MUTAMENTI
…1900 – 2013…
di
Enzo Pettinelli
SMASHWORDS EDITION
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Copyright © 2013 di Enzo Pettinelli
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www.ping-pong.org
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Si ringrazia coloro che ci hanno aiutato e sostenuto, senza nulla chiedere:
In ordine di tempo: Filippo Dragotto Giuliano Grassi Nevio Ravini Otello Montesi Libero Crivellini Sergio Cinì Sergio Fileri Domenico Ubaldi
INDICE
INTRODUZIONE
I PARTE - POKER DI CUORI Durante la guerra 1940-1944 Il dopoguerra I tavoli li costruiscono i falegnami L'acquisto di una racchetta La pallina costava quanto un chilo di pane Scelta importante Ricordo: fornelli a carbone Teatro La Fenice Si ripensa ai racconti Servizio militare Pio IX Differenze sociali La pagella della scuola a il periodo buio Vacanza in colonia
Strade bianche Vera promozione Un fatto nuovo Ci affiliamo alla federazione Occasione da non perdere Emozione 1961 - Primi Campionati Italiani Scherzi feroci L'incontro del primo cuore Torino Ricordo: i genitori da bambini Arriva dal Giappone la nuova racchetta Ancora dal Giappone una nuova racchetta L’esodo Ricordo: tennis e rivoluzione giovanile L’esperienza della spagnola Memoria superficiale, memoria profonda
II PARTE - IL SOGNO 1969 - Incontro del secondo cuore Una delle tante trasferte
1970 - Incontro del terzo cuore Nasce il nuovo gioco Codice estetico Si apre il dialogo La fortuna non esiste Ragione e moralità Rinuncia all'attività nazionale Uguali nella diversità La diplomazia nel ping-pong Primi risultati L'addio dei pionieri della regione Arriva il grande giorno La stampa ci appoggia Presa di coscienza Maturità e preparazione fisica Contrasti Ricordo da bambino Contaminazione Ho visto partite Fiuggi: teatro delle fonti anticolane Stranezza e fantasia
Codice segreto 1972 - Campionati Italiani Fiuggi Situazione difficile 1973 - Siamo promossi in serie “A” Perdiamo contro le difese Chiudiamo un tavolo Motivi di studio Ricordo: La scuola Prendiamo le contromisure Corsa al tabellone Si ritorna a Fiuggi Nuovo look Ricordo: Repubblica Maltese Collaborazione con la Federazione Maltese Una racchetta per sognare Il ritorno Momento importante 1975 - Arriva il quarto cuore Squadra femminile in trasferta Sdrammatizzazione Si avvicina lo scudetto
1977 - Primo scudetto Ricordo: Prima dei Campionati Italiani Coppa Italia Cinque tecnici Nuovo spazio per i giovani Ultima giornata di campionato Si prepara lo spareggio 1979 - Secondo scudetto Il pubblico esplode Scorrettezza Riconoscimenti Canto del cigno Tutti si sentono vincitori Un ciclista
III PARTE - IL SOGNO FINISCE Frattura Ricordo: Il pattinaggio 1980 - Mutamenti Ricordo dei coristi I pescherecci
Il postino Giovani disorientati Oratorio del sacro cuore Favola del mare Avevamo bisogno della città 1984 - Si realizza il Centro Collaboriamo con la Repubblica di S. Marino Il Centro si apre Ricordo: Accoglienza Periodico “Top Spin” Attività amatoriale e risultati dei giochi della gioventù Consigliere federale 1991 - Il poeta della fotografia Fatto di cronaca 1997 - L’ultimo volo del gabbiano
IV PARTE - RINASCITA E IL NUOVO SOGNO Maturazione I tempi cambiano Il nuovo progetto Iniziamo con una classe di 3° elementare
Aspirazione dei bambini Ricerca e sperimentazione Post mutamenti Globalizzazione Cinquantesimo Summer Jamboree Olmo bello
HANNO COLLABORATO ALLA NASCITA PRESIDENTE ONORARIO SOCI ONORARI HANNO COLLABORATO COME DIRIGENTI SONO STATI PRESIDENTI PERSONAGGI STORICI SETTORE TECNICO ATTUALE
NOTIZIE SULL’AUTORE
I
NTRODUZIONE
C’è una città, c’è un uomo, c’è un progetto culturale che vive attraverso uno sport. Ci sono i sogni, i ricordi, le aspettative, la coscienza dei cambiamenti che accompagnano sempre il are del tempo e dipingono una realtà che a volte fugge dalle proprie radici. Se “La città del ping-pong” è la storia affascinante di un’avventura raccontata ai coetanei, “Frammenti” ne allarga l’orizzonte dai primi del secolo scorso fino ai giorni nostri. Non più, o solo, racconti di azioni vissute, quindi, ma anche sensazioni per storie tramandate e che per questo assumono i contorni sfumati della narrazione. La scelta di raccontare fatti ed episodi lasciando indeterminati i personaggi in carne ed ossa accentua il carattere autobiografico del libro ma al tempo stesso permette di non vivere come cronaca una storia lunga oltre settant’anni. Per chi, come me, ha vissuto molte delle situazioni descritte, è un ritrovarsi di amici, aneddoti, stati d’animo, sogni, scelte coraggiose. Per altri è guardare, attraverso gli occhi ed il cuore dell’autore, il racconto della vita di una comunità. Senigallia è stata al centro di una delle più belle storie sportive che si possano raccontare, quella del ping-pong, che fa diventare uno sport povero e popolare una opportunità per proporre un progetto pieno di valori e di eticità, senza rinunciare al successo agonistico. Va sicuramente ascritto all’autore il merito di non essere salito in cattedra nonostante i risultati raggiunti e di aver spiegato, con serenità ed un certo distacco, che è possibile dare segno di appartenenza ad una comunità coinvolgendone i suoi figli. Il lettore che si avvicina per la prima volta rimarrà colpito sicuramente dalla miscela di richiami storici, di poesia racchiusa in certi racconti, di riflessi psicologici colti nei campioni, dell’affetto con cui alcune persone hanno incoraggiato ed aiutato il tennistavolo senza chiedere nulla in cambio. Si accorgerà anche di come sia complesso ed articolato confrontarsi con il resto della nazione quando si parte da una piccola città rivieresca. Infine, che senza una forte identità non è possibile raggiungere traguardi ambiziosi. La vita non è una fiaba in cui tutto fila per il verso migliore. La vita è anche
lacerazione dalle proprie origini quando non c’è più condivisione delle regole di fondo, dei principi di un comune vissuto. Il ping-pong senigalliese non fa eccezione e questa suo essere normale evidenzia la straordinarietà del percorso effettuato. La bellezza del libro di Pettinelli consiste nell’essere un libro per tutti, stratificato in piani paralleli, quasi indipendenti tra loro e legati dalla figura dell’autore. Sicuramente ognuno troverà qualcosa che penserà essere stato scritto proprio per sé. Come in una chiacchierata lungomare l’odore della salsedine stimola le confidenze tra amici, il lettore di “Frammenti” è avvolto da un clima amichevole che ferma il tempo e dà spazio alle emozioni. Alla fine si ha la sensazione di essere comunque un attore della storia letta anche se si appartiene ad un altro tempo e non si riconosce chi sia questo o quel personaggio che viene descritto dalle azioni e non dal nome. Poco importano i nomi, è più importante capire in che contesto il progetto culturale della scuola è nato e si è sviluppato. E Pettinelli ci è riuscito benissimo. Domenico Ubaldi Presidente Tennistavolo Senigallia
I ^ PARTE
POKER DI CUORI
DURANTE LA GUERRA 1940-1944
Mi trovo a casa. Sono solo con mia madre. È una giornata di sole. L’aria di primavera si spande. La finestra del cortile spalancata. Da una finestra di fronte, ad alto volume, una radio, una voce e un frastuono di voci. Mia madre si avvicina al davanzale e mi chiede con voce decisa di fare silenzio. Ancora un lungo frastuono. Mia madre pronuncia con voce preoccupata e con le lacrime agli occhi: “Guerra! Guerra!”. Poi corre verso la camera, si getta a faccia in giù, di traverso sul letto matrimoniale. E piange a dirotto. Io non capisco. Le urla, mi sembrano di festa. Il mio stato d’animo è di disagio e di incomprensione. Il mio ricordo a al giorno in cui si presenta mio padre alla porta, vestito da militare e con il fucile. Un pranzo con tante parole e grande preoccupazione. Però mio fratello ed io eravamo attratti dal fucile appoggiato al muro della cucina. Più alto di noi. Un enorme calcio di legno marrone scuro. La canna di ferro su cui la baionetta era agganciata con la punta in giù. Dopo qualche tempo, ricordo che degli uomini prendevano mobili e letti e li coricavano in un carro trainato da due buoi grandi e bianchi. Sopra mia madre con mia sorella in braccio. Io e mio fratello, a piedi, a camminare dietro il carro. Andavamo in campagna, dai parenti. Durante il trasloco, ricordo che mi hanno sollevato da terra e mi hanno messo seduto in fondo al carro, sul bordo, le gambe a penzoloni. Una sensazione eccitante. Mi muovevo anche se ero fermo. La strada sotto i miei piedi scorreva leggera. La città, con il fumaiolo dell’Italcementi, si allontanava sempre più. Il cielo azzurro. Il sole illuminava i campi come tanti rettangoli di colori. Mi sentivo felice. Mia madre ci darà altri due gemelli, femmina e maschio. Io ero troppo piccolo per capire. Tutto il giorno a giocare con mio fratello e i cugini nei campi. Mia madre con cinque figli e con mio padre a Rodi. Uno zio in Africa. Un altro prigioniero che riuscirà a scappare. Duemila chilometri a piedi. Di notte
per i campi e nascosto di giorno. Quando lo vediamo comparire dal buio, abbraccio e grande festa. Prima di questo periodo, quello che è forse il mio primo ricordo. Avrò avuto circa un anno, mi trovavo in braccio a mia madre. Dalla porta della cucina entra mia nonna e si avvicina. Sento delle parole di agitazione. Io mi sento soffocato, ho un dolore al petto. Poi mi trovo sospeso e leggero, in alto, a poca distanza sopra mia nonna E la vedo che mi lancia in aria e mi riprende al volo. Mia madre vicina a noi. Nei loro visi leggo una grande sofferenza. Io, come avvolto da una luce bianca, sereno, felice, le osservo. Non capisco la loro preoccupazione. Vorrei rassicurarle. Poi all’improvviso, di nuovo, il forte dolore al petto. Il respiro difficoltoso. E di nuovo mia nonna mi lancia in aria e mi riprende. Mi rimarrà un grande ricordo di mistero e serenità.
IL DOPOGUERRA
“Chi vince è sorridente
Chi perde si siede aspetta impaziente”
La seconda guerra mondiale è appena finita. Fra le macerie e la polvere, gli alleati portano cioccolato, pane, formaggini, latte in polvere e sigarette. Si vive un momento d’euforia, c’è bisogno di dimenticare e vivere. Si aprono sale da ballo e cinema. I militari, con i pesanti scarponi, percorrono le strade della città in tutte le direzioni. Sono alti, allegri e sorridenti anche con noi bambini. Portano una musica nervosa con parole incomprensibili. Sento la mancanza delle dolci note di Lili Marlen e ogni volta che l’ascolto vedo i suoi capelli d’oro. Poi gli alleati salgono su grandi camion e ci lasciano, cantando. Nelle vie del centro e della periferia appaiono macerie che proiettano ombre d’angoscia. Tutt’intorno si respirano abbandono, miseria e fame. Si riaprono le parrocchie della città. I giovani vi confluiscono e riempiono le sale, i cortili ed i piccoli campi da calcio. È un ritrovo importante non solo perché c’è sempre qualcosa da mangiare, ma anche perché si organizzano giochi di ogni genere. Calcio, dama, shanghai, corse con i sacchi, albero della cuccagna, caccia al tesoro e naturalmente il ping-pong che insieme al calcio è l’attività più amata. In alcune parrocchie come la mia, “San Martino”, non c’è uno spazio all’aperto e così il ping-pong diventa un gioco affollato e importante. Aspettiamo impazienti il nostro turno su una lunga panca. Quando giochi dimentichi tutto ed entri nella sfida per mantenere il posto. Chi perde esce, si rimette seduto e ricomincia l’attesa.
Parrocchia S. Martino - Via F.lli Bandiera; Via Marchetti
I TAVOLI LÌ COSTRUISCONO I FALEGNAMI
“Veloci an contenti
noi cerchiamo il mistero dei loro talenti”
I tavoli da gioco costruiti dai falegnami, si trovano dislocati un po’ in tutta la città. In ogni parrocchia ce n’è almeno uno. Quando si costruisce un nuovo tavolo è un avvenimento. Fra i ragazzi non si parla d’altro e si aspetta, giorno dopo giorno, la fine dei lavori.
Bottega del falegname - Via F.lli Bandiera
Durante la lavorazione, un via vai di bambini in piccoli gruppi e di ragazzi più grandi fanno visita nella bottega. Ricordo che il falegname vicino alla parrocchia di San Martino ci lasciava entrare, un po’ compiaciuto e anche molto comprensivo. Cosa rara in quei tempi per una persona adulta. Durante le visite giornaliere, immersi nella segatura che sale e scende, la sega circolare occulta le nostre voci, imbianca ogni cosa, ci lascia un profumo dolce di legno. Per dei bambini il senso dell’opera è affascinante: dal semplice legno, un tavolo da pingpong tutto per noi. Si osserva con stupore il lavoro che cresce e non si perde l’occasione di osservare se in qualche angolo c’è un ritaglio di compensato, oramai inutilizzabile, ma buono per costruire una racchetta da ping-pong. Arriva il giorno tanto atteso, il tavolo verde fiammante è pronto. Siamo almeno una ventina; sotto la guida del falegname sorridente, solleviamo il tavolo come una piuma, attraversiamo con attenzione la grande porta della bottega e, cantando e vociando per le vie della città, portiamo il tavolo nel locale grande della nostra parrocchia. Anche il sostegno della retina è stato costruito, da un fabbro. Bello massiccio, che resiste bene ad ogni urto. Nella sala c’è già un vecchio tavolo che risale a prima della guerra. Sui bordi di fondo è riportata una striscia di legno nuova che contrasta con il resto del tavolo. Oramai appare decrepito, alla vista del nuovo. Era un’abitudine di noi ragazzi colpire lo spigolo del tavolo con il taglio della racchetta. Quando si perdeva un punto ricordo che più di una volta alcuni giocatori rimanevano con il manico in mano mentre il piatto volava via verso l’alto, con il divertimento di chi guardava e la delusione sconsolata di chi aveva compiuto il gesto. Questo guardava e riguardava il manico che stringeva in mano, oramai inutile, e usciva dal gioco con un finto sorriso. Poi si girava con timore verso la porta, per vedere se qualcuno dei dirigenti si fosse accorto del gesto. Fra i ragazzi c’è spesso violenza. Alcuni gruppi entrano nella parrocchia, creano scompiglio, poi sono scacciati o se ne vanno. Sono i giovani ai margini della società. Hanno più fame di noi, stanno diventando uomini troppo presto e non si capisce se dietro hanno una famiglia.
Il responsabile della parrocchia riceve con sorrisi ed evviva i parrocchiani dalle “buone” maniere, che non fanno nulla per noi. Per comperare le palline, andiamo a raccogliere qualche residuo bellico: ferro, ottone ecc. che poi vendiamo allo “stracciaro”. Qualche volta ci rimane qualcosa per acquistare, dal giornalaio, le avventure di Tex, il piccolo sceriffo e Flash Gordon.
S. Martino: oratorio
Nel ricreatorio S. Cuore della parrocchia del Duomo si fa una scelta importante: una stanza viene attrezzata solo per il ping-pong. L’accesso, per i più giovani, è severamente vietato. L’ambiente è frequentato dai giovani studenti delle scuole superiori. Sono i figli delle famiglie “bene”. Ben vestiti, educati, parlano a bassa voce. Noi li guardiamo con un po’ di rancore, quando ano veloci per entrare nel loro regno. Li conosciamo tutti per nome, li osserviamo bene, soprattutto i più bravi, cercando di scrutare cosa abbiano di diverso.
L'ACQUISTO DI UNA RACCHETTA
Ricordo che uno di noi aveva acquistato una racchetta in un negozio di giocattoli. A noi non piaceva, ci risultava un corpo estraneo. Era bella, ricoperta con gomma e puntini verdi; il manico era avvolto in pelle marrone. Il legno non si vedeva più ed emanava un profumo strano. Per noi, che avevamo visto dal legno nascere il tavolo e dal compensato avevamo costruito con entusiasmo la nostra racchetta con un seghetto a traforo, quell’attrezzo elegante stonava. Poi da quella racchetta non usciva mai un buon suono Usarla era più difficile, soprattutto con avversari che usano racchette di legno. Noi non lo sapevamo, ma le racchette di legno non ricoperte con gomma, erano bandite dalla federazione internazionale. Giocare contro le racchette di legno era un po’ come giocare contro un antitop (racchetta con gomme insensibili all’effetto, prodotta in seguito, negli anni ’60). Intanto il CSI (Centro Sportivo Italiano) organizza tornei che partono dalle parrocchie con fasi cittadine, provinciali, regionali e nazionali. Viaggi, pasti e soggiorni sono rimborsati. Tutti possono partecipare. Alcuni viaggiano in treno per la prima volta. Un ragazzo si è presentato in campo vestito come un calciatore: maglia a strisce verticali e scarpe da calcio con tacchetti. Le racchette di legno, verniciate, ricoperte di carta vetro e sughero, rappresentano la maggioranza. Dopo queste gare giovanili, purtroppo molti dovranno intraprendere la via del lavoro e si perderanno.
Il Misa dal finestrino del treno
LA PALLINA COSTAVA QUANTO UN CHILO DI PANE
“I fucili controllano attenti
i ragazzi son molto imprudenti”
Ricordo che una pallina costava quanto un chilo di pane. Il pane era l’alimento principale di una famiglia. Prima della guerra il costo era di £1,60. In molte case veniva messo sotto chiave, perché doveva essere diviso in parti ragionevoli tra tutto il nucleo familiare. Il dopoguerra è anche il sogno dei motori. Metà città viene blindata per disegnare un circuito internazionale per auto, moto e sidecar. I ragazzi, a gruppi di tre, girano per la città a vendere biglietti. Noi del ping-pong siamo fra questi. Ci spetta una percentuale sul venduto, che trasformiamo tutta in materiale da ping-pong. Le automobili presenti sono Bugatti, Alfa Romeo, Maserati, Ferrari, Fiat ecc. Fra i piloti che gareggiano Arcangeli, Taruffi, Fagioli, Castelletti ed altri all’epoca famosissimi. Mentre per le moto la fa da padrona la Gilera con piloti come Duilio Agostini, Libero Liberati, Anderson, Diekie ed altri.
Corse automobilistiche sul Lungofiume
Mai vista tanta calca e tanta gente. Gli spettatori accorrono da tutta Italia e dall’estero. La televisione era solo un sogno che arrivava dall’America. Se riuscivi a scovare in casa dove era stato nascosto lo zucchero e ne mangiavi un po’ di soppiatto, dovevi sinceramente pentirti al confessionale per poterti comunicare con serenità. Ma se andavi a rubare qualche grappolo d’uva nei campi dei contadini, allora a ridosso della città, eri abbastanza tollerato. Non però dai contadini che vigilavano, spesso armati di fucili da caccia.
SCELTA IMPORTANTE
La scelta selettiva fatta dall’oratorio S. Cuore diventerà importante perché, ando poi all’università, i ragazzi continueranno a praticare il ping-pong come un vero e proprio sport. Questa situazione era diffusa un po’ in tutta Italia. Infatti, ad alto livello, tale disciplina ha un’altissima percentuale di laureati. Tuttavia a me sarebbe bastato entrare in quella stanza, respirare un po’ di quell’aria e guardare come quei ragazzi giocavano. Ogni tanto, nell’attimo in cui i giocatori entravano, dallo spiraglio appariva una stanza al buio con al centro un tavolo fiammante, una grande lampada con plafoniere al centro e sopra al tavolo, che illuminava solo l’area di gioco. Nel soffitto e nelle pareti buio assoluto. Sembrava un ambiente ovattato e magico. Si diceva che c’era sempre una scatola di palline pronta all’uso. Noi spesso aspettavamo vicino al tavolo vuoto e inanimato che arrivasse un nostro amico “benefattore” che ne avesse una. Naturalmente questo, col diritto riconosciuto da tutti, di giocare subito. Erano i tempi in cui, per un bambino, la cosa più importante era possedere un pallone, una bici o una pallina da ping-pong. Come una liberazione arrivano le festività natalizie. Non si va a scuola. Si può giocare a ping-pong anche il mattino. Si gioca a calcio. E si scorrazza per tutta la città. Si va al fiume per raccogliere il muschio per fare il presepe; si mangia molto; si fa a gara per chi deve preparare l’acqua con le cartine di “idrolitina”, si gioca a carte in famiglia con parenti ed amici. La stufa a legna rimane accesa fino a notte. Si va a dormire tardi. C’è una grande euforia ed anche un grande contrasto con la povertà della grotta. Alla fine si aspetta la Befana. L’attesa è piena di mistero. È come una nonna che giudica ma non condanna, non brontola e regala sempre qualcosa. La lettera di richieste è lunga. Un tavolo da ping-pong, molte palline, una bicicletta, un pallone e tante altre cose. Quando t’addormenti entri in una favola felice. Poi il risveglio. L’emozione mentre cerchi per casa. Hai l’impressione di avvertire che c’è stata la sua presenza. Questo ti fa sentire bene, sereno, poi la sorpresa, i regali. Poche cose. Mai niente di quanto hai richiesto. Però sei contento ugualmente. Quando scendi per strada, ti accorgi che a chi aveva meno bisogno, la Befana ha regalato i tuoi sogni.
Municipio, Piazza Roma e Corso II Giugno innevati
Finiscono le vacanze. Per tutto l’inverno, al risveglio, corro alla finestra, i vetri appannati dall’umidità. o veloce una mano e guardo fuori, sperando che un manto di neve mi possa regalare un giorno di vacanza e di gioco. Quando accade, c’è festa e palle di neve in tutte le direzioni. Mani e piedi gelati. Ogni tanto una tregua. Mi stupisce l’assenza dei rumori e degli echi. Mentre il bianco delle strade, dei tetti e dei cornicioni ridipinge di nuovi colori ogni cosa. Tutto appare più dolce, delicato, più lontano, meno aggressivo, cancella il ato e il dolore, tutto t’inebria.
RICORDO: FORNELLI A CARBONE
Ricordo che dopo la cena, nel periodo invernale, si trascorreva un po’ di tempo in cucina. Era l’unico luogo riscaldato. In un angolo il camino , da cui a volte il fumo usciva dal lato della cappa e ci investiva. Il piano del caminetto era sollevato da terra, comodo per cucinare. Al centro la brace di legna. Nei quattro lati quattro fornelli a carbone per cuocere il cibo. Le altre stanze, che noi chiamavamo “la ghiacciaia”, fredde e umide. In tutte le abitazioni si viveva in questo modo. La città, a guardarla dalla finestra, sembrava un buco nero. Solo quando nevicava i tetti, i cornicioni, le strade si vestivano di bianco. Così la città, come un fantasma buono, prendeva luce. Mentre il cielo si tingeva di rosa delicato. E nei nostri sogni da bambino ogni volta si sperava di non andare a scuola. Di are tutta la giornata a tirarci le palle di neve. Dopo la nevicata i grandi si preoccupavano. La neve porta miseria. La piazza del mercato, imbiancata, è vuota. Le contadine che portavano le verdure di stagione sono scomparse. Così anche i carretti trascinati a mano dalle campagne si sono fermati. Noi, nonostante tutto, siamo felici. Siamo liberi. Le gambe, le braccia non più incatenate dal banco di scuola, si muovono nello spazio. Un tutt’uno con la natura. Per il resto della vita rimarrà un ricordo indimenticabile per giovani e adolescenti. I grandi dentro le case. Forse ripensano ai ricordi della loro gioventù. La cucina rappresentava il luogo dove si riuniva la famiglia. Si parlava dei problemi e ci si guardava negli occhi. I genitori e i nonni raccontavano storie lontane. I successi del teatro La Fenice. La grande Fiera Franca. La prima guerra mondiale. Le sfilate dei garibaldini in camicia rossa. Il terremoto e i senza tetto che trovavano rifugio in appositi vagoni ferroviari. Nei racconti c’erano storie vissute e storie a loro raccontate. Un misto di ricordi e memorie tramandate. Come quando arriva la ferrovia in città. Il treno a vapore a due volte al giorno. Un treno da Milano e uno da Bari. Il ponte girevole sul fiume Misa. Un pilone al centro del fiume, immerso nel fondale. Il ponte, a un solo binario, collega le due sponde. ato il treno, il ponte con un quarto di giro si ferma. Così lascia libero il aggio per la navigazione dei pescherecci. Ma questo aggio diventa spettacolo nei mesi di luglio e agosto e per la Fiera Franca.
TEATRO LA FENICE
Quando si apre la stagione teatrale, la città si addobba e si colora di bandiere e stendardi. L’arrivo della compagnia teatrale è un grande evento. Tutti aspettano alla stazione ferroviaria, autorità civili e militari. I coristi formano un gruppo. Si sentono già nella parte. Cantano e ricantano le romanze più belle accompagnati da commenti e applausi. La città accorsa, eccitata, s’immerge nell’atmosfera. Il lavoro si ferma e attende. Da lontano il fischio del treno che annuncia l’arrivo del suo prezioso carico. L’emozione sale alle stelle. I coristi eccitati fermano il canto. Voci e rumori salgono. Il treno s’avvicina avvolto nel vapore. Lo stridio della frenata e il fischio finale copre ogni voce. Poi la gioia della gente, il nome di Giuseppe Verdi gridato ad alta voce. L’accoglienza cerimoniosa delle autorità. La calca. I coristi, per far sentire la loro presenza, riprendono a cantare la romanza interrotta. La compagnia, esausta per il lungo viaggio, sale su carrozze e bighe dei nobili della città, verso le sistemazioni alberghiere. Mentre Giuseppe Verdi viene ospitato in un’abitazione nobiliare. Nei giorni successivi la vita riprende il suo corso. Nell’attesa dello spettacolo a volte Giuseppe Verdi dirige la sua opera. Il fascino del compositore. La folta capigliatura che ondeggia con le note. Dà l’impressione che la musica esca dalla sua “magica” bacchetta. Ma è solo il loggione che decreta il successo. È il cuore dei poveri che risparmiano tutto l’anno per non mancare all’appuntamento e si recano al banco dei pegni per racimolare i denari mancanti. Sono le stesse persone che hanno tramandato oralmente il clima e le emozioni di quei tempi. Mentre noi bambini ascoltiamo e chiediamo sempre di più. Perché la favola non deve finire. Così il racconto di quei giorni prosegue. Ricordano la presenza di Leoncavallo, Bellini e Toscanini come direttore d’orchestra nelle serate di gran gala. Poi il racconto ritorna sulla Fiera e sulla presenza di capitani e commercianti facoltosi provenienti dal bacino del Mediterraneo. Poi si ricordava l’arrivo del terremoto. Che mette in ginocchio il grande teatro. E la popolazione che scriveva lettere e cartoline senza francobollo. Bastava scrivere “terra terremotata”. Poi ancora ricordi frammentati. Il grande lampadario in vetro di Murano che sovrastava e abbelliva la sala del teatro. Ora collocato nella sala consiliare del municipio. Ormai costretto ad ascoltare voci. A volte stonate.
SI RIPENSA AI RACCONTI
Ogni tanto il racconto si interrompeva. E una voce un po’ severa ci ricordava che era tardi e bisognava andare a dormire. I genitori, così come i più grandi, ripetevano raramente due volte la stessa frase. A quei tempi non c’era ancora la tv. La radio, il telefono fisso e il giradischi erano beni rari e per poche famiglie. La radio, che noi avevamo in casa da prima della guerra, non trasmetteva quasi niente per i più giovani. Ricordo solo il racconto “Isola misteriosa”. Una puntata alla settimana di dieci minuti. Grande emozione e infinita attesa. Quando la serata terminava, tutti a dormire. Dopo aver riscaldato il letto con il proprio corpo. Ma prima di prendere sonno si ripensava al racconto. Poi si rimettevano insieme, come un mosaico, altre storie. E si immaginava come un film. Così ripenso al nevone. Uomini sui tetti spalano via la neve per evitare crolli, per il peso. Vecchie seggiole e mobili date alle fiamme per riscaldarsi e cucinare. Poi il periodo d’oro del turismo. Dove Senigallia costituisce la prima azienda di soggiorno marittima. Mentre a Cortina sorge la prima azienda per il turismo invernale. Tra la ferrovia e il mare viene costruito l’albergo Bagni. Lussuoso e comodo da raggiungere per i turisti che arrivano col treno. L’albergo è solo per nobili e ricchi. Anche la regina Elena e il principe Vittorio sono tra gli ospiti di questa struttura. È un turismo che si sviluppa per il benessere e la salute del corpo. I vecchi raccontano che donne eleganti andavano in spiaggia. Il costume, poco aderente, copriva il corpo fino alle caviglie. E sempre con ombrellino da sole, elegante e colorato, per evitare il sole diretto sul viso. A quei tempi l’abbronzatura era considerata volgare. Soprattutto perché erano i contadini, d’estate a diventare neri come il carbone per il lavoro all’aria aperta. La carnagione chiara era considerata gentile. E i ricchi non volevano abbronzarsi perché l’incarnato scuro era simbolo del lavoro manuale e della plebe. Con la scoperta delle vacanze al mare i ricchi abbandonano le residenze estive. Ora nobiltà e benestanti arrivano numerosi in città. Posto ideale per bagni, eggiate e feste da ballo fino all’alba. Poi tutti sulla spiaggia a guardare il sole che sorge. L’alba da sempre dava inizio ad una giornata di duro lavoro per i
contadini, che ne avrebbero fatto volentieri a meno. È sempre ricorrente nei racconti una frase: “il mondo è sempre stato così”. Il sottinteso è: non potrà mai cambiare. Solo in America alcuni, arrivati poveri, diventavano ricchi. La storia della nostra città, raccontata con orgoglio e colorite esclamazioni verbali, ci faceva sentire importanti e favoriva il legame tra noi. Anche se i cittadini sentivano il bisogno di creare una scala sociale. Forse per l’egoismo innato, per la sopravvivenza della specie. Così si discriminavano quelli ancora più poveri. O quelli nati fuori dalle mura della città. Alcuni nomi erano considerati più nobili. Persino l’intitolazione della via dove si abitava creava delle differenze psicologiche. Era un mondo ristretto, dove generazioni e generazioni vivevano da sempre, nello stesso luogo e con la stessa cultura. La zona del Porto, ad esempio, lontana dal centro storico, era abitata da pescatori e facchini. Questi ultimi venivano chiamati in senso dispregiativo i “portolotti”. Invece la zona vicina alla Rotonda a Mare, dove fioriva il turismo, era soprannominata la piccola Germania.
SERVIZIO MILITARE
Solo il servizio militare, come un vento fresco, rinnovava e modificava i vecchi pensieri. Tutti i giovani, all’età di ventuno anni partivano. Era un momento esaltante. Diventavano uomini. Un biglietto gratis ed un lungo viaggio con il treno. Destinazione Roma, Milano o altre città, ma la maggioranza dei giovani era diretta a Taranto perché da una città marinara si entrava nella Marina Militare. L’incontro con persone di altre realtà culturali. Una scuola di vita e nuove conoscenze. Nonostante la durezza dell’addestramento, rimaneva il periodo più bello della loro vita. Divisa, scarponi e un pasto sicuro per quei tempi era già una ricchezza. Al ritorno erano tutti cambiati, più maturi e sicuri di sé. E anche loro raccontavano delle abitudini di altri italiani e di dialetti incomprensibili. A quei tempi la cultura si diffondeva maggiormente per via verbale. Anche perché la lettura era considerata dannosa per le classi più povere. Pochi erano coloro che avevano la licenza elementare. E già questi ambivano ad un impiego alla posta o al comune. I giovani che partivano per il militare poco più che ragazzi tornavano uomini. Pronti per la procreazione. Così rientravano nel sistema. La futura moglie, una ragazza scelta da genitori e parenti, intenta a cucire e abbellire il corredo. Lenzuola, coperte, tovaglie. Senza questa dote non era possibile sposarsi. L’uomo: al lavoro. La donna: con la madre in cucina ad apprendere il mestiere di moglie nell’attesa del matrimonio. Lei esce di casa di giorno sempre accompagnata dai genitori o dai fratelli. Di notte sempre in casa a guardare la luna dalla finestra. Accompagnata dal sogno di avere tanti figli. Speranza innata per consegnare alla prole la continuità della propria esistenza e di cominciare una nuova vita, magari con più libertà. L’amore si sviluppa libero nei sogni. Nella realtà è un misto di possesso e affetto contenuto. Così dopo il matrimonio le ragazze rimanevano seppellite dai loro sogni. La durezza della vita di prima si ritrovava nella vita da sposati. Per sfuggire a questa realtà per gli uomini c’era la carriera militare, quella ecclesiastica o il sogno americano. Fuggire via lontano. Fra i ragazzi e le ragazze si coltivava sempre il sogno proibito di sposare una persona ricca per sfuggire per sempre alla miseria. Spinta verso una libertà comune agli uomini quanto alle donne.
PIO IX
Tra le persone orgoglio della città c’è anche Pio IX, ultimo Papa re, ricordato dai più vecchi. Diventato Papa, un pescatore della nostra città era andato a trovarlo a S. Pietro. Qui era stato accolto e aveva vissuto un momento di gloria. Si ricorda che il Papa ancora bambino frequentava la spiaggia e i figli dei pescatori. Quei bambini si avventuravano con i genitori sui barconi a vela già indirizzati al duro e rischioso mestiere della pesca. Noi ragazzi, ancora così piccoli, cercavamo sempre di cogliere le notizie sensazionali per accrescere la nostra condizione sociale. Il fatto che Pio IX sia stato il Papa che ha regnato più a lungo, ci riempiva di orgoglio. In seguito, nell’età matura, tutte queste notizie quanto hanno esaltato l’adolescente? Ma in fondo ogni città italiana ha una storia altrettanto speciale e di gran lunga più ricca e luminosa. Così rifletto se queste condizioni creano degli squilibri di identità quando queste persone si devono confrontare sui problemi reali. E queste influenze culturali possono creare intransigenze e immobilismi. Spogliarsi del ato per l’uomo, per natura abitudinario, è molto difficile. Oggi, con una cultura più vasta e globale, il campanilismo si spegne. Soprattutto tra le città più vicine, dove in ato si toccavano invece punte di ferocità inaudite. Retaggio culturale del periodo feudale.
DIFFERENZE SOCIALI
Si ritorna a scuola. Seduti e composti come burattini. Nelle prime file i ricchi e dietro, via via, le altre classi sociali. L’espressione di alcuni visi la ritroverò in seguito nei volti scomposti dei quadri di Picasso. Il maestro è severo. Fa capire che è un nostalgico. Ci racconta che nella prima guerra mondiale tirava bombe a mano nelle trincee avversarie. E si vanta quando dalla cattedra tira una palla di stoffa pesante e dura su qualche alunno distratto. La palla è il cancellino della lavagna. Una volta colpisce in un orecchio un orfanello. Quel giorno l’odiamo come non mai. Sangue rosso e lacrime coprono il viso. Dolore e lacrime amare di chi non ha una casa e qualcuno che lo può asciugare. La scuola ci inonda di rievocazioni della grande civiltà romana e dei grandi nomi del '500. E penso agli alleati che, non contemplati nella storia, sono arrivati col sorriso e ci hanno portato tutto, senza i clamori di storie ate.
LA PAGELLA DELLA SCUOLA
In terza elementare, dopo il primo trimestre, mi consegnano la pagella. Capivo bene che non poteva essere bella. A parte la condotta in cui, per il clima di terrore di quei tempi, avevano tutti un buon voto. Nelle altre materie ero abbondantemente sotto la sufficienza. Solo in disegno avevo sette e sei in matematica. Nel disegno ero decisamente il più bravo. Ma proprio non capivo perché quelli che avevano voti alti nelle altre materie prendevano dieci anche in disegno. Nella matematica invece potevo farcela. Certo, quando c’era da risolvere un problema, se il testo era troppo lungo, non lo capivo. Ma se il testo era molto breve, lo risolvevo immediatamente. Però la procedura al maestro non andava mai bene. La ragione, che scoprirò solo in tarda età, è che soffrivo di dislessia. Così, dopo aver fatto vedere la pagella a casa, i brontolii li sentivo solo al momento. Poi ritornavo nel mio mondo. Ricordo di essermi appartato un giorno con mio fratello, che invece aveva i voti nella media. Con suo stupore e preoccupazione, prendo un fiammifero e con la mano sinistra ci faccio penzolare la pagella sopra. La fiamma, gialla e rossa con una bella sfumatura viola-celeste, si sviluppa subito verso l’alto. Dentro di me ho sentito un piacere immenso. Lascio cadere la pagella per terra e faccio in modo che tutto sia ridotto in cenere. Poi io e mio fratello, lui credo per solidarietà, cominciamo con i piedi a pestare e ridere. a un po’ di tempo. Il maestro, preoccupato, mi chiede un giorno se avevo riportato la pagella. Io naturalmente, con un po’ di timore ma deciso, gli ho risposto di si. Ero abbastanza contento perché leggevo sul suo viso che si sentiva imbarazzato, ma per una colpa che non aveva. Era un po’ quella colpa ingiusta che io sentivo spesso. Dopo il secondo trimestre, alla consegna delle pagelle, la mia era diversa dalle altre. Più grande, e di un blu sporco. Non c’era il solito timbro, ben leggibile con il nome della scuola. Ma una serie di timbri, messi uno sopra l’altro, che sembravano una macchia. Forse era una vecchia pagella di prima della guerra, in cui si doveva nascondere il simbolo del regime. Speravo in una maggiore
giustizia, ma i voti erano quasi tutti gli stessi. E i nuovi non erano più belli. Però ho immaginato tutto il trambusto, fra il maestro infallibile e la misteriosa segreteria della scuola. E questo mi faceva sentire bene.
A IL PERIODO BUIO
a il periodo buio del dopoguerra. Iniziano a circolare i primi mezzi di trasporto popolari: Lambrette, Vespe e 500. Nel frattempo la televisione in bianco e nero fa la sua comparsa. La nebbia dello schermo si accetta come una necessità. Intanto, i grandi schermi del cinema con i film a colori trasportano e fanno sognare piccoli e grandi d’ogni ceto sociale. Non amo la scuola. La trovo violenta. Quando posso diserto e vado al mare. Non c’è mai nessuno, tranne dei pescatori che tirano la tratta. Io li guardo mentre a piccoli i fanno uscire la rete dall’acqua. Poi lo spettacolo finale: pesci di ogni tipo che intrappolati saltellano. Ogni tanto qualcuno, con un lungo balzo, ritrova il mare. Questo mi fa sentire felice. Gli altri, mi fanno sentire triste. Li vedo già in padella, e mentre friggono, ho l’impressione che riprendano a vivere oramai senza scampo. E penso ai miei amici di classe. Poi il silenzio, i colori, la pace, mi fanno di nuovo stare bene. Osservo i gabbiani e le onde, che ritornano dalla riva verso il mare come se avessero osato troppo. Sogno una scuola dove raccontano favole oppure fatta di un giorno di lezioni e sei di libertà. L’apprendimento è forzato, anche su cose che non capisci, mentre senti che il corpo si ribella. Spero anche che un grande incendio possa far ardere per sempre libri, banchi e scuola, mentre il mare ascolta i miei pensieri poi…mi racconta storie fantastiche di terre lontane. All’improvviso la sirena dell’Italcementi mi avverte che il tempo sta per scadere. E immagino gli uomini che scendono ed escono, con movimenti veloci di gambe, braccia e testa, e si dirigono verso la città. Do uno sguardo al fumaiolo, alto fino al cielo e valuto la direzione del fumo bianco e leggero che esce, per capire se il vento non guasterà la bella giornata di primavera.
Italcementi
(per un lungo periodo verrà innalzato un secondo fumaiolo, che poi sarà demolito)
Mentre, spero, con un po’ di timore, che nessuno si sia accorto della mia assenza. Per me rimarrà sempre un mistero. Dopo le assenze, il maestro sembra contento, io uso sempre la stessa giustificazione: ammalato. Mai nessun controllo. Nemmeno a casa sospettano niente.
“Il sapere è come il piacere
imposto è come il dolore”
Arriva l’estate. Sono in molti ad avere parenti in campagna. I bambini di città spesso vi trascorrono un po’ di tempo. La frutta non manca e quando cuociono il pane c’è profumo e gran festa. I contadini, a petto nudo, chini sul lavoro a decine a decine, sono dappertutto. Ogni tanto un rumore, avverte che sulla strada erà un’automobile. I più giovani corrono verso la strada. Il lavoro si ferma. Tutti guardano, e tutti hanno qualcosa da dire. Mentre la scia di polvere si alza veloce, fa capriole e ondeggia col vento. Poi si richinano sotto il sole cocente.
“Il rumore entra nell’aria
il cane abbaia abbaia
i contadini guardano con emozione
il progresso dell’aviazione”
Oppure quando un rumore nasce dal cielo, tutti cercano, tutti guardano con il naso all’insù. Finalmente, qualcuno lo vede, un’esclamazione di orgoglio, l’indice rivolto all’orizzonte, poi tutti indicano e commentano. Lentamente si avvicina il rumore dell’elica, ora forte ora lieve, diventa netto, continuo. Si cerca di scrutare il pilota, con il casco aderente di pelle. Poi lento e maestoso, ci lascia soli con le voci della natura. Gli uccelli con rapidi cinguettii impauriti, interrompono i disegni del volo e in picchiata rettilinei si dirigono nell’albero più vicino e si nascondono. Quindi l’aquila di ferro si perde all’orizzonte, dagli alberi, veloci, numerosi, come se fossero foglie si distaccano e prendono a volare. Dall’albero una morbida scia, poi si dividono e riprendono a scrivere e cancellare i loro disegni. Quando c’è un matrimonio la vita di campagna, è festa piena e senza pensiero. Gli sposi come un avvenimento nell’avvenimento si spostano da casa alla chiesa e di nuovo a casa con la macchina di piazza, così chiamavano il taxi. Gli invitati in bicicletta o a piedi, il fattore con la biga, i padroni della terra, in macchina, e una o due motociclette che appena arrivate fanno formare un circolo di curiosi, uomini e bambini. L’aia si popola di parenti e conoscenti alcuni ormai diventati cittadini. Grandi saluti, strette di mano un po’ goffe e insistenti. Il capoccia, con un fiasco di vino e l’unico bicchiere offre da bere ad ogni nuovo arrivato. Dopo ogni bevuta, capovolge il bicchiere verso terra e con qualche colpetto energico fa cadere alcune gocce, in segno di pulizia e di rispetto per il prossimo che dovrà bere. I cittadini sono un po’ schizzinosi, si tirano indietro, ma dopo l’insistenza un po’ aggressiva e sorridente, accettano e bevono come se fosse una medicina.
E poi tornano a sorridere, come se avessero superato il battesimo del fuoco. La sposa in bianco, saluta con baci a tutti, come se non li vedesse da mille anni. Così anche lo sposo. Rigorosamente vestito di scuro. Dopo la prima comunione, questo è il secondo vestito tutto per lui. Forse anche l’ultimo. Per la misura, non ci sono problemi. Nel corso degli anni non crescerà di un grammo. Ci penserà il campo e la levataccia alle quattro del mattino, per dar da mangiare alle bestie (buoi da lavoro), a mantenere il fisico asciutto come un’acciuga. Il pranzo ricco di ogni cosa e vino in abbondanza. Rumori assordanti, polli e gatti che girano fra le gambe. C’è sempre il più istruito che si esibisce e fa il discorso. Qua e là qualche barzelletta spinta e troppi lanci di confetti, che gli invitati portano da casa. Trasformano il banchetto in una sassaiola, troppo aggressiva: una liberazione che agli occhi d’oggi, può sembrare barbara. Noi bambini ci divertiamo un mondo a tirare confetti come sassi nella testa delle persone adulte. Tutto sopportato come tradizione. Alla fine, nessun ubriaco, forse per l’aria aperta e anche per il gran mangiare. Fra gli invitati c’è sempre uno che suona la fisarmonica. Tutti sull’aia a ballare o a guardare. Le donne grasse fanno gruppo, si riposano, sono quelle che hanno pensato e cucinato. Finalmente guardano e ridono. Poi arriva il turno, che tutti aspettano, del mattacchione, o forse attore lasciato a marcire in campagna dal destino. Le donne grasse ora libere, ridono a singhiozzi senza trattenere, mentre le loro pance abbondanti vibrano veloci dal basso all’alto, seguendo il ritmo delle loro convulse risate. Il quadro è comico e un po’ irreale. La fisarmonica porta la musica in tutta la campagna, mentre l’aria che si muove, la modula. Senti sulla pelle il vento che ondeggia e modifica le note come un mare invisibile. Si espande. Nel cielo aperto, le rondini veloci volano, disegnano e cancellano, percorsi misteriosi. Nel sotto tetto della casa, dura e senza persiane, nidi di rondini, come frecce arrivano e partono, ovunque. Vicino il pagliaio oro, luce, armonia e vita. Noi bambini siamo già sui campi a correre e a fare qualche piccola scoperta che la campagna ti riserva. E da lontano dall’aia seguiamo attraverso le voci e i suoni che giungono alleviati e sempre più lontani. Poi nell’aria irrompe il gioco della morra. Un duetto di voci brevi e urlate con un ritmo incessante e bestiale. Gli uomini a circolo guardano e aspettano il turno. Il suono si sente a chilometri, e pensi all’unico gioco liberatorio degli uomini di fatica e di lavoro. In seguito verrà abolito. Forse sarebbe stato meglio fare un regolamento. Così è stato tolto l’unico gioco e l’unica voce a quelli che tanto han dato e poco hanno ricevuto.
VACANZA IN COLONIA
I più poveri dei ragazzi vanno in colonia; chi sta al mare, va in montagna. Come noi. Si dorme in camerate da venti. Si mangia brodo, pasta e formaggini; fuori pasto non si beve. È proibito. La signora direttrice dice che fa male. Al mattino, quando ci laviamo, con le mani raccogliamo un po’ d’acqua e beviamo di nascosto. Nei bagni hanno bloccato i rubinetti. Veder scorrere via quella del water, ci fa sentire male. In fila per due facciamo chilometri e chilometri, per sentieri, pinete e all’interno del piccolo paese. Attraversiamo la piazza principale, bella, antica, che da un lato si apre come un respiro verso valle. Un bar, qualche cliente, un cameriere con “papillon” che versa seltz, senza inclinare la bottiglia. Dal beccuccio, veloce e spumeggiante, l’acqua riempie il bicchiere, come se il liquido provenisse invisibile dal cielo e si materializzasse. E noi, sotto il sole, guardiamo mentre ci riprende la sete. Ogni tanto un film all’aperto; c’è attesa e gioia. Oscurano tutto e come per incanto, compare il cielo stellato e qua e la qualche stella che sfila. Poi lo schermo si anima e noi siamo già dentro. Ogni tanto rumori e sorrisi. E ti accorgi che il corpo è ancora al di fuori. Seduto. Alla fine del mese, tutti sul pullman con il muso enorme, e noi con le teste fuori dal finestrino. Tutti a casa, baci, abbracci, lacrime e poi tutto come prima.
STRADE BIANCHE
Le strade asfaltate sono poche: la nazionale, il lungomare fino al ponte rosso e alcuni tratti qua e là. Il resto: polvere d’estate, fango d’inverno. D’estate ogni tanto una fermata per lavare i vetri imbiancati e dare una pulita alla targa: lo squizzetto pulisci-vetri non l’hanno ancora inventato. D’inverno le auto senza riscaldamento vengono guidate con cappotto, cappello e guanti. Ogni tanto una fermata in qualche bar per riscaldarsi con la stufa a legna, quando c’era, poi un cognac e di nuovo si riprende il viaggio con l’auto fredda come un frigorifero. Un vero frigorifero invece è ancora una moda americana, per le abitazioni. D’inverno si mettono i viveri da mantenere fuori dalla finestra. In estate non ci sono problemi. Il mangiare si compera tutti i giorni, roba fresca di campagna. Dieci giorni le pere, dieci giorni le ciliegie, dieci giorni le fave, dieci giorni i fichi, quattro mesi il minestrone, due mesi i pomodori, dieci giorni il melone, dieci giorni l’anguria, dieci giorni le melanzane, ecc..., dopodiché aspetti l’anno prossimo. L’inverno, patate, fave secche, olive sotto sale, melanzane sotto sale, qualche mela e pane e pasta. Il pesce sempre, si salta solo quando il mare è in burrasca. La carne, alcuni una volta la settimana, altri una volta al mese, altri ancora una volta quando è festa. Tutto questo cinquant’anni fa. Gran parte delle persone che incontri per strada, che lavorano e hanno l’aspetto giovanile ed elegante, l’hanno vissuto. Forse qualcuno l’ha anche rimosso. O forse lo ha dentro in un misto fra il bello e il brutto, lontano e vicino. Come in un film un po’ cancellato e un po’ sbiadito. Compaiono muratori, contadini tirati nel viso, magri nel corpo, senza un filo di pancia, bruciati dal sole e infreddoliti dall’inverno. Con delle mani enormi e rovinate dal lavoro. Si spostano con un cestello di cartone, per il pranzo, che consumano durante una breve pausa. Mangiano una grande quantità di pane, cipolle e qualche bicchiere di vino. Sognano un mondo più giusto e la possibilità di studio per i propri figli, per poter dar loro una vita migliore. Trasmettono loro il guadagno delle proprie fatiche, ma non della loro cultura. Tutto ormai sembra perduto. Nel frattempo arriva un po’ di benessere. La scuola abolisce, dopo le elementari, i tre anni d’avviamento che davano la possibilità di un impiego, ma chiudevano tutte le porte per proseguire lo studio.
Dall’America arriva il grano a basso costo. Le campagne, in cui il reddito principale deriva dalla produzione del grano, non rendono più come prima. Inizia l’esodo dei contadini, che inondano le città; molti andranno all’estero alla ricerca di fortuna. In questa nuova realtà, il ping-pong e così anche gli altri sport, possono contare su un maggior numero di giovani che proseguiranno la pratica sportiva. Si sviluppano la pallavolo, la pallacanestro ecc. Per il gioco del ping-pong, si lasciano alle spalle le palline rotte e riaggiustate con l’acetone, palline acciaccate e fatte rinvenire con acqua calda e racchette improvvisate. Si acquistano racchette nei negozi. In Italia nasce la Ju Rapida. È la prima ditta che costruisce materiale specializzato per il ping-pong. Le palline Ju Rapida, Sirio, Samca, costano £ 120 l’una; le racchette di solo legno £ 150; due racchette ricoperte con sughero, con retina e i e tre palline £ 1.575; una racchetta di lusso, £ 975, ecc. La racchetta Barna è subito apprezzata. È ben modellata, leggera e ricoperta con gomma puntinata.
VERA PROMOZIONE
“Felici e contenti col treno a viaggiare
anche se l’acqua dobbiam conquistare”
L’attività più importante è svolta ancora dal CSI, non solo a Senigallia, ma anche su tutto il territorio nazionale. Anche le ACLI (Associazioni Cattoliche Lavoratori Italiani) prevedono un’attività che si conclude con una finale nazionale, privilegiando la categoria seniores. Questi due enti di promozione sportiva risulteranno in seguito fondamentali per lo sviluppo popolare della nascente federazione italiana GITeT (Gruppo Italiano Tennistavolo). Ci spostiamo da un luogo all’altro con il treno o con le corriere. I più giovani, quando vedono sfrecciare il treno davanti al aggio a livello, rimangono incantati. Ora tocca finalmente a noi salire e andare lontano. Più lontano possibile. Mangiamo qualche panino. E scendiamo ad ogni fermata, alla caccia dei rubinetti, per bere o riempire qualche bottiglia.
Duomo; A.C.L.I. - Via F. Cavallotti
UN FATTO NUOVO
Un ragazzo di un’altra città fa il militare dalle nostre parti. Si presenta in Parrocchia vestito d’ordinanza, con una racchetta verde in mano. C’è subito curiosità. Racconta in breve la sua storia sportiva e da dove viene. I ragazzi ascoltano con interesse, e vogliono tutti giocarci contro. Iniziano le sfide. Il nuovo arrivato al primo avversario dice: “A te faccio fare solo 3 punti su 21!” Al secondo sfidante 5 punti. Al terzo 4 punti… e così via. E così gioca mantenendo quanto ha promesso. I ragazzi rimangono sconvolti. Tutti i pomeriggi lo aspettano con ansia. Tutte le volte, per mesi, la stessa storia. Partecipa con noi anche all’attività del C.S.I. Un frate assistente, molto dinamico, fa nascere la prima vera Società. Nella finale regionale, nel momento più delicato dell’incontro, un nostro giocatore mette in atto una strategia provocatoria. L’avversario è al servizio mentre la palla è in mano al nostro giocatore. L’avversario aspetta che la palla gli venga lanciata normalmente, aspetta concentrato per afferrarla. Il nostro giocatore finge di lanciarla, poi si abbassa e rinvia la palla facendola rotolare sotto il tavolo. L’avversario s’innervosisce subito. Si altera, reclama con l’arbitro per avere subito un atto di disprezzo nei suoi confronti. Se ci avesse pensato, forse l’avrebbe fatto anche lui. Così perde l’autocontrollo e la gara. Alla fine dell’incontro ci vuole l’intervento dei presenti per evitare che la vicenda finisca come un incontro di pugilato. Questo è un periodo di forti frustrazioni. La cultura della furbizia compensa i disagi sociali, ma di certo inibisce le reali capacità dell’individuo. Dopo un anno i due promotori se ne vanno e i ragazzi rimangono soli. Chiedono di poter continuare l’attività.
CI AFFILIAMO ALLA FEDERAZIONE
“I genitori li lasciano andare
i ragazzi felici vanno a giocare”
Siamo negli anni '60, oramai sono maggiorenne. Grazie ad un amico che studia e gioca a Bologna, ci affiliamo alla federazione nata da poco sotto il nome GITeT. L’attività è troppo costosa. Con il mio amico diventiamo atleti e dirigenti. Senza alcun appoggio economico. Però ci arriva regolarmente la rivista il "Pongista" così abbiamo tutte le informazioni su quello che succede in Italia e all’estero. I comitati provinciali ricevono un contributo annuo di 20 francobolli per la posta ordinaria. Per chi si classifica nei primi posti, l’attività del CSI e delle ACLI prevede la possibilità di proseguire nelle fasi successive gratuitamente. È una novità incredibile. Pure i genitori sono contenti. Noi mangiamo gratis e così a casa c’è da preparare un piatto in meno.
OCCASIONE DA NON PERDERE
“Il buon assistente ci ha lasciato
a tutti noi dispiace non l’abbiam ringraziato”
Le gare sono organizzate in modo che, per i partecipanti, l’ospitalità sia gratuita. Un grande incentivo e un’opportunità che ci sembrano irrinunciabili. C’è però l’ostacolo del lungo viaggio e del costo proibitivo. Parlarne a casa? Meglio non farlo, altrimenti i ragazzi subirebbero prediche sullo studio e sul lavoro che prima o poi dovranno affrontare. Si sentirebbero dire: "Non ti basta giocare a San Martino?". Lo sport non fa parte della cultura. Perché le classi più povere devono pensare solo al lavoro che richiede fatica fisica e non fa sentire la necessità dello sport. Il gioco è per molti una pratica che si interrompe a 10 o 11 anni. Per alcuni anche prima. Inoltre, prima della guerra veniva imposto come preparazione alla vita militare; macerie e risultati sono ancora sotto gli occhi di tutti. Così lo sport soffre questa deviazione. I ragazzi parlano con il frate assistente che segue anche l’attività ricreativa e che gioca spesso a ping-pong con loro, con amabilità e trasporto. Non abbiamo mai saputo se è stato lui l’artefice: un bel giorno il parroco, che capivo poco per i suoi atteggiamenti, mi chiama. Con poche parole e con un grande sorriso, fa uscire dalla tasche della tonaca un bigliettone rosso da £. 10.000 e me lo dà. E mi dice: "Questo è per la trasferta, fate i bravi". Nello stesso momento, mi sento proiettato in un nuovo mondo. Un nuovo mondo, dove non esistono né ostacoli né confini, sereno, libero, in uno spazio infinito. Corro a dare la notizia. Un’esplosione di gioia. Il giorno dopo siamo già in treno e iniziamo la nuova avventura.
Stazione ferroviaria
E' come se ci fossimo liberati da pesi e fastidi. La destinazione è Chiavari. Dopo molto tempo veniamo a sapere che l’assistente buono è partito come missionario.
EMOZIONE
È un’emozione incontenibile vivere insieme questo momento. Ti fa vibrare il corpo e ti accelera i battiti cardiaci. Salire sul treno e andarsene, vedere e incontrarsi con persone che parlano dialetti così diversi e a volte incomprensibili. L’emozione è alta per tutti, e tutto desta curiosità. Si vedono persone e stili di gioco differenti, così come i luoghi. Per la prima volta partecipiamo all’attività federale. Attraverso le gare eliminatorie provinciali e regionali ci siamo classificati per le fasi nazionali. Di colpo ci troviamo inseriti nella gara più importante a cui abbiamo mai partecipato. La manifestazione prevede gare, dalla categoria allievi fino agli assoluti. Non solo partecipiamo, ma possiamo vedere i “mostri sacri” del ping-pong nazionale. Conosciamo i nomi di tutti, ma non li abbiamo mai visti. Fra i ragazzi c’è attesa, emozione e curiosità.
1961 - PRIMI CAMPIONATI ITALIANI
Arriviamo nel pomeriggio. Durante una eggiata, osserviamo il tramonto sul mare. Noi dell’Adriatico, abituati a vedere il sole sorgere dal mare ci sentiamo confusi e quasi impauriti. È come se il sole sempre più venisse risucchiato dal mare e cadesse all’indietro. Siamo ospitati in un albergo a più piani. Con l’ascensore scendiamo nel seminterrato. Ci troviamo subito in una grande palestra. Non ricordo bene se con 7 o 8 tavoli. Ogni tavolo ha una propria illuminazione con lampade potenti. I tavoli sono tutti nuovi. Il riscaldamento è giocoso: schiacciate, commenti, sorrisi. Un momento di festa e d’attesa. Trovo sorprendente e sconcertante sentir parlare così tanti dialetti. Per noi sono tutti incomprensibili. Si afferrava solo qualche parola, mai il contenuto. In quei tempi i dialetti erano molto stretti, originali. Quelli del nord sono sbrigativi, essenziali. Danno l’impressione di non avere tempo da perdere. Come se avessero interrotto un lavoro che devono riprendere. Quelli del centro hanno una parlata più “cantata”, che ti entra dentro e ti rilassa, ti fa respirare. Quelli del sud sono fra l’eccitato e il rassegnato. In realtà non è sempre così, nel sud si avvertono molte più differenze. Solo in seguito, con la televisione, la lingua italiana comincia a uniformarsi e lascia vivere la traccia della cadenza. Cerchiamo subito i giocatori più bravi. Non ci sono bambini. È tutta gente grande. Giocano in un modo che non abbiamo mai visto. Fra i ragazzi, commenti, emozioni e meraviglia. Poi, con l’ascensore, subito in camera. Tutto è molto comodo e confortevole. Io mi sento tranquillo. Non si deve uscire o attraversare strade. I ragazzi trovano ugualmente il modo per creare qualche problema. In camera c’è il telefono sul comodino, così telefonano a caso, nelle altre camere, solo per il piacere di disturbare qualcuno. Poi si divertono con l’ascensore: salgono e scendono continuamente. E' la prima volta che lo usano.
L’eccitazione è alle stelle.
“Su e giù senza riposo
qualcuno aspetta un po’ nervoso”
Facciamo la nostra esperienza di gara, due primi posti con la stessa ragazza nei femminili giovanili e un terzo posto nel maschile allievi. In seguito questo ragazzo verrà convocato per gli Internazionali d’Italia. La trasferta è stata positiva, non solo per i fantastici risultati nelle gare, ma soprattutto per quel bagno di novità e sensazioni vissute. Poi tutti quei visi, quei corpi, i dialetti, i modi così diversi che ogni persona esprime, ci danno un senso d’arricchimento e di sicurezza, come se una finestra si fosse aperta dentro di noi. Anche l’agro del sudore che si respira nella palestra dà un tono solenne e un senso alle sfide che si giocano su ogni tavolo.
SCHERZI FEROCI
Durante una trasferta, un giocatore, in un momento di distrazione dell’amico, gli apre la borsa e gli prende la racchetta nascondendola nel doppio fondo della sua borsa. La stessa idea viene anche all’altro e pure lui fa altrettanto. Durante il viaggio si guardano e si sorridono con aria compiaciuta e un po’ distratta. Tutti e due pensano che l’altro non sospetti niente e che, al momento della gara, penserà di averla dimenticata a casa. Arrivano al torneo, dopo un lungo viaggio in treno. I due si tengono sempre vicini per non perdere il momento del divertimento. Aprono le borse, con fare distratto, e si guardano per cogliere l’attimo. Ridono e si guardano, con la mano nella borsa che cerca. All’improvviso smettono di ridere e rovesciano le borse preoccupati. Col pensiero dello scherzo fatto all’amico, a loro è successo veramente. Dopo un attimo di terrore, capiscono. Anche perché, in un’altra circostanza, uno dei due aveva sottratto e nascosto la scarpa destra del compagno. Prima di dirgli la verità, lo aveva mandato a fare il riscaldamento con una scarpa sola.
L'INCONTRO DEL PRIMO CUORE
Abbiamo conosciuto per la prima volta dei dirigenti nazionali. Molto affabili e premurosi nei nostri confronti. Io sono appena maggiorenne, i ragazzi hanno dagli 11 ai 13 anni. Forse ci vedevano come dei pulcini meravigliati e impacciati. Non abbiamo più dimenticato il Presidente Nazionale per la cortesia e l’umanità con cui si è rivolto a noi. L’abbiamo sentito come un cuore che ci stava vicino, e che non avremmo dimenticato. Ci ha fatto sentire importanti e felici. Forse è proprio questa amicizia che mi ha dato la forza per resistere e per superare le difficoltà che abbiamo incontrato successivamente. In seguito, anche le due sorelle della ragazza che a sorpresa ha vinto due ori si avvicinano al nostro sport. Nei campionati dell’anno successivo, salgono anche loro sul gradino più alto. La nostra tecnica è basata su pochi concetti. Ma rappresenterà un punto fermo dei successivi sviluppi. Al ritorno nella nostra città abbiamo vissuto un’altra emozione. Forse per i risultati agonistici ottenuti, forse per l’esperienza fatta. Scesi dal treno, ripercorrendo le strade verso casa, tutto ci appare diverso: strade, abitazioni, persone che incontriamo. Sembra che sia da tanto tempo che manchiamo. L’emozione è forte. Poi, le solite parole, le stesse abitudini, si ritorna nella vecchia realtà. Ma dentro di te, senti che qualcosa è cambiato. Ogni tanto fra i giocatori si parla di come giocano gli orientali e la diffusione del ping-pong che c’è da loro. Arriva la notizia che Chuang Tse Tung è campione del Mondo, ma la sua carriera si fermerà per la rivoluzione culturale che avvolge la Cina. In seguito diventerà Ministro dello sport. Questo ci farà sentire orgogliosi.
TORINO
In occasione del Centenario dell’Unità d’Italia, la Federazione organizza la prima grande manifestazione internazionale (Internazionali d’Italia). Con nostra grande soddisfazione vengono convocati in azzurro, per le gare giovanili, due nostri atleti ancora giovanissimi.
RICORDO: I GENITORI DA BAMBINI
Ricordo da bambino che ai bordi delle strade, in città e in periferia, ogni tanto trovavi una fontana o un rubinetto di acqua potabile dove potevi dissetarti. I genitori raccontavano che, quando erano piccoli, andavano con bottiglie e brocche a prendere l’acqua per cucinare. In casa ancora l’acqua non arrivava. Per lavare i panni c’era un lavatoio pubblico. Le donne che abitavano lungo il fiume, e questo lo ricordo anch’io, lavavano la biancheria sotto il sole, con i piedi nell’acqua e una tavola di legno. Mani rosse, schiena curva, sapone bianco. Mentre la schiuma galleggiava lunga verso valle. Le donna cantavano, parlavano e battevano con forza gli indumenti sulla tavola. Nei paesi le fontane si potevano trovare a qualche chilometro dalle case. I bambini di questi luoghi, senza scuola, imparavano subito il mestiere dei servi della gleba. Mentre i vecchi aspettavano il tramonto della vita senza pensione. E si rendevano utili a portare acqua in casa, a raccogliere legna per il fuoco. A intrattenere i bambini con favole e racconti di vita vissuta.
ARRIVA DAL GIAPPONE LA NUOVA RACCHETTA
“Il suono del gioco è ritmato
senza pensare sei concentrato”
Arrivano dal Giappone le racchette ricoperte di sola gomma simile alla spugna, più piccole e leggermente allungate, il colore è verde o giallo. Perdiamo il dolce e veloce tintinnio della pallina che colpisce tavolo e racchetta. Con questa novità gli orientali sbaragliano i miti europei. Noi non l’accettiamo favorevolmente. Nessuno conosce il top spin. Per un gioco di taglio e per le troppe racchette di legno che circolano non risulta efficace. Però tutti la provano e tutti ne sono incuriositi. A creare disagio è anche quel rumore sordo che lascia la racchetta nel colpire la pallina. Invece suono, legno e pallina, si armonizzano bene con i gesti rapidi e nervosi dei giocatori. Nella concentrazione, il prolungarsi dei tintinnii raggiunge gli stadi più profondi del pensiero: si ha l’impressione di cadere dolcemente all’interno di sé.
ANCORA DAL GIAPPONE UNA NUOVA RACCHETTA
(Inizio del gioco moderno)
“Capelli lunghi contestazione
arriva il tempo della rivoluzione”
Ancora ad opera dei giapponesi arriva la racchetta sandwich. Le gomme rivoluzionano la tecnica di gioco. Costano veramente tanto. Siamo nel bel mezzo della contestazione giovanile. È come un’onda magnetica che spezza le catene invisibili ancorate al ato e libera i giovani contestatori. I rapporti con i genitori s’invertono. I genitori reagiscono, si difendono e sono travolti e sconfitti. Poi, come impazziti, sconvolgono i rapporti con le istituzioni. Chi gestisce il potere non sa più cosa fare. I professori, i presidi, i rettori, i genitori, che si sono preparati tanto seriamente alla loro mansione, si trovano di fronte a nuovi valori. I giovani parlano, parlano e ragionano. Si manifestano nuovi pensieri e nuove idee. Non si tornerà più indietro. I genitori, che oramai hanno perso il “potere” sui figli chiedono e si chiedono: "Quando noi eravamo giovani, i grandi ci dicevano di star zitti perché eravamo piccoli. Ora che siamo grandi, i giovani ci dicono: “State zitti matusa” ma allora, noi quando possiamo parlare?" È il primo tentativo di dialogo. Forse, a parlare, è il cuore di bambino dentro di loro che non è “cresciuto”. Questo nuovo clima infonde energia e promuove il dialogo, anche all’interno della nostra associazione sportiva. I giocatori si lasciano crescere i capelli. Molti giocano con la fascia, altri fermano i capelli con una molletta. Io mi lascio crescere la barba, invece dei capelli, forse per darmi un tono e forse per ribadire la differenza dei ruoli. Intanto, nuovi ritmi musicali si diffondono tra i giovani, che ne sono posseduti.
L’ESODO
“Da campanile a campanile
il tavolo abbiam trasportato
dopo un lungo percorso
uno spazio abbiam trovato”
Si a un momento difficile. Nella nostra Parrocchia non c’è più posto per noi. Il preside della scuola Ragioneria ci regala un tavolo SIMONIS, che da qualche tempo giace in magazzino. Il professore apionato si è trasferito. Col mio amico che studia a Bologna e con altri amici iniziamo il pellegrinaggio che durerà fino al 1969. Ci trasferiamo alla Casa della Gioventù.
Ex filanda; Casa della Gioventù - Piazza Garibaldi
Partecipiamo alle gare con il nome “Circolo Tennis”. Giochiamo le partite di campionato nel salone del circolo cittadino “La Fenice” partecipando per due anni al campionato di serie “B”. Poi andiamo alla Parrocchia del Portone. Ci spostiamo ancora e riattraversiamo tutta la città e veniamo accolti al circolo ACLI, dove vinciamo il titolo italiano seniores dell’Ente. Infine torniamo a San Martino e siamo accolti nei sotterranei, che nel frattempo sono stati bonificati. Volte romane, con mattoni a vista tutt’intorno, pareti e grandi colonne. L’emozione di fare un salto indietro nella storia. Una cornice suggestiva, di forza e di bellezza. Finalmente il primo luogo tutto per noi. Abbiamo finito l’esodo. Con la carretta del falegname, diventato nostro amico, abbiamo trasportato per chilometri e chilometri l’unica nostra proprietà, il tavolo. L’abbiamo fatto ballare lungo le strade di pavé di tutta la città. Siamo ati da campanile a campanile, alla ricerca di un territorio. Eravamo alla ricerca di una nostra identità. Però la Società risente della cultura del ato. Si vive un forte dualismo culturale. La popolazione dei giovani non esiste.
Chiesa del Portone; oratorio
Chi si distacca dalla cosa, si isola. Trovare uno spazio per dar vita ad una cosa nella cosa, scandalizza. Difficoltà e fastidi ostacolano il libero pensiero. Però abbiamo vissuto l’esodo come una grande avventura. Non c’è mai stata una rottura con chi ci ha ospitato. Ad ogni trasferimento abbiamo trovato stimoli e nuove amicizie. Tutto il lungo percorso è stato vissuto come un avanzamento.
“Il bel tempo arriva a dicembre
noi ci tuffiamo fino settembre”
Col mio compagno di esodo entro in completa sintonia. Nonostante la giovane età ha assimilato tutta la cultura scolastica e l’ha arricchita ulteriormente con curiosità verso ogni campo. Sia nel linguaggio che nei contenuti, la sua profonda cultura non appare mai, ma in realtà è sempre presente. Emerge di continuo un nuovo pensiero. Ci parlo bene e con reciproco entusiasmo. Così, inconsapevolmente, mi ha trasmesso una base di conoscenze che la scuola non mi aveva dato e non poteva darmi.
S. Martino: scantinati
Durante il periodo estivo andiamo al molo a fare il bagno. Nuotiamo lungo il porto canale, usato come una lunga piscina. I vecchi raccontano di gare e straordinari campioni senigalliesi che vincevano competizioni nazionali un po’ in tutta la penisola. Poi le piscine, con 12 mesi di allenamento, hanno ridisegnato la storia di questo sport. Ora il campione nasce dove non c’è il mare. Prendiamo il sole sugli scogli. Alcuni spericolati si tuffano dalla torretta del faro. A volte le piogge torrenziali gonfiano il fiume Misa, fino a far lambire alle acque le volte dei ponti. Ma se coincidono con un mare che non riceve, e spinge con onde paurose verso la città, le acque escono dagli argini. Invadono strade, negozi e case. Sul lungofiume, gli imponenti e bianchi Portici Ercolani, assumono un aspetto bello e inquietante, quando le onde percuotono minacciose le colonne e nascondono strade e marciapiedi. Tutt’intorno paura ed emozioni. Noi bambini lasciamo la racchetta da ping-pong sul tavolo e, a piedi nudi, camminiamo ed osserviamo eccitati, la città che cambia.
Portici Ercolani: fiumana
Durante una fiumana quattro universitari si gettano nel fiume. Un po’ per gioco, un po’ per spavalderia. Si lasciano trascinare dalle acque; c’è timore per i pilastri dei tre ponti che devono superare, però la corrente li tiene lontani. Una velocissima nuotata fino all’ultima risalita del molo, prima del mare aperto e pericoloso per le alte onde e gli scogli. La più grande difficoltà: fango e acqua che fanno bruciare gli occhi. Poi la risalita. Alcuni amici li aspettano con gli asciugamani. Ho conosciuto uno di loro. Quando è ritornato a casa i genitori gli hanno chiesto chi fossero quei quattro pazzi che si erano buttati nel fiume e tutta la città ne parlava. Lui ha risposto che non li conosceva.
RICORDO: TENNIS E RIVOLUZIONE GIOVANILE
Nel pomeriggio, con gli amici del ping-pong, andiamo al circolo tennis, nel lungomare, zona “Ponte Rosso”, ponte della ferrovia che scavalca la via del mare. Gli alleati l’avevano ricostruito e poi verniciato di rosso. Per noi bambini questa era la ragione del nome. Oggi non ha più quel colore. Questo è anche un luogo speciale. Basta attraversare il Ponte Rosso e trovi la città della favola. Non ci sono scuole. Il lavoro è accoglienza e rapporti umani. Tutti rilassati e felici. Per noi sono tre mesi di vacanza. Tre mesi di mare, sole e colori. Tre mesi spensierati e di liberi gesti, parole e giochi. Noi del ping-pong portiamo il nostro gioco fuori dalle quattro mura. Al sole e all’aria aperta. Anche i tennisti si dilettano in questo sport. Incontriamo nuovi avversari. Compresi i turisti tedeschi, alcuni molto bravi. Le tre figlie del custode giocano volentieri a ping-pong. Con la nostra società arriveranno al titolo nazionale di categoria. Anche alcuni giovani tennisti, nel periodo invernale, frequentano il nostro club. Assaporando un gioco ritmato e musicale. Ma il circolo tennis è anche il tempio della società “bene”. I costi sono alti. Le lezioni da un maestro vero non sono esattamente popolari. Così quel luogo rimane esclusivo. I tennisti, rigorosamente vestiti in bianco, eseguono un gioco elegante e un po’ di maniera. Le partite si svolgono all’insegna di parole gentili e gesti misurati. Nel periodo della mia frequentazione gioco anch’io a tennis. L’ambiente è lontano dai rumori. Il tonfo breve della palla sulle corde ti sembra l’unica voce. Solo il treno che sfreccia a 100 all’ora sopra il ferro del Ponte Rosso ferma parole e gesti. Poi ritorna la quiete e la danza. E capisci quanto è speciale questo luogo. Poi, all’improvviso, irrompe la contestazione giovanile. L’Italia e l’Europa esplodono. I giovani non si sentono più divisi dalle due classi sociali prevalenti. Si ribellano e chiedono più giustizia. Alla fine il sistema crolla. Ci sarà più dialogo. Aumenteranno le classi sociali. E si avrà maggiore possibilità di penetrazione nei ruoli della vita sociale. Così anche il tempio del tennis, simbolo di prestigio, verrà violato. Nuove racchette varcano la porta “proibita”. Il circolo si arricchisce di numero, con personaggi pronti a trasgredire il protocollo, la tradizione. Come messaggeri del cambiamento. Ma in questo luogo tutto si
stempera. Il pensiero e lo sport si contaminano. Come deterrente ci sono i sacerdoti della tradizione, che con la loro presenza inducono alla moderazione. È come una piazza, dove la città si incontra. Ci si conosce, si fa amicizia. Si organizzano tornei jolly, poi chiamati “gialli” dove si mescolano vecchi e nuovi arrivati. Si tratta di gare di doppio con coppie formate a sorteggio: la metà dei partecipanti considerati più bravi è chiamata a fare coppia con l’altra metà dei meno bravi, che sono inevitabilmente i nuovi arrivati. E dopo ogni turno di gara il sorteggio si ripete, in modo da variare sempre le coppie. Sarà un momento straordinario di accoglienza e di colore. Che sancisce la violazione del tempio. Mai più sarà come prima. In questo luogo il presidente porterà i migliori giocatori del mondo. Per qualche anno si vedrà il grande tennis: Pietrangeli, Tiriac, Mandarino, Panatta, Mulligan, Lombardi, Tacchini, Koch, e tanti altri. Poi il tennis prenderà la via del professionismo. Il piccolo tempio di provincia non vedrà più quei campioni, che nelle pause vendevano racchette e corde per arrotondare gli esigui guadagni. Per questo nel negozio adiacente al campo rosso, che brillava al sole, si formavano dei piccoli mercati. I ragazzi del circolo accorrevano, sempre con un sogno. Qualche parola un po’ titubante con il campione, poi la contrattazione, l’acquisto. E, sempre, molta eccitazione e allegria. Un attimo dopo rivedevi il campione in campo, serio, a giocare. E a te sembrava una scena irreale. Ma, come tutti i sogni, è finita. Mentre in America il tennis esplode, in Italia la Federazione perde slancio. Mancano i nuovi campioni. Ci sarà il declino. Il tempio soffre e conserva i ricordi. Gioca e aspetta. Nel frattempo i vecchi giocatori di calcio, oramai incapaci di correre e giocare sui campi veri, inventano il calcetto. Uno sport a metà strada fra il calcio e il calcio balilla. Invadono ogni spazio possibile. Palestre e campi da tennis vengono occupati da orde selvagge. Così tutti gli sport dal gesto gentile saranno penalizzati o soffocati. Con un atto infelice la luce del tempio si spegne. Anche i due tavoli da ping-pong che sorridevano al sole scompaiono. La piazza buona della conciliazione è ormai un ricordo. Rimane il dolore. Il dolore di una ferita che brucia l’anima.
Circolo tennis - Ponte Rosso
A fine agosto, la Fiera di S. Agostino, un tempo famosa perché franca. Accorrevano le popolazioni un po’ da tutto il Mediterraneo. La Fiera è il segnale che l’estate sta finendo. Alla prima pioggia, la temperatura subito si abbassa. Poi giacchette, cappotti pesanti e si ritorna in parrocchia intorno al tavolo da ping-pong. Oggi il cambiamento del clima non è più così brusco. A settembre sono ancora possibili bagni al mare e maniche corte.
L’ESPERIENZA DELLA SPAGNOLA
Mia madre, prima di sposarsi, viveva in un paese di campagna del centro Italia, a una trentina di chilometri dal mar Adriatico. Per quei tempi era isolamento. La vita e le notizie erano prevalentemente quelle del paese. Quando scoppiò l’epidemia della Spagnola, poco si sapeva dell’Italia. Nulla delle decimazioni che avvenivano sul fronte della prima guerra mondiale. Nulla dell’Europa. Il paese allora si fermò. Così i rumori e le voci. Le abitazioni si trasformarono in piccoli ospedali. Corse voce che l’epidemia colpisse soprattutto le donne. Era solo un’impressione. Perché gli uomini erano al fronte. Anche mio nonno era stato chiamato alle armi. Così nella casa rimasero cinque persone a letto con la spagnola. Solo mia madre, che aveva allora 6-7 anni, fu risparmiata. Così, con l’aiuto di qualche vicina di casa, si adoperò nell’assistenza. Nei suoi racconti non vedevo disegnato il dramma catastrofico che immaginavo nella mia mente. Forse l’età, o l’istinto di sopravvivenza, aveva preso il sopravvento. Anche la campana della piccola chiesa aveva terminato di battere i suoi malinconici rintocchi. Perché anche il sagrestano era stato colpito dall’epidemia. Così il paese era silenzioso come un fantasma. Nelle campagne i sopravvissuti – vecchi, donne e bambini senza muscoli e con la preoccupazione nel cuore – sostituiscono gli uomini.
MEMORIA SUPERFICIALE, MEMORIA PROFONDA
“Il pensiero può elevare
il più forte deve lasciare”
Mi trovo a giocare una partita di serie “B”. L’incontro si svolge al circolo “La Fenice”.
Circolo “La Fenice” - Via Armellini
Uso una racchetta nuova e un po’ elaborata. Negli allenamenti funziona bene. Gioco il primo set e ottengo il risultato sperato. Nel secondo set succede una cosa strana. Perdo le misure e la sensibilità dei colpi. Con la nuova racchetta, ho giocato d’attacco, come avevo provato in allenamento. Il set si mette proprio male. Sto perdendo 20 a 10. A questo punto decido di cambiare la racchetta e prendo la vecchia. Inizio più concentrato possibile. Cerco di riprendere l’abitudine per giocare più punti possibili e prepararmi per la bella. Non attacco più e palleggio. Lentamente entro nella concentrazione assoluta. Intorno a me non esiste più niente. Mi sento immerso nel gioco e nel ritmo. Sento che non posso sbagliare. In questa condizione il ragionamento è lucido e sereno. Gli unici pericoli che avverto sono: “non devo perdere la concentrazione” oppure: “spero che il mio avversario non prenda una retina o uno spigolo”. Quindi faccio attenzione a questa evenienza per essere pronto ad intervenire. Lentamente vado avanti nel punteggio… 20 a 19. Ho il servizio in mano. Mi a un pensiero per la mente. Il mio avversario è disperato. Tenterà la schiacciata. Faccio il servizio e mi allontano subito dal tavolo. Infatti schiaccia e prende sul tavolo. Ero pronto anche mentalmente. Rinvio e faccio punto. Sentivo che i pericoli non erano finiti, però questo poteva dipendere solo da me, se perdevo la concentrazione. Cosa molto probabile quando si fa uno sforzo di concentrazione e si è dimostrato di aver fatto una cosa che sembrava impossibile. L’incontro finisce 22 a 20 per me. Questa situazione mi ha fatto capire che quando si modifica il proprio gioco, anche migliorandolo, occorre che i colpi diventino spontanei. La concentrazione ti dà la strategia. Tra i vari colpi emergono involontariamente quelli meglio registrati dentro alla memoria profonda. Questo mi ha dimostrato che si possono vincere partite impossibili, e perdere partite già vinte. La differenza di concentrazione fra i due giocatori, annulla anche importanti differenze tecniche.
II^ PARTE
IL SOGNO
1969 - INCONTRO DEL SECONDO CUORE
Nella parrocchia c’è un cortile di 10 metri per 10. Un tempo veniva usato per memorabili incontri di calcio, con una vecchia pallina da tennis. Arriva un nuovo parroco. Arriva e sentiamo subito che sarà il secondo cuore. È la svolta. Fa coprire il cortile con un tetto trasparente. Poi il cortile viene pavimentato con quadrati di linoleum che sfuma dal verde al celeste. Ci sentiamo felici, liberi e protetti. Nel gruppo ci sono elementi che non vivono l’attività religiosa della parrocchia; però sono accettati senza discriminazioni. Spesso il parroco mi dice: "Meglio qui che per la strada". La palestra è luminosa, pulita. Di sera lampade potenti proiettano luce solo sull’area di gioco. I due tavoli sgangherati che con tanta cura il vecchio falegname ci ha costruito ci sembrano più belli. È come un sogno che si conclude: di più non è osabile.
Cortile S. Martino
UNA DELLE TANTE TRASFERTE
“Quando la fame diventa vera
qualsiasi piatto è come chimera”
Durante una gara fatta in trasferta, uno dei giocatori si rifiuta di cenare. Dice che non ha appetito. Non so cosa fare, sono un po’ meravigliato. Il resto della compagnia, si avventa sul suo piatto. E’ un ragazzo a cui non manca niente in casa. Penso che per una cena saltata, non morirà di fame. Il giorno successivo, la stessa storia per il pranzo. Chiedo qualche spiegazione: la stessa risposta. Sono preoccupato. Però il ragazzo è allegro e scherza con i compagni. Faccio finta di niente. E spero di non avere problemi coi genitori. In questa eventualità credo che dovrà interrompere l’attività sportiva. Ritorniamo a casa. Il giorno successivo, mentre cammino nei pressi del mercato, vedo da lontano una mano che si alza e mi chiama. E’ la madre del ragazzo che ha digiunato. Mi preoccupo subito. Penso di non averla mai incontrata per strada. Proprio ora? Con un gran sorriso, si avvicina e mi dice di essere molto contenta. Aggiunge che la sera prima, il figlio, tornato a casa, ha mangiato come mai prima. Inoltre, per cena c’era uno stufato che aveva sempre rifiutato. E’ proprio felice, aggiunge che lo manderà sempre in trasferta per giocare: perché lo sport gli fa proprio bene!
1970 - INCONTRO DEL TERZO CUORE
La favola però non ha terminato il suo corso. All’improvviso, un forestiero entra nella nostra palestra. Ci viene incontro affabilmente. È il proprietario della Ju Rapida, la ditta di articoli di tennis tavolo più fornita d’Italia. La sorpresa diffonde emozione fra i ragazzi. Per noi è la persona che possiede tutto ciò che serve al nostro gioco. Ci parla, ci consiglia, forse alla fine si commuove. Sarà il terzo cuore, che darà una nuova svolta. Dopo una settimana ci arrivano tre tavoli Joola, nuovi di zecca. Tutto gratis. Si chiude così, almeno per il momento, la storia dei tre cuori, il presidente nazionale, il parroco e il donatore dei tavoli.
Cortile coperto S. Martino
NASCE IL NUOVO GIOCO
“Il vecchio gioco abbiamo lasciato
perché il nuovo ci ha conquistato”
Poi il nostro nuovo amico ci fa avere gratuitamente l’abbonamento alla rivista Butterfly. L’entusiasmo è alle stelle. I giocatori più grandi, ancora liceali, in un atto di coraggio, si costituiscono con me parte dirigente, con il compito di rivoluzionare gioco e metodi d’allenamento. In Italia sono pochi i giocatori che giocano d’attacco. La maggioranza sono palleggiatori. Dall’Europa arrivano voci che i migliori giocatori attaccano. Cerchiamo di bruciare le tappe. Si abolisce il palleggio. Si stabilisce che è sempre possibile attaccare. Sappiamo che queste regole sono un po’ esagerate. Però occorre chiudere col ato, per capire bene il confine logico fra palleggio e attacco. I giocatori più giovani iniziano un gioco d’attacco sfrenato. Anche noi più grandi ci divertiamo a fare altrettanto. È come andare oltre la realtà. Siamo tutti coinvolti ed eccitati. Ci si rende subito conto della differenza di rimbalzo fra un tavolo verniciato a pennello e uno trattato a spruzzo (alla nitro). La rivista Butterfly risulterà determinante per la scuola tecnica senigalliese. Si cerca inutilmente un traduttore dal giapponese all’italiano. Però la rivista è ricca di foto in sequenze di movimenti di gioco. Le foto, anche se non danno un’idea precisa dei movimenti, ci permettono di desumerli in tutta la loro ampiezza. Mese dopo mese il nostro archivio si arricchisce di sequenze fotografiche: Ogimura, Itoh, Johansson, Jonyer, Bercic, ed altri. In mancanza di commenti, si deve capire perché un colpo viene portato in un certo modo, anziché in un altro. Dopo studi e ipotesi d’ogni genere, si decide di scegliere i movimenti più belli, più armoniosi. Così, se un giocatore, anche famoso, è riportato nelle sequenze, ma il suo gesto non risulta gradevole ed armonioso, il suo esempio viene drasticamente scartato. Nelle interminabili serate ate in pizzeria, fra margherite, capricciose, birre e coca-cole, cerchiamo di capire il gioco fatto con l’impugnatura asiatica ed europea. Fra i dirigenti tecnici, si aprono discussioni e
confronti e, alla fine, si fanno le scelte.
CODICE ESTETICO
“Il progetto è come un miraggio
tutti coinvolti con grande coraggio”
Si stabilisce un codice estetico un po’ sulla base dell’emotività. Si stabilisce l'esatta apertura delle gambe, quando devono essere piegate, come si devono muovere. Ci esercitiamo a lungo sul o di recupero (o incrociato). Facciamo muovere il braccio libero durante il gioco, come contrappeso al braccio che gioca. Controlliamo l’armonia nell’insieme. Modifichiamo e ritocchiamo ogni parte del corpo. Il gioco deve risultare come una danza, seguendo il ritmo della pallina in movimento. Nel gioco veloce i movimenti si accorciano, nel gioco lento si allungano. Non seguiamo con lo sguardo la pallina in gioco, ma come si muove il giocatore. Ci accorgiamo che il suono della pallina-racchetta, ci invia notizie utili sulla tecnica. Infine studiamo, in modo analitico, le ragioni tecniche di ogni singolo colpo. Giungiamo ad alcuni compromessi, senza mai trascurare l’aspetto estetico. Così la nuova via è tracciata. Si prende coscienza che la fine di un gesto è l'inizio di quello nuovo. Tutto deve risultare bello esteticamente. Deve creare emozione. Ci rendiamo conto che ogni giocatore esprime una armonia diversa. Pensiamo che le caratteristiche individuali, miste col vissuto, generano le differenze espressive. La stessa cosa accadrà ad ogni giocatore quando sarà in gara in base alla posta in palio. L’educazione del gesto porta nuovi messaggi alla mente. Si notano miglioramenti di rendimento, anche se ognuno deve fare sempre i conti con il proprio percorso. Un dirigente tecnico si assume il compito di ordinare tutte le sequenze estetiche di gioco. Faremo anche delle serie fotografiche di ogni nostro giocatore. Poi ci confrontiamo con ciascuno per valutare se tali immagini corrispondono a quelle pensate. Si tratta della presa di coscienza del rapporto fra pensiero ed azione. I giovani allievi intanto assimilano e migliorano più velocemente di noi grandi.
Poi, attraverso le osservazioni, nuovi studi e nuove idee. ano giorni e ano mesi. Si vive un’esperienza unica, rivoluzionaria: il gioco evolve. Alcuni colgono subito l’aspetto estetico, in modo esemplare. Questi rappresenteranno l’esempio e il faro per il resto dei giocatori. Durante le gare d’allenamento, i dirigenti arbitrano le partite dei più giovani. Se nel gioco un giocatore fa un palleggio quando è possibile attaccare, la partita viene interrotta ed egli perde il punto. Un po’ disorientati, un po’ divertiti, ma accompagnati da grande entusiasmo, procediamo. In seguito, tutti i ragazzi partecipano alle analisi dei fotogrammi e vengono coinvolti nell’obiettivo finale: “diventare la prima scuola italiana”. Per quei tempi tale atteggiamento è considerato un peccato di presunzione. Per noi è semplicemente un obiettivo ragionevole e un incentivo per ricercare le soluzioni per fare meglio di quanto è stato fatto fino ad ora dagli altri club. Dirigenti e giocatori entrano nel sogno con grande entusiasmo. Tutti come se respirassimo un’aria nuova. C’è impegno, partecipazione e volontà.
SI APRE IL DIALOGO
“Il pensiero prende le ali
tutti i ragazzi diventan leali”
Ci rendiamo conto che, senza un rapporto sincero fra dirigenti e giocatori, i messaggi tecnici cadono nel vuoto. Quando subiscono una sconfitta, soprattutto nelle gare ufficiali, alcuni giocatori producono scuse di ogni tipo “Oggi non sono in forma”, “Sono stato sfortunato”, “L’avversario ha fatto dei punti di fortuna”, “Sul tavolo dove giocavo si vedeva male”, “Il pavimento è scivoloso”, “La pallina sul tavolo rimbalza troppo veloce o troppo lenta.” Alcuni hanno un’inventiva pronta e rassicurante. Però se chiedi se il suo avversario era un giocatore destro o mancino, a volte sbagliano o sono confusi. Nel gruppo dei ragazzi c’è un po’ di tutto. Ma i produttori di giustificazioni sono quelli che influenzano di più l’ambiente. L’allenatore sente la necessità di alzare la voce. Questo produce una barriera ed un irrigidimento in alcuni. Inoltre, per un giovane, mettersi in discussione non è facile. Sentiamo la necessità di trovare un metodo che vada bene anche per quei ragazzi più resistenti. Non vogliamo creare un ambiente selettivo. Constatiamo che, pur in un gruppo così eterogeneo, c’è grande ricchezza nei rapporti fra di loro. Occorre tenerli insieme anche nella diversità dei valori agonistici. Facciamo una riunione tecnica fra i dirigenti. Giungiamo alla conclusione che i nostri comportamenti da atleti non sono molto diversi. Prendiamo in esame la bugia, come mezzo di difesa, quando la verità può rappresentare per alcuni un esame e una eventuale punizione. Ci rendiamo conto che la cultura che ci circonda, fuori dal nostro sport, non è diversa. Decidiamo d’intervenire come se il nostro ambiente fosse un’isola distaccata dal resto del mondo. Incominciamo a pretendere da ogni giocatore sconfitto l’ammissione che il suo avversario è stato più bravo.
“Ora è importante usare la mente
ad ogni disturbo far finta di niente”
Perché ogni volta che ha vinto non ha mai detto che ha vinto per fortuna. Dunque il caso della sconfitta per sfortuna non è ammissibile. Poi facciamo capire che, se si analizzano i motivi di una sconfitta, se ne possono capire le ragioni e si possono trovare le soluzioni negli allenamenti. S’insiste molto sul fatto di accettare che l’avversario vincitore è stato più bravo e che lo si può battere diventando più bravi di quello che si è ora. Si fa capire che le scuse servono per non pensare ai veri problemi.
LA FORTUNA NON ESISTE
“Se l’avversario l’incontro l’ha vinto
il perdente accetta poco convinto”
Infine trattiamo l’argomento della fortuna e della sfortuna come un capitolo a parte. Il tema: lo spigolo e la retina subiti durante un incontro. Si fa notare che quando la pallina tocca la rete, questa rallenta di velocità e spesso ha un rimbalzo più alto. Se chi risponde è attento, ciò può a volte rappresentare un vantaggio. Poi si spiega la teoria secondo la quale più il giocatore fa spigoli e retine, più è bravo. Infatti, un bravo giocatore sviluppa il proprio gioco con traiettorie tese, ando vicino alla rete e spingendo la pallina verso i bordi del tavolo. Quindi le probabilità di colpire spigoli e retine aumentano. Mentre un giocatore meno bravo gioca, per timore di sbagliare, con tiri che ano più alti rispetto alla retina. La pallina tende ad andare verso il centro del campo, allontanando la possibilità di essere “baciati dalla fortuna”. C’è chi accetta con entusiasmo il ragionamento, altri con meno trasporto. Però tutti capiscono bene, tanto è vero che durante gli allenamenti, quando fanno spigolo, con un po’ d’ironia, dicono: “Scusa se sono più bravo”. Ora i giocatori discutono di più con l’allenatore e accettano volentieri la nuova via. Infine tutti si adeguano bene. Alcuni hanno difficoltà nel dialogo. Però cessano di usare la tecnica del lamento. Osserviamo che, dopo la sconfitta, riconoscere che l’avversario è stato più bravo, rende i giocatori più sereni e aiuta a sdrammatizzare. Poi sono più attenti a capire come possono migliorare il proprio gioco.
RAGIONE E MORALITÀ
“La ragione ha preso a contare
la tensione ha iniziato a sfumare”
Il ping-pong aveva acquisito popolarità, ma i nuovi giocatori non conoscevano “le buone maniere” dei pionieri liceali ed universitari, anche perché i nuovi giovani non rappresentavano la loro continuità. Il nuovo filone di giocatori nasceva dalle strade, dove l’educazione, per necessità, era più sanguigna e lo sport rappresentava anche il riscatto sulle condizioni sociali. Si prende pertanto una seconda e necessaria decisione fondamentale. Si convoca una riunione fra ragazzi e dirigenti. Si tracciano le basi comportamentali per il futuro: si spiega che non basta saper giocare bene, che senza il mantenimento della concentrazione, non si vince. Durante il gioco, se l’arbitro sbaglia, è meglio non contestare, perché questo distoglie dalla gara. Però, se sbaglia a proprio favore, è necessario farglielo notare. Infatti, appropriarsi di un punto non meritato disturba ugualmente e distoglie dal proposito che questo debba essere conquistato consapevolmente, col proprio gioco e perché attraverso il gioco, avviene la presa di coscienza del miglioramento. Se si affronta un giocatore scorretto che contesta e chiede spigoli presunti e punteggi da modificare a suo favore, l’importante è rimanere concentrati, perché l’avversario, col suo comportamento, si è già distratto. Meglio lasciare ogni decisione all’arbitro, per non trovarsi nella stessa condizione. Con nostra sorpresa, in breve tempo, tutti i giocatori si uniformano. I benefici si vedono subito nelle partite d’allenamento. Quando uno dei due giocatori vede uno spigolo, l’altro accetta, tenendo ben presente l’esigenza di non perdere la condizione ideale di gara, sapendo oramai che l’altro, se non è sincero, ha fatto un danno a se stesso. Così si è raggiunto l’obiettivo di un comportamento morale ineccepibile, impostato sulla ragione e non sulla repressione.
RINUNCIA ALL'ATTIVITà NAZIONALE
“Il sorriso lo aveva accecato
che ogni gioco lui aveva lasciato”
Ancora in pizzeria dove troviamo il clima giusto. Mentre gli argomenti sono concisi per non far raffreddare la pizza. Si decide di disertare tutti i tornei nazionali, per evitare disturbi nel progetto intrapreso. Per la preparazione fisica si rinvia il problema, anche se noi dirigenti la riteniamo fondamentale soprattutto per il nuovo gioco, più atletico e veloce. Decidiamo di affrontare il problema solo quando i giocatori si renderanno conto di persona dell’importanza della condizione fisica.
Piazza Doria
Si mantiene l’attività obbligatoria, per non perdere i diritti acquisiti: il Campionato a squadre in cui i più grandi hanno il compito di non retrocedere e di inserire, volta per volta, qualche giovane; poi i Campionati Regionali, in cui in una domenica si giocano tutte le gare. E’ un anno in cui abbiamo rivoluzionato il gioco. I ragazzi iniziano le gare con un gioco, all’apparenza, troppo veloce e asfissiante. Vengo a sapere solo l’anno successivo che i dirigenti delle altre società, giudicano, me squilibrato e il nostro gioco, sconsiderato. Senza futuro. A quei tempi era frequente che un set potesse durare 15 minuti, mentre noi, in meno di 10-12 minuti giocavamo 3 set. Però i nostri riscontri li abbiamo avuti subito, riuscendo a piazzare i nostri giocatori nei primi quattro posti della categoria dei più giovani. In questa gara regionale ho fatto la mia prima esperienza importante di allenatore (ancora continuavo a partecipare alle gare come atleta). Durante un cambio di campo, un mio giocatore, che si preparava a giocare la bella, mi chiede che gioco poteva fare per ottenere la vittoria. Il ragazzo mi sembra un po’ contratto. Non riuscivo a pensare quale sistema potesse essergli utile in proposito. I giocatori riconoscevano la mia capacità di essere rapido, sintetico e deciso in ogni evenienza, ma quella volta, non riuscivo a trovare alcuna soluzione. Poi, all’improvviso gli dico: “Perché non fai una bella risata?”. E aggiungo: “Il gioco che stai facendo va bene”. Il giocatore ride, forse più per la sorpresa che per necessità di distendersi. Va al tavolo e vince. A distanza di 30 anni, l’avversario, in amicizia e con molta curiosità, mi chiede che consiglio avevo dato al mio giocatore (io ricordo bene quell'avvenimento). “Gli ho detto di ridere” rispondo. Non sono creduto. Anzi, il mio interlocutore si offende un po’. Pensa che non voglia svelare il segreto. Però un segreto c’era. La vittoria non era dovuta solo alla risata, che aveva il compito di tranquillizzare il mio giocatore. Ma questa aveva gettato nella preoccupazione l’avversario, che
non riusciva a capire chissà quale diavoleria gli avessi detto.
UGUALI NELLA DIVERSITà
“Tutti uguali nel gioco che fanno
ora uguali nella vita, lo sanno”
I giocatori non crescono in modo uniforme. Alcuni assimilano prima, altri più lentamente. Si creano delle graduatorie di valori. I più bravi si cercano e si allenano fra loro. I meno bravi si sentono isolati. Ci troviamo in difficoltà. Sento che non è giusto. Si crea una frammentazione. Prendiamo una decisione controcorrente. In una riunione fra dirigenti e giocatori, affermiamo un nuovo principio: per migliorare e diventare più bravi, occorre allenarsi con giocatori più deboli. Spieghiamo che un giocatore deve esprimere nel gioco le caratteristiche di una squadra di calcio. Dalla difesa fino all'attacco. Se un giocatore fa pratica sempre con giocatori più bravi, allenerà solo la sua parte difensiva, mentre, se gioca con i meno bravi, allenerà continuamente il gioco d'attacco, fino alla schiacciata. Poco utili sono anche gli schemi ripetitivi di allenamento fatto fra due giocatori bravi. Se lo schema viene fatto con un giocatore molto meno bravo, si arriva al paradosso: sarà il giocatore più bravo ad avere il maggior beneficio. Infatti, mentre il meno bravo sarà impreciso nel gioco, il più bravo, per continuare lo schema, dovrà eseguire continuamente un tiro diverso. Il meno bravo avrà sempre la palla che gli arriva precisa nel punto stabilito e giocherà con l'illusione di fare meglio e di migliorare. Ancora una volta sono sorpreso. Accettano senza altre spiegazioni. Forse non tutti con la stessa convinzione.
La cultura dominante dello sport è esattamente contraria a questo principio. In ogni modo, si ricompatta la squadra. Negli allenamenti i giocatori si accoppiano in funzione casuale, così come arrivano in palestra. Abbattiamo così il concetto secondo cui per migliorare, il meno bravo non debba confrontarsi con uno più abile. In questo modo nemmeno il più bravo si sentirà defraudato e si purificherà il clima degli allenamenti e dei rapporti interpersonali.
LA DIPLOMAZIA NEL PING-PONG
Da Nagoya (Giappone) arriva la notizia che un giovane diciottenne svedese, Bengtsson, diventa campione del mondo. Per la sua giovane età lo sentiamo vicino. Andiamo subito a cercare fra le riviste “Butterfly”, per vedere se troviamo qualche sequenza di gioco. Le troveremo nella rivista che ci arriverà il mese successivo. Nella stessa manifestazione, i giocatori cinesi invitano i giocatori americani ad una tournée in Cina. È da otto anni che la Cina ha interrotto le relazioni diplomatiche con tutto il mondo occidentale. La notizia percorre il globo in tutte le direzioni; stampa, TV, non parlano d’altro. È un momento di gloria per tutti coloro che praticano il ping-pong. Le palestre si riempiono di curiosi e nuovi giocatori. La televisione trasmette incontri di ping-pong in diretta. Si inizia a chiamare il ping-pong tennistavolo, per collocarlo in una posizione più “nobile”. Però noi pensiamo che ping-pong sia il nome più esatto, e anche più bello. Per noi aumentano considerazioni ed aiuti economici.
PRIMI RISULTATI
Si a lentamente al secondo anno. Nessun torneo. Solo qualche incontro a squadre, dove i giovani vengono inseriti in numero maggiore. Si gioca in serie C, in un girone molto ristretto. I risultati non tardano. Ci saranno vittorie clamorose, ma siamo molto lontani da quello che succede in campo nazionale. I nostri avversari avvertono subito che c’è qualcosa di nuovo. Sono molto sorpresi dal modulo del nostro gioco. Attacchiamo tutto e subito e terminiamo gli incontri velocemente. Così a un anno. C’è molta emozione. Molte aspettative. Molte curiosità. Sentiamo tutti che il gioco è cresciuto. Non solo il proprio, ma anche quello dei compagni. Le uniche gare sono quasi per tutti sfide senza fine, fra di noi.
L'ADDIO DEI PIONIERI DELLA REGIONE
“Ci salutiamo contenti e felici
ci ricordiamo ancora da amici”
Arriva il Campionato Regionale. Il risultato è senza precedenti. Vinciamo in tutte le gare a cui partecipiamo. 11 titoli nelle gare di singolo e a squadre. Partecipiamo con ragazzi e ragazze. Nelle gare femminili, primi e secondi. Nella gara maschile terza categoria, tra i primi quattro, arrivano due allievi e due juniores dei nostri. Fino a questo momento questa era considerata la gara in cui nessun giovane avrebbe potuto inserirsi. Molti partecipanti sono giocatori che hanno una tradizione. Alcuni hanno più di 40 anni. Conquistando i primi quattro posti, diamo una svolta così violenta che non ritroveremo più i nostri avversari nelle gare. Questo in seguito ci ha creato disagio, perché pensavamo che attraverso i nostri successi si creassero nuove sfide e nuovi stimoli. Ci siamo lasciati con grande cordialità e molti attestati di stima. Ancora oggi ricordiamo i compagni d’allora con affetto. Contrariamente alle altre volte, non mi ero iscritto alle gare di questa manifestazione. Negli allenamenti avevo iniziato a perdere coi miei allievi, con loro grande gioia e soddisfazione. Finalmente, da questo momento, farò solo il tecnico, con prospettive molto interessanti.
ARRIVA IL GRANDE GIORNO
“Ritornano a casa felici e contenti
pensano al domani e a nuovi momenti”
Le gomme di gioco che usiamo sono oramai moderne. Noi pensavamo così: “Arriva il grande giorno del primo Torneo Nazionale. Tutti a Roma per la prima trasferta in massa.
Porta Mazzini - Tutti a Roma
Si affitta un pulmino e si va all’avventura. È un giorno piovoso, ma all’interno del pulmino c’è energia e sogno.” Per i più grandi c’è aspettativa e responsabilità delle scelte fatte. Nei ragazzi c’è la grande avventura e l’emozione di giocare con giocatori che loro conoscono solo per fama. Entriamo nella palestra. Siamo subito avvolti da giocatori, tavoli e rumori. Si cerca qualche viso famoso. E si prova a fare un po’ di riscaldamento al tavolo. Ci rendiamo subito conto che se non hai portato la pallina da casa, non giochi. Guardiamo e osserviamo come giocano gli altri. Iniziano le gare, il risultato per noi è strepitoso. Giochiamo la finale fra di noi nella categoria allievi. Ci troviamo subito al centro dell’attenzione. Nel gioco, la nostra posizione al tavolo è più spostata a sinistra rispetto agli altri. Le ginocchia sono molto più piegate. Siamo più veloci. Usiamo di più il top di diritto. La scelta fatta ha dato i suoi frutti. Ci confrontiamo e ci rendiamo conto che il nostro gioco è più bello e gradevole. E’ come se un corpo estraneo si fosse abbattuto nel torneo, in cui le novità che ne potevano uscire erano scontate. Invece noi abbiamo rappresentato l’imprevisto, l’impensabile. Nella categoria dei più giovani, allievi, arrivano primi e secondi. In semifinale vengono superati due giocatori della nazionale allievi. Fra i premi ricevuti c’è la bandiera del Cile di Allende. Nello stesso anno il Cile libero cadr5à in una dittatura feroce. Quella bandiera in seguito per noi, ha rappresentato un segnale importante Molti ci chiedono da dove veniamo. Quasi nessuno conosce l’esistenza della nostra città. La cosa che mi ha più colpito e preoccupato è stata che i nostri avversari bloccavano spesso a rete i nostri top spin. Questo è il colpo che avevamo preparato meglio. E prevedevo che gli avversari avrebbero risposto male e alto. In seguito, mi rendo conto che le nostre gomme sono Stiga 3 stelle, oramai superate, mentre gli altri usano le Sriver, almeno il doppio più potenti delle nostre. Proseguono le gare, tutti superano turno dopo turno. Poi le qualificazioni
per le categorie superiori. Le gare ci sembrano interminabili. Non si riesce a seguire nessuno. Ricordo solo che, ogni tanto, un nostro giocatore veniva da me felice e sorpreso, e mi diceva: "Ho vinto" e così proseguiva la gara. I risultati ci danno autorevolezza. La curiosità reciproca ha permesso di fare velocemente amicizia con gli avversari, compresi i più bravi. Gli avversari più bravi, stringono rapporti di amicizia con i nostri giocatori. Chiedono dove si trova la nostra città e scoprono che siamo bagnati dal mare adriatico. Le loro città sono circondate dalla terra. Il mare è luogo di vacanze. Aumenta il fascino e la curiosità. Con l’arrivo dell’estate, saranno ospiti di giocatori e dirigenti. Sarà un momento di crescita umana, ma anche psicologica. I nostri ospiti ci fanno provare le loro racchette più evolute. Poi si allenano con noi, osservano, chiedono, giocano. Al termine tutti al mare. Senza saperlo si da inizio alla prima scuola italiana di tennistavolo.
LA STAMPA CI APPOGGIA
Un importante giornalista, in amicizia e con la massima comprensione, ci apre la via della stampa. Questo rapporto risulterà determinante ed efficace per il nostro cammino e per farci conoscere. All’interno della società due addetti stampa, uno appena tredicenne, con capacità e ione, preparano i comunicati. La stampa ci sarà sempre vicina. In questo periodo il C.O.N.I. accoglie il G.I.Te.T. come sport effettivo, con il nuovo nome di F.I.Te.T. Federazione Italiana Tennistavolo.
PRESA DI COSCIENZA
“Quando un lavoro capisci importante
non senti stanchezza e diventa esaltante”
A notte fonda si prende la strada del ritorno. Coppe e trofei in bella mostra. Grande la gioia per i risultati che tutti hanno ottenuto. C’è presa di coscienza. C’è dialogo costruttivo. Il commento unanime è un po’ compiaciuto: “Ho perso perché ero troppo stanco, non per il gioco, che andava bene”. E poi commenti positivi sulle prestazioni e giocatori battuti, più o meno famosi. Il nuovo gioco oramai ha avuto il battesimo del fuoco. I giocatori non stanno più nella pelle. Pensano già al prossimo torneo. Noi più grandi cogliamo questo momento per spiegare che il progresso a anche attraverso la preparazione fisica. Con entusiasmo tutti accettano e non vedono l’ora di iniziare. Hanno capito, attraverso la loro esperienza, che senza preparazione fisica non possono esprimersi completamente.
MATURITà E PREPARAZIONE FISICA
Si ritorna a casa e si riprendono gli allenamenti. La preparazione fisica viene fatta con lo stesso entusiasmo del gioco al tavolo. Un nostro tecnico ISEF programma e prende cura di preparare tutti i giocatori. Si nota in tutti un nuovo livello di maturità. Tutti hanno fatto amicizia con i loro avversari e si sono scambiati gli indirizzi, dandosi appuntamento al prossimo torneo. È come se la cartina geografica dell’Italia si fosse animata. Roma, Firenze, Milano, Napoli, ecc. non rappresentano più dei nomi sparsi su un foglio. Perché dentro ad alcuni nomi di città c’è qualcuno che, come i nostri giocatori, con la stessa ione e speranza, gioca a ping-pong. Si avverte in tutti un senso d’espansione spirituale.
CONTRASTI
“Quando la colpa si fa pagare
senza coraggio si può sbagliare”
Si perfezionano gioco e schemi. I giocatori procedono nel loro cammino con umiltà e consapevolezza. Dopo ogni torneo di singolo o incontro a squadre, facciamo una riunione tecnica. Ogni giocatore ci porta a conoscenza di tutto ciò che è andato bene e dei problemi emersi. L’allenatore, insieme alle sue osservazioni, apre un vero e proprio confronto. Alla fine sarà l’allenatore, in base alle notizie raccolte, a stabilire nuovi schemi di allenamento, comuni o personalizzati. I dirigenti si assumono il compito di protezione. Ci sono momenti di profondo contrasto con la Federazione, impostata come prima della guerra. Una ferrea oligarchia. Poche società ricche controllano la Federazione. I voti sono in funzione del numero di tesserati e quindi della forza economica. Questa condizione non favorisce il dialogo. Quando hanno contatti con la base i dirigenti federali sono paternalisti o severi. Quando provano a fare i simpatici, tutti ridono. Anche se ci sarebbe da piangere. Nessuno ha il coraggio di dire la propria verità. Solo qualche eccezione. Pagheranno tutti un prezzo. Il dissenso viene subito emarginato con disturbi, ostacoli e squalifiche. Per noi però ha rappresentato un grande momento di coesione all’interno della nostra società, e ci ha incoraggiato nella ricerca di soluzioni migliorative solo per il nostro club. Forse abbiamo sbagliato qualcosa anche noi nel modo in cui abbiamo proposto le nostre idee. Anche perché immersi in una straordinaria stagione di sogno.
RICORDO DA BAMBINO
Le case erano illuminate con lumi ad olio di balena. Al tramonto, i bambini tutti a dormire. Invece i grandi, soprattutto nel periodo invernale, allungavano le giornate scaldandosi con l’ultima brace del camino. Le candele davano più luce, però costavano troppo. Venivano usate solo in casi eccezionali, ad esempio quando si ammalava qualcuno. Non c’era il telefono. Se serviva il dottore, uno della famiglia, a piedi, sotto pioggia, vento o neve, andava a bussare alla sua porta. Nei paesi, dove solo i ricchi studiavano, non c’era mai un dottore del luogo. Era sempre un forestiero che veniva dal nord. I miei genitori ricordavano il nostro dottore come una persona amabile. Per chi aveva difficoltà economiche lavorava gratis, oppure accettava qualche prodotto della terra. Visitava e si fermava a parlare con tutti, incoraggiava come un amico. Poi se ne andava con la biga, così come era arrivato. Se il cielo era sereno, le stelle fredde e luminose da orizzonte a orizzonte riscaldavano il ritorno a casa del dottore buono.
CONTAMINAZIONE
“Quando un valore diventa malsano
al giocatore gli prende la mano”
Dopo i primi risultati, i giocatori entrano nelle classifiche nazionali. E’ un momento di grande euforia. In società i dirigenti si rendono conto che la strada intrapresa ha dato i suoi frutti. I giocatori prendono coscienza del proprio valore. Si vive l’euforia di una presenza che conta. a un po’ di tempo. Partecipiamo a nuove gare. Qualcuno sale di valore. Altri mantengono, ma soffrono. Quando c’è qualcuno che cala di posizione si sente frustrato. Nella società si crea un rapporto fatto di numeri. Tutti vogliono salire. Si creano tensioni quando il confronto agonistico è fatto con giocatori di minore classifica. Mentre quando giocano con i più bravi, sono tranquilli. Aspettano con troppa ansia la pubblicazione delle classifiche. Qualcuno ha sempre qualcosa da ridire. Altri sono soddisfatti . Il clima distoglie dal progetto tecnico. Vincere un incontro vuol dire solo salire. Salire più di altri. Ci troviamo in difficoltà col progetto tecnico. Convochiamo tutti i giocatori. Facciamo subito un’affermazione forte: “Le classifiche individuali per voi le stabilisce la società”. Le classifiche nazionali servono solo per compilare i tabelloni di gare. Il valore di ogni giocatore deve essere considerato in prospettiva. Solo quando la crescita individuale ha terminato il suo corso, tireremo le somme. Però, si sente che la contaminazione si è diffusa. E’ troppo affascinante sapere che ad ogni torneo si può migliorare la classifica. Si avverte che sono presi dalla fretta. In fondo il gioco funziona bene. C’è il rischio di un minore impegno tecnico e un eccessivo agonismo. Ai giocatori chiediamo: “Qual è la classifica ideale che volete raggiungere”. Tutti rispondono che è molto di più di quello che hanno raggiunto. Spieghiamo che un top spin può essere eseguito con un solo movimento, “ma se incontrate uno che lo esegue in due modi diversi, perdete”. Questo colpo, può essere fatto con cinque, dieci, cento modi diversi. Così anche tutti gli altri colpi di gioco. Chi è capace di aumentare queste variazioni, non ha bisogno di essere classificato. Va in gara e vince. Sembrano tutti convinti. Si riprende il progetto tecnico.
HO VISTO PARTITE…
Ho visto migliaia di partite. Partite d’allenamento per le gare e incontri senza appello, finali dove ci si gioca tutto il proprio ato e dove il futuro può sfumare, scomparire. Quelle gare sono come la caduta da un precipizio. O magari possono aprire un percorso esaltante, sicuro e luminoso. Si può giocare nell’angoscia o nell’estasi. Ho incrociato, con i miei occhi, occhi sereni e luminosi. Ma ho visto anche occhi spaventati, che ti colpivano il cuore come un pugnale. Nella mia carriera da allenatore non ho mai chiesto al mio giocatore la vittoria. Non ho mai rimproverato la sconfitta. In ognuno di noi percepisco l’esistenza di un secondo mondo. Forse perché io stesso, nella concentrazione, mi ritrovo immerso. Sento che lo spirito del giocatore entra dentro il mio. In pace e collaborazione, talvolta, oppure come un bambino terrorizzato che non cerca la soluzione, ma è prigioniero di una forma oscura. Da fuori, osservando il gioco, si percepiscono bene gli occhi bassi e spenti, la gestualità legnosa e ritardata, il viso triste e privo di luce Il risultato sembra già scritto da tempo. Mi chiedo perché e provo angoscia. Con il tempo, generalmente, noto dei miglioramenti. Questo mi consola e mi aiuta. C’è una crescita che a attraverso il dolore. Alcuni però non reggono. L’agonismo non è per tutti, per la maggioranza c’è solo lo sport. Ma i giovani vogliono misurarsi, vogliono l’agonismo. Sta alla società diluire questo impegno, graduarlo. Nel pugilato, non si sognerebbero mai di buttare sul ring un atleta immaturo o impreparato, perché in quello sport i segni della sconfitta rimangono scolpiti nel fisico. Nel ping-pong e in molti altri sport, invece, feriscono l’anima e comprimono il cuore, riempiendoli di tristezza e disperazione. Ma quelle ferite non si vedono. E non si pensa al dramma interiore, frutto di un k.o. psicologico che per sempre potrà segnare la vita.
FIUGGI: TEATRO DELLE FONTI ANTICOLANE
INCONTRO FRA DUE CULTURE
“La prima vittoria porta allegria
in tutta la squadra s’infonde euforia”
Ricordo che due giocatori, tarchiati e massicci, dopo ogni punto, urlavano come bestie inferocite. Ad ogni urlo, sembrava che cascasse il soffitto. Ma l’ampiezza del locale e i molti giocatori impegnati in altri tavoli davano l’impressione che i due si sentissero soli, mentre su un altro tavolo due giocatori composti e educati, terminavano l’incontro in silenzio, e i complimenti che si scambiavano erano più numerosi di quelli rivolti al perdente. È l’incontro fra due culture. È il prodotto del '68. Questo sport sicuramente è stato il primo a favorire l’avvicinamento fra le classi sociali. In seguito, il pingpong diventerà uno sport di massima correttezza sportiva fra i giocatori più bravi. Non che i due urlatori non fossero corretti; infatti, tali forme di esuberanza erano usuali, ma noi volevamo che si svilupe tra i nostri giocatori un comportamento consapevolmente esemplare. Da questa manifestazione vinciamo il titolo italiano misto allievi. E’ il primo risultato importante dell’era delle racchette moderne, dopo i successi delle tre ragazze d’oro, che usavano racchette puntinate. Questa vittoria c’infonde coraggio. Correggiamo un comportamento: i nostri giocatori non sono abituati a stringersi la mano prima dell’incontro, tanto che uno dei nostri, vedendo l’avversario venirgli incontro con la mano tesa, gli dice molto frettolosamente e preoccupato: “io non ho la pallina, non ho la pallina”. Non eravamo abituati alle gare. Così al ritorno decidiamo che, prima di ogni allenamento, i giocatori si stringono la mano.
STRANEZZA E FANTASIA
Qualche stranezza l’abbiamo commessa anche noi: un nostro giocatore nel doppio misto ai campionati italiani di Fiuggi. Durante le gare, si avvicina alla sua compagna di doppio e le dice: “Ora voglio schiacciare sulla racchetta della nostra avversaria. Tanto il punto è ugualmente nostro”. La compagna, incredula, per l’ufficialità della gara, non risponde, sorride un po’. Riprende il gioco e, come un missile, la palla del nostro giocatore colpisce la racchetta dell’avversaria. Il compagno della malcapitata la rimprovera e le dice di stare più attenta. Sarebbe stato punto loro. Subito dopo un secondo missile colpisce sempre la stessa racchetta. I due giocatori si agitano. La ragazza è visibilmente imbarazzata e dispiaciuta, promette di fare più attenzione. È come se il destino si fosse abbattuto su di loro. La ragazza è agitata, la racchetta che ha in mano non è più pronta per giocare, ma solo per evitare che diventi nuovamente bersaglio. Mentre sta per partire la nuova schiacciata, la racchetta sfortunata si muove in tutte le direzioni come un bersaglio mobile, poi finisce nascosta dietro la testa della ragazza stessa. L’azione di schiacciare era già partita. La palla, come una saetta, colpisce la ragazza in pieno collo. La malcapitata, che non poteva immaginare, lascia cadere a terra la racchetta e porta le mani al collo. Stordita dal dolore e visibilmente affaticata nella respirazione, la ragazza rischia lo svenimento, si deve interrompere il gioco per 5 minuti. Quando la notizia circola nel nostro ambiente fa molto clamore. Il giocatore che ha compiuto l’opera, è famoso per schiacciare spesso con una velocità inaudita, tanto che, durante gli allenamenti, i compagni di turno si rimettono sempre pantaloni e giacchettino della tuta, altrimenti, alla fine degli allenamenti rimangono tali segni e bolle rosse sul corpo che sembrano scottature.
CODICE SEGRETO
“Se non conosci la cosa banale
questa ti sembra molto speciale”
Negli allenamenti, i continui suggerimenti ai giocatori mi costringono a troppe interruzioni. In seguito, per necessità, inizio con l'usare sempre più spesso i segni con le mani. In breve tempo questi segnali si arricchiscono. Così si stabiliscono dei codici comprensibili a tutti. Questo modo di comunicare ci risulterà molto utile. Nelle gare è permesso scambiare alcune parole fra il giocatore e il tecnico solo al momento del cambio di campo. Con i nostri codici, quando un giocatore si trova nella necessità di avere un suggerimento, basta che si giri verso la panchina. Così, senza dire una parola, può ricevere un messaggio. Questo modo ha creato molta curiosità fra gli avversari. Forse anche un po’ di mistero. Tutto funziona con la massima velocità e intensità. Nello sguardo del giocatore c’è sempre molta attenzione, tanto che spesso capisce il suggerimento prima che venga terminato. Molti avversari hanno cercato di studiare e di capire i simboli lanciati, senza risultato. Non sarebbe stato possibile, perché i messaggi riguardano spesso un rio del nuovo gioco, sconosciuto ad altri, con un misto di strategia tecnica. Noi continuiamo lo studio del gioco, con maggiore attenzione alle caratteristiche dei singoli giocatori, facilitato dall'alto numero di tecnici. Si perfeziona il gioco "invisibile". Cioè eseguire un palleggio leggermente più corto. Oppure un taglio leggermente più tagliato. Così su tutti i colpi. Dal di fuori sembra che niente sia cambiato. Se ci rigiochi perdi i riferimenti memorizzati.
1972 - CAMPIONATI ITALIANI FIUGGI
Si vince negli allievi. Singolo e Coppa Davis. Il ragazzino artefice dei due titoli ottiene anche il terzo posto nella 3a categoria e un argento nella 2 a categoria. Poi viene inserito nella gara più importante, gli assoluti, dove supera due turni. Durante la scalata verso il vertice del ping-pong nazionale ci si trova nel “Cimitero degli elefanti”. Questo territorio è composto da giocatori maturi per età e per gioco. Ci si trova un po’ di tutto, alcuni anche ai limiti della correttezza. Sono quei giocatori che non sono riusciti a salire, ma che per nessuna ragione vogliono scendere. Pur nella loro diversità, hanno tutti una forte carica umana ed emotiva. Il pubblico, fatto spesso di giocatori, si diverte moltissimo. Vedono, in certi comportamenti buffi ed originali, quella spontaneità che forse vorrebbero esternare anche loro. A volte si creano vere e proprie commedie improvvisando uno spettacolo nello spettacolo. Nel comportamento ci sono ancora i residui del post '68.
SITUAZIONE DIFFICILE
“La notizia arriva in palestra
tutti gli amici gli fanno gran festa”
L’incontro è nella fase più importante. È il momento in cui uno dei due deve prevalere. Il giovane va a raccogliere la pallina e ritorna verso il tavolo. Il gioco è fermo. L’avversario, in attesa, con il braccio teso in avanti e con la mano che piega velocemente a sé, ad alta voce gli dice: "Vieni bello, vieni bello…", l’espressione è di sfida che ostenta sicurezza. L’importanza della gara, la necessità di superare l’ostacolo crea forte tensione. C’è suspense. Il pubblico che calca le transenne guarda il giovane. È curioso di sapere se avrà un cedimento. Il giovane supererà il turno e in questa circostanza arriverà per la prima volta ai vertici del pongismo nazionale. Più volte, durante le gare, gli ho chiesto d'interrompere ed accontentarsi. Il risultato importante oramai l'aveva ottenuto. Due ori e un argento negli allievi. Bronzo nella terza categoria, argento nella seconda, e poi gli assoluti; mi dà un po’ di preoccupazione. Dopo tre mesi entrerà nella nazionale assoluta, che non lascerà per 23 anni consecutivi. Una curiosità: questo giocatore, durante le trasferte, si ciba di due primi di pasta, tralasciando il resto. Al momento del pranzo io gli chiedo spiegazione di questo. La risposta è che a casa mangia sempre così. La prima riflessione è che, per chi fa attività sportiva, è bene mangiare in modo equilibrato. Pensando che ha sempre mangiato in questo modo, all’aspetto e al rendimento, e che le sue prestazioni sono state buone, decido di accontentarlo. Poi vengo a scoprire che molti atleti affermati gradiscono e mangiano molta pasta. In seguito vincerà il titolo assoluto per 8 volte. Sarà il primo italiano ad entrare nelle classifiche europee e mondiali. Sarà anche il primo a portare una maglia
azzurra alle Olimpiadi. Poi raggiungerà oltre 452 presenze in nazionale battendo il record su tutti gli altri sport.
1973 - SIAMO PROMOSSI IN SERIE “A”
La società si consolida. D’estate a Senigallia i nostri avversari non vengono più solo per curiosità. Prima degli europei si organizzano stage di preparazione tecnica e fisica in un clima sereno e di dialogo. In quei tempi la federazione non organizza raduni giovanili. Colmiamo una necessità. Arriva anche per noi la prima soddisfazione. L’Europa mette in palio il primo titolo europee allievi nella gara individuale. Siamo a Senigallia per la preparazione senza tensioni e parole, si pensa al sogno. Si instaura una complicità non dichiarata. Soprattutto con il giovane che ha le caratteristiche per cogliere l’obbiettivo. Questo ragazzo è cresciuto in famiglia, il fratello maggiore gioca in nazionale assoluta. Con lui e con il loro allenatore, nel ato abbiamo avuto diversi scambi tecnici. Ma la sua preparazione serena e tecnica è avvenuta nella sua società. Arrivano gli europei. La federazione mi aveva già dato la responsabilità della nazionale. Scelgo di seguire la nazionale femminile, fino ad allora poco considerata, ma con il compito preciso di fare la panchina a questo giovane. Nel palasport, gremito di tavoli, si muovono i giovani delle nazioni europee, con tensioni e preoccupazioni. E’ il primo titolo messo in palio nella storia. L’impressione è che dietro questi ragazzi ci sia troppa tensione. Iniziano le selezioni, subito a eliminazione diretta. Le gare scorrono bene. L’avversario più temibile aveva un gioco potente, ma simile al gioco del suo fratello maggiore. Alla fine è stato l’incontro più facile. Il suo comportamento è stato esemplare. Le strategie consigliate le eseguiva con semplicità, senza fargli perdere la genuinità del suo modo d’essere. Poi la finale e il trionfo. Dagli spalti i suoi fratelli, con altri amici si precipitano per festeggiare. Intanto i giovani si sono ben inseriti nel campionato di serie "B" e vincono il nostro girone. Poi, partecipiamo nel concentramento nazionale formato da sei squadre. Tutte vincitrici del proprio girone. Vinciamo tutti gli incontri. Così arriva la promozione in serie “A”. Gli incontri sono stati memorabili. Lo schiacciatore killer non perderà nessun incontro. La squadra, composta da un allievo e tre juniores, risulterà la più giovane del concentramento.
PERDIAMO CONTRO LE DIFESE
“Dalle difese siam stati fermati
così difensori siam diventati”
Il nostro gioco continua a dare i suoi frutti. Si sale velocemente nella scala dei valori nazionali. All’improvviso nasce un problema che non avevamo previsto. Contro i giocatori di difesa vinciamo poco, mentre con i più bravi perdiamo sempre. Salendo di categoria, ci sono sempre più giocatori di questo tipo, molto bravi ed esperti. Facciamo un’analisi della situazione. Da qualche tempo si era avvicinato un giocatore atipico. Si è trasferito, per motivi di lavoro, dalle nostre parti. Ha i puntini sul diritto e un antitop sul rovescio. Ma il suo gioco è d’attacco puro. Di farlo giocare in difesa non se ne parla. Si muove molto con le gambe e schiaccia tutto di diritto. Sembra un cinese. In seguito risulterà ugualmente utile per la crescita della Società. Poi c’è un ragazzo che, da qualche tempo, gioca in difesa. Per sua esplicita richiesta. E’ splendidamente inserito nel gruppo. Purtroppo poco dopo si trasferirà con la famiglia in un’altra città. Si decide di correre ai ripari, in modo autonomo. Nell’impossibilità di avere subito sparring che sappiano difendere, decidiamo che tutti i giocatori dovranno imparare a giocare di difesa.
CHIUDIAMO UN TAVOLO
La società cresce di nuovi dirigenti e di nuovi giocatori. Però la palestra, con i suoi tre tavoli, è diventata troppo piccola. A malincuore un tavolo dovrà essere chiuso e accantonato. I ragazzi, cresciuti di statura e di movimenti, ora ritrovano più spazio e migliorano ancora il gioco. Però si riduce il tempo di allenamento, c’è disagio. Organizziamo turni fino a mezzanotte. I mezzi economici non bastano più, si cerca uno sponsor. Da qualche anno i campionati italiani si svolgono nel Teatro delle Fonti di Fiuggi. Nel palco c’è spesso una delegazione dell’Ambasciata Cinese. L’ambiente è confortevole. Le gare, dagli allievi agli assoluti, dureranno 5 giorni consecutivi. Dalle 9 del mattino fino alle 21 di sera.
MOTIVI DI STUDIO
“La Rotonda ci accoglie sul mare
ora le squadre han preso a giocare”
I dirigenti della nostra società che hanno contribuito alla grande svolta tecnica e comportamentale, dovranno allontanarsi per motivi di studio. Solo uno mantiene i contatti. Questo assumerà il compito della presidenza del club, nei momenti di crescita costruttivi. Mantenendo però con continuità i rapporti fra la società e la stampa. Intanto altri due presidenti, giocatori e studenti, non ancora universitari, si alternano. Con il primo, la società darà vita alla pubblicazione di un mensile “Tennistavolo” ci sono alcune esperienze giornalistiche all’interno del club. Poi si inizia una fitta corrispondenza con la rivista Butterfly giapponese.
Rotonda a mare - spiaggia e Mare Adriatico
In questo periodo si vive un momento di tranquillità economica. Il proprietario di una fabbrica di abbigliamento, apionato di ping-pong, con l’incoraggiamento di un suo collaboratore, ci dà una mano. Con l’avvicendamento dell’altro presidente si inaugura a Senigallia il primo incontro internazionale di tennistavolo con la nazionale Maltese. L’incontro si svolge nella bella cornice della Rotonda sul Mare. Presenti, molto pubblico e le autorità cittadine.
RICORDO: LA SCUOLA
In famiglia si parlava spesso della scuola e della sua importanza. Io credevo poco a queste raccomandazioni. Avendo una famiglia numerosa, osservavo le reazioni dei miei fratelli e sorelle, ascoltavo i loro racconti sulle giornate di scuola. Se avevano qualche difficoltà, la colpa era sempre dei professori: spiegavano male. Facevano lezione con il libro sotto gli occhi. E io pensavo al perché non permettessero agli alunni di fare altrettanto, quando venivano interrogati. Poi la lista delle ingiustizie si allungava. Alcuni ragazzi prendevano continuamente lezioni private. Altri avevano come amici di famiglia dei professori. I più ricchi andavano a prendere il diploma nelle scuole private. Ma ad ogni obiezione la risposta dei genitori era sempre la stessa: manca la volontà, con la volontà tutto è possibile. Il racconto più pittoresco era quello di un professore che interrogava dalla cattedra. Egli apre il registro con i nomi. Il dito scorre. Si ferma. Riprende a scorrere. La testa è rivolta al registro. Poi alza gli occhi verso gli alunni. Alcuni si ritraggono terrorizzati. Altri si impettiscono. Mentre il dito scorre, raggiunge il suo obiettivo e si ferma, anche lo sguardo si ferma su qualche malcapitato che con un’espressione di terrore fa esercizio di rimpicciolimento fisico. Per fortuna, poi, l’ora finisce. L’attività fisica era considerata come l’ora d’aria per i carcerati. Le palestre, spesso piccole, ospitano più di una classe contemporaneamente. Alcuni hanno la giustificazione e se la ridono guardando i compagni. Gli insegnanti fanno di tutto per placare la necessità di sfogo fisico. Per creare un po’ d’ordine, distribuiscono bastoni di ferro e ordinano flessioni a ripetizione. L’organizzazione della scuola, in questo campo, è proprio arretrata. Dopo la guerra, l’educazione fisica è stata bistrattata. Forse perché il regime, con l’attività fisica, mirava a preparare la gioventù alla guerra. Così nel collettivo sociale è rimasto un ricordo negativo. O forse la causa è l’edilizia scolastica, che propone nuove aule ma palestre piccole. E solo una per tutte le scuole. Senza tenere conto del numero degli alunni. Così per tutta la giornata è un carnaio pieno di urla. In questo contesto chiedere di giustificare qualche assenza per fare sport è un
dramma. Da una recente esperienza sportiva fatta in Spagna sono rimasto sorpreso: lì la scuola si sviluppa per cinque giorni alla settimana, fino alle superiori, e il sabato è il giorno dello sport. La domenica, invece, è dedicata alla famiglia. Incredibile! Mai avrei pensato che la Spagna potesse darci una tale lezione di civiltà. E mi sono venuti in mente i disagi dei giovani italiani che disputano le gare di campionato alla domenica. Così la famiglia si frantuma.
PRENDIAMO LE CONTROMISURE
Partiamo con entusiasmo verso la nuova avventura. Si stabilisce: per chi gioca in difesa, la palla deve sempre arrivare nell’angolo destro, per facilitare il gioco dell’improvvisato difensore. Dopo poco ci si rende conto che chi attacca non riesce a dare continuità al suo gioco. Il difensore, che ha una preparazione evoluta, di taglio sul tavolo, si adatta subito al gioco difensivo. E’ troppo avvantaggiato. Si decide di allenarsi attraverso le partite. Chi attacca parte da più 10. Dopo un paio di mesi il punteggio si rovescia: chi difende avrà 10 punti di vantaggio. Perfezioniamo il gesto tecnico di top spin con parabola alta. Oramai il problema è superato. Il gioco si continua solo per divertimento.
CORSA AL TABELLONE
“Il corridore curioso
si è uniformato
ma il destino giocoso
ha di nuovo scherzato”
Un ragazzo della nostra società ha un comportamento, per originalità, diverso dagli altri. Ogni volta che si partecipa ad un torneo, tutti i ragazzi non si preoccupano di come vengono sistemati nel tabellone. In quei tempi, non c’era l’orario di gara. Si giocava per chiamata. La società aveva consigliato ai giocatori di non andare a guardare. Si voleva evitare, prima delle gare, di pensare troppo ai probabili avversari. Tutti osservano questa raccomandazione, meno uno. Questo ragazzo, appena entra in palestra, osserva dove sono appesi i tabelloni. Poi con scatto felino, lascia il gruppo e se ne và. Al ritorno, con tono rassicurante e sicuro dice: “oggi vinco”, oppure ”sono in finale”, ecc. Però la realtà non gli dà ragione. Va anche detto che durante la sua carriera ha battuto almeno una volta tutti i migliori giocatori in circolazione, inoltre, viene considerato il giocatore con la schiacciata più veloce d’Italia. I compagni si divertono moltissimo e, per il suo modo controcorrente, lo prendono un po’ in giro. Non si offende, anzi alimenta con battute simpatiche il suo comportamento. Un bel giorno annuncia che al prossimo torneo non si comporterà più così. Gli amici non ci credono, e aspettano con curiosità il prossimo torneo. Detto e fatto, arrivano, entrano nella palestra, e lui non si muove, un po’ impacciato fa finta di niente. Rimane nel gruppo, i compagni lo incitano, ma lui sta duro. Intanto
iniziano le gare e le chiamate al tavolo da gioco. Uno alla volta chiamano tutti, meno lui. Gli amici lo invitano ad andare a controllare il tabellone. Aveva promesso, quindi non si muove. Inizia per i suoi compagni anche il secondo turno. Il nostro ragazzo, mantiene l’autocontrollo e libera battute sdrammatizzanti. Però alla fine dice: “Oh, ma a me non mi chiamano mai?”, con tono meno preoccupato possibile. Nello stesso istante l’altoparlante fa il suo nome, e lo chiama al tavolo per giocare. Con lo stesso scatto di quando andava a vedere i tabelloni parte. Dopo poco ritorna, e dice “ho vinto!”. Sta per sedersi vicino ai compagni, mentre il clima è sempre scanzonato. L’altoparlante lo richiama ad un nuovo tavolo per giocare. Una risata generale degli amici. Un po’ meravigliato e con il solito scatto veloce e controllato, riparte. Fa la sua gara e ritorna. L’immancabile: “ho vinto!”. Ritorna a sedersi, non fa nemmeno in tempo a scambiare una parola che viene nuovamente richiamato al gioco. L’esclamazione di sorpresa di tutti. E divertiti di quello che sta avvenendo. Questo succederà per altre due volte con la stessa rapidità e meraviglia di tutti. Mentre il nostro eroe reclama 5 minuti di riposo con i compagni di squadra. La situazione è così comica, che uno dei nostri giocatori va a vedere il tabellone per controllare, perché oramai il torneo doveva volgere al termine. Scopre che il nostro eroe è stato iscritto per ben due volte, una nella parte alta del tabellone e l’altra nella parte bassa. Quando gli amici vengono a sapere l’accaduto, c’è un’esplosione di risate e di naturali battute, pensando che si sarebbe trovato in finale a giocare contro se stesso. Poi, a malincuore, avvisiamo il giudice arbitro. Non ci siamo interessati come abbia rimediato. Siamo così divertiti dell’accaduto che non pensiamo più nemmeno alle gare.
SI RITORNA A FIUGGI
“La maglia azzurra gli avevano dato
ma nello sport nulla può esser donato”
a un anno e ci troviamo nuovamente a Fiuggi, che è la città delle nostre fortune. Il nostro giocatore al primo anno da juniores è testa di serie numero uno. Perde al primo turno. Corre subito voce che non verrà convocato in nazionale, ai prossimi europei giovanili. Sento che questo non è giusto. Le gare non sono finite. Si dovrà giocare ancora la seconda categoria. Parlo col giocatore e gli chiedo di starmi vicino. Tanto per lui ci sarà un'attesa di due giorni. Mi rimane vicino mentre seguo da tavolo a tavolo gli incontri del resto della squadra. Non gli dico il motivo. Non commentiamo la sua sconfitta. Non parliamo del prossimo incontro, che è l'unico che lo può far risorgere. Commentiamo gli incontri che via via osserviamo. Conquistiamo un titolo ed altri importanti piazzamenti. Parliamo d'altro. Capisco quello che può pensare e temere. I due giorni ano come una purificazione. Arriva il grande giorno. Ci troviamo immersi nel "cimitero degli elefanti". Racchette combinate con gomme di ogni tipo. Giocatori incrollabili. Attori drammatici e comici che vogliono solo vincere. Con un po’ di timore a il primo turno. Poi, lentamente, carbura. Il gioco si aggiusta nel gesto. Le tattiche funzionano bene. Poi la finale. Il gioco oramai funziona e chiude favorevolmente al quinto set. La rinascita è avvenuta. Riprenderà il posto nella nazionale. Il trauma è stato scongiurato. Dopo anni ho rivelato al giocatore il motivo del mio comportamento. Non aveva sospettato niente. L'aveva giudicato un po’ strano.
NUOVO LOOK
Occorre dare un’immagine forte alla società. Si studia una maglietta che possa caratterizzarci. Le magliette buone costano molto. E sono abbastanza diffuse fra le altre società. Si decide di acquistare delle magliette di cotone a girocollo, blu come il nostro mare. Il costo è così basso che possiamo distribuirne tre per ogni giocatore. Il problema del sudore viene ovviato con il maggiore ricambio. In pieno petto ci facciamo cucire un gabbiano stilizzato in volo. L’effetto è straordinario. I nostri avversari chiedono di fare a cambio con la loro maglietta: nonostante la sua povertà è la maglietta che si distingue su tutte le altre, anche in tornei affollati.
RICORDO: REPUBBLICA MALTESE
La Federazione Maltese prende contatti con noi per una collaborazione tecnica. La stampa italiana ne parla. Molti giocatori e società non gradiscono. Ce lo fanno sapere e protestano con la Federazione perché non vengo utilizzato per la Nazionale Italiana. Dopo un anno mi arriva l'incarico. Seguo la nazionale giovanile. Faremo stage in Italia e all’estero. Poi partecipiamo ai Campionati Europei dove cogliamo il risultato più importante nella gara giovanile. Con la nazionale Cinese facciamo una tournée per l’Italia in un clima di reciproca stima e amicizia, con cena finale all’ambasciata. Come tutte le cose più belle finiscono. Poi, ritorno in società, con più entusiasmo di quando ero partito e continuo il mio lavoro.
COLLABORAZIONE CON LA FEDERAZIONE MALTESE
Durante l’estate, molti giocatori di prestigio di altri club ano periodi di allenamento con noi. Ospitiamo squadre prestigiose: provengono dalla Russia, dalla Germania, dalla Cecoslovacchia, dall’Ungheria, ecc. Si vivono momenti di grande amicizia e di espansione culturale. Inviti al Panathlon, ricevimenti in Comune e in Regione. Manifestazioni di esibizione anche con Globetrotters per l’Italia. Forniamo giocatori alla trasmissione televisiva “Mille e una Luce”. Gli organizzatori di tornei nazionali ci telefonano per assicurarsi la nostra presenza. La nostra squadra è invitata in Germania, perché la Nazionale ha rinunciato. Collaboriamo con la Federazione maltese sotto il profilo tecnico. Lavoro bene, in armonia ed amicizia. Mi daranno il riconoscimento di socio onorario. Io ricordo con affetto e nostalgia tutti i giocatori, i dirigenti, la famiglia che mi ha ospitato, gli studenti di fronte ai quali con il campione maltese ci siamo esibiti.
“Il ricordo è ancora splendente
mare nel cielo, palma cadente”
UNA RACCHETTA PER SOGNARE
Durante uno stage all’estero, gli allievi si sono subito interessati alla mia racchetta e alle gomme che uso. Dopo un paio di giorni, a viva forza, hanno voluto acquistare tutto il mio materiale di scorta. Così sono rimasto con una sola racchetta, la peggiore, a fatica, l’ho usata per proseguire gli allenamenti. L’importante per me era che gli allievi fossero dotati di buon materiale, altrimenti anche il mio lavoro sarebbe andato perduto. Però nel gruppo c’era un ragazzo, forse sospettoso, che non si era precipitato per gli acquisti. Dopo una settimana mi si è avvicinato e mi ha chiesto se gli vendevo la mia racchetta. Era disposto a pagarla qualsiasi cifra. Io gli ho spiegato che la racchetta era l’ultima che avevo e che non l’avrei venduta nemmeno al mio peggior nemico. Invece di scoraggiarsi, mi ha offerto due volte il prezzo corrente. Per niente scoraggiato mi offre la sua racchetta più un’alta somma di denaro. Io gli ho ripetuto che non sarebbe stato conveniente per lui. Involontariamente avevo creato una sorta di mistero sulla mia racchetta. L’ultimo giorno, prima di partire, è tornato nuovamente alla carica. Ha messo sul tavolo un mucchio di soldi e mi ha quasi strappato la racchetta di mano. Di lui non ho saputo più niente. Presumo che abbia smesso.
IL RITORNO
Un giocatore nato a Senigallia e cresciuto in altra città, ritorna. E’ già prima categoria, dopo poco tempo cresce e entra nella classifica ristretta della nazionale. Questo giocatore darà un contributo sostanziale al prestigio della società. Poiché un altro giocatore cresciuto nella scuola senigalliese, in seguito, per ragioni di lavoro si trasferisce nella stessa città del primo, dopo qualche tempo con stupore retrocede alla seconda categoria. Solo con il ritorno a Senigallia, ritornerà nella prima categoria.
MOMENTO IMPORTANTE
“Arrivano tecnici e nuovi valori
ci son più parole per i giocatori”
Un importante personaggio della città, con un gruppo di amici, porta sostegno ed aiuti economici. Il promotore diventa presidente del primo scudetto e sarà il tessitore di nuovi consensi aprendo le porte per un vero sponsor. Durante una riunione informale, uno degli amici dice che questa realtà sportiva appare come un giocattolo. Bisogna fare attenzione. Si ha la tentazione di entrare per giocarci, con il rischio di romperlo. Questo gruppo di apionati rappresenta la grande svolta. Porteranno gli incontri di serie “A” da S. Martino alla Rotonda a Mare. Quest’ultima è una struttura elegante, a forma circolare, che sembra emersa dall’Adriatico. Poi si a al Palazzetto dello Sport, per contenere il crescente pubblico. L’aiuto e la correttezza hanno permesso, nella serenità, consensi e grandi risultati. Mai a nessun giocatore abbiamo chiesto la vittoria. Non abbiamo mai ripreso un giocatore dopo la sconfitta. Però abbiamo constatato che alcuni giocatori ottengono vittorie importanti in assenza di un tecnico in panchina. Sono problemi complessi. I giocatori non reagiscono nella stessa maniera, alcuni devono essere spronati, altri, quando vanno in panchina per la pausa, hanno necessità di esprimere la propria opinione. Altri seguono con fiducia. Non è sempre uguale: alcuni, a volte, non si sono resi conto se hanno giocato contro un avversario destro o mancino. E’ anche una questione di simbiosi personale. L’apporto in Società di più allenatori, alleggerisce l’accoppiamento fra giocatore e tecnico di panchina.
1975 - ARRIVA IL QUARTO CUORE
Un ex giocatore del vecchio gruppo del S. Cuore ci apre la strada. In seguito diventerà presidente del secondo scudetto. Parla con il proprietario della fabbrica che dirige. Come una preziosa meteora dal cielo arriva lo sponsor. Dà tutto quello che serve e non chiede niente. Lascia che manteniamo lo stesso nome del club, Tennistavolo Senigallia, e non influenza le nostre identità. Ha capito che un suo intervento può disturbare un equilibrio involontariamente. Ci guarda come uno di noi. Ci guarda con affetto. E nulla più. Così, in un momento, all’improvviso, arriva il quarto cuore. È come aver fatto poker. Ora con i quattro cuori in “mano” la società esplode. Saranno anni di risultati e di prestazioni prestigiose.
SQUADRA FEMMINILE IN TRASFERTA
Ogni volta che ci troviamo in trasferta, una ragazza dall'aspetto florido, con fare commovente, mi dice sempre che a casa la fanno mangiare poco. Perché ritengono che sia sovrappeso. Per la verità, condivido poco questo comportamento. Le tabelle che circolano sul rapporto peso-altezza, non tengono mai conto delle caratteristiche fisiche fra brevilineo, longilineo e normolineo. Intanto la faccio mangiare come vuole. E' uno spettacolo di allegria e di liberazione. A distanza di anni, uno della famiglia di questa ragazza mi ferma per parlarmi. Mi dice: "E' da tempo che devo dirti una cosa. Perché quando portavi in trasferta quella povera ragazza non la facevi mangiare mai? Quando tornava a casa mangiava tutto quello che trovava e diceva che era colpa tua se mangiava molto". Così ho capito che la “povera bambina” aveva trovato il modo di mangiare abbondantemente sia a casa sia in trasferta. Cambia il vertice federale, anche in seguito alle nostre rimostranze. Mi danno l’incarico delle nazionali. Vengo nominato direttore tecnico della squadra italiana. Vado in Sicilia, Sardegna, Campania, Emilia Romagna, Trentino per tenere i primi corsi tecnici nelle regioni e rilascio diversi patentini di allenatore.. Forse questo lavoro viene visto come un pericolo politico. Forse perché la federazione ha iniziato ad ingaggiare tecnici cinesi sicuramente più disponibili. Poi questi risulteranno troppo diversi dalla nostra cultura, si commetterà l’errore di lasciarli troppo soli. Dopo qualche anno tutto finisce. Però il lavoro svolto rappresenterà, con mia grande soddisfazione, una base tecnica allargata, per lo sviluppo del nostro sport. Inoltre mi rimane un ricordo di esperienze umane di forte coinvolgimento.
SDRAMMATIZZAZIONE
“Le partite son state giocate
le menti si son liberate”
Ho constatato che tutti i giocatori, chi più chi meno, dopo aver ottenuto una vittoria o un’ottima prestazione, subiscono, in seguito, un calo di rendimento. Facciamo una riunione nella ormai storica pizzeria fra i dirigenti, e discutiamo del problema. Prendiamo una decisione ancora controcorrente. Prima di affrontare un appuntamento importante, in cui si vuole cogliere la vittoria, partecipiamo a gare con il compito preciso di perdere. Ai giocatori vengono impartiti ordini precisi. Evitare di impegnarsi sul piano agonistico. Giocare senza tensione emotiva. Giocare bene, sì, ma facendo attenzione all’armonia del gesto e il collaudo dei colpi nuovi che stiamo preparando in allenamento. Gli avversari, quando vengono a conoscenza dei nostri propositi, restano sconvolti. Quando si partecipa a gare con l’obbligo di perdere, si vive tutta la trasferta in modo gioioso. Forse qualcuno non è proprio convinto, ma la maggioranza dei giocatori entra bene nel clima. Il viaggio, gli avversari, il profumo dell’aria, i colori di ogni cosa, non sono più gli stessi. La tensione altera le percezioni. Così è tutto più bello, si vive un’umiltà che non conoscevamo. Ora senti che ne hai bisogno. Si scherza e ci si diverte su tutto. Gli avversari osservano il nostro comportamento in gara, e non capiscono. Devo constatare che, una trasferta con questo clima, fa bene anche a me e mi permette di osservare meglio comportamenti e gare. In definitiva i giocatori escono dalle gare come rinati e pronti per affrontare meglio l’appuntamento importante.
SI AVVICINA LO SCUDETTO
Siamo alle battute finali del campionato. Mancano due giornate alla fine del campionato. Siamo primi. Dobbiamo giocare nell’ultima giornata un incontro diretto. Ci sono due squadre appaiate al secondo posto. Si corre il rischio, in caso di sconfitta, di andare ad uno spareggio a tre. Vado ad assistere all’incontro di una delle squadre che si trovano a pari merito. Questa gioca in casa contro la quarta in classifica, in cui gioca un nostro giocatore dato in prestito. Mi siedo fra il pubblico, e spero l'impossibile. L'incontro ha fasi alterne; inaspettatamente le due squadre arrivano sul quattro pari. Basta un punto per gli ospiti e saremo primi da soli. L'incontro decisivo si gioca fra i numeri tre delle due squadre, tra cui il nostro giocatore in prestito. La palestra è gremita. Il tifo, colorato e numeroso, è quello del calcio. I due danno inizio alla sfida finale. Con qualche pausa di troppo e molta tensione, i giocatori sono sull'uno pari. E' la bella che premierà o condannerà. Fra urla, applausi e silenzi glaciali, i due si trovano sul venti pari. Più di quattro ore di gioco. Punti alternati, pause ancora troppo lunghe da parte dell’altro giocatore. Ad ogni punto si toglie gli occhiali, si asciuga la faccia e con un fazzoletto bianco pulisce gli occhiali. E’ un’attesa straziante. Il pubblico, con voce consumata, urla e applaude. Poi di colpo fa cadere il silenzio. E' come un freddo che congela il corpo, nonostante il caldo e la calca degli spettatori. Il nostro giocatore mi trova con lo sguardo fra il pubblico. Ora è in vantaggio e al servizio. Gli faccio un cenno come servire. E' un servizio a ventaglio, con la faccia del diritto eseguito davanti al corpo e con le gambe piegate. Questo servizio ha un effetto laterale superiore. E' da qualche settimana che l'alleniamo con la modifica. Una piccola variante nel gesto. Alla pallina viene impresso un effetto di taglio. La novità non è ancora uscita dalla società.
Il malcapitato risponde con la racchetta chiusa, ignaro di quello che può succedere. La palla cade subito sul tavolo, vicino alla racchetta, priva di energia. Guarda subito la racchetta, fa un cenno di stizza, come se la pallina fosse bagnata. La riguarda e cerca un punto bagnato. Niente, la racchetta è perfettamente asciutta. Non capisce. Non trova alibi. Il pubblico sparisce dalle tribune senza che io me ne accorga. Arrivano voci e commenti solo dal parterre dei giocatori che hanno vinto. Sono soli con l’arbitro. C’è vuoto tutt’intorno. La squadra ospitata non ha tifosi al seguito. Sono solo e felice in tribuna. Arriva un po’ d'aria fresca dalle porte oramai aperte. Penso che siamo primi in classifica. Manca una sola giornata di campionato.
1977 - PRIMO SCUDETTO
“Tutti festeggiano, come un dipinto di getto
la città s’addormenta con lo scudetto”
E’ arrivato il grande giorno. I nostri giocatori si sono preparati come non mai. La stampa dà grande spazio all’evento. Tutti ne parlano. Uno scudetto di campioni d’Italia può atterrare, per la prima volta, nella nostra città. C’è molta attesa ed euforia. La squadra avversaria è, da diversi anni, la più importante d’Italia. L’incontro può rappresentare per noi il soro definitivo. Non c’è solo lo scudetto, ma anche il aggio delle consegne. Gli spalti del Palazzetto dello sport si riempiono in un baleno. I più giovani scendono e si siedono sul parterre. Incominciano gli incitamenti e applausi. Si entra subito nel clima della sfida. Per lo scudetto. Nel pubblico c’è entusiasmo, urla e suoni, nelle due panchine molta tensione. La squadra ospite è consapevole che la nostra squadra è in crescendo costante. Portano giocatori in soprannumero, non sanno chi schierare. Noi vogliamo vincere, c’è molta emozione, un po’ di paura. Una parte del pubblico assiste, per la prima volta, a questo sport. Non si era mai vista tanta gente. Fanno un baccano infernale. Il clima: di festa e di attesa. Lo speaker presenta le squadre e gli arbitri. Inizia l’incontro. Siamo subito in vantaggio. Pareggiamo, e poi prendiamo nuovamente il vantaggio. Uno scambio di gioco interminabile. I due giocatori finiscono a terra. Poi si rialzano e continuano il gioco. Il pubblico esplode. Per un attimo non si pensa più allo scudetto. Siamo tutti attratti dallo spettacolo.
Vecchio palazzetto
Si stenta a credere che questo sia l'incontro che da anni volevamo vincere. Il fragore, ad ogni punto fatto da noi, ci aiuta nel morale. Alla fine applausi di gioia. Il pubblico fa saltare le transenne. Alcuni bambini si gettano sulla pallina che rotola, per prenderla come ricordo, mentre i giocatori scompaiono in mezzo ad un mare di tifosi. Un carosello di auto percorre la città a clacson spiegati. Andiamo a festeggiare alla Rotonda a Mare. Appena entriamo, il complesso musicale interrompe il ballo in corso. Il cantante s'improvvisa speaker e ci proclama campioni d'Italia. Insieme a lui e al pubblico intoniamo in piedi l'inno di Mameli. Seguono fragorosi applausi ed evviva. Fra bottiglie, bicchieri e congratulazioni, si festeggia. Tra i tifosi è festa vera. Nei giocatori e dirigenti la gioia si sovrappone alla tensione, poi lentamente prevale. I tifosi continuano ad arrivare, invadono il locale ed applaudono felici. C'è molto rumore. Come storditi si entra lentamente nella consapevolezza che l’obiettivo che ci eravamo prefissati con la rivoluzione del gioco, è raggiunto. Il Presidente ed i suoi amici, che tanto hanno fatto, sono raggianti. Ci sentiamo la prima Scuola Italiana. La felicità è piena. Agli avversari diciamo parole di circostanza, aggiungendo che sono stati corretti. In ogni viso abbiamo letto il dolore. Quando esso è sincero fa soffrire meno ed aiuta a crescere.
RICORDO: PRIMA DEI CAMPIONATI ITALIANI
“Quando il pensiero è preoccupato
anche nel gioco sei come accecato”
Un nostro giocatore, a causa dei continui raduni con la nazionale, perde molti contatti di carattere tecnico con la società. Poco prima dei campionati italiani assoluti, sorge un problema. I suoi servizi non sono più efficaci perché, allenandosi con i compagni di nazionale, ha dato loro modo di rispondergli bene. Ora non si ha più il tempo di preparare nuovi servizi. Si decide di comune accordo di abbandonarli tutti e di usare un solo servizio senza effetto, eseguito dal centro del tavolo con il diritto. Un servizio leggero e corto, al centro del tavolo avversario. L'operazione risulterà molto efficace. Gli avversari, forse preoccupati più per l’efficacia dei servizi del ato che per quelli del presente, rispondono male, alto o a rete. Incredibile! Questo verrà utilizzato dal primo turno fino alla finale e porterà al titolo assoluto. In questo periodo il C.I.O. accoglie il tennistavolo come sport olimpico.
COPPA ITALIA
In una giornata di maggio, a Roma, giochiamo la finale di Coppa Italia. L'incontro è trasmesso in diretta TV. Rimango a casa, mentre altri tecnici sono al seguito. L'incontro prevede una combinazione di partite fra i due schieramenti composti da uomini e donne.
In seguito in questa abitazione il tavolo del salotto è stato sostituito con un tavolo da ping-pong per gli allenamenti della squadra femminile di serie A
I nostri giocatori sono tutti senigalliesi. La donna ha il compito più importante. Le altre società tesserano ragazze di altri club per partecipare a questa gara, per difetto di elementi femminili. In questo siamo più completi: in campo si schierano due ragazzi ed una ragazza per parte appartenente alla nostra società. Partiamo male: il nostro numero uno perde con il numero due. Poi seguono fasi alterne. L'incontro più importante viene giocato dal doppio misto. La nostra ragazza farà la più bella partita della sua vita e, con il resto della squadra, consegnerà la prestigiosa Coppa Italia alla città. In seguito la ragazza si dedicherà al giornalismo e scriverà per importanti testate e riviste. Questo lavoro la porta continuamente per il mondo. Ma prima di ogni viaggio non dimentica mai di portare con sé la piccola racchetta dei suoi ricordi. Quando si presenta l’occasione per una sfida o un torneo, ritorna a sferrare il suo potente colpo di diritto.
CINQUE TECNICI
La società, oltre a me, ora è composta di altri 4 tecnici. Questi hanno il compito di seguire due squadre maschili in serie "A", una squadra femminile sempre in serie “A” e altre squadre minori. E' un momento di grande attenzione nei confronti di tutti i giocatori, i quali avranno tutti momenti di grande soddisfazione. Nel gruppo i ragazzi si affibbiano dei soprannomi. Tutti accettano volentieri, come un ri-battesimo e un’accoglienza a pieno titolo nella famiglia sportiva. Riceverò un incarico tecnico in Nazionale assoluta e giovanile. Per qualche anno seguirò poco i giocatori della società. Con questa esperienza vengo a contatto con le squadre di tutto il mondo. La cosa più importante che oggi ricordo è la correttezza e l’umanità dei grandi campioni. A distanza di anni ho deciso di scrivere “Racchette Vaganti - 100 anni di ping-pong”, un libro un po’ tecnico, un po’ di storia e un po’ sulla personalità dei giocatori più importanti del periodo storico della pallina dal diametro di 38 millimetri.
NUOVO SPAZIO PER I GIOVANI
“La società ha due serie A
cresce felice con serietà
con giocatori della propria città”
La società si arricchisce di giovani giocatori. Sullo slancio dei grandi, i più giovani apprendono subito e cercano spazio. Con l’interessamento del Sindaco troviamo un locale nel VII Reparto Mobile di Polizia. Ci metteremo sei tavoli per i giovani. Poi ci sarà una ristrutturazione di tutto il complesso, così perdiamo questo prezioso ambiente. Un genitore termina il proprio rapporto di lavoro, ora è in pensione. Si avvicina e ci chiede di formare una nuova squadra. Ci offre la sua collaborazione. Ci dice: “Ora ho tempo. Voglio portare il mio contributo alla società”. Con la sua auto si mette a disposizione a proprie spese. Noi gli affianchiamo un tecnico e alcuni giovani giocatori emergenti. In ato non abbiamo mai incoraggiato i genitori ad entrare in società: abbiamo sempre ritenuto che il club debba rappresentare il ponte fra la famiglia ed il mondo esterno. Anche nel ato abbiamo avuto contributi importanti da parte di alcuni genitori. Questo, però, è un caso straordinario. Egli assume il compito con vero spirito altruistico e con grande generosità. Il genitore dirigente, faceva il pilota di elicotteri per l’Eni. Quindici giorni di volo. Terra, mare e piattaforma. Sole, mare e vento. Odore di petrolio. Di nuovo a terra. Una settimana di riposo con la famiglia. Di nuovo terra e mare, mare e terra. Poi parte, per tutte le strade d’Italia. Cento chilometri all’ora, non uno di più non uno di meno. Con la precisione del pilota, il sorriso del bambino, un
sogno nel cuore. Con la squadra a bordo, è tornato a volare. La squadra parte dall'attività regionale. Anno dopo anno, sale nel campionato a squadre. Durante questo cammino i giocatori vinceranno il titolo allievi a squadre, con grande soddisfazione del "genitore" e del tecnico. Approderanno al massimo campionato. Questo sarà l’anno di massima espansione. Due squadre in serie “A” maschili, una squadra di serie “A” femminile, con uno sponsor esterno, e altre squadre minori. Si sente sempre di più la mancanza di un impianto adeguato. Dopo aver compiuto la spettacolare impresa, il genitore dirigente, con il solito entusiasmo, ritorna semplice spettatore e segue tutte le vicende sportive della società, lasciandoci un profondo ricordo di sportività ed amicizia. Nella società c’è un aumento di accompagnatori, e si avvicinano al nostro sport nuovi giudici arbitri. Nel frattempo partecipa al nostro sport un numero crescente di ragazze. L’ambiente si arricchisce di nuovi risultati e di comportamenti più gentili.
ULTIMA GIORNATA DI CAMPIONATO
PRIME E SECONDE A CONFRONTO
C’è speranza. E’ da anni che le squadre nostre avversarie utilizzano i migliori giocatori italiani e stranieri. Siamo secondi a due punti. Possiamo arrivare allo spareggio. Per noi è importante mantenere giocatori della città nella nostra scuola. Questo il pubblico lo sente. Durante gli incontri, ci segue e ci applaude come nessun altro club. La stampa dà grande risalto alla partita, così come la TV regionale e le radio private, cresciute come funghi in questo periodo. Arriva la giornata della speranza. Lasciamo l’amabile Rotonda sul Mare. Siamo al Palazzetto dello Sport. Il pubblico arriva subito, e numeroso. Poi altri spettatori. Non c’è più posto. Nella calca crescente i tifosi, come una marea, scendono verso il parterre. Lentamente si avvicinano al rettangolo di gioco e si siedono a terra, al centro lo spazio da gioco; il resto è un mare di facce curiose, in attesa. La tribuna, un carnaio. Una parte del pubblico rimane fuori, compreso quello avversario. Questi rimangono nei pullman e nelle auto. Attendono. Attendono la fine dell’incontro per inondarci di champagne, che hanno portato con sé in gran quantità. Le staffette improvvisate portano all’esterno notizie della partita. Per sistemare il pubblico, l’incontro subisce un’ora di ritardo. Finalmente si parte. E si parte bene. Uno a zero per noi. Poi due a zero. E’ tutto facile. Forse gli avversari sono deconcentrati. Forse si sentono troppo sicuri. Forse capiscono che gli applausi che si alzano da terra e che arrivano dalle tribune, non sono per loro. Forse sono un po’ intimoriti. Il pubblico però è corretto e molto sportivo. Non c’è storia. Finisce cinque a zero per noi. Un boato. Chi è fuori oramai ha capito. Chi è nel parterre ha già fatto un salto di gioia ed è in piedi. Dalle tribune applausi ed urla assordanti. Non c’è
spazio per muoversi. Travolgono le transenne. I giocatori sono sommersi. Andiamo allo spareggio.
SI PREPARA LO SPAREGGIO
Le società non si accordano sulla scelta di un campo neutro. a molto tempo oltre la data stabilita. La Federazione finalmente decide il luogo. Il tempo trascorso ci purifica da un risultato troppo facile. Si organizzano pullman per i tifosi ed auto al seguito. Stampa, TV e radio private danno grande spazio all’evento. La città è in fermento. Nei bar non si parla d’altro.
1979 - SECONDO SCUDETTO
“Mentre nel pubblico cessa il parlare
la sfera bianca incomincia a ballare
un gesto è bello sembra volare
l’altro è impacciato non sa cosa fare.
Finisce l’incontro con grande emozione
In una parte del tifo c’è delusione”
Il Palazzetto è un’enorme cupola. Le tribune sono gremite. Voci e colori ondeggiano. Noi siamo i più numerosi. Le tifoserie con striscioni fanno un chiasso infernale. Si scambiano battute simpatiche e sarcastiche. L’arbitro dà l’inizio. Si parte. E’ subito silenzio. Si sente solo il rumore della pallina. Il pubblico contiene tensioni e speranze. Poi applausi ed urla, che si alternano fra una tifoseria e l’altra. Facciamo il primo punto, che davamo per perso. C’è subito euforia. Le due panchine sanno che l’incontro si deciderà in seguito fra i due numeri tre. Così possiamo chiudere prima del previsto l’incontro. Nell’altra panchina c’è preoccupazione. Anche noi lasciamo sul campo un nostro punto certo. Ci troviamo di nuovo sul filo del rasoio. I numeri tre si trovano di fronte. C’è
tensione, paura. Sanno che le sorti della propria squadra dipendono dalla loro prestazione. Si mette male per noi. Il nostro giocatore perde il primo set. La paura si vede e si sente. Si trova in una situazione senza via d’uscita. Nella nostra panchina c’è tensione. Nell’altra si pregusta il successo. La formazione avversaria è composta da uno straniero, da un giocatore acquistato da un altro club e da uno della città che stiamo affrontando. Seduti in panchina ci sono anche tre giocatori importanti di serie ”A” di altri club, che danno loro man forte con i propri consigli. Il fatto di avere tanti avversari ci rende orgogliosi. Ci dà la dimensione del nostro lavoro, e ci infonde coraggio. Seguo l’incontro da spettatore. Preferisco lasciare in panchina il tecnico che ha avuto il compito ed il peso di seguire la squadra per tutta la stagione. Il presidente non è d’accordo. Mi manda in panchina per portare un aiuto.
“Con precisione un po’ certosina
il secondo scudetto pian piano si avvicina”
Decido di utilizzare una tattica di gioco, semplice e ripetitiva. Uno schema che si usa in allenamento. Il nostro giocatore dovrà impostare tutto il resto della partita di top e contro top di diritto incrociato. L’avversario fa bene questo colpo per due o tre volte consecutive. Se però lo deve proseguire il gesto si guasta. Non è più pronto a rimettere a posto le gambe. Deve compensare con il braccio. E’ falloso. Sbaglia. Il nostro giocatore ha un gesto tecnico bello e armonioso. Dopo gli allenamenti a molto tempo davanti allo specchio. Ripete i gesti tecnici per ore. E' preciso. Non può sbagliare, il momento è delicato. Si riparte, giochiamo quest’ultima carta. L’avversario soffre subito. È come prigioniero dell’angolo dove gioca. Avrebbe potuto cambiare direzione del suo
tiro. Ma non lo fa.
IL PUBBLICO ESPLODE
“Sui gradini del podio non ci hanno fatto salire
ma la vittoria ci ha fatto ugualmente gioire”
Di colpo la tensione e lo sconforto per lo stillicidio che sembrava irreversibile, vissuti nella nostra panchina, invadono quella avversaria, travolgendola. Noi lo sentiamo come una liberazione. E’ la svolta. La strada è spianata. La bella viene giocata con la stessa tattica. Nessuno se ne accorge. E nessuno se ne accorgerà. Forse è il destino che ha deciso così. Ci vorranno altri due incontri per concludere. Il pronostico è a nostro favore. Lo rispettiamo. Il pubblico esplode. I tifosi invadono il terreno di gioco e prendono di peso, leggeri, giocatori e staff tecnico che vengono lanciati in aria, fra applausi, urla liberatorie, in una calca indescrivibile. Una parte della tifoseria scende verso l’area di gioco, l’altra esce. A notte fonda l’interminabile carovana prende la strada di ritorno, con i clacson spianati. Saranno accompagnati, da una nevicata fuori stagione. Per tutti i bianchi fiocchi che attraversano i fari saranno una festa. La città che ha seguito l’incontro per radio in diretta, esplode di gioia. Al bar Roma, da dove sono partiti con pullman e auto, i tifosi rimasti, festeggiano e attendono il ritorno. Sarà un bagno di folla, fra rumori penombre e colori, che si muovono. Tutti alla ricerca degli artefici del successo. Non so spiegarmi perché. Sono ripartito in ritardo , senza fretta e senza bisogni. Quando arrivo la città è sola con i suoi lampioni stradali. Non riuscivo a prendere sonno. Nei miei occhi, ancora l’esplosione di gioia dei tifosi, che insieme cancella di colpo le tensioni. I fiocchi di neve che entravano, danzavano e uscivano dai fari dell’auto. Poi la città silenziosa, serena e addormentata come dopo una giornata di duro lavoro. Mi torna alla mente il pubblico avversario gioioso che si è spento all’improvviso e si è chiuso in se stesso. In silenzio come a rallentare, in un baleno. Solo gradoni a semicerchio color cemento, da ripulire. E da dimenticare.
È la notte in cui si liberano le tensioni e si rivivono le eccitazioni. Al risveglio, ti sembra di aver sognato. Poi, incomincia la felicità vera.
“La vittoria sorride in città
per giorni e giorni se ne parlerà”
Per il secondo campionato a squadre vinto dalla nostra società non si troverà il tempo per una premiazione ufficiale. Gli scudetti verranno consegnati ad un nostro giocatore, durante un successivo torneo. Verranno estratti dalla tasca del Presidente Federale e consegnati in modo un po’ furtivo. Ad ogni contrasto abbiamo sempre trovato dentro di noi un’energia e una forza pulita, che ha prodotto, nuove idee e nuovi entusiasmi.
SCORRETTEZZA
“Nerone ha bruciato e cantato
senza urlare l’abbiam canzonato”
Avviene in seguito che un Consigliere Nazionale si dimette. Il nostro giornalista e dirigente è il primo dei non eletti nel Consiglio Federale. Verrà chiamato per ricoprire la carica vacante. Appena viene insediato il Consiglio, il Presidente annuncia che il nuovo consigliere deve alzarsi ed uscire, perché colpito da una squalifica, per aver scritto un articolo di critica al presidente, non potrà più ricoprire cariche federali. Per lo sbalordimento di fronte ad un comportamento così crudele, rifiuta di allontanarsi, mandando a monte consiglio e ordine del giorno. Per niente scoraggiato, continuerà a scrivere e riceverà la tessera da pubblicista. Nella società continuerà a rappresentare il punto di riferimento di tutte le stagioni. Come Presidente o come Manager. Nelle assemblee nazionali dovranno ascoltarlo ugualmente e raccoglie consensi e attributi di stima. Molte sue proposte in seguito verranno accolte. Giocare il campionato di serie “A” con il doppio tavolo. Modificare l’attribuzione dei voti alle società, per eleggere il Consiglio Federale, e dare spazio all’opposizione. Il fatto in seguito è stato vissuto con un po’ d’ironia. Mentre la società mantiene rapporti di correttezza e di reciproca stima con i segretari di lunga permanenza e con il personale della segreteria federale. Abbiamo sempre espresso le nostre idee alla luce del giorno, consapevoli che la crescita a attraverso il confronto democratico, perché viviamo in un paese libero e non ci possiamo rassegnare di fronte a tali manifestazioni di arretratezza. Sul nostro periodico “TOP SPIN” non solo abbiamo trattato problemi del nostro sport, ma abbiamo pubblicato a puntate una satira sulle “avventure di Nerone” molto apprezzata.
RICONOSCIMENTI
Campionati italiani di singolo, a squadre e coppa Italia. Risultati all’estero. Convocazioni giovanili e assolute in nazionale. Si vincono ancora, con i nuovi giovani, i campionati di categoria. Articoli sui giornali, interviste alla radio. Nonostante sia stata sempre avara con gli sport ricchi solo di umana semplicità e tecnicamente compressi, la TV trasmette alcuni nostri risultati. La città segue in massa e riempie il palasport, quando giochiamo incontri importanti. Nei bar si parla molto di tennistavolo, anche per la novità. Si scopre che tutti hanno giocato e sanno giocare a pingpong. Facciamo esibizioni nei circoli, parrocchie, scuole, in città e paesi vicini, infine nella mitica “Villa Sorriso”, famosa in tutto l’Adriatico per la frequentazione di Vip (quali Pippo Baudo, Mike Buongiorno, Mario Del Monaco, Giorgio Gaber, Mina, Rocky Roberts ed Ornella Vanoni) oltre che per l’originalità degli spettacoli.
Villa Sorriso
A Scapezzano, piccolo paese di collina, dove a sera si nasconde il sole e guarda città e mare, sorge una società prevalentemente femminile. Nelle scuole, presidi e professori tollerano con comprensione le assenze dei giocatori. Riconoscono l’impegno di ciò che stanno facendo. Si aprono nuove società nella periferia della città. Con alcune persone manteniamo rapporti di sincera amicizia. Da uno di questi ricevo aiuti importanti per me e per la società. Riceviamo inviti, oltre che dall’ Italia, da Malta, dalla Germania e dalla lontana India. Organizziamo i Campionati italiani assoluti a Senigallia, vinti da un nostro giocatore. La nazionale cinese, durante una tournèe, si ferma nella nostra città: ci offrirà uno spettacolo indimenticabile. In collaborazione con la UISP ospitiamo squadre della Russia, Ungheria ecc. Si organizzano a Senigallia i Campionati Europei UISP. Rappresentiamo una sede privilegiata per gli enti di promozione e ospitiamo le finali nazionali (Libertas, C.N.S.F., C.S.A.In, P.G.S., A.C.L.I., Interbancari, Banca d’Italia, Non Udenti, Trofeo Agnelli). Ospitiamo l’attività regionale del C.S.I., Poste Italiane, Telecom, Giochi della Gioventù, studenteschi e della Federazione Italiana. Partecipiamo nei progetti sportivi di molte scuole della città. Con l’Istituto Alberghiero “Panzini”, in collaborazione con l’Assessorato allo Sport della Regione Marche, da anni collaboriamo per l’insegnamento del tennistavolo.
Palasport: incontro Italia-Cina
Altrettanto facciamo con l’ I.P.S.I.A., questa volta in collaborazione con la Provincia di Ancona. Alleniamo atleti disabili per le Olimpiadi. Teniamo rapporti epistolari con la “Butterfly” in Giappone e ci scrive personalmente l’ex campione del Mondo Shigeo Itoh. Da quando la nostra città si è gemellata con la città di Lorrach, coltiviamo rapporti di collaborazione sportiva e umana di reciproca soddisfazione. Anche con l’Associazione Sportiva Industriali, i rapporti di amicizia vanno ben oltre le giornate di gare. E così per alcuni club italiani e stranieri. Con le gare di club o con la Nazionale abbiamo visitato quasi tutte le nazioni d’Europa e del resto del mondo, comprese America, Giappone, Cina, Australia, ecc. Con l’emozione indimenticabile e un po’ ingenua dei viaggi in treno, oggi con i trasferimenti in aereo siamo ati alla maturità. Tuttavia è dipeso anche dalla società che è cambiata. Altrimenti saremmo ricaduti nel vecchio mondo dei nostri genitori. Non tutti i giocatori ottengono gli stessi risultati agonistici e le stesse soddisfazioni. Però si è vissuto un grande momento di socializzazione. Le parrocchie sono state gli unici luoghi aperti alla gioventù. Oggi più che mai occorre capire il contributo che hanno dato e che possono dare. Anzi occorrono nuove strategie e nuove aperture di pensiero, per sviluppare luoghi come questi per far incontrare i giovani fra di loro e per favorire la socializzazione e il gioco sportivo.
Ping pong sul lungomare di Senigallia
in collaborazione con l’Associazione dei Bagnini
CANTO DEL CIGNO
“Il sogno va verso il declino
noi pensiamo al nuovo destino”
Dopo gli anni d’oro, arriva, inevitabile, il canto del cigno. Con due soli tavoli, si sente sulla pelle che il ciclo sta per finire, e così il grande “sogno” dei quattro cuori si avvia verso il tramonto, mentre, lentamente, sfuma anche lo sponsor. Si comincia a pensare ad un altro sogno impossibile e ardito: la costruzione del primo centro di tennistavolo italiano. Si cercano nuovi sponsor, senza successo.
TUTTI SI SENTONO VINCITORI
Ci rendiamo conto che un giocatore quando è in gara non è più lo stesso: c’è molta differenza con le partite di allenamento. E’ come se entrasse in un mondo sconosciuto. Alcuni si esaltano e sono sereni. Altri soffrono. Alcuni soffrono troppo. Per quest’ultimi, c’è troppo bisogno di vincere. Forse perché emerge un vissuto ancora da elaborare. Però tutti aspettano, e cercano l’agonismo, come un momento da rivivere. Forse per riprendere a sperare. Forse per continuare a guardare dentro se stessi. Forse per osservare il comportamento degli altri. Alla fine i risultati si sommano nel gruppo. E dentro c’è sempre, un buon risultato, dove tutti possono riconoscersi. Un giocatore vola prima, altri volano più in alto, uno volerà più alto di tutti. Ma il clima si mantiene sereno come all’inizio. Il risultato di uno fa la felicità di tutti. E’ nato un gruppo di amici simile ad una famiglia. Tutti vivono la consapevolezza di aver contribuito, con il proprio volo, a spingere gli altri sempre più in alto. Nel clima sereno percepisco delle zone d’ombra. Forse perché nel preparare i giocatori ho cercato di dare a tutti le informazioni tecniche e il mio stesso impegno. Negli allenamenti non si sono mai percepite con chiarezza grandi differenze tra loro. Però nel susseguirsi di prestazioni agonistiche emergono nuove personalità. I giocatori non sono più gli stessi. L’esperienza si allarga con l’arrivo di giocatori di altre società, giocatori che vengono ad allenarsi nel nostro Club. Noto che la flessibilità di pensiero, nel quotidiano, aiuta ad esprimere meglio la propria potenzialità. E’ un’indicazione prevalente, ma ci sono alcune eccezioni. Prendo in esame un probabile patrimonio genetico, e mi informo sui rapporti con la famiglia, la società fuori dal Club, compresi la scuola e lo studio. Osservando i comportamenti nelle gare escono nuove indicazioni. Se i ragazzini soffrono la severità degli adulti, o meglio degli educatori, questi hanno difficoltà ad esprimere le proprie capacità tecniche e questi problemi emergono amplificati, mano a mano, quando si avvicina la fine della partita. Si nota, nei
gesti ritardati e insicuri, una specie di terrore nei confronti dell’avversario, nonostante quest’ultimo sia chiaramente più debole nel gioco tecnico. In alcuni casi si nota lo stesso problema anche nell’avversario, in questo caso la tecnica fa la differenza.
Un ciclista
Ricordo un amico ciclista che da dilettante vinceva tutte le gare in volata. I suoi avversari, dopo le gare, dicevano che se ci fosse stato qualche metro in più dopo il traguardo avrebbero vinto loro. Ma le gare non erano mai dello stesso chilometraggio. E alla fine vinceva sempre lui. È un po’ come Sara Simeoni che alle Olimpiadi vinse il salto in alto con due metri, ma in allenamento questa misura non l’aveva mai raggiunta. E’ la stoffa del campione che lo spinge oltre le sue reali capacità. Nelle gare esce da dentro un altro atleta, libero, sereno e senza condizionamenti negativi. Si ha la sensazione che l’avversario sia il suo educatore, che non tema di essere superato, che non abbia paura di vederlo crescere, e lo lasci libero per la sua via. Sa che il rapporto è interiore, spirituale. Questo è l’atleta che nelle gare fa tutto quello che ha imparato e aggiunge il suo modo d’essere Il pubblico contaminato si divide. Una parte si identifica nella purezza e nell’estasi,un’ altra parte si eccita, si trasforma. I gesti si induriscono, l’espressione del viso come un riscatto dei torti subiti Per tutti è anche un momento di grande umanità, è un momento psichico, è anche un confronto psichico che invade e sommerge la vita di tutti i giorni. Nel nostro sport tutto è stemperato, ma ugualmente indicativo sui comportamenti di sport di massa. Per esemplificare, un giocatore di ping-pong, durante una gara, si confronta con il suo avversario. La sua prestazione agonistica sarà il suo vissuto che affonda nel subconscio. L’avversario sarà l’educatore che ha contribuito alla sua formazione. Possiamo identificare l’avversario come il genitore prevalente nella sua educazione. Miscelato con altri educatori del suo percorso adolescenziale. Se il genitore è troppo severo e ha vissuto il rapporto con timore e paura, l’avversario gli procurerà paura. La sua capacità strumentale si inibisce, la sua volontà di
vincere si spegne.
III^ PARTE
IL SOGNO FINISCE
FRATTURA
Poi la società cresce, aumenta il numero dei giocatori, non si riesce a seguirli tutti nella stessa maniera. Chi arriva dopo non ha la cultura tecnica e di comportamento dei primi. Arrivano e la rivoluzione è avvenuta. Sono facilitati ad apprendere subito dall’ambiente. Ma dentro di loro manca la conoscenza che a attraverso il vissuto. Lo spazio per gli allenamenti costringe turni forzati. Fra le due culture si creano tensioni. Purtroppo viviamo alcuni abbandoni come una liberazione.
Forno - Via S. Martino
Però quasi tutti i giocatori della prima generazione continuano, vivono bene anche questa stagione di difficoltà. Forse il motivo è che per i primi c’è l’obiettivo di un sogno e di una crescita interiore, con tempi lunghi e sereni. Il secondo gruppo si specchia per assimilare, apprende l’esteriorità, ma gli sfugge gran parte della cultura. Sentono il privilegio di appartenere ad una Società importante. Quando vanno a comperare la pizza al taglio, dal vicino fornaio, il cui figlio gioca con noi, con sole 200 lire mangiano pizza, maritozzi e bomboloni a piacere. Lo stesso clima è vissuto da tutti i giocatori nel resto della città. Con entusiasmo alcuni genitori con le proprie auto si mettono a disposizione per le trasferte, non solo per i propri figli. Nell’ambiente trovano giocatori più bravi e forse si sono posti l’obiettivo di superarli. Questo mette fretta. Fa pensare meno. Consuma emotivamente. Non sapremo mai se con un impianto adeguato si poteva evitare la frattura. Ci rassegniamo, non possiamo correggere quanto avvenuto. Due tavoli per una gran mole di giocatori rappresenta di fatto una lotta. I più bravi sono ovviamente quelli che sono arrivati per primi. Hanno la precedenza. E il compito di mantenere il prestigio. Così anche l’attenzione tecnica è soffocata e sbrigativa. Ci rimane come obiettivo la realizzazione di un impianto più grande per riprendere il cammino e tentare il recupero. Ma i tempi sono troppo lunghi. Una parte della società è crollata. Anche la pizzeria dei nostri progetti e dei nostri sogni, con panche e tavoli di legno marrone lucido, non c’è più. E’ come se il tempo si fosse fermato. Le lancette dell’orologio non vogliono proseguire più il loro cammino. Sentiamo energia e ottimismo. Ma non vediamo chiaro il disegno.
RICORDO: IL PATTINAGGIO
I dirigenti della società trovano difficoltà ad aderire alla mia proposta di impegnarsi per la costruzione di un centro per il tennistavolo. La mia prima attività agonistica era stata il pattinaggio a rotelle. La società Polisportiva Minerva, famosa in tutta Italia, aveva raggiunto grandi risultati: Campionati italiani, europei e mondiali. Ma eravamo privi di una pista per gli allenamenti. Fra i ragazzi non si parlava d’altro. Intanto gli anni avano. Ci allenavamo nelle strade: Senigallia-Corinaldo, Senigallia-Arcevia, e saltuariamente Senigallia-Fano, percorrendo la Nazionale. Il traffico era quasi inesistente. L’unico pericolo: qualche carro agricolo trainato da buoi, che attraversava la strada all’improvviso. Per gli allenamenti su pista la Piazza delle Erbe, che nel pomeriggio si vuotava. Di forma ovale, con fondo un po’ duro, il luogo era conosciuto come Foro Annonario, circondato da colonne romane e molto suggestivo.
Foro Annonario - Piazza delle Erbe - ex pista di pattinaggio
Allenamenti, gare e, argomento principale, la nuova pista. Che non arriverà mai. La società si scioglie, così come le tradizioni. Non voglio correre di nuovo questo rischio. Il pattinaggio prosegue spontaneamente, per strada. Solo molto più tardi sorgeranno le due piste che avevamo sognato. Poi un’altra, con l’anello più grande. E dopo cinquant’anni circa quella con le curve rialzate. Dove il colore blu dell’anello, immerso nel verde, brilla come un piccolo lago di montagna. L’entusiasmo e la capacità della nuova società non fanno mancare risultati giovanili di prim’ordine, sia in Italia che all’estero. Al nostro declino abbiamo opposto resistenza, abbiamo lottato con i denti. Ma un fatto nuovo è ormai avvenuto nella società italiana: c’è più benessere, circolano più soldi, è più facile trovare sponsor. Il campionato a squadre ha raggiunto il massimo splendore. Alcuni clubs che non hanno saputo creare un vivaio, trovano degli sponsors attirando con facilità giocatori dai vivai importanti del paese. Così alcune società, soprattutto quelle prive di risultati ma vogliose di successo, entrano nel massimo campionato, rompendo ogni equilibrio e modificando l’etica sportiva. La federazione non chiede nessuna garanzia per i giocatori; questi si distaccano dalla società e ano dal miglior offerente all’altro. Ci sono contratti non rispettati, ma soprattutto i giocatori diventano itineranti solitari, trascinandosi dietro la propria identità, senza una vera e propria fusione con i clubs. Tanto meno la federazione protegge le società di lunga e stimata tradizione. Il campionato si imbarbarisce e le nuove società senza tradizione crollano una dopo l’altra. I migliori giocatori di tutta Italia lasciano il proprio club alla conquista di nuovi guadagni, ma sono spesso costretti a vivere ed allenarsi nei club d’origine come estranei, deturpando realtà ate e sentimenti comuni. È il nuovo benessere economico che dà spesso l’illusione che tutto si possa comperare, senza rispetto del lavoro altrui. Poi ci si mette anche la federazione che crea un college, prelevando i giovani talenti dalle società. Spende fiumi di denaro, così si impoveriscono tutti i vivai
importanti d’Italia. Il cammino è sempre più caotico. I grandi media danno poco spazio pubblicitario. Non ci sono rientri economici. Si perdono sponsor e se ne ritrovano altri. Ma la realtà non cambia. I giocatori costano troppo in confronto ai ritorni pubblicitari. La federazione, con una trovata “geniale”, apre il mercato ai Cinesi. Questi arrivano in Italia: sono più bravi e con meno pretese. Così si apre la caccia al giocatore cinese, mentre i club e i loro vivai vengono ulteriormente isolati. Noi non siamo entrati in questo gioco perverso. Forse favoriti dalla perdita dello sponsor. Questa nuova condizione ci aprirà una nuova via.
1980 - MUTAMENTI
“Ogni giorno che a mani vuote e pensieri
poi riprendi il cammino verso nuovi sentieri”
Il boom economico ha già prodotto i suoi effetti. Le strade si riempiono di auto. Le case sono riscaldate. Le ferie estive fuori città non rappresentano più un bene per pochi. Tutti studiano fino a 18 anni e praticano lo sport. Gareggiare e andare in trasferta rimane ancora una grande attrazione, ma c’è richiesta di maggiori comodità. D’estate non è più possibile fare tuffi nel porto canale.
Molo: peschereccio a vela con traino di due lampare
Mare Adriatico
Non vediamo più i silenziosi pescherecci dal nome di donna, spinti da amabili vele colorate. avano con il vento buono, e noi appresso, nuotavamo e le rincorrevamo. Non c’è più nemmeno il cumulo di sabbia sulla spiaggia, che chiamavano “montagnola”. Serviva da vedetta per le mogli e i figli dei pescatori che, con lacrime agli occhi, abbracciati, scrutavano l’orizzonte e pregavano. E il vento, traditore, all’improvviso oscurava il cielo, e gonfiava mare e onde… quando le vele ancora non avevano fatto ritorno. Sulla riva, le acque percuotevano e urlavano, con suoni sinistri, come se dovessero gettare resti di naufragio. Oggi non è più così. Il mare è anche un gioco. E’ stato costruito anche un porto turistico. Il progresso e le nuove attrezzature accompagnano in mare senza la paura nel cuore. Non vediamo più nemmeno i contadini scendere dalle colline fino alla spiaggia, con il vestito buono della domenica e, gli uomini, con i cappelli a falde. Qualche risvolto nei pantaloni, scarpe in mano, e su e giù lungo il bagnasciuga. Dietro, figli e donne, con gonne abbondanti e colorate, i visi rossi e rosa della salute. Le donne un po’ vergognose, con fazzoletto in testa, guardano, parlano e camminano. Qualche schizzo di troppo, e ridono, anche loro con le scarpe in mano, tutti in fila, fradici di sudore, fra i bagnanti in costume un po’ divertiti. Non c’è più nemmeno il ciclismo che divideva l’Italia in due: fra Bartali e Coppi. Non ascoltiamo più alla radio le imprese epiche attraverso l’immaginazione. Oggi i tifosi di allora, acquistano una bicicletta e, vestiti come campioni, consumano il vecchio sogno, percorrendo strade e salite. Dopo la guerra erano pochi a possedere una bicicletta, spesso sgangherata, ma utile per andare al lavoro. Il resto della popolazione a piedi sotto il sole, acqua, freddo e neve. I mezzi pubblici erano un lusso. Al cantiere navale di Ancona, uno dei tanti luoghi dove ho lavorato, un mio collega mi raccontava: “Mio padre, che faceva il mio
stesso lavoro, per venire a lavorare percorreva 20 chilometri a piedi, poi altrettanti per ritornare a casa. In seguito, con un suo amico di percorso, comprano una bicicletta in due. Così risparmiano quasi due ore a tragitto. Uno parte con la bicicletta, l’altro a piedi. Quello con la bici, a metà strada, nasconde la bici in un luogo prestabilito, e prosegue a piedi. Quando arriva l’amico, che ha fatto la prima metà a piedi, sale in bicicletta e finalmente completa il percorso pedalando. Così arrivano insieme.” In seguito vengo a sapere che, anche dai nostri paesi vicini, per venire in città, facevano altrettanto. Salire sulla canna della bici per andare in due, non l’avevano ancora scoperto. Il calcio infiamma le tifoserie fra paesi, città e clubs. L’Italia è divisa e frazionata. Si aspetta l’evento della “nazionale” come una tregua, per sentire, almeno una volta, di appartenere ad un’unica Nazione. Oggi anche il calcio è cambiato. I giovani non consumano più, col sudore, l’erba del prato della Rocca Roveresca, fino alle radici. Il volontariato sociale diminuisce, nello sport si è quasi spento del tutto. Il pensiero che si muove col moto del cuore, viene sostituito dal denaro. La Rotonda a Mare, una volta sede anche dei nostri incontri nazionali ed internazionali, è stata deturpata, senza gusto e senza amore, dall’avventuriero del guadagno. Oggi, per fortuna, è ritornata a risplendere più bella di prima. Si è anche spento il fuoco “eterno” dell’Italcementi e Sacelit. Il fumaiolo inanimato è ancora lì, triste e taciturno. E’ da tempo che ha smesso di inviarci i suoi preziosi segnali di fumo. Anche Piazza del Duca è cambiata. Il pavimento, in origine di terra polverosa, calpestata dagli zoccoli dei cavalli del Duca, si è vestito di moderno: di sera accoglie famiglie e turisti in un susseguirsi di colori e di voci. Oggi vissuta e per questo più bella.
Piazza del Duca; Rocca Roveresca
Così pure il fiume Misa, non mostra più i suoi muscoli distruttivi. Prima di raggiungere valle, gli è stato regalato un bacino dove placare le sue ire. Si spegne anche l’accademia pugilistica, nonostante l’ascesa agli allori mondiali. Nemmeno i figli del popolo portano più i pugni chiusi e tensioni sul ring con la speranza di un riscatto. Non vediamo più alla fine degli incontri il commovente abbraccio, come segnale di umanità e di pace. Così come le stelle che ci hanno visto nascere non sono più le stesse, tutto è mutato. Tutto a nei ricordi che, lentamente, sfumano per entrare, come pietre, nella storia. Lasciando il posto a nuova vita e a nuove emozioni. Anche noi ci adeguiamo, ci spostiamo sugli scogli, all’esterno del porto canale. Le nostre nuotate ora si dirigono, fra le onde a volte buone a volte severe, verso la Rotonda a Mare. Le spiagge, una volta semideserte , si riempiono di ombrelloni e di attrezzature estive. Anche il faro, a guardarlo, sembra triste. Oramai aspetta solo che cali la notte per inviare lunghi ed interminabili fasci di luce. Non salgono più i giovani baldanzosi che volano in picchiata verso il mare, come gabbiani che bucano l’acqua in cerca di cibo. E così anche il pubblico di curiosi è svanito. C’è anche chi si getta dal molo con la bicicletta. In costume da bagno, scalzi, salgono su una bicicletta: lunga rincorsa e poi saltano dal molo in acqua. È un po’ come un salto in lungo. L’acqua limpida fa vedere bene la bici sul fondo, le parti cromate brillano. Un secondo tuffo per il recupero.
Tuffatore dal molo di Senigallia
Anche le osterie si sono abbellite. Alcune sono diventate piccoli ristoranti, altre bar. Non si sentono più i canti di romanze delle opere. Canti in coro che invadevano la città silenziosa. Erano canti di operai, muratori e qualche impiegato ben vestito. Li accomunava non solo la ione per il canto: erano stati una volta i coristi del Teatro La Fenice, che dopo il terremoto del 30’ non è più stato ricostruito. Gli anziani lo ricordano con nostalgia. Parlano spesso di come la città si trasformava quando c’era una rappresentazione. Orgogliosi di aver vissuto quei momenti, ricordano la presenza di Giuseppe Verdi e l’opera dell’Aida per la cui rappresentazione ci voleva un palco molto grande. Però al posto degli elefanti la scena veniva allestita con due buoi. Molto famoso era diventato il contadino che li accompagnava sul palco. Questo improvvisato attore faceva anche il lattaio. Ricordo che alle sette del mattino portava un litro di latte appena munto nella mia abitazione. Così succedeva in tutte le città. Il latte per la colazione era un bene che non tutte le famiglie potevano permettersi. Non esistevano confezioni al mercato. Se lo volevi dovevi rivolgerti al contadino. Non era nemmeno un prodotto che si manteneva. Non c’erano i frigoriferi. Se aspettavi il giorno dopo per consumarlo, diventava acido. Oggi quel latte più nessuno sarebbe in grado di digerirlo.
RICORDO DEI CORISTI
Ritorniamo ai nostri ex coristi, che allietavano anti e improvvisati spettatori, rendendo la città un grande teatro. L’osteria era un palcoscenico per attori con in mano un bicchiere di vino. Forse per dimenticare il teatro, che allora mostrava di sé i fasti del ato con i suoi palchetti ancora colorati di rosa, la copertura ormai quasi scomparsa. Solo una parte resisteva e ricordava la sua forma a semicerchio. I coristi ogni tanto parlavano di quei tempi. Ricordo anche di un barbiere corista che spesso cantava durante il lavoro. Aveva la bottega lungo i portici, di fianco al liceo classico. Spesso nelle sue parole e nelle nostre c’era il sogno della ricostruzione. Ma con il tempo questi cori che inondavano la città diventarono sempre più deboli. Così le voci scomparvero con i loro sogni. In seguito si diffo la radio e il giradischi. E si spensero tristemente anche quei cantanti solitari che qua e là per la città facevano ripensare alla vecchia osteria e al teatro scomparso. Anche i portici costruiti dal cardinale Ercolani, con il marmo della Dalmazia, divennero silenziosi. Bianchi e splendenti al sole, sono rimasti senza voce. I giovani con i loro walkman, e ora con l’IPod, ascoltano la musica, ma senza condivisione. E forse perché non educati, o per vergogna, non cantano più come i loro bisnonni nei campi. Né come le loro bisnonne nelle filande, mentre allevavano il baco da seta. Luoghi di lavoro, ma anche di creatività musicale, che hanno dato vita ai canti popolari di anonimi compositori di cui si son dimenticati i nomi. Mi piace ricordare, a segno di ringraziamento, tutti quei piccoli Giuseppe Verdi che ci hanno lasciato, senza mezzi e solo con la propria voce, le radici e il patrimonio musicale che possediamo. In mente mi ritornano i ricordi da bambino. Il teatro La Fenice è stato eretto da alcune famiglie benestanti. Con i suoi 99 palchetti e la capienza di 110 posti seduti in platea, più il loggione con 500 posti in piedi. Nei racconti, che noi ascoltavamo come si ascolta una favola, ci dicevano che dopo il debutto dell’opera alla Scala di Milano la seconda rappresentazione era proprio alla Fenice di Senigallia. E noi ci sentivamo orgogliosi.
I PESCHERECCI
Anche i pescherecci, ora tutti a motore, a sera ano veloci. Si vede solo il legno che taglia prepotente le acque. I marinai, una volta indaffarati con cime e vele, oggi senza lavoro, ritti sul ponte guardano con orgoglio e compiaciuti, verso i curiosi che eggiano o son fermi sopra il pontile. Noi li osserviamo, stupiti, mentre il rumore ci entra dentro la testa e invade anche questo luogo consacrato alla quiete o alle voci degli umori del mare. Poi ritornano all’alba sicuri, e ci portano grandi quantità di pesce, che per alcuni anni, hanno avuto sapore di nafta. Considerata non nociva tanto che molti la usavano per lavarsi i capelli. Forse affascinati da questo liquido che sta rivoluzionando il mondo. La nafta, che muove il motore, solleva dalle fatiche del lavoro le classi più povere prigioniere dalla notte dei tempi, favorendone l’emancipazione. Nemmeno le donne stanno più in casa dietro i fornelli di carbone spesso umido. Far bollire e cuocere il pranzo, portava via tutta la mattina. Mentre il bucato giornaliero, acqua gelida per tutto l’inverno, mani rosse come il fuoco, una condanna certa. Il sapone fatto in casa per risparmiare, sembra pietra presa nel greto del fiume. A sera, tutti a letto presto, si spegne la lampadina rossastra e fioca, la corrente elettrica costava troppo. Ogni tanto una favola. La storia straziante del tamburino sardo o “Dagli Appennini alle Ande”, che ascoltiamo come una tortura necessaria per prepararci alla vita, in un bagno di lacrime e di paura. Dopo la scuola i ragazzi mangiano e fuggono per le strade ai loro giochi. Le ragazze restano dentro casa per imparare il mestiere di donna. E sognano un “principe azzurro”, che le porti via, per guardare il mondo con i propri occhi. Oggi la casa non chiede più tanta repressiva e noiosa presenza. Il gas, la lavatrice, l’aspirapolvere, i detersivi ecc., il maggior benessere, lasciano ore di tempo libero e di agio. Le ragazze hanno imparato a fuggire come i ragazzi. Forse all’inizio alla ricerca inconscia del “principe azzurro”. Forse l’hanno trovato o lo credevano. Dipende da quanto l’avessero idealizzato. La nuova realtà getta nel caos vecchie abitudini e tradizioni. Così la nuova generazione femminile si lascia guidare spesso da stilisti che la veste da maschietti, forse per
sfuggire ai ricordi del vecchio ruolo. Cercano nuovi spazi nella società moderna e trovano più libertà ma nuove tensioni. In compenso questa nuova condizione le avvicina allo sport praticato e seguito. Mentre alcuni uomini scendono ancora in miniera, costruiscono case, strade, ponti, navi, oleodotti, con la forza fisica e nel disagio. E capiscono poco, quando tornano a casa, la bramosia di parità, che a loro viene negata. Le madri disorientate corrono dietro ai figli per riempirli di cibo. E faticano a capire che i giovani hanno intrapreso un cammino sconosciuto, denso di novità, paure, solitudine, incertezze e curiosità. Le donne non parlano più da finestra a finestra. Non siedono più avanti casa, vestite di nero. Non fanno più maglia chiacchierando, mentre bambini lungo la via, padroni assoluti, schiamazzano e giocano.
IL POSTINO
La figura del postino, non è più la stessa. Non imbucava la lettera, prima bussava (il camlo non esisteva), attendeva senza fretta e consegnava la posta nelle mani. Spesso, cartoline color marrone nelle quali al posto della foto c’era uno spazio libero per scrivere. Il postino dava sempre un’occhiata, dall’espressione capivi se le notizie erano buone. Diventava un confidente, partecipava alle gioie ai dolori. In certe occasioni entrava. Un bicchiere di vino . Poi conversava, stemperava le tensioni o partecipava alle buone notizie. Non c’erano segreti. Ti informava con discrezione sulle vicende sentimentali e scabrose della città. Ma per le cose importanti era il depositario. A volte rappresentava un momento di compagnia per le persone anziane e sole. Tutto nasceva dal quel piccolo francobollo, che ti apriva le porte del mondo, che ti portava notizie e senza fretta le alimentava. Oggi arriva tutto in fretta. Ti cade e ti viene addosso. Ti devi liberare, altrimenti soffochi, perché subito dopo, ancora notizie, banali o importanti. Non fai in tempo a capire la differenza. Alimenta il qualunquismo, cancella o reprime le emozioni. Anche la TV ti manda notizie da esperti di scioglilingua, senza sentimento, con immagini drammatiche o banali che si accavallano. Un relativismo ristretto che tutto comprime. Oggi sotto lo stesso tetto vivono giovani e anziani, con un percorso di vita spaventosamente diverso. Gli anziani hanno vissuto i primi anni di vita quando il trascorrere del tempo veniva percepito dal percorso del sole. Qualche incontro di lotta, senza farsi vedere dai grandi. Ogni tanto il vento portava nelle vie il profumo dei campi o l’umido salmastro del mare. In tutta la città c’era silenzio o voci. Le bambine a piccoli gruppi giocano alla settimana. Poi cala la sera, poche lampadine stradali illuminano poco più di se stesse. Alcune di queste rotte da noi ragazzi, con lancio di sassi: piacere assurdo, per noi senza spiegazione. Quando arriva la notte, si vedono le stelle, la città ha un po’ di luce solo a luna piena. Altrimenti le strade sono come buie gallerie, dalle finestre qua e là un po’ di luce. Tutti rientrano a casa, le vie, strisce scure e deserte. La famiglia interrompe ogni forma di comunicazione con il mondo esterno. La casa con poca luce si riempie di ombre, si muovono, ci seguono. Fuori sai che la notte ha
mangiato ogni segno di vita. C’è sempre timore e paura. Anche per gli stupidi racconti dei grandi: fantasmi, il lupo mannaro, l’uomo nero, la vecchia… non vedi l’ora di addormentarti! Il sole regola la vita delle persone. Si aspetta l’alba. In città il rumore oggi corre. Corre lungo strade, esce da ogni bottega o lavoro, modificando sensazioni, sapori e profumi, cacciando i bambini dentro l’uscio di casa. Non più come i loro padri o nonni, che vivevano in campagna. Mangiavano prodotti del proprio orto, bevevano acqua di pozzo o di ruscello, di notte un po’ di luce con lampada ad olio. I giovani tutti a dormire prima che cali il buio. E pronti a svegliarsi al canto del gallo che interrompe e cancella il silenzio e i fruscii della notte.
GIOVANI DISORIENTATI
I giovani vivono fianco a fianco a queste persone che hanno vissuto un periodo della vita come uomini di duemila anni fa e oltre. Ora aprono il frigorifero e trovano alimenti di terre lontane e di stagioni ate o future. Forse, senza pensarci, alcuni si preparano già per andare a lavorare nello spazio. Tutto troppo veloce. I valori morali con la comunicazione si scontrano, si accavallano, si perdono. Si sente il bisogno di stasi, di decontaminazione. Mentre una parte corre, un’altra è ferma. I giovani ancora una volta si sentono soli. Non rompono più le lampadine stradali, rischiano la vita schiacciando un acceleratore, forse per appropriarsi di quella strada che da bambini li aveva rifiutati. O forse per le tensioni che il progresso ha buttato loro addosso. Se non fosse comparso il motore ad alleviare il lavoro, troveremmo la maggioranza ancora sui campi, a guardare la luna fra le stelle per stabilire il giorno della semina, o a far brillare per tutta la campagna il ferro da lavoro, col sudore, dall’alba al tramonto. Mentre le donne grasse, con il cesto in testa, escono di casa scalze. Camminano sorridenti e sicure lungo il campo, a volte in pendio, per portare il pranzo e un po’ di riposo agli uomini senza età che dall’alba lavorano, all’aria ed al sole. Una tovaglia a terra, sotto l’albero grande, l’acqua con un po’ di vino, per i più fortunati. Oppure acqua e aceto, che serviva per stemperare il sapore cattivo e pesante di quel liquido che bevevano fin dall’infanzia. Con nel cuore l’unica proprietà, la parola data e l’onorabilità di una stretta di mano, in segno di amicizia o per suggellare un contratto, che diventava sacro per tutta la famiglia e la comunità. Oggi gli uomini sono più grassi, mentre le donne magre. Quasi tutti più nervosi, come il rumore del motore che li ha generati. E non sanno più regalare quello che hanno avuto o che è stato loro donato. Ogni iniziativa o prestazione viene tristemente monetizzata. Tanto che sembrano schiavizzati come gli antichi progenitori. Ancora poco adatti ad una vita veramente socializzante. Per le vie si vedono donne anziane che camminano sole e un po’ distratte, che tengono fra le dita una bianca sigaretta fumante. Non vedi mai il fumo che esce dalla bocca. Si nota compiacenza. Forse si liberano le tensioni ate. Si consuma un rito dell’uomo allora più libero. E loro fra le quattro mura, il fumo accecante, del carbone o del legno dei fornelli.
Non andiamo più col pattino 100 metri più a largo del molo, per tuffarci in profondità a pescare le cozze. Dalla sabbia del fondo mare emergeva la scogliera, che chiamavamo di “Pio IX”. Era il progetto, del Papa senigalliese, per allungare il molo e potenziare la Fiera. Si dice che i commercianti si fossero opposti, per paura di essere danneggiati. Però dopo, con l’unità d’Italia nasce la Repubblica, e cambiano le condizioni, così il progetto non sarà mai realizzato. Oggi il molo è stato allungato e abbellito. Per la sua eleganza, i vecchi pescherecci ano fra i natanti slanciati bianchi e sinuosi, come signorine senza lavoro, che vanno per mare solo per dimenticare e per svago. Così la vecchia scogliera ora è rimasta sotto il molo, e non ci dà più quelle cozze così grandi e saporite che solo in quel luogo potevamo trovare. La sera, la suggestiva piazza ovale dove noi pattinavamo, si veste di luci e di spettacoli. Ora è stata sostituita altrove da tre vere piste di pattinaggio. Le TV vuotano le sale cinematografiche.
Bottega del fabbro - Via Pisacane
La città di notte non è più una macchia d’inchiostro. Le strade, i negozi si sono illuminati, la gente esce la sera. Le automobili corrono lungo le strade, divorano spazi e distanze. Dove c’era il falegname c’è un ristorante. Al posto del fabbro c’è un bar. Nel negozio del ciabattino, due ragazze eleganti, in poche ore ti spediscono alle Canarie a prendere il sole in tutte le stagioni. Il negozio del sarto, che con l’ago ti cuciva il vestito addosso, ha ora una scelta di abiti già fatti. Non occorrono più dieci giorni per indossarli. Gli stivali degli ufficiali, che servivano per proteggersi dal fango, ora li hanno abbelliti, così le ragazze li indossano con orgoglio ed eleganza. La notte è diventata un momento di comunicazione, di svago, di cene in compagnia. La famiglia si frantuma, ognuno ha preso la propria via. Si sente la nostalgia della neve che ferma la città come una cartolina. Il bisogno di vederla cadere senza che nessuno te la porti via. Il bisogno di camminare per tutta la città ora tutta per noi. Sentire le voci e le campane sommesse che non ti mettono fretta. Il bisogno di un mondo bianco che cancella e addolcisce le asperità. Ancora, si sente il bisogno di strade senza incroci, senza attraversamenti. Camminare senza guardare, distrarsi, parlare con un amico, senza la paura che un rumore cresca all’improvviso e ti venga addosso. Senza il bisogno di tenere per mano un bambino, come un prigioniero. Il bisogno di parlare senza essere interrotto o alzare la voce per farti sentire. Camminare e guardare in alto, le pareti delle case, le finestre e le persone che si affacciano. Il bisogno di vedere i colori della città che cambiano durante il giorno. Il piacere dell’alba dopo che la città è stata seppellita dalla notte. E ritrovare gli amici per riprendere il cammino. E respirare quell’aria buona che ti fa sentire tutt’uno con la natura. Solo il eggio del Corso sembra lo stesso. Colori che si muovono, si incontrano, si evitano e proseguono. Due flussi di gente che si guarda e si riguarda. I giovani non indossano più i jeans nuovi imbiancati e consumati con la carta vetrata. Hanno addosso firme prestigiose oppure jeans stracciati e lacerati, soprattutto le ragazze, come segno di malessere e dissenso. A guardarli si sente il disagio sulla pelle, senza percepirne le ragioni.
“Per troppo tempo al focolare
forse a qualcuno dovran perdonare”
In questo momento difficile, mi ritorna alla mente tutto il percorso fatto. Il sorriso amichevole del falegname. Il tavolo verde che ora ha un odore di vernice e di fresco. Tutto deciso dai grandi. Così l’accoglienza nei vari locali nel periodo dell’esodo. Non c’era mai una proiezione per un nostro futuro. Solo la scuola ha queste “pretese”. Però prima ti vuol catturare con regole ferree. Se accetti e rinunci alla tua istintività, sei accettato e ti regalano un po’ d’affetto. Noi continuiamo a subire le scelte dei grandi.
Retro Duomo - Via delle Caserme
Durante l’esodo otteniamo un locale con ingresso indipendente. In questo momento possiamo dare il massimo sfogo al bisogno di giocare. Col mio amico, il sabato sera dopo cena alle nove incominciamo gli allenamenti. Portiamo qualche bottiglia d’acqua e giochiamo ininterrottamente fino all’alba. Noi siamo i più grandi, possiamo godere di questo privilegio. I giovani affollano per tutto il pomeriggio. Il locale è ampio, l’intonaco vecchio, duro e mal livellato. Nel soffitto travi di legno sicure e lavorate dal tempo, c’è un solo tavolo. A me sembra bellissimo. Alcuni la chiamano “topaia”. Forse più per la selezione selvaggia per occupare uno spazio di gioco e nel rispetto di questo valore. Può capitare che se il punteggio arriva sul sei a zero, è cappotto. La partita per chi si trova a zero finisce ed esce. E’ l’umiliazione per chi ha osato troppo. C’è però un problema col pavimento. Questo è fatto di mattoni da costruzione. Un po’ consumati e un po’ mossi, quando la palla cade a terra, diventa quasi impossibile prevedere il rimbalzo. Si sa che nel ping-pong, dopo quattro o cinque scambi la palla cade. Noi d’istinto andiamo subito a raccoglierla. Quando il primo o secondo rimbalzo è regolare riusciamo ad afferrarla subito. Ma quando la palla cade lontano dal tavolo e incomincia a ballare sul pavimento, è un dramma. Un rimbalzo a destra, uno a sinistra, uno avanti, poi succede che ne fa due o tre nella stessa direzione, e noi dietro chinati con la mano nel punto sbagliato. Camminiamo con o veloce e piegati, mentre la palla rimbalza sempre meno. Inevitabilmente succede che, mentre la rincorri, un po’ affannato e attento a correggere la mano per afferrarla, fa un salto all’indietro e basso per finire sotto il piede e la schiacci. Quando succede all’unica pallina che avevamo, ci prende male a tutti. A volte con una colletta si riusciva a racimolare la somma. Altre volte aspettavamo il giorno dopo e il tempo per procurarcene un’altra. Col mio amico non abbiamo questo problema. Lui ne ha sempre una scatola da tre. La notte di gioco è assicurata. Ancora non avevano costruito l’autostrada. I camion ano lungo la nazionale. In ogni città c’è sempre un bar comodo per i camionisti che si fermano durante la notte per il ristoro o un piccolo riposo. Dopo il gioco usciamo, e mentre albeggia andiamo in uno di questi bar, sempre aperti. Mentre camminiamo lungo le vie deserte e senza rumori, si percepiscono attraverso i colori, le luci, e i profumi le stagioni che si chiudono o si aprono. Ci mangiamo qualche bombolone, appena sfornato, caldo e profumato. Beviamo
qualcosa, e ognuno a casa, senza fare troppo rumore, si va a dormire. Non diciamo mai di aver fatto così tardi. Alla domanda a che ora sono rientrato, ho sempre detto: “Dopo la mezzanotte…” All’oratorio S. Cuore, entri e sei già accolto nel piccolo campo di calcio. In questo luogo un pallone c’è sempre, basta chiederlo. Si forma subito un gruppo di ragazzi, si scelgono i capitani delle due squadre. Un pari e dispari fra i due e inizia la scelta e la divisione in due gruppi. Così le due squadre si formano un po’ per simpatia e un po’ per valori. Nessuno vuole stare in porta, non è un ruolo considerato da protagonista. Si gioca per ore e si corre tutti sempre dietro al pallone. Chi ha la palla non la vuole lasciare, mai un aggio. È una lotta continua corpo a corpo. Forse il germe dell’egoismo inizia a svilupparsi. Nei due lati di fondo del campo due muri separano un convento di suore di clausura e, dalla parte opposta, il settimo reparto di polizia. Ogni tanto il pallone tirato in porta supera il muro. Quando finisce dalle suore, è un dramma. Per riavere il pallone bisogna andare a suonare il camlo, arriva la suora e l’intravedi dietro la grata, metti cinque lire nel girello e chiedi la restituzione del pallone. Mezzo giro per incassare, mezzo giro per rivedere finalmente il pallone. La ragione delle cinque lire è il risarcimento del danno che il pallone ha fatto nel cadere nell’orto. In una delle tante volte che andiamo a riprendere il pallone, ci sentiamo dire che una suora, mentre era in preghiera, è stata colpita in testa dal pallone. Per riaverlo ci chiede dieci lire. Eppure l’orto non può essere stato danneggiato, noi pensiamo. Ma la cosa ci diverte molto. Ogni volta che il pallone scavalca il muro delle suore, noi ad alta voce in coro: sorellaaa, occhio alla testaaa! E ridiamo. Anche se cinque lire in più possono essere un grosso problema. Quando il pallone finisce nel reparto di polizia, a volte sembra che il pallone non faccia nemmeno a tempo a toccare terra. Ritorna con un calcio così potente che il pallone finisce altissimo.
ORATORIO DEL SACRO CUORE
Noi ogni volta valutiamo l’altezza e immaginiamo quanto possa essere bravo quello che lo ha calciato. La partita dura fino a notte. Scarpe e vestiti sono gli stessi che porti addosso e che ci vai a scuola. Un rubinetto per dissetarsi, anche durante il gioco, qualche nuovo entra, e qualcuno deve rientrare a casa prima. All’improvviso un frate con o veloce va verso il cancello, c’è subito un fuggi fuggi. Sono sempre gli stessi, i poverissimi, gli emarginati. Poi il cancello si chiude a chiave. Tutti nella piccola chiesetta, una breve funzione. Si riaprono i cancelli e si riprende il gioco. Quando arriva sera, una pausa per lasciare che il sudore si asciughi, e a casa. I genitori non capiscono perché la scarpa destra si rompe prima. Forse fanno finta di non capire. Si vede che non è un problema da poco. Ma come si poteva rinunciare, ogni gioco rappresentava un volo, per tutto un pomeriggio. Il calcio lo puoi giocare ovunque, basta una piazza, un rettangolo libero. Qualche ragazzo ha un pallone vero. Per noi è troppo pesante, però è quello dei calciatori veri. Anche se ti fa male ai piedi quando lo calci, sei ugualmente contento. Però bisogna fare attenzione se nel gioco trascuri il proprietario. Se non gli i il pallone quando vuole, si arrabbia. Lo prende con le mani, lo mette sotto il braccio e se ne va. E dice: il pallone è il mio. E ci lascia tutti fermi a guardarci in faccia. Noi indossiamo sempre i pantaloni corti estate e inverno, è il cambiamento del dopoguerra. Prima della guerra, dicono i più grandi, erano i ricchi a portarli, mentre oggi la moda si è invertita. Prima della guerra i più poveri, tutti con pantaloni lunghi, vestiti da ometti, togliendo l’infanzia dagli occhi per entrare nel mondo del lavoro. I più ricchi, o meglio i più snob, ora vestono pantaloni lunghi e abbondanti, ed anche il resto del vestiario sembra troppo impegnativo per dei bambini. A noi appaiono un po’ ridicoli: il bambino si nasconde dentro un’eccessiva sovrastruttura, dove si perde corpo e contatto con l’esterno, fatto di gioco con altri bambini. Possono giocare a ping-pong, ma non devono sudare. Di calcio, corse, lotta fra ragazzi, non se ne parla.
La stessa repressione dei più poveri che vanno al lavoro. Anche se nell’agio. Chi lo sa se i bambini di oggi, ben vestiti, alcuni un po’ come pagliaccetti, lo desiderano veramente. Il fatto sta che quando crescono, vestono volentieri più trascurati. E preferiscono jeans senza impegno e quasi indistruttibili. Forse per reazione o per aver più agio e recuperare spensieratezza. I poveri nella miseria sono più uniti. Le famiglie si aiutano. Sono cellule che cercano di formare un corpo e sognano una società più giusta. Mi ritorna in mente uno dei tanti racconti del mare, che ascoltavo durante le mie assenze da scuola.
FAVOLA DEL MARE
“Molti e molti anni fa c’era una volta un re, che viveva in un grande castello bianco. Era saggio e soprattutto sapeva sempre come far felici i suoi sudditi. Organizzava il lavoro, le feste e i riposi. Tutti gli volevano bene, tanto che lo chiamavano il re buono. Lui di questo era molto contento. I sudditi felici avevano rinunciato a fare richieste. Tanto il re buono pensava a loro. Erano così contenti che avevano rinunciato ad ogni pensiero. Un giorno al re venne in mente di piantare migliaia e migliaia di alberi fra il fiume e il villaggio dei sudditi. “ Così potranno respirare ossigeno in quantità - pensò il re - e mi vorranno ancora più bene”. Era un luogo meraviglioso. D’estate al fiume facevano il bagno. C’erano pesci di ogni specie che saltellavano qua e là. I bambini ci giocavano e nuotavano assieme. Non pensavano alla pesca. Gli alberi da frutto davano tutto quello che serviva per vivere. D’inverno arrivava la neve, con la felicità di tutto il villaggio. Non faceva molto freddo. Alcuni alberi dalla spessa corteccia fornivano un frutto d’inverno. Aveva il sapore del dattero, ma era più grande e dalla buccia rossa e resistente. Però dopo qualche anno i sudditi felici incominciavano ad ammalarsi. Il re, preoccupato, chiamò i più grandi medici e saggi da tutto il reame, che oramai avevano perso l’abitudine di pensare. Senza accorgersene. Così non furono di nessun aiuto. Il re buono diventò triste, si ammalò e morì. arono molti anni di stenti. Poi alla fine quando era troppo tardi si capì. La colpa era del vento che portava aria durante la notte dalla piantagione di alberi verso il villaggio. Come ora tutti sanno, quando cala il sole gli alberi non producono più ossigeno e durante la notte rilasciano anidride carbonica. Tossica per l’uomo. Così nel
villaggio con sempre più ammalati erano sempre più tristi e infelici. Però non smisero mai di piangere il re buono e continuavano a volergli sempre più bene.” Chi fa politica, possibile che non pensi al mondo dei giovani? Possibile che non ci sia mai un progetto che vada oltre le ore 13:00 della giornata e che sia una cosa diversa dallo studio? Ora sono cresciuto. Il potere che ho è solo il consenso che lo sport mi ha dato. È un peso che devo usare. L’obiettivo è costruire un centro per il ping-pong, che possa soddisfare le richieste, dipende da come mi muovo e dalle strategie per far capire. La stampa è il primo mezzo importante. Un semplice cittadino può con coraggio esprimersi e confrontarsi. Chi è contro senza argomenti, rinuncia. Questa è la prima strategia. Cerchiamo consensi nella città.
AVEVAMO BISOGNO DELLA CITTà
“Con carte e “bassetta” ci han finanziato
sponsors importanti abbiamo battuto”
Caffè Europa - Piazza della Libertà
Un dirigente mi segue. Parliamo e speriamo che qualcuno ci capisca, come quando anni addietro siamo andati a prendere un caffè in un luogo frequentato da apionati sportivi. E’ stato come se ci aspettassero. Facciamo subito amicizia. Ci chiedono quali siano le nostre difficoltà. Noi gliele spieghiamo. Come d’incanto, non ci sentiamo più soli. è come se avessero fatto parte, da sempre, nel nostro sogno. Ci aiutano, ci incoraggiano. Poi, con entusiasmo, il sabato sera si riuniscono intorno al tavolo e giocano alla “bassetta” per darci un contributo. Dal gruppo uscirà il presidente del primo scudetto. Ci aprono le porte della Rotonda a Mare per gli incontri di serie “A”. Per costruire il Centro forse dovrà succedere qualcosa di simile. Però la strada, è quella politica delle istituzioni. Cerchiamo consensi a tutti i livelli. Sindaco, C.O.N.I. Regionale, Azzurri d’Italia, Federazione Regionale e Nazionale, Azienda del Turismo, ecc. Il mecenate lentamente riduce l’aiuto economico. I giocatori trovano altri club o interrompono. Alcuni rimangono. L’esigenza di un nuovo territorio, per recuperare e per ripartire è necessario. Dal mecenate ci arriva un aiuto, molto piccolo, non è rivolto ai giocatori. Simbolico, che si trasforma nel tempo, come motore propulsivo per il nuovo cammino. Tutti i giocatori conoscono il nostro sogno, però loro sono troppo giovani per collaborare. Oppure sono le caratteristiche che separano culturalmente i ruoli. Un po’ ci dispiace. Ma il sogno non deve pretendere aiuti, è la natura del sogno. Nasce da dentro e si libera. C’è sempre qualcuno che sente, che percepisce. La speranza è il motore, la serenità è lo spirito, la costanza un attributo. Arriveranno al Sindaco decine e decine di lettere d’incoraggiamento e consensi, da amici e apionati, un po’ da tutta Italia. La stampa dà grande risalto all’iniziativa. Facciamo capire l’importanza per una città turistica come la nostra e i vantaggi d’immagine. Intanto raccogliamo notizie sulle difficoltà di realizzazione. All’interno della società, un genitore ci spiega come funzionano gli oneri di urbanizzazione, e ci indica anche, le aree disponibili della città. Con il mio amico, che diventerà poi Presidente della società, andiamo dal Sindaco,
per chiedere e fare proposte. Dopo una serie fitta d’incontri, un bel giorno ci chiama. Col sorriso sulle labbra, ci invita a presentare al Comune un nostro progetto. Correva l’anno 1981.
Interno della Rotonda a Mare
1984 - SI REALIZZA IL CENTRO
“Finisce il sogno protetto
noi pensiamo al nuovo progetto”
Affidare ad uno studio il progetto non se ne parla: costerebbe troppo. Per noi questo ci libera, ci esalta. Incominciamo a pensare alle cose che ci sono mancate. Allontaniamo da dentro di noi tutte le conoscenze, come arroganti. Come metodo consideriamo che tutto è vero e tutto è sbagliato. Ci mettiamo al lavoro; non ci sono esempi in Italia, dobbiamo inventarci tutto. Soprattutto dimenticare gli impianti esistenti, concepiti per sport differenti. Facciamo la prima scelta importante: eliminiamo dal progetto le tribune e utilizziamo lo spazio per realizzare il ritrovo e l’aggregazione, prima e dopo l’attività sportiva. I ragazzi non devono concepire lo sport come momento di consumo sportivo e basta. Tutta l’area è sopraelevata e divisa dalla palestra da una lunga vetrata. Da questo spazio si osservano bene i tavoli da gioco, che vengono isolati acusticamente. Per il piano da gioco si decide di utilizzare piastrelle di legno di tek; sotto il pavimento ano le serpentine per il riscaldamento. Importante la scelta perché questo metodo riscalda senza muovere l’aria, accorgimento necessario per non falsare la parabola della pallina in gioco. Si copre la palestra con travi a “shed”, munite di vetrate le quali lasciano are la luce esterna. Per l’impianto fonico utilizziamo un metodo da noi studiato, che chiamiamo “diffusione a pioggia”. L’innovazione consiste nell’applicare una serie di piccoli altoparlanti sul soffitto e rivolgerli verso il basso. Usati a basso volume, permettono l’ascolto senza produrre l’effetto eco. Dotiamo l’impianto di servizi, compreso un bar nella sala ritrovo, per facilitare l’accoglienza. All’esterno un grande prato, attraversato da uno scivolo per l’accesso anche di disabili. Anche all’interno i servizi sono adeguati ai disabili. Sul prato, un alto numero di piante,
copre quasi interamente la facciata. Gli alberi sono scelti con una logica ben precisa per il tipo di fogliame, la posizione, i colori che assumono durante le stagioni. Il prato è visto come spazio di gioco, da utilizzare e godere. Per evitare costi di progettazione, abbiamo scelto una costruzione in prefabbricato. Con accorgimenti appropriati di colori e del loro dosaggio, diamo energia e personalità a tutto l’ambiente. Tanto che la struttura si esalta nei corpi rigidi e nei volumi liberi, così da far dimenticare i materiali poveri e poco costosi come il prefabbricato. Grazie a due amici ingegneri, apionati di ping-pong, senza ulteriori costi completiamo il progetto, sia per la scelta dei materiali che per i calcoli. Finalmente presentiamo il progetto e aspettiamo. ano tre anni lunghi e tormentati. Intanto i giocatori vanno a giocare per altre società italiane che da anni fanno pressioni e richieste. Finalmente si realizza il Centro tanto atteso e sognato. Il Comune ha fortemente contribuito. Il Sindaco ci è sempre stato vicino e l’ Assessore incaricato ha rimosso gli ostacoli per la realizzazione. Il Consiglio Comunale ha approvato all’unanimità. Infine più del 50% del costo verrà finanziato dal C.O.N.I. di Roma e dal Credito Sportivo. L’area scelta: la zona residenziale “Vivere verde”. Il C.O.N.I. di Roma , nel 1986, premia il Centro come miglior progetto specialistico realizzato e l’anno successivo lo iscrive ad un concorso internazionale come rappresentante per l’Italia. Lasciamo la palestra nel cortile con tutti i suoi ricordi. Lasciamo le quattro mura che hanno protetto i nostri sogni. Lasciamo un luogo della nostra adolescenza con tutti i suoi ricordi più belli ma l’esodo dei giocatori è oramai avvenuto. L’attività agonistica continua con grande fatica.
“I voli più belli sono lontani
con grande fatica pensiamo al domani”
Centro Olimpico Tennistavolo: interno
COLLABORIAMO CON LA REPUBBLICA DI S. MARINO
La Federazione della Repubblica di S. Marino ci chiede di collaborare: sono molto interessati a ben figurare alle Olimpiadi dei Piccoli Stati. Mi danno la responsabilità della nazionale e della scuola. Collaboro bene con i giovani giocatori e con il loro allenatore. Arrivano i primi risultati. Un giocatore della Repubblica di San Marino vince i giochi della gioventù a Roma, battendo tutti i giocatori italiani ed i rappresentanti della comunità italiana all’estero. In seguito, la squadra sammarinese vincerà anche il titolo di campioni d’Italia di coppa Davis allievi. La Federazione Italiana, per non smentirsi, ci mette lo zampino, facendo cessare così la mia collaborazione. Però la cosa non mi è dispiaciuta, perché sono stato sostituito da un allenatore cinese, col quale sono legato da profonda amicizia, fin dai primi giorni in cui è venuto in Italia.
IL CENTRO SI APRE
Il centro in occasione della collaborazione con la federazione sanmarinese, cambia nome e diventa Centro Olimpico. Quattro nuovi giovani si trasferiscono da altre città, per vivere studio e pingpong a Senigallia. Così nasce un nuovo corso tecnico, fra interni ed esterni. Sarà il periodo della scuola italiana più intensa di risultati. Sarà anche il periodo dell’utilizzo delle conoscenze e dei studi fatti a S. Martino. Arriveranno un numero maggiore di convocati nella nazionale giovanile e tre della scuola senigalliese, su sette, verranno convocati ai mondiali assoluti. La società continua a vivere senza sponsor. Così questi giocatori gareggiano per altre società italiane. Mentre alla scuola va la soddisfazione di aver prodotto sette giocatori di prima categoria di cui quattro nella nazionale assoluta.
RICORDO: ACCOGLIENZA
Anche nel ato abbiamo avuto un’esperienza simile. Una ragazza giovane di terza categoria ava tutta l’estate a Senigallia, per allenarsi. Proseguirà durante l’inverno con continui contatti, senza doter lasciare la propria società. Con nostra soddisfazione l’abbiamo vista crescere. In un paio d’anni è entrata nella nazionale giovanile ed assoluta.
PERIODICO “TOP SPIN”
Quando il potere è senza controllo
Arriva il giorno che perde l’orgoglio”
Diamo inizio alla pubblicazione di un nostro periodico “Top Spin”. Sentiamo la necessità di esprimere le nostre idee e confrontarle. Vista la cessata attività di vertice, continuiamo così a mantenere i contatti con tutte le società. Arrivano molte idee e proposte. Pubblichiamo risultati di manifestazioni di tennistavolo, prima della rivista federale. Per contrastare la nostra iniziativa, la Federazione sarà costretta a pubblicare una rivista nuova e più agile. Tuttavia non affronterà mai i temi che trattiamo. Il presidente federale “brillerà” nel querelarci. Dopo anni di rinvii e di processi, oramai fuori dal giro e senza più incarichi federali, ritirerà la querela.
ATTIVITà AMATORIALE E RISULTATI DEI GIOCHI DELLA GIOVENTù
Apriamo corsi per i nuovi giovani. Organizziamo un’attività amatoriale per i più grandi, che avrà una partecipazione numerosa. Si formano una ventina di squadre e si dà vita a molti tornei, carichi di emozioni e simpatie. Dopo anni ati da tifosi nel periodo d’oro della squadra senigalliese, finalmente c’è spazio anche per loro. Di grande successo la gara a squadre “Coppa Senigallia”. Così la società mantiene i contatti con la città e getta le basi per la rinascita. Intanto i giovani crescono. Si vince l’oro di singolo, ai giochi della gioventù delle Scuole Medie. Poi sarà la volta delle Scuole Elementari. Si vincono i Giochi della Gioventù a squadre. Oro per il liceo classico e bronzo per la scuola media Fagnani.
CONSIGLIERE FEDERALE
“Chi gioca in azzurro dev’esser contento
però con gli intrighi si perde il talento”
Dopo anni, al Centro confluiscono, anche durante l’orario scolastico, centinaia di bambini per un’attività formativa di base. Verrò eletto come consigliere nazionale. Riesco a far approvare la modifica dei tornei, non più ad eliminazione diretta, ma con piccoli gironi da quattro giocatori nel primo turno di gare. Ai primi classificati, un premio in denaro per la massima categoria. Infine una borsa di studio per i giocatori della Nazionale. Ci sono rimasto per soli due anni. Per il mio carattere, che non accetta compromessi, mi troverò fuori. Dopo la delusione, scoprirò che sarà la mia fortuna. In seguito, altri due consiglieri con i quali avevo lavorato bene, subiranno la mia sorte. Licenziano anche tutto lo staff della Nazionale, formato da tecnici italiani cresciuti nelle società, che hanno prestato la loro opera gratuitamente. Con questa decisione s’interrompe il periodo più sereno e costruttivo della Nazionale. La Federazione affida l’incarico ad un bravo e severo tecnico straniero. Anche a questo, come ai cinesi, viene attribuito un potere eccessivo, senza alcun aiuto che gli permetta di capire l’ambiente. Le sue capacità non riescono ad emergere. Purtroppo permane una vecchia abitudine: i giocatori dei club, convocati in Nazionale, sono come prelevati. Non si cerca la collaborazione con i tecnici di società. Non vogliono condividere. E’ come un’appropriazione indebita. Questo comportamento un po’ egoistico è stato il difetto più dannoso. La responsabilità, a mio avviso, deve essere attribuita anche ad altri, e non interamente agli allenatori della Nazionale. Anche se giocatori di età e sesso differenti fanno la stessa preparazione fisica e al tavolo. Con sofferenze disumane per i più giovani. E siamo ancora molto lontani dalla cultura della diversità che esiste fra individui della stessa età e sesso. Tutto appare profondamente triste e lontano. Quelli della Federazione pensavano, e forse anche oggi, che la differenza fra Montessori e Montebianco è solo di qualche metro. Molti giovani giocatori ano dalla gioia
della convocazione alla delusione. Troppi abbandonano precocemente. Troppo spesso gli atleti dei college vengono favoriti, ma soffriranno per questo: eccessiva responsabilità che viene loro attribuita.
1991 - IL POETA DELLA FOTOGRAFIA
Mario Giacomelli, fotografo di fama mondiale, nato a Senigallia, collabora al “Calendario Città di Senigallia”. Due foto inedite, dedicate al tennistavolo . Altre sette foto, già esposte nei più importanti musei del mondo, tra cui New York, Tokyo, Londra e Mosca, completano il lavoro. Le due foto inedite vengono scattate presso il centro olimpico tennistavolo di Senigallia. La prima foto è dedicata al giocatore recordman in azzurro. L’opera ritrae il giocatore in azione di gioco. Nello sfondo una miriade di palline, fluttua nell’aria, come a significare che il tempo si sia fermato e non voglia are.
Calendario città di Senigallia di 18 mesi - settembre 1991
Nella seconda foto viene ritratta una ragazza in fase di allenamento, con tuta un po’ ingombrante. Il motivo è emblematico. La scena risulterà fortemente ironica a distanza di anni. Infatti, in seguito, la ragazza s’impegnerà in una battaglia epica per far cambiare il regolamento mondiale sull’abbigliamento di gioco. Oggi le ragazze possono usare abbigliamenti più comodi e più femminili.
Calendario città di Senigallia di 18 mesi - maggio 1992
FATTO DI CRONACA
“La lunga vicenda è stata lottata
così la proposta è stata accettata”
Intanto una nostra giocatrice si presenta ad un torneo nazionale con un abbigliamento più comodo. Non vuole indossare lo stesso abbigliamento che usano gli uomini (maglietta e pantaloncini). Tanto meno il gonnellino, scomodo per i movimenti di gioco vicini al corpo, anche un po’ imbarazzante per la vicinanza del pubblico. Riceve un diniego per l’utilizzo di un body. La Federazione si trincera dietro una lettura restrittiva del regolamento. Con una trovata spettacolare la nostra atleta aggira l’ostacolo. Si presenta ai campionati italiani indossando sopra un body maglietta e pantaloncini cuciti con rete da pesca a maglie grandi. Il regolamento è rispettato e aggirato. Infatti, il regolamento dispone, come abbigliamento da gioco, maglietta e pantaloncini; non accenna al tipo di tessuto. La Federazione è in forte imbarazzo. Ci sarà clamore. Quasi tutta la stampa ne parla con grandi titoli. La TV nazionale trasmette immagini ed interviste. Poi la notizia dilaga a livello mondiale. La ragazza verrà invitata al torneo internazionale LADY CUP in Germania e agli OPEN in Florida. Dopo due anni di articoli, anche di famosi giornalisti, e programmi TV di grande richiamo, compresi quelli stranieri, si arriva alla conclusione. In una riunione nel Qatar, il Presidente mondiale e quello italiano trovano l’accordo ed approvano la nuova uniforme.
1997 - L’ULTIMO VOLO DEL GABBIANO
Nel frattempo una squadra partecipa al campionato di Serie C. Il tecnico di questa squadra, che nel ato aveva guidato i giocatori allo scudetto, prende accordi con un secondo tecnico ex giocatore di serie “B”, e alcuni giocatori del periodo d’oro copriranno le cariche di Presidente, Consiglio e giocatori contemporaneamente. Un atto di assoluto coraggio. Il “Tennistavolo Senigallia” cede il diritto e si sceglie come nome del club “Gabbiano”, simbolo del glorioso ato. La nuova struttura facilita il progetto. Al Centro, intensi allenamenti ed alcune partite di campionato. Poi al Palazzetto dello Sport. Si crea l’atmosfera dell’agonismo. Con la partecipazione di giocatori esterni si completa la formazione. C’è grande entusiasmo. La squadra velocemente approda alla massima serie. Il Gabbiano vola, e vola bene. In breve tempo diventa vice campione d’Italia. Poi, forse perché la storia non si può ripetere, forse perché lo sponsor non è adeguato o forse perché non si ricrea il clima disinteressato del ato, così come un aquilone senza vento, interrompe bruscamente il volo. Rimane la soddisfazione del presidente di questa società di diventare vice campione d’Italia come presidente e come giocatore con il Tennistavolo Senigallia. Nella vita sportiva di ogni persona, rimangono sempre gioia e dolori. Ma un accumulo di esperienze e di amicizie non ristrette alla città di appartenenza.
I miei occhi guardano
oltre l’orizzonte.
Ho visto le stesse cose.
Ma i colori e le forme
sono diverse.
Sono andato oltre l’orizzonte.
Mi sono nutrito
con lo stesso cibo.
Ma i sapori e i profumi
non sono gli stessi.
IV^ PARTE
RINASCITA E IL NUOVO SOGNO
MATURAZIONE
“Al mattino sui banchi a studiare
nel pomeriggio non san dove andare
le strade le ha prese il motore
le pareti di casa chiudono il cuore
i giovani non hanno un luogo per loro
i grandi pensano solo al lavoro
quando crescono gli danno un vespino
con grande timore pel loro destino”
Dopo il “canto del cigno”, ano anni. Anni difficili. Si cerca di far rivivere il ato. Si sente che non è possibile. Il vento senza poesia ha portato lontano i giocatori che avevano volato con noi. Alcuni interrompono il volo. Pochi rimangono. La "famiglia" è disciolta. La spinta propulsiva si è esaurita. Siamo
stati gli ultimi a vincere con le nostre forze. Per il nostro sport finisce il periodo romantico. Non riusciamo ad uniformarci. Sentiamo sopra noi ali senza luce che volano. Poi si precipitano per impadronirsi delle nostre esperienze e speranze. I nostri giocatori che avevano volato in alto, più di qualsiasi società, ora sono a terra disorientati. Il mecenate non c’è più. Si alzano e cercano nuovi arrivati. La società si svuota. Mi sento solo con il dolore. Poi il tormento. Siamo sull’orlo della chiusura. Aspettiamo, aspettiamo, con la speranza di dimenticare. Poi la sublimazione. La federazione apre 14 centri federali, finanziandoli, forse per riprodurre e moltiplicare il nostro lavoro. Ci lasceranno fuori. Dopo qualche anno il progetto fallirà. All'improvviso, un assessore del Comune frequenta il nostro Centro. Gli parliamo, ci ascolta. Trova un collaboratore competente. In seguito ci arriverà un aiuto. Un aiuto per ripartire. Anche se stanchi, sentiamo che i quattro cuori c'incoraggiano a riprendere il cammino. Un sogno nuovo, romantico, moderno, di cui la società del benessere ha bisogno, che tutte le società sportive sentono, pur rimanendo troppo legate al ato. Dopo queste riflessioni mi tornano alla mente le parole di un’interprete ungherese, durante un incontro internazionale. Lei mi dice: “Io ho due figli. Quando tornano a casa, a sera, e li vedo con i vestiti sporchi, io sono felice perché sono sicura che si sono divertiti in libertà. E sono ancora più felice quando lavo, e li preparo per essere indossati di nuovo il giorno dopo. Io penso ai grandi risultati sportivi di questa piccola Nazione. E alla capacità di trovare felicità dove altre madri trovano angoscia e poca comprensione.”
I TEMPI CAMBIANO
“La nuova scoperta cambia il pensiero
chi fa resistenza è prigioniero”
I nuovi giovani sono diversi. Hanno meno energia fisica. Non hanno sofferto la fame. Non c’è in loro il bisogno del riscatto sociale. Non cercano nella mente sogni perduti. Ci vorranno alcuni anni per capire le nuove generazioni. Ci vorranno anni per capire che non hanno la smania di crescere, perché, rispetto alle generazioni del ato, vivono la loro giovinezza al “rallentatore”. Ci sono voluti anni per capire perché, durante il gioco del ping-pong, non corrono più a raccogliere la pallina quando esce dal tavolo, per riprendere subito il gioco. Arrivano senza che abbiano conosciuto, attraverso il sudore e la lotta, strade, cortili e periferia della città. Lasciano negli spogliatoi scarpe, magliette, che mai più ricordano. Ci sono voluti anni, per liberarci della memoria che ingabbia e acceca. Così abbiamo incominciato a guardare il mondo nuovo che stava crescendo intorno a noi. Abbiamo lottato contro la memoria cristallizzata. Abbiamo lasciato che il ato si trasformasse in radici umili e taciturne, che contribuiscono a generare nuova vita, nuove comprensioni e nuove idee; altrimenti avremmo corso il rischio di diventare uguali a quelli che non riuscivamo a tollerare. Abbiamo capito che le differenze sono fatte dalle parole che ti dicono e dall’ambiente dove il destino ti ha catapultato. Abbiamo compreso e accettato che i nuovi genitori trasferiscano sui loro figli tutto quello che è mancato loro, oltre che curarsi dei normali bisogni. Stiamo cercando di riproporre attività fisiche che a noi regalava la strada, ma senza tensioni e arrivismi. Li osserviamo, con i loro telefonini, che si muovono, camminano, ascoltano e parlano. E immaginiamo che, nell’intimità di un SMS, osino di più e si trasmettano pensieri più profondi e poetici.
IL NUOVO PROGETTO
“Con umiltà abbandoni gli umori
si può pensare a giorni migliori”
Ristorante sulla spiaggia
Finalmente, dopo tanti anni si riparte. Si riparte col nuovo progetto. Il periodo del sogno è solo ricordo. Durante l’estate, i vecchi giocatori e dirigenti di altre società ci vengono a trovare. Non più come avversari o come spettatori, che tanto hanno contribuito alla nostra crescita, ma come amici indimenticabili, perché anche loro sono entrati nel nostro piccolo mondo come protagonisti. Si parla di tutto, non si evoca il ato, a volte se ne parla un po’ con ironia e un po’ per curiosità. Soprattutto si sta bene insieme, si gioca e si ano belle serate conviviali con vista sul mare. Insieme organizziamo gare estive e un torneo con formula spettacolare con giocatori di alto livello, denominato “l’Imperatore d’Agosto”.
La Corona dell’Imperatore d’agosto
Intanto Senigallia è da tempo considerata, per i giocatori non solo d’Italia, la città del ping-pong. Il Centro Olimpico Tennistavolo, con il suo nome altisonante, è diventato semplicemente un riferimento tecnico e umano per tutti. Ora è in atto la nuova avventura, in cui i giovani confluiscono per prepararsi, non come soldati che devono vincere battaglie, ma come bambini che preparano il proprio corpo e la mente per un obbiettivo, che è ancora troppo presto da segnare. L'età dell'agonismo oggi può essere rispettata. I giovani non fanno sport per compensare disagi psicologici e miserie. Mangiano tutti i giorni e dedicano molto tempo allo studio. Non vivono l'incertezza frustrante di un futuro incerto. Lo sport rappresenta però il bisogno di attività fisica che vive dentro di loro: ciò che per millenni è stato il motore della selezione evolutiva e che ha bisogno di esprimersi. Oggi la pratica sportiva è bisogno innato e salute. Alcuni di questi giovani sono dotati di agonismo: hanno la necessità del confronto e di vivere l'esaltazione dello sport. Se sappiamo aspettare che questa condizione emerga naturalmente, avremo i nuovi campioni.
INIZIAMO CON UNA CLASSE DI 3° ELEMENTARE
Vicino al centro c’è una scuola elementare. Prendiamo accordi con il direttore e iniziamo con una classe terza. Al mattino in fila per due, accompagnati dalla maestra, escono da scuola: ancor prima di vederli sentiamo le voci. Sono molto eccitati. È dal giorno prima che ne parlano in classe e in famiglia. Quando arrivano nel vialetto del centro, rompono la fila e corrono: sori, chiasso, qualche zainetto che vola, ed entrano come una marea di colori e grida. La maestra li riprende, li rimette in fila e fa ripetere l’ingresso in silenzio. Poi presenta l’istruttrice, che risulta subito simpatica e di loro gradimento. Tutti i bambini prendono una poltroncina che si trova lungo la vetrata e si cambiano divisa e scarpe, guardano il grande spazio, i tavoli da ping-pong e parlano fra di loro. Sono emozionati, hanno fretta di scendere in palestra. Dopo le dovute raccomandazioni, bambini e bambine incominciano il gioco. La bandiera, la settimana, un po’ di mini basket, un po’ di pallavolo, ecc… poi con le racchette da ping-pong: cercano di tenere ferma la pallina sul piano. Per alcuni è più facile, ad altri la pallina rotola, cade, rimbalza a terra; la rincorrono, si divertono quando riescono ad afferrarla nuovamente, e ricominciano l’esercizio. Alla fine vengono messi seduti in circolo e giocano a “chi tardi arriva male alloggia”. Gli ultimi dieci minuti cantano in coro. Poi qualche volontario si esibisce da solo. Altri preferiscono raccontare una barzelletta. Tutto con il microfono. Le barzellette che divertono di più sono quelle raccontate velocemente, dove non si capisce una parola e nemmeno il contenuto. Il microfono li attira, c’è spontaneità. Noteremo in seguito che i bambini della quinta sono meno spontanei e più vergognosi. Ci sembra utile mantenere questa forma di socializzazione nel corso degli anni.
Alla fine di questa prima esperienza, i ragazzi sono addosso e a circolo che calcano l’istruttrice, saltellando, sbracciando, e chiedono a ripetizione quando potranno tornare. Alla fine, tra saluti, braccia alzate, voci, camminano guardando all’indietro per tutto il percorso del vialetto, e se ne vanno felici con la maestra pure lei soddisfatta anche per essere stata la prima. La voce corre, così anche l’entusiasmo: arrivano altre classi con nuove maestre. Sempre lo stesso entusiasmo. I plessi più lontani si organizzano con pulmini, chi fa tempo pieno sceglie il pomeriggio. Un giorno i bambini arrivano con un disegno a testa. A memoria hanno disegnato il centro di ping-pong. La fantasia è stupefacente. Si vedono disegni e colori di realtà misti con fantasia: alberi del prato e interno palestra s’incontrano. Pavimento ricoperto di palline, tavoli da ping-pong visti dal basso, particolari delle gambe e degli agganci. Bambini che giocano con racchette enormi, o piccolissime. Tavoli che diventano rotanti e rossi come quelli che si trovano al bar. Palloni di tutti i colori e di tutte le dimensioni. Bambini con le nuvolette che parlano e si incitano. Osserviamo con interesse che quasi tutti i disegni sono visti dal basso. E ci viene in mente l’immagine di adulti e bambini che si parlano. I bambini con il naso all’insù, i grandi che insegnano a volte severi, con la testa china e il naso all’ingiù. La felicità che si legge nei visi è anche dovuta all’uscita dalla scuola, l’aria aperta, una eggiata, (quando piove un ombrello) e poi un locale grande tutto per loro e per il gioco.
ASPIRAZIONE DEI BAMBINI
Un giorno abbiamo fatto un’indagine sul mestiere che avrebbero voluto fare da grandi. Con nostra grande sorpresa abbiamo avuto risposte quasi concordi: pasticcere, cameriere, barista, solo un medico e uno scienziato. Sono tutti bambini e bambine della terza elementare. Sembrerebbe che il rapporto con il cibo sia troppo importante, tenendo conto che a casa non manca niente. Ai ragazzi diamo anche dei momenti di gioco autogestito, spontaneo. Chi sa fare una capriola la fa vedere ai compagni. Altri corrono e si rincorrono. Alcuni ano sotto i tavoli da ping-pong in continuazione, altri si fermano, si siedono a piccoli gruppi e discutono. L’impressione è che parlino di cose serie e sotto il tavolo si sentono come protetti. È un’esperienza nuova in assoluto, non troviamo riscontri altrove. Ci troviamo ad affrontare una realtà che non conosciamo. Modifichiamo le attrezzature per facilitare gli esercizi dei bambini. Un giorno decido di costruire una piccola racchetta da ping-pong dal manico ridotto e più leggera. Mentre l’istruttrice gioca con una bambina di nove anni circa, mi avvicino alla bambina e le chiedo di provarla. Quasi spaventata fa un o indietro e si rifiuta. Le chiedo la ragione, lei mi risponde che non vuole cambiarla perché quella che ha è uguale a quella che usa la sua maestra. L’istruttrice è già diventata maestra. Non faccio nessuna forzatura, un po’ deluso me ne vado. Ci penso un po’, poi decido di costruire dieci piccole racchette, in quanto mi sono già reso conto che i bambini sarebbero stati facilitati nel gioco. Al corso successivo chiedo all’istruttrice di utilizzare una piccola racchetta. Preparo un contenitore con dieci piccole racchette e uno con racchette più grandi. All’inizio non tutti si sono accorti del cambiamento e così il prelievo è stato fatto casualmente. Un po’ di curiosità, qualche perplessità. Qualcuno ha preso la racchetta piccola, la maggioranza si è rifiutata. Durante gli esercizi si accorgono che l’istruttrice usa una racchetta piccola. Ci sono subito commenti, aparola, molta meraviglia ed eccitazione. Alcuni si avvicinano all’istruttrice per guardare bene il nuovo attrezzo, altri di corsa verso i contenitori di racchette per la sostituzione. Dopo poco tutti i bambini posseggono la racchetta uguale all’istruttrice. E noi facciamo delle riflessioni sugli ostacoli che si
contrappongono alle libere scelte e alle nostre responsabilità.
RICERCA E SPERIMENTAZIONE
Terminato il ciclo, si intuisce che non può essere ripetuto. I giocatori proseguono la via del giocatore. Ognuno percorre la propria strada. La società sperimenta l’attività motoria per i bambini delle elementari. A rotazione, ogni venti minuti, li facciamo giocare a pallavolo, basket, scherma, judo, volano e ginnastica artistica. Il successo è straordinario. Poi si presenta la grande occasione. Ci propongono di allestire l’impianto per un allenamento Pre-Olimpico, prima di Atene (2004). Dotiamo il pavimento di una superficie omologata (Paraflex). Vengono sostituiti i nove tavoli con gli stessi con cui verranno giocate le gare olimpiche. Allo stage partecipano tutti i migliori giocatori europei. L’evento ha un impatto di risonanza mondiale. La stampa ne parla come dello stage europeo per battere la Cina. I giocatori italiani accorrono un po’ da tutta Italia per assistere agli allenamenti. Al termine i partecipanti lasciano la propria maglietta, come ricordo, agli organizzatori. Ora la palestra ha assunto la nuova veste. Per ragioni organizzative abbandoniamo l’attività polifunzionale con i bambini delle elementari. Riprendiamo con i corsi esclusivamente di tennistavolo. Così riprendiamo la ricerca.
POST MUTAMENTI
Dopo i successi agonistici, che coincidono con il boom economico, inizia il declino. La nostra città non regge alla concorrenza degli sponsor. Poi regnerà la grande crisi economica. All’improvviso si diffonde internet e l’utilizzo del computer. La svolta culturale crea subito delle divisioni. Le aziende più illuminate ne fanno tesoro, creando nuove relazioni. Intanto nella società civile si crea una frattura tra i giovani e le vecchie generazioni. Sembra di assistere ad un nuovo ’68. Però il cambiamento non è culturale, è tecnologico. Il disagio degli anziani è vissuto con rassegnazione. Col tempo molti sapranno utilizzare ugualmente questo nuovo strumento. Noi, dopo i mutamenti del boom economico, abbiamo vissuto come in letargo. Ora i ricordi, troppo vivi per essere collocati nella storia, li viviamo come uno shock. È come il risveglio da un grande sogno.
GLOBALIZZAZIONE
Le frontiere d’Europa si sono aperte. Non ci sono più confini da varcare in armi. Dove in armi si difendeva la propria identità. La globalizzazione si diffonde in tutto il mondo. I cambiamenti sono troppo rapidi per essere accolti, e per mettere in discussione i propri pensieri. Bisogna aspettare. Così la spinta emotiva sente il bisogno di ritirarsi e difendersi. È un ritorno a rinchiudersi nel castello. Come nel medioevo. Il pensiero globale è guidato dal bisogno materiale. Non è molto diverso da quello che muoveva le armi. Sono sempre i poveri quelli in prima linea. Oggi, però, senza un generale che organizzi le loro azioni. E le loro battaglie. Sono soli, dunque. Si sente il bisogno di un ideale comune. Il bisogno di fermarsi e riflettere. Il bisogno di uscire di casa senza paura. Il bisogno di non avere la porta di casa chiusa come una cassaforte. Il bisogno di avere il cancello e le finestre spalancate. Il timore di perdere le chiavi, e di non poter rientrare, nella prigione. Il terrore che un rumore qualsiasi si trasformi in un rumore sospetto. L’esigenza che, per le strade e nei parcheggi, non sia pieno di disperati da un altro mondo che tolgono ossigeno al tuo. Il desiderio è che le cose attorno a noi, che ci fanno soffrire, possano vederle anche i politici. Così come le vediamo noi. Forse il tempo trascorso dalla caduta della monarchia e della nobiltà è ancora troppo breve. Così ci trasciniamo tra poteri forti e servitori: due classi sociali estreme. In mezzo, oggi, le nuove classi sociali sono senza storia e senza cultura. Con il bisogno di dimenticare. E l’ambizione di collocarsi in posizioni di prestigio. Dove l’etica e la morale sono valori solo per il prossimo. Mentre dalle famiglie, come cellule impazzite, emergono le nuove generazioni, tormentate fra il bene e il male. Intanto a Senigallia la società si depura dagli strascichi del ato, facendo tesoro dei cambiamenti culturali acquisiti. Ci siamo resi conto che i vecchi giocatori soffrono una specie di complesso di Edipo. Non si inseriscono nella famiglia dove sono cresciuti. Non propongono una loro strada. Ma si mettono in contrasto, per una sostituzione fisica e nulla più. Questo atteggiamento crea
lacerazioni, incomprensioni, disagi. Il tempo in cui la società proponeva un modello culturale attraverso i risultati si è esaurito. Ormai da tempo si propone come scuola di idee. Forse il tempo che ha originato la nostra scuola è troppo lontano. C’erano povertà e bisogni primari, ma erano tempi in cui una pallina da ping-pong faceva sognare. Ora il benessere e la nuova società civile hanno creato nuove aspettative. Ognuno sul proprio gradino, pronti a salire. È il potere del denaro, un Dio individuale. Da nutrire e far crescere per sentirsi più forti. Non si sente più il bisogno della coesione. Forse perché questa è una generazione di aggio. Il progresso ha spezzato le catene della povertà. Ora, come impazziti, ci si affanna a salire la scala della discordia. Al vertice c’è la ricchezza materiale. Le sofferenze ate sono rimosse e represse. Forse per non ricordare, o per paura, si coltiva l’egoismo nella solitudine. Non si è più prigionieri della miseria e della fame. Ora si è prigionieri del guadagno. Un dio insaziabile che indurisce l’animo. I bambini che arrivavano all’oratorio, per giocare a ping-pong, non ci sono più. Nei pomeriggi giocavano e sognavano, immersi nel sudore, con il vestito di tutti i giorni. È solo un ricordo. Arrivavano con la racchetta in mano. A piedi, con le proprie gambe, e sognavano di volare. Oggi il sogno si è interrotto. Arrivano con l’auto, si vestono sportivi, ma sono soli. Si sente il bisogno di guardare ai giovani. Si sente il bisogno di recuperare lo spirito del ato. Così, nella sofferenza, si cambia. Si cambia perché il sogno possa tornare a vivere. A vivere con le nuove generazioni.
CINQUANTESIMO
D’estate il Centro Olimpico rivive le emozioni, con la visita di quei giocatori che in ato abbiamo conosciuto da avversari. Oggi tre di loro sono entrati nel Club, come soci onorari, non solo perché diventati amici, ma per saldare il ato col presente, la nostra con la loro storia. Poi brillano nuovi giovani che sognano l’azzurro, mentre altri cercano ancora la linea del loro orizzonte. La società sta per compiere cinquant’anni. Si pensa all’evento, ma le idee per festeggiare non emergono. C’è smarrimento fra i dirigenti, alcune proposte sono banali, non si riesce a cogliere la sintesi della storia. Intanto l’attività prosegue. Dal Coni di Roma arriva la notizia che ci verrà consegnata la Stella d’Oro al merito sportivo. Poi una ragazza ci regala un nuovo titolo italiano. Il giorno prima sarà invece un ragazzino a vincere. Mi viene un sospetto. Vado a controllare l’albo d’oro della società. È proprio vero: quella ragazza ha vinto il nostro cinquantesimo titolo italiano, una coincidenza straordinaria. a qualche giorno. Non ce la sentivamo di organizzare una banale manifestazione con un tavolo da ping-pong e qualche giocatore che si esibisce. Non può esservi una sintesi tra le centinaia di giocatori che ci hanno frequentato. Mentre rifletto, mi arriva una telefonata da un amico. Chiede se avevo letto l’ultima rivista federale e mi legge il contenuto di due pagine, per telefono. Lo ringrazio, e capisco che la manifestazione per l’evento si era composta da sola. È stato realizzato da un amico di Milano un cortometraggio sul ping-pong, una sorpresa. Il contenuto è uno spaccato della nostra storia degli anni ’70. Mentre un bambino di 12 anni eggia con il padre lungo il corso di Senigallia, in agosto, lo sguardo si ferma su una bacheca che espone la foto di un giocatore di ping-pong. Gli si riscalda il cuore. Sente che quel gioco vive dentro di lui. Chiede di uscire e liberarsi. Col padre, che ha già capito, si informano e cercano quel luogo. Arrivano dove una grande tenda blu separa la vista, ma non il suono della pallina che rimbalza. Entra. È come una falegnameria. Mai visto, mai pensato. È fantastico. Guarda, s’entusiasma. Il corpo vuole muoversi anche lui, vuole giocare. Attende il momento opportuno. Si avvicina e parla con l’allenatore. Per tutta la vacanza, gioca, guarda e parla con l’allenatore. Fa
amicizia con i protagonisti del gioco. E poi ritorna. Ci sarà una parentesi di studio in Inghilterra. Si inserisce in un club e disputa gare. Ritorna ancora per le vacanze, è più grande. Con l’allenatore si instaura un rapporto d’amicizia. Chiede e ascolta. Rimane colpito dalla filosofia della scuola, ancor più che dal gioco. Dirà in seguito: “sarà per me una seconda folgorazione”. I tempi ano. Intraprende la vita di attore, ma nella mente si porta dietro come un tormento: alcune parole, alcune immagini. Un bel giorno si sveglia. Come un nodo stretto che non si voleva sciogliere, s’allenta, si libera. “Voglio realizzare un cortometraggio”. La trama è già nella sua testa. Ne parla con amici, soprattutto con uno, al quale chiede di interpretare la parte dell’allenatore. Trova consenso ed entusiasmo. Di lì a poco la telecamera prende a girare e cattura immagini, parole e soprattutto emozioni.
SUMMER JAMBOREE
Da qualche anno la città si veste del ato. L’evento Jamboree riscopre gli anni ’40 e ’50 americani. Una fetta di storia che investiva l’America quando l’Europa era immersa nella guerra e nella prima ricostruzione. Si dovranno aspettare gli anni ’60 per conoscere e per apprezzare, anche in Italia, il nuovo messaggio culturale del cambiamento. La musica subisce e interpreta i cambiamenti con l’irruzione del rock. La città di Senigallia oggi coglie il ricordo e fa rivivere il ato con i vecchi autori e interpreti. Nelle vie e nelle piazze, come in un grande teatro all’aperto, si vedono persone e intere famiglie vestite come in quegli anni. È un tuffo straordinario. Il mondo accoglie l’iniziativa con entusiasmo. Arrivano auto e moto d’epoca. I partecipanti, con vestiti, colori e taglio di capelli dell’epoca, si lanciano in balli sfrenati. Nei visi si legge il ritorno della loro gioventù. L’anima di Elvis rivive. Si ritorna alla stessa musica che stordiva e liberava il corpo. Quella musica che troncava con il ato e liberava il futuro. Così, con 10 anni di ritardo, l’Europa vive il sogno americano. Chi partecipa si prepara all’evento tirando fuori vecchi vestiti. Alcuni li acquistano negli appositi stand allestiti per l’occasione. Sono tanti anche coloro che riprendono vecchie foto e si confezionano i vestiti d’epoca. Ogni anno arriva sempre più gente. Auto americane con a bordo eggeri allegri dai capelli corti e fissati dalla brillantina lucente. Moto con manubri larghi e comodi, per rimanere seduti come quando si sta in poltrona. L’evento riporta alla mente le musiche trasmesse per radio o nei juke-box. I ricordi degli interpreti italiani riaffiorano. Così avviene come una saldatura fra la musica americana e quella italiana ed europea. Con il Jamboree, evento mondiale, i partecipanti accorrono dall’America e dall’Europa. Si ha l’illusione di tornare nel ato. Quando la Fiera franca e il teatro la Fenice erano un’attrazione per tutto il Mediterraneo.
OLMO BELLO
Nel racconto dei nonni ci affascinava il ricordo dell’Olmo bello. Era una chioma che aveva una circonferenza di 150 i. Per abbracciare il troco occorrevano cinque persone. Napoleone si era fermato durante un temporale e aveva trovato riparo con più di 200 soldati. Il contadino che custodiva questa fortuna ne sentiva tutto il privilegio e si dava delle arie. I viandanti che giungevano da Roma o vi erano diretti si fermavano, ammiravano, chiedevano. Erano tempi in cui un contadino era e rimaneva contadino. Lui no. Lui sentiva di essere il custode di un dono di Dio. Era rispettato da tutti. Oggi purtroppo l’Olmo bello ha cessato di vivere. Il racconto ci fa sentire bene, ma anche amareggiati. Non possiamo ammirarlo. E non possiamo nemmeno mostrarlo per sentirci importanti. I racconti a volte saltavano e danzavano tra loro. Come un mosaico a cui cercavi di dare un ordine. La città e i luoghi con tracce storiche del dominio di Roma. Il ricordo che la città fu fondata da Brenno, re dei Galli. E il detto popolare “lascia fare a Brenno”. Questa frase ricorreva spesso nei momenti di competizione. Quando c’era da tirare un rigore, un colpo difficile a biliardo, o un lavoro complicato. Quando qualcuno si faceva avanti con la frase “lascia fare a Brenno”, gli altri diventavano spettatori. E si apriva la sfida di uno contro tutti. Poi ancora un salto storico. Per noi era la felicità. Perché il racconto non finiva. Così si a alla dominazione dei Borgia. Al centro della città una grande fortezza ricorda il periodo di Lucrezia Borgia. Che avvelena i rivali politici invitati con l’inganno. Oggi le nuove generazioni apprendono dai libri e dalla tv. Notizie più complete e più globali. Spesso per trasformare la conoscenza in un voto. L’entusiasmo del sapere sembra spento. Il racconto, invece, era custodito con orgoglio. Ci affascinava. E nella nostra mente componevamo le immagini. Sognavamo. Tutto era improvvisato all’interno della cucina, che si trasformava in teatro. Nella conoscenza attraverso la lettura il teatro lo costruisci dentro di te. Nella solitudine, entri senza accorgerti nella scena e diventi protagonista. Al termine ritorni alla realtà. E sei nuovamente solo. Oggi con uno smartphone puoi collegarti con qualche amico e condividere l’entusiasmo ancora vivo. Così il racconto esce dal teatro della mente prima che si chiuda il sipario. Per entrare nel teatro virtuale, ma con voci e persone reali.
Le città, oggi, luci e colori.
È da tempo che il cielo si è spento.
Sulle strade, ombre minacciose e frammenti di stelle.
Il petrolio è da tempo
Che muove il motore.
Il dio denaro
Ha spento
Il moto del cuore
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Hanno collaborato alla nascita della Scuola Italiana
Pettinelli Enzo Ubaldi Domenico Ceresi Enzo Simoncioni Luigi Pettinelli Giuseppe Di Rosa Leonardo Rocchetti Roberto Rocchetti sco Pierfederici Fabio Costantini Massimo
PRESIDENTE ONORARIO
Montesi Otello
Soci oNORARI
Ciceri Alessandro Cicchitti Marcello Lucini Marco Balicchia Claudio Colombo Claudio Beruschi Enrico Tombolini Daniele Hanno collaborato come dirigenti
Pettinelli Enzo Ubaldi Domenico Ceresi Enzo Simoncioni Luigi Presepi Enzo Ilari Luigi Pettinelli Giuseppe Manieri Nazzareno Perini Mauro
Monina Mario Balicchia Claudio Cerioni Loredana Leonar del la Oz
Sono stati Presidenti
Pettinelli Enzo Giannini Dino Cremonini Gino Gambelli Paolo Cinì Sergio Crivellini Libero Fileri Sergio Domenico Ubaldi
Personaggi storici
Dragotto Filippo Ravini Nerio Giuliano Grassi Montesi Otello Audisio Emanuela
Settore tecnico attuale
Pettinelli Enzo Di Rosa Leonardo Sartini Gabriele Gramaccioni Gianfranco Pettinelli Giuseppe Moretti Sabrina Falappa Nicola Giacomini Lorenzo Conti Angela (animatrice) Manoni Luigi (sparring)
Giocatori che hanno partecipato alla storia del Tennistavolo Senigallia: www.ping-pong.org
NOTIZIE SULL’AUTORE
Enzo Pettinelli a 8 anni inizia a giocare a ping-pong nella parrocchia di San Martino, nella città di Senigallia. Nelle partite di doppio fa coppia con il fratello gemello Giovanni e sono imbattibili. Enzo, come tutti i bambini, gioca a calcio e pallavolo, nuota e pattina. Nel pattinaggio si classifica 4° ai Campionati Nazionali. Quando è più grande si dedica al ping-pong, fino al Campionato Nazionale di serie B. Poi sente che il ping-pong può essere giocato in modo diverso. È affascinato dalla musicalità del ritmo e dalla bellezza del gesto tecnico. Abbandona l’attività agonistica e si dedica all’insegnamento di questo Sport. Lo seguono tre giovani liceali: uno di loro, Domenico Ubaldi, diventerà Presidente del “Tennistavolo Senigallia”, società da loro fondata nel 1959 e che verrà premiata dal CONI nel 2010 con la Stella d’Oro al merito sportivo . Arrivano i primi titoli italiani. In occasione del Centenario dell’Unità d’Italia, due giovani della scuola di Pettinelli vengono convocati in azzurro agli Internazionali di Torino del 1961. In seguito il parroco di San Martino, padre Giuliano Grassi, fa coprire il cortile e crea una palestra. Un rappresentante di articoli sportivi, Neri Ravini, capita per caso nella palestra, si commuove nel vedere tanti bambini intorno a un solo tavolo “sgangherato” e regala tre tavoli nuovi di zecca. Il gioco, basato sulla bellezza estetica e sulla musicalità, produce stimoli e nuovi titoli italiani. Uno sponsor, Otello Montesi, fornisce l’aiuto economico senza nulla chiedere in cambio. Arrivano risultati che portano la Società al primo posto in Italia. La scuola, già accogliente, si apre ulteriormente all’esterno, ospitando giocatori da tutta Italia. Compresi tanti che giocano o hanno gareggiato in ato da avversari. Pettinelli sarà più volte tecnico della Nazionale Italiana, nonché tecnico della Repubblica di San Marino e membro onorario della Repubblica di Malta, per la collaborazione prestata. Tra i suoi allievi si cita spesso Massimo Costantini, recordman di presenze in
azzurro, ma anche Moretti, Cardinali e Ricci, che parteciperanno più volte a Mondiali, Europei e ai Giochi del Mediterraneo. Il lavoro e la ione per il ping-pong di questo “Grande Maestro” ha ispirato il regista Claudio Colombo, che ha realizzato un cortometraggio – “Shot”, già vincitore di due festival – dedicato proprio a lui. L’attore Enrico Beruschi vi ha interpretato magistralmente la parte di Enzo Pettinelli.
Per conoscere altro sull’autore e le sue opere è possibile visitare il sito web del Tennistavolo Senigallia: www.ping-pong.org
Per scoprire altri titoli di Enzo Pettinelli visita la sua pagina web su smashwords.com
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