“I grandi partiti rovesciano la società, i piccoli l'agitano; gli uni la ravvivano, gli altri la depravano; i primi talvolta la salvano scuotendola fortemente, mentre i secondi la turbano sempre senza profitto”
Alexis de Tocqueville
“I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela”
Enrico Berlinguer
“Ogni idea politica è un organismo vivo. I partiti sono quasi sempre destinati a diventare dei grandi cadaveri gloriosi”
Filippo Tommaso Marinetti
Prefazione
Ricercatori, giornalisti, intellettuali, storici, sociologi, economisti già da qualche tempo si alternano al capezzale di una grand-mère considerata sempre più malata: la politica. Come una bella donna invecchiata, sfiorita per effetto dell’età, delle cattive abitudini e forse anche dei vizi, la politica oggi da tanti, sia esperti e sia persone comuni, è vista come una vecchia grinzosa il cui trucco esagerato sottolinea i difetti più di quanto riesca a cancellarli. Di tanto in tanto si è cercato di intervenire con lunghe, complesse, delicate e costose operazioni di chirurgia estetico istituzionale, col risultato, secondo molti, di renderla ancora più grottesca, decrepita, mostruosa. Se ciò è vero per la politica, è ancora più vero per i partiti politici che della politica sono padri e figli. Figli della rivoluzione industriale, delle rivoluzioni liberali e del movimento operaio, i partiti politici non solo hanno contribuito a segnare il destino di intere nazioni o popolazioni ma ancora oggi concorrono a costruire e influenzare in modo significativo lo scenario politico dell’intera umanità. Considerati per anni strumenti indispensabili di mediazione tra i cittadini e le istituzioni ed organismi necessari a trasmettere la
“domanda politica”, oggi molti ritengono che la loro parabola stia volgendo verso il basso, in una fase di involuzione e crisi che appare senza via d’uscita. Soprattutto in Italia il fenomeno della corruzione e della degenerazione del sistema di governo purtroppo è sotto gli occhi di tutti. Il fenomeno ha assunto dimensioni di tali gravità da estenderli alle istituzioni nel loro complesso ed ai politici come ceto, come classe. Di sistemi di valori, di ideali, di etica, di ideologia, di identità nessuno parla quasi più. Basta assistere ad uno dei tanti dibattiti in TV per capire che il linguaggio della “destra” rassomiglia sempre di più al linguaggio della “sinistra” e la “sinistra” è sempre più simile alla “destra”. Anche per quanto riguarda i programmi, nel presentarli, nell’illustrarli, sono in tanti a ritenere che occorra grande perspicacia e fantasia per spiegarne le differenze. Se è vero, come in tanti credono, che viviamo ormai la fase del crepuscolo dei sistemi di valori e delle ideologie, conseguirebbe allora che la classe operaia si presenti adesso come una sorta di “quercia caduta” sulla quale tutti si affannano a tagliare qualcosa, ma che nessuno sinceramente è in grado più di rappresentare. Mentre il discredito dei partiti e della politica appare sempre più preoccupante, si rafforza il ruolo dei cosiddetti poteri forti, vale a dire le banche, gli istituti finanziari, le società di rating, le multinazionali.
Sommario
L’EVOLUZIONE STORICA DEI PARTITI: ARCHETIPI E MODELLI
Sul piano personale ed esistenziale, per approfondire la conoscenza di noi stessi, per essere pienamente consapevoli del nostro presente e per poi progettare con cognizione il nostro futuro, spesso dobbiamo tornare nel nostro ato, chiederci da dove veniamo, quali siano le nostre origini, quale la nostra storia personale e familiare. Per resistere alle tempeste della vita e per restare nella storia, bisogna avere radici forti. Per questo talvolta enfatizziamo così tanto i ricordi o i personaggi più significativi della nostra esistenza, da idealizzarli, trasformandoli in stabili punti di riferimento, in archetipi mitizzati e fortemente simbolici, guida e orientamento del nostro presente e futuro.
* * * In modo analogo, sul piano sociale e politico, per comprendere appieno il presente e immaginare un possibile futuro dei partiti politici, non possiamo fare a meno di tracciare brevemente la loro storia, mettendo in particolare evidenza l’evoluzione strutturale. Spesso anche per i partiti, come nelle storie personali, per semplificare la complessità e cogliere i momenti evolutivi più importanti, richiamiamo i momenti storici maggiormente pregni di significato che fissiamo come archetipi rappresentativi. Altre volte ci avvaliamo anche di modelli interpretativi che ne evidenziano e spiegano e a volte enfatizzano gli aspetti più caratterizzanti e significativi.
* * * Considerando la storia dei partiti fin dalla loro origine, è importante sottolineare prima di tutto che il termine “partito”, inteso come neologismo, inizia a circolare con una prima connotazione negativa. Il vocabolo “partito” infatti, origina dal latino “partire”, concetto che rimanda all’idea di parte, fazione, divisione, separazione e che può anche sottendere implicitamente al concetto di conflitto e
lotta. Come momento simbolico e archetipo storico rappresentativo che spiega il concetto di partito come fazione in lotta, anche armata e violenta esterna all’arena parlamentare, possiamo ricordare per esempio i partiti di Mario o di Silla nell’epoca romana oppure le posizioni belligeranti dei guelfi o dei ghibellini che sostenevano il papato o l’imperatore.
* * * La storia ci insegna che il termine “partito” mantiene questa accezione critica, con una valenza dunque fortemente negativa, almeno fino alla metà del XVIII secolo. Un esempio è dato da come i rivoluzionari si osteggiavano con grande dispiego di energie i partiti di cui temevano la forza disgregante, nella convinzione che i conflitti di interesse e di parte avrebbero nociuto al bene comune. Altro archetipo storico rappresentativo che riprende e rafforza quest’avversione verso i partiti, possiamo riconoscerlo direttamente in una legge dell’epoca, la cosiddetta Legge Le Chapelier del 1791 che abolisce le antiche corporazioni dei mestieri, che proibisce sindacati e qualsiasi organizzazione politica, che condanna anche il “delitto di coalizione” e che così postula: “Tra lo Stato e il cittadino, non deve interporsi nulla”.
* * * Se vogliamo cogliere invece l’evoluzione strutturale dei partiti che si sono succeduti con il tempo differenziandosi in diverse tipologie, ci possiamo avvalere ancora una volta del modello concettuale proposto dal sociologo Max Weber e successivamente anche della visione offerta dal politologo Maurice Duverger.
* * * Secondo l’analisi di Weber, in Europa, fino alla fine del 1700, i partiti nascevano intorno a personaggi influenti della società, per poi mutare forma in federazione di nobili. Questi modelli di partito sono definiti come partiti dei notabili, nati in un contesto storico dove la politica non era ancora una professione. La parola
“notabili” si riferisce a quelle persone che in virtù della loro condizione economica o del prestigio sociale, sono in grado di agire continuativamente all’interno di un gruppo, dirigendolo o amministrandolo – come professione secondaria – senza uno stipendio oppure con uno stipendio onorario o nominale, e godono di una considerazione sociale, fondata non importa su qual base, che dà loro la possibilità di accettare uffici.
* * * Con le mutate condizioni storico-politiche, verso la fine del XIX secolo, avviene l’estensione dei diritti politici anche ai non-notabili, ossia ai soggetti senza mezzi materiali propri attraverso cui finanziare l’attività politica. L’allargamento del suffragio dei diritti politici dà vita ai partiti burocratici di massa, caratterizzati dalla professionalizzazione della politica, dalla costruzione di una stabile struttura organizzativa, dall’assunzione di una funzione di integrazione sociale.
* * * Sostanzialmente dunque Weber analizza, confronta e distingue, dal punto di vista organizzativo e strutturale, i “partiti di notabili” dai “partiti di massa”. I primi, i “partiti di notabili” fondano le proprie azioni su delega di un ristretto numero di cittadini e sono caratterizzati da: politici “dilettanti”; strutture elettorali; intermittenti (partiti di comitato); rappresentanza individuale; rapporti di deferenza.
* * * I secondi, i “partiti di massa”, presentano dimensioni di gran lunga superiori rispetto ai primi e rivelano alcuni tratti tipici della burocrazia statale, come per esempio la complessità organizzativa, l’uniformità, la gerarchizzazione funzionale. Si caratterizzano con variabili diametralmente opposte rispetto a quelle dei “partiti dei notabili”, ossia presentano: politici di professione; strutture elettorali permanenti; rappresentanza di classe; integrazione sociale (reti subculturali e ideologia).
* * * Max Weber distingue anche due tipi di individui che fanno della politica una professione: chi vive “per” la politica e chi vive “di” politica.
* * * Nel primo caso, il politico “vive la propria esistenza servendo una causa”, ossia fa della politica il senso della propria stessa vita, vivendola con un profondo significato interiore, come una vera e propria vocazione guidata da una solida fede.
* * * Il secondo, chi vive “di” politica, invece “aspira a fare della politica una fonte di introito notevole”. Inoltre può sperare in un impiego personale o altri benefici per se stesso o anche ad una distribuzione di cariche per i componenti del proprio schieramento attraverso il cosiddetto spoils system. Costui inoltre non avrebbe, secondo Weber le qualità intrinseche del capo, l’impulso interiore che aiuta cogliere i rischi e le responsabilità della leadership, il lato oscuro presente in ogni relazione di dominio.
* * * Ripensando ai due stili “vivere per la politica” e “vivere di politica” così come proposti da Weber, e calando questa visione ai giorni d’oggi, occorre dire che questa distinzione non corrisponde certamente ad una ferma legge “di natura”, ma è semplicemente il risultato di un’evoluzione storica. Tale fenomeno purtroppo è ancora attuale e in qualche modo può influire e concorrere alla perdita di valore dell’ideologia, oltre che essere un fattore determinante della crisi in atto.
* * * Poiché non si tratta di una legge immutabile, ma per fortuna di un semplice risultato della storia, sta a noi riflettere sugli inconvenienti e sulle conseguenze che “vivere di politica” comporta, effetti che possono minare le basi della democrazia lasciando spazio oggi anche all’antipolitica. Dipende solo da noi modificare gli stili, smettere di accettare ivamente o addirittura sostenere coloro che vivono di politica, accettandone, consapevolmente o no, anche tutti gli inconvenienti che questo comporta, come per esempio il moltiplicarsi di poltrone per ex politici o per servi di partito vari che, come direbbe Weber, curano il loro principale interesse di cacciatori di impieghi.
* * * Secondo il modello concettuale proposto invece dal politologo Maurice Duverger, i partiti possono essere classificati in base alla loro origine. In particolare Duverger studia la nascita dei partiti sulla base dei rapporti fra le organizzazioni protopartitiche, il parlamento e il suffragio. Distingue così due differenti tipologie di partiti:
* * * 1) I partiti parlamentari, di origine interna, che si sviluppano in un primo tempo, quando il suffragio è molto limitato: si originano dal gruppo parlamentare verso il basso, allargando l’organizzazione elettorale nella società;i partiti extraparlamentari, di origine esterna, che si sviluppano quando il suffragio viene ampliato e che si formano quindi al di fuori delle istituzioni parlamentari per ottenere poi accesso a queste ultime; nascono dunque come strutture partitiche extraparlamentari che fanno leva su organizzazioni e risorse esterne al parlamento per riuscire poi ad acquisirvi rappresentanza.
* * *
2) I partiti antiparlamentari che secondo l’Autore nascono intorno al 1920: in tali tipologie si riconoscono anche i partiti - come quello fascista e comunista - che sfruttarono la loro feroce critica antiparlamentare per ottenere consenso elettorale e, una volta entrati in parlamento, tentare di annientarlo.
* * * Duverger inoltre osserva e distingue i partiti politici attraverso il mutamento le caratteristiche delle strutture organizzative e individua i seguenti organismi: comitati, sezioni, cellule e milizie.
* * * Il primo organismo di base per Duverger è il comitato, caratteristico della fine del 1800, composto da un ristretto e informale gruppo di individui che godono di una forte autorevolezza sociale. Gli incontri del comitato sono discontinui e si intensificano nelle fase elettorali. L’unità del gruppo è data dalla qualità degli elementi che lo compongono, non dalla quantità. Il comitato è legato ad un orientamento politico di estrazione borghese di centro o di destra e si diffonde in sistemi elettorali a suffragio ristretto. Il finanziamento del comitato è di tipo privato e l’onere è compito dei grandi commercianti, banchieri e industriali che hanno l’interesse di are il partito vicino ai loro interessi. Tale struttura risponde principalmente ai partiti liberali.
* * * La seconda struttura di base è la sezione. Sviluppata in un contesto di suffragio universale, la sezione è un organismo aperto che possiamo considerare di massa, che ha lo scopo di accrescere il numero degli iscritti. Questi ultimi sono inseriti in un sistema organizzativo formale, pertanto pagano una quota di iscrizione, si riuniscono periodicamente ed eleggono un direttivo, i cui componenti hanno differenti funzioni, come il segretario politico che si occupa dell’ideologia, e il segretario amministrativo, che si interessa dei finanziamenti tramite quote regolari degli iscritti. La sezione è la base dei partiti socialisti, nata per dar
risposta alle esigenze del sistema operaio, che veniva “plasmato” dall’ideologia del partito e attraverso la sua struttura permanente. Questa struttura di base si è diffusa poi anche nelle organizzazioni interne di altri partiti, anche di differente stampo dottrinale da quello socialista.
* * * La terza struttura organizzativa secondo l’analisi di Duverger è la cellula. Questa corrisponde ad un organismo ristretto e converge in una piccola sezione le richieste e le pretese del movimento operaio nelle fabbriche e nelle industrie per allargare poi il movimento su un piano politico più allargato. Il gruppo diventa coeso quindi su una scala sociale, non territoriale, ed è composto solitamente da non più di trenta persone. L’esempio di cellula è molto presente nelle strutture dei partiti comunisti.
* * * La milizia, infine, rappresenta la quarta struttura di fondamento dei partiti. Si costituisce in piccoli gruppi, caratteristica dei partiti fascisti, corrisponde ad un ristretto apparato militare basato su concetti gerarchici, di obbedienza e disciplina. Le riunioni della milizia hanno prevalentemente lo scopo di preparare esercitazioni militari, anche con armi.
* * * Queste classificazioni tipologiche proposte da Weber e Duverger, anche se risalenti a molti anni fa, costituiscono ancora dei modelli concettuali utili a sistematizzare i partiti sulla base della loro evoluzione strutturale e assumono anche un minimo sfondo storico di riferimento comparativo rispetto alle strutture partitiche più attuali che andremo ad analizzare nei prossimi capitoli.
LE FAMIGLIE SPIRITUALI: OLTRE LA DESTRA E LA
SINISTRA
In questi ultimi decenni alcuni hanno ritenuto utile rappresentare i partiti prendendo in esame un interessante criterio classificatore: l’ideologia. E, sulla base di questo indice, i diversi partiti sono stati distinti secondo la loro base culturale, degli specifici valori, degli ideali e del credo politico.
* * * Per orientarci in questa lettura ideologica, ci ispireremo al modello teorico proposto dal politologo Klaus Von Beyme e alla tipologia formulata da Alan Ware. Tali autori, per identificare i tradizionali tipi di partito, utilizzano il concetto di “famiglia spirituale”, gruppo i cui componenti sono accomunati da un’unica visione condivisa del mondo. L’elenco che segue rimanda alla classificazione tradizionale dei partiti, distinti appunto per famiglie spirituali o ideologie: partiti liberali, partiti socialisti e socialdemocratici, partiti democristiani, partiti comunisti, partiti agrari, partiti etnici-regionalisti, partiti della destra radicale, partiti ecologisti.
* * * Tra le diverse famiglie spirituali di partiti comunemente riconosciute, la prima è dunque quella dei partiti liberali. Tale famiglia spirituale riflette l’ideologia di quei partiti che, nati intorno al 1800, si ponevano in conflitto con l’ancien regime e rappresentavano gli interessi della borghesia contro i proprietari terrieri. Le caratteristiche che identificano i partiti portatori di tale orientamento di pensiero possono così sintetizzarsi: l’attenzione verso la rimozione delle barriere doganali; la promozione del riconoscimento dei principali diritti civili (prima di tutto la proprietà privata) e politici; il ruolo di conflitto con le vecchie gerarchie politiche; talvolta, nei paesi cattolici, l’assunzione di posizioni anticlericali; la contrapposizione all’intervento dello stato nell’economia; il confidare nella ragione umana; la tendenza ancora attuale a difendere la libertà e a limitare l’intervento statale nell’economia.
* * * I partiti socialisti e socialdemocratici nascono invece in contrapposizione al sistema borghese nel XIX secolo. Sorgono dalla mobilitazione della classe operaia che si batteva non solo per ottenere diritti politici, ma anche per far valere i diritti sociali. In stretto rapporto con i sindacati; nacquero come partiti “extraparlamentari”, portavoce quindi del movimento operaio. Sebbene di origine extraparlamentare e sostenitori di una trasformazione del sistema capitalista, essi si proposero comunque di operare attraverso le strutture e procedure democratiche, rivendicano i diritti politici e sociali. Nel secondo dopoguerra alcuni di loro hanno rinunciato al programma della socializzazione dell’economia a favore di economie miste, di tipo keynesiano.
* * * I partiti comunisti nascono per scissione dai partiti socialisti dopo la rivoluzione russa, in opposizione alla partecipazione alla prima guerra mondiale. Per lungo tempo convinti che per cambiare gli assetti produttivi fosse necessaria una rivoluzione sociale, molti di questi partiti negli ultimi anni hanno percorso un cammino di revisione ideologica, fino a giungere non solo ad accettare le regole della democrazia, ma accogliere anche l’economia capitalista.
* * * I partiti democristiani, nati nel XIX secolo con il fine di esprimere la posizione della Chiesa volte soprattutto a contenere e opporsi alle spinte dei liberali. Orientativamente di centro, questi partiti solitamente hanno manifestato posizioni conservatrici. Talvolta si sono espressi come partiti di massa e interclassisti, spesso favorevoli all’estensione di alcuni diritti sociali, fatto che ha favorito la loro crescita, soprattutto nel secondo dopoguerra. È anche vero che nello tempo stesso hanno invece espresso anche una decisa chiusura rispetto ad alcuni diritti civili, soprattutto in tema di diritto familiare .
* * * I partiti conservatori, sorti in contrapposizione ai partiti liberali per difendere gli interessi della nobiltà, dei proprietari terrieri e del clero. Si oppongono al suffragio universale e l’estensione degli altri diritti di cittadinanza. Nella loro evoluzione hanno aderito alle idee di deregolamentazione dei mercati e limitazione dell’intervento dello stato in economia. I politici che si definiscono conservatori non hanno una teoria o una dottrina comune, ma si caratterizzano per posizioni pratiche e idee che si oppongono al progressismo. Una delle teorie più comuni del conservatorismo è legata al mantenimento della legge come supremo strumento per la politica, affiancata da meccanismi di limitazione dell’apparato politico per la stabilizzazione della convivenza sociale.
* * * L’entrata delle masse nella vita politica nel XX secolo, ha dato un punto di svolta alle correnti conservatrici, risvegliando una forte coscienza individuale nell’ideologia conservatrice, che considerava le masse incapaci di ragione e azione indipendente. Il conservatorismo non è però da confondere con l’immobilismo, quella corrente di pensiero che circoscrive i concetti in una dimensione immutata nel tempo e fissato per sempre, ma in un divenire in linea con i cambiamenti del tempo. Oggi giorno, la contrapposizione tra progressismo e conservatorismo può essere interpretata nel rapporto tra libertà e limite della vita politica umana e in una critica verso la scienza, che spesso con la ricerca continua solamente nel progresso a discapito degli antichi valori, causando spesso disastri globali, come la crisi economica iniziata nel 2008 che ancora ci colpisce.
* * * I partiti agrari sono nati dalla classica frattura città-campagna e quindi si pongono in contrapposizione al sistema industriale con il fine di difendere gli interessi delle campagne. Si sviluppano soprattutto in sistemi politici di piccole dimensioni in cui sia avvia un processo lento di Stato-Nazione. Tenderanno poi con il tempo a essere assorbiti dalle altre famiglie politiche.
* * * I partiti etnoregionalisti nascono nel periodo compreso tra le due guerre mondiali per tutelare le minoranze etniche e linguistiche contro il centralismo statale radicale di tipo fascista. Tendono in seguito a contrapposti ai sistemi democratici.
* * * In tanti pensano ancora oggi che i movimenti politici ispirati ai partiti etnoregionalisti rappresentino una valida alternativa al nuovo ordine mondiale globalizzato. Un po’ in tutti i paesi dell’Europa occidentale - nei Paesi Baschi, in Catalogna, in Scozia, in Galles, nelle Fiandre e in Padania- all’inizio di questo secolo si è assistito alla rinascita di sentimenti autonomisti e indipendentisti, nella convinzione che i grandi stati nazionali siano complici della globalizzazione e che stanno distruggendo velocemente ogni principio di sovranità territoriale. Molti cittadini di conseguenza per difendersi dagli effetti negativi della globalizzazione, scelgono di agire a livello locale.
* * * I partiti della destra radicale o di tipo fascista abbracciano un vario gruppo di partiti antiliberali e antidemocratici. Mentre in ato questa famiglia era rappresentata principalmente dai partiti fascisti e dalle loro successive derivazioni, oggi si identificano soprattutto in movimenti di tipo xenofobo e di tipo populistico che fanno leva sull’esigenza del Law and Order e sulla paura verso la modernizzazione.
* * * I partiti ecologisti o ambientalisti racchiudono tutti i movimenti sociali e le strutture partitiche che hanno come scopo il progresso dell’ambiente, lo sviluppo
sostenibile ma anche la difesa dei diritti civili. Le principali tematiche comuni che tutti i movimenti ecologisti perseguono riguardano dunque la difesa degli equilibri naturali, la tutela delle aree potette e degli ecosistemi (ossia l’insieme di organismi animali e vegetali che tra essi interagiscono nell’ambiente attorno), la protezione della fauna selvatica, la produzione agricola biologica, l’utilizzo delle risorse energetiche attraverso fonti di energia alternative e rinnovabili nel tempo, la pace internazionale, la battaglia contro i cambiamenti climatici ad opera dell’uomo e contro la povertà diffusa e la lotta all’inquinamento.
* * * Le organizzazioni ambientaliste si richiamano soprattutto allo sviluppo sostenibile, metodo volto al miglioramento ambientale, sociale, economico e politico a livello globale e locale, attraverso una valorizzazione delle risorse naturali (di fatto esauribili) per appagare i bisogni delle generazioni attuali, ma senza eccederne nell’utilizzo e ledere quelle future. Queste tematiche si intrecciano fortemente con il rispetto della libertà e della dignità di tutti gli uomini, uguali tra di loro, anche per quanto riguarda le nascite a venire, e con le battaglie per il pieno riconoscimento dei diritti, delle pari opportunità. La storia dell’ideologia ambientalista parte dagli anni ’60, motivata dai processi dannosi e inquinanti per l’ambiente delle sostanze prodotte dalle industrie e dai materiali di scarto non smaltiti nei processi di lavorazione. Questi temi iniziano a influenzare la popolazione, che negli anni ’70 attraverso la nascita dei primi movimenti e partiti ecologisti, spinge i governi ad attuare una legislazione indirizzata alla tutela ambientale.
* * * Il primo partito ambientalista europeo è fondato in Gran Bretagna nel 1973, inizialmente denominato “People”, poi “Green Party”. Dodici anni più tardi In Italia nasce il Partito dei Verdi, nel 1985, che poi costituirà la Federazione dei Verdi. Questi movimenti si rafforzano sempre di più attraverso parte dell’informazione scientifica, che intuisce nella forte industrializzazione non controllata causata dall’uomo, oltre a pessime conseguenze sugli ecosistemi, al stessa fine della specie umana. Le pressioni dei partiti ambientalisti, ate
da altre organizzazioni su scala nazionale (come “Legambiente”), e mondiale, come il WWF (“World Wide Fund For Nature”, ossia “Fondo d’Estensione Mondiale per la Natura”) o Greenpeace, hanno portato al raggiungimento di grandi risultati nelle politiche ambientali, come l’applicazione della normativa sulla protezione ambientale, la costituzione dell’Ufficio Europeo sull’Ambiente, la nascita e lo sviluppo di nuove aree protette e la tassazione sui rifiuti e sulle emissioni che le industrie e gli stati producono. A livello internazionale, fondamentali sono stati i risultati ottenuti grazie ai protocolli di Montrèal, sul controllo dello strato di ozono nell’atmosfera, e di Kyoto, riguardante il surriscaldamento globale.
* * * Oggi la maggior parte dei governi occidentali riconosce l’importanza delle politiche ambientali, in quanto le tematiche sulla carenza delle risorse, l’instabilità economica e sociale, lo sviluppo demografico non controllato e la crescita industriale e capitalista non moderata di nazioni come Cina, Brasile e India, sono sempre presenti sulle agende politiche.
* * * Da questa sintetica descrizione, peraltro richiamando modelli concettuali non recentissimi, risulta fin d’ora evidente che i partiti citati osservano e descrivono il mondo attraverso molteplici prospettive, abbracciando un ampio orizzonte di vedute che trascende e va oltre le fratture degli schieramenti di destra e di sinistra. A maggior ragione ancora di più oggi, in tanti pensano che davanti a una crisi politica, sociale ed economica così radicale, sia possibile rispondere soltanto con una politica che vada oltre le consunte contrapposizioni fra destra e sinistra, fra conservazione e mutamento.
* * * Nei prossimi paragrafi approfondiremo alcuni aspetti riferiti alle famiglie tradizionali già citate, cogliendone gli elementi di frattura e di continuità, le
differenze e le similitudini, nella loro complessa e talvolta paradossale natura. Richiameremo anche alcune significative ideologie che, in quanto più recenti, non sono comprese nella precedente elencazione classica di famiglie spirituali.
L’IDEOLOGIA LIBERALE E L’IDEOLOGIA DEMOCRATICA: PUNTI DI INCONTRO E DIVERGENZE
Per approfondire la conoscenza di queste due ideologie possiamo avvalerci della prospettiva proposta dal Prof. Stefano Petrucciani che in “Modelli di filosofia politica” analizza il liberalismo, la democrazia e anche il socialismo, ossia le tre più importanti correnti di pensiero che hanno caratterizzato la storia dell’ideologia politica contemporanea dell’Ottocento e del Novecento.
* * * Queste tre indirizzi di pensiero sono fondamentali, in quanto ancora oggi si contendono il campo nella discussione contemporanea, ispirando i partiti attuali, in tutti i contesti dei regimi democratici e non. Persino le estremizzazioni ideologiche dei regimi di destra o di sinistra, autoritari (come ad esempio quello fascista italiano) o totalitari (come quello nazista tedesco o quello comunista bolscevico) del secolo scorso, si rifanno ad alcune concezioni fondate su queste tre correnti, che però si realizzano in contesti in cui si è abbandonato del tutto il senso della pace, dello Stato di diritto e della democrazia .
* * * Se operiamo un confronto tra la teoria democratica e quella liberale, possiamo affermare che nell’età moderna, tali ideologie si sviluppano condividendo senza dubbio diversi assunti comuni, ma per altri versi distanziandosi anche in modo significativo. Un assunto comune che lega il liberismo moderno alla democrazia moderna è per esempio quello secondo cui la legittimità del potere politico deve
scaturire dal consenso degli associati, ossia da un patto che gli individui stringono tra loro.
* * * Tali ideologie invece si differenziano moltissimo dal punto di vista storico. Se prendiamo, infatti, come punti di riferimento i due veri classici del liberalismo e della democrazia, cioè John Locke da una parte e Jean-Jacques Rousseau, precursore della democrazia moderna Jean-Jacques Rousseau e portavoce del suffragio universale e della rappresentanza politica democratica, dall’altra, osserviamo che la divergenza è certamente netta e chiara.
* * * Per il liberalismo, come è espresso da Locke nel 1689 nel “Secondo trattato del governo”, la politica deve salvaguardare innanzitutto i diritti degli individui: la vita, la libertà, l'integrità del corpo e la sua immunità dal dolore, e il possesso delle cose esterne, come la terra, il denaro, le suppellettili ecc. Diritti che per Locke preesistono alla politica e che sottendono una legge naturale caratterizzata da un profondo significato quasi morale. L’individuo gode naturalmente di questi diritti che non gli possono essere sottratti.
* * * Nella democrazia, invece, come sostiene Jean-Jacques Rousseau nel “Contratto Sociale” del 1762, il punto fondamentale è assolutamente differente: gli individui, dovendosi sottomettere ad un potere o ad una legge, potranno conservare la loro libertà solo se si assoggettano al potere che essi stessi si costituiscono, ossia solo se si sottomettono alle leggi che essi stessi collettivamente si danno.
* * *
Quindi da una parte abbiamo il primato dei diritti dell’individuo con un ancoraggio pre-politico e morale, primato ancora più evidente nel pensiero di Locke, il quale afferma che se il potere politico calpesta il diritto degli individui, questi hanno il diritto di resistenza. Invece, per Rousseau, il primato resta all’auto-legislazione collettiva. Dunque, secondo questa visione, la differenza appare molto chiara: le due ideologie si distinguono in quanto una attribuisce il primato ai diritti individuali, l’altra alla sovranità popolare. * * * Per il liberalismo, come detto, i diritti individuali costituiscono il punto fondamentale. Questi diritti individuali però non devono essere necessariamente il diritto alla proprietà o i diritti su citati che andavano tutelati nei secoli scorsi. Oggi il liberalismo moderno egualitario può avere una concezione dei diritti individuali molto più allargata, avanzata e anche molto più sociale. Vi sono, per esempio dei liberali che sostengono il diritto fondamentale al reddito minimo garantito, con una visione perfettamente liberale in quanto pongono questo diritto come un diritto dell’individuo indipendente da quella che è la scelta politica democratica. Dunque il liberalismo, come primato dei diritti può essere definito con molti contenuti diversi, contenuti di tipo proprietaristico, ma anche contenuti molto più avanzati e addirittura sociali.
* * * Il conflitto tra democrazia e liberismo è ben vivo nel XIX secolo e in parte ancora nel XX. Va poi sfumandosi nelle più avanzate democrazie costituzionali che si affermano soprattutto nella seconda metà del ’900. In queste contemporanee democrazie costituzionali si assesta un equilibrio tra diritti individuali e sovranità popolare che può essere quasi posto come in un rapporto di complementarità o di circolarità. In questa fase da una parte i liberali arrivano a capire e ad accettare che i diritti non preesistono alla politica, ma possono essere solo quelli che i cittadini stessi si auto-attribuiscono. Dall’altra i democratici convergono sul fatto che i diritti non sono a loro disposizione: infatti, i cittadini possono esercitare la sovranità popolare, solo se garantiti in alcuni diritti, tra cui almeno quelli di libertà e quelli sociali. La sovranità popolare a sua volta, è chiamata a riscrivere i diritti, trasformandoli e adeguandoli attraverso conflitto e mutamento.
* * * Questo equilibrio, dal punto di vista teorico, rappresenta senza dubbio un punto di arrivo. Tale traguardo purtroppo però appare oggi quasi perduto, comincia a dare segni evidenti di crisi. Infatti, da una parte l’elemento liberale della politica moderna si presenta ancora come un forte e vitale. I cittadini continuano a chiedere, a esigere e a rivendicare anche in modo conflittuale, nuovi diritti. Si rivendicano per esempio i diritti sulla propria vita, sulla propria morte, sulla propria sessualità con modalità che prima non erano pensabili. Pensiamo per esempio alla raccolta di firme online per questo o quel diritto oppure proteste, manifestazioni o scioperi in difesa di particolari diritti nati dal Web. Questo dimostra che, per i cittadini del nostro secolo, le frontiere dei diritti sono ancora frontiere mobili, vitali, dinamiche, sempre in crescita.
* * * D’altro canto però, l’elemento democratico, in particolare l’aspetto della sovranità popolare, è decisamente in sofferenza, per un’infinità di cause che qui riconduciamo a due principali: 1) Le trasformazioni della comunicazione, dei media e delle cosiddetta società dello spettacolo che influiscono sull’opinione pubblica e che pongono qualche perplessità su come i cittadini si fanno una propria opinione e quindi votano consapevolmente. 2) Il crollo dei presupposti su cui poggiava la democrazia novecentesca e cioè il popolo e lo stato- nazione hanno perso l’esercizio della sovranità.
* * * Si può affermare che nel momento in cui uno Stato nazione non controlla più i movimenti della ricchezza e del capitale e non ha più possibilità di battere moneta automaticamente consegue che siamo fuori dalla sovranità. La situazione descritta in qualche modo è forse quella che l’Italia sta vivendo. Oggi infatti attraversiamo una fase in cui le decisioni più rilevanti sono prese da centri di potere che non hanno legittimità democratica e che sono invece sostenuti soltanto da una legittimità tecnocratica.
* * * Estremizzando il concetto, si può dire, quindi, che in Italia stiamo attraversando un periodo di commissariamento della democrazia. Chiaramente non potremo sostenere questa condizione a lungo temine, speriamo quindi che sia breve e che ci aiuti a superare questo momento di crisi. È evidente che il mondo politico si senta disarmato di fronte all’evidente perdita della democrazia e all’enormità e gravità dei problemi legati alla crisi, però è arrivato il momento di fermarsi e ripensare non solo alla democrazia, ma anche all’autonomia dello spazio economico e a qualche forma di regolazione politica più incisiva e forte dell’economia.
L’IDEOLOGIA SOCIALISTA E L’IDEOLOGIA LIBERALE: GIUSTIZIA E LIBERTÀ
Nel corso del secolo scorso due grandi movimenti mondiali si sono confrontati attraverso dibattiti accesissimi e vere e proprie lotte su diversi fronti: il socialismo e il liberismo, inteso questo anche nella sua forma allargata di capitalismo. Due realtà diverse e contrapposte, per tantissimo tempo inconciliabili, due mondi paralleli, l’uno a sinistra e l’altro a destra. La reciproca opposizione del piano degli ideali, si espresse poi nella realtà in uno vero e proprio scontro di classe, spesso violentissimo, animato da guerre spietate, come la Guerra Fredda, che nel secolo scorso insanguinarono l’intero pianeta. Eppure entrambe le due ideologie portavano principi e valori etici di per sé giusti, universali e innegabili.
* * * Da una parte l’ideologia liberale, intesa nella sua forma più ampia di capitalismo, sosteneva in primis la libertà in tutte le sue manifestazioni, come per esempio la libera impresa, il libero commercio e lo sviluppo tecnologico.
Tali elementi rimandano all’espressione “laissez faire, laissez er” (“lasciate fare, lasciate are"), frase che solitamente è attribuita al proto liberista Vincent de Gournay, del “laisser-faire laisser-er” (1753) e che racchiude in sé il principio stesso del liberismo economico, favorevole al non intervento dello Stato. Secondo questo principio, l'azione individuale di ogni cittadino tesa alla ricerca del proprio benessere, garantirebbe anche la prosperità economica della società. Oltre a questi elementi, vi sono degli aspetti significativi di cui occorre tener conto: la nascita della classe operaia, la figura dell’imprenditore, la proprietà privata dei mezzi di produzione e la ricerca del profitto.
* * * Dall’altra il socialismo, sul piano degli ideali, faceva della difesa dei poveri e della giustizia sociale la sua bandiera. I sui principi cardine si richiamano alle aspirazioni ideali della Rivoluzione se sintetizzate nella formula: liberté, égalité, fraternité. Estendendo la formula, possiamo affermare che i principi fondamentali di questo movimento di pensiero sono: libertà dai vincoli di oppressione padronale; uguaglianza, intesa come scomparsa dei privilegi; fratellanza intesa come pratica del mutuo sostegno.
* * * Le origini del socialismo sono pregne di significati storici e risalgono a un periodo dunque precedente alla stessa concezione marxista, così come suggerito da Petrucciani in “Modelli di filosofia politica”. La genesi socialista si ricerca già nell’età dell’Illuminismo, con la nascita di quelle teorie di critica verso la proprietà privata e la disuguaglianza sociale. La tesi principale del socialismo della Rivoluzione se afferma, infatti, che tutti gli uomini sono uguali in tutti i diritti, di tipo politico, di libertà e di accesso alle risorse. Questi principi sono racchiusi nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo” del 1832 stilata da Albert Laponneraye, dove si precisa che i diritti fondamentali dell’uomo sono quelli di provvedere alla propria esistenza e libertà, e che la società ha l’obbligo di preoccuparsi di ogni suo membro.
* * * Tuttavia, la storia ci insegna che in nome di tali ideologie socialiste e liberali, seppur portatrici di valori così alti, da entrambe le parti si sono commessi gravi crimini e misfatti. Ciascuna è arrivata a rinnegare se stessa, esprimendosi attraverso manifestazioni estreme e perverse. Il socialismo si è rivelato purtroppo attraverso la sua degenerazione dello stalinismo. L’ideologia liberale si è lanciata in avventure capitalistiche senza etica e grette speculazione finanziarie, come quelle che stiamo vivendo anche in questo periodo storico e che in modo decisivo influiscono sullo stato di crisi che stiamo attraversando.
* * * In questa situazione esasperata, alcuni spiriti illuminati già in ato sentirono l'esigenza di salvare i valori e i principi universali di entrambe le ideologie e in particolare la giustizia sociale e la libertà, due temi che non possono autoescludersi, anzi si autoalimentano. Libertà e giustizia sociale, dunque, un binomio che rappresenta un punto d’incontro tra l’ideologia socialista e quella liberale, così lontane eppure paradossalmente così vicine e complementari.
* * * Tra questi uomini saggi, forse visionari, ma senz’altro con grandi capacità innovative e creative, vi è senza dubbio il socialista Carlo Rosselli. Contrario al dogmatismo dell’antica visione marxista, orgoglioso oppositore del fascismo, Carlo Rosselli, eroico socialista del secolo scorso, rappresenta con una visione profetica il sogno della sintesi e della continuità fra l'ideologia liberale e quella socialista, proprio in nome della giustizia sociale e della libertà. Già nel lontano 1929, durante il suo soggiorno a Lipari come confinato politico, nel suo saggio “Socialismo liberale” - testo che per lungo tempo stette nascosto dentro un pianoforte per sottrarlo alle perquisizioni della milizia fascista - esprimeva con queste parole semplici, ancora attuali, la sua teoria: "Dal punto di vista storico questa formula sembra racchiudere una contraddizione, poi che il socialismo sorse come reazione al liberalismo – soprattutto economico – che contraddistingueva il pensiero borghese ai primi dell’Ottocento. Ma dall’Ottocento a oggi molto cammino si è fatto e molte esperienze si sono
accumulate. Le due posizioni antagonistiche sono andate lentamente avvicinandosi. Il liberalismo si è investito progressivamente del problema sociale e non sembra più necessariamente legato ai principî dell’economia classica, manchesteriana. Il socialismo si va spogliando, sia pure faticosamente, del suo utopismo ed è venuto acquistando una sensibilità nuova per i problemi di libertà e di autonomia. È il liberalismo che si fa socialista, o è il socialismo che si fa liberale? Le due cose assieme. Sono due visioni altissime ma unilaterali della vita che tendono a compenetrarsi e a completarsi”.
* * * Questo brano rimanda al pensiero di un altro grande socialista italiano, protagonista e testimone privilegiato della storia dello scorso secolo, Sandro Pertini, Presidente della Repubblica Italiana negli anni compresi tra il 1978 e il 1985. Attraverso un documento filmato, breve ma intenso e ricco di immagini metaforiche esplicative, Sandro Pertini esprime con tratti semplici e decisi il suo concetto di socialismo.
* * * Tale documento, registrato durante il suo mandato al Quirinale, porta i seguenti contenuti integrali: “Io sono un socialista di Filippo Turati, di Claudio Treves… cioè sono per un socialismo che deve essere basato sulla libertà. Per me libertà e giustizia sociale, che poi sono le mete del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile: non vi può essere vera libertà senza giustizia sociale, come non vi può essere vera giustizia sociale senza libertà. Ecco, se a me socialista, offrissero la realizzazione della riforma più radicale sociale, privandomi della libertà, io la rifiuterei, non la potrei accettare. Se il prezzo fosse la libertà, questa riforma la rifiuterei. Perché la libertà è un bene troppo prezioso, ce la dà madre natura la libertà. L’uomo deve essere libero di esprimere i suoi pensieri, i suoi sentimenti e quindi la libertà deve essere unita alla giustizia sociale, ecco come io sono socialista! Ma la libertà senza giustizia sociale può anche essere una conquista vana: in coscienza, lei può considerare libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha lavoro che è umiliato perche non sa come mantenere i suoi i figli ed educarli? Questo non è un uomo libero. Sarà libero di bestemmiare,
imprecare, ma questa non è la libertà che intendo io”.
* * * Queste due visioni assumono un valore che trascende i contenuti che, di per sé, possono essere opinabili e certamente superabili con il tempo. Infatti Rosselli e Pertini, attraverso il loro modo di pensare, ci dimostrano che le dottrine e le ideologie non sono fine a se stesse, rigide e perfette, servono semplicemente a orientare, a offrire metaforicamente segnali indicatori sulla strada da compiere. Solitamente ancora oggi invece, tra i sostenitori di questa o di quella ideologia, c’è chi confonde il segnale indicatore con la via. Così troviamo i solo-socialisti, i solo-liberali, i solo-democratici e un’infinità di altri specialisti che credono di aver trovato nel loro specifico o settoriale campo di interesse l’unica chiave del mondo. Queste persone si fermano purtroppo solo al segnale indicatore preferito, schiavi delle proprie idee e delle proprie resistenze, si cristallizzano sulle proprie posizioni e impediscono a se stessi e al mondo di proseguire la via.
* * * Questa apertura, questo spirito di pluralismo, questa flessibilità, questa visione avveniristica, questo saper convergere anziché dividere, questa capacità di rompere i paradigmi e dar vita a originali soluzioni, questo desiderio di rinnovarsi senza rinnegare se stessi che nasce dalla testa e dal cuore di uomini lungimiranti e coraggiosi come Pertini e Rosselli, sono per noi quindi di grande esempio e ci aprono a una nuova riflessione politica su come possiamo pensare al presente e, perché no, anche al futuro.
L’IDEOLOGIA COMUNISTA E L’IDEOLOGIA NAZIONALSOCIALISTA: I DUE VOLTI DEL TOTALITARISMO
Anche dal confronto tra l’ideologia comunista, in particolare quella sovietica, e l’ideologia nazionalsocialista, apparentemente così lontane e opposte anche come schieramenti politici, si possono cogliere tanti aspetti di somiglianza, oltre agli evidenti tratti discontinuità. Certamente il totalitarismo è l’elemento fondamentale che caratterizza entrambe le ideologie, tanto da poter dire che il comunismo sovietico e il nazismo corrispondono a due facce della stessa medaglia.
* * * Per cogliere tali analogie legate al concetto di totalitarismo non possiamo prescindere dall’originale analisi storica e filosofica sulle forme del totalitarismo sovietico e nazista proposta da Hannah Arendt, studiosa tedesca d’origine ebraica costretta a emigrare negli Stati Uniti con l’instaurazione del regime nazista. Tra le sue opere più importanti, “Le origini del totalitarismo”, pubblicato in piena guerra fredda nel 1951, ha infatti successivamente influenzato la costruzione dei posteriori modelli concettuali aventi come oggetto d’indagine il totalitarismo sviluppati dai più grandi teorici del pensiero contemporaneo. È un’opera celebrata come una delle pietre miliari del pensiero filosofico - politico del Novecento e rappresenta l’analisi concettuale del totalitarismo più completa, appropriata, ancora attuale e valida per molti aspetti.
* * * In questo lavoro la Arendt formula il suo concetto di totalitarismo attraverso il riesame della storia europea, a partire dalla fine dell’Ottocento fino al termine della seconda guerra mondiale. In particolare ella si concentra sull’analisi della nascita della società di massa che si sarebbe poi sviluppata ed evoluta nel sistema totalitario. La Arendt, prima di ogni altro studioso, intuisce e pone l’accento su due importanti elementi oggettivi che definiscono nella sostanza la sua visione di totalitarismo: l’originalità e assoluta novità del fenomeno, descritto come una manifestazione politica non assimilabile o riducibile ai tradizionali regimi tirannici o dittatoriali del ato; le molteplici analogie strutturali fra il regime totalitario sovietico e quello nazista, osservati nella loro essenza attraverso una prospettiva di analisi che trascende le differenze
specifiche di ispirazioni e di obiettivi appartenenti a ciascun sistema.
* * * Secondo l’autrice, il fenomeno del totalitarismo, per la prima volta nella storia, sarebbe riuscito a conquistare, manipolare e a plasmare le coscienze delle masse non solo attraverso il terrore ma anche sulla base di un’idea di verità, mediante quindi un’opera di persuasione propagandata dal regime come ideologia quale il razzismo, il nazionalsocialismo o il comunismo. Peculiarità sostanziale e fine stesso del totalitarismo, secondo il modello proposto dalla Arendt, sarebbero dunque l’incessante coinvolgimento e mobilitazione delle masse per la distruzione della realtà al fine di costruirne una nuova.
* * * Secondo la Arendt il totalitarismo agisce con successo sulle società senza classi sociali in cui predomina la massa. Infatti sia nel sistema bolscevico che nazista, la società è costituita da una massa priva di personalità e sfiduciata del sistema pluralistico dei partiti che non sono più stati capaci di rappresentare le classi nella nazione. Il popolo non s’interessa più pertanto di politica della quale si fa carico invece il movimento totalitario. La massa è sedotta dal sistema totalitario che agisce attraverso l’azione continua della propaganda, vero motore del movimento e strumento capace di insinuarsi e raggiungere ogni spazio della società non ancora totalitario. La propaganda arriva a evolversi in indottrinamento con l’obiettivo di plasmare le menti e le idee dell’intera popolazione e di impedire il sorgere di possibili dissensi dall’ideologia diffusa. Per questa ragione l’autrice definisce il sistema delle masse un movimento antiborghese che appiattisce l’individuo e la sua unicità. Inizialmente anche gli intellettuali, esaltati dalla novità del cambiamento, appoggiano, come le masse, l’ascesa al potere del movimento totalitario. Una volta però che i leaders del partito nazista e di quello sovietico ottengono il potere, gli intellettuali vengono perseguitati e persino eliminati fisicamente in quanto depositari della “pericolosa” individualità ritenuta tanto lontana dalla massa.
* * * L’organizzazione strutturale dei regimi totalitari, per l’autrice, è di fondamento gerarchico: al vertice si trova il capo che si assume la responsabilità di ogni azione compiuta dai ranghi inferiori. In questo modo il perseguitato dal regime totalitario non può capire da quale gerarca provenga l’ordine che lo riguarda. Gli apparati burocratici e le organizzazioni di stato, come gli ordini professionali o i centri di formazione scolastica e universitaria, si assoggettano all’ideologia totalitaria. Inoltre la dirigenza precedente ai regimi totalitari viene sostituita da uomini di fiducia del partito. Il sistema nazista, attraverso la sistemazione nell’impiego pubblico di sempre più iscritti al partito, cerca di ottenere il massimo dominio sulla società: istituzionalizza addirittura una duplice organizzazione statale nazista, con funzioni anche di controllo, in modo che in entrambe le strutture non possano crearsi opposizioni o dissidenze. Lo stesso stato può essere inteso come un duplicato organizzativo il cui binomio è rappresentato dalla figura del partito e da quella del leader: il reale potere è nelle mani del partito che si sottomette però alle ambizioni del leader.
* * * La polizia segreta rappresenta un ulteriore duplice apparato, non evidente nella sua forma esteriore. Infatti il partito, che detiene già il controllo su una propria organizzazione paramilitare esclusiva, una volta al governo sposta i finanziamenti, i depositi e le risorse - che sarebbero dovute essere destinate alla polizia segreta di stato - alla propria struttura segreta. Stalin ha utilizzato questo apparato di controllo sulla polizia segreta per preparare il colpo di stato che lo avrebbe portato al potere dopo l’eliminazione dei dirigenti di partito a lui avversi. La polizia segreta aveva anche il compito di sorvegliare le altre organizzazioni di governo e la burocrazia di stato in modo che fossero seguite, senza limiti giuridici e morali, le direttive del leader. Per questo motivo il ruolo di capo della polizia segreta occupa la posizione più importante dopo quella del capo di regime (come Himmler nelle SS). La polizia segreta organizzava l’eliminazione sistematica dei nemici del regime, che venivano portati nei campi di lavoro (gulag nel bolscevismo) e campi di sterminio e di concentramento (lager nel nazismo).
* * * I lager e i gulag corrispondono a “laboratori”, vere e proprie “fabbriche della morte”, in cui vengono verificate le capacità di trasformare, annientare e dominare gli uomini, sia detenuti e sia carcerieri, i quali, perdendo il senso della realtà, diventano permeabili a qualsiasi indottrinamento e quindi pronti a diventare complici di coloro che si autodefiniscono detentori di verità eterne sulla storia e sulla natura. Secondo l’autrice i campi di sterminio infatti, oltre a degradare ed eliminare gli individui, servivano lo scopo di modificare l’uomo in un oggetto senza libertà e di cancellare la spontaneità del comportamento umano. Per entrambi i regimi, nazista e bolscevico, nei campi di sterminio il dominio sulla società diventa assoluto e si concretizza appieno con la sostituzione totale dell’individualità e della diversità con la pluralità e assoluto consenso.
* * * Gli internati venivano considerati morti o dimenticati dal resto del mondo fuori dai campi, in un oblio imposto dal regime. In particolare nei gulag russi venivano trasferiti i nemici del socialismo totalitario, cioè gli oppositori del regime, i cittadini delle classi benestanti e i proprietari terrieri dei Kulaki. Nei gulag si eseguirono inoltre più di diecimila condanne a morte solo per reati d'opinione. Anche nei lager, oltre le migliaia di morti per l'Olocausto, furono eseguite in quindici anni oltre quattromila condanne a morte, esclusivamente per reati d'opinione. I deportati nei lager rappresentavano i nemici oggettivi dell’ideologia, quindi gli individui considerati inferiori: per primi gli ebrei, poi gli zingari e gli omosessuali, e gli oppositori politici, in particolare i comunisti, i criminali, gli asociali e i testimoni di Geova.
* * * Secondo la Arendt, inoltre, il terrore e l’ideologia costituiscono un unico binomio, le cui componenti, tra loro combinate, rappresentano le pietre miliari su cui fonda ogni stato totalitario: il primo elemento rimanda all’essenza stessa dell’intero sistema politico totalitario, il secondo si identifica con il suo principio ideale permanente di azione.
* * * Il terrore è utilizzato come strumento di governo che incessantemente tende a minare profondamente il senso di sicurezza delle popolazioni che hanno perso le tradizioni sociali e giuridiche legate a principi di diritto e di libertà. I sistemi totalitari utilizzano questo strumento per massimizzare la sorveglianza continua e il controllo sulle popolazioni attraverso diverse azioni, come: il trasferimento del centro del potere dall’esercito alla polizia segreta; l’abbattimento del sistema politico pluralista a favore del rafforzamento del partito al governo; la tendenza a uniformare le diverse classi sociali in un'unica massa che si identificherebbe nella sola visione del partito di governo;la ricerca di strategie di politica estera rivolte al progetto ambizioso di dominazione del mondo.
* * * Il terrore agisce nel tempo e cambia radicalmente in negativo l’essenza della vita stessa di ogni cittadino: porta infatti alla soppressione della spontaneità, della morale, della persona giuridica e dell’individualità. In una prima fase focalizza la sua azione verso l’eliminazione dei nemici immediatamente riconoscibili: esterni come gli Ebrei nel sistema nazista, interni come la classe benestante dei Kulaki nel regime sovietico e in generale agisce contro tutti gli oppositori di governo. Una volta distrutto il nemico “reale”, il terrore, per continuare a perpetuarsi ha necessità di creare, additare e combattere nuovi nemici, interni o esterni. Può infatti scatenarsi per esempio contro le libertà d’iniziativa intellettuale e artistica degli individui o anche contro le relazioni sociali, come i legami di parentela e di amicizia.
* * * L’ideologia, come principio ideale di azione, accompagna costantemente lo strumento del terrore. Rappresenta la “logica di un’idea” la cui materia di studio è la storia. Si propone di spiegare ogni segreto del processo storico, di cogliere i continui cambiamenti e di prevedere il futuro sulla base della conoscenza del presente e del ato. Tale logica assume credibilità e forza anche perché
ata dalle testimonianze “scientifiche” sostenute da autorevoli e affermati scienziati e filosofi, sostenitori di partito, che utilizzano teorie anche improprie pur di giustificare atti criminosi, come per esempio le leggi razziali. L’ideologia nazista infatti fa riferimento al principio razzista e di superiorità della cosiddetta “razza ariana”, mentre l’ideologia bolscevica rimanda al socialismo e alla lotta di classe. Il sistema utilizzato da entrambi i leaders totalitari per trasformare le rispettive ideologie in mezzi efficaci e utili a costringere i propri sudditi ad allinearsi col movimento del terrore non era per niente evidente. Stalin si faceva forte della “inesorabilità della sua dialettica”, Hitler invece era consapevole della “freddezza glaciale del ragionamento”.
* * * Sia l'uno sia l'altro argomentavano le loro affermazioni estremizzando i concetti ati da una apparente coerenza logica. Per esempio, il concetto di una “classe in via di estinzione” veniva considerato come una semplice premessa ed estremizzato includendo in sé l’inevitabile conseguenza estrema di condanna a morte di tale classe; allo stesso modo il concetto di “razze inadatte a vivere” rappresentava la premessa della massima conseguenza che portava necessariamente allo sterminio di tali genti. Chi non si allineava a tali logiche e considerava per esempio l’esistenza di “classi in via di estinzione” senza valutare la conseguente condanna a morte o anche chi ammetteva l’esistenza di “razze inadatte a vivere” senza pretendere la loro eliminazione, era considerato un ottuso o un vigliacco. Il ragionamento base più esemplificativo e persuasivo di tale logica le cui premesse contengono in sé le più estreme conseguenze era: “Non si può dire A senza dire B e C e così via, sino alla fine dell'alfabeto”.
* * * La Arendt, con questa sua interpretazione dei regimi totalitari bolscevico e nazista, ci offre oggi la possibilità di cogliere aspetti di somiglianza e di discontinuità tra le due forme di governo totalitario. Ci consente in particolare di operare un confronto tra la vita quotidiana nei campi sovietici e in quelli nazisti, da cui si può risalire alla logica interna dei due maggiori sistemi totalitari del Novecento, governi che a loro tempo sicuramente hanno in modo significativo
inciso sui destini di intere popolazioni e che ancora oggi condizionano e hanno implicazioni nella vita politica presente e futura dell’intera umanità.
L’IDEOLOGIA RADICALE: EVOLUZIONE TRA GLI SCHIERAMENTI
Il radicalismo rappresenta un movimento eterogeneo di idee, piuttosto che una specifica corrente di pensiero. Nasce in piena epoca dei Lumi nel XVII in Inghilterra, durante le prime battaglie politiche dei radicali inglesi contro l’autoritarismo della monarchia a favore dei coloni americani e dei nuovi principi etici che caratterizzavano la loro dichiarazione dei diritti. In seguito il movimento si diffonde anche in Europa continentale, per dare avvio a un cambiamento robusto e pertanto “radicale” della vita politica e dell’ordine civile, in opposizione alle correnti moderate e non risolutive dei problemi.
* * * In Italia il pensiero radicale compare nel Risorgimento nel Partito d’azione di Agostino Bertani nel 1877, che fonda la prima forma di estrema sinistra radicale in Italia, in contrasto al repubblicanesimo di Mazzini. Bertani, e in seguito il leder Felice Cavallotti, sosteneva formalmente il regime monarchico, ma auspicava una completa trasformazione in senso democratico fino al raggiungimento della forma repubblicana. Le richieste più importanti del Partito d’azione erano il suffragio universale, la revisione dello Statuto albertino, l’indipendenza della magistratura, l’autonomia e il decentramento amministrativo, promozione di una federazione di stati europei, rifiuto assoluto dei rapporti tra Chiesa e Stato e una riforma scolastica laica.
* * * Nel 1904 nasce ufficialmente il Partito Radicale, erede ideologico del Partito
d’azione. Inizialmente sostenitore del governo di Sonnino, durante la Prima Guerra il Partito si frammenta, fino a ricomporsi nel 1949 attorno a una cerchia di intellettuali che si opponevano al centrismo moderato della Democrazia Cristiana. Rinasce quindi anche grazie alla scissione della sinistra del Partito Liberale Italiano, in quel periodo considerato il partito più a destra dell'arco parlamentare. Tra i fondatori, esponenti del partito liberale di sinistra fuoriusciti, si ricordano: Nicolò Carandini, Mario Pannunzio ed Ernesto Rossi.
* * * I riferimenti storici - ideologici dei radicali riprendono contenuti sia della Sinistra e sia della Destra storica e si ritrovano anche nel radicalismo classico (ad esempio Stuart Mill) e nel socialismo liberale dei fratelli Rosselli di cui si è accennato nei paragrafi precedenti.
* * * I principali temi che caratterizzano l’ideologia radicale sono: il liberalismo, libertarismo, antiproibizionismo, antimilitarismo, pacifismo, ambientalismo, laicità dello stato, temi cari anche ad altre ideologie ma dai radicali affrontati secondo un approccio estremamente riformista.
* * * Il partito radicale italiano attualmente promuove politiche internazionali, come la lotta alla fame nel mondo, l’impegno nella comunità europea. Il tratto distintivo dell’impegno radicale sono le battaglie sui diritti civili, come per esempio il divorzio, l’aborto, la legalizzazione delle droghe leggere e il testamento biologico. I radicali si riconoscono ancora in questa datata e attuali definizione di Marco Pannella, leader indiscusso del movimento: “Noi siamo diventati radicali perché ritenevamo di avere delle insuperabili solitudini e diversità rispetto alla gente, e quindi una sete alternativa profonda, più dura, più "radicale" di altri. Noi non facciamo i politici, i deputati, i leader. Lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi,
speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere”.
* * * Le liste radicali Bonino -Pannella si sono presentate alle elezioni dal 1994 a oggi sia con lo schieramento del centro-destra, sia con quello del centro-sinistra, pertanto è considerato un partito atipico, con una struttura organizzativa fluida, basata sull’impegno dei volontari iscritti e dal carisma personale dei leaders.
L’IDEOLOGIA ANARCHICA: LA FORZA DEI SIMBOLI
Il termine anarchismo deriva dalla parola greca “anarchia”, che significa letteralmente “senza governo”. Infatti, “an” deriva dal greco e significa non, assenza di oppure mancanza di. “Anchos” significa invece regnante, capo o autorità.
* * * Sin dall'epoca classica nel linguaggio comune, al termine anarchismo si è attribuito una valenza negativa, ossia l’equivalente di caos, mancanza di regole, disordine sociale e quindi illegalità. Anche durante il XIX e XX secolo il termine anarchismo, in tutti i dizionari e le legislazioni, conserverà il suo significato nella sua accezione più negativa del termine.
* * * Per anarchismo, invece, s’intende quell'insieme di costrutti e di teorie politiche che mirano a creare l'organizzazione societaria chiamata appunto anarchia, una società senza classi e senza gerarchie politiche, economiche e sociali. La teoria dell’anarchismo disegna quindi la realizzazione di una società, fondata sulla
regola “nessun dominatore”, in cui ogni individuo collabora liberamente con i suoi simili. Il pensiero anarchico può essere letto anche come espressione di lotta che si oppone fermamente a tutti i sistemi autoritari. Infatti, secondo il pensiero di Sebastian Faure, esponente di spicco del movimento anarchico se del secolo scorso, vale il principio secondo cui “chiunque neghi l’autorità e combatte contro di lei, è un anarchico”.
* * * I valori che stanno alla base del pensiero anarchico si sostanziano nella libertà e nell’uguaglianza. Gli anarchici rimproverano all’ideologia socialista e a quella liberale, sostenitori l’uno dell’uguaglianza e l’altro della libertà, di essere dei modelli di pensiero parziali. Gli anarchici sostengono che il socialismo consideri come valore base unicamente l’uguaglianza, mentre per il liberismo l’unico principio sarebbe quello della libertà. I sostenitori del pensiero anarchico sostengono invece che libertà e uguaglianza sono strettamente collegate, binomio peraltro già visto con il pensiero dei due socialisti illuminati Pertini e Rossini. La libertà individuale può infatti realizzarsi soltanto se sussiste l’uguaglianza sociale. Viceversa l’eguaglianza sociale si concretizza solo su un piano di libertà.
* * * Con l’anarchismo quindi si è sempre identificata una società indipendente e libera da ogni forma politica autoritaria, nella quale l’individuo avrebbe potuto esprimersi e affermare attraverso la propria volontà. Il movimento anarchico vuole assegnare sia all’individuo e sia alla collettività la libertà di agire in un libero atto di volontà, senza essere oppressi da un’autorità, intesa come male assoluto dell’uomo, e dallo Stato, strumento di pura repressione e di costrizione. Nel 1924 l’anarchico Sébasten Faure nell’“Encyclopèdie anarchiste” riassume l’anarchismo con una semplice definizione: “la dottrina anarchica è libertà”.
* * *
La ricerca libertaria, si presenta in ogni epoca storica in diverse forme eterogenee. Dalla Rivoluzione se, si innesta un movimento anarchico moderno che si evolverà al pari o del razionalismo illuminista. Nell’Ottocento si produce la prima, significativa spaccatura all'interno del movimento anarchico sul tema dell'economia. La corrente anarchica si differenzia quindi in due filoni di pensiero, scindendosi tra anarchismo individualistico e collettivistico.
* * * Il più autorevole rappresentante del primo gruppo, Max Stirner, ritiene fondamentale il raggiungimento dell’io, ossia l’affermazione individuale, in una società non organizzata e indipendente da ogni catena di ordine superiore.
* * * L’anarchismo comunista invece considera la realizzazione assoluta dell’Io in una società dove l’individuo è persuaso a lasciare la propria libertà personale economica a vantaggio della libertà sociale, ossia la libertà del singolo deve essere adeguata alle esigenze economiche e sociali di tutti, in un’organizzazione comunitaria di mezzi di produzione e di suddivisione di lavoro e dei prodotti. In particolare Michail Bakunin riprende il concetto di collettivizzazione dei mezzi di produzione, del lavoro, ma lasciando il godimento del proprio lavoro a ciascun individuo.
* * * L’anarchismo si caratterizza anche per un ricco uso e diffusione su larga scala di simboli e di immagini, immediati e semplici mezzi d'espressione utili ad affermare se stesso e che rimandano a significati antichi e a volte non ancora chiari. La lettura dei simboli anarchici ci permette di leggere in qualche modo le idee, la storia, i principi dell'anarchismo e delle sue correnti. I principali simboli anarchici di cui si richiamerà l’origine e il significato sono la A Cerchiata, la Bandiera Nera e la Bandiera Rosso-Nera.
* * * La A cerchiata è certamente il simbolo più famoso di tutto il movimento anarchico, forse perché si presta facilmente a essere riprodotto anche attraverso i graffiti. Rappresenta una delle immagini di maggior successo dell’intero settore della simbologia politica. Nonostante la sua larga diffusione, paradossalmente è un simbolo la cui origine è poco nota. Secondo Peter Marshall richiama le prime lettere della massima di Pierre Joseph Proudhon “Anarchia è Ordine”, che in inglese è “Anarchy is Order”. Inoltre le parole “anarchia” e “ordine” iniziano con le lettere A e O in tutte le altre lingue occidentali. Peter Peterson afferma anche che il cerchio sarebbe “un simbolo di unità e determinazione” che “si presta a o dell’idea proclamata della solidarietà anarchica internazionale”.
* * * Gli storici sono ancora divisi su chi usò per primo questo simbolo, alcuno lo attribuiscono al movimento punk negli anni ’70, altri sostengono che già nel 1956 l'associazione anarchica di Bruxelles "Alliance Ouvriere Anarchiste" (AOA) utilizzasse questo simbolo. Anche in Italia tal emblema, semplice da riprodurre, quasi un marchio che rimanda immediatamente ad un messaggio di contestazione, negli anni ’70 e ’80 cominciò a riempire muri, fabbriche e piazze.
* * * Riguardo all’uso della bandiera nera da parte degli anarchici esistono diverse tesi che rimandano a storie mitizzate. Sembra che la bandiera nera - il simbolo per eccellenza dell'anarchismo - sia stata sventolata per la prima volta da una donna, la se Louise Michel, che prese parte alla Comune di Parigi del 1871. Fu scelto proprio il colore nero poiché esprimeva simbolicamente il colore del lutto, della carestia, del pericolo, della povertà e della disperazione, sentimenti neri dunque diffusi in quel triste periodo in cui furono sterminati oltre 25.000 parigini. La storia racconta che Louise Michel mentre sventolava insieme ai protestanti la sua bandiera nera e urlava “Pane, lavoro o comando!”, fu arrestata
e condannata a sei anni di isolamento in carcere.
* * * Esiste inoltre anche un’interessante analogia tra la bandiera nera e i pirati, da sempre considerati come ribelli e spiriti liberi. Alcuni storici sostengono che talvolta il simbolo teschio e le ossa incrociate utilizzato dai pirati per dar forza e se stessi e per spaventare gli avversari, sia stato usato anche dagli anarchici, pare dalla stessa Louise Michel. Sembra che nel 1910 anche Emiliano Zapata, rivoluzionario messicano, dava forza ai suoi assalti al grido di “Tierra y Libertad!” sventolando una bandiera con un teschio e un paio di ossa incrociate su sfondo nero. Tale vessillo portava quindi il messaggio “arrendersi o morire !”, diretto a terrorizzare i nemici, nel tentativo di sottometterli senza un combattimento. Infine il colore nero è da sempre considerato anche un simbolo di negazione, un anti-colore che si concilia perfettamente con l'anti-statalismo propugnato dagli anarchici.
* * * La bandiera rossa e nera è una derivazione della bandiera nera. Solitamente è divisa in diagonale, ma anche in orizzontale. Per molti storici è associata all’anarcosindacalismo. Alcuni studiosi sostengono che sia comparsa per la prima volta in Spagna e da qui si sia diffusa nel resto del mondo neolatino. Altri sostengono che sia comparsa per la prima volta invece in Italia, prima ancora della nascita del sindacalismo, associando il nero al rosso, forse perche alcuni anarchici provenivano dall’area socialista. Nell’aprile del 1877 gli anarchici della banda del Matese, guidati da Malatesta e Cafiero, innalzarono il vessillo rosso-nero sul comune di Letino. Tal episodio è documentato nei verbali dei processi di Benevento dell’anno 1978 contro i componenti della banda del Maltese. Qualche anno dopo la bandiera rosso-nera comparve anche in Messico durante la protesta del 14 dicembre 1879 a Città del Messico.
* * *
Parlare dei simboli anarchici ci offre l’occasione per fare una riflessione sulla potenza comunicativa dei simboli politici. Comunicare attraverso i simboli consente l’utilizzo di un linguaggio naturale, semplice, diretto e immediato. Il simbolo rappresenta e facilita la lettura di concetti astratti e complessi, rendendo concrete e tangibili quelle che si presentano invece come dimensioni sottili, impercettibili ed evanescenti. In realtà l’uso dei simboli non è appannaggio esclusivo solo degli anarchici, ma uno strumento utilizzato in tutti i tempi, da tante parti politiche in tutto il mondo, per comunicare e sintetizzare con una semplice occhiata concetti complicati e articolati. Aldilà dell’indubbia e sempre valida forza evocativa e comunicativa dei simboli, i partiti per affermare se stessi, promuovere i loro programmi e crearsi accoliti, non possono fare a meno di utilizzare anche le nuove forme di comunicazione offerte proprio dalla globalizzazione, adattandosi dunque alle nuove tecnologie e alle nuove formule multimediali, fondate sull’immediatezza e sull’interattività del Web.
DALLE TEORIE FEMMINISTE ALLE QUOTE ROSA
Con il termine “femminismo” s’intende il movimento politico e culturale che si propone di estendere i diritti della donna nella società, pensiero che ha notevolmente influenzato la teoria politica e le ideologie dei partiti contemporanei. La principale tesi del filone femminista è una forte critica alla forma di potere e di supremazia in tutte le organizzazioni e istituzioni civili e sociali appartenenti al sesso maschile a discapito di quello femminile.
* * * Dal punto di vista storico, il femminismo nasce dal pensiero dei filosofi e letterati dell’Illuminismo se. Tra le prime sostenitrici di tale movimento di pensiero Olympe de Gouges, risponde alla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789, elaborata dall’Assemblea Nazionale se durante la Rivoluzione, con la sua “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” del 1791. Con il suo testo provocatorio, dedicato alla regina Maria Antonietta, dichiarò pubblicamente alla società a lei contemporanea che alle donne era
assolutamente negato qualsiasi ruolo nello spazio pubblico. Un diretto attacco della “Dichiarazione” era rivolto alle donne parigine repubblicane. Per questo e soprattutto per la sua posizione moderata filo monarchica e girondina, nel 1793 de Gouges fu denunciata e messa alla ghigliottina, come nella prassi del Regime del Terrore della Rivoluzione.
* * * I valori femministi, nati nell’Illuminismo, sono quindi ripresi in Inghilterra e riformulati da Mary Wollstonecraft nella “Rivendicazione dei diritti della donna” pubblicato a Boston nel 1792. L’autrice propone di plasmare e riformare il mondo sulla figura della donna borghese, l’unica in grado di risolvere i problemi della società attraverso un nuovo sistema educativo che possa eliminare ogni distinzione di sesso e prevaricazioni sul sesso debole. Pensava a una vera e propria rivoluzione del modus vivendi delle donne che poi rigenerasse l’intero mondo. Così esprimeva il suo concetto: "è ora di effettuare una rivoluzione nei modi di vivere delle donne - è ora di restituirle la dignità perduta - e di far sì che esse, in quanto parte della specie umana, operino riformando se stesse per riformare il mondo". Il movimento dell’emancipazione femminile, grazie ai rapporti della Wollstonecraft, si espande anche negli Stati Uniti.
* * * Intorno alla seconda metà dell’Ottocento, in Inghilterra, nasce un movimento di protesta femminile con l’obiettivo di raggiungere il diritto di voto nel paese, il cosiddetto moto delle suffragette. Tale movimento portò nel 1897 alla nascita “National Union of Women’ suffrage”, organizzazione fondata da Millicent Fawcet, la quale, per dar voce alle proposte del suo gruppo, tentò inutilmente di convincere e di far aderire anche diversi influenti personalità maschili che gestivano il potere inglese. Fallita questa esperienza, nel 1903 Emmeline Pankhurst insieme alle figlie Christabel e Sylvia dà vita nel 1903 al “Women’s Social and Political Union”, ossia all’Unione Sociale e Politica delle Donne, con l’agognato obiettivo di far ottenere alle donne il diritto di voto politico.
* * * Attraverso questo movimento, le “suffragette” fanno sentire la loro protesta non soltanto tramite l’esposizione delle loro idee in ambito intellettuale, ma intervenendo in prima persona con scioperi della fame e in occasione di importanti convegni politici formali e non, tanto che diverse donne vengono arrestate e persino uccise dall’ordine locale. La battaglia per il diritto di voto alle donne continua per mezzo secolo. Il primo paese ad accordare alle donne fu la Nuova Zelanda nel 1893. Fu poi una conquista delle donne inglesi nel 1928. Le donne italiane ottennero tale diritto soltanto nel 1946.
* * * Negli anni ’70 il movimento femminista nei paesi occidentali si ripresenta in maniera ancora più forte. Nascono associazioni e organizzazioni di critica verso il sistema politico e partitico, e un’avversione verso le istituzioni dello Stato democratico e liberale contemporaneo, considerato assolutamente inadeguato nel risolvere i problemi sulla prevaricazione dell’uomo sulla donna tramite riforme reali e incapace di creare un programma educativo fondato sulla non discriminazione. In Italia nascono i primi gruppi femministi come l’UDI (Unione Donne Italiane) che si prefiggono lo scopo di unire tutte le donne italiane a difesa dei problemi delle madri e delle donne lavoratrici. Le lotte di emancipazione femminile in Italia si legano alla richiesta della legge per il divorzio.
* * * L’istituto giuridico entra nell’ordinamento italiano solo nel 1970, in seguito a numerose pressioni di massa compiute, in particolare come già accennato dal Partito Radicale e anche dalla Lega Italiana per l’Istituzione del Divorzio (LID). Ovviamente l’adozione tale istituto è stato fortemente osteggiato dalla Democrazia Cristiana (DC), portatrice dei valori della Chiesa Cattolica. In seguito al referendum abrogativo sul divorzio, con una percentuale circa del 60% dei votanti, nel maggio del 1974 la legge sulla “disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” rimane in vigore.
* * * Nel 1974 la psicanalista Luce Irigray, attraverso il suo lavoro “Speculum. L’altra donna”, un classico del pensiero femminista, elabora una forte critica nei confronti della teoria freudiana psicanalitica allora in voga portatrice di valori maschilisti. Freud aveva impostato il suo pensiero di analisi della psiche dell’uomo basandosi sul fallocentrismo, ossia sulle teorie di invidia del pene e di immedesimazione della donna in un piccolo “ometto” e “non uomo” con un piccolo organo sessuale e di piacere soprattutto nelle fasi giovanili.
* * * La Irigray, al contrario, pone la figura femminile come immagine invertita della forma maschile in uno specchio, che non ha bisogno di alcuna “mancanza” o “invidia del pene”. L’accusa dell’autrice si riflette anche sul piano politico, in particolare sulla tematica dell’uguaglianza. Nella storia contemporanea infatti, secondo la Irigray, non è consentito che le donne diventino uguali agli uomini, mentre al contempo il potere maschile fa sì che non perdano i loro valori di inferiorità su tutti i livelli pratici. A causa della pubblicazione dei suoi lavori, l’autrice perde il lavoro al dipartimento di psicanalisi all’Università di Vincennes.
* * * Un altro disappunto al pensiero freudiano viene mosso dalla docente di psicologia all’Università di Harvard e studiosa di etica Carol Gilligan con il suo libro “ In a Different Voice: Psychological Theory and Women's Development” ossia “Con voce di donna. Etica e formazione della personalità” del 1983. Riprende e critica un test elaborato da Lawrance Kohlberg - di cui era stata allieva e collaboratrice - sulla misurazione dell’etica nei due sessi nello sviluppo mentale nelle fasi della crescita. Secondo l’analisi della ricerca condotta da Lawrance Kohlberg, risulterebbe che l’etica delle donne sarebbe inferiore a quella degli uomini. La Gilligan dichiara tali risultati distorti e, proponendo un’analisi alternativa che mette da parte inammissibili questioni di superiorità o
meno, rileva piuttosto la differenza fra il soggetto morale maschile e quello femminile, il primo orientato all'individualismo astratto, il secondo alla relazione concreta e a un’etica della cura in senso universalista.
* * * Oggi, le teorie del femminismo legate alla partecipazione attiva delle donne alla vita pubblica e politica, si legano a una tematica molto sentita, dibattuta e attualissima: l’annosa questione delle quote rosa. Negli ultimi decenni, in Italia, la presenza femminile sulla scena politica, si rivela molto limitata, soprattutto se la confrontiamo con gli altri paesi membri dell'Unione Europea. I numeri purtroppo parlano da sé, lasciando poco spazio ai commenti: secondo l’ultimo rapporto dell’Onu e dell’Unione interparlamentare (Ipu), mentre nei paesi scandinavi quali Svezia, Norvegia e Finlandia le donne parlamentari rappresentano il 42-45% degli eletti, in Italia invece, le donne elette alla Camera sono solo il 21,6% e al Senato addirittura appena il 18,6%.
* * * Speculare è la situazione attuale ai vertici delle aziende italiane che presentano percentuali femminili ancora troppo basse rispetto ai grandi vantaggi che l'intero sistema politico, sociale, economico e produttivo ricaverebbe se ci fosse una maggiore partecipazione delle donne. In tanti pensano quindi che la presenza femminile nel mondo della politica e del lavoro non sia soltanto una questione di numeri, ma che corrisponda anche a un grande valore aggiunto, un incalcolabile contributo qualitativo.
* * * I sostenitori di questa linea di pensiero hanno accolto con grande favore la Legge 120 del 2011 che dal 12 agosto scorso, è diventata operativa. Secondo molti tale norma potrebbe rivoluzionare il mondo della dirigenza italiana: con l’introduzione delle cosiddette quote rosa, la legge impone che i che a partire dal 2012 i consigli d’amministrazione delle aziende quotate e pubbliche dovranno
essere composti per un quinto da donne. Dal 2015 la quota rosa dovrà salire a un terzo.
* * * Alcuni ritengono che una legge non basti e che la questione sia soprattutto culturale. Sono convinti, infatti, che se ci limitassimo ad applicare la norma, ponendoci come unico obiettivo solo quello numerico, sicuramente avremo fatto un o avanti, ma forse non ancora abbastanza lungo per arrivare a creare anche le condizioni necessarie per valorizzare appieno il contributo del mondo femminile nell’intero sistema politico, sociale e produttivo. Per esempio, non basta far sedere le donne ai vertici dei Consigli di Amministrazione, devono avere anche le deleghe, cioè funzioni importanti, altrimenti rappresenterebbero solo un numero, pur rispettando la norma nella forma.
* * * Per riempire di significati e successo la Legge 120 del 2011, molti pensano che sia necessario considerarla come un semplice punto di partenza e non certo un traguardo e che ancora tanto si debba lavorare per favorire un risultato vantaggioso per tutti: per le donne, per le aziende e per l’intera società.
I MOVIMENTI CULTURALI DELL’ANTIPOLITICA: LA FORZA DELLA RABBIA E DEL WEB
Negli ultimi anni nella stampa, nella letteratura scientifica, nei discorsi quotidiani ricorre sempre più frequentemente il termine antipolitica, spesso senza chiarirne il significato. In realtà non si tratta di un fenomeno recente, già ai tempi di Aristotele questo fenomeno era già noto e si esprimeva con il rifiuto totale della politica, intesa come pura lotta di potere. Concetto legato all’antipolitica è la posizione che in tutti i tempi quote numericamente importanti
della società assumono, disinteressandosi completamente della politica per motivi diversi – per semplice egoismo o per delusione o perché la vivono ivamente ai margini - lasciando ad altri le incombenze sociali.
* * * Con il termine antipolitica oggi, in Italia e nel mondo, generalmente si intende quel sentimento di ostilità verso l’intera classe politica, ritenuta responsabile del malcostume o di agire unicamente per soddisfare interessi diversi da quelli della collettività. Tale astio tende ad acuirsi e a esplodere con più rabbia solitamente quando si manifestano crisi profonde del sistema sul pian politico, istituzionale ed economico. Un sentimento generalizzato di scarsa fiducia e disprezzo sia per la parte politica al governo e sia per l’opposizione, entrambi, secondo molti, concentrati a mantenere i privilegi di casta e ritenuti incapaci di rappresentare gli interessi degli elettori.
* * * Oltre questo sentimento di rifiuto e astio verso la politica istituzionale, vi è anche una parte dell’antipolitica che si rivela propositiva, in quanto si propone di affermare nuovi metodi del fare politica, ovviamente totalmente in antitesi rispetto a quelli del regime in atto. Solo in Italia negli ultimi dieci anni, i movimenti di pensiero comunque propositivi – comunemente detti movimenti di antipolitica – sono stati tantissimi e volti a cause sempre diverse. Tra quelli che hanno rappresentato una certa rabbia popolare nei confronti della politica istituzionale, ma anche raccolto ampia solidarietà della comunità cercando di sensibilizzare e stimolare, attraverso simboliche lotte provocatorie, il governo di turno, si ricordano:
* * * 1) Nel 2002 si diffo i cosiddetti “Girotondi”, movimenti di cittadini che si espansero nelle maggiori città italiane, in nome della difesa dei principi di democrazia e di legalità. “Resistete, resistere, resistere” questa frase pronunciata
dal procuratore generale di Milano sco Saverio Borrelli nei confronti di alcuni provvedimenti approvati dal Governo Berlusconi, scatenò la solidarietà dei cittadini che a Milano il 26 Gennaio del 2002, in occasione di una manifestazione di fronte al Palazzo di Giustizia, organizzarono il primo girotondo. Qualche settimana dopo il regista Nanni Moretti si fece portavoce del movimento a Roma.
* * * 2) Nel 2003 nacque il movimento di pensiero delle “Bandiere della Pace”, grazie all’opera del colombiano Padre Alex Zanotelli che fece appello a tutti i cittadini di riempire i balconi di bandiere con i colori dell’arcobaleno come segno di protesta contro l'imminente guerra in Iraq. A dire il vero questo portò anche a manifestazioni che degenerarono in violenza e lo stesso Padre Zanotelli fu costretto a ricordare a tutti il valore della non violenza nel movimento.
* * * 3) Nel 2005 si diffo i movimenti No TAV, gruppi di pensiero accomunati nell’opposizione alla realizzazione di nuove linee ad alta velocità, convinti che tali linee non siano davvero utili al trasporto, ma solo alle tasche di alcune lobby di costruttori. Inoltre temevano per i gravi danni per l'assetto idrogeologico e per la salute. Durante una delle ultime manifestazioni, nel luglio 2011 a Chiomonte, si sono incontrate circa cinquantamila persone provenienti da tutta Italia per esprimere solidarietà al movimento. La manifestazione è poi degenerata in violenza con circa quattrocento feriti, tra rappresentanti delle Forze dell’Ordine e manifestanti.
* * * 4) Nel 2008 ha preso forza il Movimento “No Dal Molin”, gruppo di migliaia di cittadini contrari alla realizzazione della nuova base dell'esercito statunitense nell'aeroporto “Dal Molin” di Vicenza. In particolare a Vicenza si svolsero manifestazioni che videro la partecipazione di decine di migliaia di sostenitori da
tutta l’Italia e l’Europa, grazie soprattutto alla promozione dell’evento tramite il Web.
* * * 5) Nel 2008 hanno preso piede anche i movimenti dell’Onda, vivaci e apionati movimenti studenteschi, il cui nome nasce da un referendum indetto sul Web, rintracciabile su un sito chiamato “Un’onda vi travolgerà”. La rabbia degli studenti era rivolta contro i provvedimenti dell’allora ministro Gelmini, secondo loro responsabile di avere pensato alla Scuola e all’Università solo attraverso il taglio dei fondi, senza investire minimamente sulle generazioni future.
* * * 6) Nel 2009 è la volta del Popolo Viola, un movimento nato su Internet attraverso un’auto-convocazione tramite il social network Facebook, grazie all’iniziativa di un gruppo di blogger. Scelsero il colore viola perché non rappresentava alcun partito politico e di conseguenza non strumentalizzabile – almeno in teoria – per fini politici. Tuttavia bisogna anche dire che tale movimento nacque proprio in occasione dell’organizzazione di una manifestazione politica di massa tenutasi il 5 Dicembre 2009 a Roma, il “No Berlusconi Day”, sit-in che esprimeva la richiesta di dimissioni di Silvio Berlusconi dalla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Anche di recente, nel 2011, il movimento ha organizzato una manifestazione di protesta per lo scandalo delle feste dell’allora primo ministro.
* * * 7) Nel 2011 cominciano a manifestare anche in Italia gli Indignados. Tale movimento, noto anche come Movimiento 15-M (perché sorto appunto il 15 Maggio). In origine nasce in Spagna, dove ha mobilitato grandi masse di persone, unite nella protesta pacifica contro il governo spagnolo, di fronte alla grave situazione economica in cui versava e versa ancora il Paese. I motivi per
cui indignarsi e protestare erano e purtroppo restano tantissimi: i privilegi della politica, lo strapotere della finanza, i gravi tagli alla spesa pubblica, la sanità a pagamento, la grave disoccupazione. Dalla Spagna, la protesta si è estesa in diverse parti del pianeta, non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in Giappone, soprattutto grazie alla funzione catalizzante del Web tramite i network Facebook e Twitter. Il 15 Ottobre 2011, grazie alla Rete, si è organizzata una grande manifestazione mondiale - la 15 O - che ha coinvolto e unito novecentocinquanta città dell’intero mondo, unite sotto lo slogan “Cambio Global” in segno di protesta contro un sistema, quello consumistico globalizzante finanziario, che secondo molti, avrebbe dimostrato di non funzionare, almeno non nell'interesse dei popoli, non per i cittadini, per i lavoratori e per chi spera. La prima manifestazione in Italia viene organizzata a Parma, in segno di protesta per un presunte giro di tangenti in Comune. Poi, di fronte alla crisi finanziaria che stringe anche il nostro Paese, il movimento si diffonde in tutta Italia.
* * * 8) Nel 2011 prende forza e si anima in tantissime piazze anche il movimento di rivolta “Se non ora quando?”. Tale movimento prende nome dal titolo un’imponente manifestazione svoltasi in diverse città d’Italia, a Milano, a Napoli, a Torino. Manifestazioni, anche in questo caso promosse soprattutto tramite la Rete, che hanno riempito piazze di migliaia e migliaia di donne che chiedevano più rispetto per il mondo femminile, indignate e deluse da un governo guidato da un Presidente del Consiglio che con le sue politiche e la sua condotta, secondo molti, avrebbe leso pubblicamente la dignità delle donne italiane.
* * * Una riflessione a parte merita il Movimento 5 Stelle, da molti considerato un movimento di antipolitica, ma da altri ritenuto ormai un partito a pieno titolo in quanto ha partecipato alle elezioni politiche del 2013, risultando il partito più votato. Tale movimento, fondato nel 2009 sull’onda dell’esperienza di un precedente analogo movimento chiamato “Amici di Beppe Grillo”, rifiuta sia la
definizione di antipolitica e sia la qualifica di partito, definendosi invece “una libera associazione di cittadini. Non è un partito politico né s’intende che lo diventi in futuro. Non ideologie di sinistra o di destra, ma idee…”.
* * * Le cinque stelle presenti nel nome e rappresentate nel simbolo richiamano i cinque temi sociali che caratterizzano il pensiero del movimento: acqua pubblica, trasporti, sviluppo, connettività e ambiente. Dal punto di vista ideologico, in tale movimento convergono tematiche di derivazione ecologista e antipartitocratica. Incoraggiando i cittadini alla partecipazione diretta alla vita pubblica tramite forme di democrazia digitale “e-democracy”, il movimento sceglie la Rete, il Web (in modo analogo ad alcuni movimenti su descritti la cui forza e crescita è data proprio da Internet) sia come mezzo informativo non sottoposto a censura come invece le televisione e sia come strumento di libertà. L’obiettivo più esteso del movimento non è solo quello politico, ma quello di cambiare radicalmente la società.
* * * Sul fronte economico, il programma del movimento sostiene le teorie della decrescita, mirando nel complesso a una migliore qualità della vita e a una maggiore giustizia sociale. Spinge infatti sia alla creazione di posti di lavoro "verdi" e si oppone a progetti inquinanti e dispendiosi, come per esempio gli inceneritori e molte "grandi opere". Il Movimento 5 Stelle sposa i grandi progetti di sostenibilità, di telelavoro, di informatizzazione, di risparmio energetico, di eliminazione dei rifiuti urbani e di protezione del territorio dalla cementificazione.
* * * Certamente il Movimento 5 stelle costituisce in Italia il più importante esempio di utilizzo del Web per unire e creare gruppi di persone legate da interessi comuni e fortificare relazioni sociali tra individui anche molto lontani
territorialmente, ma vicini come idee. Questo è il primo o che precede poi il momento dell’incontro anche fuori dall’etere, nelle piazze di tutta Itali. Veri e propri bagni di folla in cui il protagonista Grillo, da esperto comunicatore, riesce a spiegare a suo modo la politica con un linguaggio, semplice immediato, attraverso l’uso di metafore e tanta ironia che nel bene e nel male, smuove le coscienze di tanti.
CHE COS’È L’IDEOLOGIA OGGI?
Dopo questa breve panoramica sui diversi orientamenti di pensiero, è opportuno soffermarsi sul concetto stesso di ideologia nel senso più lato del termine e chiedersi semplicemente: che cos’è l’ideologia oggi?
* * * Per coglierne il significato più attuale, si è scelto di richiamare le teorie esposte dal giovane filosofo Carlo Fusaro che introduce l’argomento nel convegno “ Cos’è l’Ideologia – Teoria e storia". Le domande e le riflessioni che caratterizzano il senso del suo pensiero, si possono così sintetizzare:
* * * 1) Oggi stiamo vivendo davvero, come sostengono in tanti -tra cui il politologo statunitense Francis Fukuyama nel 1992 nel The End of History and the last man- il tanto atteso tempo che segna la fine della storia e delle ideologie e che cede il o a un mondo post- storico e post- ideologico?
* * * 2) Oppure enfatizzare, come fa Fukuyama, la fine dell’ideologia, rivela forse un
nuovo modo raffinato di praticare l’ideologia?
* * * 3) È possibile dunque che le ideologie si mostrino oggi sotto nuove, sottili e ambigue forme, ancora più forti e vive di prima?
* * * 4) E se la globalizzazione fosse la nuova vera ideologia di oggi?
* * * Domande attualissime e provocatorie che, secondo Fusaro, trovano la loro fondatezza nella lettura della realtà attuale attraverso le tradizionali teorie di Marx, il quale pensava che l’ideologia quanto più si fa impercettibile e invisibile, tanto più si dispiega e si manifesta. Se caliamo questa interpretazione al giorno d’oggi, è possibile sostenere la tesi secondo cui quest’epoca - che formalmente da più parti si autoproclama come l’epoca della fine delle ideologie, dunque post-ideologica e anti-ideologica - di fatto si rivela invece come l’epoca più ideologica della storia dell’umanità.
* * * Fusaro rinforza il concetto sostenendo che, da ogni tempo, la vocazione dell’ideologia è quella della naturalizzazione. In altri termini l’ideologia tende sempre a naturalizzare ciò che è storico e sociale, in modo tale da riportarlo in una dimensione naturale. La natura in quanto tale è semplicemente data e giusta, non può essere criticata e tantomeno trasformata. Quest’assioma diverrebbe valido quindi anche per l’ideologia. Quindi naturalizzare ciò che è sociale e storico significa anche renderlo fatale, presentarlo come qualcosa di naturale, determinato, giusto e immutabile che deve essere accettato per quello che è.
* * * Se continuiamo a utilizzare questa visione di Marx nel nostro tempo, anche la globalizzazione può essere letta come un’ideologia, anzi, estremizzando il concetto, l’unica vera ideologia di oggi. Secondo questa lettura, il termine di globalizzazione non avrebbe dunque un semplice valore descrittivo della realtà attuale, ma racchiuderebbe in sé una vera e propria prescrizione. Si tratterebbe quindi di una sottile e impercettibile coercizione all’accettazione del mercato globale, un comando vero proprio, inteso come qualcosa di naturale, quasi assimilabile a un precetto religioso che a silenziosamente questo messaggio: “Popoli di tutti paesi, globalizzatevi!”.
* * * La globalizzazione, presentandosi come un destino ineluttabile, l’unico mondo possibile e giusto, neutralizzerebbe in partenza l’idea stessa di un’alternativa rispetto a sé, convincendo le menti non già delle qualità del fenomeno, ma del carattere necessario. Diventerebbe dunque il luogo naturale in cui dobbiamo adeguarci, costretti in un tempo presente, immutabile e infinito, in cui decade la speranza di qualsiasi futuro.