Ivan 5w5yr

iVAN

Episodio I

La ragazza del Giappone

LUCA MASALI

Copyright © 2012 Luca Masali

Copyright © 2012 L’Aeroplanino editore

Griante, Como

by agremeent with Pnla Piergiorgio Nicolazzini Literary Agency Direttore editoriale Angela Andò

ISBN: 978-1-4717-7994-7

. . . . . . . . . . . . . . . . .

INTERDIMENSIONAL VAN

UN FURGONE PER VIAGGIARE NEI MONDI ACCANTO

LA RAGAZZA DEL GIAPPONE

Nubi basse sull'alba. Ha appena smesso di piovere. Una strada bagnata corre lungo la costa rocciosa, scoscesa. Il mare è agitato, si frange sulle rocce alzando enormi spruzzi che finiscono sull'asfalto intriso di pioggia.

Una ragazza corre sul ciglio della strada. Porta leggings neri lucidi appena sotto al ginocchio, maglietta estiva con sopra una cerata molto techno, da trekker, col cappuccio. Occhiali da sole appesi alla scollatura e orologio col GPS. Ha tratti orientali, è sui venticinque anni. Corre leggera e veloce sulla strada, senza forzare, con un ritmo regolare, senza voltarsi mai. Nelle orecchie ha auricolari senza fili collegati a una specie di telefonino indossato come un braccialetto.

Qualche curva prima, sulla stessa strada bagnata, sfreccia un vecchio pulmino Volkswagen, rosso col tetto color crema, attrezzato a camper. Un vecchio modello, quello ancora col parabrezza diviso a metà e la grande decorazione VW sul muso.

A bordo due ragazzi e una ragazza. Quello che guida ha occhiali da sole rotondi a specchio alla John Lennon, dreadlocks e camicia etnica. Al suo fianco siede una ragazza dai tratti mediterranei, con lunghi capelli neri. Ha un vestito chiaro con una lunga gonna morbida e vaporosa. Sul divanetto posteriore c'è un classico nerd: un ragazzo con capelli tagliati corti, occhiali da vista dalla montatura spessa, camicia a quadretti, jeans e mocassini. Faccia da bravo ragazzo, con appena un'ombra di peluria, appena sovrappeso. Continua nervosamente a digitare su un tablet il cui schermo gli illumina il volto di diversi colori.

La ragazza guarda il mare con aria preoccupata. Al largo le nuvole sono più nere

e compatte, e all'orizzonte compaiono spesso lampi troppo lontani perché si senta il tuono. Un'onda più alta delle altre si frange su uno scoglio proprio vicino al tornante che il furgoncino sta affrontando. Una cascata di spruzzi investe il furgone sul lato, dove la ragazza con la gonna sta guardando l’orizzonte minaccioso. Lei strilla e si rannicchia sul sedile.

–Ate, Ate, tu mi farai impazzire– sbotta ridendo il ragazzo al volante. È eccitato, sobbalza sul sedile atteggiandosi a uno scimmione e accelera al massimo il vecchio Volkswagen.

–Era solo uno spruzzo– cerca di rassicurarla il ragazzo col tablet, che non alza gli occhi dal suo schermo. Digita sempre più nervoso e veloce. Poi con un mezzo sorriso timido dice –Però tu dovresti proprio accelerare, Geko–.

L'interpellato ride ancora più forte. –Certo che era solo uno spruzzo, sennò non stavamo qui a discuterne. Quanto tempo abbiamo, Cervello?– il nerd alza gli occhi al cielo e si stringe nelle spalle. –In realtà, non dovremmo averne più... dovrebbe essere già arrivato da qualche minuto–...

–Ma visto che siamo ancora qui, vuol dire che hai sbagliato i conti– taglia corto con disprezzo Geko.

Un po' piccato, il nerd torna a guardare il suo schermo. –

Preferisco sbagliare per prudenza che per spacconaggine–.

–Preferisco sbagliare per prudenza che per spacconaggine–

lo scimmiotta Geko. Il furgoncino corre alla massima velocità schizzando acqua dalle pozzanghere che incontra sulla strada deserta.

La ragazza che fa jogging continua a camminare svelta, saltando agilmente le pozzanghere. Alle sue spalle, il furgoncino s’ingrandisce. Lei non si accorge della sua presenza, è tutta presa dalla sua corsa e dalla musica nelle orecchie. Il furgone diventa sempre più grande, finché non la supera, schizzandola con una cascata d'acqua e fango di una delle cento pozzanghere.

Fradicia d'acqua sporca, mogia, la ragazza alza appena un braccio per maledire il furgoncino che sparisce dietro il tornante successivo. Si siede su un masso tra strada e oceano. Con un fazzoletto cerca di cancellare le chiazze di fango dal volto, usando il cellulare che porta al braccio come specchio.

Nello schermo fa le smorfie per pulirsi. Ma qualcos'altro sta ingrandendosi rapidamente alle sue spalle: un grumo di pixel rossi e crema, che velocemente diventano il sedere del furgoncino Volkswagen. Rumore di freni, e nuova doccia gelata.

–Ah no, adesso basta!– tuona la ragazza, balzando in piedi di nuovo tutta fradicia. –Dico, ma sei ubriaco? O sei semplicemente stronzo?–

La porta del furgoncino si spalanca. Il braccio tatuato e robusto di Geko la prende per la vita e la tira dentro, mentre lei strilla di rabbia, sorpresa e spavento.

Sgommando, il furgoncino balza avanti.

TSUNAMI

–Mollami! Mollami subito!– strilla la ragazza orientale, bloccata dal braccio di Geko, che guida con una mano sola stringendola a sé, continuando a ridere e a lanciare dei gridi guerreschi. Ate si è seduta sul sedile dietro, vicino al nerd pallido. Il ragazzo guarda con orrore qualcosa sul suo tablet. –

Geko, non ce la facciamo!– Una goccia di sudore gli scende lungo le tempie.

–Non dovevi tirarla su! Non dovevi!– grida Ate, tempestando di pugni il braccio con cui Geko stringe la sua vittima.

–Tranquilli che ce la facciamo! Guardate, ecco il bivio!– tuona Geko, sovrastando con l'autorevolezza del tono le urla degli altri. Davanti al furgone la strada si biforca: quella principale, asfaltata, prosegue lungo il mare. Sulla sinistra un viottolo sterrato s’inerpica sulla montagna con una decisa salita. –Vai Ivan, vai!– incalza Geko, guidando con ancora più grinta.

Tutti fissano il bivio indicato da Geko. Tutti tranne il nerd, che invece schiaccia il naso sul finestrino laterale. Il suo volto è progressivamente oscurato da un'ombra che diventa sempre più netta. –No, stavolta non ce la facciamo– sussurra con un filo di voce. –È già qui–. Dai finestrini del furgone si vede avanzare un'onda immensa, minacciosa, scura, con la spuma della cresta che si confonde con le nubi temporalesche che la incoronano con continue scariche di fulmini.

–Oh, padre Giove!– balbetta Ate, che con gli occhi sbarrati guarda lo tsunami che si avvicina inesorabilmente.

Il furgoncino imbocca lo sterrato così velocemente da rischiare di ribaltarsi. Geko molla la ragazza orientale, che rischia di sbattere la testa contro il vetro, per controllare in controsterzo con due mani il furgone. Lo fa a salire lungo lo sterrato, scatenando una nuvola di povere.

Lo tsunami si abbatte con inaudita violenza sulla strada fino a un attimo prima percorsa dal van, facendo volare enormi blocchi d'asfalto e rocce. Un oceano d'acqua spumeggiante risale ribollendo anche lungo lo sterrato, il mare sembra lanciarsi all'inseguimento del furgone. Ate, la ragazza orientale e il nerd strillano mentre Geko si aggrappa con tutte le forze al volante.

Con tono concitato ripete –Vai Ivan, vai Ivan!– il furgone corre lungo la montagna, ma l'onda è sempre più alta e ribollente. La spuma avvolge il van, finché non si vede solo il muso crema e rosso, poi anche quello sparisce avvolto dalla spuma. Qualche secondo dopo, il furgone riappare, e l'onda piano piano rifluisce nell'oceano cupo e agitato. –Yuhuuu! Ivan, lo sapevo che ce la facevi!– esclama Geko, dando un pugno al volante. Così facendo colpisce il clacson, che resta incantato a suonare.

–Cervello, ma non lo avevi aggiustato?–

–Fermati, ho bisogno di aria– dice Ate.

–Io sento che sto per vomitare– dice il nerd.

–No, vomitare di nuovo no!– sbotta Geko, e inchioda, facendo fermare il furgone proprio su un tornante dello sterrato, dove comincia un bosco di conifere. Il nerd apre la portiera posteriore, e lui e Ate scendono a respirare l'aria carica di sale. – Yu–huu, siamo vivi! Vivi!– esclama il ragazzo, allargandole braccia al vento impetuoso.

–Già, ma solo per un pelo. Insistendo a tirar su quella là, hai rischiato di farci ammazzare tutti– ribatte acida Ate.

Il clacson del furgone continua a suonare.

La ragazza orientale è rannicchiata sul sedile anteriore, accanto a Geko. Guarda lo tsunami ribollente ritirarsi nell'oceano pieno di detriti, tra cui tetti di case, alberi e auto che affondano lentamente.

Una bambola di pezza sorridente, vestita con un kimono giapponese, affonda in uno dei tanti gorghi dell'area del disastro.

–Mi hai salvato la vita?– chiede un po' imbarazzata.

Geko si stringe nelle spalle. –Non potevamo lasciarti lì.

Nessuno di noi lo avrebbe permesso, nemmeno Ate, anche se è così sconvolta che straparla–.

–Ma come lo sapevi? Dello tsunami, intendo. Come sapevi che sarebbe arrivato?–

–Eh? L'ha detto... ah, certo, la radio!– Geko indica la vecchia autoradio anni '60 del furgone.

–Io non ho sentito niente al giornale radio– dice la ragazza orientale. Geko guarda l'auricolare wireless che lei porta all'orecchio. Un design semplicissimo, sembra una goccia di acquamarina translucida che cambia colore a ritmo della musica.

–Quell’affare che hai all’orecchio piacerebbe a Cervello. Un casino, gli piacerebbe–. La ragazza lo guarda seccata. –Cervello?

Il ragazzo gentile con gli occhiali? Non ce l'ha un nome?–

Geko ride. –Un nome? Come no. Marcello. Marcello, per tutti Cervello–.

–Cervello per gli amici? Begli amici!–

–Per tutti, ho detto. Amici non ne ha, Cervello–.

–Oh, invece tu sei un vero figo pieno di amici, giusto?–

Geko si rabbuia. –Un tempo ne avevo. Ma è stato molto tempo fa–. Con un gesto da contorsionista, Geko le apre la porta del van. –Vai a casa, ragazza. I tuoi saranno preoccupatissimi, se non avranno tue notizie dopo lo tsunami–.

La ragazza si toglie il cappuccio della cerata dalla testa. Ha i capelli nerissimi raccolti in uno chignon infilzato dai kanzashi, i tradizionali spilloni giapponesi. Una varietà molto techno di kanzashi, però: tutti in carbonio nero. Mentre scende a terra, Geko guarda affascinato i piedi di lei: piedi piccini, flessuosi, con unghie laccate di nero. Ma a catturare l'attenzione del ragazzo sono le stranissime scarpe che porta. Sembrano una versione futuristica dei geta giapponesi, una via di mezzo tra zoccoli e infradito, con due grandi zeppe sulla suola, che la tengono sollevata dal terreno. Solo che questi geta non sono di legno, ma di una gomma ad alte prestazioni, molto adatta a correre. Visto che non piove più, lei si toglie la cerata e la infila nello zaino.

Sotto porta un piccolo kimono aderente.

Ate e Cervello guardano la ragazza scendere dal furgone. –Oh Zeus. Sbaglio o sei lontanuccio da casa, Cervy?–

Cervello deglutisce guardando la ragazza che si avvicina a loro. Quando è a pochi metri, lei accenna a un inchino. –Grazie per avermi salvato la vita–.

Ate sorride nervosamente, mentre Cervello guarda affascinato l’oggetto che la ragazza porta al braccio. Sembra un cellulare senza tastiera ma con un grande schermo nero. Sullo schermo appare per un attimo la faccia di Cervello, come se il telefonino gli avesse scattato una foto. La fotografia digitale si piega come l'origami di un uccello, spicca il volo e lo schermo ritorna nero come uno

specchio di ossidiana.

–Io comunque mi chiamo Masako– dice lei. E tu devi essere Ate. E tu Marcello, giusto?–

–Cervello. Chiamami Cervello, come fanno tutti.

Ate guarda intensamente negli occhi Masako, cercando senza riuscirci a farle abbassare lo sguardo.

–Dovresti andare, adesso. Saranno tutti in pensiero per te– le dice in tono freddo.

–Siete gentili a preoccuparvi per me. Ma non dovreste: la mia casa è molto lontana da qui, a Nagasaki. E tut i quel i che mio vogliono bene sanno che è tut o a posto, il mio Ema funziona benissimo–

dice Masako, bat endo la mano sul ’ogget o che ha al braccio.

Lo schermo dell'Ema si illumina ancora. Appaiono alcuni ideogrammi su uno sfondo di carta di riso. Anche il foglio si piega in una rana origami che salta via.

–Ema? Forte! Scatta da solo foto di quel che vedi, scrive messaggi e li manda ai tuoi contatti?– chiede Cervello.

Masako aggrotta le sopracciglia. –Ma che modo di parlare!

L'Ema cattura con i suoi sensi elettronici i frammenti del mio universo interiore e li trasforma in immagini, aromi e poesie, che dispone nel mandala comune che mi unisce ai miei antenati e a chi mi vuol bene. Così tesse trame di armonia fatte di pensieri, immagini, odori e sapori con chi è in sintonia con me. Tu non ce l'hai un’Ema?–

–Ho Facebook, più o meno funziona come il tuo Ema. Ma non si possono postare odori, però– risponde Cervello.

–E meno male. Puzzi ancora di paura– interviene Ate.

Masako sta per dire qualcosa, quando il rumore di un motore la distrae. Dalla montagna scende una moto pesante, guidata da un uomo in kimono che sembra uscito da un manga: in testa porta un kabuto, un elmo nero lucido da samurai con due grandi teste di pavone dorate che da lontano sembrano corna; sul ventre ha una grande fascia in cui sono infilate due katana incrociate, e una serie di protezioni anatomiche che sembrano metallo, ma probabilmente sono carbonio gli proteggono le spalle, le braccia e le gambe. Dietro alla moto, due bandiere strette e lunghe piene d’ideogrammi sventolano nel turbine di polvere sollevata dalla motocicletta, anche lei pesantemente corazzata, e con il volto di un drago scolpito sul parafango anteriore.

–Un samurai!– esclama Masako, e si avvicina all'uomo che intanto si è fermato e ha appoggiato la moto al cavalletto. Masako s’inchina profondamente, quello risponde con un formale e lieve movimento del capo. E incominciano a parlare fitto tra loro, ignorando Ate, Cervello e anche Geko, che nel frattempo ha raggiunto i suoi amici.

–Cavoli, Cervello, non mi sembra che siamo finiti esattamente dalle parti tue. O sbaglio?–

Cervello si gratta l'orecchio. –Dovremmo esserci molto vicini, però–.

–Vicini?– sbotta Ate. –Ma l'hai visto come sono conciati quei due? Ma dico, cos'è, il baccanale?–

–Carnevale– la corregge meccanicamente Cervello. –Qui si dovrebbe dire carnevale. Almeno credo, ho l'impressione che non siamo esattamente dove speravo che fossimo–.

–Eh, altro che impressione– dice Geko, che saluta un po'

sarcastico con le dita della mano il samurai in moto. Per tutta risposta, quello dà gas, riprende la sua strada e non degna nessuno di uno sguardo. –Occhio che torna la tipa, scarichiamola velocemente e filiamo, sento puzza di guai– continua Geko sottovoce.

Masako ha un’espressione perplessa. Si ferma vicino al gruppetto, con i pugni sui fianchi.

–Indovinate un po’? Il samurai ha detto che lo tsunami è arrivato all’improvviso, senza nessunissimo avvertimento. E la radio non ha potuto trasmettere proprio nessun allarme. Allora, che volevate fare? Perché diavolo mi avete trascinata nel

vostro furgone?–

Cervello alza le braccia in segno di resa. –Niente, niente. Ci spiaceva di averti spruzzato col fango e volevamo portarti in un posto asciutto. Tutto qui–.

L’Ema al braccio della ragazza trilla rabbioso, e sullo schermo corrono velocemente ideogrammi, troppo rapidi perché si riescano a leggere.

–Ti è arrivato un sms– dice Cervello.

–No, è l’Ema che si è sovraccaricato. Sente troppa disarmonia.

Le vostre bugie offendono i miei antenati, e creano scompiglio nel mio mandala sociale– ribatte Masako, piuttosto offesa.

–Che sta dicendo? Chiede Geko.

–Dice che raccontiamo troppe balle, e questo sta facendo arrabbiare i suoi amici su quella specie di facebook che si usa qui.

–Oh beh, tante scuse agli onoLevoLi amici– dice Geko, con un inchino beffardo. E si avvia verso il van. –Andiamo, ragazzi.

Salutate la cinesina, che è tardi–.

–Cinesina? Ma non è giapponese?– Chiede Ate, perplessa.

–Cinesi, giapponesi, son tutti uguali– borbotta Geko, mentre sale al posto di guida del van. Il clacson sta ancora suonando, ma lui lo accomoda con un formidabile pugno.

–Scusalo, Masako. Non è cattivo, è la sua natura: è una bestia–

dice Cervello a Masako, con le guance arrossate dall’imbarazzo.

–E tu?– chiede la ragazza, impettita. –E tu saresti meglio di lui? Così onori i tuoi antenati, raccontando bugie a una ragazza che non conosci neppure?–

–Lui non ce li ha gli antenati, è cresciuto in un orfanotrofio–

s’intromette Ate. Prende Cervello per mano. –Vieni, sennò Geko si arrabbia–

E di fatti, il ragazzo con i dreadlocks al volante suona spazientito il clacson. – Che fate, aspettate il prossimo tsunami?

Andiamocene da qui!– grida dalla cabina del furgoncino.

–Aspettami solo un minuto, Ate– dice Cervello. La ragazza sbuffa e fatti pochi i entra anche lei nel furgoncino. Si siede vicino a Geko e con la mano si ravviva i lunghi capelli.

–Che fa Cervello, si è innamorato della giapponesina?–

sogghigna Geko.

Ate sorride. –Probabilmente si è innamorato del coso che lei porta appeso al braccio–. Ridono. Geko accende il motore del furgone.

–Non volevo offenderti, Masako. Te lo giuro– dice Cervello.

–Allora dimmi come potevate sapere dello tsunami–.

Cervello lancia una veloce occhiata al furgone col motore . Per l’impazienza, ogni tanto Geko dà delle smotorate che fanno salire di giri il vecchio motore Volkswagen raffreddato ad aria.

–Non chiedermelo, Masako. Sennò dovrei dirti una bugia. E io non voglio mentirti. Non voglio mentirti mai più–.

L’Ema al braccio di Masako trilla armonioso, e un usignolo origami sbatte le ali

sul piccolo schermo nero.

–Ecco, ho offeso di nuovo i tuoi antenati–.

Masako sorride e gli carezza la guancia con la punta delle dita. –No, l’Ema apprezza il tuo sforzo di riequilibrare l’energia negativa. Sei sincero, e io non ti chiederò più perché mi avete salvato. Masako sporge il braccio verso Cervello, che sfiora col dito lo schermo dell’Ema, che reagisce con suoni e colori.

–Sembra quasi che per te questa macchina abbia un’anima–

dice Cervello.

Masako sorride. –Tutte le cose hanno un’anima. Un kami, un piccolo spirito guida. Anche il vostro strano furgone ce l’ha, un kami. E un kami molto potente, ne sento la presenza fin da qui.

–Ivan? Ivan avrebbe un’anima, secondo te?–

–È così che lo chiamate? Ivan? Certo. Se una cosa ha un nome, ha anche un’anima–.

Cervello fa un’espressione tra il divertito e lo spaventato. –

Allora hai ragione. Altroché se ce l’ha. Puoi dirlo forte. Ivan è posseduto da uno spirito. Uno spirito molto, molto potente… e difficile da accontentare–.

Beep! Beep! –Allora, Casanova? Facciamo notte?– grida Geko sporgendosi dal finestrino del furgoncino.

–Sarebbe scortese da parte mia fare attendere ancora i tuoi amici– dice Masako inchinandosi leggermente. –Ti ringrazio per avermi salvato la vita e per aver riportato un po’ di armonia nel mio mandala–.

–Ciao, Masako. È stato bello conoscerti– dice Cervello. La ragazza si avvia verso il mare, ormai costellato di barche di soccorso che cercano i superstiti dello tsunami.

–Ah, Masako!– la chiama Cervello. Lei si volta.

–Sì?–

–Tu dicevi di venire da Nagasaki… Senti, ma il Giappone ha vinto la seconda guerra mondiale, vero?–

–Eh? – Masako resta un istante soprappensiero, poi sorride. –

Ho capito, parli della Grande Guerra dell'Asia Orientale? Quella contro gli americani, giusto?–

–Proprio quella–.

Masako scoppia in una risatina argentina.

–Ma certo che l’abbiamo vinta, lo sanno tutti!–

Beep! –Casanova! Andiamo via senza di te!– grida Geko, sempre più spazientito.

Il samurai sulla moto (lo stesso che poco prima aveva parlato con Masako) arriva a un piccolo villaggio attraversato dallo sterrato. Due uomini vestiti a loro volta da samurai, in piedi al centro della strada, con le mani sull’impugnatura delle katana, gli sbarrano il o.

Il samurai in moto si ferma, saluta e solleva la visiera del casco.

Ma prima che possa dire qualunque cosa, un grido dal cielo gli fa girare la testa verso l’alto. Gli occhi si spalancano per l’orrore e la sorpresa mentre vede quello che gli si sta avventando contro.

I due samurai al centro della strada ridono. Il casco del samurai in motocicletta cade a terra e rotola fino a loro. Uno dei due lo ferma col piede coperto dai calzini infradito e sandali geta hi–tech, simili a quelli di Masako. Si sentono suoni di battaglia.

Finché un grido di dolore non mette fine alla lotta. Allora si sentono gli stridii di un grande uccello che si allontana. I samurai raccolgono il casco e lo vanno a mettere sulla motocicletta, come se fosse un trofeo. Non c’è traccia del samurai centauro.

Sul sellino c’è solo una manciata di lunghe penne rosse, che il vento fa volare via.

TENGU

–Allora, Cervy, ti piace la cinesina?– chiede Geko, sghignazzando.

–Giapponesina, prego. In questo continuum il Giappone ha vinto la seconda guerra mondiale.

–Il che gli ha fatto fare dei bellissimi aggeggi elettronici che a te piacciono da impazzire, vero?– ribatte Geko.

Cervello scuote la testa. –Quella che mi ha mostrato Masako è una tecnologia affascinante, mescola in modo molto elegante l’animismo shintoista con l’alta tecnologia sì, una filosofia molto giapponese direi. Ma non credo che Ivan ci abbia portato qui sia solo per ammirare strane scarpe, o telefonini animisti che s’interrogano sull’ammontare di armonia che regna nell’universo–.

–O per rischiare di farci ammazzare con lo tsunami– aggiunge Ate.

–A proposito– chiede Geko, che continua a guidare. –Ma voi due come facevate a sapere che sarebbe arrivata l’onda?–

–A me l’ha detto in sogno Poseidone, dio del mare– dice Ate.

–Anche a me– ribatte Cervello con un sorrisetto di superiorità.

–Mi prendi in giro?– chiede Ate.

–Per niente: stamattina, mentre tu ci parlavi del tuo sogno premonitore, io ho notato che il mare si stava ritirando in fretta.

Molto in fretta. Decisamente troppo in fretta per essere solo una marea. Se il mare si ritira in modo anomalo, c’è da aspettarsi che ritornerà molto presto, sotto forma di un’onda anomala: più velocemente si ritira, più potente e devastante sarà lo tsunami.

Ho pensato quindi che il tuo sogno ci aveva visto giusto. Mi sono fatto due calcoli sul tablet, e ho capito che eravamo nei guai seri… e non potevamo certo lasciare che quella poveretta finisse preda della furia dell’oceano–.

–Oh povera Masako, salviamola, ve ne prego– dice Ate, facendo una pantomima esagerata per prendere in giro Cervello.

–Cuore tenerone che sei– continua, scompigliandogli i capelli.

–Ci avresti fatto ammazzare tutti quanti, pur di salvare la vergine in pericolo–.

–Ma davvero tu l’avresti lasciarla per strada a morire?– protesta Cervello.

–Il Fato è invincibile, pure gli dei ci devono sottostare–

sentenzia Ate.

–Evidentemente il suo fato era di essere salvata dal cuore d’oro di Cervello e dal braccio d’acciaio del vostro Geko– dice Geko.

–C’è rimasto qualche cosa da mangiare?–

Ate apre un cassetto del camper. –Focaccia alle olive nere?

Fatta da me?–

–Grandioso. E un po’ di vino?– chiede Geko, mentre molla il volante con una mano per afferrare la focaccia unta.

Ate apre il frigobar. –Finito, c’è una lattina di birra aperta, vuoi?–

–Naaah, è lì da una settimana, sgasatissima– dice Geko.

–E buttarla via no, eh? Vuoi la cocacola di Cervello?– chiede Ate.

–Eh, non se ne parla, è l’ultima, e qui non ne trovo di sicuro un’altra!– protesta Cervello.

–Skiiifo!– brontola Geko. –Lì c’è un cartello pieno d’ideogrammi, di sicuro indica un qualche paese. Scommetto che ci troveremo dell’ottimo sakè–.

–O magari una bella geisha che ti fa la cerimonia del tè–

ridacchia Ate.

–Seee, la geisha a me e per Cervello il tè– sentenzia Geko.

–Con cosa pensi di pagarlo, il sakè?– interviene Cervello.

–Pensavo di lasciare te a lavare i piatti– risponde Geko.

–Santi numi, e quello cos’è?– esclama Ate, indicando qualcosa nel cielo.

La cosa nel cielo sorvola a bassa quota i tre nasi schiacciati contro il parabrezza del furgoncino. Ma non rallenta e non si sofferma. Scende in picchiata verso il mare. Verso la ragazza col kimono e i leggins neri che corre sulla spiaggia.

Masako corre sulla spiaggia, lasciandosi dietro una fila d’impronte dei suoi geta. Il mare è ancora grosso, dopo lo tsunami, e la spiaggia è piena di relitti dell’onda anomala. Anche automobili rovesciate, pezzi di casa, barche sfasciate e un papero che la guarda correre disorientato.

Un grido da uccello da preda fa voltare Masako. La ragazza guarda in alto, lancia un grido e torna a correre, ma in modo molto diverso da prima: se fino a poco fa stava facendo un elegante jogging, adesso corre in modo disordinato, corre per salvarsi la vita.

–Santo cielo, ma cos’era? Un uccello? Un aereo?– chiede Geko, scosso.

–Di sicuro non era Superman– dice Cervello. Ma nessuno ride alla sua battuta.

Geko rimette in moto il furgone.

Masako inciampa e cade sulla spiaggia. Grandi ali coperte di penne rosse la avvolgono e la sollevano in aria, mentre lei urla e cerca di mordere il braccio che la regge. Un braccio quasi umano, se non fosse per gli artigli neri lunghi quindici centimetri e la pelle color rosso .

L’Ema appeso al braccio della ragazza continua a fare foto e inviare poesie composte d’ideogrammi che parlano di terrore, morte e disperazione.

L’uomo uccello la solleva ancora più in alto, e tenendola tra gli artigli si dirige verso il villaggio.

CALIFORNIA, IMPERO GIAPPONESE

Il tablet di Cervello trilla e si illumina.

–Ehi, non dirmi che hai trovato pure qui un forum di perdigiorno innamorati della tecnologia con cui chattare!– protesta Geko.

–Deve essere Masako! Ho connesso il tablet al suo Ema–

risponde il ragazzo, e apre il messaggio.

Sullo schermo appaiono immagini poco chiare di penne rosse riprese troppo da vicino, come se l’obiettivo dell’Ema fosse in mezzo a un turbinare di penne.

Poi appare un disegno.

Un uomo alato, alto tre metri. Con un grande becco adunco, vestito con un largo kimono nero. Ha lunghi artigli neri alle mani e ai piedi.

–Potente Zeus, che cos’è quell’affare?– chiede Ate.

Cervello apre una finestra piena d’ideogrammi.

–Dice che si chiama tengu, e dovrebbe essere un essere che vive nelle foreste di conifere e dovrebbe essere abbastanza innocuo, a parte che ogni tanto si diverte a fare scherzi piuttosto pesanti– risponde Cervello.

Pesanti quanto?– ribatte Geko.

–Pesanti assai... roba tipo appiccare fuochi a foreste o porte di templi. O addirittura mangiare le persone… ma questo dovrebbe essere molto raro–

–Bel senso dell’umorismo– dice Geko.

–Ma esistono davvero cose del genere?– chiede Ate.

Cervello si gratta la guancia. –A quanto capisco, questa cronolinea si è staccata dalla mia in tempi molto recenti, direi nel 1945 o giù di lì nella mia i giapponesi hanno perso pesantemente la guerra, tanto che la città di Masako è stata anche bombardata con una bomba atomica. Invece qui pare che abbiano vinto loro, e sviluppato una cultura tecnologica molto avanzata e personale–.

–E questi cosi alati che c’entrano con la guerra?– chiede Ate.

–Nulla. Ma nella mia cronolinea i tengu non ci sono di sicuro, come possono essere apparsi improvvisamente in questa, che dista dalla mia solo una settantina

d’anni? In settant’anni come possono evolversi mostri simili?– chiede Cervello.

Geko chiude il tablet di Cervello, strappandogli un gridolino seccato.

–Chiaro che non possono esserci arrivati da soli. Ecco perché Ivan ci ha portato qui. C’è sotto lo zampino dei Cavalieri Ellive–

dice Geko con tono grave.

–Tu pensi che gli Ellive possano avere trovato i tengu in qualche cronolinea remota, qualcosa che si è staccata dalle nostre milioni di anni fa? Magari uomini evoluti dagli uccelli, o qualcosa del genere?–

Geko rimette in moto il furgone. –E io che ne so? Io so solo che ogni volta che Ivan ci porta in una cronolinea, in quella cronolinea cominciano a succedere cose strane. E c’è sempre lo zampino dei cavalieri Ellive. Che stavolta hanno pure rapito la tua bella. Un motivo in più per rispedirli per l'ennesima volta da dove sono venuti–. Geko da un notevole morso alla focaccia.

Con la bocca piena continua: –Non so a voi, ma a me piacerebbe davvero saperlo, da dove vengono gli Ellive–.

Ate storce il nasino aristocratico. –Io invece non ci tengo per niente, a sapere da dove vengono. Non voglio sapere niente degli Ellive–.

–Bisogna conoscere il nemico– ribatte Geko.

–Io non ho nemici– lo rimbecca Ate.

–Ha ragione– interviene Cervello. –Gli Ellive non sono nemici nostri. Al massimo sono nemici di Ivan, o di chi l'ha costruito–.

–Ma stavolta gli Ellive hanno catturato la tua ragazza, che ti ha chiesto aiuto via email o insomma, via quel coso lì che usa lei.

Vuoi aiutarla o no?–

Cervello si infervora: –Non è la mia ragazza!–

–Ma la vuoi aiutare lo stesso, se no non ti scalderesti tanti.

Ergo, gli Ellive ora sono tuoi nemici. Almeno per questa volta–

chiosa Geko.

Cervello guarda in cagnesco l'amico che guida con attenzione nella strada polverosa. Sembra più uno scenario da film western che il Giappone. –Pensavo che gli hippy di casa tua fossero pacifisti, come mai tu sei così bellicoso?–

–Sai cosa ci succede se non scacciamo gli Ellive, vero?– dice Geko, troncando la discussione.

–Si può sapere, dove stiamo andando?– chiede Ate in tono seccato.

–A prendere il saké– risponde geko.

–E gli Ellive?–

–Sta facendo buio. Un'oretta al massimo, e il sole tramonta.

Agli Ellive penseremo domani– risponde Geko.

Man mano che il furgone scende dalla montagna, il paesaggio cambia, si fa più secco e desertico. Il furgone a vicino a un grosso cactus saguaro, con un puma accovacciato su un ramo spinoso.

–Ehi, non lo sapevo che in Giappone ci fossero cactus!–

esclama Geko.

–E non ci sono nemmeno puma–, dice Cervello. Fatte poche centinaia di metri, arrivano a un cartello stradale pieno di ideogrammi. Ma sotto il cartello,il vento fa oscillare un secondo cartello, più piccolo, vecchio e arrugginito, appeso con catene a quello con gli ideogrammi.

Geko ferma il furgone e tutti scendono a guardare impressionati il cartello, che riporta la scritta scolorita “Welcome to Escondido, California, EoJ.”. Cervello accarezza con i polpastrelli le lettere nere su fondo giallo. –Benvenuti a Escondido, California...

Dunque, non siamo in Giappone. A quanto pare siamo negli Stati Uniti. come mai non hai riconosciuto la tua California, Geko?–

–Questa non assomiglia per niente alla mia California–

risponde il ragazzo.

–E cosa significa quel EoJ.?– chiede Ate.

–Non ne ho idea– risponde Geko–.

–Scommetto che vuol dire Empire of Japan: impero giapponese– dice Cervello. –Ricordate che i giapponesi qui hanno vinto la seconda guerra mondiale. Anzi, da quel che vedo, l'hanno stravinta–.

–Benissimo, sono molto più contento di essere in California che in Giappone: altro che saké, se arriviamo prima che chiudano i bar, troveremo ottimo vino californiano, il migliore del mondo!–

dice tutto contento Geko tornando sul furgone.

–Ma va–, interviene Ate. –il vostro vino californiano è una caricatura di vino: alcolico, cioccolatoso, pacchiano, legnoso, marmellatoso...– Cervello la stoppa: –Zitta tu! Voi greci nel vino ci mettete la resina di pino e poi avete il coraggio di criticare quelli degli altri?–

–Ha parlato l'italiano, quelli che copiano gli champagne si.–

–Copiaaaare?– esclama Cervello scandalizzato. –Vuoi mettere un grande spumante italiano con quella brodaglia che puzza di caramella per la tosse?–

Geko tronca la discussione ridendo –Ma sentilo, quello che beve solo cocacola e discute di vini facendo finta di capirci qualcosa–

Cervello diventa tutto rosso, ma Geco gli fa un buffetto scherzoso. –Dai campione, se ci muoviamo, scommetto che troviamo anche la cocacola per te–.

–Tu dici?– chiede Cervello, dubbioso.

–Ma certo!– esclama Geko mettendo in moto. –Ci vuole altro che un'invasione

di giapponesi perché i californiani smettano di fare ottimo vino e di ingozzarsi di schifezze con le bollicine.

Andiamo a fare la spesa!–

Il furgone riparte verso il disco del sole che sta tramontando dietro le colline.

–Com'è che mi sembri più preoccupato per la cocacola che per la tua ragazza?– chiede Ate a Cervello.

–Lei sta bene. E comunque, non è la mia ragazza–

–E tu come lo sai che sta bene? Magari l'uomo uccello se l'è mangiata, non dicevi che trovano uno scherzo divertente mangiare le persone?–.

–Il suo Ema continua a trasmettere–.

–Fammi vedere, dalle immagini potremmo capire dove si trova–, si intromette Geko.

–Se è tutto nero, vorrà dire che è nella pancia dell'uomo uccello– dice Ate.

Cervello accende il tablet e lo porge a Geko.

Quello lo sfoglia mentre guida. –Ma non c'è niente, solo foto di montagne, alberi e case! E che schifo, c'è pure uno scarrafone in una scatola!–

Cervello si riprende il tablet. –Evidentemente i suoi carcerieri non le permettono di trasmettere foto e testi dalla sua cella.

Ma può postare immagini simboliche: Il monte è il Fujiama in primavera, l'albero è un ciliegio fiorito, e quelle non sono case, ma templi immersi nei giardini di maggio. Sono immagini che vogliono tranquillizzare il suo mandala degli affetti e degli antenati: vuol dire che sta bene ed è serena, nonostante la prigionia, rappresentata dal grillo canterino nella sua gabbietta di bambù. Che è un po' l'equivalente giapponese del canarino in gabbia– risponde Cervello.

–Dimmi un po'– dice Ate –il fatto che ti abbia messo nella rete dei suoi antenati significa che ti considera una specie di nonnino arteriosclerotico e un po' rompino?–

Cervello scuote la testa. –Non cercare di capire, Ate. Capire è da borghesi. Una dea dell'Olimpo dovrebbe limitarsi a giudicare–.

–Mi sa che era proprio quello che stava facendo– sogghigna Geko. Poco dopo, sul cruscotto del furgoncino si mette a lampeggiare una spia che rappresenta una busta postale verde.

Geko si rivolge ad Ate, seduta accanto a lui: –Oh, finalmente sono arrivati i fogli missione, guarda un po' cosa abbiamo–.

Ate apre la cassettina portadocumenti del furgone. Ci sono solo tre fogli di carta di riso, con stampati degli ideogrammi e le foto di Geko, Cervello e Ate.

–Che c'è dentro?– chiede Cervello, che dal sedile posteriore non riesce a vedere i fogli.

–Direi che ci sono le nostre carte d'identità, e nient'altro–.

–Soldi? Istruzioni?–

–Niente soldi, e neanche uno straccio di ordini– dice Ate. –

Senza nemmeno una monetina, mi sa che il vino e la cocacola ve li scordate. Al massimo potete accompagnare la mia focaccia con l'acqua del pozzo–.

–La tua focaccia sarebbe una delizia anche con l'acqua del pozzo– dice Geko, e Ate lo guarda con gratitudine e piacere. –

Ma col vino californiano diventa una sinfonia di sapori, e se Ivan non ci ha dato soldi, è solo perché non ci serviranno–

–Escluderei che l'Impero Giapponese regali vino ai primi tre sfaccendati che arrivano su un furgone–, dice Cervello.

–Lo scopriremo presto– ribatte Geko, e indica davanti a loro.

–Signori, siamo arrivati–.

Escondido appare una curiosa mescolanza tra un pueblo messicano, fatto di case di calce bianca col pergolato d'uva, classica chiesa americana tutta bianca e casette di carta giapponesi da cui si affacciano uomini e donne in kimono. Tutti, americani e giapponesi guardano con curiosità il furgone che percorre la strada principale. –Ci guardano come se fossimo marziani– dice Geko, piuttosto nervoso.

–Avrai notato che non ci sono macchine, e le strade asfaltate sono rarissime– dice Cervello.

–Secondo me, in questa cronolinea non c'è stata una motorizzazione di massa, o se c'è stata, è finita insieme alla sconfitta nella guerra. Ci saranno certamente automobili, e moto come quella del samurai che ha parlato con Masako, ma immagino che siano rare e probabilmente costosissime–.

–Quindi penseranno che siamo ricchi come dei cresi– dice Ate.

–Sì, e pensa che delusione quando vedranno che non abbiamo un centesimo– la rimbecca Geko.

–Silenzio, l'Ema di Masako sta trasmettendo!– esclama Cervello. Sul tablet

appaiono immagini in movimento di grappoli d'uva, una geisha che serve il tè sullo sfondo di una pubblicità della Cocacola.

–Brava Masako, proprio questo stavamo facendo– dice Geko.

–Cercavamo giusto un buon vino californiano per toglierci la polvere dalla gola–.

–E lei come lo sa, che cercate un centro commerciale?–

interviene Ate.

–La comunicazione con l'Ema è nei due sensi. Anche il mio tablet comunica col mandala di chi vuol bene a Masako. Così lei sa cosa cerchiamo. E forse sa anche dove siamo, se la rete è abbastanza intelligente da far are immagini che possano suggerirglielo senza insospettire i suoi carcerieri– risponde Cervello.

–Romantico davvero– risponde acid Ate. –Così almeno sa che t’interessi di più a una lattina piena di schifezza che a lei–.

–Però poteva anche darci qualche informazione utile, invece che dirci quel che già sappiamo– sbotta Geko.

–Credo l'abbia fatto– dice Cervello indicando una locanda nel cortile interno di una casa tradizionale messicana. Secondo me ci sta suggerendo di fermarci in

quella cantina–.

–Ma è così importante questo diavolo di vino e di acqua sporca che state cercando?– esclama Ate. –C'è da impazzire, abbiamo gli Ellive alle calcagna, c'è la ragazza di Cervello in mano a un mostro e voi pensate solo a comprare da bere!–

–Andare alla ricerca di un supermercato è una copertura come un'altra– ribatte Geko.

E Cervello rincara la dose: –Se Masako ha corso il rischio di farci arrivare un messaggio preciso, non possiamo ignorarlo–.

–E quindi che facciamo?–

–Andiamo a comprare da bere– dice Geko. E parcheggia il pulmino davanti alla cantina. I tre scendono, e piano piano parecchi bambini e ragazzini, metà giapponesi e metà americani, si affollano incuriositi intorno al furgone.

–Ma che strano supermercato, pare vendere solo cianfrusaglie vecchissime– dice Ate. Nel cortile della casa ci sono disposti in perfetto ordine dischi di vinile, posate scompagnate, pupazzi di Topolino d'anteguerra. Cimeli della seconda guerra mondiale, come caschi dei marines, occhiali da pilota, medaglie e gradi militari americani sono esposti come se fossero reliquie religiose.

In una teca di cristallo ci sono alcuni fumetti di Capitan America.

Ci sono anche bottiglie di vino californiano e lattine di coca cola. Per lo più vuote.

Il proprietario del locale è vestito da cowboy, col cappello a larghe tese, la striscia di cuoio a mo' di cravatta, jeans stinti e stivaloni alla texana.

–Buongiorno signori, in cosa posso servirvi?– chiede.

–I miei amici cercano vino e coca cola– risponde Ate.

–Oh, ottima scelta– dice il cowboy. –Sono oggetti rari, che prendono valore nel tempo. Guardate questa– dice, mostrando loro una lattina promozionale natalizia, con un orrido babbo natale col costume verde. –È un pezzo unico, Natale 1939, che nel calendario imperiale giapponese sarebbe il 2599, perfettamente conservata e senza un filo di ruggine–.

–1939? Mamma mia, ma un po' più recente non avete niente?

Dei giorni nostri, diciamo. Una lattina da bere, non da mettere in un museo!–

Il cowboy lo guarda perplesso, poi scoppia a ridere. –Ragazzi, siete divertenti! Già, anche a me qualche volta è venuta voglia di assaggiarla. Chissà che sapore aveva. Vi posso offrire un saké, mentre guardate con calma?–

–Ma voi avete solo roba vecchia?– chiede Ate.

–Antica, signorina– sorride il cowboy. –Tutta autentica roba americana tradizionale, dal far West all'Annessione. Volete vedere i gioielli? Tutto oro pesante, come usavano in Occidente.

Ho anche un vero paio di calze di nylon, tra le ultime prodotte, nel 45, poco prima dello sbarco in California di Yamamoto...

si potrebbero perfino indossare, ma certo sarebbe un peccato rovinare la confezione originale. Quanto a quella lattina che avete in mano, giovanotto, se vi piace ve la lascio a tremila yen. Non troverete niente di meglio per così poco, credetemi: i collezionisti tedeschi hanno fatto incetta, in tutti i vecchi Stati Uniti non ne troverete un'altra simile ancora chiusa e in così buono stato–.

PRIGIONIERI DELLO SHOGUN

Masako porta un vassoio con sopra una teiera di tè fumante e una tazza. Indossa una semplice tunica bianca, è scalza e alle caviglie ha anelli di ferro collegati con una catena: le permettono di camminare, ma non di correre.

Si avvicina a una cella, dove è rinchiuso il samurai motociclista.

–Il vostro tè, onorevole Oishi –. L'uomo prende il cibo attraverso le sbarre e lo posa a terra: l'unico arredamento della cella è un tavolino bassissimo, la stuoia e un tatami appeso alla parete.

–Non chiamarmi onorevole– dice Oishi in tono amaro. –Mi hanno catturato, ho perso il mio onore. Ho perso tutto–.

–Non è disonorevole essere presi a tradimento da dei mostri delle boscaglie, onorevole Oishi –.

–Tu dove sei stata catturata?–

–Sulla spiaggia, mentre cercavo di tornare alla mia tenda–.

–Tenda?–

Masako sorride. –Ero in vacanza. La mia casa è a Nagasaki, nella madrepatria–.

–Bellissima città, molto antica. Perfino gli americani, pur nella loro rozzezza ne hanno sempre rispettata la bellezza e non l'hanno mai bombardata. Dunque tu non eri con quegli strani stranieri col carro a motore?–.

–No signore–.

–Gente molto strana. Tuoi amici?–

–Non proprio. Ma è vero che sono persone strane. Talmente strane che potrebbero aiutarci–.

Oishi versa una tazza di tè e la offre a Masako, andola attraverso le sbarre. – A quest'ora saranno tornati a casa loro–.

–Forse– dice Masako bevendo un sorso di tè. –O forse hanno seguito il consiglio del mio Ema, e sono entrati nell'emporio del vecchio Bill–.

–Bill?– il samurai aggrotta le sopracciglia. –Bill il truffatore bianco?–

–Lui. Scommetto che farà agli stranieri lo stesso giochetto che ha tentato con me la prima volta che sono arrivata a Escondido.

Non riuscirà a resistere al loro furgone, penserà che siano ricchissimi–.

–E questo come potrebbe aiutarci?–

Masako abbassa lo sguardo. –Questo ancora non lo so, signore.

Ma almeno sapranno dove mi tengono prigioniera–.

–E ti aiuteranno?–

Masako lo guarda negli occhi. –Non mi abbandoneranno. Ne sono certa–.

In quel momento entra un giapponese grassissimo, seminudo, vestito come un lottatore di sumo: un uomo dai tratti volgari, col codino sul cranio rasato. In mano ha un grande mazzo di chiavi.

–Serva, lava i piatti e poi torna nella tua cella. La cena è finita–.

Masako s’inchina leggermente al carceriere. –Sarà fatto, molto onorevole guardiano–.

L'uomo si stravacca su una poltrona sfondata e si gratta una chiappa. –E vedi di muoverti, che non ho da perdere tutta la notte–.

Ate, Cervel o e Geko ritornano sul furgone, seguiti dal 'uomo vestito da cowboy. –Sono molto spiaciuto che non abbiate trovato nul a di vostro gradimento– dice in tono untuoso. –A proposito, molto bel o il vostro furgone, non ne avevo mai visti così da vicino–.

I ragazzini radunati attorno al vecchio Volkswagen si spostano in rispettoso silenzio per lasciar entrare Geko e Ate.

–Ha l'aria molto preziosa, chissà quanto vale un oggetto così...–

–Visto i prezzi che fai, mi sa che con un paio di albi di fumetti, un disco graffiato e una cassetta di lattine di bibite vuote te ne compri uno anche te– dice Ate, acida come sempre.

–Ha haaa– ride senza allegria il cowboy. –Prima della guerra mio nonno aveva un pick–up Ford, sapete? A quell'epoca, tutti avevano una macchina–.

–Già, e così ce n'erano troppe e nessuno sapeva dove parcheggiarla– ribatte Cervello, salendo a bordo anche lui.

–Fate buon viaggio, ragazzi– dice il cowboy. E se vi serve qualcosa, chiedete pure al vecchio Bill: quello che non ha, Bill se lo procura–.

–Non saprei dire perché, ma non ne dubitavo– ribatte Ate. Geko dà un colpo di clacson e lampeggia con i fari per far spostare i ragazzini dal muso della macchina.

–Dove si va?– chiede Cervello.

–Lontano da questo tipo, mamma mia che brutta persona–

risponde Ate.

–Ci accampiamo fuori città, stanotte– dice Geko. –E domani libereremo la ragazza di Cervy, sconfiggiamo gli uccellacci dei cavalieri Ellive e salviamo il mondo. Solita routine, insomma–.

–Sì, ma attento a quei due!– grida Ate. Una coppia di samurai è in mezzo alla strada, con le mani sull'elsa della Katana. Sono gli stessi che avevano fermato il samurai Oishi prima che i tengu lo catturassero.

Geko inchioda, fermandosi appena prima di travolgerli.

Abbassa il finestrino e li apostrofa: –Ma che fate, volete farvi mettere sotto?–. Veloce come il lampo, uno dei due samurai sguaina la katana e pianta l'acciaio della lama a pochi millimetri alla gola del ragazzo.

–Scendete con le mani in alto e non fate scherzi–.

–Perché?– chiede lui.

–Subito!– sibila quello con la spada.

Quando tutti e tre sono scesi, faccia contro il furgone e mani dietro alla testa, Bill arriva di corsa, tenendosi con la mano il cappello sulla testa. –Sono loro! Sono loro che mi hanno derubato!–

–Eh?– protesta Geko. –Derubato di che?–

Uno dei samurai entra nel furgone, e comincia a rovistare dappertutto, frugando nella zona camper senza alcun ritegno: vuota cassetti, rovescia a terra tutto quel che trova. Alla fine della perquisizione, esce reggendo in mano il pad di Cervello, una mazzetta di fumetti di supereroi e un monile d'oro a forma di civetta.

–La mia effige!– protesta Ate.

–Il mio tablet!– protesta Cervello.

–I miei fumetti!– sbotta Geko.

–Ecco! Ecco cosa mi hanno rubato!– urla Bill. –Fumetti, tavoletta americana e gioiello apache! E i soldi, i miei soldi li avete trovati?–

–Nemmeno uno yen– dice il samurai nel furgone. –In compenso ho trovato i documenti di questi ladri– l'uomo scende, tenendo infilzati sulla punta della spada i documenti che erano comparsi nel vano portaoggetti di Ivan. –Sono tre maledetti ronin!–

–Ronin?– chiede Ate sottovoce. –Che diavolo è un ronin?–

–Lo scopriremo presto, temo– le risponde sempre sottovoce Geko.

–Avanti, cani, lo shogun in persona deciderà del vostro destino–

dice il samurai, pungolando i tre amici con la punta della katana.

Senza che nessuno dei tre fe nulla, le porte di Ivan si chiudono. Il furgoncino lampeggia i fari, fa rombare il motore e parte di corsa lungo la strada, allontanandosi dai samurai.

–Ehi, c'era qualcun altro dentro! Come hai fatto a non accorgertene?– esclama il samurai che non aveva perquisito il furgone.

–Ti assicuro che non c'era anima viva– protesta l'altro.

–E allora?–

–Questi cani ronin spiegheranno anche questo allo shogun–.

–Sarà più facile che sia questo tal shogun a spiegare a me come funziona Ivan. Io non ne ho la minima idea– ribatte serafico Geko. Il samurai più vicino gli dà un colpo secco sul sedere col piatto della katana. –Non fare lo spiritoso, dannato ronin–.

Masako entra nella sua cella, e il laido guardiano glie la chiude alle spalle. Dà diversi giri di chiave. –Si può sapere di che mi accusate?– sbotta la ragazza.

–Sciacallaggio. Ti hanno vista correre sulla spiaggia dopo lo tsunami–.

–Correre è ben diverso dal rubare–.

Il carceriere sogghigna mostrandole una dentatura gialla e marcia. –Ti do un consiglio, fiorellino di pesco: abbassa la cresta. Abbassala, se non vuoi che te la abbassi io... e se te la faccio abbassare io, ti farò perdere l'onore in un modo in cui perfino i tuoi antenati avranno orrore di te– dice sfregandosi il braccio dove lei porta l'Ema. Sullo schermo della macchina si assembla rapidamente un origami colorato a forma di cicogna che salta dallo schermo.

Il carceriere afferra qualcosa di invisibile a mezz'aria. Sul suo palmo calloso appare l'immagine di una ragazza in kimono a fiori che piange sul ciglio di un

fiume, sotto un salice. L'uomo sbatte le mani una contro l'altra, e le sfrega finché dai suoi pugni una polvere dorata non cade a terra. –Oh no fiorellino, questo non lo mandiamo nel tuo mandala. Ingannerebbe i tuoi antenati.

Perché piangerai molto di più di così, se non righi dritta. Molto, molto più di così–.

Il palazzo dello shogun è semplicemente il vecchio municipio dell'epoca americana, anche se l’interno è arredato alla giapponese. I due samurai spingono Ate, Geko e Cervello al cospetto dello shogun.

Si tratta di un uomo atletico, vestito con un semplice kimono bianco. Sulla testa porta annodata una fascia bianca col sole nascente e ideogrammi. Volta le spalle alla porta. È inginocchiato su una stuoia, di fronte a un tavolo di lacca rossa su cui è posato un vaso elaborato a forma sferica, che cosparge di incenso mentre lui canta una nenia in una lingua incomprensibile.

Un uomo muscoloso in perizoma percuote con una mazza un gong di bronzo, facendo un tal fracasso che i tre ragazzi, presi alla sprovvista, si tappano le orecchie con le mani.

Lo shogun si volta, e resta seduto nella posizione del loto. Ha un volto severo, deturpato da una cicatrice. La sua iride color miele ha una pupilla verticale, come quella di un gatto.

Un particolare che mette i brividi ai tre ragazzi.

I due samurai fanno un o indietro.

Lo shogun li guarda in faccia.

–Tre ronin– dice con disprezzo lo shogun. –Tre samurai sbandati senza padrone? Questo dunque è l’esercito con cui l’Imperatore intende sfidarmi? Prima un solo samurai in motocicletta, poi quella sciocca ragazza spia che si è fatta catturare sulla spiaggia e adesso tre ronin randagi? L’imperatore mi sta insultando. E la mia pazienza sta finendo. Domattina miei tengu alati porteranno a Tokyo le vostre teste, non appena le mie geishe avranno finito di intrecciare i canestri per trasportarle–

In un angolo della sala, tre donne sedute su un tatami stanno intrecciando cerimoniosamente canestri di paglia immacolata. Il più grande di tutti è decorato con un nastro rosso.

–Portateli via– dice lo shogun ai samurai. –Che stasera mangino a volontà sushi e bevano saké, si godano la loro ultima cena–.

L’uomo del gong dà un altro formidabile colpo allo strumento.

La luna sorge enorme sul villaggio di Escondido. Un tengu alato vola sul disco del satellite.

Nel deserto si nota appena la sagoma di Ivan, parcheggiato al riparo di una roccia. Appena il tengu sparisce nella notte stellata, Ivan accende i fari.

Il guardiano della prigione fa ballare le chiavi davanti al naso di Masako.

–Abbiamo gente a cena, stasera. Ti è andata bene, non dovrai fare la sguattera. Oggi anche per te è una cena speciale…

goditela, che sarà l’ultima–.

Masako non abbassa lo sguardo e non muove un muscolo.

Qualcuno bussa imperioso alla porta.

–Ecco i vostri ospiti–. Va ad aprire, e i samurai fanno entrare Geko, Ate e Cervello, incatenati mani e piedi.

–Questi cani ronin saranno giustiziati all’alba, insieme alla spia e al samurai– dice pomposo uno degli accompagnatori.

Nel deserto, Ivan comincia a muoversi. Adagio e con solo le luci di posizione accese, si dirige verso Escondido.

Il carceriere mette i due ragazzi in cella con Oishi, e Ate insieme a Masako.

–A quanto pare ci rivediamo– dice altezzosa Ate alla ragazza.

Che crolla a terra piangendo. –Oh, perdonatemi, perdonatemi!

Non volevo che finisse così! Pensavo che Bill vi accusasse di furto, come ha fatto con me, e i samurai che sono suoi compari vi mettessero in carcere una notte, solo per derubarvi! Volevo solo rivedervi ancora una volta, perché portaste un messaggio ai miei genitori a Nagasaki… Non immaginavo che lo shogun vi condannasse a morte, lo giuro–.

Ate sbuffa. –Non ti preoccupare di quel pallone gonfiato. È

solo un dannato Ellive! Ragazzi, avete visto gli occhi?–

–Occhi da gatto, occhi notturni, occhi da cavaliere Ellive– dice dall’altra cella Geko.

–Comincio a capire cos’hanno in mente, i signori della tenebra–

dice Cervello. –Ma che diavolo è uno shogun?–

Oishi interviene: –Shogun letteralmente significa “comandante dell'esercito”. Una volta erano i dittatori militari che reggevano il Giappone a dispetto del potere dell’imperatore. Io sono stato mandato per indagare per conto dell’imperatore, ma i tengu mi hanno catturato subito. E hanno preso anche

Masako, che è innocente, è solo una turista ma l’hanno presa per una spia–.

Cervello annuisce. –Quindi scommetto che questo tizio ha riesumato il titolo degli antichi shogun perché vuole dominare la California con l’aiuto del terrore che gli uomini uccello scatenano nella gente, e una volta consolidato il potere conta di espandersi per dominare il Giappone e il mondo, giusto?–

–E tu come lo sai?– chiede Oishi , stupefatto.

–Conosco i miei polli. I cavalieri Ellive fanno sempre così: invadono un continuum e cercano di dominarlo. Ma noi glie lo impediamo, vero ragazzi?–

–Giàààà– rispondono Ate e Geko, senza entusiasmo.

–Continuum?– chiede Oishi . –Che cosa sarebbe un

“continuum”?–

–Se io ti dicessi che è uno degli infiniti mondi paralleli in cui è sfaccettato l’universo tu mi piglieresti per pazzo, giusto?

Dunque non te lo dico, dimenticati la storia del continuum e vediamo di uscire da qui–.

–A proposito– chiede Geko al samurai –Tu vieni con noi, vero?

Non è che perché ti hanno catturato adesso sei disonorato e devi fare karakiri o qualche scemenza del genere, vero?–

–Potessi andarmene da qui, e potessi avere una katana glielo farei vedere io allo shogun come sono disonorato… lo faccio a fette, lo concio come un sushi, altro che disonore!–

–Allora, andiamo o dovete farla ancora lunga?– chiede Ate.

E poi rivolta a Masako, che continua a singhiozzare: –E tu falla finita, che adesso ce ne andiamo–

–Ma cosa dici?– chiede Masako, tirando su col naso. –Non hai capito che non ce ne andremo mai più? Domattina ci taglieranno la testa!–

Ate afferra con le mani alle sbarre della cella e comincia a roteare la testa. Sempre più velocemente. Dalla gola le esce un rantolo che diventa un lamento disumano. Gli occhi si rovesciano e diventano bianchi, una bava verdastra le esce dalla bocca, mentre il grido angoscioso diventa insopportabile. Comincia a sollevarsi in aria, a lievitare, con i piedi a una spanna da terra.

Masako cade in ginocchio e si mette a strillare, con le mani sulle orecchie. Il samurai pallido e preoccupato strattona Geko.

–Che succede alla vostra amica? Sta male?–

–No, è semplicemente pazza– dice Geko, stringendosi nelle spalle.

–Completamente pazza– rincara Cervello, serafico.

Il grasso guardiano arriva trafelato. –Che avete da urlare così?–

chiede alle due donne in cella.

–Stavo andando a prendervi il sushi, dannazione!– scosso dalle grida sempre più folli di Ate, il guardiano si avvicina troppo.

Continuando a urlare, Ate gli impone le mani sul capo. Il corpo dell’uomo si scuote, e comincia a tremare violentemente. Ate e il carceriere urlano allo stesso modo, mentre lampi verdi escono dalle mani della donna e li avvolgono insieme in un’aura malsana.

Il carceriere rovescia gli occhi, e dalla bocca gli esce la stessa bava verde che esce da quella di Ate. I lineamenti dell’uomo si trasfigurano nella follia. Piano piano Ate pare riprendersi.

Adagio torna verso terra fino ad appoggiare i piedi al pavimento.

Improvvisamente smette di urlare, gli occhi e il volto tornano normali, mentre il carceriere è diventato un demente che balbetta frasi senza senso con lo sguardo perso nel vuoto. Ate si china su di lui e insinuando le mani tra le sbarre gli sfila le chiavi dalla cintura, senza che quello faccia nulla per impedirglielo. Per prima cosa Ate si toglie le catene, poi libera Masako e apre la porta.

–Cervello, ce le hai ancora quelle fantastiche pastiglie per il mal di gola?– chiede Ate, massaggiandosi il collo. –Queste grida mi uccideranno–.

–Le ho lasciate sul furgone– risponde lui.

–Ma che prodigio è mai questo?– dice Oishi , mentre Ate viene ad aprire la loro cella.

–In Giappone non conoscete l’Iliade? “Ate non tocca il suolo: cammina leggera sul capo dei mortali e degli stessi dei, inducendoli alla follia”– declama Cervello.

–Eh?– fa il samurai.

–Ate per gli antichi greci era la dea della pazzia– spiega Geko, mentre Ate apre le catene alle mani e ai piedi dei tre uomini.

–Voi… voi siete una dea?– chiede Oishi , sempre più perplesso.

–Tutte le ragazze greche sono dee– risponde asciutta Ate. –Ora se la pianti di

agitarti e stai fermo, cerco le chiavi delle tue catene… ecco fatto, andiamo–.

Appena Ate finisce di parlare, con enorme fracasso Ivan sfonda il muro del carcere. Il muso del furgone entra nel piccolo carcere, senza un graffio ma completamente coperto di calcinacci.

–Filiamo, prima che ci siano tutti addosso– dice Geko–

Il samurai prende una katana appesa alla parete. –Voi andate, io vi proteggo la ritirata–.

–Oishi, non è che stai cercando una morte onorevole in battaglia per lavare l'onta dell'essere stato catturato?– chiede Cervello, preoccupato.

–Ragazzino, tu hai letto troppi manga– sbotta il samurai. –Filate e non preoccupatevi per me, me la sono cavata in situazioni ben peggiori–.

–Peggiori quanto?–

–Filate!– ruggisce Oishi . Cervello non se lo fa ripetere e sale di corsa sul furgone, a fianco di Geko che guida Ivan in retromarcia fuori dal varco che ha creato nel muro.

Ate e Masako, sedute sul sedile posteriore, guardano spaventate attraverso il lunotto posteriore. Parecchi samurai in motocicletta stanno caricando verso il

furgone. I fari si fanno sempre più vicini.

–Presto, Geko!– grida Ate. –Ci sono quasi addosso!–

Il furgone comincia a correre lungo la strada, verso il deserto.

I samurai cominciano a sparare, alcuni proiettili colpiscono la carrozzeria di Ivan sprigionando scintille. –Ommamma, sparano! Hanno i fucili!– esclama Ate.

–Certo che ce li hanno– dice Cervello.–Pensavi che avessero vinto la seconda guerra mondiale solo con arco e frecce?–

–No, pensavo più alle spade, son sempre lì a fare i gradassi con quelle– dice Ate.

–Il vostro carro è a prova di proiettile?– chiede Masako.

Un altro proiettile manda in frantumi il lunotto, riempiendo di frammenti di vetro la cabina. Le ragazze strillano. Geko dice:–A quanto pare, no, non è a prova di proiettile. Ti sembrerà strano, Masako, ma noi non sappiamo molto di Ivan. Non siamo noi a possedere lui, è lui a possedere noi–

–Rimanderei le spiegazioni a dopo– dice Cervello. Ci sono addosso!

I samurai motociclisti circondano il furgone. Ci sono due guerrieri per ogni moto: uno guida e l'altro spara. Una moto affianca il furgone, e il samurai sul sellino spalanca la portiera del furgone. Salta a bordo e si staglia sulla porta, con la katana in mano. Masako lancia un grido guerresco e lo colpisce al ventre con un calcio da karateka, buttandolo fuori dal furgone.

–E questo dove l'hai imparato?– chiede Ate, ammirata.

–Le ragazze greche sono dee? Le ragazze giapponesi sono un dio a fare a cazzotti– risponde Masako. Le due ridono, ma altre moto finiscono per circondare Ivan. Un proiettile manda in mille pezzi un altro finestrino del vecchio furgone, che corre sul ciglio di un canyon. –Sono troppo veloci, ci prenderanno! Ci vuole un’idea!– esclama Geko, concentrato alla guida.

–Hai presente Thelma e Louise?– dice Cervello.

–No, chi sono?– chiede Geko.

–Un film della mia cronolinea– risponde Cervello. Strappa il volante dalle mani di Geko e sterza violentemente dalla parte del canyon.

Il furgone vola oltre l'argine, piombando nel baratro. I samurai motociclisti si fermano sul ciglio del burrone, alzano le visiere degli elmi mentre vedono i fari posteriori di Ivan sobbalzare mentre corre nella ripidissima scarpata.

–Si sono suicidati!– esclama un samurai.

–Sono dei diavoli, stanno scendendo verso il fiume– ribatte quello che appare il capo.

–Li inseguiamo?–

Il capo guarda i fari di Ivan sempre più piccoli e lontani. –

Troppo pericoloso, col buio che c'è. E poi è inutile, per prendere un diavolo ci vuole un altro diavolo–.

Quasi in risposta alle sue parole, due tengu scendono in picchiata lungo il burrone, all'inseguimento del furgone.

Il samurai alza la mano guantata e si ordina agli altri motociclisti: –Missione compiuta, rientriamo alla base–.

PONTE TRA DUE MONDI

Nel furgone urlano tutti. Tutti meno Geko che cerca di guidare la pazza corsa notturna del van lungo la ripidissima scarpata.

I fari del furgone illuminano per un attimo uno dei due tengu.

Che salta sul tetto del van e si aggrappa. Il mostro alato si sporge per guardare dentro al furgone. I suoi occhi da uccello fissano quelli di Cervello.

–Che cosa fai così lontano da casa?– chiede all’uomo uccello.

–Ma che fa? Parla col mostro? Come pensa che possa capirlo?–

chiede Masako.

–Io che lingua parlo, secondo te?– le chiede Ate, sballottata dalla corsa del van.

–Che domanda! Giapponese! Ottimo giapponese tra l’altro. Ti faccio i miei complimenti–.

L’altra sorride. –Mai saputo una parola di giapponese. Questo è uno dei misteri di Ivan: io parlo solo greco, Geko parla inglese e Cervello italiano. Eppure ci capiamo, e capiamo le lingue di tutte le cronolinee. Ma credo che Cervello stia sprecando fiato, l’uccello non parla con lui. Cervello fissa l’occhio del tengu. Si perde nel nero profondo di quell’occhio, che sembra risucchiarlo.

Cervello esce dal suo corpo e si trova a volare con altri tengu su una foresta tropicale. C’è armonia e pace, nella foresta remota.

Un grande arcobaleno illumina il cielo.

–Hai nostalgia di casa? Se vuoi, Ivan può riportarti a casa, per quanto la tua cronolinea sia lontana da qui. Non è il tuo posto, questo, e tu lo sai–.

Una tromba d’aria sconvolge la foresta dei tengu. Gli uomini uccello gridano e scappano, ma la tromba d’aria investe un albero e ne strappa qualcosa dai rami. Qualcosa di indistinto, una sfera luminosissima e dorata. Due tengu, un maschio e una femmina, lanciano strida altissime e si avventano contro la tromba d’aria, cercando di riprendersi la sfera luminosa. Ma la tromba d’aria li avvolge, loro gridano sempre più disperati, finché improvvisa com’era apparsa la tromba d’aria svanisce, portando con sé la sfera e gli uomini uccello. Cervello si copre la mano con la bocca, e il collegamento telepatico col tengu si spezza.

–Ho capito!– grida Cervello. In quel momento la scarpata finisce, il van urta una roccia che sembra un trampolino e vola letteralmente verso il centro del fiume che scorre nel canyon.

Nell’urto la porta del van si spalanca, e Cervello vola fuori. –

Prendimi!– grida. Il tengu lo afferra mezz’aria, e lo tiene saldo tra le sue grandi mani rosse. Ivan spancia nell’acqua, sollevando enormi spruzzi d’acqua sporca.

Il tengu con Cervello sparisce nella notte. Geko riemerge sputando acqua. –Ate! Masako! State bene?–

–Io sto bene– risponde Ate, che è salita sul tetto del van sommerso fino alla capote.

–E Masako?– chiede Geko, che nuota attorno al furgone.

–Non lo so, ma non c’è corrente. L’acqua è bassa, si tocca. Se è intelligente, sarà tornata a casa sua–

Geko annuisce e tocca il fondo del fiume con i piedi. –Cervello è stato catturato dal tengu– dice Ate. Geko scuote la testa. –

Non credo che l'abbia catturato. In qualche strano modo hanno comunicato. Si devono essere messi d'accordo su qualcosa. Deve avere un piano in mente, il nostro Cervellone–.

–E noi che facciamo?–

Geko sale sul tetto del van insieme con Ate. Quando i due ragazzi sono sul tetto, Il furgone si mette in moto da solo, nonostante sia quasi totalmente immerso. E lentamente esce dal fiume per parcheggiare sulla stretta spiaggia del canyon.

–Cominciamo ad accendere un bel fuoco e asciughiamoci–

dice Geko.

–E Cervello?–

–Appena sorge il sole, lo andiamo a cercare. Col buio e i samurai motociclisti in caccia, non possiamo fare nulla per lui.

Ma non ti preoccupare, sa cavarsela benissimo da solo. Almeno, credo–.

Masako riemerge dal fiume e si aggrappa a un tronco portato dalla corrente. Con poche bracciate, arriva a terra e si abbandona ansimando sulla spiaggia. Sente un rumore. Solleva lo sguardo e si trova davanti il tengu femmina.

Sempre sdraiata sulla sabbia, Masako sorride al mostro.

–Onorevole tengu, non chiedermi come è possibile. Ma mentre il tuo compagno comunicava con uno di noi, il mio Ema ha captato quello che vi è successo– la donna uccello guarda l'apparecchio sul braccio di Masako: sullo schermo appare la scena della tromba d'aria che trascina via i due tengu e la sfera brillante.

Masako si alza in piedi e si inchina profondamente di fronte al tengu. –I miei antenati sono sconvolti da quello che vi è stato fatto, e si scusano profondamente in nome di tutta l'umanità. E vi pregano di accettare il mio aiuto, perché io possa provare a liberarvi dalla schiavitù in cui gli uomini malvagi vi hanno ridotto–.

Il tengu guarda in silenzio Masako.

La ragazza giapponese sorride. –Fidati di me. Sono una donna anch'io, capisco bene quanto stai soffrendo–.

La donna uccello apre le braccia. Masako sprofonda nel suo abbraccio. Il tengu e la ragazza spiccano il volo. Volando, il tengu canta una litania musicale fatta di versi d’uccello. L’Ema attaccato al braccio di Masako come risposta al canto mostra immagini di fiori che si schiudono.

Il tengu che porta Cervello sorvola silenziosamente Escondido.

E si posa delicatamente sul tetto vecchio municipio dove ora sventola la bandiera dello shogun. Cervello si muove con circospezione sulle vecchie tegole malmesse. Con l'aiuto del tengu, dal tetto si cala sul terrazzo principale, dove c'è l'asta della bandiera. Prova ad aprire la porta finestra, ma è chiusa.

Quindi si avventura sul cornicione, facendo il possibile per non guardare in basso: oltre all'altezza, sotto ci sono anche i samurai che montano la guardia. Strisciando sul cornicione, Cervello arriva a una finestra socchiusa. La apre senza fare rumore, e penetra all'interno della residenza dello shogun.

Appena gli occhi si abituano all'oscurità, capisce di essere entrato in un corridoio in penombra, a malapena illuminato da piccole luci, poco più che fantasmini, posti sulle tante porte tutte uguali, dimesse, ministeriali che si aprono sul corridoio.

In contrasto con la semplicità delle porte, il corridoio sembra un museo di arti marziali: le pareti sono piene di armi, katana, stelle ninja e nunchaku, i micidiali bastoni di bambù legati da una corta catena. E naturalmente i bokken, i bastoni da guerra in quercia rossa lunghi due metri. Ci sono anche manichini coperti da elaborate armature da samurai medievali, cassepanche e teche piene di antichi oggetti e vasi orientali. Un rumore fa trasalire Cervello, che si tuffa a nascondersi dietro a una cassapanca laccata di rosso. Una porta si apre, e una geisha con in mano il shamisen, il liuto tradizionale giapponese, attraversa rapidamente il corridoio per arrivare all'unica porta diversa dalle altre: il grande portone laccato di nero dove poche ore prima lo shogun aveva condannato a morte Cervello e i suoi compagni.

La donna accenna a un arpeggio sullo strumento: le stesse note della canzone che cantava la tengu femmina che portava Masako. In risposta all’accordo il portone si apre silenziosamente ruotando sui cardini.

Cervello, sempre nascosto dietro la cassapanca, collega le cuffie al tablet e rovista tra i menu. Ma la macchina lo delude:

“Non ci sono registrazioni audio” lampeggia la scritta sullo schermo.

–Merda– si lascia sfuggire Cervello sottovoce, guardando con desiderio il portone che si richiude alle spalle della geisha che entra nello studio dello

shogun.

Poco dopo il portone si riapre e la geisha esce, tenendo in mano il grande vaso di forma sferica che al mattino lo shogun cospargeva d’incenso.

–Doppia merda– esclama Cervello. Il vaso è molto pesante: la donna fa molta fatica a trascinarlo per il corridoio.

Uno dei manichini coperti dalle armature medievali improvvisamente si anima, e avvicina alla geisha. –

Consegnamelo, donna. Lo prendo in custodia io, nel nome dello shogun–.

–Triiiipla merda!– esclama Cervello dal suo nascondiglio, stringendo i pugni per la tensione e la rabbia.

La geisha non si scompone nel vedere muoversi il manichino.

–Come comandate, onorevole fantasma coperto dall’armatura–

dice la geisha con voce profonda. Con deferenza, appoggia a terra il pesante vaso. L’armatura animata si avvicina. Improvvisamente la geisha usa il vaso come perno per una violenta torsione delle gambe, fa una capriola e colpisce con un calcio volante al volto l’armatura animata. –Cervello, se sei nascosto qui è ora che salti fuori– esclama la geisha, che alla luce delle lampade che

s’illuminano all’improvviso, accompagnate dalla sirena dell’allarme, si rivela per quella che è: Masako travestita da geisha. L’armatura animata cade a terra con un tonfo. Masako lancia in rapida successione due stelle Ninja che si conficcano nell’armatura senza fare alcun danno. L’armatura si scaglia contro la donna, le mani guantate la afferrano per la gola mentre col suo peso l’armatura la inchioda a terra.

–Oishi, lasciala! Lasciala subito!– grida Cervello balzando fuori dal nascondiglio. Afferra un lungo bastone bokken e colpisce al capo l’armatura, facendone volare via l’elmo.

Il samurai Oishi si pulisce il sangue dal volto, perché il colpo di Cervello gli ha graffiato la fronte. –Come l’hai capito?– chiede Oishi

Cervello ansima per l’eccitazione e lo sforzo del colpo. –Non mi ha convinto il tuo insistere a volerci coprire la fuga, solo e disarmato contro decine di uomini armati di fucile. Non era una strategia degna di un eroe, era l'idea malsana di un pazzo.

O di un uomo molto astuto. E tu pazzo non mi sembravi. Ti sei nascosto qui per rubare!–

–E bravo il nostro genio. E tu vorresti impedirmelo, vero?–

Oishi sguaina la katana appesa alla sua armatura e si avvicina minaccioso a Cervello, che lo fronteggia con il bokken. –Il grande samurai Miyamoto Musashi era solito sfidare i più valorosi tra i guerrieri armato di un semplice bokken di legno.

Miyamoto però li batteva, tu pensi di essere valoroso come lui?–

sogghigna Oishi.

–Lascialo stare, battiti con chi è alla tua altezza– grida Masako, roteando abilmente i bastoni incatenati dei Ninja.

Oishi si volta beffardo. –Una donna? Dovrei disonorarmi sporcando le mie armi col sangue di una donna?–.

–Ti sei disonorato rubando, peggio di così non puoi fare–

dice Cervello, e butta il bokken tra le gambe del samurai, che complice la pesante armatura cade fragorosamente a terra.

–Bel colpo– approva Masako.

–Non è lui che mi preoccupa– dice Cervello.

Un tornado luminoso sconvolge il corridoio–museo. Al centro del turbine di colori si delinea la figura di un uomo che lievitare seduto a mezz'aria nella posizione del loto.

Il turbine svanisce. L'uomo rimane. È lo shogun, i suoi occhi da gatto scrutano Cervello. Alza una mano, da cui scaturisce un fulmine che manda Cervello in un angolo, facendogli anche rovesciare in testa diverse stuoie e stampe che erano appese al muro.

–Infatti, sono io chi dovresti temere– dice lo shogun.

–Maledetto!– esclama Masako, e gli scaglia contro una stella ninja.

Lo shogun la afferra a mezz’aria senza sforzo. E la stritola tra le dita come se fosse di pastafrolla. Poi con un gesto noncurante della mano, spedisce Masako contro Cervello.

–Ahia!– esclama lei.

–Tutto bene?– chiede lui.

–Dimmelo tu: che diavolo è quello?

–Un cavaliere Ellive.

–Invincibile?

–Diciamo un osso duro.

Lo shogun dagli occhi di gatto con un gesto delle mani fa lievitare il bokken in aria.

–Ormai avrai capito che nella cultura giapponese non esistono armi nobili o ignobili, ma solo armi efficaci o inefficaci. Un bastone di ciliegio è un’arma molto efficace– dice rivolto a Cervello.

Il bokken vola contro Cervello e Masako, e comincia a menare fendenti come se fosse impugnato da un guerriero. Masako para elegantemente i fendenti con la katana.

Lo shogun ride.–Sei brava, ragazzina. Vediamo come te la cavi contro avversari veri.

Lo shogun schiocca le dita, e le armature del museo si animano e marciano contro i due ragazzi.

Masako si mette in guardia, mentre Cervello afferra il bokken come se fosse una mazza da baseball. La ragazza provoca le armature facendo loro il gesto di avvicinarsi.

Le armature attaccano. –Non è stata una grande idea, quel gesto– sospira il nerd. Le armature roteano le loro armi, chiudendo Cervello e Masako sempre più

all'angolo.

Improvvisamente, due fulmini rossi sfrecciano dentro la finestra. Sono i due tengu, che attaccano lo shogun. Dopo una breve battaglia, l'uomo grida. Le armature cadono a terra. Lo shogun si dissolve in uno sbuffo di fumo. A terra rimane solo il suo kimono. I due uomini uccello rimangono sconcertati a guardarsi attorno.

Masako si massaggia tristemente un braccio.

–Sei ferita?– chiede Cervello.

–Solo una botta del bokken– risponde lei.

–Però abbiamo vinto– dice Cervello. –L'Ellive ha abbandonato la cronolinea–.

–Vinto?– risponde amara lei. –Approfittando della confusione, Oichi ha rubato il vaso. Ti sembra una vittoria questa?

Cervello la prende per mano. –Che importanza ha il vaso? Era un nascondiglio troppo ovvio. Vieni con me. E venite anche voi–

dice rivolto ai tengu.

Si fermano davanti al portone laccato. La tengu femmina canta sottovoce la nenia che cantava mentre trasportava in volo Masako.

La porta si apre.

Sul tatami, alla luce di una lanterna di carte, ci sono ancora le geishe che intrecciano i canestri che nei piani dello shogun avrebbero dovuto contenere le teste mozzate dei ragazzi dopo l’esecuzione.

Cervello s’inchina alle donne, che gli sorridono e ricambiano il saluto.

Il ragazzo indica l'unico canestro già finito, quello decorato col nastro rosso.

–Credo che qui dentro ci sia un uovo. Un uovo che appartiene ai nostri amici–.

La più anziana delle geishe con deferenza consegna il canestro a Masako.

–Ed è giusto che i suoi genitori lo possano riabbracciare– dice la donna.

Un proiettile penetra dalla finestra, e si pianta nel soffitto.

Seguito da una nutrita scarica di fucilate. –Uscite con le mani in alto!– gridano dalla strada.

–I samurai!– esclama Masako.

–È ora di filarcela– dice Cervello. Il tengu maschio lo afferra, mente la femmina prende Masako.

–Non ti preoccupare, mamma uccello. Lo tengo stretto io–

dice Masako, stringendosi al petto il canestro.

Gli uomini uccello volano fuori dalla finestra. La strada è piena di samurai motociclisti. –Non sparate! Rischiate di colpire i tengu dello shogun!– grida il capo dei samurai.

Gli uomini uccello prendono quota rapidamente, tenendo tra le braccia i due ragazzi.

LONTANA DA CASA

Ate si avvicina a Geko, più per scaldarsi che per affetto. Sono seduti sulla spiaggia del fiume, illuminati dalla luna piena che nel frattempo è sorta, e dalle braci di un fuoco che sta morendo.

–Comincio a essere preoccupata. Che combina Cervello?-

Geko cerca di abbracciare Ate, ma lei con noncuranza gli spinge via la mano. – Cerca di essere serio, almeno una volta.

-Io credo che…- comincia Geko. Un frullare d’ali lo interrompe.

–…sia arrivato-, termina sogghignando.

I tengu atterrano sulla spiaggetta, spingendo sabbia addosso ad Ate, che si protegge il volto stizzita.

Una volta liberatisi dall’abbraccio degli uomini uccello, Masako consegna alla tengu il canestro.

-Ecco mamma uccello, e felicitazioni!- La tengu apre il canestro, e con

delicatezza estrae il grande uovo che contiene.

Il maschio si avvicina a lei, e accarezza delicatamente il guscio.

-E questo da dove viene?- chiede Ate, perplessa.

-È il loro uovo- dice Cervello. –I cavalieri Ellive hanno rubato l’uovo da una cronolinea remota, ma i genitori non l’hanno voluto abbandonare, così sono stati presi anche loro. Gli Ellive hanno cercato di assumere il potere in questa cronolinea sfruttando il terrore della gente per le creature mitologiche, e hanno ricattato gli uomini uccello perché si atteggiassero a tengu: se non l’avessero fatto, avrebbero rotto l’uovo-.

-Ma adesso lo shogun non è più una minaccia, e i tengu possono tornare a casa. Col loro uovo, finalmente-.

Ivan accende i fari, puntandoli lungo il corso del fiume. I coni di luce si perdono nel buio della notte. Ma piano piano qualcosa accade. I coni di luce sembrano diventare più densi, fino a trasformarsi in un tubo di luce, un vortice nella notte. I tengu appoggiano le mani sulle spalle di Masako e Cervello, come per salutarli. Poi s’infilano volando nei vortici luminosi.

Ivan spegne i fari, e la notte torna nera come la pece.

-Sono tornati a casa?- chiede Masako.

-Sì- sussurra Cervello.

-Ora anch’io dovrei tornare a casa- dice Masako con un’ombra di rimpianto nella voce.

Cervello annuisce. –Grazie, Masako. Grazie di avermi aiutato-.

-Tu hai salvato me, io ho pagato il mio debito- gli dice sorridendo. Poi gli da un bacino sulla guancia, facendolo arrossire. –Ciao, Marcello-.

-Cervello-.

-Marcello mi piace di più- dice Masako, e si allontana lungo il canyon.

Cervello rimane a fissarla mentre si allontana.

Un rumore nel fiume, una specie di splash, non distrae Cervello che resta a guardare la ragazza giapponese sempre più distante.

-Dì un po’, Cervy: tu che sai tutto, in Giappone ci sono dinosauri?-

-Eh?- fa Cervello, voltandosi perplesso.

Geko tiene tra le mani un piccolo plesiosauro, grande come un piatto, col collo lunghissimo e le zampe a forma di pagaia, che si agita, protesta e cerca di mordere il ragazzo.

Geko scuote il capo –Vai a prendere la tua ragazza prima che si faccia del male. La sua casa è molto più lontana di quanto lei possa immaginare.

Cervello non se lo fa ripetere e le corre dietro. –Masako!

Aspetta!-

Il sole sorge, illuminando una grande valle piena di dinosauri.

Geko rimette il piccolo plesiosauro nel fiume. Tutto contento, il mostriciattolo nuota via.

La famiglia si è allargata- dice Geko ad Ate. La ragazza greca si stringe nelle spalle. –Farò più focacce. Ci saranno le olive nere in questa cronolinea?-.

-Chissà- risponde Geko. –Però mi sa che qui Cervello non troverà la sua cocacola.-.

Ate guarda Cervello e Masako che tornano verso di loro e sentenzia: –Probabile.

Ma forse ha trovato di meglio-.