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Filippo Lischi

Quell'ultimo mese di vacanze estive...

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Indice dei contenuti

Quell'Ultimo Mese di Vacanze Estive Prologo 1: -Seduti sul moletto davanti al mare, il sole estivo è una cosa bellissima2: -Un pomeriggio al mare è l’ideale per dimenticarsi qualsiasi grattacapo3: -Guida con prudenza! Non spingere sempre al massimo4: -Un Ferragosto tra secchiate d’acqua5: -Non essere ingessato, facciamoci un salto in pista6: -Sotto questo sole…7: -Una promessa che manterrò per sempre8: -I pomeriggi dallo Zio non sono sempre rilassanti9: -Disaster date: un appuntamento troppo affollato10: -Happy Birthday11: -Prepara la torcia! Una notte a caccia di sette e fantasmi12: -Il rombante ritorno dello scarabeo denominato “ONI”13: -Midnight summer party: Una notte fin troppo calda14: -Il prossimo Sole che sorgeEpilogo

Quell'Ultimo Mese di Vacanze Estive

Quell’ultimo mese di vacanze estive…

Introduzione dell’autore

Eravamo ormai alla fine del 2007 quando, spinto dai tanti ricordi ed esperienze fatte nell’estate di quell’anno, dove avevo compiuto i miei sedici anni, avevo iniziato a scrivere un libro che racchiudesse i momenti più belli e importanti di quei tre mesi. Quando posai per la prima volta le dita sulla tastiera spinto da quella valanga di ricordi, il clima estivo non c’era più ed aveva lasciato spazio ad un freddo Dicembre dove nevicò per tutta l’Italia. Lavorai per quasi due anni sul PC scrivendo quando di questa quando di quella giornata, cercando di portare alla mente quanti più particolari possibili; ma man mano che il tempo ava, il tutto si rivelava sempre più difficile. Innanzitutto và detto, che in quell’estate il numero di persone che componeva il nostro gruppo, variava di giornata in giornata dai sedici fino alla ventina di membri; che con alcuni avo il tempo solamente la sera, altri solo nella giornata; ed altri ancora solamente nel fine settimana. Ognuno di loro poi, aveva una sua personalità, ed ognuno di loro per me, era speciale a modo suo. Sviluppare però quasi venti persone in un libro senza farli voler sembrare solamente nomi buttati lì a caso, che facevano solo occasionalmente qualche azione sporadica; mi risultava estremamente difficile, e per farla breve: non volevo dare più importanza ad alcuni rispetto ad altri. In aggiunta di tutto ciò alla fine di quella bella estate del 2007, quasi tutti si staccarono dal grande gruppo che si era formato, e sebbene con alcuni abbia mantenuto rapporti di amicizia e frequenti tutt’ora, con altri nel are del tempo mi limitai, non senza rammarico, solo a banali saluti. Proprio per questo motivo più ava il tempo, più era difficile immaginarsi come si sarebbero comportati in determinate situazioni gli uni, o addirittura, ricordasi come avevano reagito o si erano comportati in determinate giornate gli altri, rischiando

quindi di sviare dal personaggio originale. Và detto anche che quando iniziai a scrivere, ero un sedicenne pieno di qualsivoglia distrazione, e sebbene avessi tempo in abbondanza tutti i giorni, non mi dedicavo propriamente alla scrittura, tra le mie tante attività. Arrivò poi un infausto giorno di Ottobre del 2009, dove scritte ormai più di settanta pagine di computer, il mio PC cancello chissà per quale virus o altro motivo, tutti i dati che aveva dentro, compreso il mio romanzo. Avevo commesso l’errore madornale di non salvare su nessun altro dispositivo tutto lo scritto fatto fino a quel momento. Vi dirò la verità: avevo iniziato la mia quarta liceo da meno di un mese, avevo fatto diciotto anni da meno di due, e gli allenamenti per le competizioni sportive, ritenuti sempre più importanti degli studi, mi portavano via l’ottanta percento del tempo che avevo libero. Quando perciò vidi che il lavoro di scrittura che avevo fatto negli ultimi due anni era sparito del tutto in un secondo, la mia reazione fu di mandare tutto a quel paese e lasciare perdere quel progetto.

L’idea mi balenò nuovamente nel Novembre del 2011. Presa la maturità, compiuti i vent’anni, ed iniziato quel mio unico anno di università alla facoltà di filosofia, mi sentivo come perso. Credo che sia una cosa che capita a chiunque cambi per la prima volta la cifra davanti nel numero della sua età, la scuola era la tua dimensione, quando finisce sei contento, ma ti senti come spaesato, poi ad un tratto ti guardi e fai “Cavolo ho vent’anni, e adesso?”. Per superare quella crisi temporanea, mi rifugiai dunque nei vecchi ricordi, dove tutto era più chiaro e semplice. Fu lì che mi tornò la voglia di iniziare nuovamente a scrivere il mio vecchio romanzo, ma i problemi erano ancora di più della volta precedente. Prima di tutto: era ato ancora più tempo, ed i ricordi erano sempre più affievoliti; poi come ho già detto, a parte quattro o cinque persone avevo smesso di vedere o frequentare tutti gli altri. Avevo infatti un gruppo parecchio diverso, con persone conosciute quando cambiai scuola o attraverso amici in comune. Avevo bisogno dunque di punti saldi per iniziare a scrivere, di idee precise, e dopo qualche settimana tutto ciò prese forma nella mia mente. Presi quindi tra le persone che continuavo a frequentare quelle che avevo conosciuto proprio nell’estate 2007, o in quella dopo, quelli insomma di cui potevo osservare meglio le reazioni anche nel presente, per aiutare i miei ricordi da diciassettenne; ed ecco: un gruppetto di otto persone abbastanza vario, che mi soddisfaceva pienamente. A vent’anni risulta difficile parlare di quando ne hai quindici o sedici, soprattutto perché ragioni in maniera leggermente più matura. Non che mi reputi un tipo maturo, chiariamo. Decisi poi di farlo durare non per tutta

un’estate, ma per quegli ultimi quaranta giorni che precedono il rientro nelle scuole. Gli avvenimenti raccontati in questo libro dunque, sebbene considerando la mia età dovrebbero essere ambientati a fine dell’estate 2008; sono presi anche dall’estate precedente e da quella successiva, ed anche da fatti invece puramente inventati, per dare un aspetto ancora più romanzato alla storia. Facendo ciò risolsi anche la questione dei nomi dei personaggi. Inizialmente infatti, avevo pensato di cambiarli tutti e di raccontare i fatti in terza persona; ma pian piano che il romanzo prendeva forma mi accorsi che sebbene avessi preso spunto da quello scritto andato perduto, i protagonisti si trovavano a vivere situazioni in una realtà che a volte neanche io avevo conosciuto. La maggior parte dei personaggi presenti o citati nel libro, a parte gli otto principali, è stata tutta inventata, ed il nome della città dove si svolgono i fatti, non viene mai citato. Anche il mio stesso personaggio, a cui ho dato il mio nome, il mio aspetto, nonché il mio carattere; resta pur sempre un diciassettenne, ed agisce come tale. Non avrei mai voluto che i miei pensieri da vent’enne, lo influenzassero, perché avrei fatto percepire un’età di cui non volevo parlare. Ecco che decisi di mantenere i nomi originali; perché se pur si comportano come ci comportavamo noi a quell’età, vivono questi quaranta giorni in un mondo creato assemblando più anni, ed incontrano persone che noi, non abbiamo mai incontrato. In definitiva ogni personaggio cammina da solo, con le sue gambe.

Non mi aspetto che questo libro rimanga nella memoria di tutti quelli che lo leggeranno, ma mi piacerebbe che nello scorrere delle pagine, chi lo sfoglia sentisse ancora una volta quelle emozioni che provava da adolescente, e ritrovasse per qualche momento la gioia di fare le cose più semplici come accadeva a quell’età della giovinezza. Perché il tempo ato con gli amici, i litigi, i primi amori, quell’ansia e quella felicità sono ricordi che nessuno ci porterà mai via, e che ci strapperanno un sorriso ogni volta che ci ripenseremo, anche a distanza di anni. E’ con quello spirito che con voi, adesso, voglio condividere parte, di quei miei ricordi.

Filippo Lischi 14 Aprile 2013

Prologo

Prologo

“Nei decenni finali del IX° secolo, le testimonianze scritte della cultura medievale hanno un forte calo, questo è dovuto al fatto che la popolazione aveva radicata in mente l’idea che nell’anno 1000 D.C. il mondo andasse incontro alla sua fine”.

Erano ormai quindici minuti che stava rileggendo il aggio di poche righe sul suo libro di storia, tenendo stretta tra i denti la sua penna blu che usava come un evidenziatore, ed ancora una volta con aria stufa sbuffò e si allontanò dal libro. Mani incrociate dietro la testa per sorreggersela, sguardo dritto sul soffitto bianco di camera sua, e piedi uno sopra l’altro sulla scrivania proprio sul libro di storia; si dondolava incessantemente sulla sedia rischiando di cadere per terra. Inarcando le sopracciglia staccò le mani da dietro la testa, con una di queste si asciugò le gocce di sudore che gli cadevano dalla fronte, poi sempre con la stessa si grattò la testa guardando un punto vuoto. I sui capelli tirati tutti completamente all’insù da chili di gelatina, erano tinti di biondo nella parte più alta dell’acconciatura, nonostante il suo colore naturale fosse già di un castano molto chiaro, ed erano messi in modo e maniera da far sembrare quella che lui chiamava cresta, più un ciuffo a banana in stile anni 80. I suoi occhi invece erano di un blu cobalto, e contrastavano perfettamente con l’abbronzatura tipicamente estiva, di un Sole iniziato a prendere già degli ultimi giorni di Aprile. Si rimise sul libro di storia, e di nuovo rilesse le solite righe del medesimo capitolo. < > Sbuffò di nuovo <<Ma guarda se ad Agosto in piena estate, con questo caldo, devo studiare una roba così noiosa>>. Dalla cucina della casa veni una voce dolce, ma estremamente autoritaria < > era la madre <<Se

non studi nemmeno stamani allora puoi scordarti di andare al mare oggi>>. Il ragazzo, Filippo, puntò il gomito sulla scrivania e appoggiò la testa sulla mano, poi, guardò verso la porta-finestra che dava sul terrazzo di camera sua: era una splendida e soleggiata mattinata estiva, con un cielo limpidissimo, ed alcune candide nuvole bianche qua e là che risaltavano ancora di più l’azzurro spazio dove si muovevano. La sua camera, composta da: un letto, un armadio, una scrivania, ed un PC; era addobbata con poster di videogiochi, un paio di foto ingrandite della sua infanzia, e il diploma di cintura arancione di Karate. I muri erano bianchi e i colori sia del letto che della mobilia erano fatti in modo che variassero da diverse tonalità di blu ad un arancione molto . C’erano mattonelle bianche in marmo e una porta in legno di cedro, sulle due mensole a cubo, anch’esse una arancione ed una blu, poste sulla parete del letto ad un’altezza di un metro e settanta circa, v’erano messi in ordine tre diverse serie di fumetti, e sulle due sopra la scrivania, quelle sulla parete opposta al letto, le foto incorniciate di una gita in seconda media: qualche medaglia vinta da bambino; souvenir presi in diversi viaggi; e una katana da esposizione comprata in un negozio di un parco giochi. Erano ormai trascorsi nove anni da quando, dopo la separazione dei genitori, viveva con la madre nella casa di sua nonna in un bilocale. Un piccolo appartamento al secondo piano in un palazzo appena fuori dal centro città; una zona piuttosto trafficata per via dei due supermercati vicini. Questo era composto principalmente da un corridoio con tre porte: due camere e il bagno; e in fondo una cucina e un salotto. Aveva due terrazzi: uno in camera sua, un po’ più grande, ed uno più piccolo accessibile dal salotto. Adesso mancava meno di un mese al suo diciassettesimo compleanno, e come tutti gli adolescenti anche Filippo aveva un carattere piuttosto irrequieto: era testardo, spericolato ed impulsivo, un po’ svogliato, pensava sopratutto a divertirsi, ed aveva oltre ad essere un tipo plateale anche un alto senso di autocompiacimento. Ciononostante aveva anche un cuore d’oro, era un ottimista di natura: spensierato, ingenuo come un bambino, e con un sorriso sempre stampato sulla faccia: era il classico tipo che vedeva il bicchiere sempre mezzo pieno qualsiasi cosa accadesse e sempre pronto ad aiutare o far sorridere gli amici. Sebbene sembrasse sempre sicuro di se, ed i sui modi di fare fossero a volte un po’ rozzi e spacconi, era un atteggiamento spesso simulato per celare una nascosta insicurezza. Provando intanto a rileggere ancora una volta le solite righe, già sapendo che non avrebbe memorizzato nulla, gli sembrò di sentire un rumore di motori avvicinarsi. D’istinto lasciò perdere il libro di storia, estrasse dalla tasca del suo pigiama il suo cellulare e con un dito premette il tasto centrale per vedere l’orario sul display <<Sono le undici e quaranta>> disse < > Il rumore di motori si avvicinava mentre di scatto girò la sedia via dalla scrivania e

si dette uno slancio. Ancora si dondolava su due zampe per cui quando si alzò, la sedia cascò di botto. < > domandò la voce della madre sempre dalla cucina, ma lui invece di rispondere spalancò il vetro della porta-finestra, si sporse dalla ringhiera del terrazzo, e iniziò a guardare dritto davanti a se verso il fondo della strada. I rumori di motore diventavano sempre più forti, se ne distinguevano bene diversi, fino a quando, quattro figure che guidavano ognuna un motorino cilindrata cinquanta, apparvero dal fondo della strada, e dai rumori che facevano era chiaro che ognuno dei loro motori fosse modificato in qualche maniera. Il quartetto era composto da due scarabei, uno nero e uno amaranto,un supermotard, una moto da sterrato ma di piccola cilindrata, e un Metal-X, dove nella mascherina frontale c’era stato scritto a pennarello indelebile nero la parola “Full”, per far risultare la scritta completa “Full Metal-X”. I quattro mezzi Si fermarono proprio sotto il palazzo di Filippo, da dove lui, dalla ringhiera del suo secondo piano, li guardava con un espressione da un lato soddisfatta e dall’altro incuriosita < > domandò uno < > rispose all’istante dimenticandosi in un secondo dello studio <<Ma non potevate chiamarmi per avvertirmi?>> disse con un fare quasi rassegnato, già conosceva i tipi < > disse uno < > Filippo si girò verso l’ultimo della fila di motorini <<Si a Gabri gli ho detto che ti avrei chiamato io… Ma non ho soldi nel telefono!>> disse il ragazzo strizzando gli occhi e ridendo < > aggiunse sempre ridendo. Filippo rientrò veloce in camera, si infilo la prima maglia a mezze maniche che aveva nell’armadio, un paio di jeans corti rimboccati fino alle ginocchia già usati probabilmente la sera prima, cintura, un paio di scarpe bianche appoggiate in un angolo della camera, e uscì dalla stanza dirigendosi in cucina. Dal mobile sopra il forno a micro-onde prese le chiavi del motorino <<Mamma io esco, vado a fare un giro con i bimbi>>. La madre, una donna bionda, dagli occhi di un azzurro più scuro rispetto al figlio, e che dimostrava ben meno della sua effettiva età di quarantasette anni, staccò lo sguardo dalle pentole sui fornelli < > il ragazzo la guardò e annui con la testa facendo un sorriso che lasciava intuire tutto l’esatto opposto, poi aprì la porta d’ingresso nel corridoio e si precipitò giù per le scale del condominio. Fuori dal palazzo salutò con una stretta di mano tutti gli amici, montò sul suo motorino, uno scarabeo nero e bianco con due scritte ai lati, e tutti insieme accesero i motori e si diressero verso il lungo mare.

Quella era la mattina di un lungo 3 d’Agosto.

1: -Seduti sul moletto davanti al mare, il sole estivo è una cosa bellissima-

Stare in quella parte costiera dell’Italia che dava sul mar Tirreno, aveva i suoi vantaggi, sebbene l’inverno fosse un periodo dell’anno che costringeva tutti ad indossare pesanti giacchetti e cappotti, ed andare in città il fine settimana per ripararsi dal freddo e dal vento, d’estate non c’era bisogno di fare lunghe file chilometriche in autostrada per raggiungere il mare, bastava avere un qualsiasi mezzo a due ruote per muoversi bene, dato che il centro città e lungo mare erano poco distanti tra loro. Se si utilizzava un motorino ad esempio ci si poteva impiegare al massimo dai cinque ai dieci minuti a seconda del traffico e dei semafori, un vantaggio estremamente invidiato da chi viveva magari nella stessa regione, ma nell’entroterra. Nell’estate poi tutti gli alberi erano più verdi che mai, e quelli che erano posti al limite della strada sul lungo mare, palme e pitosfori, creavano un bellissimo panorama per le persone che camminavano sulla eggiata di fianco al mare. C’erano molte baracchine sparse lungo la costa, un viale di circa sette chilometri dove si potevano trovare vari moli, stabilimenti balneari, un acquario, un porto, ed un accademia navale. Negli stabilimenti balneari in particolare si concentrava la vita estiva pomeridiana degli adolescenti, tutti dai tredici ai diciotto anni facevano l’abbonamento stagionale chi a questo chi all’altro bagno, facendo quasi a gara a chi ci ava più tempo. Finito il lungo viale comunque, si poteva andare ulteriormente avanti ed addentrarsi nell’area delle spiagge libere sotto le scogliere, che vantavano un mare limpidissimo nel quale si poteva vedere tutto il fondale, avente buona fauna e flora marina. Se si era provvisti una semplice maschera da sub, e magari anche un boccaglio, si poteva are ore a nuotare ed ammirarlo. Lì l’unico problema che si poteva incontrare era quello del posto auto, perché dato che queste spiagge libere erano ad una decina di metri al di sotto della strada, non c’era mai molto parcheggio, neanche nei giorni feriali. Erano le undici e quarantacinque del mattino mentre cinque motorini viaggiavano sfilando a formazione di pentagono per le strade ad una velocità di circa ottantacinque chilometri orari; il rumore congiunto di tutti a sentirlo era molto fastidioso, ma nel loro gruppo, era stato fatto apposta per farsi sentire da tutti. Alla testa c’era

Filippo, esibizionista ed egocentrico, non faceva mancare occasione per mostrare come il suo scarabeo potesse andare forte: nero con la maschera bianca e dentro una corona disegnata a pennarello indelebile e le lettere O-N-I all’interno; e sui lati appena sotto la sella con due scritte adesive, una per lato: sul destro la scritta “Kamikaze” probabilmente dovuto al modo in cui guidava, e sul sinistro “Demone”, che a detta sua era la traduzione giapponese di ONI, e che quindi dava il nome al suo motorino. Spostato un po’ più sulla destra e leggermente dietro a Filippo, c’era Luca col suo supermotard. A dirla tutta la sua moto sarebbe andata ben oltre i novanta all’ora dello scarabeo modificato di Filippo, nonostante avesse la medesima cilindrata, ma il carattere del ragazzo molto calmo e pacato, a cui importava poco delle competizioni, non lo spingeva a superarlo se non in rare occasioni. Luca aveva un taglio di capelli a caschetto con un colore castano biondo e due occhi di colore verde scuro, era uno dei due più alti nel gruppo, aveva compiuto diciassette anni a metà Febbraio, ed era il classico bonaccione che amava la tranquillità e le giornate semplici, senza mai strafare, e senza mai preoccuparsi troppo di quello che gli succedeva attorno; fisico slanciato e molto alto. Sulla sinistra di Luca c’era Thomas, anche lui diciassette anni, ma fatti da poco, occhi marroni, capelli rasati molto corti e giusto un po’ a spazzola, di colore castano scuro. Lui guidava uno scarabeo nero che ne aveva viste tante, aveva un carattere molto aperto, carismatico e gioviale, e non si risparmiava mai nessuna battuta, il suo soprannome oltre che, ovviamente Tommi, era: “Il Delinguente”, pronunciato proprio con la “G” non con la “Q”, come sarebbe in italiano corretto. Questo gli era stato affibbiato dalla nonna di Filippo durante una cena, senza nessun motivo valido. Conosceva bene Luca perché praticavano canottaggio insieme ormai da un paio di anni, e proprio perché faceva quello sport, nonostante non fosse altissimo, fisicamente era ben piazzato. I due dietro, erano Gabriele e Christian: il primo aveva compiuto diciotto anni il giorno prima, e guidava uno scarabeo di colore amaranto. Anche lui occhi marroni e taglio corto di capelli castani. A causa della sua scarsa prestanza fisica, meno di un metro e settanta per cinquanta chilogrammi circa, veniva anche chiamato “Gabrielino”. Gabriele era estremamente perspicace, anche se poche volte era preso sul serio, amava prendere in giro e fare scherzi a tutti, e fuggiva spesso dai ragazzi ai quali li faceva, continuando ininterrottamente a ridere e dimostrando una notevole velocità, probabilmente dovuta agli anni di atletica dove si era esercitato nella corsa. L’unico punto debole della sua inattaccabile parlantina, era la “R” moscia, ma era difficile per le persone prenderlo in giro, dato che la maggior parte delle volte succedeva il contrario. Christian invece, al quale mancavano tre mesi a compiere diciannove anni, era dell’Ecuador: colore di pelle olivastro, occhi marroni e capelli corvini

un po’ a caschetto sempre nascosti, anche quando andava al mare, da un cappellino scuro. Per descrivere un tipo del genere basterebbe dire solo la parola sorriso, rideva sempre, di tutto, a volte anche senza motivo o in situazioni pericolose e preoccupanti; rideva della scritta “Full Metal-X” sul suo motorino e rideva del fatto che non aveva mai soldi nel telefono. Le cose che amava fare di più erano i tornei di videogiochi a casa di Luca o di Filippo, ma se gli veniva chiesto una sua preferenza sul da farsi nella giornata era sempre disposto a tutto, qualsiasi idea propostagli era sempre accolta da un sorridente “VAI!”. Correndo lungo la strada del tragitto, i ragazzi videro che sopra le strisce pedonali stava attraversando un uomo anziano, probabilmente sulla settantina. I cinque motorini si misero in due file ognuna a una lato della corsia: tre da una parte e due dall’altra, e arono una fila davanti e una fila alle spalle del signore, che colto alla sprovvista sussultò mentre il vento provocato dal loro aggio lo avvolgeva. Munito di bastone per aiutarlo nella deambulazione, il vecchio urlò prima per lo spavento e poi per brontolare l’atto pericoloso dei ragazzi che avevano rischiato di investirlo, ed inveì verso la nuova gioventù che non ha più rispetto delle persone anziane. andolo invece con una manovra da manuale riuscita solo tramite la buona intesa venutasi a creare tra di loro, anche alla guida, i ragazzi se la ridevano di gusto, < > disse sorridendo Thomas <<Ma l’hai visto bene? Se gli levi dieci anni di vita pover’uomo, è già bell’e pronto per essere imbarato>> rispose Gabriele < > lo corresse Luca < > lo zittì subito il ragazzo mingherlino, Luca non se la prese. Fatti circa sei chilometri sul lungo mare i ragazzi parcheggiarono i motorini sul bordo della carreggiata e si diressero verso uno dei moli della città. Per arrivarci c’era un sentiero corto e stretto di ghiaino in mezzo a dei prati d’erba verde che si diramava in più direzioni, messo apposta tra il mare e la strada per fare eggiate e godere del salmastro. Arrivati al molo si sedettero a cavalcioni sul muretto antecedente agli scogli, uno di fianco all’altro, e rivolti verso il mare scrutarono un po’ l’orizzonte: due navi da trasporto merci aspettavano di entrare nel porto, ed in lontananza si vedeva viaggiare una nave da crociera, il cielo era sgombro ed alcuni gabbiani facevano da sfondo, quando lasciandosi trasportare dalle correnti del vento, quando lanciandosi nell’acqua a catturare qualche pesce. < > disse Luca <<Si e finalmente dopo tre tentativi andrai in seconda superiore, chissà che traguardo eh?>> Disse subito Gabrielino. Luca gli diede una bottarella in testa per farsi intendere subito, <<Parliamo di cose serie. Cosa facciamo stasera?>> Thomas si voltò verso di lui <<Stasera? Pensiamo ad oggi

pomeriggio piuttosto>> <<Si ma oggi tanto sicuramente andiamo alla Cala insieme agli altri. Stasera potremmo...>> si interruppe brevemente per pensare e portò lo sguardo all’insù < > Thomas lo guardò con un espressione ben poco soddisfatta < >. Il sole batteva inesorabile sul muretto grigio che si scaldava e faceva percepire a loro che erano seduti lì, ancora di più l’alta temperatura che quel giorno sfiorava i trenta gradi centigradi, < > fece Gabrielino < > Filippo si levò il lettore Mp3 dalle orecchie, lo teneva sempre, in ogni occasione, < >. Luca diventò rosso in volto e immediatamente balbettò < > tutti, anche sporgendosi, si girarono verso di lui < > <<E’ vero invece! E poi non sono mica il solo che casca, guarda te all’uscita di quel negozio l’altro giorno, stavi facendo un tuffo sugli scalini>> Filippo strinse le labbra < > < > lo riprese l’amico conscio del talento che lui aveva per sviare da conversazioni imbarazzanti. Ad alleviare le pene provocate dal calore talvolta arrivava una leggere brezza, e loro agitando una mano cercavano di deviarsela addosso il più possibile; con l’altra mano invece si paravano costantemente il volto, dato che nessuno di loro si era portato dietro gli occhiali da sole. Tra una chiacchiera e l’altra, il tempo scorreva e si fece tardi, quando i ragazzi guardarono l’ora dal display del telefonino, l’orologio segnava mezzogiorno e quaranta. Decisero così che era venuto il momento di scendere dal muretto e allontanarsi dal molo, per riprendere i motorini e tornare verso casa. Diedero un ultimo sguardo al mare: il Sole si rispecchiava nell’acqua illuminando tutto, qua e là si vedevano delle boe galleggianti che venivano usate dai sub per segnalare la loro posizione alle barche che potevano are, ed il rumore ad interruzioni regolari delle onde che si infrangevano sugli scogli dava sensazione di calma e pace. Quanto alla nave da crociera, era ormai lontana, < > fece Thomas. Il ragazzo ci pensò su, si batté con l’indice su una tempia e poi rispose < > risero un po’ tutti <<Sai credo che il cappellino come risposta era più che scontata>> <<Si Tommi infatti non si capisce perché gliel’hai domandato>> con un salto di slancio scesero dal muretto. Erano sulla via del ritorno e avano da uno degli snodi dei vialetti di

ghiaino in mezzo all’erba, parlando e gesticolando. Quando un ragazzo molto alto, anche più di Luca, si parò davanti al gruppo: aveva la pelle olivastra dei capelli corti corvini un po’ mossi, orecchini su entrambe le orecchie, un piercing al sopracciglio sinistro e uno sopra il labbro superiore portato a stile “medusa”. Se ne stava lì nel mezzo al vialetto con le mani in tasca come se volesse impedirgli di are, ed il suo sguardo molto freddo e con dei profondi occhi marroni scuro, non faceva intendere nulla di buono. I ragazzi dopo essere stati un momento a guardarlo con aria incuriosita, stavano montando lo scalino per are da uno dei prati ed aggirarlo in tutta tranquillità, quando questo, facendo un cenno col capo indicò il gruppetto < > d’istinto Filippo si sentì chiamato in causa e si fece serio; “Orco” era soprannome che gli era stato dato verso la fine dei suoi quindici anni, era dovuto alla sua stazza fisica e ai suoi modi di fare poco ortodossi, ma chi lo chiamava così la maggior parte delle volte l’aveva visto fare a pugni. Non che fosse un tipo rissoso ma se sapeva che qualche suo amico si trovava in situazioni poco piacevoli, non si tirava mai indietro, e delle volte nei vari fine settimana era capitato di dover menar le mani, in fin dei conti, tirando le somme, erano più che altro i classici litigi d’età adolescenziale. < > domandò quindi rispondendo all’occhiata che aveva appena preso. Il ragazzo alto lo guardò con volto compiaciuto ed aria intimidatoria <<Solo uno qualunque che ti conosce bene e sa davvero cosa si nasconde dietro quel tuo viso da bravo ragazzo con la testa tra le nuvole>> sorrise < >. Filippo si gratto dietro la nuca con una mano e tutti sapevano cosa voleva dire quel segno: era il gesto che faceva quando era confuso, o comunque non ci stava capendo niente. Thomas gli si avvicinò < >, < > sbottò <<E perché non me lo dici chiaramente e risolviamo subito la questione? Io non so nemmeno chi sei o cosa ti avrei fatto, perché ce l’hai con me?>> il ragazzo sorrise di nuovo < > avanzò verso il gruppo e tutti si tennero pronti, strinsero i pugni. Arrivato a un metro circa da loro il ragazzo alto, velocissimo, spinse da una parte Thomas e Christian e diede una spallata a Filippo che barcollò di qualche o all’indietro, poi con la sorpresa di tutti oltreò il gruppetto senza fare nulla, si limitò a rimettere una mano in tasca e camminando per uno dei vialetti dando loro le spalle, alzò l’altra in cenno di saluto < >. Poi si allontanò dai ragazzi come se nulla fosse non curandosi delle espressioni perplesse che si era lasciato dietro. Christian si levò il cappellino dalla testa, gesto insolito, e chiese chi potesse essere, ma nessuno gli seppe rispondere, guardavano tutti Filippo incuriositi e in cerca anche di una minima spiegazione, fino a quando Thomas

esordì < > il ragazzo si strinse la testa tra le spalle <<E lo farei anche… solo che non so nemmeno per cosa gliela dovrei chiedere>> rispose sempre grattandosi la testa. Alzando le sopracciglia e facendo delle facce da indiani, tutti si avviarono ai motorini, ma Thomas restò indietro, ripensava alla velocità di quel ragazzo alto e se in futuro avrebbe potuto creare dei problemi, Christian Filippo e Luca erano troppo spensierati, e Gabrielino non ce lo vedeva proprio in mezzo a qualche litigio “Fortuna che stamani eravamo insieme”. Guardò poi Filippo che come se nulla fosse successo esibiva già enormi sorrisi punzecchiando la spalla a Christian e scansandosi quando l’altro provava a mandarlo via, “Eccolo lì che si è già scodato di tutto” pensò, “Si vede proprio che è bis cugino Luca… Fanno a gara a chi capisce meno”. Il suo pensiero fu interrotto proprio dallo stesso Luca, che lo chiamò vedendo che era rimasto fermo indietro come imbambolato < > Thomas si scrollò dalla mente i vari pensieri scuotendo la testa, E aggrottando la fronte rispose < >. Arrivati al posto dove avevano parcheggiato prima, si misero i caschi, girarono le chiavi, e accesero i motori. Salutandosi a vicenda si diedero appuntamento per le due e mezzo del pomeriggio alla spiaggia della Cala; poi si avviarono tutti alle loro case per il pranzo, continuando sempre a dare gas e facendo una grande confusione. Abitando proprio davanti alle baracchine sul lungo mare, Christian fu il primo a tornare a casa, e posato il cappellino sul letto di camera sua chiamò il fratello, Timothy, per fare una breve partita ai videogiochi prima di pranzo. Suo fratello aveva due anni meno di lui ma era più alto e più robusto, e a detta di Christian quando ci faceva a gara su qualcosa si doveva sempre impegnare per fare valere la sua autorità di fratello maggiore. Quel giorno era rimasto d’accordo con Gabriele, che si sarebbe fatto are a prendere in motorino, e quindi aveva parcheggiato il suo “Full metal-X” nel giardinetto che dava sulla cucina di casa sua, dato che abitava al piano terra. Ora per dirla tutta i due ragazzi non erano nemmeno in regola per andare insieme su un solo motorino, perché anche volendo tralasciare il fatto che nessuno dei loro caschi fosse omologato per legge; la targa dei loro scooter li avrebbe obbligati all’utilizzo singolo anche da maggiorenni. Nonostante ciò facevano praticamente ogni giorno a turno per andarsi a prendere. Sua madre lo chiamò, ecuadoregna anche lei, era separata dal marito e viveva con i due figli in Italia da dieci anni, su di lei dato che nessuno l’aveva mai vista, nemmeno i ragazzi che stavano di gruppo con Christian, circolavano diverse leggende: campionessa ecuadoregna di pugilato, per i lividi che il ragazzo aveva addosso quando veniva sorpreso a saltare le lezioni scolastiche. Poteva anche essere sarta specializzata nel ricamo

di cappelli, per tutti quelli che il figlio indossava, consumava, e strappava per l’eccessivo uso; o ancora “entità invisibile” rifacendosi al fatto che sebbene nessuno dei due fratelli lavorasse e quindi avessero per forza di cose bisogno di qualcuno che gli pagasse le spese per vivere, la donna non era mai stata vista, e di lei si era solo sentito parlare. La partita di calcio virtuale contro Timothy, fu interrotta a dieci minuti dal fischio finale per andare a sedersi al tavolino, da precisare che i dieci minuti nel gioco erano circa solo due nella realtà, ed era chiaro ormai chi sarebbe stato il vincitore anche se eventualmente l’avessero ripresa. Il punteggio in alto a destra segnava 4-1 per Christian, e lui ovviamente, rideva. Erano intanto le due del pomeriggio nella casa di Filippo quando lui finì il suo pranzo, molto abbondante, e si alzò dalla sedia per prendere le chiavi ed avviarsi al mare, ma sua madre lo anticipò: prese le chiavi e in tono autoritario disse <<Eh no! Stamani sei andato fuori, oggi studi!>> Filippo stava per replicare ma si accorse che il volto della madre non dava spazio a compromessi. Mentre andava verso camera sua le pareti del corridoio sembravano chiudersi per imprigionarlo, a quasi nessun ragazzo della sua età piaceva studiare, ma lui era un caso un po’ a parte, si ritrovava spesso nel periodo scolastico ad alzarsi la mattina alle sei e mezzo per studiare una mezz’ora anche venti pagine necessarie per sapere gli argomenti di compiti o interrogazioni della mattina stessa. Oppure si ritrovava a fare le rincorse gli ultimi due mesi del secondo quadrimestre, per poter essere ammesso all’anno successivo con qualche debito e non rischiare una seconda bocciatura; dato che aveva già ripetuto la prima superiore, e quell’anno sarebbe dovuto are in quarta, e non in terza. Con aria rassegnata si sedette alla sua scrivania e prese il tanto odiato libro di storia, aprì il cassetto di un mobile dove teneva penne ed evidenziatori, la sua idea era di prendere un evidenziatore blu per segnare le parti più importanti del libro, ma una volta che il suo sguardo cadde su tutto ciò che quel cassetto conteneva, la sua espressione cambiò in breve da affranta a soddisfatta, e fece un largo sorriso. Presa nel lavaggio di piatti e stoviglie, la madre di Filippo faceva scorrere l’acqua nell’acquaio per rigovernare; dalla separazione dal marito erano ati nove anni, lei col figlio era sempre stata molto indulgente e accondiscendente nei limiti possibili, lo brontolava di rado, anche se lui poche volte gli dava modo di farlo, era una donna paziente e brava, fin troppo anche, ma era spesso soggetta a preoccupazioni. “E’ un bravo ragazzo” pensava, “Alcuni dei suoi amici fumano, ma lui no, non è mai tornato ubriaco a casa, solo che…” si lamentava “Non ha mai voglia di studiare… e dovrebbe essere un po’ più prudente, non vede il pericolo”. Si ricordò brevemente dell’anno prima, sempre nel periodo estivo, era uscito da pochi minuti da casa e lei era affacciata alla finestra quando lo vide tornare con il suo motorino caricato per metà sulle spalle, tutto sgraffiato e

praticamente senza più ruota anteriore “Sono cascato mi disse sorridendomi tutto insanguinato in viso e con la maglietta bruciata e strappata, aveva escoriazioni in fronte, sul mento, colava sangue, lui mi sorrideva come se nulla fosse”. Si fermò un attimo rammentando quella scena, era stato un bello spavento vederlo arrivare così conciato senza preavviso “E’ un bravo ragazzo” si ripeté cercando di auto convincersi; “E’ un bravo ragazzo, solo è un po’ svogliato”. Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da un rumore di motore familiare, ed affacciandosi alla finestra scoprì che il suo dubbio era fin troppo fondato, era il rumore dello scarabeo del figlio < > gridò < > lui strizzò gli occhi e sorrise < > disse candidamente < > lui fece spallucce allacciandosi il casco < > diede leggermente gas per scaldare il motore < > la donna si girò verso il mobile sopra il forno e le chiavi erano ancora là, poi tornò a guardare giù dalla finestra < >. Detto questo scese ridendo dal cavalletto, dette ancora una volta gas, questa volta più forte, e partì con le grida della madre in sottofondo che si facevano via via più deboli e distanti, man mano che si allontanava dal palazzo di casa sua. Sebbene fosse partito con un po’ di ritardo, il pomeriggio al mare alla Cala, lo stava aspettando.

2: -Un pomeriggio al mare è l’ideale per dimenticarsi qualsiasi grattacapo-

Situata tra le scogliere, la Cala era una piccola insenatura appena fuori dalla città, e raggiungibile con qualsiasi mezzo. LaCala era formata da falesie attive, ovvero coste rocciose con pareti a picco battute dal mare; struttura comune nel litorale della città.Una volta arrivati al cartello sulla strada all’altezza della spiaggia con scritto proprio “Cala”, bisognava fare una discesa di molti scalini in mezzo alla vegetazione, gli ultimi dei quali scavati nella roccia. Ci si metteva quasi cinque minuti a scendere dal livello della strada a quello del mare, e quindi la salita quando la giornata al mare era conclusa diventava oltremodo impegnativa. Sul retro della spiaggia della Cala, a metà tra la strada per le vetture e la spiaggia c’era una ferrovia, dove i treni che avano ogni tanto costituivano l’unico rumore esterno che si poteva sentire. La spiaggia che c’era, era costituita da piccoli sassi che sostituivano la rena, una copertura di argilliti a Palombini. Il mare che la toccava era il più limpido che si potesse trovare in città; tanto che spesso molti turisti arrivavano da lontano proprio per arci una giornata. Con un posto del genere l’unico e grosso problema era lo spazio, sebbene la Cala non fosse piccola bisognava andarci subito dopo l’ora di pranzo per trovarne un po’, dato che asciugamani, sdrai e ombrelloni portatili, e borse con ghiacciarne, erano sparsi in ogni dove con i rispettivi proprietari. Lì, tra il marasma di persone entente a prendere il sole ed abbronzarsi, nell’ultimo anfratto di spiaggia libero a una decina di metri dall’acqua, e a due metri dal cestino della spazzatura, quel giorno i ragazzi avevano piazzato i loro zaini ed i loro asciugamani. C’erano Gabriele, Christian, Thomas, Luca e poi Diego, Marco e Matteo. Ecco l’altra parte del gruppo, quell’estate erano otto in tutto. C’era: Marco, che era quello un po’ più brusco e burbero. Spesso proprio per questo fatto veniva istigato e preso in giro da tutti, anche lui era molto alto e si rasava il mono ciglio, beveva litri di tè in brik al limone e consumava minimo un pacchetto di sigarette il giorno. Aveva fatto le scuole medie in classe insieme a Luca e Filippo, e aveva gli occhi marroni e i suoi capelli che erano neri con il taglio che ricordava un vagamente Elvis. La consistenza di questi ultimi gli era valso il soprannome di “Pagliuzza”. C’era Matteo, che aveva fatto diciassette

anni a Marzo dello stesso anno ed era chiamato amichevolmente “Zio”. Era un po’ il meccanico del gruppo, nessuno sapeva bene come ma qualsiasi pezzo per motori di bassa cilindrata lui lo riusciva a montare, da luci al neon a carburatori, da mollette da ripresa o allungo a carter e marmitte. Aveva i capelli scuri, neri quasi corvini e gli occhi castano chiari, un po’ di semola sul naso e un carattere aperto con tutti e pungente nelle battute; era stato presentato ai ragazzi l’estate precedente da Filippo, che se lo era trovato in classe dopo aver cambiato scuole superiori. Infine c’era Diego, un ragazzo robusto con occhi e capelli castani, talvolta tirati in su con un po’ di gel, talvolta in un mezzo caschetto. Diego e Filippo erano migliori amici e rivali allo stesso tempo. La prima volta che si erano conosciuti, era stato proprio alla Cala circa due anni prima, quando tutti e due avevano ancora 15 anni, tramite Marco che era un amico in comune. Quel giorno, mentre Filippo era occupato sulla battigia a buttare in acqua per gioco Gabrielino Christian e Marco, tutti insieme contemporaneamente, Diego lo caricò e lo buttò di faccia giù con lo stupore di tutti. L’uno se ne vantava sempre, l’altro replicava di essere stato preso di fianco mentre stava guardando altrove. I due condividevano l’età, nati infatti a soli quaranta giorni di distanza tra loro, la ione per i fumetti, per la cultura giapponese, e per le sfide in generale, a livello caratteriale erano più o meno uguali e contrari. I sette ragazzi erano sdraiati a prendere il sole, con zaini usati come cuscini, mentre le prime gocce di sudore iniziavano ad apparire sulle fronti. Gabriele lanciava dei piccoli sassi sulla testa di Luca, per poi chiudere gli occhi e fare finta di nulla quando lui li sentiva ed iniziava guardarsi attorno. Essendo accanto alla notevole mole di Marco a Gabriele non tornava difficile nascondersi dai sospetti dell’amico, che però iniziava ad intuire la direzione da cui provenivano i fastidiosi oggetti lanciatigli. <<Marco!>> disse ad un certo punto < > fece l’altro senza neanche girarsi o aprire gli occhi, < > Gabrielino trattenne una risata <<Ma io?>> chiese stupito il ragazzo <<Si bene te, la smetti che mi dai noia alla lunga>> Marco prese una sigaretta dallo zaino, la accese ed iniziò a fumare < > disse mettendosi a pancia in su e strusciandosela un po’ mentre Gabriele, mani alla bocca, continuava a soffocare le risate. Intanto Christian era alle prese con un ape che gli ronzava intorno da un paio di minuti. Posatagli sulla pancia gridò e si alzò di scatto spaventato < > gridò in preda allo sgomento. Alla Cala succedeva frequentemente che qualcuno vi ci si fermasse la notte per fare delle spiaggiate, e di giorno ci si poteva trovare ancora legna bruciata per il fuoco di ipotetiche braci o a volte addirittura una griglia e un forchettone lasciti lì dalla sera prima. Proprio un forchettone da brace fu preso da Christian per cercare, inutilmente, di infilzare l’ape ingaggiandosi così una lotta per il posto balneare. L’insetto volò

ronzando per tutti gli asciugamani dei ragazzi, poi più indietro rispetto a loro dove cresceva un po’ di vegetazione, e poi successivamente di nuovo verso di loro. Christian la inseguiva animato da un’esasperata paura che una volta sdraiatosi questa l’avrebbe punto, quando ad un tratto l’ape si posò sull’asciugamano di Thomas. Christian scattò subito con un salto felino ed atterro per metà sull’asciugamano del ragazzo dando un inforcata in mezzo alle gambe di Thomas a poca distanza dall’inguine. L’amico resosi rapidamente conto del rischio che aveva appena corso si agitò < > disse spaventato ed arrabbiato allo stesso tempo < > si giustificò Christian con il forchettone tutto arrugginito e pieno di incrostazioni in una mano. Thomas scosse la testa, gli levò bruscamente il forchettone dalla mano ed iniziò a puntellargli violentemente l’asciugamano a sua volta< > Christian aveva un mezzo sorriso e uno sguardo perplesso <<Ma io di buchi te no ho fatto solo uno…>>. Nella confusione della scena, Diego e Matteo si stavano godendo il Sole beatamente con un leggero venticello che li rinfrescava, la spiaggia della Cala non era la sola spiaggia libera della lunga costa scogliera, ma era quella che loro preferivano per il fatto che c’era un alta concentrazione di ragazze, e nulla gli faceva più piacere di una bella giornata al mare piena di sole e di bikini. Con capelli lunghi, corti, more, bionde sfilavano tutte per la spiaggia o prendevano il sole in posizione che dicevano “guardatemi”, oppure uscivano dall’acqua con il costume bagnato riempiendo di pura gioia gli occhi dei ragazzi che le ammiravano estasiati. In quel momento una figura in maglietta, cappellino bianco e ciabatte scese le scale della Cala con un borsone a tracolla. <<Ecco il “Gela” Matte>> gli disse Diego indicando l’infaticabile gelataio che si portava dietro la gigantesca ghiacciaina contenente gelati vari e bibite fresche per tutte le scogliere < >. Avevano costruito tutto un personaggio su quel gelataio ambulante, quasi fosse un super-eroe. Effettivamente ci voleva coraggio ed una buona preparazione fisica per consegnare gelati scalando scogliere, saltando da un appoggio ad un altro, e percorrendo ogni giorno chilometri di costa portandosi dietro venticinque chili di borsa. Tutte le volte che ci compravano qualcosa inoltre, pur sapendo praticamente a memoria cosa aveva in quello scatolone di ghiaccio, si facevano sempre dire tutto l’elenco dei gelati e delle bevande, perché il giovane pur avendo circa una trentina di anni, aveva una voce estremamente infantile e acuta. Tutti quindi si divertivano a sentirlo parlare per poi fargli il verso poco dopo. Diego tirò fuori il portafoglio dalla zaino < > anche Matteo prese il portafogli < > si alzarono sgranchendosi le scapole < > fece Matteo,

poi si avviarono ridendo verso quell’ “instancabile eroe”. Sebbene sapessero già cosa scegliere, la loro intensione era immancabilmente quella di chiederli cosa si era portato dietro quel giorno, e se le bottigliette d’acqua fossero fresche; era ovvio che non lo sarebbero state: c’erano più di trenta gradi quel giorno; ma così lo avrebbero fatto e sentito parlare di più. Marco nel frattempo aveva spento la sigaretta e aveva provato a chiamare Filippo per sentire se quel giorno sarebbe venuto al mare dato che era in ritardo di più di mezz’ora; ma non l’aveva trovato raggiungibile. Capì il motivo poco dopo quando lo vide scendere le scale tra la scogliera per arrivare alla spiaggia “Tra gli alberi qui sopra non c’era campo si vede” pensò. Tra un salto e l’altro che gli vedeva fare gli disse al alta voce < > e poi sottovoce <<Speriamo tu inciampi>>. Tra i due c’era una accesa rivalità, nonostante avessero frequentato le stesse scuole medie e quindi si conoscessero da ormai quasi sei anni. Il più del fatto era dovuto al motivo che nei momenti in cui Marco veniva preso in giro, Filippo era quello che ci infieriva di più, gli venivano se pur senza malizia, le battute migliori, e su di esse gli altri facevano valanghe di risate rincarando ancora di più la dose sul povero ragazzo. In fondo però i due erano legati da un ottima amicizia, ed erano sempre a disposizione l’un l’altro per qualsiasi questione. Con grande dispiacere di Marco, il ragazzo saltava o camminava per la scogliera in tutta tranquillità, ando da un punto ad un altro, anche nelle zone più ripide o scivolose, addirittura con le mani in tasca. Arrivato agli asciugamani infine, Filippo si scusò per il ritardo dovuto all’imprevisto avuto con la madre che gli aveva sottratto le chiavi, < > disse Marco accendendosi un’altra sigaretta dal suo pacchetto quotidiano ormai mezzo vuoto < > rispose il ragazzo levandosi la maglia e i pantaloni e restando in costume < > Thomas sbuffando e gesticolando con una mano non gli diede peso < > Filippo strizzò gli occhi e sorrise grattandosi il capo. Una volta stiratosi ben bene propose < > strusciandosi la pancia e guardando gli altri in cerca di approvazione <<Ma con te? Mphf!>> fece Marco con fare snob < >. Tutti si alzarono annuendo quasi facendolo apposta al ragazzo che non era arrivato nemmeno a metà sigaretta < > disse Marco per fare il sostenuto. Filippo si voltò e indicò Diego e Matteo che erano già andati a mollo in acqua avendo finto in fretta i cornetti <<Ma chi loro? Aspetta e spera allora>>. Marco spense la sigaretta accesa poco prima su un sasso più grande, e con una smorfia guardò Filippo, poi alzandosi pigramente si avviò anche lui a fare il bagno insieme agli altri < > disse bofonchiando con voce rassegnata. Ora i sassi che c’erano alla Cala erano sempre roventi, dato il loro colore molto scuro infatti

i raggi del sole ve ne erano attirati e camminare dall’asciugamano al mare era un po’ come fare una eggiata sui carboni ardenti. Su quei sassi a farla breve vi si poteva tranquillamente mettere due uova e vederle cuocere meglio che in padella. Era buffo anche osservare come le persone, soprattutto i ragazzi dal fisico tutto pompato, ed occhiali da sole incollati in faccia, si volessero dare delle arie camminandoci sopra facendo finta di niente. Nonostante il loro aspetto impeccabile ed il loro petto in fuori, si notava benissimo come alzassero alla svelta i piedi per non rimanere ustionati in una sorta di saltelli da una parte all’altra, e come il loro viso faceva fugaci smorfie di dolore. Arrivati in battigia e buttatisi nell’acqua, questa non era molto calda e per abituarsi allo sbalzo di temperatura che si percepiva immergendo il corpo, in mare ai ragazzi ci volle un po’. Tra brividi, scatti e nuotate di una decina di metri per scaldarsi, riuscirono ad abituarsi gradualmente, chi più chi meno. < > Chiese ad un tratto Matteo riemergendo da un apnea lunga circa un minuto per toccare, e verificare quanto fosse profonda lì l’acqua. L’idea fu ben accolta, lo “Scoglione” altro non era che un grande scoglio, o più probabilmente un pezzo di scogliera venuto giù a causa di qualche frana durante delle mareggiate, forse anche da qualche centinaio di anni. Era alto un cinque metri e chiunque andasse alla cala vi si dirigeva per farci i tuffi. Per raggiungere un’altezza necessaria a buttarsi però bisognava scalarlo, e se non ci si era abituati non era una eggiata, visto che era sempre umido per via delle onde che ci battevano ed a tratti spigoloso. Uno dopo l’altro i ragazzi arrivarono lì sotto, e sfruttando la marea che si alzava di quando in quando con le onde, iniziarono a salire ed a fare una serie di tuffi. C’era chi si tuffava di testa, e poi riemergeva strusciandosela per il discreto urto creato dall’altezza non essendoci abituati; chi si buttava a candela per essere più sicuro; e chi a bomba per cercare di fare più schizzi possibile per aria. Tra una salita e un'altra, Gabrielino si trovava un po’ in difficoltà a causa delle braccia non particolarmente lunghe e un po’ esili. Mentre scalava dietro a Luca perse la presa con la mano destra scivolando a causa della superficie bagnata, però mentre stava per cadere, si sentì preso per un braccio. Guardò in su, lì c’era Luca che con una mano lo teneva e con l’altra si reggeva allo scoglio, aveva un volto tutto rosso per lo sforzo improvviso < >. Gabriele vedendolo così fece una faccia divertita < > Luca lo guardò scocciato, a dirla tutta si aspettava per lo meno un “grazie” <<Simpatico…>> rispose < > e tornò ad arrampicarsi verso la cima. La giornata proseguì serena tra vari bagni, chiacchiere, e sguardi fugaci e non alle ragazze. Christian si era portato dietro un pallone ed allora decisero di giocare a schiaccia

sette sulla battigia. Il bersaglio preferito era ovviamente Marco, che ormai sapendo di essere la vittima designata si buttava per terra o in acqua già al sesto conteggio. Anche Gabriele veniva puntato diverse volte, ma agilissimo riusciva sempre a schivare da una parte o dall’altra, o magari anche abbassandosi, per lui non era un problema. Durante i conteggi dal nulla Thomas, ignorando la palla che puntava verso di lui, caricò Luca e lo buttò in acqua. Christian di scatto fece lo stesso con Gabrielino, Filippo si lanciò su Diego, ed in un attimo la partita degenerò in una sorta di “Royal rumble” per fare a gara all’ultimo che resisteva in piedi. Il resto dei bagnanti della spiaggia li guardava perplessi o scuotendo il capo sospirando, non ava momento che quel piccolo gruppo non fe confusione, erano fin troppo attivi, e nella spiaggia mancava poco a sentire solamente loro; i ragazzi dal canto loro invece, non facevano che ridere. Uscendo dall’acqua mentre tornavano agli asciugamani, Matteo aveva un volto dolorante ed una grande chiazza rossa su una gamba, evidentemente era stato punto da una medusa. Il ragazzo brontolava qualsiasi genere di insulto a chissà chi, e si lamentava per il dolore. Gabriele lo guardò, e si ricordò di un paio di consigli che gli avevano dato sulle punture di medusa < > gli disse < >. Matteo allora sempre borbottando <<Si va bene, guarda oggi quando ho fatto lo zaino per venire al mare ho detto, via sai cosa? Mi ci fai mettere anche spirito e cotone oltre a portafogli e asciugamano>> <<Ti davo solo un consiglio>> < >. Matteo non aveva tutti i torti, era raro vedere delle meduse alla Cala dato che l’acqua lì era particolarmente pulita, e le poche volte che si spingevano in quell’anfratto di costa, era anche facile vederle ed evitarle. La puntura della medusa accelerò notevolmente i tempi della giornata, infatti sebbene i più volessero restare ancora un po’ alla spiaggia, tutti vedevano il volto palesemente sofferente di Matteo, e non se la sentivano di farlo andare via da solo, così furono circa le cinque e mezzo del pomeriggio quando i ragazzi iniziarono a riporre le loro cose negli zaini e a rivestirsi. Scarpe ai piedi dunque, si diressero verso la lunga salita. Prima di arrivare lì, furono fermati nuovamente dal Gela, che finite quasi del tutto le scorte di gelato li guardò, e con la sua voce da infante disse < >. Marco si girò verso gli altri alzando le sopracciglia < > chiese perplesso < > fece Matteo scansandolo con un braccio e tirando avanti < >. Arrivati alla fine della spiaggia tirarono in su le teste per vedere meglio la salita che li attendeva, e controvoglia, si misero in cammino. Fare quei cinque minuti di scalinata ripida tra cespugli e alberi, con i muscoli rilassati dal pomeriggio ato al mare, si rivelò tutt’altro che una eggiata, e Diego, rimasto indietro, malediceva l’errore di essere uscito di

casa in ciabatte pur sapendo dove fosse diretto. Filippo, anche lui in ciabatte, a metà della fila affannando e tenendo il lettore Mp3 nelle orecchie, premette il tasto avanti e cambiò canzone per vedere di darsi un po’ di carica, < >. Matteo invece, al quale la polvere che c’era in giro andava a posarsi sulla puntura di medusa, che già era irritata e bruciava di suo lo guardò storto, anzi, provando un bel dolore non sopportava chiunque si lamentasse. La salita sembrava interminabile e il fiato iniziava a scarseggiare, e quando finalmente ne videro la fine erano talmente sudati che avrebbero avuto bisogno di fare un altro bagno. Si appoggiarono un momento sul guardrail ansimando, e poi iniziarono a discutere sul cosa fare. < > dissero fissando infine un appuntamento < >. Approvarono tutti e poi si diressero verso dove avevano trovato posto, staccandosi dal gruppo uno alla volta. Montarono sui loro motorini e si affiancarono in un piccolo spazio aspettando l’occasione buona per partire, quando poi ci fu una decina di secondi dove sembrava non arrivare macchine in nessuna delle due direzioni, si guardarono negli occhi tra tutti, e partendo a tutto gas incuranti se si avvicinassero nel frattempo veicoli, fecero a gara per tornare indietro. In testa c’era Luca con la sua moto, seguito da Filippo e da Matteo. Con il suo casco integrale in testa, schivava le macchine e le sorava quando da destra quando da sinistra in mezzo alle varie curve. Quando però il ragazzo si trovò di fronte un furgone bianco e alla corsia opposta un autobus che gli veniva incontro, fu costretto a rallentare, dando l’occasione a Filippo di accelerare e, con una pericolosa manovra, are in mezzo ai due veicoli mentre entrambi gli clacsonavano per la paura di investirlo. Filippo, musica nelle orecchie a tutto volume, sentì l’aria argli sul volto e il giallo-arancione della fiancata dell’autobus gli sembrò spaventosamente vicino. Mantenne comunque i nervi saldi e guardò dritto tenendo ferme le braccia per non far muovere lo sterzo al motorino; nel giro di un secondo il soro era riuscito per il meglio. Dopo il folle gesto si girò brevemente indietro vedendo che aveva dato almeno una ventina di metri di distanza a Luca, ed urlò per scaricare l’adrenalina mentre le cuffie nelle sue orecchie gli davano il ritmo giusto. Sapeva che il fatto che la moto del bis cugino andasse una decina di chilometri orari più veloce del suo scarabeo, sarebbe servito a poco in tutte le curve che c’erano per tornare nei pressi della città; e in quanto a Matteo, anche se il suo booster andava veloce, ormai era troppo distante per pensare di poter recuperare. “Per oggi ho vinto io!” pensò soddisfatto mentre dava nuovamente gas per sorare, sulla destra, un auto davanti a lui. Nel soro guardò con la coda dell’occhio dallo specchietto

retrovisore, e vide che l’uomo al volante del furgone bianco stava sbraitando e, leggendo a grandi linee il suo labiale, probabilmente anche imprecando qualcosa. Sulle note di una musica punk-rock accelerò al massimo dei sui novanta chilometri orari e per gli amici, sparì tra le curve della strada. Matteo invece, sorato da poco il furgone bianco lo guardò sparire “Più che kamikaze” pensò, “A me lui sembra uno scemo che cerca un modo per farsi ammazzare”. Luca decelerò e si affiancò al ragazzo <<Ma stai continuando a truccargli lo scarabeo?>> urlò per farsi sentire < > rispose. Luca continuò <<Senti Zio non è che…>> Matteo gli finì la frase < > <<Ma a Pippo glielo fai gratis>> disse sconsolato il ragazzo <<Mica me li fai te le verifiche di inglese a scuola!>> rispose Matteo alzandosi i pantaloncini da calcio che usava per andare al mare, e strusciandosi la chiazza rossa sulla gamba che diventava man mano più evidente. In realtà l’inglese e le verifiche c’entravano ben poco, solo che le moto erano molto più difficili da modificare e richiedevano dunque più tempo e fatica; dicendo così il ragazzo sapeva che Luca avrebbe subito cessato di chiederglielo, dato che per lui l’inglese non faceva differenza con l’arabo, e si sarebbe risparmiato una notevole scocciatura nel modificare mezzi complessi. Matteo si sistemò poi gli occhiali da sole con le lenti a goccia e disse < > alzando una mano in cenno di saluto < > e sorò l’auto seguente.

3: -Guida con prudenza! Non spingere sempre al massimo-

Quella stessa sera del 3 Agosto, giunta l’ora del ritrovo i ragazzi, a parte Christian e Thomas che andavano a prendere Filippo sotto casa sua, si diressero verso il luogo dell’appuntamento dato il pomeriggio: La “Terrazza”. Questa era chiamata così perché sembrava proprio un gigantesco terrazzo che dava sul mare ed era situata accanto alle baracchine qualche chilometro prima che iniziassero gli stabilimenti balneari. Per descriverla bisogna partire dall'idea che fosse una grande piazza delimitata verso il mare da una balaustra composta da eleganti colonnine in calcestruzzo armato. Il suo pavimento era costituito da una scacchiera di quasi diecimila metri quadrati, ricoperti da circa trentacinquemila piastrelle bianche e nere. Dal punto di vista architettonico, assumeva per il candore delle superfici e l'infinità delle colonnine, come un aspetto di astrazione metafisica.In mezzo aveva un grande gazebo aperto, che ogni tanto veniva preso di mira da illegali artisti per frasi alle ragazze di cui erano innamorati o per mettere la loro firma in bella vista; così periodicamente veniva ritinto con un giallino che andava a contrastare con il rosso dei mattoni del tetto, e il bianco degli scalini che aveva per accederci. Dentro la vasta area, c’erano degli spiazzi verdi delimitate da uno scalino in cemento lavorato, erano come grandi aiole dentro le quali c’era erba e alberelli. Purtroppo il comune della città non le puliva spesso, e non era raro la sera, di vederci di sfuggita correre qualche topo. La eggiata che c’era in terrazza era molto grande, ci voleva almeno un quarto d’ora per fare a piedi tutto quel pezzo composto da piastrelle, rialzate rispetto a terra di tre scalini; e nei giorni estivi vi si potevano incontrare venditori ambulanti, famiglie a eggio, persone che vi sfrecciavano sui pattini o in bicicletta, oltre all’abbondanza di fotografi improvvisati che consumavano le loro macchine fotografiche ad immortalare il mare, e soprattutto al tramonto. Fatta eccezione per le giornate di vento, dove le folate facevano innalzare le onde che avrebbero bagnato chiunque, la Terrazza era una meta sfruttata a tutte le ore e da persone di tutte le età. Il sabato sera, o le sere estive in generale, era però il punto di ritrovo per i ragazzi dai quattordici ai diciotto anni, dove decine di gruppi di giovani vagavano facendosi un giro e salutando i vari conoscenti.

Non era raro che vi succedesse anche qualche scaramuccia, dato che spesso chi finiva in Terrazza ad una certa ora, era uscito dai ristoranti mezzo ubriaco. Ce n’era anche uno proprio dall'altro lato della strada che si arricchiva proprio cucinando pizza e vendendo vino e birra agli adolescenti, infischiandosene delle conseguenze che sarebbero potute capitare poco dopo. Accanto a questo ristorante poi, c’era un negozio che vendeva yogurt gelato e granite, che d’estate stava aperto anche fino alle una del mattino tant'era la clientela. Tutti si prendevano uno yogurt o una granita in quelle sere, e poi se lo andavano a gustare facendo due parole o ai tavolini davanti all'insegna, o sui vari muretti della Terrazza. Adesso però facciamo un o indietro e torniamo ai nostri. Quella sera Filippo, aveva fatto pace con la madre con la promessa di impegnarsi di più neri giorni a venire, nello studio delle nuove materie di indirizzo; cosa inevitabile dato che quell'anno avrebbe cambiato scuola insieme a Matteo. Si era poi diretto in camera sua per prepararsi dopo la cena per la consueta uscita serale estiva, e si era infilato una maglietta a maniche corte con disegnata sopra la faccia di un bulldog ed un paio di jeans corti con uno strappo sulla parte sinistra. Scuotendosi le spalle andò in bagno ad ingelatinarsi come di routine i capelli biondi, tirandoseli tutti all'insù, e poi portandosi qualche ciuffo sulla fronte. Prendendo le chiavi del suo motorino aveva salutato la madre senza badare troppo alle consuete raccomandazioni, e si era precipitato giù per le scale del palazzo. Era appena uscito dal portone che sotto casa sua vide fermarsi Christian e Thomas sui rispettivi motorini. Lui li salutò battendogli un cinque simultaneamente e poi andò al suo scarabeo nero. Girò quindi le chiavi, lo accese e diede gas avviandosi verso la Terrazza salutando la madre con una mano. C’era una lunga strada dritta per arrivare alla Terrazza da casa sua, e il contachilometri del “Demone Kamikaze” segnava circa novanta all'ora. Mentre il trio si sorava a vicenda facendo la solita gara a chi arrivava prima, ad un certo punto sbucò una macchina sulla destra della corsia ed andò troppo oltre i triangoli segnaletici sulla strada che imponevano di dare l’obbligo della precedenza ambo i lati. Filippo, che era in testa, istintivamente frenò. Ma sebbene stesse premendo a fondo le due leve dei freni non ci fu alcun risultato. Capito che il mezzo non gli rispondeva si sentì gelare. I due amici dietro di lui non sapevano cosa avesse, ma non vedendolo rallentare iniziarono a preoccuparsi < > gridò Thomas mentre gli correva dietro < >. Il ragazzo sapendo di non potersi fermare e non volendo andare a sbattere a quella velocità sul cofano della macchina, ferma forse nell'attesa di poter are, si buttò nell'altra corsia quasi al pari del marciapiede per poter scansare il veicolo sopraggiunto all'improvviso da destra, ed allo stesso tempo evitare le macchine che, suonandogli il clacson, gli avano a pochi centimetri

accanto visto che stava viaggiando in contromano. Continuava a premere i freni ma lo faceva a vuoto, purtroppo consapevole che la velocità del motorino non sarebbe calata in fretta. Quando il contachilometri segnava circa sessantacinque all'ora, vide un fuoristrada che gli veniva incontro. Si spostò ancora di più sulla sinistra della corsia, quasi toccando lo scalino del marciapiede, ma sgranò gli occhi quando vide una moto che era parcheggiata sporgendo un po’ di più sulla carreggiata. La decisione a quel punto, sebbene non favorevole in nessuno dei due casi, fu se andarsi a schiantarsi contro la moto oppure contro il fuoristrada. Era questione di decimi di secondo e Filippo scelse la moto: tra le possibilità nella sua mente valutò che oltre all'impatto minore, non si sarebbe dovuto preoccupare di rischiar di far male al conducente dell’auto, estraneo a tutto quello che stava accadendo. I due amici dietro erano bianchi nei volti, ed urlavano con tutto il fiato che avevano in corpo < > ripeté Thomas < > gli urlò Christian basito. Il fuori strada gli ò accanto, sentì quasi toccarsi la testa dal suo specchietto retrovisore, chiuse gli occhi non volendo vedere cosa sarebbe successo, un secondo dopo: l’impatto. Filippo si sentì sbalzare, e con un grido secco e soffocato volò via dal suo motorino, sfondando la plastica interna col suo ginocchio sinistro e si tagliò profondamente la tibia con i pezzi di plastica dura che si spezzavano nello scontro. Venne poi sbalzato a testa in giù in aria nell’incredulità di Thomas e Christian che assistevano impotenti alla scena, decelerando e spalancando bocca e occhi. Lì Filippo sentendosi sottosopra riaprì brevemente gli occhi e per un secondo a lui il tempo sembrò rallentare, quasi fermarsi, vide tutta la scena come in un rallenty: i suoi amici che gli andavano incontro col motorino urlando qualcosa, vide il suo scarabeo che continuava la folle corsa e poi si schiantava in frantumi per terra, e vide la sua mano tesa in avanti cercando inutilmente di riprendere il casco che, allacciato in maniera troppo larga, gli si era sfilato dalla testa. “E’ buffo” pensò “Finisce così?”, poi toccò l’asfalto. Rotolò per terra e rimbalzò due volte prima di iniziare a strusciare con il braccio sinistro e la maglia la strada, con una spalla grattava il marciapiede nel tentativo di proteggersi il volto. Poi si fermò ad un sei metri dal resto del suo motorino. Fermatosi dalla lunga caduta Filippo sbatté le palpebre, e agitandosi un po’ nel tentativo di farsi forza provò a puntare le braccia per terra ed alzarsi. Purtroppo però vedeva solo sangue scorrergli da queste e tremando si sentì cadere a terra, restando sdraiato viso rivolto in basso preoccupato perché consapevole che altre macchine potevano arrivare ed investirlo. La vista gli si appannava pian piano, e si sentiva il sangue iniziare a colargli dalle varie escoriazioni; voleva disperatamente alzarsi, ma sentiva che gli mancavano le forze, allora guardò il suo motorino in frantumi, lo vide con i vari pezzi sparsi qua e là. Il mondo si

faceva sempre più scuro e lui teneva il suo sguardo fisso verso i rottami neri e bianchi con gli occhi lucidi “E adesso chi li sente i miei genitori?” pensò con l’ultimo bagliore di lucidità rimastogli, poi il buio: chiuse gli occhi e svenne. Christian e Thomas scesero in un lampo dai loro veicoli, uno si mise tre metri davanti a Filippo per bloccare le eventuali macchine che potevano sopraggiungere, l’altro si precipitò verso l’amico a terra sollevandogli delicatamente la testa per vedere se poteva aver riportato danni anche lì, ma fortunatamente sembravano solo esserci due escoriazioni, una lieve alla tempia, ed un'altra che sanguinava più vistosamente, ma sotto il mento < > disse Thomas iniziando a dargli qualche piccolo schiaffetto. Christian sgranò gli occhi < > disse indicando l’amico con una mano < > fece Thomas aumentando un po’ l’intensità e facendogli scuotere la testa ad ogni colpo <<Ti ho appena detto di smetterla!>> concluse seccato Christian componendo il numero del pronto soccorso. Per fortuna nonostante lui non avesse mai credito nel cellulare, quel numero era gratuito <<Si buona sera, un mio amico ha fatto un incidente in motorino, ora è svenuto! Dovete mandarci un’ ambulanza>> disse di fretta al telefono. Mentre il ragazzo ecuadoriano dava indicazioni sul luogo Thomas non riusciva ancora a far riprendere l’amico < > gli diceva scuotendolo ancora un po’, ma senza alcun effetto, Filippo continuava a non svegliarsi e a sanguinare, aveva un taglio profondo sulla tibia da cui il sangue colava per tutta la gamba fino all'asfalto a formare un piccola pozza < > urlava Thomas < > < > rispose il ragazzo che aveva bloccato una macchina e gli aveva fatto cenno di are nell'altra corsia per un breve tratto, mentre una piccola folla di anti si accumulava vicino alla scena dell’incidente facendo domande. L’ambulanza ci mise una decina di minuti ad arrivare, ed una volta lì caricarono il ragazzo ancora privo di sensi su una barella, partendo alla volta del pronto soccorso, seguiti a scia, tra le sirene, da Thomas e Christian in motorino. Ad un parcheggio della Terrazza intanto, di fianco ad uno stabilimento balneare, gli altri ragazzi erano seduti sui motorini e stavano sbadigliando, guardando ogni tanto gli orologi per verificare il ritardo del trio che mancava. Erano ormai più di venti minuti che erano fermi ad aspettare, e la noia stava pian piano prendendo il sopravvento < > disse Diego ad un tratto <<Ma chi Pippo? Probabilmente è sceso ora di casa>> rispose Matteo. Lui era venuto lì a piedi, dato che abitava a poca distanza da dove erano, e seduto su un muretto davanti al mare si era messo a giocare sul cellulare. Marco invece era arrivato alla terza sigaretta di fila e si stava

spazientendo, aveva provato a chiamare Thomas, poi Filippo, Christian, ed ancora una volta Thomas, lamentandosi del fatto che nessuno dei tre gli avesse risposto < > diceva alterato. Nel momento Gabrielino continuava a stuzzicare Luca, era un po’ il suo bersaglio preferito <<Ma la barba così male te la fai te o viene Naturale?>> < > < >. Il ragazzo da bonaccione qual’era cercava di farci caso il meno possibile, ma quando Gabrielino gli fregò di mano il giacchetto da motociclista che si portava sempre dietro, non importava la temperatura, andò su tutte le furie e si mise a rincorrerlo in giro. Matteo rideva della scena e quando Gabriele gli ò vicino, lui gli fece lo sgambetto facendolo cadere per terra Con Luca che gli si avventò addosso. I due si dimenavano per terra, inutile dire che la massa più imponente di Luca lo avvantaggiava parecchio, e così schiacciava la testa dell’altro per terra. Una tasca del suo giacchetto però si illuminò, ed il telefono contenuto al suo interno iniziò a squillare < > faceva Gabrielino <<Squilla, rispondi dai!>>. Il ragazzo lo lasciò rialzare, e premendo il pulsante verde rispose alla chiamata, dall'altro capo del telefono un preoccupato Christian gli raccontò con molta fretta i fatti appena avvenuti, e all'unisono i cinque si diressero verso l’ospedale cittadino. Erano circa le undici di sera quando il gruppo dei ragazzi si riversò tutto d’un botto nelle sale del pronto soccorso, e Marco spalancate le porte con un colpo solo fermò il primo medico che vide are agguantandolo per il camice < > disse < > chiese stranito il dottore. Marco gridando e perdendo subito la pazienza iniziò a sbracciare < >, il medico dalla sua, non aveva poi tutti i torti, c’erano stati tre casi di quel tipo di incidente quella sera, ma forse il giovane davanti a lui si riferiva all'arrivo più recente, dato che a prima vista il gruppetto di ragazzi sembrava avere la stessa età del ferito. < > ripeté Marco sbuffando, era rosso paonazzo nel viso, e somigliava vagamente a un peperone < > lo aveva trattenuto Luca prendendolo per una spalla e tirandolo via dal medico < >. Il dottore, privo della presa dell’alto ragazzo con i capelli a pagliuzza, puntò in alto lo sguardo per pensare e poi rispose <<Se dici il ragazzo sedicenne è tutt'ora svenuto, ha riportato varie escoriazioni al corpo, un paio al volto, gli abbiamo dovuto dare quattro punti di sutura per una ferita sotto il mento. E probabilmente da sveglio dovremo applicargli un gesso al braccio sinistro perché a prima vista si è rotto il polso in uno o due punti, anche se non sembra una frattura grave>>. Fece una breve pausa per prendere fiato < > poi si voltò, e oltreando una porta

scorrevole sparì dalla vista dei ragazzi. Nella confusione della scena Diego si era seduto fuori, sugli scalini antecedenti alla porta d’ingresso del pronto soccorso. Aveva preso una bottiglietta d’acqua da mezzo litro da un distributore, e dopo aver dato un paio di sorsi si era messo a fissare il vuoto. Marco e Thomas lo raggiunsero e si misero a sedere a loro volta < > chiese Diego non spostando lo sguardo che fissava chissà dove <> Diego guardò Thomas perplesso < > “Scemo è scemo” pensava “Ma questa da dove l’ha inventata?” <<Si>> rispose intanto Thomas < > Marco si accese una sigaretta, aveva quasi finito il pacchetto, < > <<Stai calmo>> disse Diego < > bevve un sorso d’acqua <<E poi andiamo, lui è l’Orco, ha sempre detto “non posso morire prima di trovare una ragazza”, uno così è troppo stupido per non farcela a rimettersi da queste cose>>. Dalla porta uscì anche Luca, lui era stato il primo ad arrivare all'ospedale con la sua moto, poco dopo Christian e Thomas che erano entrati nel parcheggio dell’ospedale insieme all’ambulanza. < > disse< > Marco spense la sigaretta su uno scalino e la gettò per terra < > Luca accennò ad un sorriso << La meglio cosa da fare bimbi sarebbe tornare a casa e riposarci un po’, magari tornare qui domani, ma starci ora come ora è inutile>> fecero quasi insieme tutti e quattro un lungo sospiro e si alzarono. Rientrarono dentro e si riunirono insieme agli altri in sala d’aspetto: era bianca; con mattonelle sull'azzurrino e seggiolini verde acqua attaccati al muro con una lastra di ferro e qualche vite. Ogni persona che era lì stava in un rispettoso silenzio, non solo i ragazzi ma anche gli altri uomini e donne, quella notte era stata molto movimentata, continuavano ad arrivare nuove persone e ad essere annunciati codici di vario colore: chi era cascato di motorino; chi era inciampato e si era fatto male; chi aveva la febbre molto alta; oppure chi aveva bevuto troppo alcool ed era stato ricoverato. Il pronto soccorso non piaceva a nessuno, c’era sempre troppa tensione nell'aria. Si fece l’una del mattino e uno dopo l’altro i ragazzi tornarono tutti a casa, sarebbero tornati lì il giorno seguente ma quella sera, andare a riposarsi, un po’ per l’orario un po’ per

lo spavento, era la scelta migliore. La mattina seguente la madre di Filippo aveva fatto portare il suo motorino, o meglio quello che ne rimaneva, dal meccanico con un carro attrezzi, era tornata subito in ospedale dove nella sua stanza il figlio continuava a dormire sotto l’occhio vigile dell’ex-marito. Aveva visto ancora una volta tutti i ragazzi fuori dal pronto soccorso chi seduto sulle scale chi sui motorini, gli aveva ringraziati di stare così vicino al figlio in quei momenti, e gli aveva promesso che gli avrebbe dato subito notizie appena ce ne sarebbero state. Era un 4 Agosto molto soleggiato senza alcuna nuvola in un cielo più azzurro del solito, faceva un caldo afoso e si sudava anche stando fermi all'ombra, per cui stare fuori ad aspettare pazientemente era abbastanza faticoso. Diego continuava a camminare su e giù per la rampa delle scale ingannando la tensione, Marco fumava e Matteo stava giocando a Snake sul cellulare < > Matteo alzò un attimo lo sguardo < >, Christian sdraiato tra i sei e sette scalini si alzò il cappellino con una mano e cercò di riappacificare <<Buoni ragazzi>>. Marco allora sbuffò e si voltò dall’altra parte continuando a fumare <<Stacci te buono>> borbottò sottovoce <<Mi ci manchi te>>. Dentro al pronto soccorso nella stanza illuminata da una singola finestra, a pochi minuti da mezzogiorno Filippo riprese lentamente conoscenza. Dopo un primo momento di stupore e disorientamento si era ricordato della sera prima; aveva guardato i suoi genitori che lo fissavano con gli occhi affaticati dalla notte ata insonne e tristemente aveva pensato “Ci vuole che rischi di morire per rivederli qualche ora insieme”. Poi si era dovuto far fare il gesso, aveva il polso rotto in due punti come avevano supposto i medici, ma il suo gesso al braccio sinistro era relativamente piccolo, partiva dalla mano e gli arrivava poco sotto il gomito. Le prime firme gli furono fatte subito dopo che uscì zoppicando dalla stanza dai suoi amici. Come mise piede fuori dalla stanza Diego andò ad abbracciarlo e gli mollò un pugno molto forte sulla spalla < > replicò il ragazzo < > gli si erano stretti a semicerchio e lo riempivano di domande e di battute < > aveva detto Matteo < >. Filippo era tutto incerottato e si sentiva tirare i punti sotto il mento, ma era molto felice di aver visto che tutti i suoi amici più cari si precipitassero da lui in quel genere di situazioni. <<Se non fosse stato per Tommi e Christian a quest’ora saresti morto, hanno chiamato loro l’ambulanza e fermato il traffico>> disse la madre appoggiandogli le mani sulle spalle <<Sicché ringraziali bel mi babbeo>> aggiunse il padre. Gabrielino sbucò in mezzo a tutti facendosi strada tra la mole dei vari compagni < > disse con la sua R moscia <<i il fatto che ti è volato il casco, dato che era già tanto per te averlo allacciato, ma

perché non hai frenato ieri sera invece di fare l’incidente e andare addosso a quella moto?>>. Balzando su un piede per raddrizzarsi Filippo puntò lo sguardo di lato cercando di ricordare bene la situazione vissuta qualche ora addietro, era tutto sempre un po’ sfocato < > disse infine strizzando gli occhi <<Mi pare che i freni non mi funzionassero, li premevo a fondo ma non succedeva nulla>> Gabrielino lo guardò alzando le sopracciglia e storcendo la bocca < > i ragazzi iniziarono a ridere tra di loro ed a sparare battute per alleviare la tensione che gli era montata durante la notte <<Si ora si inventerà che la moto parcheggiata è sbucata fuori dal nulla>> Fece Marco <<Si si bravo! La moto di Luca magari>> aggiunse Matteo, e gli davano pacche sulle spalle a testa facendo “Vieni Kamikaze” < > diceva Filippo sorridendo e stringendo gli occhi dolorante mentre si toccava il gesso, ci si sarebbe dovuto abituare. Poi tutti gli amici lo aiutarono a scendere gli scalini per avviarsi alla macchina della madre, dove salì sul posto del eggero. Aveva indosso ancora i vestiti della sera prima, la maglia era stacciata da varie bruciature dovute allo sfregamento con l’asfalto, i pantaloni avevano un grosso taglio a sinistra dal quale fuoriusciva la stoffa della tasca. A dirla tutta ai medici era sfuggito di suturare quella ferita, e gliela avevano bollata come abrasione tamponando un po’ il sangue e tappandogliela con una fasciatura, effettivamente con tutte le abrasioni che aveva addosso, senza contare il fatto che era arrivato lì privo di sensi; una ferita alla gamba era il male minore. Con i capelli in parte biondi tinti, in parte rossi per il sangue essiccatovi, e quasi del tutto abbassati, dette un bacio sulla guancia del padre dal finestrino dell’auto. <<Sai cosa>> gli disse Diego < >. Filippo aggrottò la fronte < > < >. Al termine dello scambio di battute il ragazzo finì di salutare gli amici: li vedeva mettersi i caschi e accendere i motori; guardò la madre che girava le chiavi dell’auto ed accendeva a sua volta il veicolo, nel volto era molto provata, avendo ato all’ospedale l’intera notte < > lei lo fulminò con uno sguardo e non lo fece continuare < > disse <<Solamente provaci ancora, e poi vedremo se non riesco ad ammazzarti io. Con o senza ragazza>>. Filippo abbassò del tutto lo specchietto dell’auto, poi sorrise.

Quello era stato il primo avvenimento, di una serie che i ragazzi non si sarebbe

mai potuti immaginare.

4: -Un Ferragosto tra secchiate d’acqua-

Tra un clima estivo sempre largamente presente, erano ati una dozzina di giorni dalla sera dell’incidente, ed era ormai arrivata la mattina del 15 di Agosto. In tutta Italia si festeggiava il giorno di Ferragosto che quell’anno cadeva di venerdì, e quindi dava inizio a un lungo ponte di festa dal lavoro, che sarebbe durato per i due giorni successivi. Visto il lungo fine settimana di vacanza molte famiglie si erano programmate quei giorni, chi sul mare chi in campagna, per gite a camminare nel verde o a fare pic-nic. Erano stati presi di mira anche tutti i parchi acquatici, dove i genitori accompagnavano i figli a fare scivoli di varie forme e dimensioni, o i parchi giochi; che in quei giorni avevano duplicato il personale per cercare di gestire al meglio l’aumento delle persone in visita. C’erano così invasioni di famiglie a Garda, a Follonica, a Cecina, a Riccione e così via, dove entrando dentro ai parchi, le file che c’erano per gli scivoli o per le varie attrazioni avevano una lunghezza paragonabile a quelle che si possono trovare in autostrada. Sulle coste invece il giorno di ferragosto si andava a festeggiare sulle spiagge muniti di secchiello o di fucili spara acqua di varie dimensioni. Si trovavano tutti per schizzarsi d’acqua a vicenda, dai più giovani agli adulti, facendo squadra tra di loro e lanciando a mo’ di bombe palloncini pieni d’acqua. Era come una guerriglia, tant’è che l’acqua che bagnava la battigia ne risentiva per una settimana abbondante, e sulla spiaggia a distanza di giorni si potevano trovare resti di palloncini di gomma o manichi di secchielli che si erano staccati durante gli scontri. Negli stabilimenti inoltre bagnini e sicurezza avevano il loro bel da fare, e con i nervi a fior di pelle non tolleravano a nessuno il minimo sgarro. Non che non ci fosse da capirli, quella era una giornata, che per chi lavorava causava un notevole stress. Quella mattina i ragazzi erano tutti al computer a chattare per mettersi d’accordo sul da farsi nel pomeriggio. Filippo dalla sua aveva già anticipato che sarebbe uscito la sera, e avrebbe ato ferragosto in casa, dato che non poteva rischiare di bagnarsi il gesso. Gli rodeva non festeggiare perché in quella giornata dell’anno si divertiva sempre molto, ma gli era stato detto di tenere il gesso dai ventisette ai trenta giorni, e non volendo averlo per neanche un giorno di più doveva farci molta attenzione. Tra le varie battute in chat Gabriele dette l’idea di andare a ballare

quella sera, e fu ben accetta da quasi tutti, prima però dovevano vedere cosa potevano fare nel pomeriggio. La decisione presa fu di andare in uno stabilimento balneare, possibilmente prima di pranzo per evitare l’ora di punta, e fare a “secchiate” per poi arci il pomeriggio. Gli stabilimenti costavano in media dai sette agli otto euro e mezzo per entrare; infatti se davvero qualcuno voleva arci l’estate gli conveniva farci l’abbonamento mensile o stagionale, e se si era un gruppo di amici, prendersi uno stipetto per posarci vestiti ciabatte e portafogli, dato che le cabine venivano a costare un bel po’. Non era però il caso dei ragazzi, che amavano andare alle spiagge libere senza stare a spendere soldi per abbonamenti, e che a mezzogiorno circa della stessa mattina, si trovarono davanti ai bagni Fiore, uno stabilimento a metà circa del lungo mare. Parcheggiati i motorini su un marciapiede opposto a quello del bagno, dato che quel giorno i vigili non facevano multe vista l’affluenza di persone nei medesimi posti, posarono maglia ciabatte e oggetti vari dentro il sotto sella dei motorini. Ci misero poi sopra i caschi, e premettero con forza il sellino per farci entrare tutto, Luca approfittò del cassetto interno dello scarabeo di Thomas per posare la sua roba, dato che la sua moto era priva di sottosella. Avevano portato tra le gambe sul poggia piedi, i secchielli con dentro qualche palloncino da riempire ed una bottiglietta d’acqua. Così in costume, a torso nudo e scalzi, si avviarono verso il cancello di entrata dello stabilimento. L’insegna posta sopra il cancello bianco dell’entrata diceva “Benvenuti ai Bagni Fiore”, ed il gruppo si fermò per un attimo lì sotto. < > disse Christian < > lo interruppe subito Diego intuendo cosa stava per dire < >. Si allontanarono con indifferenza dal cancello eggiando lungo il muretto e le grate che delimitavano il posto. I bagni Fiore, erano il primo stabilimento balneare che si trovava accanto agli scogli delle spiagge libere, ed essi a loro volta erano posti dopo l’accademia navale; se si guardavano dalla strada che correva lungo tutta la costa, sulla destra dello stabilimento si trovavano le spiagge libere, e sulla sinistra i bagni Litorale. Tra i bagni Fiore e i Litorale c’era un’accesa rivalità durante la giornata di Ferragosto, che sfociava nel pomeriggio in una traversata di giovanissimi dai Litorale ai Fiore per affrontarsi a colpi d’acqua in una battaglia che poteva durare anche per ore. Alla fine le due fazioni si mischiavano sempre e chi faceva la traversata finiva per concludere la giornata nell’altro bagno, ovviamente senza che i bagnini di un posto o di un altro dicessero niente. Questa tradizione di rivalità e di sfida a metà di Agosto durava ormai da decenni, i bambini più piccoli si facevano spiegare la situazione dai genitori, e gli adulti rivangavano con grandi sorrisi i bei tempi della loro gioventù. Ora all’esterno i bagni Fiore avevano delle sbarre fatte a grate di colore bianco lungo tutto il loro perimetro,

ed andando sul limite del loro lato destro, proprio dove confinavano con le spiagge libere degli scogli, queste grate verso la fine del perimetro del bagno si congiungevano in un altro cancello, un cancello secondario. Era uno di quegli elettrici a scorrimento usato per fare are camioncini per rifornire il bar, o in caso di emergenza le ambulanze per soccorrere una persona direttamente all’interno dello stabilimento. Ai piedi del cancello, nell’interno del bagno, c’era una piccola rampa di un metro che scendeva e portava davanti al gabbione adibito alle partite di calcio, ed accanto le stanze per i servizi igienici. Era perciò relativamente facile scavalcarlo senza farsi vedere, entrando dentro senza pagare il biglietto. Durante le normali giornate c’era sempre un bagnino o uno della sicurezza del bagno a sorvegliare la zona, per impedire che qualcuno entrasse a gratis; ma nel giorno di Ferragosto tutto lo staff del bagno era impegnato a sorvegliare luoghi dove potevano scoppiare gli scontri ad acqua, ed i ragazzi sapevano bene questa cosa. Guardandosi prima intorno con circospezione si diedero l’okay, ed uno dopo l’altro iniziarono a scavalcare facendo attenzione che nessuno gli scoprisse. Era un po’ più difficile di come si poteva immaginare farlo avendo una mano occupata per tenere il secchiello, ma gli appoggi, vuoi per il muretto, vuoi per le grate, non mancavano. Il primo a scavalcare il cancello fu Gabrielino, che era quello più sciolto e agile. Scendendo velocemente la rampa controllò che non ci fosse nessuno in vista, e poi si mise immediatamente a fare da palo per gli altri sempre guardandosi intorno < > disse battendo colpetti alle grate per far affrettare gli amici. Christian scavalcò per secondo, poi Marco, Luca, e via dicendo. Mentre Diego finiva, per ultimo, di scendere mettendo a modo i piedi su appoggi improvvisati di serrature e muretto, Gabriele fece un segno con la mano per far capire che si stava avvicinando un bagnino. La maggior parte dei ragazzi, già dentro, riuscì subito a nascondersi dentro le stanze dei servizi igienici, ma Diego scese troppo tardi e non poteva riuscire a correre a nascondersi senza dare sospetti. Dentro il suo secchiello c’era sempre la boccetta d’acqua da mezzo litro per riempire eventuali gavettoni, e lui la prese velocemente e si bagnò un po’ addosso, per poi iniziare a berla quando il bagnino si accorse di lui. < > disse l’uomo con la maglia rossa e la scritta in bianco “Salvataggio” a caratteri stampatello. < > ribatté Diego con aria stupita e allargando le braccia < > Diego sgranò gli occhi ed alzò le sopracciglia esibendo un mezzo sorriso < > rispose accennando alla frase senza senso < > disse sicuro scrollandosi dal petto l’acqua che spacciava

per sudore. Il bagnino incrociò le braccia < > era calvo con un po’ di pancia, e un pizzetto sotto il labbro inferiore. Dalla maglia gli spuntava qualche pelo che aveva sul petto, e portava un paio di occhiali da sole molto scuri, così scuri che non si riusciva a intravedergli la pupilla dell’occhio. < > Diego piegò la testa da un lato < > poi continuò <<E forse ci dovresti tornare vista la confusione che sta’ succedendo oggi>>. Il bagnino sorrise e portò il peso del corpo su un piede, battendo a ritmo l’altro per terra e strofinandosi il pizzetto < > poi si voltò e si incamminò verso la spiaggia, < > Diego calò la tensione e fece un sospiro di sollievo bevendo un altro sorso d’acqua. <<Ti è andata bene>> fece Matteo uscendo dalla porta dei servizi igienici dove si era nascosto, < > rispose Diego gettando la bottiglietta d’acqua ormai praticamente vuota in un cestino dei rifiuti. Descrivendo un po’ la situazione: si poteva vedere che le persone che quel giorno erano entrate nello stabilimento erano tutte concentrate sulla spiaggia; non c’era gente neanche al trampolino, fatto a forma di “F” come l’iniziale del nome del bagno. La piattaforma che c’era davanti al trampolino e che veniva usata sia per prendere il sole, sia per delle battaglie a spintoni improvvisate dai ragazzini era vuota, il campo da palla a nuoto, era vuoto, era sgombro il gabbione e la sala giochi, chiunque era fuori era concentrato sulla spiaggia a darsi battaglia; chiunque non vi volesse partecipare era rimasto a casa, o si era messo a sedere dentro al bar. Una volta c’era stato un episodio di un ragazzo che aveva fatto un gavettone al barista mentre era alla cassa a battere gli scontrini, ma quest’ultimo non l’aveva presa bene e chiamando gli addetti alla sicurezza l’aveva fatto buttare fuori e gli aveva fatto ritirare l’abbonamento. Il bar dei bagni fiore per cui, veniva considerato zona neutrale. In mezzo al caos sulla spiaggia dove il mare sembrava essere alto un metro e novanta, tanta era l’acqua che la gente si gettava addosso costantemente, i ragazzi arrivarono muniti di secchiello ed umore battagliero. <<Si parte!!>> disse Marco buttandosi nella mischia, gli altri lo seguirono al volo, gettando acqua a destra e a sinistra, a uomini e donne “Vuole fare il maschio alfa” pensava Matteo. Nel trambusto generale, dove le figure delle persone si confondevano, Luca perse di vista tutti ed iniziò a cercarli con lo sguardo. Nonostante cercasse di mettere a fuoco la scena però, cascate d’acqua gli si riversavano sul volto e doveva ogni volta stropicciarsi gli occhi e iniziare da capo torcendo il collo in qua e in là. <<Ehi Luca!>> si sentì chiamare dalla voce di Matteo, e si girò di scatto prendendosi una secchiata d’acqua in pieno viso. < > disse ridendo e riempiendo a sua volta il secchio ributtandosi nella mischia con più vigore di

prima. Mentre dal cielo iniziavano a piovere i primi gavettoni, un urlo in mezzo alla folla fece cessare le ostilità interne “I Lito!” disse una voce maschile abbreviando il nome dei bagni Litorale “Andiamo! Stanno arrivando i Lito!” urlò di nuovo avvisando che l’avversario di ogni anno stava iniziando a fare la traversata da un bagno all’altro. Valanghe di ragazzi si riversarono al margine sinistro dei bagni Fiore guardandone e aspettandone altrettanti che nuotavano nel mare con i secchielli stretti in mano, o all’occorrenza tra i denti. Luca e Marco spalla a spalla correvano dando gomitate qua e in là per assicurarsi i posti in prima fila, Gabrielino fu praticamente inghiottito dalla folla , e se non fosse stato per Diego che lo prese per il costume, quasi denudandolo, non si sarebbe saputo che fine avrebbe potuto fare. Nel battere forsennato di piedi che si andava perdendo tra le varie urla e richiami, Matteo strusciò il muro con la spalla sinistra mentre correva, ed oltre ad un piccolo sgraffio si tinse tutto il braccio di un bianco giallo, iniziando a imprecare. Erano cose che succedevano, ma ultimamente sembrava che andare al mare non gli portasse molta fortuna. Dopo una corsa a perdifiato intanto, Luca e Marco si fermarono davanti al mare, e si chinarono per vedere meglio la scena. Posti tutti per schieramenti di tre o quattro file, i giovani dei bagni Fiore iniziarono a battere sul retro dei secchielli come fossero tamburi da guerra facendo salire la tensione. Ad un tratto si sentì gridare “Prima ondata!” neanche fossero in un film di guerre medievali, al comando buste e palloncini pieni d’acqua vennero lanciati verso la massa di persone dei bagni litorale che stavano nuotando; “Ancora!” gridarono di nuovo facendo ripetere la medesima azione. Alcuni dei bagni Litorale vennero presi in testa, ed iniziarono a lanciare offese, altri invece vedendo la brutta parata, si scoraggiarono e fecero retro marcia tornandosene indietro. ate le boe di delimitazione del bagno le persone che venivano nuotando dai Litorale furono seguite o o da un braccio della eggiata fino alla spiaggia e arrivati lì fu lanciato in aria un “Prepariamoci alla prima carica!”. Una volta che i piedi di coloro che avevano appena fatto la traversata poterono toccare il fondale ed erigersi eretti, scoppiò la guerra. Diego prese con se Thomas e Marco, ed insieme a molti altri caricò i bagni il gruppo dei Lito al fianco sinistro; Matteo Christian Gabriele e Luca, fecero lo stesso sul fianco destro, e la lotta per la supremazia del bagno più forte iniziò senza esclusione di colpi. Arcobaleni che apparivano per qualche secondo per aria, gente spinta sott’acqua da mani, attacchi alle spalle di sorpresa, gavettoni volavano in ogni direzione e spintonate da ogni parte per guadagnare territorio. I bambini più piccoli schizzavano da lontano con i fucili ad acqua, e c’era gente a cui sembrava di bere mezzo mare. Annaspi e affanni ovunque, costumi che, venendo tirati per far spostare il loro proprietario, si allargavano o strappavano, finendo talvolta a galleggiare e portati

via chissà dove dalla corrente. Era una gigantesca baraonda. arono quasi due ore prima che iniziasse a diminuire di intensità per poi cessare poco dopo. A circa metà della battaglia un bagnino aveva timidamente provato a dire alla folla dei partecipanti “Dai ora basta”, ma era tornato nella sua posizione sopra la seggiola vicino al trampolino con i vestiti fradici. Come ogni anno inoltre, verso la fine dello scontro non si sapeva più chi era di un bagno e chi dell’altro, e quelli che erano stati soldati di una fazione o di un’ altra, riponevano i secchielli comprati con pochi euro dove capitava, e si rilassavano per le ultime ore di mare prima di tornare a casa. Sdraiati sulla spiaggia esausti con braccia e gambe larghe, giacevano uno accanto all’altro i nostri ragazzi boccheggiando e riprendendo fiato con gli occhi chiusi per lo sforzo appena concluso. < > disse Matteo sorridendo ed ansimando sempre ad occhi chiusi < > replicò il ragazzo <<Si si, lo visto anch’io>> ribadì Christian che reggeva il gioco. Diego aprì per un po’ gli occhi, la sabbia ancora nell’aria era come un grosso polverone che non accennava a scendere. Le persone che non erano sdraiate nella rena stavano o barcollando, dirette verso qualche sdraio o asciugamano nel tentativo di fermarsi e riposare, con le braccia ciondoloni e la schiena curva, oppure galleggiavano nel mare a gatta morta, c’era addirittura qualcuno che era rimasto aggrappato alle boe galleggianti e non dava il minimo cenno di riprendersi. I nostri sette rimasero per circa un’ora sdraiati sotto il sole ad abbrustolire, e si alzarono di malavoglia solo quando iniziarono a sentire che la pelle arrossata iniziava a bruciare. Si ripararono sotto l’ombra del tendone fuori dal bar, ed occupando un tavolino e qualche sedia di plastica verde dura; per rimanere lì si presero anche un gelato ed una lattina di tè freddo. Puntarono i gomiti delle braccia sul tavolino per reggersi la testa e non collassare su loro stessi di botto <<Mammamia ragazzi sono davvero sfatto da buttare>> disse Diego sospirando < > annuì Thomas dando un morso al cornetto al cioccolato che si era preso < > e si girò facendo vedere una parte della schiena ancora un po’ rossa. Gabriele diede un sorso al tè alla pesca < > posò la lattina sul tavolo, < > Matteo, tenendo tra i denti lo stecco del ghiacciolo che aveva appena finito < > i ragazzi fecero spallucce, il Re-rila come discoteca non era male, c’erano giovani che avevano su per giù la loro età, ragazze carine, le bevute erano buone, e ci si poteva arrivare anche in motorino; bastava allontanarsi dalla città viaggiando sulla costa in direzione opposta alla Cala per una ventina di minuti. Luca tornò per un attimo al mondo reale staccandosi dal

suo personale < > disse < > Gabriele scoppiò a ridere di gusto < > e continuando a ridere < > Luca s’imbronciò, < >, Matteo si mise le mani dietro la testa incrociandole < >. < > disse Marco buttando via la lattina di tè, rigorosamente al limone, con un lancio facendo canestro nel cestino vicino a lui < > esordì Diego mettendo un punto al discorso. Quando tutti finirono il gelato si alzarono dalle sedie, erano ancora parecchio intorpiditi <<Si torna alle cucce?>> fece Thomas, < > disse Christian ruotando la spalla destra che gli doleva, un tizio durante lo scontro oltre all’acqua lì sopra gli aveva tirato per sbaglio pure il secchiello, sgraffiandolo con il manico di ferro. Ci fu un annuire generale e uscendo dal bar si avviarono fuori dai bagni Fiore; guardarono attorno a loro, era una scena insolita e curiosa: la grande eggiata che nei giorni comuni era piena di asciugamani e persone che ci transitavano era invasa da acqua e sabbia sparse un po’ ovunque; le cabine in muratura dentro i moli colavano da cima a fondo facendo grosse pozzanghere per terra; le due grandi piscine naturali del bagno erano piene di schiuma perché l’acqua lì ristagnava e tutta l’agitazione di quelli che ci avano aveva smosso tutto il fondale; e i pochi ombrelloni e sdrai sulla spiaggia erano in pessime condizioni. In breve sembrava un clima quasi postapocalittico. Prima di arrivare alla rampa di scalini che portavano cancello di uscita, Diego incrociò lo sguardo con il bagnino che lo aveva visto appena era arrivato. L’uomo era seduto su una sedia di legno davanti alla biglietteria dell’ingresso e lo riconobbe subito. Imperterrito continuava a indossare gli occhiali da sole, anche se la giornata stava iniziando a rabbuiarsi e sulle lenti si vedevano palesemente gocce di acqua marina seccata che aveva lasciato piccole incrostazioni di sale. Quando lo vide gli sorrise, fu quasi un gesto di inaspettata complicità, con una mano si abbassò gli occhiali facendosi vedere gli occhi, marrone scuro, ed alzando le sopracciglia fece un viso che lasciava intendere “La prossima volta ti butto fuori se ti becco”; mentre faceva su e giù col capo. Diego gli sorrise di risposta, e gli fece l’occhiolino, era un “Grazie”, poi tutti insieme uscirono dallo stabilimento. Attraversarono la strada a piedi nudi ed ancora bagnati, facendo attaccare di tutto un po’ sulla pianta, ed arrivarono al

marciapiede dove avevano parcheggiato i motorini ore prima. Aprendo il sotto sella si rivestirono mettendosi le magliette che, essendo state per un pomeriggio intero lì dentro aggrovigliate insieme a ciabatte e casco, erano tutte stropicciate. < > disse Marco <<Si mamma>> fece Gabriele dandogli qualche pacca sulla spalla e mettendosi poi il casco; un padellino non omologato nero. Si salutarono tra loro un’ultima volta e poi facendo attenzione che non assero macchine scesero lo scalino del marciapiede, e si diressero verso le rispettive case in mezzo al rumore dei motori.

5: -Non essere ingessato, facciamoci un salto in pista-

La sera del 15 d’Agosto, dopo aver cenato ed essersi riposati bene dal lungo pomeriggio di battaglie ad acqua, i ragazzi si ritrovarono di nuovo al computer per mettersi d’accordo con l’orario per andare in discoteca. Per entrare al Rerila di solito bisognava indossare almeno una camicia, ma dato che era piena estate i buttafuori facevano entrare anche in polo o magliette a mezze maniche; per cui non c’erano problemi dovuti all’abbigliamento. Il ritrovo fu piazzato per le dieci sotto casa di Filippo, dato che il suo motorino era ancora dal meccanico a riparare e lui non aveva alcun mezzo per spostarsi, oltre al fatto che non l’avrebbe potuto guidare a causa del gesso. Ci fu quindi Thomas che si offrì di dargli un aggio volentieri. Nel procedere della conversazione di gruppo in chat, Diego quella sera preferì rimanere a casa perché si sentiva fin troppo stanco. Marco invece era cena con dei parenti e si sarebbe liberato troppo tardi per venire; e quanto a Luca, aveva tenuto fede a quello che aveva detto lo stesso pomeriggio e non era voluto andare insieme agli altri, evidentemente l’esperienza dei pantaloni bianchi tinti di rosa, l’aveva lasciato alquanto contrariato. A conti fatti quindi a ballare allo schiuma party, andarono solamente in cinque. Il Re-rila, che come detto si trovava ad un quarto d’ora fuori città viaggiando col motorino, come discoteca aveva due stanze: una più grande dove c’era musica commerciale e dove oltre alla pista da ballo era posto anche il bancone delle bevute. Ed una più piccola di musica pseudo elettronica, adibita ai fumatori, dove il più delle volte proprio a causa di questo fatto, c’era una scarsa visibilità anche a distanza di metri. Nella prima stanza, dove i ragazzi usavano stare, c’erano sparsi quattro cubi dove poter ballare, le casse dei bassi erano gigantesche, e risuonavano per tutto l’ambiente mentre le molte luci facevano un discreto gioco per far vedere solo quel giusto che basta, a non andare addosso alle altre persone mentre si ballava. D’estate però dava il meglio di se come locale, perché dato che era posto vicino al mare, aprendo una porta finestra vicina alla sala da ballo si andava al così detto “Rerila Beach”. Con fuori la console del Dj che suonava a tutto volume le canzoni in voga quell’estate, e una pista da ballo in mezzo alla sabbia. Per entrare c’era sempre un po’ di fila da fare, e dato che quella serata era quella dello schiuma party c’era da aspettarsela

lunga minimo una quarantina minuti. I ragazzi parcheggiarono nelle vicinanze del locale e si misero in coda intorno alle dieci e mezzo, volevano vedere di riuscire a entrare magari dieci a mezzanotte perché il loro coprifuoco scadeva alle tre del mattino. E tra dare la precedenza alle prevendite, alle liste, ai tavoli prenotati e quant’altro, per chi come loro era andato senza contattare un PR, l’attesa per entrare risultava lunga e noiosa. Finita la coda a mezzanotte circa come si erano aspettati, il buttafuori, squadrandoli da cima a fondo, gli fece are, era un gesto che soprattutto a Filippo risultava seccante, non che non fero bene dato che spesso alcuni entravano in discoteca esclusivamente per far casino, ma essere adocchiato come un mezzo criminale da un gorilla che si atteggiava a personaggio della serata, lo innervosiva sempre. I ragazzi pagarono alla cassa all’entrata dell’ingresso, quella sera il costo era dodici euro. Entrarono poi nella stanza della sala da ballo principale < > disse Matteo battendo e strofinandosi le mani <<Stasera schiuma party!>>. Si misero subito a ballare in cerchio sulle mattonelle della pista facendo a turno qualche o di danza improvvisato, quello che si muoveva peggio era Gabrielino, che era fin troppo rigido: ciondolava le gambe e muoveva a tempo le mani, ma non spostava o alzava i piedi nemmeno di un centimetro. Matteo invece era il più sciolto e ogni tanto finiva per mettersi in mezzo al cerchio e dar mostra di se < > gli diceva Christian incoraggiandolo; il ragazzo si era portato il cappellino anche dentro la discoteca nonostante lì fe oltremodo caldo, e si doveva asciugare periodicamente il sudore dalla fronte. Si giustificava però dicendo che quella sera si sarebbero bagnati a una volta che i macchinari avessero iniziato a buttar fuori la schiuma, e quindi si sarebbe “lavato subito dopo aver sudato”, agli altri questo sembrava un ragionamento piuttosto strano. Filippo oscillando, si dava da fare, ma il gesso lo limitava in un modo o nell’altro nei movimenti, per cui al cambio di una canzone uscì dalla stanza andando verso la spiaggia < > gli chiese Matteo <<Mi prendo un po’ d’aria, torno subito>> rispose. Oltreò la porta finestra e si mise a sedere su dei divanetti bianchi, prese fiato con un lungo respiro, e si mise a guardare la pista sulla spiaggia piena di ragazzi che ballavano al ritmo dei bassi. Lì da quasi una decina di minuti, si stava grattando la testa con la mano destra e sbadigliava sonoramente senza coprirsi la bocca, quando una ragazza con un vestitino bianco un po’ scollato, ed una mini gonna nera, gli si avvicinò. Indicando il posto del divanetto vuoto accanto a lui, con una voce dolce, domandò < > Filippo chiude di scatto la bocca presa nello sbadiglio < > rispose distratto, e poi si riprese con un disinteressato < > spostandosi un po’ di più su un lato e battendo la mano dove lei aveva indicato.< > disse la ragazza una volta sedutasi e messa a guardare anche lei la folla danzante

sulla spiaggia <<Si si, c’è veramente tanta gente>> fece lui non spostando lo sguardo dalla pista <<Solo che non mi posso nemmeno godere bene lo schiuma party, sicché alla fin fine, la spreco un po’>> disse alzando il braccio sinistro e mostrando in gesso tutto scarabocchiato dalle firme degli amici. < > disse lei <<Mi dispiace, come ti successo?>> “Mi dispiace” pensò Filippo “Cordialità scontata, se lo poteva risparmiare” in quel momento però, tutto preso nel suo essere distaccato, si rese conto che la ragazza vicino a lui era davvero carina. Aveva i capelli lisci di colore castano-biondo, più biondi rispetto al colore naturale del ragazzo se non se li tingesse; con un taglio la cui lunghezza superava di poco le spalle. Due profondi occhi verdi tendenti quasi impercettibilmente al castano; e un bel sorriso bianco con due grandi incisivi che risaltavano. Sembrava avere anche pochissimo trucco, giusto un po’ di terra e un po’ di mascara, contrariamente a come facevano di solito tutte le ragazze che andavano in discoteca. < > domandò di nuovo lei; e lui, che era rimasto imbambolato a guardarla, sbatté più volte le palpebre per riprendersi e mascherando un po’ la tensione, le raccontò dell’incidente avvenuto settimane prima. Alla fine si presentò con un gioviale < > tendendole la mano e strizzando gli occhi per allargare la bocca nel suo più grande sorriso, <<Michela>> fece lei stringendogliela e sorridendo a sua volta, <<Ma io ti ho già visto>> disse aggiungendo e portandosi l’indice sulle labbra per pensare <<Se non sbaglio, penso fuori dalla tua scuola, o almeno credo… quanti anni hai?>>. Filippo, colto alla sprovvista, spostò lo sguardo in su cercando di portarsi alla mente le sue uscite da scuola, sfortunatamente era il classico tipo che una volta salutati i compagni, tirava dritto al suo motorino per andare a casa allontanandosi il più velocemente dall’istituto, e dalle scocciature che portava. Così facendo gli era praticamente impossibile ricordare una determinata persona in quei momenti. Decise perciò di mettere da parte l’argomento scuola e di limitarsi a rispondere <<Sedici… Cioè ormai tra praticamente due settimane diciassette, e te invece?>> la ragazza si scostò i capelli dalle orecchie, li teneva sciolti < >. Filippo si mise una mano in tasca tastando tra le chiavi, e cercando di trovare la bevuta omaggio che aveva conservato: ce l’aveva ancora. Simulandosi quindi a proprio agio e sicuro di se si fece coraggio < > la ragazza rise, buon segno, era giusto una battuta per rompere il ghiaccio, e nemmeno delle migliori < > Michela si alzò e in quell’istante Filippo pensò di aver sprecato una buona occasione per stare zitto, ma contro ogni suo pronostico la ragazza non se ne stava andando, lo stava aspettando <

volentieri>> disse tendendogli la mano per aiutarlo ad alzarsi < >. Dentro la discoteca intanto i macchinari spara schiuma avevano iniziato a funzionare, ed i ragazzi si erano ritrovati letteralmente a nuotare nel sapone che gli aveva sommersi fino a più di mezzo busto. Gabriele dato che era abbastanza basso era praticamente sparito nel nulla, e Christian non vedendolo più aveva preso a cercarlo. Si era buttato tra il bianco della schiuma, scansandola con le mani da una parte o dall’altra, ma oltre al vedere poco lì in mezzo non riusciva nemmeno a sentire bene, perché la musica delle casse era talmente forte, che le onde sonore che emettevano spostavano, facendolo volare, perfino il sapone prodotto dai macchinari. Nella confusione di braccia e gambe vide una sagoma piuttosto bassa con una maglietta scura, che assomigliava proprio a quella dell’amico; mise il braccio sinistro dentro la schiuma per prenderlo e poi lo tirò a sé < > chiese mentre il saporaccio del sapone gli entrava in bocca. In quella stanza stava diventando difficile anche respirare. <<Eh?>> fece stupito un ragazzo voltandosi e vedendo Christian che lo tirava per la schiena < > fece l’ecuadoriano < > Christian lo spinse nuovamente nella schiuma un po’ scocciato e con non curanza, come se fosse stato il povero ragazzo a presentarsi davanti a lui invece che essere stato preso di forza <<E allora ciao! Per cosa ci stai qui se non sei Gabri?>> e sbuffando continuò a cercare. Guardando in ogni direzione per cercare di trovarlo, il suo sguardo si posò sul cubo, dove finalmente lo vide mentre si scatenava in assurdi i di danza; tornò allora da Thomas e Matteo e con una faccia che prometteva ben poco di buono, glielo indicò sorridendo. I tre lo raggiunsero senza farsi notare, facendosi strada tra le varie persone che ballavano; salirono sul cubo e poi gli si affiancarono facendo gli indifferenti < > disse Matteo facendolo voltare < > disse lui sorpreso di vederli tutti lì. I tre ragazzi lo spinsero giù dal cubo facendolo cadere di testa nella schiuma con sonore risate, il sapone lo aveva subito ricoperto e di lui sembrava non esserci di nuovo più alcuna traccia, ad aggiungersi a ciò parecchie persone vedendo uno spazio che sembrava libero, lo avevano pure calpestato. Matteo poi nel ballare accanto ai due amici, e a schernire il povero Gabrielino, guardò fuori verso la pista da ballo sulla spiaggia, e sbattendo un po’ gli occhi dallo stupore dette uno strattone a Thomas. <<Ma se! Tommi, guarda lì!>> fece indicando il limite della pista da ballo all’esterno; Thomas sorrise < > fece vedendo l’amico baciarsi con una ragazza mentre tutta la folla gli ballava attorno. Matteo si avvicinò ad un orecchio di Thomas ed urlò per farsi sentire meglio <<Sarà il caso che ci diamo da fare anche noi? E’ impossibile che uno mezzo monco col gesso recuperi e noi no!>> Thomas sorrise di nuovo e fece un cenno di approvazione; così i due scesero dal cubo facendo posto al redivivo Gabriele,

che fradicio e macchiato di qualche pestone accidentale, montò di nuovo lì sopra, e prese a ballare accanto a Christian. Iniziarono a girare per la stanza principale della discoteca cercando qualche ragazza abbastanza carina, e si fermarono vicino alla porta finestra che dava all’esterno, dato che lì ce ne era un bel gruppetto di quattro. Sembrava andare tutto per il meglio: Matteo aveva preso a strusciarsi ad una mora in pantaloncini talmente corti, da sembrare mutande, e Thomas aveva puntato di buon occhio una sua amica con un vestito blu attillato. Ad un certo punto però Thomas si sentì strattonare indietro e perse per un attimo l’equilibrio rischiando di cadere < > disse un tipo piuttosto corpulento con i capelli rasati ed un tatuaggio sul braccio destro nascosto in parte dalla maglietta < > rispose Thomas una volta ripreso l’equilibrio, il ragazzo lo spintonò di nuovo e questa volta Thomas, non riuscendo a trovare appiglio a nulla, cadde a terra. Matteo vista la scena lasciò perdere la mora e afferrò per il busto la maglietta del ragazzo tatuato cercando di trattenerlo, ma questi gliela levò subito e spingendo anche lui disse in tono aspro < > Thomas si rialzò, era arrabbiato, < > fece scuotendosi la maglietta <<Buono Tommi…>> provò a calmarlo Matteo < > disse l’amico ando a scuotersi ora anche i pantaloni < >. Il ragazzo rasato e tatuato gli andò addosso minaccioso, ma Thomas si spostò sulla destra e gli assestò un gancio destro alla mandibola che lo mandò giù di botto tra le urla delle ragazze che se ne andarono. Mentre quella col vestito blu attillato soccorreva il suo ragazzo offendendo e inveendo contro Thomas. < > Matteo sbuffò e annuì scocciato, dando un ultima occhiata agli shorts della mora. Mentre erano nel fare di andarsene però, il ragazzo tatuato si rialzò e ancora un po’ frastornato prese a riandare verso i due; ma una mano lo bloccò all’istante, prima che Thomas si preparasse di nuovo in guardia a buttarlo giù < > Thomas aggrottò le sopracciglia, riconobbe il piercing a stile medusa sopra le labbra: era il ragazzo che avevano visto due settimane prima al molo < > continuò questi <<Stasera ci divertiamo in un’altra maniera>> Guardò Thomas <<Sei d’accordo con me vero?>> il ragazzo annuì serio senza dire una parola < > Matteo guardò l’amico che fece un o avanti e rispose deciso < > < > fece il ragazzo giocherellando col piercing sopra le labbra < > Thomas non rispose, si limitò a guardarlo storto, poi si voltò di scatto e uscì dalla porta

finestra per dirigersi verso la spiaggia. Matteo che gli andava dietro non riusciva a cogliere il senso di quella reazione, ed incuriosito dalla scena in generale chiese <<Ma quello chi era Tommi, lo conosci?>> procedendo dritto verso il cubo dove ballavano ancora Gabrielino e Christian lui neanche si voltò < > Matteo lo guardò alzando perplesso un solo sopracciglio, non gli era ancora ben chiaro niente, ma in quel momento non aveva voglia di fasciarsi la testa con troppi pensieri, per cui prese con un braccio per il collo l’amico < > gli disse facendogli l’occhiolino < > e gli fece cambiare direzione, ed espressione. Tra le luci e la musica Filippo era stato preso per un bel po’ di tempo a ballare con Michela. La ragazza che aveva conosciuto da poco non solo era molto carina, alta, e slanciata, ma dopo le conversazioni che avevano fatto, e Filippo era un gran bel chiacchierone, dimostrava di essere anche simpatica ed estroversa. Dopo aver preso insieme un bevuta avevano deciso di andare a ballare qualche canzone insieme, e tra un occhiata e l’altra al seno della ragazza, che a Filippo sembrava quantomeno prosperoso, i loro volti si erano avvicinati sempre di più fino a quando non si erano baciati. Lei gli aveva strinto le braccia intorno al collo e lui il braccio destro, quello che non era ingessato, intorno ai fianchi. Era stata una cosa piuttosto spontanea, ed in discoteca succede di continuo, se nonché quando il ragazzo aveva iniziato a posare le sue labbra su quelle di lei, il suo cuore aveva preso a battere molto più forte di quanto non faceva di solito in occasioni simili “Cavolo lei è davvero carina” pensava “Guardiamo se riesco a strapparle almeno un appuntamento!”. Finita di ballare la canzone corrente i due si erano messi a sedere un'altra volta sui divanetti <<Ehi Michi>> il ragazzo prese coraggio e si buttò < > la ragazza si voltò verso di lui e con estrema spontaneità rispose < > Filippo ci pensò un attimo, a dirla tutta non credeva nemmeno che avrebbe dovuto pensare ad un posto dove portarla < > gli disse facendogli l’occhiolino < > rispose lei < > Filippo rimase sorpreso ancora una volta, di solito era il contrario, erano i ragazzi a prendere il numero di telefono alle ragazze, comunque non stette a rifletterci troppo e glielo dette. Fatto questo Michela si alzò, lo salutò con un bacio sulla guancia e disse < >, Filippo si limitò a sorriderle ed accennarle un ok, poi si alzò a sua volta e si avviò a cercare i suoi amici soddisfatto

dell’appuntamento strappato alla bella ragazza bionda, non contando il fatto che lui per le bionde aveva un discreto debole. Con un bicchiere di birra in mano, preso come bevuta omaggio, Gabrielino ballava accanto a Christian sul cubo, aveva aspettato un po’ prima di prendere da bere perché non voleva rischiare che vi ci entrasse la schiuma. Faceva ettini piccoli per non rischiare di cadere di nuovo da li sopra, e cercava di ballare muovendo soprattutto il tronco e le braccia. Venne spinto giù dal cubo da un ragazzo con una camicia azzurrina, e nel tentativo di non versarsi la birra addosso e di restare in equilibrio, strusciò la maglia su uno dei tubi spara schiuma, strappandosela, < > urlò con discreto disappunto <<Mi sono rotto la maglia>> disse accentuando senza volere la R moscia. Christian iniziò a ridere forte, rideva così tanto che non riusciva più a controllarsi, scese a sua volta dal cubo e poggiando una mano sulla spalla dell’amico ancora con le lacrime agli occhi per le risa, e lo portò verso la porta sulla spiaggia < > facendo il verso al suo modo di pronunciare la R. Il ragazzo allargò le braccia e con un volto rassegnato lo seguì posando la birra sopra una delle casse per la musica, e facendola quindi rovesciare per terra nel giro di secondi. L’intero gruppo si ritrovò tutto all’esterno: prima Matteo e Thomas, che erano presi a ballare con altre ragazze; e poi Christian e Gabriele che vedendoli gli si affiancarono al volo. Dopo poco tempo li ritrovò tutti anche Filippo, che correndo verso di loro disse ad alta voce e sbraitando < > il suo arrivo repentino fece scansare il gruppetto di ragazze con cui i suoi amici stavano ballando, forse era stato per il modo un po’ precipitoso, ma il risultato fu che tutti lo guardarono un po’ storto <<Sei puntuale come un orologio, arrivi e le bimbe vanno via>> lo brontolò Christian. Matteo nella sua mente collegò le parole “ragazza” ed “appuntamento” e con un aria sorpresa gli chiese < > < > l’aria sorpresa scemò subito,< > < > Matteo si ò una mano tra i capelli < > e rise senza dargli troppo peso. Si rimisero quindi a ballare tutti insieme come avevano fatto all’inizio, appena erano entrati, fino a quando l’ora non si attardò e venne il momento di tornare verso casa. Usciti dalla porta però Thomas fermò tutti < > <<Si>> rispose lui <<Ecco, stasera mi devo essere preso con un suo amico, poi prima di continuare a litigare lui è sbucato dal nulla e l’ha fermato>> Matteo ricordatosene confermò l’accaduto, e aggiunse < >. < > domandò Filippo spalancando gli occhi <
conoscerlo?>>, Gabriele portò alla mente il ricordo di quel ragazzo: Carnagione olivastra, capelli rasati, orecchini, un piercing stile medusa sopra labbro superiore e uno al sopracciglio <<Magari Pippo si è informato sulle persone che frequenti>> Filippo si voltò verso di lui innervosito <<Magari sarebbe meglio si fe i cavoli suoi se non vuole che inizi a innervosirmi>>. Non gli piaceva il fatto che uno che aveva apertamente detto che ce l’aveva con lui, cercasse i suoi amici. < > concluse Thomas cercando di tranquillizzare un po’ l’atmosfera < >. Riportata la tranquillità negli animi, i ragazzi si avviarono, come consuetudine, verso i loro motorini. Si misero il casco, e salutandosi si avviarono verso le loro case. Nel tornare indietro lungo la strada Thomas chiese all’amico che stava accompagnando dietro < >, il ragazzo si grattò il collo < > ci fu una breve pausa <<E del fatto dei freni invece">> < > concluse l’altro dando gas ed accelerando. Il viaggio verso casa proseguì, e tra sori e semafori la mente di Filippo era fin troppo piena di argomenti su cui pensare per non farlo stare in agitazione: da un lato c’era la soddisfazione di uscire con Michela, dall’altro il nervosismo per il tipo del molo. Non sapeva ancora perché ce l’avesse con lui, ma non aveva la minima voglia che la situazione diventasse troppo seria. Anche se per come iniziavano a prendere piega le cose, era una storia che già sembrava scritta.

6: -Sotto questo sole…-

I giorni erano ati uno dopo l’altro, ed il caldo continuava imperterrito a sfiancare chiunque, sembrava che quell’anno l’estate non avesse intensione di farsi meno intensa. Al 21 di Agosto sui tabelloni elettronici delle farmacie si leggeva trentadue gradi centigradi di temperatura, ed era ata quasi una settimana dalla serata in discoteca. Filippo non aveva ancora ricevuto ne una chiamata ne un messaggio, che potessero fargli sperare nell’uscita con Michela, ed ormai iniziava a demoralizzarsi un po’. Il gruppo dei ragazzi quella mattina, era all’esterno di un bar che faceva angolo su una strada. Seduti davanti a dei tavolini, si sventolavano la faccia con le mani e talvolta con le magliette, per cercare di resistere al caldo eccessivo. Avevano ordinato tutti alla cassa delle granite per rinfrescarsi un po’, ma chissà per quale motivo queste tardavano ad arrivare, nonostante gli fosse stato detto che sarebbero state consegnate ai tavolini, e gli umori iniziavano ad alterarsi. <<Ma qui se pago di più dite me le portano?>> chiese irritato Matteo < > disse Gabriele asciugandosi il sudore sulla fronte < > protestò il ragazzo < > <<Ma lo sono si e no di un metro>> Gabriele continuava ad asciugarsi la fronte, nonostante avesse i capelli quasi rasati a zero quell’estate, era uno di quelli che sudava di più <<Senti a quest’ora se invece di brontolare e contestare eri andato, adesso eri già di ritorno>>. Si erano messi tutti e otto a sedere ad un solo tavolino, in mezzo ad ognuno di essi c’era un foro per farci are il palo di un ombrellone che faceva ombra tutto intorno, era impossibile dunque unire due tavolini, primo perché gli ombrelloni si sarebbero dati noia a vicenda, secondo perché questi erano tenuti in equilibrio da un sostegno di cemento, e si sarebbe dovuto spostare anche quello. Il tavolino era rosso con la pubblicità di una bevanda analcolica gassata sopra, mentre l’ombrellone era a strisce più o meno larghe blu bianche e gialle, con sopra lo stemma della marca di gelati che lo sponsorizzava. Filippo guardava il cellulare frequentemente, era un paio di giorni che questa storia andava avanti, e Diego, per farlo staccare, gli dette una bottarella in testa. <<Molla, paranoia!>>, il ragazzo si girò di scatto < > Diego lo guardò

divertito < > Filippo sbuffò mettendosi il telefono in tasca, con l’intensione di riguardarlo a breve. Sotto il tavolino intanto, Gabriele iniziò a dare qualche calcio leggero alle gambe di Luca e Christian, senza farsi vedere da tutti ma richiamando la loro attenzione < > e continuò a colpire le loro gambe con intensità più forte, e ad intervalli regolari < > Luca e Christian sentendosi così chiamati in causa spostarono all’indietro le sedie di plastica e si alzarono < > < > . I tre si allontanarono dagli altri e svoltarono l’angolo della strada per dirigersi verso il posto dove avevano parcheggiato. Filippo si rimise di nuovo la mano in tasca per prendere il telefono <<Eh ora basta!>> gli disse Diego lanciandogli un occhiataccia < > si giustificò subito <<Sono le undici e un quarto>> Filippo allora gli rispose allo sguardo <<Eh Diego lo posso vedere anche da solo>> < > <<E anche se fosse? >> i restanti al tavolino si guardarono tra loro consapevoli dell’imminente scaramuccia che i due facevano per lo meno una volta al giorno < > < > < > Filippo tirò indietro la testa perplesso < > < > Marco stava osservando divertito la scena ma vedendo uscire dalla porta del bar il cameriere con le granite su un vassoio provò ad intromettersi per interromperli <<Su dai bimbi andiamo, ora stanno arrivando le…>> ormai però era inutile, la voce congiunta dei due lo fermò subito < > risposero insieme Diego e Filippo. Il ragazzo non provò nemmeno a finire la sua frase e si limitò solo ad emettere un lungo sospiro con aria rassegnata. Il cameriere si accostò al tavolo ed iniziò a porgere una a una le granite che Matteo e Thomas distribuirono; poi se ne tornò dentro il bar tra le voci di Filippo e Diego che continuavano imperterriti la loro lite. A distanza di un centinaio di metri in linea d’aria invece, Gabriele Christian e Luca erano arrivati ai loro motorini < > chiese quest’ultimo all’amico che gli aveva voluti far alzare poco prima. <<Si prende in tre, si alza il motorino di Marco e poi glielo nascondiamo. Così lui crede che glielo abbiano portato via col carro attrezzi, o al massimo che glielo abbiano rubato>> Christian sentita l’idea si sistemò il cappellino in testa girandoselo al contrario < >. Il motorino di Marco era un Liberty grigio di cilindrata cinquanta e parecchi anni e chilometri alle spalle, non fu difficile per i ragazzi alzarlo di peso e iniziarlo a spostare. Dopo un po’ di indecisione sul posto migliore dove nasconderlo, la scelta cadde in mezzo a due

macchine in uno spazio stretto, davanti al muso di un SUV bianco così che la mole della macchina avesse più probabilità di nasconderlo alla vista. Spostato così il motorino a una ventina di metri dal suo parcheggio originale lo posarono a terra. < > disse Gabriele < > < > gli fece Luca < > disse mostrando le dita tutte sporche di nero per aver preso il motorino dalla parte interna della plastica. Christian si risistemò il cappellino riportandolo alla diritta < > <<Mica è colpa mia!>> < > Luca mise un po’ il broncio < >. Il trio si riavviò verso il tavolino, e una volta accanto al bar, Luca si staccò dagli amici per entrare dentro ed andare in bagno. Al tavolo Diego aveva rubato dalla mano di Filippo il suo telefono e i due si stavano spintonando dalle sedie cercando con un gioco di mani di fare versare all’altro la granita; Matteo e Thomas parlavano tra di loro del più e del meno; e Marco aveva già finito la sua granita al limone. Accendendosi una sigaretta aveva posato il bicchiere di plastica vuoto con la cannuccia dentro, ed aveva iniziato ad usarlo per buttarci le ceneri. Ritornarono allora Christian e Gabriele che sedutisi iniziarono a dare delle occhiate discrete alla porta del bar per vedere se vi usciva Luca, il quale sbucò poco dopo mentre si asciugava le mani ancora bagnate, strusciandosele sui pantaloni < > gli fece Marco. Luca alzò lo sguardo, doveva inventarsi qualcosa alla svelta <<Si quando Gabri ha spostato il motorino, ho notato che avevo parcheggiato la moto per metà dentro un area a strisce gialle riservata ai disabili, per cui ho dovuto trovare un altro parcheggio anch’io>> Gabriele alzò le sopracciglia, per un attimo restò sorpreso che uno con la mente di Luca, avesse formulato una scusa ben elaborata in così poco tempo. Tutti, a parte Marco, si bevevano la granita, quando Matteo sorseggiandola pian piano disse < > Thomas posò la granita di scatto <<Ma mi posso portare anche la valigia con la roba dentro?>> Matteo scoppiò in una risata < >. Non era la prima volta che i genitori dello “Zio” andavano a trascorrere un po’ di tempo nella casa che avevano in montagna, soprattutto in quel periodo di Agosto dove faceva fin troppo caldo per stare in città; e dove a fine estate andare al mare iniziava ad annoiare. Le giornate a casa di Matteo erano sempre alla regola del dolce far niente, ed a tutti piaceva arci il tempo dato che sembrava quasi il loro covo

personale. Un fondo che non pagavano. Mentre si accordavano sugli orari e la data per andare ad “abitare” alla casa dell’amico, il telefono di Filippo, che Diego aveva in mano, emise un suono, come segnalazione che era arrivato un nuovo messaggio. Filippo scattò dalla sedia e prima che Diego potesse accorgersene o farci qualcosa, gli prese il telefono dalla mano e premette il tasto per aprire il messaggio. Le sue pupille scorrevano leggendo le varie righe e tutti lo guardavano incuriositi, fino a quando staccò gli occhi dallo schermo ed alzando le braccia esclamò <<Si! Esco con la bionda! Alla faccia tua Diego>>. Christian gli prese il telefono e lesse ad alta voce < >. Diego seduto tirò le braccia indietro per stirarsi < > < > in lui l’entusiasmo andava crescendo < > < > gli disse Luca posando con calma le mani sul tavolo <<Sembri uno scolaretto al suo primo appuntamento. Portala a prendere un gelato sul mare, o a fare una eggiata in città>> Matteo lo interruppe subito < > < > chiese Luca un po’ sulle sua < > Filippo annuì con uno sguardo attento, e Matteo pensò che così attento, non lo aveva mai visto nemmeno a scuola durante qualsivoglia spiegazione. < > <<Ma a me non piace il caffè>> replicò il ragazzo <<E prenditi una spuma allora! Fai cosa ti pare! Insomma le offri un caffè>> <<E se neanche a lei piace il caffè?>> Matteo strinse il bicchiere di plastica della granita fino a romperlo <<Solo a te! Non piace il caffè! Stupido orco! E se proprio non piace nemmeno a lei le compri cosa ti dice che vuole lei!>> stava iniziando a perdere la pazienza, ma notando che lo sguardo dell’amico era tornato attento continuò < >. Marco sentito il discorso alzò le sopracciglia e fece una bocca storta < > Filippo si voltò <
conversazione con quei denti ingialliti tra sigarette e tè al limone, appena le ragazze li vedrebbero scapperebbero terrorizzate>> ribatté subito < > Marco stizzito si ò una mano tra i capelli, il loro modo di crescere e la loro consistenza erano da sempre uno dei principali motivi per cui veniva preso in giro, per cui incassò senza troppe storie e si irrigidì come a suo solito. < > gli fece Christian poggiandogli una mano sulla spalla < > Filippo gli fece un sorriso di risposta e si levò la mano dalla spalla << Ma se l’avrai vista mezza volta di sfuggita. E poi non mi sembra che tu sia mai stato questo grande Play-boy Kri>> < > aggiunse Gabrielino cogliendo l’occasione < > rise < > finì la frase continuando a ridere < > disse Christian alzandosi ed andando incontro alla sedia di Gabriele. Lui appena vide l’amico alzarsi, balzò via dalla sedia ed in un lampo si allontanò di una decina di metri dal tavolino <<Sennò cosa mi fai?>> Christian iniziò a rincorrerlo, ma con scarso successo: Gabriele che con una mano si agguantava dietro i pantaloni per non farseli cadere, non si stancava mai di correre, forse grazie ai tanti anni spesi a fare atletica, e nessuno nel gruppo era veloce quanto lui. Neanche se ci si fossero messi tutti insieme sarebbero riusciti a prenderlo una volta che iniziava a correre, e ben presto Christian gettò la spugna, dato che il caldo soffocante, contribuì a sfiancarlo anche prima di quanto credesse. Mentre i due che avevano corso si riposavano dal tavolino si assentarono per un paio di minuti anche Matteo e Thomas senza dare spiegazioni. Dopo la mattinata si concluse tra grosse risate al bar, intorno a mezzogiorno. Al punto però che i ragazzi tornarono ai loro motorini la parte divertente era appena cominciata. Quando infatti Marco arrivò al posto dove aveva parcheggiato il suo Liberty, il suo volto sbiancò tutto d’un botto, e iniziò a girare intorno al posto vuoto come se il motorino si fosse nascosto da solo dietro o sotto le macchine adiacenti. <<Ma…>> disse <<Ma dove…>> stava balbettando < > chiese Luca cattivissimo facendo il finto sorpreso < > rispose Marco nel panico < >. < > fece Filippo con il dito mignolo nell’orecchio e con un tono totalmente disinteressato < > < > Marco cambiò di nuovo colore della faccia, diventò prima di un rosso intenso quasi paonazzo, e poi violaceo, digrignava i denti e continuava a guardare il posto vuoto nemmeno sperasse che il suo

veicolo potesse riapparire magicamente. <<E ora a mio padre come glielo dico?!>> imprecò forte < > disse Christian facendosi avanti ed aggiustandosi all’ingiù il cappellino per prepararsi a metterci sopra il casco < >. Marco strabuzzò gli occhi e allargò le narici inspirando < > imprecò di nuovo, questa volta contro Christian, poi contro gli extracomunitari che erano in quella zona, successivamente contro la polizia accusandola di non fare niente, e poi contro i suoi stessi concittadini tanto per dare la colpa a chiunque potesse aver commesso il furto. Gabriele osservava la situazione stando fermo imibile ed immobile, senza dire una singola parola, stava durando davvero molta fatica per controllarsi e trattenere le risate. Mentre Marco continuava a dare di matto Filippo prese il casco dal sotto sella del motorino di Diego, quella mattina era stato accompagnato da lui, <<Si va’?>> gli chiese sempre con totale indifferenza nei confronti dell’accaduto. In realtà vedendo Gabrielino zitto da una parte, aveva già intuito che potesse essere uno scherzo, in quanto solitamente si sarebbe messo a rincarare la dose e a prenderlo in giro, invece che starsene buono in disparte. < > rispose Diego mettendosi a sua volta il casco < > disse Marco; Thomas montò dietro Matteo, quella mattina aveva lasciato il motorino a casa senza benzina. Ed in più, chissà come, anche a loro la situazione sembrava in qualche modo tutta chiara, al punto di prendere il fatto con leggerezza. < > continuava a dire Marco senza che nessuno gli desse peso, Christian montò dietro al motorino di Gabriele <<Ma io come ci torno a casa?>> fece infine Marco; Luca accese il suo supermotard e diede gas < > < > rispose arrabbiato il ragazzo <<Me lo hanno fregato insieme al motorino>> Luca fece spallucce < >. Marco dette un pugno al muro vicino a lui e batté i piedi per terra, per poi bofonchiare qualcosa di incomprensibile < >. Anche Filippo fece spallucce < > poi Diego partì per riaccompagnarlo a casa, lo stesso fece Matteo con Thomas; Christian disse a Gabriele di partire, ma mentre il ragazzo accennava a tornare verso il lungo mare alla casa dell’ecuadoriano, si girò verso Marco che stava ancora sbraitando per aria. <<Eh pagliuzza!>> disse richiamandone l’attenzione < > poi rise e partì. Marco, al quale stava iniziando a montare un discreto nervoso, camminò a lunghi i fino ad arrivare vicino al SUV, si sporse un po’ di lato

per vedere meglio, e lì nascosto tra due macchine, c’era effettivamente il suo motorino. Batté di nuovo i piedi a terra ed imprecò. “Gliela faccio are io la voglia di ruzzare a quel maledetto nano” pensò, poi diede un calcio al muro. Si fece male da solo e sbraitò per aria urlando. Ripresosi dal dolore si cercò in tasca le chiavi, ma nell’infilarle nella serratura del sottosella gli caddero per terra, sotto il SUV. Il ragazzo iniziò quindi a tirare giù tutti i santi dal paradiso ormai accecato dalla rabbia. Si sdraiò per terra e strusciando e gattonando sotto l’auto tentò di raggiungere il suo mazzo di chiavi, ma erano cadute troppo vicine al marciapiede, e se da un lato della macchina non ci arrivava, dall’altro non riusciva a farci are la mano. La sua sfortuna inoltre non sembrava avere fine, perché mentre faceva ciò, il proprietario del SUV bianco stava tornando alla sua macchina, e sorprese il ragazzo che c’era sotto per metà. < > domandò l’uomo. Pagliuzza che non era dell’umore giusto per conversare, rispose un secco < >. < > domandò nuovamente l’uomo. Marco allora capì l’equivoco, e sempre da sotto la macchina e sempre non riuscendo ad arrivare alle chiavi, si scusò, ma alla sua maniera <<Sto cercando di prendere le stramaledette chiavi del mio stramaledetto motorino che mi sono andate sotto la macchina, mi potrebbe dare una mano?>>. L’uomo, un signore sulla cinquantina con capelli brizzolati e vestito di tutto un punto con giacca e cravatta, allungò una mano verso i piedi del ragazzo come a dire “Guarda questo qui’”, e poi dimostrandosi quantomeno disponibile disse <<Esci fuori vai, ora faccio manovra e vado via così le prendi senza spazzare la strada con la maglia>>. Stava spostando la macchina dal parcheggio quando si fermò per roteare il volante ancora un paio di volte <<Scusami è bimbo>> gli disse <<Ma c’è uno stupido che mi ha parcheggiato un liberty inutile davanti, esco male>> Marco arrossì e scosse la testa < >. L’uomo fece manovra e se ne andò, mentre Pagliuzza poté finalmente riprendere le chiavi. Aprì il sotto sella per prendere il casco che vi aveva posato qualche ora prima, e poi se lo infilò; ancora rosso in viso per tutto l’accaduto partì per tornare a casa, pensando a chissà quale piano per vendicarsi di Gabriele; ma la cosa per lui si rivelava fin troppo ardua. Sulla via del ritorno inchiodò ad un semaforo giallo che stava per scattare in rosso, ed aspettò la luce verde per ripartire; o almeno così voleva fare, dato che il suo motorino prima tossì, e poi morì spegnendosi letteralmente sotto ai suoi piedi mentre stava dando gas. Con gli occhi spiritati lo posò di fianco al marciapiede e ci diede un calcio con tutta la forza che poteva, era all’esasperazione: la spia della benzina segnava praticamente zero. <<Eppure ho fatto benzina tre giorni fa>> si diceva < > rimase incredulo. Ripose ancora una volta il casco nel

sottosella, ed ormai rassegnatosi con se stesso che quella non fosse la sua giornata, se ne andò a casa a piedi sconsolato. Fortunatamente non era lontana, abitava ad appena cinque minuti da lì anche a o d’uomo. Intanto Matteo aveva quasi riaccompagnato a casa Thomas, <<Eh Zio cosa dici?>> disse quest’ultimo < > e batté sul booster blu che al suo interno, nel sottosella conteneva due bottiglie piene di benzina verde. <<Ma cosa ne so io Tommi>> rispose Matteo < > sorrise sistemandosi gli occhiali a goccia < >.

7: -Una promessa che manterrò per sempre-

< > non faceva che canterellare Filippo in camera sua quando sfogliando vecchi fumetti quando dando uno sguardo al computer. Effettivamente una volta tornato a casa la prima cosa che aveva fatto era stato chiamare Michela, con la voce un po’ a scatti per l’emozione aveva da prima salutato la ragazza e dopo l’aveva invitata per quello pseudo appuntamento pomeridiano. La risposta, che era stata positiva e con apparente entusiasmo, lo aveva riempito di buon umore, e mentre faceva su e giù per la sua stanza aveva dato come orario il primo che gli veniva a mente, quello che di solito usava per incontrarsi con gli amici nel pomeriggio, appunto le quattro. Come luogo aveva scelto invece le baracchine sul lungo mare, “Diamo retta a Matte” aveva pensato. Una volta finito il pranzo, non faceva che trovare pretesti per far are più velocemente il tempo, e cercava di immaginarsi che piega poteva prendere l’evento. Effettivamente il tempo gli ò piuttosto in fretta, ed in men che non si dica si trovò a buttare all’aria l’intero armadio per cercare gli abiti adatti da indossare: cercava una maglietta che fosse adatta ad occasioni speciali ma pur sempre casual, i pantaloni più nuovi che aveva, una cintura sgargiante, ed il tutto doveva essere molto attillato, dato che a sedici anni vestiva così. Mise la musica a tutto volume sul computer come accompagnamento mentre si vestiva, ed andò in bagno infilandosi solo i pantaloni, non allacciandosi la cintura, e portandosi dietro la maglia. Si dette una sciacquata addosso e sotto le braccia, si mise il deodorante e poi si infilò la maglia. Strizzando il tubetto di gel per capelli se ne riempì le dita della mano sinistra, la parte che non aveva il gesso, poi lo strusciò in entrambe e si iniziò a modellare ammodo quei capelli che si erano afflosciati dalla mattina, per il caldo e l’uso del casco, fatto questo: era pronto. Prese le chiavi di casa e si apprestò ad uscire, < > chiese la madre < > rispose subito < >, non amava parlare dei suoi appuntamenti con le ragazze alla madre perché lo avrebbe riempito di domande. Per cui ogni volta che succedeva si inventava scuse quantomeno plausibili. Erano le tre e mezzo del pomeriggio di quel 21 Agosto quando iniziò ad incamminarsi verso le baracchine. La sua casa era vicina un po’ a tutto in

città: a meno di tre minuti di camminata arrivava in pieno centro, mentre con un quarto d’ora appiedi poteva essere sul lungo mare. Non guardò neanche la fermata degli autobus, non gli piaceva prenderlo, o rischiare di arrivare in ritardo, visto il servizio pubblico che c’era. Arrivato al luogo dell’appuntamento si mise ad aspettare Michela a braccia conserte, braccio destro sopra il sinistro ingessato. Mancavano ancora dieci minuti alla quattro del pomeriggio, e lui odiava stare fermo senza fare niente. Iniziò quindi a guardare l’orario dal display del suo telefonino circa ogni trenta secondi, e per i anti che lo vedevano era uno spettacolo a dir poco curioso. Erano le quattro e sette minuti quando la ragazza si presentò all’appuntamento <<Scusa per il ritardo>> disse < > rispose lui facendo spallucce con aria indifferente < > continuò mentendo per far vedere che non le dava troppa importanza. La guardò bene, squadrandola da cima a fondo, non si era truccata tanto, la cosa che risaltava di più sul suo volto erano i suoi occhi verdi e il suo sorriso, si era messa una magliettina bianca con qualche scritta sopra, non si poteva indossare altro vista l’alta temperatura, e un paio di jeans chiari. Scarpe di un azzurro chiaro piatte e senza tacco, con le stringhe di un blu scuro, e stranamente per una ragazza non aveva con se neanche una borsetta. < > fece lui <<Ti va di andarci a sedere un po’ lì alle baracchine? Magari prendiamo qualcosa da bere?>> lei annuì < >, poi prese di tasca il telefono cellulare e premette qualche pulsante, come se stesse mandando un messaggio, il ragazzo notò il gesto, “probabilmente lo manda a un’amica o ai genitori”. Entrarono dentro una delle tante baracchine, scelsero più o meno a caso. Filippo pagò per entrambi, prese un tè in brik alla pesca per se ed un caffè espresso a Michela “Solo a te non piace il caffè!” pensò ricordandosi la sbottata di Matteo quella mattina. Poi si sedettero sulle sedie di vimini adiacenti alla baracchina l’uno di fronte all’altra, a separarli solo un tavolino in marmo e vetro dove posero le rispettive bevande. < > chiese la ragazza sorseggiando il suo caffè, < > disse lui < > posò il tè sul tavolo < > disse la ragazza incuriosita, < > rise lui che effettivamente, di quel discorso dei freni usurati, non aveva chiaro niente. La chiacchierata andò avanti sugli argomenti più svariati, dalla scuola a cosa stavano facendo quell’estate, dallo sport che praticavano a quali erano i loro hobby; <<Sai cosa Michi? Mi stavo chiedendo con chi stai di gruppo te? Voglio dire, della gente della mia età conosco quasi tutti in città, com’è che non ti ho mai vista in giro? >>. A questa domanda la ragazza voltò subito lo sguardo in chissà quale

direzione, e andosi una mano tra i capelli iniziò come per tergiversare rispose <<Sicuramente non li conosci, non frequentiamo mai luoghi dove vanno troppe persone>> Filippo aggrottò la fronte <<Ma almeno dimmi un paio di nomi, magari mi viene a mente qualcuno>> lei scosse il capo sorridendo < > così facendo chiuse l’argomento. Al ragazzo sembrò strana la cosa, ma non ci diede più di tanto peso, in fondo se gliene avesse voluto parlare, avrebbe avuto tutto il tempo di farlo. Parlarono ancora per una mezz’ora buona, poi si alzarono per fare due i, l’uno camminava quasi saltellando spensierato, l’altra composta lo guardava attenta sorridendo di tanto in tanto alle battute che faceva “non è per niente come mi avevano descritto” pensava sorpresa “sembrava solo una testa calda, invece mi sembra di più un bambino tredicenne” era sorpresa di questo fatto, tutto il fare scanzonato di Filippo la metteva a come suo agio. Tra il parlare e il guardarla Filippo finì per sbattere il braccio ingessato contro un cestino della spazzatura, si senti un forte tonfo < > disse di scatto iniziandosi a strusciare con la mano destra il gesso a tutta velocità. Michela si fermò e si voltò di scatto <<Ti sei fatto male?>> < > rispose lui a denti stretti < >. La ragazza rise, questo con cui si era trovato ad uscire era davvero un tipo buffo. Camminarono per un lungo tratto, fino a quando la eggiata sul lungo mare si biforcava in due vie: l’una adiacente alla strada e l’altra era un vialetto per eggiare sempre sul lungo mare ma dall’interno. Su quest’ultimo vialetto c’era un muretto alto circa ottanta centimetri, oltre e sotto il quale c’era il mare. In mezzo alle due vie inoltre c’erano dei prati separati dalle due strade da un piccolo scalino, si estendevano per qualche decina di metri in lunghezza e per un sei sette in larghezza. Su di essi l’erba era di un verde intenso, quello che si può trovare solo nel clima estivo una volta ata la primavera. Erano ben curati ed alle estremità dei lati avevano dei grandi cespugli, forse per impedire a quelli che eggiavano vicino al mare di avere la costante visuale sulla strada dove ano le macchine. Non era raro che nel periodo estivo inoltre, vi ci si fermassero sopra le squadre di calcio e non, per fare la preparazione prima della nuova stagione, ma quello accadeva nel tardo pomeriggio, poche ore prima di cena, quando il caldo calava ed era meno faticoso andare a correre. I due ragazzi si fermarono lì nel mezzo per sedersi e riposarsi un po’, principalmente per la temperatura alta, e si ripararono un po’ dal sole dietro l’ombra di un cespuglio. Ci arono dieci minuti buoni. <<Sta ferma>> disse lui, un piccolo ragnetto si stava arrampicando su per il braccio di Michela, e Filippo con molta calma lo prese tra l’indice e il pollice e lo posò a terra tra i fili d’erba. La ragazza fece un urlo quando lo vide, < > lui si pulì la mano sui jeans

<<Si, ma era un ragnettino, niente di ché>> disse ostentando superficialità. Con fare sospettoso Michela si guardò intorno, cercando forse altri ragni o insetti vari che le si potevano avvicinare, ma a parte qualche formica sparsa per l’erba non ne vide alcuno. < > < > rispose subito Filippo “Con tutti i fumetti dell’Uomo ragno che mi sono letto da bambino, al massimo ho sempre sperato mi pungessero per avere i super poteri” pensò. Strusciandosi un po’ la maglietta, ed allargandosi senza volerlo la scollatura, la ragazza fu incuriosita <<Sentiamo allora>> si fermò un momento facendo un malefico sorriso < > scandì bene l’ultima parola. Filippo, sorpreso a dare fugaci occhiate al suo seno, spostò lo sguardo dando un colpetto di tosse. Poi tornò serio e aggrottò la fronte storcendo la bocca: era una domanda che gli veniva posta spesso, le più volte la risposta finiva con lui che se ne vergognava, così con voce flebile disse < > Michela ne fu sorpresa < > rise andosi una mano tra i capelli castano biondi <<E poi?, Nient’altro?>> lui si stiracchiò e sbuffò, sbuffò forte, < >. La risposta colse la ragazza alla sprovvista, tanto che non riuscì a trattenersi da una breve risata < > < > disse lui con fermezza <<Ma per buio intendi che hai paura quando sei in un ambiente dove non vedi niente, e hai paura di andare addosso alle cose o non sai dove orientarti?>> chiese la ragazza. Filippo scosse la testa come a dire “No” < > disse invece, quella era una cosa per cui veniva molto preso in giro, “Proviamo a buttarla sullo scherzo” pensò, < > Michela arricciolò il naso < > < > forse la battuta era andata a segno, o forse era esilarante il fatto che un ragazzo della stazza di Filippo avesse ancora paura del buio; ma la ragazza a quel dire, scoppiò a ridere di gusto. Si alzarono di nuovo ed andarono verso il muretto davanti al mare, lei ci si appoggiò guardando l’orizzonte per un istante, mentre lui con un salto ci si mise a cavalcioni con un sonoro “Oplà”. Si sentiva il rumore delle onde che si posavano sugli scogli, la ragazza sospirò e si sporse un po’ < > Michela inarcò un sopracciglio, e lui ne fu colpito, a lui riusciva alzare un solo sopracciglio, ma la cosa non era semplice e non l’aveva mai vista fare ad altre persone. < > rispose invece lei dandogli

una lieve spinta con una mano alla gamba. Filippo, che era seduto sul muretto esattamente a metà tra vialetto e mare, perse per un attimo l’equilibrio e portò le mani per aria iniziando a rotearle cercando di riprenderlo <<Miseriacc…>> forse a causa del peso del gesso, era più difficile del solito riacquisirlo, e sbilanciandosi gradualmente, ma sempre di più, stava davvero per finire in acqua. La ragazza in un misto di risa e preoccupazione lo strattonò per la maglia nel tentativo di non farlo cadere, ma evidentemente la foga del farlo velocemente la fece tirare troppo forte, ed invece che in acqua il ragazzo cadde di testa tra il ghiaino del vialetto con una sonora botta. < > fece da terra strusciandosi forte con la mano destra la testa < >. Michela scoppiò a ridere, con quel suo bellissimo sorriso di dente bianchi e grandi incisivi <<E’ colpa tua, così la smetti di vantarti, fai tanto il super uomo e poi per una piccola spinta guarda che scene>> <<Ma… ma…>> provava a controbattere il ragazzo <<Ti ci sta’ solo bene>> faceva lei sempre ridendo. Le altre persone che eggiavano nei dintorni, e si erano accorti della scena, li osservarono divertiti, qualche giovane coppietta non faceva che ammiccare al compagno o alla compagna Filippo che si rialzava tutto dolorante e sporco di terra sulla maglia, mentre si scuoteva testa e pantaloni, e Michela che con botte forti sulla schiena scuoteva la terra rimanente, con i lamenti di lui per la troppa enfasi con cui le stava dando. Alla fine il ragazzo non contento della caduta appena fatta, si rimise nuovamente a cavalcioni sul muretto, esattamente nella solita posizione di poco prima. All’orizzonte si vedevano due navi da crociera che probabilmente, aspettavano di attraccare nel porto. Guardandone una Michela disse <<Sai come mi piacerebbe fare una lunga crociera nel Mediterraneo, sai che sono stata già in Grecia?>> < > fece lui con indifferenza, non è che gli pie poi così tanto la Grecia come meta <<Si, però il mio sogno è vincere una bella somma ed andarmene in giro per tutto il mondo, soprattutto nei luoghi tropicali anche dell’America, belli! Un bel sole mare e spiaggia bellissimi, magari quando ci o brasiliani con un fisicone>> Filippo si voltò di scatto < > lei gli fece sciò con la mano < > sospirò a fondo < > fece una breve pausa ed improvvisamente si rabbuiò, < >. Non voleva vederla triste, neanche per un secondo, quindi con le mani si schiacciò le guance più che poteva, facendosi venire una bocca come i pesci, contrasse il naso e socchiuse

gli occhi <<Strabiliante tipo questa?!>>. Michela alla visione ricambiò subito espressione e spintonandolo rischiando di nuovo di farlo cadere tornò a sorridere <<Si tipo quella! Come sei stupido!>>. Poi lo guardò <<E tu invece?>> disse < >. Filippo alla domanda si grattò dietro la nuca inclinando la testa verso il basso < > e sorridendo iniziò ad elencarli battendosi sulle dita < > Michela rise portandosi una mano alla bocca e poi lo guardò di nuovo con i suoi occhi verdi < > e rise di nuovo <<Ma io intendevo un sogno proprio tuo, qualcosa che davvero ti piacerebbe molto>>. Filippo allora portò insù lo sguardo per pensare < > alzò anche la testa iniziando a guardare il cielo azzurro come per fantasticare < > fece strizzando gli occhi. La ragazza alzò le sopracciglia e lo fissò fino a quando non incrociò il suo sguardo < > Filippo allora si grattò di nuovo la testa imbarazzato, distolse lo sguardo cercando un punto vuoto, e così si fermò sull’immagine dell’orizzonte del mare che in quella lontana linea diventava un tutt’uno con il cielo pieno di nuvole bianche < > disse sempre molto imbarazzato < > Michela fece di si con la testa e poi gli fece cenno di continuare <<Ecco… io voglio essere così, un giorno voglio riuscire ad essere come il Sole, come una stella che brilla, così da poter illuminare tutte le persone che mi stanno vicino e alle quali voglio bene. Voglio brillare di una luce tanto forte, da far star bene tutti e non farli mai rattristare>> si girò completamente dalla parte opposta a Michela < > ci fu una breve pausa < > disse lei < > Filippo allora si girò < > < > confermò Michela < > fece dubbiosa < > lui aggrottò le sopracciglia e con un aria che sembrava affermare una risposta scontata e disse <
illumina?>> lei batté le mani come in un applauso < >. Il ragazzo si grattò la testa per la medesima volta strizzando gli occhi < > ammise <<Ma mettiamola così: se quelli a cui tieni stanno bene, di risposta stai bene anche te giusto?>> < > confermò lei < >. A quella risposta Michela rimase stupita, non pensava che fosse un tipo simile, sembrava il solito ragazzo belloccio, altezzoso superficiale, che si dava un sacco di arie e andava in cerca di grane. Effettivamente a guardarlo Filippo, sembrava così anche a lei: capelli castano-biondi, tinti e tirati all’insù con chissà quanto gel; due grandi occhi azzurri con un colore simile a quello del cielo, un viso carino ed un fisico abbastanza muscoloso, non tirato come un modello ma meglio di molti altri ragazzi che si trovano in giro. Aveva tutto l’occorrente per fare il classico tipo che sfruttava le ragazze e ne cambiava almeno una al mese, oppure essere un mezzo teppista facendo valere la sua stazza. Invece aveva un comportamento timido ed infantile, nonostante lo mascherasse bene essendo allegro vivace e facendo un po’ lo spaccone. In definitiva si era trovata ad uscire con un ragazzo caratterialmente opposto a quello che gli avevano descritto o da come si era potuta immaginare, e cosa ancora più strana si trovava davvero a suo agio con un tipo così. Si sentì soffocare, quasi come se un senso di colpa la schiacciasse “No” pensò “Non voglio che poi lui… però… è davvero un bimbo d’oro”. < > disse <<Mi prometti una cosa?>> lui si irrigidì tutto e gonfiò il petto < > lei gli si avvicinò e gli dette un bacio sulla guancia, poi portando le labbra al suo orecchio <<… Non cambiare mai>>. Filippo arrossì un po’ ed allargò la bocca facendo il sorriso può largo e grande che poteva < > fece battendosi sul torace < > annuì forte facendo anche un cenno con la testa. Allora si guardarono intensamente, lei si mise sulle punte ed allungò il collo, e lui da seduto su quel muretto si abbassò, le loro labbra si incontrarono e si diedero un lungo bacio. Ad una decina di metri di distanza, sulla via parallela alla strada, un vecchietto che ava da lì in bicicletta li guardò mentre dava lente pedalate, e borbottando tra se e se si lasciò sfuggire un “Ah com’è bella la gioventù!” .

8: -I pomeriggi dallo Zio non sono sempre rilassanti-

Era la giornata del 28 Agosto, e dopo i soliti giorni ati tra mare, uscite pomeridiane e serate a zonzo tra bar, piazze e baracchine sul mare, per Matteo iniziava una lunga settimana senza genitori in casa. Per celebrare la loro partenza che segnava l’inizio del ritrovo giornaliero lì con gli amici, aveva detto a tutti la sera prima, mentre erano in giro per la città, che li avrebbe tutti invitati a pranzo, anzi, che se si mettevano d’accordo e compravano un po’ di carne a testa da un supermercato, avrebbero fatto anche una bella brace sfruttando i pochi metri quadrati di cortile. Casa di Matteo era un appartamento, come detto, in una palazzina di fronte alle baracchine sul lungo mare. Entrati si era subito in un corridoio dove sulla destra c’erano gli attaccapanni, fatti due i sulla sinistra si poteva trovare un bagno e poi la cucina, mentre sulla destra il salotto e poi la camera dei suoi genitori. In fondo al corridoio si trovava un secondo bagno. Subito all’entrata inoltre, c’era una rampa di scale, salendole si andava ad una sorta di secondo piano, anche questo fatto a corridoio con due stanze. Queste si affacciavano come soppalchi una nel salotto della casa, era usata quasi come un ripostiglio, ed una nella camera del ragazzo, dove si trovavano due letti adibiti ad eventuali ospiti per la notte. Quella mattina Matteo si era svegliato in tarda mattinata, intorno alle undici, e si era preparato una colazione di un plum-cake una tazza di latte e cereali, e diversi biscotti. Poi con gli occhi ancora semichiusi si era subito messo al computer per rimanere d’accordo con gli amici, e come si aspettava tutti avevano confermato la loro presenza, “avvoltoi scrocconi”, tutti a parte Filippo che, aveva scritto in chat sul computer, sarebbe uscito nel pomeriggio con Michela, e quindi avrebbe mangiato un boccone a casa per poi iniziare a prepararsi. A detta sua, sarebbe stato inutile andare lì per un ora e mezzo o poco più; “cavoli suoi” pensava Matteo strusciandosi gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco la vista ancora appannata dal sonno appena concluso. Aveva poi avvisato gli altri di venire a casa sua intorno all’una e mezzo del pomeriggio, circa due ore dopo la conversazione in chat, e si era buttato sul divano spaparanzato a fare zapping alla televisione per vedere se c’era qualcosa di interessante. Non avendo trovato nulla di bello Matteo si alzò, e grattandosi il sedere sbadigliando andò a farsi una doccia, si mise la maglia di

un pigiama estivo e dei pantaloncini da calcetto amaranto. Quindi sdraiandosi sul letto di camera sua ancora tutto sfatto prese un joystick in mano ed iniziò a giocare ai videogame. Arrabbiandosi dopo un paio di partite perse, spense la console e guardò l’ora: era l’una e dieci “Tra poco dovrebbero iniziare a venire i bimbi” pensò. Rifece il letto ed andò a sdraiarsi di nuovo sul divano per riaccendere la televisione. Il primo ad arrivare come si aspettava fu Marco, nessuno sapeva se ad andare in anticipo fosse il suo orologio o più semplicemente la sua testa. Matteo appoggiato alla porta di entrata di casa sua lo salutò con un semplice < >. I due si dettero un cinque, poi Marco posò il giacchetto all’attacca panni ed andando in salotto si lasciò cadere sul divano < > disse Matteo facendo finta di rimproverarlo per il modo brusco con cui si era seduto; e poi sotto voce < >. A seguire arrivarono Gabrielino e Christian, poi uno dopo l’altro i restanti. Si sedettero al tavolino dopo averlo apparecchiato tutti insieme, e Matteo mise acqua e pane davanti a Luca e Gabrielino che si punzecchiavano a vicenda. < > gli fece, i due si guardarono reciprocamente e protestarono <<Pane e acqua nemmeno ai carcerati>> Matteo neanche si voltò < > aprì un canterale dei mobili che aveva in cucina e ci prese due sacchi: uno di carbone e uno diavolina, che posò accanto Marco mentre questi preparava l’occorrente per la brace nel cortile adiacente alla stanza. Ognuno dei ragazzi aveva portato qualcosa da mettere sopra le grate, chi salsicce chi wurstel, ma la più succulenta era la bistecca chianina che aveva portato Diego, tanto alta e larga da bastare almeno per tre persone. Il braciere non era tanto grande e questo aveva i suoi pro e contro, infatti se da un lato non ci voleva tanto per farlo scaldare e non avrebbe fatto tanto fumo da impregnare tutta la casa, dall’altro sopra non ci si poteva mettere una grande quantità di carne, e si sarebbe spento presto. Christian prese un forchettone da brace, e la cosa fece subito allarmare Thomas che si ricordò del rischio corso alla Cala < > si era alzato dalla sedia e glielo aveva preso di mano < > fatto ciò il ragazzo prese una bistecca e la posò sulla griglia mentre Marco spargeva i carboni incandescenti da per tutto sulla teglia del braciere. < > disse Marco girando una salsiccia mentre la carne era al fuoco, < >. Il ragazzo tornò dentro casa e prese un grosso canovaccio, che iniziò poi a sventolare vicino la brace come aveva detto di fare l’amico. Nello sventolio però, non si accorse di essersi messo davanti all’entrata della cucina e di aver iniziato ad inondare di fumo tutta la stanza. Diego si alzò all’istante e chiuse la porta finestra, ma ormai il fumo si era sparso, e Matteo spuntò fuori dal salotto

borbottando <<Ecco. Ma io lo sapevo. Ora mi date anche fuoco alla casa?>> risero un po’ tutti, additando Luca che dietro il vetro si grattava la barba in segno d’imbarazzo < > disse Matteo < > < > aggiunse Christian < > Diego si versò un bicchiere d’acqua < > e Matteo subito < >. Il ragazzo sapendo che non lo dicevano con malizia non se la prese, ma vide bene di non replicare, e si limitò a sistemarsi il cappellino ridendo insieme agli altri. Dopo una ventina di minuti iniziarono finalmente a servirsi i primi piatti, maionese e ketchup come condimenti, e vino bianco e rosso da bere oltre all’acqua; finirono praticamente tutto quello che c’era da mangiare, < > fece Matteo vedendo sparire senza troppi complimenti tutte le portate. Finirono poi la prima bottiglia di vino, poi la seconda, la terza, <<Sai cosa Matte? Ti sei scordato un po’ di limoncello>> gli disse Thomas < > gli rispose lui stizzito; Gabriele stava prendendo in giro Luca per la troppa barba che aveva < > gli diceva < >, lui voleva ribattere qualcosa, una qualsiasi cosa, ma era talmente pieno e alticcio dopo la mangiata che la cosa gli provocava sonnolenza; e si limitò a puntargli il dito sul volto un paio di volte sbattendo un po’ le palpebre. < > gli diceva Christian ridendo, e poi < > mentre il ragazzone alzava ancora una volta la bottiglia di vino rosso, < > gli fece Thomas. A quelle Parole Luca borbottò qualcosa di incomprensibile, si alzò dal tavolo e andò a sedersi sul divano, dove appena toccati i guanciali, piombò in un sonno profondo, seduto testa in alto e bocca spalancata per russare. I ragazzi iniziarono pian piano a sparecchiare con le poche forze post abbuffata che si sentivano, < > fece Matteo <<Si finisce dopo… avanti letti o divano, guardiamoci un po’ di tele e prendiamo fiato>>. Diego che non faceva altro chereflussi gastro esofageiannuì con la testa <<Si si, bella idea, ti appoggio in pieno Zio>>. I due si misero in camera di Matteo sdraiati sul letto l’uno accanto all’altro, Thomas e Marco andarono al piano di sopra nei due lettini singoli; la camera di Matteo era però proprio sotto i due letti, e la stanza risultava come un unico stanzone con un soppalco, di modo che i quattro ragazzi si potessero parlare e ad occhi chiusi iniziare a fare battute su tutto e tutti, accompagnate da una risata sguaiata. Gabrielino e Christian intanto erano andati a recuperare un po’ di energie nel salotto, dove Luca stava ronfando sonoramente. Appena Gabriele lo vide si portò istantaneamente una mano alla bocca per trattenere una risata, Christian invece per trattenersi si tappava gli

occhi e si piegava tenendosi la pancia. Il minuto diciottenne si portò il dito indice sulle labbra e fece cenno all’amico di tacere, poi silenziosamente si avvicino a Luca e gli ò una mano davanti agli occhi più volte: nessuna reazione. Così prese poi due grossi guanciali dal divano, uno se lo tenne e l’altro lo ò a Christian, e questa volta gli fece cenno di avvicinarsi; poi gli mostrò mimando cosa voleva fare e lesse il labiale dell’ecuadoregno, come si aspettava era un “Vai”. I due contarono con le dita insieme fino a tre, e poi agirono. Con i cuscini colpirono simultaneamente e con tutta la loro forza il poveretto, che dal canto suo se la dormiva beatamente, l’uno mirò il volto, con le narici spalancate e la bocca aperta, l’altro l’addome, ancora rigonfio per il pasto da poco consumato. Luca si svegliò all’istante di soprabalzo con lo sguardo perso e spaurito, ansimando affannato. Si voltò di lato prima da una parte e poi dall’altra, ci mise un po’ a mettere a fuoco Christian e Gabrielino e a rendersi conto dello scherzo che gli avevano appena fatto, quando poi lo capì si arrabbiò e brontolò “Non sapete di nulla”; in realtà quello che uscì fuori dalla sua bocca impastata dal sonno fu solo un borbottio incomprensibile, che non fece altro che aumentare la quantità di risate degli altri dei due, ormai prima piegati su loro stessi e poi accasciati sul pavimento del salotto. Ormai allo stremo quindi si addormentarono lì dov’erano, mentre Luca si ributtò a pesce morto sul divano, nella speranza di non essere più disturbato; ci vollero circa dieci secondi, prima che si riaddormentasse. arono un’ora buona a dormire chi in una stanza chi in un'altra, fino a quando, intorno alle tre e mezzo del pomeriggio il telefonino di Diego squillò < > fece lui con una voce oltremodo cadaverica < > <<Ehn?>> fece lui scuotendo la testa e strusciandosi gli occhi <<Ma chi è?>> la voce dall’altra parte del telefono rise <<Ma come chi sono? Sono Pippo, babbeo! Ora avete iniziato a drogarvi quando non ci sono io?>> Diego alzò il busto portandosi a sedere spalle al muro e gambe sempre sdraiate per lungo sul letto < >. Intanto tutto quel muovesi sul letto aveva svegliato anche Matteo, che in un turbinio di scatti ad occhi chiusi aveva preso un CD appoggiato sul comodino e l’aveva lanciato su per aria, facendogli scavalcare la piccola ringhiera di legno oltre la quale dormivano Marco e Thomas, si sentì un profondo >. Quest’ultimo era di Marco, il CD gli era arrivato proprio sulla schiena svegliandolo < > gli disse Thomas con un braccio ciondoloni dal letto < >. Giù intanto al telefono < > < > rispondeva Diego al telefono < > allora il ragazzo si staccò il

telefono dall’orecchio e portò la testa all’insù per farsi sentire meglio <<Eh Marco, ha detto Pippo te le dà>> la risposta non tardò < >. Matteo era sceso dal letto e si grattava il sedere tentando di riprendersi un po’ <<Marco a te e a Pippo ve le do io da seduto, nudo, e con le mani in tasca>> Diego rimise il telefono all’orecchio <<Marco Pippo te le dà anche se ha il gesso>> e lo Zio <<Marco il gesso di Pippo te le dà>> Su nel soppalco il ragazzo era sceso anche lui dal letto <<Ecco no? Ma io dico, almeno appena sveglio mi lasciate fare i cavoli miei?>> ma ormai tutti erano già partiti. Quando alla fine il ragazzo si stava iniziando ad alterare sul serio, si alzò anche Thomas, che schioccandosi la schiena fece < > e poi < > < >, Diego salutò l’amico al telefono, si diedero appuntamento la sera stessa di quel giorno, e si dissero che si sarebbero sentiti via computer < > gli raccomandò Matteo ad alta voce <<Si Zio vai tranquillo>> si sentì fare dal telefono, poi Diego riattaccò. Nel salotto intanto gli altri tre se la dormivano beatamente, Luca sempre sul divano a russare e Gabrielino e Christian con un cuscino a testa sul pavimento, a cambiare la scena tempestivamente ci pensò Matteo, che colpendo forte con le nocche la porta fece un grande baccano e svegliò tutti mentre gridava <<Su in piedi branco di debosciati! Non è mica un albergo casa mia!>> Gabrielino si svegliò dando un calcio a Christian, e quest’ultimo frastornato dal sonno iniziò a guardarsi intorno e a cercare a tentoni il suo cappellino, che gli si era levato mentre dormiva. A Luca invece quella confusione non aveva fatto ne caldo ne freddo. Sceso dal soppalco a piano di sopra Thomas, spostò Matteo e si portò vicino all’amico che non accennava a risvegliarsi, poi si schiarì la gola e disse a voce alta < > come se fosse stata pronunciata la parola magica che sveglia dalla trance un volontario di uno spettacolo di magia, il ragazzo saltò di botto in piedi, con gli occhi ancora semi chiusi < > risero un po’ tutti, un bestione di un metro e ottantacinque che si alzava a comando con un viso da zombie era una scena piuttosto rara da vedere. Quando tutti furono riuniti in salotto, decisero all’unanime di vedere un film, così tirarono fuori i DVD registrati o scaricati illegalmente dal computer dal padre di Matteo, a sentire il figlio la sua opinione dell’uomo sull’argomento era: “Figuriamoci se devo spendere trenta euro per vedere un film, o dieci euro per comprarlo taroccato da un marocchino, che o è registrato male o è un film porno, non che i porno mi dispiacciano”. Iniziarono quindi a guardare i titoli dei film, alcuni vennero scartati a priori, altri erano già stati visti, altri ancora piacevano ad alcuni ma non a tutti; e sembrava che la cosa

andasse per le lunghe. Presi da una parte alla fine i possibili titoli dei film da guardare, si decise di prenderne uno a caso chiudendo gli occhi e posando la mano in uno di questi. Si sedettero dunque tutti stretti sul divano in modo e maniera da entrarci tutti, accesero la televisione e poi inserito il DVD nel lettore, iniziò il film. Sfortunatamente era quanto di più brutto potesse essere registrato su una pellicola, la trama era di un buco nero che si era creato non molto lontano dal pianeta Terra, ed aveva iniziato a destabilizzarne la gravità, i migliori scienziati non ci potevano fare niente e l’unico che aveva capito come risolvere la situazione, era il fratello autistico di un padre di famiglia, al quale però non veniva dato peso. Gli effetti speciali sembravano realizzati da un bambino di cinque anni, le riprese erano tutte mosse, le situazioni inverosimili, il buco nero alterava così tanto la gravità del pianeta che le case venivano sollevate per aria ma le persone no, i fulmini dei temporali cercavano di colpire solo l’auto dei protagonisti, e dal cielo piovevano chicchi di grandine grossi come mele, mentre le persone erano all’aria aperta in magliette a mezze maniche. <<Mamma mia Zio, ma che Film scarica tuo padre?>> disse Diego <<Ma lo sai te?>> < > aggiunse Gabrielino che con la sua “R” moscia, venne pronunciato su per giù “ovvido” tant’è che anche Marco gli fece il verso <<Si, si ovvido davvero>>. Parlata strana a parte o no il film iniziava a mietere vittime, quasi tutti stavano iniziando di nuovo a prendere sonno <<Si mangia qualcosa?>> propose Christian < > gli rispose Thomas < > Matteo si voltò <<Mica male come idea, per me và bene>>. Buttarono tre o quattro euro a testa e decisero a grandi linee cosa prendere: due pacchi di brigidini tre croccanti ai pop-corn e qualche pacchetto di noccioline caramellate; Luca si offrì volontario per uscire a comprarlo < > disse. Il ragazzo uscì dalla casa, abituato alla poca luce del salotto quella del sole delle quattro del pomeriggio ad Agosto fu un po’ troppa, quindi gli ci volle un attimo per ambientarsi, oltre a rendersi conto che fuori era giorno pieno. Attraversò la strada sulle strisce pedonali e si trovò subito sul lungo mare, la casa di Matteo infatti era distante poche decine di metri dalle baracchine, stava proprio davanti alla Terrazza, che la sera era la zona delle loro uscite. Camminò per pochi minuti prima di trovarsi di fronte uno di quei classici chioschi che vendano dolciumi; si ricordò allora la lista che avevano detto. “Allora” pensò mettendosi in fila al chiosco, prima di lui c’era una sola persona che stavano servendo, “… Non ricordo bene cosa devo prendere”; mentre il ragazzo faceva mente locale il venditore gli diede il turno < > gli domandò. Luca, probabilmente sempre intontito per gli effetti del vino aveva

confuso tutto, l’unica cosa che si ricordava bene erano i due pacchi di brigidini “oppure erano tre?” si chiedeva <<Mi dia per favore dei brigidini>> < > < > fece sicuro, ma poi stette in silenzio e spostò gli occhi all’insù prima a destra e poi a sinistra per cercare di ricordasi. Il venditore dal canto suo si mise a braccia conserte e lo guardò un po’ attonito, ci furono trenta o quaranta secondi di silenzio < > domandò di nuovo; Luca era nella confusione più assoluta ma nel dubbio aveva imparato a fare di più, che meno, quindi disse un sicuro < >. Nonostante avesse fatto confusione nel cosa prendere non voleva più stare zitto o fare la figura di un indeciso, per cui si disse “Vada come vada!”; quando il venditore chiese se voleva altro, senza la minima forma di dubbio o esitazione il ragazzo rispose < > si ricordava che c’era anche un'altra cosa, ma non sapeva bene cos’era <<E anche tre bustine di lupini>> quel che era detto era detto, il venditore gli mise il tutto in una busta, lui pagò e se ne tornò verso casa di Matteo. “All’incirca credo di aver preso tutto” si diceva mentre suonava il camlo e il grosso portone automatico dello stabile di Matteo si apriva. Sull’uscio lo aspettava Marco, anche lui con la faccia assonnata vuoi per essersi svegliato da poco vuoi per il film atroce che stavano continuando a guardare. Entrato in salotto e svuotata la busta i visi degli amici che lo guardavano erano un po’ perplessi < > disse sbalordito Diego, Gabrielino era piegato in due dalle risate sul divano, quasi non respirava < > gli fece Thomas <<Ma te per chi l’hai fatta la spesa?>> Luca tergiversava < > ribatté consapevole dell’errore “Ecco, lo sapevo ho sbagliato” pensava; Matteo intanto cercava il croccante ai pop-corn e si ritrovò davanti due pacchi di pop-corn appena fatti e ancora caldi, e due croccanti alle arachidi, atterrito lo guardò disperato < >. Christian gli posò una mano sulla spalla, e sistemandosi da dietro il cappellino < > Luca se lo scrollò letteralmente di dosso, <<Se vuoi la prossima volta vengo con te, nel caso ti do anche la mano e ti aiuto ad attraversare la strada>> continuava Christian < >. Gabrielino tra una risata e un’altra < >, Diego intanto era come in un mondo tutto suo < > continuava a ripetere. Nonostante la spesa fatta da Luca fosse quasi del tutto errata, fu un ottimo atempo mentre i ragazzi finirono di vedere il film, che diventava sempre più orrendo ogni minuto che ava. Alla fine levato il DVD dal lettore fu quasi un sollievo che fosse finito, si riproposero di andare a leggere

le recensioni su internet, e presero stavolta un videogioco sul calcio. A squadre due contro due si sfidarono a partite su partite con la loro squadra preferita, e da lì il pomeriggio sembrava avere preso una piega nettamente migliore. Esultanze stratosferiche ad ogni goal, con tanto, talvolta di aeroplano o maglia lanciata; contestazioni ad ogni fallo laterale o sull’uomo; imprecazioni contro l’arbitro quando tirava fuori il cartellino; e sudate durante le partite che sembravano dovute a corse di chilometri e chilometri. Durante una partita che vedeva Thomas e Matteo impegnati in un duro conflitto contro Christian e Diego, quest’ultimo si sentì vibrare il telefonino < > fece premendo il tasto start e mettendo in pausa il gioco prima di battere un calcio di punizione <<Mi stanno chiamando>>. Si infilò una mano nella tasca dei bermuda e tirò fuori il telefonino, il display brillava con la scritta “Pippo Orco”. < > disse asciugandosi la fronte << E’ un’altra volta quella stupida scimmia>>, premette il pulsante verde per accettare la chiamata e poi si avvicinò il cellulare ad un orecchio < > sembrava parlare con qualcuno “gli deve essere partita la chiamata” pensava < >. Ad un certo puntò mentre sentiva le parole dell’amico sbarrò gli occhi, stette un po’ al telefono ad ascoltare senza aprire bocca e poi aguzzò lo sguardo come per concentrarsi di più su quello che stava ascoltando. Gli altri presero a guardarlo incuriositi dal suo comportamento. < > gli chiese Gabrielino; ma Diego lo interruppe mettendogli una mano davanti al volto e continuando ad ascoltare sempre più attento ed accigliato. Quando finalmente premette il tasto rosso e buttò giù la chiamata, si mise in tasca il telefonino e si alzò di scatto. Con o svelto andò a prendere il casco che aveva posato vicino al divano < > diceva < >, gli altri non riuscivano a capire < > lo chiamavano < > il ragazzo aveva un’espressione terribilmente preoccupata; <<Svelti>> disse mentre si sistemava. Si fermò sotto la porta del salotto e poi si girò verso tutto il gruppo che era in attesa di una qualche spiegazione. Facendo cenno con la mano invitò tutti a seguirlo < > disse serio < >.

9: -Disaster date: un appuntamento troppo affollato-

L’appuntamento che Filippo si era dato il pomeriggio del 28 Agosto con Michela, era fissato per le quattro e venti, quattro e mezzo, ed il ragazzo si era iniziato a preparare a casa sua un’ora e mezzo prima. Si era fatto la doccia, profumato tutto, si era messo una delle magliette più sobrie che avesse nel guardaroba, e tirato su i capelli alla solita maniera con quella pseudo crestaciuffo a banana. Certo col gesso alle solite non era stato un compito per niente facile, soprattutto la doccia, che aveva dovuto fare con un braccio fuori dalla cabina, ma iniziandosi a preparare presto aveva avuto il tempo di fare tutto. Era uscito alle tre e venticinque di pomeriggio da casa, e sempre con il lettore Mp3 nelle orecchie aveva guardato gli orari dell’autobus che portavano in villa Corrado o nelle sue vicinanze; poi, sperando che almeno quel giorno gli autobus fossero arrivati in orario, si era messo ad aspettare sulla panchina della fermata. Odiava prendere gli autobus, il motivo principale era che doveva sottostare agli orari altrui, ed era una cosa che non sopportava, in tutta la sua vita inoltre ne aveva presi davvero pochi, aveva ricevuto il motorino appena scattati in quindici anni e da allora non l’aveva mai lasciato, se doveva andare in un posto e non poteva prenderlo preferiva andare a piedi, accompagnato dalla musica nelle orecchie. Ma villa Corrado era veramente distante dal centro città dove lui abitava, ci avrebbe messo almeno una quarantina di minuti a piedi per arrivarci, e di pomeriggio a fine Agosto, camminare così tanto sotto il sole, lo avrebbe fatto arrivare decisamente troppo sudato per un appuntamento. Mentre aspettava l’autobus, che sarebbe dovuto arrivare alle tre e cinquanta, per ingannare il tempo aveva chiamato Diego e aveva sentito com’era la situazione a casa dello Zio. Poi scherzando un po’ e facendo un paio di battute su Marco, gli aveva detto che si sarebbero visti tutti la sera stessa; il suo amico invece, gli aveva raccontato prima cosa stavano facendo, e poi era stato interrotto dalla voce di Matteo, che probabilmente accanto a Diego, gli aveva raccomandato al solito di non fare lo stupido, dopodiché lo avevano salutato. Buttata giù la chiamata, si era rimesso le cuffie nelle orecchie. L’autobus contro ogni previsione, arrivò con appena due minuti di ritardo. Il ragazzo salì dalla prima entrata e si mise a sedere in fondo al veicolo dopo aver timbrato un biglietto, comprato nella mattinata da

un tabaccaio sotto casa. Scese alla fermata accanto alla villa con un anticipo di un quarto d’ora rispetto all’orario che si erano dati; e per lui che era un ritardatario cronico, se pur sempre di soli pochi minuti, arrivare in anticipo era una cosa che risultava strana. Si diresse così al cancello d’ingresso della villa ed iniziò ad aspettare pensando a cosa le poteva dire quel giorno, e ricordando la promessa che le aveva fatto “non cambiare mai” pensava; aveva sempre mantenuto le promesse fatte, era un po’ una sua “Policy” diceva, ma quella cosa gli risultava una delle più belle e significative che avesse mai fatto. Il tempo ava, lui si grattava la testa, sbadigliava a bocca larga senza mettersi la mano per tapparsela, e guardava incessantemente l’orologio, era circa mezz’ora che era lì, quindi decise di entrare pensando che forse Michela era già arrivata lì prima di lui e lo stava aspettando dentro. Entrò nella villa e iniziò a guardarsi attorno, villa Corrado era un grande parco fatto per lo più in salita, praticamente una collinetta, c’erano prati d’erba, pini altissimi, stradine di ghiaia qua e là fatte a percorso, un’area adibita allo spazio per i giochi dei bambini, una baracchina dove prendere gelati o bevande, ed una scuola o forse un asilo in cima alla salita. D’estate era spesso frequentata dalle coppiette oppure da gruppi di amici che non avevano avuto voglia di andare al mare, mentre d’inverno era un po’ più desolata ed a parte l’uscita dei bambini all’ora di pranzo o pomeridiana, il massimo che ci potevi trovare era qualche studente la mattina che non era andato a scuola e non voleva farlo sapere ai genitori. Filippo era stato lì molte volte qualche anno prima, quando ancora tredicenne faceva a fine estate la preparazione con la squadra di calcio, ci aveva giocato quattro anni ma non era decisamente il suo sport, gli riusciva da terzino solo buttare a terra gli attaccanti, ma facendo are ugualmente il pallone, così compiuti i sedici anni aveva preso la decisione di iniziare a praticare il karate. Percorse qualche metro sulla stradina principale, quella che portava diretta alla scuola-asilo, e poi mandò un messaggio a Michela per avvisarla che lui era là, mettendosi ancora una volta fermo ad aspettare “Chissà magari mi sta aspettando sdraiata su un asciugamano” pensava “magari anche in costume da bagno!” arrossì un po’ al pensiero. Lei non gli rispondeva al messaggio, e lui stava iniziando ad annoiarsi, aveva una mezza idea di tornare a casa, ma non riusciva a credere che gli avesse dato buca, non dopo una settimana che si frequentavano, mentre la sua mente vagava per chissà quale pensiero vide un grande gruppo, una ventina di persone forse, che scendevano dalla stradina di ghiaino nella sua direzione ed incuriosito strinse un po’ gli occhi per mettere a fuoco lo sguardo <<Scusa se ti abbiamo fatto aspettare>>. A Filippo venne un brivido lungo la schiena, aveva sentito quella stessa voce qualche settimana prima, il ragazzo alla testa del gruppo era molto alto, con la pelle olivastra dei capelli corti corvini un po’ mossi, con degli

orecchini, piercing al sopracciglio sinistro e sopra il labbro superiore a stile medusa: era il ragazzo che aveva incontrato al molo poco meno di un mese prima. < > disse il ragazzo < > Filippo sgranò gli occhi, d’un tratto aveva finalmente capito il motivo per cui la sera dell’incidente, i freni non gli avevano risposto. < > Filippo si fece serio e gli puntò il dito indice del braccio destro contro <<Ti assicuro che ti restituirò il favore>> e si picchiettò sul gesso <<Ma oggi non è proprio il momento giusto>> il ragazzo scoppiò a ridere < > si girò e fece un cenno dietro di lui per far avanzare qualcuno < > Filippo sbiancò e si sentì come mancare il fiato, come se un muro di mattoni gli fosse crollato addosso: il ragazzo prese per un braccio proprio Michela, la ragazza bionda dagli occhi verdi e la baciò a stampo sulle labbra, la ragazza s’irrigidì e si staccò da lui come seccata dal gesto < > disse lui. Filippo abbassò un attimo lo sguardo, gli vennero in mente i pochi momenti che ci aveva ato e come l’aveva conosciuta, effettivamente la sera che l’aveva incontrata, Thomas gli aveva riferito di aver visto il tipo del molo, ma non sarebbe mai arrivato a collegare le due cose, sorrise un po’ mentre cercava di non farsi venire gli occhi lucidi, un sorriso amaro. <<Ma si certo… Una bella ragazza bionda con gli occhi verdi… che si interessa a uno scapestrato come me. Dovevo capirlo che c’era qualcosa sotto>> si guardò intorno, pian piano tutto il gruppo di ragazzi gli stava andando sempre più vicino, si accarezzò il gesso “E pensare che tra due giorni me lo sarei dovuto togliere” poi si mise una mano in tasca cercando il telefono stando attento a non farsi vedere; il ragazzo coi piercing lo guardò < >. Filippo trovò il tasto verde delle chiamate, una volta levato il blocca tastiera situato su un lato, se lo avesse premuto una volta sarebbe andato sulla schermata delle ultime chiamate, e se lo avesse premuto due volte avrebbe chiamato l’ultima persona con cui aveva parlato al telefono: Diego. Lo premette due volte a intervallo di qualche secondo sperando per il meglio; se tutto andava bene l’amico avrebbe risposto ed avrebbe sentito ciò che diceva. Prima di iniziare a parlare aspettò un po’, guardò Michela, la ragazza evitava il suo sguardo, forse si sentiva in colpa si domandava, ci era rimasto davvero molto male, era sicuro che ci avrebbe ripensato molte volte, ma quello non era il momento. “Otto” pensò Filippo contando i secondi dal momento che aveva premuto due volte il tasto verde delle chiamate “nove” guardò il ragazzo col piercing e poi < > urlò per essere sicuro che la voce arrivasse anche al telefono, e sperando che

Diego nel frattempo avesse risposto <<Mi hai attirato qui in Villa Corrado con la scusa di un appuntamento per essere sicuro che fossi da solo e lontano dal centro città, e lontano dai miei amici>> urlò ancora di più scandendo parola per parola <<E adesso mi vuoi far picchiare da una ventina di persone>> il ragazzo lo guardò incuriosito dal modo in cui urlava, forse era arrabbiato per la brutta sorpresa di Michela, o forse perché si era ricordato dell’incidente in motorino < > Filippo cliccò poi sul tasto rosso per buttare giù la chiamata, quel che era fatto era fatto, ora poteva solo sperare. Il ragazzo col piercing lo guardò < > “Ma si” pensò Filippo “Tanto vale sperare e prendere tempo” < > rispose allora, < >. Il ragazzo col piercing sorrise nuovamente <<E perché no?>> disse < > Filippo tirò in su lo sguardo per pensare, era un cognome che gli risultava familiare. < > “Moreschi… Moreschi” pensava Filippo < > disse Michael <<Mio fratello si sta’ scontando un anno e mezzo di galera! E tu sei qui a fare appuntamenti con le ragazze!>> Filippo allora abbassò la testa, puntò lo sguardo verso il terreno e finalmente ricordò. Era successo tutto circa sei mesi prima, in una fredda sera di febbraio dove era rimasto a secco col motorino e lo stava portando a traino in cerca di un distributore. In quel periodo in città giravano voci di un uomo in scooter blu che scippava le borse a donne anziane e non, e se ne andasse senza farsi vedere grazie anche ad un casco integrale. Ormai era il quinto caso che i giornali registravano e stava diventando un po’ il criminale cittadino, qualcosa per cui valeva la pena scrivere articoli. Trovato un distributore appena fuori dal centro, Filippo vi si era fermato per farci benzina, erano circa le otto e dieci di sera e dopo sarebbe tornato subito a casa, quella giornata l’aveva ata a casa di Diego insieme a Marco e Christian, giocando ai videogiochi, ed era abbastanza tranquillo e spensierato. Mentre versava i cinque euro di benzina dentro il serbatoio del suo motorino, una donna sulla sessantina gli stava ando accanto sul marciapiede adiacente al distributore, e un rumore di uno scooter che frenava l’aveva fatto voltare. Ci era rimasto davvero molto sorpreso quando vide che l’uomo sullo scooter portava il casco integrale in testa e si stava avvicinando alla donna sporgendo il braccio, “Non può essere dai” aveva pensato. Lasciò andare la pompa di benzina e prese invece il casco da terra dove lo aveva appoggiato, i suoi sospetti furono giusti, quello era proprio lo scippatore di cui tanti parlavano, che prese mentre viaggiava la borsa all’anziana donna e voleva

continuare la sua corsa. Fu questione di un secondo, Filippo fece un balzo in avanti verso il marciapiede e poco dopo che l’uomo aveva strappato via la borsa dalla mano della proprietaria, gli lanciò addosso il casco più forte che poteva. C’erano meno di tre metri da Filippo all’uomo sul motorino, e quando il casco del ragazzo lo colpì al lato destro dello scooter, lo scippatore tentennò e perse il controllo finendo per terra. La donna iniziò a strillare, Filippo gli andò vicino per poi dirigersi verso lo “scippatore dallo scooter blu”, quando questi si rialzò e si levò il casco Filippo vide che si trattava di un ragazzo che aveva su per giù la sua età, con una carnagione olivastra, gli occhi marroni e i capelli rasati, un po’ tentennante per l’incidente appena fatto aveva provato a sferrargli un pugno; ma Filippo con un destro veloce e ben assestato lo aveva messo fuori gioco, facendo chiamare poi la polizia dalla donna. Nonostante l’accaduto fosse una combinazione di fortuite coincidenze, nel quale l’unica cosa che aveva fatto Filippo era stato tirare un casco, il caso del ragazzo sedicenne che aveva contribuito alla cattura dello scippatore sullo scooter era finito sulla prima pagina della cronaca cittadina, ma dato che Filippo era ancora minorenne ne il suo nome ne una sua foto erano apparsi nell’articolo. Contrariamente il nome e la foto del ragazzo che rubava le borse ai soggetti femminili erano in bella vista sul giornale il giorno dopo l’accaduto, si chiamava Luca Moreschi, ed aveva appena diciotto anni. Filippo si ricordò che mentre leggeva l’articolo, aveva visto che questo Moreschi rischiava una condanna che variava dagli otto ai ventiquattro mesi di reclusione dovuti ai plurimi casi di aggressione e furto. Adesso aveva scoperto che erano quantomeno più di diciassette. Alzando lo sguardo il ragazzo tornò alla realtà <<Ma senti…>> disse in fine con il ricordo nella mente < >. Michael lo guardò pieno di rabbia < > strinse i pugni <<Mio padre è guardato con sospetto a lavoro, mia madre è stata in depressione, e tutto per cosa? Per uno scemo che si trovava per caso a far benzina!>> Filippo piegò di lato il collo e lo guardò storto, poi rispose deciso < > < > gli urlò Michael < > fece un o avanti rispetto al gruppo con cui era < > Filippo continuava a guardarlo, finche parlava a lui andava bene <<Mi ci è voluto un po’ per organizzare una cosetta così sai? Soprattutto perché giravano voci sul tuo gruppo, su di te e sul tuo amico

Diego, che tutti insieme potevate darmi dei problemi>> fece una pausa < > battendosi con l’indice sul braccio sinistro < >. Michela continuava a tenere basso lo sguardo <<Ma il mio piano non si ferma qui, mica voglio solo che tu soffra, il prossimo o è cercare i tuoi amichetti e in particolar modo il tuo migliore amico>> sorrise < >. Preso atto del piano e delle motivazioni di Michael, Filippo decise di prendere parola <<Tieni lontani miei amici da tutto questo, è una cosa tra te e me, anzi, non lo sarebbe nemmeno dato che quel giorno feci solamente la cosa giusta da fare>> Michael iniziò a giocherellare col suo piercing medusa spostandolo in qua e in là <<Si ma vedrai che da oggi smetterai di fare il paladino della giustizia, e ti verrà voglia di farti soprattutto gli affari tuoi>>. Filippo era ancora molto scosso e arrabbiato per il brutto tiro fattogli facendogli conoscere Michela, facendogli are del tempo, e poi aver scoperto che era stata tutta una finzione; per non parlare del fatto che era colpa di Michael che avesse tenuto per un mese il gesso e che il suo motorino fosse tutt’ora a riparare dal meccanico. <<Secondo me caro il mio Moreschi…>> disse per prendere ancora un po’ di tempo, <<Sarebbe stato meglio per te che tu te ne fossi stato al tuo posto invece di venire a dar noia alla persona sbagliata>> Michael alzò un sopracciglio sorpreso < > Filippo sorrise < > poi strinse il pugno destro. Un ragazzo, da solo, prese la rincorsa e lo attaccò, mentre si buttava in salto su di lui, Filippo velocemente si spostò da un lato, tese il braccio sinistro, e lo colpì col gesso in pieno volto, facendo un espressione decisa; il ragazzo si accasciò a terra dolorante, e sempre veloce Filippo gli diede un calcio nei denti < > disse con un espressione cupa ed il gesso insanguinato. Sperava di dover semplicemente aspettare, lo sperava con tutto se stesso, dentro di lui tremava, ma non poteva far trapelare paura o insicurezza. Dalla casa di Matteo sul mare a Villa Corrado, spostata nell’entro terra, ci voleva minimo una decina di minuti forse anche quindici ad arrivare < > disse < > sorrise ancora e cercò lo sguardo di Michela che si era affacciata tra le varie persone quando aveva sentito le urla del tipo che aveva appena steso <<Sapete fare di meglio?!>>.

Michael a quel punto smise di giocare col suo piercing < > disse facendo cenno di caricarlo a tutti gli altri, < >. Tutti iniziarono ad andargli in contro, Filippo si ritoccò di nuovo il gesso al braccio sinistro “Mancavano solo due giorni, che sfortuna” pensò di nuovo, era deciso a colpire forte. Il primo che vide fu un ragazzo con i capelli rasati che forse aveva anche meno di lui, con un movimento rapido gli prese il volto con una mano e gli dette una testata sul naso, sentì così la cartilagine che si spaccava al contatto e lo vide cadere a terra mentre il suo viso iniziava a tingersi di rosso < > disse prendendo di mira il prossimo che gli si stava avvicinando. In villa Corrado la parola tranquillità era sparita da un po’ come definizione, il silenzio e i rumori estivi di cicale e uccellini era stato sostituito da urla e tonfi di persone che cadevano a terra. Nessuno che era andato quel pomeriggio alla villa per rilassarsi e are una giornata rilassante si sarebbe aspettato una scena simile, ma nemmeno nessuno si azzardava a intervenire, si limitavano semplicemente ad osservare la violenta rissa che si stava svolgendo di fianco alla stradina principale della villa, un ragazzo in mezzo che faceva volare pugni e calci a chiunque si avvicinasse, e un quindici persone armate di caschi che gli andavano addosso a turno per colpirlo. Filippo aveva cambiato volto, a primo impatto la sua espressione sembrava non appartenergli; occhi spalancati tanto da sembrare posseduto, denti digrignati stretti, sguardo accigliato, non faceva che gridare e menar le mani. Michael lo guardò soddisfatto “ Ed ecco l’Orco… dunque è questo il motivo per il quale lo chiamano così” osservò tutta la scena “Ma oggi finisce qui”. Il ragazzo biondo aveva intorno quindici persone che mano a mano gli andavano addosso, schivò il primo facendogli uno sgambetto, poi ruotando su se stesso prese con una mano la testa di un altro e la sbatté contro il suo gesso, mentre anche questo cadeva a terra sentiva che il suo braccio sinistro iniziava a fare davvero molto male; uno gli dette una cascata sulla testa e persa per un attimo la vista barcollò in avanti piegandosi, un altro arrivò subito e gli dette un calcio diretto al volto, che però parò con entrambe le braccia finendo a terra. Non era la situazione per decidere di non giocare sporco, Filippo afferrò terra e ghiaia e la lanciò negli occhi ad un terzo che si stava avvicinando, mentre questo si strusciava gli occhi con le mani per cercare di rimettere a fuoco la vista, lui lo caricò buttandolo giù, prendendogli il casco di mano, e colpendolo con lo stesso alle tempie facendolo svenire. Mentre era ancora in posizione di monta sul ragazzo svenuto, un altro provò a tirargli un calcio al volto, ma Filippo si parò col casco e facendo battere a tutta forza la tibia del suo assalitore li sopra, lo vide iniziare a zoppicare; e lo finì tirandogli il casco in testa con violenza e mettendo fuori gioco anche lui. Poi si rialzò, il fiato iniziava a farsi pesante e le percosse ricevute a farsi sentire,

schivò a fatica un pugno diretto al suo volto e vi rispose con una testata in piena bocca; che face lacerare le labbra del mal capitato con i suoi stessi denti, questo si getto a terra con grida di dolore. Non riuscì però ad evitare un secondo pugno che gli venne dato al lato sinistro, poi un altro sul lato destro, e un altro ancora da nemmeno lui sapeva dove. Crollò a terra e la restante decina di persone gli si avventò addosso, tirandogli calci, si parava il volto con le mani cercando di limitare il più possibile il dolore, < > sentì dire, era la voce di Michael, che con una faccia divertita gli si avvicinava sempre di più. < > due lo tirarono su e lo misero in ginocchioni, si sentiva la bocca aperta da per lo meno tre tagli profondi, il naso gocciolava sangue, e l’occhio sinistro era gonfio e mezzo chiuso a causa dei pugni e dei numerosi calci. Michael si piegò per guardarlo in faccia < > Filippo intontito lo guardò < > <<Macché è che volevo vederti in azione, ero curioso>> Michael si girò < > un tipo corpulento con un tatuaggio che gli sporgeva dal braccio si avvicinò, tra le mani stringeva una spranga di ferro, Filippo lì capì di essere in guai seri. < > disse Michael prendendo la spranga dal suo compagno < > Filippo alzò la testa, due lo spingevano verso il basso tenendolo fermo per le spalle e mantenendolo in ginocchioni, in realtà non c’era bisogno di quei due, perché non aveva la forza di rialzarsi. <<Se vuoi un consiglio… colpiscimi tanto forte da non farmi riprendere, ti conviene se non vuoi che in futuro ti rompa tutte le ossa>> Michael gli dette un schiaffo < > poi alzò il braccio dove teneva la spranga e sogghignò < >. Filippo chiuse gli occhi preparandosi al peggio, sapeva che avrebbe provato parecchio dolore, e non riusciva a trovare vie di fuga o un modo per alzarsi, tutto sembrava già scritto quando il ragazzo ad un tratto sentì un rumore di motori appena fuori dalla villa, si girarono tutti di scatto nel vedere sei motorini entrare per le stradine di villa Corrado e fermarsi davanti al gruppo di ragazzi che aveva scatenato la rissa poco prima. I motori davano gas violentemente, i guidatori scesero dai motorini, si levarono i caschi e li tennero in mano, lo sguardo di Filippo si riempì di gioia, mentre Michael abbassava la mano guardando perplesso il gruppo che gli si era parato davanti e che aveva scombussolato il suo piano; davanti a lui arrabbiato come non mai, c’era Diego,

con alle spalle Thomas, Marco, Luca, Gabriele, Christian e Matteo. < > disse Michael <<Ecco il famoso numero due>> Diego fece un o avanti < > gli rispose < > strinse il casco in mano < >. Tutti i ragazzi del gruppo di Filippo scesero dai motorini, e misero le chiavi nelle tasche, rimanendo fermi a fissare i loro avversari, più o meno sani ed in forma ce n’erano undici, quattro più di loro era fattibile, altri quattro erano in pessime condizioni e due erano stesi a terra e sembravano privi di sensi. Diego continuò <<Sentimi bene spilungone, te ci ridai la scimmia bionda, e noi evitiamo di mandarvi tutti all’ospedale>> Michael guardò Diego e scoppiò a ridere < > Diego avanzò < > Puntò il casco verso Michael, ed intanto guardò anche Michela, non si erano mai visti di persona, Filippo gliene aveva parlato, aveva visto delle sue foto sul PC, ma di persona mai, la guardò con uno sguardo freddo ed inflessibile “A lei è andata solo bene di essere una ragazza, quella sgualdrina!” pensava pieno di rabbia < >. Michael andò incontro a Diego, o dopo o stringeva sempre più forte la spranga con ben poche buone intensioni < > fece < >. Quando arrivò a un metro circa dal ragazzo, partì veloce con la spranga mirando al volto, ma Diego repentino la parò con il suo casco e gli si buttò in un lampo addosso facendo finire entrambi per terra. Tutti ambo i lati partirono alla carica, uno dei due ragazzi che teneva fermo Filippo gli diede un calcio in testa e lui si accasciò a terra esausto. Luca e Marco spalle contro spalle, menavano ganci e diretti a qualsiasi persona gli capitasse a tiro in una frenesia che sembrava divertirgli, l’uno < > l’altro, concentratissimo <<Stai zitto e picchia!>>, i due furono presi di mira da un tizio grosso, che presa la rincorsa gli stava caricando direttamente, prima di raggiungerli però cadde colpito in testa da un casco, Marco guardò verso la direzione da cui era stato lanciato, Thomas gli stava facendo l’ok con il pollice, ed un fugace occhiolino di complicità. Quest’ultimo era alle prese con il tipo rasato e tatuato che aveva già steso a ferragosto in discoteca, “evidentemente non gli sono bastate” pensava, ma la faccenda era resa più difficile dalla presenza di altri che si intromettevano trattenendo talvolta Thomas per le braccia, “niente che non possa gestire”. Gabrielino invece, guardia alta, le stava prendendo da un tizio biondino,

piuttosto corpulento e leggermente più alto di lui, che gli aveva già assestato un paio di pugni e lo aveva fatto barcollare. Un ulteriore destro lo fece cadere e questi puntò i gomiti per attutire l’impatto col ghiaino, quando il biondino gli si buttò addosso Gabriele lo colpì con una ginocchiata ai testicoli, questo si strinse entrambe le mani all’altezza dell’inguine < > gli disse con una voce strozzata, Gabriele lo guardò fare un volto sofferente e gli assestò un diretto destro tra naso e bocca < > poi si alzò ancora un po’ frastornato dai colpi presi prima, mentre il corpulento biondo si raggomitolava a terra. Nel frattempo Diego si era rotolato fino ai prati in un tornado di pugni insieme a Michael, il ragazzo col piercing forse a causa della sua struttura longilinea, aveva delle leve molto lunghe che stavano dando non pochi problemi. Approfittando però della sua mole maggiore, Diego riuscì a portarsi nella posizione di monta, ed iniziò a sferrare una valanga di pugni. Michael ne schivò un paio, altri ne prese, ma rispose con un tremendo diretto in pieno volto del ragazzo, che fu sbilanciato e gli si levò di dosso; i due si rialzarono entrambi guardandosi in modo truce ed affannando un po’. Preso invece da una parte e riempito di percosse da tre, era stato Christian, il ragazzo sebbene non se la cavasse male nelle risse, non era abituato a gestirne tre insieme, e le cose sembravano mettersi male. All’inizio di tutto era stato in un primo momento accanto a Matteo, e tra spinte e cascate i due se la erano cavata piuttosto bene. Ma quando lo Zio era corso per andare a dare una mano a Thomas, alle strette per affrontarne più contemporaneamente; Christian si era trovato solo in una situazione che a lui non è per niente congenita. Il suo naso gocciolava sangue, e provava dolore al volto e allo stomaco, stendendone uno e aprendosi la strada tra i restanti due assalitori con una spinta, era corso verso il tronco di un pino e vi si era appoggiato per riprendere fiato, ma uno dei due lo aveva seguito, probabilmente uno che aveva colpito poco prima con Matteo. Dato che aveva la bocca sanguinante e sembrava avercela proprio con lui. Con le spalle all’albero Christian si sentiva come in trappola, e mentre il tizio si avvicinava pensava a come fare per schivarlo, alzando i pugni per mettersi in guardia si preparava, quando ad un certo pugno da dietro il suo avversario sentì fare <<Ehi!>> e qualcuno lo stese con un micidiale destro. Era Filippo, che trascinatosi lì nemmeno lui sapeva come, esaurite anche le ultime forze per reggersi in piedi, si appoggiò all’amico, poi lentamente mentre Christian lo teneva per le braccia per provare a reggerlo, si mise sulle ginocchia. Guardando verso il basso il ragazzo esordì con un <<Sai Kri…>> <<Si?>> gli rispose spostandogli lo sguardo addosso <<Mi chiedo cosa stiano aspettando a farsi vivi>>. Christian si mise un braccio di Filippo intorno al collo, e con un notevole sforzo dato che l’amico pesava almeno quindici chili più di lui, lo aiutò a

rimettersi in piedi <<Ma chi Pippo?>> lui gli lanciò uno sguardo con l’occhio che riusciva ancora a tenere aperto <<Se è come credo, lo vedrai presto>>. Diego e gli altri se la stavano cavando bene, nonostante fossero in inferiorità numerica riuscivano a compensare con l’impeto con cui si avventavano addosso a tutti; ma forse dovuto al fatto che i loro avversari fossero tutti un po’ più grandi di età, la difficoltà di buttargli al tappeto era nettamente più alta rispetto alle altre volte in cui si erano trovati a fare a botte. Quando ormai praticamente tutti i presenti avevano sui volti i segni della rissa, Michael si rese conto che quelli che lui chiamava “mocciosi” stavano lentamente ando in vantaggio, e sentì una sensazione opprimente seguita da una forte rabbia. Deciso come non mai a far del male perlomeno al suo obbiettivo principale, ed a non sprecare del tutto quell’occasione, iniziò a guardarsi intorno per trovare Filippo, e cercato un po’ tra i vialetti di ghiaino e i prati, lo vide appoggiato ad un albero a una ventina di metri da lui con un suo amico accanto. Chiamò un suo compagno per occuparsi di Diego, e ando indisturbato tra gli altri presi dallo scontro, si avvicinò ai due. Christian, ridotto male, si fece avanti per proteggere l’amico, consapevole che tra lui e quel ragazzo alto c’era una notevole differenza in quel momento, < > gli fece tendendo la mano < > rispose avanzando ancora. Provò a sferrare un sinistro a Michael, questi incassò il colpo e in preda alla rabbia diede un pugno nello stomaco di Christian che si accasciò tenendosi con una mano la pancia. Diego si era occupato in fretta del ragazzo che gli era stato mandato contro, e vista la situazione si precipitò verso Filippo, ma venne bloccato da un altro tipo nel mezzo della confusione <<Ma non finite mai?!>> gli disse mentre si parava il volto e rispondeva con un montante che però l’altro schivò. Filippo si appoggiava col bacino all’albero per tenersi in piedi, il braccio sinistro dove aveva il gesso gli faceva un male cane, sperava di non averci fatto danni seri, ma forse l’aveva sforzato un po’ troppo usandolo come “arma per stendere la gente”. Con il braccio del gesso ciondoloni tirò su il pugno destro come per mettersi in guardia < > lui scosse la testa < > gli disse in tono sprezzante < > fece il ragazzo stringendo sempre di più il pugno destro < >. In una confusione che sembrava non finire mai, sbucando dal nulla per proteggerlo, Michela si aggrappò ad un braccio di Michael < > urlò con le lacrime agli occhi < > lui però con uno strattone la buttò per terra < >, lei, viso tra la ghiaia, iniziò a singhiozzare mentre Filippo a bocca aperta per la sorpresa si staccò dall’albero < > gridò buttando fuori tutta la voce che aveva in corpo. I due si stavano

per fronteggiare ma un rumore forte si iniziò a sentire in lontananza, un rumore che fece cessare le urla della rissa, tutti si fermarono un attimo e si voltarono, era un rumore di sirene ed indicava una cosa sola: stava arrivando la polizia. Evidentemente qualcuna delle persone che erano nella villa e che avevano assistito alla scena violenta aveva deciso di chiamare le forze dell’ordine per riportare la quiete, e non era mai una buona cosa farsi arrestare per rissa dalla polizia, si veniva schedati, c’era una multa di un bel po’ di soldi, e se ti andava male avi anche una o due notti dentro. Tutti i partecipanti iniziarono quindi a darsi alla fuga, Diego raggiunse Christian e Filippo, aiutò il primo ad alzarsi e poi prese a cavalcioni il secondo, Marco e Luca estrassero veloci le chiavi dei motorini di tasca, Thomas e Matteo, lasciati perdere tre persone che stavano letteralmente “riempiendo di botte”, andarono incontro a Gabriele il quale aveva qualche problema ad accendere il suo motorino, che in più occasioni faceva storie per partire. Montarono sui motorini senza i loro caschi che avevano perso durante la rissa, non c’era tempo per raccoglierli col fatto che erano sparsi qua e là per tutta la villa < > disse Diego mentre lo aiutava a salire sul posto del eggero del suo motorino < > replicò Thomas < > lui fece un cenno con la testa < > Gabriele premeva col piede sulla pedalina del Full Metal X di Christian ma questo non si accendeva, sarebbe stato meglio se quel giorno avessero preso il suo scarabeo amaranto, < > disse e gli tirò un calcio forte all’altezza del carter. Il trattamento poco ortodosso sembrò funzionare, dato che anche il motorino si accese e lui saltò in sella. Tirarono tutti la manopola dell’acceleratore al massimo, ed uscirono con rombi di motori dalla villa. I compagni di Michael che non erano stesi a terra e riuscivano a scappare invece erano più svantaggiati avendo parcheggiato i motorini e macchine fuori dalla villa, dovettero infatti prima are dal cancello di entrata correndo e poi arrivare ai loro mezzi, alcune volanti della polizia così li videro partire e riuscirono a fermarne qualcuno. Una volante andò nella direzione dove stavano scappando i ragazzi con Filippo che ormai era semi cosciente, ma loro tra stradine, curve, e controsensi riuscirono a non farsi neanche vedere il numero di targa prima di scappare. Entrarono quattro pattuglie della polizia in villa Corrado, era segno che le persone lì dentro si erano davvero preoccupate. Quando i poliziotti iniziarono a fare domande sull’accaduto, la maggior parte delle persone dentro si accordò sulla versione che un gruppo di quasi una ventina di persone si era coalizzato per picchiare un ragazzetto biondo, e gli amici dello stesso erano accorsi più tardi per aiutarlo. L’unica ragazza che era stata presente

in quelle colluttazioni non diceva una parola, guardava il vuoto e si limitava a singhiozzare, quanto al ragazzo alto con la pelle olivastra che chiunque aveva giudicato come colui che aveva iniziato il tutto, nessuno diceva di conoscerlo. C’erano madri che si lamentavano perché quello non poteva più essere un posto sicuro dove portare a giocare i bambini, anziani che coglievano l’occasione per dire la loro su come si fosse degradata la mentalità e il modo di comportarsi dei giovani, e curiosi che viste le volanti fuori dalla villa si fermavano all’ingresso per capire cosa era successo. Ci vollero quattro ambulanze per portare via tutti quelli che non riuscivano a stare in piedi, alcuni erano perfino svenuti e furono caricati via di peso sulle barelle, il pronto soccorso quel pomeriggio ebbe il suo bel da fare a ricevere in una sola mandata così tante persone. I poliziotti cercarono per tutta la villa e dintorni, diedero anche una descrizione di un ragazzino con i capelli biondi e di un altro più grande con la carnagione olivastra, ma le loro ricerche furono inutili. Filippo fu portato in tutta fretta a casa di Matteo e steso sul divano tra l’ affanno e la preoccupazione degli amici, che prendevano le saponette del ghiaccio e tutti mezzi insanguinati, si sciacquavano almeno mani e faccia nei due bagni della casa. Per quanto riguarda Michael invece; di lui si era persa ogni traccia.

10: -Happy Birthday-

Era arrivata alla fine la mattina del 30 Agosto, nell'aria si iniziava ormai a sentire che l’estate era agli sgoccioli, la sera ad esempio si doveva uscire almeno con una maglietta a maniche lunghe, se pur sempre si poteva continuare a portare i bermuda o i jeans corti, il sole spariva nell'orizzonte del mare intorno alle otto di sera invece che alle nove e mezzo come aveva fatto in piena estate; e nella testa si rifletteva sull'idea di iniziare almeno qualche compito che era stato assegnato per le vacanze. Le serate in discoteca poi, iniziavano a farsi sempre più sporadiche, fino a che nel lungo andare non si sarebbero spostate esclusivamente nel fine settimana. Filippo era seduto nella sala d’aspetto dell’ospedale in attesa di essere chiamato per togliersi il gesso. Gli ultimi due giorni erano stati piuttosto complicati. Si era svegliato due giorni prima sul divano a casa di Matteo con l’amico che gli dormiva accanto e Christian in cucina che stava lavando i piatti della cena fatta poco prima. Erano le dieci di sera dello stesso giorno dell’accaduto in villa Corrado, e svegliando Matteo gli aveva chiesto cosa era successo esattamente. Era stato portato lì mentre sveniva e gli erano state messe sul volto delle saponette di ghiaccio, per non farglielo gonfiare troppo ed al tempo stesso far sgonfiare il suo occhio sinistro. Gli avevano messo il gesso sopra dei cuscini e avevano controllato che la sua mano non fosse diventata viola, gli avevano poi levato la maglia e dato una ripulita con una spugna e un po’ d’acqua. Se non altro per non lasciargli il sangue addosso. Poi si erano praticamente dati i turni per aiutare Matteo a stargli vicino nel caso avesse avuto bisogno di qualcosa. Erano stati lì tutti fino all'ora di cena, poi uno dopo l’altro erano tornati alle loro case, tutti a parte Christian, che aveva avvisato la madre ando a piedi da casa sua che avrebbe ato la notte fuori, e si era offerto di aiutare per primo lo Zio a badare a Filippo. Al risveglio il ragazzo non riusciva ancora ad aprire bene l’occhio, e si sentiva tutto un dolore, con la lingua si era sentito un paio di ferite profonde alle labbra, probabilmente dovuti ai suoi denti che ci avevano sbattuto quando per terra lo avevano riempito di calci; e sperava che non fossero ferite dove dover mettere i punti, perché senza poter andare al pronto soccorso, poteva diventare un bel problema. < > gli aveva detto Matteo <
da me e che con loro ti trovi poi, la mattina del tuo compleanno per farti togliere il gesso>> Il ragazzo aveva ascoltato il consiglio dell’amico. Non era una cattiva idea perché non poteva di sicuro farsi vedere in quello stato dai suoi genitori, due giorni non erano molti, ma sicuramente avrebbero contribuito a far riassorbire ematomi e gonfiori vari. In quel lasso di tempo Filippo era stato quasi sempre sdraiato sul divano a fissare il soffitto o a guardare la televisione, Matteo aveva messo a lavare i suoi abiti che erano sporchi di sangue e terra e gli aveva dato come abbigliamento temporaneo uno dei suoi pigiami. In tutto quel tempo Filippo aveva detto poche cose anche agli amici che lo erano andati a trovare per vedere le sue condizioni, < > aveva sentito dire a Diego che chiacchierava con Marco la sera prima di andarsi a levare il gesso < > “Ci ha visto giusto” pensava, “Già Michela…” quel nome gli risuonava nella mente, lei che aveva conosciuto alla festa per ferragosto, lei che era così solare, che era così spontanea, era stato tutto un imbroglio solo per abbindolarlo e farlo pestare dal suo vero fidanzato. Aveva provato rifiutare di crederci, ricordandosi di quel suo grande sorriso e quei suoi occhioni verdi quando gli aveva chiesto di promettergli che non sarebbe mai cambiato. Lì gli era sembrata davvero sincera, era stata davvero una finzione anche quella? E perché poi si era lanciata nel mezzo del trambusto per andare ad aiutarlo? Aveva smesso di pensarci e si era concentrato sul guarire più in fretta possibile. Matteo gli portava ogni due ore del cotone per tamponarsi le labbra, piano piano avevano smesso di sanguinare così tanto ma tastandosele con la lingua se le era sentite ancora parecchio aperte. Si era guardato più volte allo specchio, ogni volta aveva paura d riflettersi per scoprire di essere in pessime condizioni e dover dare spiegazioni ai suoi, proprio non voleva parlare dell’accaduto. La parte più difficile era stata la mattina stessa del suo compleanno; si era fatto una doccia per la prima volta dopo due giorni, e perfino l’acqua che si sentiva scorrere addosso gli provocava dolore; asciugatosi si era poi messo davanti allo specchio del bagno e usando il fondo tinta della madre di Matteo aveva iniziato a camuffarsi gli ematomi al volto e l’occhio sinistro che, se pur molto sgonfiato, restava ancora nero. Si era lasciato i capelli abbassati che senza l’aiuto del gel prendevano un taglio a caschetto, lo stesso che aveva portato fino ai quattordici anni ma con un colore più biondo dovuto alla tinta. Nonostante non si pie più così, i capelli abbastanza lunghi tenuti giù, gli nascondevano un po’ il viso e quindi aveva più probabilità di non far notare che era ancora in condizioni non proprio buone. < > gli aveva detto Matteo < >

Filippo aveva annuito <<E comunque ha detto Luca che oggi rimane a pranzo per cui siamo anche in compagnia>> a sentire quel nome aveva sorriso, il suo cugino alla lontana, un bonaccione, che due giorni prima si era lanciato in mezzo a nemmeno lui sapeva cosa per dargli una mano, sebbene non fosse il tipo. Gli abiti che Matteo gli aveva messo a lavare in lavatrice, stando stesi una notte all'aperto, ormai erano asciutti; l’unica pecca che avevano era il fatto di essere un po’ stropicciati, dato che nessuno di loro sapeva usare il ferro da stiro, ma in fin dei conti, non gli importava. Filippo nella sala d’aspetto dell’ospedale teneva il viso rivolto verso il corridoio dalla parte opposta a dov'era la madre, e cercava di parlare il meno possibile perché avendo ancora un po’ le labbra gonfie non pronunciava alcune parole benissimo < > gli fece ad un tratto la madre < > Filippo fece spallucce e scacciò subito i pensieri che gli tornavano a galla. < > <<Ma una ragazza c’era, vero?>> lui rifece di nuovo spallucce continuando ad evitare il suo sguardo <<Si ma… niente di serio davvero>> > gli disse la madre < > Filippo accennò allora ad una risata < >. Dalla porta di una stanza uscì l’infermiera che lo chiamò, era bassina e grassottella con i capelli corvini legati da una coda di cavallo, e forse per il caldo estivo, respirava facendo un grande rumore quasi come se affogasse < > gli domandò la madre, si preoccupava sempre molto di lui, da dopo che si era separata dal marito aveva sempre cercato di non fargli mancare niente, e lui di risposta, odiava darle troppe preoccupazioni. Ecco anche perché cercava sempre di evitare troppi guai. < > almeno così non si doveva preoccupare che non lo guardasse. Entrò nella stanza: era praticamente vuota; la classica stanza d’ospedale di cui nessuno sa cosa fare e viene utilizzata quando per questa quando per quella cosa, mattonelle blu, muro bianco con qualche segno nero o grigio dovuto agli spostamenti di mobile e al tempo, un lettino e due scaffali agli angoli, aveva le tende della finestra un po’ ingiallite, questa aveva quattro vetri divisi da una croce di legno e dava sui giardinetti dell’ospedale. Il dottore lo stava aspettando col marchingegno per togliere il gesso, sorrideva ed esordì con un gioviale < > Filippo alzò il braccio sinistro, faceva finta di nulla, ma era preoccupato per il dolore che gli aveva fatto negli ultimi giorni < > gli disse rispondendo al sorriso. La macchina per togliere il gesso somigliava all’incirca a una piccola sega a motore, a dirla tutta Filippo aveva paura che il dottore una

volta iniziato a tagliare il gesso, sbagliasse e gli tagliasse anche un po’ il braccio, per cui quando iniziò ed accese il motore elettrico del congegno, si intirizzì un po’ e distese del tutto il braccio <<Su, su>> gli disse l’infermiera battendogli una mano sulla schiena per rassicurarlo e sempre ansimando < >. Sentiva tremargli tutto il corpo e vedeva i bricioli del gesso che si spargevano per l’aria in una coltre bianca, alcuni gli finirono negli occhi e prese a strusciarseli con la mano destra. Una volta che il gesso fu totalmente tagliato, l’infermiera prese un paio di forbici e gli tagliò la garza intorno al braccio > Filippo non capiva se stesse male oppure se quello fosse davvero il suo modo di respirare < > Filippo mosse il polso in su e in giù, poi ai lati e poi lo ruoto un paio di volte, non gli sembrava gli desse problemi, sentiva un po’ di dolore all’avambraccio, ma nulla di che < > l’infermiera lo guardò con aria di domanda, a lui piaceva particolarmente il latte alla fragola, ne beveva almeno tre cartoni a settimana, e questo era ricco di calcio, che credenza comune vuole rinforzi le ossa. Il dottore compilò un paio di fogli poi glieli ò < > disse < > Filippo allargò la bocca in un gran sorriso < >. Quando uscì dalla stanza iniziò di nuovo a tenere la testa bassa < > domandò la madre <<Si si menomale, il dottore dice che a regola non ho nemmeno bisogno della riabilitazione>> gli dava noia non guardare sua madre negli occhi, ma non poteva fare altrimenti. Si incamminarono nei corridoi dell’ospedale, a parte quando si usciva nel giardinetto era davvero difficile orientarsi lì dentro, tutto un mattonelline blu muri bianchi e vetrate, spesso si perdeva di vista anche la scritta “EXIT” e toccava tornare indietro al cartello delle indicazioni. Uscirono dall’ospedale ed entrarono in macchina. Quando una volta fuori dal parcheggio e iniziarono a percorrere i primi metri per strada, venne il tempo di mettere in pratica il piano di Matteo: <<Mamma mi accompagni da Matte? I bimbi mi hanno organizzato una specie di pre-festa da lui col fatto che ha casa libera>>. Sua madre tolse lo sguardo dalla strada e si girò verso di lui < > Filippo abbassò del tutto il finestrino e sporgendosi un po’ mise fuori il braccio sinistro per sentirvi l’aria che ci batteva contro, era una sensazione davvero bella anche se fino a un mese prima l’aveva data per scontata < >. La madre lo guardò con espressione

apprensiva, e sospirando rispose < > lui annuì. Fatti dieci minuti di macchina per arrivare a casa di Matteo sul mare, Filippo scese di macchina salutando sua madre con un bacio sulla guancia, e poi andò al portone dello stabile dove abitava l’amico e suonò il camlo, pochi secondi dopo, il grosso portone di legno automatico si apriva, e il ragazzo entrò nell’ingresso del palazzo. Lo Zio lo stava aspettando alla porta, e salutandolo con un cinque lo fece entrare. Filippo andò diretto sul divano del salotto senza badare troppo a guardarsi intorno, Matteo lo seguì < > il ragazzo si strusciò il braccio sinistro dove aveva tenuto il gesso per quasi un mese <<Meglio di quanto mi aspettassi, lo muovo quasi senza dolore nonostante…>> Matteo incrociò le braccia in segno di disapprovazione < > mentre finiva la frase Luca entrò dentro la stanza, aveva un occhio ancora un po’ nero e faceva un sorriso da furbetto, fissò Filippo con aria compiaciuta e poi esordì con un < > Filippo abbassò la testa e sorrise < >. < > lui gli si avvicinò e si sedette di botto sul divano emettendo un lungo sospiro < > Filippo gli mise una mano sulla testa e gli scarruffò i capelli < > era il tipico gesto che si faceva con i bambini, quindi Luca se la levò subito scocciato <<Ti ricordo che tra meno di sei mesi ormai sono maggiorenne, devo iniziare ad essere responsabile per i minorenni che mi porterò dietro, soprattutto per i mocciosi di sedici anni.>> Filippo storse la bocca simulando un po’ di finta rabbia < > < > disse lui < >. Matteo che li guardava da appoggiato alla parete li lasciò alle loro chiacchiere e si diresse in cucina, ormai si era fatta l’ora di pranzo, e decise di mettere su un po’ di pasta; quindi prese una pentola ci versò l’acqua dentro e la mise a bollire, per poi cercare nello scaffale della dispensa un tipo di pasta che gli pie. Il trambusto degli ultimi giorni gli aveva dato da pensare più di quanto gli pie fare solitamente, erano riusciti a salvare in extremis Filippo, ma mica lui poteva andare sempre in giro con la scorta. Ormai sapevano anche il nome di questo misterioso ragazzo, ed anche il motivo per cui aveva preso di mira il loro amico, ma c’erano troppe domande in sospeso: come avrebbe reagito Filippo alla situazione? Avrebbe voluto cercarlo e chiudere la questione una volta per tutte? Si sarebbe chiuso in

se stesso? E lui avendolo difeso ed essendosi esposto in prima persona sarebbe diventato un bersaglio come anche tutti gli altri a loro volta? Prese dal frigorifero una vaschetta di sugo di pomodoro e lo mise sul tavolino per farlo scongelare intanto che la pasta bolliva. Sedendosi su una sedia al tavolino si mise a guardare il soffitto “Accidenti” pensò “Oltretutto che li ospito io a casa mia mi tocca anche cucinare”; si alzò lentamente ed iniziò a prendere posate, piatti, bicchieri e tre fazzoletti di carta, ed apparecchiò la tavola per il pranzo. Dopo pochi minuti l’acqua dentro la pentola iniziò a bollire e lui ci versò dentro la pasta che aveva preso: una busta di penne. Mentre le versava però qualche goccia di acqua gli schizzò sulle mani < > disse tirandole indietro “Pinzi di medusa, strusciate al muro, acqua bollente… Agosto non è proprio il mio mese”, buttò nel cestino la busta di pasta ormai vuota e mettendo nell’acqua anche un po’ di sale per non farla venire troppo sciocca, si mise ad aspettare che la pasta cuocesse al punto giusto. Appurato questo chiamò gli altri due che erano sempre seduti sul divano presi nei loro discorsi. Luca e Filippo arrivarono in cucina sorridendo, e si sedettero al tavolino mentre Matteo metteva il sugo nella pentola e condiva la pasta prima di versarla nei loro piatti, chiese a Luca di prendere l’acqua dal frigo, e questi si alzò prendendone due bottiglie e mettendole sul tavolo; augurandosi a vicenda buon appetito iniziarono a mangiare. Tra una forchettata e l’altra Matteo guardò Filippo < > il ragazzo buttò giù il boccone che aveva in bocca bevendoci dietro un po’ d’acqua per deglutire meglio <<E’ tutto come avevo già organizzato: ci mangiamo insieme una pizza ad un ristorante sul mare>> Luca lo interruppe un attimo < >, Filippo tirò in su gli occhi per pensarci un attimo < > rispose < > Matteo storse la bocca < > a lui non piaceva festeggiare i compleanni, diceva che era perché non voleva far sapere che cresceva, ma il motivo vero nessuno lo sapeva, poteva benissimo trattarsi di un suo stereotipo. In ogni caso Filippo aveva idee esattamente opposte. Non sapeva se dopo i suoi diciotto anni avrebbe continuato a festeggiarli, ma non voleva smettere prima, in più a lui il giorno del suo compleanno piaceva molto, a parte per il fatto che segnava praticamente la fine dell’estate, e di lì a poco sarebbe ripresa anche la scuola. <<Matte guarda che i diciotto anni vengono una volta sola, almeno il prossimo Marzo festeggiali>> lo Zio ripeté il gesto di storcere la bocca <<Se è per questo una volta sola arrivano anche i sedici, i dciasette, o i diciannove>>, Luca li guardava divertito contento che la tensione

che si era creata in quei giorni iniziava finalmente a smorzarsi ed il clima cominciava a ritornare quello gioviale e scherzoso di sempre. Il pranzo si concluse tra una chiacchiera ed un'altra ed i tre ragazzi si misero al computer per mettersi d’accordo con il resto del gruppo su cosa fare in giornata; nonostante le intenzioni fossero buone il tempo che ci impiegarono fu tanto, le idee furono poche ed in conclusione finirono tutti per ritornare ancora una volta a casa di Matteo quel pomeriggio, tra partite a videogiochi, film in DVD e prese in giro a Marco per farlo arrabbiare e riderci su. Arrivò in fine la sera, Filippo si truccò un’ altra volta con il fondotinta per poter tornare a casa e mettersi magari una camicia per andare a festeggiare il suo compleanno, l’appuntamento con gli altri era fissato per le nove di sera davanti a “Lo scoglio del Re”, non che ci fosse molto tempo per prepararsi, dato che dopo un’ora si sarebbero rivisti. Si mise d’accordo con Diego per farsi venire a prendere dieci alle nove, mentre Luca si offrì di riportarlo a casa in quel momento. Arrivati a casa di Filippo i due ragazzi si salutarono con un cinque e si diedero appuntamento a dopo, Filippo ringraziò l’amico ed infilò le chiavi nel portone. Chiamò l’ascensore per salire al piano del suo appartamento, in realtà non aveva bisogno di prendere l’ascensore per arrivare al secondo piano, ma dato che dentro di questo c’era uno specchio, ne voleva approfittare per controllare se il trucco fosse messo bene, e se il suo viso tradiva la lite fatta due giorni prima. Si scrutò ammodo, i lividi erano ben nascosti, l’occhio sinistro era ancora un po’ gonfio, ma se non ci si prestava attenzione non si sarebbe mai notato. Con la lingua si sentì i tagli che aveva sempre in bocca, per ognuno di esse gli stava venendo una galla sintomo che aveva la bocca infiammata “Questo è perché mangio tutti quei dolci” pensò, era stato davvero fortunato che quelle ferite interne si stessero richiudendo da sole, anche se con parecchio tempo. La porta dell’ascensore si aprì e lui arrivato al secondo piano fece un bel respiro ed entrò in casa <<Mamma! Sono tornato>>, sua madre gli andò in contro, lo abbracciò e poi sorridendogli gli disse <<Ti vieni a preparare per stasera?>> < > rispose lui facendo si con la testa, sembrava che anche guardandolo ammodo nel volto non si fosse accorta di nulla, e lui ne fu felice < > Filippo rispose con un sonoro < > lui sapeva già come erano andati realmente i fatti, ma per non far preoccupare nessuno finse di essere sorpreso dalla notizia <<Menomale>> disse con una smorfia <<Ero stanco di andare a piedi, in autobus, o al massimo farmi trasportare dagli altri>>. La madre gli sorrise di nuovo <<Menomale che trattandosi di un malfunzionamento del

motorino la colpa tua è minima e l’assicurazione paga praticamente tutto piuttosto>> Filippo gli sorrise di risposta “Almeno nella sfortuna sono un tipo fortunato” pensò, ringraziava sempre di essere un tipo ottimista che vedeva il lato positivo delle cose. Andò in bagno per spogliarsi e lavarsi addosso, sotto i bracci e un po’ la schiena, stando attento a non sciacquarsi il viso per far colare il fondotinta, poi prendendo la schiuma da barba e una lametta si tagliò i pochi peli scuri che gli crescevano sul viso, non aveva una vera e propria barba, ma avendo ancora il viso a ragazzino, non ci si vedeva. Buttata la lametta nel cestino a rasatura conclusa andò in camera sua e si mise mutande e calzini sdraiandosi un momento sul letto, “Pensare che non sono qui da più di due giorni”, accese il condizionatore d’aria impostandolo a diciotto gradi, quando lui non c’era sua madre lasciava sempre tutte le cose lì dove erano e non le spostava, si limitava a strusciare il pavimento e are l’aspirapolvere per mantenere la camera pulita. Filippo non era un tipo ordinatissimo ma nella sua confusione riusciva sempre a trovare tutto, se invece gli si spostava qualcosa andava sempre nel dramma per ritrovarlo. Alzandosi piano per via di qualche dolore intercostale rimastogli aprì l’armadio < > sentì chiedere dalla cucina < > rispose < > <