Gian Piero Tomasco
Involucrum vitae
Involucrum vitae
Gian Piero Tomasco
Edizione digitale: agosto 2013
ISBN: 9788868551674
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
Indice
Sera d’estate
La gioia più che l’amore.
Cos’è l’amore?
Carnalità
Fragilità
Volare
Un vecchio amore
Blu
L’impeto del mare
Il più saggio degli uomini
Da lontano
La vita
La bestia
Il vecchio guerriero
Luna
Illumini gli abissi, fecondi i deserti.
Disperso
Sfumature o blu intenso.
La speranza
Piove
Una lacrima
Il cielo di Provenza
Nella vallata, alla fine.
La spada e lo scudo.
La vita
Un perdut’amore
La triste storia di un’amante
Afghanistan
Come il tramonto
A Kit e Willy
Cruccio scaccia cocci
La morte di un sogno
Il ramingo notturno
La dignità dell’infimo
Immorale, mormone …
L’ impermanenza
Canto al vecchio pazzo
Oltre l’oscurità
Rime ribelli prima dell’alba
Riflessione lirica
Sei il “colore rosso”.
Il volto crudele della vita
Oasi di pace
Nella terra del Sultano
Pomeriggio d’ottobre
Fu un grande amore
Venere
Il seme della follia
E se ci amassimo già?
Oltre il pianto
Un dolce ricordo
Una vita scadente
Un’altra lacrima
Come pianta
La ballata dell’insonne
Ballata della grande mietitrice
La ballata del verecondo
APPENDIX EXTRA
Prefazione
Giunto alla mia età credo di poter affermare senza peccare di presunzione di aver letto molto nella mia vita, vuoi per studio o più semplicemente per diletto. Volendo fare una statistica veloce della mia esperienza di lettore credo di poter tranquillamente asserire di aver letto meno dell’1% delle prefazioni di tutti i libri che ho aperto. In questo 1% scarso rientravano comunque tutte prefazioni che non superavano le due pagine di lunghezza. Per questo motivo e per altri che non elenco, per evitare di violare questo mio vincolo autoimposto, non mi dilungherò in questa mia necessaria introduzione.
“Involucrum vitae” è una raccolta di poesie, scritte nel corso delle varie fasi della mia vita. Alcune scritte di getto altre dettate dalla volontà di esternare qualcosa che stentava a manifestarsi spontaneamente. Certo non mi considero un poeta, o perlomeno non mi rivedo nell’immagine classica del poeta che ho studiato al liceo. Ho iniziato a scrivere poesie molto prima di capirne il senso. Ciò che mi è stato chiaro sin dal primo istante, era che ogni volta che chiudevo un verso, che incastravo le parole giuste nel giusto contesto, posando la penna avvertivo un benessere puro. Il senso di tutto ciò lo scoprii poi per caso un pigro pomeriggio di settembre seduto su di una panchina rivolta al mare. Accanto a me sedeva una ragazza con cui stavo insieme da qualche mese. Ricordo quel giorno perché assistetti ad uno dei tramonti più belli della mia vita. Vortici di rosso e svariate tonalità di viola si mescolavano tra mare, cielo e terra. Ne rimasi folgorato, incantato, ammutolito. La ragazza accanto a me vedendomi stranito mi chiese cosa avessi. Ed io risposi circa così: << ehm… ehm… è il tramonto!>>. La sua risposta alla mia balbuzie fu illuminante: <<e quindi?>>. Ergo le emozioni non sono facili da comunicare, e ancor meno è facile condividerle a pieno. La poesia, come l’arte in genere, rappresentano spesso l’unico veicolo per tentare di rompere l’immane barriera dell’incomunicabilità. L’arte è l’unico strumento che ci permette di sorvolare tale barriera, ed in ultima istanza di farci sentire meno soli. Così fu per me, quando all’età di sedici anni,in preda ad una delusione d’amore lessi per la prima volta Keats; nei suoi versi lessi il mio dolore come fosse stato il medesimo cuore a sentirlo.
Quello che si troverà, quindi, nelle prossime pagine sono soltanto delle emozioni, semplicemente espresse su di un foglio bianco.
Buona lettura.
“La poesia è di chi la legge, non di chi la scrive!”
Massimo Troisi, tratto dal film “Il postino”
Gian Piero Tomasco
Sera d’estate
Mentre l’Amoroso occhio si schiude mostrandosi agli uomini, trenta piedi sull’acqua, sul dorso di un lieve vento tiepido la mia anima viaggia. Volge verso il sanguigno vespro, cabra fino a toccar il cielo terso, e poi giù in picchiata nelle calme acque. Ingoia le sfolgoranti tonalità di rosso, mentre lottano all’orizzonte con l’inceder della nera dama, che s’accinge a coprire ’l mondo col suo bruno manto. Si riempie del fresco profumo di sabbia bagnata ed infine si lascia addormentare dall’ultima onda che tocca la riva, ormai paga, sazia di tanto splendore.
La gioia più che l’amore.
Solo il grido della natura, riempie il mio cuore di gioia e voglia d’avventura.
In cosa dovremmo sperare se non nella bellezza? Non certo in qualcuno d’amare.
E’ la gioia del bello tutto ciò che abbiamo, l’unico sentimento che non sfiorirà mai.
Mai un sole al tramonto spegnendosi nel mare mi sarà indifferente;
quello che all’alba sento quando ad est venere saluta la notte
è più forte e sincero di qualsiasi umana emozione. Dove può risiedere la felicità se non nella bellezza?
Cos’è l’amore?
O l’amore, cos’è l’amore? Matrice di sofferenze, madre di fuggevoli gioie.
Inghiotte lo spirito dell’uomo, rendendolo schiavo, vulnerabile e privo di intelletto.
Effimera droga che dapprima ci esalti poi ti affievolisci e laceri dall’interno ciò che prima colmavi.
Oppio degli uomini, sempre reperibile nessuno sfugge al tuo giogo, alla tua dolcezza, alla tua crudeltà!
Carnalità
Un tiepido vento di inizio estate irrompe, rossi capelli ondeggianti come in una danza, un o lieve, ma continuo ti porta a me, dolce fiore di campo. Una musica sembra scandire il tuo incedere flessuoso e provocante. Sei venere che sboccia sotto un caldo sole. Ormai prossima a me, sento il profumo selvaggio della tua pelle. Tremori, sussulti turbinii di ione scuotono La mia inerme anima. Il cuore e l’intelletto si mescolano creando un’instabile alchimia. Labbra carnose sfiorano le mie, inizia un attimo che non avrà mai fine.
Fragilità
Sono un’aquila. Sorvolo luoghi belli e tristi. Tutto è sotto di me, gli abissi lontanissimi. Sono una roccia, gli eventi, come il vento, mi scivolano addosso sembrano non tangermi. Ma impercettibilmente mi cambiano per sempre. Muta la dura roccia in lieve polvere.
Volare
Cemento, clacson, buche nell’asfalto; urla, fretta, rumore, dove mi trovo? Dove sono finito? Alzo gli occhi al cielo e spicco il volo, la mia anima lascia il corpo e riprendo a vivere. Dorate scie, sontuose nubi e bianche praterie Si aprono davanti a me. Sopra di me resta l’azzurro tenue, prima del blu infinito. Il tempo non conta più, non c’e’ posto in cui debba andare, ne’ cose da fare. Lo spazio si dilata, e gli affanni del mondo sono lontanissimi. Ampi spazi in cui volare, tutto e’ leggero, tutto e’ sottile. Il rumore del mondo e’ come un vocio in fondo alla valle, un sottofondo impercettibile.
Nulla mi turba, davanti a me solo la bellezza e l’estasi dell’infinito.
Un vecchio amore
Il silenzio, poi il buio. Un sibilo lontano lentamente si inspessisce diventa un suono. Il mio sguardo incrocia il tuo, di nuovo. I miei occhi si specchiano ancora nei tuoi; ricorda ancora il mio corpo i tuoi abbracci ed il tuo calore; le mie labbra il tuo sapore; vecchie emozioni scuotono di nuovo corde dell’anima ormai arrugginite, inaspettatamente queste riprendono a suonare una dolce vecchia melodia. A poco a poco la melodia diviene di nuovo un sibilo, tu scompari nel buio. Addio vecchio amore.
Blu
Lì dove il buio inizia Rivedo la mia anima, lì dove il blu coraggiosamente annerisce. Vedo la tenebra, lontana, sempre più vicina. Senza accorgermene sono parte di essa. Ormai preda dell’oscurità la mia anima non smette di brillare.
L’impeto del mare
L’impeto del mare non lascia scampo. Avvolge, soffoca tutto ciò tocca. Respinge il fiume nella sua bocca, richiama dal cielo il potente lampo.
Si stende sulle anime e sui corpi, tutti striglia col suo puro manto. Non distingue tra il vile e l santo, o come un dio, tra vivi e morti.
Il mare è gioia! Quando chete le sue acque si lasciano solcare, donando prodighe, giornate liete.
Il mare è impeto, forza, furore! Quando sferza rabbioso la battigia inerme, in attesa della punizione.
Il più saggio degli uomini
Un vuoto martedì pomeriggio Vidi un uomo felice di tutto, che donava sorrisi in un mondo grigio, nella tempesta il suo petto restava asciutto.
Camminava sicuro senza esitazioni Sfoggiando una rosa tatuata sul cuore, che mostrava ai anti colmo d’emozioni come a regalare a tutti il suo fiore.
Nei suoi occhi brillava la follia, quella dolce, nemica del dolore, che muta in fragore la silente agonia, la moglie di chi vive, l’amante di chi muore.
Era un folle, un pazzo, un insano di mente, il più saggio degli uomini probabilmente. Ha lasciato qualcosa ad ognuno
pur senza ricever niente da nessuno
Da lontano
Occhi di cristallo fissano lontano. Li osservo sfiorarmi. Quali mari sognano? Che colori cercano? Sembrano non curarsi degli affanni terreni. Aleggiano su tutto, come se vedessero oltre, l’Essenza, ciò che di vero e bello c’è nel mondo. Certo non me, che nel mondo son rovo. Non possono tali dolci mezzi d’estasi posarsi su di me. Come un’epifania d’improvviso inaspettatamente m’illuminano. Sento crescere in me un insolito calore, l’acqua rivola su un arido campo. Il rovo sboccia si fa roseto. Troppo lesti volgono altrove.
La luce svanisce, ritorno nel mio buio, col ricordo di una effimera speranza che m’aveva in un istante illuminato.
La vita
La vita è un mare di emozioni ed io, come squalo, predo, immerso nei suoi colori.
Emozioni, come petali in un campo di fiori, ed io, farfalla, m’inebrio danzando sui molteplici odori.
Ed io, ubriaco, davanti al vecchio tino, dimentico i miei dolori e brindo col buon vino.
Al freddo di una lesta alba mi accovaccio sulla sabbia e attendo il primo sole, che il cuore scalda
per sciogliere la rabbia della notte oramai ata.
La vita è un universo di emozioni, le stelle non sono semplici bagliori, ma speranze foriere di splendide occasioni.
La bestia
Era un giorno di dolore, di bieca sofferenza squallidi pensieri riempivano la testa. Misere figure ruotavano nell’ombra intorno a me, attendendo la mia fine. Affamate della mia essenza, assetate del mio sangue. Tra tutte, la più orripilante era anche la più grande. Dilaniava qualunque cosa a lei prossima. Un ghigno diabolico m’avvertiva del suo infausto incedere nell’oscurità. Un lampo di luce accecante squarciò la fitta tenebra e ne vidi il volto per la prima volta. Il sangue raggelò, smise di battere il cuore. Grande timore e meschino desio
nel veder nella bestia il volto mio!”
Il vecchio guerriero
Non brillano le lance né spade vengono più scosse, rimane un groviglio di colori ed il cupo silenzio delle fosse.
Patetiche schermaglie e inutili rumori soffocano l’impeto ed il fuoco della lotta.
L’amore tolta l’armatura, severamente mira il vecchio guerriero, steso al suolo, distante su un’altura.
<
> <<Sono stanco ed ho troppa paura!>> <
>
Luna
La luce fioca d’un lampione, buca i vetri d’una balcone mal chiuso. Timidamente s’insinua, si posa.
Un letto vuoto l’accoglie, nel mezzo un fiore.
Seduto nell’ombra osservo. Il tempo si ferma. Una musica irrompe. E’ tango! Un corpo sinuoso s’avvicina.
E’ sangue! E’ vita! E’ il toro indomito nella corrida.
Grandi occhi caldi sguardi tempestano, turbano l’anima.
Luna ti voglio! Sei la carne e la poesia, sinfonia del corpo e della mente.
Illumini gli abissi, fecondi i deserti.
Poi ancora tango! Ritmati organetti E decisi violini sferzano l’aria. Labbra si mordono, braccia si stringono, gambe si intrecciano… Mimiche celestiali sospinte da impetuose ioni.
Un maligno vento, d’improvviso, spezza la luce. Ripiombo nel buio. Il letto scompare, ripartono le ore. Luna è svanita, ma di lei rimane l’odore, lì sul letto, disteso accanto al suo fiore…
Disperso
Dove sono? Proprio non ricordo. C’eri tu un attimo fa, ora non più, da un minuto, da un eternità. Non c’è più il tuo sguardo a seguirmi, ne la tua bocca a baciarmi. Un altro corpo, un altro calore fende, atterrisce ciò che resta del mio cuore. Un mare di rabbia e rancore annegano dolci ricordi, come note melodiose spente nel fragore di inutili urla, orrendi latrati. Oddio! Dove sono e perché? Perché questo fremito non cede, non s’arrende? Tutto ciò che è stato ora dov’è?
Sfumature o blu intenso.
Senti come vanno via le nuvole, un ruscello di parole corrono via morbide. Resto fermo, immobile, sfumato. Dove sono ora? E’ il sole o la luna? Un pianto o una canzone? Sono pronto. Un immenso blu dinanzi a me, l’imponente mare m’attende. Rendo, prendo, sfondo, mi confondo… sono pronto? Da un cumulo di sabbia scruto, volgo la testa, lì dove il sole posa e cessa la tempesta.
La speranza
Seduto in una stanza attendo, paziente, che volga il tempo il mio vuoto vivere. Immagino future primavere piene di luce e di suoni felici con canti di gioia e pieni di sorrisi. Poi apro gli occhi e vedo il vero. <
> Speranza, mera ingannatrice di tutti i sogni sei la radice, tu sei baro nel gioco della vita, resterai con me finché sarà finita.
Piove
Piove. Ma dove? Sono lacrime, ma non le ultime. Nuvole gonfie su sterminate pianure Campi deserti e grosse paure. Dove inizia l’infinito? Come nasce un sorriso?
Un altro temporale è ato, sono morto o forse mai nato.
Una lacrima
Scende una lacrima Come il petalo si stacca dal fiore. Sboccia una nuova ione, un breve sorriso, mentre muore un vecchio amore.
Il cielo di Provenza
Nel cielo di Provenza Le stelle tardano ad arrivare. Come nel cuore infranto la pace. Il fiume s’appiattisce l’aria si ferma l’indaco imbrunisce, ma nel cielo chiaro nessuna stella brilla. Brilleranno! Quando il tempo avrà deciso, ed il giorno stanco lascerà fiorire la notte. Ameremo ancora In una calda notte di Provenza.
Nella vallata, alla fine.
Una verde vallata si stende come un manto color smeraldo ed accoglie il mio o.
Un ruscello rivola dolcemente su bianche rocce sul limitar d’un bosco prima d’un cielo cobalto.
Inizio a correre, ma senza fretta. Scruto l’ameno paesaggio.
Ecco dove il sole nasce, adagiato su d’un dorato campo di grano, sullo sfondo zampilla l’arcobaleno d’un getto d’acqua.
Farfalle balzano dolcemente su fulvi papaveri, con celesti coreografie, in un sacro rituale.
Una lepre veloce piega le spighe, mentre un fiero falco m’accompagna dall’alto.
M’impaurisce e mi consola il lamento d’un cane che mi saluta mentre m’avvicino alla fine della vallata.
Il Sole diviene immenso, la luce accecante, i biondi raggi, stranamente gelidi sembrano abbracciarmi.
Mi scalda il viso un ultimo bagliore, un sorriso prima del buio, che avvolge la mia anima che muore.
La spada e lo scudo.
Una calda notte d’estate mi ritrovai a percorrere la difficile strada che dal mondo porta all’infinito. M’incamminai cingendo la testa con pensieri troppo lesti e furbi per sostare a lungo nella mente. D’improvviso una falange di fitti pini silvestri mi si parò innanzi. Condussi, da fiero condottiero, la mia anima oltre le picche del fitto periglio. Rimbalzando tra l’audacia sempreverde del cuore e i caduchi scrupoli dell’intelletto, mi lasciai tosto alle spalle fronde, aghi ed erbacce.
Ormai fuori, un caldo vento mi ghermì, un impetuoso spettacolo spiegandomisi di fronte prepotentemente percosse tutti i miei sensi. Fresca sabbia, poi uno scuro manto, lievemente increspato, come un vispo lenzuolo steso sul giaciglio di giovani amanti. Dall’alto una morbida tenda blu calava sulle dolci acque, squarciata nel mezzo da una luce argentea: - la luna ed il mare: lo scudo e la spada del poetaRapito. Come da un’estasi orgiastica m’abbandonai al mare. Immerso in questa amorevole pozione d’oblio nuotai… Cullandomi tra le sue fresche carezze, solcando ad ogni bracciata la cascata di luce
che dal cielo si riversava brillando sul livido campo. Sospeso nell’incanto naufragai fra le onde, fra le ere, nell’eternità. Dopo un secondo, un secolo, una vita, lasciai le acque. Allontanandomi le osservai con gli occhi del vecchio pirata. Bucaniere infelice, che ammainata l’ultima vela più e più volte tornerà con una grossa bottiglia di rhum ad imbracciare di nuovo la spada e lo scudo.
La vita
Un gemito. Il lesto inceder del tempo, sbattuti dalle ioni verso il Silenzio…
Un perdut’amore
Ripenso spesso a noi. Quanto tempo è ato! Poco, per dimenticare per smettere di soffrire. Troppo, senza un tuo sorriso, una tua parola, un cieco gesto di perdono. Ci rivedo, come in una vecchia foto: sorridenti, felici, giovani, innamorati, inconsapevoli del male che ci saremmo fatti. Ecco, sotto un pallido sole, i tuoi biondi riccioli splendere soavi, in un generoso pomeriggio di fine ottobre. Sulla spiaggia deserta solo io e te, il timido fruscìo delle onde che dolcemente s’adagiano sulla sabbia. Il tuo viso sul mio petto,
la dolcezza di una carezza, la tenerezza d’un abbraccio, l’emozione d’un bacio, vestono ormai solo il ricordo lasciando nuda la realtà d’un Perdut’amore. Del tempo
Mi guardo allo specchio e vedo il tempo! Denti ingialliti, capelli radi l’affanno per le scale, della vita, dell’amore. Nove rintocchi, ammonisce la vecchia torre campanaria. Odo il tempo! Una lacrima solca il viso, una storia è giunta al termine, l’emozione d’un ricordo, d’un sorriso! Spunta una vecchia canzone memore d’un tempo perduto. E’ tardi ormai.
Penso al deserto, all’immensità d’un tramonto, ad una vela spiegata in mare aperto, al vento, alla notte, alla luce dorata della luna, riversa scintillante sulle brune acque. Poi il sorriso di una donna bellissima, ai grandi amori, ai grandi dolori… Che ore sono? La morte di un amore.
… E così, una sera d’estate morì il nostro amore! Sul limitar del giorno, mentre una grigia nube copriva l’ultimo raggio sul capo del colle. Nel silenzio di inutili parole cavalcando il flebile vento del sospetto. Batté un ultimo spesso colpo sul petto e poi via per sempre perso.
La triste storia di un’amante
Un o leggero sfiora l’asfalto. Affranto va il piede di chi non vuol disturbare. Chiede scusa per il aggio. Ci fu la primavera anche nella tua vita anche se la luce nei tuoi occhi è ormai svanita. Ricordi la bellezza, la voglia di vivere il calore di baci dati con troppa leggerezza. Tutto è ato, tutto è lontano ormai dimenticato. Troppe furono le sofferenze, troppo il dolore, da portare con grazia in un tenero cuore. Il fumo di una sigaretta economica È l’unica traccia del tuo aggio,
una bottiglia svuotandosi scandisce i tuoi giorni, ormai rapiti in un mondo in bianco e nero. Vittima del male della gente, della dolcezza del tuo cuore, donato con ingenuità, senza pudore. Percorri in silenzio la tua strada, condannata alla solitudine, fuggi gli sguardi e guardi rassegnata al giorno che verrà.
Afghanistan
La notte a Herat sembra infinita, nella fredda tenda da campo cupi mugugni celano, soffocano le nostre lancinanti paure … quanto è lontana l’alba? Il sangue, la polvere, le mani tremolanti che stringono incerte quel ferreo, tremendo compagno. Gli insegnamenti dell’accademia Risuonano ormai come un eco lontano, mentre pattugliamo vecchie stradicciole e case dilaniate dalla guerra … la chiamano Guerra Santa o “missione di pace”. Ma non c’è pace qui, né santità. Non c’è onore in un bambino armato, né gloria in una donna che si fa esplodere.
Non vedo giustizia ma bombe, ciniche che sterminano agnelli sotto il ruggito di famelici leoni … Guardo negli occhi i miei compagni E vedo me stesso. Aggrappati al ricordo di casa, dimentici ormai del perché si è partiti.
Come il tramonto
Vorrei come il vento partire Senza curarmi di dove andrò a finire. Come l’arcobaleno, vorrei apparire dopo la tempesta per annunciare il sereno. Vorrei essere discreto come l’alba che incede senza clamore, come il tramonto che ogni sera muore cedendo il o all’oscurità, senza risparmiare uno scampolo del suo splendore.
A Kit e Willy
Oh caro Willy, cos’è poesia? E’ la chiave o forse la toppa? La lingua che arde o forse il fuoco stesso? L’onda del mare o la sua grandezza? E’ la risposta o forse un’altra domanda? Penso alla triste pioggia, colma di malinconia. Al possente vento dell’ovest, quando urla ed incute paura. Alla bontà del cielo, al sole l’astro più generoso. Talvolta alla tristezza del riso, alla comicità d’una lacrima… Come disse Romeo del suo amor, Faustus disse del suo timor: un’esile piuma vibrante sotto l’ incessante inceder del sentire, gettato su di un’infima pelle essiccata
sino a colmar il dotto della piena percezione dell’essere… come un caicco pirata verso l’infinito!
Cruccio scaccia cocci
Il “cruccio scaccia cocci” ricompone vecchie rocce, strappate presto come cartacce, accartocciate alla corte del tempo. Quel temerario teppista, taccheggiatore di attimi. Di battiti bestialmente vissuti nel vento venuto al vespro della vita. Il mare della malinconia maltratta il manto marrone del mesto misto rimembrare… Perso e sommerso dall’ultimo verso cerco, ormai disperso, che sbocci l’ultimo cruccio scaccia cocci.
La morte di un sogno
-Cambio vitaDisse l’incosciente comunista cadendo nelle fauci del capitalismo. -dove son finiti i miei ideali, i miei sogni?Si ripeté un dì rivedendosi come uno schiavo socialista. La voglia di cambiare il mondo, di viverlo cadde in ginocchio, oh povero diavolo fascista. Vivi con amara naturalezza, ogni ignobile 27. Ormai v’è solo fumo e fini immoralmente strappati.
Un giorno realizzi di come tu sia cambiato, mentre il mondo con destrezza si ripete senza chiederti consiglio.
Il pensiero ha bisogno di spazio,
nuove esperienze. Ormai è tardi, vecchio! Scegli una fine, magari la meno triste. Schivando la malinconia, il sogno di ciò che poteva essere, l’amarezza di ciò che invece è stato…
Il ramingo notturno
L’incanto della Luna, al suo ultimo sorriso, accompagna sulla strada la mia anima. La fame di vita offusca ogni pena e chioda saggiamente sul gas. Silenzioso ed imponente, come un albatros sul mare, il mio destriero turbodiesel sorvola le luci della città mentre riposa. Ed io, cerco il distacco, per una piena visione. Nel buio, tra un riflesso ed un ricordo qualcosa si muove. Oltre le brune chiome degli ulivi, nel mare indefinito della notte, qualcosa m’osserva. Qualcosa d’infinito,
lo spirito di Gerico o il canto di Saba. Un segreto ancestrale che sfugge alle menti, e dimora negli istinti. Torno a bruciare, senza ragione alcuna! Non c’è verità per me, ma la cara dolce menzogna!
La dignità dell’infimo
Nella polvere del mondo lessi un giorno la verità. Un vortice di melma bruna eppur dolce ed invitante.
Un se. Nel vortice tratti come aria nel fango a inspessire, gonfiare, permeare…
Colti dal profumo del torbido sconvolti dall’insigne piacere del dolore.
Immorale, mormone …
L’amarezza dell’errore, campione nel rinverdire vecchi fasti, nefasti di un recente ato delfino d’un molle orgoglio.
Dove scorre il fiume col mio sangue? S’inerpica voglioso lungo ripidi pendii Sotto i tonfi grami della scure del destino chiedendo venia per l’immorale presenza.
Immorale, mormone, mormora … Marmotte di marmo marrone. E così via … Soffia il vento, cargo d’inutili parole, sputate, vomitate da esseri privi di pensiero, benché prodighi di idee, maligne quanto vane.
E’ un “pourparler”?
Scusate signori e dame! Ma sì, dico a voi! Che affollate le navate, che vi segnate, che amate ciò che avete, che vi genuflettete, con la fondina piena di giudizi miseramente vuoti.
Volgete lo sguardo oltre la pelliccia della vicina, verso quell’uomo in croce, che insegnando l’amore divenne Dio.
L’ impermanenza
La dolcezza di un attimo, la noia di un giorno, la nostalgia degli anni, la crudeltà del tempo… Eccomi ignaro eggero che comodamente s’annoia prima dell’arrivo, per poi struggersi alla meta. Il presente è speranza, il futuro è azzardo, ma il ato non mente. Il ricordo è un dolce compagno che spesso s’adopera da divinatore, da pastore, talvolta da dottore del cuore. Che grande truffatore che è il tempo: si fa odiare quando c’è ed amare quando va via,
nella costante altalena tra noia e nostalgia.
Canto al vecchio pazzo
Riponi la speranza, vecchio pazzo! Posa la tua spada e cessa il tuo lottare. E’ancora viva la fiamma, ma non sa più dove bruciare. Il tempo dei sogni ha tramutato lucciole in fuochi fatui, piccole certezze in effimeri bagliori. Le tue mani, intanto, gonfie di fatica sfiorano le tue cicatrici e non c’è più dolore, ma un piacevole rimembrare… il vento scuote ancora i tuoi capelli, ormai imbiancati, e la saggia barba,
ma non più la tua anima assetata. Dove abbeverare il delicato essere? Tra fonti putride ed acque divenute malsane… Scegli la sete, vecchio pazzo o il dolce pendio della demenza. Un viaggio del cuore
Vorrei viaggiare come un’onda del mare, ostinatamente infrangermi su questa terra e poi ripartire. Muovere nel vento come una foglia autunnale, piccola e forte, danzare preda di brezze lungo traiettorie trascendentali di vortici naturali scevri di regole e di morali. Sensuali sinfonie d’impeti come orge baccanali guideranno queste membra
a perdersi nei segreti di leggi primordiali…
Oltre l’oscurità
Sicura scivola la mia auto nella notte, solca l fiume d’asfalto oltre il chiarore dei fari si spande imperiosa l’oscurità. Da lontano scorgo un bagliore, è una città, forse una fiaccola… Il mio cuore è già là.
Rime ribelli prima dell’alba
Tirai sul balcone il leggìo come un’anima ribelle, e sotto un timido brillìo m’abbandonai alle stelle.
Fissai il mare bruno nel suo manto, poi avido aprii un Dante polveroso e ne lessi morbosamente un canto, col cuore corso d’uomo avventuroso.
Solcai gli oceani della poesia sostando ai porti dell’anima, con le vele gonfie di bramosia, d’ebbre ion colmai la stiva.
Mi riempii il petto di versi come dolci gocce d’infinito. Sopii col rhum sogni dispersi
Lasciando in terra il mio vestito.
Il bianco stanco mi tinse il volto, nel vuoto inutile d’un bel ricordo. Da un rosso profumo fui sconvolto Nel tetro riff s’un vecchio accordo.
Viaggiai per ore tra cielo e sogno lungo i ferri d’un binario morto, come preda d’un vital bisogno, ma mi colse l’alba ed un sole storto…
Riflessione lirica
Apro le mie carte e le getto, sono le migliori, ma non so giocarle… forse sono le peggiori… dove la mia testa cela la chiave, la chiara dolce porta sul cielo, quel ponte che porta potente alla verità, oltre la mestizia di questo tranquillo, quotidiano, scandalosamente semplice ordine di cose. Vorrei parlarti, caro lettore, della nebbia che cade violenta nella fredda aurora, al largo dei banchi di Terranova; del timido sole, che s’accascia stanco, indisturbato, all’imbrunire, tra i cieli tersi in alta montagna;
vorrei ancora caro lettore, dirti del mio primo amore, del mio dolore, del petalo d’un fiore… il petto si riempie di fuoco, pronto ad esplodere. Promette folgori tonanti, ma lascia tenue scintille, vacue alla luce, che si spengono in un soffio.
Sei il “colore rosso”.
Un morbido profilo, ruba ora il mio sguardo. Fragorose risate e la licenziosità di vivaci parole ridestano un animo ormai quieto.
Goderecce risate, al suono di tammorre e nacchere spagnole, tinte di rubino da fiumi di robusti vini di botte, lesti a bagnare le nostre avide gole, a inebriare le nostre menti nell’onta dolce di pensieri peccaminosi. Il sapore della carne mentre violacee labbra si mordono in impetuosi baci. Un fuoco rosso sospinge tra sfatte lenzuola,
in una danza di corpi la più antica e dolce alchimia! Per la gloria del sangue e la rovina dell’anima.
Il volto crudele della vita
Un sole morente getta raggi di sangue la dove il rosso impavido sfida l’oblio. Una barca solca il mare verso l’esilio, avvolta nel nero, ormai non si distingue.
Una giovane sposa di tenebra vestita cala il cupo velo, stringe il suo cilicio mentre l’amato vaga sull’esile naviglio, inconsapevole d’una morte sfuggita.
Scruta famelica altre carni, un uomo ingravida di lussuria i suoi sudici pensieri. Morde le labbra ed offre il fatal pomo, al povero diavolo avvolto da torvi misteri.
Tra ferica perversione e tossici umori Le lingue si bagnano leste con afflato. La fredda lama nel nudo costato
penetra lieve cessando tutti i rumori.
Cigola ancora sferzato il vecchio giaciglio mentre l’ultimo vital rivolo sgorga fioco tingendo il bianco telo di rosso vermiglio.
Nel cerchio crudele della vita la lussuria copula con la morte mentre l’amore fugge verso l’ignoto.
Oasi di pace
Tolsi il cappello e m’asciugai il viso. Volsi lo sguardo al cielo annusando la pioggia, mi rimisi in cammino verso il paradiso. Oltre quel colle una verde valle m’attende Oasi di pace, gonfia di vita. Ciottoli aguzzi e muschi scivolosi, lungo l’erta, finché giunsi oltre quel colle senza una valle.
Bianchi scogli alti e maestosi, ivi trovai, ripidi e scoscesi. Oltre quella roccia una bianca spiaggia m’attende, oasi di pace, gonfia di vita. Appoggi instabili e deboli cespugli stentavano a reggere il peso del ato,
il fardello d’un ricordo. Caddi tutto rotto in fondo a quello scoglio, senza l’ombra d’una spiaggia, né la luce d’un tramonto.
E’ al di là del mare il mio mondo, oltre queste onde un isola m’attende, oasi di pace, gonfia di vita. Presi il mare come una nave solcando impervi flutti, aggrappato al legno fradicio d’un vecchio albero.
Vagai, svagai, finché pagai in mare aperto, l’illusione d’un luogo che non trovai mai.
Nella terra del Sultano
Sospinto dal Levante doppiai Osuna. Nel silenzio d’immense campagne arse dal sole, sanguigne terre accolgono solo il benevolo fruscìo Delle timide e forti foglie d’ulivo. Seguii il vento che portò i mori oltre gli onesti sempreverdi ed il fiammeggiante suolo. Giunsi ai piedi d’un maestoso guardiano dalla nivea cime acuminata. Imponente veglia da secoli su antiche vestigia, sublimi meraviglie d’un’altra era, tesori sopiti di cultura ed architettura. Per le strette vie dell’Albaycin si odono vecchie storie di genti diverse che vissero in pace. Nei giardini del Generalife
Tra il platano ed il glicine lievi brezze sussurrano della grandezza degna di Babilonia che fiorì in queste terre. Volgo lo sguardo a ponente respiro la gloria e la bellezza. Gettò quattro spiccioli ad un mendicante cieco e ripenso al poeta … “en la vida no hay nada como la pena de ser ciego en Granada”
Pomeriggio d’ottobre
Tienimi per mano amore mio. In questo grigio pomeriggio d’ottobre, fammi compagnia. Seguimi nei meandri infiniti del sentire…
Oltre una piccola duna di sabbia restano inermi granelli, guardiani imperituri del volgere delle ere.
Vedi al di là della morbida garitta scuotersi orde di onde inferocite, gonfie d’acqua, bardate da bianche schiume…
Lottano con rabbia, caricano tremendi assalti sino ad infrangersi coraggiose contro i solidi bastioni della battigia.
La battaglia si inasprisce sotto il rabbioso sferzare del vento. Sul fronte opposto alte mura d’avorio si spiegano, che fitte alla base sfumano cineree all’apice.
Nuvole cariche di piogge Terminano la mirabile fortezza, disegnando voluttuose merlature d’antrace ed oricalco.
Nella tregua commosso ti stringo la mano e cerco il tuo sguardo, che indifferente volge altrove, dove non c’è emozione, ma solo un mare in tempesta in un pomeriggio d’ottobre.
Fu un grande amore
Dove eri finita? Ricordo amaro d’un perdono, d’una dolce ferita.
Nero intenso giù dagli occhi per valli d’avorio sul dorso d’un timido sorriso.
Stento a nasconderti al mio cuore che batte incurante, come se non fossi mai stata altrove.
Sono felice, ma è solo un’illusione, la nostalgia d’un qualcosa che fu forse un grande amore.
Venere
Dorati raggi di sole che si curvano su dolci colli al vespro disegnano la tua chioma ondeggiante.
La volta dei tuoi occhi risplende di zaffiro su d’un mare di giada.
Il tuo corpo esile ed armonioso é ritmo e melodia capolavoro di Fidia, luce della luna.
Nel baratro dei miei sogni i nostri sorrisi si incrociano, terreni pensieri lontani da te.
Non in questa vita mia dea, altrove posi la tua grazia,
tu che sei neve purissima.
Il seme della follia
Mura ingiallite circondano il letto, simulacro eterodosso della dottrina di Ippocrate. Su questo arido altare resta il tuo corpo come crocifisso, mani e piedi legati. E’ la follia! Un volto pallido fisso verso l’alto, occhi vuoti scrutano il soffitto forse cercano il cielo… ma non c’è l’azzurro dell’alba, ne’ il rosso della sera, bensì di nuovo il bianco ingiallito delle vecchie pareti. Sei partito, amico mio, e mai più ritornato. Sei inciampato nella vita, affondato nel dolore, ed ora sei qui inerme agnello
innocente ed impotente. Ripenso alle mie colpe. Guardo altrove fuggendo da me stesso. Oltre la stretta finestra vedo le alte mura di Gerico ed il silenzio agghiacciante che le avvolge…
E se ci amassimo già?
Vorrei essere morbida argilla modellarmi tra le mani della tua anima. Violare i confini del tuo essere, rompere il vetro del tuo sguardo, per essere linfa lungo i petali del tuo sorriso. Sento il doloroso muro che ci spezza, ma percorro le oniriche strade verso il tuo cuore.
Oltre acuminate picche d’acciaio fioriscono giardini pensili su mari di latte e cannella.
Oltre il pianto
Oltre il pianto un greve sibilo rimane testimone astuto dell’orbo canto.
Varcato l’oblio un’ultima tromba vibra debole e fiera nel mesto esilio.
L’avida fiamma sferza famelica l’inerme cera immemore del dolce fiore che la generò.
Eppure qualcosa vive! Oltre le onde una bianca scia rimane, ricordo flebile d’un aggio.
Un dolce ricordo
Mio dolce ricordo non abbandonarmi parlami di lei una volta ancora. Di quei giorni di lacrime e poesia ridonami la fragilità. Erano grandi risate! Tra un caffè ed un tramonto si sfioravano le nostre mani, avide e tremolanti, sotto il nostro tavolo al bar della vita. La semplicità d’un gesto l’emozione di condividere nel più vero dei mondi possibili. Prima di sparire per sempre abbracciami, oh dolce ricordo, fallo ora, ora che lei non può…
Una vita scadente
Cade un’altra lacrima come rugiada da un fiore, solca il viso, dolcemente scivola. Lascio che rivoli, sulle gote, sul mento e poi giù ad innaffiare quest’arida vita.
Vissi alla stregua di una lancetta, comprando emozioni a basso costo, illudendomi di esistere. Vissi emozioni scadenti, vissi una vita scadente.
Un’altra lacrima
Mi accarezzi il volto, lentamente. Dolce, delicata allevi il mio dolore… Poi non ci sei più! Ti cerco intorno, ma sei sparita! O forse eri solo un’altra lacrima.
Come pianta
Un nuovo sole è sorto orfano del sogno, spento nello sconforto dell’ingannevole apparenza.
Cosa recherà Apollo stamane? Forse nuove gioie, o vecchi dolori, eterne noie o ancora bagliori?
Attendere schivando il soffrire sperando che il vital fuoco non veda la fine.
Starò come pianta! immobile rivolta al sole. Spero che piova, ignoro il dolore, solo due gocce ed avrò il mio fiore.
La ballata dell’insonne
Cerco nella notte un sollievo come un anima in pena, vago nella tenebra più nera aspettando che arrivi l’alba col sereno.
La mente non posa rimugina riflette si tortura, ricerca qualche verità ascosa per cui la vita sia men dura.
Cerco nella notte più scura la luce della luna, per imboccar sentiero di fortuna, seppur son schiavo di sventura.
Arriverà il sonno sedatore matrice di sogni incantatori, che sopiscono tedio e dolori
facendoti credere nell’amore.
L’amore è l’ascosa verità l’appiglio del mortal lamento, che libera l’animo dal tormento ed illumina la tenebra e l’oscurità.
Ballata della grande mietitrice
S’annida e attende, silenziosa e paziente. Sa quando arrivar e paura non l’apprende. È la madre del terror da cui tutto discende.
Improvvisa per l’ottimista, soffoca ogni speranza, sempre tardiva per il pessimista, che nell’affanno attende mentre avanza.
Sibila nel vento Quando vuol far tremare, ma è inutile il lamento è muto il suo avanzare.
Nel nulla è ascosa nella cieca tenebra lei vede. Attenta e pensosa
la man della parca che il fil recide Potenza ordinatrice, verità infelice, E’ la dama con la falce, la grande mietitrice.
La ballata del verecondo
Il tempo ghermisce le mortali spoglie, dalla culla alla bara ci conduce. Cader come in autunno le gialle foglie, quando le nuvole soverchian del sol la luce.
L’estate vestita di gioia è felicità fittizia, in realtà è come il boia che ci reca l’ingiustizia.
Ma io non ho paura e attendo in un cantuccio, causa di sepoltura e indosso il mio cappuccio.
La vita è una menzogna dell’essere è il vestibolo, illude chi l’agogna,
ma non dopo il patibolo.
APPENDIX EXTRA
DAL VENTO DEL NORD
(un canto di vita e rime ribelli ….)
O dolce Musa, avvolgimi in bianchi veli, e portami come un inerme infante nel regno della poesia, in alto nei cieli, da ogni sgraziato atto miglia distante.
Fai vibrare con sublime maestria le corde dell’anima e della memoria, fai fiorire la lirica e la melodia, dai poetico vigore alla mia storia.
In una fosca alba, raccolsi me stesso, e come colui che non teme, andai via. Un avventuriero col cuore dimesso giunto nella vita per caso al crocevia.
Partii lasciandomi dietro molte storie,
col buono intento di scriverne di nuove. Ghermii il vento tra merli e ghiandaie, presi a vagare ma senza sapere dove.
Sferzai l’asfalto come un killer spietato naufragando nei miei labirintici pensieri: tra un vivo ricordo e un canto stonato, vidi torri,spade, dame e grandi guerrieri.
All’ora della sera, con ormai lontani gli affetti, da baro trassi il mio dado oltre il Rubicone. Entrai in un bar a bere tra uomini abietti finché stanco e ubriaco svenni sul bancone.
Lasciai la mia anima in un lurido cesso, l’indomani distrutto e colmo d’amarezza, smisi di scavare invano dentro me stesso, al mattino mi librai sul dorso di una brezza.
Il mio argenteo destriero cambiò o, d’un tratto più lento, più attento si mosse.
Svanita la foga iniziale guardai ogni sasso ogni fiore, e qualsiasi altra cosa fosse.
Veloce mi vidi sfilare accanto il grigio Po. Ahimè nacque un triste ricordo quel dì, maledissi il giorno in cui il viaggio iniziò ed il pernicioso motivo per cui ero lì.
Persi di vista il biondo sole che volevo, la cupa alba m’aveva affranto il cuore. Tra le nebbie disorientato non vedevo della verità tanto agognata il vivo colore.
Con la forza dell’asino e l’ottimismo che fa della cicala il re tra le bestie iniziai un canto, e scacciai lo scetticismo, iniziai a ridere. Indossai una nuova veste.
<<Ecco signori il viaggiatore solitario, che piange davanti ai tramonti, e sputa battute ad ogni orario.
Eccolo puntar deciso verso i monti>>
<
> dallo specchio vidi la strada fuggire, e dall’alto scorsi lontana la pianura deciso mossi altrove le mie mire.
Veleggiai per giorni tra le montagne, come un lupo famelico scrutai boschi, valli, gole, fonti e dolci campagne, baciai gelide piogge su bianchi picchi.
Per molte notti attesi l’alba disteso sui prati prossimi a quiete acque, piansi vedendo il nitido riflesso delle fioche stelle all’alba residue.
Lo spirito della Natura m’accolse come la madre col prediletto figlio ma l’intento presto altrove volse andai via!Con in mano un giglio.
La mia turpe coscienza già mutava, mi diressi a Praga, in terra di Boemia verso il vile oblio di una notte brava, come l’Inferno in una dantesca allegoria.
Cenai in una bettola con un barbone. Raccontai la mia storia senza pudore. Bevvi e ubriaco cantai una canzone, dedicandola al ricordo d’un vecchio amore.
Sazio ed avvinazzato m’incamminai rivoltando avidamente ogni vicolo, in una rete di insidie, sereno, mi gettai senza curami del buio e del pericolo.
Cagne, ruffiani, biscazzieri, spacciatori tutti vizi vidi scorrer in processione. Il gran festival di tutti i peccatori, quando un suono tagliò la confusione.
Una struggente melodia bucò l’oscurità fuggendo da un desolato e gelido cunicolo. Un dolente violino scevro d’ogni vanità reggeva a stento il canto di un diavolo.
Note d’amore e di insanabile dolore, vidi oltre un vecchio vetro opaco una strega che con trepidante ardore sanava in canto quel truce fondaco.
Il petto mio non resse tanto tormento; fuggii in cerca di nuovo del bicchiere. Tra le membra della fata verde sgomento caddi, non riuscendo a smettere di bere.
L’opaco sole Ceco non mi destò presto la vita era ripresa, ormai le vie gremite, trovandomi riverso mi posero in arresto. Era ormai morto in me lo spirito del mite.
La mia storia a Praga era finita,
cercai per giorni una nuova via, in Baviera vidi fiorire molta vita, molte belle storie ma non la mia.
Eccomi giungere dove il Rodano pose con saggezza le sue radici. amabili colli dove le cicale cantano felici e incessanti tra le morbide pendici.
Una vecchia locanda m’accolse per la notte, da una finestra cadente osservavo curioso un vetusto ponte fatto di pietra e tavole rotte. Che con valore resisteva ad un rivolo impetuoso.
Vidi in quel ponte sgangherato la triste vicenda del mio cuore, Dal destino più volte maltrattato, quando ostinato affronta nuovo amore.
Sentendolo scricchiolare sorrisi, mescei in un calice del vino rosso
assaggiai anche l’odore dei narcisi lusingandomi col canto d’un pettirosso.
Era giunto il tempo di errare altrove. Seguii il Rodano sino ad Avignone, con fame di vita e avventure nuove, in cerca del colore di una nuova stagione.
Varcai le mura che sfidarono la curie in una calda notte piena di colori. Orde di genti festanti affollavano le vie, era d’estate e le strade piene d’odori.
Dai davanzali s’affacciavano i garofani, curiosi scrutavano tra la folla per cercare tra i gerani i balli di orde ebbre di gitani, mentre timidi glicini restavano a guardare.
D’un tratto mentre osservavo inerme le guglie ispide di una cattedrale, corpo e mente si ritrovarono ferme
per l’inceder d’una figura celestiale.
Un angelo o un diavolo apparve avulsa dalla folla festante. Ogni altra cosa d’incanto scomparve. Fu prossima a me in un istante.
In scia la seguiva un’intera compagnia teatrale attori, attrici, giullari e saltimbanchi un vivido intreccio burlesco e irreale colorò in pochi attimi i miei occhi bianchi.
Stupenda in viso mosse sinuosa e lenta gettando dentro me il blu dei suoi occhi. rendendo d’improvviso la ragione luce spenta, mentre la sera s’annunciava con nove rintocchi.
<
> abbozzò un inchino Le baciai la mano poi la strinsi a me dolcemente in un’orgia di sorrisi ci guardammo intensamente l’orchestrina a seguito ci donò un tango argentino.
I nostri corpi frementi si mossero sicuri, avvinghiati accarezzavamo il pavimento. esplosero in un fuoco i miei pensieri impuri. Un organetto suonava note di godimento.
La musica cessò all’improvviso, i nostri corpi erano ancora prossimi, le sue labbra rasenti al mio viso. Le cercai ma volsero altrove in pochi attimi.
La vidi allontanarsi nel calpestio della gente Così come era venuta, sicura, sinuosa Mi lasciò un ultimo sguardo seducente Lasciando cadere dietro di se una rosa.
Corsi come l’assetato in riva al torrente la raccolsi cogliendone la fragranza chinai il capo come un salice piangente, felice o forse triste in quella strana circostanza.
La mia anima affamata la cercò nella notte rovistai i teatri, i boudoir, le sale da the. M’incamminai per strade buie, corrotte con in mano la rosa lasciata per me.
Il sole andò a letto molte volte prima che io decidessi di partire tutte le mie speranze s’erano disciolte nell’ennesima bottiglia morta all’imbrunire.
Sedetti ogni giorno allo stesso tavolo nel cupo silenzio d’un bar semivuoto, bevendo Zacapa da solo in un angolo guardando malinconico una vecchia foto.
All’ora del dolce declino del sole giunse col vento un odore di soffici petali e fragole era lei in tutto il suo candore.
Il petto mio sembrò scoppiare
mentre la sua morbida figura nell’ombra continuava ad avanzare. Ed in me cresceva la paura.
Il mio volto si tinse d’ emozione lei mi sorrise ed il collo mi cinse, spegnendo la mia trepidazione guardandomi negli occhi mi strinse.
Cercai di nuovo la sua bocca lei cercò la mia, ci baciammo come quando cupido scocca il dolce dardo, ci amammo.
Naufragammo nei mari della sensualità spingendo i sensi e la mente nei sogni ci nutrimmo solo della nostra voluttà dimenticando del tutto altri bisogni.
Grovigli di corpi e di ioni mossero lesti nel regno del eros,
carnali movenze e dolci effusioni si smorzavano all’alba in un sonno leggero.
Nutrita fu l’anima di ione, ma ora era tempo di partire. l’ ultim’atto volse a conclusione nel giallo opaco all’imbrunire.
Ero miglia distante da casa mia, senza bussola, né destinazione. Fiducioso seguii la strana scia cavalcando già una sensazione.
Vagai per giorni, forse per secoli, vidi mari, oceani, monti e colli. ai paure, dubbi e ostacoli tagliai le valli su venti folli.
Annebbiai la mente e riposai lo spirito nella terra d’Erasmo e dei mulini, ma risvegliai solo un odio sopito
cogliendo tetri messaggi sibillini.
M’imbarcai su d’un vecchio battello imbottito di vodka liscia economica, varcai il Baltico come fosse un ruscello giunsi nella terra che la natura glorifica.
Piccole città, poi monti e cascate, sino a giungere nell’eterno giorno. Quattro giorni di dure camminate, sino al punto di non ritorno.
Arrivai infine al confine del mondo. Un mesto masso di pietra tagliente ed un bruno mare a far da sfondo. Qui m’accolse il Vento imponente.
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… del mio vagare e dell’esistenza!>> <<Spiegami le orbite del cuore, la terra dell’anima e la sua essenza, del pensiero puro e del suo ardore … >>
Tenebrose nubi si gonfiarono, vividi lampi squarciarono l’aria, tutto l’etere mosse all’unisono. Un suono potente scosse l’armonia.
Le acque si scontrarono con violenza, flutti alti come palazzi mi solcarono il volto, che ritrassi con prudenza. <
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<< quante domande tutte insieme! Sempre poche per la mole dell’anima, però audaci, coraggiose quasi blasfeme! Vana fu la tua venuta su questa cima!>>
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