Nicola Pietro Bovio
L'amico del dormiduro
A Rebecca e Silvia, mia vita.
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Indice dei contenuti
VINO ROSSO GIUGNO In data 6 giugno 2010 AUTUNNO NOVARESE In data 2 novembre 2013 INTORNO VIAGGIO In data 31 maggio 2012 NOTTI LATTACIDE Anno imprecisato ante 2002 VAGO Anno imprecisato ante 2012 PRIMO APRILE In data 2 aprile 2010 SOLITUDINE In data 16 agosto 2010 ARTE Anno imprecisato ante 1998
PER LA STRADA Anno imprecisato tra il 1996 e il 2003 DAVANTI AL FUOCO In inverno 2013 SU DI UN FOGLIETTO Giorno imprecisato del 1993 TORNO A CASA Giorno imprecisato del 2002 TREGUNA MEKOIDES TRECORUM SATIS DEE In data 16 dicembre 2012 42195 VOLTE FA In data 28 marzo 2013 SAPER PER COSA In estate 2013 VERE PAURE In data 24 dicembre 2012 VINO DOLCE A SILVIA In primavera 2013 RISVEGLIO
Giorno imprecisato del 2011 NOTTURNO BELLINZAGHESE In data 29 maggio 2009 VIVERE In data 14 febbraio 2012 CAPIRE MIA FIGLIA In data 3 aprile 2011 C'E' SEMPRE In data 9 dicembre 2010 VENTO TRA I CAPELLI In data 1 agosto 2011 CAREZZA MONTANA In gennaio 2012 SUL TICINO In data 21 dicembre 2012 10 SECONDI ANCORA BAMBINO In data 8 marzo 2013 FILASTROCCA DELLA NEVE In inverno 2012/2013 PRIMA DI CORICARMI In data 26 marzo 2013
MADONNINA Data imprecisata tra il 1995 e il 1998 PRIMO GIORNO D'ASILO In data 2 settembre 2013 VINO BIANCO SE NON PUOI BERE NON PUOI VIVERE E T'APPOGGI STANCA In maggio 2013 NEBBIA Anno imprecisato ante 2012 MACCHINE DEL TEMPO In data 2 aprile 2012 LIBICO In data 6 marzo 2011 JAZZ Anno imprecisato ante 1999 PAOLO NOVA In data 12 gennaio 2011 NUVOLE Anno imprecisato ante 1998 TANGO
Anno imprecisato tra il 1995 e 1998 E FU BAMBINA CON GLI OCCHI D'ACQUA Anno imprecisato ante 2002 DOPO IL TERREMOTO In estate 2012 VOTO In data 25 febbraio 2013 UN NUOVO AMICO In data 13 marzo 2013 A UNA RONDINE IN GABBIA In data 31 maggio 2013 SONNI FARNETICANTI DI RISATE In data 14 luglio 2013 ALESSANDRA In inverno tra il 1996 e il 1998 SPUMANTE MALELINGUE In autunno 2012 REGINA ANCH'IO In data 15 febbraio 2012
ZAC Anno imprecisato ante 2004 SCHIUMA DURA In data 29 dicembre 2009 SCORRE In data 3 giugno 2010 E SORDO In data 23 marzo 2011 SOLO O NON SOLO Anno imprecisato tra il 1995 e 1998 TRISTEZZA ALCOLICA In data Novembre 2012 MUORE IL PROTAGONISTA DEL FUMETTO PIU' BELLO DEL MONDO CHE TUTTI AMANO E CHE... VAFFANCULO! Anno imprecisato 2011 DISTORSIONE D'AMORE Giorno imprecisato ante 14 febbraio 2013 ILLUSIONE Anno imprecisato ante 2012 V'ERA In inverno 2012/2013
SPICÍNT AL CAFDÍN D'LA PRIMAVERA In data 29 marzo 2013 AL SIRO In data 20 luglio 2013 PREGHIERA PACATA DEDICATA Anno imprecisato ante 2013 Ringraziamenti
VINO ROSSO
GIUGNO
Del tiglio il dolce odor cattura
il o, nella notte scura.
Giugno bellinzaghese
e i tigli,
come figli,
ogn'anno
le braccia tese!
Inspiro l'amor che danno.
In data 6 giugno 2010
Nella notte tarda eggiavo su viale Liberio Miglio, solo, rientrando a casa. Il profumo dei tigli, così intenso, mi catturò i sensi in maniera tanto forte da richiamare in me l'immagine di un figlio che con smania si butta tra le tue braccia provocando un misto di sensazioni di calore, amore, pace e affetto.
AUTUNNO NOVARESE
Novembre d'edere bagnate da nebbie fredde e gelate, aggrappate ai cadenti casseri dai mattoni beccati da eri. Corti morte e pendenti e scalcinate che l'arancione-rosso delle foglie morte, tristezza dal cuor non toglie. Paese mio che crolla e cede e cade come gocce molli sulle strade piante dagli arcarecci ormai biutti come tracce vivide, a noi tutti, del tuo sangue che agonizzando stilli. Triste autunno camminando intorno guardando case
e porte morte e un tubo storto in un paese senza ritorno. E' ancor novembre ed io non lo sopporto.
In data 2 novembre 2013
La visione di un cassero cadente, con un pilastro ricoperto di vecchia edera e coi mattoni consumati dal tempo e dall'azione degli uccelli, subito seguita da quella di un tetto ricoperto da pochi coppi rotti, con travetti marci ed un arcareccio (trave d'imposta) ammuffito, da cui scendeva un rivolo della recente pioggia, mi ha svelato l'immagine di questo Bellinzago, dal centro devastato. Più mi volgevo intorno e maggiormente vedevo ruderi, pezzi di case malmesse. Una tristezza forte mi ha avvolto il cuore, proprio in un plumbeo giorno di commemorazione dei defunti. La forte angoscia, sentimento ciclico nei confronti della consapevolezza di un paese, un territorio, sanguinante e morente, mi ha fatto scrivere queste righe. L'aggettivo “biutti”, spesso usato nella conversazione dialettale per definire la nudità dei bambini e neonati, che ho associato agli arcarecci in luogo del termine “spogli”, voleva evidenziare oltre alla sonorità poetica anche il senso di infantile impotenza dell'elemento di copertura ormai destinato a cadere. Proprio come il paese e le persone stesse, proiettate nella rincorsa al "nuovo" dimenticando la conservazione del "vecchio".
INTORNO VIAGGIO
Come bandiera al vento
sventola l'aria dentro la lamiera
sento, nella notte un viaggio
che in maggio invento,
e profuma del gelsomino
bianco che sfila lento
ed in cuor mi esplode.
In data 31 maggio 2012
Mentre in una notte primaverile, guidando lentamente e senza una logica precisa, mi trovavo ad allungare il percorso di rientro a casa. Dai finestrini dell'auto entrava una brezza profumata di gelsomino. Questo lieve profumo mi faceva letteralmente esplodere emozioni e mi donava belle sensazioni. Decisi di sottolineare la mia condizione di essere in balia del destino (sia in tempo reale, vagando senza meta, che in termini assoluti) come una bandiera al vento che, a sua volta, ben riconduce all'idea delle lievi folate di brezza profumata che si insinuavano nell'abitacolo.
NOTTI LATTACIDE
Hai mai fatto un allenamento lattacido di sera?
A volte non ti lascia dormire...
Hai il cuore che corre...
E sei costretto ad ascoltarlo...
Mentre tutto tace...
Anche senza allenamento...
Talvolta nel silenzio ascolto il mio cuore...
e non sempre lo ascolto...
Ma lui ha sempre ragione.
Anno imprecisato ante 2002
Non una vera poesia ma uno scambio poetico con un'amica. La prima parte è la mia e si basa sul parallelismo tra gli effetti di un duro allenamento ed i fatti della vita che, solitamente la sera, segnano i pensieri e le emozioni. La seconda di Federica la quale, intuita la metafora, mi rispond e con uno sp lendido punto esclamativo (il cuore ha sempre ragione).
VAGO
Rimbalzo confuso da un pensiero all'altro
Vago e brancolo in cerca di un appiglio
Cerco nel profondo ed in fondo artiglio
Gratto e corro e scavo e cado e mi rialzo
Lotto profuso alla ricerca di un sogno
Che sia solo di un bisogno lo specchio
Arranco scalzo su questo contorto sentiero
Sbatto in balia del vento vorticoso
Completamente sfatto ormai sprofondo
Confondo sogni e mondo vero
Sogno o forse vivo davvero.
Anno imprecisato ante 2012
Altra poesia sull'incertezza e lo smarrimento presenti in alcuni attimi della vita. Indefinitezza che ho deciso di esprimere mediante uno scenario sospeso tra l'onirico ed il reale. Questo per accentuare la sensazione di sconcerto che tenevo a trasmettere.
PRIMO APRILE
Nella notte cupa e nel silenzio primaverile
è aprile,
che cuore e capo non trovan giaciglio,
mentre sussurri diventan le ore,
m'appiglio.
Tarda notte di fiele e di miele,
notte infinita
che Rebecca è la vita
che la vita è Daniele.
In data 2 aprile 2010
Non riuscendo a trovare sonno, disteso nel letto, solo fisicamente rilassato, percepivo lo scorrere delle ore e della notte in un'alternanza di sensazioni e pensieri contrastanti. Trovavo finalmente appiglio e sopore al solo pensiero di mia figlia e del mio figlioccio Daniele.
SOLITUDINE
Solo mentre, intorno,
forsennato, l'incedere del giorno
m'attorciglia il ventre
che già è ato
che tutto imbriglia.
Di solitudine
assetato il cuore
scoprir tra l'incudine
del ato
che solo l'attimo
che quell'attimo,
solo,
assume gran valore.
In data 16 agosto 2010
Volevo esprimere in poesia il mio forte bisogno di solitudine, di autodeterminazione e di momenti di riflessione che in quel periodo erano veramente pochi. Così scrivevo, alla fine del giorno, assetato di soddisfare questa necessità emotiva, probabilmente dovuta a un ato da maratoneta (incudine del ato) nel quale vivevo il valore di quei momenti unicamente con me stesso.
ARTE
Solo un foglio.
Solo un foglio bianco.
Bianco.
Ogni tipo d'espressione
... limita se stessa.
Solo ciò che è vuoto mi riempie
... di sensazioni
mie!
Un tratto, una parola,
e son rimasto solo io,
solo.
Anno imprecisato ante 1998
Poesia su una riflessione: “Qualunque forma d'arte si autolimita”. Una poesia non potrà mai esser un romanzo, una foto non potrà mai esser un dipinto, una parola non potrà mai esser qualunque altra parola. Così, prima di tirare un tratto di un disegno o scrivere una parola, il foglio bianco, vuoto, esprime la perfezione di un'opera intangibile ed assoluta in ogni forma d'arte. Non appena tracciata una linea, una lettera, l'infinito irreale diviene reale e circoscritto da me che l'ho tracciata o scritta.
PER LA STRADA
Storta e sporca
compagna di viaggio.
Consumata dalla mia fatica.
Ti osservo ancora una volta
e mi rivolgi un sorriso
sbilenco
triste e malinconico:
bei momenti ati,
ricordo di chi t'ha preceduto
ricordo di chi m'ha preceduto.
Tagli profondi ti segnano il viso:
rughe di un vecchio saggio.
Le asperità t'hann dato anima
ed ora ricordi la strada,
quella che t'ha cambiato il cuore
quella che m'ha cambiato il cuore.
Ore ate a scandirne il battito.
E mentre la mia mente vagava altrove,
mi proteggevi e mi accompagnavi.
La montagna che hai superato.
La montagna che ho superato.
Sarà dura lasciarti:
ti accorgi di chi era con te
quando gli devi dire addio.
Ne verranno altre.
Anima che hai, mia scarpa da corsa.
Anima che ho, mia scarpa da corsa.
Anno imprecisato tra il 1996 e il 2003
Una poesia dedicata ad un vecchio paio di scarpe da corsa a cui ero particolarmente affezionato. Ho cercato di rappresentare la scarpa come una compagna di viaggio, una figura umana che mi ha accompagnato durante la corsa ma anche per un intero periodo di vita e dotarla di un'anima, concentrando il significato di tutta la poesia nelle ultime due righe in cui ne esplicito l'oggetto.
DAVANTI AL FUOCO
Si guardano auto
come giornate
superate in questa autostrada
e stagioni andate
come film muto
prima che la vita vada.
Mentre della stufa
scoppietta il ventre.
In inverno 2013
Davanti alla stufa in cui la legna ardeva (“scoppietta il ventre” è riferito sia all'ardere della legna che alle sensazioni ed forti emozioni, ventrali, date dai miei pensieri nei primi versi) riflettevo sul ato: giornate che paragonavo ad auto superate e stagioni che avevano lasciato in me un susseguirsi di immagini che vedevo sfilare come fotogrammi di un vecchio film muto. Un po' come succede ad un uomo morente che rivede la sua vita (prima che la vita vada). Così l'ultima strofa di due versi riporta al presente: tangibile e delizioso calore di una stufa ed anche al p iacevole attimo (qui rappresentato da un soffermarsi davanti alla stufa) che dà valore alla fugace vita ma solo a ch i sa coglierlo.
SU DI UN FOGLIETTO
Sul tuo viso, occhi neri,
mi auguro felicità
sempre e sempre
So ch'è difficile
ma 'l tuo sorriso è verità
Parte dal profondo
irradia tutto il viso
mentre brilla nei tuoi occhi
un battito di ciglia sfugge
nasce dolce il tuo sorriso
Ha preso il mio cuore
e lo avrà per sempre
e non lo avrà mai più.
Solo posso ringraziare Dio
di avere condiviso
il tuo sorriso, il tuo riso.
Chi ti ama e c'è
Chi ti ama e non c'è più
ma da qualche parte
guarda giù
e vede anche in paradiso
quello splendido sorriso
che possiedi solo tu.
Giorno imprecisato del 1993
Su di un foglietto ho ritrovato questa poesia che scrissi quando io e la mia prima fidanzatina ci lasciammo e che mai le diedi.
TORNO A CASA
ano i chilometri
e a questa notte serena su di me,
mentre le stelle in cielo mi accompagnano.
Forse dormi
o tra poco dormirai e chissà cosa penserai di me,
delle lacrime che non vedi che mi bagnano.
Sarà la stessa musica
quella che risuona quando sono solo e torno,
quando incrocio gli altri fari per la strada.
Ce ne saranno come me...
andranno a casa e sogneranno o solamente
chiuderanno gli occhi e dormiranno
per non pensare a lei
per non pensare a niente e continuare a respirare
amore.
Ce ne saranno come me...
lotteranno contro il drago che gli brucia l'anima
e si consoleranno pensando che
in fondo "c'è chi sta peggio di me"
e cercheranno il drago con questa lancia
per scoprire che non muore.
ano le case
ai fianchi di questa lunga biscia nera
e penso,
se non sarà l'ultima volta, questa qua.
ano le case
ai fianchi di questa lunga biscia nera
e penso,
che e non sarà l'ultima volta, questa qua.
Giorno imprecisato del 2002
Viaggiando in auto una delle tante notti in cui rientravo da Milano. La poesia esprime rassegnazione per un amore complicato e non corrisposto.
TREGUNA MEKOIDES TRECORUM SATIS DEE
Magia di questo
ebbro calore
eppur si muove
e danza
stanza
stufa ardente
magicamente
m'affesto.
In data 16 dicembre 2012
Con questa poesia volevo esprimere la sensazione di magia trasmessa della danza del fuoco, come in peren ne effetto di incantesimo, n el periodo prenatalizio (m'affesto).
42195 VOLTE FA
Quarantaduemilacentonovantaquattresimo metro
l'ultimo secondo
che ogni tanto ricordo
davanti a di una vetrina il vetro
Inaspettatamente assale
gioia e dolore che mi fa quasi male
ma poi sfila quel riflesso
e torno ad adesso.
In data 28 marzo 2013
Una parte importante della mia vita a volte ritornava inaspettatamente sorprendendomi. Così, ando davanti a una vetrina correndo, vedevo il mio riflesso specchiato. Un attimo di ricordi dolci della maratona e amari di un ato agonistico che non c'è più.
SAPER PER COSA
Ed ancora
ti troverai
nel profumo estivo
a gioire
ma non saper
per
cosa.
In estate 2013
La poesia parla di profumo estivo. Attraverso questa metafora desideravo sottolineare il senso di felicità profonda che può regalare il soffermarsi un attimo ed accorgersi di un semplice profumo di fiori. Felicità quotidianamente a portata di mano di tutti ma percepita solo da ch i cognitivamente si accorge del piacere.
VERE PAURE
Di una strada all'angolo,
traverso di piazza e chiesa,
osservo in elemosina, madre e pargolo
e la gente che si volge offesa.
Lontano all'ombra scorgo
il luccicar di quei due occhi tristi
tremanti, non dal freddo borgo,
ma d'angoscia pieni per i giorni visti.
E mi vergogno per un soldo
che, solo, lascio andare nelle mani
che so non gli darà un domani,
saluto e scappo via come Bertoldo.
E mentre cupo affretto il o
stampato in capo il colpo di una scure:
quello sguardo duro come il sasso
ma in cui ho visto tante, le paure.
In data 24 dicembre 2012
La vigilia di natale mi recai con Rebecca ad accender una candela in chiesa a Oleggio. Nell'androne, a ripararsi dal freddo chiedendo elemosina, c'era una donna di colore che portava una coperta nella quale era fasciato un neonato. Stavano lì in silenzio. Entrambi avevano due occhi grandissimi e lucidi. In quegli sguardi scambiati, mentre mi vergognavo del poco denaro che avevo loro offerto e sentendomi anche un po' colpevole per il destino fortunato che avevo avuto rispetto al loro, ho letto paura, terrore nei miei confronti. Mi sentii come un moderno Bertoldo che rozzamente fugge per opportunismo e guarda altrove. Ho visto lo sguardo simile a quello di cani, addestrati a bastonate, che si avvicinano timorosi e guardinghi alla mano umana. La paura nei miei confronti, innocuo in quel frangente, mi ha aperto una visione su cosa mai potessero aver vissuto quelle due anime. Un'immagine insopportabile di dolore profondo che mi costringeva, codardo, a fuggire. Ma quello sguardo impaurito mi restava come lapide di pietra incisa nella mente.
VINO DOLCE
A SILVIA
"Per me tu sei..."
…(silenzio)
Quando vorresti descrivere
un amore tanto grande
stai muto e pensi:
…(silenzio)
“... tu sei...”
…(silenzio)
che nodi, nodi immensi,
in mille modi la testa espande
che tanto dentro la tua vita è lei.
…(silenzio)
“... tu sei...”
…(silenzio)
E'l solo verbo che t'esce è: “... vivere.”
In primavera 2013
Sentivo il bisogno di esprimere il mio grande sentimento nei confronti della mia compagna dopo quasi dieci anni di convivenza, amore, difficoltà, gioie e dolori, Rebecca e vita insieme. Qualunque cosa pensassi era limitante e mi ritrovai a riflettere silenzioso accorgendomi che, nel silenzio, la mia mente volava a momenti di vita. Così ho deciso di impostare la poesia sulla metrica e le pause, lasciando che l'immaginazione ed il libero pensie ro potessero agganciare un “quid” diverso, personale ed intimo ad ogni rilettura, in una sorta di “spazio libero” non confinato e, forse, unico modo per esprimere il significato di una persona tanto importante nella mia vita. Ho volutamente indicato “silenzio” per sottolineare una pausa poetica lunghissima, una sorta di punto coronato nel corrispettivo musicale, posto sopra una pausa.
RISVEGLIO
E quando
Come prima luce del mattino
Filtra nel buio
Il tuo respiro
Ti sogno
Ti amo
Te
Giorno imprecisato del 2011
In prima mattina, sveglio nel mio letto e mentre un primo raggio di sole filtrava da uno spiraglio tra le ante della finestra, mi accorgevo della profondità del sonno di Silvia ascoltando il suo respiro lento. Così decidevo di scrivere una poesia per ricordarmi di quel bel momento. Ho voluto amplificare la sensazione emotiva, onirica, riducendo le sillabe per ogni verso, quasi lasciando in sospensione la poesia dopo l'ultima parola; quasi a dar idea di non volere svegliare dal suo placido sonno la dormiente.
NOTTURNO BELLINZAGHESE
E... camminando lento mentre rientro
luci ed ombre s'alternano
avanti
e... sul mio futuro e prossimo o
l'odore dei tigli avvolge
avanzo
In data 29 maggio 2009
Mentre camminavo per il paese, venivo colpito dall'alternarsi dei lampioni un po' come immagine dell'alternarsi di momenti positivi e negativi nella vita. Questa visione mi faceva riflettere sul mio futuro di padre (prossimo o) che, associato al buon profumo dei tigli, percepivo come momento certamente positivo e inebriante. Così avanzavo sicuro verso un nuovo tratto luminoso.
VIVERE
Io, anche, amo.
In data 14 febbraio 2012
Brevissima poesia che vuole esprimere come l'amore, la ione e le emozioni tutte, siano ciò che costituisce il termine vivere.
CAPIRE MIA FIGLIA
A Rebecca
Quando lei ti parla
Quando lei ti guida
Quando lei ti guarda
Quando lei ti grida
E ti basta
Anche non capire,
capire?
... capire,
e ... ... capire!
Che se lei ti parla,
guida,
... guarda
e ... ... grida,
è comunque gioia di padre
come veder nel cielo fuochi partire
che in tutto il cuor ti arde
qualunque cosa lei ti voglia dire.
In data 3 aprile 2011
Una poesia in cui volevo esprimere il mio senso di paternità e di totale appartenenza alla vita di mia figlia.
C'E' SEMPRE
Anche se, poi, solo, nella notte ti attardi
mentre lo spirito scorre e più ne bevi
scopri ovunque i suoi sguardi
i suoi sorrisi e le sue carezze lievi,
e nel discorso sconcio e volgare
di te stesso e dell'ultimo tuo senno,
non puoi più fare a meno di raccontare
della tua bimba e del suo cenno
e delle sue risa e del suo incerto vagare
che quando manca ti accorgi
che lei è tutto ciò che sei
ed anche se a questo non ti porgi
nel tuo tempo ormai c'è solo lei.
In data 9 dicembre 2010
Una poesia sulla presenza di mia figlia in ogni attimo della mia vita, anche nelle sere in compagnia ate al bar con amici, a bere ed ubriacarsi. “Spirito” voleva essere inteso con un doppio senso: “spirito” alcolico ma anche essenza di vita pulsante. Poesia centrata sulla scoperta che i miei pensieri e i miei discorsi, ancorché sconci, non avrebbero potuto non riguardarla; sulla realizzazione che, anche in quei momenti, Lei fosse lì presente e su come il suo esistere mi abbia cambiato diventando Lei la mia stessa vita, senza nient'altro di più importante (“c'è solo Lei”).
VENTO TRA I CAPELLI
Poi capita che ti ricordi
del vento tra i capelli
quando sudore o fatica
colavano sull'asfalto.
E i tuoi respiri pesanti all'arrivo
ma tanto belli.
E vedi questa birra d'oro
e pensi al suo malto,
al tempo che avevi per guardar quel frumento,
la gente,
l'età,
il mondo
che ti scorreva lento
accanto,
l'arsura d'estate, la nebbia ed il gelido vento
lo sforzo di uscire, che poi era un sol salto
tra l'unto di questo marcio ed il volo,
perché quel salto era tuo e di te solo.
Correvo e sentivo il vento tra i capelli.
Ora,
una flebile brezza
tra le dita s'insinua e mi accarezza.
In data 1 agosto 2011
Al bar seduto davanti a una birra mi ritrovai a pensare ai campi di frumento in estate ed a quando correvo. Allora mi pareva che, in realtà, a correre fosse tutto quanto intorno a me. Immerso nei ricordi di quando quel correre era anche un modo per distaccarsi dalle situazioni negative e spiccare il volo. Il finale riporta al tempo presente ed alla brezza, non più vento, con un evidente richiamo all'impossibilità attuale di correre alle velocità di una volta, pur sempre richiamo intimo e nostalgico ricordo di quei momenti di gioventù .
CAREZZA MONTANA
Corre la lama lucente
Ad incoronar le vette
Che linea d'oro staglia nette
Ogni alba ardente
E sera pone il sonno
Dolce il favonio dei racconti
Dai venti portati ai monti
Il vecchio abete, nonno
Mia montagna spoglia
Quanto t'amo in questa vita
Che in un'alba germoglia
Ed in poco è finita
E mentre m'accarezza
Godo ognór di questa brezza.
In gennaio 2012
Ho voluto rappresentare una giornata montana immaginando il vento caldo della sera (favonio) che, proveniente dal basso e soffiando in valle, raccoglie storie di vita portandole alle montagne ed al vecchio abete (nonno) che mediante il frusciare delle sue fronde le racconta da sempre e sempre le racconterà a chi le sa udire. Questa immutabilità e longevità della montagna si contrappone alla mia vita che per la montagna stessa non è che un'altra alba ed un tramonto. L'immagine torna alla realtà in cui il favonio mi accarezza e mi fa goder del suo tiepido calore davanti alla maestosità incantata delle montagne.
SUL TICINO
Vicino al fiume azzurro
lui
prese un grosso sasso
guardò i suoi anni a valle
poi
fece un ampio o
col piede nudo e rughe
che
pesanti aveva in viso
quel freddo del Ticino
sì,
gli sembrò il paradiso
Mentre il vecchio sorrideva
io
lo guardai lontano
In mezzo a sassi bianchi
solo,
volevo stendergli la mano
Ma nei suoi occhi il sole
un cavallo ed un carro pieno
le urla forti della prole
una forca ed il fieno
Guardò il cielo quasi bianco
che
forse c'era Cristo
E mise al piede la ciabatta
tac...
di un suono un po' imprevisto
quel duro legno contro il sasso
che
sembrava la sua storia
e che col silenzio aveva un gusto
né
di sconfitta o di vittoria
E del mio tempo resta il sole
un cavallo ed un carro pieno
le urla forti e le parole
una forca ed il fieno.
In data 21 dicembre 2012
Mi immaginai di essere vecchio come vecchi erano i miei nonni, così, la scena di me mentre osservavo questo mio anziano alter ego lungo le rive del mio amato Ticino prende forma in questa poesia. Ho volutamente usato una metrica “sincopata” per dare più colore alle immagini che volevo trasmettere.
10 SECONDI ANCORA BAMBINO
Notte
e quel momento di:
Oh, la neve cadere...
In data 8 marzo 2013
Ho voluto concentrare in una breve poesia l'altrettanto fugace ma dirompente emozione che scatena l'accorgesi di un'imprevista nevicata notturna. Il ritorno all'immagine infantile della neve vuole amplificare solamente lo stupore inatteso che sblocca il ricordo di sensazioni già vissute e lascia, dopo, un lieve velo di nostalgia.
FILASTROCCA DELLA NEVE
Scende lieve e candida poggia
Sulla pieve e sulla roggia
Sulla prima vestito di Dio
Nella roggia mi specchio io
Qualche ruga salta addosso
Ch'è profonda come un fosso
Bimba buona che si vede
Scrocchio suona sotto 'l piede
Traccia resta al tuo are
Ch'è una festa per giocare
Guarda bene questo inverno
Che non teme il tempo eterno
Che ogni anno torna il gelo
El galavrùn ca ta bàsu su sul melo.
In inverno 2012/2013
Mentre facevo coricare mia figlia e fuori nevicava, mi è venuta voglia di raccontarle una filastrocca. Successivamente ho voluto riordinarla e darle una forma che mi permettesse di ricordare nel tempo quel bel momento di emozione che accompagnava la mia bi mba addormentata. Una nota importante è l'uso di “galavrùn ca ta bàsu”, termini inesistenti in italiano corrente. Queste parole, di origine dialettale, sono riferite al gelo (galaverna) che veniva fiabescamente rappresentato dalla mia bisnonna come un orco o imprecisato mostro (galavrun) che dava baci gelati ai bimbi se questi non si fossero coperti abbastanza. Un'immagine a me cara e fantastica, frutto di una cultura rurale trasmessa solo oralmente che necessita di questa doverosa precisazione. L'immagine ed il suono delle parole "galavrùn ca ta bàsu" è grezza e poco musicale ma proprio per questo trovo che rendano una poetica emozione di tagliente gelo a chi se la figura. Ho anche voluto usare “candida pioggia” per sottolineare l'eccezionalità della bellezza della neve: una rara pioggia che si trasforma in meravigliosi cristalli.
PRIMA DI CORICARMI
Vorrei fermar questo momento
Lei dorme
il succhiotto scivolato
sotto
il cuscino di lato
ed il coniglietto
girato
proprio sotto il mento
La lucina accesa, blu
Lei dorme
Chissà cos'ha nei sogni
gioia?
O forse solo gioco
risate senza noia
un angelo
e forse anche Gesù
Qui all'ombra un po' m'attardo
Lei dorme
ancora un solo istante
guardando quelle guance
e 'l nasino un po' all'in su
La bacio e quel bacetto
mi scoppia dentro al petto
che il cuor mi vien petardo
Bella,
più bella
ed ancor bella di più
lei, dolcemente, dorme
Così
Lei dorme.
In data 26 marzo 2013
Altra poesia dedicata a mia figlia, che osservo dormire placida dopo averla messa a letto. Il significato è diretto anche per sottolineare la semplicità dell'attimo. Il ripetersi di “lei dorme” vuole, oltre che dare una ciclicità ordinata alla poesia, richiamare un immagine di sonno profondo e calmo, senza tensioni.
MADONNINA
Bianca madonnina fosforescente
come brilli nella notte, così
brilla nella mia testa,
che faccio un gran casino,
ed in fondo non combino mai niente.
Come hai potuto sopportare il male
come hai potuto continuar ad amare
questa terra,
questa gente,
la stessa, che non ti fa la guerra
solo perché per lor non sei niente.
Eppure tu mi ascolti,
che non vado a messa,
che prometto... scordando promessa
e tu non ti volti
son qui che lo ammetto.
Aspetta, ti guardo brillare nel buio,
prego o non prego,
ma tu mi brilli sempre.
Data imprecisata tra il 1995 e il 1998
Una poesia dedicata ad una piccola madonna di Lourdes fosforescente che tenevo sul comodino. Nel buio, anche nei giorni peggiori, la statuetta brillava nella notte e se da un lato era conforto perenne, dall'altro mi rivelava nitidamente il mio stato di disordine e peccato.
PRIMO GIORNO D'ASILO
Lascia questa immensa prateria,
di monti e mari infinita, figlia mia
senza confini e senza recinti
ove libera vagavi col mondo davanti.
Domani ti porteremo su una strada
lunga che sia e ovunque vada
da domani abbandonerai la verde rada.
Triste m'è questo o
di toglierti un mondo libero
e darti una via di sasso.
Ma così è la vita: una via infinita.
Starà a te ritrovar quell'erbale mare
traverso anche la salita,
incroci e bivi, sentieri ed autostrade
tra mille scelte e qualcosa che accade.
Vai bimba mia, senza pensieri e con coraggio
e guarda bene
che nel tuo viaggio
mamma e papà ti saranno lì insieme.
In data 2 settembre 2013
Il primo giorno di asilo di mia figlia era arrivato. Sino ad allora avevo visto la sua vita come una storia completamente da scrivere, senza nessuna limitazione. Accompagnarla all'asilo, per me, significava toglierle quella assoluta potenzialità (immensa prateria) e darle una direzione da seguire; portarla all'inizio di un cammino non sempre facile (la vita nella società). L'erbale mare è un voluto richiamo all'erbal fiume silente dannunziano (non si rivolti nella tomba), attraverso il quale egli rappresentava la strada (fiume) mentre io scelgo di rappresentare la libertà (assenza di strade, direzioni, immensa prateria). Ho voluto chiudere la poesia con la presenza del padre e della madre, nel cammino della sua vita. Esseri garanti di quella libertà di bimba di cui veniva privata ma che un giorno avrebbe riconquistato anche attraverso il loro aiuto.
VINO BIANCO
SE NON PUOI BERE NON PUOI VIVERE E T'APPOGGI STANCA
Mentre tra i sassi svolge la matassa e a acqua di fonte, vita di monte, tu immersa non ti bagni, tu sfuggente m'accompagni, al tocco fredda come i massi su cui stesa, con me, i. Ombra che vivamente il tempo, come l'acqua,
su di te scorre lento, ed in me dentro, ci piacqua o non piacqua, stesa, senza tocco del sole cocente che t'intorno luce ingombra, non puoi sapere perché di questa vita, in moto e trasparente, non puoi bere.
In maggio 2013
Camminando durante una eggiata in montagna mi accorsi della mia ombra che, seppure immersa in un rio limpido e tumultuoso (acqua di fonte che svolge la matassa) non si bagnava. Ombra obbligata a seguire una vita (la mia) senza poterci mai entrare; senza provare il male o il bene, eppure dalla meraviglia di una vita completamente avvolta (ho usato un allegoria del sole, come luce e vita, che ne arriva sino ai limiti). Ombra immersa in acqua fresca (nel mio tempo che scorre) senza poterne bere. Sempre a richiamo dell'acqua, il verbo piacere è coniugato in declinazione remota e non congiuntiva per pura sonorità. (Menzione d’onore II edizione del Premio Letterario di Narrativa e Poesia Bognanco Terme 2013)
NEBBIA
Nebbia e
Nebbia bianca
Intorno e
Fitta ammanta
Cuore e
Mente stanca
Confuso e
Perso arranca.
Anno imprecisato ante 2012
Scrissi questa poesia immaginando un uomo confuso e smarrito, solo e completamente avvolto da una nebbia tanto fitta che nulla lasciava scorgere. Individuo esausto, privo di direzione, senza alcuna possibilità d'orientamento.
MACCHINE DEL TEMPO
E quella piega sulle vostre labbra
che di cuore chiaman sorriso
Gaber, Nene e Laura
portan schietto sul viso
e non c'è tempo
nel mio tempo
indietro, nell'animo coscritto
ora ed allora, il sottoscritto,
a cui resta memoria
di storia e di spensierato dì di festa.
In data 2 aprile 2012
Una poesia sul ricordo. Scritta con l'intento di immortalare la sensazione di "ritorno nel tempo" di alcune emozioni che tre giovani amici avevano risvegliato in me durante una festa. Proprio come “le madeleine” avevano scosso la memoria di Proust. L'intento era legare vari significati ed emozioni con il solo uso delle parole “animo coscritto”. Ovvero creare un senso di ambigua e anomala vicinanza (io e loro, nel momento di festa, eravamo coscritti nell'animo) eppure di distanza temporale (nel momento della mia iscrizione di leva loro non erano che bimbi infanti). Poesia dall'intento di rappresentare quel flashback in una situazione di malinconia post festiva, simile a quella mirabilmente richiamata dal Leopardi nel "Sabato del villaggio" e che tangibilmente stavo vivendo nelle mie stesse emozioni.
LIBICO
Al sangue per la libertà
Mentre amo così tanto la mia vita
mi stringo fortemente a te amore
e dal petto m'esce immenso calore
che combatto per una libertà ambita.
Ed il calore non è gioia ma pianto
che in lui si mescola scendendo dal tuo viso
perché dal petto è sangue
ed ora vado in chissà quale paradiso.
Mentre qui a Bellinzago
fuori è buio.
In data 6 marzo 2011
La guerra civile divampava in Libia, molti giovani lealisti morivano per liberarsi dalla dittatura di Muʿammar Gheddafi. Questi fatti mi avevano messo grande tristezza e decisi di rappresentare uno di loro nell'atto di abbracciare sua moglie e morirle tra le braccia dopo esser stato colpito. Per accrescere l'angoscia del momento decidevo di non descrivere la situazione nella prima strofa, lasciando questa sul piano emotivo, ove l'immenso calore che esce dal cuore appare come la ione per la libertà (patria, moglie, madre, figlia). Solo nella seconda strofa esprimevo che quel calore in realtà fosse il sangue della ferita, mescolato alle lacrime della moglie. Chiudevo la poesia trasportando la scena straziante qui a Bellinzago, lontano dalla guerra, dove in realtà c'era solo notte e luttuoso silenzio.
JAZZ
Paf-pa-paf
Paf-pa-paf.
Risuona il ritmo del jazz.
S'alza nel cielo
il coro di voci:
lo spiritual sale più su,
e se affonda nel mare
raggiunge il profondo:
più blues scende più giù,
poi nell'aria si sente
profumo di rose:
aleggia lo swing e vola,
dove lucenti scintillano
raggi di sole
il dixieland brilla di vita,
ma il pazzo più matto
rincorre le note:
spara colpi in aria il bebop.
E tu, birra in mano, che fai?
Spessa è la sera
se palpita il cuore del jazz.
Anno imprecisato ante 1999
In questa poesia volevo portare alcune immagini e quindi emozioni, legate ad un genere musicale che amo.
PAOLO NOVA
Mentre nebbia avvolge il paesello
E la ragione ragion non trova
Un colloquio ti ferma il cervello
Non faro che la via ritrova
Ma semplice e solida rena
Sabbia, non dura roccia
Spiaggia che il fragor del mare frena
Idea che come fiore sboccia
Così dubbio e smarrimento placan
Senza il giunger di verità assolute
Solo stesse emozioni vissute
Mentre piume al vento vite vacan
Nella notte dammi retta
fallo in fretta
prova
sta a sentir quel che ti dico
parla un poco ad un amico
grazie mille Paolo Nova.
In data 12 gennaio 2011
Una poesia dedicata ad colloquio con un amico e di come una conversazione con lui servì ad arginare i miei mille dubbi del momento. Lo fece così, semplicemente, senza indicarmi una direzione bensì presentandomi e condividendo esperienze vissute, capite, portate dal destino più che da scelte compiute.
NUVOLE
Sono nuvole
Chi sa dirmi
Che forma hanno le nuvole?
Ora bianche e soffici
Oppure cupe e scure
Che infondono paure
Portate da venti e vortici.
Sono nuvole
Chi sa dirmi
Che forma hanno le anime?
Ora franche e audaci
Eppure cupe e scure
Che affrontano paure:
portate da venti e vortici.
Anno imprecisato ante 1998
Poesia sulle nuvole che da sempre mi hanno affascinato per la loro essenza mutevole e per la loro inconsistenza. Sullo stampo delle prime due strofe, la terza e la quarta ne rical cano musicalità e sonorità, riconducendo l'immagine metaforica delle nuvole all'animo umano. Anche le anime degli uomini sono come le nuvole. Chi sa dirmi che forma hanno le anime? L'anima è una nuvola: mutevole, unica e varia, portata dal destino.
TANGO
Blu cupo
di un pezzo di cielo.
Scintille vive
le stelle su, più su
e sagoma cupa
si staglia in esse l'unione.
D'argento puro,
brilla il violino.
ione che brucia
risplende negli occhi
e lame di fuoco:
son sguardi roventi.
Lento, lento,
veloce, veloce,
risuona lontano,
il ritmo del tango.
Olè!
Anno imprecisato tra il 1995 e 1998
Una poesia su di un genere di ballo sensuale e caldo, emozionate, che amo molto. A quel tempo andavo persino a scuola di ballo e l'intento era rendere una poesia con lo stesso ritmo "lento lento – veloce veloce” del tango.
E FU BAMBINA CON GLI OCCHI D'ACQUA
Notte buia, fuori
e acqua a cancellare rumori
e scrosci e gocce sole
che forse non verrà mai più il sole.
M'attardo riflettendo
pensando ad una dolce amica
e di lei sogno scrivendo
salutata poc'anzi, che la memoria non fatica
a ricordar ogni suo tratto di viso:
quei due grandi occhi ed il giocoso sorriso.
Era bambina, ricordo bene
e giocavamo distanti dagli anni,
ma nell'affetto da allora mi tiene,
scherzi e sorrisi che non fanno danni.
ate le lune è una donna,
elegante di abito e gonna
a lato del banco poggiata
si volge e con un'occhiata
mi pianta quel blu sin dentro nel cuore
sorrido, mi scosto: è proprio un amore.
Parlando osservo la splendida giovinetta
che vorrei aver, tra le mani, un'altra civetta
e quando mi sfiora la mano
e quando mi tocca
poter dirle "Ti amo"
poter baciarle la bocca.
Mi guardo nell'animo e scorgo
il vero di questo narrare
ch'è sol con affetto mi porgo
che nel giusto debbo camminare.
E piove ancora fuori e piove tanto
al caldo di un letto lei dorme
le mando due versi ed un canto
e messaggero di un gufo le forme
“Riposa serena” nel buio di questa magia
perché quella bimba che è donna è anche un po' mia.
Anno imprecisato ante 2002
Inizio. Poesia dedicata ad una amica, figlia di amici, a cui da piccola regalai un pupazzo con le fattezze di Edwige, la civetta del personaggio della Rowling. Una sera vedendola seduta al bancone del bar, ed accorgendomi di non aver più di fronte la piccola bimba che conoscevo, ho sentito il bisogno di scriverne poesia che sottolineasse la sua bellezza sbocciata. Il “vero del narrare” rappresenta l'immagine reale di me e delle sensazioni affettive, contrapposta al ionale giovinetto, suo coetaneo e mio alter ego, che vedendola se ne sarebbe potuto innamorare ed avrebbe voluto baciarla. Fine.
DOPO IL TERREMOTO
Trema la terra
e lascia mezze vite
così come la vite
di forti radici a terra.
In estate 2012
Nei giorni del triste terremoto in Emilia Romagna, i volti della gente che lottava e non perdeva la speranza mi facevano riflettere. Nella sua devastazione immensa chi resta e chi riesce a superare difficoltà estreme diviene solido e forte come la vite. Una vite dalle lunghe radici aggrappata alla vita. “Terra” infatti è da intendersi sia come termine reale, legato alla vite che come astrazione: pianeta madre che ci dà vita e morte.
VOTO
Libero dalla croce
già traccIATA sulla scheda
attendo un cane feroce
o una brutta faccIATA
troppo grande il garbuglio
l'intruglio di leggi
di cose, di vite noiose
da risolver coi seggi
Dopo la nera e cupa e vergognosa notte
e popoli e popoli e popoli andati
siam fuochi sparati
con mille e più rotte
ciascuno la sua via
sconnessa, intricata che sia
che non può abbandonare
che lo fa solo gridare
Ognun una voce
Ognun una croce
Ognun la sua croce
ciascun la può urlare
ma nessuno ad ascoltare
che 'l cambiare ci nuoce
E la croce è illusione
groviglio, “marnone”
guardando il futURO
mi viene sbadiglio
guardando a Rebecca
che domani s'appresta
tanto alti a volare
che cader sarà dURO.
Un fuoco, la legna
pane, salute ed un cuoco
un piatto, un sorriso e una vita
una croce... e solamente una matita.
In data 25 febbraio 2013
Poesia composta dopo il voto elettorale. Un voto ormai vuoto, inutile contributo a un destino della nazione segnato dalla storia: solamente il crollo dei sistemi istituzionali del ato portò radicali cambiamenti. Percependo la situazione italiana come irrecuperabile, decisi di scrivere questa poesia partendo da me stesso: individuo che il sistema tende a far convergere in unica massa, ideologia politica, pensiero; Soggetto che in realtà rappresenta un'individualità ben specifica e distinta. Per sottolineare questa diversità dalla medesima massa, ho voluto usare l'immagine delle scintille sparate dai fuochi d'artificio, ognuna con direzione diversa eppur tutte destinate a cadere a terra. La ripetizione usata, “ognun”, vuole sottolineare il ripetersi del messaggio del sistema che altresì assume diverso significato per ciascun individuo (croce = voto = fatica = lapide). Immenso ed irreale caos, baraonda mediatica (uso “marnone” dialettale per sottolineare volontariamente il mio bisogno di distacco culturale da tutto ciò) che alla fine mi annoia, perché chiassoso e ridondante; che in conclusione non cambia una virgola delle mie convinzioni e dei miei pensieri; che non altera la realtà. Così torno alle cose vere, autentiche, concrete, Cose piccole, ma comprensibili valori che hanno significato elevato e in cui credo fermamente. Cibo e calore, quello che serve per sopravvivere, unite a cose che danno piacere: un fratello (cuoco), un sorriso, un figlio. Proprio sull'ultimo verso contrappongo la croce, intesa come ristorante di famiglia in cui tutti noi abbiamo speso fatica e sacrificio (La crusa dal ga”= “la croce del gallo”), e che simboleggia una parte importante della mia vita, alla luce fioca di un'insignificante matita che, presa singolarmente, non cambierà nulla di ciò che ho ben chiaro nella mia vita. Ho anche voluto evidenziare in maiuscolo due rime le cui lettere finali mi pare suonino come un colpo, definitivo, lapidario.
UN NUOVO AMICO
E come neve sulle labbra e bianca
giunge il tuo sorriso,
candido Gesuita dal balcone,
ch'è prima volta che ti vedo il viso
e che con un gesto mi perdoni
l'anima un po' smarrita e stanca.
sco,
esco...
Un pesco,
il bosco,
in alto il cielo fresco
or ti conosco.
In data 13 marzo 2013
Una poesia dedicata a Papa sco che voleva rappresentare il senso di pace e serenità che la sua immagine mi trasmise, così , semplicemente, sorridendo dalla loggia vaticana. La prima strofa legata al momento specifico della sua elezione a pontefice. La seconda, all'immagine di San sco, santo umile a cui sono devoto. Un santo immerso nella natura che mi pareva di scorgere nella genuinità del nuovo papa, del quale avevo fresca memoria. Emozioni limpide, che ho vissuto nei pochi attimi successivi alla sua investitura, affacciato sul balcone di casa, guardando un cielo serenissimo.
A UNA RONDINE IN GABBIA
ad un'amica malata
Di nuovo osservo questo schermo
ch'è gabbia di tua gabbia,
vetrata di contorno nel tuo inferno
e spero sia il sorriso che tu abbia
e non cuore e voce rotti dall'interno.
Ogni giorno ti guardo,
rondine rinchiusa dal faccino smorto,
che sui tasti m'attardo
volendo dirti qualcosa di conforto
volendo beffeggiar quel male bastardo.
Ogni giorno spero in un sorriso
che di certo l'animo è in lotta
e l'occhio solo ti tradisce in viso
questa infame brutta botta
che ti esilia dal tuo verde fiordaliso.
Ma più a fondo vedo ardore,
forza e voglia di guarire;
vedo un pugno stretto e un cuore
solido e duro che sa patire
e pazientar saggio, nel dolore.
Che presto tutto questo sarà storia
che la tua bimba dolce saprà velare
con una coccola purificatoria
ed una stretta di manina trasformare
in esperienza degna di memoria.
Sonia, non ti conosco affatto
e forse nemmeno tu
pero' accetta questo contatto
stai calma e resta su
che tutto erà in uno scatto
e n'uscirai più forte... ed anche più.
In data 31 maggio 2013
Decisi di scriver questa poesia molto colpito da una amica malata di tubercolosi che, confinata in una camera di ospedale lontano dalla sua neonata bimba, ogni giorno trasmetteva agli amici brevi video e monologhi descrivendo i suoi stati d'animo e la vita di quarantena. La sincera schiettezza delle sue parole, delle sue risate e soprattutto delle sue lacrime avevano una forza dirompente nei miei sentimenti. Così non ci pensai molto nel comporre questa poesia nella quale la paragonai ad una rondine in gabbia, con la speranza di darle anche un piccolo o morale o quantomeno strapparle un sorriso. Ho usato“Verde fiordaliso” per richiamare la recente nascita della sua bimba attraverso l'immagine di un fiore, elemento naturale che ben si sposa alla metafora della rondine in gabbia.
SONNI FARNETICANTI DI RISATE
a "Quelli del sabato”
Rido nel vecchio cortiletto
e davanti a questo specchio,
ch'è del sabato il volto,
mi diletto, aspetto,
ascolto.
E belle quelle facce del sabato
non del villaggio
ma di un grande viaggio
che t'offron sempre un sorriso
ed oggi, nel più bell'abito,
una manciata di riso.
Contagiosa risata
giocosa,
giocando col riso
ed il sorriso un po' infantile,
ma felice
in quel della Felicina 'l cortile.
In data 14 luglio 2013
Una poesia dedicata alla bellezza dei miei amici, “quelli del sabato”. A farmi venire voglia di scriver questa poesia sono state le emozioni provate nel vecchio cortile e negozio della Felicina, da tempo dismesso ed ora recuperato come sede per una splendida iniziativa dell'associazione. Felicina: felicità, sorrisi, cibo, risate e riso. Sensazioni uniche che solo questi ragazzi sanno dare. Lo specchio è immagine di me che emotivamente mi sento molto vicino a questa associazione quando vengo coinvolto in qualche loro attività e quindi nella composizione mi vedo estraneo e contemporaneamente riflesso.
ALESSANDRA
Alla mia ballerina
Scorre, questa penna nella mia mano,
e traccia, su di un foglio spartano,
la luce d'un bellissimo viso:
la luce del tuo dolce sorriso.
Vedo i tuoi occhi brillare di vita,
e mentre danzi ridendo, ti sfioro le dita,
ti stringo a me forte, urlando di gioia:
un grido dal cuore, ma aspetto che muoia.
Rimango qui, solo, a pensarti,
e a quanto sia facile amarti.
Rimane a me, solo, il sapere
che mai ti potrò avere.
Non potrò aver i tuoi riccioli mori,
non potrò aver nulla, da fuori,
ma infondo trabocca il mio cuore
e viene a placare il dolore
l'immagine di tenera viola,
mai colta e purtroppo non sola.
In inverno tra il 1996 e il 1998
Poesia dedicata alla compagna di danza nelle due stagioni di corsi di ballo che feci. Bella ragazza di cui mi presi una cotta ma fidanzata e così inarrivabile, come un fiore che mi era impossibile cogliere.
SPUMANTE
MALELINGUE
Il vento spinge d’acqua il velo
del lago ch’è la mia quieta stanza
e del fiore a riva inarca lo stelo
e gobbe d’acqua ed onde vere alza.
Così paura e coraggio s’agitano nel cuore
che più mi perdo più queste onde alimento
e la ragione si perde e resta il terrore
e silenzioso dentro appesta il tormento.
Vento che mi strazia.
In fondo solo aria mossa.
O solo ira di Sua Grazia.
Che poi di colpo placa
e torna calma questa fossa.
Non ti dia spavento
questo sciocco vento.
In autunno 2012
REGINA ANCH'IO
Lontano il suono illumina il cielo notturno
Con pailetts, parrucche, trucco ed un gingillo.
Prima o poi diventerà il mio turno
Con una zampa immensa color mirtillo
Ballerò la Gaynor urlando forte
E ammiccherò al mondo come un mandrillo
Al vizio e lussuria aprir le porte
Con la mia Lazza e la bimba e i tacchi a spillo.
Balzando via da questa corte…
In data 15 febbraio 2012
Dopo aver assistito al musical “Priscilla” sentii il bisogno di esprimere la mia voglia di evasione da un paese (gente, Bellinzago, Italia, mondo) dal pensiero impacchettato e rigido, convenzionale. Così, ecco nascere un luogo lontano, una nuova vita di piacere a tutto tondo. Un piacere tanto grande da infrangere quella convenzionalità e diventare trasgressivo al punto da apparire volutamente peccaminoso. Il tutto senza però prescinder dal legame con le cose realmente importanti, qui rappresentate da ciò che evidentemente era fondamentale nella mia vita (Silvia e Rebecca).
ZAC
Svariate ferite, infinite.
Da destino, birichino.
Puoi attenderle, prenderle.
Pancia in dentro, anche dentro.
Petto in fuori... forse muori.
Sono pronto... zac!
(dignità)
Anno imprecisato ante 2004
Una poesia sulla dignità di saper affrontare le sconfitte della vita a "testa alta", anche nelle situazioni in cui il destino sembra essere già tristemente scritto.
SCHIUMA DURA
In memoria di zio Angelo
Dalla mano stanca,
così, scivola il boccale
ormai vuoto
Dalla mano sfila,
poco dopo Natale
e cade
Solo una scia bianca
lascia
Solo una vita stanca
finita
eppur quanto mi duole
il cader di quelle gocce sole.
In data 29 dicembre 2009
Dopo la morte del mio caro zio ho voluto scrivere questa poesia per ricordarlo. Lui che amava la birra e pretendeva che questa avesse la schiuma dura. Così ho immaginato che fe sfilare dalla sua mano l'ultimo boccale, l'ultima stilla di vita, lasciando solo una scia di poca schiuma sul pavimento, come poche gocce della sua esistenza che non avrebbe mai più potuto bere. La mia tristezza e la solitudine della sua morte sono espresse dall'ultimo verso in cui le “ultime gocce sole” sono i suoi ultimi giorni in cui non ero presente. Solitudine da intendersi relativa al rapporto che aveva con me e non con altri: dopo la nascita di Rebecca avevo tentato di andarlo a trovare dove era ricoverato solo una volta, senza per altro riuscirvi.
SCORRE
Sopra.
Tardo il buio della notte
da saette nuvole rotte.
Sotto.
Il nero catrame del presente
scivola inesorabile verso niente.
Dentro.
In questo vetro e metallo,
in una piazza immensa,
son come un pezzo in stallo.
Pazzo è chi pensa.
In data 3 giugno 2010
Ero in auto e riflettevo sui problemi dell'ultimo periodo: la vergognosa denuncia di abuso edilizio, portata avanti in maniera indecente che ha colpito la mia casa, tutto ciò che possedevo, la mia vita e la mia famiglia. Mi scervellavo tentando di trovare una via di uscita che non fosse quella più facile della sanatoria che avrebbe però significato arrendersi ad accettare un torto, una colpa che non avevo e non meritavo. Ogni pensiero andava comunque in stallo poiché ogni soluzione avrebbe avuto riflessi su Rebecca, Silvia e Stefano e Daniele... Chiudevo infine la poesia perch é ero giunto a lla conclusione che vi sono dei casi nella vita in cui non serve arrovellarsi. Molto meglio fare il dovuto, seppur doloroso, per il nostro bene e quello dei nostri cari. Nei fatti io ed il mio socio facemmo la cosa “giusta”: decidemmo di presentare sanatoria a nostro completo discapito, in modo che i nostri affetti non fossero coinvolti in una lunga azione giudiziaria nei confronti del comune e dei tecnici.
E SORDO
Muto, il silenzio che m'esplode dentro.
In data 23 marzo 2011
Come esprimere la consapevolezza e la tristezza di un momento di vuoto assoluto? Mi è “uscita” questa poesia in cui il senso di mancanza, di vuoto, lasciato dal silenzio delle emozioni, si esprime come una mancanza sensoriale nel titolo (sordità) che ho voluto amplificare con lo stato di silenzio. Una tristezza apatica, in cui “nulla da dire” (il silenzio) non potrebbe comunque esser detto (muto) e nemmeno ascoltato (e sordo). Questo vuoto però è talmente grande da esser percepito e addirittura esplodere o forse meglio, implodere, senza che alcun lo percepisca.
SOLO O NON SOLO
Quasi quasi volo via.
Sono soldi.
Solo soldi.
Sono solo i soldi.
Sono io il povero?
Sono Povero.
Solo povero.
Sono solo povero.
Altri hanno fame.
Sono affamati.
Sono affamati.
Non sono solo affamati.
Non sanno di essere poveri.
Sanno di aver fame.
Solo di aver fame.
Sanno solo di aver fame.
Allora rimango qui.
Sono egoista.
Solo egoista.
Sono un egoista solo.
Anno imprecisato tra il 1995 e 1998
Di fronte a problemi economici personali, riflessioni sul significato di povertà e denaro, vengo portato a mettere in discussione, o quanto meno ad analizzare, la mia esistenza. Ne è scaturita questa poesia ricca di punti interrogativi e prospettive indeterminate.
TRISTEZZA ALCOLICA
Marcio e flaccido sto steso
l'alcol scioglie mente e peso
niente conta e niente voglie
ecco, il senso
motivo, recondito
per cui pecco
e sopravvivo
sfuma, la trama
merda, puttana
del mio faticar
logica alcuna
che vera, gioia
non è tribolare
ma mera,
aspettare la festa
e mentre satollo
mi torce il ventre
m'abbandono mollo
poiché infine
felice già sono.
In data Novembre 2012
Dopo una serata di festa la sensazione di angoscia di dover tornare alla normalità è vivida ed accentuata dall'effetto dell'alcol assunto. Unica consolazione è sapere che, in ultima analisi, non avrei potuto desiderare di esser più felice nella mia fortunata vita, per dura o insignificante che sia.
MUORE IL PROTAGONISTA DEL FUMETTO PIU' BELLO DEL MONDO CHE TUTTI AMANO E CHE... VAFFANCULO!
Odiare attesa
grrrrrrrrrrrr
eppur sospesa
uhhhhhhhhhhhh
maledetta resa
arghhhhhhhhhh
anima tesa
daiiiiiiiiiii
e non presa
maiiiiiiiiiii
fiamma accesa
siiiiiiiiiiii
vita spesa
............!
Anno imprecisato 2011
Una poesia sfogo contro la perfezione di certi eroi così simili a persone in carne ed ossa. “Precisini”, figli di papà, morigerati giusti e corretti, moderati e pacati uomini giusti o eroi. Protagonisti e personaggi che non sbagliano mai, sempre retti e sempre corretti contro il mio mondo di dubbi e sbagli. Ma che senso poteva avere una vita di eroe così piatta... Il senso di una vita non vissuta, solo spesa.
DISTORSIONE D'AMORE
La sagoma cupa, ritaglio di luce
dal nonno conduce, a nanna di pupa.
Immobile, desta, le trema la testa,
le soffoca'l cuore, profondo terrore.
Non è, questo, amore ma nero dolore
è sogno spezzato, è morte del cuore.
Rimane'l sudore, sul letto violato,
ed incubo di profondo sgomento e...
... sul pavimento un orsetto di pezza
non è questo amore non è 'na carezza.
La porta si chiude, e buio sprofonda,
ovunque circonda due braccine nude.
Lontana la luce, lontano l'affetto
perverso difetto che amore... muore.
Giorno imprecisato ante 14 febbraio 2013
Volendo partecipare ad un concorso di poesia dal tema “San Valentino: l'amore in ogni sua forma” e dopo aver visto un servizio alla televisione su di un caso di violenza ad una bambina, ho rammentato un racconto di Paolo Nova pubblicato nel suo libro “il dormiduro”. Così ho pensato che una delle tante forme dell'amore poteva essere una deviazione aberrante come quella di un nonno che giunge a violentare sua nipote. E che l'amore di per sé è cosa astratta e intima che p uò anche es ser malata. Ecco quindi, questi versi, dipingere un quadro perverso ed agghiacciante di questo abominio dell'amore. La poesia voleva essere fortemente provocatoria anche nei confronti del contesto in cui era inserita: la festa di San Valentino che, di per sé, rappresenta una caricatura dell'amore, ovvero quell'immagine di esso strumentalizzata per fini di mercato. Nota: La poesia ovviamente non ebbe alcun seguito e probabilmente fu cestinata già dal primo giudice.
ILLUSIONE
Come cane a catena
che sogna il mondo
quando libero
ancor restare
accanto al palo.
Anno imprecisato ante 2012
Poesia composta riflettendo sullo stato di persone che vorrebbero vivere diversamente ma per i più svariati motivi ne sono impossibilitate. Quand'anche i limiti svanissero, questi, continuerebbero a mantenere la stessa condizione, lasciando il cambiamento a mero ruolo di miraggio. Una poesia sulle catene che ci auto-costruiamo costringendoci in un area di vita ristretta (accanto al palo) e perdendo una libertà ben più ampia e possibile.
V'ERA
Nella primavera di mio amore
Lore, bella come un fiore, era
gli occhi perle nere di miniera
e criniera folta e lunga, nera.
Senza far sentir la sua preghiera
e senza lacrima stava, amara,
già disse Verga, una capinera
io, a Fede, aprii la mia voliera.
Poi Mara, e 'l cuore andò una sera.
Giovane e dolce, cara e mora
che me la ricordo bene ancora
come 'l Cusio celeste d'occhi, era.
E Laura e Laura, Laura fin' ora
fuochi come aurora sul sentiero
dell'estate dell'insano fervore,
Sonia, splendore, e altre ancora.
Poi venne sera, poi venne dolore
Lu mi prese letteralmente 'l cuore:
ero autunno dal grigio umore
e l'amai, spaccandomi d'ardore.
Inverno, fuori galaverna, ora,
ma con Silvia c'è tanto bel calore
c'è una bimba riccia e mora
due gioielli e ogni dì stupore.
In inverno 2012/2013
Mentre osservavo Silvia e Rebecca giocare, nel calore di una serata invernale, ripensai un poco alla mia vita sentimentale, alla mia storia, quella che mi aveva portato ad assistere all'incanto che avevo davanti agli occhi: madre e figlia, mia figlia, intente a g iocare allegre. Così ho composto una poesia in tempo imperfetto, remoto e poi presente, giocando con le rime, assonanze, allitterazioni are, ere, ire, ore, era, ara, ecc., per ottenere un risultato che ripercorresse qualche immagine di questa storia "finita", conclusasi in quello specifico momento di calore famigliare. “Calore” inteso anche come pace interiore, appagamento sentimentale, contrapposto al freddo, travaglio dei sentimenti del ato, fuori, rappresentati dall'inverno.
SPICÍNT AL CAFDÍN D'LA PRIMAVERA
Aspettando il calduccio della primavera
Súta stu purtón
i ta spècia rundinèla,
monda via stu nivlón
e cumìncia la tœ sgamèla
Fora d'la pórta
i vœi vœc la vègia
sitò sü l'a scagnìn ca ta spècia
ti, el prüm sù, che in có l'è smórta
Dai, biònca dal cü négar
gùla suta stu câss a fé la cóva
fò bragé i matai in d'la curta nóva
che dèss i guàrdan mò da drè 'l védar
Trad.
Sotto questo portone
t'aspetto rondinella
scaccia questo nuvolone
ed inizia la tua fatica
Fuori dall'uscio
voglio veder la vecchia
seduta sullo sgabello che ti aspetta
te, e il primo sole, che in casa è pallida
dai bianca dal di dietro nero
vola sotto il cassero* a far il nido
fai gridare i bimbi nel cortile nuovo
che ora guardan solo da dietro il vetro.
* Cassero termine locale per definire una tettoia rurale ad uso ricovero per l'essicazione del fieno, cereali e mangimi.
In data 29 marzo 2013
Una poesia in dialetto, per come mi sia stato possibile scriverlo, in cui l'invito al ritorno delle rondini rappresentava la mia voglia di primavera. Decisi di scriverla in dialetto perché mi pareva meglio trasmettere le sensazioni interiori delle figure che volevo descrivere. Figure di corte, rurali, stemperate nel tempo.
AL SIRO
Il Siro
In dl'òngul d'la voia casîna
scür e silenziùs al me cœur al brìna
chi g'ho 'ncura cula musicœta in d'la teschta
ca baschteva 'n bicér par fe gnì feschta
Mi sunéva l'quartìn e ti t'tireva la fìsa
in dü: ti un grand'om e mi... 'n matalìn
cui bòcia scarùs chi girèvan suta i taval
i sunevam insì fòrt da spuantè l'diaval
E ti c'at canteva “viva l'amor...”
e n'aft gir cun la fisa... “viva l'amor...”
e i doni i ghignevan,
ch'al finàl giò 'l savevan,
e poe d'na pirula dal quartin ig al 'devam
“...quando si fa la cacca si sente l'odor”
A gh'eva mia vüna, in di sa tèra piòta,
da ris e malgón, che sintì la tœ fisa la gneva mia mòta,
al ciel a squaréva e a tucc a smaieva
che cun la tœ aria ònca 'scür a briléva
Afci dei, afci temp, chi gh'inan piü
ed onca ti te mandò l'munt a da via l'cu
t'è lì dal signùr cun al tœ schtrümémt en bicer da cul bón,
ma chi süla tèra cum le scür cul cantòn.
Trad.
Nell'angolo della vuota cascina
scuro e silenzioso il mio cuore gela
che ho ancora quella musichetta nella testa
che bastava un bicchiere per far partire una festa
Io suonavo il quartino (clarinetto mib) e tu “tiravi” (il mantice) della fisarmonica
in due: tu un uomo adulto ed io... un bambino
con i mocciosi dispettosi che giravano sotto i tavoli
suonavamo tanto forte da spaventare il diavolo
e tu cantavi “viva l'amor”
e un altro giro di fisarmonica... “viva l'amor”
e le donne sghignazzavano,
che il finale era ben conosciuto,
e dopo un virtuosismo del clarinetto gli davamo
“quando si fa la cacca si sente l'odor”
Non ce n'era una in questa terra di pianura,
di riso e granturco, che a sentir la tua fisarmonica non impazzisse,
il cielo crollava e a tutti sembrava,
che con la tua melodia anche il buio s'illuminasse
Altri giorni, altri tempi, che non ci sono più
ed anche tu ai mandato tutti a quel paese
Sei lì dal Signore con la tua fisarmonica ed un bicchiere di vino buono,
ma qui sulla terra com'è (rimasto) buio quell'angolo (della cascina)
In data 20 luglio 2013
Il ricordo di un caro amico di famiglia risvegliò in me emozioni che mi sembrava opportuno riportare con una poesia in dialetto (con le difficoltà di scrittura del caso) per rendere fedele ritratto della sua immagine amata e ben voluta, quanto rustica e gioiosa. Per accentuare ancor di più il suono dialettale ho inserito pochi versi di lingua italiana, proprio come lui stesso amava fare, scherzando, quasi a voler sottolineare la sua natura “volgare”, nel senso più nobile del termine, ed anche conviviale e guascona. Il ricordo è legato alle volte in cui, io bambino e suonatore imberbe di clarinetto, mi ritrovavo in ca scina con le famiglie di amici. Tra un piatto ed un bicchiere di vino, arrivava poi il momento di imbracciare gli strumenti. L'ultima strofa rivela un po' di nostalgia per quei tempi andati e malinconia per la sua scomparsa.
PREGHIERA PACATA DEDICATA
Vorrei spaccarti i denti in faccia
sperando che mi piaccia, menarti,
e che questo pugno chiuso in pugno
t'arrivi in pieno grugno indegno.
Indegna!
D'ignoranza pura e vergine, pregna.
Non guardarti, cloaca d'intelletto
sei il retro di un disegno perfetto
sei l'erba sotto una gran “bulaca”.
Sfracellarti il cranio con un martello
creparti il naso e con pestello
e scoprirvi dentro un sol pisello,
senza cervello, capra, crepa!
Sei grigia sola e piena di tristezza.
Forse non ti meno, cozza!
Ma “col cazzo” una carezza.
Fai ribrezzo anche al disprezzo
di rabbia folle sprizzo,
e tu non cambi mai indirizzo.
Una cosa, sai? L'ho scoperta:
su tanta gente in posa
tu sei la più noiosa
e vaffanculo a te brutta carogna
testa a spigolo sempre allerta,
che il gran poeta scrisse,
non ti picchierò
che sei una fogna ingorga
per quanto piena di tue fisse.
Così, ogni volta, prego.
Poi mi volto, vado,
rido dentro che quasi cado,
perché di te me ne frego.
Anno imprecisato ante 2013
Uno sfogo nel quale ho voluto mettere tutta la violenta rabbia interiore verso una persona ignobile. Un'esplosione volgare cruda e diretta anche nella scelta delle parole e del ritmo incalzante. La poesia in questo caso mi serviva per incanalare un'emozione negativa e semplicemente assegnarl a all'individuo affinché la sua bruttezza esistenziale ed interiore venisse come congelata e tramandata ai posteri, emblema di infima nefandezza. Una n ota: nella poesia ci sono più o meno celati richiami volgari, tra questi, importante sottolineare “bulaca”, termine dialettale (o anche bulacca o bugascia) e quindi rozzo, per definire il letame bovino allo stato brado, termine che richiama la sonorità dell'altrettanto volgare "bagascia" usato per definire una meretrice. Il verbo "allertare" è coniugato in seconda persona, imperativo, per significare sia il mio augurio di una vita in perenne statodi allar me e richiesta di aiuto (tu, continuerai a dover chieder aiuti invano poiché sei una persona sola), sia il cancerogeno stato di timore (tu, stai all'erta, poiché chissà cosa ti può capitare). Tutto quanto al fine di rendere un ampio senso di i nquietudine legato ad una descrizione tanto rovente.
Ringraziamenti
... E UNA GRAPPA
A te,
LETTORE,
che haiVoluto scoprire
un po' della mIaVita,
qui raccontata con una modesta e limitata poetica,
auguro dIvivere
FELICE
Grazie.
Un ringraziamento particolare a:
Paolo Nova, il dormiduro, senza il quale questa mia piccola opera non sarebbe mai stata pubblicata;
Riccardo "il" Parrini per l'aiuto nella notazione e la profonda amicizia.