Roberto La Paglia
IL SEGRETO DI FULCANELLI
ISBN: 9788869370526
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Indice dei contenuti
Premessa - Prologo Capitolo 1 Capitolo 2 Capitolo 3 Capitolo 4 Capitolo 5 Capitolo 6 Capitolo 7 Capitolo 8 Capitolo 9 Capitolo 10 Capitolo 11 Capitolo 12 Capitolo 13 Capitolo 14 Capitolo 15 Capitolo 16 Capitolo 17
Capitolo 18 Capitolo 19 Capitolo 20 Capitolo 21 Epilogo
Premessa - Prologo
Le cose non accadono per caso. Mai sono stato così convinto di una mia asserzione e mai così determinato nell’affermarla, anche perché, dopo i fatti che sto per narrarvi, ho fatto di questa mia asserzione una vera e propria regola di vita. Niente accade per caso. Un giorno, per una strana coincidenza, fra l’altro mai spiegata, il tuo quadro preferito che, da anni, è appeso alla tua parete nella tua posizione preferita, senza alcun apparente motivo, cade a terra. Quel giorno, dovrai prestare molta attenzione a ciò che avverrà in seguito perché, come dicevo all’inizio, nulla accade mai per caso. Trascrivo questi ricordi e lascio questi appunti perché, un giorno, per una strana coincidenza, fra l’altro mai spiegata, colui che si ritroverà a leggerli sia rapito dalla stessa sete di conoscenza e dalla stessa ansia di ricerca che animarono i miei i. Quando ciò accadrà, io avrò realizzato la mia Grande Opera e una nuova strada sarà offerta a tutti coloro che, in umiltà e saggezza, sapranno riconoscere nei segni che saranno dati loro, le giuste proporzioni per costruire un mondo migliore.
L’uomo con il giubbotto di pelle nera si osservò intorno spazientito; per la prima volta non era riuscito a portare a termine un incarico, ma dopotutto le indicazioni erano state fin troppo frammentarie, e se non fosse stato per la congrua somma di denaro che appesantiva la tasca interna della sua giacca, avrebbe di certo rifiutato. Scavalcò con freddezza il corpo del vecchio bibliotecario e si diresse verso una delle finestre per controllare la strada; non soltanto non era riuscito a trovare quanto richiesto dal committente, ma per la prima volta anche i suoi metodi di
“persuasione” erano miseramente naufragati in un tragico e indisponente silenzio. Era stato proprio quest’ultimo particolare a farlo andare su tutte le furie, e il risultato era abbastanza evidente; il vecchio disteso a terra ormai agonizzante, l’intero negozio messo a soqquadro e un mortificante buco nell’acqua. Estrasse dalla tasca sinistra un cellulare e, sempre con gli occhi fissi sulla strada, compose velocemente un numero. “Sono io… nessuna evidenza…” Un fruscio di fondo, seguito da un lungo sospiro, accolse la notizia. “Il bibliotecario?” L’uomo spostò lo sguardo sul corpo che giaceva in maniera scomposta dietro di lui, quindi ritornò a osservare la strada. “Non è più un problema” “Bene”, seguì una lunga pausa, “Potrebbero esserci nuovi sviluppi, forse non tutto è perduto. Domani riceverà nuove istruzioni” I fari di un’auto illuminarono per un attimo il corpo del bibliotecario per poi perdersi tra gli scaffali della libreria; l’uomo osservò pensieroso il display del cellulare, quindi chiuse la conversazione e si avviò lentamente verso la porta. I cardini cigolarono leggermente lasciando filtrare la fioca luce rossastra di un lampione, quindi la porta si richiuse con lo stesso cigolio e l’uomo si confuse con l’invitante buio di uno dei tanti vicoli romani. Probabilmente, ancora una volta, aveva commesso un altro errore, mai lasciarsi andare alla rabbia, mai fidarsi delle apparenze; piccoli accorgimenti che, se rispettati, gli avrebbero permesso di notare le mani ossute del bibliotecario artigliare un ritaglio di giornale confuso tra il disordine di una vana ricerca, dettagli che gli avrebbero permesso di cogliere il tentativo di scrivere un ultimo messaggio con le poche forze ormai rimaste, sottili differenze che gli avrebbero permesso di sincerarsi di aver portato davvero a termine il proprio lavoro ascoltando l’ultimo affannato respiro che precede la morte.
Tutto questo non avvenne. Il bibliotecario vergò faticosamente sul foglio le sue ultime parole, poi il buio si impossessò per sempre di lui.
Capitolo 1
Argot girava e rigirava quel ritaglio di giornale senza riuscire a trovarvi un senso. Ma, in quel momento, nulla sembrava avere un senso. Una piccola libreria antiquaria vicinissima al Vaticano, il cadavere di un uomo anziano riverso al centro della sala fra resti di libri e carte bruciate, quell’odore penetrante di antico e un ritaglio dei necrologi di qualche giorno prima con una quantomeno bizzarra annotazione. In tutto questo, cosa poteva avere senso? Quel posto non era mai stato così affollato: la scientifica in piena attività, poliziotti all’ingresso, giornalisti, fotografi, per non parlare poi di tutti quegli inguaribili curiosi che si accalcavano alle vetrine nella speranza di cogliere anche un minimo particolare; il più fortunato, di certo, sarebbe stato quello che avrebbe intravisto il cadavere! Ripensandoci, però, che c’era poi da guardare? Tommaso Canseliet, l’anziano bibliotecario, giaceva riverso a terra con la testa leggermente inclinata verso gli scaffali; tutto il resto era disordine. Evidentemente, l’assassino o gli assassini cercavano qualcosa e doveva essere qualcosa di molto importante, vista la furia con la quale avevano sparpagliato a terra i libri. “Ci vuole ancora molto?”, chiese Argot rivolgendosi con una certa impazienza al medico legale. “Ho quasi finito. L’ora del decesso dovrebbe risalire alle prime ore del mattino, per il resto sarò più preciso dopo aver eseguito gli esami di laboratorio. Dopo averlo picchiato varie volte lo hanno colpito all’addome con una lama molto lunga, non è morto subito, ma forse sarebbe stato meglio… la sua agonia deve essere stata terribile” “Già! Una morte violenta, un biglietto misterioso e una banda di pazzi che mette a soqquadro una piccola libreria antiquaria alla ricerca di non si sa cosa. Proprio un buon inizio di giornata!”, ribadì il commissario scuotendo la testa e cercando
di cogliere con lo sguardo ogni piccolo particolare che gli era sfuggito. Argot indossava il solito cappotto marrone con l’immancabile, misteriosa, macchia sul colletto, l’unica cosa alla quale non era mai riuscito a dare una spiegazione. Si ravviò i lunghi capelli scuri osservandosi in una delle ampie specchiere poste tra uno scaffale e l’altro; aveva ancora gli occhi pesti per una lunga nottata ata a rigirarsi tra le coperte, il viso sembrava ancora più scuro del solito e la sua caratteristica ruga sulla fronte era ancora più profonda. “Commissario, vuol sapere la novità?”, chiese Marini arrivando di corsa e quasi urtando il medico legale. “Marini, non ho tempo per gli indovinelli, ne ho già uno abbastanza complicato da risolvere. Che succede?” “Cansegliet, Canselet, o come diavolo si chiamava, in ogni modo… il vecchio assassinato... era molto legato con il Vaticano e, fuori, c’è un distinto signore in abito scuro, con tanto di cappellino viola in testa, che vorrebbe parlarle” “Bene! Sempre più difficile ... la mia solita fortuna! Lo faccia accomodare nell’altra stanza, arrivo subito. A proposito, mi cerchi notizie su quel necrologio che aveva in mano la vittima”, ordinò Argot e si ò nuovamente una mano tra i capelli. Aveva iniziato da poco con il grado di commissario e, di certo, non si aspettava un lavoro semplice, odiava profondamente la routine, ma ritrovarsi proprio all’inizio ad avere a che fare addirittura con il Vaticano era forse un po’ troppo. Tirò un sospiro, rimise a posto il bavero del cappotto perennemente sollevato e si diresse verso la piccola porticina in fondo alla stanza; stava per entrare, quando notò qualcosa sporgere dalle pagine di un libro finito su una delle poltroncine del negozio. Era una piccola agendina nera dai bordi dorati; la sfogliò rapidamente. Vi erano segnati degli appuntamenti presi da Canseliet per visionare vecchi libri e prezzarli. Forse poteva essere interessante; la mise in tasca e si diresse con aria incuriosita verso la stanza attigua. L’uomo seduto alla piccola scrivania del bibliotecario aveva una strana ruga sulla fronte e questo colpì subito Argot, ma fu questione di un attimo. Era un uomo sulla cinquantina, molto ben curato, con grandi occhi scuri e colorito olivastro.
“Il commissario Argot?” “Ci conosciamo, Monsignor...?” “Aldini, Monsignor Aldini, un umile servo di Dio che presta i suoi servigi e le qualità che il cielo gli ha donato a gloria e onore di Santa Romana Chiesa.” Sempre con il sorriso sulle labbra, parlava lentamente e senza alcuna inflessione dialettale. “Curioso cognome il suo, commissario!” “Curioso? In che senso, Monsignore?” “Niente, riflettevo ad alta voce” “C’è qualcosa che posso fare per lei, Monsignore?” Intanto, Argot gli si era seduto di fronte e continuava a osservarlo. Chissà perché in quel volto c’era qualcosa che gli sfuggiva. “Diciamo che il povero signor Canseliet aveva spesso rapporti con il Vaticano: vecchi libri da restaurare, copie da visionare… sa come funziona, no?” “Veramente non saprei, ma non vedo il nesso con quanto è accaduto.” “Canseliet aveva la nostra massima fiducia e questo gli consentiva di accedere a informazioni che altrimenti non andrebbero oltre le mura della biblioteca vaticana. In questo senso, sarebbe un gesto molto apprezzato in alto loco se ci rendesse partecipi delle sue conclusioni” Argot corrugò notevolmente la fronte. “È ovvio, commissario, che non vogliamo in alcun modo essere di intralcio alle sue indagini, né tanto meno metterla in una posizione, diciamo, poco piacevole con i suoi superiori. Le saremmo davvero grati se avesse un occhio di riguardo nei nostri confronti nel caso venissero fuori notizie o situazioni che, in qualche modo, potrebbero ledere l’immagine della nostra istituzione” “Perdoni, Monsignore, mi corregga se ho capito male. In poche parole, lei mi sta chiedendo una corsia preferenziale.” Argot sfoggiò un ampio sorriso per quella che credeva fosse la sua migliore battuta della mattina. Monsignor Aldini sorrise di rimando, allargando le braccia. “Diciamo che
entrambi potremmo usufruire di questa corsia preferenziale, come ama definirla lei. In fondo, la Chiesa è sempre stata la corsia preferenziale per il Paradiso!” “Ci penserò” “Mi trova negli uffici della Congregazione, le lascio i miei recapiti” Argot osservò il biglietto da visita con il logo della Santa Sede; tutto regolare, pensò. “È stato un piacere parlare con lei, commissario Argot, mi ritenga a sua disposizione.” Monsignor Aldini uscì, mentre Argot rimase seduto sulla poltroncina di velluto verde destinata agli ospiti; chissà quali segreti poteva conoscere Canseliet! Tutto sembrava prendere la piega di una di quelle tipiche storie dei romanzi gialli e questo ad Argot proprio non andava giù. Lui era un tipo tranquillo, amava il suo lavoro, ma cercava sempre di evitare i problemi. Questo suo comportamento era niente meno che una conseguenza dei racconti che il padre gli aveva fatto sulle difficoltà che avevano incontrato quando arrivarono in Italia dalla Francia. Preferiva sempre starsene in disparte, taciturno, avvolto nel suo inseparabile vestito marrone scuro, con l’aria sognante e le mani sempre perdute fra i capelli leggermente ricci. In ogni caso, non ci sarebbe stata la necessità di incontrare nuovamente Monsignor Aldini. Probabilmente, una delle tante bande di teppisti aveva tentato la solita rapina e il povero bibliotecario ne aveva pagato le conseguenze. Con questi pensieri che gli frullavano in testa, Argot si diresse nuovamente verso il piccolo salone della biblioteca, ma si fermò a metà strada, incuriosito; il medico legale se ne era già andato e, al suo posto, c’era un uomo che, pur stando chino sul cadavere, osservava con attenzione gli scaffali quasi vuoti.
Capitolo 2
Il sole disegnava chiazze di luce sempre più ampie lungo l’antica Via Trionfale, il percorso seguito un tempo dai guerrieri romani, diretti a riscuotere gli onori del popolo dopo aver sconfitto il nemico. Su quella stessa strada si trovava l’uomo con il giubbotto di pelle nera, sorpreso dall’alba proprio quando stava per imboccare una via laterale che lo avrebbe portato nei pressi della chiesa di San Lazzaro in Borgo; una volta raggiunto il portale con il suo vistoso rosone e le due finestre monofore, sarebbe arrivato a casa in pochi minuti. Lanciando di tanto in tanto uno sguardo a destra e a sinistra, attraversò velocemente frugando allo stesso tempo nella tasca dei pantaloni alla ricerca delle chiavi di casa. Estrasse con soddisfazione il portachiavi e si apprestò ad aprire il vecchio portone di legno ricoperto da graffiti non certo antichi quanto il palazzo nel quale abitava. “Un lavoro perfetto…sia pure senza alcun risultato” La voce proveniva dalla scala appena di fronte, e sebbene le strette finestre poste ai lati non lasciassero filtrare abbastanza luce per riconoscere chi stesse parlando, quel particolare suono, così simile ad un sommesso rantolio, non gli era del tutto nuovo. “Non era previsto un incontro in questo luogo, credevo di essere stato abbastanza chiaro” “Ha ragione, mi dispiace, ma questa storia potrebbe prendere una piega imprevista” L’uomo fece una breve pausa, quindi iniziò a scendere le scale.
“A quanto sembra non sono stati presi in considerazione alcuni fatti, alcune informazioni che, se giunte in tempo utile, ci avrebbero permesso di gestire diversamente il nostro accordo” “Non la seguo, di cosa sta parlando?” “Parlo del fatto che sono entrati in gioco nuovi personaggi, e che adesso la partita va giocata in maniera del tutto differente” L’uomo in nero fece qualche o in avanti portandosi faccia a faccia con il proprio interlocutore. “Continuo a non capire, ma se intendete scaricarmi proprio adesso state commettendo un grosso sbaglio; lei sa benissimo che non esiterei a parlare, e non soltanto di quanto è avvenuto questa notte” “Non si riscaldi, nessuno la vuole scaricare. Certo che se a parlare fosse stato il bibliotecario lo avremmo di certo gradito” “Ho avuto la mano pesante, lo ammetto; quel vecchio mi ha fatto saltare i nervi, ma le assicuro che non c’era traccia di quanto mi è stato chiesto di recuperare” “Ne è proprio sicuro? Canseliet non era uno stupido, magari ha trovato il modo per ingannarla” “Non credo, in ogni caso lei stesso mi ha assicurato che non tutto è perduto…” “Infatti…” L’uomo sorrise sfregandosi le mani. “Prendo la sua risposta come una proposta per un nuovo incarico?” “Un nuovo incarico? Ma certo…si tratta proprio di un nuovo incarico…dica a Canseliet che il suo coraggio è stato speso invano!” Il riflesso di una lama illuminò per un attimo lo sguardo stupito dell’uomo in nero, mentre la sua risposta si confuse in un improvviso gorgoglio. Un inaspettato raggio di sole attraversò le finestre dell’androne, illuminando per
qualche istante una figura china sul cadavere dell’uomo in nero intenta a farsi devotamente il segno della croce.
Capitolo 3
Argot si avvicinò in fretta e, con una certa impazienza, domandò: “Scusi, lei è della Polizia?” L’uomo si alzò di scatto, allungando la mano destra in segno di saluto e sfoderando un sorriso carico di scuse: “Mi perdoni. Sono Robert Straw, giornalista e scrittore... quando capita!” “Scrittore?! Cosa scrive esattamente, signor Straw?”, chiese il commissario senza celare un certo sarcasmo. “Un po’ di tutto, commissario, anche se prevalentemente scrivo saggi sull’esoterismo[1] e sui misteri in genere e, sempre saltuariamente, cerco di venderli.” Costui indossava una lunga giacca nera senza colletto su un maglione chiaro alla dolce vita; la carnagione era chiara ed aveva pochi capelli ricci dietro, ma lisci davanti, pettinati in modo da nascondere, almeno in parte, la notevole ampiezza della fronte. Argot non dava l’impressione di apprezzare molto il suo interlocutore; esoterismo e occultismo[2]... , magari ora avrebbe cercato di fargli l’oroscopo per predirgli quando avrebbe risolto il caso. “Signor Straw, non vorrei essere scortese, ma lei capisce bene che si trova sulla scena di un crimine!” “Certo, lo so benissimo e me ne scuso ancora, signor... ?“ “Philippe Argot... Commissario” “Mi scusi ancora, commissario Argot. Il signor Canseliet mi aveva fissato un appuntamento proprio oggi, sono arrivato e non sono riuscito a trattenermi; deformazione professionale, capisce no?” Era già la seconda persona che pretendeva da Argot che capisse qualcosa quando
poi, alla fin fine, non c’era molto da capire: due intrusi e due buone scuse, o forse no? “Capisco, signor Straw”, disse Argot annuendo a testa bassa e mal celando un leggero sorriso, mentre sfogliava di riflesso la piccola agenda che aveva trovato prima. “Perché Canseliet aveva preso contatto con lei?” “Esattamente non saprei, ma sarei proprio curioso di saperlo. Canseliet aveva spedito una lettera a mio padre che, purtroppo, è venuto a mancare qualche giorno fa; la busta conteneva la pagina strappata di un libro e volevo qualche spiegazione in più” “Ha con sé la lettera?” “Sì, se le può essere utile!” Straw si frugò nella tasca interna della giacca, però tenendo sempre gli occhi fissi sugli scaffali della libreria. “Tutto può essere utile, Signor Straw, soprattutto in un caso strano come questo!” “Strano?” “Canseliet era un vecchio pacifico, sembra che non avesse nemici, tutti i vicini concordano sul fatto che si trattava di una persona riservata, dedita esclusivamente al proprio lavoro e ai propri interessi. Tra l’altro, non credo che avesse accumulato una grande fortuna con questo negozio e, tranne che si tratti della solita banda di balordi in cerca di denaro facile, sinceramente non saprei proprio dare una ragione a questo omicidio” Straw gli porse una busta gialla, sulla quale era stato scritto in tutta fretta un indirizzo e il francobollo era stato incollato di traverso. “Che fretta aveva il signor Canseliet! Più che un indirizzo sembra una ricetta medica e che gran bella fantasia deve avere avuto il postino per interpretarlo” Argot estrasse dalla busta un vecchio foglio ingiallito, stampato con caratteri
molto fini, ma strappato così di fretta che una buona parte del centro era mancante. “Sa di cosa si tratta signor Straw?” “Dovrebbe essere una pagina di un vecchio libro di incisioni papali, mentre il personaggio ritratto è Papa Celestino V[3]” Argot iniziò a storcere lievemente le labbra. Antiche incisioni, misteri, adesso sarebbero andati a finire sicuramente sull’esoterismo, poiché quell’uomo se ne occupava direttamente e, la cosa, gli dava non poco fastidio; magia, esoterismo, proprio tutti quegli argomenti che aveva sempre cercato di evitare. Restituì il foglio a Straw, ma quando quest’ultimo lo prese per spiegargli il significato, il suo sguardo cadde sul retro della pagina e l’espressione di stupore che gli sconvolse il viso non ò di certo inosservata. “Commissario, alla fine è solo la pagina di un libro!” “No, Straw, non pensavo a questo, guardi dietro” Robert girò la pagina e strinse gli occhi nella sua tipica espressione di quando si trovava di fronte a qualcosa di veramente curioso. Il retro del foglio era stato scritto a mano da qualcuno, forse un appunto preso in gran fretta, una scritta fatta con un pennarello rosso e racchiusa in un cerchio: “Lungo Mari Indifesi” “Sì, l’avevo notata anch’io, questa strana frase, proprio per questo avevo deciso di vedere Canseliet.” “Forse sarebbe dovuto arrivare prima, Straw, almeno sarebbe riuscito a spiegarmi anche questo”, replicò Argot, mentre da una bustina di plastica saltava fuori il biglietto trovato nella mano di Canseliet. Li mise uno accanto all’altro sullo scrittorio. “Strana frase”, replicò ancora Straw, inclinando leggermente il capo, quasi a seguire le sbavature lasciate dal pennarello. “Strano! Sarebbe davvero poco, Signor Straw.” “Lungo Mari Indifesi e Lungo Mari Indifesi, per quanto sia stravagante il
messaggio lasciato dalla vittima è sicuramente altrettanto strana la coincidenza di ritrovarlo nella busta indirizzata a suo padre. Signor Straw, lei o suo padre avevate mai conosciuto o frequentato Canseliet?” “No, commissario e, comunque, penso sia abbastanza prematuro saltare a certe conclusioni!” “Nessuna conclusione, Straw. Ammetterà però che è abbastanza inquietante, se mi concede il termine” “Inquietante?” “Un cadavere, un biglietto enigmatico e la strana lettera recapitata a casa sua; non sono un gran lettore di gialli e non credo alle cose troppo evidenti, ma sarà d’accordo anche lei sul fatto che si tratta di coincidenze che sarebbe meglio approfondire” “Personalmente ne so quanto lei, Argot, forse meno. Vorrei pensarci un po’ su, magari darò uno sguardo alle carte di mio padre e alla sua agenda, in ogni caso non ricordo nulla che lo possa in qualche modo collegare a Canseliet. Comunque, qualora lei non l’avesse notato prima, i messaggi non sono proprio uguali, guardi sotto, è stata tirata una riga e Canseliet ha continuato scrivendo Perdonanza” “Perdonanza. Chissà, magari chiedeva perdono per qualcosa” Argot non sembrava molto interessato a questa seconda parte, era più curioso di conoscere i rapporti che potevano esserci stati fra il padre di Straw e il vecchio bibliotecario, tanto che ritornò nuovamente all’attacco. “E così, signor Straw, lei mi conferma che non ha mai avuto modo di sentire il nome di Canseliet o di leggerlo da qualche parte, magari tra gli appunti di suo padre?” “Glielo confermo commissario, vuole anche che glielo giuri?” A quella risposta, Argot sospirò, alzando le spalle. “Ci pensi su e mi chiami appena riuscirà a trovare o ricordare qualcosa, qualunque cosa”
Straw diede un’ultima occhiata agli scaffali della libreria, prese distrattamente il biglietto da visita del commissario, poi uscì proprio mentre iniziava a piovigginare. Monsignor Aldini gli sorrise affabilmente dal finestrino della grossa auto scura parcheggiata proprio di fronte alla libreria, ma lui non gli fece neanche caso. Pian piano la libreria si stava svuotando; la scientifica aveva già finito i primi rilevamenti e gli agenti avevano terminato di catalogare quello che era rimasto fra il disordine dei libri squarciati e degli oggetti rovesciati a terra con violenza. Argot si lasciò andare pesantemente su una delle poltrone con gli occhi fissi alla pagina strappata ed al suo enigmatico messaggio. Marini entrò di corsa con il suo solito modo di fare alquanto brusco, tirò fuori un sorriso tra il burbero e l’enigmatico e si piazzò proprio di fronte ad Argot con uno sguardo così pietoso che sembrava volesse quasi compatirlo. “Marini, ha solo voglia di guardarmi in faccia o c’è qualcosa che vorrebbe dirmi?” L’uomo scosse lievemente il capo in cenno di assenso. “Dica allora, cosa aspetta?” “Il ritaglio dei necrologi” “Certo che lo ricordo e allora?” “Ho fatto qualche ricerca e qualche telefonata all’archivio del giornale” “E allora? Marini, la prego, non parli a singhiozzo, ho già tante cose da pensare per oggi, vada avanti” “Tra i nomi, ne ho trovato uno che sembra proprio fatto apposta per questo caso” “Marini, la prego, non faccia lo spiritoso, oggi non è proprio giornata!” “Commissario, per farla breve, uno dei nomi riportati in quel ritaglio è quello del signor De Matteis, morto due giorni fa nella propria abitazione sull’Appia Antica. Giovanni De Matteis era un esperto di libri antichi, lavorava saltuariamente per la Biblioteca Vaticana[4] e spesso firmava le proprie perizie dopo aver consultato Tommaso Canseliet”
“Marini, sinceramente lei non ha fatto altro che confondermi le idee, ma almeno abbiamo una traccia. o in ufficio e stendo il primo rapporto, lei intanto chiami a casa di questo De Matteis e veda di fissare un appuntamento, magari domani pomeriggio. Ottimo lavoro!” Marini sorrise; cercava sempre un apprezzamento da parte di Argot e, questa volta, era riuscito ad averlo. Non aveva faticato molto, in effetti, ma il risultato era stato molto gratificante. “Grazie, commissario, serve altro?” “Mi servirebbe l’assassino, ma sarebbe davvero pretendere troppo e non mi sembra tempo di miracoli, sebbene il nostro caro Monsignor Aldini non ci abbia perso d’occhio un istante!” Argot si avvicinò ai vetri della porta della libreria che davano sulla strada, proprio mentre l’auto di Monsignor Aldini si allontanava lentamente. “Sì, commissario, lo avevo notato anch’io” Ora Marini cercava di sfruttare al meglio la buona impressione data in precedenza. “E magari fosse solo questa la cosa strana!” “In che senso, Marini?” “Scusi, commissario, credevo lo avesse notato anche lei” “Notato cosa, Marini?” Argot lo osservò incuriosito. “Quando hanno spostato il cadavere, il libro che c’era sotto” “Che libro?” “Commissario, sotto il cadavere c’era un libro; probabilmente era già a terra e l’uomo gli è caduto sopra, ma sarebbe davvero una strana coincidenza” “Marini, lei continua a stupirmi, prosegua”
L’uomo si schiarì la voce in preda a un’evidente emozione. “Vede, oltre alla strana coincidenza alla quale pensavo prima, il fatto è che il libro è proprio fuori posto in questo negozio” “Insomma, Marini, non la faccia tanto lunga, che libro sarebbe? Dov’è?” “Eccolo qui, commissario” Marini si avvicinò allo scaffale vicino alla vetrina e porse ad Argot un volume con una copertina rigida di colore scuro. “Il Nome della Rosa.[5] Che ci fa un’edizione moderna in una libreria di testi antichi?!” “Forse è un indizio, commissario” “Marini, se questo è un indizio, direi che ce ne sono anche troppi per i miei gusti. Comunque, segua la procedura per quanto riguarda la scena del crimine e ci vediamo nel pomeriggio.” “Bene, commissario. E il libro? Lo mando alla scientifica?” Argot rimase per un attimo in silenzio; poi sospirò stancamente. “Me lo lasci in ufficio. Io vado a piedi, ho bisogno di riflettere un po’ e poi vorrei parlare con qualcuno dei negozianti, chissà che non venga fuori qualcosa di più sulla nostra vittima” La pioggia era quasi cessata, ma l’odore dell’asfalto bagnato era penetrante e, a tratti, sgradevole; Argot attraversò la strada, ma fu subito bloccato dal suono del cellulare. “Argot ...” Commissario, sono Straw” “Signor Straw, che tempismo! Ha ricordato qualcosa?” “Non esattamente, commissario! Ma ho ricevuto un’altra lettera di Canseliet indirizzata a mio padre; per un disguido, era finita nella buca di un condomino e
mi è stata consegnata al mio ritorno” “Non mi dica che si tratta di qualche altra frase misteriosa!” “Forse sarebbe stato più semplice se fosse stato così, Argot” “In che senso?” “Dentro la busta, c’è soltanto la copertina di un libro, nessuna scritta, niente di niente, soltanto una copertina piegata a metà” “Straw, io non sono un grande intenditore, ma non mi risulta che i libri antichi avessero delle copertine” “Commissario, non sto parlando di libri antichi. Si tratta semplicemente della copertina plastificata di un libro abbastanza recente” Argot sussultò. Un pensiero gli attraversò la mente come un pugnale; strinse gli occhi e, quasi a sincerarsi di ciò che temeva, si rivolse a Straw quasi a bassa voce: “Di che libro si tratta, signor Straw?” “Il Nome della Rosa!”
[1] Il termine esoterismo indica genericamente tutte quelle dottrine di carattere segreto in cui gli insegnamenti sono riservati agli adepti; in maniera più estesa, si tratta dello studio e della lettura dei simboli e del loro significato nascosto. All’esoterismo viene contrapposto l’essoterismo, ovvero lo studio di tutto ciò che è rivelato apertamente.
[2] Con il termine occultismo si è soliti indicare la conoscenza di ciò che è nascosto; si tratta di un complesso di pratiche che spaziano dall’alchimia all’astrologia, pratiche basate sulla teoria dell’analogia tra l’uomo e le dimensioni ultraterrene.
[3] Papa Celestino V nacque Pietro Angeleri (Isernia, 1215 c.-Castello di Fumone [Frosinone], 1296), fondò una congregazione di eremiti, in seguito chiamata Celestini. Nel 1294, fu consacrato Papa a L’Aquila e, il 13 dicembre dello stesso anno, abdicò.
[4] La Biblioteca che la Santa Sede ha curato e organizzato in Vaticano. Su questo luogo si raccontano molte storie e sembra che i tesori custoditi, almeno quelli resi pubblici, siano solo una minima parte rispetto ai documenti che vengono ancora tenuti segreti e nascosti nei sotterranei della Basilica di San Pietro.
[5] Il Nome della Rosa è il primo romanzo di Umberto Eco.
Capitolo 4
Uno dei maggiori difetti del commissario Argot era di essere sempre e comunque diretto: questo era stato uno dei motivi che spesso lo avevano escluso dalle grandi inchieste e dalle promozioni; nonostante tutto lui ne andava fiero, non doveva dire grazie a nessuno, si era ritagliato il proprio posto e, in fondo, era contento della propria vita. Questo fu anche il motivo per il quale Marini non si stupì quando, dopo un affrettato saluto e un’ancora più affrettata presentazione, si ritrovò senza quasi accorgersene nello studio di De Matteis. La casa non era poi quella reggia che sembrava dall’esterno. A parte il grande salone all’ingresso e l’enorme vetrata che guardava su un piccolo giardinetto, per il resto l’appartamento si sviluppava in due stretti corridoi che ospitavano l’uno la cucina, alcune camere e i servizi, mentre nell’altro trovavano posto uno spazioso ripostiglio e lo studio. La signora fu gentile e quasi rincorreva Argot cercando di raccontargli gli ultimi avvenimenti, ma quest’ultimo era più interessato alle due vaschette colme di corrispondenza poste al centro della scrivania ed all’enorme pila di libri poggiata sulla mensola proprio dietro la poltrona. “La polizia è già venuta e sono stati fatti tutti gli accertamenti; cosa accade, commissario?” La donna parlava in maniera tranquilla, ma non era difficile captare una certa ansietà nel ritmo nervoso con il quale sfilava e rimetteva gli anelli alle dita. Era una donna sulla cinquantina, ben vestita, molto curata in ogni particolare, evidentemente abituata a un certo stile di vita. “Niente di particolare, signora; diciamo che si tratta di semplice routine, se così la possiamo definire” “Routine?”
Argot fece finta di ignorare la domanda, forse arguendo che non era stato propriamente felice nell’esprimersi. “Il nome Canseliet le dice qualcosa?” La donna corrugò la fronte e, per un attimo, il suo sguardo sembrò perdersi nel vuoto. “No, commissario, non credo proprio” “Mai sentito nominare da suo marito? Mai ricevuta una telefonata?” “Mi dispiace, non posso proprio aiutarla; mio marito non mi parlava mai del suo lavoro anzi, in tutta sincerità, non mi parlava quasi più da circa un anno. Il nostro rapporto si era come diluito, si era perso tra i suoi impegni e le mie riunioni con le amiche” Argot la osservava con interesse, osservava soprattutto il tremolio nervoso delle mani che, invano, la donna cercava di dissimulare giocherellando con gli anelli e con l’orologio. “Capisco, signora, non è una bella storia, ma purtroppo accade. Non vorrei risvegliare dolori ancora troppo recenti, ma potrebbe raccontarmi cosa è accaduto al signor De Matteis?” “È accaduto tre giorni fa, ma credo che non dimenticherò mai quella scena, commissario. Sono rientrata tardi, ero stata a teatro con alcune amiche e, alla fine della rappresentazione, ci eravamo soffermate a chiacchierare al bar. Quando sono arrivata a casa, pensavo che Giovanni fosse già a letto, ma non era così; l’ho chiamato più volte, perché ho notato la luce che filtrava da sotto la porta dello studio. La porta era chiusa e questa non era una sua abitudine” “Ha notato qualcosa di strano entrando in casa?” “No, era tutto tranquillo, come sempre” Argot trascriveva le risposte della donna sul suo taccuino e, di tanto in tanto, la osservava. “Continui, grazie”
“Ho aperto la porta dello studio e lui era lì, steso a terra, in un lago di sangue” La donna si fermò per reprimere i singhiozzi, ma le lacrime avevano ormai preso il sopravvento. Argot le strinse la mano e le sorrise cercando goffamente di rincuorarla. Non era mai stato bravo in queste cose, anche se di situazioni del genere ne aveva già viste anche troppe. “Si sieda un attimo, signora; continueremo quando si sentirà di farlo” “Grazie, commissario, mi perdoni! Mio marito e io non avevamo un grande rapporto, ma come accade sempre in queste situazioni, soltanto ora mi accorgo di quanto lui fosse importante per me” “Continui, la prego” “Lo studio era tutto in disordine, i libri scaraventati a terra, i cassetti della scrivania aperti e svuotati” Argot la ascoltava, ma per quanto pensava fosse assurdo, non riusciva a non associare quell’immagine di disordine violento alla libreria del povero Canseliet. “Sì, ho letto il rapporto prima di venire qui; probabilmente, suo marito ha sorpreso il ladro o i ladri nel suo studio, ha reagito e, nella lotta, è caduto e ha sbattuto la testa contro lo spigolo della libreria. Una brutta morte e anche strana direi” “Strana?” Ancora una volta, Argot si ritrovava a usare quel termine, l’unico che riuscisse a rendere il senso di smarrimento che lo aveva accompagnato fin dalle prime ore di quella mattina. “Come le dicevo, ho letto il rapporto; non c’erano segni di scasso all’ingresso, le finestre erano intatte e i vicini non hanno notato o sentito nulla di sospetto. Inoltre, il nostro misterioso visitatore è andato direttamente nello studio, quando sarebbe stato molto più logico iniziare dalla camera, almeno per sincerarsi che nessuno fosse in casa, ma anche perché solitamente le cose di valore sono nascoste proprio lì” Marini era ancora davanti alla porta e osservava interessato tutto l’insieme dello
studio, l’arredamento squisitamente antico e, soprattutto, i quadri che riproducevano scene di caccia e figure mitologiche. “Scusi, commissario, potrei chiederle il motivo della sua visita? Hanno già fatto tutti gli accertamenti, ma credo che a lei interessi altro. C’è qualcosa che non mi è stato detto?” Argot osservava le carte sparse sul tavolo. “No, signora, i miei colleghi hanno fatto il loro lavoro in maniera impeccabile, è solo che questa storia mi ricorda il caso di cui mi sto occupando” “Quell’uomo del quale mi avete chiesto?” “Sì, il signor Canseliet. Lo abbiamo trovato assassinato nella sua biblioteca, che stringeva ancora in mano una pagina dei necrologi tra i quali c’era quello di suo marito” “Non vedo come possa centrare Giovanni. D’altra parte, non c’era solo lui in quella pagina” “Certo! Però, il signor De Matteis era un esperto di libri antichi che lavorava per la Biblioteca Vaticana e, il signor Canseliet, per la stessa biblioteca, curava i restauri” “Capisco. Purtroppo non posso esserle utile, non ricordo quel nome” “Posso guardare la posta di suo marito?” “Certo commissario, faccia pure; gradisce un caffè?” “Grazie, ne avrei proprio bisogno” “Lo porto anche al suo collega?” “Marini? Perché no! Grazie signora, molto gentile” La donna si allontanò continuando a tormentarsi le mani e lasciando nella stanza il forte olezzo del suo profumo. “Marini, venga dentro, vediamo di dare un’occhiata in giro; chissà che non abbia
un’altra delle sue illuminanti intuizioni” “Arrivo, commissario” Marini si precipitò nella stanza, quasi quel richiamo fosse stata una liberazione. “Commissario, ha visto che donna?” “In che senso, Marini?” “È bella, intelligente, molto curata e, soprattutto, è bionda” “Interessante osservazione! Continui pure...” “Beh, commissario, lo sa benissimo che ho un debole per le bionde e se poi sono benestanti, raffinate e ancora piacenti… mi segue, vero?” “Si, Marini, la seguo, ma al momento ho ben altro per la testa! Cerchiamo di concentrarci un po’ sul nostro caso, che ne dice?” “Agli ordini, commissario!” Argot si accomodò nella grande poltrona di pelle marrone e iniziò a controllare la posta sparpagliata in due larghe vaschette di plastica. Per la maggior parte, si trattava di inviti a convegni, cataloghi d’aste d’antiquariato ed elenchi di libri antichi, qualche bolletta di utenze domestiche e la solita immancabile pubblicità. “Posta normale, vita tranquilla, un buon lavoro e un più che dignitoso stipendio; se non si tratta del solito topo d’appartamento, proprio non capisco chi potesse odiare tanto De Matteis da arrivare a ucciderlo. Lei che mi dice, Marini?” Argot continuò a sfogliare la posta in attesa di una risposta, ma quando capì che la sua domanda era andata a vuoto, si girò in cerca del suo interlocutore. “Marini, ma che sta combinando lì dietro?” L’uomo si era quasi completamente sdraiato a terra e osservava con attenzione sotto il grande tavolo di mogano. “Marini, non le sembra di esagerare adesso?”
“Scusi, commissario”, balbettò rialzandosi goffamente da terra, “forse mi sono fatto prendere un po’ dalla situazione. Stavo controllando se sotto la scrivania non si nascondesse un cassetto, diciamo, segreto.” “Un cassetto segreto? Marini, ma che sciocchezze va pensando? Guardi che non siamo in un romanzo giallo, qui i morti sono veri e anche l’assassino o gli assassini” “Scusi, commissario Argot, ha ragione” “Scusi lei, Marini. Mi sono alterato, ma questa situazione è così particolare! Troppe coincidenze e troppi fatti strani. Ne ho sentite raccontare di storie bizzarre in ufficio, ma ho sempre sperato di non andarci mai a finire dentro, preferisco un bel delitto ionale, semplice, certamente una brutta storia, ma perlomeno non si devono fare i conti con magie, alchimie e cose del genere” Argot si lasciò sprofondare nella poltrona e distese le braccia tradendo tutta la stanchezza di quella giornata. “Un cassetto segreto. Bella idea, Marini!” Il commissario sorrideva, tastando per gioco i bordi della scrivania. Marini, con la coda dell’occhio, si assicurò di non essere più osservato e si rimise carponi a guardare sotto il mobile; fece scivolare lo sguardo lungo i bordi istoriati del tavolo, ma quando finì la sua ispezione, si trovò a incrociare un’occhiata feroce di Argot che lo fece balzare di scatto in piedi. Non fu certo la miglior performance atletica della sua vita, soprattutto quando urtò una delle vaschette colme di lettere, facendola rovesciare proprio sulle gambe di Argot. Il commissario stava per esplodere, ma l’indecisione tra il sorridere per la goffaggine del proprio attendente o l’inveire contro di lui, lo trattene per qualche attimo, giusto il tempo di girare lo sguardo e notare una busta bianca con l’inconfondibile logo del Vaticano che era rimasta in bella mostra sulla scrivania, proprio dove prima c’era la vaschetta rovesciata da Marini; probabilmente, nel disordine causato dalla perquisizione, era finita sotto la vaschetta. “Commissario, scusi, a volte mi faccio prendere troppo dalle situazioni” Argot non rispose, intento com’era a soppesare la busta tra le mani; poi lo osservò con un sorriso, dondolando la testa in avanti.
“Come vede, Marini, non esistono cassetti segreti, ma solo un perito disordinato che lascia le cose dove non dovrebbero stare, dei colleghi che fanno perizie in modo altrettanto disordinato e un goffo attendente che si rivela un prezioso aiuto” Marini sorrise di rimando, non sapendo se essere contento della stupida idea che lo aveva messo in imbarazzo, se offendersi per l’epiteto “goffo” che gli era stato appena rivolto, oppure usare l’arma della diplomazia per dare tutto il merito della scoperta ad Argot. Era una normale busta bianca di quelle che sono comunemente usate per la corrispondenza, ma il logo ben visibile della Biblioteca Vaticana rendeva quella scoperta molto interessante. Argot rimase pensieroso per una frazione di secondo, poi tornò a sedersi: “Una busta vuota presuppone che vi sia una lettera da qualche parte, magari in mezzo a tutte queste scartoffie. Marini, mi faccia una cortesia, vada in cucina e intrattenga con qualche domanda la signora; magari gli chieda dei vicini, dei conoscenti che potevano avere qualche motivo di rancore, della situazione finanziaria, insomma mi dia il tempo di cercare e leggere questa lettera” “Certo, commissario, con piacere!” e un guizzo di gioia illuminò il volto dell’attendente. “Marini, mi raccomando, si attenga al caso, niente di personale.” “Tranquillo, commissario” Argot, rimasto solo, iniziò nuovamente a controllare fra la corrispondenza di De Matteis; sfogliò le carte una per una e finalmente, nel secondo gruppo, trovò ciò che cercava. Il presentimento di trovarsi a dover districare una matassa troppo complicata lo rendeva nervoso ed era più che sicuro di trovarsi di fronte a un caso che avrebbe richiesto tutta la sua pazienza. Sospirando, aprì il foglio e osservò lo stemma Vaticano posto in alto; controllò i timbri postali sulla busta: era stata spedita due giorni prima della morte di De Matteis con posta prioritaria, quindi, essendo nella stessa città, era arrivata la stessa mattina dell’omicidio. Lesse attentamente e con grande curiosità il contenuto della lettera:
Egregio Dottor De Matteis, da un riordino delle corrispondenze relative ad alcune donazioni fatte alla nostra Biblioteca, sono emersi alcuni testi che vorremmo Lei visionasse di persona. In tal senso, Le saremmo grati per un Suo giudizio del quale, come abbiamo sempre fatto, terremo debito conto per un’eventuale sistemazione delle opere nei nostri archivi. Contestualmente alla presente, Le sarà quindi recapitato, per le solite vie, un pacco contenente i libri da visionare. Le sarò grato per una Sua celere risposta non appena sarà entrato in possesso del materiale. Cordialmente. Padre Agostino Sarnetti Biblioteca Vaticana Roma.
Argot rilesse almeno altre due volte la lettera, ma a parte una cortese richiesta di collaborazione, cosa abbastanza usuale per De Matteis, non sembrava nascondere niente di particolare. In ogni caso, rimaneva una pista da seguire, c’erano finalmente un nome e un luogo, tutte cose reali che non necessitavano di alcuna interpretazione, ma solo di un buon interrogatorio e di qualche appunto. Fece per rimettere il foglio dentro la busta, ma l’istinto gli suggerì diversamente: si guardò intorno per un attimo e infilò la lettera nella tasca della giacca, diede un’ultima occhiata alla libreria posizionata alle sue spalle e, in tutta fretta, si diresse in cucina. Attraversando il salone, si fermò un attimo a osservare il piccolo giardino dietro l’ampia vetrata; un giardino ben curato, ma fu colpito in particolar modo dai vialetti realizzati con mattoni bianchi e neri, una combinazione di colori abbastanza particolare per un giardino domestico[1]. Quando entrò in cucina, non riuscì a fare a meno di notare la grandezza di quella stanza: era poco più piccola del salone, con l’angolo di cottura posto al centro e un enorme tavolo di marmo poggiato a una delle pareti. Marini stava ancora parlando con la signora De Matteis e trascriveva ogni parola pur non staccando
mai lo sguardo dal vestito di seta nero che fasciava superbamente il corpo della donna. “Signora De Matteis...” “Commissario, scusi, parlavo con il suo collega, il caffè è pronto.” La donna arrossì leggermente mentre sistemava le tazze su un vassoio d’argento, forse troppo esagerato per quella particolare occasione. “Non si preoccupi, non volevo sollecitarle il caffè, desideravo soltanto sapere se ricorda un pacco che dovrebbe essere stato consegnato a suo marito proprio il giorno della disgrazia.” “Un pacco? Mi dispiace, commissario, proprio quel giorno, a parte la posta ordinaria, non abbiamo ricevuto altro e questo lo ricordo perfettamente perché rimasi in casa quasi tutto il pomeriggio” “Immaginavo una risposta del genere; chissà perché ogni indizio che sembra portare a una conseguenza evidente si trasforma alla fine in un nuovo mistero. In ogni caso, qualunque cosa le possa venire in mente, mi chiami a questi numeri” Argot porse il proprio biglietto da visita alla signora, mentre Marini continuava a osservarla trasognato e il caffè continuava a fumare nelle tazzine. “Ci penserò, commissario. Fa male tornare indietro a quella sera, ma se questo può, in qualche modo, essere utile per trovare chi ha ucciso mio marito, non mi tirerò indietro” “La ringrazio. E ora gradirei il suo buon caffè” Sorseggiarono il caffè dalle tazzine con evidente gusto, quindi salutarono la donna e si avviarono verso la macchina. Argot aveva bisogno di riposare, ma soprattutto di riflettere. Così, congedò Marini fissandogli un appuntamento per la mattina seguente presso la Biblioteca Vaticana e, finalmente, rientrò a casa. Quando la porta d’ingresso si chiuse alle sue spalle, tirò un profondo sospiro di sollievo, quasi fosse riuscito a lasciare fuori tutti gli enigmi e i dubbi che lo
avevano assillato durante il giorno. La casa del commissario Argot era un modesto appartamento di tre vani, arredato con estrema sobrietà e situato poco lontano dal Lungotevere delle Navi. Una piccola libreria guardava la porta d’ingresso e, sulla destra, si apriva un discreto salone dal quale si accedeva ad altre due stanze, mentre la cucina e i servizi si trovavano dietro una tenda di sottile bambù che separava l’ambiente da un breve corridoio. La tentazione di lasciarsi andare sul letto era fortissima, ma il bisogno di una doccia tiepida ebbe il sopravvento e, stava proprio per abbandonarsi alla concretizzazione di questo rigenerante pensiero, quando il telefono squillò riportandolo alla realtà. “Argot” “Commissario, sono Straw, la disturbo?” Argot si lasciò andare a un gesto di insofferenza, ma riuscì a non tradire nulla e rispose con insolito garbo. “Signor Straw, nessun disturbo, dica pure” “Ero indeciso se telefonarle o no, sicuramente sarà stanco e magari io sono l’ultima persona che voleva sentire stasera, ma penso di avere qualche notizia che la potrebbe interessare” “Qualcosa su Canseliet?” “Non proprio, commissario; stavo facendo delle ricerche per un articolo che mi è stato commissionato dal giornale e penso di aver capito da quale libro proviene la pagina che è stata recapitata a mio padre; ricorda quel foglio con il messaggio sul retro?” “Certo che ricordo, vada avanti” “Si tratta di un’edizione del 1855 firmata Giordano Grand-Didier e Salussolia” “Perdoni l’ignoranza, Straw, ma la sua scoperta non mi dice proprio niente!” “Niente da perdonare, Argot, a parte il fatto che si tratta di due editori del periodo e che il libro parla del Vaticano e dei Papi. Anche a me questa scoperta non dice molto”
“In conclusione, mi ha dato solo un altro mistero da aggiungere a quelli che mi tormenteranno stanotte” “Commissario, i misteri esistono proprio per essere risolti. Se c’è un enigma, da qualche parte ci sarà pure la sua soluzione!” “Straw, la filosofia non ha mai messo le manette a nessuno, a me servono fatti, non alchimie mentali” Dall’altro capo del telefono, Argot percepì una risata. “Magari ci fosse qualche alchimista di mezzo! Non immagina neanche che articolo ne verrebbe fuori” “La smetta, Straw, non mi sembra il momento di scherzarci sopra! Magari è come il famoso mazzo di tarocchi del medioevo che tutti i collezionisti cercano, pur sapendo che il numero quindici non lo troveranno mai” “Lei mi stupisce, Argot”, disse Straw con una risatina sarcastica. “Infatti, il numero quindici è la carta che rappresenta il Diavolo, carta che veniva tolta dal mazzo dalle streghe e usata per i loro incantesimi. Come faceva a saperlo?” “Non si preoccupi, non le rubo il mestiere, seguivo un programma giorni fa in televisione. In ogni caso, vale il discorso di prima, questo non è uno scoop giornalistico, è un omicidio!” “Ha ragione, commissario, mi sono fatto trasportare, ma cerchi di capirmi, non si tratta di curiosità; in qualche modo, mio padre è entrato in questa storia e voglio capire cosa stia accadendo. Proporrei un incontro, vediamoci domani nel mio ufficio, magari parlando insieme di questa storia e consultando nuovamente il mio archivio, ne verrà fuori qualcosa di interessante” “Come vuole, Straw, a domani; buona serata” Argot depose la cornetta, rimase un attimo a fissarla pensieroso, poi si avviò verso la doccia, mugugnando frasi incomprensibili, ma delle quali certamente Straw non sarebbe stato molto felice. L’acqua iniziò a scorrere e finalmente, cosa mai accaduta prima, Argot riuscì a indovinare la giusta posizione del miscelatore: finalmente una doccia tiepida,
proprio come piaceva a lui, l’acqua simile a una carezza ristoratrice che ti sfiora delicatamente tutto il corpo, portandosi via ogni sintomo di stanchezza, un delicato massaggio che ti arriva al cervello, lasciando che questo si sintonizzi con le stesse note dell’acqua che scende. Purtroppo, quella non era la giornata giusta per Argot e il rumore idilliaco dell’acqua iniziò a confondersi con il caratteristico squillo del telefono. Il mugugnare del commissario diventò un irriferibile turpiloquio, soprattutto quando, riuscito finalmente ad arrivare alla fonte di quel fastidioso squillare, quest’ultimo smise di colpo. Riprendendo il filo delle proprie imprecazioni, Argot si diresse nuovamente verso la doccia strattonandosi l’accappatoio, ma arrivato quasi a metà del salone, il telefono riprese a squillare. “Argot” Chiunque avrebbe capito da come proferì il suo nome che aveva scelto proprio il momento sbagliato per telefonare, ma la voce che rispose dall’altro capo del filo era così calma e gentile che la rabbia del commissario si trasformò di colpo in attento ascolto, mentre i suoi occhi si rimpicciolivano, come sempre accadeva quando un altro rompicapo stava per precipitargli addosso. “Buonasera. Il commissario Argot? Scusi l’orario, ma era necessario che io le parlassi, adesso!” “Con chi parlo? Come ha avuto questo numero?” “Stia tranquillo, commissario, va tutto bene” “Posso sapere con chi sto parlando?” “Non voglio essere scortese, ma ritengo sia più importante sapere che entrambi abbiamo un problema che ci sta a cuore: parlo del povero Canseliet!” Maledetto istinto, non lo aveva mai tradito e, anche questa volta, ne aveva avuto la prova. “Mi ascolti, non è nel mio carattere discutere di certe cose con chiunque, soprattutto quando questo chiunque non ha neppure la bontà di presentarsi; non
sono un amante delle telefonate anonime, soprattutto questa sera” “La capisco, commissario, ma abbiamo poco tempo; ci sentiremo ancora, però mi ascolti attentamente: le cose non accadono mai per caso e ciò che vede non è sempre ciò che realmente esiste. Canseliet ha cercato di darle una via, ma il sentiero è tortuoso, quindi usi il bastone che le ha offerto il destino.” “Di che diavolo sta parlando? Mi ascolti, adesso chiudo la comunicazione e sappia che se prova a richiamare posso rintracciarla come e quando voglio” “Non si agiti, Argot! Domani pomeriggio, lei vedrà una persona, quella persona è il suo bastone, lo usi” La tentazione di sbattere il telefono in faccia a quel mitomane era tanta quanta la curiosità che sentiva crescere dentro. “Come diavolo fa a sapere di domani? Chi è lei?” “Il mio nome forse non le dirà molto; ma, le ripeto, osservi, però non creda a ciò che vede, la realtà a volte non è quella che ci si presenta agli occhi, ma quella che percepisce lo spirito. Lei è ancora al primo segno, ma quando avrà bisogno di me, sarò io a farmi vivo” “Insomma, posso sapere con chi sto parlando?” “Fulcanelli. Il mio nome è Fulcanelli.”
[1] I pavimenti decorati con disegni bianchi e neri sono tipici delle logge massoniche.
Capitolo 5
Quando si tenta di penetrare il buio con una luce troppo fioca, l’effetto che si ottiene è il contrario, la sensazione di smarrimento si moltiplica insieme all’ansia e l’evento finale è soltanto il panico. In questi casi, le soluzioni da prendere in considerazione sono due: ci si può affidare alla nostra piccola luce che, per quanto fioca essa sia, rimane una speranza e uno stimolo per non cadere, oppure la seconda soluzione che è sicuramente la più semplice: in altre parole, lasciarsi andare al buio e non sapere mai se il nostro piccolo lumicino sarebbe bastato a portarci fuori dai guai. Questa era la situazione di Argot la mattina seguente appena alzato; non aveva la minima idea di ciò che stesse accadendo, nel buio più fitto tentava disperatamente di tenere in vita il suo piccolo lumicino, ma si rendeva benissimo conto che la debole luce non riusciva neanche a illuminare il suolo così traboccante di enigmi e di trabocchetti. Il telefono squillò varie volte prima che il commissario si rendesse conto che una nuova giornata aveva inizio; decise comunque di non rispondere e si vestì di fretta. Poi, correndo, scese al bar per consumare la sua solita colazione. Uscendo con le labbra ancora sporche di crema, notò, anche se distrattamente, una grande macchina nera parcheggiata quasi davanti all’edicola, la stessa che aveva visto fuori dalla libreria di Canseliet; ma giusto il tempo di associare le due immagini e l’auto era già sparita. Argot decise di non dare peso alla cosa, acquistò il solito quotidiano e si avviò a grandi i verso la sua auto. Con il traffico che c’era sarebbe arrivato in ritardo alla Biblioteca Vaticana e, come sempre, avrebbe trovato Marini lì ad aspettarlo. Non aveva mai capito come fe l’attendente ad arrivare sempre prima di lui e, quel sorriso soddisfatto che gli si disegnava sul viso al loro incontro, Argot non lo mandava proprio giù; mai era riuscito ad arrivare per primo e neanche questa volta sarebbe accaduto, tanto valeva prepararsi a quel silenzioso rimprovero. Cercò nervosamente le chiavi dell’auto in tasca, ma trovò invece il cellulare e,
proprio quando stava per riporlo nel taschino della giacca, avvertì la vibrazione di una chiamata in arrivo. “Argot” “Commissario, buongiorno. Si ricorda di me? Sono Monsignor Aldini” “Monsignore; certo che mi ricordo di lei, dica pure” “Pensavo alla discussione che abbiamo avuto nella biblioteca del povero signor Canseliet, non ho più avuto modo di risentirla e così mi chiedevo se per caso ci fossero delle novità” “Monsignore, se non ricordo male, le chiesi di non mettermi in difficoltà” “Nessuna difficoltà, Argot. Diciamo che cerchiamo di aiutarci a vicenda; lei è a caccia di indizi, io ho cura che nessuna ipotesi azzardata possa alimentare la stampa, tutto qui” “Capisco, Monsignore. Comunque, la situazione non è cambiata poi di molto, io continuo a brancolare nel buio e, più mi muovo, più il buio è fitto” “Devo presumere che non crede a un omicidio a scopo di rapina?” “Potrebbe esserlo, ma non ne sono molto sicuro” “Va bene, commissario, non voglio rubarle altro tempo, avremo modo di sentirci e, mi raccomando, non abbia esitazione a chiamarmi per qualunque dubbio pensa io possa chiarirle” “Lo farò” Chiuse la comunicazione e tornò a pensare a quella macchina nera; forse si trattava di una coincidenza, ma anche questa volta l’istinto gli suggeriva il contrario. In ogni caso, che motivo poteva avere Monsignor Aldini per seguirlo? Si stava parlando di un alto esponente del clero che, sicuramente, vantava conoscenze di un certo livello; ovviamente la preoccupazione manifestata nei confronti di un possibile scandalo era anche plausibile, ma certamente non sufficiente per giustificare un eventuale pedinamento.
In ogni caso, l’unico risultato di quella telefonata era stato quello di ritardare l’appuntamento, con conseguente gioia di Marini e di disappunto per Argot. Viale della Conciliazione si offriva come sempre maestoso agli occhi di chi lo osserva provenendo da Castel Sant’Angelo e, la leggera foschia che sembrava aleggiare tra i colonnati di San Pietro, rendeva proprio visivamente le sensazioni di Argot. “Essere della Polizia a volte comporta qualche vantaggio!”, pensò Argot a voce alta mentre parcheggiava l’auto. Si diresse a lunghi i verso l’ingresso secondario della Biblioteca e, come si aspettava, intravide da lontano Marini eggiare nervosamente, mentre fumava una delle sue solite sigarette lunghe e strette. “Eccomi, Marini, scusi il ritardo, ho avuto qualche problema.” “Di niente, commissario, sono arrivato appena qualche minuto fa, giusto il tempo di fumarmi una sigaretta” In fondo in fondo, Argot apprezzava la cortesia di Marini. Ma, in quei casi, diventava così mieloso da dargli sui nervi e il giovane prete che li accolse era anche lui molto gentile e cerimonioso. “Buongiorno, sono il commissario Argot, avevo bisogno, se possibile, di parlare con Padre Sarnetti” “Lo avviso subito, commissario, intanto accomodatevi, Padre Sarnetti dovrebbe essere nel suo ufficio” Argot osservò brevemente il giovane prete: era alto e magrissimo, con i capelli di un biondo che il commissario giudicò notevolmente troppo , così come anche la voce, accoppiata a quell’estrema gentilezza, davano a tutta la sua figura un che di velatamente femminile. Marini provvide subito a sedersi in una poltroncina posta ai lati della stanza; al centro un piccolo tavolino in vetro ricoperto di giornali e dall’immancabile copia dell’Osservatore Romano. All’arredamento molto funzionale, facevano da cornice molti quadri appesi con ordine su tutte le pareti: scene di vite di santi e di martiri nell’atto del sacrificio
estremo per la propria fede. L’attesa non fu molto lunga, appena il tempo di dare una sbirciata alle prime due pagine dell’Osservatore Romano e la porta si aprì lasciando entrare un uomo di mezza età, capelli brizzolati, media statura e un enorme sorriso che rivelava denti bianchissimi e ben curati. “Commissario Argot?” Sarnetti si diresse verso di lui con estrema sicurezza e gli strinse la mano con un’insospettabile forza. “Piacere di conoscerla, commissario, il signore è il suo aiutante?” Continuando a stringergli la mano, si rivolse verso Marini che, nel frattempo, era addirittura saltato in piedi. “Sì, è l’attendente Marini, mio collaboratore e amico” Marini sorrise compiaciuto, mentre stringeva la mano a Sarnetti; quella rivelazione riguardo a una possibile amicizia con Argot, per quanto fe parte di un diplomatico rituale, lo riempiva di sincero orgoglio e malcelata speranza. “Accomodatevi prego. Come posso esservi utile?” “Padre Sarnetti, mi sono permesso di disturbarla in merito a un caso del quale mi sto occupando, ma le prometto che le ruberò solo il tempo necessario per avere alcune informazioni” “Dica pure, commissario” “Intanto vorrei chiederle del signor De Matteis” Padre Sarnetti strinse le mani, abbassando lentamente il capo. “Giovanni, il povero Giovanni De Matteis, che brutta fine!” “Lo conosceva personalmente?” “Sì! Ci siamo incontrati varie volte e non soltanto per via del suo lavoro. Come lei già saprà, lui era consulente per la nostra Biblioteca. Ultimamente il suo
matrimonio stava naufragando e, con la scusa del lavoro, spesso parlavamo dei suoi problemi e della sua pena per ciò che stava accadendo” “Pensa che potesse avere dei nemici?” “Giovanni, dei nemici? Non credo proprio, commissario! Sì, era un uomo tormentato, ma aveva la capacità di tenere sempre separati i suoi problemi familiari dal lavoro; era un uomo che non avrebbe mai fatto male a una mosca, era molto corretto e sempre pronto a venire incontro a chiunque” Argot pensò fosse il momento per appurare se il suo istinto continuava a fare il proprio dovere, oppure se, proprio quella volta, gli avesse voltato le spalle. “Mi dica, Padre Sarnetti, che lei sappia, De Matteis e Tommaso Canseliet si erano mai incontrati? Si conoscevano?” “Canseliet!” Padre Sarnetti cambiò espressione, il sorriso aveva lasciato il posto a pensieri probabilmente poco piacevoli poiché storse le labbra portandosi le mani al viso; quindi, si ravviò i capelli con un sospiro e continuò: “Lei quindi si occupa della morte di Tommaso Canseliet?” “Precisamente!” “Canseliet era un tipo strano, molto taciturno; fu proprio De Matteis a presentarmelo circa sei anni fa; era preparatissimo nel suo lavoro, anzi, sembrava vivere esclusivamente di questo, i libri e la libreria erano il suo mondo. Lavoravano entrambi per la nostra Biblioteca e spesso si dividevano i compiti. Non avevamo un grande rapporto con lui e penso che non l’avesse neanche Giovanni, ma era il migliore e, in fondo, i risultati sono quelli che contano!” “Lei è a conoscenza di un loro incontro in questi ultimi giorni?” “No, non credo, o quantomeno penso che si sarebbero dovuti incontrare non appena De Matteis avesse visionato il materiale che gli era stato spedito” “Ecco, proprio a questo volevo arrivare. Mi risulta che De Matteis avesse ricevuto una lettera nella quale si annunciava la spedizione di un pacco; ho
parlato con la signora proprio ieri, ma lei asserisce di non aver ricevuto nulla” “Infatti è proprio così! Vede, commissario, quella mattina è accaduto un increscioso disguido riguardo allo smistamento della posta e dei libri da visionare” “Che genere di disguido?” “In pratica, per quanto riguarda la distribuzione del materiale da visionare, siamo soliti appoggiarci a un’agenzia privata di nostra fiducia; gli oggetti che trattiamo non hanno soltanto un enorme valore culturale e storico, possiedono anche un non trascurabile valore economico che, in base al tipo di libro, potrebbe anche essere inestimabile. Quella mattina, avevamo materiale sia per De Matteis sia per Canseliet, all’ultimo momento Canseliet ha chiesto di rimandare la spedizione perché il lavoro accumulato non gli avrebbe potuto fare rispettare le scadenze e così è partito solo il pacco per De Matteis. Sfortunatamente, il corriere ha consegnato il pacco a Canseliet e, solo quando è rientrato chiedendo il pacco di De Matteis, abbiamo capito cosa era accaduto” “Cosa conteneva il pacco?” “Erano libri provenienti da alcuni lasciti, libri antichi di argomenti religiosi e due brevi trattati di alchimia” “Avete recuperato il pacco?” “Purtroppo no! Dopo l’improvvisa morte di Canseliet, tutto è stato sequestrato e aspettiamo l’ordinanza del giudice per rientrarne in possesso” “Capisco. Grazie, Padre Sarnetti, lei mi è stato di grande aiuto” “Commissario, crede che le due morti siano collegate?” “Non saprei. L’unica cosa certa è che ci sono troppe coincidenze e io credo poco a questo genere di cose” Argot strinse nuovamente la mano a Padre Sarnetti e, questa volta, s’impegnò perché la sua stretta non fosse da meno; stava per uscire quando un pensiero lo bloccò.
“Scusi, Padre, un’ultima domanda...” “Dica, commissario” “Lei conosce Monsignor Aldini?” “Certo che sì! È il nostro supervisore, è lui che si occupa dei rapporti esterni e di quelli, diciamo, che richiedono una certa diplomazia” “Bene, per adesso credo possa bastare, approfitterò della sua gentilezza se ne avrò bisogno” “Quando vuole, commissario” Argot uscì ancora più pensieroso di quando era entrato. De Matteis e Canseliet si conoscevano, per un disguido quest’ultimo aveva ricevuto un pacco indirizzato al perito e, guarda caso, De Matteis era morto e Canseliet aveva avuto la stessa sorte subito dopo. Ma cosa univa le due morti? Marini, come sempre, gli camminava accanto e anche lui sembrava sprofondato in arcani ragionamenti. “Marini, mi renda partecipe, che ne pensa di questa storia?” “Commissario, le confesso che sono confuso, ma è abbastanza ovvio supporre che le morti di De Matteis e di Canseliet siano collegate tra loro” “Infatti! L’assassino cercava qualcosa e questo qualcosa era nel famoso pacco, oggetto del disguido; rimane da capire cosa cercava e chi era a conoscenza della spedizione” “Commissario, che ne pensa del corriere?” “No, Marini, non avrebbe senso: perché uccidere quando aveva già in mano quello che cercava?” “Già, anche questo è logico. E Padre Sarnetti?” “Anche per lui vale lo stesso discorso, qualunque cosa ci fosse in quel pacco era già in mano a Sarnetti ancora prima della spedizione, gli sarebbe bastato non
inserirla tra gli altri libri” “Capisco... quindi cerchiamo un libro, giusto commissario?” “Forse, chissà! In fondo, potrebbe essere qualunque cosa possa trovare posto in un plico contenente dei libri” “Allora, siamo sempre al punto di partenza!” Argot annuì con la testa. In effetti, erano ancora al punto di partenza e non solo, mancava ancora una spiegazione al messaggio lasciato da Canseliet, al libro ritrovato sotto il cadavere e alla copertina dello stesso libro spedita al padre di Straw. Castel Sant’Angelo osservava distratto le file di turisti che attraversavano il ponte sul Tevere e Argot osservava altrettanto distrattamente i barconi ormeggiati sulla sponda. La morte di De Matteis era stata troppo repentina per avere il tempo di lasciare qualche messaggio, ma gli indizi lasciati da Canseliet erano troppo particolari e forse erano stati destinati a qualcuno che fosse in grado di interpretarli. La strana telefonata ricevuta il giorno prima sembrava suggerirgli di appoggiarsi a qualcuno per venire a capo del mistero e forse quel qualcuno poteva benissimo essere Straw, l’unico che, in qualche modo, sapeva destreggiarsi tra magia, esoterismo e chissà quali altre diavolerie. Argot si risvegliò dal torpore dei suoi pensieri e si rivolse a Marini con un sorriso. “Bene! Credo che per questa mattina abbiamo già fatto abbastanza. Quello che ci vuole adesso è una buona bistecca e un bel caffè forte. Più tardi erò da Straw, lei nel frattempo veda di rintracciarmi quel corriere della Biblioteca Vaticana e cerchi di capire cosa è accaduto esattamente la mattina della consegna” “Agli ordini, commissario! E la bistecca, dove la prendiamo?” Argot sorrise, seguendo con lo sguardo un gruppo di turisti giapponesi alle prese con un venditore ambulante. “Per oggi faremo i turisti anche noi, Marini, seguiamo quel gruppo e ci abbandoniamo a un bel menu turistico”
La bistecca non fu delle migliori, tanto meno il caffè e soprattutto il conto. “Sicuramente, caro Marini, fare i turisti ultimamente conviene poco! O loro hanno troppi soldi, oppure i nostri stipendi sono proprio messi male. Un giorno risolverò anche questo mistero!” Marini ritornò sui propri i verso la Biblioteca Vaticana, mentre Argot, molto più lentamente, si diresse verso Piazza del Popolo per incontrare Straw. Pensava ancora a quella telefonata e, sebbene l’istinto gli suggerisse che non si trattasse del solito mitomane, non riusciva a inquadrarla in una situazione razionale; la verità era che non gli erano mai piaciuti gli enigmi, preferiva le cose semplici ed immediate, forse per questo non andava molto d’accordo con la magia e tutte le altre cose di questo genere. Arrivò alla sede del giornale inseguito da alcune nuvole minacciose e, quando scoprì che l’ascensore era fuori servizio, rimpianse amaramente di essere andato oltre gli antipasti, anche se questa, in fondo, poteva essere la chiave di quel conto così misteriosamente abbondante. “Buongiorno, cercavo il Signor Straw” “Lo trova in fondo, dietro la porta a vetri” Il ragazzo rispose frettolosamente, cercando di mantenere in equilibrio un enorme fascio di manoscritti troppo grande per la sua statura. L’ufficio di Straw sembrava in realtà un enorme deposito delle cose più disparate: ritagli di giornali alle pareti, cartelle sparse sulla scrivania, una vecchia macchina da scrivere su una sedia di legno e l’immancabile PC con il monitor coperto da piccoli foglietti gialli con appunti e schizzi. Straw era seduto sulla scrivania e parlava vivacemente al telefono, quando Argot tossì con discrezione per introdurre la sua presenza. “Commissario, felice di vederla!” Chiuse di fretta la comunicazione senza neanche accomiatarsi dal proprio interlocutore, sembrava in preda a una strana agitazione, il suo viso tradiva quell’esaltazione tipica di chi ha finalmente raggiunto la meta agognata; tutto in lui era euforico: la camicia che in buona parte sporgeva fuori dai pantaloni, la
solita giacca lunga agganciata per metà alla cintura, i capelli spettinati e tesi nella tipica iconografia del letterato folle. Straw si riordinò in tutta fretta ed allungò una sedia ad Argot, poi si tuffò letteralmente sulla sua poltrona e tirò fuori dal mucchio di documenti sulla scrivania una cartella grigia. “Ho ato ore a pensare alla nostra faccenda, commissario; posso chiamarla nostra, vero?” “La chiami pure nostra, Straw! E quale sarebbe il risultato di tutto questo suo scervellarsi?” “Nessun risultato, debbo ammetterlo; ho provato a concentrarmi sul foglio che Canseliet spedì a mio padre, ma non riesco a trovare nessun nesso tra loro” “Niente che li possa collegare?” “No, commissario. Ho chiamato anche alcuni amici di famiglia, ma non credo proprio che mio padre e Canseliet si conoscessero, non ho trovato nulla che mi potesse ricondurre in qualche modo a lui” “Beh, lo immaginavo! Avrebbe potuto essere una pista, ma ci vuole fortuna anche in queste cose e, da quando sono entrato in quella libreria, sembra proprio che la dea bendata si sia girata dall’altra parte!” Argot non fece nulla per smorzare la vena di sarcasmo che accompagnò la sua ultima frase. Straw fece finta di non sentire, ma non si sforzò più di tanto, era così preso da quella storia che in quel momento per lui non esisteva nient’altro. Finalmente, dopo anni di inerzia trascorsi ad inseguire personaggi e politici vari, un vero mistero stava assorbendo le sue energie ed era entrato anche di prepotenza nella sua vita, visto che lo riguardava così da vicino. Il commissario continuò a osservare il disordine della scrivania, poi si alzò di scatto producendosi in una serie di imprecazioni. “Fogli misteriosi, messaggi, magari ci mettiamo dentro anche un po’ di alchimia, di occultismo, magia... al diavolo tutto, Straw! Adesso, inizio a essere stanco!
Ho un assassino che gira libero per la città, due cadaveri all’obitorio che chiedono spiegazioni e un questore che vuole la mia testa se non risolvo in fretta il caso” “Due cadaveri?” “Si Straw, due. Canseliet stringeva in mano un ritaglio della rubrica dei necrologi e, tra i nomi, figurava un certo De Matteis, anche lui consulente per la Biblioteca Vaticana ed anche lui morto misteriosamente qualche giorno prima del nostro libraio” Straw si portò una mano alla testa chiudendo gli occhi e riflettendo ad alta voce. “Due cadaveri, due persone che lavorano per il Vaticano e nessun indizio. In effetti, non la invidio, Argot. Probabilmente in questa storia sono coinvolto anch’io, ma più ci rifletto meno riesco a capire” “A proposito, Straw, ho parlato con Padre Sarnetti della Biblioteca Vaticana; mi diceva di due libri di alchimia spediti, insieme con altro materiale, proprio a De Matteis. Mi spiega cosa diavolo sarebbe l’alchimia?!” “Lei mi invita a nozze, Argot!” Straw si schiarì la voce e iniziò a parlare chiudendo gli occhi, quasi cercasse dentro di sé i suggerimenti giusti: “Alchimia è ancora una parola dall’origine controversa, alcuni vogliono derivi dall’arabo ‘al-kimiya’, pietra filosofale, altri dall’egizio ‘keme’, cioè Egitto, oppure Terra Nera; rimane che, oltre ad essere un’arte trasmutatoria[1], l’alchimia è anche uno dei più difficoltosi cammini iniziatici, il più arduo da capire e da intraprendere” “Da quello che capisco, sembra una pratica abbastanza antica” “Più antica di quanto lei possa immaginare, commissario! Anche se gli alchimisti si diffo in Europa durante il Medioevo, la scienza che praticavano era molto più antica e risaliva ad almeno 2000 anni prima. Infatti, veniva esercitata in Oriente e, più esattamente, in Mesopotamia, Cina e India. Il primo atto ufficiale di procedimenti alchemici registrato in Occidente risale al 1144, quando l’inglese Robert di Chester[2] tradusse integralmente in latino il testo arabo dal titolo ‘Il libro della composizione alchemica’; altri due filoni riguardanti i primi albori della scienza alchemica in Occidente e, soprattutto in Italia, sono riconducibili al periodo Alessandrino e alle migrazioni in Europa degli studiosi provenienti dalla Sicilia post-musulmana”
“Una scienza movimentata, direi!” replicò Argot, dimostrando un velato interesse all’argomento, tanto da spingere il giornalista ad approfondire la questione. “Movimentata e notevolmente ricca di avvenimenti. Il periodo alchemico riferito all’Occidente si divide addirittura in tre fasi ben distinte tra loro: una di irradiamento tra il XII e XIII secolo, con rappresentanti quali Alberto Magno[3], Ruggero Bacone[4], Arnaldo da Villanova[5] e Raimondo Lullo[6]. Una seconda fase di stabilizzazione, tra il XIV e i primi anni del XVII secolo, con esponenti quali Nicolas Flamel[7], Basilio Valentino[8], Paracelso[9], John Dee[10] e altri. Questa è l’epoca d’oro per la scienza alchemica, la fase che la arricchisce anche dei suoi aspetti spirituali, grazie pure agli apporti dei RosaCroce[11] e di Robert Fludd[12]. L’ultima fase è quella considerata di eclisse e inizia dalla metà del XVII secolo ai primi del Novecento; una fase non priva certo di maestri quali Dom Pernetty[13] o Elia Ashmore[14], ma che risente fortemente dell’avanzare della modernizzazione e del lento scostarsi dei parametri mentali. All’ultimo periodo di questa fase vanno comunque riconosciuti personaggi di tutto rispetto, quali a esempio Fulcanelli” Argot seguiva affascinato, ma anche poco convinto, l’esposizione di Straw: “Mi perdoni, personalmente ho sempre visto gli alchimisti come antichi cercatori d’oro!” “In un certo senso, potrebbe anche avere ragione, ma come concetto è abbastanza riduttivo; d’altra parte, furono alchimisti anche personaggi ritenuti insospettabili, padri della scienza moderna che certo non avevano bisogno di are la propria vita a fondere metalli per qualche grammo d’oro. Prenda a esempio Isaac Newton[15]...” “Newton? Il padre della fisica moderna?”, lo interruppe meravigliato Argot. “Proprio lui, commissario; Newton fu anche un convinto alchimista e trascorse molto tempo a fare esperimenti con il mercurio, tanto che finì per avvelenarsi. Annotò i suoi appunti sugli esperimenti alchemici in migliaia di pagine, ma queste non vennero mai pubblicate e furono vendute a dei collezionisti privati durante gli anni Trenta. L’alchimia, caro Argot, non fu soltanto la scienza che portò in seguito alle scoperte della nuova chimica, scoperte che tra l’altro confermarono molte delle tesi espresse dagli alchimisti, ma fu ed è, ancora oggi,
una scienza dell’anima, quasi un travaglio spirituale, un percorso iniziatico che spurga l’anima dalle scorie del crogiolo per riportarla monda e perfetta in seno all’universo. In realtà, tramutare il piombo in oro era soltanto un’allegoria, la vera trasformazione era quella operata dall’uomo che, da volgare materia radicata alla schiavitù della terra, agognava a uno stato di purezza dell’anima.” “Poca fa, quando ha fatto i nomi di alcuni alchimisti, se non mi sbaglio, ha citato anche un certo Fulcanelli!” “Sì, commissario, forse il più grande tra gli alchimisti, ma anche il personaggio più misterioso di questi ultimi tempi” “Misterioso”, gli fece eco Argot dondolando la testa in avanti. “Ne aveva già sentito parlare, commissario?” “Non proprio, stavo solo riflettendo, comunque non mi sembra importante per adesso” Argot scrollò le spalle e, stava giusto per accomiatarsi, quando un ragazzo si precipitò nell’ufficio riuscendo a malapena a frenare la sua corsa poggiandosi al bordo della scrivania. “Straw, una definizione di anagramma” “Chi diavolo è questo signore, Straw?!” “Tranquillo, Argot, è il nostro redattore del cruciverba. Vedi se ti piace questa: ‘un metodo di trasposizione’” “Sì, può andare, non è il massimo, ma devo consegnare tra cinque minuti. Grazie, Straw!” Il ragazzo non sembrava molto convinto, salutò frettolosamente anche Argot e sparì con la stessa velocità con la quale si era catapultato nell’ufficio. “Non vi fate mancare niente nel vostro giornale!” Argot sorrise senza nascondere una certa vena di sarcasmo.
“Cruciverba, anagrammi... la gente vuole distrarsi e noi, tra una distrazione e l’altra, cerchiamo di intrufolarci qualche articolo che abbia un certo spessore.” “Personalmente non sono mai riuscito a risolverli, soprattutto quelli con i disegni, come si chiamano, i rebus, mi fanno letteralmente impazzire!” Argot si girò verso il proprio interlocutore e, ancora una volta, si ritrovò a parlare da solo; Straw infatti aveva gli occhi fissi sulla sua cartella e un’evidente espressione di profonda concentrazione inondava il suo viso già cupo e pensieroso. “Straw, mi sta ascoltando?!” L’uomo si scosse come da un profondo torpore. “Anagrammi!” Più che un commento fu un urlo che sovrastò per una frazione di secondo il rumore delle macchine da scrivere e delle stampanti. “Anagrammi, Argot, anagrammi, questa è la chiave!” “La chiave di cosa?!” “Commissario, ma non si rende conto?! Abbiamo sempre avuto l’indizio sotto il naso e non ce ne siamo mai accorti!” “Straw, potrei sapere di cosa sta parlando? Si calmi e cerchi di esprimersi in maniera più comprensibile. Che diavolo centrano adesso gli anagrammi?” Straw si distese sulla poltrona quasi a rinfrancarsi di una lunga fatica, riprese in mano la cartella e ne trasse la fotocopia del foglio spedito da Canseliet a suo padre. “Allora, Straw, si decide o no?” “Bene, commissario, cerchiamo di riprendere i fatti dall’inizio: Canseliet viene ritrovato cadavere, stringe in mano un ritaglio di giornale sul quale ha la forza di scrivere un breve messaggio, lo stesso che invia a mio padre insieme alla pagina di un libro che sappiamo essere un’antica raccolta di ritratti dei Papi.”
“Fin qui ci sono arrivato anch’io, Straw. Ma quello che mi interessa è il resto” “Il resto è semplice, Argot; se Canseliet scrive quel messaggio è evidente che è indirizzato a qualcuno, qualcuno che sia in grado di leggerlo e che, una volta interpretato, sa come agire di conseguenza. Sinceramente non so in che modo mio padre possa rispondere a queste descrizioni, ma so benissimo che il modo migliore per trasmettere un messaggio importante, evitando che venga capito da tutti, è quello di trasformarlo in una frase senza senso” “Un anagramma!” “Appunto, Argot, un anagramma” “Va bene, ammettiamo che la sua ipotesi sia giusta, che diavolo avrebbe scritto in realtà Canseliet?” “Lo sapremo presto, Argot. Metterò il testo in un software di decifrazione e le farò sapere” Argot mugugnò alcune frasi incomprensibili, d’altronde era comunque una pista e, in questo caso, bisognava accontentarsi di quel poco che veniva fuori da semplici intuizioni o da fantasie mentali forse un po’ troppo spinte. “Mi mandi un fax, sono proprio curioso di vedere cosa ne verrà fuori” “Se vuole, possiamo aspettare insieme, il tempo che si liberi il computer del capo e iniziamo” “No, Straw, anche se la cosa francamente mi incuriosisce, ma stasera ho un invito, le solite noiose feste di famiglia!” “Capisco e non la invidio, preferisco rimanere accanto al mio PC” Quando uscì dalla redazione era già il tramonto. Non si era accorto del tempo che era ato, si era però reso conto che, con molta probabilità, aveva fatto un altro buco nell’acqua e la cosa non lo rendeva orgoglioso. Telefonò a Marini, ma anche lui non aveva grandi novità, a parte la solita sfuriata del questore e ben cinque telefonate di Monsignore Aldini.
Il cellulare era rimasto spento per tutto il pomeriggio e l’idea di non aver avuto modo di sentire la voce metallica del Monsignore strappò un sorriso di soddisfazione ad Argot, in fondo non tutti i mali vengono per nuocere! La festa seguì la solita routine: parenti che non vedeva da tempo che lo abbracciavano come se si fossero sempre frequentati, le solite battute sul suo lavoro e le solite discussioni di politica e di sport. Il rientro a casa fu quasi una liberazione; la segreteria telefonica era vuota come sempre, ma la spia del fax, forse per la prima volta, era di un bel rosso . Non fu facile capire come fare per stampare il contenuto della memoria, ma dopo alcuni tentativi, come per incanto, il foglio bianco scivolò dentro l’apparecchio infernale e uscì dall’altra parte con un messaggio che, ancora una volta, gli avrebbe fatto are una notte insonne: “Lungo Mari Indifesi… Finis Gloriæ Mundi… l’aspetto domani mattina… Straw.”
[1] L’aggettivo trasmutatoria deriva da trasmutare, verbo che indica la possibilità ipotizzata dagli alchimisti di ricavare l’oro dai metalli vili.
[2] Robert di Chester: Arcivescovo di Pamplona al quale si devono molte traduzioni di opere orientali.
[3] Alberto Magno o Albert (o Albertus) (Lauingen an der Donau, in Swabia [Germania], 1193-Colonia, 15 Novembre 1280). Svolse i suoi studi a Padova, dove, nel 1223 (o forse nel 1229), prese contatti con l'ordine dei Domenicani, da cui fu attratto e al quale si unì. Insegnò a Padova, Bologna e in altri conventi della Germania. Nel 1245, fu inviato all'Università di Parigi, dove fu nominato Magister (docente universitario) di teologia e lesse le traduzioni dei testi arabi e greci di Aristotele. Nella capitale se, Alberto cominciò a cimentarsi con la sua ardua missione: riunire in un'unica opera l'intero corpus delle conoscenze, ovvero scienze naturali, logica, retorica, matematica, astronomia, etica, economia, politica e metafisica. In seguito, fu
nominato Vescovo di Ratisbona e ottenne una cattedra domenicana di teologia a Colonia, dove portò con sé il suo discepolo Tommaso d'Aquino. Fu beatificato nel 1622; venne proclamato santo da Papa Pio XI e acclamato ufficialmente dottore della Chiesa nel 1931.
[4] Ruggero Bacone è noto con l’appellativo di Doctor Mirabilis, fu un frate scano inglese e uno dei maggiori pensatori del suo tempo. Viene considerato uno dei rifondatori del metodo scientifico, ma non pochi risultano essere i suoi contatti con il mondo dell’occultismo e dell’alchimia.
[5] Arnaldo da Villanova nasce in Provenza e, dedicatosi inizialmente agli studi letterari, si apiona in un secondo momento alla medicina che approfondisce nella scuola araba di Spagna e a Parigi. Viaggia lungamente nella Penisola Iberica, in Francia e in Italia e coltiva la conoscenza dell’alchimia e della filosofia, cadendo in disgrazia per contrasti religiosi con la Chiesa. Alla fine, viene riabilitato e termina i suoi giorni presso la sede papale di Avignone.
[6] Raimondo Lullo fu un filosofo spagnolo influenzato da Sant’Agostino e dalle correnti mistiche scane. A lui sono attribuite numerose opere di alchimia tra le quali, la più nota, è il Liber de Segretis Naturae.
[7] Nicolas Flamel è stato uno scrivano o copista presso l’Università di Parigi. La tradizione racconta che Flamel rinvenne presso un venditore ambulante, un antico libro di alchimia; dopo avere studiato per anni i segreti ed i simboli contenuti in quelle pagine, divenne il più grande alchimista del suo tempo e, l’enorme quantità di opere pubbliche lasciate alla Storia, sembrerebbe confermare un’immensa ricchezza spiegabile soltanto con la scoperta del segreto della trasmutazione.
[8] Basilio Valentino è stato un noto alchimista medievale e monaco benedettino. Usò per primo l'antimonio come medicamento e scrisse un'opera intitolata "Il carro trionfale dell'antimonio" in cui, oltre a illustrare la storia di questo elemento, spiega come preparare lo spirito di sale (acido cloridrico), come ottenere l'acquavite, distillando il vino o la birra e come estrarre il rame dal suo solfuro. Anche Alografia, o Trattato sui Sali, parla di molti interessanti fenomeni chimici. Molte altre sue opere sono state riunite nel 1700 sotto il titolo di Scripta chimica.
[9] Paracelso nacque a Einsiedeln nel 1493, ricevette l’istruzione scientifica dal padre, ma ben presto coltivò e mise in pratica il suo talento e il suo amore per l’occulto. Dopo la sua morte, le sue ossa furono trafugate.
[10] John Dee nacque a Londra nel 1527. Nel 1548, ottenne la laurea come Professore d’arte e si diede all’insegnamento del diritto civile, mentre in segreto coltivava la ione per le scienze occulte. Ben presto la sua fama di mago e di negromante lo condusse presso molte corti, ma l’ostilità della Chiesa Cattolica gli rese la vita difficile e lo costrinse a lunghi ed estenuanti viaggi per tutta l’Europa. Morì nel 1608 e fu sepolto nella chiesa di Mortlake, a Londra.
[11] RosaCroce è stato un ordine segreto nato nel XV secolo la cui conoscenza venne diffusa durante il XVII secolo, sotto l’emblema identificativo di una Rosa e di una Croce. La leggenda fa risalire la sua nascita al 1407, a opera di un pellegrino tedesco, Christian Rosenkreuz, ma si tratta probabilmente di un’allegoria. La manifestazione ufficiale dell’Ordine avviene nel 1614, con la comparsa di un opuscolo anonimo dal titolo Fama Fraternitatis Rosae Crucis, opuscolo che, sotto forma di manoscritto, era già in circolazione a partire dal 1610.
[12] Robert Fludd o Flud, detto anche Robertus de Fluctibus, medico e alchimista inglese, condusse i suoi studi a Oxford e, dopo aver viaggiato per
tutta l’Europa, si stabilì a Londra. Apionato di occultismo, esercitò la propria professione di medico, cercando di coniugare insieme le due scienze.
[13] Dom Pernetty è stato unbotanico, viaggiatore e fine studioso della scienza alchemica.
[14] Elia Ashmore fu unantiquario e Gran Maestro della RosaCroce.
[15] Isaac Newton nacque a Woolsthorpe, in Inghilterra, nel 1643. Fu astronomo, fisico e matematico; con le sue rilevanti scoperte nel campo della fisica influenzò la stessa filosofia e, in particolare, Newton fu l'ordinatore di tutta una serie di concetti relativi alla dinamica dei corpi che trovarono la sintesi suprema nella teoria della gravitazione universale, legge che sarà alla base di tutta la cosmologia successiva e verrà messa in discussione e perfezionata soltanto dalla teoria della relatività di Einstein.
Capitolo 6
Alzarsi al mattino era sempre stato un problema per Argot. A parte la consapevolezza di doversi nuovamente confrontare con una giornata che non gli avrebbe portato sicuramente niente di buono, il solo pensiero di essere costretto ad abbandonare quella tiepida sensazione di calore proveniente dallo spesso piumone azzurro chiaro era un’inaccettabile violenza al proprio bisogno di tranquillità. Il cicalino della sveglia continuava sadicamente a tormentare le sue orecchie e la luce che filtrava dalla finestra lo colpiva dritto agli occhi; quella perfetta simbiosi di malvagità, alla fine, ebbe la meglio e Argot, imprecando contro le ciabatte che al mattino non riusciva mai a trovare, si alzò. Una doccia molto lunga gli diede il gusto della vendetta contro la sveglia che lo aveva tormentato; scese di fretta, la solita colazione e la consueta sbirciata al giornale del mattino, o almeno alle uniche due pagine che leggeva solitamente: la prima e quella relativa allo spettacolo. Roma si era svegliata già da molte ore, nuvole poco raccomandabili sembravano volersi impadronire del sole e quella sarebbe stata la solita giornata a metà tra l’autunno e la primavera, senza definizione, proprio come il caso che stava seguendo. Perduto in questi pensieri, si ritrovò in ufficio e non ebbe neanche il tempo di assuefarsi al solito disordine che la porta si aprì senza preavviso e si ritrovò il questore nel centro della stanza intento a fissarlo con uno sguardo che non lasciava presagire nulla di buono. Puntualmente, come sempre, le cattive premonizioni di Argot si avverarono. “Argot, non voglio neanche parlare del fatto che lei entra ed esce da quest’ufficio a suo piacimento, non voglio fare discorsi di orari e regolamenti, voglio soltanto sapere a che punto siamo con il caso Canseliet!” La domanda del questore rimase sospesa nell’aria e, prima di cadere addosso ad
Argot, profuse la sua nefasta consistenza per tutto l’ufficio. Questo è il classico momento che si è sempre rimandato pur sapendo che, un giorno, sarebbe divenuto reale e minaccioso, la classica situazione di chi è consapevole di ciò che accadrà, ma preferisce pensare che c’è ancora tempo, crogiolandosi nell’ozio dell’attesa della propria condanna. Argot si schiarì la voce, ma non rispose subito; mise in ordine una dozzina di fogli che stavano in bilico sul bordo della scrivania e poi, quasi parlasse tra sé e sé, ad alta voce disse: “In realtà, non ci sono stati grandi i avanti, stiamo cercando di scavare più a fondo sui rapporti della vittima con un certo De Matteis.” “De Matteis? E chi sarebbe questo De Matteis?” “Un perito che lavorava spesso per la Biblioteca Vaticana e che è stato ucciso presumibilmente nel corso di una rapina nel suo appartamento” “Argot!” Non era un richiamo quello, era più un pugno in pieno viso che non lascia tracce visibili, ma provoca un gelido tremore lungo la schiena, bloccando senza speranza la salivazione. Il questore liberò una sedia da alcune cartelle che vi erano poggiate sopra, si sedette senza mai distogliere lo sguardo dal commissario e continuò a tuonare come non aveva mai fatto prima: “Argot, sono stufo dei suoi metodi, stufo del suo fantasticare a vuoto, del suo girare per la città in attesa che le soluzioni le vengano giù dal cielo, sono stufo di lei!” Sto cercando di trovare un indizio valido, signor questore, non è un caso facile come sembra” “Non è un caso facile?” Il questore tirò un lungo sospiro che, tradotto in linguaggio parlato significava pressappoco ‘devo sempre sbrigamela da solo, ora ti dimostro se è un caso semplice, oppure no’ e, ancora una volta, l’arguzia di Argot non venne meno. “Quindi, lei mi conferma che non si tratta di un’indagine semplice, giusto?! Bene! Allora, sarà il caso che le dia qualche ragguaglio”
“In che senso?” “Vede, Argot, mentre lei se ne andava in giro a fare domande e raccogliere fantasie, i suoi colleghi lavoravano, si davano da fare e, proprio nelle prime ore di stamattina, hanno risolto il suo misterioso caso!” “Lei sta scherzando, signor questore?!” “Non c’è proprio nulla su cui scherzare, Argot. Lei ha teorie, misteri e chissà quale fantastica trama da romanzo giallo, io ho un nome, un cognome e dei testimoni” “Di cosa sta parlando?” “Non si alteri, Argot, non è proprio il caso!” Il questore estrasse dalla tasca della giacca una foto segnaletica; era un ragazzo sui vent’anni, viso magro, ossuto, incorniciato da lunghi capelli neri che arrivavano quasi alle spalle. “sco Trentini, ventidue anni, tossicodipendente, precedenti per furti in appartamento e violenza privata; i colleghi dell’Appia Antica, lo hanno rintracciato seguendo delle segnalazioni fatte dai vicini che si sono ricordati di averlo visto da quelle parti la mattina della rapina e, perquisendo la sua abitazione, hanno trovato due libri provenienti dalla biblioteca di Canseliet!” La prima volta che Argot aveva sperimentato il senso della sconfitta era stata quando, appena arrivato dalla Francia con i genitori, si era ritrovato in una scuola pubblica impegnato a far capire a una decina di focosi compagni di classe, con il suo italiano a dir poco stentato, che un ragazzo dallo spiccato e inconfondibile accento se, non necessariamente deve essere omosessuale; quella battaglia, in un modo o nell’altro, l’aveva vinta, ma questa volta la sconfitta lo aveva sorpreso senza armi per difendersi e senza giustificazioni valide alle quali aggrapparsi. “Signor questore, sta per fare un gravissimo errore, la prego di ascoltarmi” “Lei è stato ascoltato anche troppo, Argot; fino all’ultimo, ho sperato che la smettesse di andare a caccia di fantasmi, ma non è stato così. Il caso si avvia alla soluzione, una soluzione del tutto normale, senza presenze evanescenti e misteri
da decifrare; Trentini confesserà non appena avrà smaltito gli effetti della droga di stanotte, il Vaticano e il Sindaco non occuperanno più per ore il mio telefono e, in quanto a lei, penso che alcuni giorni di ferie le serviranno per riflettere” “Non ho bisogno di ferie, signor questore, voglio soltanto veder chiaro in questo caso” Il questore si alzò con aria soddisfatta, evidentemente infierire su Argot lo rendeva in qualche modo fiero di se stesso; si avviò verso la porta, aggiustando il colletto della giacca e quasi fuori dall’ufficio pronunciò le fatidiche parole: “Non la voglio in ufficio per qualche giorno, Argot; si riposi e si rilassi, forse non vedendola non penserò al fatto che ho una voglia sfrenata di trasferirla il più lontano possibile” La porta si chiuse rumorosamente e, con essa, anche l’ultima speranza per Argot di una quantomeno sognata promozione; finì di riordinare la scrivania, guardò velocemente i rapporti lasciati da Marini e uscì dall’ufficio nel più assoluto silenzio. Nessuno gli rivolse la parola e lui fu felice di fare altrettanto; si fermò sul portone, si voltò indietro per un attimo, poi scrollò le spalle e decise di prendere un buon caffè nel bar accanto all’ufficio. Proprio sulla porta si scontrò fragorosamente con Marini. “Perdoni commissario, buongiorno commissario, fatto male?” “Niente, Marini, stia tranquillo” Marini lo osservò ando da uno stato di euforico imbarazzo a una profonda malcelata vena di malinconia sul viso. “Che succede, commissario? Sicuro che vada tutto bene?” Argot sorrise, stringendo i denti. “No, Marini, non sono sicuro, anzi, non va proprio bene. Venga dentro, ho bisogno di un buon caffè, vuol farmi compagnia?” “Certo, commissario, offro io però!”
Si sedettero al tavolino, ordinarono due caffè e Argot iniziò a giocherellare con un tovagliolino di carta azzurro. “Sa una cosa, Marini? Quando sono arrivato in Italia, non sapevo esattamente cosa avrei fatto, non sapevo neanche per quale motivo mi ritrovavo in un altro paese a dover riprendere di nuovo le mie amicizie, i miei interessi, la mia vita” Marini lo osservava e sembrava quasi pendere dalle sue labbra. “Mio padre era architetto, arrivò a Roma per conto dello studio per il quale lavorava e, di colpo, decise che avrebbe ato qui, a Roma, il resto dei suoi giorni. Ci adeguammo tutti a quel colpo di fulmine e niente valse a fargli cambiare idea, neanche la morte di mio fratello per mano di una banda di teppisti; quando la Polizia li arrestò, io andai con i miei genitori in centrale e li vidi are tutti davanti a me, uno per uno, mentre uscivano dall’ufficio del commissario per essere portati in carcere. Da quel giorno, decisi che sarei diventato poliziotto, che avrei protetto la mia famiglia e che mai si sarebbe ripetuto ciò che accadde a mio fratello. Ho sempre lavorato pensando che bisogna arrivare alla verità, non importa quanto tempo ci si metta, l’importante è riflettere, ponderare; l’unica vera ricompensa alla fine sarà di aver fatto in tutta coscienza il proprio dovere” Argot storse le labbra e strinse con forza il braccio di Marini, sospirando: “Marini, mi hanno tolto il caso” “Cosa?!” Il viso dell’attendente divenne una maschera informe sulla quale stupore, rabbia e incredulità si agitavano liberamente e senza alcun freno. “Non possono farlo, commissario, non è giusto, lei non deve permetterlo” “La vita è piena di cose ingiuste, Marini! Mi stupirò molto quando mi accadrà il contrario. Comunque, piangere sul latte versato non serve a niente; ma lei può ancora darmi una mano.” “Tutto quello che vuole, commissario” Argot rimase in silenzio, osservando il volto proteso di Marini, lasciandosi sfiorare dall’ansia di quest’ultimo di potere in qualche modo rendersi utile. “Bene, tanto per iniziare non ripeta sempre commissario, commissario…”
“Certo, come vuole, commissario” Argot borbottò qualcosa di incomprensibile, poi proseguì: “Per qualche giorno, sarò in ferie, diciamo che si tratta di un tacito accordo con il questore, io me ne sto buono a casa e lui si fa are la voglia di trasferirmi. Lei dovrebbe, nei ritagli di tempo si intende, interrogare nuovamente i vicini di De Matteis e, magari, anche la signora, voglio proprio capire da dove viene fuori questo colpevole e anche, se può, mi faccia sapere come vanno le cose con l’interrogatorio” “Sarà fatto, commissario.” Marini si portò la mano alla bocca, ma era più forte di lui: i gradi sono gradi e debbono essere rispettati. Argot si rassegnò, pagò di fretta il conto e, salutando con un particolare e muto abbraccio il proprio attendente, si diresse verso la redazione del giornale, sperando che Straw, almeno questa volta, si dimostrasse meno ermetico e più fattivo. Forse quella era proprio la giornata giusta. Infatti, appena girato l’angolo, notò Robert Straw che lo attendeva proprio sul portone dell’edificio. “Signor Straw, spero che questo sia un segno positivo per il mio caso” Si strinsero cordialmente la mano e iniziarono a incamminarsi lungo il viale alberato senza una precisa meta. “Ricorda quella pagina con il messaggio cifrato?” “Certo, se non ricordo male, si trattava di un libro sui Papi del 1800, o qualcosa del genere” “Infatti; la pagina in questione riportava un ritratto in particolare, quello di Papa Celestino V” “Sinceramente, Straw, a parte questo Celestino, il resto mi dice ben poco. Se non ricordo male, qualche tempo fa, mi regalarono un libro che aveva a che fare con Celestino, ma è ancora sul comodino” “Lei non è un grande lettore di libri, vero Argot?”
“No, non ne ho il tempo. Magari se ci fanno un film lo andrò a vedere!” Straw sorrise divertito, poi riprese il filo del proprio discorso. “Papa Celestino V era nato come Pietro Angeleri o Angelerio in base alle diverse fonti storiche, ma è più conosciuto come Pietro da Morrone. Fu eletto Papa nel 1294, è venerato come santo e la sua festa viene celebrata il 19 maggio; è noto anche per quello che viene chiamato il grande rifiuto. Infatti, dopo circa quattro mesi di pontificato e, nonostante i numerosi tentativi per dissuaderlo, il 13 Dicembre del 1294 diede lettura di una Bolla nella quale si contemplava la possibilità di un’abdicazione al soglio di Pietro per gravi motivi e, in seguito, pronunciò la formula di rinuncia al soglio pontificio” “Complimenti per la sua preparazione, Straw; ma cosa centra tutto questo con Canseliet e il suo omicidio?” “Non capisce, Argot? Canseliet ha spedito a mio padre una pagina con il ritratto di Celestino V con dietro un anagramma, lo stesso che era riuscito a trascrivere prima di morire sul foglio dei necrologi, solo che sul ritratto c’è una parola in più” “Perdonanza?” “Si proprio così, Perdonanza” “Straw, scusi, ma continuo a non capire” Il giornalista si guardò intorno: erano arrivati in prossimità di una piccola villetta racchiusa tra i grigi palazzi condominiali a ridosso della Tiburtina. Un sedile vuoto attrasse la sua attenzione e tirò quasi a forza Argot. “Commissario, il termine Perdonanza non è stato scritto a caso, così come tutti gli altri indizi non sono stati ritrovati per una strana coincidenza, ma forse capirà meglio se continuo la nostra storia. Il 5 Luglio del 1294, Pietro Angelario viene accettato dal Collegio Cardinalizio e, il 29 Agosto 1294, viene eletto Papa al cospetto di Carlo d’Angiò[1]. Il primo atto ufficiale fu quello che viene definito una ‘littera gratiosa’, ma che alla fine è una vera e propria Bolla Papale con la quale venne ufficializzato un privilegio, ovvero il perdono dei peccati a tutti quelli che, in un determinato periodo dell’anno, si sarebbero recati in pellegrinaggio sul luogo nel quale Celestino venne eletto Papa”
Argot seguiva i discorsi di Straw, ma continuava anche a non trovarci alcun filo logico. “Quella Bolla, caro Argot, è conosciuta con il nome di Perdonanza” “Va bene, Straw, vediamo di ricapitolare: Canseliet spedisce a suo padre la pagina strappata di un libro con il ritratto di Celestino V e con lo stesso messaggio che ho trovato sul foglio dei necrologi, a questo messaggio aggiunge però il termine Perdonanza che, da quanto mi dice, ci riporta a una Bolla Papale. È questo ciò che mi vuole spiegare, vero?” “Esattamente, commissario, ma siamo ancora all’inizio di questo enigma, non dimentichiamoci che il messaggio comprende anche un anagramma” “Infatti, continuo a chiedermi il perché di quella parola aggiunta nel messaggio diretto a suo padre” “Non saprei, ma andiamo avanti con la nostra ricostruzione. Abbiamo detto che il messaggio si compone di due indizi: Lungo Mari Indifesi e Perdonanza. Non mi chieda per quale motivo i due messaggi sono diversi, resta il fatto che potrebbero avere un senso compiuto. All’inizio, pensavo che anche il termine Perdonanza fosse un anagramma, ma il suo legame con il ritratto è troppo evidente, quindi l’unico anagramma è riferibile alla prima parte del testo e anche questa alla fine è stata una frase di senso compiuto, ovvero Finis Gloriae Mundi” “Sarà compiuto per lei, Straw, io francamente non ci trovo alcun senso” “Infatti, è proprio per questo che sono qui!” Straw sorrise compiaciuto, mentre Argot iniziava visibilmente a spazientirsi. “Questo perché lei si informa poco, Argot. Il mondo in fondo non è fatto soltanto di omicidi e cronaca nera; comunque, il Finis è il terzo libro perduto di Fulcanelli” Argot trasalì e con la mente ritornò alla telefonata anonima ricevuta giorni prima. “Forse ho colto nel segno, commissario! Almeno Fulcanelli lo conosce da quanto credo di capire” “No, Straw, pensavo soltanto a tutte le strane coincidenze di questo caso; ho
ricevuto anche una strana telefonata, un tizio che parlava in modo eccentrico, quasi come lei e che alla fine ha detto di chiamarsi proprio come il suo misterioso autore: Fulcanelli. Pensavo a qualche mitomane; in quel momento, non ho dato molto peso alla cosa, magari era uno dei tanti che amano fare strani scherzi telefonici, ma ascoltando i suoi discorsi forse dovrei considerare più seriamente quella telefonata e, le confesso, che non si tratta di una sensazione molto piacevole” Straw rimase in silenzio, osservando incuriosito il commissario, poi si fece riprendere dalla propria trattazione e continuò a illustrare ciò che aveva scoperto dell’enigma. “Strana telefonata e penso che la troverà ancora più strana quando avrò finito di spiegarle cosa è esattamente il Finis. Tra il 1926 e il 1931, uscirono due libri considerati fondamentali per lo studio dell’alchimia, si trattava de Il Mistero delle Cattedrali e Le Dimore Filosofali; entrambi i libri erano a firma di un certo Fulcanelli, da tutti considerato un grande maestro, ma che nessuno ebbe mai modo di conoscere personalmente, neanche il suo editore. Il suo mentore, che scrisse anche le prefazioni per i libri di cui le ho parlato, disse che Fulcanelli aveva scritto anche una terza opera, il Finis Gloriae Mundi, per l’appunto, libro che, in un secondo tempo, venne ritirato dall’autore stesso per la pericolosità dei suoi contenuti. E adesso si tenga forte, Argot, sa come si chiamava il mentore di Fulcanelli?” Straw lasciò la domanda in sospeso e l’agitazione di Argot si dipinse così nettamente sul suo viso che il giornalista decise repentinamente di andare avanti. “Eugène Canseliet[2], proprio come il nostro misterioso bibliotecario”
[1] Carlo d’Angiò era fratello del re di Francia Luigi IX. Nel giro di pochi anni, grazie anche all’aiuto del Papato, divenne re di uno dei più prestigiosi regni europei.
[2] Eugèn Léon Canseliet (Sarcelles, 1899 – Savignies, 1982) fu un autore e un alchimista se che sostenne di essere stato discepolo di Fulcanelli, per il quale curò le prefazioni delle sue opere: Le Dimore Filosofali e Il Mistero delle Cattedrali. È opinione non dimostrata che, in realtà, Canseliet, insieme ad altri alchimisti, fe parte dei Fratelli di Heliopolis, l’associazione di studiosi e ricercatori che divulgò le proprie conoscenze sotto lo pseudonimo di Fulcanelli, alimentando in tal modo la leggenda sulla reale esistenza di questo personaggio.
Capitolo 7
“Straw, lo debbo riconoscere, lei ha il potere di confondermi in maniera esasperante” Argot tentava disperatamente di mettere in ordine i tasselli del mosaico, ma aveva anche la netta sensazione che senza l’aiuto di quello strano e snervante giornalista, scrittore e chissà cosa altro ancora, non sarebbe riuscito a venirne a capo. “Argot, riesce a seguirmi? Questa è la storia più strana ed affascinante che mi sia mai capitata, si rende conto?” Argot stava per replicare, ma il timore di prorompere in una delle sue solite sfuriate lo trattenne dal rispondere. “Cerchiamo di concentrarci: abbiamo un ritratto di Celestino V, un chiaro indizio di cui non possiamo non tenere conto, adesso dobbiamo soltanto cercare di capire in che modo un Papa del 1200 e un probabile alchimista del ‘900 possano trovare un punto d’incontro” “Probabile alchimista? In che senso?” “Fulcanelli, anche se da molti viene ritenuto un personaggio realmente esistito, potrebbe invece essere una pura invenzione. In realtà, molti ritengono che si tratti di uno pseudonimo e che dietro di lui si celi una società di alchimisti conosciuta anche con il nome di Fratelli di Heliopolis, della quale avrebbe fatto parte lo stesso Canseliet; queste persone avrebbero scelto il nome Fulcanelli per pubblicare i risultati delle loro ricerche” “Capisco! Quindi, secondo la sua teoria, il nostro libraio avrebbe fornito degli indizi ben precisi ai quali dovremmo dare una spiegazione. Forse posso darle una mano anch’io in questo senso, dagli interrogatori è risultato che a Canseliet è stato recapitato per errore un pacco spedito dalla Biblioteca Vaticana, si trattava di alcuni libri ricevuti come donazione che sarebbero invece dovuti essere
recapitati a De Matteis per una prima perizia” “Libri?!” Straw iniziò a lisciarsi i capelli, ripetendo la parola libri e vagando con lo sguardo tra i cespugli della villetta. “Non saprei, Argot. Finora non è stato facile, ma diventa sempre più complicato; non dimentichiamoci che vicino al cadavere di Canseliet sono stati trovati molti libri bruciati, forse l’assassino cercava un testo in particolare, magari quello che doveva andare a De Matteis e che invece è stato spedito per errore a Canseliet, ma se è stato bruciato, non sapremo mai di cosa parlava” “Perché bruciare proprio quel libro? Non avrebbe senso, tranne che il bandolo della matassa che stiamo cercando non si trovasse proprio in quel volume e che gli unici indizi per venirne a capo siano quelli lasciati da Canseliet!” Straw riaccese improvvisamente il proprio interesse e strinse con forza il braccio di Argot. “Certo, commissario, logico, non può essere andata diversamente! Mi ascolti: un libro contiene un indizio per ritrovare qualcosa, non sappiamo esattamente cosa, forse il Finis, questo libro viene spedito a De Matteis, ma per errore viene recapitato a Canseliet, lui trova l’indizio, ma lo ritiene così pericoloso da bruciarlo. Tuttavia, lascia delle tracce per risalire a ciò che è accaduto” Argot adesso era molto più interessato alla questione, si parlava di fatti tangibili, possibili, era il suo terreno e su questo voleva giocare la partita. “È possibile, ma capisce anche che, se mettiamo le cose in questo modo, dobbiamo in un certo senso rivedere tutti i nostri personaggi?” “Cioè? Adesso sono io a non seguirla” “Ovvio e semplice, Straw, proprio come preferisco io. Se la questione risiede in un libro recapitato per errore a Canseliet, è ovvio fare due supposizioni: Canseliet era sicuramente a conoscenza del contenuto dell’opera e questo lascia supporre che non si trattava di un semplice restauratore di libri; in secondo luogo, l’assassino, il responsabile dei due omicidi, non solo era a conoscenza del libro in questione, ma sapeva anche a chi era stato spedito. A questo punto,
tragga lei le conseguenze!” “La Biblioteca Vaticana!” “Appunto. Chi ha ucciso De Matteis non sapeva che questi non aveva ricevuto il pacco, ma era a conoscenza che gli era stato spedito; lo stesso è accaduto per Canseliet: l’assassino sapeva benissimo che il pacco poteva essere stato recapitato soltanto a una delle due vittime e sapeva pure quando era stato spedito. Conclusione ovvia: l’assassino ha in qualche modo a che fare con la Biblioteca Vaticana” “Argot, lei si rende conto di quello che dice, vero? Immagina che scandalo ne verrebbe fuori da questa storia?” “Immagino, ma sinceramente era solo un gioco mentale, il caso sta per essere risolto e, soprattutto, non è più mio!” “Che significa che non è più suo?! Come sarebbe ‘stato risolto’? Non la seguo” “Proprio prima di incontrarci, ho avuto una poco piacevole discussione con il questore; sembra che sia stato arrestato un certo Trentini, un tossicodipendente che, la mattina del delitto, si aggirava nei pressi dell’abitazione di De Matteis; a casa sua hanno trovato due libri sottratti al negozio di Canseliet. Questo basta al questore per chiudere il caso, mettere a tacere il Vaticano e mandarmi in ferie per una settimana” “Tutto questo è assurdo, Argot! Lei non può permetterlo” “Io conto poco. Politica e diplomazia sono più forti di ogni altra cosa, posso solo mettermi l’animo in pace” Straw scuoteva la testa e rigirava nervosamente i fogli dentro la sua cartella grigia. “Non è possibile, non ci posso credere, dobbiamo fare qualcosa, Argot, io devo capire e lo deve fare anche lei; c’è un assassino in circolazione e chissà cos’altro si nasconde dietro tutti questi enigmi e questi indizi” “Straw, non se la prenda, forse lei sta inseguendo soltanto un facile articolo di cronaca da dare in pasto ai suoi lettori”
“No, Argot, questa volta si sbaglia. Non so perché, ma sento che in questa storia, ci sono dentro fino al collo e anche lei, magari non vuole ammetterlo, ma è così. Il questore vuole la vita comoda? Bene, noi abbiamo molto materiale su cui lavorare, lei ha una settimana di ferie e io tanto tempo libero in attesa che qualche editore prenda in considerazione i miei manoscritti. Andiamo avanti insieme, Argot, che ne dice?” “Per arrivare dove? Sì, è vero, abbiamo decifrato l’anagramma, abbiamo dei riferimenti, qualche sospetto, ma a conti fatti non ci portano a molto!” “Va bene. Allora riprendiamo tutto dall’inizio, riesaminiamo la cosa, tutti quei particolari che adesso potrebbero assumere significati diversi” Argot era indeciso, ma sapeva benissimo che quel giornalista in fondo non aveva torto, abbandonare adesso la questione significava lasciare a piede libero un assassino che non aveva esitato a uccidere due persone e poi aveva giurato di compiere sempre e fino in fondo il proprio dovere. “Va bene, Straw, proseguiamo, ma sia ben chiaro... non c’è niente di ufficiale e non ci sarà mai, mi assumo questa responsabilità, lei farà altrettanto?” “Agli ordini, commissario!” Straw scattò quasi sull’attenti con un sorriso soddisfatto che gli illuminava il viso e quasi abbracciò il commissario. Ad Argot sembrava di vedere Marini in una delle sue mielose performance e la sensazione si trasformò in realtà quando squillò il cellulare e la voce agitata dell’attendente colpì con violenza le sue orecchie. “Commissario, tutto bene?” “Sì, Marini, ma che diavolo succede?” “Niente di particolare commissario, stia tranquillo! Sono appena rientrato dall’Appia Antica, i testimoni ricordano di aver visto quel Trentini eggiare nervosamente davanti alla casa di De Matteis e anche la signora adesso ha un vago ricordo della cosa; per quanto riguarda i libri che hanno trovato a casa sua sembra che, in effetti, provengano dalla libreria di Canseliet, ma lui dice di averli rubati in un momento di rabbia”
“Questo confermerebbe che Trentini è stato da Canseliet!” “Sì, commissario, ma la sua storia è abbastanza diversa da come la racconta il questore; sembra che il ragazzo si aggirasse dalle parti dell’Appia Antica perché doveva incontrarsi con uno spacciatore; lo ha aspettato per tutta la giornata poi, nel tardo pomeriggio, è andato via. Non conosce De Matteis, non sa neanche dove abiti, ricorda soltanto di aver visto una donna in abito nero scendere da una macchina scura, nei pressi della casa del perito, ma era già mezzo ubriaco e non so quanto sia attendibile. Per quanto riguarda invece Canseliet, Trentini si ricorda perfettamente di lui e dei libri, ma racconta che li rubò dal negozio quando si vide rifiutare un’offerta dal vecchio. In pratica, si era recato da Canseliet, così come faceva con tutti i negozianti della zona, chiedendo denaro sperando di racimolare qualcosa per comprarsi la dose, quando Canseliet gli negò un’offerta lui, per ripicca, gli rubò due libri che erano sulla scrivania e scappò” “Capisco, va bene, Marini, buon lavoro” “Un attimo, commissario, non attacchi” “Che altro c’è?” “Mi sono permesso di leggere i suoi messaggi personali in ufficio; ricorda quel padre Sarnetti con il quale abbiamo parlato in Vaticano?” “Certo che mi ricordo. E allora?” “Sembra che abbia qualcosa da dirle, l’aspetta questo pomeriggio alle quindici nel suo appartamento.” “Mangio qualcosa e vado; il questore sa di questo incontro?” “No, commissario, ho messo da parte il messaggio, ho fatto male?” “Grazie, Marini, ha fatto benissimo, purché non diventi un’abitudine” Argot trascrisse l’indirizzo di Sarnetti e chiuse la comunicazione complimentandosi ancora con il suo attendente. “Bene, Straw, abbiamo il primo o da fare, il battesimo del fuoco per questa
nuova coppia!” “Qualche novità?” “Vedremo! Padre Sarnetti della Biblioteca Vaticana vorrebbe parlarmi, lo avevo già interrogato, ma probabilmente gli è venuto in mente qualcos’altro.” “Crede che potrebbe avere a che fare con gli omicidi?” “Non saprei. Comunque, adesso che mi ci fa pensare, in effetti, lui era informato della spedizione, sapeva di cosa si trattava; però non avrebbe senso, in fondo gli sarebbe bastato non inserire nel pacco l’oggetto che tanto lo interessava” “E se invece quell’oggetto fosse stato inserito per sbaglio e lui se ne fosse accorto quando ormai la spedizione era già avvenuta?” “Beh, in questo caso, il nostro caro Padre Sarnetti salirebbe di colpo in cima alla lista dei sospettati e, anche senza tanta fatica, perché sarebbe il primo e unico” I due si sorrisero affabilmente. Adesso che, in qualche modo, si erano chiariti, forse Argot riusciva ad accettare meglio le teorie strampalate di quel giornalista e, in fondo, nutriva anche una certa simpatia per il suo modo di porgere le cose e di atteggiarsi mentre parlava. “Va bene, Straw, mangiamo qualcosa e poi andiamo a soddisfare la nostra curiosità”
Capitolo 8
Padre Sarnetti rientrò nel suo appartamento, saltando il pranzo; non era sua abitudine farlo, ma l’incontro con Argot era molto importante e non voleva rischiare di rimanere bloccato in mezzo al traffico. Salì in fretta le scale, cercò nervosamente le chiavi di casa e, appena entrato, si diresse verso lo studio; senza neanche accendere la luce, si portò verso le pesanti tende di velluto scuro e, stava per scostarle, quando una voce dal fondo della stanza gli bloccò la mano a mezz’aria: “Bentornato, Padre Sarnetti!” L’uomo si girò piano cercando di intravedere attraverso la poca luce che proveniva dalle altre stanze, ma già conosceva lo sgradito ospite. “Non ti aspettavo così presto” “Il tempo è denaro, Sarnetti e, nel mio caso, è anche qualcosa di più; pensavi davvero che ti avrei permesso di parlare liberamente con Argot?” Padre Sarnetti si spostò leggermente sulla destra e, parlando, cercava di avvicinarsi a piccoli i verso il suo interlocutore: “Ho sperato fino alla fine di sbagliarmi sul tuo conto, ho pregato perché non fosse vero ciò che avevo scoperto; sai benissimo che la mia morte non cambierà il corso delle cose, nessuno di noi conta veramente, l’unica cosa importante è il Finis!” “Sbagliato amico mio! La cosa più importante è che io, alla fine, venga in possesso del Finis e del segreto che custodisce” Padre Sarnetti avanzava ancora, con i lenti cercava di accorciare la distanza che li separava. “Il Donum Dei[1] non cadrà mai nelle mani della Rosa Nera,[2] non è mai accaduto e non sarai certo tu a cambiare il corso delle cose!” “Stupido prete! Tu non riesci neanche a immaginare di cosa stiamo parlando. Servire i Fratelli di Heliopolis ti ha confuso la mente, tu vivi di dogmi senza
senso e di speranze irrealizzabili. L’uomo ha mandato via Dio da questo mondo e non te ne sei ancora accorto” Adesso erano abbastanza vicini, Sarnetti sentiva la sua presenza a pochi i, ma sapeva anche che davanti a lui non si trovava un uomo qualunque: era il Maestro della Rosa Nera, l’uomo che aveva ingannato per tanti anni tutti coloro che gli vivevano accanto, colui che aveva ucciso De Matteis e Canseliet; non si sarebbe certo fermato adesso e non avrebbe avuto nessuna pietà. “Te lo ripeto, uccidermi non ti servirà a niente; abbandona la tua rabbia e il tuo disprezzo, ritorna fra noi, non è mai troppo tardi, a nessuno sarà negato il perdono” “Perdono? E per cosa dovrei essere perdonato? Forse perché credo che le uniche verità siano di questo mondo e che solo qui possano essere vissute? Grazie, Padre Sarnetti, non ho bisogno del vostro perdono e, pensandoci bene, non sono neanche arrabbiato, sono soltanto amareggiato, deluso nel vedere uomini dalle grandi menti annullarsi in nome di un ideale che neanche conoscono, che non hanno mai visto; sono addolorato dalla vostra inerzia e non sopporto quel vostro abbandonarsi agli eventi. Io costruisco gli eventi e solo io posso modificarli!” Sarnetti si irrigidì, cercando in fondo al suo cuore, la forza per il gesto estremo, la sua unica possibilità; si fece il segno della croce a capo basso, quindi alzò di scatto la testa, gridando: “Fino in fondo, Fratello” e, con tutta la violenza che riuscì a recuperare, si scagliò contro l’uomo fermo nell’ombra. L’eco del grido di Sarnetti si spense e il silenzio calò pesante nel buio della stanza. Padre Sarnetti non avvertì subito il dolore, la lama, lunga e sottile, si fermò qualche istante nel corpo del prete, poi ne uscì e rientrò nuovamente, una, due, tre volte ancora; Sarnetti si aggrappò al suo assassino, ma venne spinto brutalmente a terra. L’uomo si avvicinò lentamente, osservò per qualche secondo la sua vittima, quindi si girò di scatto mormorando: “Di’ pure al tuo Maestro che molto presto avrà compagnia!” La porta che si apriva fu l’ultima cosa che Sarnetti percepì; con un sospiro allargò le braccia, lasciando che il sangue fluisse abbondante e, recitando una preghiera, abbandonò questo mondo.
[1] Donum Dei è l’espressione riferita a Fulcanelli il quale, arrivato all’apice dei propri studi, ricevette il Donum Dei, cioè l’illuminazione, il fine ultimo della Grande Opera.
[2] La Rosa Nera è una misteriosa società di impostazione massonica, ma autonoma dalla Massoneria stessa e da questa non riconosciuta. Sull’esistenza della Rosa Nera non esistono notizie certe, a parte alcuni rari accenni che la dipingerebbero come deviata verso rituali e filosofie vicine al Satanismo moderno.
Capitolo 9
La trattoria dove Straw pranzava quasi tutti i giorni, sembrò offrirsi perfettamente a quel pranzo che il giornalista definì di assoluto piacere e rilassamento e, per la prima volta, Argot consumò un pasto in compagnia senza parlare di lavoro, omicidi o cronaca nera; certo, dovette sorbirsi tutta la serie dei misteri che Straw aveva trattato nei suoi articoli, ma per lui quelli erano puri e semplici voli di fantasia, buoni come in quel caso a far trascorrere il tempo senza troppe pretese. Il commissario, malgrado non desse molto credito a certe teorie, a volte rimaneva stupefatto dalla facilità con la quale Straw riusciva a rendere semplici argomenti abbastanza singolari e, certamente, non alla portata di tutti; ormai si era fatto un quadro quasi completo di quel suo bizzarro compagno di avventura e conosceva bene quei segni caratteristici del viso di Straw, segni che indicavano l’inizio di una delle sue solite dissertazioni. Forte di questa consapevolezza, Argot non si scompose più di tanto quando il giornalista fissò il tavolo e iniziò a sorridere senza apparente motivo: “Cos’è che la fa sorridere così di cuore, signor Straw?” “Niente di particolare, mi perdoni, osservavo soltanto il tavolo.” “E che c’è di divertente in questo tavolo?” “Non ero divertito, pensavo a come questa faccenda ci perseguiti anche qui” “In che senso?” “Ha notato i colori che ci sono su questo tavolo? Tovaglia in rigorosa plastica bianca, copri tovaglia rosso, bicchieri con la base nera e posate dal manico giallo” Argot diede una rapida occhiata a quanto descritto da Straw e poi lo fissò con aria interrogativa: “Io non ci vedo niente di particolare”
Straw smise di sorridere, bevve un sorso d’acqua ed assunse la sua solita aria da conferenza. “Bianco, rosso, nero, giallo”, disse indicando man mano gli oggetti che aveva menzionato prima, “sono i colori della Grande Opera, commissario, il fine ultimo della scienza alchemica!” “Anche in trattoria! La prego, Straw, non è possibile!” “La verità, caro Argot, è che siamo circondati da simboli; noi viviamo in un mondo di simboli, eppure non ce ne accorgiamo. Tutto è espresso tramite allegorie, ma purtroppo abbiamo perso l’abitudine di osservarci intorno” “Ammettiamo che sia come dice lei, ammettiamo che riuscissimo a interpretare questi simboli, cosa ne ricaveremmo?” “La conoscenza, Argot, la conoscenza. Sappia che il simbolo per eccellenza, quello più misterioso, ma, allo stesso tempo più conosciuto, è l’uomo stesso, eppure, malgrado sia così, nessuno di noi si lascia mai sfiorare dal bisogno di fermarsi e di capirsi meglio” “D’accordo, Straw, ma alla fine, a cosa servono questi simboli?” “Sono il ponte che lega l’umano al divino, non è importante il simbolo in sé, quanto la sua trascendenza, la sua origine” “E questo discorso valeva anche per gli alchimisti?” “In un certo senso, sì; da questo punto di vista, il discorso diviene più complesso. La Grande Opera si componeva di quattro fasi: Nigredo, Albedo, Citrinitas e Rubedo; quattro fasi come quattro sono gli elementi, cioè la Terra, l’Acqua, l’Aria e il Fuoco; ma anche come le quattro stagioni e le quattro fasi del giorno, cioè Notte, Aurora, Giorno pieno e Tramonto.” Argot adesso sembrava più interessato, forse anche per deformazione professionale, il concatenarsi degli eventi e dei fatti lo incuriosiva: “Ma che significano esattamente quei quattro strani nomi che ha pronunciato all’inizio?” “Per spiegarle in poche parole le fasi alchemiche, dovrei fare una piccola premessa, però non vorrei annoiarla con questi discorsi proprio durante il
pranzo, so che non le sono molto graditi.” “Non si preoccupi, Straw! Ormai, ha scatenato la mia curiosità, continui pure.” “Se non ricordo male, le avevo già accennato brevemente il concetto di alchimia, spiegandole che il termine Keme è assimilabile al colore nero; quest’assonanza è anche riferibile a un attributo della Dea Iside[1], chiamata appunto la Nera, in egiziano kemia e, in effetti, l’opera alchemica ripete nei suoi significati il ciclo di Osiride” “Cioè?”, chiese Argot sorseggiando un bicchiere di vino. “Si tratta della successione continua di morte e rinascita, un’idea tipica dei culti agrari che ebbe origine nel lontano neolitico; in alchimia, l’ampliamento della coscienza, cioè la morte dell’uomo grezzo e la sua rinascita nello spirito, avvengono attraverso una discesa nel buio della materia informe, seguita da una successiva ascesa che libera quella che è chiamata l’Anima del Mondo” Argot finì di sorseggiare il suo vino e poggiò i gomiti sul tavolo, segno evidente di un suo particolare, anche se dissimulato, interesse verso l’argomento: “Quindi, potremmo dire che le quattro fasi dell’alchimia traggono origine dalle quattro stagioni che, anticamente, influenzavano l’agricoltura e, quindi, venivano considerate sacre” Straw fece una smorfia di apprezzamento con le labbra: “Sembra proprio di sì, Argot. Come vede, quando ci si impegna, non è poi così difficile seguire certi discorsi!” Argot sorrise osservando la lama del coltello adagiata sui resti di un’ottima cotoletta alla romana. “Continui pure, Straw, ha tutta la mia attenzione” “La sua osservazione, commissario, è sicuramente molto interessante; in effetti, tutto trae origine da un antico sentimento mistico del quale rimangono poche tracce, ma non andiamo fuori argomento e riconcentriamoci sulle quattro fasi dell’alchimia. Molto spesso, i processi alchemici sono riferiti in maniera diversa, secondo la fonte che viene consultata; in ogni caso, i loro significati analogici rimangono sempre uguali” “Come mai questa differenza?”
“In parte è colpa degli alchimisti e del loro modo di vedere e sentire la natura; si tratta, in poche parole, di interpretazioni personali che nulla tolgono alla sostanza, ma che si differenziano soltanto nella forma e nell’esposizione” “Come un compito in classe, tutti parlano della stessa cosa, ma con parole loro!” Straw sorrise all’accostamento fatto da Argot: “Bene o male, commissario, non è proprio il nostro caso, ma il suo esempio rende il concetto più comprensibile!” “Se non ricordo male, esiste pure un collegamento con i colori.” “Certo che esiste, stiamo per arrivarci, mi lasci prima concludere. Dicevo che le quattro fasi nascono come accostamento ai cicli della natura, ma esiste anche uno stretto rapporto con i numeri e con il loro significato magico” “Numeri e magia? Cioè, a ogni numero sarebbe attribuito un particolare significato?” “Proprio così, Argot; nel nostro caso, per esempio, il numero delle fasi è legato ai significati magici dei numeri stessi; le fasi sono, in base ai vari autori, quattro, tre, sette o dodici. Tuttavia, si può riassumere il processo in quattro fasi, che furono in seguito ridotte a tre in epoca cristiana per evidenti esigenze trinitarie. Ritornando al numero attribuito dagli alchimisti, abbiamo questo tipo di accostamenti: il numero quattro è associato alla Terra ed alla materia in particolare, la Terra, a sua volta, è legata ai quattro punti cardinali; il tre è il numero perfetto, tre sono i lati del triangolo che contengono l’occhio divino, il numero della creazione e dello sviluppo armonioso delle cose; il sette ha un significato metaforico, contiene i veli che devono essere sollevati per arrivare all’illuminazione; infine, il dodici indica comprensione e saggezza, la fine della fanciullezza e l’ingresso nella vita adulta” “Interessante! Parlavamo comunque dei colori” “Esattamente, commissario. Le quattro fasi dell'alchimia presero anche il nome dai quattro colori fondamentali della pittura greca: nero, bianco, giallo e rosso. Era questo che voleva sapere, giusto?” “Esattamente!” “Veniamo adesso alla parte più interessante, quella dello svolgimento delle varie
fasi; il discorso è abbastanza complicato, ma proverò a renderlo il meno ostico possibile. Per conseguire l’obiettivo finale, è necessaria una morte iniziale; questa morte viene simboleggiata dalla semina, in altre parole dall’immagine del seme che si macera nella terra; la prima fase quindi, l’Opera al Nero, corrisponde all’Inverno e copre soltanto la metà del giorno, così come la notte copre la metà del ciclo solare giornaliero. L'Opera al Bianco, la seconda fase, è quella dell’anima e non può essere il termine dell'opera; essa tuttavia è la fase fondamentale della resurrezione posta in associazione con la Primavera. L'Opera al Giallo, chiamata anche Xantosi o Citrinitas, venne omessa nel tempo, non ha una sua fisionomia, viene solitamente intesa come preludio al rosso e messa in relazione con l’Estate. La fase finale, ossia l’Opera al Rosso, accostata all’Autunno, è il momento nel quale vengono raccolti i frutti. L'Autunno è anche la stagione della vendemmia e lo scopo dell'opera è il vino rosso o vino dei filosofi. L'unione alchemica di bianco e rosso trova equivalenza nel pane e nel vino della Santa Messa, intesi come femmina e maschio, anima e spirito. Il pane, del resto, si fa con il grano, la pianta protagonista del ciclo agrario che verdeggia a Primavera e simboleggia lo scopo finale della Grande Opera” Argot sembrava disorientato, ma soddisfatto dalle spiegazioni del giornalista; con un sorriso nascose alcune perplessità ed alcune domande che preferì non fare per non rischiare di are l’intero pomeriggio in trattoria; si accontentò di uno dei suoi soliti apprezzamenti per chiudere il discorso: “Complicato, ma interessante. Da quando la conosco, caro Straw, mi accorgo che il mondo è ancora tutto da scoprire” L’affermazione di Argot diede al giornalista lo spunto per concludere con una delle sue più care battute d’effetto: “Il mondo è ancora tutto da comprendere e da costruire, Argot, operazioni che l'uomo può compiere soltanto nell'ambito delle proprie strutture mentali, assumendo, all'interno di esso, l'inesplorato sul quale esse si proiettano. Questo compito può sembrare grandioso, in realtà, è umile nella sua quotidianità; gli alchimisti sapevano che la pietra filosofale è la più comune delle pietre, anche se non visibile ai più, viene gettata via, ma è reperibile ovunque” Il pranzo si protrasse più del solito, anche se l’esposizione delle fasi alchemiche era giunta a una conclusione, i discorsi si spostarono sui misteri in generale e gli argomenti di Straw sembravano inesauribili, tanto che solo lo sguardo di rimprovero di alcuni camerieri convinsero quest’ultimo a chiedere il conto.
Usciti dalla trattoria, i ragionamenti proseguirono prima nel bar vicino e poi nel taxi che li conduceva da Sarnetti; l’inarrestabile loquacità di Straw si fermò di colpo soltanto quando quest’ultimo si accorse che il volto di Argot aveva cambiato improvvisamente espressione e che i suoi occhi sembravano quasi perforare il finestrino. “Argot, che succede?” “Lo vede quell’uomo in uniforme? Quello basso che fuma nervosamente davanti a quel portone?” “Certo che lo vedo, ma chi è? Lo conosce?” “È Marini, il mio attendente e, quella parcheggiata, è la macchina del medico legale” “E scommetto che quello è lo stabile nel quale abita il nostro Padre Sarnetti!” La risposta non arrivò, ma era evidente che aveva colpito nel segno. Argot chiese al taxista di accostare, scese dalla macchina, fece cenni nervosi verso Marini e questi si precipitò verso il taxi. I tre si spostarono proprio dietro l’angolo e Argot sembrò quasi aggredire il proprio attendente. “Marini, maledizione, ma che diavolo è successo? Che ci fa lei qui? Dov’è Sarnetti?” “Commissario, la prego, si calmi” Anche Straw cercò di arginare la collera di Argot e, alla fine, ebbe la meglio. Il commissario imprecò selvaggiamente, poi ritornò di colpo alla normalità. “Scusi, Marini, forse avevo bisogno di sfogarmi, non volevo offenderla” “Non si preoccupi, posso parlare, commissario?” Marini indicò con la coda dell’occhio Straw. “Parli pure, è un mio amico e anche lui mi sta dando una mano.” “Ero venuto qua perché volevo incontrarla, ma quando sono arrivato, c’erano già
il medico legale e i colleghi. Commissario, Padre Sarnetti ha fatto la stessa fine di Canseliet, anche lui pugnalato allo stomaco!” Argot sorrise amaramente. Ancora una volta, era stato preceduto e, nuovamente, quello che sembrava uno spiraglio per far entrare un po’ di luce si richiudeva in maniera sinistra. “Cosa è riuscito a sapere, Marini?” “Non molto, commissario. Sembra sia stato ritrovato dalla vicina di casa che ha notato la porta aperta; era ancora vivo, ma non è riuscito ad arrivare in ospedale, è morto sull’ambulanza” “Nient’altro?” “No, commissario. Vista la situazione, non potevo espormi molto, il caso non è nostro e poi il questore sa benissimo che noi due lavoriamo solitamente insieme. Comunque, forse ho qualcosa che può esserle utile” Marini si frugò nelle tasche della giacca e, tra il pacchetto delle sigarette e alcune bollette da pagare, tirò fuori un foglio strappato dal suo taccuino degli appunti e lo porse al commissario. “Di cosa si tratta, Marini?” “Ho parlato con l’infermiere che era sull’ambulanza con Sarnetti, il quale mi ha descritto bene o male come, secondo lui, è stato ucciso e poi mi ha parlato di strani discorsi che ha fatto poco prima di morire. A lui sembrano parole senza senso, ha detto che tutti quelli che fanno questa fine entrano in uno stato delirante, ma io ho pensato che magari potevano servire” Sul foglio, con una calligrafia molto elementare e minuta, erano trascritte parole senza senso e, forse proprio per cercare di interpretarle nel modo migliore, Argot iniziò a leggerle a voce alta. “La rosa... fermate la rosa... loro... lui lo sapeva... i fratelli... mio Dio, ancora sangue” “Scusi, commissario, io ho scritto quello che ricordava l’infermiere, non so quanto possa essere attendibile”
Argot scuoteva la testa, Straw prese il foglio dalle sue mani ed iniziò a leggere nuovamente ad alta voce; lo lesse due o tre volte, poi abbracciò lo sbalordito Marini. “Grazie, Marini, lei non immagina neppure quanto sia stato importante questo foglietto!” “Straw, cortesemente, potrebbe spiegare anche a me?” Argot li divise e fissò il giornalista con uno sguardo interrogativo. “Vediamoci a casa mia, diciamo intorno alle venti, così avrò il piacere di avervi entrambi come ospiti a cena e ne parleremo.” “Straw, sa benissimo che mi danno sui nervi tutti questi misteri!” “Scusi, commissario, una volta tanto mi faccia recitare la parte dell’eroe!” Sorrise così amabilmente che Argot non trovò subito le parole per rispondere e, quando decise di risolvere il suo imbarazzo con la solita parolaccia, Straw si era già allontanato lasciandoli entrambi stupiti al centro del marciapiede. “Commissario, adesso che facciamo?” “Che vuole fare, Marini? Torniamo a casa, facciamo una doccia e ci vediamo da Straw. A proposito, ma dove diavolo abita Straw?” L’imbarazzo di Marini nel non saper rispondere a quella domanda venne quasi perdonato dal cicalino del cellulare di Argot che indicava l’arrivo di un messaggio. Era Straw che gli mandava il proprio indirizzo. Argot sorrise, diede una pacca sulle spalle di Marini, gli comunicò l’indirizzo e si accinse a ritornare a casa. “Maledetto di un giornalista!”, pensò a voce alta mentre andava verso la metro; quell’uomo era in grado di stupirlo e non era certo una cosa facile, ma lui ci riusciva e, nonostante tutto, gliene doveva dare atto. Stava per attraversare la strada, quando il cellulare suonò nuovamente, ma questa volta non era un messaggio; sospirando decise di rispondere.
“Argot” “Commissario, come sta? Sono Monsignor Aldini” “Monsignore! Io sto abbastanza bene, lei?” “Ringrazio Dio, Argot, ma lei dovrebbe dire meno bugie!” “In che senso?” “Ho appena parlato con il questore e ho saputo: lei capisce a cosa mi riferisco, vero?” “Capisco, Monsignore. In ogni caso, ritengo invece che lei sia soddisfatto di come siano andate le cose” “Ci sono state delle morti, Argot, non possiamo parlare di soddisfazioni. Comunque, diciamo che da un punto di vista diplomatico possiamo ritenerci tutti, come dice lei, soddisfatti.” “Perdoni la franchezza, Monsignore, ma non mi avrà certo chiamato soltanto per questo?” “No, Argot, volevo soltanto salutarla; lei mi ha sempre ispirato una certa simpatia e sentivo il bisogno di ringraziarla per aver compreso le mie preoccupazioni” “Di niente, Monsignore” “Non se la prenda, Argot! L’importante è che l’assassino sia stato assicurato alla giustizia, questo era quello che tutti ci aspettavamo” “Sono d’accordo con lei, purché l’assassino sia quello giusto!” “Quello giusto? Cosa vorrebbe dire, commissario?” “Monsignore, non credo che la persona indicata dal questore abbia a che fare con la morte di Canseliet. Forse, questa persona si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, il vero colpevole è ancora in giro alla ricerca di qualcosa e, quanto è vero Dio, gli starò alle costole fino a quando non scoprirò la vera natura
di questo enigma!” “Dio non c’entra con questi affari, Argot! Ne ha parlato al questore?” “Il questore ha troppe persone che lo pressano e poco tempo per pensare, credo abbia scelto la strada più semplice” “Lei invece ama le cose complicate, vero?” “Io amo la verità, Monsignore!” “La verità, caro commissario, a volte può essere anche dura da accettare; comunque, credo che la tesi del questore non sia da sottovalutare” “È più rassicurante per lei?” “No, Argot, è più reale!” Quell’uomo iniziava a irritarlo sul serio e il commissario dovette ricorrere a tutta la sua pazienza per non esplodere in un fiume di parole e apprezzamenti che non gli avrebbero certo giovato. “Bene, Monsignore, forse avete tutti ragione, ma io voglio la mia verità!” “Le auguro sinceramente di trovarla, commissario. Intanto, si rilassi, si riposi e, quando vuole, sappia che sono sempre a sua disposizione” Argot chiuse la comunicazione con un saluto molto diplomatico, mentre si chiedeva come mai non avesse accennato a Sarnetti; strano che la notizia non fosse giunta in Vaticano, ma del resto lui era ormai fuori dal gioco, Monsignore lo sapeva bene e non c’era alcun motivo per fargli certe confidenze. Argot ebbe la netta sensazione di non essere più utile e avrebbe voluto richiamare quel prete presuntuoso per fargli capire che le persone non si scaricano a proprio piacimento; riprese il cellulare in mano e, stava per comporre il numero, quando l’avviso di un nuovo messaggio apparve sul display. Istintivamente fece forza sul tasto e quanto lesse gli fece subito dimenticare l’arroganza di Aldini e riaccendere la sua curiosità. “Usi il suo bastone stasera, la Perdonanzaè l’unica via, Fulcanelli.”
[1] Dea Iside o Isis, dall’egiziano Aset, cioè trono. Divinità originaria del delta del Nilo, dea della maternità e della fertilità che si ritrova molto spesso negli studi esoterici e alchemici. Da questa figura vennero tratte molte delle simbologie e delle analogia tipiche dell’alchimia.
Capitolo 10
La casa di Straw era nelle vicinanze di Viale Mazzini, niente di particolare come si aspettava Argot, ma era la zona a fare la differenza. L’appartamento situato al primo piano di un vecchio palazzo stile liberty assomigliava più a un vecchio museo che a un’abitazione; le pareti erano costituite da librerie di varie forme e dimensioni, l’ingresso si apriva direttamente su di un salone dal quale si accedeva ad altre tre stanze, ma era proprio il salone il fulcro della casa. Anche qui i libri facevano da padroni insieme con un consistente numero di quadri appesi disordinatamente negli spazi rimanenti; quasi di fronte alla porta d’ingresso, trovava posto un’enorme scrivania e, tra il disordine, era possibile intravedere un enorme computer da tavolo contornato da decine di statuette, brucia incensi e cartelle colme fino all’inverosimile di fogli. Straw li accolse cordialmente sulla porta, apprezzò lo stupore dei due uomini nell’osservare il suo angolo studio, poi li condusse direttamente in cucina dove, sulla tavola già apparecchiata, si distingueva una gustosa cenetta alla quale diedero subito il giusto riconoscimento, parlando del più e del meno, ma tralasciando volutamente gli argomenti del loro incontro, quasi a voler riservare loro un momento più consono. Quando si trasferirono nel salone, Argot e Marini presero posto sull’ampio divano di pelle grigia posto di fronte alla scrivania e Straw si sedette comodamente in quello che amava definire il suo posto di comando, facendo spazio tra le carte e i libri sparsi sul tavolo. “Bella casa, Straw, forse poco funzionale, ma in una zona sicuramente invidiabile” “Argot, non mi prenda in giro, in pratica lavoro per pagarmi l’affitto” Marini osservava attento una delle statue poste sulla scrivania, quello strano miscuglio tra sacro e profano lo metteva leggermente a disagio.
Straw si schiarì la voce e tirò fuori dalla stampante alcuni fogli. “Bene signori, direi che possiamo iniziare.” Argot lo bloccò con un gesto della mano. “Si ricordi, Straw, che tutto quello che diremo stasera e quello che eventualmente decideremo di fare rimane una nostra responsabilità” “Lo so, Argot. Noi stiamo agendo per conto nostro e forse siamo dei pazzi, ma ascoltate quello che ho da dirvi e poi vedrete che saremo tutti d’accordo sul fatto che ne vale la pena” I due uomini si sporsero con il busto in avanti quasi a non voler perdere una sola parola delle eventuali rivelazioni del giornalista e Straw, dal canto suo, non fece nulla per nascondere la propria soddisfazione nel vedere una platea così attenta. “Dopo che ci siamo lasciati, sono rientrato a casa con in testa le parole di quel Padre Sarnetti, quelle frasi dette a metà mi ricordavano qualcosa, così ho stampato su questi fogli gli avvenimenti ai quali abbiamo tutti assistito, anche se indirettamente e ho cercato di mettere insieme tutto quello che poteva avere attinenza” Straw porse ai due le copie del suo lavoro e continuò alternando lo sguardo tra le facce curiose di Marini e di Argot e il terzo foglio che aveva trattenuto per sé. “Come ricorderete, abbiamo avuto modo di incontrarci in occasione dell’omicidio di Tommaso Canseliet; da quanto ho potuto capire parlando con lei, commissario Argot, il gestore della libreria antiquaria lavorava spesso per la Biblioteca Vaticana e lo stesso accadeva per il signor De Matteis, perito antiquario, anche lui assassinato durante un presunto tentativo di rapina” Argot iniziava a dare segni di insofferenza. “Potrebbe risparmiarci il riassunto e arrivare al nocciolo della questione?” “Si calmi, Argot! Dobbiamo avere le idee chiare ed essere d’accordo sulla ricostruzione dei fatti, se vogliamo arrivare a una conclusione logica” Straw si schiarì nuovamente la voce, assunse una posizione quasi ieratica e
continuò, sempre mal celando la soddisfazione di tenere in pugno l’attenzione dei due uomini. “Come stavo ricordando prima, sia De Matteis sia Canseliet potrebbero essere stati vittime dello stesso assassino; questa supposizione è confermata dal fatto che il commissario Argot, interrogando Padre Sarnetti della Biblioteca Vaticana, scopre l’esistenza di un pacco indirizzato a De Matteis, ma erroneamente recapitato a Canseliet; il misterioso contenuto di questo pacco potrebbe essere il movente degli omicidi. Purtroppo non abbiamo nessuna idea di cosa contenesse il plico e l’unica persona che avrebbe potuto averla e che, di conseguenza, poteva avere anche un movente per uccidere, è stata a sua volta assassinata proprio questa mattina. In poche parole, le uniche cose che ci rimangono sono i messaggi lasciati da Canseliet e ricordiamoci che uno lo stringeva in mano, mentre l’altro è stato spedito a mio padre per posta, anzi gli altri due, non dimentichiamoci la copertina del libro. Il mio lavoro è stato quello di concentrarmi proprio su questi tre messaggi; le prime rivelazioni che sono riuscito a tirare fuori riguardano il Papa Celestino V, la Bolla Papale nota con il nome di Perdonanza e il Finis Gloriae Mundi, il terzo libro considerato perduto dell’alchimista Fulcanelli” Argot diede un leggero colpo di tosse, distogliendo Straw dalla sua ricostruzione. “A proposito di quest’argomento, proprio nel primo pomeriggio, ho ricevuto un messaggio sul cellulare da parte della stessa persona della telefonata anonima, quello che dice di chiamarsi proprio come il suo alchimista, Fulcanelli” Straw poggiò sul tavolo il foglio con il quale si aiutava nella sua esposizione e osservò incuriosito il commissario. “Di cosa parlava quel messaggio?” “Le solite frasi misteriose, diceva di appoggiarmi al mio bastone e che la Perdonanza questa sera sarebbe stata l’unica via.” “Abbastanza singolare, non crede?” “Infatti, come diavolo faceva a sapere della Perdonanza?” “E cosa sarebbe questa storia del bastone?”
“Questa poi non l’ho proprio capita! Probabilmente si riferisce alla prima telefonata dove mi diceva di appoggiarmi al bastone che mi è stato dato dal destino per risolvere questo caso e mi avvertiva anche di non guardare le cose, ma di vederle” Marini, che fino a quel momento non aveva proferito parola, quasi timoroso del livello che stava prendendo la discussione, soffocò una risatina divertita. “Commissario, tutte a lei capitano!” Straw zittì sul nascere una delle solite battute dell’attendente, proseguendo in tono serio e pensieroso: “La cosa è abbastanza singolare, Argot! Non posso fare a meno di osservare come in questa storia quasi tutti gli avvenimenti e le persone abbiano qualcosa che, in qualche modo, li lega alla vicenda stessa” “Che vuole dire, Straw?!” “Prenda per esempio il nome della vittima, Canseliet, lo stesso nome del mentore di Fulcanelli; quest’ultimo addirittura sembra mettersi in contatto con lei e sembra conoscere per filo e per segno tutto quello che accade e poi, anche il suo nome…” “Il mio nome? Che c’entra adesso il mio nome?” Straw, sorridendo amabilmente, proseguì: “Già! Dimentico sempre che lei non ama leggere, soprattutto di questi argomenti. Ha mai sentito parlare di arte gotica?” “Adesso non esageri, Straw! Lo stile gotico[1], le cattedrali e tutte quelle strane storie che gli girano intorno, certo che ne ho sentito parlare!” “Va bene, Argot, non si offenda; in ogni caso, lei ne ha sentito parlare, per cui se io, adesso, le dico art gotique....“ Marini si alzò con la medesima enfasi di un alunno che conosce la riposta e che teme che qualcuno lo posso prevenire. “Arte gotica, signor Straw, significa arte gotica” “Bravo, Marini, significa proprio arte gotica, termine comunemente attribuito a
una deformazione della parola argotique, o meglio ancora, art goth o argot” In quel momento, il Commissario era il ritratto stesso dell’indecisione: se da un lato, aveva l’istinto di mandare tutto al diavolo, dall’altro non riusciva a staccarsi da quella sorta di suspense che i discorsi di Straw avevano creato. “Come vede, commissario, anche lei fa parte di questa vicenda ed è proprio Fulcanelli che spiega quale sia l’origine di questo termine; in poche parole, lei porta il nome degli Argotieri[2], cioè di coloro che conoscevano il linguaggio ermetico degli iniziati che edificavano quelle meravigliose cattedrali nelle quali scolpivano i loro segreti affinché fossero conservati nel tempo” “Va bene, Straw, ammetto di essere sinceramente colpito dalla sua ricostruzione, ma adesso possiamo ritornare con i piedi per terra ed andare avanti con il nostro caso?” “Come vuole, Mastro Argot!” Il commissario bofonchiò qualcosa di intraducibile, guardò Marini e, mentre si aggiustava la giacca, lasciò scivolare le spalle sul divano. “Come dicevamo, abbiamo tre omicidi che pensiamo siano collegati tra loro, ma senza alcuna prova a sostegno; quindi, dobbiamo spostare la nostra attenzione sui messaggi e cercare di capire se da questi possiamo trarre una qualche forma di aiuto. Come vi ho detto all’inizio, rientrato a casa, ho posto la mia attenzione sulle ultime parole di Sarnetti, le ho aggiunte ai messaggi di Canseliet e mi sono messo al computer per cercare un filo logico che li unisse. Dietro al foglio che vi ho dato, c’è il risultato schematico di quanto è venuto fuori, ma sarà meglio che ve lo spieghi nei dettagli” “Sì, è molto meglio, signor Straw!” Marini girava e rigirava la sua copia, ma per quanto si sforzasse di trovare un filo logico, si sentiva come un turista al quale è stata data una guida della città in una lingua diversa dalla sua. “Rileggiamo insieme le ultime parole di Sarnetti: ‘La rosa… fermate la rosa… loro… lui lo sapeva… i fratelli… mio Dio, ancora sangue’ Qualcosa in quella
frase mi suonava familiare, ma non riuscivo a collocarla in un particolare ambiente, almeno fino a quando non ho iniziato a fare delle ricerche sul Finis e su Fulcanelli; è stato come se, all’improvviso, la luce avesse inondato una stanza completamente buia. Adesso ascoltatemi attentamente perché voglio raccontarvi due storie abbastanza strane, ma così vicine al nostro caso che dubito fortemente possano non averci a che fare” I due uomini quasi si sporsero dal bordo del divano, mentre Straw cercava nervosamente una carpetta tra le tante sparse sulla scrivania; alla fine la trovò e, con un chiaro segno di esultanza, si alzò dalla poltrona e iniziò a parlare eggiando per il salone. “Per raccontarvi questa storia, debbo farvi un nome che sicuramente non vi dirà niente di particolare, cioè quello di Julien Champagne[3], vi basti comunque sapere che si tratta di un alchimista vissuto negli anni Venti e che divise con Eugène Canseliet un appartamento a Parigi” Marini scattò nuovamente in piedi: “Canseliet? Il morto della biblioteca?” “Sì, Marini, ma non si tratta della stessa persona ovviamente” “Ah, volevo ben dire io!” Straw rimise a sedere Marini con un’occhiata di fuoco e, sempre eggiando per il salone, continuò: “Champagne, oltre che essere ricordato per aver pubblicamente confessato di essere lui stesso Fulcanelli, è anche noto perché, nel 1925, sempre insieme a Canseliet, fondò una società segreta dal nome abbastanza bizzarro: i Fratelli di Heliopolis. Ora, Sarnetti nel suo farneticare, parlava di fratelli e la coincidenza che unisce questa parola con la società della quale ho parlato e con Fulcanelli, una coincidenza che mi sembra da non trascurare” Argot si alzò dal divano e iniziò a tallonare Straw; adesso, il suo interesse era arrivato alle stelle e la sensazione che qualcosa di importante potesse finalmente venire fuori, incalzava la sua impazienza di arrivare in fretta a una conclusione: “Sarnetti parlava anche di una rosa e Canseliet spedì a suo padre la copertina di quel libro, come si chiamava ... Il Nome della Rosa” “Appunto, Argot. Infatti, proprio ora viene il bello di tutta questa storia. I Fratelli di Heliopolis continuarono la loro opera anche dopo la scomparsa di Fulcanelli.
Ma, forse, sarebbe meglio dire la presunta scomparsa, poiché sono in molti ad affermare di aver incontrato questo misterioso personaggio anche in tempi abbastanza recenti; in ogni caso, la società continuò l’opera del Maestro riunendo alchimisti e occultisti, ma subito dopo gli anni Trenta, accade qualcosa: una profonda spaccatura divise a metà i Fratelli e due di loro si allontanarono per proseguire il loro percorso iniziatico nelle file della Massoneria. Come in ogni storia del genere che si rispetti, si formò una netta divisione tra i buoni e i cattivi, i due Fratelli ribelli scalarono i vertici della Loggia alla quale appartenevano, ma non contenti di ciò, formarono un’associazione segreta deviata, che faceva propri alcuni insegnamenti massonici rielaborati sulla scorta dell’apprendistato presso i Fratelli di Heliopolis. Questa nuova associazione prese il nome di Rosa Nera e si distinse per l’efferatezza dei suoi rituali e per l’assoluto anonimato con il quale è riuscita fino ad oggi a coprire l’identità degli adepti” Straw si fermò come a controllare che l’attenzione della sua platea fosse ancora viva e soprattutto vigile; Marini prendeva appunti e ogni tanto osservava sconsolato il commissario in cerca di un sostegno intellettuale. Argot, dal canto suo, non smetteva di tallonare da vicino il giornalista, scansando di tanto in tanto qualche cartella posta in bilico sulla scrivania o qualche libro abbandonato distrattamente a terra. “I Fratelli di Heliopolis non si prefissero soltanto di continuare l’opera del proprio maestro, ma anche di rispettarne le ultime volontà, proteggendo da occhi indiscreti l’ultima fatica letteraria di Fulcanelli: il Finis Gloriae Mundi; dal canto loro, come è facile desumere, la Rosa Nera si prefisse di ritrovare il libro per accrescere di potenza i propri rituali attraverso la sua ultima pagina che, sembra, conterrebbe il vero segreto degli alchimisti” Straw fermò il proprio racconto come in attesa di un meritato plauso da parte dei suoi interlocutori; Marini e Argot si guardarono a vicenda, poi il commissario diede una sonora pacca sulle spalle al giornalista, dicendo: “Bravo, Straw, lei ha fatto un lavoro stupendo! Ora, se mi permette, si accomodi e mi faccia finire questa storia” Straw accompagnò con un gesto della mano il commissario al centro del salone, poi si accomodò vicino a Marini il quale ne approfittò per complimentarsi, senza però riuscire a nascondere di non aver capito molto di quanto era stato appena detto.
Argot si appoggiò alla scrivania e osservò il soffitto, quasi alla ricerca di un suggerimento per un inizio all’altezza dell’esposizione di Straw. “In poche parole... ”, si schiarì la voce, “con la sua ricerca, caro Straw, siamo riusciti almeno a dare un significato a tutte queste frasi e a questi indizi apparentemente misteriosi, vediamo ora di rendere concreto il tutto. Stando alle sue conclusioni, dobbiamo dedurre che sia Canseliet sia De Matteis fossero a conoscenza di questa storia, potremmo addirittura ipotizzare che ci fossero proprio dentro, visto che non hanno avuto difficoltà a ricollegare tutta la vicenda con questo misterioso libro che sarebbe stato spedito loro dalla Biblioteca Vaticana. A questo punto, mi perdoni Straw, ma nonposso escludere che anche suo padre, in qualche modo, ci sia dentro, altrimenti non avrebbero senso le due lettere indirizzate a lui. Come lei mi insegna, solo chi sa leggere certe cose sa anche interpretarle e Canseliet non avrebbe avuto alcun motivo di mettere in guardia se non fosse stato sicuro che questo avrebbe letto e interpretato il suo messaggio” “Sì, Argot, concordo pienamente con lei, anche se continuo a ripeterle che non ho mai avuto modo di sospettare qualcosa del genere; d’altra parte, mio padre è stato spesso all’estero ed era rientrato a Roma soltanto da due mesi” “Non si preoccupi, Straw, non è questo il problema, è soltanto per essere perfettamente chiari, come ha premesso lei prima di iniziare ad esporci le sue ricerche. Se vogliamo azzardare qualche ipotesi, potremmo pensare che l’assassino, per un qualche motivo, non è riuscito a impossessarsi di ciò che cercava e, per uno strano scherzo del destino, ha cercato l’oggetto che lo interessava nei posti sbagliati e nei momenti sbagliati; non poteva sapere dell’errore nel recapitare la corrispondenza e si è trovato a dover uccidere entrambi i presunti destinatari del pacco. Ora mi chiedo: cosa cercava esattamente il nostro uomo?” Ancora una volta, Marini balzò in piedi come uno scolaretto emozionato durante un’interrogazione in classe: “Il libro, commissario, quel coso, il Finem, come si chiama…” “Infatti, Marini! Cercava proprio il Finis Gloriae Mundi, o probabilmente una traccia che indichi il luogo nel quale è custodito. Lei che ne pensa, Straw?” Il giornalista annuì compiaciuto.
“Penso che lei abbia proprio ragione, Argot! D’altronde, da quello che sappiamo, Fulcanelli distrusse tutte le copie per la pubblicazione, tranne l’originale” I tre uomini rimasero in silenzio osservandosi l’un l’altro; era un’idea pazzesca, fuori da ogni normalità, eppure era l’unica che univa tra loro tutti i misteri dei giorni precedenti, oltre che l’unica idea che valesse la pena di essere approfondita. Straw ruppe il silenzio con una proposta invitante che ebbe subito successo: “Bene, vogliamo bere qualcosa? Un goccio di Grand Marnier può fare miracoli in certe occasioni!” Più che gustarlo lo trangugiarono in un solo fiato, poi Argot pose la fatidica domanda, da tutti attesa, ma che nessuno osava fare: “E allora? Cosa facciamo adesso?” I tre si osservarono ancora e fu Straw a dare la risposta, anch’essa attesa da tutti, ma che nessuno voleva dire ad alta voce: “Partiamo, Argot, partiamo e mettiamo la parola fine a questo caso” Marini era arrivato al culmine, già da un po’ non riusciva più a seguire i discorsi dei due uomini, ma ora le cose stavano proprio per precipitare. “Partire? Commissario, va bene che per adesso è in ferie, ma lei lo conosce bene il questore, non si metta nei guai più di quanto non lo sia già” “Grazie, Marini, stia tranquillo, non mi caccerò in nessun guaio perché lei rimarrà qui e sarà le mie orecchie e i miei occhi” Marini si illuminò di felicità e strinse forte la mano di Argot quasi fosse stato miracolato. “Bene, Straw, allora è deciso, partiamo domattina, al più tardi nel pomeriggio; le farò sapere qual è il mezzo più comodo e veloce per arrivare a L’Aquila” Questa volta fu Straw a rimanere senza parole e il suo sguardo interrogativo non lasciava spazio ad alcun dubbio; Argot aveva colpito nel segno e realizzato il primo punto a suo favore. “Che c’è, Straw, l’ho stupita per caso?”
Come diavolo fa a sapere che la conclusione delle mie ricerche portava proprio a L’Aquila?” “Mi perdoni, non volevo rovinarle il finale! Vede, io magari leggo poco e mi interesso ancora meno di misteri e di alchimie, ma sono veramente curioso e questo non è per niente da sottovalutare. Anch’io ho fatto le mie piccole ricerche su Celestino V, ho trovato le notizie sulla Perdonanza e ho letto anche che questo evento viene festeggiato proprio a L’Aquila, dove, guarda caso, c’è una chiesa che conserva la tomba del nostro misterioso Papa. Il resto è pura logica, non crede?” Straw sorrise, scuotendo la testa. “Bene Argot, un punto per lei! Buonanotte”
[1] Lo stile gotico è uno stile architettonico sviluppatosi nel Medioevo, rappresenta una fase, per alcuni tratti misteriosa, dell’arte occidentale la quale, ebbe inizio all’incirca durante la metà del XII secolo in Francia.
[2] Con il nome Argotieri venivano identificati i costruttori delle cattedrali gotiche, o almeno, una parte di essi; non si trattava di semplici operai o scalpellini, erano in realtà persone che seguivano un determinato schema costruttivo desunto da antiche conoscenze. I Compagnons e i Maçons, ovvero i costruttori delle cattedrali, appartenevano a delle corporazioni caratterizzate da fortissime componenti esoteriche.
[3] Julien Champagne fu Maestro di Canseliet e noto alchimista. Una delle teorie sorte intorno alla figura di Fulcanelli vuole che sia proprio Champagne il misterioso alchimista il quale, avvalendosi della complicità del suo allievo Canseliet, usò questo pseudonimo per pubblicare le sue opere.
Capitolo 11
L’abbraccio del colonnato di Piazza San Pietro avvolgeva amorevolmente i turisti che attendevano con pazienza, in fila ordinata, di entrare nel tempio della cristianità; il cuore della Chiesa pulsava contemporaneamente a mille altri battiti provenienti da tutto il mondo e, insieme a loro, battevano anche i cuori di distratti anti, uomini e donne in ritardo con il lavoro, ragazzi e ragazze che avevano bigiato la scuola e persone stranamente assorte in animate discussioni. Uno di questi casi era proprio quello dell’uomo dal cappotto grigio appoggiato a una delle colonne intento a parlare con un auricolare all’orecchio, tenendo in mano il telefonino e alternando scatti d’ira a espressioni di compiacimento. Era un uomo alto, capelli grigi, spalle dritte e larghe, calzava scarpe lucide e indossava pantaloni dalla riga perfettamente dritta, quasi a piombo; stava poggiato alla colonna tenendo gli occhi bassi, agitando ogni tanto il cellulare e scuotendo la testa. Sarebbe ato inosservato a chiunque, sarebbe stato uno dei tanti che usa l’auricolare del proprio telefonino, ma a un osservatore più attento non sarebbe certo sfuggita l’ombra che si agitava dietro la colonna, e sarebbe bastato confrontare i suoi movimenti con quelli dell’uomo in grigio e con l’andamento della discussione per capire che, in realtà, quello strano personaggio non parlava al cellulare, ma con qualcuno ben nascosto che lo ascoltava e che, a sua volta, rispondeva. “La morte di Sarnetti si doveva evitare a tutti i costi, avremmo dovuto proteggerlo” “Non c’era modo, Fratello, lui ha tentato di preservare il libro, ma non poteva sapere della Rosa, nessuno di noi poteva immaginare quanto la Rosa Nera ci fosse arrivata vicina, così come Sarnetti non sospettava di De Matteis, quando ha capito, ha firmato la sua condanna a morte e io non sono arrivato in tempo” “Ora, cosa possiamo fare?” “Dobbiamo attendere. Il commissario e il giornalista da soli non potrebbero mai arrivare al Finis, ma insieme sono gli unici che possono riuscirci; è giunto il tempo in cui l’opera del Maestro si deve ricomporre per ritornare ad essere
custodita in un unico segreto” “Pensi che ci riusciranno? Lo pensi veramente?” “Fidati di me! Ho servito i Fratelli di Heliopolis per molto tempo e conosco bene Straw, suo padre avrebbe voluto lui al mio posto, ma la nostra causa è più importante di ogni legame di sangue; quando capì che la sua strada era diversa, scelse il silenzio e nominò me come suo successore” “Va bene, ammettiamo che Straw, pur nella sua arroganza, abbia qualche possibilità di riuscita, ma come faremo a gestire Argot?” “Il commissario è come pietra grezza, brutale nei modi, grossolano nei pensieri, ma con un grande spirito; il giornalista è irruento, preso da se stesso, non accetta l’ordine e la disciplina delle cose, ma è intuitivo, scaltro e preparato; entrambi sono come specchio e riflesso l’uno dell’altro, vedrai che impareranno ad accettarsi.” “Fratello, capisci bene che la posta in gioco è molto alta, più di quanto si possa immaginare! Sai cosa potrebbe accadere se il Donum Dei cadesse nelle mani sbagliate?” “Conosco i rischi, ma anche ammesso che il Gran Maestro della Rosa Nera fosse in grado di capire e usare il Donum Dei, posso assicurare a voi tutti che non ne entrerà mai in possesso!” “Come pensi di procedere?” “Continuerò a vegliare sui nostri inconsapevoli alleati, mentre voi non perderete di vista la Rosa Nera e i suoi movimenti; ormai sappiamo chi è il Gran Maestro, ma a nessuno conviene rivelarsi per il momento. Ricorda, il Finis è lo scopo principale di tutte le nostre azioni, fino a quando non verrà ricomposto, nessuno avrà alcun vantaggio da uno scontro frontale” “Ma il povero Fratello Canseliet ha perso la vita e lo stesso sarebbe accaduto al padre di Straw se l’Eterno non l’avesse richiamato a sé prima che la Rosa lo rintracciasse” “Canseliet si è sacrificato, il fatto che gli fosse stato recapitato il libro era anche il presagio della sua prossima fine. Ci ha messo in guardia, permettendoci di mettere fine per sempre a questa vicenda; in ogni caso, la Rosa Nera non si è per niente premurata dal nascondere la sua presenza, la morte di De Matteis, il loro
confidente esterno, ci dice chiaramente che vogliono arrivare a tutti i costi al Finis e non ammettono errori questa volta” “Spero che tutto si risolva presto” “State molto attenti. Ci rivedremo non appena il Finis sarà ricomposto” L’uomo si allontanò di fretta in direzione di Via della Conciliazione; l’ombra rimase ferma ancora per qualche minuto, quindi sparì tra il grigio delle nuvole che, improvvisamente, avevano offuscato il caldo sole mattutino.
Capitolo 12
Marini accettò di buon grado il suo ruolo. Fare l’ombra di Argot sarebbe stata la ricompensa più grande per i tanti anni di dedizione verso colui che considerava il suo idolo e il suo ideale di professionalità; come unica condizione, pose quella di venire costantemente aggiornato sugli sviluppi della situazione, soprattutto sulla salute del commissario. I tre si salutarono al parcheggio dei pullman di fronte alla Tiburtina. Marini attese che il mezzo partisse in modo da esibirsi nei suoi saluti quasi teatrali, poi si avviò mestamente verso la metro. I due uomini fecero quasi tutto il viaggio in assoluto silenzio; Straw aveva portato con sé un piccolo zainetto con qualche effetto personale e una ventiquattro ore colma di appunti, fotocopie e guide del luogo; Argot, dal canto suo, odiava viaggiare con appresso i bagagli, in verità, odiava avere le mani ingombre, tanto da non portarsi dietro nemmeno l’ombrello quando pioveva; in ogni caso, per l’occasione, aveva scelto una minuscola valigia marrone. Arrivarono a destinazione nel primo pomeriggio, accolti da un sole tiepido e dall’aria frizzantina di una giornata che non avrebbero dimenticato molto facilmente. Una breve sosta in Piazza Duomo per ammirare la sua caratteristica fontana e un veloce spuntino in Piazza Palazzo, quasi sotto la Torre Civica, furono le uniche soste che i due si consentirono in città prima di incamminarsi verso la loro vera meta: Santa Maria di Collemaggio. Il monumento, distaccato dal centro urbano, si offrì loro in tutta la sua misteriosa bellezza, in netto contrasto con il vasto prato verde, meta di turisti affaticati e di curiosi. Il fantastico rosone posto proprio sopra la porta centrale, era come un richiamo fatale per i loro occhi in cerca di qualche segno particolare, ma il rapimento dovuto alla maestosità di tutto l’edificio li distolse dalle loro vere intenzioni, trasportandoli in una diversa dimensione, dove arte, bellezza e proporzione erano una sola cosa, unica e insostituibile, una splendida fusione che rende giustizia ai misteri del creato e invita l’uomo a riflettere sul suo vero ruolo in questo mondo, dove tutto lo sovrasta e nel quale si crede padrone, dimenticando spesso di essere soltanto un ospite.
Attendere la sera per introdursi di nascosto in una chiesa non era certo ciò che Argot si era prefissato entrando in Polizia, ma la situazione non lasciava spazio a soluzioni diverse; fu molto più difficile mantenere la calma in attesa che la folla di turisti scemasse verso luoghi più ameni che farsi chiudere dentro il tempio. Adesso bisognava concentrarsi e cercare di capire cosa potesse nascondersi tra le maestosità di quell’edificio sacro. Un rumore sordo e profondo annunciò la chiusura del grande portale e il silenzio si impadronì dell’edificio, spezzato soltanto dal sospiro, ora calmo, dei due uomini i quali, finalmente, avrebbero potuto muoversi liberamente all’interno della cattedrale. La ritrovata serenità diede modo a Straw di prodursi in una spiegazione sul luogo e sui misteri che lo circondavano: “Questo edificio, come avveniva di solito all’epoca, è stato costruito su un sito preesistente, ritenuto sacro perché vi sorgeva anticamente una chiesa dedicata a Santa Maria dell’Assunzione, immagine ritenuta miracolosa dagli abitanti del luogo. In pratica, ci troviamo all’interno di un edificio sacro che nulla ha da invidiare alle cattedrali gotiche si e che, al pari di queste, conserva numerosi segreti” “Che tipo di segreti?”, chiese Argot mentre tentava di abituarsi al buio. “La chiesa fu costruita su espressa richiesta di Papa Celestino V, il quale si fece interprete del volere della Vergine Maria, espresso in una visione avuta dal Papa stesso poco tempo prima; questo almeno racconta la tradizione popolare!” “Perché, cosa avvenne effettivamente?” “Su questo argomento le discussioni sono ancora aperte, d’altronde Celestino V fu un personaggio molto particolare sotto tutti i punti di vista; nel suo stemma, per esempio, è raffigurata una croce attorno alla quale si attorciglia un serpente, un’immagine che riconduce al caduceo degli antichi alchimisti; se poi avesse avuto modo di osservare i simboli scolpiti sulla facciata della cattedrale, forse sarebbe rimasto colpito da uno in particolare, un agnello rovesciato, quasi una seconda verità che si nasconde nei dogmi accreditati del Cristianesimo.” Argot si sedette su una panca, mentre Straw continuava il suo discorso eggiando avanti e indietro, preso dalla frenesia della propria narrazione.
“Tra gli altri misteri che si aggiungono a questo luogo, c’è anche la velocità con la quale vennero trovati i fondi necessari alla costruzione e la fretta di Celestino V che, addirittura, fece consacrare la chiesa ancora prima che fosse ultimata; esistono molti elementi che fanno pensare a una volontà esterna che si servì del Papa per un progetto ben diverso da quello che avrebbe dovuto rispondere a una precisa richiesta della Vergine Maria” “In che senso? Vorrebbe dire che Celestino V era, in realtà, manovrato da qualcuno?” Straw sorrise lusingato dall’interesse del commissario: “Manovrato è un termine un po’ forte, penso che, forse, Celestino fosse in stretto contatto con un ordine altrettanto misterioso, quello dei Cavalieri Templari” “Di questo ne ho già sentito parlare; tra l’altro, ultimamente, ho visto un film molto interessante…” Straw lo interruppe con un gesto della mano: “Commissario, la prego, stiamo parlando di cose molto più serie. Comunque, credo di aver capito a quale film si riferisce, l’ho visto anch’io e non mi è dispiaciuto.” Argot sorrise e si scusò alzando la mano: “Pardon! Mi diceva dei Templari, continui, la prego” “Si tratta di un ordine religioso militare rimasto, per alcuni versi, avvolto nel mistero; sorse agli inizi del XII secolo per proteggere i devoti dagli infedeli, devoti che si recavano in pellegrinaggio a Gerusalemme. Gli infedeli, nonostante fossero già stati sconfitti durante la Prima Crociata, si trovavano ancora in Terra Santa. L’Ordine ebbe come fondatore un cavaliere, Ugo da Payns, il quale, nell'anno 1119, con altri sette compagni, adattò la regola di Sant’Agostino all’interno del sodalizio appena nato. Il nome che i Cavalieri si diedero fu quello di Christi Milites, che venne successivamente cambiato in Militiae Templi, quando eressero la loro sede nel palazzo del re di Gerusalemme, vicino al tempio di Salomone. La diffusione dei Cavalieri Templari venne favorita da San Bernardo, il quale ne esaltò le virtù guerriere e la pietà; la regola adottata in precedenza venne modificata e l’Ordine ò di battaglia in battaglia, di vittoria in vittoria, il numero dei Cavalieri crebbe rapidamente e la sua potenza divenne quasi leggendaria” “Ma, alla fine, chi erano esattamente questi Templari?” “Erano cavalieri, scudieri, sacerdoti e laici; i cavalieri usavano chiamarsi tra loro
con il nome di Fratelli, indossavano un mantello con una croce rossa su sfondo bianco, gli scudieri ed i laici avevano invece un mantello scuro. Tutti i cavalieri si obbligavano spontaneamente a tre voti monastici, ma data l'organizzazione feudale dell'Ordine, era loro concesso possedere terre e avere vassalli” Straw smise di raccontare per accertarsi che l’attenzione di Argot fosse ancora accesa, quindi proseguì: “Il nome che diedero alle loro chiese fu tempio ed erano tutte a pianta rotonda, come il Santo Sepolcro a Gerusalemme, invece, i loro castelli erano a pianta quadrata, con quattro torri agli angoli” Argot si scosse dal suo fantasticare sul racconto del giornalista: “Molto interessante, Straw; pensa che anche in questo luogo ci siano tracce dei Cavalieri Templari?” “Possibile, Argot, ma prima ascolti l’epilogo di questa storia, lo troverà di sicuro molto più affascinante. Come le dicevo, la potenza dell’Ordine assunse ben presto proporzioni incredibili, ma anche la sua ricchezza cresceva in maniera vertiginosa, tanto da fare gola a molti; avrà sentito parlare del famoso tesoro dei Templari, vero?” “Sì, ma credo di aver anche letto che non si trattasse di vere e proprie ricchezze” “Infatti è così, giusta osservazione, ma andiamo per ordine. Come dicevamo, l’enorme ricchezza accumulata dall’Ordine iniziò ad attirare molte persone, soprattutto ricchi signori dell’epoca e grandi monarchi, e anche il Papato, una volta scemato l’interesse verso le Crociate, iniziò a nutrire una certa diffidenza nei confronti dei Cavalieri Templari. Di questa situazione ne approfittò Filippo il Bello[1] con la velata complicità di Papa Clemente V[2]; il 13 Ottobre del 1307, il Gran Maestro Jacques de Molay[3] e tutti i Cavalieri che le guardie riuscirono ad arrestare furono sottoposti ad atroci torture, costretti a dichiararsi colpevoli di eresia e bruciati sul rogo” “Da quanto capisco qualcuno riuscì a salvarsi” “Non tutti in effetti vennero tratti in arresto, alcuni riuscirono a fuggire e proprio da loro partono la maggior parte delle storie riguardanti Ordini e Associazioni più o meno riconosciute, che vantano la loro discendenza dai Cavalieri del Tempio. Del tesoro ovviamente non fu trovata alcuna traccia” Argot, sensibile alle ingiustizie, fece una smorfia con le labbra: “Prima le
chiedevo di una eventuale presenza Templare in questo luogo” “Sì, commissario, ha ragione, ogni tanto mi lascio trasportare. Per rispondere al suo quesito dobbiamo ritornare al personaggio che ci ha portati proprio qui, a Collemaggio, cioè a Celestino V. Se debbo essere sincero, gli elementi che collegano questo Papa ai Templari non sono molti ma bastano a formare quel ragionevole dubbio che meriterebbe un ulteriore approfondimento. Prima di essere eletto Papa, Celestino intraprese un viaggio verso Lione per partecipare a un Concilio indetto da Gregorio X[4]; per avere prova di questo viaggio basterà leggere il libretto che riporta la storia del teatro di questa città, nel quale non solo si attesta la presenza di Celestino ma anche l’ospitalità che gli venne concessa proprio da parte dei Templari. Altro elemento che avvalorerebbe la tesi di un rapporto tra i Cavalieri del Tempio e Celestino V è quello del foro rinvenuto nel cranio del Papa[5]” “Un foro? Che strano particolare!” “Strano ma assolutamente importante. Deve sapere, commissario, che il cranio di Papa Celestino V, custodito tra l’altro proprio in questo luogo, presenta un foro di cinque millimetri per quattro, tipica usanza gnostica e Templare” “Mi perdoni, Straw, abbiamo qualcosa che i con delle prove questa strana usanza?” “Bella domanda, Argot, ha colto proprio il senso del discorso, noto con piacere che impara presto! In effetti non abbiamo molto a o di questa ipotesi, sappiamo soltanto che si tratta dello stesso rituale praticato sul cranio del Battista conservato ad Amiens, e che questa usanza era tipica dei Re Merovingi[6], ma questa è un’altra storia!” “Quindi lei pensa che la visione della Madonna non fosse altro che un modo per realizzare quanto era stato ordinato dai Templari? Ma a quale scopo?” “Non ne ho idea, è probabile che la Basilica servisse ad occultare qualcosa ma non mi chieda altro, sinceramente non saprei cosa risponderle e rischieremmo di are l’intera notte a discuterne, dimenticandoci il vero motivo per il quale ci troviamo qui” La luna disegnava strani giochi di luce tra le vetrate e quando il suo pallido
riflesso si spostava sul rosone centrale i due uomini apparivano immersi in un ambiente da favola; la luce colorava i loro volti marcandone i tratti e tutto intorno sembrava irreale. Era una sensazione incredibile, sembrava quasi di trovarsi sospesi tra due dimensioni diverse, tutti i sensi erano eccezionalmente allerta e sensibili come non mai. Straw fissò profondamente Argot e iniziò a sussurrare, non tanto per la situazione di pericolo nella quale si trovavano coinvolti ma per un istintivo senso di rispetto verso quello che lo circondava. “Argot, è sicuro di voler andare avanti?!” “Non credo abbiamo altre possibilità di scelta, abbiamo preso una decisione e non possiamo fare altro che portarla fino in fondo” “Ma si rende conto di dove ci troviamo? Questo è un tempio della cristianità, l’unica chiesa dopo San Pietro che ha una porta santa, che è stata testimone di secoli di storia e di chissà quali misteri” “Straw, non faccia il moralista proprio adesso, è un po’ tardi non crede? E poi pensavo che voi esoteristi, o come vi fate chiamare, non foste soggetti a questo genere di problemi” “Non è un problema di coscienza, Argot; qui dentro c’è aria di mistero ma anche di divino e sono entrambe cose che meritano un certo rispetto” “Lo meritano anche i morti, Straw, e se quello che stiamo facendo può aiutarci a trovare un assassino, io sono pronto!” “Va bene, commissario, da dove vorrebbe iniziare?” “Pensavo fosse lei l’esperto, Straw!” Il giornalista iniziò a guardarsi intorno e man mano che il suo sguardo si abituava alla scarsa illuminazione tutta la geometrica maestà della chiesa sembrava offrirsi ai suoi occhi quasi come una muta sfida in attesa di una soluzione. I segreti della Scienza Sacra erano proprio lì, davanti ai suoi occhi, avevano superato indenni il tempo, la superbia dei potenti, e ora lui osava sfidarli; sollevò
lo sguardo verso il rosone centrale, osservò la perfezione dei suoi 12 raggi che si espandevano diventando 24, osservò i due rosoni posti ai lati, 12 raggi quello di sinistra e 14 quello di destra e quasi automaticamente gli vennero in mente i sacri simbolismi dei numeri, 12 apostoli, 12 segni dello zodiaco, 12 punti magnetici; 7, come gli aspetti della creazione, i sette colori dell’arcobaleno, le sette note, la costituzione settenaria dell’uomo[7], tutti aspetti che si duplicano nelle due forme maschili e femminili, dando come risultato il numero 14. Argot stava in silenzio e guardava fisso il pavimento quasi rapito da un’estasi mai provata prima e con la netta sensazione di una forza che sembrava scorrergli in corpo e invitarlo a lasciarsi andare, ad osservare più che guardare. Le tre navate, disposte su sette coppie di pilastri ottagonali sembravano lunghe braccia aperte, pronte ad accogliere ma anche a respingere colui che avrebbe sfidato i segreti del tempio; il pavimento a scacchi bianchi e rossi, perfetta ripresa della bicromia della facciata, appariva adesso come un codice cifrato racchiuso in uno spazio vibrante, nel quale le emozioni negative si placano e ci si ritrova ad ascoltare nel più assoluto silenzio, senza giudicare, finalmente liberi dalle colpe e dalle leggi del mondo. Sprofondato in questa sensazione di estatica beatitudine Argot chiuse gli occhi e portò indietro la testa, quasi a volersi cibare delle energie emanate da quel luogo; Straw continuava a setacciare con lo sguardo ogni angolo della chiesa, i suoi occhi seguivano un andamento regolare e calmo, quasi stesse leggendo un enorme libro che si rivelava lentamente nella penombra. Le pagine che Straw sfogliava avidamente erano il pavimento stesso, e l’alternanza dei vari tipi di lastricato indicava la pagina successiva; la perfetta successione di losanghe rosse e bianche era un chiaro simbolo della geometria sacra che si manifestava poco più avanti formando il simbolo della Vesica Piscis[8], figura femminile legata all’acqua e successivamente all’idea del pesce nell’iconografia cristiana. Attraversando con lo sguardo quelle losanghe Straw aveva la netta sensazione di muoversi sull’acqua dominando le ioni; l’intero pavimento era quindi un cammino da seguire fino a giungere ai cerchi concentrici, i quali, uniti tra loro attraverso i rispettivi centri, formavano una stella a cinque punte; arrivando alla copertura composta da croci quadrate scure in campo bianco, una vasta porzione di pavimento disegnava un perfetto rettangolo, la meta dell’iniziato che ha compiuto il proprio viaggio, nella quale avviene la trasformazione.
Proprio su quella pagina si fermò lo sguardo di Straw e non si stupì molto quando girandosi per controllare dove fosse il commissario se lo ritrovò proprio alle spalle, con lo sguardo estasiato e la fronte umida di sudore. “Argot, voglio essere sincero, pensavo di essere preparato almeno nel mio campo, mi accorgo però che ricerche, studi e intuizioni in questo luogo valgono pochissimo e credo che anche lei abbia la mia stessa sensazione” “Sì, amico mio, è come se mi trovassi impreparato; ho la netta sensazione di tutto ma non riesco a mettere a fuoco” “Ricorda quella telefonata della quale parlavamo? Forse non deve guardare, deve solo osservare; io lo confesso, Argot, proprio non ci riesco. Credevo di essere un buon conoscitore di questi argomenti, sognavo da anni di trovarmi faccia a faccia con le mie ricerche ma adesso, qui, in questo luogo fuori dal tempo, mi rendo conto che interpretare un segno non vale molto quando non si riesce a farlo proprio” Argot chiuse ancora una volta gli occhi cercando in sé stesso quello che non riusciva ad esprimere ma in lui c’era soltanto il buio, illuminato a tratti da repentini sprazzi di luce così violenti e brevi che riuscivano soltanto a provocargli fitte di dolore alla testa e nient’altro. Iniziò a parlare sottovoce, in maniera stentata, quasi sofferente. “Il bastone, si appoggi al suo bastone!” “Cosa dice, Argot?! Che bastone?!” “La telefonata, Straw, la telefonata; quel tizio diceva che la sorte mi ha dato un bastone al quale debbo poggiarmi per andare avanti” “Fulcanelli?” “Sì, Fulcanelli o chiunque sia. Capisce, Straw? Il mio bastone è lei!” “Io?” “Si lei! Straw, lei legge i segni, ne conosce il significato ma non riesce a farli suoi; io invece li sento ma non li vedo. Capisce, Straw? Il bastone! Lei deve guidarmi!”
Il silenzio dell’edificio divenne ancora più greve, il giornalista fissò intensamente Argot ed entrambi, nel più assoluto silenzio, ritornarono all’inizio della pavimentazione, poi Straw si portò alle spalle del commissario poggiandogli sopra le mani. Non ci fu bisogno di ulteriori spiegazioni, adesso sapevano cosa fare, entrambi erano entrati nell’unica dimensione giusta per poter penetrare un mistero, quella dell’ascolto. Il giornalista iniziò a parlare con voce calma, seguendo quasi un misterioso suggerimento che egli stesso, inconsapevolmente, si dava. “Adesso mi ascolti, Argot, mi ascolti attentamente. So benissimo che non crede in certe cose, che le sembra assurdo e lontano dalla realtà, ma so anche che dentro lei esiste una dimensione ben nascosta, dove si rifugia quando ha bisogno di riflettere, quando ha bisogno di rilassarsi, quando cerca un significato alle cose, alle gioie e ai dolori. Entri nella sua dimensione, Argot, entri nella sua anima e la segua” I due uomini si muovevano all’unisono con i brevi, quasi con il timore di infrangere per sempre quell’atmosfera di assoluta simbiosi con l’ambiente circostante e con le proprie energie. “Non c’è spazio, Argot, né spazio né tempo, gli unici confini sono quelli dettati dalle nostre paure, ma in questo luogo non esiste neanche la paura, solo il timore di scoprire noi stessi come mai c’eravamo immaginati d’essere” Nel buio della cattedrale i due uomini iniziarono quella che poteva definirsi una strana danza; Straw si era posto alle spalle di Argot e gli parlava con voce calma e distesa, seguendo i i del commissario che sembrava muoversi interpretando le parole del giornalista. Sembravano quasi un cieco e il suo accompagnatore; Straw leggeva i simboli della cattedrale e li comunicava ad Argot, il quale, ad occhi chiusi, si muoveva seguendo le sensazioni che sembrava trarre direttamente dall’edificio stesso. “Stiamo andando verso oriente, Argot, il posto dal quale sorge il sole e nel quale sono poste le absidi di tutte le chiese cristiane; ogni colonna alla sua destra e alla sua sinistra potrebbe essere un varco, un nuovo cammino, ma soltanto lei conosce la meta e soltanto lei può scegliere” Il commissario si muoveva piano, dondolava la testa e sudava abbondantemente.
“Siamo al centro della cattedrale, mattonelle bianche e rosse alternate segnano una via, la bicromia dei colori è un suggerimento che soltanto lei può decidere se ascoltare o no” Argot iniziò a muoversi verso l’interno, come manovrato da una forza esterna; si fermava ad ogni arcata, mentre Straw si affrettava a spiegare cosa riusciva a vedere ai due lati. arono oltre la Crocifissione del 1400 racchiusa in una nicchia gotica e curiosamente dipinta a drappi, idealmente trattenuti da tre piccole mensole di marmo lavorato; andarono oltre e per due volte Argot si fermò istintivamente, prima in direzione della tomba di un Abate dell’Ordine dei Celestini[9], poi girando lentamente la testa verso quella che Straw descrisse come la tomba di un cavaliere. Per un attimo il commissario sembrò cambiare direzione, si girava quasi di scatto verso l’uno o l’altro lato della cattedrale, quindi proseguiva speditamente per poi fermarsi ancora in preda ad una viva agitazione. L’ultima sosta durò più a lungo, poi ancora di scatto Argot cambiò direzione e quasi trascinò Straw verso una strana lapide con incisi alcuni segni che il giornalista definì particolarmente importanti. “Forse ci siamo, Argot” L’uomo era particolarmente agitato, dopo essersi premurato di controllare che il commissario si fosse ripreso, cadde letteralmente in ginocchio vicino alla lapide per non perdere neanche il minimo particolare di quanto vi era stato scolpito. “Guardi, Argot, probabilmente si tratta del posto nel quale venne incoronato Papa Celestino V” Straw sembrava quasi accarezzare quelle strane figure, con rispettosa leggerezza sfiorava ogni simbolo, spiegandone contemporaneamente ad Argot il significato: “Vede, Argot, questo è un martello, si potrebbe riferire ai costruttori delle Cattedrali e per associazione alla Massoneria; qui in alto sembra che siano stati scolpiti dei numeri, una M in carattere gotico e un oggetto che non riesco ad identificare” Argot osservava la pietra e contemporaneamente si guardava intorno; poi con voce profonda si rivolse al giornalista: “Non sono simboli alchemici vero?” Straw lo osservò sorpreso: “In effetti no” Argot sorrise di rimando: “Fulcanelli era un alchimista, gli altri segreti forse non tocca a noi scoprirli!”
Ripresero la strana processione spostandosi nuovamente al centro della basilica, ma quasi subito il commissario cambiò nuovamente direzione; poco lontano si fermarono accanto a due lastre all’apparenza spaiate. Si notavano facilmente due colori diversi, due differenti tipi di consunzione e su quella di destra due stravaganti segni, una sorta di piattaforma con la base allargata e con sopra, in un firmamento ideale, una mezzaluna sospesa. “Ci siamo, vero, Argot? Mi dica che ci siamo!” “Non lo so, Straw, non lo so proprio, eppure in questo punto l’atmosfera è diversa e le sensazioni più forti” Il giornalista iniziò a tastare la lastra, provò in tutti i modi, tentò di scavarne i bordi, ma senza alcun risultato. Argot intanto stava in piedi sulla parte liscia e, ad occhi chiusi, respirava profondamente. “Argot, le dispiacerebbe interrompere la sua estasi e darmi una mano?” disse Straw quasi spazientito. Il commissario non si mosse, aprì gli occhi e fissò intensamente Straw: “Non credevo di avere tanto peso nella sua ricerca esoterica!” “Lo sa benissimo che lei è importante, Argot, se comunque la lusinga sentirselo dire posso benissimo accontentarla”. Straw si schiarì la voce alzandosi e fissando dritto negli occhi il commissario: “Sì, Argot, il peso della sua collaborazione nella mia interpretazione esoterica dei segni è vitale” Argot sorrise e scese dalla lastra quando Straw lo bloccò: “Ha detto peso, vero? Ha usato l’espressione peso?!” “Mi ha sentito benissimo, Straw, ho detto peso” Il giornalista non rispose subito, rimase assorto nei propri pensieri, quindi si rivolse ad Argot ma sembrava in realtà parlasse con l’edificio stesso: “Come vennero costruite le cattedrali?” “In che senso, Straw? Di cosa sta parlando?” “Secondo una antica tradizione, per costruire le Cattedrali vennero usate le leggi Divine dei Numeri, dei Pesi e delle Misure[10]”
“Quindi? Non la seguo proprio” “Dei Pesi; mi segue adesso, Argot? Le leggi dei Pesi” “Sì, ho capito le Leggi dei Pesi, e allora?” “Allora, caro commissario, adesso scopriremo se veramente è nostro compito ritrovare il Finis!” Argot continuava ad osservarlo con stupore ma anche con il sospetto che quella particolare atmosfera, in qualche modo, avesse coinvolto oltre ogni limite il giornalista. “Risalga su quella lastra, Argot, e rimanga ben fermo!” Brontolando il commissario ritornò nel posto che occupava prima: “E adesso che succede?” Straw, visibilmente eccitato, sorrise di rimando: “Adesso non si muova, qualsiasi cosa accada, e sinceramente spero che qualcosa accada” Quasi con timore, Straw pose un piede sulla lastra scolpita, rimase un attimo sospeso, poi poggiò l’altro, senza mai distogliere lo sguardo da quello di Argot; un rumore sordo fece eco ai loro respiri pesanti, un soffio d’aria calda li investì da dietro seguito da un forte odore di muffa e chiuso, quindi un altro tonfo, poi il silenzio. I due uomini si spostarono dalla lastra guardandosi intorno, il buio occultava l’oggetto della loro riserva, anche se, come fece capire Straw, l’esperimento non era riuscito del tutto. “Era quasi fatta, Argot, era quasi fatta” “Ma che è successo? Cos’era quel rumore, Straw? “I Pesi, le Leggi dei Pesi. Salendo entrambi sulla lastra siamo quasi riusciti a dare il giusto equilibrio di peso e stava per scattare un meccanismo; probabilmente uno di noi due o entrambi abbiamo qualcosa che ci fa andare oltre il limite stabilito”
“Un meccanismo?” “Proprio così, commissario, un meccanismo basato su due pesi contrapposti, basterebbe trovare la giusta combinazione, forse dovremmo fare delle prove” Argot scosse la testa: “La sua intuizione è sicuramente giusta, Straw, ma non credo riguardi ciò che cerchiamo” “In che senso?” “Per dirla come lei, forse involontariamente abbiamo scoperto un altro dei segreti di questo edificio, ma se questo meccanismo è da riferire ai costruttori delle Cattedrali penso che non possa essere messo in relazione con Fulcanelli. In linea temporale non ci siamo proprio” Straw sospirò, ma, nonostante la netta sensazione di aver fatto una scoperta molto importante, dovette ammettere che le argomentazioni di Argot erano sicuramente valide. “Quando questa storia sarà finita dovremmo ritornare da queste parti” “Forse lo faremo, Straw, intanto concentriamoci sul nostro obiettivo, il tempo stringe e l’edificio è troppo vasto” Ancora una volta i due ripresero la loro strana posizione e si riportarono al centro della chiesa, sulle losanghe colorate. “Il pavimento è il nostro cammino, la nostra guida; siamo nuovamente sulle losanghe, ecco, poco più avanti troveremo il segno della Vesica Piscis, simbolo dell’acqua e del femmineo; si immerga nelle acque che la videro nascere e ne riemerga come uomo nuovo” o dopo o i simboli scorrevano agli occhi di Straw e si scolpivano nella coscienza di Argot, una perfetta sinergia tra sacro e profano, umano e divino, tutto unito da un sottile filo alla cui estremità era appesa l’anima di entrambi. “Ecco, ora siamo sui cerchi, simbolo della vita, dell’infinito scorrere del ciclo; nascita, morte e rinascita, tutto unito dalla stella a cinque punte, simbolo dell’uomo e dell’universo del quale fa parte, entrambi si appartengono e si contengono.” Si fermarono un attimo quasi presi da un senso di vertigine, poi
Straw continuò la sua cantilena. “Si sposti, Argot, ora dobbiamo andare oltre noi stessi, oltre ciò che non siamo più e verso ciò che dobbiamo ancora essere. Questo è il rettangolo delle croci dove si ripete il simbolo della facciata di questo tempio; croce e luce si contengono in misura uguale; questa è la nostra meta, la fine del cammino dell’iniziato e l’inizio del viaggio per l’uomo nuovo” Argot si fermò di scatto bloccando la spinta amichevole del giornalista; per un attimo rimase come di sasso, poi abbassò la testa e aprì gli occhi posando lo sguardo proprio ai suoi piedi dove, al debole riflesso lunare, s’intravedeva un quadrato diverso da tutti gli altri, con i colori invertiti, chiaro al centro e scuro ai lati. Rimase fermo ai bordi della figura senza osare penetrarvi. “Omphalos!” Straw proruppe in un grido di gioia subito soffocato dalla mano di Argot. “Ci siamo riusciti, Argot, si rende conto?! Questa volta ci siamo davvero!” Il commissario alternava lo sguardo tra il simbolo ai suoi piedi e il volto raggiante del giornalista; poi quasi istintivamente i due si ricomposero tornando alla realtà e ai loro ruoli. “Cosa è l’Omphalos, Straw?” “Quello che lei osserva e che probabilmente adesso vede soltanto come una croce con gli spigoli smussati e arrotondati è il centro, l’ombelico del mondo, Absolum, il luogo nel quale il divino si unisce all’umano, la pietra filosofale degli alchimisti, insomma, Argot... è la nostra meta!” Il commissario rimase un attimo perplesso ma riprese subito la sua abituale calma e con questa la sua proverbiale ironia. “Bene, Straw, siamo arrivati alla nostra meta, e adesso?” “Adesso cerchiamo la nostra ricompensa” “In che senso cerchiamo?”
“Se questa è la pietra filosofale degli alchimisti, il contenuto dell’Atanor[11] sempre in ebollizione, dobbiamo soltanto aprirne il coperchio non trova?” “Straw, mi sta forse dicendo che dovremmo scavare?” “Sì, Argot, proprio come nei romanzi o come nei film, questo è il punto nel quale scavare!” “Santo Dio, non pretenderà mica che un tutore della legge profani il pavimento antico di una chiesa, nella quale tra l’altro si è introdotto furtivamente!” Straw lo osservò divertito. “No, commissario, nessun problema, per questi lavori ci sono gli esoteristi!” Un temperino apparve nella mano di Straw, piccolo ma dall’apparenza robusta; subito lo sguardo professionale di Argot lo catalogò come arma impropria, vista la lunghezza della lama che superava, anche se non di molto, quella prevista dalla legge. Non fu facile scavare attorno ai bordi dell’Omphalos, ma con molta pazienza e con l’aiuto della manette del commissario riuscirono ad ottenere un minimo di profondità, tanta da poter inserire qualcosa che fungesse da leva. Un cacciavite e alcune punte metalliche lasciate distrattamente da chi stava sistemando una cassetta delle elemosine poco lontano furono quasi una benedizione; ancora una volta l’impresa non si rivelò facile ma la consapevolezza di essere ormai vicini alla soluzione dell’enigma alimentava oltre ogni misura la pazienza dei due uomini; finalmente, dopo una buona mezzora di lavoro, un rumore sordo, amplificato dal profondo silenzio che pervadeva l’immensità della costruzione, precedette lo spezzarsi in due dell’Omphalos. Straw diede un’occhiata ad Argot, quasi a scusarsi di quanto era accaduto, ma quest’ultimo era così preso dalla situazione che non se ne accorse nemmeno. Lo scavo riprese di buona lena, lo strato di materiale che univa l’Omphalos al pavimento iniziò a rivelarsi più recente rispetto all’antichità del luogo e dopo qualche minuto il centro cedette, lasciando intravedere una minuscola cavità. Le dita di Argot, piccole e affusolate, si intrufolarono subito nella ristretta
incavatura e ne riemersero poco dopo stringendo un piccolo bussolotto avvolto in un panno, o almeno in ciò che restava di quella affrettata copertura. Alla meno peggio rimisero il frammento di pietra al suo posto; era ormai mattino e Argot mise in tasca con estrema cura l’oggetto ritrovato nell’Omphalos, trascinando quasi a forza Straw, che non riusciva a distogliere lo sguardo dal pavimento, verso un nascondiglio sicuro che avrebbe permesso ai due uomini di uscire fuori non appena si fossero riversati nella chiesa i primi gruppi di turisti. Anche questa volta dovettero affidarsi alla pazienza; Argot non staccava la mano dalla tasca, quasi una sorta di protezione verso quel segreto ancora da svelare, Straw dal canto suo sembrava sprofondato in chissà quali profondi ragionamenti, fissava l’imponente colonnato ma in realtà sembrava contemplare il vuoto. Così come accade per l’ingresso, anche l’uscita, alla fine, non diede molti problemi; a i spediti attraversarono il prato e si diressero verso le mura della città. Rientrati nella pensione che avevano trovato il giorno prima furono accolti dallo sguardo curioso del portiere; due clienti che prenotano, lasciano i bagagli e non rientrano la notte erano in effetti abbastanza insoliti, ma le loro facce stravolte bastarono a bloccare la curiosità dell’uomo. Straw non entrò neanche nella sua camera; andarono direttamente in quella di Argot e dopo essersi distesi lunghi sul letto per riprendere fiato, si ritrovarono come due bambini divorati dalla curiosità della loro scoperta. Il panno ormai corroso dal tempo e dall’umidità si sbriciolò quasi del tutto nella mani del commissario, rivelando un bussolotto di metallo che per via della ruggine accumulata si aprì soltanto dopo molti tentativi. Argot era perplesso. “Straw non le sembra troppo minuscolo questo oggetto per contenere un manoscritto?!” “Sì, in effetti, non ha tutti i torti ma l’indicazione era chiara, se non è il manoscritto sicuramente sarà qualcosa che avrà a che fare con la nostra ricerca” Argot continuava ad essere perplesso. Con uno stridio metallico il bussolotto alla fine si aprì; dentro un secondo
bussolotto, questa volta di vetro, all’nterno un foglio di carta arrotolato. “Allora, Argot?! Cosa dice?! Legga per favore!” Argot tentava di interpretare una grafia minuta, a tratti sbiadita o consumata da alcune macchie. “... proprio ieri ho riletto ancora una volta la mia ultima fatica letteraria, ammesso che questo termine si adatti a ciò che ho scritto in questi ultimi anni; il compendio di lunghi anni di ricerche e la conclusione delle mie personali rivelazioni… tutto ciò che mi è stato rivelato nel tempo e che proprio in queste pagine ho reso esplicito anche alle menti più chiuse non può essere reso pubblico, sarebbe una immane catastrofe della quale non voglio essere ritenuto responsabile. Per questi motivi, ma anche per la formula che in ultimo riporto, ho deciso di distruggere le poche copie esistenti preservando soltanto il manoscritto originale nella speranza che un giorno l’umanità possa prendere piena coscienza di se stessa e usare nel migliore dei modi le mie rivelazioni. A tal fine ho conservato il Finis in un luogo sicuro e poiché nessuno deve essere precluso alla verità, ho deciso che soltanto chi porterà a fine la Grande Opera leggerà questo libro. Tra le righe della prefazione di un antico manoscritto ho riportato la formula finale, essa ha però valore soltanto se unita al Finis, che nelle sue ultime pagine la riporta. Segui il sentiero e avrai il tuo compenso. Tre sorelle attendono nell’ombra sotto il trono, i gemelli osservano l’ingresso, nella città sul quarantacinquesimo schierata, dove una sola stella splende accompagnata dalla luna. Fulcanelli” La delusione era palpabile sul viso di Argot: ancora un vicolo senza uscita, ancora una volta ciò che doveva rappresentare una spiegazione logica e razionale si trasformava in un nuovo enigma da risolvere. “Straw, spero proprio di non aver commesso un reato per ritrovarmi ancora al punto di partenza” Era una domanda ma allo stesso tempo una amara affermazione con se stesso.
Il giornalista prese la lettera e la rilesse più volte a voce bassa, infine si produsse in un sorriso a metà tra la soddisfazione e il consolatorio. “Non credo proprio, Argot, come abbiamo avuto modo di capire questa notte lei sente le cose mentre io le interpreto. In questa lettera abbiamo almeno un paio di indizi che sicuramente ci aiuteranno” “Che indizi, Straw? La prego, mi dica che non dobbiamo più andare in giro a violare proprietà private” “Questo non glielo posso assicurare, comunque, mi segua attentamente. Questa è la lettera scritta da Fulcanelli subito dopo aver distrutto le copie del Finis Gloriae Mundi, e rappresenta di sicuro un ritrovamento unico nel suo genere ma in questo momento il nostro interesse è ben altro. Vediamo di analizzarla meglio: Fulcanelli ci dice che ha nascosto la formula del Finis tra le righe di una sua prefazione ad un libro di Alchimia…” Argot lo interruppe gesticolando con la mano: “Il libro di Canseliet!” “Appunto, commissario, il libro di Canseliet, quello che per errore gli venne recapitato e per il quale sono morti sia il libraio sia De Matteis” Argot ritornò a sprofondare nella sua delusione. “Se Fulcanelli si riferisce a quel libro sicuramente era tra quelli bruciati e a questo punto devo supporre che fu proprio Canseliet a bruciarlo quindi, niente libro, niente Finis, niente formula!” “No, Argot, forse non è così; supponiamo che Canseliet abbia bruciato il libro, probabilmente perché ne ha decifrato il contenuto, perché avrebbe allora lasciato quegli indizi? C’è qualcosa che ci sfugge, ma chiaramente la lettera è un invito a proseguire nella ricerca” “In che senso? Da dove dovremmo iniziare?” “Lo dice la lettera, Argot… dalla città sul quarantacinquesimo schierata!” “Sinceramente non la seguo molto” “Fulcanelli dice di aver conservato il Finis in un luogo sicuro e soltanto chi
porterà avanti la Grande Opera potrà ritrovarlo; il percorso alchemico per trovare la pietra filosofale si componeva di quattro fasi: Nigredo, Abedo, Citrinitas e Rubedo, ma forse è più chiaro se le paragoniamo ai quattro elementi: Terra, Acqua, Aria e Fuoco o forse ancora meglio se adoperiamo i nomi con i quali le fasi sono meglio conosciute: Opera al Nero, Opera al Bianco, Opera al Giallo e Opera al Rosso. In pratica Fulcanelli ci avverte che per trovare il Finis dobbiamo portare avanti le quattro fasi Alchemiche e la prima dovrà compiersi nella città descritta nella lettera” “Un altro viaggio, magari un’altra violazione di proprietà privata; Straw, la cosa sta diventando troppo rischiosa, non crede?” “Argot, non possiamo fermarci” “Lo so, è questo che mi fa più paura!” La mattina era quasi volata, ma fu più la stanchezza che la fame ad avere ragione di Straw; si augurarono frettolosamente un buon riposo e per il giornalista fu questione di un attimo, chiudere a chiave la porta, spogliarsi a metà, cadere di peso sul letto e lasciarsi andare al sonno più profondo che aveva mai fatto. Argot rimase solo a pensare, leggendo e rileggendo la lettera di Fulcanelli; il cicalino del cellulare lo riportò alla realtà, schiarì un attimo la voce e aprì la comunicazione. “Argot” “Commissario Argot, come sta? Tutto bene? Dove si trova? Quando rientra?” Marini sembrava non doversi più fermare; una valanga di domande sommerse Argot come un fiume in piena. “Marini, si calmi, va tutto bene, ma credo avrò una crisi di nervi se non la smette di farmi il terzo grado” “Scusi, commissario, stavo in pensiero, non sono abituato a non sentirla per più di una mattina, si figuri un giorno intero. Come va la sua inchiesta?” “A rilento come sempre, Marini, ma abbiamo fatto una scoperta interessante e forse sappiamo cosa cercava l’assassino”
“E’ ancora a l’Aquila?” “Sì, ma credo che partiremo stasera stessa; prima troviamo l’oggetto che ha provocato queste morti e prima troveremo il nostro uomo” “Perché un uomo, commissario? Ricorda quel Trentini? Ha detto di aver visto una donna scendere da una macchina scura, proprio sotto la casa di De Matteis” “Uomo o donna poco importa per adesso, l’importante è ritrovare il libro. Mi dica piuttosto, a Roma come vanno le cose?” “Trentini dice di non avere la minima idea di quanto gli viene addebitato, ammette di essere stato sotto casa di De Matteis e di avere rubato quei libri a Canseliet ma di omicidi non ne vuole sentir parlare” “E il questore?” “Lui è sempre più convinto che le cose siano andate diversamente e da quello che ho potuto sapere tra qualche giorno comunicherà la notizia alla stampa, per adesso ha informato in via ufficiosa il Vaticano” “Come pensavo, il solito testardo burocrate” “Non se la prenda, commissario, appena ritornerà con il vero colpevole vedrà la figuraccia che faranno tutti” “Me lo auguro, Marini, me lo auguro di vero cuore” “La saluto, commissario, non si affatichi e stia attento” “Certo, Marini, stia attento anche lei e grazie per quello che sta facendo, lo apprezzo molto” “Sempre agli ordini, commissario” Argot chiuse il telefono pensando alla faccia soddisfatta del suo attendente, e la consapevolezza di aver fatto sorridere qualcuno e magari, anche se con poco, di avergli fatto del bene, lo fece scivolare in un piacevole sonno ristoratore.
[1] Filippo IV, Re di Francia dal 1285. Gran parte della sua vita la dedicò all’opera di consolidamento e rafforzamento della Monarchia; noto soprattutto per i suoi fortissimi attriti con la Chiesa Cattolica, intentò un processo contro Bonifacio VIII, successore di Celestino V, accusandolo di pratiche magiche.
[2] Incoronato Papa nel 1305, ò alla storia per la sua complicità nella soppressione dell’Ordine Templare e per aver spostato la Sede Papale ad Avignone.
[3] Ultimo Gran Maestro conosciuto dell’Ordine dei Cavalieri Templari. Condannato al rogo nel 1314 per ordine di Filippo il Bello, venne giustiziato con l’accusa di eresia sull’isola della Senna, presso Notre Dame a Parigi.
[4] Papa dal 1271; è ricordato per avere redatto la bolla papale Ubi Periculum, in base alla quale, ancora oggi, vengono regolati tutti i Conclavi per l’elezione del nuovo Pontefice.
[5] La strana usanza di praticare un foro nel cranio del defunto non ha mai avuto una seria e documentata spiegazione, a parte il sospetto che possa trattarsi di un modo per semplificare il viaggio dell’anima fuori dal corpo; (,) la sua origine rimane un mistero. Questa pratica, riscontrata nella dinastia dei Merovingi, è stata ripresa nelle rappresentazioni pittoriche del Guercino e su questo rituale sono state costruite ardite ipotesi riguardanti i misteri custoditi nel paesino se di Rennes le Chateau.
[6] Dinastia che prende il nome da Meroveo ma dalle origini ancora oggi avvolte nel mistero. I Merovingi sono da qualche tempo oggetto di studio
per l’ipotetica relazione che potrebbero avere con le origini della Chiesa Cattolica.
[7] Le scienze esoteriche dividono solitamente l’uomo in sette parti che assumono nomi e significati diversi in base alla corrente mistico filosofica. Nella Cabala troviamo: Binah (volontà spirituale), Chesed (Intuizione), Geburah (Corpo mentale superiore), Tiferet (Corpo mentale), Netzach (Corpo emotivo), Yesod (Corpo eterico), Malkuth (Corpo fisico). Secondo l’Antroposofia: Uomo spirito, Uomo vitale, Sé spirituale, Io, Corpo astrale, Corpo eterico, Corpo fisico. La trasposizione classica della natura settenaria dell’uomo è invece quella che si riferisce ai pianeti: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio, Luna.
[8] Simbolo formato da due cerchi dello stesso raggio intersecati tra loro in modo tale che il centro di ogni cerchio si trova sulla circonferenza dell’altro; letteralmente viene tradotto come vescica di pesce e nell’iconografia cristiana è un riferimento alla figura del Cristo. La Vesica Piscis è conosciuta anche in India dove viene chiamata Mandorla, nell’antica Mesopotamia, in Africa e nella maggior parte delle civiltà asiatiche.
[9] Ordine fondato da Celestino V e soppresso nei primi anni del 1800.
[10] I documenti ebraici riguardanti le Leggi Divine dei Pesi, dei Numeri e delle Misure, sarebbero stati rinvenuti dai Cavalieri Templari nei sotterranei del Tempio di Salomone a Gerusalemme; questi documenti sarebbero stati consegnati alle associazioni all’Ordine perché venissero usati per la costruzione delle Cattedrali. L’espressione Leggi Divine dei Pesi, dei Numeri e delle Misure è da interpretarsi, secondo la mistica ebraica, come il metodo usato da Dio per la creazione del mondo.
[11] La fornace degli Alchimisti.
Capitolo 13
Un sole pallido e annoiato salutò Argot, svegliatosi d’improvviso per via del fastidioso e insistente suono di un clacson giù per la strada; gli occhi pesti, le membra indolenzite, si avviò quasi barcollando verso la doccia, imprecando verso quel maleducato automobilista che lo aveva strappato al suo meritato riposo. Straw dal canto suo si era svegliato abbastanza presto, ando buona parte del mattino a rimuginare sulla lettera di Fulcanelli e cercando di dare un senso compiuto agli indizi lasciati dall’alchimista. Quando scese al bar erano già ate le dieci e trovò Argot seduto su uno sgabello che studiava una cartina dell’Italia recuperata tra i giornali del salottino accanto. “Buongiorno, Argot, dormito bene?” “Non proprio, Straw, un maledetto automobilista è rimasto con la mano incollata al clacson” Anche il giornalista prese uno sgabello e si sistemò proprio di fronte al commissario: “Cerca qualcosa in particolare su quella cartina?”. Argot richiuse la pubblicazione alzando le spalle: “Non lo so neanche io cosa cerco, ripensavo a quel messaggio ma lo trovo troppo sibillino per i miei gusti” Straw si alzò dandogli una pacca sulla spalla. “Non si butti giù, Argot, qualcosa ci verrà in mente; andiamo, le offro un caffè e vediamo di fare il punto della situazione” Una breve sosta al bar, e una veloce occhiata ai titoli del quotidiano locale, poi Straw si informò dove fosse la biblioteca comunale e, giunti sul posto, la discussione riprese nel salone d’attesa. “Quando si hanno pochi elementi in mano per condurre una ricerca, è sempre
meglio partire dalle cose più elementari” disse Straw sistemandosi i capelli. “A cosa si riferisce esattamente?” “Al fatto che non abbiamo la minima idea di cosa significhi quel messaggio, possiamo solo arguire che si tratti di una città” “E cosa pensa di trovare in questa biblioteca?!” “Non lo so, Argot, magari un buon libro di geografia!” “Geografia?” Una vecchietta arzilla, bassa, dalla linda camicia bianca e una vistosa gonna di raso nero interruppe la risposta del giornalista: “Dovreste per favore riempire questi due moduli, appena fatto portateli da me, in fondo alla sala, i libri richiesti vi saranno consegnati per la visione da uno dei nostri collaboratori” Riempirono i moduli in fretta, li consegnarono e rimasero ad attendere presso l’ultimo tavolo di lettura, proprio in fondo, nel posto più al riparo da occhi e orecchie indiscrete. “Che libri ha richiesto, Straw?” “Geografia e riproduzioni di planisferi” “E pensa di trovarci qualcosa?” “Forse, non saprei, ho sempre in mente quell’espressione, sul quarantacinquesimo schierata” “Io non ci trovo niente di illuminante” Un ragazzo si avvicinò al tavolo e con molta gentilezza vi depose tre libri: “Questo è quanto avevate richiesto, buona consultazione” Il commissario ringraziò, poi si rivolse nuovamente a Straw: “Allora? Cosa l’ha colpita in quell’espressione di Fulcanelli?!” “Che sia una città è scontato, lo dice lui stesso” rispose Straw sfogliando i volumi: “Il fatto che definisca questo luogo come schierato sul
quarantacinquesimo può benissimo essere un riferimento geografico, considerando ovviamente il termine schierata come un sinonimo di allineata” “Cioè una città allineata sul quarantacinquesimo parallelo?” “Esattamente, Argot” “Se è questo che cerca forse abbiamo fatto un viaggio a vuoto” “In che senso?” “Nel senso che sarebbe bastato parlarmene prima ed io le avrei risposto Torino!” “Torino?” Argot sorrise, felice di aver stupito il giornalista, quest’ultimo si fermò su una pagina del secondo volume e con il dito fece un gesto di approvazione verso il commissario: “Infatti… Torino… ha proprio ragione, Argot. Guardi qui” Girò il libro e indicò una immagine della terra con riportati meridiani e paralleli; il quarantacinquesimo ava proprio per Torino. Straw richiuse il volume e osservò il commissario con aria interrogativa: “Ma come faceva a saperlo?!” “Non si preoccupi, niente di trascendentale, circa due anni fa fui chiamato per un consiglio da un mio amico, un avvocato che abita a Torino. Se non ricordo male si occupava di un caso che aveva a che fare con la solita banda di balordi che poi, come al solito, la stampa definì come setta satanica. In ogni caso facevamo discorsi molto vicini a quelli dei quali si occupa lei e mi colpì molto una affermazione che definiva Torino come una città magica per eccellenza, che si trova proprio sul quarantacinquesimo parallelo, una demarcazione che divide la zona nera da quella cosiddetta bianca. Insomma i soliti discorsi di Magia Bianca, Magia Nera e via dicendo” Straw seguiva con attenzione i discorsi del commissario: “Interessante, un giorno dovrò approfondire di più questo argomento; comunque, ritorniamo a noi e vediamo di stabilire qualche punto fermo nella nostra ricerca. Ammettiamo che le nostre intuizioni siano esatte e che Torino sia la città nella quale è stato nascosto il Finis, cos’altro sappiamo?”
“Proprio niente, Straw” rispose Argot alzando le spalle. “Il resto del messaggio è estremamente contorto; ci sono tre sorelle che attendono nell’ombra sotto un trono, dei gemelli che guardano l’ingresso, e non parliamo poi del resto che è veramente incomprensibile” Straw sospirò accarezzando il dorso di uno dei volumi, poi alzò lo sguardo su Argot, uno sguardo dalla piacevole ansia di una sfida che non si vuole a nessun costo perdere: “Non esiste l’impossibile, Argot, è tutta questione di volontà e dedizione; cerchiamo di osservare le cose da tutti i punti di vista. Tre sorelle attendono sotto il trono, cosa le fa venire in mente questa frase?” Argot si fermò un attimo a riflettere: “Non lo so, Straw, tre donne, tre persone, un trono, un re, magari fanno parte della corte” “No, Argot, non prenda la cosa alla lettera; il messaggio non può riferirsi a persone, ricordi che Fulcanelli nascose il Finis tanto tempo fa, non lo affidò a qualcuno, semplicemente lo nascose in un posto che, in qualche modo, aveva attinenza con l’Alchimia o con il suo manoscritto. Riprendiamo adesso il nostro discorso, cosa le dice la prima parte del messaggio alla luce di questa ultima considerazione?” Ancora una volta Argot era disorientato, ma cercava comunque di dare un senso ai propri ragionamenti: “Continuo a non seguirla, Straw” “Lei non mi segue perché cerca di dare un senso logico alla cosa” “Non vedo che altro senso dovrei dargli!” “Non intendevo questo, Argot, lei da un senso logico prendendo come parametro di comparazione il suo modo di ragionare, quello professionale, investigativo, dovrebbe invece tentare di vedere il tutto con più semplicità, fuori dagli schemi. Riproviamo!” Il commissario strinse i pugni sospirando, chiuse gli occhi e iniziò a ripetere il messaggio di Fulcanelli: “Tre sorelle attendono nell’ombra sotto il trono... Fulcanelli nasconde il Finis... non lo affida a qualcuno, non avrebbe senso visto che la sua decisione è così lontana nel tempo rispetto ad oggi, se le tre sorelle non sono tre persone potrebbero essere tre cose, tre cose sorelle tra loro perché sono della stessa forma, sono simili”
“Questo è già un buon ragionamento, Argot” disse Straw annuendo con la testa, “non tre persone ma tre cose simili tra loro, proprio come sorelle, proviamo adesso ad andare oltre. I gemelli osservano l’ingresso... l’ingresso di cosa? Per cosa? Ammettiamo che questa seconda frase si riferisca alla prima, dovremmo desumere che questi gemelli osservano l’ingresso delle tre cose. In questo caso i tre oggetti o quello che sono, potrebbero essere delle camere, oppure tre sale, o forse tre porte, tutti concetti simili tra loro” “Sì, questa potrebbe essere una possibilità, ma resta il fatto che dovremmo definire il concetto di gemelli. Chi sono questi gemelli? Perché osservano? Sono forse dei guardiani, dei custodi?” “Questo sarebbe improbabile, Argot, abbiamo già detto che non cerchiamo persone, quindi il termine gemelli non è riferibile a persone fisiche” “Allora siamo di nuovo al punto di partenza” Ancora una volta Straw annuì, quindi alzò la mano richiamando l’attenzione del ragazzo che gli aveva portato i libri; questi si avvicinò con la stessa cordialità di prima: “Già finito? Avete bisogno d’altro?” “Sì, grazie, vorrei sapere se avete dei libri sulla città di Torino, magari testi storici o guide” “Mi informo, attenda prego” L’attesa non durò molto, il ragazzo si ripresentò dopo pochi minuti con il viso contrariato: “Mi dispiace signore, proprio su Torino non abbiamo quasi nulla, almeno non del genere che le interessava” “Grazie, fa lo stesso. Molto gentile” Argot osservò sconsolato il giornalista, Straw ricambiò lo sguardo e insieme andarono verso l’uscita. “Ancora un punto morto, vero, Straw?” “Non è detto, Argot, mentre attendevo la risposta mi è venuta in mente una cosa che potrebbe tornarci utile”
“Che cosa? Non vorrà mica coinvolgermi in qualche strana situazione, vero?” “Niente di esoterico, tranquillo, mi faccia fare soltanto una telefonata” Si fermarono all’angolo e il giornalista chiamò in redazione, soliti scambi di cortesie, qualche parola in più poi una lunga attesa mentre Argot con lo sguardo lo interrogava incuriosito; quando richiuse il cellulare Straw sembrava più rilassato e il sorriso si riaffacciò sulle sue labbra: “Le va un altro giro turistico, Argot?” “In che senso, scusi?” “Ho chiamato un mio amico in redazione, ricordo che un paio di mesi fa ho scritto un servizio sul Santo Graal e su Torino, città che spesso viene indicata come uno dei luoghi nei quali potrebbe trovarsi il calice. In quel periodo contattai una persona, un torinese abbastanza singolare, siamo rimasti in buoni rapporti e da quel che ricordo era abbastanza preparato su questi argomenti, forse anche troppo!” “Anche troppo?” “Non ci faccia caso, Argot, una riflessione personale. In ogni caso sono riuscito a farmi dare un appuntamento, penso che una chiacchierata con lui potrà servirci a chiarire le idee” “Ancora partenze!” Argot sbuffò spazientito ma cosciente che ormai quella era l’unica strada da seguire. Si spostarono nuovamente in pullman fino a Roma, da qui, in tutta fretta affrontarono il nuovo viaggio, discutendo animatamente sul messaggio di Fulcanelli e su quali nuovi misteri li avrebbero potuti attendere nella loro nuova meta.
Capitolo 14
Secondo una antica tradizione, fu proprio Taurasia, piccolo villaggio di tribù celto liguri, a ostacolare la marcia di Annibale verso Roma, resistendo al grande condottiero per ben tre giorni. Taurasia sarebbe diventata Torino, la quarta città per popolazione in Italia, il maggiore centro universitario, culturale e scientifico, la prima capitale. Arrivarono a tarda sera e come loro abitudine, cercarono subito un albergo dalle parti del centro; la scelta cadde nelle vicinanze di Via Pietro Micca, luogo strategicamente perfetto per riuscire a muoversi in tutte le direzioni. L’albergo, dignitoso e riservato, li accolse con estrema cortesia e la cena, non molto abbondante visto l’orario, venne consumata in fretta. Argot salì subito in camera e si mise in contatto con Marini per le ultime novità, mentre Straw, malgrado fosse già tardi, richiamò il suo amico della redazione per avere la certezza dell’appuntamento prima di abbandonarsi ad un sonno profondo. La mattina i due uomini si ritrovarono presto nella saletta dell’albergo, consumarono sempre di fretta una abbondante colazione e si fecero chiamare un taxi, patteggiando il prezzo della corsa che li avrebbe portati nei pressi di Piazza Visitazione. “Ieri mi parlava in maniera strana di questa persona!” disse Argot, appena sceso dal taxi, rivolto a Straw ancora intento a contare il resto datogli dal taxista. “Non ci pensi, Argot, diciamo pure che il signor Raineri è un tipo sui generis, ma non morde!” “Faccia pure lo spiritoso, Straw, da quando ci siamo incontrati non faccio che occuparmi di misteri, cose che sembrano ma non sono, enigmi e indovinelli vari!”
“Lo so, ha perfettamente ragione, ma anche questa è la realtà, al mondo non esistono soltanto i buoni, i cattivi e le persone cosiddette normali, esistono molte altre dimensioni e prima o poi tutti, in un modo o nell’altro, ne sono testimoni” Il palazzo che ospitava Raineri non aveva niente di particolare, una delle tante costruzioni del dopo guerra, ben tenuto, con la facciata appena rifatta e un vistoso citofono al portone racchiuso in una placca dorata e decorata con motivi liberty. Una voce femminile li invitò a salire, terzo piano, scala a sinistra. Appena entrati nell’androne l’ambiente subì un drastico mutamento: due rampe di scale in marmo salivano ai due lati curvandosi, al centro ospitavano la cabina dell’ascensore, perfettamente inserita in quello che si sarebbe potuto benissimo scambiare come l’ingresso di un palazzo settecentesco; stucchi azzurri ornavano il soffitto e due statue, poste ai lati del portone, reggevano enormi fiaccole che fungevano da illuminazione per tutto l’ambiente. “Straw, ma che mestiere fa il suo amico?” Il giornalista sorrise senza rispondere, chiuse la porta dell’ascensore alle proprie spalle e suonò il camlo; una donna di colore aprì la porta: “Buongiorno, sono Robert Straw, avevo appuntamento con il signor Raineri; questo è il signor Argot” La donna osservò il commissario, poi Straw, quindi con un cenno della mano invitò i due uomini a entrare: “Accomodatevi, il signor Raineri arriverà subito” Uno spazioso salone li accolse e ancora una volta la realtà cambiò d’aspetto; una immensa libreria in legno abbracciava in modo circolare la metà della stanza, statue liberty e stampe in china s’intervallavano tra i libri estendendosi per l’altra metà del salone. Al centro dell’arco formato dalla biblioteca faceva bella mostra una scrivania intarsiata con accanto delle poltrone di chiaro sapore rinascimentale. “Straw, non ho mai visto tanti libri in vita mia!” esclamò Argot cercando di abbracciare con lo sguardo la notevole quantità di volumi “Scommetto che è un po’ invidioso” “In effetti lo sono” confermò Straw storcendo le labbra.
“Chissà se li avrà letti tutti” replicò Argot stendendo la mano verso un grosso volume rilegato in pelle nera, ma non riuscì neanche a sfiorarlo perché una voce profonda e autoritaria lo bloccò dal fondo del salone: “Signor Straw, che piacere rivederla” Si girarono quasi contemporaneamente per osservare una figura alta, magra, avvolta in una veste da camera rosso scuro, che avanzava con i decisi verso di loro. “Signor Raineri, è davvero un grande piacere incontrarla nuovamente” Straw tese la mano all’uomo e questi ricambiò, senza però distogliere lo sguardo da quello di Argot. “Questo è un mio amico di Roma, Filippo Argot, anche lui interessato alle tematiche che mi sono care e con il quale sto svolgendo ricerche per il mio prossimo lavoro” Raineri si dilungò in un ampio sorriso e il suo sguardo divenne più profondo, quasi penetrasse quello del commissario: “Molto piacere, Arturo Raineri” Era alto, sulla cinquantina, capelli brizzolati su un viso estremamente lungo e magro; quello che colpì maggiormente Argot fu però lo sguardo, occhi neri come il carbone che sembravano oltreare le cose, quasi s’insinuassero dentro per poi espandersi cercando i più intimi pensieri. “Accomodatevi vi prego, come posso aiutarvi?” Raineri occupò una poltrona finemente lavorata, rivestita in rosso, con i braccioli dorati e rifiniti in modo da sembrare due zampe di leone. “Eravamo interessati a Torino, ovviamente da un punto di vista esoterico” disse Straw rompendo l’evidente imbarazzo di Argot che era rimasto a fissare quella strana figura senza neanche riuscire a presentarsi. “Sì, Torino” disse Argot scuotendosi da quella sorta di trance. “So che si tratta di una città particolarmente importante da questo punto di vista” Raineri sorrise, abbassò un attimo lo sguardo poi lo rivolse nuovamente verso il commissario: “Lei è abituato a comandare, ma è sempre riluttante a farlo, mi sbaglio, signor Argot?”
Il commissario guardò Straw imbarazzato. “Non si imbarazzi, signor Argot, semplice osservazione e intuizione, mi piace sorprendere i miei ospiti” “E la cosa le riesce sempre!” disse Straw, accompagnando con una risata la sua intenzione di mettere a proprio agio il commissario. Raineri portò la testa indietro e osservò fuori dalla finestra, quindi riprese a parlare usando questa volta un tono meno sibillino e molto più vicino alle esposizioni cattedratiche tipiche di Straw: “Quindi cercate informazioni su Torino; lei, Signor Straw ha un ottimo archivio, se non ricordo male, ma forse ha bisogno di approfondire qualche tema in particolare, mi sbaglio?” “Esattamente, signor Raineri, si potrebbe discutere giorni su Torino e le sue implicazioni con la Magia e i Misteri in genere, ma noi siamo più interessati ai gemelli” Straw lasciò cadere la battuta intenzionalmente, riaccendendo anche la curiosità di Argot che si portò avanti sulla poltrona in attesa della risposta. “I gemelli?” Il commissario si lasciò andare al desiderio di conoscere e bloccò sul nascere la risposta di Straw: “Ho sentito dire che a Torino circolano strane storie in merito a questo argomento” Ancora una volta lo sguardo di Raineri si posò sul commissario; era una strana sensazione quella provata da Argot, forse complice la sua titubanza, forse il disagio o meglio ancora il suo non saper mentire riguardo al non avere la minima idea su come impostare il discorso, ma sembrava che quell’uomo lo leggesse dentro e riuscisse a percepire ogni sua intima sensazione. “Straw, signor Argot, parliamoci chiaro, voi siete qui perché non sapete neanche da dove cominciare; se non siete in grado di porre chiaramente le vostre domande non posso rispondervi” Il commissario osservò ancora una volta Straw il quale confermò con lo sguardo la tacita richiesta di poter parlare liberamente; Argot si schiarì la voce e iniziò a recitare l’enigma descritto da Fulcanelli: “Tre sorelle attendono nell’ombra sotto il trono, i gemelli osservano l’ingresso, nella città sul quarantacinquesimo
schierata, dove una sola stella splende accompagnata dalla luna” Raineri rimase in silenzio ascoltando, portò una mano alle labbra e per un attimo il suo sguardo divenne assente, quindi si ricompose e si rivolse a Straw sorridendo: “Non voglio sapere da quale fonte proviene quanto mi è stato appena riferito, ma concordo con voi sulla difficoltà che avete trovato; suppongo non sia stato difficile risalire almeno alla città” “Infatti, non lo è stato” rispose Straw sorridendo di rimando, “ma il resto rimane però oscuro” “Non esistono cose oscure, è solo una questione di punti di vista, ma anche di fortuna, direi!” “Fortuna in che senso?” chiese sempre più interessato Argot. “Nel senso che, ovviamente, sul quarantacinquesimo parallelo, non si trova soltanto Torino, eppure la vostra scelta è caduta proprio su questa città” “Abbiamo anche tenuto conto del fatto che, come dicevamo prima, Torino vanta una grande tradizione e storia legata all’Esoterismo” “Debbo quindi arguire che l’oggetto della vostra ricerca è da intendersi in questo senso?!” Argot si irrigidì e cercò ancora una volta l’approvazione di Straw. “Signor Argot, non sia riluttante, la prego” disse di rimando Raineri. “Sì, in effetti la nostra ricerca si svolge nel campo dell’Alchimia” confermò infine Straw togliendo tutti dall’imbarazzo. “Alchimia!”, sospirò Raineri accarezzando i braccioli della poltrona, “la nobile arte della trasmutazione” Argot ritornò nuovamente all’attacco: “Questo messaggio riguarda l’Alchimia, vero?” “Certo, signor Argot, e posso anche confermarvi che vi trovate nel posto giusto. Uno dei problemi maggiori che riguarda proprio gli alchimisti e contro il quale si
scontrano i ricercatori moderni, è proprio quello dell’interpretazione dei loro scritti. In parte per riservatezza, in parte per scelta e convinzione personale, tutte le opere alchemiche pervenute fino a noi non sono facilmente interpretabili, alcune non lo sono per niente; simbolismo, allegoria, metafora, questi erano i temi preferiti dai redattori dei testi alchemici; nel vostro caso però potrebbe essere molto più semplice, basta trovare la fonte di informazioni giusta, e il signor Straw, come sempre, si è fatto guidare dalla sua proverbiale intuizione” Argot era sempre più interessato, vistosamente proteso verso Raineri, quasi in bilico sulla poltrona: “Cosa sono i gemelli?” “Forse sarebbe meglio chiedere chi sono, signor Argot!” “Chi sono?” fece eco Straw portandosi anche lui sul bordo della poltrona. “Prima di parlarvi dei gemelli vorrei analizzare un attimo con voi questo singolare messaggio: come giustamente avete arguito, la città oggetto degli enigmi è Torino, situata proprio sul quarantacinquesimo parallelo, segnato dalla Fontana del Frejus, la fontana con l’obelisco” Straw annuì con il capo. “Comunque non è molto importante” riprese Raineri, “i i più importanti sono invece quelli che compongono l’inizio del messaggio” L’uomo si alzò e con strabiliante sicurezza tirò fuori un volume tra tutti quelli contenuti nella libreria alle sue spalle, quindi tornò nuovamente a sedersi, sfogliò il libro e lo porse a Straw indicando una riproduzione antica: “Conosce quest’uomo, signor Straw?” Il giornalista osservò per alcuni istanti il ritratto, poi sorrise, ando il libro al commissario; Argot diede uno sguardo veloce, alzò le spalle e riò il libro a Raineri. “Certo che lo conosco, è Apollonio di Tiana” “Apollonio di cosa?” esclamò Argot incuriosito. “Apollonio di Tiana”, rispose di rimando Raineri, “grande mago e iniziato, contemporaneo di Gesù Cristo, con il quale molti e per svariati motivi lo confondono”
“Continuo a non capire” “Allora le racconterò una vecchia leggenda torinese e forse comincerà a vederci chiaro” Raineri riprese quella che sembrava la sua posizione preferita, allungò le braccia lungo i braccioli della poltrona e confuse le sue dita con gli artigli intagliati del leone. “Durante i tanti viaggi sostenuti da Apollonio, all’incirca nel 93 dopo Cristo, egli si ritrovò proprio da queste parti, e più esattamente in un luogo che ospitava già da tempo un centro di culto, un tempio costruito in parte nel sottosuolo. Apollonio depositò in questo luogo, quasi inespugnabile, un potentissimo talismano, preservandolo da color che avrebbero potuto farne cattivo uso, cosciente che l’umanità non era ancora pronta per certe rivelazioni” “Scusi, signor Raineri” lo interruppe Argot, “ma continuo a non vedere il nesso” “Quanta impazienza! Ci arrivo subito; quel luogo nel tempo divenne un’area ideale per edificare successivi edifici, ma perse anche gran parte del suo misticismo; sorsero chiese, cappelle, palazzi nobiliari, ma il segreto rimase nel tempo e i suoi sotterranei ancora oggi riposano indisturbati e, soprattutto, inosservati. Questo luogo è meglio conosciuto come le Grotte Alchemiche e si troverebbe proprio sotto il Palazzo Reale di Torino” Straw rimase sorpreso: “Grotte Alchemiche? Mai sentite nominare” “Lo so, signor Straw, non sono certo una delle maggiori attrazioni della nostra città, anche perché non siamo neanche sicuri della loro esistenza” Argot tornò all’attacco con crescente impazienza: “E quale sarebbe la relazione tra queste Grotte Alchemiche e il messaggio?” “Una volta avuta la risposta, il resto è semplice logica, signor Argot; le Grotte Alchemiche sono tre, la terza conterrebbe il segreto di Apollonio; tre grotte, tre sorelle, attendono sotto il trono, ovvero sotto il Palazzo Reale” “E la questione dei gemelli?” “Anche quella è semplice a questo punto, vi basterà recarvi sul posto e potrete
osservare di persona due grandi statue poste ai lati della cancellata che delimita l’ingresso del Palazzo; le statue rappresentano Castore e Polluce, i Dioscuri, figli di Leda e Zeus. Secondo una antica tradizione il loro sguardo converge verso un punto ben preciso, l’ingresso delle Grotte Alchemiche!” I due uomini si guardarono con evidente soddisfazione. Raineri rimise a posto il libro, poi si rivolse a Straw: “Siete per caso intenzionati a ritrovare il talismano di Apollonio?” Il giornalista arrossì ma Argot frenò sul nascere il desiderio di raccontare l’intera storia: “Più che altro eravamo intenzionati a svolgere una ricerca sui tesori e i misteri nascosti nel sottosuolo italiano; abbiamo trovato quel messaggio in un vecchio testo mentre svolgevamo il solito lavoro di documentazione in biblioteca e la cosa ci ha incuriositi” Raineri assunse una insolita espressione: “Strano, non ricordo testi che riportino questo curioso messaggio su Torino, comunque vi sarei grato se potreste fornirmi qualche dato sul libro” “Ovviamente, signor Raineri” disse Straw alzandosi, “devo solo consultare i miei appunti” Anche Argot si alzò, indicando chiaramente che la discussione poteva benissimo concludersi in quel modo; il suo sguardo si posò su una piccola statuetta, dipinta a colori un poco sbiaditi; raffigurava un demone dalla faccia angelica, con le mani adunche e un vistoso segno rosso sul polso, una minuscola croce rovesciata. Raineri gentilmente li accompagnò alla porta, salutò Straw mettendolo ancora una volta in guardia sulla sua ricerca e strinse con insospettata forza la mano del commissario; Argot ricambio e solo allora notò sul polso di Raineri lo stesso disegno che aveva visto prima sulla statuetta. Aggrottò le sopracciglia incuriosito e il suo movimento non sfuggì a Raineri che ricambiò con uno strano, enigmatico sorriso. Appena sulla strada il commissario non riuscì a trattenersi e riferì le sue impressioni a Straw: “Che strano tipo, ha notato il modo che aveva di osservarmi?!” “Strano ma utile, Argot”
“Non lo metto in dubbio però, personalmente, indagherei più a fondo” “Commissario, non si faccia prendere dalla professione, Raineri non è certo un tipo comune ma in fondo siamo tutti un po’ strani, non crede?” “Probabilmente, Straw, probabilmente. In ogni caso adesso concentriamoci sul da farsi, lei che propone?” Straw diede un’occhiata all’orologio: “Io proporrei un pasto veloce e una visita al Palazzo Reale” “Mi trova pienamente d’accordo” Il pranzo effettivamente fu veloce, il più rapido che Argot avesse mai consumato, anonimo, come il locale nella stradina proprio vicino al portone di Raineri; altrettanto veloce fu il taxi che li condusse a destinazione, il tutto nel più assoluto silenzio e con sguardi furtivi che attraversavano ogni angolo di strada. Oltre l’immensa cancellata, uno spettacolo di rigida magnificenza si presentò ai loro occhi; il Palazzo Reale è una tra le più importanti residenze sabaude del Piemonte e anche se a prima vista l’apparenza sembra austera, essa è perfettamente in linea con l’architettura barocca. “Guardi, Argot” disse Straw indicando il palazzo, “questo è il centro strategico dal quale si esercita il potere; anzi l’espressione stessa del potere, niente di particolarmente vistoso ma che è in grado di gestire uomini e cose come fossero birilli” “Non mi sembra che lei abbia una particolare simpatia per il potere!” “No, assolutamente nessuna” “La comprendo perfettamente, Straw, ma adesso ritengo sia più importante decidere la nostra prossima mossa. Qualche idea in proposito?” “Non saprei; osservi le due statue ai lati della cancellata, i gemelli del messaggio; in effetti sembra che guardino verso un punto indefinito della piazza” “Vedo, ma non mi proponga di fare buchi per terra, la prego!”
Straw sorrise divertito: “Niente buchi, stia tranquillo, suppongo che esista un aggio per accedere alle Grotte, forse più di uno, anzi, le dirò, Argot, ho il vago sospetto che i Savoia non fossero poi così distanti da questi discorsi e dall’Alchimia in particolare” “Certezza o supposizione, Straw?” “Né l’una né l’altra, oppure entrambe, se non ricordo male la dinastia reale era molto interessata a questi tipi di argomenti, anche se di ufficiale, ovviamente, non esiste nulla” “Non voglio mettere in dubbio le sue deduzioni, comunque sarà meglio entrare e farci venire qualche idea” L’interno, sede dell’omonimo museo, consentì loro di ammirare le opere e gli arredi realizzati nei tre secoli in cui fu abitato dai Savoia, ma a parte il fatto di trovarsi in una delle più sontuose dimore d’Europa, ai fini della loro ricerca non produsse molti risultati. Incantati ad osservare i giardini reali davanti ad una finestra, i due uomini stavano esternando la loro delusione: “Argot, debbo essere sincero, dubito fortemente che qualcosa possa essere nascosto proprio qui e non ho la minima idea su come poter accedere ai sotterranei” “Lo so, Straw, pensavo anche io la stessa cosa, siamo nuovamente al punto di partenza” Stavano per riprendere il loro giro quando una mano si posò sulla spalla di Straw facendolo voltare di scatto: “Avete bisogno di una guida?”. Il viso di Raineri era illuminato da un sorriso invitante; un lungo impermeabile blu lasciava intravedere una camicia bianca finemente ricamata. “Signor Raineri, che sorpresa!” esclamò Argot fingendo. “Pensavo che un ulteriore aiuto sarebbe stato ben accetto” “E lo è, signor Raineri, in effetti avevamo qualche perplessità” rispose Straw cercando di volgere a proprio vantaggio quel fortuito incontro. “Ancora intenzionati a trovare le Grotte Alchemiche?” “Suppongo sarebbe uno scoop eccezionale, non pensa?” incalzò ancora Straw.
“Se lo dice lei; comunque se cercate un accesso siete nel posto sbagliato” “Perché sbagliato?” intervenne Argot. “Perché in effetti esistevano due gallerie scavate sotto questo Palazzo, ma sfortunatamente la prima venne distrutta ad opera delle truppe si nel 1801 e la seconda durante un incendio” Argot rimase disorientato: “E allora? Non esistono più accessi?” “Non esattamente, signor Argot, uno ancora esiste e sarò felice di mostrarvelo se acconsentirete a farmi venire con voi nelle Grotte” “Mi perdoni, signor Raineri” disse Straw incuriosito dalla richiesta, “da quanto capisco lei è stato sempre a conoscenza di un aggio verso le Grotte Alchemiche, per quale motivo non è mai sceso?!” “Molto semplice, signor Straw: cautela, soltanto cautela; io credo fermamente che qualcosa laggiù esista ma credo anche che sia sciocco lanciarsi in una avventura senza aver preso almeno le precauzioni minime. Noi tre e le nostre conoscenze possono svelare finalmente questo mistero” Argot lanciò uno sguardo interrogativo al giornalista, ma Straw non lo ricambiò neppure, deciso a sfruttare l’occasione. “Bene, signor Raineri, accettiamo la sua proposta, quale sarà la prossima mossa?” L’uomo rimase un attimo in silenzio, quindi alzò il bavero dell’impermeabile: “Ci vedremo alle ventitré, vi aspetterò vicino alla Fontana del Frejus” Salutando con un leggero movimento della testa, Raineri si avviò verso l’uscita; Argot voleva esprimere la sua disapprovazione per la decisione abbastanza avventata di Straw ma non proseguì, in fondo l’importante era arrivare al Finis e probabilmente Raineri, per quanto si dimostrasse anche troppo interessato, li avrebbe aiutati. Proseguirono il giro; cenarono in albergo e, a differenza del commissario che decise di concedersi un po’ di riposo in camera, Straw rimase tutto il tempo al cellulare chiedendo tutte le informazioni possibili su Torino ad alcuni suoi
collaboratori. Alle ventitré in punto si presentarono all’appuntamento, Raineri era già lì ad aspettarli in tenuta sportiva: “Buonasera, signori, la puntualità è la madre di ogni buon inizio” Argot si guardò intorno con fare sospetto, lo stesso fece Straw ma Raineri li tranquillizzò subito: “Niente paura, sono solo, ci tengo troppo a questa esplorazione” “Buon per noi” replicò Argot, “da dove si comincia?” Raineri allungò un braccio indicando lo spazio circostante: “Signori, ci troviamo in Piazza Statuto e quella che osservate è la Fontana del Frejus con il suo angelo demone; sul suo capo potete notare una stella; questo è il punto di demarcazione tra la Torino nera e quella bianca, o se meglio preferite tra bene e male” Straw osservava interessato tutto intorno: “Come facciamo per accedere alle Grotte?” Raineri si spostò verso l’aiuola centrale della Piazza e indicò un tombino: “Proprio da qui signor Straw” “Da un tombino?” esclamò ad alta voce Argot. “Sì, proprio da un tombino; questa, signor Argot, è la porta dell’Inferno, per chi crede a certe cose ovviamente; per i più scettici è soltanto un accesso alla enorme rete fognaria che attraversa la città, un vero e proprio capolavoro di ingegneria risalente all’impero romano” Lo zaino che Raineri si era portato dietro si rivelò una fonte inattesa dei più svariati oggetti utili ad uno speleologo e, non senza difficoltà, i tre uomini riuscirono a calarsi nel tombino, facendolo scivolare appena sulle loro teste ma prestando la massima attenzione che non si chiudesse del tutto. In fila indiana e tenendo le torce elettriche puntate verso il basso, iniziarono una ripida discesa servendosi della scaletta in ferro bullonata alla parete della costruzione; il loro arrivo fu un lungo corridoio buio ma percorribile comodamente a piedi e stranamente ventilato chissà da quale geniale invenzione dei suoi costruttori.
Raineri si pose alla testa del gruppo muovendosi sicuro verso destra; di tanto in tanto si fermava a pensare, quasi cercasse nella mente una mappa del luogo, poi riprendeva con o deciso. Giunti ad una piccola rientranza del camminamento, Raineri fece segno di fermarsi e diresse il fascio di luce della propria torcia verso il muro, subito imitato dagli altri due; in alto, scolpita con mano insicura e corrosa dal tempo, una croce formata da due ossa; proprio sotto, un esile cancelletto in ferro divideva i tre uomini da una porta in legno sprangata da tre assi consunte dall’umidità. “Datemi una mano” disse Raineri preso all’improvviso da una evidente agitazione, “cerchiamo di aprire questo cancello, non dovrebbe essere difficile” Frugando nello zainetto trasse fuori una piccola cesoia che dopo alcuni tentativi ebbe ragione del minuto lucchetto posto a chiusura; più difficile risultò togliere le spranghe di legno ma con molta buona volontà e dopo alcune violente spallate, cedette anche la porta e i tre uomini si ritrovarono in una piccola sala rotonda, con il soffitto a cupola ornato da quelle che un tempo dovevano presentarsi come delle lunghe strisce rosse. “Signori” esclamò Raineri con soddisfazione “benvenuti nella Valle Occisorum!” “La valle cosa?” replicò Argot senza distogliere lo sguardo dal soffitto. “La Valle Occisorum, signor Argot, l’antica necropoli di Torino; fa parte del percorso turistico della città sotterranea ma noi siamo entrati dalla parte che solitamente viene vietata alle visite, pur essendo bene o male illuminata ma costantemente sotto restauro” “E adesso che succede, Raineri?” chiese Straw. “Adesso percorreremo il tunnel che può notare alla sua sinistra e se avremo buoni occhi troveremo le Grotte” “Che intende dire per buoni occhi?” chiese Argot. “Da quanto ci aveva fatto capire lei conosceva già la strada” “Per arrivare fin qui, signor Argot, per il resto dovremo affidarci alla nostra esperienza di ricercatori; il corridoio che vi ho indicato corre parallelo al aggio ricavato dai Savoia affinché i loro alchimisti avessero libero accesso
alle Grotte; consultando i resoconti relativi alla costruzione della metropolitana di Torino, tempo fa ho trovato una interessante dichiarazione: sembra che uno degli operai, vittima dello scherzo di alcuni suoi colleghi, sia rimasto alcune ore a vagare per questa necropoli; cercando tra i resti di una strana nicchia, come la descrive lui, forse a caccia di qualche oggetto di valore, si aprì un aggio, ma l’uomo preso da timore non se la sentì di proseguire e venne ritrovato dopo poco tempo” “Una strana nicchia?” chiese Straw “Sì, almeno così la descrive, per questo mi riferivo al fatto di avere buoni occhi” Proseguirono a i lenti mentre la luce delle torce illuminava vecchie nicchie deteriorate dal tempo, ossa sparpagliate disordinatamente e cocci di vasellame; nel pesante silenzio di quel luogo di morte, la voce di Straw risuonò imperiosa: “Fermi! Venite a vedere” Si mossero verso il giornalista, illuminando una nicchia scavata in maniera asimmetrica rispetto alle altre; niente ossa, solo qualche coccio di colore scuro e ragnatele pesanti di polvere e umidità. “Io non ci vedo niente di particolare” disse Argot mettendo dentro il braccio e cercando di illuminare più spazio possibile. “Però qualcosa c’è” lo corresse Raineri. “Complimenti Straw, lei è un ottimo osservatore” “Ma cosa diavolo sta dicendo?!” sussurrò Argot all’orecchio del giornalista. “Osservi meglio, Argot”, rispose Straw puntando la sua torcia contro la parete destra della nicchia, “osservi quella piccola rientranza e la figura scolpita” In effetti, proprio nel punto indicato da Straw, era stato ricavato un triangolo nella roccia e dentro sembrava scolpita una stella. “Ma è la stella che abbiamo visto sulla statua dell’angelo, nella Fontana del Frejus!” esclamò stupito Argot. “Proprio così, amico mio, e non mi sembra affatto una coincidenza; mettiamoci alla prova”; così dicendo Straw si sdraiò dentro la nicchia e iniziò a tastare il simbolo sulla pietra.
“Si muove in qualche modo?” chiese Raineri da fuori. “No, non gira né a destra né a sinistra” “Provi a colpire con il manico della torcia, forse il tempo ha bloccato qualche meccanismo” Straw girò la torcia e iniziò a colpire la stella, sempre più forte, fin quando un rumore sordo non lo investì dal fondo della nicchia e la caduta di polvere e ragnatele non lo costrinse a uscire di fretta. Tossendo si appoggiò al muro di fronte quindi, quasi contemporaneamente, i tre uomini puntarono le torce verso il fondo della cavità; man mano che la polvere andava diradandosi iniziava ad intravedersi una profonda fessura, forse il meccanismo era in effetti quasi fuori uso e non aveva più la forza di scoperchiare completamente la lastra in fondo, abilmente confusa con il resto della roccia. Raineri fissò i due uomini: “Allora? Chi se la sente di effettuare l’ultimo sforzo?” Argot capì al volo, notò Straw ancora con il respiro affannato e si offrì volontario; appoggiandosi sulle spalle dei due uomini infilò le gambe nella cripta e iniziò a battere violentemente contro la lastra di pietra, fino a quando un tonfo assordante ne accompagnò la caduta dall’altra parte. Uno per uno arono dentro e si calarono giù, ritrovandosi in una vasta sala rischiarata da luci rossastre provenienti da alcune fessure lungo il perimetro superiore della volta. Un nuovo rumore, questa volta ben conosciuto, richiamò la loro attenzione e li costrinse a dirigere i fasci di luce proprio di fronte. “Non vorrei sbagliarmi, ma questo è il rumore della metropolitana” disse Raineri, “e proviene proprio da oltre quel muro” “Infatti” continuò Straw, “quelle deboli luci che arrivano sono proprio i segnali della metropolitana, dovremmo trovarci quasi adiacenti ai binari sotterranei, forse leggermente più in basso” Tra le torce e la luce che filtrava adesso era possibile osservare meglio la scena; si trovavano in quella che un tempo doveva essere una piccola sala ricavata nella roccia, completamente nuda e senza alcun segno di particolare importanza, ma i
loro sguardi vennero subito attratti da tre aperture, una a destra e due a sinistra. “Le Grotte Alchemiche” urlò Raineri in preda ad una incontenibile euforia. “Lo sapevo che esistevano, ne ero convinto!” Correndo si diresse verso la prima apertura per riapparire subito dopo urlando ancora a squarciagola: “Lo sapevo, lo sapevo!” Anche il giornalista e Argot iniziarono ad ispezionare i tre aggi ma quando tornarono insieme la delusione si leggeva chiaramente sui loro volti. “Qui non c’è nulla, Straw, è quasi tutto crollato, non c’è neanche un’uscita, tranne quella dalla quale siamo venuti” Il giornalista stava per replicare quando Raineri lo affrontò rabbioso: “La terza grotta, la tradizione dice che Apollonio nascose il talismano nella terza grotta!” “Si calmi, Raineri, lo ha visto anche lei, è tutto crollato, sicuramente i continui rumori della metro hanno prodotto più di una frana nel tempo” “Sì, Straw, ho visto, ma con questo buio non ne sono sicuro; anche lei è entrato nella terza grotta e prima di me, lei sa del talismano, è qui per questo, l’ho capito ormai!” “Lei si sbaglia, Raineri, si sbaglia di grosso” L’uomo sorrise, un sorriso bizzarro, reso ancor più strano dallo sguardo letteralmente da invasato; portò le mani dietro la schiena e una pistola si parò davanti al giornalista: “Me lo dia, Straw, a lei non serve, quel talismano è qualcosa di più che un semplice articolo di giornale” Argot fece un o indietro ma il suo movimento non sfuggì a Raineri: “La prego, signor Argot, non mi costringa a fare qualcosa di spiacevole; datemi il talismano e sarà stata una bella avventura per tutti” Straw con lo sguardo cercava una via d’uscita a quella spiacevole situazione: “Non faccia sciocchezze, Raineri, non ho preso nessun talismano, non c’è nulla in quelle grotte” Il dito dell’uomo iniziò a stringersi sul grilletto, Argot stava per assalirlo
rischiando il tutto per tutto ma Raineri fece due i indietro: “Andate verso la terza grotta, nessuna mossa falsa, sbrigatevi” Straw obbedì seguendo il commissario. “Adesso entrate, attenderemo che la metro i e se non avrò il talismano quello sarà l’ultimo rumore che sentirete” “Non faccia pazzie, lei è uno studioso, un ricercatore, cerchi di ragionare, non avremmo alcun motivo di mentirle” disse Argot cercando di guadagnare terreno a piccoli i. “Non faccia il furbo, signor Argot, con me non le conviene; Straw sa benissimo quanto è importante quel talismano e io conosco quanto sia grande la sua ambizione; fossi stato in lui ci avrei provato anche io. Il servizio dell’anno, un giornalista rivela i misteri di Torino…” “La smetta, le ripeto ancora una volta che non ho nessun talismano” replicò Straw risentito. “Vedremo, signor Straw; le confesso che è un vero peccato uccidere un collega come lei, ma la posta in gioco è troppo alta, il talismano di Apollonio di Tiana, il talismano dei miracoli, si rende conto?” “Mi rendo soltanto conto che lei ha perso il lume della ragione, Raineri!” Il terreno sotto i loro piedi iniziò leggermente a tremare, i vagoni della metro stavano per arrivare; Argot proruppe inaspettatamente in un moto di rabbia: “Maledizione, Straw, gli dia questo maledetto talismano, sta per arrivare la metro, non la sente?” “Ma che le prende, Argot?! Che diavolo sta dicendo?!” “La finisca, Straw, non ne vale la pena, non ho intenzione di morire come un topo nelle fogne di Torino” Il commissario iniziò a declamare tutta una serie di irriferibili parole, poi come una furia si avventò su Straw frugandogli nelle tasche della giacca: “Glielo dia, maledetto giornalista, dove lo ha nascosto?”
Raineri rimase perplesso cercando di seguire con la pistola i movimenti dei due uomini. Argot atterrò Straw con un calcio, poi gli si lanciò sopra ma cadendogli addosso si riversò prontamente da un lato riuscendo a estrarre la propria pistola; un colpo sordo e il grido rabbioso di Raineri si confo con il rumore della metro proprio accanto a loro. L’uomo tenendosi il polso che sanguinava abbondantemente cercò di portarsi verso l’arma ma il piede di Straw gli si posò sopra, bloccando la sua ultima speranza. “Complimenti, avete vinto, il talismano è vostro; adesso che ne sarà di me?!” “Meriterebbe molto peggio ma credo che questa lezione possa bastare” disse Argot puntandogli addosso la pistola. “Adesso cerchi di calmarsi, poi usciremo e faremo finta che non sia accaduto nulla” Raineri abbassò lo sguardo, e per ripararsi dalla luce che Straw gli aveva puntato in faccia girò la testa, fu proprio allora che entrambi videro una stella simile a quella della cripta, ricavata nella parete proprio dietro Raineri. L’uomo, incurante della pistola di Argot, venne nuovamente preso dal furore iniziale: “Il talismano, il talismano”, iniziò a battere con i pugni contro il simbolo mentre un secondo tremore indicava l’arrivo di un altro vagone; raccolse da terra una pietra e si scagliò contro la stella colpendola con tutta la sua forza; lo stesso rumore che li aveva sorpresi nella necropoli si confuse stavolta con quello della metro, la parete che sembrava chiudere la grotta cadde tutta d’un pezzo dall’altro lato e Raineri si precipitò verso l’apertura. Fu questione di un attimo, Argot si tuffò ancora una volta su Straw mentre il vagone della metro risucchiava Raineri portando con se le sue ultime, incomprensibili, parole. Doloranti i due uomini si alzarono, il silenzio era tornato nuovamente padrone delle Grotte Alchemiche. “Maledizione, Straw, mi ha fatto proprio faticare stanotte!” Il giornalista si ricompose prendendo fiato, quindi abbracciò il commissario: “Grazie, amico mio, senza di lei non sarei mai uscito da questi sotterranei” Ripresero la strada del ritorno non senza qualche difficoltà; usciti fuori si abbandonarono stanchi su un sedile.
“Non solo non abbiamo trovato nulla ma stavamo anche per lasciarci la pelle; dove abbiamo sbagliato, Straw?” “Non lo so, Argot, non lo so, eppure il posto dovrebbe essere questo” “Già, e poi le indicazioni di Raineri non facevano una grinza, scommetto che nessuno conosce questa città come la conosceva lui; quattro indicazioni, due per il luogo e due per la città; dove potrebbe aver sbagliato?” Straw cercava di concentrarsi nonostante fosse dolorante e incredibilmente stanco. “Continuo a non capire” “Certo, Raineri aveva frainteso” continuò il commissario. “Cercava quel maledetto talismano, ma in ogni caso avremmo dovuto trovare anche il Finis. Tre sorelle che attendono sotto il trono sono le grotte, il trono è il palazzo reale e poi le due indicazioni per la città!” D’un tratto Straw sembrò riprendere il suo solito vigore: “Cosa ha detto, Argot?” “Cosa ho detto quando?” “Quando ripeteva il messaggio di Fulcanelli, cosa diceva esattamente?” “Tre sorelle che attendono sotto il trono sono le Grotte Alchemiche” “Sbagliato, Argot” lo interruppe il giornalista, “ecco cosa mancava.. come diceva Raineri, è una questione di punti di vista!” “Adesso sono io a non seguirla, di cosa sta parlando?” “Parlo del messaggio amico mio; Raineri l’ha interpretato dal suo punto di vista, cioè partendo dalla ricerca del talismano di Apollonio, ma noi sappiamo invece che si tratta del Finis e che il Finis è strettamente legato all’alchimia; sappiamo anche che per ritrovarlo è necessario compiere la Grande Opera. Questo deve essere il nostro punto di vista, Argot!” Il commissario rimase perplesso: “Non capisco cosa cambia, Straw, il risultato è sempre lo stesso”
“Assolutamente no, mi segua e capirà anche lei. Raineri ci disse che il messaggio si componeva di quattro parti, due indicavano il luogo e due la città; lei poco fa si riferiva alle tre sorelle dicendo che attendono sotto il trono però, se ben ricorda, Fulcanelli scrive che attendono nell’ombra sotto il trono!” “Va bene, Straw, una mia omissione, non mi sembra però poi così rivelatrice!” “Al contrario, Argot, non si tratta dell’omissione in sé, quanto del fatto che il suo omettere quel breve periodo mi ha dato l’idea di leggere il messaggio da un diverso punto di vista; continui a seguirmi, la prego: la nostra ricerca è anche il compimento della Grande Opera, siamo in pratica dei moderni alchimisti che seguono un percorso, anche i messaggi di Fulcanelli sono di chiaro contenuto alchemico, quindi, le tre sorelle che attendono nell’ombra non sono l’allegoria di qualcosa di sepolto, bensì l’indicazione che si tratta della prima fase, l’Opera al Nero. Proviamo adesso a rileggere il messaggio dandogli un senso compiuto: a Torino, la città schierata sul quarantacinquesimo parallelo si svolgerà la prima fase dell’Opera…” “E si svolgerà dove una sola stella splende accompagnata dalla luna” lo interruppe Argot completando. “Appunto, Argot, esattamente. Non sono le tre sorelle a nascondere il Finis, ma il luogo dove una sola stella splende!” Argot sorrise, ma era più che altro un ghigno di disperazione: “Mi perdoni, Straw, non voglio rendere vana la sua intuizione, ma che significa?” “Non saprei, Argot” rispose Straw alzando le spalle, “però di stelle ne abbiamo viste abbastanza questa sera, ricorda? Una stella sul capo dell’angelo, una nella cripta, una nella grotta, sarei davvero sorpreso se tutto questo non avesse in qualche modo a che fare con la nostra ricerca!” Il commissario lanciò uno sguardo comionevole verso Straw: “La prego, non mi dica che dobbiamo scendere nuovamente lì sotto!” “Purtroppo credo proprio di sì, a meno che lei voglia fare a pezzi la Fontana del Frejus!” Ancora una volta, dopo che Argot sfogò il proprio disappunto producendosi in un irrefrenabile turpiloquio in lingua se, i due uomini si ritrovarono nei
sotterranei, in prossimità della cripta che dava accesso alle Grotte Alchemiche. “Allora, Argot, cerchiamo di concentrarci su ciò che vediamo; una prima stella è sicuramente su in alto, nella statua dell’angelo, ma è più probabile che si tratti di una indicazione che non del posto dove cercare materialmente il Finis” “In poche parole dovremmo setacciare tutta la necropoli!” continuò ironicamente Argot. “Non tutta, amico mio, non tutta” disse Straw aggirandosi nervosamente tra le tombe. D’un tratto la luce della sua torcia venne inghiottita dal buio. “Straw, dove sta andando? Non vedo più la sua torcia” urlò Argot. La voce del giornalista gli fece eco da lontano: “Segua la mia voce, Argot, sono qui” “Qui dove?!” Imprecando il commissario si mosse verso la fine del corridoio, girò a sinistra e subito dopo a destra, alla fine notò la luce della torcia che Straw agitava per segnalare la sua presenza. Si ritrovò in una piccola sala rotonda, la volta a cupola doveva essere un tempo decorata come un immenso cielo stellato ma l’umidità aveva cancellato quasi tutto, l’unica cosa che si riusciva a intravedere quasi interamente, come spiegò Straw, era la costellazione della Vergine. “Penso che questo luogo sia stato usato come sepoltura anche dopo la fine del periodo romano e queste piccole croci, chiaramente Templari, mi fanno pensare di aver colto nel segno. Osservi bene, Argot, tutte le nicchie avevano disegnata sopra una parte dell’immagine riportata nel soffitto, forse una costellazione; e sono tutte una diversa dall’altra” Si spostò verso il fondo indicando una nicchia scavata in orizzontale, rispetto alle altre che erano tutte ricavate verticalmente alle pareti. “Osservi questa nicchia, osservi in alto, probabilmente la decorazione era tutta blu o azzurra, un cielo stellato, però…”
“Però…”, continuò Argot, “la luna e una stella sono ricavate nella pietra” “Infatti” esclamò ansioso Straw allungando il braccio verso i due simboli. Toccandoli provò a spingere, girare, forzare, ma non accadde nulla. Indispettito si strofinò la mano dolente mentre Argot lo osservava senza nascondere un certo divertimento. “Lo trova divertente, Argot?” “No, pensavo soltanto a questo suo modo di fare” “Cioè?” “Non appena nota strane sporgenze o simboli particolari, istintivamente prova a girarli oppure a forzarli” “Perché, lei cosa farebbe?” “Io proverei a tirare!” “Tirare?!” “Osservi meglio, Straw, la parte dipinta è danneggiata dal tempo ma in maniera uniforme; la luna scolpita ha seguito il naturale deterioramento della roccia, ma la stella non ha i colori che si notano in tutto il blocco” Il giornalista puntò la torcia sulla stella, quindi ispezionò minuziosamente tutto l’incavo roccioso: “In effetti debbo ancora riconoscere la mia disattenzione” “Troppa fretta e troppa emozione giocano brutti scherzi” sentenziò Argot. “Perfettamente d’accordo; osservi i buchi naturali della roccia, è come se la stella fe da tappo a una di queste piccole cavità naturali”. Straw iniziò a scavarne i bordi, quindi tentò di tirare verso di sè; la presa non era delle migliori ma con l’aiuto di Argot il manufatto iniziò a cedere e la caduta di pulviscolo e detriti rincuorò i due uomini. Colpendo la stella da tutti i lati finalmente cedette, e con un ultimo sforzo venne fuori, trascinandosi dietro un bussolotto di metallo simile a quello ritrovato nella Basilica di Collemaggio.
Ancora una volta i due uomini si fecero riprendere dall’euforia e come già accaduto in precedenza, avvolto allo stesso modo del primo, trovarono un rotolo formato da fogli molto spessi avvolti tra loro. Man mano che svolgevano le pagine, l’euforia che poco prima li aveva colti, si andava trasformando in delusione. “Straw, questo sicuramente è il Finis ma è incompleto!” “Infatti, come pensavo!” “Lo sapeva?!” chiese stupito Argot. “Lo sospettavo, ma ho sempre sperato che la mia fosse una intuizione sbagliata. Se Fulcanelli parla di Fasi Alchemiche e queste sono quattro, temo proprio che il Finis sia diviso in quattro parti” “Sa cosa significa questo, vero?” “Lo so, Argot, siamo solo all’inizio” L’ultimo foglio riportava in basso il simbolo stilizzato di un fiore, quindi continuava con un nuovo messaggio: “Al Principe che per pietà fece velare il Cristo morente lascio l’onore di seguire la terra fino a quando non sarà acqua, poiché dove c’è morte c’è rinascita e ciò che nel sepolcro rimane sigillato non dà frutto ma è come pianta che pur senza fiore si perpetua. Tutto riposa ancora nel ventre della Fenice. Fulcanelli” Risalirono in silenzio e ripresero posto nello stesso sedile sul quale, poco prima, Straw aveva avuto la sua intuizione: “Adesso che si fa, Straw?” chiese Argot respirando affannosamente. “Si continua, commissario, ma soprattutto, non ci lasciamo prendere dallo sconforto” “Penso proprio che ne abbiamo tutto il diritto, non crede?” “Anche questo è vero, abbiamo pensato a questa vicenda come una caccia al
tesoro, ma non si tratta del solito gioco per bambini. Fulcanelli vuole assicurarsi che a trovare il Finis siano persone degne dell’impresa e noi abbiamo anche un motivo in più per portare a termine questa ricerca” “Tre motivi, Straw” lo interruppe Argot, “il povero signor Canseliet, De Matteis, e non dimentichiamoci di Padre Sarnetti” “Ma non dimentichiamo anche un’altra cosa, commissario; forse lei non se ne rende conto, ma in questo momento stringe tra le mani l’ultima opera di Fulcanelli, quella che tutti hanno ritenuto fosse perduta per sempre” “Lo so, e so anche che muore dalla voglia di leggerla, ma lo faremo magari domani, quando saremo più riposati e lucidi. Nel frattempo concentriamoci sul messaggio finale e, soprattutto, rientriamo in albergo, ne ho proprio bisogno” “A chi lo dice, Argot!” Un provvidenziale taxi raccolse i due uomini e li condusse verso il meritato riposo sotto lo sguardo incuriosito del conducente che, però, non osò chiedere da quale brutta avventura fossero venuti fuori.
Capitolo 15
Soltanto nel primo pomeriggio Argot aprì a fatica gli occhi, appurò stendendo il braccio che il bussolotto fosse sempre al suo posto sul comodino, quindi si avviò barcollando verso la doccia. Trovò Straw seduto nella hall che a fatica cercava di imporsi un atteggiamento rilassato, non riuscendo a nascondere l’evidente stanchezza che trapelava dal suo viso. “Dormito bene, Straw?” “Di sasso, Argot, ma non è servito a molto, mi sento più stanco di prima!”, rispose il giornalista guardando l’orologio. “Qualche intuizione durante la notte?” chiese Argot sedendosi nella poltrona accanto. “Non proprio, ma ho paura che ci attende un nuovo viaggio” “Ancora! E stavolta quale sarà la nostra meta?” “Il paese del sole, caro Argot; non ho capito molto del messaggio ma su una cosa sono certo, l’unico Principe alchimista che fece velare il Cristo è Raimondo di Sangro e la sua città è Napoli” “In che senso fece velare il Cristo?” Straw sorrise: “Raineri era il massimo esperto per quanto riguarda Torino ma sul Principe non temo rivali; il Cristo Velato è una famosa scultura che si trova a Napoli, precisamente nella Cappella Sansevero” Argot fece delle strane smorfie con le labbra, Straw lo osservò divertito poi si alzò di scatto: “Coraggio, commissario, rifacciamo i bagagli, mangiamo qualcosa e andiamo, Napoli ci aspetta. A proposito, non le dispiace pagare lei l’albergo, magari poi a Roma ne parliamo!”
Argot rispose in se, termini incomprensibili ma sicuramente poco gradevoli; Straw sorrise ancora una volta di rimando lasciando che la porta dell’ascensore, chiudendosi, zittisse le proteste del commissario. Viaggiarono tutta la notte per arrivare a Napoli alle prime luci del mattino; fu una fatica immensa, ma quando l’alba iniziò a designare ai loro occhi i contorni della città, pensarono che in fondo ne era valsa la pena. La tranquillità delle prime ore del giorno tratteneva ancora la città in uno stato di pace quasi trascendentale, tiepidi colori si incanalavano tra le strade ancora semideserte e disegnavano contorni che presto il traffico cittadino avrebbe sbiadito, contorni irreali, magie di pastelli che mai nessun pittore aveva usato se non nella sua anima e nelle sue più intime fantasie. Il loro primo pensiero fu quello di cercare un alloggio e lo trovarono dalle parti di Via San Gregorio Armeno, un vero colpo di fortuna visto che la loro meta era poco lontana; questa volta però si premurarono di prenotare per più di una notte, visto che sicuramente la ricerca non sarebbe stata così semplice come nel caso di Torino. ata la mattina a discutere sulle prossime mosse da intraprendere, arrivarono subito dopo pranzo a Piazza San Domenico Maggiore, e proprio di fronte all’obelisco che ricorda le centinaia di bambini morti durante le varie pestilenze scoppiate a Napoli, si presentò loro la sagoma del Palazzo Sansevero; più che all’architettura dello stabile, il loro sguardo corse ai lati dell’antico portone, al civico nove, e in particolare alle feritoie sbarrate di quello che era una volta l’antico laboratorio di Don Raimondo di Sangro. Straw prese subito la parola precedendo le tante domande che Argot stava per riversagli addosso: “Questo è quanto resta dell’antico laboratorio di Sansevero e, escludendo la Cappella nella quale è molto improbabile che possa essere stato nascosto qualcosa, direi che dovremmo ingegnarci per trovare il modo di accedere a quel sotterraneo” “Non credo che questa volta potrò esserle di grande aiuto, io ufficialmente sono in ferie e non posso certo chiedere un permesso per entrare; a parte il fatto che non ci sarebbe un motivo plausibile, la notizia arriverebbe entro stasera sul tavolo del questore” “Capisco, ma Robert Straw è qui anche per questo!” Con un sorriso da bambino dispettoso tirò fuori il cellulare dalla tasca dei
pantaloni e dopo una breve ricerca sulla rubrica chiamò un numero; iniziò una concitata discussione della quale Argot capì poco visto che il giornalista aveva, come tanti, il vizio di parlare al cellulare muovendosi in lungo e in largo. La telefonata durò un paio di minuti poi, trionfante, Straw ritornò verso Argot con lo stesso sorriso di prima. “Non ci resta che aspettare, commissario” “Aspettare cosa?” “Abbia pazienza e si fidi del suo amico Straw” arono circa dieci minuti durante i quali i due uomini fantasticarono sul palazzo e sul suo misterioso proprietario, fino a quando le loro congetture non vennero interrotte dal rumore di un motorino che si avvicinava a tutta velocità. Era una di quelle vecchie moto con la classica marmitta dal suono assordante e fastidioso, in sella un giovane in jeans, con un golfino azzurro aderente, capelli lunghi tenuti a bada da una appariscente fascia rossa e annodati in una vistosa treccia svolazzante. Il ragazzo fermò la moto proprio davanti a Straw e salutò con cortesia ma evidente fretta il commissario; poi si rivolse direttamente al giornalista: “Robert Straw, ti credevo immerso in qualche esperimento di alta magia” Straw sorrise stringendo la mano al ragazzo: “Ultimamente gli unici esperimenti che porto avanti sono quelli per fare soldi, ma puntualmente falliscono tutti!” “Come sempre!” Il ragazzo sorrise, poi si rivolse ad Argot: “Collega?” Straw interruppe sul nascere la presentazione del commissario: “No, il signor Argot è un mio amico, uno studioso di alchimia, sta scrivendo un saggio su Sansevero. Ma non vi ho ancora presentato; signor Argot, questo è Marcello Capece, lavora nella redazione di Napoli per la mia stessa rivista e può darci una mano per il nostro, diciamo, problema!” “Piacere, signor Capece, Filippo Argot” “Bene, signor Argot, so che Straw si interessa spesso di cose bizzarre ma questa
richiesta confesso che mi ha sorpreso, sicuro di voler scendere nel laboratorio di Sansevero?” Argot si schiarì la voce cercando di evitare il proprio imbarazzo. “Sarebbe molto interessante per il mio lavoro, sempre che sia possibile” “Siamo a Napoli, signor Argot, qui niente è impossibile, basta rivolgersi alle persone giuste, vero, Straw?” “Appunto” rispose di rimando il giornalista, “infatti mi sono proprio rivolto all’unica persona che può aiutarci” Argot riprese finalmente il controllo della situazione: “E come potrebbe aiutarci, signor Capece?” “Semplice, conosco una persona che abita proprio qui dietro, siamo amici d’infanzia e siamo rimasti in ottimi rapporti nonostante lui si dia da fare come può per tirare avanti” “Da fare in che senso, scusi?” “A Napoli non tutti sono così fortunati da trovare un lavoro, signor Argot, così quelli meno fortunati si arrangiano come possono; intendiamoci, non vi sto proponendo niente di illegale, diciamo che il mio amico vi fa entrare nel suo magazzino e voi non fate caso al suo contenuto” “Ma che centra il magazzino con il laboratorio di Sansevero?” “Non sia pessimista, queste case sono quasi tutte collegate tra loro, sotto di noi esiste un dedalo di aggi, vie e viuzze che lei non immagina neppure; per nostra fortuna il magazzino del mio amico ha una porticina che sbuca proprio nello scantinato del palazzo” Argot osservò il giornalista lasciando trasparire tutta la sua titubanza, il ragazzo invece aveva fretta e incalzò i due uomini: “Allora, si fa o non si fa? Il mio amico ci aspetta adesso ma non attenderà a lungo” Sebbene la cosa andasse contro i princìpi del commissario alla fine decisero di seguire il collega di Straw il quale, bloccata la moto con una grossa catena, si diresse verso una viuzza poco distante. Dopo pochi metri si fermarono davanti a
una abitazione fatiscente; Capece bussò tre volte alla porta di legno e questa si aprì, il terzetto entrò dentro ed una voce profonda da dietro la porta ancora aperta li invitò a scendere per le scale in fondo a sinistra. Si ritrovarono in un piccolo pianerottolo polveroso, proprio sulla destra un’altra porticina sembrava essere la loro prossima meta. “Abbastanza riservato il suo amico!” disse Argot rivolgendosi a Capece. “Non ritiene sia importante che vi conosciate, ci sta facendo un favore e questo deve bastarci” Il commissario brontolò e continuò a seguire i due uomini; superata la porta dovettero affrontare una nuova scala, questa volta ricavata scavando la pietra; girarono leggermente a sinistra, e dopo pochi metri percorsi in un angusto e maleodorante cunicolo, si trovarono in una sala ampia e profonda, illuminata dalle dalla luce proveniente dalle grate di ferro che avevano visto prima in superficie. “Signori, benvenuti nel laboratorio del Principe di Sansevero” L’annuncio di Capece, che avrebbe dovuto essere una soddisfazione per i due uomini, si trasformò ben presto in una profonda delusione non appena iniziarono a guardarsi attorno. La sala, avvolta nelle ragnatele e con evidenti segni di umidità che si affacciavano pericolosamente lungo tutto il perimetro, era soltanto un fortuito nascondiglio per merci sulle quali Argot non volle soffermarsi, visto che sulla loro provenienza non potevano esserci molti dubbi. Decine di casse e scatole erano accatastate l’una sull’altra lungo il perimetro della sala; al centro, su alcuni tavolini di plastica, faceva bella mostra quella che poteva benissimo essere scambiata per la vetrina di un negozio di elettronica; radio, cellulari, carcasse di computer, monitor, tutto accumulato alla rinfusa in attesa di chissà quale misteriosa destinazione. Argot lanciò uno sguardo di totale sgomento in direzione di Straw, e quest’ultimo non riuscì a fare altro che indirizzarlo a Capece, il quale alzò le spalle e rimase in silenzio attendendo che i due uomini portassero a termine la loro esplorazione.
“Straw, non credo che qui ci sia molto da scoprire” “Non sembra neanche a me, eppure non posso essermi sbagliato, esiste un solo posto dove viene ricordato il Principe e questo posto è Napoli, così come è plausibile che Sansevero avesse un laboratorio per condurre indisturbato i suoi esperimenti, e qui siamo nel suo laboratorio, dove altro potrebbe trovarsi la seconda parte del manoscritto di Fulcanelli?!” “Mi perdoni, Straw, ma sinceramente non riesco a capire perché si sia così intestardito con Sansevero e con Napoli, quel messaggio poteva voler dire qualunque cosa in fondo” “Non sono d’accordo; cerchi di ricordare bene quanto ha scritto Fulcanelli: al Principe che per pietà fece velare il Cristo morente lascio l’onore di seguire la terra fino a quando non sarà acqua, poiché dove c’è morte c’è rinascita e ciò che nel sepolcro rimane sigillato non dà frutto ma è come pianta che pur senza fiore si perpetua. Tutto riposa ancora nel ventre della Fenice. Mi segue adesso, Argot? Il Principe che cerchiamo è proprio di Sangro e quel riferimento all’atto di velare il Cristo è da ricondurre al Cristo Velato[1], famosa opera custodita nella Cappella Sansevero. Non è possibile sbagliarsi” Argot continuava a non essere convinto; setacciarono l’intera sala sotto lo sguardo incuriosito e divertito di Capece, nulla si sottrasse alla loro ricerca; ogni pietra, ogni angolo, ogni cumulo di polvere e ragnatele che appariva sospetto, arrivarono a scavare con le mani lungo il perimetro dei muri e spazzare il pavimento con una improvvisata scopa alla ricerca di qualche botola segreta; l’unico risultato fu soltanto una enorme nube di polvere che alla fine li costrinse a desistere, oltre che una lauta mancia che, soltanto alla fine, si scoprì essere la parte più importante dell’accordo. Tornati nuovamente sulla stradina respirarono a pieni polmoni; avevano gli occhi arrossati e i vestiti coperti di ragnatele e brandelli di polvere antica solidificata, oltre una profonda delusione chiaramente leggibile nei loro volti affaticati. Capece salutò cordialmente Straw e diede un’occhiata maliziosa al commissario, quasi avesse capito che non si trattava del solito scrittore di saggi sull’esoterismo. “Abbiamo fallito, vero?”
“Non lo so, Argot, l’unica cosa certa è che laggiù c’era di tutto tranne il Finis” “Forse siamo stati troppo irruenti nell’interpretare quel messaggio” “Non credo proprio” “Lei non ammette mai di aver sbagliato, Straw?” Il giornalista gli lanciò un’occhiata di sfida, ma la stanchezza e l’evidenza dei fatti non deponevano certo a suo favore e alla fine dovette ammettere di essersi fatto trasportare dagli eventi. “Solitamente odio ammettere di aver sbagliato ma penso che questa volta dovrò farlo” “Le costa così tanto?” “E’ una questione di carattere, Argot, odio sbagliare, odio chi mi fa notare i miei errori e odio mortalmente il sentirmi dire cosa devo fare” “Che brutto carattere!” “A scuola lo definivano insofferenza alla disciplina, a volte mi procura qualche problema ma debbo ammettere che il più delle volte può anche essere divertente” “Contento lei! E adesso come intende procedere?” “Sicuramente con una doccia tiepida e un buon sonno, vedrà che ci porteranno consiglio” Una doccia veloce ed una altrettanto veloce prima colazione diede ai due uomini la carica necessaria per affrontare quella che prevedevano sarebbe stata una lunga e difficile giornata. Nella hall dell’albergo Straw illustrò ad Argot le sue intenzioni sorseggiando un ottimo tè. “Ripensavo a quel messaggio, Argot, e ripensavo al Principe; non c’è dubbio che Fulcanelli si riferisca a lui ma forse abbiamo sottovalutato il tono della frase”
“In che senso?” “Fulcanelli vuole innanzitutto farci capire chi è la persona che, inconsapevolmente, detiene il Finis, la identifica come colui che per pietà fece velare il Cristo morente, chiaro riferimento a Sansevero per le ragioni che le ho già spiegato; poi continua con l’intenzione di chiarire il posto chiedendoci di seguire la terra fino a quando non sarà acqua, accennando a un sepolcro e parlando di una fenice, il favoloso uccello sacro che dopo aver vissuto per 500 anni, quando sentiva sopraggiungere la propria morte si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia o di una palma” “Che strana leggenda!” “Strana forse, ma attinente alla nostra ricerca” “In che senso?” “Per costruire il proprio nido la Fenice accatastava ramoscelli di mirto, incenso, sandalo, legno di cedro, cannella, spigonardo, mirra e le più pregiate piante balsamiche, con le quali intrecciava un nido a forma di uovo. Infine vi si adagiava, lasciava che i raggi del sole l'incendiassero, e si consumava lentamente nelle sue stesse fiamme mentre cantava una canzone di rara bellezza. Per via della cannella e della mirra che bruciavano, la morte di una Fenice era spesso accompagnata da un gradevole profumo. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva o un uovo, che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell'arco di tre giorni. Effettuata questa trasformazione la nuova Fenice, giovane e potente, volava ad Heliopolis e si posava sopra l'albero sacro; Heliopolis, le dice niente questo nome?!” Argot annuì con il capo mentre Straw finì di sorseggiare il suo tè. “In conclusione, caro Argot, per quanto folle possa apparire l’idea, ritengo che dovremmo fare una visita alla Cappella Sansevero” “Ma lei stesso mi ha detto ieri che è improbabile pensare di trovare qualcosa proprio nella Cappella!” “Improbabile, ma non impossibile, in ogni caso non abbiamo altra scelta, a parte queste due testimonianze non c’è niente altro che possa riportarci al Principe”
La doccia mattutina conservava ancora i suoi effetti benefici e la nuova carica di energia li fece procedere abbastanza speditamente lungo Via dei Tribunali, alla volta della Cappella Sansevero. Ancora una volta il silenzio regnava sovrano, né Straw né Argot avevano voglia di battute sarcastiche, erano totalmente concentrati sulla loro prossima meta e ben consapevoli che non avrebbero facilmente risolto il terzo enigma; arono per Vico Sansevero e diedero ancora una volta un’occhiata al Palazzo provando un forte senso di sconforto e malinconia, misto alla ferita ancora aperta relativa al fallimento del giorno prima; secoli di storia, di tragedie e di ombre erranti sembravano aver lasciato segni indelebili su quelle mura. In quel luogo il Principe di Venosa, Don Carlo Gesualdo[2] offrì la sua casa al Tasso, e in quel luogo donna Maria d’Avalos venne uccisa dallo stesso don Carlo, dopo essere stata colta insieme al suo amante, Fabrizio Carafa, ma soprattutto in quel luogo visse il misterioso personaggio che adesso, inconsapevolmente, lanciava la propria sfida, Raimondo Di Sangro, Principe di Sansevero. Proprio nei sotterranei di quel palazzo il Principe, tra fiamme vaganti e luci infernali, portava avanti i propri esperimenti, componeva meravigliose misture e scopriva dopo quattro mesi di prove e di indagini, una delle sue più importanti rivelazioni, il fuoco eterno. La grandezza di quest’uomo e la sua straordinaria intelligenza, unite a una vita misteriosa e movimentata, non aiutavano certo Straw ad essere fiducioso sulla riuscita dell’impresa che lo attendeva; d’altra parte Argot, pur ignorando quasi del tutto i retroscena inerenti il Principe, avvertiva la netta sensazione di stare per confrontarsi con qualcosa di assolutamente impenetrabile e immensamente lontano dal suo modo di pensare e di vedere le cose. Arrivarono alla Cappella quando già un buon numero di turisti si era disposto in fila attendendo l’apertura, ma una volta entrati non poterono fare a meno di provare un senso di vertigine di fronte allo spettacolo che si offrì ai loro occhi. La Cappella, composta da un’unica navata a pianta longitudinale e con quattro archi per lato, intimava rispetto e contemplazione allo stesso tempo; ognuno dei quattro archi accoglieva un monumento sepolcrale, fatta eccezione per il terzo a sinistra dall’ingresso principale, nel quale era collocato un altro accesso laterale. Il cornicione, come spiegò Straw, era stato costruito con un tipo di mastice inventato dallo stesso Di Sangro e correva lungo tutto il perimetro al di sopra
degli archi; la volta era a botte, superbamente affrescata e interrotta da sei finestre che davano luce all’intero edificio. La pavimentazione era in cotto napoletano, di epoca più recente rispetto a tutto il resto, smaltata in giallo e azzurro, i colori del casato del Principe; anche qui il motivo era un labirinto ma con una sostanziale differenza rispetto a quello, più ideale che visibile, con il quale si erano imbattuti nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio; nella cappella Sansevero infatti, all’interno delle tarsie policrome in marmo, si notava chiaramente incastrata una linea, anche essa di marmo bianco, che correva continua e senza giunture; anche questa era una delle prodigiose invenzioni del Principe. Di fronte a tanta magnificenza Straw dimenticò lo scopo della visita e lo stesso accadde ad Argot, i due si abbandonarono alle loro più intime sensazioni seguendo il flusso dei turisti incuriositi, tanto da perdersi di vista. ando sotto il singolare sepolcro di Cecco di Sangro[3], posto proprio sopra l’ingresso, provarono lo stesso pudore espresso nel monumento della Pudicizia, vissero profondamente il dolore dell’inganno ammirando il monumento omonimo e perdendosi con lo sguardo tra le perfette maglie marmoree della rete che avvinghiava il personaggio scolpito; provarono pietà e rabbia davanti al Cristo Velato, oltre all’istintivo bisogno di toccare quel velo realizzato in marmo ma trasparente come fine seta pregiata, provarono infine orrore e inquietudini nel sotterraneo che ospita le Macchine Anatomiche, due corpi umani sui quali è perfettamente visibile intorno allo scheletro l’intero sistema delle vene e delle arterie, un altro degli strani e misteriosi esperimenti del Principe. Quando si ritrovarono al centro della sala avevano i volti accesi e gli occhi colmi di stupore; si osservarono, annuirono con la testa, un tacito assenso delle proprie emozioni, poi ripresero ognuno il proprio ruolo, la caccia stava per iniziare! “Straw, questa volta credo proprio che sarà dura!” “Sì, credo proprio anche io!” rispose il giornalista osservando ancora una volta gli affreschi della Cappella. “Ma non perdiamoci d’animo; ci siamo fatti una prima idea del problema, adesso un bel caffè caldo ci aiuterà a trovare una soluzione” Uscirono quasi a malincuore e un bar poco distante fu la loro prossima meta. Il calore dell’accoglienza napoletana li mise subito a loro agio; Argot ordinò il
solito caffè mentre Straw si concesse una tazza di tè, bevanda che a suo dire lo aiutava a riflettere. “Ebbene Straw, che sappiamo del nostro famoso Principe?” Il giornalista assunse la solita aria da oratore. “Sansevero è quasi una leggenda a Napoli, le storie su di lui sono tante e come accade per questo tipo di personaggi, a metà tra il sacro e il profano, non è facile distinguere la verità dalle dicerie popolari. Se non ricordo male Raimondo Di Sangro nacque nella provincia di Foggia nel 1710, rimase in poco tempo orfano di madre e venne affidato alle cure del nonno, Paolo di Sansevero, che portò con sé il ragazzino a Napoli. Il titolo di Principe lo ereditò proprio da quest’ultimo ma il suo fenomenale ingegno era una qualità che si portava dalla nascita e fu la sua fortuna e la sua rovina allo stesso tempo. Approntò molte invenzioni che andavano oltre la sua epoca, fu alchimista e Gran Maestro della Massoneria Napoletana, cosa che gli procurò la scomunica papale, in seguito revocata da Benedetto XIV[4]. L’alone di mistero che lo circonda ancora oggi è in parte dovuto all’impossibilità riscontrata in quel tempo di segnare con precisione i confini della sua scienza” Argot ancora una volta si compiacque della preparazione del giornalista, ma non riuscì a nascondergli le sue perplessità. “Sarà pure una storia intrigante, Straw, ma non vedo in che modo ci possa tornare utile!” “Forse dovremmo riprendere un attimo la lettera di Fulcanelli e cercare di leggere tra le righe. Il riferimento a Sansevero è chiaro, così come è logico, almeno adesso, pensare alla Cappella; il problema ora consiste nel cercare di capire cosa possa celare questo edificio e soprattutto dove” Argot si rabbuiò e iniziò a gesticolare. “Straw, spero proprio che non mi stia suggerendo un’altra effrazione, con magari una violazione di proprietà e relativi atti di vandalismo!” “No, Argot, stia tranquillo, questa volta credo proprio che la situazione sia molto
più complicata” “In che senso?” “Semplice intuizione; in ogni caso non possiamo muoverci senza avere altre informazioni. A Roma avrei potuto consultare il mio archivio ma possiamo sempre ovviare” Straw bloccò il ragazzo del bar accompagnando al gesto della mano un sorriso da manuale. “Scusi, saprebbe dirmi se da queste parti c’è un Internet Cafè?” “Un Internet che?” Il ragazzo ricambiò il sorriso tentando di nascondere la propria ignoranza in materia. “Un Internet Cafè. Insomma, un posto dal quale ci si possa collegare a Internet” “Ah…o’ computèr!” “Si proprio quello” “Giri la prima a destra, c’è un amico mio che cià un negozio e tiene pure tre computèr per la posta, per gli stranieri” “Grazie, molto gentile” Argot seguì divertito la discussione. “Bene, commissario, abbiamo trovato o’ computèr, diamoci da fare” L’ambiente non era proprio il massimo della professionalità, ricambi per stampanti e PC erano disposti disordinatamente sugli scaffali, dietro al bancone una buona raccolta di film in dvd, sulla cui provenienza Argot preferì non soffermarsi e ancora dietro una apertura coperta da una tendina verde che segnava l’accesso ad un piccolo vano predisposto per collegarsi a internet tramite tre PC disposti su un unico tavolo rettangolare. Appurata la possibilità di stampare l’esito delle ricerche e dopo aver patteggiato
il costo di almeno due ore di connessione, i due si misero a lavoro, quantomeno, Straw si mise a lavoro, perché Argot, pur mettendoci tutta la sua buona volontà, inizialmente rimediò soltanto qualche sito porno e una lunga lista di alberghi del napoletano. Il giornalista alternava momenti di sconforto a scatti di incredibile euforia; man mano che andava avanti con le proprie ricerche prendeva appunti su un taccuino e sembrava quasi suonasse sulla tastiera, serrando le labbra ogni qual volta che riusciva a trovare una notizia interessante e chiudendo gli occhi ad ogni click del mouse, quasi un bambino perso in una fantastica caccia al tesoro, tanto che Argot decise che era molto più divertente osservare Straw nelle sue buffe manovre che non perdere tempo a farsi prendere in giro da una scatola di metallo. Superarono abbondantemente le due ore, ma quando Straw uscì era raggiante e teneva ben stretto in mano il suo taccuino colmo di appunti e un consistente numero di fogli tenuti assieme da un improvvisato elastico. Pranzarono in albergo per poi rifugiarsi nella stanza di Argot, ansiosi entrambi di confrontarsi. “Allora, Straw, mi stupisca con le sue rivelazioni!” “C’è poco da stupirsi, Argot, abbiamo un quadro diverso della situazione ma questa volta sarà davvero dura” “Non mi aspettavo certo una eggiata!” Il giornalista dispose in ordine sul letto i fogli stampati all’Internet Cafè quasi fossero in sequenza logica. “Mi dia la lettera di Fulcanelli” Argot tirò fuori dalla giacca il suo porta documenti e porse la lettera a Straw il quale la sistemò proprio al centro del puzzle che aveva appena creato, quindi, come al solito, si schiarì la voce e iniziò ad illustrare le sue ricerche. “Partiamo dalla lettera ritrovata a Torino: Fulcanelli ci dice di aver nascosto il Finis seguendo le fasi dell’opera alchemica. Abedo, la seconda delle quattro fasi, dovrebbe compiersi proprio qui a Napoli, d’altra parte l’accenno al Principe non lascia dubbi. La Cappella di Sansevero è il posto nel quale dovremmo trovare l’indicazione ma si tratta di un luogo pubblico, rimaneggiato nel tempo,
sottoposto a restauri, se qualcosa c’era sarebbe prima o poi venuta fuori” “Scusi se la interrompo, Straw, ma potrebbe benissimo trattarsi di un indizio o di un nascondiglio così bene in vista tanto da non farci caso nessuno; d’altra parte sa benissimo che il luogo migliore per nascondere un oggetto è proprio sotto la vista di tutti” “Concordo, Argot, ma nel nostro caso ho paura che questo teorema non sia applicabile, come ha già avuto modo di vedere la Cappella è composta quasi esclusivamente da monumenti marmorei, alcuni addirittura scolpiti in un unico blocco di marmo, pensare che uno di questi sia cavo o nasconda qualcosa è quantomeno improbabile se non addirittura impossibile” “E allora?” “Allora dobbiamo rileggere la lettera di Fulcanelli con più attenzione; l’alchimista ci fa sapere che per ritrovare il Finis dobbiamo ripercorrere la Grande Opera, ci dice anche che l’onore della seconda fase è stato lasciato al Principe, ovviamente a Raimondo Di Sangro. Soffermiamoci su questa affermazione; è ovvio che Di Sangro era un alchimista e come tutti gli altri sperimentava proprio per raggiungere l’ultima fase della Grande Opera” “Sinceramente non è che ci dica molto, tranne che si riferisca al laboratorio del Principe, che comunque abbiamo già visitato e senza successo; potremmo anche ipotizzare un luogo del genere nella Cappella però di solito uno spazio di questo tipo si trova nei sotterranei e a parte quegli orribili scheletri non ho visto nulla di simile nel monumento che abbiamo appena visitato; probabilmente è andato distrutto” “Non proprio, Argot, non proprio” Straw prese trionfante una delle stampe e la mostrò al commissario. “Vede, amico mio, una idea del genere è venuta anche a me e mi sono preso la briga di approfondire il discorso; non avevo dubbi che un tempo fosse esistito un laboratorio alchemico segreto nel quale Sansevero portava avanti i propri esperimenti; ora lei ovviamente obietterà che questo famoso laboratorio lo abbiamo già visitato e senza successo, ma io ho aggiunto un aggettivo alla mia affermazione che non avevamo affatto considerato”
“Di che aggettivo parla?” “Segreto, ho usato il termine segreto, Argot. Noi abbiamo cercato nel laboratorio di Sansevero, ma se ben riflette si trattava di una costruzione abbastanza accessibile e sicuramente esposta a occhi indiscreti per la sua posizione quasi sul ciglio della strada. Da questa idea ho pensato che potesse esistere un secondo laboratorio, segreto, precluso agli occhi di coloro che non conoscevano o non dovevano conoscere e navigando su Internet è venuto fuori questo” Mostrò nuovamente il foglio ad Argot mettendoglielo quasi sotto il naso. “Questa è la stampa di un vecchio documento dell’epoca del Principe, le leggo le parti più importanti, ascolti bene… il 19 febbraio furono pagati quaranta ducati a Don Raimondo di Sangro e per esso a Gaetano Spallino capomastro… fabbricatore del grezzo di pozzolana lapillo et acqua comprata per servizio di detto Suo palazzo… comprato per coprire l’appennato del balcone della camera della Fenice. Capisce, Argot?” “Veramente no” “La Camera della Fenice! Non si tratta soltanto di interventi di restauro al palazzo di Sansevero, è un lavoro dedicato esclusivamente a quello che era il suo laboratorio segreto, la Camera della Fenice, la stessa Fenice della quale scrive Fulcanelli” “Va bene, Straw, ammettiamo che lei abbia ragione, ammettiamo pure che questa camera esista realmente, come facciamo a trovarla?” “Questa è la parte difficile. In ogni caso possiamo dire di aver fatto un o avanti, Fulcanelli accenna alla Fenice e noi abbiamo trovato una camera che porta proprio quel nome” Argot lo bloccò con un cenno del dito. “Aspetti un attimo, nella lettera si parla di sepolcri, noi abbiamo visto le Macchine Anatomiche nel sotterraneo, ma non abbiamo visto altri ingressi, eppure se un secondo laboratorio esisteva anche questo doveva necessariamente essere sotterraneo!” Straw rimase un attimo perplesso, poi iniziò a cercare qualcosa tra i fogli sparsi sul letto, alcuni caddero ma vennero fermati a mezz’aria dai riflessi pronti del commissario. “Cercava questo?” Argot tese al giornalista una stampa
accompagnando il gesto con un ampio sorriso. “Sa che mi preoccupa, commissario? A volte ci ritroviamo così in sinergia da pensare che in fondo non siamo poi così diversi l’uno dall’altro!” “Non si agiti, Straw, per quanto abbiamo potuto sperimentare un modo di ragionare abbastanza simile, io ho i piedi per terra e nonostante tutto vorrei continuare a tenerceli” “Come vuole, Argot, comunque era proprio questo che cercavo, si tratta di un sito internet che parla di Napoli sotterranea, una città dentro la città. In effetti se la Camera della Fenice ancora esiste non può trovarsi che sotto la Cappella” “E come vorrebbe arrivarci se è lecito?” “Facendo un giro per Napoli sotterranea!” “Facendo un giro?” “Certo, Argot, osservi bene questa cartina: la Cappella Sansevero si trova fra Piazza San Domenico Maggiore e Via Nilo; uno degli ingressi ai visitatori di Napoli sotterranea è proprio qui, in Piazza San Gaetano, e come vede da quest’altra stampa che ho fatto, da questo ingresso si a molto vicino alla vecchia Chiesa della Pietatella[5], ovvero a quella che oggi conosciamo come Cappella Sansevero” “Va bene, Straw, ammesso che il percorso sia parallelo alla Cappella, come facciamo a trovare un modo per accedervi, sempre che ne esista uno?” “Questo proprio non lo so, ma a meno che lei non voglia distruggere nottetempo la Cappella Sansevero, questa è l’unica alternativa!” Argot stava per esplodere in uno dei suoi soliti sfoggi di parolacce ma il cicalino del cellulare lo smontò, aprì la comunicazione senza neanche guardare il numero e bofonchiando strane parole in lingua se. “Argot” “Commissario, sono Marini, come va?”
“Sono stanco, Marini; comunque procediamo” “E il signor Straw?” “E’ qui con me adesso, anche lui stanco” “Oggi il questore mi ha chiesto di lei, ho detto che si era preso qualche giorno di vacanza e che era andato ai Castelli Romani” “Ha fatto bene, Marini, novità in ufficio?” “Niente di particolare, tranne il fatto che quel Trentini ancora non molla e il questore diventa sempre più intrattabile” “Trentini non ha proprio niente da mollare, lui con i delitti non ha alcun legame, comunque, se tutto va bene, domani dovrei avere qualche risposta” “Bene, commissario, ma adesso dove si trova?” “Siamo a Napoli” “Bella città, ci sono stato per qualche anno” “Va bene, Marini, mi raccomando, tatto e discrezione, conto sempre su di lei” “Stia tranquillo, commissario, mi saluti il signor straw”. Il giornalista nel frattempo aveva rimesso in ordine le sue stampe e stava studiando una piantina della città. “Ci aspetta una lunga eggiata, Argot” “Non mi aspettavo certo una gita turistica, in ogni caso sarà bene informarci e prepararci per tempo, magari dopo torniamo alla Cappella e diamo un’ultima occhiata” “Buona idea, Argot, il tempo di una doccia, ci vediamo nella hall e stasera, ovviamente, pizza!” La Cappella chiudeva intorno alle 17:40.
Ebbero tutto il tempo di fare alcuni acquisti, caldamente raccomandati da Straw ma pagati con i soldi di Argot; due torce elettriche e alcune cartoline per la raccolta del commissario. Il ritorno al monumento di Sansevero produsse lo stesso stupore provato durante la visita mattutina; questa volta però si soffermarono più a lungo sulle opere conservate nella Cappella e si documentarono meglio; scoprirono così che il Cristo ligneo del IX secolo è famoso perché si dice abbia parlato a San Tommaso d’Aquino[6], che la statua del Disinganno è opera del Queirolo[7] mentre quella del Pudore è del Corradini[8], ed è scolpita in una particolare vena di marmo tale che se le si avvicina una candela l’intera figura si illumina di luce interna quasi fosse in alabastro. Il rito della pizza si esaurì in un locale caratteristico del centro e quella notte Straw dormì profondamente, cullato da avventurose fantasie che affollarono i suoi sogni; lo stesso non accadde per Argot, il Principe entrò di prepotenza nei suoi pensieri regalandogli una notte agitata, tanto che prese sonno soltanto poche ore prima che il giornalista bussasse alla sua porta per avvisarlo che erano già in ritardo. Arrivarono a Piazza San Gaetano giusto in tempo per accodarsi alla prima fila di turisti in attesa. L’ultima cosa che videro fu l’effige del sole posta proprio sopra l’ingresso di Napoli sotterranea, poi le ripide scale che portavano in basso furono l’unico oggetto della loro attenzione. L’illuminazione era ben predisposta, Straw si mise a metà del gruppo mentre Argot rimase quasi attaccato alla guida, chiedendo di tanto in tanto informazioni e cercando di capire quando si sarebbero trovati vicini alla Cappella. Lo spettacolo che si presentava man mano ai loro occhi era quello di un mondo a parte, nel quale secoli di storia avevano soggiornato e dove ancora in tempi recenti intere famiglie avevano trovato rifugio; come spiegò la guida quella non era soltanto una testimonianza storica ma aveva anche rappresentato l’ultima speranza per i poveri, gli indigenti; nella Napoli sotterranea erano nati bambini, si erano formate famiglie, celebrati matrimoni, un mondo parallelo rispetto a quello che stava sopra, dove generazioni e generazioni avevano lasciato le loro tracce, spesso ben visibili nei graffiti che di tanto in tanto si osservavano sulle pareti. Il giornalista si muoveva a scatti per non perdere la propria posizione rispetto ad Argot e quando lo vide alzare una mano verso di lui, capì che erano ormai vicini alla meta. I due si riunirono a metà del gruppo; adesso tutto era affidato alla
buona sorte. “Ci siamo, Straw, oltre quella curva a gomito ci sono i resti di antiche costruzioni che vennero usati nel dopoguerra come rifugio dai mendicanti, subito dopo la guida ha avvisato tutti di proseguire uniti e di non soffermarsi nelle aperture a destra perché non sono praticabili; da quanto ho capito siamo in linea d’aria poco distanti dalla Cappella” Rallentarono il o fino a ritrovarsi quasi ultimi rispetto al gruppo, tranne per alcuni che si erano fermati a fotografare i graffiti; le costruzioni alle quali aveva accennato la guida erano in realtà vecchie fondamenta di case, tra le quali si notavano ancora tracce di permanenza abbastanza recenti. Subito dopo, un lungo corridoio illuminato a tratti portava ad una successiva curva sulla sinistra, oltre la quale aveva termine la visita guidata; intervallati da detriti e segnali di divieto, si aprivano sulla destra alcuni cunicoli. “E adesso, Argot? Quale sarà il nostro ingresso?” “Non ne ho la minima idea, è lei l’esoterista, faccia qualcosa” “Spiacente non ho portato la palla di vetro! La smetta di fare battute, tra poco arriva l’altro gruppo, li sente come schiamazzano?” “Ci sono almeno cinque aperture, Straw, non ne ho la minima idea” Rallentarono il o cercando una soluzione nei graffiti; nel frattempo i turisti rimasti indietro li raggiunsero e uno di loro urtò Argot. Il commissario stava per protestare contro quella fastidiosa disattenzione, quando un sussurro calmo ma deciso lo bloccò “Argot, centrum in trigono centri[9], la soluzione sta sempre al centro” Quando si riprese il gruppetto era già andato oltre e quello nuovo stava per raggiungerli. “Argot, sta male?” “No, Straw, o forse sì, non saprei” Prese per un braccio il giornalista e lo trascinò quasi a forza nell’apertura
centrale, quindi si appiattirono contro il muro fino a quando il vociferare del successivo gruppo di turisti non si disperse del tutto. “Mi spiega adesso che diavolo succede?” “Un turista maldestro mi ha spinto contro la parete e mentre stavo per riprenderlo qualcuno mi ha sussurrato di entrare in questo cunicolo; non ne sono sicuro ma quella voce è molto simile al misterioso informatore che mi telefona di tanto in tanto, quello che dice di chiamarsi Fulcanelli” “Ricorda cosa le ha detto esattamente?” “Non proprio, trigono… centrum… penso parlasse in latino” “Centrum in trigono centri” “Sì, qualcosa del genere; che significa?” “E’ una delle scritte riportate sulla copertina dell’Aureum Seculum, un vecchio libro di Alchimia. Abbastanza preparato il nostro amico!” “Forse anche troppo, direi. In ogni caso ci conviene andare avanti, non so quando arriverà il prossimo gruppo” La torcia elettrica illuminava a malapena il cunicolo; i due avanzavano l’uno dietro l’altro, Straw andava avanti tastando il terreno sotto i piedi e illuminando pareti e soffitto alla ricerca di qualche segno particolare che li mettesse sulla giusta strada, mentre Argot ne seguiva i i stringendo saldamente le mani sulle sue spalle. Di tanto in tanto qualche rumore alle loro spalle li faceva girare contemporaneamente, ma Straw spiegò che in posti del genere era facile sentire cadere della terra o pezzi di tufo dall’alto; in ogni caso il profondo silenzio che regnava nel cunicolo rendeva ogni cosa irreale. Quella strana processione durò parecchi minuti, fino a quando Straw, bruscamente, si fermò quasi facendo inciampare su se stesso il commissario. “Che succede? Trovato qualcosa?”
“No, ma il cunicolo adesso si divide in tre parti!” “Prosegua dritto, Straw, vada dritto” “E’ sicuro, Argot?” “Il centro, quella voce diceva di seguire il centro” “Già, la voce; in ogni caso non abbiamo niente da perdere e comunque sarà più facile trovare la strada per il ritorno” Si immersero nella cavità centrale, proseguendo dritto nel buio che adesso diventava più fitto mentre la puzza di umido si faceva sempre più insistente. “Fine della corsa, Argot!” Il commissario si sporse al di sopra delle spalle di Straw che stava illuminando un cumulo di detriti proprio davanti a loro, chiaro segno della fine del cunicolo e della loro ricerca. “E adesso che si fa? Qualche altra idea?” Argot osservava le macerie in silenzio. “Non è possibile, non possiamo aver sbagliato” “Commissario, non mi dica che d’un tratto ha deciso di credere alle sue voci!” “Qualcosa o qualcuno ci ha guidato in questa storia, questo lo deve ammettere anche lei, Straw, forse sarà anche pazzesco ma è l’unica cosa che ci rimane, se dobbiamo andare dritto andremo dritto… scavi!” “Cosa?” “Scavi, probabilmente è solo un crollo recente, da quello che ho capito la manutenzione viene fatta soltanto sul percorso che riguarda i turisti; il fatto che questi detriti siano qui non significa che ci siano sempre stati” Il giornalista farfugliò il suo dissenso ma Argot fu irremovibile, gli strappò di mano la torcia e iniziò a scavare. Tolto il primo strato e alcuni grossi frammenti di pietra, tutto il resto crollò quasi ai loro piedi.
“Per fortuna erano frammenti di tufo rappresi, altrimenti avremmo rischiato di morire soffocati!” Argot non lo ascoltava, era in piedi e con entrambe le mani illuminava un muro di antichi mattoni semidistrutto dal tempo, poi alzò di poco il fascio di luce e, tra la sporcizia e i residui attaccati alla parete un vecchio graffito si rivelò in tutta la sua straordinaria importanza. “La Fenice!” Straw non riuscì a bloccare il suo grido di esultanza che invase l’intero cunicolo disperdendosi in chissà quali altri misteriosi anfratti. “Maledizione, Argot, la Fenice, e l’ha trovata lei!” Straw abbracciò il commissario trasmettendogli una emozione così forte che mise entrambi in serio imbarazzo. L’apertura provocata probabilmente da altri crolli non era abbastanza larga, ma bastò togliere sapientemente qualche mattone, evitando che crollasse tutto il resto, affinché uno spazio molto più ampio permettesse ai due uomini di penetrare nella stanza. Da una misurazione approssimativa non si trattava di un locale molto grande, sicuramente nel tempo aveva subito diversi rimaneggiamenti, inclusa una o più divisioni che ne avevano dimezzato le proporzioni; in ogni caso si trovavano nella Stanza della Fenice, il laboratorio del Principe, il luogo nel quale la sua straordinaria genialità aveva preso corpo e spirito, nel quale mirabili ma anche terribili invenzioni si erano palesate agli uomini per poi sparire nell’oblio di una società non ancora preparata. “Si rende conto, Argot? Noi siamo i primi a calpestare questo luogo dopo più di trecento anni!” L’emozione di Straw era ormai irrefrenabile, la sua torcia si aggirava nervosamente nel buio illuminando bizzarri strumenti dalle strane forme appesi alle pareti, un lungo tavolo di legno quasi al centro della stanza e alcune nicchie proprio alla loro sinistra ricavate nel muro stesso, entro le quali si distinguevano a malapena delle ampolle dal particolare collo allungato; tutto il resto era solo muffa, sporcizia e detriti. Dall’altra parte della stanza quattro paia di catene arrugginite pendevano perdendosi tra i mucchi di polvere, e Straw non poté non rivolgere il suo pensiero alle Macchine Anatomiche che aveva visto il giorno
prima e alla terribile leggenda che le circondava; il processo di metallizzazione venne portato a termine dal Principe, coadiuvato da un medico palermitano, Giuseppe Salerno. Il procedimento sarebbe consistito nell’introduzione in un’arteria dei cadaveri di un liquido metallizzante che, fluendo nei vasi, avrebbe permeato tutto il sistema circolatorio, rendendolo perfettamente visibile. Sconosciuta rimane però la tecnica di scarnificazione dei corpi; dei due cadaveri infatti è rimasta soltanto l’impalcatura scheletrica circondata dal fitto e intricato groviglio di vasi delle più svariate dimensioni, dalla enorme arteria aorta al più sottile dei capillari. Ad infittire il mistero e alimentare le numerose leggende orride sul Principe Raimondo di Sangro e sui suoi esperimenti, esiste però anche il pesante sospetto che l’esperimento non sia stato compiuto su cadaveri, bensì su corpi ancora vivi. Il filo dei suoi pensieri venne interrotto dalle lamentele proferite da Argot tra un colpo di tosse e l’altro. “Non mi sembra di aver fatto una incredibile scoperta, qualunque cosa ci sia stata in questa stanza è stata portata via da tempo, magari i soliti topi d’appartamento” “Va bene, commissario, non è il momento di scherzare questo, concentriamoci sul nostro obiettivo e cerchiamo di capire come dovremmo muoverci. Personalmente non mi sembra che ci sia niente di particolare in questa stanza, niente almeno che ci riconduca al Finis” Argot trasse di tasca il documento di Fulcanelli, si appoggiò al tavolo e ne riprese la lettura. “… nel ventre della Fenice… che vorrà dire, Straw?” “Forse si riferisce alla stanza ma se è così siamo già nel ventre della Fenice e sinceramente sono d’accordo con lei, Argot, non vedo niente di particolare” “Eppure qualcosa deve esserci!” I due ripresero ad esplorare la camera dividendosi ai due lati e setacciando con le torce ogni centimetro di muro, lo stesso avvenne per il pavimento spostando i detriti e cercando di alzare meno pulviscolo possibile. A parte le nicchie, chiodi arrugginiti, le catene e la sporcizia niente sembrava potesse occultare qualcosa di nascosto. Straw iniziò a spingere e muovere le pietre più sporgenti, lo stesso fece
Argot, e una posta quasi al centro della parete di sinistra si dimostrò così tenacemente legata con tutte le altre da fargli volare di mano la torcia. “Faccia attenzione, Argot, quelle sono le nostre uniche fonti di luce” Il silenzio della stanza fu l’unica risposta al rimprovero di Straw. “Argot, mi ha sentito? Che succede?” Il giornalista diresse la luce della sua torcia verso l’altra parte della stanza e notò Argot teso allo spasimo, con lo sguardo verso il soffitto, che cercava di stendere il più possibile il braccio per illuminarne una parte. I due fasci di luce si protesero verso l’alto rivelando un cerchio perfetto ricavato con lo stesso materiale usato per disegnare la linea sul pavimento della Cappella; i contorni un tempo bianchi proteggevano una figura dipinta in rosso, anch’essa deturpata dal tempo, con il ventre gonfio verso il basso e una strana aureola a forma di triangolo che le incorniciava il capo: la Fenice! Nessuno dei due ritenne utile commentare, quasi all’unisono entrambi balzarono sul tavolo ma non ebbero neanche il tempo di organizzarsi per arrivare alla Fenice perché il ripiano cedette con un sinistro scricchiolio e i due si ritrovarono a terra tra le imprecazioni di Argot. “Come va, Straw, niente di rotto?” “No, commissario, per fortuna è andata bene, dovevamo aspettarcelo. Lei è tutto intero?” “Sì, tutto bene” “Allora riproviamo, se la sente di salire sulle mie spalle?” “In che senso?” “Maledizione, mi salga sulle spalle e cerchi di raggiungere quella Fenice, il soffitto non è molto alto. Non ha mai fatto i tuffi al mare da piccolo? Io mi abbasso, lei sale sulle mie spalle e io cerco di tirarla su, semplice no?!” Argot non sembrava molto convinto, ma non voleva contraddirlo; i primi tentativi furono un totale disastro, scoordinato nei movimenti, il commissario
sbilanciava Straw e sicuramente quella camera, in tutto il suo glorioso ato, non aveva udito mai imprecazioni così terribili come quelle del giornalista. Tra una caduta e l’altra, l’equilibrio venne alla fine raggiunto e Argot riuscì a toccare la Fenice. “Adesso che faccio, Straw?” “Cerchi, commissario, e si sbrighi, non posso stare molto in questa posizione, ma quanto diavolo pesa?” “Non faccia lo spiritoso, che devo cercare?” “Non lo so maledizione, tocchi, dia dei colpi con la torcia, provi nel ventre, la lettera parlava di quello” Argot iniziò a colpire pesantemente il soffitto con il manico della torcia, ma a parte la polvere e i calcinacci che si riversarono sulla testa di Straw, non accadde nulla di particolare. “Continui, Argot, faccia presto” “Qui non succede niente, Straw” “Continui maledizione!” La resistenza di Straw era ormai al limite, iniziò vistosamente a ondeggiare, si riprese, poi ondeggiò nuovamente e stavolta Argot temette il peggio; istintivamente afferrò con forza il ventre panciuto della Fenice quasi a proteggersi contro quella che sarebbe presto stata una rovinosa caduta, ma con sua grande sorpresa il ventre ruotò su se stesso. Non fece in tempo a rendersi conto di questa sua nuova scoperta che i due caddero rovinosamente al suolo. “Riesce ancora a sostenermi, Straw?” Il giornalista gli rivolse un’occhiata feroce, poi si abbassò nuovamente offrendogli le spalle.
“Allora, Argot, che ha trovato lì sopra?” “La pancia della Fenice ruota su stessa e c’è una cavità nel tetto, sento anche parlare da qui, dovremmo trovarci proprio sotto il Cristo Velato” “Metta la mano dentro e cerchi, dovremmo esserci” Argot iniziò a esplorare la cavità, quindi introdusse il manico della torcia che era più lungo e iniziò a spingere verso l’apertura; una seconda pioggia di detriti colpì la testa di Straw, ma le dita di Argot incontrarono un oggetto metallico al tatto. Con pazienza il commissario estrasse la sua scoperta e con un salto che stupì entrambi atterrò alle spalle del giornalista. “Come vede li facevo i tuffi!” “Buon per lei, Argot!” Febbricitanti si avvicinarono a quelli che erano ormai i resti del tavolo e iniziarono a esaminare l’oggetto. Anche questa volta era un cilindro metallico arrugginito ma ben più grande di quello ritrovato a Torino; l’apertura avvenne allo stesso modo e ne uscì un involucro fatto con quello che una volta doveva essere cuoio; nonostante le ingiurie del tempo, il loro contenuto era ancora abbastanza ben conservato, una trentina di fogli piegati in quattro e successivamente arrotolati tra loro a formare un tubo di carta. I fogli all’inizio erano di materiale più spesso e questo aveva contribuito alla discreta conservazione di tutto il resto. Straw era fuori di se dall’emozione. “Argot, non mi tenga sulle spine, che c’è scritto? Parli!” Il commissario non lo ascoltava, sfogliava quelle pagine ando da uno stato di intensa concentrazione ad una vistosa espressione di sconforto. “Mio caro Straw, o il suo Fulcanelli era un gran burlone oppure ho preso il più grosso abbaglio della mia vita!” “Ma di cosa sta parlando, Straw?! Mi dia qui!” Strappò quasi dalle mani del commissario le carte e iniziò a scorrerle; adesso la
stessa espressione di sconforto si disegnò sul suo viso, esprimendosi in una evidente contrazione delle labbra. “Maledizione! Ma è incompleto!” Il giornalista sfogliava nervosamente il manoscritto soffermandosi di tanto in tanto su qualche pagina, leggendo ad alta voce strani termini e ritornando nuovamente all’inizio, quasi sperando di essere vittima di un suo errore di valutazione. “Santo Dio, manca la parte che indica il nascondiglio successivo, le ultime pagine sono vuote! E’ come se avessimo colto un fiore e poi ci fossimo ritrovati con solo il gambo” “E’ ancora peggio, Straw, abbiamo fallito. Non so cosa abbiamo cercato fin’ora, ma questo gioco assurdo non ha nulla a che vedere con il nostro caso!” “Non è possibile, Argot, il Finis è il legame che unisce tutti i pezzi oscuri del mosaico” “Si rassegni, Straw, questo non è il nostro mosaico!” La nota di disappunto del commissario si infranse contro un rumore sordo proveniente dall’ingresso della camera. “Chi c’è?!” La luce delle due torce si diresse all’unisono verso l’apertura, ma riuscì a fare intravedere soltanto un’ombra che, ormai scoperta, fuggì rumorosamente per il cunicolo. Il commissario scattò quasi subito verso l’intruso, ma Straw lo bloccò trattenendolo per la giacca. “E’ inutile, Argot, chiunque sia ha fallito anche lui!” Argot ripiegò i fogli e li conservò nella tasca interna del vestito, poi mestamente si diressero verso l’uscita dando un’ultima sconsolata occhiata alla camera. Straw cercò di confortare il commissario sorridendogli, poi si apprestò a scavalcare per accedere al cunicolo, ma un tonfo sordo lo bloccò a mezz’aria ed ebbe appena il tempo di girarsi sulla destra per osservare i mattoni che stavano
per crollargli addosso; istintivamente Argot gli si scagliò contro ed entrambi rovinarono a terra dall’altra parte. L’unica torcia superstite rimase sotto Argot e mentre cercava di recuperarla un pugno lo colpì in pieno viso. Tra lo stordimento e la sorpresa riuscì soltanto a sentire mani frettolose che gli frugavano nel vestito, le carte che abbandonavano la sua tasca interna e il rumore di una frettolosa fuga nel buio. “Straw, maledizione, faccia qualcosa!” Nessuna risposta. Faticosamente il commissario recuperò la torcia e mentre si massaggiava la mascella notò il corpo del giornalista riverso proprio vicino a lui, ancora intontito e dolorante. “Straw, è ferito? Mi dica qualcosa” Il giornalista riprese pian piano il controllo di sé. “Argot, ma che cosa è successo?” “Qualcuno ci spiava, pensavamo fosse fuggito ma in realtà ci aspettava proprio qui, ha fatto crollare una parte dei mattoni approfittando della confusione per colpirmi e prendere il manoscritto” “Dannazione, Argot, adesso è finita davvero” “Quantomeno siamo ancora vivi, se quel tizio era della Rosa Nera penso che siamo stati abbastanza fortunati” “Ma perché rubare il manoscritto, se ci spiava avrà sentito anche che era incompleto!” “Non lo so, Straw, forse ha pensato che si trattava comunque di un pezzo storico, magari lo rivenderà a qualche rivista o qualche antiquario” Il giornalista sospirò e si lasciò andare contro il muro, la stanchezza adesso si faceva sentire e l’insuccesso che avevano conseguito non faceva che peggiorare la situazione. “Bella avventura, Argot, non avevamo il fiore ma almeno il gambo era in mano nostra, ora non abbiamo neanche quello!”
Il commissario annuì fissando la luce della torcia; alternava lo sguardo tra il bagliore della lampada e il viso depresso di Straw, poi si girò di scatto verso il giornalista. “Cosa ha detto, Straw? Mi ripete quello che ha detto?!” “Dicevo semplicemente che avevamo almeno il gambo e ora siamo a mani vuote” “Lei parlava del fiore, Straw. Ricorda cosa c’era scritto sulla lettera di Fulcanelli?” Ansiosamente frugò nelle tasche dei pantaloni e tirò fuori la lettera ritrovata a Torino. “Ma non era insieme al Finis?” disse Straw stupito. “No, l’avevo conservata nella tasca dei pantaloni, deformazione professionale!” Il giornalista accennò ad un sorriso, subito spento da un forte dolore alla spalla. “Sicuro di star bene, Straw?” “Tranquillo, amico mio, va tutto bene” “Come vuole, riprendiamo la nostra lettera. Lei poco fa parlava di fiori e gambi, ma se non ricordo male ne parla anche Fulcanelli” Argot scorreva nervosamente il dito tra le righe. “Ecco, Straw, proprio qui, ascolti… ciò che nel sepolcro rimane sigillato non dà frutto ma è come pianta che pur senza fiore si perpetua. Mi segue Straw?” “Stavolta debbo proprio ammetterlo, non la seguo” “Fulcanelli parlava del ventre della Fenice e in effetti è lì che abbiamo trovato la seconda parte del manoscritto ma, se come lei afferma, questa ricerca segue le fasi alchemiche, avremmo dovuto trovare almeno un nuovo indizio per la prossima parte del Finis. Come abbiamo visto il manoscritto era incompleto, le ultime pagine bianche e nessun indizio, come mai?” “Già, come mai, Argot?”
“Forse perché non abbiamo ancora finito di cercare. Il Finis era nel ventre della Fenice che si trova proprio sotto il sepolcro del Cristo, ma Fulcanelli ci avverte che, pur essendo una pianta senza fiore, essa ugualmente si perpetua, quindi, in realtà non si tratta del frutto” “Argot, adesso sta diventando più ermetico di me, mi spiega di cosa sta parlando?” “Semplicemente del fatto che non abbiamo cercato bene; lei accennava al fiore, Fulcanelli parla di piante, frutti e perpetuazione; se la pianta che abbiamo trovato è quella senza fiore, dov’è quella con il fiore? Quale pianta pur non avendo il fiore si perpetua ugualmente?” “Quelle che hanno i tuberi” “Appunto, e dove si trovano i tuberi?” “Sottoterra!” “Appunto, Straw: le tocca scavare di nuovo” La risposta del giornalista fu un sordo brontolio simile al ringhio di un cane, ma la speranza che nulla in realtà fosse perduto stroncò ogni sua velleità di rivolta. Presi da nuova euforia rientrarono nella camera, sgomberarono i resti del tavolo e i detriti dal centro della stanza e proprio in direzione della Fenice sul tetto, iniziarono a martellare il pavimento con l’unica torcia rimasta. La resistenza non fu eccessiva, gli anni e il marciume accumulato avevano reso abbastanza friabile il mattonato e presto una seconda piccola cavità si aprì ai loro occhi; anche questa volta fu Argot a introdurre la mano e quando la estrasse trionfante stringeva un nuovo bussolotto simile a quello trovato poco prima. Nervosamente si guardarono intorno quindi ancora più nervosamente ne estrassero il contenuto, anch’esso simile al precedente; una trentina di pagine piegate in quattro e arrotolate a forma di tubo, ma questa volta i loro sforzi furono premiati; infatti, dopo una interruzione di tre pagine vuote, l’ultima parlava molto chiaramente: “… L’Opera è il cammino che si compie affinché lo spirito, combinandosi con i quattro elementi, ne esca alfine purificato. Dal grembo inesplorato del femmineo, attraverso il grembo della madre, ti sei
forgiato al calore della terra, ritorna adesso uomo alla Matrice, dove nera la Santa veglia ascoltando il canto del pozzo e sotto il poggio segui il serpente per ritrovare alfine il tuo compenso.” I due si guardarono a vicenda poi Argot ripiegò le carte e le conservò nella solita tasca interna della giacca. Un abbraccio forte e commosso pose fine a quella che era stata per entrambi la più strana delle giornate; si diressero in fretta verso l’uscita, ma proprio a pochi metri dallo sbocco del cunicolo Straw inciampò e cadde lungo a terra. “Straw stia più attento, mica sono il suo infermiere!” Argot indirizzò la torcia verso il giornalista, ma una imprecazione proruppe dalle sue labbra; proprio sotto i piedi di Straw c’era il corpo di un uomo e l’istinto del commissario non ebbe alcun dubbio sul perché si trovasse proprio li. “Ha il collo spezzato di netto, un lavoro da professionista oppure di qualcuno dalla forza smisurata” “Argot, guardi, ha ancora in mano il Finis, è l’uomo che l’ha aggredita prima” Proprio sotto la mano destra del cadavere c’erano i fogli appena sottratti; Argot li raccolse e osservò il viso dell’uomo: era giovane, intorno ai trent’anni, un sottile pizzetto gli incorniciava il mento. “Sarà bene andare, Straw, la situazione si fa imbarazzante e ho già abbastanza guai per conto mio” Spostarono il corpo più in fondo mentre da lontano si udivano le voci di un gruppo di turisti; al loro aggio si confo tra loro guadagnando in tutta fretta l’uscita, non senza una strana occhiata da parte del personale ai loro vestiti sporchi e alle facce contuse. Quando rientrarono in albergo era già buio e neanche la prospettiva di un’ottima pizza li fece desistere dalla stanchezza accumulata; ognuno rientrò nella propria camera, Argot non dormì subito, nonostante la stanchezza sfogliò avidamente il Finis quasi attratto da una forza irresistibile; la fluidità dello scritto si scontrava con la terminologia usata, per lui assolutamente sconosciuta; nonostante ciò arrivò fino alla fine e quando si sdraiò sul letto provò un profondo senso di
inquietudine misto all’immensa gioia tipica di colui che, anche solo per un attimo, ha penetrato misteri molto più grandi di lui e ha scoperto che in fondo l’unico grande mistero è solo la sua incapacità di vedere oltre i segni, oltre i simboli che l’uomo ha creato per dimenticare se stesso e illudersi, camuffando la vera realtà delle cose. Adesso era come un bambino che segue felice il proprio aquilone compiacendosi nel vederlo volare e con la consapevolezza di conoscere i meccanismi che ne consentono il volo. Si girò varie volte nel letto, poi distrattamente accese la tv e seguì l’ultimo telegiornale locale, sorridendo nell’ascoltare il cronista il quale riferiva intorno a delle strane voci diffuse nella serata nei quartieri di Napoli, sembrava infatti che qualcuno avesse udito dei rumori sinistri proprio sotto la Cappella Sansevero e che la fantasia popolare temesse il prossimo risveglio del Principe!
Venne realizzata nel 1753 ed é considerata uno dei maggiori capolavori della scultura mondiale. Tra i suoi estimatori ci fu anche Antonio Canova, il quale tentò in tutti i modi di acquistare l'opera e si dichiarò disposto a dare dieci anni della sua vita pur di essere l'autore di un simile capolavoro.
[1] Il Cristo Velato è una scultura marmorea realizzata da Giuseppe Sammartino e conservata nella Cappella Sansevero, in via sco De Sanctis, a Napoli.
[2] Conosciuto anche come Gesualdo da Venosa, compositore italiano di raro talento, nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17 ottobre 1590, aiutato dai suoi sgherri, uccise Maria d’Avalos, colta in fragrante con l’amante Fabrizio Carafa; il 26 ottobre del 1590 venne aperto il processo, subito chiuso il giorno dopo e archiviato per ordine del Vicerè. Le motivazioni di tale affrettata procedura furono la notorietà dell’imputato e la giusta causa che gli venne riconosciuta.
[3] Giansco, Cecco di Sangro; capostite e primo Principe della famiglia di Sangro.
[4] Prospero Lorenzo Lambertini, eletto Papa nel 1740, dopo un Conclave durato circa sei mesi.
[5] La Chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella è il preesistente edificio sul quale sorse la Cappella Sansevero.
[6] Nato a Roccasecca, nel 1224/1225 e morto a Fossanova nel 1274; filosofo scolastico e teologo, uno dei principali pilastri teologici della Chiesa Cattolica, che lo venera come santo e lo considera Dottore della Chiesa. Tommaso d’Aquino rappresenta il punto di raccordo fra la cristianità e la filosofia classica, che ha i suoi fondamenti e maestri in Aristotele, Platone e Socrate.
[7] sco Queirolo, nato a Genova nel 1704 e morto a Napoli nel 1762. Scultore italiano particolarmente influenzato da Antonio Corradini, dal quale apprese il virtuosismo tecnico per rendere la trasparenza nel marmo.
[8] Antonio Corradini, scultore di grande talento del quale si conservano numerose opere in molte città europee. Venne chiamato a Napoli da Raimondo di Sangro per la realizzazione della Cappella, lavorò che accettò di buon grado anche per la fede Massonica che lo univa al Principe.
[9] Espressione ermetica contenuta nel frontespizio di un raro libro di
alchimia dal titolo Aureum Seculum Redivivum. Il simbolo entro il quale si trova questa frase, oltre che la frase stessa, si possono rintracciare anche nella famosa Porta Magica conservata a Roma.
Capitolo 16
L’enorme sala aveva qualcosa di spettrale che si rifletteva in ognuno degli uomini incappucciati disposti ai due lati; il pavimento di lucido marmo a motivi bianchi e neri rifletteva in maniera distorta ogni contorno, forse per via dell’unica fonte di illuminazione costituita da candele di ogni genere e grandezza. Sul fondo, sormontato da un drappo rosso con una grande rosa nera ricamata al centro, era seduto un uomo, anch’egli incappucciato, che fissava il soffitto, mentre tutti gli altri sembravano ansiosi di ascoltare le sue parole. La Rosa Nera si riuniva soltanto due volte l’anno e tale cadenza veniva trasgredita soltanto quando si doveva nominare il Gran Maestro, oppure al verificarsi di eventi di straordinaria importanza. Questa regola era stata da sempre rispettata ma quella riunione in particolare era già la quarta nel giro di un anno. La voce del Gran Maestro risuonò spettrale nell’aria e subito tutti gli altri abbassarono il capo in segno di rispetto. “Fratelli, per la quarta volta in un anno ci ritroviamo in questo luogo; l’ultima chiamata che venne fatta riguardava un evento di estrema importanza, lo scopo ultimo per il quale questa associazione è nata e si batte da sempre, il Finis Gloriae Mundi. Da quando Fulcanelli decise di nascondere al mondo e a coloro che lo avevano seguito nel suo cammino, il risultato dei suoi ultimi studi, da quel giorno abbiamo giurato che quel segreto doveva essere nostro, esso ci appartiene e con lui i poteri che ne derivano. Questo giurarono i miei predecessori e questo è quanto sta per compiersi” Un mugolio sommesso espresse l’approvazione di quanti ascoltavano. “Nonostante ciò e nonostante i miei avvertimenti su quello che sarebbe dovuto essere il nostro piano d’azione, qualcuno tra di voi ha deciso di agire
diversamente, non ha avuto fiducia nel suo Maestro ed ha pensato che il Finis potesse essere asservito ai suoi scopi. Quell’uomo giace ora nei sotterranei di Napoli insieme alla sua stolta presunzione” Tutti si volsero l’uno con l’altro cercando di capire cosa fosse accaduto e a chi si riferisse il Maestro, un gesto ieratico della mano riportò il silenzio nella sala. “Ho rischiato molto in questa impresa, la mia posizione fuori da queste mura è già un rischio, ma è l’unico modo che ci permette di controllare da vicino tutti i movimenti relativi al Finis. Adesso sappiamo che la scoperta del libro tanto cercato dai nostri predecessori è vicina; per questo motivo non permetterò che nessuna azione personale interferisca con i nostri scopi, quei due uomini sono gli unici che possono ritrovare il libro, lasciamoli lavorare per noi; se così voleva Fulcanelli così sia, l’importante che alla fine la Rosa trionfi e possa nuovamente dare al mondo la giusta direzione. La nostra meta è il Donum Dei, la grande rivelazione che permise al Maestro di innalzarsi, il dono finale che viene elargito a chi compie la Grande Opera; noi non abbiamo tempo da perdere dietro storte e alambicchi, non abbiamo il tempo per interpretare enigmi e allegorie, l’attesa è degli sciocchi, la speranza dei deboli, la Rosa Nera va direttamente al proprio scopo. L’uomo è nato per essere comandato, noi siamo qui per comandare; gli uomini sono stanchi di essere asserviti a regole e costrizioni, essi vogliono soltanto vivere liberamente, a loro non importa sapere ma qualcuno dovrà pur amministrare le loro anime!” Dal fondo della sala una domanda giunse timidamente ai piedi del Maestro. “Come possiamo essere sicuri che quei due uomini saranno in grado di riunire il Finis? Sappiamo per certo che anche i Fratelli di Heliopolis sono sulle loro tracce” “I Fratelli di Heliopolis!” il Maestro si soffermò su quel nome rimarcando tutto il suo disprezzo. “Poveri illusi, ancora legati a vecchie tradizioni che non hanno più motivo di esistere. Quando la Rosa Nera ebbe l’illuminazione i Fratelli ancora piangevano Fulcanelli; loro vivono di ricordi, noi siamo il futuro. Le tue preoccupazioni sono infondate, io personalmente seguo i loro movimenti e posso assicurarvi che presto anche loro saranno travolti dalla nostra vittoria. Argot e il suo amico giornalista sono gli unici che possono ricomporre il Finis, ma ignorano il suo
immenso potere e non avranno il tempo di scoprirne la fonte” “Maestro, sappiamo anche che uno dei Fratelli di Heliopolis, il custode del Finis, è sulle tracce di Argot e lo protegge” “Neanche questo rappresenta un problema, conosco l’identità di quell’uomo e suppongo che adesso lui sappia anche di me, ma non è il momento di scontrarci direttamente; entrambi abbiamo trovato due posizioni di favore per controllare il Finis eppure, quantunque l’istinto ci porti a voler agire, dobbiamo essere estremamente pazienti e diplomatici. Verrà il tempo della nostra rivelazione e in quel tempo coloro che hanno ostacolato la Rosa Nera ne pagheranno il prezzo; fino ad allora nessuno di voi tenterà altri gesti inconsulti o si lascerà trasportare dalle proprie emozioni” Nuovamente il silenzio si impadronì della sala; il Maestro attese qualche attimo, poi si alzò stringendo i pugni e sollevandoli in alto con rabbia e determinazione gridò: “Forza, Fede e Onore. La vittoria ci appartiene!” Un forte grido di approvazione percorse tutta la sala, poi con estrema calma gli incappucciati si avviarono verso l’uscita mentre il Maestro li osservava compiaciuto.
Capitolo 17
Partirono da Napoli nella tarda mattinata pensando che a quel punto era più saggio rientrare, anche per meglio organizzarsi in vista della prossima fatica e pianificare al meglio le loro mosse. Il treno si muoveva con la solita lentezza tra le campagne spoglie, Argot aveva indossato un bel vestito marrone sopra una camicia chiara, Straw si era presentato con il solito abbigliamento stravagante: pantaloni neri e giacca alla coreana grigia su un leggero golfino viola. L’insolito numero di posti vuoti aveva permesso loro di sistemarsi in fondo alla carrozza, abbastanza appartati dal resto dei viaggiatori per poter discutere liberamente sugli ultimi avvenimenti. Prima di iniziare il solito scambio di impressioni, Argot telefonò a Marini avvisandolo del prossimo rientro e sincerandosi di quanto stava accadendo in ufficio, il giornalista dal canto suo mandò qualche messaggio e spense il cellulare riponendolo nel taschino della giacca. “E’ stata dura, Argot! La trovo comunque molto più in forma di me” “Diciamo che ho dormito bene e che ho capito delle cose, forse i suoi discorsi non erano poi così campati in aria” Straw lo osservò quasi con malizia. “Ha letto il Finis, vero?” “Sì, Straw, l’ho letto; sinceramente non ho capito molto ma è stata la sensazione che provavo scorrendo quelle pagine a darmi una magnifica notte di riposo” “Io sono ancora stanco, Argot, e ho pure qualche bernoccolo in più di lei, le dispiace se lo leggo anche io?” Il commissario sorrise di rimando porgendogli i fogli, Straw li nascose tra le
pagine del quotidiano acquistato prima di salire in treno e si lasciò andare sul sedile, alienandosi da tutto il resto. Argot lo osservò per un attimo, poi diede un’occhiata alla prima pagina del giornale tenuto aperto per nascondere il Finis, poco più a destra si riportava la notizia del ritrovamento di un cadavere in un cunicolo di Napoli sotterranea, l’ennesima vendetta della camorra! Alla stazione li accolse Marini, insolitamente elegante ma come sempre appiccicoso nei modi; li abbracciò ripetutamente più volte, poi prese in disparte il commissario. “In centrale tira brutta aria, commissario, Trentini non molla e forse verrà rilasciato a giorni, il delitto di Padre Sarnetti è ancora senza una pista e il Vaticano ha ripreso a martellare il questore” “Qualcuno ha chiesto di me?” “Il questore ogni tanto fa qualche battuta, credo che vorrebbe riaverla in ufficio ma non lo ammetterà mai” “Lo penso anche io, in ogni caso non ho alcuna intenzione di rientrare per adesso, la ricerca non è ancora finita” “Il libro lo avete trovato, commissario?” “Sì, Marini, e la prima cosa da fare è metterlo in un posto sicuro” “E l’assassino! Adesso lo sappiamo chi è, vero?” “Non ancora ma ho la sensazione che sarà lui a cercarci” Straw si avvicinò sorridendo: “Disturbo?” “No, Marini mi stava illustrando gli ultimi avvenimenti” “Bene; penso che andrò a casa per rimettermi in sesto, l’aspetto nel pomeriggio, commissario” “Ci sarò, Straw”
Argot e Marini continuarono la loro conversazione fino alla stazione degli autobus, poi il commissario tornò a casa ma non prima di aver depositato presso un notaio il prezioso manoscritto, annotando a parte l’ultimo indizio lasciato da Fulcanelli. Rientrato a casa, Argot si mise subito sotto la doccia, aveva bisogno di scaricare la tensione, ma anche i sensi di colpa per aver agito fuori da quelli che dovrebbero essere gli schemi di un poliziotto; in ogni caso non avrebbe avuto altre alternative, e forse aveva ragione Straw quando affermava che ognuno in quella storia sembrava avere una sua parte ben precisa. Si distese a letto godendosi l’abbraccio del suo caldo accappatoio, accese una sigaretta per lasciarsi andare, poi si rialzò per controllare la segreteria telefonica. Il questore aveva chiamato diverse volte ma senza lasciare alcun messaggio, la prima voce che ascoltò fu quella di sua madre che come al solito si lamentava delle sue prolungate assenze, poi la banca per avvisarlo, ancora una volta, che sarebbe stato gradito un versamento sul conto corrente e alla fine uno strano suono, quasi una nota ripetuta all’infinito, nessun messaggio vocale, solo un suono prolungato; cercò di vedere da quale numero provenisse la telefonata ma ovviamente il display lo indicò come anonimo. Istintivamente pensò alle chiamate di Fulcanelli, ma in quel momento non aveva alcuna voglia di perdersi in chissà quali astruse teorie. Preparò il caffè e dopo averlo sorbito con gusto, si stese sul divano, ma si addormentò quasi subito, cullato dalla sigla della solita serie televisiva. Il pranzo fu altrettanto monotono e svogliato, cibo pronto acquistato nel negozio all’angolo e nuovamente il caffè per coronare una mattinata di assoluto vuoto mentale. Scelse con cura un vestito tra i tanti appesi nell’armadio e si affrettò ad uscire per arrivare puntuale all’appuntamento con Straw. Il giornalista non aveva ato una mattinata molto differente, anche lui sotto la doccia e anche lui con un vuoto mentale assoluto ma distensivo; soltanto prima di pranzo si era risvegliato dal suo torpore e aveva iniziato a fare le sue ricerche, ripetendo a voce alta le indicazioni del sibillino messaggio lasciato da Fulcanelli, impresso ormai in maniera indelebile nella sua mente. Le ricerche di Straw in verità erano più una battaglia che si svolgeva parte nel
salone e parte nel suo studio; ad ogni intuizione si aggirava come un forsennato tra gli scaffali prendendo libri, aprendoli, richiudendoli e poggiandoli dove capitava prima per riprenderne altri. Il risultato era una lunga scia di fogli e libri che si snodava dal salone allo studio e proseguiva oltre disegnando tutti gli spostamenti di Straw. Quando Argot suonò alla porta il giornalista stava ancora lottando con il suo archivio e si presentò aprendo con il gomito, nel tentativo disperato di non far cadere a terra tutto il materiale che stringeva sotto le braccia. “Grandi pulizie?!” “Non mi prenda in giro, Argot, stavo cercando materiale per la nostra indagine” Il commissario fece una smorfia con le labbra, poi seguì Straw fino al salone, raccogliendo man mano i libri che cadevano per terra. “Allora, Straw, qualche idea sulla prossima mossa?” “Poche, Argot, e tutte a metà, credo comunque che ci troviamo ormai vicini alla soluzione” “Lo credo anche io, Straw, ed è proprio questo che mi preoccupa!” “In che senso la preoccupa?” “Di solito è proprio nel finale che si corre il rischio maggiore!” “Argot, se non mi sbaglio è stato proprio lei a dirmi che non ci troviamo né in un film né in un libro giallo” Argot sorrise lasciandosi andare sul divano. “Non lo so, Straw, a dire il vero non ne sono più tanto convinto; anzi, non sono più convinto di niente. Abbiamo recuperato parte del Finis, abbiamo un ultimo indizio ancora da decifrare eppure mi sento come un topo in trappola, continuamente spiato” “Non dimentichi che non siamo i soli a cercare il libro”
“E’ proprio questo il punto; nessuno si è intromesso in questa ricerca, nessuna minaccia e nessun avvertimento; se togliamo l’incidente del cunicolo e le strane incursioni del suo Fulcanelli, è come se tutti rimanessero nell’ombra ad osservarci aspettando la soluzione di questo mistero” Straw tirò a sé una sedia e si sistemò di fronte al commissario. “In effetti è una strana sensazione; se qualcuno voleva ucciderci lo avrebbe già fatto da tempo ma è proprio l’episodio di Napoli che mi lascia perplesso. Probabilmente quell’uomo ha agito in proprio, ma la sua morte, e il fatto di aver ritrovato la parte del manoscritto che ci aveva sottratto, mi fa pensare a qualcuno che ci protegge nell’ombra” “Oppure a qualcuno che ha tutto l’interesse di farci ritrovare l’intero manoscritto!” “Infatti, Argot! Per quanto ne so la Rosa Nera non si fa molti scrupoli in questo genere di azioni e nonostante i Fratelli di Heliopolis, suppongo, veglino sulle nostre teste, non credo proprio che questo rappresenti un grande problema. Tirando le somme, credo che nessuno dei due abbia particolarmente a cuore la nostra morte; loro vogliono il Finis e il fatto che ci abbiano lasciati in vita significa che noi siamo gli unici che possono ritrovarlo” “Siamo parte di questa storia, vero Straw?” “Infatti, commissario, e dobbiamo arrivare fino in fondo” Argot annuì sospirando profondamente. “Allora, da dove si parte?” “Come al solito dall’indizio lasciato da Fulcanelli!” Argot tirò fuori dalla tasca il foglio sul quale aveva trascritto l’ultima parte del manoscritto ritrovato a Napoli e lo distese sul divano. “Direi che questa volta è più complicato del solito… L’Opera è il cammino che si compie affinché lo spirito, combinandosi con i quattro elementi, ne esca alfine purificato. Dal grembo inesplorato del femmineo, attraverso il grembo della madre, ti sei forgiato al calore della terra, ritorna adesso uomo alla Matrice, dove
nera la Santa veglia ascoltando il canto del pozzo e sotto il poggio segui il serpente per ritrovare alfine il tuo compenso. Qualche idea, Straw?” “Questa volta vorrei iniziasse lei, Argot” “Con piacere”. Il commissario si schiarì la voce imitando in maniera teatrale Straw. “L’inizio del biglietto credo descriva quanto abbiamo già fatto, suppongo si riferisca al ritrovamento delle prime parti che erano legate alla Grande Opera, conclusa la quale bisogna ritornare indietro, cioè all’inizio, alla Matrice e riprendere a cercare. Penso che l’espressione La Nera Santa si riferisca a qualche statua; del pozzo non so proprio cosa dirle ma so benissimo che a Loreto c’è una statua che raffigura la Madonna e che è stranamente tutta nera” Straw dondolava il capo ascoltando con attenzione le deduzioni del commissario, ma non diede seguito alla domanda che Argot si aspettava. “Ebbene, Straw, non mi chiede dove abbia preso queste informazioni?” Straw sorrise di rimando. “Dove, Argot?” “Sono in parte reminiscenze delle continue prediche di mia madre sull’importanza della preghiera e sul mese di maggio dedicato alla Madonna, ma alla fine ho cercato di mettere in pratica il suo metodo di ragionamento” Straw continuava a dondolare la testa. “Argot, ha mai letto i libri di Sherlock Holmes?” “No, ma ho visto i film” “Già, dimenticavo, lei preferisce leggere i libri sullo schermo… comunque… Conan Doyle, il creatore del famoso detective, ebbe una idea che considero strabiliante nella sua semplicità, unì in pratica una grande mente che riusciva ad andare anche oltre ogni logica, ad un uomo del tutto razionale; in questo modo ogni libro di Sherlock Holmes diventa la prova inoppugnabile che la razionalità deve la sua importanza soltanto al fatto che è la principale scintilla in grado di far scattare la creatività” Argot non dimostrò di aver seguito molto i ragionamenti del giornalista.
“Cosa vorrebbe dire con questo, forse io le sembro lo stupido Watson che con le sue soluzioni banali da lo spunto a Holmes, che magari sarebbe lei?” “Non si alteri, Argot, niente di tutto questo; Watson non è affatto uno stupido, ma l’alter ego di Holmes, senza di lui il grande investigatore sarebbe una figura solitaria e sconosciuta e lo stesso vale al contrario. Non volevo offenderla, volevo soltanto trovare un modo carino per dirle che noi due siamo in perfetta sinergia” “Si spieghi meglio, Straw” “Vede, commissario, anche io ho fatto le mie ricerche, e penso che si noti dal disordine, però mi mancava qualcosa e lei, senza volerlo, con la sua teoria mi ha fornito un elemento importante” “Bene, signor Holmes, sarebbe allora così gentile da spiegarmi e illustrarmi il suo geniale pensiero?!” Straw sorrise ancora e si schiarì la voce chiedendo perdono con lo sguardo ad Argot per averlo involontariamente offeso. “Sono d’accordo con lei sulla prima parte del messaggio; Fulcanelli ci avverte che abbiamo compiuto i primi i, ci illustra quali sono stati rispetto alla Grande Opera e magari si complimenta con noi, che non sarebbe poi neanche sbagliato. Per quanto riguarda però la seconda parte mi permetto di dissentire; a parte il fatto che di Madonne Nere[1] ne esistono moltissime e nei luoghi più diversi, lei cita a ragione Loreto ma anche il Santuario di Tindari in Sicilia ne conserva una; comunque, in ogni caso, nessuna di queste si trova nelle prossimità di un pozzo o qualcosa di simile. E’ interessante invece il termine Matrice che lei ha interpretato con il senso di tornare indietro sui propri i” Argot, per quanto ancora irritato, iniziava a interessarsi alla ricostruzione di Straw e la sua espressione attenta e il suo portarsi con il corpo verso l’interlocutore, erano chiari segni di una totale partecipazione. “Io personalmente non credo che il termine Matrice sia da intendere come ritorno, lo unirei invece all’espressione Nera Santa, questo mi fa venire in mente una Chiesa, grazie anche al suo suggerimento, senza il quale non avrei pensato a Nera Santa come Madonna Nera”
“Perché proprio una chiesa, Straw?” “Perché la Madonna è anche chiamata Madre, e Nostra Signora o Nostra Madre è il termine con il quale sono conosciute quasi tutte le chiese poste sotto la protezione della Vergine Maria. Queste chiese dedicate alla Madonna, ovvero gli edifici dedicati alla Madre, in Sicilia assumono un nome particolare e molto suggestivo, vengono infatti chiamate Matrici” “Quindi lei pensa che l’ultima parte del Finis dovrebbe trovarsi in una Chiesa dedicata alla Madonna e nella quale l’effige della Vergine è nera” “Infatti, e non solo questo, nella Chiesa dovrebbe trovarsi anche un pozzo” “Ancora una Chiesa” sospirò Argot. “E come facciamo a trovare un luogo che corrisponda a queste caratteristiche” “Semplice, Argot, ci faremo aiutare da Fulcanelli!” “Sta scherzando, vero?” “Affatto”. Il giornalista si alzò e si avvicinò al tavolo sulla destra, quindi tornò a sedersi sfogliando un libro dalla copertina ingiallita e con chiari segni di essere stato, nel tempo, oggetto di un approfondito studio. “Sa cosa è questo, Argot?” “Non ne ho la minima idea” “Questo è il libro che ci guiderà nella soluzione della nostra piccola indagine; un libro dal quale non verrà mai tratto nessun film ma che in questo momento è il nostro più prezioso e valido aiuto: Il Mistero delle Cattedrali di Fulcanelli” “A proposito di Fulcanelli, stamattina ascoltavo la segreteria telefonica e tra le chiamate c’era un messaggio registrato, ovviamente con numero anonimo, che riproduceva una specie di sibilo, un fischio, una nota prolungata, insomma qualcosa del genere. Non so perché ma istintivamente ho pensato al nostro Fulcanelli” “Argot, se non fosse assolutamente pazzesco e fuori da ogni logica, direi proprio che il nostro alchimista la contatta spesso!”
“Oppure il nostro misterioso protettore, chissà” “Non credo, commissario, da quanto mi ha raccontato finora sembra che il suo misterioso interlocutore sappia benissimo cosa stiamo cercando e dove si trovi; è come se ci spingesse a ritrovare il Finis, non crede?” Argot alzò le spalle senza rispondere. “Comunque, andiamo avanti nella nostra ricostruzione. Come le dicevo questo è il Mistero delle Cattedrali, scritto nel 1922 da Fulcanelli; la mia copia non è certo l’originale ma sicuramente è abbastanza rara visto che si tratta di una ristampa del 1972. Prima di are alle nostre interpretazioni le consiglierei di leggere proprio qui dove ho lasciato il segno, a pagina quarantasei, scoprirà che non fantasticavo quando dicevo che il suo nome è in qualche modo legato a questa storia” Il commissario prese il libro e ne scorse rapidamente il testo nel punto indicato da Straw; si trattava della parte che spiegava l’origine della parola Arte Gotica, e sul suo cognome, Fulcanelli, si soffermava con dovizia di particolari. Senza commentare diede nuovamente il libro a Straw che continuò nella sua spiegazione. “Dicevo che in questo libro, in apertura del capitolo dedicato a Parigi, Fulcanelli parla proprio delle Matrici, di Notre Dame e delle Cattedrali si, lasciandosi poi andare nella spiegazione dei simbolismi e dell’architettura e paragonando questi edifici a veri e propri libri di pietra sui quali è scolpita la Grande Opera e i suoi segreti. Ho riletto il libro ma non ho trovato alcun accenno alla Madonna Nera, soltanto qualche riferimento ai pozzi custoditi dentro alcune Cattedrali, ma non a un pozzo e a una Madonna Nera nello stesso luogo. Da quel che ricordo la costruzione di pozzi all’interno delle chiese non aveva soltanto un significato puramente tecnico, relativo alle fondamenta, ma rappresentava anche un elemento spirituale, un collegamento mistico tra sacro e profano, buio e luce, umano e divino. Come le dicevo non ho trovato accostamenti che mi riportassero al messaggio e quindi ho fatto una ricerca al contrario, ovvero sono andato a vedere cosa non c’è scritto sul libro. In questo modo ho notato che non si accenna alla Cattedrale di Chartres, e da una successiva ricerca ho appurato che in questa Cattedrale è custodito un pozzo; per concludere felicemente la mia serie di coincidenze, ho cercato la lista delle Madonne Nere e una di loro si trova proprio a Chartres”
Argot ancora una volta rimase meravigliato dalla fluidità con la quale Straw riusciva a mettere insieme i pezzi di un mosaico e non poté fare a meno di complimentarsi con il giornalista. “Allora, quale sarà la prossima mossa?” Straw sorrise dandogli una affettuosa pacca sulla spalla. “Rispolveri il suo se, Argot, si va a Chartres!”
[1] Esistono circa 500 immagini di Madonne Nere, sparse in varie chiese in Europa. Pur godendo di un vasto riconoscimento popolare, le Vergini Nere sono ancora oggi fonte di imbarazzo per la Chiesa Cattolica e il loro caratteristico colore viene spesso spiegato come frutto di annerimento nei secoli dovuto al fumo delle candele o dei bruciatori d’incenso. Studi più approfonditi hanno messo in relazione queste particolari rappresentazioni con le Dee delle culture femminili, quali Cibele, Diana e Iside; anticamente il colore nero era simbolo di fertilità e di abbondanza, si tratterebbe quindi di figure assimilate dal Cristianesimo durante la sua lotta contro i culti pagani. Questa spiegazione comprometterebbe ovviamente il riferimento alla Madonna descritta nei Vangeli.
Capitolo 18
La Francia, finalmente aria di casa, aria di ricordi, Argot aveva sognato a lungo quel momento, certo non in quella particolare situazione, ma il fatto di ritrovarsi dopo tanto tempo nella sua terra d’origine, alla quale aveva lasciato in custodia tutti i suoi ricordi e i momenti più importanti della sua vita, era una sensazione a dir poco emozionante, un ritorno alle occasioni mancate, a ciò che sarebbe potuto essere e al tragico momento del distacco che non aveva mai superato. Quasi rapito in una profonda estasi ascoltava la gente parlare per strada, gustava quel linguaggio morbido e fine, quell’accento delicato e suadente che solo la lingua se era in grado di esprimere; quei suoni erano musica alle sue orecchie; i pensieri andavano ai rimproveri di suo padre quando faceva piangere il fratellino, alle prediche della madre, ma soprattutto alle sue canzoncine della buonanotte. Quello era sempre stato il suo mondo e adesso si accorgeva di non essere mai riuscito a perdonare l’improvvisa partenza; certo, Roma era una città bellissima, ma le sue radici erano ancora profondamente radicate nel suolo se e vi sarebbero rimaste, malgrado tutto. Argot aveva insistito perché la prima tappa sul suolo se fosse proprio Parigi, dove si era trasferita nuovamente sua madre dopo la perdita del marito, quella città che aveva visto are la sua infanzia e nella quale aveva lasciato forse troppi ricordi. Tutte le sue vecchie emozioni le ritrovo lì, ancora intatte, nelle strade affollate, nei vicoli di periferia, nella grandiosità delle piazze e nei fasti dei monumenti; inutile descrivere Parigi, pensò Argot, l’unico modo per parlarne è viverla in silenzio, mangiarla con gli occhi, gustarla con l’olfatto. La sua felicità era alle stelle mentre Straw era insolitamente taciturno, completamente sprofondato nei suoi pensieri, nell’ansia di ciò che li avrebbe attesi, di quella che sarebbe stata la prossima prova. L’ingombrante bagaglio del giornalista trovò riparò in un albergo poco lontano da Notre Dame; Argot lo invitò a trascorrere la giornata insieme a sua madre, ma
Straw rifiutò molto cortesemente, preferiva barricarsi in camera e studiare le prossime mosse. Decisero di vedersi nel tardo pomeriggio per fare un giro della città, d’altra parte non sarebbe capitato un’altra volta di trovare una guida come Argot per scoprire i segreti di Parigi. La madre del commissario era una donna minuta, molto distinta, curata in ogni particolare, quella che si sarebbe potuta definire una dama d’altri tempi. Argot la salutò con un lungo abbraccio, poi corse verso quella che era la sua stanza ed ebbe un tuffo al cuore quando vide, ancora appesi al muro, tutti i poster di quelli che erano stati i suoi idoli. Agitato e visibilmente commosso mise quasi a soqquadro la piccola cameretta, da un cesto di vimini uscirono fuori i suoi giocattoli, da un cassetto della scrivania in arte povera vennero fuori i suoi fumetti, quelli sui quali la nonna gli aveva insegnato a leggere; era un susseguirsi frenetico di ricordi, di immagini che si alternavano al ritmo delle sue esclamazioni di gioia e di stupore, quello era il vero Argot, senza maschere per intimorire i criminali e senza denti stretti per nascondere la sua prorompente emotività. Quando rientrò in albergo era ancora visibilmente scosso, ma la vista di Straw, accomodato su una poltrona della hall e totalmente immerso nella lettura di un libro, lo riportò alla realtà. “Straw, ata bene la giornata?” “Ho cercato di documentarmi, lei piuttosto mi sembra quasi sconvolto” “Vecchi ricordi, Straw, vecchi ricordi!” Argot sorrise dando una pacca sulla spalla al giornalista. “Allora, pronto per fare il turista?” “Sempre pronto, Argot” “Molto bene, quando avremo finito, se esiste ancora, conosco un posticino proprio dietro Notre Dame che le farà dimenticare tutti i suoi alchimisti” “Argot, mica vorrà portarmi sulla strada del vizio, ho sentito parlare di certi locali a Parigi… mi capisce vero?” “Tranquillo, Straw, niente fatiche, dobbiamo essere in forma per Chartres”
Il primo giro con l’auto noleggiata in albergo li portò verso le solite mete battute dai turisti, ma non per questo meno affascinanti di tanti altri posti. Prima di avventurarsi alla ricerca del locale al quale aveva accennato Argot decisero di are da Notre Dame; anche se ormai avevano abbondantemente superato l’orario d’ingresso, una visita all’esterno era d’obbligo. Argot aveva preso molto sul serio il suo ruolo di guida e anche per un senso di rivalsa nei confronti della preparazione di Straw, iniziò ad illustrare al giornalista lo spettacolo architettonico che stavano ammirando. “Notre Dame occupa la più grande delle isole della Senna, abitata già in epoca primitiva. Questo fu, fin dal Medioevo, il centro religioso e civile della città di Parigi; in questa Cattedrale si sono svolti i più grandi eventi della storia; l’incoronazione di Napoleone, i matrimoni della famiglia reale, e nel 1944 de Gaulle vi celebrò la liberazione dai nazisti. Purtroppo durante la Rivoluzione molte delle statue del portale e delle cappelle furono distrutte, le campane vennero fuse e il tesoro saccheggiato” Straw osservava estasiato la maestosità di quella costruzione, le sue linee slanciate, ardite, impeccabili, che si amalgamavano perfettamente con il complesso monumentale. “Qualcosa da aggiungere a parte il suo stupore, Straw?” “La sua descrizione è impeccabile, Argot, se vuole posso solo aggiungere qualcosa dal punto di vista dei miei interessi” “L’ascolto” “Osservi bene l'imponenza e la simmetria delle torri gemelle e i tre grandiosi portali che si aprono sulla facciata principale. Sulla sinistra c’è quello detto della Vergine che sotto molti aspetti risulta essere abbastanza insolito, almeno da un punto di vista iconografico. Sul pilastro centrale si trova Maria, rappresentata come la Nuova Eva e posta in relazione con l'Albero della Conoscenza[1] che può notare nello zoccolo. Nel timpano invece è raffigurata l'Arca con le Tavole della Legge; sappia che il termine Arca o Archee rappresenta la materia ignea che era alla base della Pietra Filosofale degli antichi alchimisti.
La scultura centrale rappresenta la Morte, ma allo stesso tempo l'Assunzione della Madonna, se infatti osserva più in alto noterà un’altra scultura nella quale la Vergine viene incoronata. Anche se da qui non ha modo di vedere bene, sul sarcofago sono rappresentati sette cerchi contenenti ognuno un simbolo; indicano i metalli planetari. Noti adesso gli stipiti, sul bassorilievo potrà ammirare un complicato programma cosmologico, i segni dello Zodiaco, i simboli del calendario, le età dell'uomo e allegorie vegetali, tutte simbologie che vengono riprese all’interno della Cattedrale” “Maledizione, Straw, lei non finisce mai di stupirmi, credevo di essermi preparato sufficientemente, ma di fronte a questi argomenti non posso che cederle il o” Il giornalista sorrise, poi continuò muovendo le mani nell’aria quasi a ricalcare sul monumento le sue descrizioni. “Il portale centrale, comunemente chiamato del Giudizio Universale, presenta una Corte celeste che sta nel giro dell'arco, insieme alle raffigurazioni del Paradiso e dell'Inferno. La lunetta è dominata da Cristo, fiancheggiato dalla Madonna e da San Giovanni, sotto stanno i beati meritevoli da un lato e i dannati dall’altro. Tutto questo edificio rappresenta la glorificazione scolpita sulla pietra dell’antica scienza dell’Ermetismo, ma è anche un libro vivo e parlante che ci illustra il processo alchemico, la Grande Opera, un termine con il quale abbiamo già avuto a che fare. Mi segua attentamente adesso, analizziamo le dodici figure che si trovano sul lato destro: nella fila superiore, il primo bassorilievo rappresenta una donna che regge un medaglione circolare nel quale è inciso un corvo, simbolo del colore Nero che in Alchimia rappresenta la putrefazione. La scienza dell’Alchimia dice che debbono avvenire almeno quattro putrefazioni e che il colore nero è indice della buona miscelazione delle materie prime. Il successivo medaglione mostra una donna che reca il simbolo del serpente che si avvinghia sulla verga d'oro: questa è la rappresentazione del Mercurio
filosofico; per renderle più chiaro il concetto diciamo che lei conosce quel simbolo, come molti del resto, con il nome di Caduceo. La figura successiva è una donna dai capelli lunghissimi che si agitano come se fossero fiamme, questo simbolo rappresenta la calcinazione. In pratica quello che stiamo osservando è un vero e proprio libro, nel quale si può scorrere tutta la sapienza antica e sul quale si possono seguire gli esperimenti compiuti dagli alchimisti. Sebbene le guide locali descrivano ai turisti questi simbolismi usando un codice di interpretazione moderno e, aggiungerei, molto cattolico, bisogna saper guardare oltre le cose e leggere dove sembra non ci sia nulla di scritto. A proposito, tanto per finire in bellezza, la guglia in bronzo venne realizzata nel corso dell’800 da Viollet-le-Duc[2]” Quell’ultima stoccata finale fu un duro colpo per Argot, ma l’assorbì abbastanza in fretta, anche perché l’espressione ispirata e quasi ieratica di Straw non lasciava spazio a nessun altro tipo di commento. “Toccato nel più profondo dei miei studi e del mio sentimento patriottico; sinceramente, Straw, se lei non fosse un ottimo italo americano sarebbe di certo un eccezionale se!” I due risero sonoramente e spalla contro spalla, come due goliardici commilitoni, si avviarono verso la stradina laterale che li avrebbe portati al locale. “Argot, non vorrà farmi girare tutta Parigi a piedi! E’ sicuro di ricordare il posto?” “Non si preoccupi, Straw, non è molto vicino ma ne vale la pena, mi creda. Manca poco comunque, ecco adesso siamo sul Boulevard de Sebastopol, se giriamo da questa stradina dovremmo accorciare di parecchio” La stretta viuzza era poco illuminata e solitaria, quasi un’altra dimensione rispetto alla vita pulsante che avevano incontrato fino a poco prima; ripresero a scherzare per non farsi prendere dalla cupa sensazione che sembrava rilasciare il vicolo, ma a metà strada dovettero arrestare la loro enfasi, una voce femminile infatti interruppe le loro risa chiamando con un forte tono di comando e in
perfetto italiano il commissario Argot. Osservando attentamente in fondo, sulla sinistra, notarono una figura confusa nell’ombra che li invitava a seguirla. “Argot, avevamo detto niente avventure galanti” Straw sembrava voler rimproverare il commissario, ma l’espressione del suo viso era quella di un invito a non perdere l’occasione. Si avvicinarono alla donna, questa si ritrasse in un vicolo che si apriva proprio dietro di lei, la seguirono e poco più avanti, quando la stradina curvava leggermente a destra, la trovarono seduta sul bordo di una fontana illuminata da flebili luci rossastre. Era una piazzetta piccola ma invitante, una delle tante oasi inaspettate nel labirinto di viuzze che si snoda attraverso tutta Parigi. Fissarono in silenzio quella figura minuta, fasciata in un corpetto aderente di colore blu che si intonava perfettamente con la gonna molto lunga e larga, quasi svolazzante. Argot le diede circa trentacinque, trentasei anni, il viso era ovale e magro, due profondi occhi neri come il carbone penetravano la poca luce del posto e si armonizzavano con i capelli, lunghi fin quasi a metà delle spalle. “Commissario Argot, ha finito il suo giro turistico?” La voce era calma, pastosa, ma allo stesso tempo denotava una persona abituata a comandare, il suo italiano era perfetto, non tradiva nessun particolare accento, fiero e deciso, come se non stesse chiedendo ma ordinando. “Ci conosciamo, signorina?” “No, commissario, ma non è così importante. Comunque io sono Zaira” “Zaira? Nome esotico, direi, gitano forse?” Straw usò il tono più dolce e melodioso che era riuscito a trovare e si profuse in un sorriso così plateale da fare storcere le labbra al commissario. “Siamo tutti zingari a questo mondo, signor Straw”, replicò Zaira con un leggero
sorriso. “Conosce anche il mio nome, forse dovrebbe darci qualche spiegazione, non crede?” La donna immerse la mano nella fontana e iniziò a disegnare dei cerchi, muovendo l’acqua con insolita grazia. “Che buffi personaggi. Avete affrontato così tanti pericoli, avete visto e toccato cose che nessuno pensava esistessero, eppure siete come due bambini che giocano alla vita senza pensare alle conseguenze” Argot assunse la sua solita espressione di quando si trovava di fronte a qualcosa di inaspettato, lo stesso accadde a Straw che smise di sorridere e strinse gli occhi guardingo. “Vi ho stupiti, vero?” “Direi proprio di sì” ammise Argot guardandosi intorno. “Non si preoccupi, commissario, né lei né il signor Straw correte alcun pericolo, proseguire per questa strada però non sarebbe stato prudente, la Rosa Nera vi segue dappertutto e adesso che il Finis sta per essere ricomposto le vostre vite valgono ben poco. Il Maestro ha ritenuto che una breve sosta non poteva che giovare alla vostra ricerca e potrebbe anche rivelarsi molto istruttiva” “Il Maestro? Insomma, posso sapere chi è lei e come fa a sapere queste cose?” Adesso Argot aveva lasciato libero sfogo alla sua irruenza; Straw lo trattenne per un braccio. “Saggio ma irruente, spirito e materia, siete proprio una coppia perfetta, gli unici che avrebbero potuto ricostituire il Finis” Il commissario cercò di frenare la propria impazienza. “Va bene, Zaira; posso chiamarla Zaira, vero? Abbiamo capito che lei in qualche modo è legata alla vicenda del libro di Fulcanelli; possiamo sapere adesso cosa vuole da noi? Ha delle informazioni? Può esserci utile in qualche modo? Chi le ha raccontato del Finis?”
“Quante domande, commissario, e tutte d’un fiato! Io sono qui perché così deve essere, le cose non accadono mai per caso, lo ricordi sempre anche lei, signor Straw. Adesso seguitemi, non è prudente stare qui” Zaira si alzò di scatto, diede sorridendo uno schiaffo all’acqua e si incamminò per il vicolo proprio accanto alla fontana. Ben presto il buio li avvolse completamente ma il richiamo della donna li guidava; fu questione di pochi minuti, poi si aprì una porta lasciando filtrare una debole luce. I due uomini erano perplessi, ma avevano ormai imparato che stupirsi serviva a ben poco; entrarono nella piccola stanza e sentirono la porta chiudersi alle loro spalle. Zaira li attendeva con un lume in mano, Straw avvertì un respiro affannoso dietro di lui e spinse Argot vicino alla donna; si posero ai lati di Zaira per dare più spazio alla luce che illuminò un vecchio piegato su se stesso, con i vestiti sporchi e laceri, la barba incolta e un nodoso bastone al quale affidava i suoi movimenti terribilmente faticosi. “Niente paura, amici, lui è Jean, uno dei custodi dei aggi” “I aggi per cosa?” “Lo vedrà, Argot, seguitemi! Questa è una notte particolare, per la prima volta dopo tanti anni la Rosa e i Fratelli di Heliopolis si troveranno nello stesso posto, è molto più sicuro per voi non andare in giro” Si ritrovarono in un ambiente ancora più angusto del primo, in fondo al quale si apriva una porticina dissimulata con delle cassette di legno, simili a quelle usate per il mercato; la donna sgombrò il aggio e li invitò ancora una volta a seguirli mentre Jean rimaneva dietro, quasi a prevenire un eventuale pericolo. Il lume di Zaira rivelò nel buio una stretta scala ricavata nella roccia, tanto piccola da consentire il aggio di una persona alla volta e con le dovute precauzioni. “Ancora scale” sospirò Argot. Zaira si girò sorridendo, poi con la mano li invitò nuovamente a seguirla. “Possiamo almeno sapere dove ci troviamo?” Straw iniziava ad essere impaziente, non era timore il suo, ma eccitazione che lo coglieva di fronte al mistero, un elemento con il quale era abituato a convivere meno di quanto
pensasse; d’altronde non era la stessa cosa scrivere di intrighi esoterici e viverli in prima persona. “Stia tranquillo, signor Straw, ancora un po’ di pazienza e saremo esattamente sotto Rue Réaumur; per adesso l’ambiente non è certo dei migliori ma vedrà che giunti a destinazione sarà molto diverso” “Rue Réaumur? Le dice qualcosa questo nome, Argot?” “Sinceramente no” “Pensavo fosse lei l’esperto della città” “Non esageri adesso, Straw, ci vorrebbe una vita per conoscere tutta Parigi” Zaira si fermò un attimo, controllò che Jean fosse con loro quindi proseguì sorridendo alle piccole schermaglie verbali dei due uomini. Straw non riusciva a darsi per vinto, camminare al buio seguendo una sconosciuta nei sotterranei di una città che a malapena conosceva non lo rendeva certo tranquillo. “Sarebbe così gentile da dirci qualcosa di più? Cosa c’è di così particolare in questa Rue Réaumur?!” Zaira sorrise sonoramente scuotendo la testa: “Mi avevano raccontato della sua vasta cultura ma ovviamente c’è sempre una lacuna da colmare. Comunque, per vostra conoscenza, stiamo per arrivare nella zona compresa tra Rue du Caire e Rue Réaumur, nella Corte dei Miracoli!” “La Corte dei Miracoli?” Straw urlò quasi il suo stupore, tanto che Jean lo tirò per la giacca facendogli segno con le mani di abbassare la voce. “Io pensavo fosse soltanto un’invenzione letteraria, ma si rende conto di quanto sia assurdo quello che dice?” “Assurdo, signor Straw? Mi dica, quante di quelle cose che riteneva assurde o soltanto vecchie leggende e dicerie, ha avuto modo di constatare personalmente occupandosi del Finis?”
Argot cercava di seguire il filo di quel discorso ma si rese conto che rischiava di perdersi. “Straw, posso sapere di cosa state parlando?” “La Corte dei Miracoli, commissario; io pensavo fosse una invenzione letteraria di Victor Hugo, il Gobbo di Notre Dame per intenderci, Notre Dame de Paris di Victor Hugo mi segue?” “Sì, devo aver visto il film, un po’ datato direi” “La smetta, Argot, qui la cosa mi sembra abbastanza seria” “Ma che diavolo sarebbe questa Corte dei Miracoli?!” “A Parigi, il posto denominato la Corte dei Miracoli, era il vecchio distretto compreso tra la Rue du Caire e la Rue Réaumur. I ladri e i mendicanti avevano preso possesso di questo distretto e lo abitavano normalmente, con le loro leggi e le loro regole, tanto da scegliersi addirittura un re. Questo posto, che da quanto capisco esiste veramente, ha ispirato le scene di Notre Dame de Paris di Victor Hugo; con il tempo i poveri e i diseredati andarono nelle città a cercare un impiego per potersi nutrire. Sotto il regno di Luigi XIV, il numero dei mendicanti era aumentato a dismisura e questo comportava anche gravi problemi di sicurezza per la città. Il nome Corte dei Miracoli nacque quasi per caso, in relazione al fatto che le finte malattie e i finti acciacchi dei suoi abitanti sembravano guarire miracolosamente appena scendeva la notte; si trattava ovviamente di un comodo e remunerativo sistema di guadagnarsi qualche soldo facendo leva sulla pietà della gente. Nel 1656 si decise di mettere fine a questa situazione, così vennero rastrellate e incarcerate circa 60.000 persone, tra falsi mendicanti e povera gente che in verità non aveva nulla per sopravvivere. Intorno al 1750 la Corte dei Miracoli divenne soltanto un lontano ricordo” “Maledizione, ancora sotterranei, non ci bastavano quelli di Napoli?!” “Ma qui siamo a Parigi, Argot, questi sono i sotterranei della sua città, almeno di
questi dovrebbe conoscerne l’esistenza! Si tratta di una serie di gallerie sotterranee a una profondità oscillante tra i quindici e i trentacinque metri; il tutto si estende per circa trecento chilometri al di sotto della rete fognaria e di quella della metropolitana. Gli scavi vennero iniziati già in epoca romana per estrarre gesso e pietra calcarea, in seguito vennero riutilizzati per i più svariati motivi: nascondigli di tesori, contrabbando, depositi di derrate alimentari e anche rifugio per sette e società segrete” Argot adesso era più confuso di prima, ma la voce di Zaira lo riportò alla realtà. “Siamo arrivati, signori, benvenuti alla Corte dei Miracoli!” Lo spettacolo che si presentò ai loro occhi strappò ad entrambi una sonora espressione di stupore; finito il percorso sotterraneo erano sbucati in una immensa sala vistosamente illuminata da alcune luci che filtravano dall’alto, ma anche da moderne lampade poste sulle rocce che formavano i perimetri del locale. Ammassati in totale disordine si potevano notare tavoli, panche, sedie, ogni sorta di arredamento di qualsiasi stile, frutto ovviamente di ruberie perpetrate in superficie. In fondo a quel salone naturale si aprivano due aperture dalle quali, appena il gruppetto fece ingresso, iniziarono ad affacciarsi i più strani individui che man mano si sistemavano sulle sedie, sui tavoli o semplicemente sedevano per terra. “Si aspettava qualcosa di diverso, Straw?” “Non esattamente, anzi, se devo essere sincero, non so nemmeno io cosa mi aspettavo veramente” “Come vede ci arrangiamo con oggetti di fortuna, dove possiamo facciamo are qualche filo dell’elettricità in più per avere la luce, attaccandoci alle case in superficie, non abbiamo forse molto gusto nel scegliere l’arredamento, ma bisogna accontentarsi di quello che si trova e le assicuro che nonostante l’apparenza sono tutti pezzi robusti e originali” Argot era disorientato, non si sentiva a proprio agio e tutti quegli sguardi che sembravano volerlo avvolgere, lo facevano sentire in soggezione, pur non provando alcuna sensazione di pericolo. Erano uomini e donne di ogni età, vestiti con mezzi di fortuna, anche bambini,
donne incinte e vecchi dallo sguardo stanco e affaticato. “A quale scopo vivere quaggiù, Zaira?” “Noi non apparteniamo a nessuno, Argot, siamo coloro che si preferisce evitare, coloro che è meglio dimenticare, fingere che non esistono per vivere più tranquilli. Le potrei raccontare centinai di storie per ognuna delle persone che la stanno osservando” iniziò a muoversi lungo la sala indicando man mano i personaggi ai quali si riferiva. “Marcel era un brillante ingegnere fino a quando non denunciò gli imbrogli della sua ditta, da allora gli preclo ogni posto di lavoro, la famiglia lo abbandonò e non gli rimase che affidarsi alla strada. Anche Nicolas aveva un radioso futuro da intraprendere ma si fece prendere dalle belle compagnie e dall’alcool, quando capì il proprio errore non trovò più nessuno ad aspettarlo; Marielle rimase incinta troppo giovane, fuggì di casa per il timore di confessare che il bambino era di suo padre, quando la madre lo scoprì si scagliò contro il marito ma nella colluttazione perirono entrambi; Marielle entrò in uno stato di prostrazione tale da rifiutare tutto e tutti. Siamo personaggi scomodi, Argot, ai margini della società, eppure suoi figli anche noi” “E’ molto triste tutto questo, ma ancora non capisco il motivo della nostra presenza in questo posto” “In questo posto, come lo definisce lei, non ci sono soltanto persone vittime di eventi più grandi di loro, la diversità non si esprime soltanto nel dolore, ci sono anche persone diverse da altri punti di vista” Straw si fece avanti e si accostò ad Argot quasi in cerca di protezione. “Che tipo di diversità?” “Persone che hanno capito il vero senso della vita, che si sono rese conto di essere vissute nella bugia, in un incantesimo che era soltanto una bella e comoda facciata per non guardarsi dentro; persone che a differenza di lei, signor Straw, non si sono fermate soltanto a leggere oltre le righe, ma sono andate al dilà delle stesse interpretazioni, che non si sono accontentate di capire, ma hanno deciso di vivere ciò che avevano compreso” “E che centra tutto questo con il Finis?” “Quando Fulcanelli ebbe l’illuminazione e non fu più di questo mondo divenne
tutte le cose, molti di coloro che lo seguirono decisero di portare avanti concretamente il suo messaggio, di tramandarlo, di scuotere la gente dal torpore, facendole intravedere la strada per essere davvero cittadini del mondo. Era un ideale nobile e puro, ma nobiltà e purezza si scontrarono con una ben diversa realtà, una realtà nella quale potere, ricchezza e materia sono assoluti padroni, dove non si vuole ricordare o perpetuare ma solo distruggere e dimenticare. Lo scontro tra queste due realtà portò anche a una scissione tra i seguaci di Fulcanelli” “Sta parlando della Rosa Nera, vero?” “Anche di questo; in seguito alla scissione che portò alla nascita della Rosa Nera, la vita dei Fratelli di Heliopolis divenne sempre più difficile, a tal punto che una seconda scissione divise coloro che si erano votati alla conservazione del Finis scegliendo di integrarsi nel sistema sociale, da coloro che avevano deciso di chiudersi nel loro silenzio e ricordare, nel buio dei sotterranei di Parigi, la figura del loro Maestro” “Non mi sembra che fossero molto coraggiosi” “Si può servire una causa anche nella solitudine e nel silenzio, non è necessario confondersi con il mondo per cambiarlo, l’unico modo per combattere il sistema è quello di fargli credere di essere una ruota del suo folle ingranaggio” Dopo aver in parte ascoltato quella discussione, la folla di strani individui iniziò pian piano a disinteressarsi di loro; ognuno sembrava intento a fare qualcos’altro e questa nuova situazione non dispiacque a Straw, né tanto meno ad Argot, il quale riprese il filo del discorso con un tono più rilassato. “Non mi ha ancora spiegato la sua presenza qui, e cosa centra tutto questo con il Finis” “Io sono un tramite, commissario, un tramite tra la Corte e i Fratelli che operano in superficie; questo le spiega perché so così tante cose di voi e della vostra indagine” “E sa anche cosa ci aspetta?” “So soltanto che siete sulla buona strada, ciò che vi aspetta dipende soltanto da voi, ognuno è artefice di se stesso, riflettete prima di agire e troverete ogni
soluzione” “Per quanto tempo dobbiamo rimanere, Zaira?” La donna guardò in alto, verso una grata che lasciava filtrare un debole sprazzo di luce. “Quando la luna sarà visibile da quella grata, vi accompagnerò all’uscita” Si guardarono intorno, parte delle persone erano andate via, probabilmente erano saliti in superficie per cercare cibo o altre suppellettili; Jean era rimasto tutto il tempo in silenzio dietro di loro, ogni tanto lanciava un’occhiata a Zaira, per poi abbassare lo sguardo, contemplando il pomo intarsiato del suo bastone. Zaira spazzò con il lembo della gonna un tavolo e si sedette. “Ditemi, che sensazione vi da questo posto?” “Sicuramente è più comodo dei cunicoli di Napoli!” osservò con un sorriso Straw. “Ma è tutto qui?” “Sì, questa è la zona più importante ma anche la più tranquilla; purtroppo non è rimasto molto della vecchia Corte; in questo posto ci riuniamo, mangiamo, discutiamo, poi ognuno sceglie dove dormire tra i vari cunicoli che si aprono oltre quei due ingressi che vedete in fondo” Argot osservava la grata quasi come un carcerato in attesa della ormai prossima liberazione, e non faceva molto per dissimulare il suo crescente stato d’ansia. D’un tratto il pallido cerchio della luna fece capolino dall’alto e i due uomini si volsero contemporaneamente verso Zaira con una muta preghiera sul viso. La donna guardò in alto e sorrise. “E’ tempo signori, la Corte dei Miracoli è stata felice di conoscere coloro che riuniranno il Finis” Così come si era formato all’inizio, il quartetto si diresse verso l’uscita di destra e iniziò una lunga salita intervallata a tratti da deviazioni verso ulteriori cunicoli. Il rumore del bastone di Jean contro le tavole di legno poggiate sulla pietra indicava quasi il ritmo del percorso e l’andatura costante di Zaira costringeva i
due uomini a mantenere il o. Tra stretti aggi, scale improvvisate e ponti aerei dalla dubbia consistenza, arrivarono infine in una nuova sala, più piccola di quella che li aveva ospitati, sembrava più che altro un vecchio garage abbandonato. “Il nostro percorso finisce qui, signori, oltre quella porta vi troverete a pochi i dal Louvre, credo che lei Argot non avrà alcuna difficoltà a trovare la strada per il ritorno” Il commissario strinse la mano alla donna e lanciò uno sguardo sospettoso a Jean. “Non so a cosa sia servito tutto questo, ma ho la netta sensazione che un giorno lo scoprirò” Anche il giornalista salutò Zaira con una stretta di mano e nel suo sguardo si leggeva benissimo quanto aveva già detto Argot. “Le cose non accadono mai per caso, lo ricordi Argot, a suo tempo avrà le risposte che cerca, compresa questa, e forse potrà ringraziarmi di persona” “Me lo auguro”, Argot sorrise e trascinandosi dietro Straw, che nel frattempo era rimasto incantato ad osservare Zaira, aprì la porta respirando a pieni polmoni l’aria fresca della notte parigina. Trovarono in fretta la strada del ritorno e un provvidenziale taxi risparmiò loro una nuova fatica a piedi; nel frattempo Zaira aveva richiuso la porta e osservava con un sorriso compiaciuto Jean. “Che strani tipi, Maestro, non ho mai visto tanti sentimenti lottare tra loro in una sola persona” Jean accarezzò il pomo del bastone e sorrise di rimando. “Il tempo è vicino, Zaira, ancora un ultimo sforzo e il nostro compito sarà assolto!” Il taxi frenò nervosamente proprio davanti all’hotel, Argot pagò in fretta la corsa ed entrarono nella hall con l’unico desiderio di una doccia tiepida e un letto
morbido. Il portiere li accolse con un sorriso e con mille scuse da parte della direzione. “Monsieur Argot, Mr. Straw, per fortuna avete deciso di gustare le folli notti di Parigi; che orribile contrattempo, ma è stato tutto sistemato, ecco le chiavi delle vostre nuove stanze, attigue come avevate chiesto” Straw si risvegliò quasi di colpo dal suo torpore. “Che contrattempo? Perché ci avete cambiato le stanze?” “Mi dispiace, signori, non era mai accaduta una cosa del genere e ovviamente conto sulla vostra discrezione, il direttore è disposto a farvi un grosso sconto” “Sì, va bene, vedremo, ci spieghi invece che cosa è accaduto” “Come vi dicevo una cosa incresciosa, forse un cortocircuito, non sappiamo ancora, ma le vostre stanze e la camera accanto a quella di Mr. Straw hanno preso inspiegabilmente fuoco” “Cosa? Un incendio? E i nostri bagagli?” “Non si preoccupi, Monsieur Argot, erano ancora nel nostro deposito in portineria, il ragazzo aveva fatto confusione con le valigie e aspettavamo il vostro rientro per sistemarle in stanza” Presero le chiavi e si avviarono verso le scale, inseguiti dalle scuse del portiere; arrivati in camera diedero disposizione per le valigie; Argot chiese anche un caffè macchiato e Straw un tè, bevande che il direttore offrì loro insieme a degli ottimi dolci. Quando spensero la luce il pensiero di entrambi corse a Zaira e chio gli occhi indirizzandole un sentito ringraziamento.
[1] Simbolo universale, ricordato nella Bibbia come l’Albero del Bene e del Male dal quale Eva colse il famoso frutto proibito. Si tratta in realtà di una rappresentazione molto più antica e rintracciabile in quasi tutte le culture.
[2] Eugène Emmanuel Viollet-le-Duc, architetto se noto per i suoi restauri alle Cattedrali Gotiche.
Capitolo 19
La macchina scura si accostò al marciapiede scansando un clochard ancora in preda ai fumi dell’alcool notturno; da un tavolino del bar un uomo avvolto in un cappotto grigio chiuse il giornale del mattino e si avviò verso l’auto in sosta. Si avvicinò con o deciso, a testa bassa; il finestrino si abbassò con un sibilo, una piccola fessura, ma abbastanza per consentire la conversazione che ne seguì. “Sono arrivati entrambi e non mi stupisce ritrovare anche lei”. La voce dell’uomo era bassa, un sibilo prepotente che fuoriusciva dal finestrino e si diluiva nell’aria lasciando una sensazione di strisciante cattiveria. “Io seguo il Finis e gli eventi che ne fanno parte” “Gli eventi si costruiscono, il ivo abbandonarsi a ciò che deve essere è stata sempre la cosa che non ho mai capito di voi Fratelli di Heliopolis” “Non sono qui per ricordare le nostre vicende, abbiamo entrambi un compito da svolgere e nonostante la Rosa Nera abbia sempre combattuto i nostri princìpi, sa benissimo anche lei che in questo momento possiamo soltanto osservare” Un rantolo di forzata approvazione fece eco a quest’ultima affermazione: “Osservare! Attendo questo momento da così tanto tempo che non è facile frenare l’impazienza, voi ci definite assassini e traditori, opportunisti, ma la posta in gioco è così alta che tutto è permesso; il sacrificio di pochi vale di certo una giusta causa” “Giusta? Nessuno degli uomini che hanno perso la vita credo fosse consenziente; lei vuole soltanto il potere e non per nutrire e accrescere le coscienze ma soltanto per creare altre masse obbedienti e lasciare gli uomini nel buio dell’ignoranza” Una risata sarcastica interruppe l’uomo in grigio. “Poveri illusi Fratelli! Pensate davvero che l’uomo voglia conoscere, progredire, innalzarsi?! Gli uomini vogliono soltanto non sapere, a loro non interessa cosa cercasse Fulcanelli, non lo conoscono neppure, vogliono soltanto una bella casa, un bel lavoro, denaro e
divertimento, tutto il resto non ha alcuna importanza, ed è proprio quel resto che ci interessa, insieme al Donum Dei, ovviamente!” “Sa che non potrà intervenire prima che il Finis sia ricomposto?! Il Donum Dei non è per gli uomini e non appartiene a questo mondo, lei lo sa benissimo!” “Lo so, ma quando anche io sarò elevato, così come accadde al Maestro, tutto il resto non avrà alcuna importanza. Non gridate vittoria troppo facilmente, Fratelli di Heliopolis, voi siete vivi soltanto perché il Finis non è ancora ricomposto!” L’uomo si abbassò leggermente verso il finestrino: “Fino in fondo, Fratello, fino in fondo!” “Presto ci rivedremo e quella sarà per lei l’ultima volta!” La macchina si mosse e sparì lentamente nella traversina poco distante; l’uomo rimase a guardare quasi a sincerarsi che l’auto si fosse veramente allontanata, poi ritornò al tavolino e sospirando riprese il giornale.
Capitolo 20
Le guglie protese verso il cielo, i profondi portali sui quali si allineavano, rigide e slanciate, le statue colonne dei profeti biblici, la maestosa imponenza del sacro che si rende visibile agli uomini in tutta la sua magnificenza, queste furono le prime impressioni che colpirono Straw mentre con rapito stupore ammirava la Cattedrale di Chartres. Nei primi secoli dopo l’anno Mille, l’imponente edificio era una cosa sola con lo spirito che animava la cittadina se, città dalle mille risorse, meta di devozione e di pellegrinaggio tra le più famose del Medioevo; eretta su una struttura preesistente, la Cattedrale venne consacrata nel 1260 da Luigi IX, il futuro San Luigi, tra un gioco di pilastri e archi a sesto acuto che rilasciano una dimensione mistica dello spazio, accentuata dalla luce filtrata dalle ampie vetrate, un senso di leggerezza e verticalità che nasconde antichi misteri e conoscenze ormai perdute, che solo chi saprà leggere tra le pietre sapientemente scolpite potrà riscoprire. Viaggiarono come al solito di notte, dopo aver ato l’intera giornata a Parigi, studiando e confrontandosi su quanto e su cosa li avrebbe aspettati in quella che sarebbe dovuta essere la loro ultima meta; arrivati a Chartres cercarono un alloggio e anche questa volta toccò ad Argot fare da cicerone per le vie della città. Il capoluogo del dipartimento di Eure-et-Loir, nella regione del centro, si trova in una zona abitata fin dalla preistoria e i numerosi monumenti megalitici ne sono muti testimoni; la storia di Chartres, spiegava Argot, è abbastanza movimentata e ricca di avvenimenti. Il dipartimento era un tempo dei Carnuti[1] e già anticamente Chartres ne era la capitale sotto il nome di Autricum. Venne evangelizzata durante la metà del III secolo e divenne una delle diocesi più grandi della Gallia. La Contea fu oggetto di molte lotte e la sua prosperità economica divenne la ragione di aspre contese. Oggi è molto conosciuta per la sua Cattedrale, considerata uno dei più belli esempi di architettura gotica, ma Chartres è anche una città dinamica, sia dal punto di vista del lavoro che da quello culturale.
Straw ascoltava affascinato e con lo sguardo non perdeva neanche il minimo particolare di quel luogo così estremamente bello e ordinato. “Questo è un breve riassunto di Chartres e della sua storia; mi dica lei adesso, Straw, mi parli delle Cattedrali visto che questa dovrebbe essere la nostra ultima meta” “Una delle tante leggende che si raccontano sulle Cattedrali Gotiche afferma che basterebbe trovare la pietra giusta, rimuoverla, e l’intera cattedrale crollerà come un castello di carte. C'è chi afferma che i loro costruttori fossero gli eredi spirituali di Hiram[2], il mitico architetto dell'antico Tempio di Gerusalemme; sarebbero stati i Cavalieri Templari a indagare sugli antichi segreti ebraici nascosti nel sottosuolo di quel paese, a scoprire, in qualche nascondiglio sopravvissuto alla distruzione del Tempio, le Leggi Divine dei Numeri, dei Pesi e delle Misure che governano questo tipo di costruzioni. Resta il fatto che le leggende sulle Cattedrali iniziarono a fiorire fin dalla loro origine e che questa stessa origine è ancora oggi avvolta nel mistero; questi edifici sono uno dei tanti esempi di costruzioni, civiltà, scuole di pensiero, sorte all’improvviso e senza alle spalle alcun entroterra culturale o architettonico che ne permetta la collocazione nel tempo. Intorno all’anno 1128, proprio in coincidenza con il ritorno dei Templari in terra di Francia, iniziano a sorgere le prime Cattedrali; esse non hanno nulla in comune con il precedente stile romanico e gli uomini che vi lavoravano appartenevano a corporazioni dalle forti componenti esoteriche, quali i Compagnons ed i Maçons; la maggior parte degli edifici venne costruita su luoghi che in precedenza avevano ospitato aree sacre, soprattutto in riferimento al culto della Grande Madre, oppure su quelle linee che in seguito verranno chiamate punti di forza e che oggi conosciamo meglio con il nome di Ley Lines[3]. Sia il decoro interno che quello esterno, risentono in maniera quasi ossessiva della presenza di simboli magici e alchemici, tanto che il celebre quanto misterioso Fulcanelli, definisce a ragione le cattedrali come veri e propri libri di pietra, gigantesche descrizioni dell’opera alchemica o meglio, del percorso iniziatico che l’uomo deve compiere per attuare il aggio dallo stato bruto e materiale, a quello che lo accosta e accomuna quasi a Dio.
Tra i tanti simboli, la rosa è quello più ricorrente, simbolo che ricorda il Graal[4] e il Sigillo di Salomone, cioè il sigillo alchemico che indica l’esatto tempo da impiegare per la preparazione della Pietra Filosofale. Altra teoria che vede come protagoniste proprio le Cattedrali Gotiche è quella che le accomuna a dei veri e propri ricevitori; esse, in base alla loro disposizione, riceverebbero la potenza solare dal cielo e quella lunare dalla terra, cioè dalle loro stesse viscere; d’altra parte il ricorrere alle simmetrie nella loro costruzione è riscontrabile in molti modi, basti pensare che i pozzi dei sotterranei hanno una profondità che corrisponde all’altezza della guglia più alta, cioè la esteriorizzazione della simmetria tra cielo e terra. Concluderò facendo un salto indietro nel tempo e occupandomi di quello che forse fu il primo della lunga serie di misteri che ancora oggi circondano le Cattedrali Gotiche: siamo nel 1118, Bernardo di Chiaravalle[5] fa il suo ingresso a Chartres seguito da altri otto cavalieri; in quello stesso periodo già in dieci città della Francia si innalzano Cattedrali, Chartres sarà l’undicesima, e su una collina già un tempo teatro di riti pagani e druidici, si iniziano i lavori sotto la spinta dello stesso Bernardo. Undici Cattedrali, l’undicesima dedicata a Notre Dame, tutte nella stessa zona e tutte volute da Bernardo di Chiaravalle. Ma il mistero non si ferma qui; quello che inizialmente può apparire come il gesto estremo di un infervorato credente, nasconde in realtà un segreto molto più grande e impenetrabile; se proviamo infatti ad unire con una matita su una carta geografica, le varie cattedrali volute da Bernardo, constateremo che esse sono disposte esattamente come la costellazione della Vergine!” Argot rimase perplesso, certo si trattava di un mistero più grande di lui e forse neanche le loro forze messe insieme sarebbero riuscite a venirne a capo, al contempo era però orgoglioso che la sua amata terra di Francia fosse custode e testimone di simili, fantastici, eventi. In ogni caso, anche se le prospettive non promettevano niente di buono, erano giunti a Chartres; entrambi carichi di bagagli, avevano dato il suo bel da fare al portiere dell’albergo e avevano anche rimediato qualche insulto che Argot si rifiutò di tradurre; d’altra parte, traslocando quasi metà del suo archivio in tre grosse valigie, Straw non poteva certo aspettarsi altro.
Il primo giorno ò con molta lentezza; il giornalista si chiuse in camera per studiare quali sarebbero state le loro prossime mosse, Argot dal canto suo preferì andare in giro a caccia di ricordi; voleva assaporare fino in fondo l’aria della sua patria, visitare negozi, sentire parlare in se, ritornare alle origini e magari far visita a qualche suo parente che abitava proprio nelle campagne vicine. Non si videro in pratica per tutto il giorno, solo a cena si ritrovarono allo stesso tavolo. “La trovo in gran forma, Argot, effetto del rientro a casa?” “E’ una sensazione bellissima, amico mio, mancavo da così tanto tempo che mi sembra di rinascere nuovamente. Noi abitavamo a Parigi, ma da queste parti risiede il fratello di mio padre; quando i miei andavano a fargli visita io facevo i capricci per rimanere e debbo riconoscere che spesso venivo accontentato. La campagna dei miei zii rappresentava per me un richiamo incontenibile, era una distesa enorme tanto che se ne intravedevano appena i confini; io in quella vastità ero il re e comandavo il mio esercito di invisibili soldati contro gli spaventaeri che si affacciavano al limitare delle coltivazioni. Quante battaglie, Straw, e quanta pena quando venivo chiamato perché i miei erano venuti a riprendermi” Straw ascoltava vagando nel frattempo tra i suoi ricordi, ma non erano certo idilliaci come quelli del commissario. “Io non sono stato così fortunato, Argot, parte della mia infanzia l’ho trascorsa in un collegio e parte a lottare contro mio padre per fargli accettare le mie aspirazioni. Lui era molto duro con me, voleva che studiassi legge e che frequentassi il suo circolo nonostante la mia giovane età; un giorno però sembrò non interessarsi più di me, i princìpi che aveva sempre sostenuto con forza contro le mie aspettative sembrarono di colpo non essere più importanti. Iniziò a viaggiare per tutta l’Europa e lasciò lo studio in mano ai suoi soci e a mia madre. Quando è rientrato sono riuscito a vederlo soltanto per due settimane, poi è morto senza darmi neanche il tempo di chiedergli cosa fosse accaduto” “Le assicuro, Straw, che se ci mettessimo a raccontare tutte le nostre disavventure eremmo la notte su questo tavolo; in ogni caso suppongo lei abbia realizzato le sue aspettative” “Nessuno realizza mai veramente le proprie aspettative, crede forse che scrivere
articoli sui vip e di tanto in tanto qualche saggio sull’Esoterismo e la Magia siano le mie aspettative? Io sognavo la gente, la ressa delle persone attorno al frutto dei miei studi, sognavo la fama come mezzo per raccontare a tutti di me stesso, e alla fine cosa mi ritrovo? Un lavoro sottopagato, un padre che non riesco ancora a trovare e un bel caso di triplice omicidio nel quale, in qualche modo, sono coinvolto. Nessuno fa ciò che desidera, Argot, e chi lo fa spesso non se ne rende conto” Il commissario non era in vena di discorsi personali, tutte quelle emozioni nel giro di un paio di giorni erano state forse troppe. “Quale sarà la nostra prossima mossa?” “Debbo essere sincero, Argot, non ne ho la minima idea; il messaggio si riferisce indubbiamente a Chartres ma per il resto non dice molto, suppongo sarà meglio iniziare visitando la Cattedrale” “Buona idea, domattina saremo i primi della fila, anche se personalmente non vedo cosa potrebbe dirci di interessante quel monumento” “Lei è un uomo di poca fede, commissario, ricorda cosa le ho detto a proposito delle Cattedrali Gotiche? Sono veri e propri libri di pietra, dobbiamo soltanto cercare di leggerli” “Facile per lei, Straw, io preferisco indizi molto più tangibili” “Lo so, ma purtroppo è di questo che dobbiamo accontentarci; d’altra parte se Fulcanelli in qualche modo ci ha fatto arrivare fin qui ci sarà pure un motivo” Il cellulare di Argot si fece sentire per tutta la sala; era Marini che come al solito si informava sulla sua salute e sull’andamento dell’indagine; chio quasi subito la conversazione per via del costo eccessivo. Una lunga eggiata concluse la serata, l’aria fresca, a tratti pungente, sfiorava i loro volti sui quali si poteva leggere chiaramente una forte tensione, ma anche una profonda determinazione. In silenzio percorsero il perimetro dell’albergo varie volte, poi si avviarono alle loro camere augurandosi un affettuoso buonanotte.
La mattina fecero una abbondante colazione e subito si diressero verso la Cattedrale, non senza qualche riserva da parte di Argot, il quale non amava avventurarsi senza un piano ben preciso e senza alcun tipo di informazione. Le guglie di Chartres si stagliavano più alte di qualsiasi altra cosa, superavano abbondantemente le cime degli alberi invogliando anche l’osservatore meno curioso ad avvicinarsi; quando si trovarono a pochi metri dall’ingresso vennero ancora una volta colti da quello strano senso di inquietudine e di rispetto che avevano già sperimentato in precedenza. Straw osservava meravigliato, quasi volesse contenere tutto in una sola occhiata per non perdere neanche il minimo dettaglio di quella fantastica architettura; osservava e parlava allo stesso tempo, girando di tanto in tanto la testa verso il commissario, a sua volta più meravigliato di lui. “Lo sa, Argot, che la Cattedrale di Chartres sorge su un parallelo geografico la cui lunghezza di un grado è di settantaquattro chilometri?” “Non lo sapevo, è importante?” “No, non lo è, se non fosse per il fatto che la lunghezza della navata della Chiesa è di 74 metri, quella del coro di 37 metri, mentre la volta e il pozzo celtico misurano entrambi 37 metri, la prima in altezza, il secondo in profondità. Curiose coincidenze, vero?” “Non mi parli di coincidenze, Straw, la prego, ne ho già avute anche troppe; cerchiamo invece di capire quali dovrebbero essere le nostre prossime mosse” “Non chiedo di meglio, Argot, entriamo!” Quando si trovarono dentro l’edificio ogni loro velleità era cessata, un senso di quiete profonda si impadronì dei loro pensieri e mentre Argot metteva mano al taccuino per trascrivere le ormai famose esternazioni di Straw, quest’ultimo riava mentalmente figura per figura, pietra per pietra ogni singolo mattone della Cattedrale. Chartres li accolse con i suoi 130 metri di lunghezza, le sue 176 vetrate e le 200 statue del coro. “Osservi quelle vetrate, Argot, ricreano all’interno lo stesso lavoro fatto dagli
scalpellini all’esterno. Se non ricordo male la lettura avviene dal basso verso l’alto e da sinistra a destra. Le figure che vede proprio all’inizio sono coloro che effettuarono donazioni, rappresentati mentre sono intenti ai loro abituali lavori, tranne che siano Principi, Vescovi o Canonici. Fulcanelli annotava a proposito di queste vetrate che esse furono colorate secondo procedimenti alchemici andati ormai perduti e nasconderebbero il segreto per la fabbricazione della Pietra Filosofale” Argot ascoltava avidamente le spiegazioni del giornalista e nel frattempo vagava con lo sguardo perdendosi nell’immensità di quella fantastica architettura. Giunsero nei pressi della navata centrale e lo sguardo del commissario venne attratto dal pavimento che, malgrado fosse coperto da numerose sedie, lasciava intravedere uno strano disegno di enormi proporzioni. “Di cosa si tratta, Straw?” chiese Argot puntando il dito verso il basso. “Questo è il famoso labirinto di Chartres, lungo ben 294 metri, che un tempo veniva percorso in ginocchio dai pellegrini” “In ginocchio?!” “Sì, Argot, ma prima di spiegarle il significato di questa bizzarra usanza vorrei che lei notasse la particolare struttura di questo disegno; il percorso va dall’esterno all’interno del cerchio seguendo una successione di curve e archi concentrici. La sua particolarità risiede nel fatto che i percorsi, sia dal centro che dal perimetro, presentano la stessa successione di curve e di archi” “E il fatto di percorrerlo in ginocchio? Ha un particolare significato anche quello?” “Certo, niente di quello che vede tra queste mura è affidato al caso. Il labirinto rappresenta il cammino simbolico che porta l’uomo dalla materia allo spirito, dalla terra a Dio; il suo percorso non consiste soltanto nell’andare verso il centro, ma anche nel ritornare indietro. Il pellegrino in questo modo viene invitato a seguire la linea tracciata davanti a lui salendo verso il Coro della Cattedrale, cioè verso Oriente, verso la Luce. Oltre che in ginocchio questo percorso viene effettuato ancora oggi a piedi nudi in modo da sentire e fare proprie le energie magnetiche che provengono dal sottosuolo di Chartres. Tra l’altro, se lei si prendesse la briga di contare le mattonelle che compongono il labirinto, avrebbe come risultato il numero esatto dei giorni della gestazione”
“Niente è stato affidato al caso quindi. Però, il labirinto in ginocchio è proprio una bella fatica!” “Certo, ma senza sofferenza, caro Argot, non esiste conquista” Il commissario non sembrò molto convinto di quest’ultima affermazione, in ogni caso seguì Straw e si spostarono entrambi verso la Cripta. “Caro Argot, ecco la Nera Santa della quale parlava il manoscritto!” Tra gli affreschi del XII secolo spiccava una statua raffigurante la Vergine con il Bambino, entrambi completamente neri, replica comunque, come spiegò il giornalista, di una precedente statua di epoca medioevale distrutta da un incendio. “La vedo deluso, Argot, qualcosa non la convince?” “Non capisco, Straw, cerco di sforzarmi ma proprio non ci riesco; siamo nella Cattedrale di Chartres, abbiamo trovato la Nera Santa e qui dovrebbe esserci anche un pozzo, ma tutto questo che relazione ha con il Finis?” “Questo proprio non lo so, sinceramente credo sia abbastanza improbabile che Fulcanelli abbia nascosto l’ultima copia del Finis tra queste mura!” “Pensa che abbiamo sbagliato ad interpretare il messaggio?” “Possibile, Argot, anche se l’istinto mi dice il contrario” “In effetti non avrebbe senso quello che è accaduto a Parigi e non avrebbero senso gli avvertimenti di Zaira, se non fossimo vicini alla soluzione” “Appunto, commissario, quindi l’unica cosa da fare e armarsi di pazienza e continuare a cercare” “Cercare cosa, Straw?” “Le ripeto che non ne ho la minima idea, comunque sarà meglio uscire da qui, una boccata d’aria e una sosta al bar forse ci darà modo di riflettere meglio” Si fermarono poco lontano, in un grazioso locale con tanti tavolini blu disposti in
ordine proprio davanti all’ingresso; Argot ordinò un dolce tipico del luogo dal nome incomprensibile e Straw il solito tè. “Ci siamo arenati, vero, Straw?” “Confesso che non saprei proprio da dove cominciare; il manoscritto parla di una Nera Santa che veglia ascoltando il canto del pozzo” “Questo non ci aiuta molto Straw, e non mi proponga chissà quali acrobazie o, peggio ancora, veri e propri reati all’interno della Cattedrale!” “No, Argot, stia tranquillo, penso che il problema sia ben diverso, è un gioco sottile di parole che forse richiede più fantasia che preparazione in campo esoterico. Mi riferisco al fatto di seguire il serpente sotto il poggio; non ha senso, capisce, Argot?” “Sì, però vicino alla Cattedrale in effetti un poggio esiste!” “Davvero? Non l’avevo notato, questo comunque non esclude che possa trattarsi di una fortuita coincidenza” Pagarono in fretta il conto e rientrarono nell’edificio, proprio mentre un gruppo di turisti americani si accalcava sotto il portale in un modo che Argot definì un po’ troppo goliardico. Si accodarono al gruppo decidendo di abbandonarsi a una nuova visita, senza troppe pretese, in attesa che qualche idea riaccendesse la fiamma della loro ricerca; la guida nell’enfasi di riunire il gruppo urtò inavvertitamente Straw facendogli cadere gli opuscoli che teneva in mano. “Pardon Monsieur, j'étais distrait” “Don't worry” L’uomo si accese in viso e la sua espressione contrita si trasformò in uno dei sorrisi più invitanti che Straw avesse mai visto. “Americano? Che bello, sono da tre giorni in Francia e pensavo che il mio fosse l’unico gruppo che avesse osato attraversare l’oceano”
“Sì, sono americano ma abito a Roma ormai da molto tempo” “Roma, bellissima, grandissima, superba; molto piacere, Albert Finch” “Robert Straw, piacere mio. Comunque non faccio parte di un gruppo, sono qui con il mio amico a cercare spunti per il mio prossimo libro” “Uno scrittore? Che bellezza, bellissimo!” Finch abbracciò il giornalista con una foga che colse Straw di sorpresa, tanto che Argot dovette tossire vistosamente per attirare l’attenzione dell’intraprendente guida turistica. “Perdoni, Mr. Straw, sono molto istintivo, me lo dicono tutti; se vuole può unirsi a noi, sto per parlare al gruppo del labirinto, poi, se avremo il permesso, cammineremo a piedi scalzi intorno ai cerchi per provare l’effetto delle energie magnetiche del fiume” Pronunciò le ultime parole accompagnandole con un gesto plateale delle braccia. Straw per un attimo si sentì colto di sorpresa ma si riprese quasi subito. “Grazie, Mister Finch, un’altra volta magari, chissà!” La guida strinse ad entrambi le mani e corse a rincorrere il gruppo che nel frattempo si era sparpagliato per tutta la Cattedrale. “Ha sentito, Argot? Parlava di un fiume sotto il labirinto” “Ho sentito, Straw, e ho un brutto presentimento” “Lasci stare le sue premonizioni, se c’è un fiume ci saranno pure dei sotterranei; forse non ci siamo documentati abbastanza” “Sotterranei, appunto!” “Argot, non faccia il bambino. Mi ascolti bene, adesso ci concediamo un bel pranzetto, magari in quel locale che abbiamo lasciato poco fa, quindi ci divideremo i compiti; lei che sa muoversi meglio sul luogo dovrà cercare ogni notizia riguardante la cittadina, le planimetrie, storie curiose o fatti di cronaca,
vada magari in qualche redazione locale, insomma non debbo certo essere io a insegnarle il mestiere!” “Lei che farà, Straw?” “Mi barricherò in camera e vedrò se in albergo dispongono di una connessione a internet, stasera a cena confronteremo i nostri risultati” Le ore volarono; Straw totalmente assorto nella sue ricerche si estraniò completamente da tutto e da tutti, mentre Argot, dopo aver velocemente, ma senza troppa convinzione, svolto i propri compiti, rimase sdraiato sul letto, gli occhi rivolti al soffitto, chiusi in un rilassamento quasi totale, una sensazione che non aveva mai provato. Liberò la mente da ogni pensiero, lasciandosi trasportare solamente dal senso di pace che gli dava il sentirsi lontano da tutto; sperimentò la sensazione di non appartenere più al proprio corpo, ma di essere allo stesso tempo tutte le cose che gli stavano intorno. Era la stessa sensazione del bambino al quale hanno regalato un mappamondo, le sue mani lo sfiorano curiose, girano e rigirano i continenti, immaginando in ognuno di essi milioni e milioni di persone che si muovono, che vivono, inconsapevoli della sua presenza. Questa era la sensazione di Argot, padrone del tutto e, allo stesso tempo, tutto lui stesso, il mondo e la sua anima che si osservano e restano meravigliate nel riconoscersi. Certo, i due uomini si sarebbero stupiti nel sapere quanto stava accadendo in quel preciso istante nei luoghi più lontani e impensati; da Roma a Firenze, da Parigi a New York, decine di telefonate si intrecciavano tra loro, voci concitate, preoccupate, ansiose. Erano uomini in vista, politici, notai, avvocati, alti esponenti del clero, molti preoccupati per ciò che sarebbe stato del Finis, altri in apprensione per l’ultima possibilità di venire finalmente in possesso del Donum Dei. Una vasta rete di insospettabili personaggi seguiva l’avventura finale di Straw e Argot, preparandosi a ciò che sarebbe stato il dopo, a cosa sarebbe stato del Finis e del suo terribile segreto. Straw scese nella hall indossando una insolita giacca blu su una elaborata camicia bianca dal colletto rigido; Argot scese per le scale inveendo contro la giacca che non riusciva a indossare.
“Buonasera, Argot, ha riposato?” “Più che riposato ho provato a rilassarmi” “Ottimo!” Argot osservò curiosamente il giornalista: “La trovo in forma, Straw, debbo dedurre che le sue ricerche hanno avuto successo” “In parte sì, Argot, ma ceniamo tranquillamente, ne parleremo dopo, magari sorseggiando un buon bicchiere di liquore se” Cenarono in silenzio, intervallando ogni portata con qualche battuta sulla cucina se e terminando con una esposizione di Argot sulle pericolose abitudini alimentari degli americani. Un bicchiere di ottimo liquore, offerto dalla direzione, nel salottino adiacente, aprì la strada all’esposizione di Straw. “Caro Argot”, disse il giornalista gustando con chiari segni d’approvazione la sua bevanda, “direi che siamo alla stretta finale; la buona notizia è che sono riuscito a recuperare alcune informazioni molto interessanti sui sotterranei di Chartres…” “E la cattiva?!” chiese Argot con una sottile vena d’ironia. “La cattiva è che non ho la minima idea di come fare per accedervi!” Il commissario sorrise: “Non mi sembra un buon princìpio, Straw!” “Neanche a me, Argot, comunque cerchi di seguirmi e vediamo se insieme riusciamo a farci venire qualche buona idea” “La seguo” “La Cattedrale di Chartres fu eretta su di un poggio, dove si trovavano già le vestigia di un antico tempio, costruito a sua volta sul perimetro di un bosco sacro ai Druidi” “Se non mi sbaglio, mi aveva già parlato di questa strana usanza antica, costruire
edifici sacri su altre costruzioni, anch’esse sacre, già esistenti” “Infatti, Argot; questa tecnica, che potrebbe scambiarsi per un sistema di agevolare il lavoro ai costruttori, ha in realtà un suo ben preciso scopo, cioè quello di attestare pubblicamente il potere e la forza della cultura dominante. Non a caso i Cristiani costruivano i loro templi su edifici pagani, questo costituiva la prova visibile della vittoria della nuova religione sul Paganesimo” “In poche parole era un avvertimento, se così possiamo chiamarlo” “Sì, commissario, un monito verso tutti coloro che ancora si battevano in favore dei vecchi culti, un segno di potere” “Non ci vedo molto di spirituale in tutto questo, Straw!” “Neanche io, Argot, ma ricordi che fede e religione sono due cose ben distinte tra loro; la fede è un processo dell’anima, individuale e soggettivo, la religione invece è fatta dagli uomini, amministrata dagli uomini, una forma di potere a tutti gli effetti” “Neanche in questo ci vedo molto di spirituale!” “Così vanno le cose, caro commissario, gli uomini attribuiscono a Dio la responsabilità del loro operato, nel suo nome sono capaci delle più grandi opere di carità ma anche delle più assurde cattiverie” Argot annuì con la testa: “Vada avanti, Straw, parlavamo delle origini della Cattedrale” “I sacerdoti Druidi avevano scelto quel luogo perché pensavano che da esso si sprigionassero forze magnetiche che producevano energie positive; nel punto di congiunzione di queste forze venne costruito un cerchio di pietre sacre e al loro interno un dolmen; lo stesso avvenne per la Cattedrale, nella quale l’altare è stato edificato nello stesso punto dove si trovava il dolmen originale” “Scusi, Straw, ma si parlava di un pozzo nel messaggio di Fulcanelli” “E infatti quel pozzo esiste, subito dietro la Cattedrale; l’acqua del pozzo serviva originariamente per i riti iniziatici e i battesimi. Esiste però anche un altro pozzo, profondo 37 metri, tanto quanto è alta la volta della Cattedrale”
“Veramente non ho notato altri pozzi” “Non lo ha notato perché è posto proprio sotto l’edificio; questo pozzo, chiamato dei Santi Forti, è strettamente legato con la tradizione della Madonna Nera, la Nera Vergine alla quale accenna Fulcanelli. Secondo una antica tradizione, una visione profetica informò i sacerdoti Druidi che una vergine avrebbe dato alla luce un bambino; i sacerdoti intagliarono nel tronco di un pero l’immagine di una donna con un bambino seduto sulle ginocchia. Questa improvvisata scultura venne posta accanto al pozzo e alla fonte di energia e venne chiamata la Vergine Sotterranea. In seguito l’iscrizione venne modificata in Virgini Pariturae, cioè la vergine che partorirà un bambino. La statua della Madonna Nera conservata a Chartres sarebbe una riproduzione, in chiave cristiana, della Vergine Sotterranea” Argot ascoltava con grande coinvolgimento: “Scusi, Straw, ma come è possibile che, ancora prima dell’avvento del Cristianesimo, si parlasse già di una Vergine che avrebbe partorito un bambino?!” “Non è impossibile, tenga conto che le storie riguardanti vergini che partoriscono sono in realtà molte più di quanto lei immagini. In poche parole non si tratta soltanto di un evento narrato nei Vangeli, ne abbiamo riscontro anche in altre religioni e filosofie, lo stesso Krishna nacque da una vergine che partorì in una grotta!” Argot era sconcertato ma preferì non approfondire quel particolare argomento. “Comunque”, proseguì Straw ,“torniamo al discorso che più ci interessa. La statua della Vergine Nera di Chartres tiene i piedi poggiati su di un serpente; nel simbolismo cristiano questo rettile rappresenta il Demonio, la Tentazione, ma presso i Druidi esso rappresentava la Wouivre, cioè la corrente tellurica che serpeggia nel sottosuolo della Cattedrale. Dimostrata l’attinenza della Vergine Nera con l’antica rappresentazione dei sacerdoti Druidi, veniamo adesso a quanto può esserci utile per la nostra ricerca; scartiamo a priori l’ipotesi di cercare qualcosa all’interno dell’edificio, sarebbe impensabile quanto inopportuno e rischioso, dobbiamo quindi concentrarci su quello che si potrebbe nascondere sotto la Cattedrale” Argot sospirò: “Sotterranei, dovevo immaginarlo, ancora sotterranei”
“Spiacente”, disse Straw allargando le braccia, “ma in compenso, questa volta, dovremmo muoverci più agevolmente che a Napoli, almeno per quanto riguarda lo spazio”. Dalla tasca interna della giacca estrasse una serie di fogli, prese l’ultimo e lo aprì mostrandolo al commissario. “Osservi bene, Argot; il sottosuolo della Cattedrale è percorso in tutti i sensi da sotterranei molto antichi, anche se molti sono stati trasformati nel tempo in fosse asettiche. Questa fotocopia di un vecchio ritaglio di giornale, che gentilmente il portiere dell’albergo mi ha procurato dalla biblioteca locale, parla di uno scavo edile che avrebbe portato alla luce circa dodici piani di caverne. In pratica il poggio sarebbe quasi vuoto sotto; guardi adesso quest’altro prospetto che ho scaricato da internet” prese un altro foglio e lo pose quasi sotto il naso di Argot. “Come diceva la guida, sotto la Cattedrale scorre un fiume proprio a 37 metri di profondità e, proprio dietro la Cattedrale, dovrebbero esserci ben quattordici canali sotterranei” Argot prese il foglio e lo studiò con attenzione. “Un fiume! Potrebbe essere il serpente al quale si riferisce Fulcanelli; 37 metri si riferisce sicuramente al pozzo del quale mi parlava lei e quei quattordici canali potrebbero essere quelle che sono state scambiate per caverne durante lo scavo edile!” “Ben detto, Argot, volevo arrivare proprio a questo” “Ammettiamo che ci sia una relazione tra tutte queste coincidenze e la nostra ricerca, come pensa di accedere ai sotterranei?” “Questo ancora non lo so, ma c’è sicuramente più di una coincidenza e di questo ne sono certo, così come sono certo che troppe coincidenze spesso sono il primo o verso la verità. Ripartiamo dalle notizie che abbiamo sulla Cattedrale: la posizione segue il senso della corrente tellurica e va in direzione nord-est. Una delle caratteristiche principali di questo edificio è quella di incanalare insieme le due forze che stanno all’origine delle cose, maschio e femmina, sole e luna. Se la Cattedrale è un catalizzatore di energie che portano all’elevazione, è ovvio che questo processo proviene dal basso per irradiarsi verso l’alto. In poche parole le energie che scorrono nel sottosuolo spingono verso l’alto e portano colui che le recepisce all’estasi divina” “Mi scusi, Straw, vorrebbe per caso dirmi che la Cattedrale è la rappresentazione esterna, simbolica, di ciò che giace nei suoi sotterranei?!”
“Appunto, Argot, proprio questo voglio farle capire, la lettura dell’edificio deve essere fatta tenendo conto del suo lato nascosto, sotterraneo. Visto che Chartres venne costruita partendo dal punto centrale del poggio e che la sua pianta è a forma di croce latina, ovvero il geroglifico alchemico del crogiolo, come afferma Fulcanelli in una delle sue opere, noi dovremmo trovare il centro” Argot rise sonoramente. “Scusi Straw, non vorrei offenderla, ma saprebbe spiegarmi come si può trovare il centro di qualcosa che sta in alto, cercando dal basso, senza alcun punto di riferimento?” “Infatti noi non dobbiamo cercarlo, Argot, dobbiamo sentirlo!” “Sentirlo in che senso?” “La Cattedrale non può essere letta soltanto con gli occhi, non può essere interpretata dalla mente, questo edificio è nato per essere sentito; così come il pellegrino si affida al labirinto per raggiungerne il centro, noi dobbiamo affidarci all’energia della cattedrale per penetrarne i segreti” Il commissario finì il suo bicchiere di liquore e si alzò. “Per quanto mi sembri assurdo credo che lei abbia ragione, Straw” Anche il giornalista si alzò, ripiegò i fogli e insieme si avviarono verso l’uscita. “L’aria di Chartres ci porterà consiglio e una buona eggiata prima di andare a letto è sempre salutare” “Parole sante, Straw” I due uomini si incamminarono per la strada senza una meta ben precisa, spettegolando sui camerieri e sul direttore dell’albergo; quando rientrarono era già tardi, Straw prestò un libro ad Argot spiegandogli che una buona lettura, anche se intrisa di misteri, a volte concilia il sonno; il commissario lo ricambiò con un sorriso e una scrollata di spalle.
[1] Potente popolazione celtica della Gallia, stanziata tra la Senna e la Loira. Il loro territorio era conosciuto dai Romani come il centro politico e
religioso delle nazioni galliche.
[2] Hiram Abif, figura allegorica nel rituale Massonico; viene convenzionalmente riconosciuto come l’architetto capo incaricato della costruzione del Tempio di Salomone, edificato intorno al 988 a.C.
[3] La prima definizione di Ley Lines risale al 1921, ad opera di un archeologo dilettante inglese, Alfred Watkins. Si tratterebbe di una vera e propria griglia formata da linee di forza che percorrono l’intero pianeta. Su questa antica conoscenza, i costruttori progettavano gli edifici traendo energie dalla terra stessa. Lo studio delle Ley Lines è abbastanza recente in Europa mentre in Oriente ha origini remote; gli studi relativi al Feng Shui, l’arte di costruire basandosi su determinati punti energetici, è sicuramente in stretta connessione con quelle che noi chiamiamo Ley Lines.
[4] Mitica coppa nella quale sarebbe stato raccolto il sangue di Gesù Cristo dopo la sua crocifissione. La ricerca del Graal ha ispirato molte opere letterarie e rappresenta un percorso iniziatico per arrivare a Dio, all’Illuminazione. Sulla materialità del Graal esistono molte scuole di pensiero, una delle quali recentemente dibattuta nel libro Il Codice da Vinci.
[5] Teologo e santo se nato nel 1090 e morto nel 1153. Canonizzato nel 1174, fu in seguito riconosciuto come Dottore della Chiesa. La sua connessione con il movimento che diede origine alla costruzione delle Cattedrali Gotiche è da sempre oggetto di studio da parte dei ricercatori, così come i suoi rapporti con i Cavalieri Templari.
Capitolo 21
La mattina giunse inaspettata e sorprese Straw con la testa sotto il cuscino; lo squillo del telefono che annunciava la sveglia ebbe alla fine la meglio e il giornalista si alzò, dirigendosi quasi a fatica verso il bagno. Argot dal canto suo non aveva dormito molto, il libro si era rivelato estremamente interessante, ma questo non lo disse a Straw quando si incontrarono nella hall, alzando le spalle riferì che non ci aveva capito molto e che il sonno lo aveva colto neanche a metà della lettura. Una colazione veloce e le raccomandazioni di Argot fecero da preludio al loro ritorno nella Cattedrale di Chartres. Ancora una volta quella sensazione di smarrimento che li aveva colti osservando la maestosità dell’edificio, si ripresentò vivida come prima; girarono intorno alla costruzione e si portarono dietro, dalle parti del poggio, in corrispondenza del pozzo. Straw camminava a testa bassa, osservando l’erba piegarsi a ogni suo o; Argot gli stava accanto, anche lui serio, con lo sguardo sembrava interrogare l’ambiente circostante, nella consapevolezza di non ricevere alcuna risposta. “Preoccupato, Straw?” “Preoccupato e agitato, più ci avviciniamo a quella che dovrebbe essere la nostra ultima meta, più sento il peso della responsabilità che Fulcanelli ci ha affidato” “E’ stata anche una nostra scelta, non lo dimentichi!”, lo corresse Argot, “non siamo stati obbligati da nessuno” Straw si fermò posando sul commissario uno sguardo grave. “La coscienza, Argot, la coscienza; anche se nessuno ci ha costretto sapevamo benissimo che non avevamo altra scelta; per quanto cerchiamo di indossare la maschera migliore ogni mattina, non siamo ciò che vorremmo essere e non lo saremo
mai!” “Che cosa ha in mente per risolvere questo nuovo mistero?”, tagliò corto Argot per non impelagarsi in discorsi che lo avrebbero costretto ad ammettere quelle che riteneva fossero le sue debolezze. “Non lo so, come al solito affidiamoci a noi stessi e vediamo cosa viene fuori” “Come vuole, Straw; allora, cosa sappiamo per certo riguardo a questo luogo?” “Siamo a Chartres, costruita su un poggio, un tempo luogo di culti pagani, nel quale venne ritrovata una Madonna Nera e nel quale esisteva una fonte ritenuta sacra, chiaro indizio di antichi culti femminili dedicati alla Dea Madre” “Ma non solo”, continuò Argot, “sappiamo che questa Cattedrale ospita un labirinto, meta di pellegrinaggi, costruito su quello che si ritiene sia un campo di forza sotterraneo; Fulcanelli accenna a un serpente e noi sappiamo che proprio sotto questa costruzione corre un fiume sotterraneo, probabilmente collegato al pozzo e a quei riti ai quali accennava lei poco fa” “Ottima analisi, Argot”, esclamò il giornalista lasciandosi andare finalmente a un sorriso, “se un giorno dovesse lasciare la polizia avrò di sicuro un pericoloso concorrente!” Argot sorrise di rimando. “Chi lo sa, Straw, chi lo sa; ma adesso concentriamoci sul da farsi. Debbo supporre che mi proporrà ancora una volta una discesa sotterranea! Mi sbaglio?” “Sinceramente, Argot, non so neanche io cosa proporre; l’unica cosa che possiamo fare è rientrare nella Cattedrale” Girarono proprio dietro l’edificio e stavano per ritornare sui loro i quando Argot diede uno strattone al giornalista costringendolo a fermarsi. “Guardi, Straw, laggiù, vicino all’albero a ridosso di quella casa!” Straw cercò con lo sguardo il posto indicato da Argot, giusto in tempo per notare una figura femminile che svoltava l’angolo in tutta fretta: “Che ha visto, Argot? Chi era?!”
“Non ne sono sicuro ma credo fosse Zaira” “La ragazza della Corte dei Miracoli?” “Sì proprio lei” I due uomini si scambiarono uno sguardo repentino poi, come spinti dalla stessa intuizione, si diressero in gran fretta verso la strada che li separava da quella che non sembrava affatto essere una fortuita coincidenza. Man mano che si avvicinavano i i diventavano sempre più affrettati e l’ansia, quasi fosse un miracoloso carburante, annullava stranamente ogni sintomo di fatica; girato l’angolo si fermarono a riprendere fiato e alzando lo sguardo videro Zaira in lontananza; la donna si voltò, quasi ad assicurarsi di essere seguita, quindi proseguì immettendosi nelle strette viuzze del paese, in direzione del fiume. Malgrado Argot ritenne non fosse così difficile raggiungerla, Straw lo frenò, consigliandoli di controllare la propria impazienza; forse era meglio seguirla e l’intuizione non si rivelò sbagliata. Percorsero le stradine tranquille, sbucando di tanto in tanto in qualche piazzetta affollata da turisti, per poi perdersi nuovamente tra i labirinti di piccole vie prospicienti il fiume; di colpo Zaira rallentò il o, si girò ancora una volta, poi di corsa girò a destra. Lo scatto istintivo di Straw colse impreparato il commissario e quando lo raggiunse lo trovò solo, in una stradina stretta e senza asfalto. “Dove diavolo è finita la ragazza?!” chiese Argot affannato e sorpreso. “Non lo so, Argot, quando sono arrivato non c’era nessuno e da questa strada, come può notare, si può andare solo dritto, fino al fiume” “Maledizione, non mi vorrà mica far credere che sia scomparsa, vero?!” “No, amico mio, niente trucchi e magie, osservi anche lei e capirà” Straw indicò ad Argot il portone di legno verde davanti al quale si era fermato, alzando il dito verso l’alto e sorridendo compiaciuto.
“Ha ritrovato un vecchio amico di’infanzia?”, chiese Argot avvicinandosi. “Meglio, Argot, molto meglio” Il commissario alzò lo sguardo; il portone era stato successivamente adattato a un vecchio portale, una classica struttura tardo medioevale composta da due grosse lastre di pietra sormontante da un masso rettangolare squadrato; il tutto nella massima semplicità, senza segni scolpiti o figure. Al centro, in un piccolo rettangolo ricavato nella roccia, trovavano posto due lettere poste in bella evidenza: F.H., con accanto quattro strani simboli: un cerchio tagliato al centro, una croce sormontata da un cerchio, sormontato a sua volta da una luna, un terzo simbolo, simile al secondo ma sormontato da una sorta di v e infine una croce sormontata da un triangolo. Argot cercò di interpretare mentalmente le iscrizioni ma ci rinunciò quasi subito. “Non penso che abbiamo molto tempo per le nostre solite disquisizioni”, disse rivolto a Straw, “quindi se fosse così gentile da illuminarmi su quanto sta accadendo mi farebbe un grandissimo piacere!” Straw sorrise al solito ma questa volta andò direttamente al cuore della faccenda: “Credo che Zaira sia entrata in questa casa, i simboli che nota in alto mi confortano nella mia ipotesi: la lettera F e la H potrebbero benissimo riferirsi ai Fratelli di Heliopolis mentre i quattro segni, che nell’ordine rappresentano le quattro fasi dell’Opera Alchemica, sono la prova finale” Argot alzò le spalle e si avvicinò al portone, si guardò furtivamente intorno, quindi provò a spingere; contro ogni sua aspettativa l’ingresso si mosse cigolando, una successiva spinta più decisa convinse i due uomini a entrare. La stanza principale era completamente spoglia, niente mobili, sedie, suppellettili; richio il portone alle loro spalle e alla luce di una piccola finestra ricavata sul soffitto cercarono di orientarsi. Anche i muri apparivano nudi, eppure tutto era ben tenuto, i colori beige e chiari erano brillanti e il pavimento pulito; ai due lati in fondo si aprivano due archi, il primo portava a una piccola saletta, anch’essa spoglia, dalla quale partiva una scala a chiocciola per salire verso la terrazza, dal secondo si accedeva ad una successiva stanza, al centro un tavolo era stato spostato, e il tappeto, sul quale poggiava, arrotolato, per lasciare intravedere una botola di legno, probabilmente l’accesso a un rifugio dell’ultima guerra.
Una evidente espressione di disappunto si disegnò sulle labbra del commissario. “Ancora sotterranei! Lo immaginavo” “Non se la prenda, Argot”, disse Straw cercando di rincuorarlo, “mi dia una mano a sollevare questa botola” L’apertura rivelò una piccola scala in legno che dava accesso a un lungo corridoio illuminato a tratti da lampadine arancioni; il commissario iniziò a scendere con estrema cautela, Straw lasciò cadere il coperchio e lo seguì, non facendo caso al rumore del portone che si chiudeva; in fondo una nuova saletta, questa volta molto più ampia e con una unica apertura, un arco molto rozzo sostenuto da grosse travi di legno. Il giornalista iniziò ad aggirarsi per il locale, alcuni vecchi tavoli ormai rosi dalla muffa, delle sedie impagliate e delle casse militari con stesi sopra dei materassi ormai quasi distrutti dal tempo. “Questo doveva essere il posto dove ci si riuniva in attesa che smettessero di bombardare”, disse rivolto ad Argot, “e questo ingresso credo proprio che sia l’inizio del nostro viaggio” “Su questo non ho dubbi, anche perché non vedo altre aperture, giusto, Straw?” “Giusto, commissario, ma non ha affatto tenuto conto di un altro indizio, molto più interessante della sua giusta osservazione” “Che indizio?” “Guardi, proprio sulla trave in alto” Straw ripulì con un pezzo di stoffa il legno, lasciando intravedere un vistoso rombo nero marchiato proprio al centro dell’asse. “La prima fase, l’opera al nero!” Argot si introdusse nel cunicolo seguito dal giornalista e ben presto il buio li avvolse completamente; la sensazione di smarrimento non durò molto, avanzando con circospezione e aiutandosi battendo sulle pareti per seguirne il percorso, fecero un breve tragitto in senso rotatorio e si ritrovarono in un locale molto più ampio dei primi due. Ancora una volta una serie di archi indicavano altrettanti cunicoli aperti lungo le pareti, ma fu Argot a distinguere per primo un rombo su una trave, simile a
quello che li aveva guidati in precedenza ma di colore bianco. “Guardi, Straw, la seconda fase, mi segua”, gridò concitato verso il giornalista mentre si intrufolava nel cunicolo. Ora il percorso era più agevole, malgrado il buio sembrava che ci fosse molto più spazio per muoversi; la terza sosta avvenne in un locale dalla forma rotonda, illuminato stavolta dalle stesse luci che avevano trovato all’inizio. “Ha qualche idea su che posto sia questo, Straw?” chiese Argot appoggiandosi alla parete. “Non vorrei sbagliarmi ma ci troviamo negli scavi che vennero fatti a Chartres per la rete fognaria, almeno in una parte di essi; per qualche motivo i lavori in questa zona vennero abbandonati visto che non abbiamo trovato tracce di manutenzione recente” “E’ probabile”, rispose Argot, “però ho come una strana sensazione, non riesco a definirla ma tutto questo girare e rigirare mi ricorda qualcosa” “Non ci faccia caso, commissario, in queste situazioni è facile suggestionarsi, cerchiamo il nostro terzo segno” Una rapida occhiata alle pareti e rinvennero il terzo rombo, di colore rosso, proprio nell’ultima apertura sulla sinistra. Il buio li avvolse, ma fu questione di un attimo, subito dopo una brusca deviazione il corridoio si rivelò completamente illuminato e proprio in fondo, in prossimità dell’unica via di uscita, una forte corrente d’aria fresca ridiede per un attimo vigore ai due uomini. Il cunicolo si fermava bruscamente su un canale d’acqua, una sorta di piccolo fiume dalle sponde fangose; sulla destra, in fondo, in direzione della corrente, deboli luci facevano capolino quasi a sfidare il buio fitto che avvolgeva tutto il resto. Nonostante la scarsa visibilità, la sensazione di trovarsi in un luogo dalle immense proporzioni si impossessò di Straw e un leggero senso di inquietudine lo percorse lungo la schiena. “Seguiamo quelle luci” disse Argot prendendo l’iniziativa.
“La seguo, commissario” rispose Straw girandosi verso il cunicolo e riflettendo sul fatto che la sua non era vera e propria inquietudine, bensì la netta sensazione di non essere da solo. Proseguirono a fatica su un terreno pericolosamente scivoloso e raggiunte le luci entrarono nel nuovo cunicolo. “Ora capisco perché hanno abbandonato i lavori” esclamò Argot facendo seguire le sue solite, misteriose, espressioni in lingua se. “Perché lo avrebbero fatto?” chiese incuriosito il giornalista “Perché hanno perso tutta la squadra in questo maledetto labirinto sotterraneo!” La solita risatina di apprezzamento che Argot si aspettava questa volta non arrivò, Straw rimase un attimo turbato, poi bloccò il commissario poggiandogli vigorosamente una mano sulla spalla. “Ma certo, Argot, che stupido a non pensarci!” “Non pensare a cosa?!” “Lei poca fa mi ha detto di avere una strana sensazione, qualcosa di già fatto, ricorda?” “Certo, e allora?” “Il labirinto, Argot! Tutti questi giri che ci sembrano così assurdi e viziosi! Stiamo facendo il percorso del labirinto della Cattedrale!” Il commissario aggrottò la fronte: “Ma a quale scopo? Non capisco!” “Semplice, Argot, chi compie il percorso del labirinto ascende a Dio, all’illuminazione, allo stesso modo di colui che compie la Grande Opera, e noi stiamo seguendo le quattro fasi alchemiche!” Preso da nuovo fervore Straw si portò avanti trascinandosi quasi dietro il commissario; adesso i segni non avevano importanza, disegnando ombre irreali lungo i muri, i due uomini seguivano i cunicoli alternando i loro ricordi del labirinto visto nella Cattedrale e correggendosi a vicenda.
Argot, correndo a occhi chiusi, perse il senso del tempo e dello spazio e quando si fermò, scontrandosi quasi con il giornalista, riaprì gli occhi e si ritrovò in una vasta sala; si sentiva ancora il rumore del fiume che scorreva poco distante e in alto, sul soffitto, un rombo giallo gli strappò una sonora risata liberatoria. “E adesso, Straw? Questa è l’ultima fase se non sbaglio” “Infatti”, rispose il giornalista ,“si giri e avrà la sua risposta” Il commissario guardò dietro, alla sua sinistra, e oltre il canale vide una enorme grotta, illuminata ai lati dalle luci provenienti dai vari cunicoli e al centro da una luce diversa, quasi bianca. “Mi segua, Argot, abbiamo completato la Grande Opera, immergendoci nelle acque e uscendo dall’altra parte rinasceremo come uomini nuovi e avremo diritto al nostro compenso” L’acqua fredda li coprì fin quasi alla vita ma, pur non senza fatica, guadagnarono la sponda opposta; Straw si portò verso il centro della grotta e guardò in alto. “Siamo proprio sotto il pozzo, Argot, a 37 metri dalla Cattedrale” “Quindi qui dovremmo essere in quella famosa grotta della quale mi parlava”, rispose il commissario,“quella della Vergine paritaria… parutare… come si chiamava?” “Pariturae, commissario Argot, Pariturae!” La voce profonda, proveniente da uno dei cunicoli, fece sobbalzare i due uomini che contemporaneamente si volsero verso l’apertura; una figura in nero si avvicinò a i lenti verso il centro della grotta e quando fu alla portata di vista del commissario, questi proruppe in un grido di stupore: “Aldini! Monsignor Aldini!” “Esattamente, Argot” Straw si mosse verso il commissario, ma una pistola apparve nelle mani di Aldini e il giornalista si fermò di colpo osservando Argot quasi a cercare consiglio.
“Piacere di conoscerla, Mr. Straw, ho molto apprezzato le sue intuizioni” Aldini parlava con voce calma, la mancanza della talare rivelava un fisico atletico, asciutto, sicuramente di un assiduo sportivo. “Aldini!”, ghignò Argot ,“avrei dovuto pensarci prima!” “Non se la prenda, commissario, lei ha fatto un eccellente lavoro ma nessuno poteva sospettare di me, ho ato così tanti anni a costruirmi questa identità che quasi mi dispiace adesso doverla lasciare” “Non la erà liscia, Monsignore, lei è un assassino e Dio sa quante altre cose ancora” “Mi spiace deluderla, ma le cose non stanno proprio così” Aldini fece segno con la canna della pistola ai due uomini di accostarsi alla parete, quindi gli intimò di sedersi a terra. “Vede, amico mio, il bene che trionfa sempre sul male è solo uno stereotipo dei racconti, del cinema, delle favole; la realtà è molto diversa e questa volta, purtroppo per voi, nessuno vivrà felice e contento, o almeno, nessuno di voi due” Aldini proruppe in una risata e l’eco si sparse per l’intera grotta. “Cosa vuole, Monsignor Aldini?” chiese Straw, che nel frattempo aveva ripreso il proprio sangue freddo. “Cosa voglio? Che domanda! Non mi deluda proprio adesso, Mr. Straw. Voglio il Finis, è ovvio!” “Maledetto prete!” Argot era impotente e questa situazione non faceva che alimentare il proprio rancore verso quell’uomo. “Perché? Mi dica almeno perché ha fatto tutto questo!” “Per il potere, Argot, solo ed esclusivamente per il potere. Il Finis è la chiave per accedere all’Opera Finale, quella che dà il potere sulle cose, sugli uomini, sulle
menti, sul mondo!” “Lei è semplicemente un pazzo!” “Pazzo? Forse, ma né più né meno di tutto il resto dell’umanità; l’uomo va incontro alla sua distruzione, ne è l’artefice, eppure non fa nulla per fermare questo processo; io andrò oltre, guiderò la distruzione e sarò l’artefice della ricostruzione. Un mondo nuovo, Argot, un mondo nel quale l’uomo non dovrà preoccuparsi di niente, dove potrà sbizzarrirsi come meglio vuole e come meglio crede, nel quale non dovrà preoccuparsi di creare un Dio per piangere sui propri errori e per addossargli le sue colpe, perché io sarò il suo Dio” “Ma si rende conto di cosa sta dicendo?” esclamò Argot inorridito dal farneticare di Aldini. “Non sono io che debbo rendermi conto, è lei che dovrebbe farlo, lei e tutti quelli che le assomigliano; siete tutti pronti a gridare alla giustizia, alla pace, alla libertà, senza rendervi conto che i veri nemici siete voi stessi. Il mondo cade a pezzi perché l’uomo lo distrugge giorno dopo giorno, con la sua ignoranza, la sua superbia, con quel senso di possesso che gli fa dimenticare di essere ospite e non padrone. L’uomo non è nato per dominare ma per farsi dominare, ha creato un Dio perché si è sentito smarrito, perché sa della sua cattiveria ma non ha nessuno al quale addossarla” Una profonda espressione di disgusto si dipinse sul volto di Straw. “Lei non è d’accordo, Mr. Straw?” “Non capisco di cosa parla, Aldini. Lei in fondo non si differenzia molto dalle persone che sta descrivendo, anche lei si è creato la sua bella filosofia per addossarle la responsabilità della sua colpa, lei vuole soltanto il potere e nient’altro!” “E le sembra poco, Straw?” “Lei è un semplice assassino”, rincarò Argot, “un uomo senza cuore che non si fa scrupolo di uccidere un povero vecchio” “Ucciderò anche voi e chiunque si ponga sulla mia strada. Ho aspettato per così tanto tempo questo istante, ho ato notti insonni nell’ansia di non riuscire, ma
adesso il Finis sarà finalmente mio. Non è stato difficile seguirvi, lasciate molte tracce dietro di voi e le vostre azioni erano oltremodo prevedibili. Anche in questi cunicoli mi avete reso le cose molto facili; parlate troppo e l’eco delle vostre parole non è stato poi così difficile da seguire” “Quindi non ci ha mai persi di vista?”, chiese Argot. “No, commissario, mai; da quando ci siamo incontrati nella biblioteca del povero Canseliet, fino a Collemaggio e ai sotterranei di Napoli” “Era lì anche lei?” domandò stupito Straw. “Sì, e dovreste anche ringraziarmi, se non avessi fermato il mio adepto che, disobbedendomi, aveva deciso di appropriarsi di quanto era stato rinvenuto, avreste anche potuto rimanerci in quei sotterranei” “Adepto?!” esclamò incuriosito Argot. Aldini proruppe in una sonora risata: “Povero commissario! Possibile che non abbia ancora capito? Eppure ha avuto accanto un ottimo insegnante!” “Capito cosa?” “Io sono il Gran Maestro, il Gran Maestro…” “Il Gran Maestro della Rosa Nera!” La voce che interruppe Aldini proveniva dallo stesso cunicolo dal quale l’uomo aveva fatto la propria apparizione e Argot rimase ancora più stupito quando, alla luce proveniente dal pozzo, si stagliò nitida la figura di Marini! “Marini?! Maledizione, ma cosa sta succedendo qui?” Aldini fece un o indietro e si pose proprio di fronte al nuovo arrivato, entrambi stringevano una pistola fissandosi con aria di sfida. “Buonasera, commissario, come sta? Tutto bene spero. E lei, signor Straw?” “Maledizione, Marini, ma che diavolo ci fa qui?!” Aldini sorrise: “Povero commissario! Forse sarà bene che faccia qualche
presentazione. Mr. Straw, Monsieur Argot, sono lieto di presentarvi il custode del Finis Gloriae Mundi, il terzo dei Fratelli di Heliopolis!” Argot alternava lo sguardo tra Monsignor Aldini e il suo attendente senza riuscire a mettere a fuoco ciò che stava accadendo; Straw per la prima volta rimase seriamente sconcertato e si convinse che sempre più spesso la realtà supera ogni fantasia; forse indagare sul noto sarebbe stato molto più proficuo che non cercare l’ignoto. Il commissario si riprese dallo stupore e rivolse uno sguardo terribile verso Marini: “Lei mi ha preso in giro per tutto questo tempo! Adesso penso sia ora che mi dia qualche spiegazione” “Ha ragione, commissario”, rispose Marini senza perdere d’occhio il proprio avversario, “e anche lei, signor Straw, credo abbia diritto a qualche spiegazione” “La ascolto, Marini” rispose Straw ancora scioccato dagli eventi. “Ma forse sarà meglio che inizi il nostro Monsignore!” proseguì Marini indirizzando un’occhiata di sfida verso Aldini. “Nessun problema, è giusto sapere almeno per quale motivo si va incontro alla morte”, rispose sprezzante quest’ultimo. “Una sera mi ero attardato in biblioteca a esaminare alcuni libri provenienti da lasciti e donazioni; tra questi ne trovai uno particolarmente interessante; era una copia ben fatta di un vecchio testo di alchimia, una edizione degli anni venti che portava la prefazione di Fulcanelli. L’alchimista, dopo aver elogiato i contenuti del libro, faceva riferimento alla sua ultima opera e accennava al fatto di aver volutamente nascosto tra le note sparse a corredo del libro in questione, alcuni elementi per rintracciarla. Avevo bisogno di esaminare il testo pagina per pagina, ma l’arrivo di Sarnetti mi bloccò; lasciai il libro insieme agli altri con l’intento di ritornare l’indomani mattina. Il giorno seguente arrivai tardi, trattenuto dalle solite beghe diplomatiche; Sarnetti aveva già predisposto la spedizione dei volumi e non riuscii a bloccarne la partenza”. “Ma cosa centra De Matteis in tutta questa storia?” lo interruppe Argot.
“De Matteis lavorava come informatore per la Rosa Nera, il suo apporto poteva essere utile e il suo bisogno di denaro per via della moglie, troppo abituata all’agiatezza, lo rendeva un ottimo collaboratore. Sapevo che i volumi venivano spediti a De Matteis per verificarne l’autenticità e in seguito a Canseliet per gli eventuali restauri. Diedi per scontato che De Matteis avesse ricevuto il pacco e mi recai da lui appena libero dai miei impegni, ma qualcosa andò storto” “Ovvio”, lo interruppe nuovamente Argot, “il pacco era stato recapitato per errore a Canseliet, ma lei non poteva saperlo” “Infatti, commissario! Quando arrivai da De Matteis lui era da solo, la moglie si era recata ad uno dei suoi soliti inviti mondani; gli chiesi del libro ma lui rispose di non aver ricevuto nessun pacco; vidi la lettera sulla scrivania, mi arrabbiai molto e lui, forse spaventato, iniziò a fare strani discorsi, voleva tirarsi indietro e cose del genere. Giovanni era un ottimo collaboratore, ma proprio per questo anche un pericoloso testimone; nacque una lite, lo spinsi con forza e cadendo si fracassò il cranio contro uno spigolo. Forse non lo avrei ucciso ma quella nuova situazione tornava certamente a mio vantaggio. Andai via di corsa, per fortuna la serata era molto tranquilla e tranne per la presenza di un ubriaco dall’altra parte della strada, ai del tutto inosservato” “Ah, Trentini!”, gridò Argot, “ecco perché diceva di aver visto una donna vestita di nero; in realtà era lei, ma quel poveretto era troppo fuori di sé per distinguere le cose” “Infatti! In ogni caso riuscii a rintracciare la spedizione e appurai che il pacco era stato consegnato per errore a Canseliet. Fu una mia mancanza, avrei dovuto pensarci prima, andarci per esclusione; in ogni caso, quando arrivai da Tommaso capii anche un’altra cosa, una cosa che cambiò completamente i miei piani” “Cioè? Che aveva di tanto misterioso quel povero libraio?” “Povero libraio!”. Aldini fece una smorfia ironica, “Tommaso Canseliet era il quinto dei Fratelli di Heliopolis e aveva subito capito cosa stava accadendo. Quando arrivai da lui aveva già bruciato il libro e spedito quelle maledette lettere. Dopo averlo ucciso misi a soqquadro il negozio, ma non trovai alcuna traccia. Per fortuna alcuni miei informatori mi avvisarono che Marini, come lo conoscete voi, aveva fatto pressioni perché il caso venisse affidato a lei e da allora non mi fu difficile accodarmi alla vostra indagine!”
“Adesso tocca a lei, Marini, o come diavolo si chiama!”, disse Argot rivolgendosi a quello che aveva sempre considerato un innocuo ma simpatico collega. “Sì, Argot, credo proprio che adesso sia il mio turno”. Marini fece qualche o indietro senza però perdere di vista Aldini e si avvicinò di più verso Argot. “Canseliet tentò di contattarmi ma non arrivai in tempo; quando seppi dell’omicidio riuscii a sfruttare alcuni collaboratori del nostro ordine per far in modo che le venisse affidato il caso” “Ma perché proprio io, Marini?!” “Perché lei era l’unico ad avere le qualità necessarie per ritrovare il Finis e poi ero sicuro che avrebbe incontrato il signor Straw; insieme sareste riusciti nell’Opera” “Ma io cosa centro in questa storia? E soprattutto, cosa centra mio padre?!” intervenne Straw. “Vede, signor Straw”, riprese Marini, “ero sicuro, così come dettano le regole del nostro ordine, che Canseliet, sentendosi in pericolo, avrebbe cercato di avvisare quello dei nostri che si fosse trovato più vicino, in questo caso suo padre!” “Mio padre?! Lei mi sta dicendo che mio padre apparteneva ai Fratelli di Heliopolis?” “Esattamente, Straw! Entrò nell’Ordine quando lei era molto piccolo e i suoi impegni nei nostri confronti sono la spiegazione dei suoi frequenti viaggi. A lui, per le sue particolari qualità, venne concesso l’onore di istruire suo figlio affinché divenisse il custode del Finis. Ma da quanto ne so, lei era un ribelle, una mente fervida ma protesa soltanto al particolare eclatante, allo scoop, più che alla sostanza delle cose. Suo padre rinunciò e io occupai il posto che le sarebbe spettato. Anche per questo ero sicuro che la sua collaborazione con Argot avrebbe dato i risultati sperati!” Straw rimase in silenzio, abbassò la testa e per un attimo tutta la sua vita sembrò argli davanti, trovandosi per la prima volta in grado di vedere le cose per quello che effettivamente sono e convincendosi profondamente che nulla avviene mai per caso.
“E Sarnetti?”, chiese Argot rivolgendosi ad Aldini, “perché anche Padre Sarnetti?!” “Sarnetti aveva capito; anche lui collaborava con i Fratelli e non potevo rischiare che mandasse tutto a monte. Quando ho saputo del vostro colloquio non ho potuto fare altrimenti. Per mia fortuna, prima di rivolgersi a Marini, tentò di persuadermi, di mettermi sulla retta via, come diceva lui; dopo qualche ero già nel suo studio e feci quanto dovevo” “Mi faccia capire una cosa, Aldini”, chiese ancora Argot, “ lei e Marini vi conoscevate, vero?” “Certo; proveniamo dallo stesso gruppo, abbiamo solo scelto due strade diverse, un po’ come Caino e Abele, se ben ricorda” “Ma allora perché tutto questo, perché non prendere direttamente il Finis, nasconderlo o altro?!” “Noi osserviamo gli eventi, non possiamo forzarli, agiamo soltanto quando il Finis è in pericolo, così come la Rosa Nera agisce quando è tempo che il Finis si riveli” “Mi perdoni, Marini, ma questa volta sono io a non seguirla!” “Il Finis, commissario, è una prova, la chiave per raggiungere la conoscenza; a intervalli di tempo esso si rivela, per una fortuita coincidenza, perché è il fato a decidere, oppure perché così deve essere, scelga lei, non ha molta importanza. In queste occasioni noi vegliamo perché non finisca in mani sbagliate e ponderiamo se sia giunto o no il tempo della sua comprensione” “In questi stessi periodi”, lo interruppe Aldini, “noi tentiamo di recuperarlo!” “E’ un gioco assurdo! Chi vi da il diritto di decidere se l’umanità è pronta o meno al Finis?!” “Gli eventi, caro Argot!”, rispose Marini. “Si guardi intorno, commissario: guerre, violenze, lotte fratricide e nessun senso morale; pensa che questa umanità sia pronta a conoscere il segreto della propria morte e della propria resurrezione?”
“Morte e resurrezione? Ma di cosa sta parlando, Marini?” “Di atomi, Argot”, intervenne Monsignor Aldini, “sta parlando di energia nucleare, di scissioni e fusioni; gli alchimisti non trovarono soltanto l’oro o la via per portare la loro anima verso la pura spiritualità, trovarono anche il modo di combinare gli atomi e di gestire una enorme energia che può dare vita e morte allo stesso tempo” “E vorrebbe essere lei a gestirla?” “Perché no, Argot?! Ci stiamo già distruggendo da soli senza bisogno di interventi divini. Inquiniamo, avveleniamo, portiamo le nostre scorie perfino in cielo, rendiamo irrespirabile anche l’aria, nostra fonte di vita primaria. Perché lasciare il mondo in mano a tanti aspiranti suicidi quando una sola mente potrebbe gestirlo con maggiore coscienza?” “Coscienza?”, Argot sorrise guardando vero il soffitto, “proprio lei mi parla di coscienza!” “Adesso basta, commissario, mi dia la chiave del Finis e facciamola finita” Aldini si irrigidì alzando leggermente la canna della pistola, Marini si spostò di lato osservandone i movimenti. “Quale chiave? Di cosa parla?” “Non crederà davvero che Canseliet sia morto portandosi nella tomba il segreto del Finis?” “Quale segreto?” “Ha bruciato il libro ma ne aveva sicuramente ricopiato la chiave. Me la dia, Argot!” “Continuo a non capire di cosa parla” rispose Argot rivolgendosi a Marini. Straw, che era rimasto per tutto il tempo in silenzio, si scosse dal suo torpore. “Credo che quell’uomo abbia ragione, Argot. Canseliet non poteva rischiare di far trovare il libro, ma neanche di perdere per sempre la chiave del Finis. Ci ha
lasciato il primo indizio, ma la chiave finale deve averla nascosta da qualche parte e lei è stato sulla scena del delitto. Cerchi di ricordare” “Maledizione, Straw, non c’è niente da ricordare; era tutto in disordine, libri bruciati, strappati e sparsi a terra, Canseliet non aveva niente di particolare tranne quel ritaglio di giornale in mano” “Eppure qualcosa deve esserci, se ha avuto il tempo di organizzare la spedizione degli indizi, di studiarli e di scrivere quel messaggio, deve anche aver trascritto da qualche parte la chiave” “Non ricordo, Straw, non riesco a ricordare” “Ci provi almeno” “Maledizione, ci provi lei con una pistola puntata contro. Forse avendo la mia agendina degli appunti potrei farlo, non lo so” Argot abbassò gli occhi, poi si colpì la fronte con il palmo della mano. “L’agendina, ma certo!” “Che agendina?” chiese Straw, mentre anche gli altri due uomini si facevano sempre più attenti a quella discussione. “L’agendina di Canseliet. Ricordo che dando un’occhiata alle varie cose ho notato una piccola agendina nera; era di quelle che si usano per trascrivere gli indirizzi e i numeri telefonici. La presi per dargli un’occhiata. Dovrei averla ancora in tasca se non sbaglio” Argot frugò le tasche della giacca, quindi provò in quelle interne e proprio dal taschino più piccolo trasse una minuscola agenda nera. Alzò lo sguardo verso Aldini, poi osservò Straw. “Credo proprio che ci troviamo in una situazione alquanto imbarazzante” “Mi dia l’agenda, Argot” intimò Aldini. “Se le do l’agenda sa benissimo che Marini dovrà intervenire, se non lo faccio potrei avere la peggio ma siamo in due e lei è solo, potrebbe riuscire a uccidermi, ma poi avrebbe il tempo di evitare Marini?”
Aldini si guardò intorno, fece qualche o indietro e osservò Marini, fermo nella sua posizione, che a sua volta ricambiò lo sguardo. “Prenda pure tutto il tempo che vuole, Argot”, rispose Aldini, “non le servirà a molto, ciò che deve accadere accadrà comunque, anche in presenza dei Fratelli di Heliopolis che tanto hanno fatto per impedire questo momento” Marini si spostò leggermente di lato. “Hai perduto il lume della ragione, Fratello, ma sei ancora in tempo, puoi ancora ristabilire le cose e tornare alla Santa Casa, ti prego!” Aldini sorrise con disprezzo e investì Marini con la rabbia delle sue parole, avendo però cura di tenere sempre sotto mira Argot e il giornalista. “Stupido! tu e i tuoi fratelli, adoratori di un uomo morto, che vivono nella speranza di una promessa che nessuno ha mai confermato; dite di amare la sofferenza ma in realtà è solo un modo per nascondere la vostra paura di vivere, di mettervi in gioco. Se aspiri tanto al tuo Paradiso ti farò constatare io stesso, di persona, quanto la speranza di tutta la tua vita sia stata vana!” Il silenzio più totale spense l’eco delle sue invettive, Argot avrebbe voluto raggiungere la pistola che teneva dietro la cintura ma, osservando la determinazione del suo avversario decise di non fare mosse false. Aldini si spostò verso il giornalista puntandogli l’arma alla tempia: “Allora, commissario? Vuole favorirmi ciò che mi appartiene o preferisce sacrificare il suo amico?!” “Lei non lo farà, Aldini!” “Non lo farò? Quanta presunzione, Argot, pensa davvero che io tema la morte? Il mio unico scopo è ottenere il Finis, ho vissuto in virtù di questo momento e non sarà certo lei, il suo amico giornalista e nessun altro che riuscirà a impedirmelo. Lei spera che Marini faccia fuoco, vero, Argot? Non lo farà, non si illuda, lui è il bene, troppo debole per prendere una decisione!” Argot aveva ormai esaurito tutti gli argomenti; Aldini accarezzò con la canna della pistola la fronte di Straw. “Allora? Ha preso la sua decisione o vuole ancora aggrapparsi a vane speranze?!” “La speranza non muore mai, Fratello Aldini!”
La voce di Zaira risuonò imperiosa avvolgendo quasi tutto lo spazio circostante; Marini non si mosse dalla propria posizione, Straw e Argot alzarono gli occhi verso uno dei cunicoli sulla destra e Aldini, quasi come gesto di difesa, tirò a sé il giornalista costringendolo a inginocchiarsi. Zaira si diresse verso il centro, indossava una tuta grigio chiaro e uno zainetto sulle spalle, a pochi i di distanza la seguiva Jean, curvo ancor più del loro primo incontro, con il suo inseparabile bastone. “Che sorpresa!”, esclamò Aldini, spingendo la canna della pistola contro il collo di Straw, “la nostra bellissima informatrice parigina”. Posò lo sguardo su Jean e non nascose una smorfia di disgusto. “Che brutte compagnie frequenti! Sai che potresti avere molto di più, e in tutti i sensi?!” “Gran Maestro, non sono interessata alle sue proposte, spiacente!” “E’ un vero peccato!” Argot fece cenno con gli occhi a Straw di stargli vicino; la situazione stava ormai per precipitare, necessitava una decisione rapida e, soprattutto, risolutiva. Mai nella sua carriera si era ritrovato in simili circostanze; tentò ancora una volta di prendere tempo. “A cosa le serve l’agenda di Canseliet?! Non crederà certo che vi abbia trascritto la formula finale!” Aldini si spostò verso la luce che filtrava dal pozzo. “La sua caparbietà è degna di lode, Argot, ma le ripeto ancora una volta che non le gioverà a molto!” Tese il braccio in direzione del giornalista puntando l’arma dritta alla sua testa. “L’agenda, Argot, o il suo amico andrà a scoprire di persona i misteri che ha sempre indagato!” Fu un attimo. Zaira si portò quasi in parallelo ad Aldini, Jean la seguì rimanendo alle sue spalle; Argot non si rese pienamente conto di quanto stava accadendo, quasi obbedendo ad un segnale che solo lui era in grado di leggere, fissò Aldini con tutto l’odio che riusciva a provare in quel momento e gli gridò contro: “Ecco la tua agenda, maledetto assassino!”
Il taccuino si librò nell’aria, scagliato con forza in alto, verso il centro della grotta; Aldini istintivamente gli andò incontro e nel suo folle desiderio non si accorse del fulmineo movimento di Zaira. Quasi all’unisono con Argot, la donna si produsse in una piroetta su se stessa, afferrò il bastone di Jean e, dopo aver premuto al centro del manico, si piazzò di fronte ad Aldini puntandoglielo contro. La lama luccicò per un breve istante, poi scomparve nel petto dell’uomo. Un urlo disperato percorse l’intera grotta e la sua eco risalì lungo le pareti del pozzo, confondendosi con il canto dei fedeli. Monsignor Aldini e l’agenda di Canseliet caddero a terra quasi contemporaneamente, mentre Marini si segnava il petto. Tutti rimasero in assoluto silenzio mentre l’uomo si trascinava ansimando nel disperato tentativo di prendere l’agenda; un rantolo accompagnò il suo ultimo sguardo rivolto a Jean, carico d’odio e di sprezzante sarcasmo. Straw tirò un sospiro di sollievo. “Questa volta ho davvero creduto che fosse finita!” Si portò verso il centro della grotta e raccolse il taccuino di Canseliet; ritornò verso Argot sfogliandone le pagine, mentre tutti gli altri rimanevano fermi ai loro posti, in attesa, quasi quella non fosse la fine e qualcosa dovesse ancora accadere. “Strano tipo questo Canseliet”, disse Straw riconsegnando l’agenda al commissario, “non credo proprio che saremmo andati d’accordo!” “Perché?” chiese Argot sfogliando a sua volta le pagine. “Odio profondamente quella insana abitudine di trascrivere i contatti nelle agende usando prima il nome e poi il cognome” “Infatti”, confermò Argot, “ma forse con me sarebbe andato d’accordo, ho lo stesso vizio!” Arrivò velocemente in fondo alle pagine, poi le riprese, ne sfogliò qualcuna con
più attenzione, ritornò ancora indietro, quindi rivolse lo sguardo verso Straw, uno sguardo attento e divertito allo stesso tempo. “Un tipo sicuramente curioso ma estremamente astuto!” “Astuto in che senso, Argot?” chiese Straw avvicinandosi e riprendendo in mano l’agenda. “Osservi meglio; Canseliet scriveva sempre prima il nome e poi il cognome, ma stranamente, proprio nelle ultime pagine, ha riportato i nominativi al contrario; cognome, nome, senza rispettare la sequenza alfabetica; sette nomi riportati in ultimo, uno dietro l’altro” Straw sfogliò le pagine con maggiore attenzione, poi volse lo sguardo verso Marini, “Sono le note, vero, Marini?” L’uomo fece un gesto di assenso con il capo. “Le note?”, chiese Argot ,“quali note?!” “Ricorda cosa le dissi a proposito delle Cattedrali? Sono come un castello di carte, basta spostare un pietra perché tutto crolli, ma sono anche enormi casse armoniche, capaci di riprodurre un suono particolare, il suono primordiale dal quale tutto ebbe vita” “Sì, ricordo, e mi sembra che anche i pozzi avessero a che fare con questa storia” “Infatti, Argot. I pozzi non sono soltanto aggi tra la materia e lo spirito, non sono soltanto mezzi di comunicazione con le potenti energie che scorrono sotto questi edifici, sono anche conduttori di suoni; trovi la giusta sequenza, le giuste note e avrà la sua ricompensa!” Argot riprese in mano l’agenda e iniziò a leggere ad alta voce: “Laxis Marco, Polluti Armando, non capisco, ma che razza di nomi sono, come fa a dire che si tratta di note?!” “Il signor Straw non sbaglia”, disse Marini avvicinandosi al commissario. “Dopo l’anno mille, Guido d’Arezzo[1] ebbe una brillante intuizione, un sistema di apprendimento musicale molto semplice; prese in prestito un famoso inno a San Giovanni Battista composto intorno al 770 da Paolo Diacono[2] e lo rimaneggiò adattandolo alle sette note; l’inizio di ogni strofa corrispondeva a una nota[3]”
“E questo cosa centra con la Cattedrale e il Finis?”, chiese Argot allontanandosi istintivamente da quell’uomo che un tempo pensava di conoscere, ma che adesso lo turbava profondamente. “Chartres è stata costruita rispettando le vibrazioni del primo modo dei canti gregoriani, il Dorico per essere più precisi; Canseliet ha riportato la sequenza musicale da eseguire sotto il pozzo, il quale, funzionando da cassa armonica, darà, come eco finale, il suono che aprirà il segreto della Cattedrale e il nascondiglio del Finis” Argot continuò a fissare Marini; adesso non sapeva proprio cosa fare, il caso in fondo era stato risolto e la sua ricerca era giunta alla fine, ma proprio in quel momento si rese conto che forse era giunto il tempo di fermarsi. Marini ricambiò il suo sguardo, quindi osservò Straw, poi nuovamente Argot. “C’è un tempo nel quale bisogna agire, ma c’è anche un tempo nel quale si deve prendere una decisione e ponderare che forse è giusto fermarsi. Ci sono cose più grandi di noi, Argot, anzi, quasi tutto è più grande di noi; per quanto siamo in grado di percepire alcune verità, molte altre debbono rimanere nascoste, e non esiste un motivo, una spiegazione, è così che deve andare” Il commissario strinse l’agenda tra le mani e guardò in alto, quasi in cerca di un suggerimento. “Non posso costringerla e non voglio convincerla, la decisione è sua, Argot” Straw si avvicinò e poggiò la mano sulla spalla del commissario, questi lo ricambiò con uno sguardo profondo ma deciso; accarezzò il taccuino, poi tirò un sospiro e lo porse a Marini. “Ha ragione, Marini, o chiunque lei sia, ci sono cose che devono rimanere ciò che sono; avidità, curiosità ed egoismo hanno già fatto troppe vittime!” Marini sorrise prendendo il taccuino. “Sapevo che avrebbe fatto la scelta giusta; forse non spettava a lei compiere la Grande Opera, ma con il suo gesto ha comunque portato a termine la Trasmutazione, dal piombo della sua umanità ha ricavato l’oro della sua anima!” “Suppongo che la nostra avventura finisca qui, vero, Marini?” chiese Straw avvicinandosi.
“Credo proprio di sì” rispose Marini mentre si portava verso Zaira. Argot prese sotto braccio il giornalista e con un inchino salutò la donna; questa ricambiò con una riverenza, fece lo stesso con Straw, poi si avvicinò a Marini, prese l’agenda e la consegnò a Jean. Argot e il giornalista stavano ritornando sui loro i per trovare l’uscita dai sotterranei ma incuriositi da quel gesto si fermarono. Jean osservò con un sorriso il taccuino, quindi, inaspettatamente si tirò su; d’un tratto un uomo nuovo apparve agli occhi di Argot; la schiena si drizzò, gli occhi sempre semichiusi si spalancarono, il collo divenne dritto e i movimenti sciolti e fluidi. “Ma chi diavolo è lei?!”, chiese Argot al colmo dello stupore. “Stia tranquillo, commissario, adesso è davvero tutto finito” “Quella voce, quella maledetta voce”, balbettò Argot rivolgendosi a Straw, “io la conosco” “Certo che la conosce, ci siamo sentiti al telefono e abbiamo anche avuto una breve, ma interessante, corrispondenza” Jean era in penombra, proprio dietro la luce che filtrava dal pozzo, e Argot maledisse il momento nel quale aveva deciso che quel personaggio, un povero vecchio della Corte dei Miracoli, non meritava la sua attenzione. “Fulcanelli!”, urlò Straw nell’atto di corrergli incontro. Il commissario lo fermò strattonandolo per un braccio. “E’ finita Straw, il Finis non ci appartiene, non appartiene a nessuno, e neanche lui. Sono cose troppo grandi per noi” Jean si spostò portandosi dietro Zaira e dandole le spalle. “Sì, Mr. Straw, ultimamente sono stato conosciuto con questo nome e con lo stesso nome ho firmato alcuni miei modesti contributi alla scienza alchemica” “Lei è veramente Fulcanelli?”, chiese Argot ormai stanco e provato da tutti quei colpi di scena. “Ormai non so più a cosa credere”
L’uomo rimase un attimo in silenzio, quindi emise un profondo sospiro. “Sì, Argot, sono Fulcanelli, o meglio, sono anche questo; per alcuni sono nato nel quattordicesimo secolo a Parigi, il mio nome era Nicolas Flamel, lavoravo come scrivano e trovai un antico libro di Alchimia grazie al quale scoprii gli antichi segreti dell’Arte; da questa trassi enormi benefici, enormi fortune che regalai ai miei concittadini. Altri dicono che sono nato nel 1839, da una famiglia aristocratica e di antico retaggio nobiliare. Studiai presso il Politecnico di Parigi e viaggiai molto, soprattutto in Italia e in Egitto, fino a quando scomparvi misteriosamente intorno agli anni Trenta. Nonostante ciò, molti ritengono di avermi incontrato anche in tempi recenti e voi sarete sicuramente tra questi” Straw ritornò sui suoi i. “Chi sei veramente? Almeno questo possiamo saperlo?”, chiese il giornalista abbassando lo sguardo, ormai quasi vinto dalla stanchezza. “Chi sono? Non sono nessuno, Mr. Straw, e proprio per questo sono tutto!” Argot, rassegnato, strattonò il giornalista invitandolo a seguirlo verso l’uscita; Fulcanelli li bloccò: “Potete usare il tunnel proprio di fronte a voi per abbandonare questo luogo, è la strada che abbiamo usato noi per accedere alla grotta, vi porterà dritti nella cripta di San Clemente. A proposito, signor Argot, le parti del manoscritto che lei ha consegnato al suo amico notaio, a Roma, sono già state recuperate. Andate in pace, anche voi avrete a suo tempo le vostre risposte” I due uomini arono accanto al terzetto, gli sguardi si incrociarono, ma Jean rimase al suo posto; si incamminarono lungo il cunicolo, dopo pochi i Argot si fermò tendendo l’orecchio e invitando Straw a fare altrettanto. Una dolce musica si spandeva nell’aria e sembrava riempire lo stretto aggio, poi una nota acuta, lacerante, si prolungò per qualche minuto, seguita da un frastuono di calcinacci e dal freddo rumore di qualcosa di metallico che cadeva a terra. Il commissario sorrise a Straw e questi lo ricambiò. “Il Finis adesso è veramente al sicuro”, disse Argot riprendendo i propri i.
“Fino a quando?”, rispose Straw. “Non lo so, amico mio, forse fino a quando ci sarà ancora qualcuno capace di fermarsi, riflettere e decidere, qualcuno pronto a capire che il futuro si costruisce nel presente e ne siamo tutti responsabili!” “Parole sante, Argot; sa che non la ritenevo così profondo?” “Neanche io, Straw”, ammise Argot accelerando il o, “neanche io!”
[1] Guido Monaco, conosciuto anche come Guido d’Arezzo, vissuto tra il 992 circa e il 1030 d.C. E’ considerato l’ideatore della notazione musicale e del Tetragramma.
[2] Pseudonimo di Paolo di Varnefrido; storico, poeta e narratore longobardo dell’VIII secolo.
[3] Il sistema era il seguente: Ut queant laxis Resonare fibris Mira gestorum Famuli tuorum Solve polluti Labil reatum Sancte Iohannes. Per la cronaca la prima nota che si legge, ovvero Ut, venne in seguito sostituita dal Do che tutti conosciamo, mentre venne conservata dai si. Una ultima curiosità: i tedeschi e gli americani preferiscono ancora oggi la notazione a mezzo dell’alfabeto; A=La, B=Si, C=Do, ecc. ecc.
Epilogo
I due uomini che si aggiravano per il deposito bagagli dell’aeroporto di Roma sembravano reduci da chissà quale movimentato viaggio; pallidi, stanchi, i capelli arruffati e i volti profondamente scavati da quella che doveva essere stata per loro una immane fatica. Argot aspettava nervosamente le proprie valigie, mentre Straw, già con tutti i bagagli disposti in ordine accanto a lui, parlava nervosamente al cellulare cercando un aggio dai colleghi d’ufficio. Finalmente i bagagli del commissario vennero recuperati e i due uomini, armati di carrelli, si spinsero lentamente verso l’uscita. “Sono stanco, Straw, questa faccenda mi ha messo duramente alla prova e anche lei, da quel che vedo, non mi sembra in ottima forma” “Siamo esausti, Argot, quella breve dormita in aereo non è servita a molto, però le confesso che in fondo mi sento soddisfatto di me stesso” “Sì, è stata una bella avventura, rischiosa, ma ne valeva la pena” “Prendiamo un bel caffè, Argot, che ne pensa?” “Ottima idea, ma credevo lei preferisse il tè!” “Ho bisogno di qualcosa che mi dia la carica, non ho intenzione di fare altre riflessioni e credo che manterrò il più a lungo possibile questo proposito” Si diressero al bar e come due vecchi amici iniziarono a ricordare gli avvenimenti appena trascorsi, le buffe battute di Argot, le stupefatte espressioni di Straw; rimasero circa un quarto d’ora a ridere, scaricando piacevolmente la tensione. Quando una telefonata avvisò Straw dell’arrivo del suo collega, il commissario si rabbuiò un attimo, non amava gli addii e non amava in generale tutte quelle
situazioni che comportano una doverosa esternazione dei propri sentimenti. Si abbracciarono a lungo senza parlare; Straw si avviò verso l’uscita, ma dopo pochi i la voce di Argot lo raggiunse e con essa la domanda che si aspettava: “Ci rivedremo, vero, Straw?” “Roma è grande, commissario Argot, ma per un americano e un se potrebbe rivelarsi così immensa da aver bisogno di un po’ di compagnia” “Soltanto compagnia, Straw, di avventure ne ho già avute anche troppe!” Il giornalista sorrise: “Chissà, le cose non accadono mai per caso!” Un taxista dalla barba incolta e con un tic all’occhio destro riportò Argot a casa; trascinate faticosamente le valigie nell’androne, il commissario diede un’occhiata alla buca della posta, colma come non mai. Con un ultimo sforzo salì i bagagli fino al pianerottolo, aprì la porta e spinse con il piede le valigie dentro; sospirando ridiscese le scale e prese la posta. Rientrato si lasciò andare di peso sul divano mentre le lettere e i depliant pubblicitari si sparpagliavano disordinatamente a terra; con la coda dell’occhio iniziò a vagliare quale tra quelle buste suscitasse il suo interesse; le solite bollette, la pubblicità, gli immancabili avvisi del sindacato di polizia, e appena sotto i volantini della nuova pizzeria che si era aperta quasi all’angolo, nascosta a metà da una invitante foto che ritraeva una splendida pizza quattro stagioni, una busta senza mittente, gialla, che dallo spessore sembrava contenere qualcosa di più che un unico foglio di carta. Argot allungò il braccio rischiando quasi di cadere; il suo indirizzo era stato riportato con una scrittura fine, molto elaborata, una calligrafia quasi d’altri tempi; l’aprì incuriosito e vennero fuori quattro fogli di carta molto spessi, piegati in due, dalla strano colore giallastro con sottili venature grigie. I fogli erano riempiti con la stessa calligrafia della busta ma il contenuto della lettera, che per la sua lunghezza avrebbe potuto benissimo essere scritta in un solo foglio, era stato riportato con una distanza tale tra un rigo e l’altro da occupare ben quattro pagine. Sempre più incuriosito iniziò a leggere, ma si fermò di colpo, uno strano odore lo infastidì, strofinò i polpastrelli sui fogli, un effluvio forte e penetrante gli impregnò le dita, un odore acre come di componenti chimici o di medicinali.
Fu questione di un attimo, poi i suoi pensieri abbandonarono quella strana sensazione, rapiti dall’inaspettata sorpresa di quanto stava leggendo.
Egregio Monsieur Argot, se in questo momento starà leggendo queste mie righe, sarà sicuramente in salvo a casa sua e io ringrazierò Dio del buon esito di questa avventura. Quanto è accaduto ha messo a dura prova ognuno di noi, ma alla fine la ragione ha trionfato e con essa la coscienza, grande assente in questo secolo così distratto e poco attento ai veri valori della vita. Il Finis è adesso in un luogo sicuro, ancora una volta in attesa di potersi rivelare per essere compreso e assolvere alla sua vera funzione, che non è morte, ma rinascita attraverso la riflessione e la capacità di valutazione dei propri errori. Il suo pensiero adesso è confuso, il suo corpo stanco, ma il suo spirito ha fatto la scelta giusta e questa consapevolezza le sarà d’aiuto nel tempo a venire; lei ha compreso molte cose, adesso deve riflettere su ciò che è accaduto e rileggere i suoi ricordi traendone per ognuno il giusto significato. Capisco il suo scetticismo, la sua difficoltà ad accettare fatti ed eventi che esulano dalla materia e appartengono a una dimensione lontana, anche se, mi creda, essa è più vicina di quanto lei possa immaginare. L’Alchimia è un cammino durante il quale corpo e anima si incontrano per riprendere possesso del proprio stato iniziale, ovvero una sola cosa, senziente e cosciente. Corpo e anima hanno bisogno di nutrirsi a fonti diverse, così come lei ha bisogno di risposte per ritrovare la sua serenità e di certezze per continuare tranquillamente il suo cammino. Pur non avendo trascorso ore e ore osservando il suo crogiolo, anche lei, al pari di ogni saggio e paziente sperimentatore, ha diritto a delle risposte. Bruci questi fogli, amico mio, e avrà il suo compenso.
Suo Fulcanelli”
Argot rimase con i fogli in mano fissando il vuoto; ormai non si stupiva più di niente e forse non aveva neanche voglia di stupirsi. Si portò al centro della stanza, rilesse ancora una volta la lettera, poi prese l’accendino dalla tasca e iniziò a dare fuoco ai fogli, ondeggiando con la mano da destra verso sinistra. Una debole fiamma azzurrognola si spense subito tra il fumo, un forte odore come di miscela chimica colpì Argot in pieno viso; istintivamente allontanò i fogli stendendo le braccia e notò ai riflessi del sole qualcosa che non avrebbe mai più dimenticato. La carta bruciando non si trasformava nei soliti leggeri pezzetti neri ma diventava polvere, polvere d’oro che cadeva ai piedi di Argot. Con un grido lasciò cadere a terra quanto rimaneva della lettera, si inginocchiò, e colto un pugno di polvere d’oro lasciò che questa gli scivolasse tra le dita mentre una lacrima lo sorprese, questa volta però con suo immenso piacere. Lo squillo insistente del telefono diede nuovamente un senso reale all’intera scena; Argot si spostò verso l’apparecchio e rispose con voce debole, quasi un sospiro. “Commissario, commissario!” “Straw! Che succede? Come sta?!” “Va tutto bene, Argot, ma quanto è successo poco fa è incredibile, incredibile!” “Cosa è successo, Straw? Si calmi e inizi a raccontare” “Calmarmi? Non ci riesco, è più forte di me, ho ricevuto una lettera, Argot, una lettera da Fulcanelli” Il commissario proruppe in una sonora risata: “Anche lei Straw?!” “Come anch’io? Perché? Non mi dica, Argot… anche lei?!” “Proprio così”
Un attimo di silenzio seguì la rivelazione di Argot: “Argot, adesso capisce, vero?” “Sì, adesso capisco” “Avrei piacere di rivederla, pensa che accadrà?” Argot sorrise affettuosamente. “Accadrà, Straw, accadrà quando dovrà accadere!” Chiuse la comunicazione e ritornò nell’altra stanza, i fogli erano ormai completamente bruciati e un mucchietto di polvere d’oro luccicava al sole, proprio al centro del pavimento. Argot incrociò le mani dietro la schiena e guardò in alto “Niente accade per caso e tutto, in fondo, è già accaduto… grazie, Fulcanelli… ovunque tu sia e qualunque cosa tu sia… non lo dimenticherò!”