Il Piano Di Volo Delle Libellule 1cm6j

Bennardo, Simona

Il piano di volo delle Libellule

UUID: 098a3a82-1f1e-11e4-86d0-27651bb94b2f

This ebook was created with BackTypo (http://backtypo.com) by Simplicissimus Book Farm

Indice

ALL'INIZIO SI PARTE..... IN VOLO… SVOLAZZANDO… CAMBI DI DIREZIONE PERDITA DI QUOTA… PATIMENTI E….STALLO…. RICOMPOSIZIONI E… RIPRESA… IN FONDO… PLANANDO… RIPRENDENDO QUOTA NUOVE PROSPETTIVE DI VOLO ADDII E RIPARTENZE Credits

ALL'INIZIO

Capitolo 1

Giulia – l’inizio

“Non so se sono così interessante come caso per lei dottoressa. Le mie amiche mi dicono da un po’ (si, si, lo so, da anni, va beh, dettagli) che secondo loro dovrei parlarne con uno psicologo. Ma effettivamente ora mi chiedo: chissà cosa avrò di così interessante da dire. Certo di cose strane me ne sono successe veramente troppe; se non fosse che ogni volta che le racconto a qualcuno, finisce che questo ci ride a crepapelle e alla fine non si parla d’altro e mi trovano persino simpatica. Wow! Ci crederebbe? Come quella volta che dovevo andare ad una festa organizzata dalla palestra e pensavo che fosse in un locale, mi sembrava che anche l’indirizzo corrispondesse, ne ero proprio convinta. Così sono uscita senza neanche prendere l’invito. Può immaginarsi che mi sono trovata nel bel mezzo di una festa gay-lesbica senza saperlo, continuando a chiedere a questo e a quello se conosceva il tal istruttore o la tal istruttrice – tanto per far conoscenza, mica mi faccio intimidire da facce nuove – finché una mi trascina in pista e mi bacia in bocca! Ero senza parole e poi a me le donne mica piacciono! Accidenti, e le mie amiche dove diavolo erano finite? Ma secondo lei, ci potevo arrivare prima che non era la festa giusta? Ecco vede? A me succede sempre così, che mi capita sempre qualcosa di strano o di sbagliato. Anzi, come dicono le mie amiche, sono io che sbaglio, sono proprio sbadata. Ah! La tipa che mi ha baciata in discoteca poi non mi voleva più mollare – devo esserle proprio piaciuta, io – sono letteralmente fuggita e mi sono nascosta dietro il bodyguard all’ingresso. Doveva vedere come era grosso!

Meno male che mi ha aiutato, mi ha dato il “via libera” e mi ha fatto uscire dall’uscita di sicurezza: già quando ho letto “uscitadisicurezza” mi sono sentita subito meglio! E’ proprio vero che le parole hanno un peso e un significato, e mai come in questo caso! Adesso chissà cosa penserà di me se le dico che cose così me ne capitano abbastanza spesso. Le mie amiche ormai lo sanno e mi ano a prendere quando usciamo, o si preoccupano quando esco da sola, ma non posso pensare di are la mia vita con le amica-sitter! Ma lei lo sa perché mi succedono queste cose? Mah, io non so, credo che una come me non l’abbia mai avuta per paziente. Nemmeno io mi vorrei per paziente, se fi la psicologa. Il problema sono io, anzi se devo dirla tutta sono il problema e anche la soluzione; se non è autonomia questa: Ah! Ah! Però non è sempre divertente sa? L’anno scorso mi ero iscritta ad un concorso, ci tenevo tanto: avrebbe rappresentato forse una svolta. Era di sicuro una opportunità di lavoro molto interessante per me. Avrei smesso di fare l’infermiera per la casa di riposo e sarei ata ad un progetto di ricerca per un Ospedale. Mi sarebbe davvero piaciuto. Lo sa cosa è successo? Mi sono presentata nel giorno sbagliato. Si, si, proprio così: io-ho-sbagliato-giorno-o-o. Eppure tenevo moltissimo a quella proposta, ho anche pensato a quello che avevo letto di psicologia alla scuola infermieri sui “lapsus”. Era un “lapsus”? Mi sono chiesta: era paura di cambiare? Cosa era? Ero solo io, la solita io combina casini, ecco cosa era. Ero davvero avvilita, mortificata, e chi più ne ha più ne metta. E se sono qui oggi è perché vorrei cambiare, vorrei che qualcosa cambiasse. Il più delle volte è divertente vivere così, lo è stato certamente in ato. Ma ora non riesco più a trovarlo così… divertente. Lo trovo deprimente, soprattutto quando riguarda il lavoro. E pericoloso, quando riguarda gli indirizzi sbagliati. E inizia a farmi sentire strana, e fa preoccupare chi mi sta attorno, il più delle volte. Però devo dire che questa chaise longue è proprio comoda, e almeno per un’ora anche io so dove sono, oltre a lei e alle mie amiche, naturalmente con buona

pace di tutti. (Giulia sorride, si stira sulla chaise longue, forse comincia a rilassarsi, forse)

Alex – l’inizio

“In effetti è proprio strano trovarsi qui, in questo bello studio, su un comodo lettino e a guardare fuori dalla finestra. Che bel cielo blu si vede oggi; sa la dovrò ringraziare anche per questo e non solo per essermi stata a sentire. La dovrò ringraziare per tutti i cieli belli che mi avrà regalato, per tutto il tempo che mi avrà dedicato, per la pace e la quiete che qui sto provando già adesso. Proprio una gran bella sensazione. Penso che dovrei iniziare a farle capire chi sono e che vita faccio. Per favore non mi chieda altro per il momento, lo affronteremo in seguito, se non le dispiace. Ora… preferirei di no. Dunque possiamo cominciare dalle cose più facili? Mi chiamo Alex, ma questo lei lo sa già, ho 45 anni e di lavoro faccio il Project Manager. Si, si, proprio quel lavoro che affascina tutti ma che nessuno sa cosa diavolo sia. “Ma che cosa fa un project manager?” Se lo chiedono tutti, e quando non lo chiedono hanno un punto interrogativo sulla faccia ma non approfondiscono per non far brutta figura. Comunque, semplificando, è un lavoro che mi porta spesso in viaggio e lontano da casa e – visto il periodo – la cosa non mi dispiace. Se non fosse per Micio e per Anna, sa cosa le direi? Che sono pronto anche a vivere all’estero e lasciarmi alle spalle tutto. Tutto quanto. A volte perché il tempo di permanenza richiesto è sufficientemente lungo per familiarizzare con il luogo in cui si trova la sede di lavoro, allora comincio ad affezionarmi ai luoghi, ai paesaggi, al ristorante di tutti i giorni, persino al portinaio dell’albergo. A volte perché tutto questo andare e ritornare, il vagabondaggio lavorativo insomma, un po’ mi stanca e comunque mi fa sentire più solo di quanto io non sia. Il punto è proprio la solitudine che mi porto dentro: non corrisponde alla realtà. Nella realtà io ho una casa, le mie origini, le mie radici. Ho Micio e ho Anna. Ho un posto chiamato casa dove mi sento “a casa”.

E qui cara dottoressa apriamo un altro bel paio di capitoli: Micio e Anna. Micio è il mio gatto, il mio signor gatto con cui convivo dalla bellezza di quattro anni. Una felice convivenza direi, il gatto fa il suo dovere: dorme nei posti più assurdi, mangia negli orari più strani, e soprattutto mi fa ridere più o meno tutto l’anno. Oh, è un gatto straordinario glielo assicuro, anche per via delle mie assenze, che lui penso consideri delle pause fra un periodo e l’altro della nostra convivenza e che io provvedo a non render troppo stretta. Per fortuna c’è Anna, l’altro capitolo della mia vita. Anna – fra le cose che fa per me - è la persona che ha cura del micio quando sono fuori città e sarebbe la donna della mia vita se non avesse 80 anni suonati ed una infinita ione per il marito che l’ha lasciata vedova una decina di anni fa. Un amore che non potrà mai essere corrisposto il mio, che ci vogliamo fare! (Alex ride, ed è una risata che riempie tutta la stanza di allegria, di colori, le sue A e le sue H si susseguono rincorrendosi, ma alla fine il tutto si schianta su un muro di silenzio. Una lacrima scende. Ed è silenzio a parlare.) Dunque Anna vive qualche piano sotto il mio, ha un buon rapporto con Micio oltre che con il suo padrone naturalmente, e ne ha cura. Di entrambi intendo. Il peloso riceve cibo carezze e attenzioni in mia assenza, il sottoscritto riceve consigli, occhiate (occhiatacce a volte, succede quando ‘non gliela racconto giusta’, come dice lei) e affettuose carezze, delle quali non saprei più fare a meno. Eh si, quanto sia preziosa una carezza, un contatto così intimo ma così possibile anche fra due persone che non sono così intime, quanto sollievo possa dare è una sensazione così strana eppure così bella che non so ancora spiegarmi. (Alex si perde in chissà quali pensieri. Sorride. Si fa serio) E’ ora di andare, vero?

Stella – L’inizio

“E’ iniziato tutto così, con una semplice domanda: facciamo un figlio?

E il mondo si è fermato, il mio cuore ha battuto all’impazzata. Dentro si è scatenato qualcosa di incontenibile. Sarà che ho compiuto 40 anni e che ho iniziato a fare i conti con me stessa da un po’: cosa ho costruito finora, cosa vorrei, la famiglia che ho sempre desiderato e che ho sempre messo dopo il lavoro senza rendermene conto. Sarà che le cose quando le pensi hanno una consistenza di nuvola ma quando le dici acquisiscono lo status di cose reali ed occupano uno spazio dentro di te che neanche sapevi di avere: c’era così tanto posto per i tuoi sogni? Te ne accorgi solo quando le cose vengono dette. E diventano irrimediabilmente tangibili. “Facciamo un figlio?” e TAC: scatta l’interruttore, si innesca il meccanismo fino all’esplosione della bomba. Tu neanche lo sai, non te ne rendi conto. Sei già parte di questo fenomeno senza saperlo. Ne fai parte. Sei dentro. Vorrei poter dire che la mia prima emozione è stata di gioia immensa, di felicità, di amore. Come leggi nei romanzi e come mi ha sempre un po’ fatto intendere la mia mamma. Invece no. Il primo istinto è stato di ripararmi, di proteggermi da una deflagrazione, solo che non era reale: era dentro di me. Lui l’ha scatenata con una semplice frase, detta con amore, e con ione. Io mi sarei dovuta sciogliere di amore e di felicità e invece ho sentito lo scoppio. Un rumore assordante. Dopo ero come frastornata. Poi mi sono detta: “ma si, perché no, in fondo mi sarebbe sempre piaciuto avere dei figli, è il sogno di tutte e sin da bambina sognavo una bella casa col giardino, il cane, i marmocchi, un uomo fantastico che ti aspetta sulla porta…” Oddio, ma come ero ingenua! Ancora non sapevo cosa mi aspettava, volevo essere fiduciosa. Volevo dare ascolto a quella voce, quella vocina lì che mi diceva: “ma si, perché no eccetera eccetera” e da allora sono perduta. Sono perduta dottoressa. Sono partita per un viaggio che a pensarci ora mi sembra infinito e complicatissimo, e poi mi sono persa e ho sentito che non riuscivo più a trovare la strada del ritorno o la destinazione del mio viaggio, e poi sono tornata nel luogo della deflagrazione, tutto in questi ultimi mesi. E ora sono qui. Non so da che parte cominciare, non so dove sono finita. Ho perso il controllo di me stessa. Dopo tanto girare, mi sento come appena uscita da quella primordiale deflagrazione. Dopo tanto viaggiare, mi sento come il mio criceto quando non scende dalla ruota. E gira, gira, gira in tondo, senza mai stancarsi. Senza mai fermarsi. Io invece sono stanca e ferma.

La prego, mi aiuti. Mi aiuti perché non so più che cosa fare.

SI PARTE.....

Capitolo 2

Giulia – cartoline dal ato

“ Non so se quello che sto per raccontarle è importante per il nostro lavoro. E’ quel che mi è successo nei giorni scorsi, e nell’insieme delle mie bizzarrie, una cosa bizzarra è a questo punto importante nella mia vita. Avevo portato in soffitta alcune cose; mentre le mettevo in un angolo, spostavo e sistemavo vecchie scatole e alcune coperte che avevo riposto l’anno scorso. Quando mi sono trovata davanti una scatola di latta. Sa, di quelle di una volta, un po’ scolorita, con delle scritte che non si leggono più, deve essere di molti anni fa. Che emozione! Quindi l’ho portata in casa, ero veramente curiosa: chissà se avrei trovato qualche segreto torbido nel ato dei miei nonni? Sarebbe buffo, no? Così la spolvero, la apro e dentro trovo delle cartoline in bianco e nero. Ingiallite, affascinanti e - purtroppo aggiungo io: ahimè, nessun segreto da scoprire - non scritte. Non tutte almeno mi sembrava. Così le ho guardate una alla volta. Raffiguravano il lago di Como di altri tempi, con signore con strani vestiti e macchine di una volta. Ero eccitata come una bambina! Poi, in mezzo a queste cartoline, trovo un paio di fotografie: sempre in bianco e nero, una credo sia dei miei genitori appena sposati. Mia mamma e a fianco mio papà, giovani giovani, mio papà con quelle pettinature fatte con la brillantina che rendono i capelli ondulati e lucidi, mia mamma con un chignon enorme in testa, e un vestitino anni '70, sopra il ginocchio: ha presente quei vestitini che si usavano in quei tempi? Col vitino stretto e la gonna a ruota, che appoggia la mano sul braccio di papà. Come erano belle le foto di una volta! Sono moderatamente sorridenti, nel senso che sorridono, si, ma non troppo, non so se mi spiego. Allegri con contegno. Forse va meglio. Se ripenso alle foto che faccio io con i

miei amici ridiamo tutti come matti, sguaiatamente: bocche spalancate e molari in esposizione a tutt’andare. Come siamo diversi, qui ormai non si contiene più nessuno. Mi ha fatto piacere trovare una foto di mamma e di papà, non me lo sarei mai aspettato. La soffitta delle sorprese. Ah, naturalmente stendiamo un velo pietoso sui pantazampa di papà… (risatina) Continuando a sfogliare le cartoline, fra una foto di Bellagio ed una della piazza di Como - come era diversa allora da oggi – ho trovato un’altra fotografia. Ecco, questa mi ha fatto venire la pelle d’oca. Mi sa che sono io. Un primo piano, uno di quelli che si facevano sempre in quei tempi lì, gli anni ‘70 e anche ‘80, visto che io sono dell’86. Dico che mi sa che sono io perché ad una prima occhiata non mi sono riconosciuta del tutto. Quella della foto aveva una faccia triste, proprio molto triste. Una bambina con un grembiule, credo, perché non si vede bene ma è bianco. I capelli lisci e la frangetta, seria seria e con una espressione che davvero E’ triste, non è solo una mia impressione. E’ proprio una bambina triste. Sono io? E le mie foto sguaiate, i molari che mostro in abbondanti quantità in tutte le mie foto e sin da quando sono piccola? Non mi sono mai fatta mancare delle foto con sorrisi a “tutta gengiva”, seguite da foto a “tutta finestra” (chissà perché ai bambini cascano sempre i due denti davanti!), seguite da foto a “tutto molare” esposto! E’ vero dot, sono confusa: quella bambina in tutto e per tutto somiglia a me, ma nelle espressioni non ha niente di quel che io mi ricordo di essere, o di essere stata. Chissà, sarà stata una giornata difficile, o forse il mio approccio con le foto non è stato così positivo come poi è documentato negli album “ufficiali”. Mah, E chi lo sa! Non posso neanche interrogare i miei, avrei dovuto trovare queste foto quando erano ancora vivi e perciò consultabili, anche telefonicamente eventualmente. Beh, terrò le due foto nell’album di famiglia, quello che faceva mia mamma fino a qualche anno fa, con gli angolini per fissare le foto che si staccano perché la colla non tiene più. (pausa di riflessione) Ma lo sa che mi ha turbato veramente quella foto? E quello che ancor più mi

turba, è che non mi riconosco appieno in quella foto. Cioè: sono io, questo mi sembra di poterlo dire con una certa sicurezza ormai, ma quella espressione non è la mia. C’è qualcosa che mi disturba, ma non so cos’è. Forse che la tristezza proprio è una cosa che non mi appartiene, a me è sempre piaciuto ridere e proprio non mi va giù che ci sia una testimonianza di un broncio o qualunque cosa sia. Le mie amiche dicono che probabilmente me l’hanno fatta dopo la prima volta che mi sono persa, probabilmente nei bagni dell’asilo, e ancora non avevo familiarizzato con me stessa. Mi sa che hanno ragione! (ride fortissimo) Ora vado, le mie amiche mi saranno venute a prendere!

Alex – cartoline dal ato

Ed eccoci di nuovo qui; l’appuntamento con me stesso e con lei, che ha voglia di conoscere me stesso. Forse più di quanto non ne abbia io sa? Questa cosa in effetti mi fa un po’ paura: conoscere me stesso. Chissà se lo voglio veramente. Evidentemente lo voglio, nonostante il timore di quel che ne verrà fuori, altrimenti non sarei seduto qui. Non trova? Sa, in questo ultimo periodo mi sono ritrovato spesso a pensare ai mesi ati. Sarà che mi trovo a casa e in attesa di partire per un nuovo incarico e di tempo ne ho davvero molto. Tutta la giornata per l’esattezza. E poi – l’avrà certamente capito – sono un riflessivo. Mi piace molto soffermarmi a pensare, a riflettere, a guardare. I particolari, i dettagli, le sfumature. Allo sfinimento a volte. Sarà che sono figlio unico, ho ato ore e ore da bambino e da ragazzo ascoltando suoni provenire dalla finestra della mia cameretta e poi, quando è arrivato il rock, ascoltando musica. Ore ad ascoltare anche la stessa canzone, così che alla fine sapevo a memoria i testi, riconoscevo gli strumenti, e provavo un piacere davvero unico. La musica mi dava molto, e mi sembrava tutto il mondo possibile. Ancora non sapevo il resto. E poi ricordo le ore trascorse a pensare, a guardare fuori dalla finestra in inverno, a gironzolare in giardino e guardare i fili d’erba appesantiti dalle gocce di

pioggia e le lumache – minuscole lumachine dal guscio lungo e scuro - che uscivano dopo la pioggia d’estate. Tutti questi momenti so che hanno contribuito a fare di me un “apprezzatore della riflessione”; un “degustatore di momenti” se vogliamo declinarlo nel presente. Così in questi giorni ritrovo quel gusto, quello del tempo che si ferma e che io posso fermare e trattenere dentro di me, in un pensiero, in un ricordo, in un dettaglio. Come quando fumo la mia pipa e trattengo l’aria per godere fino in fondo dell’aroma del tabacco, così mi soffermo su un ricordo, lo trattengo dentro di me per godere fino in fondo della sensazione che mi fa provare o dei colori che mi fa rivedere. E così spuntano i ricordi. Così spuntano i momenti. Così dai mattoni di una casa qualsiasi prende vita un momento, un attimo. Così da una mattinata d’estate prende vita il ricordo di un inverno. Un inverno freddo, sotto molti punti di vista. Un inverno fatto di neve e dalla consistenza del tempo che un vecchio orologio scandisce nei suoi piccoli pezzi di attimi. Attimo dopo attimo vedo me alla finestra. Sento i secondi che ano. Minuti. Ore. Silenzio. Vedo la neve che scende. E quella sensazione. Di tempo fermo. Di rumori lontani. Di un silenzio che è così piacevole che alla fine ti fa male tanto è bello. Che alla fine ti fa commuovere tanto è sincero e puro. Una sinfonia compiuta, composta da un musicista del tempo, e fatta dell’assenza. Cronos che dal mito si fa spazio nel tempo e crea tutto questo per noi mortali, per ricordarci chi siamo e cosa proviamo. Ed io sentivo in me l’assenza. Quell’assenza che ti stritola da dentro e ti fa provare una morsa al cuore. Sto diventando patetico, ma in quel momento ho provato una morsa dentro al corpo, un dolore così fisico. Ma che proveniva da un istante. Come si fa a descrivere un momento così? Come fa un momento così ad essere tanto importante? Riesce a capirmi? Spero di si Spero di si perché quello che mi è successo è composto di milioni di attimi così che si sono sommati in un calcolo assurdo, una sommatoria di morse allo stomaco, di buio e di colpi al cuore, che si assommano formando un dolore unico, compatto. E’ insopportabile. O almeno all’inizio lo era, ora non so… forse ho imparato a conviverci e lo affronto un poco alla volta, giorno dopo giorno.

Ci provo almeno. Perché più provo a tenerlo dentro e a dirgli di stare zitto, o che non esiste se non dentro di me, lui si rafforza, e mi fa ancora più male. Allora arriva Micio, e il suo pelo e le sue fusa mi fanno stare meglio. Allora cerco Anna, così non posso più pensare. A volte piango – raramente, troppo raramente. A volte non mi fa vivere, né respirare. Fa solo male

Stella – cartoline dal ato

“E dire che fino a poco tempo fa ero proprio una donna in carriera… Mi sembrava che il lavoro, la soddisfazione nel raggiungere risultati, i complimenti del capo, le promozioni che arrivavano ogni tanto fossero tutto il mio mondo. Oh, ma c’era anche altro, non pensi che io sia stata tutta lavorocasa-casa-lavoro. C’erano gli amici, la famiglia, la palestra, i viaggi. Le giornate iniziavano presto e con un cappuccino preso al volo al bar, la corsa in ufficio, le telefonate di nascosto con Elena (la mia migliore amica) per raccontarci tutto tutto quello che succedeva nella giornata ma soprattutto per metterci d’accordo su: a che ora ci vediamo in palestra? Mi tieni una bike che facciamo spinning? Ma dopo andiamo a mangiare un’insalata che non ho voglia di tornare subito a casa? E tutto quanto fa parte di una trentenne felice e un po’ astratta. E finchè è stato così è stato veramente…spensierato, ecco. Proprio spensierato, che sta proprio per: assenza di pensieri. Il lavoro mi piaceva davvero tanto, impegnativo e stressante, sotto la pressione del mio capo quasi sempre, ma mi piaceva. E mi prendeva il tempo per restituirmelo trasformato in qualcosa che consideravo bello: soddisfazioni il più delle volte, qualche volta rimproveri dal capo (non facevo mai abbastanza per lui), raramente buchi nel vuoto.

Fidanzati non è che ne abbia avuti molti, anche perché il mio capo non solo mi teneva sotto pressione tutto il tempo-lavoro, ma anche perché spesso mi dovevo fermare in ufficio ben oltre le 18 (orario in cui tutti gli umani vanno a casa o da qualche parte), a volte anche saltando la palestra ed uscendo dopo le otto. Le otto di sera intendo. Ah! Che tempi! Non che mi manchino, ma è un po’ della serie “si stava meglio quando si stava peggio” eccetera eccetera eccetera. Allora volavo dritto verso il mio futuro. Ora mi sento che mi sono schiantata contro qualcosa, non ho più certezze. Solo me e il mio dolore esploso. Ho male dappertutto adesso, ogni cosa mi addolora. Anche Elena non c’è più; ha trovato un brav’ uomo, si è rasserenata e un poco alla volta si è allontanata. Comprensibile, anche. Io perseveravo nella mia vita come prima, lei era alle prese con anello di fidanzamento, presentazione alla ricca suocera e organizzazione di matrimonio epocale e in pompa magna. Non eravamo più sintonizzate, io non riuscivo a starle dietro, lei non mi capiva più: era entrata in un’altra dimensione senza il biglietto di ritorno. Sono contenta per lei, so che è felice o almeno così sembra. Io nel frattempo sono rimasta sola e così continuavo tra lavoro e palestra. Questo fino a cinque anni fa, no sono quattro, quando ho conosciuto lui – il mio Pietro e un poco alla volta me ne sono innamorata. E’ stato bello, sa? A quel tempo – fra l’altro - mi gironzolava attorno anche il “macho-man” della palestra, senza mai farsi capire: voleva uscire? Gli piacevo? Voleva solo far vedere che in palestra aveva un buon feeling con tutte le ragazze e poteva uscire con chi voleva? Era molto misterioso, ma alla fine non si è fatto avanti: forse era troppo pieno di sé ma certamente bello come il sole e esageratamente perfetto nel fisico, almeno lui illuminava le mie giornate aggiungendo la sua luce la sera, quando lo vedevo in palestra. Quando riuscivo ad andare in palestra! Comunque dicevo che dopo Elena per qualche anno son rimasta come dire “sola”. Mi mancava, era un po’ come la mia metà, la metà della mela. Mi sentivo un po’ smarrita senza di lei, è stata una vera perdita. Come la rottura di un fidanzamento. Gli amici restavano, lei non si vedeva più, la vita andava avanti, ma in quegli anni mi sono sentita smarrita ad esser sincera. Una sorta di prova generale; oggi mi sento smarrita del tutto. Ecco cosa provo oggi:

l’amplificazione di quel sentimento, ecco da dove arriva questa sensazione di deja vu. Io tutto questo l’ho già provato una volta, so cosa è. Smarrimento. Mi mancano i miei riferimenti, non so dove sto andando e credo che quello che ho provato dopo la perdita della mia amicizia con Elena sia stato un lento e progressivo andare alla ricerca di punti di riferimento alternativi: dopo di lei il lavoro è diventato più importante di quanto non fosse. E gli amici più irrinunciabili di quanto dovrebbero essere. E quando ho conosciuto lui mi ci sono aggrappata con tutte le mie forze: è diventato il mio unico punto di riferimento, anche se visto da fuori non sembrava. E quando mi ha detto quella cosa, quella frase “facciamounfiglio?” La bomba che si è scatenata è stata un miscuglio di sensazioni: la sensazione che forse fino a quel momento non avevo capito niente se quel che sentivo dentro era così forte…, la sensazione che non potevo assolutamente deludere il mio punto di riferimento, la sensazione che dovevo essere capace di rimediare ai miei sbagli, la sensazione dovevo riuscirci subito. Sono sempre riuscita nelle cose in cui mi sono impegnata! Ed ora sono qui: a dirmi che della mia vita finora non ci ho capito niente, e non sento più un punto di riferimento. Lui non l’ho perso, ma mi sento come se avessi perso. Io ho perso. E quindi l’ho già perso. Lui prima o poi se ne andrà. Io non sono stata capace di capire, di donargli quel che più desiderava. Io non sono stata capace di fare quel che madre natura ci dice di fare da quando esistiamo. Sono un fallimento su tutta la linea e lui non può non averlo notato. Lui se ne andrà prima o poi. Ne sono sicura dottoressa, non può che andare così.

IN VOLO…

Capitolo 3

Giulia – sogni e sognatori

“Dottoressa! Non so se c’entra, ma le devo proprio raccontare un sogno che ho fatto, perché c’era anche lei sa? Dunque, ero in metropolitana, ma era una metropolitana strana, piena di fiori e che dava sulla strada, dove però non c’era nessuno. Ad un certo punto mi sono ricordata che non stavo andando dalla parte giusta e ho iniziato a correre: credo all’inizio di aver corso nella metropolitana, non è che me lo ricordo bene, poi ero per strada con tutti i fiori intorno. Ad un certo punto la trovo in mezzo alla strada che è seduta alla scrivania, non so cosa sta facendo, io la vedo però lei non mi vede, e io la chiamo, la chiamo a voce alta e lei però non mi sente. Mi sento un fiatone addosso che mi sembra di non farcela più a correre, e così mi sveglio. Con la mano sul petto, come se nel sonno avessi fatto il gesto di quando si ha il fiatone e ci si mette la mano sul petto. Non so dirle che effetto mi ha fatto quel sogno, ma ero contenta, come se averla trovata nella mia corsa verso chissà che cosa mi avesse rallegrato, anche se la chiamavo e lei non mi sentiva. La sensazione era bella! Così tutto il giorno son rimasta di buonumore, che bella sensazione! E poi tutti quei fiori, che meraviglia, sa che mi ricordo che erano tanti colori? Proprio bello, vorrei farne spesso di sogni così, in realtà mi sa che dormo come un sasso e come un sasso non faccio sogni. Vorrà sapere che significato ho dato al sogno vero? Sa che non lo so, però ero contenta che lei fosse lì, credo che questo sia un po’ il senso. Lei c’è quando sbaglio direzione. Wow che popo’ di metafora che ho tirato fuori, si è di sicuro così! Lei non si arrabbia se io ho sbagliato direzione e luogo e posto. Lei c’è. Si, mi piace molto questa spiegazione, ha senso per me. Mooolto senso!

(ride e rotea gli occhi alzando l’indice in modo solenne) Mi ricordo che fino a qualche anno fa, sognavo di notte quello che mi ava per la testa di giorno. Non tutto, intendiamoci, altrimenti avrei avuto notti terribili e prive di senso sognando gatti che escono dal giardino con aerei colorati e vanno alle Maldive, dove vivono in ville con piscina galleggianti, guardando albe e tramonti farciti di panna montata con le fragole… ecco cose così e questo sarebbe stato solo l’inizio e detto così ha anche un senso “sensato”, si immagini tutto ma proprio tutto quello che una donna può arrivare a pensare e lo metta tutto in una notte. Demenziale! No No, dico che sognavo alcune cose cui pensavo di giorno. Avevo una cotta per il vicino di casa? Ecco che me lo sognavo di notte, con tanto di aggio in macchina per uscire a cena e lui che mi apre la portiera. Desideravo andare al mare? Ecco che nella notte compare una spiaggia di sabbia bianca e fine, un mare cristallino e caldo, il rumore delle piccole onde che si infrangono leggere sulla riva. Ecco cose così insomma. Era bello. Solo quando ero preoccupata facevo brutti sogni, e da lì capivo che c’era qualcosa che non andava. Ho avuto una torbida relazione con i miei sogni effettivamente! Quasi scandalosa a pensarci oggi; ogni angolo della mia mente veniva tradotto in un sogno e questo mi parlava di me da sveglia di cose che erano in me senza che io lo sapessi, almeno non prima di sognare. Buffo anche questo no? Poi da qualche anno in qua le cose sono cambiate; sogno molto meno, ma i pochi sogni che faccio so che mi parlano sempre di me e di cose che ho dentro e che faticano a venir fuori. Escono di notte, nelle immagini e nei colori. Mentre nella realtà a volte mi sento così confusa che mi sembra di vivere in qualche sogno maldestro… e di qualcun altro per giunta! Chissà dot, ora che vengo da lei forse riprenderò a sognare bei sogni di notte e a vivere la vita di giorno! Che ne pensa? (sguardo vivace, curioso e occhi che frugano alla ricerca di una risposta)

Alex – sogni e sognatori

Dopo averle raccontato dei miei pensieri per così dire “diurni”, vorrei poterle raccontare dei miei pensieri “notturni”. In fondo sono dallo psicologo, non si parla forse dei sogni dallo psicologo? Temo di deluderla, ma io non sogno. Non ho mai sognato, non a occhi chiusi almeno o non che io ricordi. Ma ho sempre sognato a occhi aperti, e continuerei a farlo, se non fosse successo quel che non doveva succedere. Ecco, lì i miei sogni ad occhi aperti mi fanno immaginare al come potrei uscirne, a come potrei riprendere la mia vita, spezzata da un evento che non riesco a catalogare, che non mi da via di uscita, che non mi dà tregua. Provo a essere un project manager anche nel disastro, peccato che non stia funzionando; giro a vuoto. Un giorno so che dovrò parlarne – di quello che mi è successo - e a dire il vero sono qui soprattutto per questo, ma ora non posso, non riesco, non so farlo. Se lo dico è successo davvero. Se gliene parlo diventa vero. Così ora posso tenerlo dentro di me ed impedirgli di rovinarmi la vita, dopo che mi ha rovinato l’anima e la possibilità di continuare a vivere la mia vita come prima. Prima… ero un sognatore. Un languido e poetico sognatore. Sempre da bambino ha origine il tutto, quando rubavo i libri di fiabe e da ragazzo i libri di poesie dalla libreria di casa, e leggevo: Neruda, Prèvert, e tutto quello che trovavo. Ma la vera scoperta è stata Shakesperare e qui si apre un capitolone perché il vecchio William mi ha fatto sognare parecchio! Sognare ed emozionare. Persino l’Otello mi ha emozionato e scosso e le dirò che l’ho letto a trent’anni, ormai un po’ cresciutello. Magnifico Shakespeare! I suoi libri me li sono letti immaginando i protagonisti e i paesaggi – soprattutto i paesaggi, ed i vestiti, i colori del cielo e delle antiche dimore del tempo – i miei erano dei veri e propri “videolibri” tranne che per il leggero dettaglio che ero io ad immaginarmeli. Poi crescendo la mia capacità immaginativa mi ha aiutato sia nello studio, che poi nel lavoro, considerando il fatto che se non mi immaginassi bene tutto e nel dettaglio – proprio anche nel concreto le varie situazioni o evoluzioni temporali di quel che si va a realizzare – tutti i aggi sia concreti che a livello di comunicazione: coinvolgimento degli operatori e delle dirigenze, mi sarebbe davvero difficile, per come sono fatto, raggiungere la piena realizzazione del progetto. Io mi immagino tutto e sin dall’inizio. Sempre. Ma non voglio annoiarla con le cose di lavoro, mi piace di più intrattenerla con i miei sogni ad occhi aperti, che hanno ben compensato l’assenza di attività

onirica notturna. O presunta tale. Magari sogno e non mi ricordo, so che è possibile. Ma nella mia vita il sognare, immaginare, frammentare i momenti e le sensazioni hanno fatto di me – oltre che a un degustatore di attimi – anche un ricco immaginatore, anche se un po’ concreto. Mi riesce più facile immaginare ogni singolo dettaglio sia di ciò che vado a progettare e realizzare, che di come andrà la mia prossima uscita galante. Ah, immagino proprio tutto: dalla macchina lucida e profumata al completo e anche al profumo da indossare se dovessi portare il mio appuntamento galante a teatro, al ristorantino nel quale prenoterei per la cena, insomma: mi gusto anche tutti i preparativi. Ma una cosa è certa: decido tutto prima ed avere un planning mi fa sentire il controllo della situazione. Questo è bello, mi fa stare tranquillo e sentire uomo. Ora che ci penso, la mia ultima uscita galante credo sia stata sabato: ho accompagnato Anna a far la spesa! (ride, sorride, poi si volta e mi guarda sconsolato)

Stella – sogni e sognatori

Si, ho sempre sognato di avere una famiglia. Una famiglia mia intendo. Ho sempre desiderato un figlio. Un figlio mio intendo. Anche più figli, sa com’è, quando si sogna lo si fa in grande! Così avano gli anni, e io continuavo a sognare imperterrita della mia famiglia, dei miei figli, di come sarebbe stata la mia vita, di come avrei arredato la mia casa… intanto però la vita andava avanti, ed io continuavo a lavorare come un mulo, correre in palestra, avere delle non-relazioni e sognare il giorno in cui tutto si sarebbe svolto: il matrimonio, le damigelle e babbo e mamma che piangono commossi al nostro “lo voglio!”, il viaggio di nozze – alle Seychelles naturalmente – la casa da arredare, il giardino…quanto sognavo! Come un cavallo al galoppo, la fantasia correva a perdifiato, il punto era che la realtà però andava ancora più veloce. Ed io non me ne rendevo conto. Quando ho conosciuto lui, il mio Pietro, ero già a buon punto; iniziavo a sentire il famoso “orologio biologico” e dentro di me una vocina ogni tanto mi diceva:

“figli, figli, figli”. Una vocina sommessa, ma penetrante e soprattutto molto, molto efficace. E continuavo a sognare, del giorno che sarebbe arrivato, del giorno in cui senza saperlo mi sarei ritrovata incinta. Del giorno in cui avrei visto la mia pancia crescere. Era una questione personale vero? Io ero pronta: volevo un figlio! Se non è questo un orologio biologicamente predeterminato io non so come chiamarlo! Ero pronta, a tutti gli effetti, e me ne rendo conto dall’intensità che avevano i miei sogni e da quanto intensamente io ci pensassi. E sognavo: di giorno e di notte. Sognavo bambini, vedevo bambini, le mie colleghe incinte erano favolose – io le vedevo bellissime e colme di gioia e pace e felicità. Però nel mondo reale non mi sembrava ancora il momento: la promozione non arrivava ma il mio capo me la faceva intuire già da tempo, Pietro lo avevo conosciuto da poco e mi sembrava così presto. Così vivevo la mia vita, anzi la mia inconsapevole doppia vita: pranzi con le colleghe incinte e sogni ad occhi aperti: “anche a me piacerebbe avere una femmina” oppure “chiederò il part time quando succederà” e via di sogni ad occhi aperti su come sarebbe stato per me se fosse arrivato un figlio. L’altra mia vita però – quella vera – si svolgeva tra il lavoro, sempre tanto e spesso fino a tarda sera, e le uscite con lui e le cene con gli amici o le nostre serate al cinema o al corso di sommellier. Sono ati 4 anni. Doppia vita per 4 anni. La vita reale e la vita nei miei sogni. Una accanto all’altra senza che capissi che dovevo unirle in qualcosa che fosse reale al 100%. Finchè un bel giorno lui si è stancato e mi ha detto quella cosa. Lui non mi ha mai detto questo, cioè che si era stancato, ma io sono sicura che è così. Lo conosco, è un uomo curioso e vivace, ma ama la famiglia e ora che ci penso me l’ha sempre detto e fatto capire in tutte le maniere che gli sarebbe piaciuto avere una famiglia con me. Ma io non ci sentivo. Secondo me quel che vedeva – e quello che stava realmente accadendo - era che non cambiava niente tra noi: io continuavo a lavorare tanto, ad uscire con lui – e stavamo bene! – e a riprendermi nei week end in attesa di cominciare una settimana di superlavoro, soprattutto allora, con la prospettiva della promozione. Una promozione che non è mai arrivata. Così è cominciato tutto, quella sera davanti alla tv, acciambellati sul divano, un film era appena finito (stavamo guardando: “Al di là dei sogni” in tv, lo avrà visto anche lei; lo danno ogni tanto in replica). Eravamo entrambi molto commossi. Mi ricordo che lui mi ha guardata e lì ho capito che stava per dirmi qualcosa di importante. E che stava per dirmi una cosa che era da tanto che stava

pensando. Lo avevo capito che era da un po’ che Pietro rimuginava qualcosa. Mi sono sentita subito emozionata, ma qualcosa è andato storto; lui mi guardava in un modo strano: dolce e serio allo stesso momento quando mi ha detto quella frase… beh, ora lo sa cosa mi ha detto e che è successo il finimondo dentro di me, ma quello che non le ho ancora detto è che da allora la mia vita ha smesso di svolgersi nella doppia vita di sempre. E’ diventata un tutt’uno. Ma l’operazione ha creato un caos. Un caos tremendamente reale.

SVOLAZZANDO…

Capitolo 4

Giulia – Amori

Finalmente l’ho trovato, ne sono sicura: è lui! L’Amore della mia vita. Sono euforicamente stordita dalla felicità e devo assolutamente raccontarle il fatto. Ora, lei sa che io sono sbadata nella vita e che il più delle volte sbaglio qualcosa. Ecco, deve sapere che finalmente tutto questo non mi si è ritorto contro ma ha generato un incontro fantastico! Pronta per il racconto? Ecco: dovevo trovarmi con una mia collega per un aperitivo in centro, sono arrivata presto e così le ho mandato un sms con scritto che ero in libreria e se le andava poteva raggiungermi lì. Solo lei può capire dove ho combinato il pasticcio: mica le ho scritto in QUALE libreria! Così lei ha pensato che fossi in quella vicina al bar dove ci troviamo di solito per l’aperitivo, invece… ero in un’altra ovviamente. Così ho cominciato a sfogliare libri su libri, il fascino dei libri ha su di me un potere, come per il suonatore di piffero sul serpente, ha presente le vignette dei Topolini? Ecco, uguale! Mi aggiro come in trance tra gli scaffali, e vago tra una copertina e l’altra come un turista nelle stradine del centro di Parigi. Ecco… ovviamente la mia amica mi cercava in una libreria ed io ero in un’altra, così ad un certo punto lei mi scrive un sms: dove sei? E io anche le rispondo: all’ultimo piano. E lei mi chiama: “Giuly! Ma qui non c’è l’ultimo piano!” E lì ho capito che ne avevo combinata un’altra delle mie solite… “Caaavolooo-o-o-o arrivo” le rispondo. Corro giù dalle scale, perdo un gradino e lei non ci crederà: sento due braccia che mi afferrano e mi salvano da un volo intercontinentale diretto al piano di sotto. W-o-w! Che spavento, no, non intendo lui, intendo il volo che stavo per fare! Avevo il cuore in gola, così non si è notato che quando ho guardato in faccia il mio salvataggio umano sono andata letteralmente in arresto cardiaco senza possibilità di essere rianimata! Oggesù, ommammia,

occhebbello! E’ veramente un gran bell’uomo. Sono rimasta senza parole – cosa quasi incredibile da credere, lo so, ma è andata proprio così. Lui non solo mi ha salvata dal trauma cranico, da una stampella o da un gesso, ma anche dall’imbarazzo. Ha verificato che non mi fossi fatta male, mi ha chiesto come mi chiamassi e quando gli ho detto il mio nome ha sorriso commentando: proprio un bel nome. Si è fermato qualche minuto con me e ha chiesto alla ragazza della libreria se poteva portarmi un bicchiere d’acqua – ecco lì sarei voluta sprofondare. Ma è stato così gentile che quasi non ci credo ancora. Mi sembra che le sto ancora parlando di un sogno. Di uno dei miei sogni. Anche se… il mio sogno oggi mi ha telefonato e questo mi riporta alla realtà. Dunque esiste davvero. (ride)

Alex – Amoreggiando

Stavamo dicendo… che è arrivato il momento di parlare d’amore. L’argomento di oggi potrebbe proprio essere questo, perché no? Se se lo è chiesto, la mia risposta è: si. Ho avuto delle storie. E, di nuovo, se si è anche chiesta altro, la mia risposta è di nuovo: si, una donna è stata importante. Ma la devo deludere, la risposta seguente è: no, non mi ha spezzato il cuore. Partiamo dall’inizio? Da ragazzino ero abbastanza timido, come potrà immaginare, pertanto la mia prima cotta è arrivata tardi: facevo la scuola superiore e la fanciulla in questione era di un anno più grande. Ricordo che mi aspettò fuori dalla scuola, si avvicinò e mi disse: “sarebbe ora che uno dei due rompesse il ghiaccio, ti va di uscire?” Tanta intraprendenza mi piacque; uscimmo qualche volta e mi presi una gran cotta. Lei era veramente esuberante. E con la stessa esuberanza si innamorò di un altro esattamente sei mesi dopo, ma fu onesta e me lo disse subito. Cocente delusione e ferita all’amor proprio per me, ne soffrii… ne sofrii un poco, non fu una tragedia. All’università ho avuto un paio di storielle con compagne di corso, brevi ed avvincenti. Ci siamo lasciati con il sorriso sulle labbra: avevamo goduto di un bel periodo insieme, dato l’esame si doveva guardare avanti, pertanto… la cosa

finiva con una e al corso successivo iniziava con un’altra. Una cosa spensierata, ho bei ricordi di quei tempi. Ripensandoci ho sempre condotto bene le mie storie; attento a che finissero bene, attento al benessere di entrambi. Attento a cominciarle con un buon controllo della situazione e a concludere con altrettanto controllo ed attenzione. Senza strappi e con pazienza. Le donne vanno trattate bene. Sono cresciuto con questa convinzione. E l’ho fatta mia. Poi ho iniziato il mio lavoro e da quando viaggio all’estero le devo dire che non mi sono mai concesso molto, solo qualche flirt ma specificando che sarebbe durata poco. Alla signora e a me per primo. Ne ho avuta una in Germania; una italiana - anche lei lì per lavoro per poco tempo. E’ stato bello, ma lei alla fine non l’ha presa bene. La chiusura intendo. Avrebbe voluto continuare la storia a distanza. Io non voglio complicazioni e poi lo so, non funzionerebbe, è inutile raccontarsi una favola che costerebbe solo fatica a entrambi. Poi è arrivata “lei”, la donna che per me è stata importante. La conobbi a Milano, durante una cena di lavoro dove discutevo dell’incarico che mi avrebbe portato in Svizzera a breve. Lei era al tavolo di fianco; molto bella, davvero molto bella. I nostri sguardi ogni tanto si incrociavano, e i suoi occhi scuri mi procuravano una calda sensazione in fondo allo stomaco… una specie di alternativa maschile alle “farfalle nello stomaco” delle donne, credo. Lei mi colpì. Quando la cena volgeva al termine, forse per la stanchezza, forse per l’emozione, forse perché non volevo in nessun modo farmi sfuggire quella emozione che avevo provato, così bella, le feci scivolare un bigliettino nella borsetta: proprio mentre le avo accanto! Lei mi chiamò qualche giorno dopo, si fece un po’ attendere e questo mi piacque. Iniziammo ad uscire, così per conoscerci. E fu bello conoscerla. Lei era davvero splendida, non saprei come descrivere quel che scoprivo ogni giorno di lei, ma potrei cominciare col dire che ogni giorno sorrideva e ogni giorno era autenticamente se stessa, bella e con un bel carattere. Ogni volta mi faceva stare bene. Quindi vedersi divenne una piacevole abitudine e con il tempo anche qualcosa di più. Nel frattempo ho svolto il mio incarico in Svizzera, e dopo alcuni mesi sono tornato ed abbiamo ripreso ad uscire insieme. La trovavo sempre più bella e affascinante. Ecco, quello che mi colpiva era l’insieme certamente: carattere che io definirei brillante e sempre sorridente, ma soprattutto emanava fascino da tutti i pori e questo “dettaglio” mi faceva letteralmente impazzire di lei! Ora sorriderà se le dico che si chiamava Annamaria, una simpatica similitudine con la donna della mia vita attuale!

La reciproca frequentazione diventava man mano una relazione, ma noi non ce lo siamo mai detti veramente. Poi sono partito per Dubai, dove è successo quello che non doveva succedere. Sono tornato da là dopo quasi un anno e mezzo, dopo mesi di lavoro che si sono prolungati fra e tribolazioni legali e sanitarie. Ma soprattutto sono tornato distrutto nell’animo e nel cuore, come mi vede adesso o forse anche peggio. Ero a pezzi. Non l’ho chiamata. Non l’ho più sentita. Non riesco lontanamente ad immaginare di poterla rivedere ora come ora. Devo mettere a posto molte cose dentro di me e poi lei si sarà rifatta una vita, o certamente non avrà voglia di rivedere uno stronzo che di punto in bianco sparisce senza dare spiegazioni. Quando a troppo tempo è troppo tardi. E poi non avrei niente di bello da darle ora.

Stella – L’Amore

Come l’ho conosciuto? In modo assolutamente banale: ad una cena a casa di amici. Lui si trovava lì per caso; era il collega-amico dell’allora fidanzato della mia amica Rosangela – Rosy per gli amici – amica di palestra. Ci allenavamo insieme e ci siamo conosciute lì, se non ricordo male al corso di Pilates dal quale siamo scappate per saltare in un’altra sala dove si faceva spinning, la nostra vera ione a quel tempo. Dunque in quella serata eravamo tutti invitati per un sabato sera fra amici della palestra e c’era anche lui – il mio lui – che ando da casa di Marco - il fidanzato di Rosy - per lasciare alcune cose che Marco aveva scordato in ufficio. Evidentemente non aveva impegni per quella serata, è stato coinvolto nell’aperitivo e quando siamo arrivati tutti l’atmosfera era proprio bella: sarebbe stato un peccato se fosse andato via. Così è rimasto anche lui a cena. Ricordo che eravamo seduti uno di fronte all’altro ed abbiamo iniziato a chiacchierare di tutto un po’: del lavoro, della palestra, degli amici. Una bella serata insomma. Sul momento non ci siamo scambiati un numero di telefono, ma lui mi era piaciuto molto. Anche fisicamente, non è che la cosa mi sia indifferente. Aveva e ha un magnifico fisico!

Dev’essere però che anche io gli sono piaciuta, tant’è che ha poi chiesto a Marco e Rosy di organizzare un’altra serata insieme, perché avrebbe voluto rivedermi. Così siamo andati al cinema, altra ione che ci accomuna entrambi, è da allora non ci siamo mollati un attimo! Siamo diventati letteralmente inseparabili, uscivamo spesso: pizza o aperitivo o cinema, ogni scusa era buona. Ma il primo bacio è arrivato molto dopo. Ci siamo presi tutto in periodo, forse ci abbiamo un po’ girato intorno, forse abbiamo un po’ lasciato che le cose andassero spontaneamente. Non saprei dirle. Però è stato tutto molto spontaneo e naturale. E così, dopo settimane di vita sociale quasi sfrenata direi, lui mi invita a casa sua. Organizza una cenetta con i fiocchi, tutto cucinato con le sue mani e ricordo che è stato bello e molto romantico. Un mazzo di rose per me, il vino scelto per l’occasione (anche questa è una ione che abbiamo condiviso da subito: quella per i vini), l’atmosfera. Ricordo di avere avuto la precisa sensazione che fosse arrivato il nostro momento, un po’ la naturale conclusione di tutto il percorso che avevamo fatto fin lì. Ecco perché le dico che è stato tutto naturale. Così quella sera ci siamo baciati… e tutto il resto… ed è stato fantastico. Io ero già cotta, ma dopo ero proprio persa! Ho perso la testa e mi sono innamorata perdutamente di lui. Ero felice come mai mi era successo in vita mia! Se penso che sono ati quattro anni e a tutto quello che è successo nel mezzo, penso che ad un inizio tanto bello, dolce e spensierato ha fatto seguito un percorso travagliato e sofferto. E non so se è finito, non so nemmeno se ho finito per perdere anche lui, l’amore della mia vita. Mi sembra di non sapere più niente. Che disastro dottoressa.

CAMBI DI DIREZIONE

Capitolo 5

Giulia – il centro della vita

Così dot, mentre la mia vita scorre più o meno apparentemente spensierata e certamente in modo altrettanto apparentemente sbadato, il reale si mescola ai ricordi. Non le ho mai detto che i miei genitori se ne sono andati qualche anno fa, a breve distanza l’uno dall’altro e io questo l’avevo sempre immaginato. Da qualche parte della mia parte più emotiva e colorata, li vedevo che erano troppo uniti per resistere lontani l’uno dall’altro. Così è stato. (lacrimuccia) Mamma e papà erano un po’ più anziani della media dei genitori dei miei coetanei, quando mamma si è ammalata io avevo 25 anni e lei già 65 e alle spalle una storia di salute cagionevole. Era minuta e fragile, ma una donna con il sorriso sempre pronto. Lei rideva sempre e rendeva tutto facile! Quando si è ammalata sembrava la solita mamma in versione malaticcia: un po’ più bianca del solito, un po’ più stanca e non ce ne siamo preoccupati subito. Poi tutto è andato lentamente peggiorando: non guariva ed era sempre più pallida e stanca. Allora sono partiti gli esami, le analisi, i day hospital, difficile capire cosa avesse tranne “un fisico debilitato” ci dicevano. Finchè non è stata ricoverata perché si era davvero aggravata: il suo cuore ha smesso di battere ad un certo punto e non abbiamo mai saputo perché. Si è spenta. Ed è stato un momento terribile. Non ero pronta, e non sapevo davvero cosa mi fosse successo, ero stordita e non ci capivo niente. Ogni giorno sapevo solo che mi alzavo e la sera che tornavo a letto a dormire. Il resto non so nemmeno come l’ho vissuto. E papà? Grande

uomo anche lui, nonostante fosse un po’ più vecchio di mamma. Anche lui si è spento. Un po’ alla volta, giorno dopo giorno. Tutte le mattine andava al cimitero, poi andava a trovare un amico che abitava vicino a casa, pranzo io e lui insieme – quando non avevo il turno in casa di riposo – e pomeriggi fra lavatrice e stirature (grande uomo, gliel’ho detto! Lavava e stirava meglio di noi donne di casa) e cena. Poi a letto presto. Si vedeva che mamma gli mancava, ma non ne parlava mai. Cercava di andare avanti e quello che mi trasmetteva era una gran libertà di vivere la mia vita. Se una sera non uscivo quasi si arrabbiava e mi diceva: che ci fai a casa alla tua età?? Così è andato avanti un anno abbondante, poi durante un controllo medico gli fu diagnosticato un tumore. Me lo ricordo come se fosse ieri: lui ha sorriso – davvero ha sorriso – e ha detto: vado da Maria. E ci è andato davvero da mamma, dopo sei mesi. Non senza sofferenze, ma alle cure ci pensavo io. Almeno di papà ho potuto prendermi cura, averlo lì, potergli parlare e guardarlo dormire. Dormiva tantissimo, soprattutto nelle ultime settimane. Mamma invece se ne è andata quasi a tradimento, io non avevo capito che era arrivato il suo momento e lei continuava a chiedermi come andava il lavoro, cosa combinavo con le mie amiche, quando mi decidevo a trovare un fidanzato. Mi ha fatto sentire amata e coccolata fino alla fine. (lacrimoni) Invece con papà ho avuto il tempo di capire, di prepararmi, di parlarne anche un poco ma lui non era tipo che ne parlasse molto. Gli ultimi giorni ho avuto l’impressione che volesse dirmi qualcosa, qualcosa che non riusciva a dirmi. L’ho capito dal modo con cui mi guardava e mi accarezzava la guancia, prendeva fiato e poi non diceva niente. E io non ho mai avuto il coraggio di chiedergli. “cosa vuoi dirmi papà?” (piange, pianto forte, lacrime a dirotto) Beh, ora penso che forse c’è un segreto, qualcosa che dovrei sapere e non so ancora, e allora vado alla ricerca di indizi, di foto, cerco in soffitta e capisco che c’è qualcosa che non capisco. Capisco che forse, se sono così sbadata da quando loro non ci sono più è perché loro facevano da equilibrio per me, ma anche che forse non mi hanno detto tutto, che quella foto in soffitta dove non sembro io, che papà che mi guarda e non parla vuol dirmi qualcosa che non so, che mamma che sorride lo fa perché io non mi preoccupi; ma di cosa?

Si dot, mi sembra di sentire qualcosa nel cuore… di capire che c’è qualcosa che dovrei sapere o scoprire per uscire da questo tunnel tragicomico nel quale mi sono infilata. Lei non trova?

Alex – il lato della vita

Cara dottoressa, oggi le vorrei parlare di quello che sto scoprendo della vita. Ora, lo so che prima o poi riuscirò a dirle cosa è successo. Mi sono obbligato a venir qui per questo all’inizio, ora però di quest’ora con lei non saprei più fare a meno. Sento che mi aiuta, non mi cambia la vita – come mi ha suggerito lei all’inizio – ma non mi sento più solo nel mio dolore o malessere o disagio non so come chiamarlo ancor prima di non sapere come raccontarlo accidenti. E’ come se dall’incidente la mi vita avesse cambiato lato, ha presente il cubo di Rubick? Ecco, prima era tutto a posto, con le facciate con i loro colori tutte in ordine, tutto “sotto controllo” come si usa dire e ora… mentre metto in fila i colori da un lato, si scombinano tutte le altre facce. Vede, il “prima” contemplava una bella vita: viaggi, avventure, certo: un lavoro impegnativo oltre ogni misura e forse questa variabile c’entra col mio star male più di quanto non sembri. Una bella casa, una vita elegante ma sobria, si…forse un po’ solo e anche questo c’entra col mio star male, ma nella mia vita di “prima” c’era molta serenità. E anche molto controllo, non ho detto a caso quella parola prima; capisco che per me è importante avere il controllo della situazione. Se guardo il “dopo” invece si è disfatto il quadretto dorato che le ho descritto prima e se ne è creato uno simile, con la sola differenza che ora sono io che cerco di farlo restare o sembrare così, come era prima. Ma niente è o sarà più come prima e io sono qui per unire un prima e un dopo… operazione che non capisco come fare. Che project manager del piffero! La vita sta andando avanti più o meno come prima, ma non c’è più la serenità delle buone abitudini. E’ successo qualcosa che mi ha sconvolto dentro, che non avrei mai immaginato, che ha completamente cambiato la mia vita. Non ho più il controllo di me stesso. Dentro. Certo, in apparenza sto bene, sono sempre gentile con Anna e sorridente con i miei vicini, disponibile con il General Manager della mia azienda, che mi

chiama negli orari più impensati o mi convoca nelle giornate e negli orari peggiori per andare a Milano. La mia bella casa è sempre bella. Il mio Micio è sempre lì. La mia musica e i film, le mie abitudini, tutto sembra uguale a prima… e niente lo è. Sono io che non vivo più come prima. Forse non vivo più io dentro di me le cose come prima. Ma io le rivoglio come erano prima. Mi sento perso e senza una rotta. Navigo a vista e non so dove andare, so solo che voglio tornare indietro. Voglio tornare indietro e riprendere la vita come prima, la mia direzione e le mie rotte. Rivoglio le mie certezze e le mie abitudini calme. Voglio tornare indietro ed evitare quello che è accaduto. So che solo così potrei tornare a stare meglio.

Stella – il senso della “vita”

Ora che ho inquadrato quello che mi sta succedendo, mi sento per uno strano motivo più tranquilla. Anche in questi giorni, dalla nostra scorsa seduta intendo, mi sono sentita più calma dentro, non glielo so spiegare. Va meglio a casa, va meglio con lui, va meglio persino al lavoro. Comincio a pensare che ho un senso del disastro enorme, che penso sempre al peggio anche quando non è vero. In fondo tutto continua nonostante tutto quello che ho dentro, tutto quello di cui mi sono resa conto, tutte le cose con quali mi trovo oggi a fare i conti. I conti con me stessa. Ho capito che l’emotività è qualcosa che mi sconvolge e mi ha sconvolto nel profondo. Forse nulla come il desiderio di realizzarmi come madre poteva avere questo potere. Come una potenza naturale, una spinta a procreare e a realizzare un nucleo vitale di me stessa. Ora ho capito che tutto questo si è innescato nelle mie emozioni, una vera bomba atomica emotiva, ma che a complicare tutto ci si è messa anche la mia naturale spinta a fare tutto bene e subito. Io devo diventare mamma e farlo subito, se no sento di non essere capace ed io detesto non essere brava a fare quello che faccio! Io devo essere brava! Devo! Ora capisco che se non sono brava e perfetta come penso che gli altri mi vogliano, mi sento proprio male e sbagliata. Ho pensato tanto in questi giorni e mi è venuto in mente che per i miei genitori è sempre stato importante che io

fossi “brava”, che riuscissi bene a scuola, anche nello sport, e che mi comportassi bene nella vita, che fossi adeguata e seria, che mi comportassi così come loro si aspettavano che una brava figlia si dovesse comportare. Ma il senso della mia vita è sempre stato questo? Oppure devo anche pensare che quella parte lì di me non è proprio l’unica ma che ho anche desideri, speranze, emozioni con cui convivere e soprattutto da realizzare? E se si, con quali tempi? Dove finisce il “devo farlo bene” e dove comincio io? E come lo voglio fare io? Ho una alternativa al fare tutto bene e subito? No, no… io non voglio che la mia vita scorra su questo binario. L’obbligo di esser perfetta per tutti così, mentre ne parlo mi fa rabbia. Sono arrabbiata si! Voglio che le cose si facciano a modo mio e nello stesso tempo sono schiava di quello che devo fare più che di quello che desidero fare! Le due cose finora si sono mischiate e quello che dovevo fare mi sembrava esattamente che fosse quello che volevo fare! Ma queste due cose non sempre coincidono, anzi… come è diverso ciò che desidero da ciò che sento di dover fare! Ora l’ho capito… Che amara scoperta dottoressa! La vita mi scivola tra le mani e solo ora me ne rendo conto. E tralasciando che volevo diventar mamma subito e realizzarmi nel lavoro, esser per questo considerata brava come tante – come tutte! – ora che mi rendo conto che il mio desiderio più autentico era proprio quello di fare un figlio come faccio se scopro che è troppo tardi? Che sono vecchia, oh… ho letto in internet così tante cose scoraggianti, sull’importanza di essere giovani per essere procreativi, e io cosa faccio se non sono più giovane e funzionante come a 20 anni… come faccio se scopro tutto questo? Io non voglio! Sono ancora più arrabbiata e disperata se ci penso, sono proprio un fallimento. Ho fallito dove una donna non deve fallire. Non ho capito niente ed ho fallito. Che rabbia! Mi odio e mi detesto.

(serra i pugni, scendono lacrime, scende il silenzio).

PERDITA DI QUOTA…

Capitolo 6

Giulia – cade un velo…

E così… dopo la nostra scorsa seduta, mi sono messa alla ricerca. Dovevo seguire il mio istinto, assecondare quella sensazione che provavo… ho cercato in tutta la casa. In soffitta, negli armadi, in tutti i cassetti. Non l’avevo mai fatto, glielo assicuro dot. Non mi è mai saltato in testa di frugare in casa. L’armadio dei miei genitori ha ancora alcuni vestiti dentro. Pochi, è vero, ma è che non sono riuscita a darli via tutti i vestiti dei miei genitori quando sono scomparsi. Qualcuno l’ho tenuto per ricordo o forse non ero ancora pronta a separarmi completamente dai miei, non lo so. Così ho creato il caos in casa: un piccolo “Taz-il diavolo della Tasmania” che butta all’aria tutto e che riempie ogni millimetro quadrato del pavimento di tutto ciò che trova: cassetti, armadi, scatole… Doveva vedere che casino! Ho buttato tutto-ma-proprio-tutto all’aria! Ci sarebbe voluto un miracolo, poi, per rimettere a posto! Però devo dire che ero proprio come un segugio sulla pista giusta: più rovistavo e più sentivo che era la cosa giusta da fare, anzi: avrei dovuto farlo prima. Molto prima. Ho guardato nei comodini dei miei genitori, ho ritrovato altre vecchie foto sa? Dei miei genitori in spiaggia, dei miei genitori in ritratti in bianco e nero, ma soprattutto di mia madre in braccio alla nonna e all’improvviso – in quel momento - mi è venuta in mente una cosa: io non ho una foto di me piccola in braccio ai miei genitori, neanche di quelle terribili che si facevano una volta sul fasciatoio o che so io, in ospedale in braccio a qualcuno appena nati. Proprio così. Allora sono tornata in sala – lo slalom tra le cartacce quel giorno

mi è riuscito con scioltezza – e mi sono riguardata gli album di quando ero piccola: le mie foto si riducono ad una foto di me in fasce sola, dei miei genitori sparse qua e là, di me all’asilo con i miei compagni di avventura, e solo dai due anni in su le foto sono insieme ai miei genitori: fuori dal parco, in casa sul divano, al mare in spiaggia… Prima di allora niente. Nessuna foto. Solo quella lì di me in fasce ma non in braccio a mamma o a papà o a qualche zio o anche un vicino di casa poteva bastare: solo io fatta su come un lombrico in un bozzoletto di fasce. Sono rimasta senza parole e lei lo sa che non è così facile che ciò accada. Come ho potuto non notarlo prima? Era tutto davanti ai miei occhi e non ho mai messo insieme i pezzi: io compaio nella vita dei miei solo da due anni in avanti… E prima? Sono sprofondata in un buio angosciante, mi sentivo le gambe di piombo e il respiro si è fatto pesante. Lo sa che è squillato il cellulare – era il mio salvataggio – e non ho avuto la forza di rispondere. Ero senza forze. E ho pianto dottoressa, ho pianto senza riuscire più a fermarmi. Chi ero io e chi erano i miei, e come era potuto succedere che nessuno abbia mai pensato di dirmi nulla, hanno lasciato che io me lo scoprissi da sola!! E sempre da sola… Sono sola, sono sempre stata sola, ora lo so. Ho provato un dolore che assomigliava ad uno squarcio nell’anima, ad un salto nel vuoto… non so per quanto tempo sono rimasta sul pavimento e non lo voglio quantificare. Me ne frego dot. Ho chiamato le mie amiche, sono corse da me, non riuscivo quasi a parlare. Mi hanno consolato tantissimo, erano davvero preoccupate perché quando le ho chiamate singhiozzavo così forte che non capivano cosa fosse successo, e quando ho raccontato loro quello che avevo scoperto, erano sconvolte. Mi hanno detto che era una cosa incredibile e assurda. Quasi non ci credevano, ma era tutto lì, sotto i nostri occhi. Ieri non sono andata al lavoro, oggi nemmeno: il medico mi ha dato una settimana e dei tranquillanti… oddio cosa mi sta succedendo? Sto impazzendo o sono già impazzita? Mi sento come quando mi perdevo alle feste… ma all’ennesima potenza, mi sento persa dentro. Mi sento vuota e senza vita. Io non mi sono mai sentita in questo modo e ho paura. Una sensazione orribile. La prego, mi dica cosa mi sta succedendo!

Alex – cadono le difese

… E’ giunto il momento, quel momento. Lo so, lei mi sta sempre a sentire ed interviene solo nei momenti giusti e con poche, misurate parole. Quelle giuste anch’esse. Ma oggi la prego: mi lasci dire. Sono pronto a lasciare uscire questa cosa che ho dentro, ma non so se sono pronto ad affrontarla nella realtà con lei. Ora… Sono stato in prigione. Sono stato arrestato a Dubai dopo aver provocato un incidente. (mi guarda, poi abbassa lo sguardo, scuote il viso come a ricacciare indietro le lacrime, che non scendono. Una smorfia di dolore si impadronisce del suo viso). Sono stato in prigione perché ho provocato un incidente grave e sono stato così sconsiderato da mettermi al volante sotto l’effetto di qualche bicchiere di vino. E’ stato ormai due anni fa. Una cena post lavoro, un mio collaboratore, che era ato a prendermi per andare a cena, ha bevuto davvero troppo e sa, là in quel paese non sono molto tolleranti con la guida in stato di ebbrezza o comunque con chi trasgredisce le regole. Così mi sono offerto di guidare al posto suo, consapevole di avere bevuto lo stesso vino anch’io, sebbene in minore quantità; avevamo comunque un poco bevuto effettivamente. Del buon vino, ora che ricordo. Che amara ironia ricordarsi questo particolare. Era davvero un ottimo vino. Ottimo e traditore. Ma sono sempre stato bravo a controllarmi con l’alcol, oh, mi sono sempre reputato bravo a controllarmi. Così ero sicuro di avere la situazione in mano: avrei guidato con cautela, riaccompagnato a casa il collega e portato a casa me stesso. Ma come ben sa dottoressa, il destino ci mette lo zampino e all’improvviso, guidando nel buio della notte, nella periferia - e le devo dire che in alcuni tratti è molto buia - ho sterzato per evitare un ostacolo. Siamo finiti fuori strada, e… ho investito in pieno un pedone. Era buio, non l’ho

visto. Non so nemmeno se avrei potuto evitarlo anche se lo avessi visto. Non so, ci penso sempre così tanto… Ricordo la polizia, i soccorsi, qualcuno si è fermato per aiutarci. Dopo avermi sottoposto alla misurazione del tasso alcolico ricordo di essere stato arrestato – secondo la legge di Dubai. Ricordo ore infinite in una cella, ricordo lo sgomento, ricordo la disperazione. Ricordo l’intonaco del soffitto, aveva un colore strano… Nessuno mi diceva nulla, non sapevo se avevo ferito il pedone in modo grave, o peggio, ero angosciato e disperato. E solo. Non so per quante ore. Ma mi sono sembrate infinite quelle ore. Ho saputo solo dopo che il pedone che avevo investito era un anziano nomade. E l’ostacolo che avevo evitato era niente di meno che un grosso cammello. L’uomo si trovava all’ospedale. Ed era grave. Il carcere era una oscura prigione dove io vivevo in un limbo. Era un esilio dove la mia colpa doveva essere confinata. L’unico posto possibile. Mi sentivo astratto dalla realtà; non poteva essere successo. Non poteva essere successo a me. Luce e buio si susseguivano cariche di un peso che non pensavo sarei mai riuscito a sopportare. L’intonaco era lì, pronto farsi fissare. L’ho fissato per tempi infiniti. Vergogna, rabbia, costrizione, colpa e odio. Tutto insieme. Di giorno e di notte. Odio e rabbia verso me stesso. Ho provato tante di quelle emozioni che mi sembrava di esser vivo e di esser morto in ogni momento. (si copre il viso con le mani) Ommioddio, mi sono comportato come un idiota, ho infranto la legge, ferito a morte un uomo la cui colpa è stata di trovarsi sulla stessa strada dove stavo transitando io e sono stato in prigione. Sono stato in prigione. (piange) come potrò superare tutto questo? Potrò mai superare tutto questo? Ogni momento in cui riesco a non pensarci mi sembra un momento raro e

prezioso e nello stesso tempo la mia testa, la mia razionalissima testa, tenta in ogni momento di riportarmi al ato, mi riporta i ricordi, mi riporta le immagini, tenta di trovare un senso a tutto questo. E più questo accade e meno trovo un senso. Sfortuna? Presunzione? Io ho sempre pensato di avere tutto sotto controllo e che niente mai nella vita potesse andare storto, in questo modo intendo. Io non avrei mai immaginato mi potesse succedere questo. E sa una cosa? Nonostante la galera, l’arresto, il processo, le spese che ho dovuto sostenere e le tribolazioni… io non riesco a perdonarmi. Sono l’unico responsabile di quanto accaduto. E io non mi perdono per quel che ho fatto. No, non mi perdono affatto.

Stella – a tu per tu con se stessi

So che vuol sapere come sto, come mi sento. Mi sento uno straccio, ecco come mi sento. Mi sento un disastro, che ho fallito e quel che è peggio che pensavo di fare la cosa giusta nella vita e invece non avevo capito niente. E’ anche vero che mai in vita mia mi ero soffermata a riflettere su quel che facevo, sul senso di quel che stavo facendo e di come lo stavo facendo. Ora so per certo che non mi sono mai resa conto di quel che desideravo nel mio essere più profondo e di quel che stavo facendo nella realtà. Non ho mai pensato che non stavano coincidendo affatto. E così oggi posso solo dire che mi sbagliavo. Che ho sbagliato. Avrò sbagliato tutto?

No, non posso aver sbagliato tutto così tanto, ma ora sento di aver fallito, mi sento così male e così sbagliata che… non so cosa fare. Mi sento così confusa! Pensavo che se mi fossi impegnata tanto e sempre nel lavoro prima o poi sarei stata premiata. E allo stesso modo pensavo che se fossi stata brava nel lavoro così come nella vita, in amore e nelle amicizie, tutto sarebbe andato bene. Ma cosa volesse dire per me impegnarmi nella vita, nel lavoro, nelle cose, nelle amicizie e nell’amore? Ecco QUESTO è l’interrogativo più importante, quello che ho capito essere il vero centro delle scelte della vita di ciascun essere umano. Non mi sono mai soffermata a riflettere dottoressa, né mi sono mai soffermata a “sentire”: quel che provavo, quel che desideravo, se era bello o se era brutto. Se stavo bene o se stavo male. Ero troppo occupata ad impegnarmi a fare bene. Una gara assurda con me stessa. Ora capisco che è come se fino a ieri io non fossi mai esistita. (piange per lungo tempo) Ora provo molta tristezza; per me e per quel che è stato, per tutto quello nel quale mi sono impegnata senza dare un valore a quello che stavo facendo. Senza dare un significato a quello che potesse rappresentare per me. Provo un dolore terribile, in tutto il corpo, e sento come se il petto mi potesse scoppiare da un momento all’altro. Non ho mai provato una cosa così. Ma d’altra parte credo di non essermi mai sentita, punto e basta. Ed è questo maledetto agonismo con me stessa, questa emozione che ho imparato a riconoscere qui, in questo spazio con lei, un cavallo pazzo che dovrò imparare a domare. Una parte di me stessa che forse mi porterà lontano se la faccio mia; ma una parte che non mi porterà in nessun posto se continuo a lascarla andare senza controllo e senza direzione. La mia direzione. Ho fatto di tutto per “vincere”; volevo la promozione sul lavoro e mi sono dedicata quasi totalmente a quell’obiettivo, senza pensare né riflettere. E dal momento che lui mi ha chiesto di fare un figlio mi sono sentita un fallimento perché mi sono accorta volevo a tutti i costi una gravidanza e che la volevo perché anche lì volevo “vincere” e arrivare a fare questa cosa. Per me stessa e perché me lo chiedeva lui. E’ che ora mi sembra tutto così inutile, mi sento così fiacca. Mi sento una perdente. Sento che ho sbagliato tutto e ho solo voglia di piangere.

(e piange per il resto della seduta)

PATIMENTI E….STALLO….

Capitolo 7

Giulia

Non cambia niente dot. Ormai è una settimana che sto così e non cambia niente. Non sto meglio e non sto peggio. Si, si lo so che mi ha detto che ci vorrà il mio tempo e che non possiamo quantificare, possiamo solo accogliere e rispettare questo dolore, ma io sto troppo male e non so se riuscirò a sopportarlo per molto. Non voglio stare così! E non so nemmeno cosa fare, so che vorrei fare qualcosa, ma non so nemmeno io cosa. E… si, si, so anche questo: che se non è il momento di fare niente è inutile forzarsi e che devo accogliere e ascoltare anche questo lato così brutto e sofferente di me stessa. Ma è così dura dot! E’ troppo dura. (Giulia parla e piange per tutto il tempo) Ho parlato con la mia dottoressa di base, mi ha dato altri giorni di malattia, dice che al lavoro non si può tornare in queste condizioni. Ma allora io che faccio? Sto a casa a piangermi addosso dalla mattina alla sera? Che posso fare dot? Me lo dica perché io non so più andare avanti in questo modo. Avevo una idea tutta mia dei miei genitori, della mia vita, anzi, quella era la mia vita. Perfetta e felice. Anche se forse il fatto che fossi così scombinata, che combinassi così tanti guai intendo dire, era un modo che la parte più profonda di me stessa aveva trovato per farmi capire qualcosa… chissà. Posso pensare che nulla è per caso così come posso pensare che tutto alla fine abbia un senso.

So che i miei hanno fatto quel che hanno fatto convinti di fare del bene, non riesco ad arrabbiarmi con loro, sono ancora stupefatta da quel che ho scoperto, posso capire che per loro ad un certo punto sia diventato tutto più semplice: la vita di tutti giorni, la loro bella quotidianità, la vita serena che avevamo noi tre insieme… perché scardinare tutto dicendomi che non ero figlia loro? Già… perché se non per proteggermi da quella che pensavano potesse essere una sofferenza troppo grande per me? Certamente non hanno pensato che un giorno questa cosa sarebbe potuta venire fuori, ma quello sguardo di mio padre quando era malato… si è tradito sa? Quello sguardo era lo sguardo di quando voleva affrontare un argomento ma lo faceva con fatica. Come quando sono uscita con il mio primo ragazzo e lui ha ritenuto che fosse arrivato il momento di parlarmi dei sentimenti e del sesso! Mi ricordo che era imbarazzatissimo e rossissimo, e che quando ho capito dove voleva andare a parare con i suoi discorsi sugli uomini, le donne, i sentimenti, il rispetto… ommammamia mi è venuto un attacco di ridarella che non riuscivo più a smettere. Così ho dovuto dirgli che sapevo già tutto, che la mamma mi aveva parlato del sesso e che poteva stare tranquillo. Mamma mia quanto abbiamo riso! Siamo stati tanto bene sa? Una famiglia serena, si, davvero serena. Ma ritornando al nostro discorso… l’espressione di mio padre in punto di morire era così, simile a quella volta, forse un po’ più seria e ancora più in difficoltà. Non ce l’ha fatta però a dirmelo, e io non ho potuto facilitargli il compito questa volta. Come potevo? Io… non sapevo. Ma poi... sarà scritto da qualche parte che non sono figlia loro? O sono impazzita? Sto impazzendo e delirando su cose che non vedo, che non trovo, che non so… Accidenti dot, possibile che la mia vita sia così: tragicomica? Ho tanti ricordi e momenti assolutamente divertenti, anche con i miei genitori oltre che con i miei amici e colleghi. E ora ho a che fare con un aspetto così…ma lei come lo definirebbe? Io lo definirei SERIO. Un lato che dovrebbe essere drammatico e che io non riesco a vivere come un dramma, ma come un dolore così profondo da non riuscire a vedere dove va a finire. Una vertigine così forte che mi inghiotte in certi momenti e prende il sopravvento su ogni pensiero e ogni azione.

In fondo voi dottoresse avete ragione tutte e due: così non si può andare a lavorare. Si può solo aspettare che la voragine si richiuda. E’ che sembra non finire mai questo salto nel vuoto….

Alex

Questa settimana è stata infernale dottoressa. E’ come se parlare di quel che è successo avesse smosso un polverone antico. Ho trascorso giorni senza senso, cercando di riflettere e di rimaneggiare quel che ci siamo detti. Ma io non le ho ancora detto tutto. L’altra volta non le ho detto che quel nomade, il nomade che ho investito, ha riportato ferite molto gravi in seguito all’incidente, e per giorni - infiniti - è stato in sospeso tra la vita e la morte. Si è salvato e non è morto. Ho pregato tanto che non morisse, o forse è più corretto dire che ho pregato tanto di non aver ucciso nessuno. Per proteggere il mio collaboratore ho danneggiato un essere umano innocente! Potrei are ore e ore a dirle cosa mi è successo. A descriverle i poliziotti, la faccia del mio capo (che mi è stato davvero vicino e mi ha aiutato come non avrei mai sperato e potuto immaginare), i muri della prigione, l’intonaco che ho fissato per ore, il sapore della libertà quando ne sono uscito. Ma il punto è un altro: io non so dirle come mi sento. Non so dirle come posso sistemare questa storia dentro di me. Non lo so fare. Non so come dirmi che ho ferito e quasi ucciso un uomo, non so come raccontarmi questa cosa senza sentirmi una persona orribile. E irresponsabile. Senza sentire che ho sbagliato, che ho commesso un errore imperdonabile, che né io potrò perdonarmi né nessun altro potrà perdonarmi mai.

Perché sa, l’ironia amara del mio destino, è proprio quello che mi ha fatto sentir peggio e che mi fa stare male ancora oggi. Deve sapere che per lo più i rapporti sono stati intrattenuti con i parenti di questo nomade. Persone la cui gentilezza mi è apparsa così rara, che mai mi era capitato di incontrare – non solo a Dubai – ma proprio nella vita, persone così gentili e delicate. Si, ha capito bene: delicate, una definizione perfetta. Ebbene: queste meravigliose persone mi hanno PERDONATO. Si: proprio loro mi hanno perdonato. Così, dopo il processo, la sentenza che mi avrebbe vincolato al carcere e al pagamento della blood money nel caso Ibrahim avesse perso la vita – la blood money è l’equivalente del nostro risarcimento del danno subìto – che poteva essere stabilito solo dai familiari della vittima e solo in caso avessero deciso il perdono per la mia colpa, i parenti mi hanno perdonato. Capisce dottoressa? (risata ironica) Loro mi hanno perdonato, continuando a ringraziarmi per avere sostenuto le spese. E io ho pagato tutto: l’ospedale, le cure durante tutto il periodo del ricovero del loro parente e perché Ibrahim potesse continuare a ricevere tutte le cure del caso in ogni momento. Ho pagato, soldi dottoressa. Tanti soldi. Soldi, soldi e ancora soldi… come se fossero una medicina che potesse curare i mali della mia anima e del corpo di Ibrahim. Ma questo non mi ha fatto sentire meglio. Tutto questo mi è sembrato il minimo necessario e indiscutibile, per l’enorme errore che avevo commesso e per l’enorme dolore che avevo causato. Io mi aspettavo il loro odio, la loro ira. Anzi: la volevo sa? Me la sarei meritata tutta, mi sarei sentito uno schifo e questo mi avrebbe fatto stare sicuramente meglio. Perché avrei avuto quello che meritavo. Loro avrebbero dovuto odiarmi almeno la metà di quanto lo fi già io! Ma così… accidenti, così… Mi sento uno schifo, mi sento che mai nessuna prigione e nessuna punizione potrà mai darmi il conforto che desidero. Non c’è pace e non c’è perdono per quel che ho fatto. Tutto quello che sono stato, tutto quello in cui ho creduto è stato spazzato via. Tutto il rispetto per ogni creatura di questo mondo con cui ho avuto a che fare, tutta la natura che ho osservato da piccolo. Tutto quel che ho imparato a stimare

e rispettare, gli esseri più piccoli e indifesi della natura, i fiori del mio giardino, i colori di quando ero piccolo, la mia mamma e il mio papà, le mie fidanzate, i miei amici, i miei collaboratori, me stesso… tutto il rispetto in cui credevo, tutto il rispetto che credevo di avere dentro e di provare nei confronti del mondo cui appartengo. Cosa ne è stato di tutto quel ato? Sono stato presuntuoso, sono stato così presuntuoso da pensare che a me nulla di storto sarebbe mai potuto accadere e guarda cosa ho fatto. Non mi capisco e soprattutto non mi perdono. Non sono riuscito a trovare un sospiro, un respiro di qualcosa – qualunque cosa di quel mio ato – possa essere ancora vivo dentro di me. Lei mi ha chiesto se potrei provare a perdonarmi per quel che è successo, mi ha chiesto di provare a pensare ai motivi per cui i parenti di quel nomade possano avermi perdonato. Io non ci riesco. Non so perché e come si possa perdonare se stessi o qualcuno per aver fatto una cosa del genere. Io… non mi perdono.

Stella

Questa settimana è stata un peso senza fine. E sembrava non finire mai. Non vedevo l’ora che arrivasse il nostro appuntamento del venerdi pomeriggio, contavo le ore. In ufficio il tempo sembrava non trascorrere mai, non sono andata in palestra. Non sono uscita con nessuno, simulando delle mestruazioni moleste, il che non è poi neanche così falso. Sono persino andata a fare una lunga eggiata al lago, da Villa Olmo a Villa Geno, prima di andare a casa. Una cosa che non facevo da tantissimo tempo. Avrei voglia di andar via, da tutto e da tutti, di non sentire, di non soffrire, di non continuare a pensare a quello che ho fatto a dove ho fallito. Vorrei trovare un

posto dove non penso che ho 40 anni e che non ho avuto né la promozione, né la famiglia che tanto desideravo. E che forse è anche troppo tardi per aver un figlio. Un completo disastro a cui non so trovar rimedio. Tutto si somma, i disastri si sommano in un totale troppo al negativo per me. Una cifra che mai mi sarei aspettata di vedere: uno zero su tutta la linea. L’altra volta lei mi ha detto che potevamo vedere tutto questo sotto un altro punto di vista, e io vorrei poterci riuscire, ma non riesco. Vedo solo un disastro e non trovo punti positivi, punti di cui essere in qualche modo – qualsiasi modo, anche minuscolo – contenta o soddisfatta di ciò che ho fatto. Vedo solo che a tanto impegno non è mai seguita una promozione e Dio solo sa quanto sto odiando il mio capo per avermi sfruttata e preso in giro sinora. Vogliamo provare a vedere questo sotto un altro aspetto? Bene: sono stata così stupida da farmi trattare come una sgobbona sciocca e senza rispetto per se stessa; senza limiti e orari, sempre pronta e disponibile a finire un lavoro solo perché lui lo voleva “per ieri”. Mi ha sempre fatta sentire indietro e in ritardo e solo ora mi rendo conto che non ero affatto in ritardo o indietro o chissà cosa. Era il suo modo di farmi trottare più veloce che poteva. Più veloce che potevo. (è veramente arrabbiata) E ora che cosa posso dire di me stessa? Che sono stata una sciocca? (diventa rossa per la rabbia) Che sono stata una illusa? (rossa e lacrime di rabbia scendono copiose) Che mi sono lasciata manipolare? Lo sapevo… ora lei mi dice che l’importante è che io mi sia risvegliata e mi sia accorta di tutto questo. Che l’importante è che io sia finalmente presente a me stessa e attenta e pronta a vedere quello che faccio in modo da poter influire sulle mie decisioni e sulle azioni altrui, capo compreso. Mi dia una settimana per rifletterci… io… non saprei cosa dirle ora. Tutto questo mi spiazza.

RICOMPOSIZIONI E… RIPRESA…

Capitolo 8

Giulia - la cassetta di sicurezza di papà

Oddio come è difficile. Tutto è difficile. Non so nemmeno come dirglielo dot, ma alla fine non ce l’ho fatta a stare lì ad aspettare che tutto asse, lo so che il dolore deve fare il suo corso, che la confusione è un aspetto inevitabile, eccetera eccetera… come dite voi dottoresse. E come mi dicono tutti. Sembra quasi che vi siate messi d’accordo! Comunque non per togliere valore alle vostre parole, o per chissà quale altro meccanismo misterioso, ma… alla fine io non ho resistito. Non ce la facevo a stare lì senza far niente e ho di nuovo frugato per tutta la casa. Sa, avevo la netta sensazione – di nuovo! – che mi stesse sfuggendo qualcosa, che questo qualcosa potesse essere lì sotto i miei occhi e che di nuovo io non la stessi vedendo. Ora non voglio più che succeda! Io voglio essere presente a me stessa, voglio capire, esserci, anche se mi sembra tutto così confuso e strano. Anche se le mie certezze sono crollate io… voglio andare fino in fondo. E capire chi sono. Chi sono veramente intendo. Così ho di nuovo frugato nei cassetti, negli armadi, lei riderà… ho anche smosso tutte le piastrelle del pavimento, chissà… se i miei ci tenevano tanto a nascondermi questo aspetto, la avranno nascosta bene anche a se stessi, anche alla loro vista. Poi, quando non avevo più speranze di trovar qualcosa, qualsiasi cosa che svelasse il mistero delle mie origini, il telefono ha squillato. Che la soluzione si celasse dietro a una telefonata, io questo non lo avrei mai detto! Insomma, rispondo e parlo con Alberto, un caro vecchio amico di papà, che mi cercava per chiedermi se poteva farmi piacere avere tutte le carte di papà. Scusi,

è vero, non le ho spiegato che papà faceva da solo la sua dichiarazione dei redditi, ma negli ultimi anni si faceva aiutare da questo suo amico e ora che ci penso andava per alcuni giorni da lui per la compilazione dei documenti. Ci teneva molto, che fossero compilati correttamente. Allora sono corsa a casa di Alberto, e da casa sua ho portato via tutte le cartelle e i fascicoli di papà – quasi dieci anni di roba – e mi sono rifugiata in camera mia a frugare, tanto per utilizzare un termine molto in voga nella mia vita di queste ultime settimane. E sa cosa ho trovato? Un documento bancario nel quale si cita un numero di cassetta di sicurezza, intestata a mio padre dal giorno in cui ha aperto il conto corrente. Ora, come ben sa, io di burocrazia non ci capisco proprio niente, faccio pasticci da una vita e se mai potessi, vorrei sposare – ma solo part time - un commercialista e fargli giurare davanti al prete che si occuperà per sempre dei miei conti e delle carte! (per la prima volta dopo settimane sorridono a lungo i suoi occhi rossi di pianto) Ma è anche vero che ho deciso di essere presente a me stessa e di andare avanti fino in fondo alla questione. Così ho deciso di leggere per bene tutte le carte di papà, con calma e dando loro un ordine di lettura. Beh, non è che ci abbia capito tutto, ma ad oggi ho ben chiaro che la cassetta di sicurezza è una sola ed così ho chiamato il direttore per chiedergli un appuntamento. Sa una cosa? Sono più tranquilla adesso. Non so se per questi nuovi elementi, o per via di aver dato ascolto al mio istinto, o per aver fatto questa cosa con la dovuta pazienza, o per tutto questo insieme di aspetti. Ma sono più serena. Anche perché domani andrò all’appuntamento con meno confusione del solito in testa e penso che forse per la prima volta nella mia vita non farò pasticci. Si, anche nel senso che non sbaglierò banca o cose simili! (ride) Sono molto emozionata, anche se forse nemmeno lì troverò qualcosa, ma ora ciò che voglio è affrontare tutto questo e provare a farmene una ragione. E se non troverò nulla pazienza, vorrà dire che la verità proverò a ricostruirla dentro di me, con gli elementi che ho. Chissà, forse ci possiamo provare. Lei cosa ne pensa?

Alex - mettere insieme i pezzi

In queste notti ho dormito profondamente e sognato molto di Dubai: le strade, la gente, i colori così sgargianti ai miei occhi, quel sole così accecante ma così vero… il mare, le emozioni che solo una terra straniera sa darti. Tante cose sa… E mi sono chiesto quale sarà il mio futuro possibile. Ora lei mi dirà che prima di tutto dovrei chiedermi quale è il mio presente possibile. Io le dico che il mio presente è orribile e che il mio ato contiene un pezzo di storia che non si incastra con tutto il resto. E’ assurdo. Dice che non siam sicuri che non si incastra… sa, ho riflettuto tanto su questo aspetto. Devo darle atto: lei mette delle piccole moschette nelle mie orecchie e quando sono fuori di qui non posso fare a meno di ascoltarle, ripensarci, mi ronzano nella testa così fitte… così ho pensato al senso. Di tutto questo. Si, al significato che possa mai avere una esperienza del genere. Vede, se tutto nella vita mi ha insegnato qualcosa, perché mai questa esperienza non potrebbe avere lo stesso senso? Pensa davvero che ciò sia possibile? Se è così, devo smetterla di odiare con tutto me stesso questa cosa – ma quale nome potrò mai dare a tutto ciò? - che mi è successa, e cominciare a capire cosa possa mai avermi insegnato una esperienza del genere. Solo ora riesco a vederla con un minimo di obiettività e questo grazie a lei principalmente. Oggi riesco a vedere che se non fosse capitato tutto questo non avrei mai fatto mio il concetto di sbaglio o di errore. Mai avrei preso in considerazione che nella vita io posso sbagliare e soprattutto che devo accettarlo! Ma come ho potuto essere così cieco? Tutti sbagliano, io stesso ho sempre perdonato gli errori dei miei collaboratori e per me stesso invece ho sempre preteso la perfezione. Io non sbagliavo mai! E così la vita ha deciso di farmi vedere chi comanda, e di certo chi comanda non sono sempre io, a questo punto devo dire. Solo ora so dare un senso compiuto a quel che ho provato nelle scorse settimane; la mia presunzione era proprio quella di chi reputa di avere sempre il controllo di tutto: in fondo, ho avuto tutto quello che volevo nella vita: carriera, soldi, donne – anche se avrei potuto averne di più – libertà. Mi sembrava di essere “arrivato” e la vita ha pensato bene di insegnarmi che non ero arrivato proprio in nessun posto, che avevo forse

raggiunto una tappa. Segnato un traguardo. Ma che non avevo imparato tutto. Non avevo ancora imparato che tu nella vita puoi decidere alcune cose, ma dopo devi accettare l’imprevisto e cercare di porvi rimedio, ed ecco il mio caso. Come si può, non solo come è detto che si debba fare. Ecco perché non riesco a superare quella ferita dentro di me; forse devo trovare il mio modo di recuperare, di farmi perdonare. Ecco perché aver seguito tutta la prassi legale e giudiziaria mi ha lasciato solo quella sgradita sensazione di aver vissuto in una “bolla”. Ho dovuto farlo, ma non ero ancora pronto ad accettarlo, ad accettare che tutto quello fosse successo a me. Ora so che devo trovare un modo, il mio modo di superare tutto questo. Me lo devo raccontare, lo devo costruire, devo dargli un senso e un significato. Per me. Questa speranza che provo oggi è l’unica emozione cui sento di volermi aggrappare. Forse dottoressa, abbiamo una via di uscita.

Stella – affrontando gli ostacoli…

(minuti interminabili di silenzio) E’ tutta la settimana che penso a tutte le cose che ho dirle, e ora che sono qui il vuoto nei pensieri non mi fa dire nulla. Si, cominciamo con quel che è successo in questa settimana… ho parlato con lui. Il mio Pietro… E’ molto preoccupato, mi vede diversa dal solito, più triste e silenziosa e mi ha chiesto che cosa c’è che non va. Ho capito che temeva che fossi in crisi con lui, che ne so, magari che non fossi più innamorata o cos’altro possa mai immaginare un uomo in questi casi. Gli ho detto le cose come stanno. Abbiamo parlato un giorno intero, gli ho detto tutto. Di come mi sentivo per via del lavoro, di come mi sentivo per via della famiglia, dei miei sogni delle cose che non sono andate. Di come mi senta la spettatrice delle vite degli altri. Che mi sentivo delusa e vuota, che ero convinta che anche lui fosse deluso di me. Che mi aveva sinora offerto una vita bellissima e che la sua richiesta “facciamo un figlio” mi aveva riportato brutalmente con i piedi per terra, facendomi prendere

atto di tutto quello che stavo facendo senza accorgermene. Così gli ho detto che mi sono resa conto della vita che forse in realtà “non” stavo vivendo e di quanto fosse scollata da quello che realmente desideravo. Lui è stato dolcissimo, si è commosso e ha pianto e pur essendo un uomo che io reputo molto sensibile non è una cosa che gli vedo fare spesso. Tutt’altro. Mi ha chiesto scusa – e lì ho pianto io, ho pianto tantissimo – mi ha detto che non voleva farmi soffrire e io gli ho risposto che no, andava ben invece, altrimenti non mi sarei mai resa conto. Lui mi ha svegliata, in realtà, e proprio nel momento in cui glielo ho detto mi sono resa conto che era vero. E mi sono resa anche conto che se costruissi meno castelli in aria avrei chiarito con lui molto tempo fa. Ma ormai è inutile, quello che è stato è stato e forse va bene così. Quel che conta è che ci siamo riavvicinati e che ora sento che possiamo riprendere un qualcosa che sarà diverso solo perché non è più nella mia immaginazione ma perché lo posso costruire con lui giorno dopo giorno. Sa, lui mi ha fatto anche riflettere sul lavoro e su tutta la mia situazione. Mi ha detto che forse avevo ragione, che forse era normale essere scontente e “a terra” dopo un trattamento così. Che se ne era accorto da un pezzo che il lavoro era una parte importante per me, ma che non ero soddisfatta di qualcosa. Sa, sentirgli dire quelle parole mi ha fatto sentire meglio. Mi ha fatto sentire che non è tutto sbagliato dentro di me. Che quello che sento è reale ed è possibile. Lui mi vede. Potrò ora vedermi anch’io?

IN FONDO… PLANANDO…

Capitolo 9

Giulia

Buongiorno dot! Lo sa che ho sempre mille cose da raccontarle, ma oggi è una vera bomba! Allora, da dove comincio? Sono andata a vedere il contenuto della cassetta di sicurezza, il direttore di banca si è scusato mille volte, ma io non capivo perché! Non la finiva più di scusarsi perché diceva che la cassetta di sicurezza doveva essere stata aperta quando mio padre è scomparso, che non si capacitava del come e del perché possa essere sfuggito questo… mi sembrava davvero contrìto, mi faceva tenerezza! Figuriamoci, io non potevo che essere sollevata: meglio adesso che fino a un poco di tempo fa: non ci avrei capito niente, sarebbe stato un disastro! Non che adesso sia meglio, ma… mi sembra che il destino mi abbia regalato un bonus di tempo e che in realtà questa cosa, ora, vada benissimo così. Allora, ha avviato questa “procedura” – come l’ha chiamata lui – e così dopo due giorni sono potuta tornare ad aprire la cassetta di sicurezza di papà. Che emozione, che batticuore, pensavo mi scoppiasse il cuore, mi sembrava di stare per svenire da un momento all’altro. Mi scusi se l’ho chiamata quel giorno prima di entrare, ma avevo bisogno di conforto. Ci sono andata da sola sa? Un vero atto di coraggio, non mi sono neanche persa… cosa che non accade più ultimamente. Mi sembra davvero tutto più chiaro e definito, anche le strade gli orari e gli appuntamenti. I luoghi e le persone. Tutto più in ordine e raggiungibile, io lo definirei un vero miracolo mentale!

(sorride) Ma le stavo dicendo del contenuto della cassetta: un orologio d’oro, l’anello di fidanzamento di mamma (ecco perché non lo avevo trovato nel suo portagioie), un libretto di risparmio con qualche soldino… che bello, questo si che è un bel ritrovamento. Ma la cosa più emozionante è stata la busta. C’era questa grande busta ingiallita dal tempo, e senza scritte. Mi tremavano le mani, non riuscivo a aprirla, ho chiesto al direttore di aiutarmi, di stare lì con me; lui è stato gentilissimo, forse ha capito che non riuscivo a stare lì da sola. Mi ha dovuto prendere la busta di mano e estrarre lui il contenuto: due foto e alcuni fogli di carta ingialliti dal tempo. Le foto sono di una ragazza giovane che mi somiglia, eccome se mi somiglia. Ecco gliela ho portata: non trova che la somiglianza sia impressionante? Bionda, magra e con la pelle chiarissima. Proprio come me. Gli stessi occhi. Ho pensato di avere una sorella gemella. L’altra è della stessa ragazza con i miei genitori. Lo sapevo! Arrivava il chiarimento dei segreti! Così mi sono messa a leggere le carte: in poche parole, nella prima c’era scritto che i miei genitori accoglievano in casa la signorina Ivanov Arina di anni 19, rifugiata russa in stato di gravidanza. Nel secondo è scritta una specie di relazione dai servizi sociali, nella quale si dice che a causa della precoce e repentina scomparsa di Ivanov Arina, deceduta a 16 mesi dal parto a seguito di “complicazioni” non meglio descritte, in assenza di altri familiari raggiungibili e vista la disponibilità ed il rapporto affettivo che si era instaurato tra i miei genitori e… e la… mia mamma, i servizi sociali affidavano la piccola ai miei genitori. Nell’ultimo foglio c’era un… credo di ricordare ci fosse scritto “decreto”, scritto dal Tribunale, nel quale ho letto che il mio affidamento sia stato tramutato in una vera adozione. Così, che dire… ecco l’epilogo delle mie disavventure. Non sono impazzita, non avevo perso la ragione. Avevo forse intuito “da lontano” la verità. Ora credo di aver solo bisogno di mettere insieme tutto questo, sono davvero frastornata. Ma, se devo dirgliela tutta, mi sento profondamente, inspiegabilmente meglio. (chiude gli occhi)

Alex

Mi scuso ancora dottoressa per averle chiesto di anticipare il nostro appuntamento, ma ciò che ci siamo detti la scorsa volta ha destato qualcosa in me, ha messo in moto qualcosa. Non saprei dire con certezza, ma sento che è troppo importante. Vede, ora ho una speranza… mi ci sono aggrappato con tutto me stesso. Dopo la volta scorsa ho sentito che qualcosa dentro di me stava finalmente muovendosi; qualcosa stava cambiando: le mie emozioni, il mio sentire, persino il mio vivere la vita di tutti i giorni. Poi è successo un fatto; il mio “capo” – Claudio – mi ha chiamato e mi ha proposto di vederci a cena. Ho accettato, sa, era da un po’ che facevo vita ritirata. E a quella cena abbiamo parlato di quello che era successo a Dubai. E sa cosa ho scoperto? Mentre raccontavo a Claudio tutto, dalla cena all’incidente, dalla prigione al processo, da come mi ero sentito a come mi vivevo oggi, così colpevole e disgraziato… beh… avrebbe dovuto vedere la sua faccia: aveva una espressione irripetibile. Provo a dirle in quella espressione cosa ho letto: comprensione, umana comprensione, vicinanza, comprensione profonda; come solo un amico ti può capire. E mai, dico mai: pietà, commiserazione o qualcosa che potesse somigliargli. Ed è stata una liberazione. Anche con lui mi sono sentito di poter raccontare – o forse è meglio dire che mi sono tolto un peso, in fondo non ne avevo mai più parlato, anche se certamente sapeva grosso modo cosa mi fosse successo dentro. Vede, anche questo mi ha insegnato questa brutta storia; ad aver bisogno degli amici. A sentire di aver bisogno di parlare, di parlarne delle cose. Dicevo: mentre ne parlavo con Claudio io mi sono sentito anche un po’ un idiota, ecco non mi fraintenda ma… vede, Claudio mi ha detto delle cose che mai avrei pensato di sentirmi dire: mi ha detto che deve essere stato terribile, addirittura credo abbia usato il termine “tremendo” o “orribile”, ma insomma il senso era che aveva perfettamente capito che vivere tutto quello che ho vissuto io sia una dura lezione che la vita mi ha impartito. Mi ha detto di non fare lo stupido, che poteva capitare a lui e anche in più di una occasione, che chi non vive certe cose non le rischia, che avevo fatto un bel

gesto nei confronti del mio collaboratore e che potevo essere contento di aver aiutato una persona in difficoltà, che non potevo sapere quello che sarebbe poi successo. Insomma: mi ha fatto sentire meglio. E soprattutto mi ha detto che dovevo guardare avanti, che continuare a guardarmi indietro non mi avrebbe portato da nessuna parte. Il buon Claudio… uomo di poche parole, l’altra sera mi ha parlato tanto. E con il cuore. E sa cosa le dico? Che se aver fatto quella enorme cazzata mi sta facendo scoprire la bellezza delle persone che mi circondano, mi sta facendo scoprire l’amicizia più vera e profonda, la condivisione e il valore delle cose più vicine, beh… forse non è stato tutto negativo come poteva sembrarmi prima. Ho pensato tanto a quello che mi ha detto Claudio, a come guardare avanti. E penso tanto a quello che mi ha detto lei, di guardare a quello che ho vissuto con altri occhi. E credo che forse, dico forse, potrei provare a vedermi come l’essere umano che ha visto Claudio. L’essere umano che lei da tempo mi invita ad accogliere. Forse posso addirittura rimediare al mio enorme errore, forse posso provare a fare qualcosa che possa essere concreto ma che possa farmi sentire che a quel che ho fatto c’è un rimedio. Lei cosa ne pensa? Pensa che possa esistere qualcosa che io possa fare per rimediare? Con quell’uomo e la sua famiglia e dentro me stesso? O forse solo dentro me stesso? Pensa che sia solo un mio bisogno o che possa essere una cosa buona?

Stella

Dottoressa, si tenga forte – o meglio: resti seduta – perché devo raccontarle di quest’ultima settimana. E non so se ci basterà un’ora!

Dopo aver parlato con il mio Pietro, dopo aver attentamente riflettuto su tutta la mia situazione – lavorativa e personale - dopo aver messo a fuoco ogni aspetto critico della mia situazione e dopo aver rivoltato ogni angolo di me stessa, è successa una cosa davvero sorprendente. E’ arrivato il mio capo, con la solita catasta di richieste “urgenti” e con le solite mille cose da fare “per ieri”. E sa cosa ho fatto? Incredibile ma vero, l’ho guardato, ho guardato le scartoffie e gli ho detto che non lo avrei fatto. Giuro! Gli ho proprio detto che non lo avrei fatto. C’è stato un momento di tensione, mi sembrava di vedere la giugulare che gli stava per esplodere, non so per quanti minuti è rimasto senza parlare. Poi mi ha detto – era arrabbiatissimo e si vedeva, a me tremavano così tanto le gambe che non riuscivo a muovermi – che se così stavano le cose, allora potevo anche trovarmi un altro lavoro. Poi ha girato sui tacchi e se ne è andato, lasciando comunque le scartoffie sulla mia scrivania. Cosa voleva dire? Non capivo. Ero licenziata? Ero cortesemente invitata a “non fare i capricci” e a fare il mio dovere e perfavore di non seccarlo con le mie affermazioni infantili? Era questo che pensava di me? Era così dunque che pensava di trattarmi comunque? Stavo per vomitare. Sono andata a rinfrescarmi in bagno e ho riflettuto. Alla fine credo di aver “ceduto”: ho svolto tutto il mio lavoro, e per farlo ho saltato la pausa pranzo. Come al solito, aggiungerei. Ma l’ho fatto in preda ad una strana emozione: ero come in trance, ero calma e tranquilla. Sapevo quello che dovevo fare. L’ho fatto. Ho finito tutto il lavoro, l’ho portato nel suo ufficio accompagnato da una lettera di licenziamento. Ah, scusi, deve sapere che con il mio lui avevamo già buttato lì una bozza di lettera di dimissioni. L’avevo nella mia chiavetta usb, così l’ho trasferita nel mio pc in ufficio, l’ho firmata e l’ho consegnata al mio capo. C’erano scritti tutti i miei motivi per cui non potevo più andare avanti così; le sue promesse, la promozione che non è mai arrivata, il carico di lavoro che era sempre veramente tanto. E che io semplicemente, di fronte a tutto questo, non sapevo più far fronte alle sue richieste. Avevo dato tutto e, non sentendomi riconosciuta nei miei anni di impegno e fatiche, preferivo lasciare il mio posto. Punto. Ebbene sì, finalmente ero pronta: a capire chi avevo di fronte e a mettere in

chiaro che non ero disposta a tollerare oltre il suo atteggiamento. Così, in cima al lavoro svolto (e anche bene, doveva vedere che impegno che ci ho messo: più del solito, che è tutto dire, ma volevo fargli vedere un’ultima volta quanto valgo) ho lasciato la mia lettera di dimissioni. Una copia, più formale e meno “farcita” delle mie rimostranze, l’avrei consegnata il giorno dopo all’ufficio del personale. Sono uscita dall’ufficio leggera, leggerissima. Sono andata a cena con il mio Pietro, che già sapeva tutto. E sa quale è la cosa buffa? Che il suo capo, il capo del mio lui, tempo fa gli aveva detto: “se Rossi (il mio capo) non sta attento, la Stella gliela porto via un giorno e la prendo in ufficio con me”. Lui ovviamente dice che appena si verrà a sapere che mi sono licenziata il suo capo non perderà tempo; a maggior ragione in questo periodo che ha la segretaria a casa in maternità… in maternità, si… che ironia! Sarebbe quindi una sostituzione temporanea, ma almeno non resterei senza lavoro e nel frattempo potrei provare a cercare qualcosa. Oggi, venerdi, il mio capo era fuori ufficio, le scartoffie e la lettera erano ancora lì, dove le avevo lasciate. Ho comunque consegnato la mia lettera all’ufficio del personale e sa perché? Perché ho capito una cosa: se lui avesse avuto anche solo un piccolo rimorso per come erano andate le cose o per quello che era accaduto in ufficio, avrebbe potuto chiamare. O convocarmi. O una delle cose che con scioltezza ha fatto in questi anni… tipo chiamarmi la domenica sera per chiedermi se lunedi potevo andare in ufficio un’ora prima per aiutarlo a preparare documenti importanti. Insomma: chiamare quando gli faceva comodo lo ha fatto sempre… ma ora che è successa questa cosa, non si sente. Mah… io proprio non avevo mai capito con che persona avevo a che fare. A questo punto però mi è chiaro che la decisione è mia e solo mia. Non dipende da lui; sono io che decido se accettare quello che ho accettato finora oppure no. Forse sto facendo tutto questo un po’ di corsa, un po’ troppo in fretta, ci ho pensato. Penso che dovrò fare i conti con me stessa anche rispetto a questo aspetto, ma per ora non riesco a fare altro che sentirmi leggera. Sento di essermi tolta proprio un peso. Un peso che era diventato insopportabile.

RIPRENDENDO QUOTA

Capitolo 10

Giulia

Così, dopo le recenti scoperte della mia vita mi son detta: “Certo è che non potrò mai dire di avere una storia noiosa da raccontare, parlando di me!” Neanche prima a dire il vero, però qualcosa di sostanziale è cambiato! So che rido e scherzo spesso, è il mio modo di affrontare le cose. Soprattutto quelle difficili. Faccio tanta fatica a mettere insieme i pezzi dot. Faccio veramente tanta fatica. A volte la sera sono esausta – ah, tra l’altro sono rientrata al lavoro – e crollo sul divano con il telecomando in mano. Spesso sento il bisogno di guardare l’album delle mie fotografie di quando ero piccola. A volte piango tanto e… mi sento così sola che mi manca l’aria, e ho paura. Paura di questa solitudine che non voglio, che non ho mai voluto, che ho sempre rifuggito con tutta me stessa e con ogni mezzo. Mi mancano tanto la mia mamma e il mio papà. Mamma e papà. Sa, ho pensato tanto alla mia vera mamma. Mi sono chiesta tante cose di lei e mi sono detta che certamente è stata una donna sfortunata. Mi son detta che scappare dalla Russia non deve essere certo una cosa facile e soprattutto avere un bimbo da sola e poi morire così giovane… quanta tristezza dot. Quanto dolore nel mio ato. Quanto dolore sento adesso e anche qui, in questo momento mi sento un peso che non so se riuscirò ad alzarmi dal lettino. Spesso alla mattina mi sento così; senza forze. Ma poi penso ai miei vecchietti in casa di riposo e allora una gran tenerezza si sveglia dentro di me, così corro al lavoro, dai miei vecchietti. Mi piace aver cura di qualcuno e sapere che loro mi vogliono bene e mi apprezzano per quello che sono mi fa stare meglio. So che tutto questo erà con il tempo, o forse no. Forse sono cambiata così tanto che non sarò

mai più quella di una volta. Provo una gran tristezza per la mia vera mamma, per tutto quello che sarebbe potuto essere e non è stato e sento che la vita ha compiuto una grande ingiustizia. Quasi un accanimento. Non ho potuto conoscere la mia vera mamma e a pensarci bene neanche il mio vero papà. A dire il vero trovo quasi impensabile provare a rintracciarlo ma confesso di averci pensato. E non poco. Ma vede, e poi cosa succede? Potrò riavere forse la vita che non ho avuto? No, io dico di no. Posso solo considerare valida la vita che ho vissuto davvero e sappiamo entrambe che i miei genitori mi hanno dato tutto quello che potevano, in termini concreti e affettivi. Non sono riusciti a darmi la verità, quella proprio non sono riusciti a darmela e il fatto di essere qui a sbrogliarmela da sola a volte mi fa sentire ancora un po’ arrabbiata. Con loro, con questa vita beffarda e ingiusta, con il destino, mah… arrabbiata un po’ con tutto direi. Non posso avere indietro il ato, non posso tornare indietro e riavvolgere il filo del tempo, come un gomitolo nelle mie mani. Posso solo dire che ho avuto questa vita, così, in questo modo e che io finora non ho potuto sceglier molto. La vita ha deciso per me e se ha deciso così vorrà dire che devo accettarla esattamente per quella che è: la mia vera vita. Non quello che sarebbe potuto essere o quello che non è stato; la mia vita è questa. Ora che ho collegato le parti mancanti mi sembra tutto così chiaro in testa e confuso nel mio cuore. Di tanta fatica e di questa mia vita così particolare… Ne sarò orgogliosa Ne sarò spaventata Ne sarò la narratrice, per chi vorrà ascoltare Una cosa però sento che prima o poi dovrò fare: andrò in Russia. Si dot, andrò in Russia e cercherò di capire se qualcosa di quella terra, se qualcosa di quelle origini mi appartiene. Ho bisogno di trovare un pezzo di me stessa laggiù. Non so se lo troverò, ma so che se non vado qualcosa in me resterà come… incompiuto. Deve sapere dot che nella cassetta di sicurezza di papà c’era anche il luogo in cui i miei hanno fatto seppellire la mia vera mamma. Sento che devo andare lì così come sento che andare in Russia mi aiuterà a completare il

cerchio. Il cerchio della mia storia e di me stessa. Sono molto emozionata sa? E ho paura, ma so che un o alla volta – come spesso diciamo qui – tutto andrà a posto. L’importante è che finalmente io senta di avere un ordine mio mentale. E ora tutto mi è chiaro e ordinato. E con un senso. Sa quale è la cosa buffa che ho pensato? Che alla fine ho avuto ben più di due genitori… beh, non è da tutti! (sorride serena)

Alex

Devo dire che se mai in vita mia potevo aver pensato mi potesse succedere quello che poi mi è successo, ancor meno potevo immaginare di arrivare a questo punto della mia vita. Mai avrei potuto immaginare che sarei arrivato un giorno a riconsiderare tutto quanto. A rivedere tutta la mia vita. E a vederle le cose sotto un nuovo punto di vista. Mi si sta rivoluzionando tutto dottoressa. Sto facendo delle cose che mai avrei pensato di fare e vivendo situazioni che mai avrei potuto immaginare. Le spiego. Sabato ho accompagnato Anna a fare la spesa, ormai una attività di routine di questi ultimi tempi. Quando siamo rientrati, dopo che l’ho aiutata a mettere via la spesa, le ho chiesto se aveva voglia di sentire una storia. Una storia che poteva anche essere una brutta storia. Lei mi ha guardato incuriosita e non si è lasciata scappare l’occasione. Sì perché deve sapere che ad Anna racconto sempre poco e l’essenziale, mentre lei vorrebbe sempre sapere di più: dei posti che vedo, dei piatti che mangio, delle fidanzate che lei pensa io abbia (“non me la racconti giusta” mi dice sempre). Così sa cosa ho fatto? Le ho raccontato di Dubai. Le ho raccontato tutto. Tra l’altro mentre le raccontavo mi venivano in mente altri particolari che non mi

sembrava di ricordare la prima volta che ne abbiamo parlato io e lei qui in studio. Poi glieli dettaglio ma per ora vorrei raccontarle questa cosa sorprendente. Ho raccontato, come le dicevo, ad Anna la storia. Risparmiandole i particolari più raccapriccianti (mi è venuto in mente il sangue mentre le raccontavo: il sangue sul cofano della macchina. Era tantissimo e io fino a ieri non me lo ricordavo. Ora ricordo quel dettaglio raggelante) sono riuscito a raccontarle tutto come se fosse una storia, una triste storia. Mi è uscita quasi di getto e lei mi ha ascoltato fino alla fine senza mai interrompermi. E’ proprio una gran donna. Poi, quando ho finito, si è alzata, mi ha preso un bicchier d’acqua e mi ha detto esattamente queste parole: “È tutto ato Alex caro, è tutto ato”. E’ stato come qualcuno mi avesse abbracciato dopo anni di isolamento. E’ come se qualcuno avesse aperto una finestra dopo anni al buio, lasciando entrare caldi raggi di sole. Mi è uscito un pianto che non so cosa è stato, non ho mai pianto così in vita mia dottoressa, ho pianto come un matto, ho pianto con i singhiozzi come quando si è bambini e non ci si controlla. Ho pianto in un modo sconvolgente e come mai mi era capitato in vita mia. Ho pianto per tutte le volte che avrei voluto farlo e non sono riuscito. Ho pianto per tutti i miei sbagli e per tutte le persone che mi stanno aiutando a porci rimedio. Ho pianto per tutti i giorni in cui avrei voluto non essere in carcere e per tutte le cose che avrei voluto non fossero mai successe. Ho pianto per tutte le volte che avrei voluto amare e non ho amato. Ho pianto per tutto quello che avrei voluto fare e non ho fatto. Ho pianto per chi soffre e ho pianto per me. Un pianto totale. Assoluto. Ho pianto per tutto quello che mi era successo e per tutto quello che finora mi sono tenuto dentro. Ho pianto perché volevo piangere. Ho pianto perché non potevo fare altro che piangere. Anna mi ha lasciato fare. Poi mi ha fatto una delle sue carezze magiche, con le sue mani nodose e calde. Ho preso la sua mano e ho percepito la presenza, la vicinanza, e nel contatto con quella pelle invecchiata dal tempo ho ritrovato il senso della mia vita. Sentivo il mio cuore battere battiti nuovi, mentre mani rassicuranti mi stringevano a farmi capire che la vita è tutta così: ti porta con lei e solo per poco puoi fermarti. Ma devi andare avanti prima o poi. Ecco in quel

momento con Anna ho sentito che era arrivato il mio momento di andare avanti. Siamo stati in silenzio per un po’, singhiozzavo come un bimbo. Una volta me ne sarei vergognato, ora non più. Ora so che la mia vita è con me. E’ tutta mia, tutto ciò che mi accade, oggi, lo sento finalmente mio. E mi sembra così straordinario…

Stella

Dopo l’altra volta mi sono sentita ancora più leggera sa? Abbiamo riflettuto insieme e io ho capito che il mio modo di fare mi appartiene, mi caratterizza. Non sono mai stata una che sta lì ad aspettare chissà quali eventi; quando capisco “che cosa fare e come lo devo fare”, io lo faccio subito! Un’altra cosa invece è stata la mia settimana con lui, con il mio Pietro. Devo dire che mi sento come se mi avesero dato una botta in testa. Si, mi sento frastornata, confusa, ma non come prima. Ora… ora è diverso. Ho parlato tanto con Pietro, abbiamo parlato di noi, della nostra vita insieme, di tutte le cose che abbiamo fatto finora e di come potremmo fare per realizzare i nostri progetti. Si, ha sentito bene: i nostri progetti. Ho sempre sognato una famiglia mia, se lo ricorda? Chissà quante volte gliel’ho detto! E allora penso che forse non è troppo tardi per provare a realizzarli. Perché lui ci crede, e ha creduto in me fin dall’inizio. E mi ha detto di essere stato infinitamente felice con me, che insieme abbiamo fatto tante cose e che nemmeno lui immaginava potessero essere fatte così tante cose divertenti e interessanti in coppia. Ora penso che forse tutto si sistemerà, che potremmo comunque provare, ora che so cosa stavo facendo e ora che so cosa desidero per me stessa è tutto più semplice dentro di me le idee ora son più chiare. E forse – e sottolineo forse – non è troppo tardi per provare ad avere un bimbo,

perché no? In fondo 40 anni non sono troppi al giorno d’oggi. No, non sono troppi per provare ad esser mamma. Per provare a esser veramente me stessa. Ora so cosa voglio: voglio chiudere la prima parte della mia vita, quella dell’inconsapevolezza e aprire una seconda parte: quella cosapevole. Vorrei cercare un posto part-time, vorrei cercare una casa con lui per iniziare la nostra vita insieme, vorrei prendermi un tempo per me, finalmente. Sono stanca di correre, stanca di rincorrere. Ora ciò che più desidero è fermarmi e vivere nel presente, con più calma (ne sarò capace?) e consapevolezza e tranquillità. Ho voglia di vivere e quella che facevo prima non era vita, non la mia vita nel pieno senso del termine. Ho voglia di mettere tutta la mia grinta e voglia di far bene bel progetto di famiglia, quantomeno ci vorrei provare. E non importa se avremo meno soldi. E non importa se non avrò un posto di lavoro con responsabilità. Quello era solo il sogno di una donna in carriera che non sapeva fare a meno di correre senza sapere dove stava correndo. Ora non voglio più, ora basta. Voglio assaporare la mia vita, credo di aver già perso troppo tempo correndo. Ora vorrei camminare: giorno dopo giorno, consapevole dei miei i e felice, dei miei i uno dopo l’altro, con lui al mio fianco. E vorrei i miei bambini, magari più di uno, non so, ma io ci voglio provare e lo faremo. (scende una lacrima) Perché mai in vita mia mi ero resa conto di quanto desiderassi avere una famiglia, di quanto desiderassi lui al mio fianco, lui al mattino con la schiuma del cappuccino sulla punta del naso, lui alla sera che mi aspetta con la tavola apparecchiata, lui nel nostro letto, che mi aspetta per scaldarmi dal freddo di una giornata difficile. Sono ati anni, mesi, giorni infiniti dentro di me. E sento, sento con tutta me stessa, un profondo cambiamento, una svolta dentro me stessa che mi sta facendo vedere diversamente persino i colori di tutti i giorni. Il lago prima era una grande distesa blu, e sulle sue rive io andavo a correre (già sentita, eh?). Ora ci vado per eggiare. Ora lo stesso lago è un mare di cristallo dove noto le sfumature di mille angoli di cielo, dove mi tuffo per provare benessere dentro di me, uno spazio dove sento i miei pensieri e dove i miei pensieri possono essere felici e liberi. Ogni sera da qualche giorno vado a eggiare, da sola o con lui,

e lo trovo meraviglioso. E mi siedo sulle panchine che ci sono a fianco del Tempio Voltiano e ascolto. Ascolto il silenzio. Ascolto i bimbi che giocano nel prato vicino. E sogno; sogno il momento in cui toccherò con le mie mani la minuscola manina del mio bambino; piccola piccola e morbida e profumata. Ascolto i gabbiani che si rincorrono volando. Le loro ali aperte nell’aria mi fanno sentire libera. Io sono libera. Sono libera ora da me stessa, dai miei pensieri pesanti, dalle mie emozioni incatenate dal dovere. Ora non devo più… ora posso.

NUOVE PROSPETTIVE DI VOLO

Capitolo 11

Giulia

Sarà come dice lei, sarà che è stato giusto darci un tempo così lungo per parlare della mia storia e di quello che ho scoperto, sarà che ne abbiamo parlato così tanto che oggi posso dire che sono a posto. Nel senso che ho capito che quello che dovevo fare era mettere tutte queste cose sconvolgenti in ordine dentro di me. E sta funzionando sa? Ho scritto una lettera alla mia mamma che non ho mai conosciuto. E’ stata dura, ci ho impiegato tantissimo ed è uscito uno scritto veramente lunghissimo, ma ora mi sento meglio. Ho creato una scatola dei segreti e ce l’ho messa dentro, così quando mi viene il desiderio posso avere un mio momento con la mia vera mamma. Posso guardare la sua fotografia e dedicarle qualche pensiero. Ho anche pensato di portarla sulla sua tomba, ma poi ho anche pesato che in fondo è una cosa mia e che mi appartiene così tanto da non volermene separare. Porterò dei fiori sulla tomba, e leggerò la lettera quando ne sentirò il bisogno. Ho anche scritto una lettera ai miei genitori – l’ho qui e vorrei leggerla con lei. Ci terrei molto. Ecco la lettera: “ciao mamma, ciao papà. Vi ho scoperto sapete? Ho scoperto il vostro segreto. L’ho scoperto da sola, anche se l’ho letto nei vostri occhi centinaia di volte e ora capisco molte cose. Molte frasi. Capisco che possa esserci stato un momento

nella vostra vita in cui avete sentito che io potevo essere la vostra bambina e io mi sono sentita sempre la vostra amatissima bambina. Mi avete cresciuta con allegria e spensieratezza, una larga traccia che è un solco dentro di me, nel quale ho costruito la mia crescita: bella e serena. Tanta allegria è stata con noi, i momenti in cui abbiamo riso a crepapelle me li ricordo ogni giorno e sapete? Non me li voglio dimenticare. Perché chissà quanta fatica vi sono costati in certi momenti, perché penso che sia stato difficile vivere con un segreto con me. Sono stata arrabbiata e poi delusa e poi mi sono sentita ferita e abbandonata: dovevate dirmelo! Ne avremmo parlato, io avrei capito, io… avremmo potuto abbracciarci o non capirci, ma non mi sarei sentita così sola come in questi giorni. Io ci provo a capirvi, ci provo senza chiedermi più di tanto se voi avete provato a capir me. Potevate provare a pensare che forse tutto questo un giorno sarebbe venuto a galla e io lo avrei scoperto comunque? Perché non me lo avete detto? Perché? Ci penso tutti i giorni e tutte le notti. Ci piango e vorrei una risposta… E invece sono qui, a provare a capire, a immaginare e a riflettere. Penso che la vostra risposta sia sempre la stessa: “Perché noi ti amiamo e non volevamo farti soffrire”. Tante volte ho provato a immaginare la scena, ho anche immaginato le espressioni dei vostri visi, l’emozione, la commozione. Io non posso ora che accettare tutto questo e farlo mio. Cercare di capire i vostri motivi e accogliere tutto il bene che mi avete dato; è stato tanto e mi fa sentire fortunata sapere di avere ricevuto da voi così tanto amore. Mi fa sentire unica e amata, infinitamente amata. Non so se potrò mai capire fino in fondo e condividere fino in fondo la vostra scelta, ma oggi so che posso provare ad accettarla perché è esattamente così che sono andate le cose. Mi mancate tanto, vorrei che foste qui con me, che potessimo trascorrere insieme ancora cento natali e compleanni e vorrei potervi affliggere con mille domande sulla storia di mia madre, la mia vera madre che non ho mai conosciuto e che mi ha messa al mondo senza poter crescere sua figlia. Senza avermi potuto conoscere. E di mio padre, che forse non sa nemmeno della mia esistenza: forse sapevate qualcosa? In tutto questo ci siete stati voi e io sono certa che la mamma da lassù annuiva contenta: ero in buone mani. Sono sempre stata in buone mani. Anche ora lo sono sapete? Voi siete stati buoni e generosi, e io spesso ho pianto e piango per non aver avuto la possibilità di avere una vita e una storia diciamo “normali”, ma al tempo stesso sono grata alla vita perché mi ha dato molte possibilità e una storia che è una storia unica e particolare; un gioiello raro e prezioso da custodire con cura e difendere da chi non potrà comprenderne la particolarità. Ora so di essere una rarità, che lo siete stati voi, che lo siamo stati insieme a nostro modo. Ora proverò a guardare avanti, con le idee più chiare. Con la mia storia nel cuore

e con questa consapevolezza: di essere stata forse troppo amata e troppo protetta. Lo posso comprendere. Oggi lo posso comprendere anche se io avrei desiderato qualcosa di diverso per me stessa, ora devo imparare ad accogliere quanto è accaduto e devo andare avanti con quello che ho e che è stato. Un bel bagaglio che, chissà, mi occorrerà in molti luoghi nei quali andrò nella vita. Sarebbe stato bello parlarne insieme e ora che non ci siete più io vi immagino in qualche posto nel cielo, mano nella mano, che mi vorreste dire tante cose. Le sento, state tranquilli. Va bene così. Riposate in pace insieme. Vi voglio bene, ve ne vorrò per sempre". (piange commossa) Questa lettera invece ho deciso che la porterò al cimitero e la lascerò sulla loro tomba. Farò riaprire il loculo – ho già chiesto tutti i permessi – perché voglio metterci questa lettera. Voglio che stia con loro. Sento che così ho messo a posto anche questo pezzo, ora posso condividere con loro anche questo. E’ un mio bisogno così forte che ho deciso di ascoltarlo. E’ troppo forte quello che mi è successo, se non voglio impazzire devo mettere a posto tutto quello che sento fuori posto o in sospeso. Soprattutto con i miei. Dentro di me e anche nella realtà, come non ha potuto essere a suo tempo e come solo potrebbe essere oggi. Ora sento di aver messo ordine in una vita che negli ultimi anni era diventata necessariamente caotica, come fosse una buffa metafora di quel che si era creato senza che io potessi in alcun modo modificarlo. Allora, almeno. Ora invece posso sentire che la mia vita è stata piena, ricca intensa come per pochi lo è. E sa una cosa? Mi sento di avere… come dire… più valore. Ho più fiducia in me stessa ora. Anche al lavoro sono più decisa nelle cose. E nel tempo libero non mi perdo più! Con grande sollievo delle mie amiche! (risata forte) Ora riesco anche a guardare tutte le fotografie mie, da sola e quelle con mamma e papà. E lo faccio con una maggiore serenità. Ora va meglio. Parlo tanto anche con le mie amiche, che sono state accanto a me in questa avventura e con le quali si è creato un legame che è quasi da sorelle. Pensi che tutte le sere ci sentiamo, quando non ci vediamo, anche solo due parole “come stai” o “sai cosa mi è capitato oggi?”

Non mi sento più così sola, ora. Certo, sono giovane e non ho più tutti i miei genitori. Tutti perché io ne ho avuti di più, e questo a volte mi intenerisce, a volte mi fa sorridere. Ma accidenti se mi ha complicato la vita avere così tanti genitori! (sorriso tenero) Penso che tra poco sarò anche pronta per ricominciare a uscire, che ne so: andare a una festa o anche solo uscire in compagnia. Sono mesi che non esco la sera. Fino a poco tempo fa non ce la facevo proprio, ero davvero sconvolta. Ero entrata in un a specie di vortice confuso, e se lei e la mia dottoressa di famiglia e le mie amiche non mi aveste fermato, probabilmente avrei continuato imperterrita combinando una serie di casini! Sì, ora si comincia a ragionare. Sì, ora va meglio…

Alex

Manca poco ormai dottoressa. Eh sì, fra poco si parte… e sa per dove? Ho prenotato un volo per Dubai. Ebbene sì. Ho deciso che devo tornare laggiù. Devo tornare laggiù e mettere a posto alcune cose. Voglio tornare laggiù a mettermi in pari con me stesso. Le piace questo termine? “mettersi in pari con se stessi”. L’ho maturato qui: raggiungere certe mete dentro se stessi e affiancarle alla realtà dei fatti. Non so se mi sono spiegato… Così torno a Dubai. Prima che il grande capo mi convochi per spedirmi chissà dove con un nuovo lavoro. Prima che tutto questo sentire i e che questo

momento della mia vita sia concluso. Torno a Dubai a parlare con i parenti di Ibrahim, ora ho proprio il desiderio di conoscerli meglio e di parlare con loro. Chissà se anche loro vorranno parlare con me, ma è un rischio che desidero correre. E’ un rischio che devo correre. E voglio tornare a Dubai per parlare con Ibrahim. Perché a questo punto mi sono reso conto che per potermi perdonare io devo fare una cosa. Devo andare da lui e chiedergli scusa. Devo andare da lui e guardarlo negli occhi – guardare negli occhi quel che ho fatto – e chiedere perdono. Ora sento che ho bisogno di parlare con lui; di parlare con Ibrahim. Di parlare con quel che Ibrahim rappresenta per me. Di parlare con lui e di parlare con me stesso. Di affrontare finalmente tutto questo perché allora – quando tutto è successo - non ero pronto. Sono pronto ora e desidero viaggiare fin là per guardare in faccia ciò che è oggi per come è oggi e sono certo che qualunque cosa accadrà e comunque andranno le cose, avrò fatto ciò che ritenevo giusto e ora ritengo giunto il momento di affrontare questo viaggio per poter guardare avanti e tornare a vivere la vita aggiungendo questa enorme, terribile, fortissima esperienza. Io devo sapere dottoressa. Devo andare a Dubai e sapere come posso vivere quel che è successo e come vanno le cose ora. Torno a Dubai per affrontar me stesso. Torno a Dubai perché è la sola cosa da fare. Torno a Dubai e vado a riprendermi la parte di me che è rimasta là con l’incidente. E tornerò, spero, con la pace nel cuore.

Stella

E’ proprio vero dottoressa, le cose possono davvero cambiare se siamo noi a cambiare.

Ci crederà? Il mio capo mi ha convocato nel suo ufficio – dopo 15 giorni che avevo consegnato la lettera di dimissioni e dato il preavviso, che è di 30 giorni – per chiedermi spiegazioni. Per chiedermi spiegazioni capisce? Perché è così: lui non se lo spiega! Mi viene quasi da ridere! Lui non se lo spiega! Mi ha anche detto che non pensava che fossi così decisa, che fosse tutto uno “scherzo” per fargli dispetto, che non fosse vera la lettera di dimissioni, ma solo una specie di “messaggio” per fargli capire che ero un po’ stanca. Un po’ stanca capisce? Un po’ stanca! Che mascalzone! Così ha rilanciato; mi ha proposto la famosa promozione e un aumento di stipendio. Non da strapparsi i capelli dall’entusiasmo, ma un aumento decoroso. Mi sono presa qualche giorno per riflettere, anche se dentro di me avevo già deciso. Ma non volevo dargliela vinta subito. Volevo che decantasse un po’ nelle sue speranze, una sorta di piccola vendetta. Dopodichè sono tornata nel suo ufficio e gliel’ho detto. Gli ho detto che vado via. Che non cambio idea. In fondo, aveva avuto tutto il tempo ma non era questo il punto. Almeno, non era più questo il punto. Vado via perché so che in quella azienda, ovunque io vada e in qualunque ruolo io sia impiegata, mi toccherà sempre correre. Anzi: con responsabilità maggiori si corre ancor di più, e io non voglio più questo per me stessa. Ormai ho veramente deciso sa? Vado a lavorare part time per quella sostituzione di maternità che le avevo detto: la proposta è arrivata in men che non si dica e ne sono stata contenta. Tra l’altro mi pagano molto bene: e chi me lo fa fare? Di tornare a impazzire dove ero prima e per di più con il mio capo che tutti i giorni andrebbe a ribadire che lui mi ha dato la promozione? Ah, no, non ci sto! Beh, una cosa però gliela posso confessare, anche se può sembrare brutta da dire: se anche fossi stata a casa un po’ prima di riprendere il lavoro non mi sarebbe dispiaciuto! So che lei può capire in che senso dico questo, so che lei può capire il mio

desiderio oggi di fermare la mia corsa, e di fermarla davvero. Ma va bene così, in fondo un part time mi regalerà certamente più tempo di prima e una vita diversa e io…per la prima volta in vita mia sono contemporaneamente terrorizzata e felice!

ADDII E RIPARTENZE

Capitolo 12

Giulia – il vero volo della libellula

Cara, carissima dot. Ma cosa farei se non ci fosse lei? Sa, pensavo che alcune persone per me sono un po’ come degli angeli custodi e chissà, forse da lassù qualcuno me li manda perché io possa avere al mio fianco delle valide spalle. Mi piace pensarlo sa? Che nella vita le cose non sin per caso, che ci sia una sorta di inspiegabile ma fortunata correlazione. Alla fine tutto ha un senso, un filo. Come per me no? Mi sentivo così sconclusionata e stonata e alla fine invece anche questo aveva una spiegazione. Penso che ora posso ricominciare a pensare alla mia vita con un nuovo slancio. In questo periodo non ho fatto altro che sentirmi sola e disperata e… disastrata…e… ora che mi sento un poco meglio, vorrei provare a costruire la mia vita in modo che mi possa dare stabilità, ora che ho la chiarezza. Ho bisogno di non sentirmi così sola, io nella solitudine non ci sto bene e non so come ho fatto finora. Credo di avere fatto della mia vita una sorta di arte della sopravvivenza, e non so, se ci penso mi viene da ridere e da piangere. Io che ho sempre avuto voglia di ridere e di divertirmi…mi sento come se mi fosse piombato addosso un tir carico di acqua gelata. Ma dentro di me la Giulia che ride c’è, la sento, sono io, in questa nuova vita mi vien da viverla quasi così. Come se fosse un film e ci fosse una parte prima e una parte seconda. Vogliamo dedicarci alla parte seconda? Ecco, allora io ho pensato… che vorrei prendere un cane. Cosa ne pensa? Non un cane di razza, è vero che i miei genitori mi hanno lasciato economicamente tranquilla, ma non ho in mente un cane di razza. Piuttosto un trovatello…lo sentirei più vicino e più “simile”, no, non è uno scherzo, l’ho pensato davvero! Uno come me, voglio un cane nel quale rispecchiarmi un poco, da accudire e che mi faccia compagnia. E poi ho il giardino! Potrebbe stare lì quando sono al lavoro e lavorando per turni potremmo are molto tempo insieme. Si, penso che ci penserò ancora un po’ su e poi

potrei andare la canile con le mie amiche. Le mie amiche – sorelle. E questa volta vado al canile con le amiche non perché ci sia il rischio che mi perda, ma perché c’è il rischio che mi porti via tutti i cani! Sarà una scelta difficile vero? Lo so, me lo sento! Presto ci andrò allora, e glielo racconterò la prossima volta. E c’è un’altra cosa che le vorrei raccontare… a proposito degli incontri fatati della vita. Ho incontrato del tutto casualmente il mio salvataggio umano, se lo ricorda? Quando stavo per cadere in quella libreria… è stato bello sa? Lui mi ha fatto battere il cuore quella volta e anche in questo incontro c’è stata molta emozione. Il cuore ha iniziato a battermi all’impazzata quando l’ho intravisto fra la gente mentre stavo eggiando con una delle mie amiche in centro. L’ho visto da lontano e il cuore ha iniziato a battermi così forte… è stato come sentire le campane e il rintocco di mezzogiorno! Don Don! Sveglia Giulia!! Sei cottaaaa!!! Lui mi ha scrutato tutto il tempo – la mia amica dice che non mi ha tolto mai gli occhi di dosso e che sembrava incantato – beh, io non è che mi senta proprio un fiore con tutto quello che ho ato ultimamente. Ma è stato bello rivederlo e i suoi occhi mi hanno fatto sentire… una cosa… che non provavo da tempo. Chissà se mi chiamerà… beh, nel dubbio… io il mio numero gliel’ho dato un’altra volta! (ride)

Alex – il piano di volo prima della partenza

Ed eccomi qui. Eccoci qui. Credo che saranno le ultime sedute che faremo, prima di una lunga interruzione. Ma vorrei chiederle se un giorno, al mio ritorno, potremo vederci. Anche se eranno mesi, molti mesi forse. Vorrei poterla salutare oggi e nelle prossime sedute, e dirle quanto sono emozionato ora e quante emozioni ho provato in questo studio accogliente. Manca davvero poco alla partenza per Dubai e ho paura sa? Ma anche voglia di

fare questa cosa fino in fondo, succeda quel che deve succedere. L’ho così messa afuoco, da vero project manager, che ora non devo far altro che realizzare il mio progetto. E’ così chiaro! In questi giorni, ma sarebbe più corretto dire in queste notti, ho ripensato molto anche ad altre cose sa? Ho ripensato ad Annamaria ad essere sincero. Dice che mi è tornata la voglia di vivere? Ho ripensato ad Annamaria, alla sua grinta e alla sua energia, ho ripensato alla sua ionalità e alla sensazione di benessere che provavo quando ero con lei. Mi sono dato dello stupido mille volte ma ora sa cosa penso? Che forse sono uno stupido vero se non tento almeno una volta di parlarle. Ho pensato che mi piacerebbe provare a chiamarla, perché no? Al limite mi manda a quel paese, è una donna schietta e non credo che in questo tempo sia cambiata. Penso che potrei almeno provare a spiegarle cosa mi è successo, glielo devo. Fra noi c’era davvero una luce speciale e credo di averne avuto forse un po’ paura. Ho abbandonato il campo perché era troppo bello per me? Chissà, forse invece se non fosse accaduto l’incidente le cose sarebbero andate avanti…ma è inutile, questa dietrologia non serve e non è costruttiva. E poi in queste notti mi sono tornati in mente dei particolari così belli di lei… per esempio i suoi occhi nel buio della notte, illuminati dalla luce di una candela e da uno scintillio che a me oggi pare magico… una magìa… si, il suo sguardo era una magìa, mi incantava guardarla negli occhi. Il tempo era suo schiavo e io ero prigioniero di un magnifico sortilegio. Mi sento solo sa, mi sento terribilmente solo e nessuno sa come ho fatto finora a non sentire questo bisogno dentro di me. Ho bisogno di…ah… (piange) possibile che debba rimettere a posto così tante cose del mio ato? Ho fatto un disastro accidenti a me… (piange) Scusi…è che…mi sento un po’ diverso ma non sono poi così diverso. Sono sempre stato così attento e sensibile ai dettagli ai particolari alle cose belle alle gentilezze…a volte mi sento ancora come se tutto fosse distrutto. Poi ci rifletto e penso che devo darmi il tempo di rimediare. E’ che sono impaziente da una

parte, e dall’altra vorrei poter cancellare tutto questo e non posso. Ma qui ci siamo detti che oggi sono come sono proprio perché mi è successo quello che mi è successo. E allora posso provare ad essere un uomo migliore? E chi lo sa, ma è quello che sento: io vorrei provare a essere in qualche modo contento di me stesso. Così, sa… penso che potrei fare una telefonata… (sorride)

Stella – ripartenze per libellule libere

Siamo alla conclusione del nostro percorso dottoressa, e vorrei proprio concludere in bellezza. Sono gli ultimi giorni di lavoro con il dott. Rossi, nonché mio “capo-da-sempre” e ormai “ex capo nel futuro” e sa una cosa? Io non provo niente. Dovrei essere dispiaciuta? Dovrei essere triste? Insomma: come ci si dovrebbe sentire in questo caso? Io non lo so come mi sento, forse un po’ “stordita” e incredula ecco, forse si tratta più di questo. Non credo quasi a quello che ho fatto, ma sono contenta e mi rende contenta vedere il mio lui orgoglioso di me. Insomma è tutto un po’ un groviglio ma tutto sommato a me questo sa di buono, tutto questo che sta accadendo è vero e reale e io quasi stento a crederci e sono certa che quello stordimento che provo è dato dal fatto che finora non ho mai vissuto la mia vita così in diretta come ora! Mi gira la testa se ci penso, ma è esattamente questo ciò che voglio. Che mi giri la testa accidenti, va benissimo, ma io ci sono, sono qui e voglio vivere tutto fino in fondo! Sono grata a lei dottoressa, a questo lavoro che all’inizio mi creava tante perplessità e paura, ma ora che so penso: “Accidenti… perché non l’ho fatto prima??” Eh, perché non ero pronta, ecco perché. E’ così semplice ora! Ma adesso… adesso sono pronta. Sono pronta per la vita, sono pronta per me, sono pronta a vivere quello che mi aspetta.

Si, sa proprio di buono tutto ciò. So che cambiare lavoro sarà un aggio delicato, ma sono brava e mi impegno tanto nel mio lavoro, so che riuscirò e questo non mi spaventa più di tanto se ci rifletto. Anzi, mi elettrizza sapere che inizio un capitolo nuovo, un qualcosa di nuovo. E la sa una cosa? Inizierà anche un capitolo nuovo nella mia vita con lui, perché… stiamo cercando casa! (una lacrima di commozione) Sì, sempre il mio lui qualche giorno fa mi ha detto proprio queste parole, ora la faccio ridere, perché mi ha detto più o meno così: “amore, senti, vorrei dirti una cosa, sperando di non scatenare un’altra crisi…ussignuur (si, lui è proprio comasco da generazioni) beh io ci provo lo stesso: amore senti ti va di cercar casa insieme?” Ci siamo guardati e siamo scoppiati a ridere!! E altro che crisi… beh, forse questo era l’ordine giusto: prima chiedermi se andavamo a vivere insieme e poi fare un figlio, ma l’ordine non è mai stato nelle sue corde! (sorride) Per me, ovviamente, nessuna crisi ora. Anzi: mi sembra che finalmente sia tutto a posto: cercheremo un appartamento in affitto. Insieme. E poi proveremo ad avere dei bambini. Realizzo i miei sogni! E poi ci abbiamo pensato e ce la facciamo: io ho il mio lavoro, anche se a tempo determinato e lui comunque non guadagna poi male, staremo bene e credo che sia proprio ora. La donna in carriera che è in me sta rugge sempre, ma ora sa cosa fare: finalmente può esprimersi e realizzar se stessa: il lavoro e esser mamma. Io voglio essere una donna moderna e realizzare entrambe le cose: il lavoro e la famiglia. Ci voglio provare adesso e sento una spinta dentro dottoressa che non so descrivere a parole: una specie di forza propulsiva, una fonte di energia che scalda da dentro, mi sento che… riparto! E per questo la ringrazio, ringrazio tutto e tutti e soprattutto ringrazio la vita: questa vita che mi sta dando la mia seconda possibilità. Sono felice. Felice di poter essere, in fondo, semplicemente… finalmente… me.

Credits

Desidero ringraziare sin da ora tutti: chi mi ha direttamente aiutato nella stesura del libro e chi indirettamente, con la stima l’affetto e l’amicizia… perfetti carburanti per chi è sempre in movimento.

Ringrazio quindi Milena Galimberti e il suo staff, perché senza le loro preziosissime informazioni non avrei mai potuto scrivere queste storie e il cui entusiasmo ha corroborato il mio nella scrittura…

Ringrazio Stefano Berti per le preziose indicazioni e la dolcissima Giulia, per l’affetto e il sostegno che sempre offre ai miei progetti…

Ringrazio i miei amici/colleghi di Varese: il “gruppo di intervisione” più bello che esista, un luogo dove si lavora, dove si ride, dove si discute e ci si confronta, e dove si cresce… altro che se si cresce!

Ringrazio la mia mamma, che mi a nei miei inciampi e gioisce dei miei successi… e il mio papà, presenza affettuosa e benevola nonostante la prematura scomparsa.

Ringrazio la vita, le esperienze, tutte le persone che ho incontrato nel mio cammino, il mio lavoro e ogni giorno che arriva… perché tutto quello che ho vissuto, imparato e sono lo devo proprio a tutti questi elementi.

E ringrazio Federico: la mia anima gemella. E’ lui che condivide ogni mio entusiasmo e lo rende un progetto realizzabile, lui che con infinita pazienza condivide ogni giorno e gli infiniti colori… come solo la nostra vita insieme sa essere.