Il Segno Del Silenzio 496z6l

Tommaso De Cataldo

Il segno del silenzio

Copertina: Sagra, particolare manoscritto, Catalogo Poetico, Volume III, 2004, Copyright © Tommaso de Cataldo, Biljana Bozinova.

Il segno del silenzio, Copyright © Tommaso de Cataldo, Biljana Bozinova. Edizione Marzo 2014,[email protected]

Codice ISBN: xxxxxxxxxxxxx

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Indice dei contenuti

Nota introduttiva Nota biografica dell'autore Notturno forte (trittico) Primo notturno forte Secondo notturno forte Terzo notturno forte La via stretta La via stretta I La via stretta II La via stretta III Il viaggiatore assopito Il viaggiatore assopito Il senso delle cose Hic et nunc La candela Sogno

Il cantastorie La strada e il cortile Il clown Memoriale Signora alla finestra La giostra Il dubbio Accordi familiari Filastrocca per bambini Sotto la Luna Aurora alla finestra Venti agosto Cantilena Sera del 29 La danza Assassino Potsdamer Straße: ore 09.30 Liegender Akt vor Spiegel (Ernst Ludwig Kirchner) Tempo Dispersione La statua

La sosta Gabbiano La circolarità dell'evento Meditazione Abbandono Notte infame Il funerale e l'amante nascosto Capolinea Primavera Riflessione Berlino Le stanze rovesciate Giovane uomo Madre mia Ricordi estranei Cadeau Natività Insonnia Frammento Serenata Il gioco

La fiera dei miracoli La corda secca Skopje Catarsi Cavalieri Asfissia Scalinata notturna La crepa nel muro Rabbia Mantra Brezze estive Coppia tardiva Preghiera Icona Sagra Domenica aggi Terrazze Carezza Morte di una rivoluzione De profundis

De profundis I De profundis II De profundis III De profundis IV De profundis V Foglie Foglie I Foglie II Foglie III Foglie IV Foglie V Turris Eburnea: Eros, Morte e Assoluzione I II III IV V VI VII

VIII IX X XI XII XIII XIV Dialoghi lunari Primo dialogo lunare Secondo dialogo lunare Ritratti Lo scemo del villaggio La capanna

Tommaso de Cataldo Il segno del silenzio Poesia Milano – Skopje 2014

Nota introduttiva

Scrivo per giocare, per pensare, per meditare. Scrivo con la mente e con il corpo, progressivamente, a partire dalle immagini, dai luoghi, dal silenzio, dal tempo, da una sensazione, oppure da una parola. Io faccio poesia per necessità. La necessità di lavorare con le mani e col corpo su di una materia che difficilmente si lascia afferrare e modellare. Mi siedo spesso in compagnia dell’inafferrabile. Mi trastullo col tempo, fissando la parete di una stanza, guardando una nuvola, oppure una strada. In verità è lo spazio tra le cose che mi attira. Nel corso degli anni ho imparato che il vuoto non esiste, nulla è separato. La strada mi ha fatto da scuola ed è lì, in luoghi qualsiasi, che le realtà acquisiscono forme e consistenze imprevedibili. E sempre, tutto, è soggetto a trasformazione. Ora scrivo. Sono un’immagine seduta alla finestra, confusa tra palazzi e cortili, attraversata dalle vibrazioni del traffico, immersa nel silenzio di una stanza illuminata dal sole, a ridosso di un cielo azzurro e primaverile. Cammino in un bosco, un giardino, ed è un percorso fondamentale. Mi fermo ad osservare un ramo nodoso, sospeso tra il sole e l’ombra di un mattino fresco. Il tempo e lo spazio fluiscono attraverso mani che modellano con intensità un granello di sabbia. Modellano l’amore, la vita, la morte, le parole, il fragore, lo sconquasso generale di chi gioca, il sorriso di chi guarda, una carezza. Repentinamente una strada mi si apre davanti: sono le nove e mezzo del mattino. Fermo, accanto ad un palo, in piedi, scrivo. Tutto si muove, intorno. La poesia, mentre scrivo, si sviluppa in un tempo proprio, parallelo, dominato da leggi indipendenti; una realtà presente dove ogni cosa accade, continua ad accadere ed occupa tutto lo spazio e tutto il tempo. Qualcuno ha detto che la visione di Dio è il presente (ciò che noi definiamo eternità), ove ogni cosa (pensieri, spazio, atto, ato, presente e futuro), tutto, è qui ed ora, hic et nunc. Scrivere poesia, per me, è questo. Buona lettura.

Nota biografica dell'autore

Sono nato a Magenta nel 1961. Laureato in filosofia, ho vissuto a Milano, Berlino, Parigi, Spalato, Karlovac, Zagabria, Petrinja, Glina, Pristina, Skopje, Amman, Ginevra, Abuja, Freetown, e Belgrado. Ho dedicato alcuni mesi al volontariato, per poi dedicarmi professionalmente nel settore delle migrazioni. Nel 2003 mi sono sposato e abbiamo una figlia. A loro dedico questo libro, ringraziandole per l’appoggio, la pazienza, la fiducia e la loro presenza, che arricchisce la mia vita.

Il segno del silenzio Poesie

A me fu recata, furtiva, una parola ⁄ E il mio orecchio ne percepì il lieve sussurro (Giobbe 4, 12). A Biljana e Josephine

Notturno forte (trittico)

Raccolta prima

Raccolta prima Notturno forte (trittico)

Primo notturno forte

Se ne è andata con le sue piccole scarpe in un grigio pomeriggio invernale. Se ne è andata e voltandosi mi ha detto: ti amo. Il tempo ora è diverso. La primavera è alle porte e un grigiore intorpidito invade i miei occhi di sabbia. Lunghe notti ho percorso le nostre strade segrete cercando con sguardo animale il sorriso dei tuoi neri capelli. L’ho sentita sussurrare qualcosa e mi sono voltato ma era solo il vento con i suoi vortici e poche cartacce. Un giochetto bizzarro lanciato lungo le strade, come per scherzo. Il vento ha attraversato le mie mani lasciandomi immobile come una statua sul finire di un canto notturno nascosta dietro alle finestre ondeggianti di un palazzo dalle mura di pietra massiccia. Il primo e l’ultimo sussurro ho riascoltato.

Secondo notturno forte

Se ne è andata. Ha preso l’autobus e se ne è andata. Mi ha lasciato in un pomeriggio nebbioso mentre disperatamente tentavo di cantarle le ultime parole della mia anima impallidita. Colto d’improvviso da una tempesta di sale la bocca ho aperto con sforzo e accecato dal bagliore in sordina dei denti ho assaporato il morso amaro delle mie parole di muto. Occhi e volti pallidi m’hanno raccolto improvviso quando con le braccia aperte correvo lungo il ciglio di una luna tagliente urlando le mie ultime parole imparate a memoria per non dimenticarle durante l’ardua prova della convulsione. Mi hanno raccolto, non so più dove, col capo reclino su di una tavolata di legno intarsiato.

Scosso da un sorriso accecante senza ione e con gli occhi vuoti mi sono accinto ad imitare gli arazzi minori incastonati nel corpo della mia anima ardente.

Terzo notturno forte

Correvamo su e giù lungo le profezie dei nostri sogni soffermandoci appena sui baci perduti nel calore assoluto di un’estate del sud. Di spicchi d’arancia e di fico ho ricoperto i tuoi candidi seni; limoni spremuti ti ho donato la notte in cui promessi l’un l’altra ci siamo abbandonati infuriati lungo una discesa di petali e melma. Fico d’india e melograno ti ho insegnato ad amare quando ridendo stupita scioglievi i tuoi lunghi nastri d’argento mentre mi tenevi per mano. Senza più respiro dopo la corsa infinita del nostro amore perduto ci siamo riempiti le tasche d’argilla e castagne riportando a casa statue e promesse. Ora cammini, trascinando i tuoi piedi sulle piastrelle nude di una stanza lontana.

Un pomeriggio te ne sei andata, lasciandoti dietro il mio sguardo allungato e il sogno delle nostre estati del sud. Il mio tappeto di fichi secchi e ghirlande t’insegue, cauto, nella bufera che ancora scompiglia i tuoi neri fili di seta. Un pomeriggio te ne sei andata sospirando con l’animo gonfio di pensieri estranei con l’animo gonfio del tuo ato scomparso durante un giorno d’aprile quando orchi ciechi e rabbiosi hanno aperto fauci di fuoco.

La via stretta

Raccolta seconda

Raccolta seconda La via stretta

La via stretta I

È una via stretta questa notte. Un incontro un sogno. Un segmento di felicità il nostro cammino lento lastricato di pensieri. Queste nostre parole curiose si sono chiuse imprigionando le nostre anime. Sagome di legno. Con gli occhi aperti attenti scrutiamo il sole le sagome degli edifici le notti stellate le ombre dei anti e degli amanti

allungate sul marciapiede illuminato. Questa mia città è un ricordo allontanatosi nel tempo. Danzatrice furiosa. Tempo scanzonato quello dei bimbi. È una via stretta questa notte.

La via stretta II

Quali sono queste parole che canti sussurrando nascosto? Questo tuo viaggio è il mio. Oppure sei solo quella sagoma osservata alla finestra ossessione dai capelli neri e ricci nascosta oppure scomparsa. Un pensiero col quale trastullo le mie giornate vuote tu la felicità i sogni ai quali ho allungato le dita trasformando la mia voce in un fantasma dal timbro gelido. Sogno confuso tra le tue mani mia sagoma addormentata fantasma di legno

che inseguo e insegui tu... io forse solo cammino come uno di quei pazzi vagabondi che si vedono agli incroci, gridando con un libro in mano. Oppure è solo venuto il tempo. La notte con i suoi sogni mi ha raggiunto tendendoti un agguato nel fragore di una sagra.

La via stretta III

Oggi ti ho guardato ti ho cercato questa notte statua maledetta. Sogno idolo infranto. Cammino accanto a schiere silenziose. Strade assonnate. Perché ti sei allontanata? Con le tue domande sottili ci siamo avvicinati ad una vita balorda e in un labirinto di fuoco ti ho inseguito per perdere le tue parole disperdendole nella mia mente oscura e silenziosa. Sagome mai viste quando affacciato alla finestra ti guardavo arrivare rossa in volto e cieca col tuo bastone bianco.

Agitavo le mie braccia sottili avvertendoti della strada deserta che ti si avventava contro a strapparti l’anima per poi buttarla tra parole riflesse e pensieri tratteggiati lungo strade lacustri già ghiacciate dall’imminente arrivo di un inverno silenzioso. E tu non facevi che avvicinarti con quel tuo o insensato roteando il tuo bastone bianco saggiando lo spazio vuoto posto tra te la finestra aperta piena delle mie grida sorde e il cielo nero in un mattino insensato e vuoto. Un piccolo muro ci distingue ora dopo le lunghe notti trascorse a meditare con volti separati lo stesso Dio dalle parole silenziose. Ed ora, stanco, mi sono buttato su di una poltrona

e la notte illumina la mia stanza. È forse questa l’immagine del silenzio che ho sognato durante notti lucide? È notte ora tempo di sognare il tuo bastone bianco ora che stanca siedi immagine confusa tra le strade di questa città di vetro. Ed è una stretta via quella che percorro questa notte.

Il viaggiatore assopito

Raccolta terza

Raccolta terza Il viaggiatore assopito

Il viaggiatore assopito

Intrecciati alle veloci e lucide rotaie buttate nella campagna disordinata, s’inseguono i torti pini marittimi. Nulla si ferma a lasciarsi guardare o pensare. Ma il gran turbinio dell’essere inafferrabile alle mani pulsa tutt’intorno a questo corpo di lamiera sonante fiero del suo dissolversi nell’impaziente mondo delle marionette. Ed è tutto sogno questo gran correre nel capo reclinato dell’uomo che, dormendo, viaggia.

Il senso delle cose

La luna, questa sera su questa terra splende. Tra sirene fiammeggianti immobile ci osserva. Un andirivieni sono queste strade testimonianza di i stanchi di una sedia addossata al muro di un guizzo impercettibile. Un’amante sussurra docili farfalle all’orecchio amato una madre culla al seno un figlio mentre un viandante sogna e con o svogliato insegue gli argentei riflessi della luna salutando le ombre fuggevoli dei anti con filastrocche sussurrate appena. La luna questa sera sogna, svogliata, a ridosso dell’universo. Sussurra ad un viandante strade silenziose buttate d’improvviso sulle campagne fresche e vaste.

Sono sogni queste strade, a stento bilanciate su zoccoli di burro e frutta caramellata. Con dita appiccicose un bimbo s’aggira cauto tra vasellame aperto e un’ultima ditata affonda in una luna di densa pasta. Poi svelto correndo si dilegua motteggiando l’universo.

Hic et nunc

E solo dell’ondeggiar delle fronde aspiro il fragrante segreto. Sdraiato in questo giaciglio stanco osservo il transitar del sole lungo l’arco del cielo: azzurra è la terra mentre altrove la sera compie il suo rito baciando di fredda ombra i brulli declivi dei colli. E mentre il torpore del sonno già è sciolto tra strade maestre, io siedo con l’occhio ancor volto al fantasma d’un sogno.

La candela

Con metodo la candela accesa lentamente si scioglie, diffondendo tremule ombre nella vuota stanza, aperta su questa città appoggiata sull’inferno. Parole incomprensibili sono state dette, serrando in una morsa ardente l’esistenza. Marce clementi bianche e verdi si sono scatenate, creando giostre infami di silenzi acidi.

Sogno

Ho sognato la mia vita. Questa notte ho sognato: gli occhi aperti, una parete bianca. Ho sognato e mi son messo a ridere come se i miei pensieri fossero l’oggetto buffo d’un presentimento estivo. E tu, in quel momento con la tua borsa e i tuoi piccoli gingilli sei partita. Dalla mia mente e dal mio corpo ti sei allontanata lasciando le orme piccole dei tuoi piedi sulla sabbia bianca e fine delle mie domande. Questa notte mi sono alzato a guardare le strade vuote e silenziose. Le mani e il corpo di burattino nell’estremo tentativo di scrollarmi della polvere delle spalle degli occhi e dei pensieri ho scaraventato lungo le piastrelle fredde del pavimento.

Ed è solo un sogno terribile la carne della mia coscienza la carne che guardo e guardi nell’atto di allontanarti dalle mie sottili braccia. Questa notte ho sognato ho sognato parole senza voce e col cuore in gola mi sono alzato preda dell’orribile pensiero di una stanza dalle pareti spezzate e senza luce nel freddo inverno. Ti ho perduto tempo mormorato: un’istante infinito ho trattenuto il fiato e sospeso sul vuoto di un filo teso ho temuto di toccare un cielo in fiamme ho cessato il mio riposo tra lenzuola bianche.

Il cantastorie

Sazio di mele sempre si allontana. Sgambettando per le strade strette di questa cittadina soleggiata, sazio di mele, si allontana, giocando con qualche invisibile pezzo di latta. Se ne va cantando contando le sue piroette fantastiche col o lento del cantastorie. Ancora si raccontano le sue storie. Ancora si ricordano le strade strette di una cittadina soleggiata, luogo geografico ormai ingiallito su di una mappa antica.

La strada e il cortile

Perderti e perdermi. Eri tu a guardare io quella strada vuota dove ancora sorridere dove ancora parlare prima che tutto cessasse in un sospiro. Eravamo la luna e il sole la pioggia e il silenzio ed io mordevo la tua anima acerba. Ero io quel cortile vuoto dove bambina giocavi nei lunghi pomeriggi assolati.

Il clown

Noi che ridiamo non abbiamo più parole per morire. Seduto sul marciapiede affollato guardo il canto lontano del clown. Sento avanzare sul mio corpo la sua danza leggera. Le smorfie suggerite da una donna sprofondata nel suo corpo di vecchia sono le mie dita incrociate e il sorriso di un uomo che a confuso nella luce del tramonto.

Memoriale

Si allontana la cantilena delle donne lungo la strada soleggiata di un villaggio dalle case in calce bianca, arroccate su roccia bruna. È l’ora arroventata del canto estivo posata immobile su volti muti anime dipinte in un cielo grezzo. Riposano nelle nicchie i soldati di tempi andati e una gazza nera vola sul loro ricordo spento. L’acqua rifrange lieve sulle sponde accarezzando la roccia immobile. Labbra secche lasciano sfuggire parole aride mentre d’intorno s’accende una cinerea nube di tempesta. Una palla variopinta balza solitaria in una piazza storta, adagiandosi sui riflessi grevi di una finestra aperta.

Signora alla finestra

… oppure cercherò altrove nelle strade senza ato tra i volti vuoti e gli occhi spenti. Una notte sognai di te, dama bianca gli occhi gonfi di lacrime: il destino ha un sapore grigio, solenne. Il sapore di un corrimano che, in circolo, distrugge sé stesso. Distrugge i sogni, la memoria degli uomini, il giorno che ti incontrai, che dimenticai me stesso e i tuoi guanti di signora alla finestra aperta sull’autunno variopinto.

La giostra

Attraverso strade e palazzi la mia ombra. Tra zolle brune vagano i fantasmi. Tendo le mani al centro corro senza respiro con le gambe spezzate immobile, pesante. Galoppano i cavalli nella piazza tonda sul cemento giocano i miei bimbi e la giostra ride del suo vortice. Non correre a nasconderti. Gira, gira. Gira tra i miei cerchi. Gira, gira, gira... gira ...

Il dubbio

E forse potrei dire: guarda le pietre. Ma le ombre hanno deformato il volto. E quando ti vidi apparire in un àlgido cielo m’accorsi del tuo sorriso e per la prima volta vidi i miei occhi ciechi e immobile rimasi e perduto. Ora suonano le campane piove, forse il cielo è grigio. E forse potrei dire: guarda le perle bianche dei miei occhi.

Accordi familiari

Volano i corvi sugli storpi cara sorella. Ed io, nella notte, cammino seguito dai tuoi occhi di bimba. Guardo gli uomini piangere e ridere ed io riposo in silenzio: siamo le maschere col naso rosso e lo sguardo triste del clown. Nel cielo salto di fango ricopro il mio corpo. In silenzio piango e rido. In silenzio penso ai tuoi occhi di bimba che guarda lontano.

Filastrocca per bambini

Bisogna uscire dalla nostra santa illusione, e andare sulle rocce. Riprendi i gabbiani: sono gialli sono blu sono la neve dell’inverno rame

Sotto la Luna

Le pietre sono bianche Il deserto è bianco Il mare è bianco La seta è bianca Ho cercato le mie bianche mani, e il viso. I miei occhi sono bianchi: di notte luccicano. Le stelle, il fieno, le buie finestre. Ripeto. Guardo il cielo, le nuvole sono lente e non escono mai dai tuoi occhi. E una bimba corre e col cerchio in mano chiede: “È bello l’autunno nero?” Ma io non so che dire. Sono seduto nell’erba, gioco con le cicale ed è l’estate: guarda il sole caldo. Ascolta: è necessario aspettare.

Aurora alla finestra

Che fare, amore quando le mie parole sono cieche e gli occhi giacciono immobili nello spazio muto? Ho cercato il suono nelle campane della terra nel cielo le radici dell’aurora: rami sanguigni innervano lo spazio vuoto del cielo mani d’unghia nel mare dei tuoi occhi. Nel tuo grembo mio figlio.

Venti agosto

Bella la notte. Potessi ancora una volta una sola volta accostarmi al tuo viso e sussurrare il tuo nome nelle calde sere d’estate. Ma nel fondo di questa foresta guardo il mio cuore intrico vegetale sussulto d’acque e radici lago caldo immenso sudario in questo remoto angolo di terra

Cantilena

Dodici lunghi giorni: Questo il tempo dell’attesa. Dodici minuti: Avanti! Secondo: uno solo. Perduto è il ritmo. Silenzio, ecco la cantilena: Danzano lungo il bordo sconnesso del sole i dodici bimbi. Danzano lungo il bordo sconnesso del sole i dodici giorni. Danzano lungo il bordo sconnesso del sole i dodici nani.

Sera del 29

Che queste parole possano continuare ad essere parte della vita ed io di esse. Io sono il discorso che pronuncio l’azione che esegue. Io sono la fonte alla quale mi disseto. Tu, per me, chi sei? Sera del 29 Un fuoco arde nei miei occhi. Il mio viso è solcato dall’indifferenza. Chimera notturna. Lastricati umidi di luci riflesse è la strada che ho amato. Quella lungo la quale ho perduto il senso delle mie giornate: dove sono le case di gesso e i cortili? Dove le nostre stanze? Tempo. Eternità.

Ho atteso quattro ore, poi mi sono perso nel fragore confuso dei corridoi.

La danza

Alla luce dei lampi alla luce dei soli nella notte chiara. Negli innumerevoli bordelli amore mercenario infinito walzer notturno: danzerò ancora sul tuo piatto ventre di calda troia. Danzerò per perdere gli occhi. Danzerò per perdere le mani. Il viso perderò nel sottile canto delle strade. Nelle paludi di rugiada, il mio corpo bianco brucia di febbre e d’ombre.

Assassino

Dove siete radice sole potente ardore melanconico silenzio rutilante? I tuoi occhi sono lontani: le mie mani larghe li spingono. Sono le quattro del mattino. Esplodono le strade. Città di sangue. Alba di cemento verde. Sono a un o dal confine. Nella sera la fredda canna di un fucile. Pietra e sabbia acqua e luce: alla stessa fonte dissetiamo il nostro cammino solitario.

Potsdamer Straße: ore 09.30

Non siamo lontani o vicini. Non siamo buoni o cattivi quando di notte lottiamo. Ho visto il sangue il sangue rosso dei miei fratelli. Li ho visti cadere in una notte bianca. Ho visto i miei fratelli allontanarsi andare lontano nella nebbia. Era l’estate bianca e calda. Erano i volti, le belle parole. Eravamo noi ad amarci su quella lunga spiaggia calda e tranquilla.

Liegender Akt vor Spiegel (Ernst Ludwig Kirchner)

Mia verde celeste corpo disteso la tua schiena nello specchio sprofonda il tuo corpo di carne. Le mie ginocchia nella terra nel tuo grembo il mio amore nella sabbia la statua riposa.

Tempo

Sento queste forze giocare. Con le nubi il cielo nasconde di un gabbiano le ali. Ma quanti anni sono trascorsi da allora da quando ogni cosa ebbe il suo inizio? Squillante, a i lenti, discendo il fiume. Tra il clamore delle acque tornano le rocce alla terra e i ghiacciai risalgono le correnti nelle chiare e silenziose notti: ridiscende la terra cava l’argento del mondo. E ancora guardo. Quanti anni da allora?

Dispersione

Un’isola la dispersione. Ti ho detto: ci stiamo perdendo, siamo nelle strade mute. Ho dimenticato la pioggia, l’autunno rosso. La bruma ancora negli occhi.

La statua

Sei la mia linea blu sei la mia linea verde chiusa nell’ovale: dall’enigma l’eterno. Solitaria e fluttuante esistenza: triste è il cuore. I miei occhi senz’acqua son tornati indietro. Ho cercato le parole: arido deserto è la nostra anima. Fantasma che ti allontani c’è la tua statua sul marmo bianco dell’eterno.

La sosta

Seduto nella terra nera ti ricordo statua melanconica. Nei tuoi occhi l’aquila e il sole riposano. Riposano, sul grembo adagiate le tue pallide mani: ritmo e sussurro il sospiro del dormiente. Dolci sono le stanze, immobili e calde: centro ronzante di mosche, un lontano grondare. Un fischio soffocato: così si perde, il treno. Veloce scorre e confonde sé stesso tra alberi e rotaie affilate: una lama sottile è la luna per il viandante.

Gabbiano

Ricorda il gabbiano immobile e grigio. Non è malessere o benessere: attraversiamo un velo. Vorrei chiederti: dove sono il corpo e la mente? Trafitto, mi sono svegliato: le foglie s’illuminano nel vento.

La circolarità dell'evento

In un bianco cielo bianche gambe sfuggono al torso. Ed è la storia ad avere inizio: un lieve sussulto ed ora le mute acque del mare la calda luce del sole il tremore delle mani si allontanano. Ed in piedi sono rimasto le gambe ferme e le mani in tasca ad osservare dei miei pensieri l’immoto corteo. Ed è tempo d’andare d’alzarsi e scivolar lontano verso l’acerbo graffio della vita alla roccia: luce ed acqua la ione lenta e pesante del ritorno all’autunno grigio precipitato verso l’immobile e confuso viaggiare alla quarta stagione.

Meditazione

Il centro. Il cerchio. Nelle tue mani infinite volte mi sono perso. Io bambino. Io nano. Nei miei occhi il sole si è spento: per quante ore ancora potrò dire di essere vissuto? Come le piante abbiamo radici; scaviamo la terra con i denti, con le nostre mani, con le parole: pietra e carne sono il nostro cuore carne e pietra scavano il tuo spirito amore è il tuo corpo.

Abbandono

Il mio amore è spada. Il mio amore è sangue. Il mio amore è spavento. Ormai è tardi: già sono arrivate le imbarcazioni. Le febbri delle paludi hanno bruciato il mio corpo: nulla è rimasto... nulla. Sulle mie labbra secche il senso perduto delle domande: nulla? Nulla. Ed è solo un sussurro, nulla se ne va. Nessuno canterà più nelle tue stanze: i tuoi piedi giacciono freddi nell’inverno grigio.

Notte infame

Sono saltato giù dal letto nel cuore di una notte infame svegliato dal tremolio del lume che tu dormiente tra le mie braccia hai lasciato . La notte si nasconde in queste stanze. La sento pulsare o forse è il tuo lieve ansimare l’ansimare dei tuoi sogni di donna dai capelli rossi. Sul tavolo di vetro guardo gli oggetti della tua vita e vedo i miei piedi nudi sistemarsi per una notte insonne. Sulla polvere delle scarpe col dito traccio il volto sbiadito di un vecchio amore: per il suo corpo ho consumato tutte le parole a disposizione del mio cuore. Ed ora fumo una delle tue sigarette

e sento il consumarsi lento di una candela la cui luce si nasconde nell’ombra severa di una pianta verde nell’inverno bianco. La carta sulla quale scrivo è la sua una spada senza filo sul quale rimane abbandonata l’eco delle mie battaglie.

Il funerale e l'amante nascosto

Chi chiama in queste ore lente e umide del greve vapore del sole e della terra malate? È solo un frammento che si disperde il silenzio delle tue mani. Alla porta, insanguinate, le percuoti; da terra, quasi sollevata butti gli occhi nello spioncino rapita da un caldo lume, dall’ombra concentrata al legno dello scrittoio. Con apprensione guardi la tua vita scivolar tra le navate vuote. Nel silenzio hai perduto il mistero della tua voce e muta, senza più pensieri, vaghi come ombra tra i ricordi mesti dei tuoi amanti. Dolce scintilla dei miei occhi sei stata e in un attimo infuocato di penombra mi sono illuso di poterti sollevare sulle braccia e portarti, rasente al muro, all’altare della felicità dove ora immobile giaci senza nome nel grembo del dolore dei tuoi cari.

Capolinea

Camminerò lungo queste strade di pietra amore mio. Avanzerò senza guardare il cielo e la luce delle stelle non avvolgerà il mio corpo di cenere grigia. La notte non potrà più lacerare le mie carni e la voce non disperderà più il suono delle sue parole su letti di rugiada.

Primavera

Silenzio. Una sera, una sera qualsiasi un miraggio: la primavera una pioggia di petali ed io insieme a te, sorella. Ti ho guardato negli occhi. Sempre un sussurro bloccato il nostro quasi che le nostre parole si siano avviate lungo strade diverse parallele e abbiamo abbandonato i nostri giochi quando si era ancora capaci di ridere insieme. Ricordo la notte in cui fuggisti: abbandonasti quella lunga striscia d’asfalto illuminata allontanasti da te quei ridicoli ed alti palazzi per buttarti, piangendo, nei campi. E ti chiamai.

Ancora oggi non capisco. Ascolto solo la eco lontana del tuo nome, la mia voce il pulsar violento del mio cuore. Ed ora impazzito io guardo avanzare le unghie lunghe dei miei piedi e col cuore stanco sogno il miraggio di quella primavera e la sua pioggia di petali.

Riflessione

Penso a tutte quelle giornate a tutti quei luoghi. Tempi senza memoria senza corpo senza parole. Sottile veleggiare tra le paludi: afa grigia. Immobile, l’acqua, custodisce la perla bianca: polvere è il sole immoto.

Berlino

Berlino grigia. Berlino di alberi e sole splendente: dalle ampie strade viviamo separati. Cartone pressato la folla ombra e colore. Quando gli uomini appesi ad un filo sono gesso colato vuote forme appese tra polvere e raggi di luce vediamo allora una testa sospesa nel ventre della terra tagliata d’acciaio nascosto. L’acqua di queste gallerie è sporca.

Le stanze rovesciate

Sono queste le stanze amare a lungo sognate nel luogo del delirio? Un tonfo perseguita ogni mio pensiero modellato sulle note di un rito antico sul sussurro di amanti perduti nel tempo. Desideri inseguiti da giocolieri e buffoni roteanti colti in fragrante nel corso di un tremore affannato. Sono queste le stanze amare nelle quali infinite volte mi sono accovacciato aspettando in silenzio il dileguarsi delle ombre che contaminano la mia anima? Stanze lontane nel meditabondo girovagare del tempo. Sussurro. Improvviso si è alzato un fantasma lanciandosi furioso attraverso la canicola di un sole abbandonato, sospeso nel momento indeciso di un bimbo perduto. Ti ho sognato, minuscolo grappolo d’uva piccolo calice di vino rosso.

Alla tua ricerca ho percorso intricate foreste indecise ho recitato parole trovate nello scrigno morbido di un cuore disperso ho cantato alla luna ad animali feroci mi sono avvicinato porgendo le mie dita insanguinate alla sottile superficie di un pegno d’amore lontano. Danzano gli amanti in queste stanze rovesciate. Danzano catapultati nel vortice di una ione perduta. Danzano nella vertigine di spade sguainate nella maledizione di una vita dimenticata negli infiniti sottoscale di promesse sempre ripetute e mai esaudite. Danzano gli amanti in queste stanze rovesciate. Gli amanti danzano in queste amare stanze.

Giovane uomo

Ho lanciato lontano lo sguardo verso un’orizzonte vuoto un’orizzonte di schiene curve e d’occhi spenti. Respiro profondamente e senza muovermi. Nascosto tra le ruote d’un calesse penso al tuo corpo alle carezze che le mie mani prodigano a darti la felicità. Penso alle carezze che vorrebbero cancellare la melanconia dei tuoi occhi in uno scrosciare di risate gaie, saltellando tra canzonette bisbigliate e drappi antichi intessuti dalle callose mani d’una donna.

Madre mia

Terra sensuale. Gorgoglia l’acqua gorgoglia scorre lungo canali nascosti nella terra. Madre mia: soltanto un o ho mosso col peso delle foglie secche trascinate sulle spalle e un minuto bastone tra le mani per scavare la terra nei momenti di riposo. Madre mia: ho camminato a lungo su terre lontane ancora insanguinate.

Ricordi estranei

Ricordo quando chiamavo il tuo nome e la tua voce affacciandosi al balcone riecheggiava contro il mio viso: faccia tinta la mia melanconico il tuo sorriso. Rivisito oggi quelle strade da sconosciuto con o lento e senza più ione. Siedo col mio giornale in mano sorseggiando una limonata fredda ricordando tra riga e riga. Circondato da volti sconosciuti io canuto osservo. Non è più tuo quel balcone

non più s’affaccia la tua voce. Volto di donna sconosciuto appare tra panni bianchi stesi al vento. M’alzo a sedermi su d’una panchina verde mentre il tramonto sfiora il tuo ricordo e l’ombra tua mi siede silenziosa a fianco sostenendo le ore lente della sera.

Cadeau

Lascio queste parole andare, filastrocche malandate e senza senso, parole attorcigliate al tempo, tentacoli miracolosi di panno scuro che s’aggirano a mendicare un sorriso schietto. Canto questi momenti muti, cercando monetine coniate dall’amore d’un cantastorie burattino.

Natività

È tempo di danzare far festa per la nascita di una marionetta che s’aggira col nome sconosciuto di un dio muto. Miracoli roteano tra le dita elastiche di bimbi acerbi.

Insonnia

Acre odore è questa città penetrato dalla polvere dal fango. Luce notturna è questa bellezza. S’ode un ritmo salire al colle, snodarsi nell’ombra senza luna tra il frinir di grilli nascosti nell’erba nera, e spegnersi sul far dell’alba.

Frammento

Volto di luna: non andare lasciando l’acre sapore di fili d’argento lacrime rocciose sul volto.

Serenata

Quando scende la sera e gli uomini stanchi camminano lenti sostando davanti alle chiese io m’avvicino al tuo volto sfioro la tua anima silenziosa.

Il gioco

La giostra è arrivata! Corrono i bambini, urlando, con le tasche piene di caramelle variopinte. Di gioia innocente gridano, spintonandosi lungo strette stradine bianche di ghiaia, richiamati da voci materne e paterne confuse nello sconquasso fragoroso del gioco.

La fiera dei miracoli

Sfugge il tempo giunge la sera sfoggiando una vita densa di miracoli seduti davanti ai sagrati di chiese silenziose.

La corda secca

Quanti giorni ho contato sulle tue spalle alla deriva? Ho visto le stagioni della vita scorrere veloci negli occhi abbagliati di una vecchina curva in nero seduta sotto il porticato di giostre polverose. Un simpatico scavezzacollo dai pantaloncini in grigio s’aggira per le strade di granito tracciando con le mani aeree statue bianche di melanconia. Il sole estivo è a picco sulle rocce del villaggio e nel meriggio arroventato sentieri secchi s’inerpicano tra alte mura. In una stanza abbandonata pende dalla trave una corda secca.

Skopje

Sera chiara di luna, silenziose fronde. Immobile e senza vento, questa cittadina, adagiata tra monti verdi e brulli. Trascorrono tranquille giornate, bevendo caffè e fumando, tra silenziosi sguardi, gli uomini di questa città. In un angolo, tacciono gli occhi lontani di un volto segnato dagli anni. Col pensiero, forse torna a serate antiche giovanili tra il chiasso d’una balera e il vociare indistinto e cortese

nella sera chiara. Solchi amari in una terra contadina. Adagiato un lago verde rispecchia il mondo. Chiare sere di luna silenzioso guardo mentre tracciati di strade antiche s’affacciano al volto della mia anima illuminandola d’un sorriso.

Catarsi

Ripeto nel mio animo le tue parole pronunciate in un tempo antico quando le nostre labbra ancora fresche parlavano d’amore. Del tuo volto sorridente ho un pallido ricordo feroce lacerante. Ripeto nel mio animo le tracce del tuo languore sulla pelle del mio corpo. Ti guardo ancora camminare appoggiata ad un dio sottile. Le tue parole si dissolvono tra le dita come fine sabbia d’una spiaggia vuota

al vento.

Cavalieri

Senza più ascoltare mi sono voltato. Senza più guardare me ne sono andato. Un gentil sogno di gioco spento tra i fanali di una macchina ingolfata: ed è subito silenzioso questo autunno di rose e calcinacci. S’aggrappano dei bambini all’ inferriata verde e con le loro filastrocche cavalcano un mondo di sogni inceneriti.

Asfissia

Mi sono svegliato accanto a te un mattino ed a pieni polmoni ho saggiato quest’aria acida. Mi sono alzato lasciandoti disordinata sul tuo guanciale. In punta di piedi con gli occhi aperti e strabuzzati mi sono avvicinato alla finestra: con un sorriso ho guardato questo sole rosso e viola troneggiare in un cielo verde rosso e blu. Mi sono girato verso il letto ti ho guardato mi hai sorriso poche parole hai snocciolato dal tuo rosario bianco. Col tuo sguardo mi hai investito e d’improvviso ti ho visto danzare in una serata antica, simile ad una di quelle foto che tanto amo. Ricordi? C’era quella strana luna piena che in giardino ci guardava. Oh! che sorrisi, che feste.

E quelle improvvise e pazze scappatelle nel mondo d’altri… le ricordi? Le ricordo... le ricordo caro amore. Ma ora lasciami riposare non vedi? Sono qui, disordinata sul guanciale e a stento muovo queste mani un tempo strumenti della dea del nostro amore tempo della ione. Ma che fai alla finestra amore mio? Nulla, nulla, non ci pensare. Semplicemente guardo questo sole, e la mia gola annaspa. Abbandona quella finestra, amore mio. Siamo forse degni di guardare il cielo? Insieme abbiamo tradito la luna e il cielo, con le sue stelle. La terra abbiamo penetrato con le lame del nostro veleno insoddisfatto. Abbiamo purificato il nostro giardino, ed ora giace pallido, secco, silenzioso… Acida tomba per i nostri figli. Abbiamo soffocato il nostro amore. Ed ora torna a me, mio ramo secco, mia foglia gialla.

Scalinata notturna

Non penso di poterti dimenticare così come si dimenticano le cose insignificanti. Tu lo sai ti guardo salir le scale col sorriso diffidente. Ti guardo mentre ti allontani inghiottita dall’ultimo scalino di questa strana via che ancora non conosco. Ti guardo salire quelle scale e sparire dietro ad un angolo modellato dai miei sogni. Per quanto tempo hai tenuto nascosta la tua casa? Ti guardo sparire appena capace di sfiorare i segreti della tua anima gentile dolente affannato o felpato coppa sorridente

candore lunare fragile mio sogno d’amore acre. Ho girovagato tutta la notte simile all’ombra furtiva di un gatto dileguatosi sui tetti di una città assente. Ho girovagato tutta la notte giostrando piccoli pensieri storti tra le mie dita magre. Falange e metacarpo si sono trasformati in una mano agile e intirizzita nella notte cristallina. Girovagando senza meta attraverso la notte ho scorto dietro a un sasso un fiore spento. Con cautela mi sono avvicinato in silenzio ho osservato il miracolo di una notte infame e di un fiore apito. Aperti gli occhi mi sono fermato trattenuto per un istante dal mio guanciale rosso: in briciole si è dissolto il sorriso, sulle labbra di un sogno intenso. Perduto mi sono rigirato. Ti ho osservato salire quelle scale un tempo piene ma ora vuote gelide per il ghiaccio di un’estate senza più sogni senza più stelle.

Dove sei illusione mia? Non ti ho forse sognato nei remoti anni della giovinezza prima ancora che la guerra col suo dito gelido toccasse i solchi arati da una pace stanca? Con gli occhi bianchi l’anima mia s’è strappata al volto lanciando sgomenta lo stridore d’un treno che di buon mattino s’avvia per le campagne vuote. E seduto sono rimasto sino all’avvento del mattino in una città straniera. Ti ho guardato una volta ancora ieri sera e non più ti ho dimenticato.

La crepa nel muro

Ascolto il tuo canto notturno. Seduto in questa stanza grigia ascolto le tue parole d’amore sussurrate nell’incalzante fremere della ione. La voce si spegne in un sussulto delle labbra. Il pallore lunare invade ancora una volta l’ambiguo silenzio di queste stanze moltiplicate dalla sonora percezione di un tempo non ancora trascorso. Cerco i tuoi occhi, ma sono già lontani. Le mie mani non possono raggiungere i tuoi sogni e nel silenzio la tua anima canta mentre sordo io rivolgo lo sguardo ad una crepa nel muro giallognolo. Molte sono le estati trascorse troppi i fiori lasciati apire dall’incuria. Infinite di numero sono le anime perdute.

Sottili sono le parole abbandonate sul palmo della mia mano. E un vortice mi coglie. Dalla stanza profonda della mia maledizione guardo il tuo volto sorridente guardo le tue palpebre appesantite dal pianto guardo il tuo capo chino da un angolo sprofondato e perduto. Guardo come ti accingi ad allontanarti da un paesaggio a te conosciuto ed estraneo. Guardo senza capire. E l’anima mia è sorda ed arida. Sordi ed aridi s’aggirano i miei occhi pietrificati. In un tempo remoto s’aggirano le mie parole dimenticate sulle pietre roventi di una spiaggia sconosciuta riconosciute improvvisamente dalla brezza marina. Statue di sale Tempo corroso Giornate lente Notte silenziosa Ti guardo dormire

Rabbia

Tremulo chiarore. Cresce. Avanza. Un cane abbaia: dove sono? Dove sono tutte queste promesse accartocciate che chiamo amore? Vorrei sprofondare nel tuo corpo e uscirne come una statua vittoriosa ma non rimane che la memoria di chissà quali battaglie perdute chissà su quali terreni accidentati. Invoco il rovescio di una medaglia di latta che in tanti anni ho cercato di modellare affondando le mani nel corpo amazzone di un sogno estinto. Ma ne sono uscito stanco come da una notte senza meta trascorsa nella sala d’attesa di una insignificante stazione ferroviaria fumando sigarette di seconda qualità.

Mantra

Lontano Un mare di sogni Distorce la mia Memoria Perfetta Lontano Un mare di sogni Distorce la mia Memoria Perfetta Lontano Un mare di sogni Distorce la mia Memoria Perfetta Lontano Un mare di sogni Distorce la mia Memoria Perfetta Lontano Un mare di sogni Distorce la mia Memoria Perfetta

Brezze estive

Fresco notturno di grilli. Fruscio di brezze estive tra casolari silenziosi immobili nella dispersione di queste ore notturne seguite all’intensa fragranza di un amore sprofondato nel soffice manto delle stelle. Pallori lunari Volti buffoni Inchini sostenuti da legni intarsiati

Coppia tardiva

Ho consumato le mie parole al lume pallido di una candela. Pochi pensieri, buttati sul tavolo. Notte placida. Un sentiero s’illumina: sono i tuoi occhi. Lontano si spegne una luce. Altrove è già tempo d’andare alla deriva forse. Un fiume i bagliori di una giornata di mare. Ricordi raccolti per strada abbandonati in una stanza ora spoglia e irriconoscibile. Silenzio. La luna riscalda i cuori di una coppia tardiva

un amore consumato abbandonato in un parco notturno.

Preghiera

Illumina il mio cammino in questa tarda notte estiva. Illumina i miei pensieri il mio cuore affinché il miele delle mie parole non inaridisca nei duri momenti della tenebra. Attraversiamo una valle per un attimo entrambi attratti dal desiderio. Un sogno modesto la mia vita, la tua i tuoi occhi.

Icona

Silenzio! Appare la luna sacra visione di un volto scomposto.

Sagra

La luna illumina sentieri asimmetrici tracciati sulla terra notturna da una mano sapiente. S’allontanano le ombre un sogno illuminato sono i pioppi allineati bianche cortecce. Volti smarriti richiamano il viandante sconcertato e cieco per le innumerevoli favole raccontate e poi perse lungo le linee definite di una mente estranea ed invernale. A i lenti una processione sfila attraverso le strade di un paese ammutolito nel silenzio di un sogno primaverile. Sbocciano alcuni fiori in questo tempo esaurito. Fischi lontani feste di piazza ingannevoli miraggi di un tempo estinto

di una parola perduta.

Domenica

Ti ho chiamata. Parole mai dette. Tracce di un pensiero estinto: coppe di luna le tue mani. Ombre girovaghe attraversano colline brulle. Non ricordi il nostro canto? Le melodie disperse? Le speranze? Quali sono le parole maledette pronunciate dalle tue labbra di seta? Parole raccolte da occhi spenti da carni screpolate da terre perdute. Le cantilene dei minareti si sollevano al cielo. Ombre azzurre di uomini perduti tra libri affollati da storie perniciose. Voci sommesse la noia del sole

la noia della polvere meste domeniche grigiori estivi. Insonni s’allontanano le pietre e la tua pelle profuma d’arancia: acque fresche e chiare il tuo volto. Tra rocce aguzze ho scoperto il tuo sorriso. Amore mio brezza del deserto le tue tracce percorro. E l’incognita menzogna di un sogno senza nome m’insegue, adagiata in un docile languore primaverile. Latte e miele sogno. Al mio fianco chiamo i fragori spezzati delle tue soffici battaglie.

aggi

Giornate autunnali. Sole. Sogno sanguigno questo amore molesto. Sei ancora qui mio piccolo fantasma? Anch’io m’aggiro senza più pensieri con un grano di sale in bocca. E canto. E danzo in questo vortice di polveri sonore. Seduto, ti guardo ballare. E tu guardi. I tuoi occhi assenti trafiggono la carne il cuore. Menzogna insolente.

Labbra Sussurrano Parole Fugaci Non ne afferro il senso e subito ti sei voltata maschera disperata. Ombra vanescente. Sfuggente al tatto cammini come in un sogno con i tuoi veli particolari assenti di una vita svuotata. Bacile immenso questo cuore d’ombre stanche lacerate in un inferno di sogni dolciastri. È una barca la tua storia. aggi sono queste tue immote conchiglie frutto di un pensiero ardente esperienza adimensionale di un’anima assente.

Terrazze

Quando questo nostro mesto amore si esaurirà allora chiamerò il tuo nome. La mia voce risuonerà tra valli di mandorli. Il vento diffonderà nel deserto il profumo dei tuoi occhi neri. Le prime luci di un mattino azzurro accoglieranno le tue braccia. Le tue labbra socchiuse si sveglieranno e un fresco mattino accoglierà i tuoi sogni notturni per diffonderli su terrazze di variopinte palazzine dense di voci al risveglio. Una nuova giornata in questo deserto di parole.

Carezza

Ho cercato il tuo volto. Con mani pazienti ho modellato i tuoi occhi le tue braccia ho sfiorato. Ore notturne e insonni hanno abbandonato il mio spirito stanco riverso su queste lenzuola bianche. aggi incandescenti sono questi sogni giostre multicolori sordidi sostegni di una vita indecente.

Morte di una rivoluzione

Sveglia! Aprite gli occhi. Il sole sorge. Spezza la notte aspra. Penetra i boschi fitti. Lancia le sue lame frantumando i sogni che ancora offrono l’aspro petto digrignando i denti. Sveglia! La luna veglia sulla città roccaforte della nostra libertà. Le strade galleggiano e l’ultimo ante s’affretta ad attraversare prima che la disperazione sconvolga la terra. Un’anima si è spezzata, intere generazioni sono scomparse.

Inutili le parole. Inutili i sogni. Inutili le poesie. Inutili le marce e il pòdio. Inutili le braccia alzate. Nessuno ascolta nelle stanze chiuse. Nessuno ascolta là nei corridoi. Nessuno ascolta dove si confabula nella penombra. Avanti! Arrivano le schiere, con i loro caschi e i manganelli alzati. Schiene curve. Mani spezzate. Corde vocali tagliate. Acida sabbia negli occhi. I mille pensieri uccisi nel silenzio col fiato in gola dopo una lunga corsa.

Là! Un orologio fermo! Monumento muto. S’afflosciano i nomi dei giganti sulle mie spalle. Busso alla porta: Toc! Toc! Toc! Nessuno risponde. Nessuno ricorda il mio nome. Eroe scomparso. Svegliati! Coraggio! Il tempo dell’oblio è arrivato. I tuoi occhi sono ritagli di giornale. Le tue braccia non risuonano più nelle fabbriche abbandonate. Monetina opaca la tua faccia grigia occhi corrosi, rughe graffiate sulla pietra. La tua anima è l’ultima mummia. Il mausoleo ora è deserto. Tu, diverso, sei diventato uguale, e nessuno ti può svegliare. Sveglia piccolo eroe muto. È il tempo dell’oblio.

De profundis

Raccolta quarta

Raccolta quarta De profundis

De profundis I

A lungo sono rimasto seduto sullo scoglio che m’indicasti. Ho osservato il mare le sue bonacce e le sue tempeste. Nel rosso tramonto del sole prima che arrivasse la notte ho contato tutte le parole che tu m’hai detto per poterle poi ripetere fino all’alba e rimanere una volta ancora insonne. Ma di te, dei tuoi occhi piccoli ho solo un ricordo: il silenzio. Il tuo silenzio che mi ha scavato l’anima. Le tue menzogne che hanno solcato la terra sulla quale credevo di camminare. Le mie notti. E tu abbandonata nelle braccia dei tuoi amanti aggrovigliati sul tuo corpo spoglio

nelle ore maledette che precedono l’amore. Il tuo, il mio l’amore pallido e sussurrato nei brevi istanti dei nostri incontri. Guardo la sottile seta della pioggia cadere nell’infinito spazio che mi separa dai nostri sogni. Conto gocce d’acqua scorrere sui vetri appannati delle mie finestre. Fuori l’autunno è grigio come le pietre dei tuoi occhi. Foglie calpestate e fradice macerano sul mio corpo.

De profundis II

Quando odo il tuo o risuonare sul legno alle mie spalle sussulto amore mio: le mie mani cercano il tuo corpo. I miei pensieri sfuggono l’incanto mentre tu già siedi davanti a me ed io ti guardo: negli occhi il peso muto del mio cuore. Se potessi cambiare il mio volto e la mia anima allora non tarderei a venirti incontro con la mia danza. Se il suono del mio nome cessasse di risuonare arido nello spazio vuoto di queste stanze i miei occhi non sarebbero un deserto. Eppure il tempo brilla tra le mie sottili dita morbida è la carne del mio corpo e col peso delle mie ossa scavo orme profonde sul tuo volto.

I tuoi occhi piangono: è il piacere è il dolore. È il tuo volto il profilo che attendo spuntare alle mie spalle. Ma sono io sono freddo sono muto e tu sei calda.

De profundis III

Ho scagliato una freccia al sole. Con un o mi sono avventato alla tua porta ti ho mostrato le mie unghie ho nascosto il mio petto insanguinato. Ed ora il tempo scorre.

De profundis IV

Ascolto il moto circolare dell’orologio il suo ticchettio. Tutti gli orologi della mia vita.

De profundis V

Non ricordo le tue braccia di carne bianca luminose spade modellate dai freddi raggi della luna. Ricordo solo i tuoi occhi scuri lontani dispersi tra quei ciottolati tra le mura di pietra. Come un’ombra furtiva ti muovevi tra gli incroci buttati ai tuoi piedi dalla vita. Le tue lacrime hanno visto il sangue. Le coppe di cristallo dei tuoi dolci seni hanno sfiorato la mia anima durante innumerevoli notti estive. La sabbia, il sole, e il mare hanno forgiato quest’amore silenzioso radicato nel mio cuore.

Cammino lungo queste vie insensate frutto d’aspre parole.

Foglie

Raccolta quinta

Raccolta quinta Foglie

Foglie I

Foglie: ombre margini irregolari sagome oscure. Le scuote il vento nella sera al di là della mia finestra. Fragili esseri assopiti sulla terra. Guardo le loro sagome senza comprendere mentre il silenzio riposto nell’anima tutt’intorno si diffonde. Occhi di donna. Andiamo senza pensare lungo queste strade

segnate dal lutto d’un popolo. Vociare gentile. Andiamo lungo queste strade. Andiamo.

Foglie II

Foglie sagome gentili dalla brezza sfiorate. Questa notte è silenziosa serena e non vi è nulla di più serio delle foglie che guardo. Volto senza sorriso piatto lacrima pietrificata densa esistenza d’ un uomo ridicolo.

Foglie III

Le foglie sono ombre le nostre ombre distorte compagne amorevoli aride medaglie adagiate su mani di gesso. Sogni accompagnati nell’oblio. Cerimonie silenziose nelle camere ardenti.

Foglie IV

Foglie precipitate su d’un terreno poroso. Bacile d’anime ove perdute si disperdono nella speranza di un pane amaro. Nei tuoi occhi, nelle tue mani ho cercato l’assoluzione dal tremore di questa vita silenziosa.

Foglie V

E più non temerò questa valle di foglie dove i i dell’uomo si disperdono e i canti dei bambini sono fermi come rocce.

Turris Eburnea: Eros, Morte e Assoluzione

Raccolta sesta

Raccolta sesta Turris Eburnea: Eros, Morte e Assoluzione

I

Giostra la luna china sui colli. Minareti i suoi occhi lucide gemme dal colore cangiante. Turris eburnea: ignoto miraggio su acque quiete e turchesi s’approssima sorridente radiosa corpo translucido.

II

Appoggiato alla parete stanca siedo. Sorseggiando acqua questa notte fisso la brocca illuminata dal vibrare del sogno ferma sulla pietra notturna. Bacile d’argento offerto ai viandanti ombre assetate del deserto. Acqua la polvere. Sogno un tempo di primavere balorde notturne. Coppe amare sfioro nel confuso risveglio in questa stanza di liquido pallore lunare.

III

Mondi versicolori ancora attendono la forza di un petto aspro. Sogno amaro la vita dei santi colonne nel deserto: silenziosa penetra la parola del Dio negli atti nell’animo manto di conchiglie scottato dalla siccità.

IV

Terra brulla e feconda di sogni sanguinari. Aspre parole risuonano. Forti e feroci s’aggirano senza sosta inquiete intorno a questa pianta malsana.

V

Piedi scalzi battono ritmiche danze notturne sulla terra arida e povera. Terra aspra polvere buttata negli occhi queste parole occhi bruciati da un acido sole sospeso. Stridono impazzite cieche sorde bandiere asperse d’acqua di sangue contro faccia folle sanguinaria.

VI

Sguardi discreti sono i tuoi occhi coppe di rame monetine lucide. Il vento s’alza: soffia tra questi monti bastardi il ruggito di un’anima in piena.

VII

Sentiero solitario. Tra sorgenti d’acqua si snoda il sentiero di questa storia il tormentato sogno di questo notturno pallore di luna. Perché chiami il mio nome correndo tra questi declivi bruciati dal fuoco? Acque tormentate dall’orrore di aride sponde incessanti seguono l’assetato odore delle strade la polvere: danzatrici rincorrono il mio sguardo.

VIII

Chiara questa notte. Il viandante esausto siede dopo aver percorso tracce luminose tra i canti di queste dune immobili: rocce abbagliano il tempo di pensieri giocondi preziose monete disperse tra panni variopinti.

IX

Danza un piccolo uomo. Omiciattolo. Figura sdentata. Sogno d’un dolore antico. Sorride seduto con la faccia bucata. Sfoglia manoscritti raschiando via l’inchiostro con le unghie sporche. Riga dopo riga colonna dopo colonna parola dopo parola strappa la memoria ando una mano di bianco. Sorride seduto

con la faccia bucata soffiando nel vento la memoria perduta.

X

Calvari soleggiati i percorsi della ione: cantando ondeggiano processioni di femmine crocifisse ondeggiano processioni di maschi crocifissi. Bocche aperte al cielo umido, grondante e caldo anelano soffocando. Agli angoli delle strade statue di carne nuda ammiccano sorridenti l’assoluzione dello spirito nella frenesia affamata della carne. Preghiere di cemento e vetro tra cattedrali e discariche ammorbate. Parole morbide e tossiche sfiorano il tuo collo.

Bocche e mani sorridenti stringono i tuoi capezzoli davanti ad anonimi giudici di pietra: sdraiati sul tuo letto stringono con mano forte il verdetto infame sospeso tra vita e morte.

XI

Sono arrivati i nomadi i giostrai i mangiafuoco. Ridono furiosi i funamboli accecati dalla sete bruciati dal sole. Labbra screpolate! Assetati di vendetta adorano inginocchiati adiacenze maledette lanciando menzogne insidiose addosso a visioni turbate. Mani umide allungano a raggiungere calde contiguità. Donne guardate di sfuggita lungo sentieri di luna;

inseguite strisciando tra fragranze asimmetriche supplicando confusi miraggi d’amore abbandonando liquidi sguardi assorbiti smarriti, assopiti tra pietre aguzze ed orme incise sul fango.

XII

Molteplici apparizioni dissolte nel lento svolgersi di rotaie lucenti treni lanciati nella notte attraverso confini un tempo sconosciuti assopiti nel tramonto della memoria.

XIII

Filo di ferro arrugginito mani graffiate da un presente improvviso sconosciuto. Fratello! Bevi da questa coppa di sale.

XIV

Baci sottili s’assopiscono su carni liscie di braccia soddisfatte nella notte.

Dialoghi lunari

Raccolta settima

Raccolta settima Dialoghi lunari

Primo dialogo lunare

Altro Anche gli alberi si piegano (pausa) Sotto le nuvole c’è vento. Ho lasciato i miei occhiali ho perduto i gabbiani.

Al Cielo Ho provato a cercarli, ma è così buio sotto ai ponti.

Altro È andata così: un mattino si sono raccolti insieme e insieme sono volati via.

Secondo dialogo lunare

Al Cielo Come una città, il sole. Altro Si, la camicia, il clown. Al Cielo Seduto nell’erba, le tue mani guardo. Altro Come crescono i tuoi capelli? Al Cielo Lentamente, come ogni cosa. Altro Qui attorno si danza. Al Cielo Nei miei sogni il tuo mondo. Altro Quella notte casa tua è

rimasta vuota.

Ritratti

Raccolta ottava

Raccolta ottava Ritratti

Lo scemo del villaggio

Lo scemo del villaggio ride e cammina per le strade coperte di sole e di sassi. Non vede, non sente, e si guarda attorno tra lo spaesato e lo stupito. Lo scemo del villaggio ha i capelli ricci, neri, che gli coprono le spalle. Ed è così che nasconde il peso delle proprie spalle, dei propri anni e dei propri ricordi stupidi. Quando arrivai nella piazza del paese erano ormai le sette di sera e il sole, dietro ai monti, lasciava il mondo all’ombra fresca. Alcuni vecchi, seduti su di una panca sotto il porticato della chiesa, guardavano in silenzio le poche macchine parcheggiate nella piazza antistante. La civiltà. Pensai subito alla loro vita di contadini. Le loro mani, probabilmente, erano callose ed io, non trovavo niente di meglio da fare che andare in giro, mentre loro, seduti, non avrebbero potuto fare nulla di meglio che rimanere a guardare le auto. Come io sia arrivato a fermarmi in quel luogo piccolo e sperduto non saprei dire. Ricordo solo quel mio vagabondare strano. Forse mi sarei dovuto sedere accanto a loro, sulla panca. Ma non trovai nemmeno il coraggio di avvicinarmi. Probabilmente non mi avrebbero fatto sedere. Forse si sarebbero alzati per far posto, oppure per allontanarsi dallo straniero, seguendo un’istinto di atavica diffidenza nei confronti degli sconosciuti. Che fossero contadini, è una mia supposizione. Non appena sceso dalla corriera, mi misi a sorridere al vento. Mi sembrò un atto bello, gentile e dovuto. Mi fermai un momento e pensai alla solitudine infinita delle brezze che percorrono le valli della terra. Gentili o violente, nessuno sorride loro. Alzai le braccia e cercai di accarezzarne il fruscio tra gli alberi. Chi ringrazia il vento che rinfresca le giornate dell’uomo nelle ore più calde delle estati più calde? Ma forse questo è solo un piccolo pensiero pagano. E ne provai orrore. Chiusi gli occhi, mi misi a mormorare una preghiera all’Eterno. Lui che ha mandato suo

figlio a morire per noi che siamo tristi, per noi che siamo coscienze misere e dominate dall’egoismo. Per noi, che nel dare pretendiamo un compenso immediato. Per noi, che in silenzio pecchiamo di vanità e non riposiamo la domenica. Per noi che ci rotoliamo nella lussuria delle carni e vendiamo il fratello e il nostro amore al migliore offerente. Per noi che temiamo di soffrire e non accettiamo la responsabilità del dolore. Il dolore. Il pagliaccio ride ed io, forse, divenni, in quel momento, un piccolo essere paonazzo gettato nel mondo, alla rinfusa, ed ora perduto, in un piccolo angolo della coscienza collettiva, nell’immaginario, il limbo delle nostre aspettative, l’inferno di una giostra muta e immobile. Ed io, immobile, al centro della piazza, mi sentii, improvvisamente, pesante e come di legno. E mi misi a sorridere per la seconda volta, rovesciando la mia testa all’indietro mentre le mie orecchie udirono il verso orribile della mia voce. E allora mossi il mio corpo di legno e, zoppicando, andai incontro a quelle mani callose allungando le braccia e il collo a cercare quelle teste di vecchi contadini. Dalla mia bocca uscì ancora il verso, il mio incontro con una monetina di rame. Li vidi alzarsi e sentii dir loro: è lo scemo del villaggio.

La capanna

Quante volte mi hai sorpreso, autunno spensierato? Ti sei divertito a rovesciare sulla mia testa foglie gialle e rosse. E già gli alberi si spogliavano senza fretta, lasciando intravedere trame scheletrite, rigide e immobili nel temperato sole di mezzogiorno. I bambini correvano a scuola, e tutto il mondo indaffarato, senza un minuto per riflettere, velocemente correva avanti e indietro, davanti a quella piccola capanna senza nome. Inutile ricordo di una città perduta: io le contavo le tue finestre, una dopo l’altra e giorno dopo giorno. Le mie dita roteavo di nascosto, trastullandomi per lunghe ore col pensiero di una sottile statua capovolta da una tempesta fredda. Saltando in alto ti spiavo attraverso le finestre opache, mentre rammendavi qualcosa con quel movimento mesto delle mani che ti era proprio. Facendo finta di non vedermi, sorridevi gioiosa nella tua capanna. Sorridevi sentendo questo rompicollo trascinarsi nel tuo giardino facendo mille capriole e ridendo del proprio destino di uomo scemo. Improvvisamente mi nascondevo dietro a un secchio arrugginito, per spiare quante gocce d’acqua sarebbero cadute prima che la pioggia scoprisse la mia sagoma di pietra. Ridevo della statua con facce e lingue sfavillanti, e prima di esser scoperto, lesto lesto infilavo le mie mani in tasca, per sfuggire al cielo stanco d’inseguirmi attraverso le mille stanze semplici dei miei pensieri. Strisciando come un indiano dagli occhi piccoli, ritornavo sui miei i, sconvolgendo con pernacchie e caramelle guardiani di sabbia e lunghi colonnati. Me ne andavo, avvertendo il tuo sorriso sempre vivo nella capanna vuota.