò d’istinto la mano sulla pistola. «Che cazzo è stato?» esclamò guardando Rocco. «Che cazzo deve essere stato? Hanno ammazzato qualcuno, qui ammazzano sempre qualcuno» rispose l’amico. «L’altro giorno stavo da Ray Carrieri, il barbiere, e mi stava dicendo che i Brassi erano stati ingaggiati da una nuova famiglia straniera per fare un po’ di pulizia nel quartiere e muovere il racket contro gli Maranzano.» «Angelo ma che cosa me ne frega? Abbiamo avuto ordini diversi? No, per me possono pure ammazzare metà quartiere. Senti a me torniamo indietro, che è quasi mezzanotte.» Rocco non era particolarmente avvezzo a infrangere gli ordini dei superiori. Nella gerarchia mafiosa degli Maranzano tutto aveva un senso tranne “i soldati”. Loro potevano morire senza interesse alcuno, ma con la promessa che se avessero fatto bene il loro lavoro avrebbero ricevuto posti migliori. Rocco ci credeva, Angelo meno, infatti scotendo il capo si avvicinò al muso del compagno strattonandolo per la manica. «Lo sai benissimo che non siamo niente, facciamo questo lavoro perché o lo fai o sei un nessuno che può morire, quando non avranno più bisogno di noi ci butteranno come hanno fatto a quella coppia, come si chiamavano, quei messicani, che… come cazzo si chiamavano?» Il sistema Maranzano era molto simile alle metodologie poliziesche. Faceva lavorare i suo scagnozzi a coppie, dava loro una macchina, armi, telefoni, e li pagava settimanalmente. Ogni coppia si divideva dei compiti che venivano dati loro ogni mattina alla salumeria. Semplice, efficace e senza intoppi. «Chi? I Sanchez? Ma quelli erano due fetusi, quei due non erano manco italiani, si sono fatti sparare in bocca da due puttane, li hanno trovati nudi in una stanza di motel con ancora il profilattico vestito» rispose Rocco ridendo e sbuffando fumo.

«Io vado a vedere, se prendiamo i Brassi, Don Maranzano ci ricompenserà.» Angelo estrasse la pistola, una Desert Eagle argentata, e si fiondò nel vicolo. Rocco gettò la sigaretta a terra e, dopo averla ben calpestata, estrasse anche lui la pistola, identica a quella dell’amico, e lo seguì. «Angelo, Angelo, ma che ti fa credere che sono proprio i Brassi? Potrebbe essere chiunque.» «Chi se ne frega, se è chiunque lo ammazziamo per divertimento.» Dopo pochi metri arrivarono allo sbocco di uno spiazzale malamente illuminato, fermarono la corsa e si sporsero leggermente spaventati da un vociare udito. «Ti ho detto che erano i Brassi» disse sottovoce Angelo.

Phil Brassi se ne stava fermo pistola alla mano vicino al cadavere di un nero. Probabilmente appena ucciso. Shaky Brassi invece era poggiato mani in avanti ad una Lincoln rossa, un colore , vivo e sgargiante, si vedeva che la macchina era in buono stato, nonostante fosse ben datata. Borbottava a strappi parole incomprensibili, agitato, forse preoccupato per l’omicidio appena commesso. «Che cazzo sta facendo il fratello magro?» sussurrò Rocco. «Chi Phil?» rispose Angelo indicando con la testa Phil Brassi. Rocco annuì. Phil Brassi stava pregando. Aveva tirato fuori dalla tasca della giacca un rosario di legno e, ad assassinio appena commesso, cercava già di redimere il suo peccato. Recitava il Padre Nostro, occhi semichiusi e capo chino. Dopo qualche secondo si inginocchiò prono sulla vittima. Aveva la testa spappolata dal proiettile, alcuni pezzi di cervello fuoriuscivano dal buco come un budino di lamponi e pere. Phil intinse il pollice nel sangue e con molta lentezza gli fece una piccola croce sulle labbra, infine con indice e medio gli chiuse le palpebre aperte e gonfie di sangue. Rocco e Angelo rimasero ipnotizzati da quella scena, dal mistero dei fratelli Brassi, due “famosi” mediocri, mafiosi e scampati a diverse sparatorie a campo

aperto. Avevano una brutta reputazione, eppure erano sempre vivi e pieni di lavoro. Forse era la fede il loro segreto? I due scagnozzi di Maranzano furono talmente ammaliati da non notare che Shaky Brassi si era accorto di loro e stava furtivamente andandogli incontro, schiena al muro della palazzina da cui sbucava il vicolo. Non ò molto tempo dalla fine della preghiera di Phil a quando Angelo e Rocco si ritrovarono faccia a faccia contro il cofano della Lincoln rossa, immobilizzati dalle robuste mani di Shaky. «Allora vediamo un pochino, come prima cosa ora dite: chi cazzo siete?» chiese il fratello Brassi stringendo ancora più forte la morsa sui polsi dei due malcapitati che, prima di rispondere, urlarono di sofferenza. «Siamo due soldati di Maranzano…» ansimò Angelo ruotando mezza testa verso Shaky con un ghigno di insofferenza che disegnava il suo viso, mentre il fratello Brassi li teneva fermi come si fa con due maiali prima di sgozzarli. In realtà aveva bloccato loro solo un polso a testa, la stretta era talmente possente da provocare un dolore acuto, a Rocco e Angelo sembrava che i polsi potessero essere frantumati in qualsiasi momento, nel tempo di una lacrima di bambino. Per cui non si dibattevano per altro motivo che non fosse la pena. «Phil! Ehi Phil vieni a sentire questi due, state fermi porci!» urlò Shaky. La confusione e zuffa non avevano scalfito la concentrazione di Phil che era ancora prono sul cadavere. «Phil! Smettila di pregare, è morto!» pressò Shaky. Il fratello sì alzò lentamente facendosi il segno della croce, ripose la pistola nella fondina e si incamminò verso la macchina. «Non volevamo dare fastidio…» esplose Rocco. «Zitto!» ammonì Shaky. «Abbiamo sentito uno sparo e siamo corsi, nulla di più…» «Ti ho detto zitto! Cazzo ti sparo sulle palle se non stai zitto.»

Phil arrivò a o lento, raccolse da terra il cappello che indossava il fratello prima della colluttazione e si mise dall’altra parte del cofano, proprio di fronte al fratello Shaky, in modo che Rocco e Angelo alzando la testa potessero vederlo in faccia. «Maranzano…» sussurrò Phil accendendosi una sigaretta «Don Carlo Maranzano, lavorate per lui quindi?» continuò. «Noi…» balbettò Angelo «Non parlate, muovete la testa, sì o no» fu subito interrotto da Phil che avvicinò il suo capo ai loro, piegandosi leggermente in avanti e sbuffando del fumo sullo loro facce. I due annuirono socchiudendo gli occhi accecati dal fumo. «E volevate ammazzarci?» No «Io penso di sì, le voci girano velocemente nell’Alveare, e sicuramente Don Maranzano sa da chi siamo stati ingaggiati, e cosa dobbiamo fare. Sicuramente ci avrà mandato contro voi due perché ci reputa una minaccia di poco conto.» Rocco e Angelo continuavano a scuotere il capo in segno di negazione, sempre più velocemente, mentre Shaky sudava e rideva… «Ora io vi ammazzo, vi sparo dritto in mezzo agli occhi e vi lascio a marcire insieme a quel negro!» il tono della voce di Phil si drizzò come una lava pronta a trafiggere i due malcapitati. Tremavano terrorizzati. «Ora vi racconto una storia. Voi ci conoscete no? Sapete chi siamo, no?» Sì Sì. Le bocche impastate di Rocco e Angelo non avrebbero proferito parola anche se non fosse stato loro ordinato. «Pensate che siamo due italoamericani che un giorno si sono alzati e pensando di non saper fare nulla, hanno deciso di ammazzare gente. Pensate anche che fra me e mio fratello quello “pazzo” è Shaky. Se provate a scappare giuro che vi sparo nel culo così e vi spappolo la prostata, vi riduco molluschi costretti e

defecare in una bustina per tutta la vita. Avete capito?» Sì Sì. Phil fece un cenno al fratello che allentò la presa. I due scattarono in piedi tenendosi entrambi il polso incatenato fino al quel momento nell’oppressione di Shaky. Era già rosso e livido. «Vedete a tredici anni mia madre, nostra madre, pensava che io fossi matto, quei matti che si disprezzano e si fanno rinchiudere nei manicomi, solo perché non adoravo le regole. Volete una sigaretta?» Phil allungò il pacchetto di sigarette aperto verso Rocco e Angelo, che tremanti ne raccolsero una a testa. «Fumate, fumate… ma io non ero matto, vi sembro matto?» No No. «Sono stato rinchiuso per tre anni al manicomio specialistico del dottor Heitinga, mi hanno fatto di tutto, elettroshock, iniezioni, stupri, di tutto… ma io non ero matto.» Gli occhi di Phil erano immutabili, chiari, fissi su i due malcapitati, le palpebre non sbattevano mai. Occhi che avrebbero ucciso con il solo sguardo. Sulla guancia destra fino all’orecchio campeggiava una cicatrice da taglio, probabilmente molto vecchia. Rocco e Angelo non poterono che fissarla per qualche secondo, giusto il tempo di farlo notare a Phil. «Vi piace la mia cicatrice? Me la sono fatta da solo. Proprio a sedici anni, poco prima di evadere dal quel manicomio. Una notte non riuscivo a dormire, mi avevano appena stuprato, un inserviente del cazzo, un fottuto maniaco sessuale. Ero riuscito a rubare una forchetta a mensa, la affilai contro la struttura del letto per qualche ora e poi me la piantai in faccia. Era l’unico modo per sovrastare il dolore che avevo al culo. Urlai talmente forte da far accorrere tre infermieri. Li ammazzai tutti e tre con la forchetta, gli strappai gli occhi a morsi. Scappai, senza fermarmi più, dovevo andare via da quel posto, scesi al piano terra, nella sala medica presi bisturi e siringhe. Prima di andarmene, lo cercai, l’inserviente che mi stuprava da tre anni. Era in bagno, lo stava pulendo, un cazzo di lava cessi. Non si accorse di me, gli tagliai le palle con il bisturi e le gettai in uno dei cessi. Non lo ammazzai, gli dissi solo che lo avrei perseguitato negli anni, tagliandogli pezzo pezzo tutto il corpo. È stato così. Nei dieci anni successivi gli ho fatto visita, un anno le dita, un anno un occhio, il naso, i capezzoli, poi sono ato alle braccia e alle gambe…»

Il racconto di Phil stava terrorizzando Rocco e Angelo, non riuscivano a fumare, tremolanti e vuoti. «Non vi ammazzerò, no, non mi avete fatto niente, né siamo stati pagati per uccidervi, abbiamo rispetto delle vite, non siamo come il vostro capo, voglio farvi una proposta. Ditemi i vostri nomi e cognomi. Prima tu» indicò Angelo. «Angelo Rizzo…» poi indicò Rocco. «Rocco ato…» «Italiani?» Sì Sì. «Venite con noi. Qui c’è in ballo una grossa rivoluzione, sono arrivati questi fascisti, nazisti, quello che è, hanno bisogno di gente sul territorio, hanno i soldi e non hanno scrupoli, che ne dite?» «Don Maranzano…Don Maranzano, ci farebbe ammazzare subito» borbottò Angelo. «Maranzano, Maranzano, Maranzano è il ato, è un grosso ciccione pieno di salame, non si muove più da quella cazzo di bottega. Prima era il meglio, il più grande, ma ora non sa più quello che vuole, non va oltre il quartiere, non vuole eccedere, si affida a qualche ragazzo, venite con noi e fra poco la salumeria la controlleremo noi.» Rocco e Angelo si guardarono, furono colpiti alle spalle da due schiaffoni tirati da Shaky. «Dai, brutti stronzi non ci fate perdere altro tempo, che cazzo avete da fare?» irruppe nella discussione il fratello più piccolo. «Fino a ora siamo rimasti sempre in disparte, tanto da far credere alla gente che fossimo due scagnozzi inutili, due sicari di bassa lega, aspettavamo solo il momento giusto, è meglio che la gente pensi che sei un cretino e non morire per dimostrare che non lo sei. Allora andiamo?» Phil tolse lo sguardo da Rocco e Angelo che si sentirono sollevati, come se fosse stato tolto loro un macigno dalle spalle, e salì in macchina, anche Shaky lo seguì, tutti e due montando sul sedile

posteriore delle Lincoln. «Rizzo! Guida tu, le chiavi sono vicino.» Rocco e Angelo si guardarono in faccia, si strinsero nelle spalle come per dire: perché no? E salirono in macchina. La Lincoln rossa sparì dietro il vicolo in pochi secondi.