Il fratello del ministro commedia
Antonio Mennella
Published by Giuseppe Meligrana Editore
Copyright Meligrana Editore, 2014 Copyright Antonio Mennella, 2014
Tutti i diritti riservati ISBN: 9788868150921
Opera Omnia di Antonio Mennella per Meligrana Editore Sezione teatrale: Il fratello del ministro – commedia, 2014
Opera già pubblicata in versione cartacea nel 1980 col titolo attuale e nel 2010 col titolo All’ombra di un pezzo grosso.
In copertina: Scatto dal film “Gli onorevoli” (1963)
Meligrana Editore Via della Vittoria, 14 – 89861, Tropea (VV) Tel. (+ 39) 0963 600007 – (+ 39) 338 6157041 www.meligranaeditore.com
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Antonio Mennella
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Personaggi
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Antonio Mennella
Nato il primo gennaio 1943 e laureato in giurisprudenza, è stato un funzionario di dogana. Collabora, tramite articoli sulla birra nel mondo, con la rivista Degusta di Bologna. Ha pubblicato: Confessioni di un figlio dell’uomo – 1975 – romanzo; San Valentino – 1975 – poemetto classico; Gea – 1980 – romanzo; Il fratello del ministro – 1980 – commedia; Don Fabrizio Gerbino – 1980 – dramma; Gigi il Testone – 1982 – romanzo per ragazzi; Il figlioccio – 1982 – commedia; Umane inquietudini – 1982 – poesie classiche e libere; Memoriale di uno psicopatico sessuale – 1983 – romanzo per adulti; La famiglia Limone – 1983 – commedia; Gli anemoni di primavera – 1983 – dramma; Giocatore d’azzardo – 1984 – commedia; Fiordaliso – 1984 – dramma; Dizionario di ortografia e pronunzia della lingua italiana – 1989; La birra – 2010; Guida alla birra – 2011;
L’Italia oggi – 2012 (i Comuni italiani nella loro pronunzia corretta e nome dei rispettivi abitanti, con notizie storiche sulle regioni e province); Conoscere la birra – 2013.
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PERSONAGGI
Don Michele Sarzola Don Raffaele Piacquadio Il signor Ferrante Carminuccio detto lo Zoppo Saverio Nicola Vittorio Erminia La Signora Due Questurini
In una città del Sud Italia, negli anni ’70 del secolo XX.
ATTO PRIMO
Studio di don Michele Sarzola. L’arredamento è abbastanza pesante: riflette la persona arricchita, manierata e priva di gusto. A sinistra, la porta di là e di qua ritratto a figura intera del Ministro. La biblioteca, in fondo. A destra, la scrivania con uno scranno dietro e il portatelefono di là; davanti, due sedie imbottite di cui solo quella di là viene utilizzata.
SCENA PRIMA
DON MICHELE E DON RAFFAELE
Il secondo, piuttosto avanti negli anni, chiude la porta e si trascina con palese affanno. Il primo, seduto dietro la scrivania in atteggiamento altezzoso, si limita a porgere affettatamente la mano.
RAFFAELE – Che piacere rivedervi, dopo tanto tempo! MICHELE – (apatico) Accomodatevi. RAFFAELE – (siede) Forse... ho disturbato. MICHELE – (si rende conto che deve sforzarsi ad apparire diverso) Non sia mai detto! Don Raffaele Piacquadio è sempre il benvenuto in questa casa. RAFFAELE – (con abbandono nostalgico) Sembra ieri che voi e vostro fratello, due scugnizzi imprevedibili, mi facevate dannare l’anima tutte le sante sere. Quante volte dovetti rimanere fino a notte fonda dietro la finestra con lo schioppo spianato! (Pausa.) Eh, sì! Allora una scorpacciata di ciliege sostituiva volentieri il piatto di minestra che spesso mancava.
MICHELE – (con velato risentimento) Sono trascorsi decenni. RAFFAELE – Ricordate, don Michele? Concetta non buttava mai un paio di pantaloni smessi dal nostro Fabrizio. Vostra madre, la buonanima, con pazienza certosina li arrangiava per voi. MICHELE – (alla fine sbotta) Don Raffaele! Non tanto per me... (Indica il ritratto.) E poi... ué! Chi vi crederebbe? Oggi, Sua Eccellenza è in grado di vestire d’oro la città e il vostro paesello. RAFFAELE – Un tempo era anche il vostro, don Michele. MICHELE – Ma è rimasto troppo piccolo per ospitare un ministro, o me stesso che, modestamente... sono quello che sono. RAFFAELE – Per questo vi ammiro entrambi. Ne avete fatto, di sacrifici: e il risultato si vede. Fabrizio, avesse sofferto la metà di voi due, coi soldi che ci ha consumato, pure lui... MICHELE – (perentorio) Il ato... è ato. Non esiste più! RAFFAELE – Scusate se mi sono un po’ lasciato andare. A una certa età si vive soltanto di ricordi. MICHELE – A voler pignoleggiare, egregio signore, non poco vi siete sbracato. Io, sono un galantuomo, dai sentimenti gentili, teneri. Ma una persona più suscettibile (accenna di nuovo al ritratto)... E voi avreste finito di sguazzare, don Raffaele Piacquadio! RAFFAELE – Mi sono permesso con voi, che siete cresciuto nel mio cortile, di toccare determinati tasti. MICHELE – (indignato) E non dovete sfiorarli nemmeno con me! Che sono un netturbino, io? o il vostro barbiere? Trent’anni fa, potevate essere quello che millantate, col beneficio d’inventario logicamente; oggi, la gente constata con mano chi è don Michele Sarzola. Per non parlare (indicando ancora il ritratto) di Giovanni, una potenza nella Capitale. Beh! cambiamo argomento. (Significa, gesticolando nervosamente, di venire al sodo.) RAFFAELE – Sono qui per Fabrizio. E’ una vita che presta servizio lontano da
casa. Gli succedesse qualcosa, coi tempi che corrono... non lo vedremmo nemmeno spirare. MICHELE – (contento di potersi prendere la rivincita) E’ il suo mestiere, carissimo amico. Quando si fa una scelta, bisogna essere consapevoli degli inconvenienti a cui si va incontro. Lo pagano profumatamente per questo. Oh! sapete che guadagna più di me? Io, non prendo mica l’indennità di rischio. E... c’è dell’altro (indica con la mano introiti illeciti): voi mi avete capito. Con la differenza che, io, sono il pilastro del Comune; lui... Volete mettermi alla sua stregua? E’ un maresciallo di piedipiatti, e basta. RAFFAELE – Sì, ma ormai siamo vecchi. Da un po’ di tempo la povera Concetta non riesce più a stare in giro per la casa. Col figlio vicino... ecco. Fabrizio ha una femminuccia grandicella, la moglie molto servizievole... MICHELE – (sempre più soddisfatto, e ironico) Anch’io vivrei felice accanto a mio fratello che mi vuole un sacco di bene. La buonanima, dopo le rinunzie, gli stenti per tirarci su, come insinuavate voi testé, avrebbe desiderato godersi due gioielli invidiati dalle mamme del globo intero. RAFFAELE – Se voi però spendeste qualche parola (accennando al ritratto), con l’autorità di Sua Eccellenza... MICHELE – Qui casca l’asino! Chi è al di fuori scorge solo rose e fiori, pensa cioè che spostare un sottufficiale di polizia sia una ghiotta scorpacciata di spaghetti all’aglio e olio. Date retta a me, don Raffaele: è tanto, tanto difficile. Per forza, almeno novanta su cento gli statali, civili e militari, sono del Sud. Rientrassero tutti in famiglia, mi dite chi resterebbe nel Settentrione? Lì si preferisce la ditta privata, e non hanno tutti i torti, con la miseria che a il Governo. Disgraziatamente noi della Bassa siamo quelli che conoscono i sei continenti: poveri, ignoranti e pretenziosi. Le conseguenze, brillano. Abbiamo un modo di ragionare e agire... squilibrato: allora ben ci sta. Ogni qual volta un inviato dalla Provvidenza pone la prima pietra di una fabbrica, subito arriva il guappo per la tangente; l’operaio si guarda scrupolosamente dal versare una goccia di sudore e studia intanto come portarsi via qualcosa la sera, perfino i chiodi o le viti di un capannone; l’impiegato esige la direzione dell’azienda, un infarinato la partecipazione agli utili. In breve, noi meridionali sappiamo fare esclusivamente gli statali, perché si fatica poco o nulla, e si ha il pane assicurato, cascasse il mondo. E non ci rendiamo conto di rimanere sempre più
paurosamente indietro... che presto scureggeremo dalla fame. RAFFAELE – Avete pienamente ragione. Tuttavia nessuno, da solo, potrebbe raddrizzare la baracca; alla mia età poi... MICHELE – Proprio questa è la bestialità! Ognuno, preso dagli sporchi interessi personali, spera che altri faccia per sé e per i suoi. (Aguzza gli orecchi per riconoscere una voce proveniente dalla sala d’attesa.) Scusate... RAFFAELE – (tra sé) Se il ciuccio non annusa fieno... (Pausa.) Sentite, don Michele: avrei da dirvi un’altra cosa. MICHELE – Se avete un po’ di pazienza, dopo si parlerà con comodo. Fuori, c’è un amico che ha urgenza di vedermi. (Il cenno della mano è univoco: uscire in fretta.) RAFFAELE – Aspetto. (Si alza ed esce, lasciando la porta aperta.)
SCENA SECONDA
IL SIGNOR FERRANTE E DON MICHELE
FERRANTE – (facendo capolino) Si può? (Chiude la porta e viene avanti.) MICHELE – (scatta in piedi come una molla) Carissimo signor Ferrante! (Stringe calorosamente la mano tesa dall’ospite con entrambe le proprie.) Prego. (Siede e indica di fare altrettanto. Il signor Ferrante vorrebbe, sedendo, ringraziare; ma viene bruciato sul tempo.) Scommetto che la screanzata di Rosetta non vi ha nemmeno accompagnato in sala d’attesa. FERRANTE – Povera donna! Ha voluto per forza andar giù lei, a prendere l’altra scatola in macchina. MICHELE – Ma perché volete sempre pigliarvi fastidio?! (Pausa.) Forse non
avete tutti i torti. In questa casa il vino manca sempre. Non sembra proprio un convento di scani: chi porta e chi... arraffa. Voi mi avete capito. A proposito! sapete che stasera viene Sua Eccellenza? FERRANTE – Oh! mi dispiace. Avevo messo da parte una confezioncina... MICHELE – (s’impermalisce visibilmente) Dunque a me?... FERRANTE – No, no, per carità! Non mi permetterei. Parliamoci chiaro, don Michele. Tutta la montatura serve a conferire un certo prestigio; il vino è quello. MICHELE – Ecco, ecco. Potete allora telefonare di qui e incaricare qualcuno... (Gli porge la cornetta.) Accomodatevi pure. Da mattina a sera, in questa casa, non si fa altro che telefonare, e poi per nulla. FERRANTE – Ci penserò io personalmente: ho da are per il magazzino. MICHELE – (depone la cornetta) Credevo preferiste levarvi subito il pensiero. Siete così indaffarato, e una distrazione... Intanto, io riceverei rimostranze da parte di Giovanni. Lui ci tiene, e voi lo sapete benissimo, a trovare sempre qualcosa di carino che in qualche modo ricompensi la sua straordinaria magnanimità. FERRANTE – Don Michele! scordarmi di voi e, specie di vostro fratello? (Pausa.) E... per parlare con lui personalmente? Vedo che la faccenda si sta trascinando da troppo tempo. MICHELE – Vi ha dato di volta il cervello stamani? signor Ferrante! Non ritengo sia proprio il caso. Ormai siamo a buon punto, e vogliamo stupidamente rischiare di mandare tutto a carte quarantotto? Vedete... Sua Eccellenza è un tesoro; ma anche un dito ombroso, l’unico difetto che purtroppo devo riconoscergli. Insomma... non è prudente, per due persone giudiziose come noi. E non sembra neanche tanto delicato. Un ministro che si rechi in visita dall’unico fratello, a cui peraltro vuole un bene dell’anima, desidera godersi un’ora d’intimità. Arriva apposta in assoluta riservatezza; e io dovrei fargli trovare una persona che lo aspetta a gloria per rovinare la visita, e la serata? Consideratelo pure un ingrato, un misantropo... un fuggiasco: ha sacrosantamente ragione. Provate a immaginare in cosa si trasformerebbe la strada se solo avessero sentore... un autentico mercato del giovedì. La gente è curiosa, maleducata, petulante. Non mi riferisco a voi, che siete una degna
persona. Purtroppo non tutti sono come voi. Si presentano addirittura individui dalla campagna: rozzi, incivili, il più delle volte maleodoranti. Avete visto quel cafone lì fuori? Dio ve ne liberi! Per fortuna ci sono io, a fare da intermediario. Basta non asfissiarlo, e si ottiene dalla sua mano potentissima quanto è lecito chiedere a un raro esemplare di filantropia come mio fratello. Ovvio, non si può mica pretendere su due piedi un posto da nababbo: gliel’avrei chiesto io per primo. FERRANTE – Mi fido di voi. MICHELE – Potete dormire tra sei guanciali. Oh! dovesse malauguratamente uscirmi di mente... Giovanni non è fesso, per occupare il posto che occupa. Domanderebbe la provenienza di una confezione così carina... eccetera, eccetera. FERRANTE – Grazie, don Michele. MICHELE – Non c’è di che. Mi rendo conto che un giovane di venticinque anni e a non può ancora gravare sulle spalle dei gentitori anziani. Non dubitate: un posticino decente uscirà anche per vostro fratello. Occorre soltanto un po’ di pazienza. (Si alza dirigendosi verso la porta.) FERRANTE – (si alza, e tra sé) Se ne ho, di santa pazienza! Mi consuma più vino lui che il ristorante Barracuda. (Lo segue, e normalmente) D’accordo! (Tende la mano.) Arrivederci! MICHELE – (sta per salutare quando ritira la mano e torna verso la scrivania) Signor Ferrante... FERRANTE – Dite. MICHELE – Vedete... si tratti di chiedere per gli altri, mi riesce perfino essere apparentemente sfacciato. Per me invece... proprio non so esprimere un desiderio. FERRANTE – Parlate liberamente. (Tra sé) Ancora non è finita la giornata. MICHELE – Non sembrerebbe; ma vi assicuro... mi sento schifosamente impacciato. FERRANTE – Via, don Michele!
MICHELE – E va bene! (Si dà coraggio, poi) Non vi trovereste accidentalmente nel magazzino una confezioncina come quella che dovete portare per Sua Eccellenza? Oggi è il compleanno di un amico fraterno, e non mi vergogno di confessarvi che ancora non ho pensato a un regalino decente. FERRANTE – (reprimendo alla men peggio un’ondata di sdegno) Cercherò di accontentarvi. MICHELE – Per voi non dovrebbero esistere problemi, signor Ferrante. Il primo rappresentante di zona dei vini tipici nazionali ed esteri... Non sta a me insegnarvi come dev’essere un pensierino di tutto rispetto. FERRANTE – In meno di un’ora avrete la roba. MICHELE – Adesso sì che mi sento più sereno. (Va verso la porta seguito dall’ospite. Posa la mano sulla maniglia, ma prima di girarla) Anche per Sua Eccellenza? FERRANTE – Certamente. MICHELE – (apre e tende la mano, quasi a spingerlo fuori) A presto, signor Ferrante! (Quest’ultimo saluta col capo ed esce.) Se volete riaccomodarvi, don Raffaele... (Ritorna a sedere dietro la scrivania.)
SCENA TERZA
DON RAFFAELE E DON MICHELE
RAFFAELE – (chiude la porta e siede) Scusate se vi rubo ancora un po’ di tempo; ma non potevo andar via senza avervi chiesto perdono per una mia impertinenza. Ho portato un modestissimo pensierino, non affatto con l’intento di ripagare il grosso favore che, sinceramente, mi aspettavo da voi. MICHELE – (su tutte le furie, balza in piedi) Un altro vizio incorreggibile del
Meridione! (Batte il pugno sulla scrivania.) Tengo a precisare, egregio don Raffaele Piacquadio, che io per principio non accetto niente da nessuno. Siete padrone di venire in casa mia quando vi pare, ma sempre a mani vuote. Se dunque avete idee balzane per la testa, rivolgetevi altrove, perché io non sono proprio la persona disposta a simili obbrobriosi compromessi. RAFFAELE – E’ roba fatta da noi, sana e genuina: un prosciutto, tre coppie di salami, un capicollo, e un pezzo di lardo. MICHELE – Mi avete fregato. (Si lascia cadere sullo scranno.) Non è così che si agisce, don Raffaele. Significa approfittare proditoriamente delle debolezze altrui. RAFFAELE – Non ci pensavo lontanamente, don Michele. MICHELE – Eh! vi conosco troppo bene, amico mio. Siete stato in malafede. Comunque, mi assicurate perlomeno di non aver speso una lira? RAFFAELE – Diamine! Abbiamo ammazzato il maiale noi. MICHELE – E... a chi avete consegnato la roba? La cameriera ha ordini tassativi: non prendere mai alcunché da chicchessia. Perbacco! la licenzio su due piedi. RAFFAELE – Veramente, le ho dato a intendere che voi, in via del tutto eccezionale, eravate consenziente. MICHELE – Ecco, adesso vorrei sapere da voi come regolarmi. Mettervi alla porta, e far volare dalla finestra prosciutto e capicollo? lardo e salami? sperando chiaramente che non vi finiscano in testa per non mettermi nei guai con un eventuale trauma cranico, nella migliore delle ipotesi. Mannaggia don Raffaele Piacquadio! Purtroppo credo di essere l’unica persona al mondo orgogliosa di riconoscere i propri difetti. Non vi nascondo insomma che la carne suina, chiaramente quella sana e genuina da un bel maiale ammazzato in casa, per me è una tentazione... sì, irresistibile. Chiamatemi pure maiale più ingordo del maiale che avete ammazzato con le vostre mani: in questo caso, ve lo perdonerei a cuor leggero. Non immaginate lontanamente quante volte abbia cercato di estirpare questa gramigna scandalosa dalla mia integrità d’animo, morale e di costrume; magari soffermandomi con l’immaginazione a spiare un porco che si avvoltola nel brago. Sì, lì per lì provo un forte senso di ripugnanza; non appena però il
pensiero va al giorno benedetto della maialatura... E’ più forte di me, direi una tara ereditaria. Eh! (indicando il ritratto) a vederlo, sembra un rachitico, schifato dei grassi. Eppure... oh, porco diavolo! (Si alza di scatto per uscire.) Bisogna avvertire la domestica di far sparire dalla circolazione... Stasera arriva lui, e addio! prosciutto, salami, lardo e capicollo! RAFFAELE – Non vi preoccupate. Porterò qualcosa anche per Sua Eccellenza. MICHELE – E quando, don Raffaele? Se non trova la sua parte, si porterà via la mia. Voi Giovanni, dovreste conoscerlo bene. Ricordate quando la sera ci arrampicavamo sui vostri ciliegi? Finalmente ve lo posso confidare: era sempre da lui che partiva l’iniziativa. Fosse stato per me, sarei andato a letto digiuno piuttosto che riempirmi la pancia con le ciliege rubate a voi. (Pausa.) Adesso che ci penso, ho la netta sensazione che, se non ho fatto la carriera folgorante di mio fratello, la colpa è tutta, ed esclusivamente, della mia eccessiva rigidità morale. RAFFAELE – Per l’ora di cena avrete un altro prosciutto, tre coppie di salami, un capicollo... e anche una sfilzetta di salsicce, bella lunghina. MICHELE – Siete un birbante! A lui sì, le salsicce, e a me che ne vado pazzo... RAFFAELE – Perché ne sono rimaste poche. Sapete... sono le prime ad andar via, e il povero Beppe, il maialone, è un pezzo che ha sacrificato la propria vita per deliziare la nostra pancia. Comunque, le prenderete voi, visto che vi piacciono tanto. MICHELE – Il fatto è che piacciono anche a Giovanni. E poi, se le avete destinate a lui... pazienza! Mi accontenterò della rimanenza. Mi raccomando però: setacciate la casa e... attenzione! non lasciatene neanche mezza in giro, fosse stata rosicata dai topi. RAFFAELE – Sarà pensiero mio. MICHELE – E il lardo? Ah, no! Neppure l’odore, ne sentirà mio fratello. Rosetta ci tira fuori la sugna per un ragù da re; e che ciccioli, fragranti e corposi, per le sue impareggiabili focacce! A me piace anche affettato in una bella pagnottella calda a colazione. RAFFAELE – Ne porterò un altro pezzo.
MICHELE – Bravo, bravo, don Raffaele! (Pausa di riflessione.) Io sono come i cornuti; ma non lo sono, e voi, come tutti gli altri, lo sapete perfettamente: rumino sempre le cose. E’ sottinteso che io parlo di “mandare”, e voi insistete col “portare”. Non avreste mica intenzione di rifare stasera quella stradaccia piena di insidie? e nelle vostre condizioni precarie di salute e di spirito! RAFFAELE – Penso che anche Sua Eccellenza rivedrebbe con piacere un vecchio compaesano che lo ha visto nascere. MICHELE – Via, via, don Raffaele! neanche a sognarlo! In paese, ci sono ragazzi che per cinquecento lire vi vanno scalzi a Roma. Piuttosto... eh! il problema non è ancora del tutto risolto. RAFFAELE – Cioè? MICHELE – Capisco che voi, dal di fuori, non potete vedere le cose tanto lontano dal vostro naso. Purtroppo, Giovanni avrà pur da fare un bel regalo, che so, al capo della polizia o chi per esso. Non è un favore di tutti i giorni: la cosa a per mano di troppa gente insomma. RAFFAELE – Qualche cosettina, c’è rimasta. In una maniera o nell’altra, si accontenterà chi di dovere. MICHELE – Voi, troppo facilmente, fate facile il difficile. Non si può bussare alla porta di un generale o del Ministro degli Interni con una coppia di salami appesa al braccio e il pezzo di lardo che per il caldo cola sul pavimento del pianerottolo. RAFFAELE – Naturalmente si preparerà una confezione ammodo. MICHELE – Ih, come afferrate subito, a modo vostro, il senso delle cose! La questione non è di forma, bensì di contenuto, caro don Raffaele. Trovate un parente, un amico, un conoscente, con una scorta più sostanziosa. RAFFAELE – (dopo aver riflettuto) Ci sarebbe il fratello di Concetta. Abbiamo ammazzato il maiale insieme, e lui non ha toccato ancora nemmeno un cotechino per ottenere la stagionatura perfetta. MICHELE – Oh, sia lodata la Vergine Santissima! (Pausa di preparazione a un attacco decisivo.) Non fatelo allora nemmeno entrare in cantina, a costo di
sottrargli la chiave con violenza. Da parte sua, l’accorta Concetta gli prospetterà ad arte la necessità per voi di avere il figlio vicino... e state pur certo che il fortunato cognatino sacrificherà volentieri il povero Beppe II, sfracellato lì sotto, alla nobile causa familiare. RAFFAELE – Beh! ci provo. MICHELE – Avete già cambiato idea? Non si può dedurre altro dalla vostra ignavia. RAFFAELE – No, ma sapete... quello è un santo che non fa miracoli. MICHELE – Porca miseria! Non sarà mica un ebete, mi auguro per lui. Qual è il suo mestiere? RAFFAELE – Ha un emporio. MICHELE – Benissimo! Presto il Governo conferirà alla polizia di Stato pieni poteri esecutivi; e un maresciallo con parecchi anni di servizio sul groppone diventerebbe qualcuno nel circondario, dove da sempre un semplice appuntato si atteggia a padreterno. Dunque in caso di noie con la legge (e chi gestisce un pubblico esercizio non è mai in regola, ve lo garantisce il sottoscritto che di queste cose, ne ha le tasche piene), il cognato cervellotico avrebbe le spalle coperte. E, per voi, si sarà presentata l’opportunità irripetibile di togliervi l’obbligazione. RAFFAELE – Che volete, quello non è un tipo di larghe vedute. Vi dirò di più: in qualche circostanza si è addirittura rivelato un avaraccio. MICHELE – Don Raffaele benedetto! Potevate risparmiarmi il fiato. Non esiste problema di sorta in tal caso: gli pagherete il tutto, e la storia finirà automaticamente. RAFFAELE – Speriamo bene. MICHELE – Ah!... ma sono io che stamane non connetto? Cosa avrebbe da recriminare, questo disgustoso taccagno, una volta venduto il suo lurido porco a una cifra... magari molto più alta della norma? (Si alza tendendo la mano all’ospite che è costretto ad accomiatarsi.) Seguendo rigorosamente l’ordine cronologico, non potrete sbagliarvi. Per la cena aspetto la roba di Sua
Eccellenza, e le famose salsicce per me; quindi sarete avvertito circa la consegna del maiale. (Apre la porta.) A presto! (L’ospite esce. Chiude la porta.)
SCENA QUARTA
DON MICHELE SOLO
(Sta per tornare dietro la scrivania, quando lo sguardo viene attirato dal ritratto) Sai che a volte non ti capisco davvero? (Si avvicina.) Hai qualcosa da rimproverarmi, con quella faccia? Sì, mi arrangio con tali intrallazzi, sfruttando il tuo nome, la tua autorità; anche inventando le tue visite, se del caso. Ma perché non ho le tue entrate da nababbo. Con quei quattro soldi che a il Comune... ih! avrei voglia di far la fame. E poi si lamentano pure ché io, per un motivo o per un altro, sto sempre a casa! (Pausa.) Certo, perfino questo posto, per quanto miserabile che sia, lo devo a te. Ma tu? come e quando pensi di poterti disobbligare? Nostro padre – pace all’anima sua! – ci lasciò soltanto due immensi occhi per sfogare la disperazione secondo la sensibilità di ciascuno. Chi abbandonò allora l’università per aiutare la mamma nei salti mortali? per consentire a te di finire gli studi? e... diventare quello che sei diventato? E, dalla tua posizione, ti sei forse una volta sola degnato di chiedermi se avevo bisogno di un soldo per cecarmi gli occhi? O tutte le volte che sei venuto a strafogarti, portandoti dietro quelle sette, otto, anche dieci persone, mi hai regalato, prima, una scatola di fiammiferi per accendere il gas o, dopo, mille lire per alleggerirmi la spesa? Così ora, di punto in bianco, mi rinneghi, Giovanni? (Si gira di spalle.) Oh, no! (Si rigira.) Scherziamo, caro fratello. Ci siamo sempre voluti bene, noi due, nella buona e nella cattiva sorte. (Bussano alla porta. Va ad aprire.) Venite, Carminuccio!
SCENA QUINTA
CARMINUCCIO E DETTO
MICHELE – (fa entrare l’ospite, vistosamente claudicante, senza tendergli la mano; chiude la porta e va a sedere, indicando di fare lo stesso) Ditemi pure in cosa posso esservi ancora utile. CARMINUCCIO – (dopo essersi concentrato) Vorrei aprire una porta, larga l’indispensabile, dietro la macelleria. Così, quando mi portano la carne, entrano da via Piave. Perché ogni volta devo far uscire i clienti per non imbrattarli. E poi... non è neanche igienico. MICHELE – Benissimo! Chiamate muratori e falegname, anche per domattina. CARMINUCCIO – E... se qualcuno trovasse da ridire? MICHELE – In giornata parlerò con chi di dovere. Comunque, nel caso riceveste noie, fate tranquillamente il mio nome. CARMINUCCIO – (si alza prendendogli la mano per baciarla) Grazie, don Michele. MICHELE – (ritira la mano) Che mi avete preso per un cappellano! Piuttosto... sedete. (Carminuccio siede.) Io non esigo una lira per i favori che largisco a esclusivo scopo umanitario. Detesto cordialmente i compromessi e ogni sorta di espedienti; sono fatto così, e mi sento fiero di non essere altrimenti. Voi comunque... ih! Con una grazia ricevuta in occasione della licenza e un’altra in corso d’opera, adesso come allora, nemmeno vi sfiora l’idea di dire: “Vi manderò un chilo di carne”. Eppure avete, grazie alla mia magnanimità, una macelleria che fa soldi a palate. Eh! avrei voluto vedere se, al posto mio, voi... Io, nei vostri panni, non avrei sicuramente fatto questa figura, più che meschina, schifosa. CARMINUCCIO – Pensavo che la vicenda si svolgesse come allora. Se ricordate bene, quella persona di cui solo voi conoscete il nome, prima di darmi la licenza pretese un mare di quattrini. Vedrete che pure questa volta qualcuno, per mano vostra, verrà fuori. E, siccome sono autorizzato a iniziare il lavoro anche domattina, mi aspetto la “bussata” in giornata.
MICHELE – Sempre la stessa persona. Senz’altro però non vi servite di entrambi gli orecchi dei quali, immagino, abbiate la piena disponibilità. Ecco, con voi bisogna essere sfacciati, anche violentemente, se si vuol reggere il confronto. Oh! sborsaste o sborserete un miliardo, a me non entrò e non entrerà in tasca una lira. E’ una faccenda che riguarda ancora solo quella persona. Vorreste sapere il nome, vero? Non è per non darvi questa soddisfazione: siamo entrambi uomini e non caporali. Io, non feci e non farò il suo nome; lui, non mi disse e non mi dirà il prezzo di un favore peraltro non da poco. CARMINUCCIO – Vi manderò un bel chilo di carne. MICHELE – Come siete categorico! Parlavo di un chilo così... intendendo un po’ di bistecche per questa famigliastra che cresce a vista d’occhio. CARMINUCCIO – Non siete solo voi, vostra moglie e la domestica? MICHELE – Ma non a pranzo e a cena, quando si presentano puntuali certi ingordi mangiafranchi... CARMINUCCIO – Uh, mamma mia! Io davvero non vorrei ritrovarmi a tavola con persone indesiderate. MICHELE – Però vi mettete a pesare la carne – un chilo esatto! – per un galantuomo il quale vi ha messo in condizione di impinguarvi, e di fare tuttora i vostri porci comodi alla faccia delle rigide norme edilizie. Su, telefonate di qui! (Gli porge la cornetta.) Pare che Rosetta non sia ancora uscita per la spesa. Mi fareste un grosso favore, perché quella pettegola quando va fuori dimentica la via di casa. CARMINUCCIO – E’ quasi ora di pranzo, don Michele. MICHELE – Sapete che siete più indiscreto di un somaro? Deve rendere conto a voi, la mia domestica, se un giorno per un motivo o per un altro s’è sbrigata più tardi con le faccende? Su! che numero avete? CARMINUCCIO – 76.34.98. MICHELE – (compone il numero con l’altra mano, poi) Tenete: sta chiamando. (Si accerta.) Ecco.
CARMINUCCIO – (prende la cornetta) Oh, Rosaria!... Un attimo. (A don Michele) Quante bistecche vi occorrono? MICHELE – (conta sulle dita) Una, due, tre, quattro, cinque: per noi. Con Rosetta, sei. CARMINUCCIO – (a telefono) Manda sei bistecche a don Michele Sarzola. MICHELE – E non le dite che devono essere belle grosse! Almeno questo, visto che sembrate un matematico. Conosco poi la vostra signora: è capacissima di mettere in mano al garzone sei “mezze suole”. CARMINUCCIO – State tranquillo. (Fa per restituire la cornetta.) MICHELE – Aspettate! CARMUNUCCIO – (riporta la cornetta all’orecchio per accertarsi che l’interlocutrice sia sempre in linea, poi) Ha attaccato. MICHELE – Bravo voi, brava vostra moglie, bravi tutti! Adesso io mi domando e dico: come farò stasera quando si presenterà Sua Eccellenza con relativa scorta? Saranno, a dir poco, una decina. CARMINUCCIO – Oh, don Michele! Le bistecche costano l’ira di Dio. MICHELE – Siete un bel pidocchioso. Ué! se io posso... quello che posso, non è certo grazie alla vostra faccia patibolare. (Rifà il numero e porge la cornetta all’ospite.) CARMINUCCIO – (a telefono) Sono sempre io... Diventano sedici... MICHELE – (tra sé) Coi numeri è un fenomeno. CARMINUCCIO – (a telefono) Sì, le bistecche... Non sono impazzito io. MICHELE – E chi sarebbe, secondo voi, il pazzo? Se qualcuno domani vi fermerà la delicatissima operazione di apertura della porta di servizio, ci manderete la vostra consorte, tanto ringalluzzita e strafottente, a dissuaderlo. CARMINUCCIO – (a telefono) Poi ti spiegherò. (Fa per restituire la cornetta.)
MICHELE – Aspettate! CARMINUCCIO – (a telefono) Aspetta!... (Poi) Scusate, don Michele: in macelleria, c’è gente. Mi avete bloccato il lavoro. MICHELE – Quando quella persona vi bocciò la licenza, vostra moglie non ebbe il coraggio di fiatare. Che è diventata un’amazzone all’improvviso? Siete due egoisti coi fiocchi. Lasciamo perdere il pranzo, ché saremo in famiglia. Sei bistecche, e basta. Da voi non voglio nulla. Pare che mi stiate regalando brillanti. Non riterrete però che la cena si faccia solo con le bistecche. Vi scomoda troppo ordinare qualche altra cosa, che so, tre o quattro polli, un paio di conigli, un pezzo di carne decente per il ragù? Quella, non è gente come voi che, pur di risparmiare, vi otturereste ... CARMINUCCIO – (a telefono) E un attimo!... (A don Michele) Avranno pur mangiato a mezzogiorno, questi sfondati! MICHELE – Ué, ué! Nei riguardi di un ministro e dei suoi accompagnatori usate il debito rispetto. Perdinci! Un po’ di creanza, ci vuole in tutto, indipendentemente dai vili natali. Se non vi preme, come sembrava, aprire la porta... Così almeno non mi romperete più l’anima. CARMINUCCIO – Quanto siete permaloso! MICHELE – Non è questione di parmalosità. Non tollero le villanie, ecco. A casa vostra, esimio beccaio, gli ospiti, trattateli come siete abituato. Chi mangia da me, deve alzarsi da tavola bello pieno e soddisfatto. Su, ordinate! CARMINUCCIO – (a telefono) Prendi un foglio e scivi, ché la lista è lunga. (A don Michele) Dettate. MICHELE – Bistecche: sei, più dieci, dodici... CARMINUCCIO – Sono aumentate? MICHELE – E se si presentassero quindici persone? Comunque fate venti in tutto. Dovessero gli ospiti essere di più, si arrangerà Rosetta. CARMINUCCIO – (a telefono) Sei pronta, Rosaria?... Bene! Venti bistecche... Piuttosto sbrigati, ché tra poco diventeranno trenta. (A don Michele) E poi?
MICHELE – Non potete certo vantarvi di avere buona memoria. Vi ho detto: cinque o sei polli, tre o quattro conigli e un bel pezzo per ragù. Dopo... che ne so io. Vedete voi, se avete un po’ di robina stuzzicante... CARMINUCCIO – Magari una dozzina di uova? MICHELE – Eh! l’idea non è malvagia. Con una trentina di uova, Rosetta ci farà una delle sue frittate al prosciutto e salame da far leccare i baffi a un pascià. CARMINUCCIO – Per fortuna, non teniamo né prosciutti né affettati. MICHELE – E chi ve li ha chiesti! CARMINUCCIO – (a telefono) Senti, Rosaria: oltre alle bistecche, prendi polli, uova, conigli rimasti e manda tutto qui. (A don Michele) Va bene così? (Fa per restituire la cornetta.) MICHELE – Aspettate! CARMINUCCIO – (a telefono) Aspetta! MICHELE – Sì, avete omesso qualcosa. CARMINUCCIO – Cosa? MICHELE – Insomma pretendete che la domestica prepari il ragù solo con carote, sedano e cipolla? CARMINUCCIO – (ironico) Uh! scusate. (A telefono) Abbiamo finito: un pezzo per ragù. MICHELE – Di quello buono. CARMINUCCIO – (a telefono) Il migliore... Sì, sì, manda anche le chiavi. Così il pomeriggio andrà don Michele ad aprir bottega. Ciao! (Restituisce la cornetta.) Grazie. MICHELE – (ripone la cornetta) Non mi piaccioni le vostre espressioni ironiche. CARMINUCCIO – (balza in piedi) Altro che espressioni ironiche! (Batte il pugno sulla scrivania.) La colpa è tutta di quell’idiota di mio cognato che suggerì
alla sorella di rivolgermi a voi. MICHELE – Vostro cognato è un saggio; voi invece siete molto bizzarro, non diversamente da un cavallo della peggiore razza. Mi lasciate presumere, tramite i mezzi messi a disposizione dalla vostra cafonaggine, che non v’interessa poi tanto la porta dietro la macelleria. Potevate parlare chiaro: non avrei accumulato tutto questo peso sullo stomaco. (Con le mani mima efficacemente il peso sullo stomaco. L’ospite biascica qualcosa.) Inutile che borbottiate. Magari state mandando gli accidenti a chi mangerà la vostra roba. (Lo scruta, quindi) Degno di voi, Carminuccio lo Zoppo! (Porta la mano sotto la scrivania per i debiti scongiuri che palesa il sussultare concitato del busto.) Ma state tranquillo: la spedirò a un ristorante. Non voglio che qualcuno crepi in casa mia. Mi dispiacerebbe solo per Giovanni... pazienza! In caso di calamità collettive, non si può certo pretendere l’eccezione. E, se non avevamo attaccato, si annullava l’ordinazione delle sei bistecche per me. Tanto, ci guarderemo bene dall’assaggiare la vostra carne funesta. CARMINUCCIO – Sicuramente Rosaria non avrà ancora preparato la lista. MICHELE – Che la pagate voi, la bolletta del telefono! Fa niente. La mangerà Rosetta. Anzi, vi ringrazio anticipatamente se riuscirete a togliermela dai piedi: non la digerisco più, quella zitella acido–puzzolente. (Aiutandosi con le mani) Andate, andate! (Mentre Carminuccio esce, scorge qualcuno fuori.) Oh, Saverio! Accomodatevi pure.
SCENA SESTA
SAVERIO E DON MICHELE
SAVERIO – (chiude la porta) Buongiorno, don Michele! (Viene a stringere la mano tesa dal padrone di casa e siede al cenno di lui.) MICHELE – Non siete mica appena arrivato?
SAVERIO – Sarà una mezz’oretta buona. MICHELE – Avrete così senz’altro sentito il colpo sulla scrivania di poco fa. Eh, santo Dio! Mi sono sempre fatto in quattro per favorire questo e quello nel più assoluto disinteresse materiale, se non con la fervida speranza di venir ricompensato nell’aldilà... e ci deve essere sempre qualcuno a voler vilmente attentare alla mia integrità di spirito e morale. Allora sì che mi arrabbio, e sono capace di sfondare con un pugno il tavolo, scordandomi che (indica appunto il tavolo) è un raro pezzo di antiquariato. Ma lasciamo perdere questi “farisei”. Venendo a noi, se non vado errato, saranno, a dir poco, due anni che non ci vedevamo. SAVERIO – Eh, sì! Da quando s’è venduto il banco al mercato. Purtroppo mia moglie... (Accennando al seno) Sono quelle malattie che non perdonano. MICHELE – Uh, povera donna! chi sa quanto avrà sofferto! pace all’anima sua! (Pausa.) E... voi fate sempre il pescatore? SAVERIO – E’ il mio mestiere. MICHELE – Devo riconoscerlo: non mangio un po’ di pesce davvero fresco dall’ultima volta che me lo vendette la buonanima. Non si sa cosa combinano. Ho girato il mercato in lungo e in largo, macché! La solita schifezza. Sembra marzapane: senza fragranza, senza sapore... e per quello che oggi se lo fanno pagare! Ho sentito che è tutta roba proveniente dal Giappone, dalla Corea, e giù di lì. Lo scongelano di notte a mare in una rete... e la mattina ti ritrovi becco e bastonato. SAVERIO – Ci ho pensato io: vi ho portato due pagelli (indica con le mani grosse dimensioni) così. MICHELE – Davvero? Non ci credo. Va bene! Quanto vi devo? (Finge di mettere mano al portafoglio.) SAVERIO – Nemmeno a scherzare, don Michele! E’ un modesto pensierino. MICHELE – Siete gentilissimo! L’avete pescato proprio voi? Vi avverto che non mi fido di nessun altro. SAVERIO – Veramente è stato il mio compare a suggerire... Beh! io temevo vi
sareste potuto offendere. MICHELE – (risentito) Chi è questo bifolco? (Balza in piedi.) Non sia mai ditto che i Sarzola favoriscano chicchessia per vile interesse! (Batte il pugno sulla scrivania.) SAVERIO – Oh, no, don Michele! L’ha fatto in buona fede, ve lo posso assicurare. Si sa, un po’ di pesce fresco, oggi una vera rarità, non dispiace a un gentiluomo dai gusti raffinati. MICHELE – Siete nato con la camicia, Saverio. (Siede.) Avete un compare garbato e giudizioso... Come si chiama? SAVERIO – Non potete conoscerlo: è un vecchio pescatore, amico del mio povero papà. MICHELE – Fategli comunque i miei complimenti. E’ una persona che sa vivere: ha certe attenzioni... delicatissime. (Pausa.) Allora stanotte v’è andata bene? SAVERIO – Non posso lamentarmi, anche perché, per il maltempo, stamane al mercato, c’era poca roba. MICHELE – (rassegnato) Avete cioè già consegnato la merce. SAVERIO – Eh, sì! Alle sette la gente è in giro a comprare. MICHELE – Capisco. (Pausa.) Volevo chiedervi un piacere. Ovviamente pagando il tutto al prezzo corrente. Don Michele Sarzola non sa approfittare degli amici. SAVERIO – Non vi preoccupate per questo. MICHELE – Domani sera ho a cena mio fratello, Sua Eccellenza (indica il ritratto), vedete? SAVERIO – Se me lo ricordo! MICHELE – Lui va pazzo per il pesce fresco; invece ogni volta ci ho fatto una pessima figura. Fosse solo per Giovanni! Sapete, si porta dietro sempre quelle
sette, otto, anche dieci persone. Logico, non è mica il presidente della locale Associazione Pescatori. Per il posto che occupa, deve avere la scorta pure nelle visite ai parenti; a parte i soliti mangiafranchi che non si fanno scappare l’occasione per una bella abbuffata a spese di don Michele Sarzola. Che rottura! Ti privano perfino di quattro confidenze con un fratello. E’ purtroppo lo scotto che si deve pagare per essere saliti così in alto. SAVERIO – Vi occorre un po’ di roba insomma. MICHELE – Quanto siete intelligente, Saverio! Peccato che non avete potuto studiare. Ma non piangiamo sul latte versato. Per domani sera dunque posso stare tranquillo? SAVERIO – Dovesse andar male la pesca, voi farete la vostra figurona. Sono capace di comprare al mercato il pesce migliore. MICHELE – E Sua Eccellenza si leccherà i baffi. Poi, ih! gli si potrà chiedere anche le mutande. E’ un golosone, vizio di famiglia. (Accennando al ritratto) Non si direbbe, vero? Sembra uno stecco. Purtroppo conduce una vita da cane. (Nota nell’ospite una certa preoccupazione.) C’è qualche problema, Saverio? Ditemelo subito, in modo che possa provvedere diversamente. SAVERIO – Il problema, c’è; ed è abbastanza grosso. MICHELE – Oh, santo Dio! Parlate, per favore. SAVERIO – Vedete, don Michele... io sono un poveraccio, vesto male, ignoro le buone maniere, non ho una parlantina decente... per presentarmi al cospetto di un ministro. MICHELE – Ma voi non dovete farvi vedere neanche lontano un miglio. Eh, ci mancherebbe altro! (Riflette.) Forse vi ha tratto in inganno quello che ho detto: “Dopo una bella abbuffata, Giovanni è disposto a cedere le proprie mutande”. Non lo farebbe neanche se dovesse farsela addosso, lo conosco bene. Chiaramente mi farò carico io di chiedergli quanto di dovere, una volta che si sarà creata un’atmosfera distesa e incoraggiante. SAVERIO – Mi avete tolto un bel peso dallo stomaco. MICHELE – (tranquillizzato) Ci siamo fatti un favore reciproco. Quanto al
pesce, patti chiari, amicizia lunga, Saverio: io ve lo pago, costi quel che costi. Quando lo porterete, vi farete dare i soldi da Rosetta. D’accordo? SAVERIO – Non lo ripetete perché mi offendo. MICHELE – Questo mai! Ci mancherebbe che vi usassi una simile sgarbatezza. Immagino abbiate bisogno di un favore bello grosso. Parlate senza peli sulla lingua: mi dividerò in due per ripagare la vostra squisita delicatezza. SAVERIO – Come vi accennavo... sono rimasto vedovo. MICHELE – Ma, Saverio benedetto! Rivolgetevi a un’agenzia. Ce ne sono a bizzeffe. Eh! per forza chiudono tutte. Nessuno vuole sborsare quei quattro soldi della tariffa per risolvere talvolta problemi fondamentali. SAVERIO – Don Michele... MICHELE – Ho capito: vi vergognate. M’interesserò io in persona. Conosco un agente che sicuramente saprà accontentarvi. E’ un pochino più caro degli altri; ma ne vale davvero la pena. Vedrete che vi troverà una donna da sogno. SAVERIO – Oh! noo... MICHELE – Insomma pretendete che ve la cerchi io direttamente? e che magari ve la consegni con la prova... del nove? Volentieri vi darei Rosetta che mi sta... Solo, eh! mia moglie non la molla. E non ha tutti i torti: oggi è diventata una vera fortuna trovare una domestica che non vi chieda subito la paga sindacale; che non pretenda le marchette, il giorno di riposo settimanale, le ferie annuali, e via discorrendo. SAVERIO – Volete scherzare, don Michele? Non mi serve la moglie: ho già troppi guai che mi affliggono. MICHELE – Avete perfettamente ragione. La moglie non ha mai portato utile a nessuno. Siate però più esplicito! Mi fate sgolare per nulla. SAVERIO – Sono rimasto vedovo, e con un ragazzo... MICHELE – Ah!... ho capito. Non dubitate: avrà un posticino coi fiocchi.
SAVERIO – Non è per questo. MICHELE – Insomma! Ho l’impressione che giochiate a non farvi comprendere. Vi costa tanto dire le cose chiare? SAVERIO – Ma voi mi precedete sempre. MICHELE – Va bene! adesso vi seguirò. SAVERIO – Nicolino dovrebbe diplomarsi da ragioniere. MICHELE – Oh, finalmente ci siamo! Per il diploma non vi preoccupate: lo ha in tasca. Quindi pensiamo già a un’occupazione degna del suo titolo di studio. Se non altro, mi pare che Nicolino non abbia dimestichezza con la pesca, visto che ha preferito la scuola. SAVERIO – Per il lavoro non ci sono problemi. Tutto sta a prendersi questo benedetto pezzo di carta. MICHELE – Siete un ingenuo facilone, Saverio. I ragionieri, specie nella nostra città, si sprecano. Ne conosco certi che non riescono nemmeno a entrare nei servizi della nettezza urbana. E sapete perché? Perché, non appena si solleva il coperchio di un bidone dell’immondizia, saltano fuori ragionieri a iosa. Senza mancare di rispetto a vostro figlio, intendiamoci. SAVERIO – Lo assumeranno in una fabbrica di mobili. Il proprietario è un carissimo amico del mio compare. MICHELE – Ho la netta sensazione che questo vostro compare sia, come dire... un buffone dal classico spirito di patata. Quanto a me, sinceramente, non mi fa né caldo né freddo. Se per voi, le sue, sono promesse degne di credito... SAVERIO – Non ho alcun dubbio. MICHELE – Ma per piacere, Saverio! Voi stesso avete detto che era intimo amico di vostro padre. Ciò esclude automaticamente ogni buon rapporto con un industriale. Qua, sapete come andrà a finire? Ve lo dico io: quel povero ragazzo verrà la notte a tenervi compagnia in mare, con tutto il suo bel diploma di ragioniere in tasca.
SAVERIO – Speriamo di no. Caso mai... verrò a scocciarvi di nuovo. MICHELE – E voi credete che io rimanga perennemente in casa ad aspettare una vostra eventuale visita? Ma sapete che lavoro in Comune per guadagnarmi un tozzo di pane? Se, ogni morte di papa, mi occorre un giorno libero, devo far intervenire Sua Eccellenza. Non mi piace poi lasciare le cose a metà. Siete qui per assicurare un avvenire a Nicolino, e io ho il sacrosanto dovere di esperire i potenti mezzi di cui dispongo, a costo di usarvi violenza morale. (Bussano alla porta.) Avanti!
SCENA SETTIMA
NICOLA E DETTI
NICOLA – (dalla soglia) Oh! scusate. Non sapevo che foste impegnato. MICHELE – No, no, vieni. L’amico avrà la compiacenza di aspettare un minuto in sala. SAVERIO – Ma certamente! (Si alza ed esce tirandosi la porta dietro.)
SCENA OTTAVA
DON MICHELE E NICOLA
NICOLA – (avvicinandosi) E’ una cosa piuttosto lunga. Se lui aspetta lì fuori... MICHELE – Della cosa tua parleremo dopo, con comodo. Adesso devo sapere se per il pomeriggio sarai capace di trovare una persona disposta a comprare un
peschereccio. NICOLA – (accennando, compiaciuto, a Saverio fuori) Ho capito. Fa parte del mio mestiere. MICHELE – Allora non appena lui sarà uscito senza che ti riveda, ti sarò più preciso. NICOLA – Benissimo! (Esce.)
SCENA NONA
SAVERIO E DON MICHELE
MICHELE – Accomodatevi. (Saverio chiude la porta e siede.) Cominciamo dagli esami. Avete l’elenco della commissione? SAVERIO – Sì, sì. (Tira di tasca un foglio e glielo porge.) Ecco. MICHELE – (scorre in fretta l’elenco, poi) Proprio tutti, non li conosco personalmente; ma ci si arriverà comunque. Il professor Tiseo, è un carissimo amico di mio fratello. Già l’altr’anno promosse qui vicino autentiche teste di rapa sol perché raccomandate da me. Damiano... ih! Abbiamo banchettato insieme almeno trenta volte fuori e cinquanta tra casa mia e la sua. Quindi due sono scontati. Questo Sepe... mai avuto il piacere di vedere com’è fatto; so però che è imparentato con un mio figlioccio, e ci penserà lui. Il resto... che volete, sono un rimasuglio riempitivo della commissione. Basterà un colpo di telefono a nome di Sua Eccellenza Sarzola... e se la faranno addosso. SAVERIO – Ma non dovreste prendervela con comodo: mancano pochi giorni agli esami. MICHELE – Scherzate? Per stasera sarà tutto sistemato. Solo, eh!... Ecco, a me sinceramente, dispiace immischiarmi in queste faccende. Perché c’è poi da
affrontare argomenti che mi sono costituzionalmente antipatici. Purtroppo nessuno fa nulla per niente. Né hanno torto, questi poveri professori. Vengono presi e sbattuti a centinaia di chilometri talvolta per quattro soldi. Siamo alle solite. Il nostro, è un governo d’avanguardia sotto certi aspetti, e non a caso ne fa parte Giovanni... In alcune cose... eh, sì! Bisogna essere sionati: fatalmente emergono le vecchie pecche. Del resto con è neanche colpa dell’Amministrazione. La scuola di per sé assorbe miliardi a iosa. Ci si mettono pure i commissari d’esami, che sono tanti. Ma a voi interessa il diploma del ragazzo. SAVERIO – Speriamo che la pesca vada un po’ meglio in questi giorni; così... MICHELE – Eh, caro Saverio! Questa, è gente che viene da fuori, mangia al ristorante, dorme in albergo... O pretendereste che si portasse dietro il fornellino elettrico e una padella per cucinare il vostro pesce in camera? SAVERIO – Avete ragione. Occorrono... (Significa soldi con le dita.) MICHELE – Vedete che, se vi sforzate, le cose, le capite? D’altronde è un’occasione che si presenta una volta l’anno, e non tutti gli anni. Hanno pure il diritto di portarsi a casa un gruzzoletto, questi “disgraziati”. SAVERIO – Quanto pensate ci vorrà? MICHELE – Come faccio a dirvelo su due piedi! Perlomeno i tre delle materie principali vanno “unti” perbene. Quanto agli altri... un modesto regalino in segno di ringraziamento, ci vuole. SAVERIO – Io, ripulendomi, posso racimolare un milione e mezzo. Calcoliamo pure le cinquecentomila lire che avanzo da un amico – sempre sperando che mi riuscirà averle anzitempo – e siamo a due milioni. Di più... davvero non saprei dove sbattere la testa. Con la disgrazia della buonanima, ho dovuto vendere perfino la catapecchia ereditata dai genitori. E adesso, stessi per spirare, devo mettermi in mare ogni santa sera, non raramente senza neanche recuperare la spesa della nafta. MICHELE – A questo punto, Saverio, non saprei proprio cosa dirvi se non di lasciar perdere tutto. Quanto al pesce per Sua Eccellenza, se vi va di portarmelo, bene! Se no, fa niente. Vuol dire che collezionerò un’altra figuraccia.
SAVERIO – Così il diploma di Nicolino va a farsi friggere. MICHELE – Mi dispiace di cuore, Saverio. Purtroppo, col vostro capitale... Fosse vostro figlio debolucccio solamente in una materia secondaria, beh! Si potrebbe tentare di “compromettere” quel professore, e via! Non credo però che il rampollo di un pescatore sia una cima a scuola. SAVERIO – Nemmeno risulta l’ultimo della classe. MICHELE – Saverio, Saverio! Qui si tratta di un diploma superiore, e voi che avete scaldato appena i banchi delle elementari d’obbligo... Avete capito cosa intendo. SAVERIO – Nicolino saprà... MICHELE – Eh, san Nicolino! Sono tutti così questi benedetti ragazzi, almeno la stragrande maggioranza, che non hanno alle spalle una tradizione familiare di sufficiente cultura. Imboccano a modo loro il genitore che, poveraccio, finisce per reclamizzare con opportuni spropositi l’ignoranza da cui è inguaribilmente afflitto. Sfido io! Se fosse sicuro del fatto suo, il “ragioniere” non vi avrebbe mandato in cerca di una raccomandazione di ferro qual può garantire, disinteressatamente – tengo a precisare – il sottoscritto. SAVERIO – Che volete vi dica! MICHELE – Niente. Non dovete dire assolutamente nulla; a meno che non vogliate aggiungere altri spropositi. Cercate piuttosto di ingegnarvi per raggranellare una quindicina di milioni. Dieci se ne andranno senz’altro per la commissione. La rimanenza mi consentirà un po’ di respiro nella ricerca di un buon posticino. Eccovi fatta la nota di mediazione forzata. SAVERIO – (esterrefatto) Quindici milioni? MICHELE – Un momento! C’è da togliere i due milioni di cui disponete. Capisco che tredici milioni costituiscono sempre una grossa cifra per voi; ma io non posso certo presentarmi ai professori e bisbigliar loro nell’orecchio: “Promuovete questo disgraziato, ché ve ne renderà merito il Padreterno quando sarete crepati”. Stesso discorso che, con qualche variante di testo, andrà fatto dopo a chi si occuperà di un posto dignitoso.
SAVERIO – Suggeritemi voi qualcosa. Sono disposto, pur di sistemare il ragazzo, a cedere i panni che ho addosso. MICHELE – (tra sé) Ci siamo. (All’ospite) Eh! rincasereste nudo senza aver potuto neppure offrire un caffè ai bidelli. Via, Saverio! Chiedete un prestito. Io avrei un amico... No, no, non fa proprio al caso vostro. E’ un tipo che esige garanzie serie. Come non detto. (Pausa.) Il vostro compare... ecco. Sembra un sistematico praticante di beneficenza. SAVERIO – Quello lì sta peggio di me. MICHELE – Che vi dicevo? E voi che eravate tanto sicuro di un parolaio da strapazzo che promette a dritta e a manca con la prosopopea di un ministro senza portafoglio! Qui, Saverio, occorre un atto di coraggio. Vendete il peschereccio... e vostro figlio avrà subito diploma e lavoro. SAVERIO – Ma mi serve per campare! Con trent’anni di meno, avrei anche cambiato mestiere. MICHELE – Avete un grosso difetto, voi: non sapete affrontare e risolvere i problemi uno per volta. Adesso pensate a diplomare il ragazzo e a trovargli lavoro. SAVERIO – E poi? Coi figli di oggi... E’ generoso, riconoscente, affettuoso; non c’è dubbio su questo. Potrebbe però anche non dipendere da lui. Oh! poniamo la malaugurata ipotesi che gli capitasse tra capo e collo una donnina... come se ne trovano oggi a bizzeffe in giro? MICHELE – Siete troppo pessimista, Saverio. Aggiungo: irriverente verso il vostro Nicolino e la futura compagna, nonché maligno a pensare solo lontanamente certe cose. Di sicuro non vi lascerebbe morir di fame, dopo che avrete venduto il mezzo di sostentamento per sistemarlo. SAVERIO – E se lo fe? MICHELE – Sarebbe un farabutto! E glielo spiattellerei io personalmente sul muso coram populo. SAVERIO – Intanto, io dovrei andare a rubare.
MICHELE – Per favore, Saverio! Non ci perdiamo in chiacchiere oziose. Ascoltatemi bene. (Pausa.) Conosco un tizio da tempo intenzionato a comprare un peschereccio. Lui, s’intende di mare quanto me; sarebbe perciò disposto ad assumere un bravo “nostromo”, diciamo così. E voi sareste la persona ad hoc. Sapete... uno di quei fanatici che credono di poter rendersi importanti con gente alle dipendenze. Ciò a voi non interessa. S’illuda quanto gli pare; basta che vi dia da vivere. Secondo il mio autorevole giudizio, siete voi a guadagnarci. Oggi stanno bene gli operai, i padroni cominciano a tirare la cinghia. E, una volta che avrete il vostro dignitoso salario, al limite, potreste fregarvene altamente, del figlio ingrato e della moglie sciagurata. Su, dite quanto vale per voi e si concluderà l’affare. Fate come se fossi io l’interessato. SAVERIO – A buttarlo... trenta milioni. MICHELE – Non esageriamo adesso! Con una cifra del genere ci si compra qualcosa di moderno, più redditizio e sicuro. Il vostro barcone sarà, immagino, una carcassa. Se lo è! Lo avete sfruttato, voi e altri, da quando era in fasce mio nonno. Comunque ci dovrete lavorare voi sopra, e a quella persona il rischio riguarda quanto a me. Di qui però a pretendere... Via! è un prezzo sproporzionato, trenta milioni. Vada per tredici. Un milione e mezzo, ce l’avete voi; un altro mezzo milione, lo avanzate: non manca altro, siamo a posto. (Si alza.) Nel primo pomeriggio datemi un colpo di telefono e saprete da qual notaio vi aspetterà stasera il compratore. Frattanto non mollate quel vostro amico se, prima, non vi avrà restituito il mezzo milione. (Tende la mano all’ospite che si è alzato.) Statemi bene, Saverio! (Quest’ultimo esce avvilito, lasciando la porta aperta.)
SCENA DECIMA
DON MICHELE, POI NICOLA
MICHELE – (siede) Ho notato che devo avere un po’ di fiducia in più nelle mie possibilità. (Entra Nicola.) Chiudi e accomodati. (L’ospite ubbidisce.) Per te ci sono cinquecento bigliettoni da mille, oltre al cinque per cento su quanto sarai
capace di aumentare il prezzo agli occhi del compratore. La vendita, dirai a costui, va fatta per tredici milioni soltanto, allo scopo di non impinguare più del necessario le casse dello Stato. Ah! un’altra cosa. L’acquirente s’impegna sulla parola, dico sulla parola, ad assumere il venditore come dipendente. NICOLA – Ma la persona che penso io comprerà il peschereccio ci vorrà lavorare lei sopra. MICHELE – E chi glielo proibisce! Perciò ti ho parlato di impegno sulla parola. Proprio per salvare la faccia, lo sfamerà una ventina di giorni. NICOLA – Una mossa tattica insomma. MICHELE – Se è alla tua portata, di sicuro non sarà un galantuomo che si fa tanti scrupoli. Beh! adesso sbrighiamoci con quella tua cosa piuttosto lunga, ché s’è fatta l’ora di pranzo. NICOLA – (euforico) L’affare è esagerato, don Michele! MICHELE – (si adira) E te la prendi così comoda a dire di che si tratta! NICOLA – Questa volta però si fanno le cose perbene. Mi darete quanto mi spetta, e non le briciole, come avete sempre fatto. MICHELE – Hai sempre avuto quello che dovevi avere, ingrato ciarlatano che non sei altro! Io sono giusto e onesto, prima di tutto con me stesso. A conclusione di un affare, valuto rigorosamente le capacità di ciascuno e l’impegno profuso. Certo, non sempre capacità e impegno collimano. E, in tal caso, sono avvantaggiate le capacità nella ripartizione del premio. Perché, se tu sei un mulo, puoi solo addossarti la fatica dei sentieri di montagna, ma non arriverai in cima senza la guida del tuo padrone. Comunque, non è il momento di questi discorsi oziosi: veniamo al sodo. NICOLA – Certi miei amici vogliono realizzare un progetto faraonico. Sarebbe, in città, il primo supermercato all’americana, dove si trova di tutto, dal pane ai vestiti, dalle gomme per auto ai mobili per casa e ufficio. Sarebbero disposti a tirar fuori un bel po’ di milioni, visto che altri non ci sono riusciti per i soliti motivi di politica. Chiaramente ci vuole un grosso impegno da parte di Sua Eccellenza, perché con le vostre forze, anche se (ironico) siete quello che siete al Comune, non si caverebbe un ragno dal muro.
MICHELE – Vedi? Tu e io siamo semplicemente due muli: potremmo farci coraggio a vicenda nel lungo e faticoso cammino. Ma dove arriveremmo da soli? Una semplice telefonata di Sua Eccellenza invece... Quindi poniamo il caso che i tuoi amici tirassero fuori cento milioni: quale sarebbe per te la ripartizione? NICOLA – Facciamo cinquanta a Sua Eccellenza e cinquanta divisi tra noi due. MICHELE – Insomma proprio non ti entra in testa che tu sei soltanto un mulo? NICOLA – Eh! ma senza il mulo il padrone non va da nessuna parte; mentre il mulo può benissimo cambiar padrone. MICHELE – Come a dire che ti rivolgeresti a un altro? NICOLA – Caro don Michele, gli affari sono affari. MICHELE – Grazie, Nicola, di avermi dato l’opportunità di capire chi sei veramente. NICOLA – Chi sono io, lo avete capito oggi; chi siete voi, l’ho capito non appena ci siamo conosciuti. MICHELE – E va bene! “Selliamo” e partiamo. La ripartizione sarà quella che hai imposto tu. Quando mi farai sapere l’importo del compenso? Tieni presente, e fanne tener conto anche ai tuoi amici, che, sborsassero trecento milioni, avrebbero una grazia vera e propria, fatta con disinteressata e magnanima generosità. Perché finora nessuno è mai riuscito a mettere su in città un’impresa così colossale. Per il pagamento, sai bene come la penso: esclusivamente in contanti. NICOLA – (si alza) State tranquillo. Prima che si alzeranno le saracinesche del supermercato, le banconote, una sull’altra, saranno (batte le mani sul tavolo) qua. MICHELE – (insospettito) Aspetta un attimo! NICOLA – Dite. MICHELE – Perché si possano alzare le saracinesce, vuol dire che è stato fatto tutto.
NICOLA – Mi pare. MICHELE – Come ti pare! Cioè questi signori pagano a cose fatte? NICOLA – Mi sembra logico. Non si tratta mica di uno o due milioni. MICHELE – (si alza e lo prende per il petto) A quest’ora avrei già dovuto fare l’insulina ed essere a tavola. Invece sono qui, a perder tempo con un idiota. Ti risulta forse che io abbia una volta sola nella mia vita invertito i termini di un affare? Sono disposto a farmi in quattro per chicchessia; ma, prima, voglio vedere il “costrutto” (significa soldi con le dita.) NICOLA – Sentite, don Michele... questa gente che pare sia fatta a modo suo, è fin troppo seria: non sgarra, tanto meno tollera uno sgarro. Se proprio devo essere sincero, vi dirò che ho proprio io stabilito le condizioni. Non dico che avreste potuto avere tutto anticipatamente; almeno la metà, sì. Ma dopo? Questa gente, caro don Michele, non ci pensa due volte, a staccarvi la testa e buttarla per strada in pieno centro della città, in pieno giorno. E non perché abbia magari perduto trecento milioni, ma perché non accetta di essere presa per i fondelli da chicchessia. MICHELE – (lo lascia) Questa gente... non fa per me.
ATTO SECONDO
Vestibolo di un modesto ristorante, Il Pollo d’Oro. L’ingresso è a destra, di qua. A sinistra, di là, la porta secondaria della cucina. In fondo, la sala è coperta da un’intelaiatura con aggio a destra, dove comincia anche un’ampia vetrata. Sempre in fondo, al centro, colonna a ripiani per le bottiglie di vino pregiato. Al centro di sinistra, un mobile non più alto del metro con due scomparti per le stoviglie; sul piano posaterie, bicchieri e gli altri arredi da tavola occorrenti per il servizio al vestibolo. La caffetteria, compreso il vino comune, arriva invece dallo stesso accesso alla cucina. I due tavolini laterali, più verso il fondo, hanno due sedie ognuno, all’interno e all’esterno. Il tavolo centrale, verso qua, ha tre sedie con struttura metallica occupate invariabilmente, la sinistra, da don Michele, la centrale, di là, dall’oste e, la destra, da tutti gli altri.
SCENA PRIMA
ERMINIA E LA SIGNORA
La prima è intenta a mettere ordine sul mobile. L’altra gironzola nervosamente per la scena.
SIGNORA – (si ferma) Scommetto che vostro marito aspetta che me ne sia andata per rientrare. Ma io... di qua non mi muovo. (Riprende a gironzolare.) ERMINIA – Dovete credermi: questo mese saranno venute, sì e no, dieci persone, tra mezzogiorno e sera. SIGNORA – Fossero state diecimila, non mi avreste certo pagato la scadenza doppia.
ERMINIA – Ah, Signora! Lo dicono tutti, che avete venduto l’attività perché c’è solo da rimetterci salute e danaro. SIGNORA – La gente può dire ciò che le pare. ERMINIA – Voi però sapevate che con quei pochi risparmi dovevamo mettere su qualcosa per campare. Invece... eh! ci ritroviamo col debito sulle spalle e in un locale maledetto che sarebbe meglio chiudere. Perlomeno si eviterebbero tante spese morte. SIGNORA – (si ferma di fronte all’interlocutrice) Le chiacchiere per far saliva non mi sono mai piaciute, cara Erminia. Quando Nicola vi portò per comprare vedeste coi vostri occhi che i clienti c’erano, e non certo pochi. Se poi li avete perduti, è perché non siete stati capaci di mantenerveli. ERMINIA – I clienti! una masnada di mangiafranchi, tra parenti e amici, seduti a tavola per ingannare due sprovveduti! SIGNORA – (ironica) Li potete pure voi far sedere a tavola, una masnada di parenti e amici, per ingannare altri due sprovveduti. ERMINIA – Dovrà pur venire a riscuotere il resto della mediazione, quel “disgraziato”, impostore di Nicola... Lo sto aspettando a gloria. SIGNORA – Mi avete proprio scocciata. (Le gira le spalle per andare, ma si ferma sull’uscio.) Sapete che vi dico? Aspetto fino a stasera, e domattina andrò dall’avvocato. ERMINIA – E’ l’unica soluzione. Così ve lo riprenderete, questo cimitero di guerra. SIGNORA – Troppo comodo! Lo avete voluto? E ora ve lo tenete, il cimitero di guerra. Chiamatelo come vi torna comodo, a me renderete fin l’ultimo centesimo. (Fa per uscire.)
SCENA SECONDA
VITTORIO E DETTE
VITTORIO – (reca diversi sacchetti della spesa) Oh, buongiorno, Signora! SIGNORA – Buongiorno un accidente! E’ un’ora che vi aspetto. VITTORIO – (poggia la spesa sul tavolo centrale) Erminia non vi ha spiegato? SIGNORA – (si avvicina) Avete una bella faccia tosta anche voi. Con quella spesa potete dar da mangiare a trenta persone. Siete tutti uguali: falsi e irriconoscenti. Invece di baciarmi i piedi, ché vi ho messo in condizione di crearvi un avvenire con questo locale che a me rendeva, eccome... ERMINIA – Vi ho detto che, se lo rivolete, ve lo lasciamo immediatamente. Così finirete di arricchirvi voi; noi, ci siamo già inguaiati abbastanza. VITTORIO – Vedete, Signora... ogni giorno si spendono un mucchio di soldi sperando che arrivi un po’ di gente, e sistematicamente si butta tutto. SIGNORA – La sapete lunga, Vittorio. Ma ricordatevi che vi farò fare una di quelle figuracce... (Esce.)
SCENA TERZA
ERMINIA E VITTORIO, POI DON MICHELE
ERMINIA – Un marito più citrullo, non potevo trovarlo. (Gli si porta di fronte.) Proprio stamane ti doveva saltare in mente di comprare tutta quella roba? per far pensare che abbiamo trenta persone a pranzo? E poi... per che cosa! VITTORIO – Tu non hai mai avuto fiducia nelle mie risorse (accenna al cervello), cara mogliettina.
ERMINIA – Certo. Per darti retta una volta, ecco il risultato. (Ritorna al suo lavoro.) VITTORIO – Invece sono finiti i tempi magri. Da oggi, vedrai, avremo più gente noi che il Barracuda. (Entra don Michele.) MICHELE – (dalla soglia) Buongiorno, cari! ERMINIA – (a Vittorio, piano) Il tuo primo cliente è arrivato. MICHELE – Oh! ci sarà da far la fila oggi per mangiare. VITTORIO – Prima o poi, si dovevano pur ricordare di noi: abbiamo la cucina più genuina della città. MICHELE – E io sono pronto a testimoniare coram populo. (Si avvicina al tavolo centrale.) Olé, che belle susine!... anche le pesche. Solo a guardarle, mi si sta dilatando lo stomaco. Vado subito a fare l’insulina. Torno presto presto, eh! permesso. (Esce in fretta.)
SCENA QUARTA
ERMINIA E VITTORIO
ERMINIA – Che faccia di corno! Viene pure a dare il preavviso. E’ una settimana che si abboffa, mezzogiorno e sera. Avesse detto una volta: “Questo, è un grammo di tossico per il disturbo”! Doveva capitare proprio a noi, che non riusciamo a racimolare diciannove soldi per fare una lira. Ma adesso basta! sono stufa. Se non gli romperò i piatti su quel muso di porco... VITTORIO – Calma, Erminia!... (Trasferisce i sacchetti della spesa in cucina e ritorna.) Don Michele sarà la nostra salvezza. ERMINIA – Sicuramente! Dopo tutti i posti e i favori che hanno distribuito, lui e
il fratello... Buono anche quell’altro scheletro rifinito! VITTORIO – Se non mi fai parlare! (Pausa.) ando, ho visto sotto il portone di don Michele, a dir poco, dieci persone che si disperavano, perché da quando la signora “è al mare” non si riesce più a trovarlo in casa. ERMINIA – Da quando viene a ingozzarsi da noi. VITTORIO – Eh! Purtroppo la signora non è andata al mare. ERMINIA – E dove è andata? Tutti sanno che è nella villa al mare. VITTORIO – Non dovrei dirtelo. Il portiere mi ha fatto giurare di tenere il segreto per me. Sai che scandalo scoppierebbe? (Pausa.) Ma tu sei mia moglie... Mi raccomando: acqua in bocca!... E’ scappata col postino. ERMINIA – (disorientata) Uh, mamma mia! E del postino, che si dice? VITTORIO – Che s’è licenziato per andare ad aprire un bar a Santo Domingo. Lo sai, Paolo è un mio ex compagno delle elementari. L’ho chiamato in disparte, gli ho dato una lauta mancia... ERMINIA – Imbecille! con la nostra miseria sanguinante, vai a regalare i soldi per sapere i fatti degli altri! VITTORIO – E un attimo, santa Madonna! Non gli ho dato la mancia per questo. Sai quanto me ne frega, di don Michele e di quella “buona” donna della moglie? (Pausa.) Adesso, quando qualcuno chiederà di don Michele Sarzola in portineria, Paolo dirà che all’ora di pranzo e di cena è al ristorante Il Pollo d’Oro. ERMINIA – Tutta qui la tua idea geniale? VITTORIO – Oh! ma sei più ignorante di una capra! Non lo aspetteranno mica per strada. C’è gente che viene addirittura da fuori. Avranno pur bisogno di riempirsi la pancia, quei poveracci. Così, quando avranno scoperto dove si mangia bene pagando il giusto, vedrai che ritorneranno. Temo invece che questo bugigattolo non sarà più sufficiente. Dovremo anche assumere qualche cameriere.
ERMINIA – (contrariata) Tu sei semplicemente un illuso! (Ritorna al mobile.)
SCENA QUINTA
DON RAFFAELE E DETTI
Il cliente, boccheggiando, si dirige verso il tavolino di destra.
VITTORIO – Buongiorno! (Gli si avvicina.) Se volete accomodarvi in sala... RAFFAELE – Per un quartino di bianco e una gassosa... rimango qui. (Siede all’esterno.) ERMINIA – (tra sé, mentre il marito esce per servire l’ordinazione) Questi, sono i clienti tanto attesi! VITTORIO – (servendo) Siete di aggio? RAFFAELE – Ho saputo che don Michele Sarzola pranza da voi. (Prende a bere.) VITTORIO – Sì, sì, sarà qui a momenti. (Si avvicina a Erminia, e piano) Visto che il mio stratagemma comincia a funzionare? ERMINIA – (a Vittorio, piano) Se sono tutti così, meglio tirare giù la saracinesca. VITTORIO – (a Erminia, piano) Intanto le acque si sono smosse. Non avere sempre furia! (Arriva don Michele.) ERMINIA – (a Vittorio, piano) Ecco l’alce! Da oggi lo nomineremo la mascotte del Pollo d’Oro! Io me ne vado di là, se no... (Entra in cucina.)
SCENA SESTA
DON MICHELE E DETTI, MENO ERMINIA
MICHELE – Siamo pronti? VITTORIO – Accomodatevi. (Prende a preparare il tavolo centrale.) Non si vede ancora nessuno: così anche io mangerò in santa pace. MICHELE – Certo, se aspettate scocciatori, meglio sbrigarsi. (Si avvede del conoscente e si avvicina.) Don Raffaele! RAFFAELE – Come mai da queste parti? MICHELE – Ah! è il mio angolo di paradiso. Vittorio vi può garantire se, da quando l’ho scoperto, sia una volta mancato a pranzo. VITTORIO – Anche a cena. (Si porta davanti al mobile per sistemare qualcosa.) MICHELE – E voi? bevete solamente? Con quella roba vi si sfonda lo stomaco. (Siede di fronte.) RAFFAELE – (piano) Sapete come siamo noi cafoni: il ristorante è un lusso; ce lo permettiamo per eventi particolari, che so, un matrimonio, un battesimo... (Normalmente) Mi onorate di offrirvi da bere? MICHELE – Oh, no! grazie. In un altro posto avrei accettato volentieri. Qui, sono ospite gradito (accennando a Vittorio) di questo carissimo ragazzo. Per nessun motivo al mondo gli farei un torto del genere. (Pausa.) E voi? RAFFAELE – Sono venuto in città a sbrigare certe cosine. (Piano) Beh! Visto che ci siamo, avrei da parlarvi. MICHELE – (piano) Non si potrebbe rimandare a un’occasione migliore? Siamo in un luogo pubblico, e presumo si tratti di una cosa abbastanza riservata.
RAFFAELE – (piano) E’ troppo urgente per rimandare anche di un’ora. MICHELE – (piano) E va bene! Sembra che qualcuno sia in pericolo di vita. (Si alza e ancora piano) Comunque se ne parla dopo. Ho appena fatto l’insulina, e devo buttar giù qualche boccone. (Normalmente) Se Vittorio dice che è pronto... VITTORIO – Sì, vado a prendere i piatti. (Entra in cucina.) MICHELE – E io vado a prendere il mio posto. (Si porta a sedere al tavolo centrale.)
SCENA SETTIMA
DON MICHELE E DON RAFFAELE
RAFFAELE – Posso?... MICHELE – Non avevamo detto “dopo”! RAFFAELE – Intanto che arrivi il piatto... MICHELE – Allora, molto sinteticamente. RAFFAELE – Mi avevate assicurato che Fabrizio entro il mese sarebbe venuto vicino casa. MICHELE – Beh! il mese è finito? RAFFAELE – Il mese non è ancora finito; ma ieri sera Fabrizio ha telefonato per dirmi che, da Firenze, lo hanno trasferito a Milano. MICHELE – Sciocchezze, sciocchezze, don Raffaele! La gente si diletta a sputare bestialità. RAFFAELE – Ho parlato proprio con lui.
MICHELE – Ne siete sicuro? RAFFAELE – Vi pare che non riconosca la voce di mio figlio! MICHELE – Allora è uno scherzo. Quel burlone di Fabrizio! Intende farvi una piacevole sorpresa. Vedrete, all’improvviso vi piomberà tra capo e collo. RAFFAELE – Infatti. Ha promesso che prima di andare a Milano verrà a salutarci. MICHELE – Oh, come siete pessimista, e malfidato! State tranquillo. Se veramente è così, ci sarà stato uno sbaglio all’ufficio del personale. Sapete, chi vuole andare al Nord, chi al Sud; e i poveri funzionari del Ministero, peraltro ridotti all’osso in questo periodo di ferie, finiscono per impappinarsi. Con questo caldo poi... eh! c’è gente che perde letteralmente il cervello. (Si riprende, dopo una breve pausa di sconforto.) A meno che... ecco spiegato tutto. E’ un sottile raggiro di quei volponi che spadroneggiano a Roma per tappare la bocca alle malelingue. A Milano hanno bisogno di un sottufficiale energico e coraggioso per i gravi e continui tumulti che stanno mettendo in ginocchio la città. Quindi lo insigniscono, a missione compiuta, di una vistosa medaglia e, come premio più concreto, lo mandano a casa sua. La conferma? L’avremo entro un paio di giorni. (Si accerta di non essere sentito da orecchie indiscrete, quindi) Cercate di recuperare un po’ di roba: ritorna Sua Eccellenza. RAFFAELE – Ho da parte un bel sacco di patate. MICHELE – Che lo avete preso per un maiale! A proposito... RAFFAELE – Mi dispiace: non c’è rimasto nemmeno l’odore. MICHELE – E... vostro cognato? RAFFAELE – Non ricordate? Gli presi Beppe intero per accontentare voi. MICHELE – Sua Eccellenza, per la precisione. RAFFAELE – Avrei, comunque, fatto bene a non sottomettermici. Mi sta ancora rompendo l’anima. MICHELE – E cosa vuole? quel pidocchio risalito! Se glielo avete pagato
profumatamente... Oppure gli dovete qualcosa? RAFFAELE – Sì... ma poca roba. MICHELE – Eh!... allora la colpa è vostra.
SCENA OTTAVA
VITTORIO E DETTI
VITTORIO – (fermandosi) Posso servirvi, don Michele? MICHELE – Veramente, pensavo vi avesse preso un accidente. VITTORIO – (avvicinandosi) Ho aspettato che finiste di parlare. Mi sembrava una cosa molto seria. (Deposita i piatti sul tavolo.) MICHELE – Come se ingoiare qualche boccone dopo aver assunto l’insulina fosse una pagliacciata! (Abbranca la forchetta.) Speriamo non succeda nulla. Lo dico per voi. Sapete, una volta sottoterra, io non darei più fastidio a nessuno. Ma ci sarebbe da rendere conto a Sua Eccellenza, a mia moglie... VITTORIO – (tra sé) Eh, impegnata com’è col postino, pensa proprio a lui! (Siede.) MICHELE – (sorpreso dalle porzioni ammezzate) Ah! si comincia a mangiare con la tessera in questo locale. VITTORIO – Erminia s’è sbagliata a buttare la pasta. (Prende a mangiare per forza d’inerzia.) MICHELE – Avete dimenticato il vino. (L’oste finge di non aver sentito.) Vittorio! Ci si dovesse affogare... VITTORIO – (indicando la bottiglia sul tavolo) C’è l’acqua.
MICHELE – Sapete benissimo che a me non piace. Neanche una pillola riesco a mandar giù con l’acqua. VITTORIO – (infastidito) Vado a prenderlo. (Si reca in cucina e torna con una bottiglietta di vino; versa il contenuto nei due bicchieri, siede e riprende a mangiare come sopra.) MICHELE – Pure col vino è arrivata la carestia. E poi si lamentano i soldati! Almeno a loro tocca intera, la bottiglietta. (L’oste non fa una grinza. Allora, tracannato mezzo bicchiere) Ottimo! E’ il solito? VITTORIO – (s’interrompe per rispondere) Certo. MICHELE – Pensate se non fossi capitato nel vostro locale... Non avrei potuto apprezzare il vino del signor Ferrante. Immagino ve ne sia rimasto pochissimo, a giudicare dalle razioni. (Accenna ai due bicchieri.) VITTORIO – (come sopra) Purtroppo sì. Ci sarebbe da commissionarlo. Speriamo cominci a venire qualcuno... MICHELE – Che vi preoccupate della gente! Se non capiscono dove si può assaporare un vinello generoso... Io, invece, dovete ammetterlo, sono un intenditore. Ordinate, Vittorio! Con me non sfigurerete. Purché non prendiate la pessima abitudine di mettere a tavola queste misurine da Quaresima. VITTORIO – (ha terminato) Ma... voi non mangiate? MICHELE – Senza formaggio, lo sapete, la pasta non scende. VITTORIO – (beve un sorso di vino e si alza) Vado a prenderlo. (Preleva il suo piatto vuoto e va in cucina.) MICHELE – (rivolto a don Raffaele) Eh, la pastasciutta di Vittorio! Io ci vado pazzo. Ne mangio sempre un bel piattone, e se ce n’è faccio anche il bis. Solo che oggi... qualcosa non funziona. RAFFAELE – Non avete il diabete? MICHELE – Altissimo! Perciò mi occorrono due iniezioni al giorno. Non è però che mi riempia così normalmente. Un po’ di stravizi, me li concedo adesso che
sono “scapolone”. Come si dice... “Quando non c’è il gatto i topi ballano”. (Pausa.) Oh! è andato a farlo, questo formaggio? (Forte) Vittorio! Mi sta iniziando il languore allo stomaco. (A don Raffaele) Effetto dell’insulina. (Si ode dalla cucina una pentolata.) RAFFAELE – Che sarà successo? MICHELE – (piano) Lui, è un carissimo ragazzo; ma lei... Dio ve ne liberi! Lo tratta come uno sguattero, quel povero marito. (Avverte i i dell’oste.) Ah, eccolo, finalmente! (Rientra Vittorio tenendosi una mano sulla testa.) Che vi è successo? VITTORIO – (siede) E’ cascata una pentola... Sapete... quelle pesanti, di rame. MICHELE – Vi siete fatto male? VITTORIO – Un poco. MICHELE – Eh, un poco! Per dimenticare il formaggio, la botta dev’essere stata piuttosto violenta... di quelle ben assestate. VITTORIO – Insomma bisogna rinunziarci. MICHELE – Come dire che di punto in bianco devo dare l’addio alle mie buone abitudini tramandate da sette generazioni. Parlate voi, don Raffaele! RAFFAELE – (tra sé) Meglio stia zitto io. (Si scola il bicchiere.) VITTORIO – (perentorio) Sentite: in cucina, non ci torno, almeno per il formaggio. MICHELE – Se ve la fate addosso... E va bene! Forziamo lo stomaco. (Finisce il vino.) Tanto non è che ci sia da allentare la cinghia oggi. (Prende a grufolare.) RAFFAELE – (a Vittorio) Non avresti il giornale, giovanotto? VITTORIO – No, mi dispiace. Non si compra mai. RAFFAELE – Male! Il mio barbiere, il suo primo pensiero appena tira su la saracinesca... Eh! ci o la mattinata.
MICHELE – (s’interrompe, e a Vittorio, piano) Sarò fatto a modo mio... certe cose, proprio non le concepisco. Si spaparanza in un ristorante senza mangiare, e pretende pure... (Sta per finire. L’oste si alza. S’interrompe di nuovo.) Adesso che portate il secondo, tenete presente... (Accenna al piatto e lo finisce.) VITTORIO – Ci dobbiamo arrangiare oggi. Erminia è troppo indaffarata. Per noi, ci sono pronte due uova al tegamino. (Preleva il piatto vuoto.) MICHELE – Come se io non fossi un cliente! Logico, al pilastro del Comune, al fratello di un ministro, per volere superiore (indicando Erminia in cucina), toccano due misere uova al tegamino. Mentre un cialtrone verrebbe servito con bistecca e asparagi. E’ il colmo! Adesso capisco perché la gente – e fa bene – vi sta alla larga. VITTORIO – (piano) Ma voi... MICHELE – Io, che cosa? Sono la rogna nera delle patate? VITTORIO – (come sopra) Siamo qui per guadagnare qualche soldo, e invece... MICHELE – Ognuno ha quel che si merita. Se la gente sceglie il ristorante è per essere servita e riverita, non per subire gli isterismi di una marescialla. (A don Raffaele) Con tutto il rispetto per vostra nuora. VITTORIO – Parlate di mia moglie? MICHELE – La mia, per vostra conoscenza e norma, non s’è mai permessa di contare tre fili di pasta nel piatto, elemosinare un bicchierino di vino come se fosse rosolio, rifiutare un cucchiaino di formaggio, o buttarmi davanti, come a un terremotato, due uova, magari fradice, al tegamino. Comunque... (Scola la bottiglia e beve le poche gocce. L’oste pensa bene di finire il proprio bicchiere.) Portatemi le quattro uova al tegamino e, magari, un po’ di insalatina ben assortita, se vi dà il permesso la vostra padrona. (Vittorio entra in cucina.) Eh, don Raffaele mio!... (Si alza per andare a prendere una bottiglia dalla colonna, a dal mobile per stapparla e torna a sedere. Intanto) E’ un guaio serio quando si rimane soli in casa. Bisogna adattarsi all’osteria, e fintantoché trovate gente perbene, educata... (Riempie il bicchiere anche all’oste.) Che ci volete fare! Sono tutti uguali, credetemi. (Tracanna il suo bicchiere e lo riempie. Intanto) All’inizio si mostrano così gentili, premurosi; poi pian piano... ineluttabilmente viene fuori la vera indole di cafoni ingrati e senza il minimo senso di creanza. Del resto cosa
volete aspettarvi da questa gente! Una persona ammodo, intelligente, colta non si mette mica a fare il trippaio. RAFFAELE – Ma con me cascano male. Vedete? Un quartino e una gassosa, e vado (piano) a quel posto alle migliori trattorie del mondo. MICHELE – E fate bene! D’ora in avanti darò fondo a tutte le mie energie per cercare di emularvi. Non vi posso però garantire il risultato. Si sa, per certe meschinità, bisogna esserci portati. (Tracanna il bicchiere e lo riempie.) Dicevamo... ah! Le donne sono fissate. Appena arriva l’estate prendono armi e bagagli e vi piantano in asso. RAFFAELE – Non tutte. Mia moglie, per esempio... MICHELE – (ignora ad arte l’appunto) E io che ho l’impegno con il Comune... (Rientra l’oste con due piatti, ciascuno contenente due uova; glieli depone entrambi davanti, quindi siede.) E voi? VITTORIO – Preferisco rimanere a metà pancia, anziché... MICHELE – Capisco. Siete un po’ imbarazzato di corpo. Meglio allora non sforzare lo stomaco. (Prende a mangiare con avidità.) VITTORIO – Eh, sì! (Si accorge del vino.) Don Michele! MICHELE – (s’interrompe il tempo di parlare) Ci avete ripensato? Che aspettate a dirlo! Ancora non ho toccato il vostro piatto. VITTORIO – No... il vino... MICHELE – (sostituisce il piatto vuoto) Certamente! brindiamo subito. (Solleva il bicchiere.) Alla nostra salute, Vittorio! e anche a quella del signor Ferrante che ci delizia col suo vinello generoso e schietto! (Tracanna il bicchiere.) VITTORIO – Sentite... le tratte sono ancora lì (indicando il mobile), da pagare. MICHELE – Non pretenderete mica ve le paghi io! (Inizia il secondo piatto.) VITTORIO – No, per carità! Dicevo...
MICHELE – (s’interrompe per parlare) E aprite quella bocca! Sembrate un sordomuto. (Versa la rimanenza del vino dalla bottiglia, poco più di mezzo bicchiere, e beve.) VITTORIO – Almeno fosse di quello comune... MICHELE – (s’interrompe di nuovo per parlare) Vi risulta forse che io beva un vino qualsiasi? Alla salute, ci tengo. Nei ristoranti specialmente, voi m’insegnate, si fanno certe miscele... VITTORIO – Non da me, don Michele! MICHELE – (come sopra) Avete la coda di paglia? Comunque, io per precauzione bevo ovunque e solo vino con tanto di doc. VITTORIO – Ma il doc costa l’ira di Dio. MICHELE – (ha finito) La roba buona, bisogna pagarla. VITTORIO – E se non si può pagare, si evita di consumarla. MICHELE – Eh, no! Devo per forza contraddirvi. La nostra, è una società consumistica. Bloccare un ingranaggio significa mandare a rotoli decenni di lavoro collettivo... l’intero sviluppo economico. VITTORIO – Non ci capiamo. MICHELE – L’ho notato. Vi avevo chiesto un po’ di contorno, e continuate a fare l’orecchio da mercante. VITTORIO – Vi ho spiegato che in cucina, c’è troppo da fare oggi. MICHELE – E ve ne state lì a sonnecchiare! (Pausa.) A parte il fatto che questa ressa di clienti, non la vedo... ci vuole tanto a lavare igienicamente e condire un cesto d’insalata? VITTORIO – Insomma se oggi non mi fate litigare malamente con Erminia non siete contento. MICHELE – Dovete litigare, Vittorio, dovete litigare, se siete un uomo. Ma non
per me. Se ne sentono di cotte e di crude in giro: aprite gli occhi. Ciò che dispiace maggiormente è quando certi mariti, fedeli, ubbidienti, lavoratori come voi... VITTORIO – Che vorreste insinuare? MICHELE – Io? Lungi da me qualsiasi malignità! Vi facevo solo notare... eh, sì! La vostra signora... oggi proprio non mi piace. A volte è sufficiente rivedere dopo anni una vecchia fiamma, oppure un complimento piuttosto incisivo... perché si scateni la combustione dei sensi proibiti... eccetera, eccetera. VITTORIO – Non ho mai avuto il minimo dubbio. Una compagna più fedele, non avrei potuto trovarla. Non si stacca un attimo da me. MICHELE – Proprio questo nasconde la magagna, caro Vittorio. Voi siete troppo ingenuo. Se la femmina vuol “filare”... avete capito cosa intendo. Ecco, io Liberata, la faccio andare ogni anno sola al mare per un mese intero, anche due o tre, e dormo beato. Ma perché? Perché lei è una nobildonna: ha una dignità da preservare... VITTORIO – (tra sé) Uh!... uhm! (Si rammarica di non poter parlare.) MICHELE – La sua posizione sociale non consente debolezza di sorta. (Pausa.) Oh! mi dite un po’ vostra moglie cosa deve salvaguardare? (Dalla cucina Erminia chiama: “Vittorio!”.) Sentite? (L’oste si alza pensieroso.) Al ritorno portate almeno una razione decente di frutta. Avete comprato tutta quella bella robina... (Vittorio esce con i piatti e il cestino del pane anch’esso vuoto.)
SCENA NONA
DON MICHELE E DON RAFFAELE, POI SAVERIO
MICHELE – (mentre cambia il suo bicchiere con quello intero del commensale) Che vi dicevo, don Raffaele? (Tracanna il vino.)
RAFFAELE – Nei vostri panni, non metterei più piede in questa bettola. MICHELE – Parlate bene voi. Purtroppo sono obbligato. Faccio l’insulina all’ospedale, che è a due i, e subito devo riempire lo stomaco. RAFFAELE – Ma proprio di fronte all’ospedale, c’è una trattoria dove, mi diceva il nipote di Concetta che c’è stato qualche volta quando aveva la moglie ricoverata, il personale è educatissimo, si mangia bene e si spende il giusto. MICHELE – Il problema investe l’educazione fino a un certo punto. Alla spesa, non ci penso lontanamente. Il fatto è che io non posso mangiare ciò che mi pare... non sto bene, ecco. E Vittorio mi dà tutta roba sana e genuina. (Entra Saverio che si avvicina deciso.) SAVERIO – Io devo togliermi questo peso dallo stomaco. MICHELE – Non siamo mica in una latrina! Qui si riempie, non si svuota lo stomaco. SAVERIO – (monta in furia) Mio figlio, l’hanno bocciato! MICHELE – Distribuite numeri, Saverio, stamane? Senz’altro (indicando la cucina) ne avrebbe bisogno la signora di là. (Pausa.) Ha telefonato l’altro giorno il presidente della commissione d’esami per comunicarmi, tutto entusiasta, che il suo raccomandato di ferro, ossia il vostro Nicolino, era stato promosso a pieni voti. SAVERIO – Volete anche sfottermi?! MICHELE – Non mi permetterei. Ma vi assicuro che la faccenda mi stupisce. (Pausa.) Un momento!... non è che avete letto voi i quadri? SAVERIO – Li ha “radiografati” mio figlio! MICHELE – Ah! il “ragioniere”. SAVERIO – Doveva esserlo. MICHELE – Non tutti i mali vengono per nuocere, mio caro Saverio. Conoscete la celebre storia dello zappatore? Il figlio, scellerato, una volta diventato
qualcuno ripudiò il padre, perché si vergognava di presentarlo ad amici e conoscenti. (Pausa.) E poi, da profani della materia, non diamo la colpa ai professori. Sì, le raccomandazioni, di ferro o di marzapane, sono sempre esistite; i miracoli, possono compierli solo i santi. Oh! mettiamo il caso che il ragazzo avesse fatto scena muta. Quanto meno per un senso di rispetto verso gli altri candidati, a parte il decoro personale, la commissione si sente in dovere di bocciare. SAVERIO – (siede) L’altr’anno però vennero promosse autentiche teste di rapa, è una vostra asserzione, con l’intervento autorevole dei fratelli Sarzola. E poi Nicolino ha risposto a tutte le domande; mentre gente non ha nemmeno aperto bocca... MICHELE – Poco tempo fa, in una pizzeria del centro, mentre aspettavo che uscissero dal forno le pizze da portar via, gli occhi si posarono su un cartello coi bordi zigrinati: “Meglio tacere, e dare l’impressione di essere scemo, piuttosto che aprir bocca e togliere ogni dubbio”. SAVERIO – Posso assicurarvi che le risposte di Nicolino furono tutte appropriate. MICHELE – Vedete? Usate termini che non sono farina del vostro sacco. Siete state imbeccato in mala fede da vostro figlio. Quindi non continuate a dire spropositi, per favore. Offendete alunni che si sono sudato il diploma e calunniate professori integerrimi. Questo invece, ve lo assicuro io. Comunque, vi do una soddisfazione: m’informerò e poi avete la mia parola d’onore che chi ha sbagliato, se davvero ha sbagliato, si prenderà una di quelle lavate di testa... SAVERIO – Di chiacchiere, il mondo trabocca. Quando non si può, o non si vuole, fare un piacere, non si riduce un poveruomo sul lastrico per infine trincerarsi dietro le comode quinte dell’equivoco. MICHELE – Naturalmente, vi riferite alla commissione? SAVERIO – Non esattamente. MICHELE – Inutile che rigiriate oziosamente intorno all’argomento. Vi riferite alla commissione. Sappiate allora che i professori hanno svolto appieno il loro dovere. Se invece alludete a quella persona del posto, dovete sapere che, ugualmente, questo galantuomo si è impegnato alacremente su tutti i fronti.
Purtroppo è venuto a trovarsi davanti a uno scalzacane incapace di prendersi un pezzo di carta alla portata di cani e porci. SAVERIO – Questo però prima, non me lo avevate detto. MICHELE – Non credo davvero. Sono rinomato per la mia chiarezza, e precisione. Vi sarà sfuggito o, più probabile, non avevate recepito il senso del mio discorso. SAVERIO – E il vostro amico? che ha ancorato il peschereccio buttandomi nel bel mezzo di una strada? MICHELE – Per decidere in tal senso, avrà i suoi motivi. Io, mi guardo bene dall’entrare nel merito. So come si svolgono certe vicende: magari il padrone si fida ciecamente dell’operaio, e costui... eh! glielo mette in quel posto. SAVERIO – Che vorreste insinuare? MICHELE – Assolutamente nulla. Gli affari vostri, li conoscete solo voi, e il Padreterno. Per me, potreste aver portato ogni volta al principale un decimo della pesca. Lui non vi stava mica dietro a controllare. Tanto meno, aveva incaricato me di farlo. SAVERIO – Sicché sarei un ladro? MICHELE – Una cosa è certa: la persona che si comporta rettamente, nessuno ha il diritto di torcerle un capello. Coi sindacati di oggi poi... ih! Magari vi avranno messo in testa di succhiare il sangue all’imprenditore; e voi, forte del loro appoggio fasullo... Adesso cosa pretendete da me? Chi sbaglia, paghi le conseguenze! SAVERIO – Ah! sì? (Si alza minaccioso.) MICHELE – Che pensate di combinare adesso? Scusate la mia curiosità. SAVERIO – (in procinto di avventarglisi) Ammazzarvi, per assicurarmi vitto e alloggio. MICHELE – Non fate il fesso, Saverio. Alle vostre spalle, c’è un mio testimone.
SAVERIO – Non ho altra scelta. (Gli lancia le mani dietro il collo.) MICHELE – (riuscito a liberarsi con una gomitata alle parti basse dell’aggressore, balza in piedi) Non vi permettete più di mettermi quelle manacce addosso, cafone che non siete altro! SAVERIO – (dolorante) Ah!... uh! (Tra sé, mentre cerca di riprendersi dal colpo micidiale) Per poco mi faceva secco, questo pezzo di mota! Lo avevo sottovalutato. MICHELE – Voi avete visto e sentito, don Raffaele: mi siete testimone. (L’interpellato, sbalordito, non risponde.) Don Raffaele Piacquadio! Che dormite! Un energumeno tenta di strangolarmi, e voi ve ne state tutto serafico, come sull’altare a servir Messa. (A Saverio) Adesso andate, per favore. SAVERIO – E dove vado! a far cosa? Non illudetevi, don Michele Sarzola: sarò la vostra ombra. MICHELE – Me ne devo andare io? (Fa per andare, ma Saverio ha intenzione di seguirlo fuori.) Ho capito. (Siede. L’interlocutore, raggiunto il tavolino di sinistra, fa altrettanto, all’esterno.) Voi cercate guai. (Don Raffaele lascia due banconote da mille sul tavolo e si dirige verso l’uscita.) Don Raffaele! Nemmeno salutate? (Gli va dietro fermandolo per il braccio.) Cosa vi ha preso? (Piano) Non crederete mica a quel furfante? Vive di simili espedienti. Provoca pubblicamente le persone perbene costringendole a mettergli le mani addosso e poi, in cambio del ritiro della querela, spilla un po’ di soldi. RAFFAELE – (si libera sdegnosamente portando le mani al volto) Povero Fabrizio! finirai a Milano la tua carriera. (Esce.)
SCENA DECIMA
DON MICHELE E SAVERIO, POI VITTORIO
MICHELE – (dà un’occhiata ai soldi lasciati da don Raffaele e, tra sé) Com’è diventato magnanimo in vecchiaia! Sarebbe stato capace di tirarci una fucilata, quando io e Giovanni eravamo ragazzi, se solo ci fossimo avvicinati ai suoi ciliegi. (Furtivamente, prende una delle due banconote e la infila in tasca.) La buonanima non si sbagliava. (Torna a sedere.) Prima, ti leccano i piedi, e anche ... ; raggiunto lo scopo, se possono, evitano perfino di salutare. (Solleva distrattamente il bicchiere e, visto che è vuoto, lo ripone con sdegno.) Ma io ho il cuore fesso... e ci ricasco sempre. (Entra l’oste.) VITTORIO – (scorgendo il nuovo cliente) Vi servo subito, signore. (Prende i soldi lasciati da don Raffaele.) MICHELE – (fa cenno all’oste di avvicinarsi, e piano) Mandatelo via. E’ uno di quegli squilibrati che, con la chiusura dei manicomi, non si sa dove sbatterli. VITTORIO – (piano) Se ha i soldi... MICHELE – (piano) Allora fatevi pagare anticipatamente. VITTORIO – (si avvicina a Saverio) A quattrini, come state? SAVERIO – Oggi sono solo, da domani vedrai anche mio figlio, mezzogiorno e sera. Metterai in conto a don Michele Sarzola. MICHELE – (fa di nuovo cenno a Vittorio di avvicinarsi, e piano) Che vi avevo detto? VITTORIO – (al cliente) Don Michele non ha conti aperti qui. SAVERIO – Oh! come fa lui, faremo noi. VITTORIO – Insomma! Volete mangiare, sì o no? SAVERIO – Non sono mica venuto per guardare la tua bella faccia. Sbrigati piuttosto! Ho una fame che tra poco... MICHELE – (fa ancora cenno all’oste di avvicinarsi, e piano) Voi siete un bravo ragazzo, ma avete la testa dura. Adesso servitelo subito. Sarebbe capace di mettervi il locale sottosopra.
VITTORIO – (piano) Eh! Non ci metto mica tanto io ad appiccicarlo al muro. MICHELE – (piano) Ci tenete, a compromettervi? Il pazzo non risponde delle proprie azioni. VITTORIO – (come sopra) E del pranzo, chi ne risponderà? MICHELE – (come sopra) Per questo, non vi preoccupate. Vi farò rimborsare dal Comune: c’è rimasto qualche residuo dell’ECA. VITTORIO – (al cliente) Accomodatevi in sala. Guardo cosa c’è di pronto. (Entra in cucina, mentre Saverio va in sala.)
SCENA UNDICESIMA
DON MICHELE, POI VITTORIO
MICHELE – E se me la svignassi?... (Si alza e va a sbirciare in sala per accertarsi dov’è seduto Saverio.) Eh, no! (Ritorna al suo posto.) Quel malnato non aspetta di meglio che beccarmi fuori. S’è piazzato proprio dietro la vetrata, per vedere se e quando esco. Non che tema minimamente un pusillanime come lui, ma c’è da evitare il minimo “fracasso”. Si solleverebbe un polverone, e ci andrebbe di mezzo anche Giovanni. Allora?... Una soluzione, bisogna trovarla. (Pausa di riflessione.) Ecco. (Chiama) Vittorio! (Appena compare l’oste, gli fa cenno di avvicinarsi.) Avete sentito? Verrà col figlio a mangiare tutti i giorni, mezzogiorno e sera. Ci pensate? Per oggi vi farò rimborsare dal Comune; ma dopo? Prima, non mi avete voluto dar retta. Adesso cerchiamo di sbrogliare la matassa. Lo dico nel vostro interesse. Per me, basta che cambi ristorante e il problema è risolto. O da voi o da un altro, non cambia assolutamente nulla. (Pausa.) Io avrei una buona idea. VITTORIO – Dite, dite. MICHELE – Dategli da bere finché non traballerà da un tavolo all’altro. Anche
gli eventuali danni, state tranquillo, saranno a carico del Comune. Vedrete, finirà per importunare i clienti, e voi sarete autorizzato a chiamare il 113. Così, lo porteranno dritto dritto al fresco. E’ l’unico sistema per non intossicarci pranzo e cena. VITTORIO – E se non arrivasse nemmeno un cane? MICHELE – Aspettavate tanta gente... con tutta quella spesa. Comunque, siatene certo, in mancanza di meglio, se la prenderà con voi, darà noia a vostra moglie. A me, ha già rotto le scatole abbastanza. Sarà allora il caso di piazzargli una bella legnata in testa. VITTORIO – Don Michele! Mi volete mettere nei guai? MICHELE – Non dite stupidaggini! Che ci faccio io? (Enfatico) Sono qui per testimoniare che Saverio il pescatore aveva assalito a scopo univocamente carnale l’ostessa quando spraggiungevamo noi... (Vittorio appare piuttosto perplesso.) Ma siete o non siete il marito! Allora voi, cioè l’oste, accecato da un giusto, santo, nobile sdegno... Sarete a posto: avrete agito per legittima difesa. E nessun giudice potrà sostenere che la vostra reazione non sia stata proporzionata all’offesa ricevuta. Oh! quell’invasato stava attentando, coram populo, alla vostra reputazione cercando di violentare una santa donna come vostra moglie. Su! preparategli una misturina ammodo. Non devo insegnare io a un oste... (Vittorio entra in cucina.)
SCENA DODICESIMA
CARMINUCCIO E DON MICHELE
CARMINUCCIO – (si avvicina) Aiutatemi, don Michele! (Siede.) MICHELE – E’ la mia missione, Carminuccio. CARMINUCCIO – Sono venuti i vigili a intimarmi di riportare tutto allo stato di
prima. E dovrò pure rispondere di violazione della legge edilizia. MICHELE – (tra sé) Quest’altra, proprio non ci voleva. Ma non bisogna mai perdersi d’animo. (All’interlocutore) Se vi racconto una storiella, sono certo che vi scompiscerete anche voi dalle risa. CARMINUCCIO – Penso a tutt’altro che a ridere in questo momento. MICHELE – Eh, no! La storiella, dovete ascoltarla. CARMINUCCIO – (rassegnato) E ascoltiamo la storiella. MICHELE – Qualche tempo fa mi trovavo alla stazione ferroviaria. Dal treno scese un omone che, sbellicandosi dal ridere, spiattellava davanti agli occhi di tutti quelli che arrivavano in senso contrario una piccola chiave. Io, devo riconoscere questo mio unico difetto, grande o piccolo che sia non ha importanza: sono un curiosone. Beh! Non potei fare a meno di chiedergli una spiegazione. Ci recuperai una tanfata in faccia, perché aveva un alito puzzolente... ma soddisfeci la mia curiosità. “Che idioti! Mi hanno rubato la valigia... ma la chiave, ce l’ho io”, fu la risposta. CARMINUCCIO – Davvero non capisco. MICHELE – Vi conosco come le mie tasche, Carminuccio: vi servite del dono che vi ha fatto il Padreterno per capire le cose solo quando vi torna comodo. Avete capito adesso? CARMINUCCIO – Sempre meno. MICHELE – E, se vi dicessi che vi siete comportato esattamente come quell’omone alla stazione?... Dunque, con me vi disobbligaste mandando un po’ di robina... CARMINUCCIO – Non mi sembra proprio sia stato un po’ di robina. MICHELE – Non tergiversiamo, perché dobbiamo pervenire al nocciolo della questione. CARMINUCCIO – Era solo per fare una precisazione.
MICHELE – Eh! come siete preciso quando dovete ingratamente rinfacciare qualcosa! (Pausa.) Insomma la porta, l’apriste senza che una zanzara vi ronzasse intorno, la carne entrava ormai da via Piave, i clienti non dovevano più uscire per non farsi imbrattare, le norme igieniche venivano rigorosamente rispettate... per voi era tutto a posto. Vero? CARMINUCCIO – Finalmente credo di esserci arrivato. Quella persona che conoscete solo voi s’è voluto togliere il sassolino dalla scarpa. MICHELE – Vi sembra un’ingiustizia? Vi avevo fatto almeno venti telefonate invitandovi a venire da me per chiudere la faccenda. “Verrò... verrò”, mi avevate risposto ogni volta. Ma eravate mai venuto? Logico, alla fine mi scocciai e dissi a quel signore che devo conoscere solo io: “Carminuccio lo Zoppo se ne strafotte altamente, di me e di te: pensaci tu”. E lui ci ha pensato. CARMINUCCIO – A essere sincero, la colpa non è mia. MICHELE – Ah! Vedete come si scoprono gli altarini? Ci avrei scommesso l’osso del collo, con una marescialla che vi ritrovate a fianco. CARMINUCCIO – Sapete come sono le donne... talora s’incaponiscono a voler sostenere questioni di principio... D’altra parte la volta precedente avevamo tirato fuori un bel po’ di soldi. MICHELE – Ma non li avevate buttati: vi era stata concessa una licenza che tanta gente l’aveva soltanto sognata. Va bene! E’ andata com’è andata. Ora cosa avete in mente? Se non sbaglio, appena mi avete visto, avete chiesto disperatamente aiuto. CARMINUCCIO – Eh, sì! Cerchiamo di rimediare in qualche maniera. MICHELE – C’è una maniera sola: stasera parlerò con quella persona e domani saprete cosa c’è da fare. Per il processo, non vi preoccupate. Prima che la macchina della giustizia penale si metterà in moto... ih! voi avrete già tolto il fastidio a tanta gente. E poi, dovesse proprio essercene bisogno (accennando a se stesso), ci sarebbe sempre questo santo... (Arriva qualcuno.) Andate tranquillo. (Carminuccio si alza avviandosi verso la sala.) Signor Ferrante!
SCENA TREDICESIMA
IL SIGNOR FERRANTE E DON MICHELE
FERRANTE – (avvicinandosi) Buongiorno, don Michele! (Gli tende la mano.) MICHELE – (gliela stringe calorosamente) Buongiorno doppio, signor Ferrante! Sedete un attimo. (Il nuovo arrivato siede.) Forse siete l’unico a ignorare che ho una villa sul mare. FERRANTE – Infatti. Sono venuto varie volte... MICHELE – La domestica ha l’ordine di non rispondere a nessuno se non ci sono io, in casa. FERRANTE – Alla fine mi sono rivolto al portiere, e... Poteva parlare prima, invece di scrollare ogni volta le spalle! MICHELE – Come mai questa volta non ha scrollato le spalle? Eh! lo conosco molto bene, quell’accattone! Sicuramente gli avete dato una “bella” mancia. FERRANTE – Veramente, mi son sentito io, dopo, in obbligo... MICHELE – (tra sé) Così, s’è confessato il porco. (All’interlocutore) Eh, caro signor Ferrante! Vi conosco molto bene entrambi. Voi, siete un gentiluomo, e cercate adesso di non screditarlo; lui... è quello che è. (Pausa.) Quanto gli avete dato? FERRANTE – Via, don Michele! Sono cose delicate. MICHELE – No, no, signor Ferrante! usatemi la cortesia... Quell’individuo si deve togliere questo vizio. Si fosse degnato una volta di fornire un’informazione gratuita! E’ pagato profumatamente, e per starsene a leggere il giornale sportivo da mattina a sera. FERRANTE – Ma lasciate perdere. Per diecimila lire...
MICHELE – (tra sé) E’ sempre meglio sapere che ignorare le cose. (Pausa.) Vi dicevo, signor Ferrante... ho la mia signora in villeggiatura. Veramente, è partita da sola: ma laggiù c’è l’aiutante stagionale; i parenti e gli amici non si scordano mai dell’ora di pranzo e di cena. E non vi dico quanto costa il vino. Capisco che è un posto di villeggiatura. Però, visto che se lo fanno pagare a peso d’oro... E invece... intrugli, non trovate altro, signor Ferrante. A confronto, il vostro è un nettare divino. FERRANTE – Non vi preoccupate... MICHELE – Ci avrei giurato. Siete... non saprei definirvi. Mio nonno avrebbe detto: “I veri signori sono quelli che nascono tali. Che siano ricchi o meno, non ha importanza”. Adesso vi do l’indirizzo. (Estrae di tasca un foglio.) Lo avevo pronto da qualche giorno. (Fa per darglielo, ma ritira subito la mano.) Che sbadato! (Ripone il foglio in tasca.) In serata ci dovrò farò io una capatina: stamane, per telefono, gliel’ho promesso, a Liberata. Almeno vi risparmierò, con tutto quello che avete da fare, di andare fin laggiù. (Pausa.) Tra poco rincaserò e darò istruzioni alla domestica: voi suonerete tre volte con l’intervallo di una ventina di secondi. FERRANTE – Adesso però, don Michele, bisogna buttarsi nel fuoco per sistemare mio fratello. Sapete come sono i giovani di oggi... non hanno il senso della responsabilità. MICHELE – Che ha combinato, quel maldestro? FERRANTE – La fidanzata... MICHELE – E’ rimasta incinta? FERRANTE – E vi sembra poco! E’ una famiglia, quella... Dio ve ne liberi! Cafoni e pregiudicati. MICHELE – Uh, santo Iddio! Qui c’è da sbrigarsi davvero. Questa gente è senza scrupoli. Non mi meraviglierei se qualche sera vostro fratello tornasse a casa con la testa tagliata. Ma sistemiamo subito la faccenda. La fidanzata è incinta, va sposata immediatamente. Il tempo di banchettare... e la nuova famiglia ha un’attività propria, non deve rendere conto a nessuno di niente. FERRANTE – State parlando di un’attività?
MICHELE – Mi sembra di essere stato chiaro e comprensibile. FERRANTE – Allora pensate che il posto?... MICHELE – Scherzate, signor Ferrante! Siatene certo, come delle scarpe che portate ai piedi. Purtroppo, un posticino dignitoso non s’inventa dalla sera al mattino. FERRANTE – Purché la cosa sia sicura, anche un mese non è poi la fine del mondo. MICHELE – Come faccio ad assicurarvi che entro un mese?... Dipendesse da me, Vincenzino sarebbe già seduto dietro la scrivania. Nella fattispecie abbiamo di fronte cafoni e pregiudicati, lo avete detto voi. Chi si azzarda a fare una promessa con la scadenza a un mese? Mettiamo il caso che il posto arrivi tre giorni dopo la scadenza: io non potrei certo darvene notizia, perché da tre giorni esatti sarei sottoterra. Volete questo? (Pausa.) Cerchiamo di essere ragionevoli e coerenti. Intanto si mette su l’attività; quando arriverà il posto, Vincenzino avrà le spalle al sicuro per tutta la vita e la moglie potrà continuare l’esercizio magari in società con qualcuno se gli affari andranno a gonfie vele; oppure venderanno e si ritroveranno in banca una bella sommetta. FERRANTE – Non vorrei mandare mio fratello allo sbaraglio, specie ora che si trova in una situazione così delicata. MICHELE – Appunto. Che figura ci fareste poi voi? Immagino vi conoscano un po’ tutti. Ma, proprio perché adesso può contare su una compagna, la cosa è fattibilissima. O pensate che io parli a vanvera? Non credo, perché sapete bene che, prima di aprir bocca, io ho già il programma studiato nei minimi dettagli in questo cervellone. (Accenna alla propria testa.) FERRANTE – Sentiamo. MICHELE – Quando sono venuto la prima volta in questo locale si respirava aria fallimentare. FERRANTE – A chi lo dite! Non mi hanno ancora pagato nemmeno una tratta. MICHELE – Però il vino... scorre, come si suol dire.
FERRANTE – E proprio questo mi fa incavolare. MICHELE – Comunque, inaspettatamente la situazione è cambiata. La gente, era ora, ha finalmente scoperto dove si mangia bene e si spende non più di tanto. Affacciatevi di là. Ci sono già due persone, un’altra è andata via. (Mostra il tavolo dove era seduto don Raffaele.) Se continua così, ci sarà da fare i soldi a palate. FERRANTE – Se ho ben capito... MICHELE – Avete capito benissimo, signor Ferrante. Questa attività sarà la fortuna di vostro fratello, della moglie e di quella creatura che tra non molto verrà alla luce. FERRANTE – Voi non conoscete Vincenzino: è completamente negato per un lavoro del genere. MICHELE – Pregiudizi, signor Ferrante! Non lo conosco personalmente; tuttavia, un po’ dai vostri discorsi un po’ per sentito dire da parte di amici e conoscenti, credo che ne abbia proprio la stoffa. Vedrete che, quando poi arriverà il posto che voi continuate a sospirare spasmodicamente, Vincenzino neppure ci penserà, a patire la fame degli statali, con addirittura moglie e figlio o figlia da mantenere. Oggi chi possiede un bugigattolo in piazza acquista case, ville e fattorie. Vittorio, che volete, è sempre un contadino smerdato, scusate l’espressione volgare; e, con quella vipera che si ritrova accanto, è già troppo se un pellegrino si fermi per un quartino e una gassosa. Perdinci! Occorre garbo, apertura mentale, in un esercizio pubblico. Invece, appena mettete piede qui dentro, avete la netta sensazione di essere finito in una stalla, tra ragli e muggiti. Mamma mia santissima! FERRANTE – Vedete, don Michele... non metto in dubbio che si tratti di una buona idea... MICHELE – E qual è il problema? FERRANTE – Il problema è che Vincenzino non ha il becco d’un quattrino. MICHELE – Non mi pare proprio che ciò costituisca un problema. Qualcosa tireranno fuori i genitori, qualcosa in particolar modo i suoceri che si ritrovano con una figlia pregna, qualcosa anche voi... Oh! è vostro fratello, non
dimenticatelo. E voi... non è che abbiate l’acqua alla gola. FERRANTE – Non è tutt’oro quello che luccica, don Michele. MICHELE – Signor Ferrante... non cominciate a piangere miseria anche voi. (Pausa.) Eppoi, per quanto ne sappia io, perdonatemi la presunzione, nessuna attività è stata mai pagata completamente in moneta sonante. Figuratevi se questi signori (accennando ai proprietari del ristorante), proprio loro, possano prescindere dalle condizioni alle quali hanno comprato. FERRANTE – (riferendosi alla cucina) Bisognerebbe scandagliare le loro intenzioni, conoscere le pretese... MICHELE – (piano) Confido nella vostra discrezione. Un mio caro amico ha interesse a che Vittorio se ne vada fuori dalle scatole. Dal proprio fratello gli ha fatto offrire un buon lavoro nell’azienda di proprietà a ottanta chilometri da qui. Logicamente Vittorio non potrebbe andare su e giù; mentre la moglie è obbligata a rimanere in città perché deve badare alla madre sola e non proprio autosufficiente. Non so se avete capito... FERRANTE – (piano) Ho capito perfettamente. Sicché quella madonnina infilzata?... MICHELE – (come sopra) Vi meravigliate, voi? (E incupendosi) Io... sono ormai rotto a qualsiasi notizia o fatto inverosimile. (Pausa, quindi ancora piano) Il problema è che questo mio amico è sposato. Erminia ha sempre alle costole il marito. E ogni volta, per vedersi, devono rischiare grosso. Una decina di giorni fa, mi raccontò l’altro ieri... eh! – per poco facevo il suo nome, e non è da me – non mancò tanto che ci scape il morto. Voi Vittorio, lo vedete così... un bonaccione, uno scansabrighe; ma è gelosissimo: non gli toccate la moglie ché diventa una iena, e non ci penserebbe due volte a far fuori lei e voi. Ci sarà quindi una certa opposizione da parte di lui, che non vorrebbe allontanarsi tanto da poter stare con la consorte solo il sabato e la domenica; e una finta resistenza da parte di lei, che non vede l’ora di non dover rendere conto a nessuno dal lunedì al venerdì. In ogni modo, a Vittorio, ci penserò io: so come “cucinarlo”, e per la somma felicità del mio amico. Vedrete che vostro fratello, per quattro soldi, comprerà una miniera d’oro. FERRANTE – (come sopra) Prima però, vediamo per qualche giorno come va l’attività. Non vorrei che, alla fine, mio fratello e la moglie si ritrovassero a
dover, per are il tempo, scacciare le mosche. (Si alza e normalmente) Vado a mangiare un boccone anch’io. (Fa per andare.) Ah! Non l’avrete mica a male se pagherò anche il vostro conto? MICHELE – Signor Ferrante, voi siete gentilissimo! (Piano) Purtroppo in questo frangente daremmo adito a qualche sospetto. Capisco che a voi farebbe immensamente piacere potermi offrire il pranzo... E va bene! Che vi devo dire? Con voi proprio, non voglio are per un indelicato. Lasciate i soldi, e farò finta di averli tirati di tasca io. FERRANTE – D’accordo! (Accortamente, depone sul tavolo delle banconote che subito don Michele copre col tovagliolo.) MICHELE – Grazie, signor Ferrante. (Piano) Vi sono debitore di un pranzo. Non mancherà l’occasione per disobbligarmi. (Pausa, quindi come sopra) Dunque bisogna subito tastare il polso a Vittorio. Mandatemelo. Oh, no! le cose perbene, signor Ferrante!... Ordinatemi un amaro e pagateglielo. Così dovrà per forza venire, e non daremo a capire... FERRANTE – Con piacere. (Si avvia verso la sala.)
SCENA QUATTORDICESIMA
DON MICHELE, POI VITTORIO
MICHELE – (furtivamente, infila in tasca i soldi lasciati dal signor Ferrante) Se li vuol vedere, Vittorio, deve comprarsi un telescopio elettronico. (Pausa.) Giovanni... è quello che è; ma io non sono da meno, anzi. Pratichiamo ovviamente due politiche diverse. La mia, del doppio binario, senz’altro è più ingegnosa. Cosa vuol dire? Lui, ha avuto una fortuna sfacciata; io, un po’ di fortuna, me la devo creare, con l’intelligenza. Tirando le somme, al posto in cui lo ha portato la fortuna, io mi sarei “mangiato” il mondo intero. (L’oste viene a servire l’ordinazione.)
VITTORIO – Il signor Ferrante si onora di offrirvi l’amaro. MICHELE – Oh! grazie. Mi ci voleva proprio. Ho un peso sullo stomaco... Per voi, la gente potrebbe crepare. VITTORIO – Basterebbe mangiare un po’ più moderatamente. MICHELE – Che volete dire? che io mangio come un allupato? La colpa è dell’insulina. VITTORIO – Conoscete voi le condizioni del vostro stomaco, prima e dopo l’insulina. (Fa per andare.) MICHELE – Accomodatevi un attimo. VITTORIO – Di là, mi aspettano. MICHELE – Lasciateli aspettare! (Trangugia l’amaro.) Al ristorante, si viene per mangiare e bere in santa pace. Chi ha tanta fretta può benissimo andare alla tavola calda o in friggitoria oppure fermarsi per strada dai venditori ambulanti di panini con la porchetta. (L’oste siede.) Avete gli orecchi belli liberi? VITTORIO – Credo di sì. MICHELE – “Credo”... “credo”... Voi credete sempre. Sembrate un disco incantato. Ve li siete lavati almeno da una settimana? VITTORIO – Certo. Che mi avete preso per un sozzone?! MICHELE – Allora statemi bene a sentire. (Pausa.) Se non volete finire annegato nei debiti e con gli arnesi del mestiere sigillati dall’ufficiale giudiziario, vendete questo mortorio. Si presenta un’occasione irripetibile: non lasciatevela sfuggire. VITTORIO – Cioè? MICHELE – Il signor Ferrante è disposto a rilevare l’esercizio. VITTORIO – Che pensa di lavorare meno e guadagnare di più col ristorante? MICHELE – No, è per il fratello. Quello scansafatiche, degenerato... s’è
compromesso (significa con le mani di averla messa incinta) con la figlia di certi delinquenti... Dio ve ne liberi! Se non si sbriga a sposarla, lo fanno fuori. Ma, per sposarsi... eh! VITTORIO – Proprio adesso che comincio a vedere qualche soldo? MICHELE – Sì, proprio adesso, Vittorio. La fortuna non arride mai due volte alla stessa persona. Ricordate quanti avventori avete avuto ieri, l’altro ieri, insomma perlomeno da quando vi conosco, escluso oggi? VITTORIO – Uno solo: voi, poi voi, sempre voi. MICHELE – Ecco! Il vostro locale non è più il solito cimitero popolato esclusivamente di notte dalle anime dei clienti di generazioni magari borboniche. Oggi qualcuno è arrivato, domani saranno in tanti, dopodomani inizierà la processione. Vi siete chiesto il perché? VITTORIO – Perché ho messo in tasca al vostro portiere un bigliettone da diecimila. MICHELE – Allora, o siete un impostore o avete plagiato la mia idea. Perché anch’io gli avevo regalato diecimila lire, e nel vostro esclusivo interesse. Pertanto a me, prima che vada via, rimborserete i soldi. Poi con comodo erete dal portiere e lo apostroferete in tal modo: “Imbroglione! disonesto! farabutto!”. E continuerete così finché non vi domanderà il motivo. VITTORIO – Finché, volete dire, non mi appiccicherà con la testa al muro? MICHELE – Ecco la vostra fortuna! E io mi toglierei una grossa soddisfazione. VITTORIO – Volete spiegarvi meglio? MICHELE – Quando vi appiccicherà al muro, voi urlerete a squarciagola, anche in modo non proporzionato all’effetivo dolore. Quella, è una strada molto frequentata. Ma alla fine, constaterete, nessuno avrà visto o sentito nulla. Allora mi ergerò io a eroe tra quella masnada di vigliacchi, anche se, quasi sicuramente, in quel momento ero altrove. Il necessario che sarò presente davanti al giudice, con tutta la credibilità del mio nobile casato. Mentre voi, in segno di gratitudine, testimonierete che quell’energumeno non risparmiò nemmeno la persona di don Michele Sarzola intromessosi per placare gli animi. Quell’individuo, Vittorio,
deve scomparire di lì. Oltre a essere un furfante, ha la lingua biforcuta che non si perita certo a screditare la gente perbene. E, chiaramente, non ho parlato dei vantaggi economici che deriverebbero a entrambi dalla costituzione di parte civile. A meno che quell’essere ignobile non c’implorerà di ritirare la querela, in cambio, logico, di una bella sommetta. VITTORIO – (tra sé) Ho capito tutto. (All’interlocutore) Mi dispiace, don Michele, ma io proprio non sono portato per queste sceneggiate. MICHELE – Allora gli direte soltanto queste testuali parole: “Don Michele Sarzola, per mano del signor Ferrante, ti aveva già dato diecimila lire”. Logico, se mi avete raccontato una frottola, non gli chierete un accidente. Dovesse poi rinnegarvi, mi scompiscerrei dalle risate. Eh, caro mio! Il furbastro non ha le doti del furbo, e immancabilmente lascia le corna nella tagliola della furbizia. VITTORIO – (titubante) Sentite, don Michele... MICHELE – (infastidito) Cosa devo sentire?... se non parlate! VITTORIO – Ho sicuramente sbagliato a non dirvelo subito; ma non pensavo davvero che si arrivasse a tanto. MICHELE – (sempre più insofferente) Quindi?... VITTORIO – Io e Paolo siamo rimasti amici dalle scuole elementari... MICHELE – (sbalordito) Cosa! Allora vi vedete, vi fate delle confidenze, spettegolate su questo e su quello? VITTORIO – Essere rimasti amici dalle elementari non sempre vuol dire frequentarsi. Logico, se ci s’incontra per caso si va a bere una birra, si scambiano quattro chiacchiere, e poi ognuno per la propria strada. Io e Paolo non ci vedevamo che saranno stati almeno tre anni. In questa circostanza, sono andato io a trovarlo per chiedergli il favore, visto che vostra moglie è al mare, di indirizzare un po’ di gente al mio locale. MICHELE – E non avete toccato altri argomenti? VITTORIO – Assolutamente no; anche perché io dovevo are per il mercato a fare la spesa.
MICHELE – (tranquillizzato) Benissimo! In ogni modo, evitate quel signore. Dovrei farmi gli affari miei; ma voi siete tanto un bravo ragazzo, e io mi sento in dovere di mettervi la pulce nell’orecchio. Senz’altro non lo sospettereste lontanamente... VITTORIO – (preoccupato) Don Michele... MICHELE – Voi, Vittorio, avete un’attività in piazza... e, sì... dovete stare bene alla larga da gente immischiata ... non posso dirvi altro. Lasciatelo perdere, e vivrete tranquillo. Venendo invece a noi... superfluo precisare che, mi saltasse in mente di cambiar ristorante... VITTORIO – (tra sé) Pagherei una Messa per il santo di quel giorno. MICHELE – Sarebbe come trasferire altrove i vostri neoclienti per modo di dire. Perché loro mi seguirebbero sottoterra. VITTORIO – Come a dire che pretendereste?... MICHELE – Secondo la moderazione che mi contraddistingue: un dieci per cento sui coperti. Ricordatevi che di là avete già tre persone, senza considerare don Raffaele Piacquadio (indicando il tavolo occupato in precedenza da quest’ultimo), che in fondo ha consumato. VITTORIO – Compreso quello scalzacane del pescatore? MICHELE – Perché lui non sta mangiando? Vi pagherà il Comune: più sicuro di così... VITTORIO – E tutti i pranzi, le cene, che si sono susseguiti finora da parte vostra senza una sola assenza? MICHELE – Acqua ata non bagna il seminato, caro Vittorio. D’altronde, voi, non certo vostra moglie, avete avuto un minimo di riguardo verso di me; e io sono stato un signore con voi e, malvolentieri, con vostra moglie. Oh! chi mi vietava di scegliere un altro posto? Si tratta comunque di una faccenda transitoria. Veniamo, piuttosto, al nocciolo di quell’altra questione, molto più seria. L’estate non è eterna (con un senso di acredine), se non per i piccioni in amore.
VITTORIO – (tra sé) Come gli brucia il ... ! MICHELE – E, quando sarà tornata la mia signora dal mare... VITTORIO – (come sopra) Sta’ tranquillo, ché il postino non la mollerà; e non certo per godersi un baule di quella fatta. (Significa soldi con le dita.) MICHELE – Che volete dire con quel gesto? VITTORIO – Quale gesto? (Pausa.) Ah! mi prudevano le dita. C’è rimasto appicicato qualcosa. (Finge di pulirsi.) MICHELE – Dicevamo... quando sarà tornata la mia signora dal mare, voi pensate che uno sbandato sosterà sia pure per un quartino e una gassosa? VITTORIO – Intanto, il locale sarà diventato noto per genuinità e convenienza. MICHELE – Non continuate a farvi cullare dalle ingenue illusioni, Vittorio. Avete l’opportunità, irripetibile, di scrollarvi dalle spalle il destino di sventagliarvi a vita. Prima che il signor Ferrante cambi idea... Magari troverà un’occasione migliore, e non ci vuole poi tanto... VITTORIO – Lasciatemi almeno pensarci un po’. Dovrò poi anche sentire Erminia. MICHELE – Ma io e il signor Ferrante abbiamo già concluso. VITTORIO – (impennandosi) Senza nemmeno interpellarmi! MICHELE – Ah!... allora davvero non vi siete ancora reso conto di aver trovato in me un secondo padre? Il signor Ferrante non è fesso, e non acquista la gatta nel sacco. Fintantoché ci sarò io però, a pranzo e a cena... ih! Si riempirà gli occhi a sufficienza, con tutta la gente che ora sa dove e quando trovarmi. Da parte vostra, beninteso, avrete un minimo di riconoscenza nei miei riguardi. Ci mancherebbe! Un’agenzia vi avrebbe succhiato il sangue; con me ve la caverete allegramente: una modesta percentuale sul prezzo, effettivo però – precisiamo – della compravendita; che so, il dieci, quindici, a coscienza vostra insomma.
SCENA QUINDICESIMA
ERMINIA E DETTI
ERMINIA – (entrando dalla cucina con un piatto in mano, si ferma sulla soglia e, piuttosto alterata) Non basta il daffare in cucina, devo anche servire ai tavoli? Mentre il mio caro maritino, che si vanta sempre di essere così premuroso, intrattiene le relazioni sociali. VITTORIO – Stavamo parlando di cose molto serie. Altro che relazioni sociali! ERMINIA – (ironica) Continuate pure: tanto, il grosso è fatto. (Rientra in cucina.)
SCENA SEDICESIMA
DON MICHELE E VITTORIO
MICHELE – (sarcastico) Avete una bella gatta da pelare, con la vostra signora. VITTORIO – Non ha poi tutti i torti. MICHELE – Non avete certo ato il tempo a raccontare o ascoltare le barzellette sui carabinieri. Un po’ di affabilità e, soprattutto, di riconoscenza non stonerebbe sicuramente. (Entra Nicola.) VITTORIO – (tra sé) Rieccolo con la mediazione! (A don Michele) Restiamo d’accordo così. (Si alza.) MICHELE – (tra sé) Oh! non ti lascia respirare. (All’oste) Avete tanta furia?
VITTORIO – Vogliamo versare un altro po’ di benzina sul fuoco? (Esce.) MICHELE – E va’ al diavolo, cacone di un trippaio!
SCENA DICIASSETTESIMA
NICOLA E DON MICHELE
MICHELE – (avvicinandosi il nuovo entrato) Nel caso avessi voglia di sfogare l’istinto di carrettiere con una bella scazzottata, di là troverai pane per i tuoi denti. Quell’invasato, lo inviteresti in carrozza: basta rivelare di essere il gentiluomo che ha curato l’affare del peschereccio. NICOLA – (siede) Sono venuto soltanto per domandare se non vi scomoda darmi quanto mi spetta, visto che avete finalmente trovato il tempo di are in banca. MICHELE – Allora tu mi pedini? NICOLA – Ma che pedino e pedino! L’ho saputo per caso dal cassiere. MICHELE – Comunque, sai che sono stato in banca apposta per te. (Mostra, l’indispensabile, un mazzetto di banconote nella tasca destra dei pantaloni, rimette dentro e battendoci sopra) Sono qui, vedi? Nessuno li tocca. Se ne parlerà dopo, fuori: non posso certo mettermi a contare soldi “sporchi” in un locale pubblico. NICOLA – E va bene! (Chiama) Vittorio! MICHELE – Cosa vuoi ancora da quel povero ragazzo? Lo hai già inguaiato abbastanza con questa bettola. Hai qualche nuova idea per mettere altra carne a cuocere? NICOLA – Non sapevo che, per mangiare, occorresse il vostro permesso.
MICHELE – Puoi mangiare quanto e quello che ti pare: basta che non ti salti in testa di scroccarmi un pranzo. Perché quattrini, ancora non te ne ho dati; e no so se in tasca... hai il necessario. (Significa soldi con mano.) NICOLA – Non abbiate di tali preoccupazioni. A parte il fatto che sarebbe un minimo di anticipo. MICHELE – No, no: quello, non ha a che fare con questo. Non voglio mistificazioni. E poi... con uno come te. NICOLA – Però, quando avete bisogno di me, all’improvviso divento una persona affidabile. MICHELE – Ci sono circostanze e circostanze. Pensa a strafogarti adesso. NICOLA – (chiama di nuovo) Vittorio! (L’oste entra dalla sala.)
SCENA DICIOTTESIMA
VITTORIO E DETTI
VITTORIO – (avvicinandosi) Eccomi. NICOLA – Portami ciò che hai di pronto. Rimango qui, in compagnia di don Michele. VITTORIO – Come preferite. (Apparecchia, poi entra in cucina.) MICHELE – Come mai?... Piangi sempre fame e miseria, e poi frequenti il cassiere della banca, ti spaparacchi in un ristorante con la prosopopea di un miliardario. NICOLA – Il cassiere, l’ho incontrato che andava al bar di fronte a bere il caffè; qui, mi sono seduto come un comunissimo mortale, e non ho certo ordinato manicaretti. (Rientra l’oste, con un piatto di pastasciutta e il cestino del pane.)
VITTORIO – (notando che don Michele vorrebbe fargli un appunto) Erminia ne ha cotta dell’altra. (Serve.) MICHELE – Eh, no! La riconosco. NICOLA – Un po’ di formaggio, per favore. VITTORIO – Subito. (Si gira per andar via.) MICHELE – Avevo ragione? (L’oste finge di nulla ed entra in cucina.) NICOLA – A cosa vi riferite? MICHELE – Lo so io. NICOLA – E va bene! Tenetevi i vostri segreti. MICHELE – Certo che me li tengo. (Rientra Vittorio che depone la formaggiera sul tavolo.) Strano che questa volta non vi sia caduta la pentola in testa. (L’oste non risponde.) Il vino per Nicola, Vittorio! Gli s’intrufolasse un maccherone nella trachea... NICOLA – (tocca ferro, ghermendo con la sinistra una gamba della sedia) Non lo bevo. (Con la destra, spande due abbondanti cucchiaiate di formaggio sulla pasta e prende a mangiare.) MICHELE – Non capisco come si possa gustare il pranzo senza un goccio di vino. Portate una bottiglia, Vittorio: offro io. VITTORIO – Se non beve vino!... l’acqua, ce l’ha. (Entra in sala.) MICHELE – Per sciacquarsi le budella. (Preleva una fetta di pane, la cosparge di formaggio e la fa fuori in pochi secondi.) NICOLA – (s’interrompe per un attimo) Vi lascio un po’ di pasta? MICHELE – (leccandosi il formaggio rimasto appiccicato sulle labbra) Autentico spirito di patata! Questo benedetto diabete... mi stimola la fame in continuazione. (Rientra l’oste.) VITTORIO – Vi dispiace, Nicola, di spostare la macchina? Un signore deve
uscire. (Ritorna in sala, mentre Nicola esce.) MICHELE – (tira davanti a sé il piatto, vi sparge la rimanenza del formaggio e trangugia; poi, intanto che rimette la stoviglia al suo posto, chiama) Vittorio! (Rientra l’oste.) Portate il secondo a Nicola. VITTORIO – Se stava ancora mangiando il primo... MICHELE – Che deve mangiare anche il piatto? Lo ha ripulito meglio di un gatto. (Vittorio entra col vuoto in cucina. Rientra Nicola.) NICOLA – E la pasta? (Siede.) MICHELE – Vittorio pensava l’avessi lasciata. NICOLA – Ma sono andato a spostare la macchina! MICHELE – Uh, quante storie per tre maccheroni! Non ti mancherebbe certo lo stomaco di chiederli indietro. (Rientra l’oste con una fettina ai ferri e un abbondante contorno di patatine. Serve ed entra in sala. Nicola prende a mangiare.) E’ tenera, quella fettina?... a me non sembra proprio. (Ha già cominciato a piluccare furtivamente le patatine.) Senz’altro in padella si sarebbe ammorbidita un po’. (Rientra l’oste.) VITTORIO – Scusate, Nicola: dovreste spostare di nuovo la macchina. Avete chiuso il aggio al signor Capaldo di sopra. NICOLA – (s’interrompe per rispondere) Digli di aspettare due minuti. VITTORIO – Sapete, è un tipo, quello... MICHELE – Nicola! Sei il solito screanzato, e prepotente. Un gentiluomo deve uscire, e tu continui a fare i tuoi porci comodi. NICOLA – (come sopra) Allora non sai di chi è la macchina. (L’oste entra in cucina.) Preferisco are da screanzato, prepotente; litigare anche con quel senzadio di Capaldo, piuttosto che ... (Finisce la carne, si alza ed esce. A sua volta, don Michele dà fondo alle patatine. Dalla sala arriva la voce avvinazzata di Saverio che tira moccoli a dritta e a manca.)
MICHELE – (soddisfatto) Ci siamo!
SCENA DICIANNOVESIMA
IL SIGNOR FERRANTE E DON MICHELE
FERRANTE – Che voltastomaco! MICHELE – Vi capisco. Non dovevano neanche farlo entrare, un indemoniato del genere. Mi riservo di produrre vivaci rimostranze a chi di dovere. FERRANTE – Mi riferivo alla vostra idea geniale. (Siede.) MICHELE – Tutto sistemato. FERRANTE – Caro don Michele, le mie intenzioni coatte erano comunque quelle di far comprare a mio fratello un esercizio che gli consentisse di sbarcare il lunario. MICHELE – Vedrete che lo sbarcherà alla grande, il lunario. FERRANTE – (alterato) Per favore!... Chi viene qui, esclusivamente per voi, defalca con un pranzo o una cena piccola parte di un credito altrimenti irrecuperabile. MICHELE – Il vostro linguaggio di stamane mi sembra piuttosto sibillino. FERRANTE – E’ il caso mio, e del macellaio, per essere più esplicito. Quello che invece sta sbraitando, neppure ci pensa, a pagare. MICHELE – E perché dovrebbe scervellarsi, quando per lui pagherà il Comune? FERRANTE – (indignato) Ma che Comune e Comune! Sarebbe, questo, l’affare che mi proponevate?
MICHELE – Ah! Per voi non lo è? Vittorio sembra fesso, ma è un dritto di tre cotte. Il suo, è lo stratagemma del cavallo di Troia. E’ riuscito ad accaparrarsi una cerchia di invidiabili clienti. Chi proibisce a vostro fratello di seguire la scia di questo furbone? FERRANTE – Vincenzino ha bisogno di un’occupazione seria, e voi me l’avevate fatta vedere in mano. MICHELE – Io, per vostra norma e regola, mantengo sempre le mie promesse. FERRANTE – Allora quando arriva questo posto? MICHELE – Vi ho forse parlato qualche volta di un giorno preciso? FERRANTE – Ditemi almeno il mese, se non l’anno o addirittura il secolo! MICHELE – Esimio signore, la vostra petulanza comincia a procurarmi l’orticaria. Se non avete fiducia in me, siete liberissimo di rivolgervi altrove. FERRANTE – E tutto il vino che finora ho portato per voi e per quell’altro brav’uomo di vostro fratello? MICHELE – Ringraziate il Padreterno che siamo legati ai nostri medici di famiglia da fraterna amicizia. Diversamente, avremmo querelato prima loro per omissione di referto. FERRANTE – Cosa vorreste insinuare? MICHELE – Semplicemente che il mio diabete e l’ulcera di Giovanni sono da attribuire in modo inequivocabile alle sofisticazioni del vino acquistato da voi. E a entrambi, n’è rimasto abbastanza per le analisi probatorie. FERRANTE – (si alza, e fuor di sé) Ma andate all’inferno, voi, Sua Eccellenza, e tutta la vostra razza maledetta! (Esce di carriera.) MICHELE – (si alza e, come se volesse rincorrerlo) Badate alle villane ingiurie che vomitate, impostore di un vinaio! (Siede.)
SCENA VENTESIMA
LA SIGNORA E DON MICHELE, POI VITTORIO
SIGNORA – (visibilmente irritata, mentre entra, chiama forte) Vittorio! (Viene avanti.) Gl’insegnerò io a comportarsi da cristiano. (Entra l’oste.) Avete ancora lo stomaco di sostenere che non viene mai nessuno a mangiare da voi? Ho aspettato fuori apposta. VITTORIO – Lasciate che vi spieghi, Signora. (Si avvicina per una confidenza.) SIGNORA – C’è poco da spiegare! Parlano i fatti.
SCENA VENTUNESIMA
SAVERIO E DETTI
SAVERIO – (barcollando) La co–colpa è–è sua. (Indica col dito don Michele, al quale si avvicina.) MICHELE – Voi non sapete quello che dite. SAVERIO – So che–che invece vi ro–romperò i–il muso se–se non mi re– restituirete i–i soldi. MICHELE – Vittorio! buttate fuori questo energumeno! Siete responsabile della mia incolumità, nel vostro locale. SAVERIO – (da dietro, prende l’interlocutore per il collo) A–avete ca–capito che vo–voglio i so–soldi? (Lo scuote con violenza.)
MICHELE – (si libera con guizzo felino e, rimanendo in piedi) E levatemi le mani di dosso, villano d’un pescatore!... Vittorio! che aspettate a piazzargli una legnata in testa? VITTORIO – (afferra Saverio per il braccio e lo tira verso la porta) Via, via! SAVERIO – E–e la–lasciami! (Si libera con uno strattone.)
SCENA VENTIDUESIMA
ERMINIA, CARMINUCCIO E DETTI, POI DUE QUESTURINI
ERMINIA – (al marito) Che vuole anche il resto? quel mangiafranco! SAVERIO – (a Erminia) De–devo spa–spaccare la–la fa–faccia a–anche a–a te? (Fa per avventarlesi.) VITTORIO – (a Saverio) E va via! (Con uno spintone lo manda a gambe all’aria, nello stesso istante in cui entrano due Questurini.) I QUESTURINO – Che succede qui dentro? II QUESTURINO – (al collega) Non lo vedi? è ubriaco fradicio. I QUESTURINO – Portiamolo in caserma. (Aiuta Saverio ad alzarsi.) II QUESTURINO – (a Vittorio) E lei, chi è? VITTORIO – Sono il proprietario del locale. II QUESTURINO – Venga anche lei con noi. VITTORIO – Ma... (con affettazione) aveva assalito a scopo univocamente carnale mia moglie. (Normalmente) C’è un testimone... Don Michele, parlate voi.
MICHELE – Che devo dire! VITTORIO – Ciò che avete visto e sentito. MICHELE – (cascando dalle nuvole) Io? II QUESTURINO – Poche storie, andiamo! (Prende Vittorio per il braccio e segue il collega che esce tenendo Saverio. Quindi escono la Signora e Carminuccio. Erminia entra in cucina.) MICHELE – (intanto che, accortamente, trasferisce i soldi, dalla tasca, nelle mutande) Oggi, non si sta al sicuro nemmeno sull’altare. (Si alza per andare; ma, all’arrivo di Nicola, si rimette a sedere.)
SCENA VENTITREESIMA
NICOLA E DON MICHELE
MICHELE – Per te, potevo spirare sotto i pugni e i calci di quell’invasato. NICOLA – Ho accompagnare mio zio a casa. Ma che è successo? Ho visto Vittorio e il pescatore portati via da due poliziotti. (Siede.) MICHELE – Quel bifolco del pescatore non avrebbe smesso di offendermi e malmenarmi. Il povero ragazzo ha preso le mie difese... e s’è scatenata la baruffa. avano per caso gli sbirri e ... Ma non è finita... nella confusion qualcuno mi ha infilato la mano in tasca. NICOLA – (balza in piedi) Come! MICHELE – Oh! I soldi sono spariti. (Indica la tasca vuota.) Li vedi, tu? NICOLA – (si porta le mani sul volto e cade a sedere) Madonna mia santissima! MICHELE – E, per fortuna, è andata com’è andata. Stava succedendo quello che
avevo temuto. NICOLA – (sedendo) Cioè? MICHELE – Ué! Ti abboffi come un porco e scompari non diversamente da un marziano. Insomma avrei dovuto pagare anche il tuo conto. NICOLA – Non ce ne sarebbe stato bisogno, perché da Vittorio avanzo ancora i soldi della mediazione. MICHELE – Hai pure il coraggio di pretendere la mediazione? Lo hai rovinato con questo camposanto.
SCENA VENTIQUATTRESIMA
ERMINIA E DETTI
ERMINIA – (si avvicina recando una grossa pentola che stava pulendo) Voi due... vi deve uccidere il Padreterno! MICHELE – Volete fare la fine di vostro marito? ERMINIA – E la voglio proprio fare, la fine di mio marito! (Gli dà la pentola in testa con violenza.) MICHELE – (urla dal dolore) Ah!... (Erminia ritorna in cucina.)
SCENA VENTICINQUESIMA
DON MICHELE E NICOLA
NICOLA – (alzatosi, fascia con la tovaglia del tavolo la testa di don Michele che sanguina abbondantemente. Intanto) Bisogna andare all’ospedale. Avete preso una “bella” botta. Qui, ci vogliono almeno cinque o sei punti... Provate invece a immaginare quei signori del supermercato al posto di Erminia: questa zucca barucca starebbe adesso rotolando lungo la via Roma tra l’ilarità generale. MICHELE – Taci! NICOLA – (si porta sulla soglia della cucina e, rivolto a Erminia) Chiamate l’ambulanza. Qui la faccenda è seria. MICHELE – (mentre si avvicina Nicola) Mi raccomando: non staccarti un attimo da me, e, soprattutto, non permettere al Padreterno in persona di spogliarmi. Non lo sa nessuno... ho un’ernia scrotale grossa quanto un cetriolo. Se la scopriranno, mi opereranno subito, e io morirei dalla paura prima dell’anestesia. NICOLA – Non dubitate. Nessun altro toccherà la vostra “bella” ernia. (Prende ad armeggiare laggiù.) MICHELE – (blocca la mano) Sta’ fermo! Che fai? Nicola! Non darmi il dispiacere di scoprire che l’unica persona di mia fiducia abbia tendenze... NICOLA – Non ci pensate lontanamente. (Cerca ora di infilare la mano sotto la cintola.) MICHELE – (glielo impedisce) Ma che ti salta in mente! Potrebbe entrare Erminia all’improvviso... Bella figura... ci farei anch’io! (Si ode la sirena dell’ambulanza.) NICOLA – (adesso il tentativo non ha più delicatezza) Tanto, all’ospedale vi spoglieranno. Meglio ve la tolga io, l’ernia, senza anestesia. Così, non morirete dalla paura. MICHELE – (esaurita ogni resistenza) Vigliacco!... traditore! NICOLA – (tirato fuori il mazzetto di banconote, lo scruta come a liberarsi di un incubo e se lo infila in tasca; mentre uno sputo in pieno viso precede
l’imprecazione) Figlio di un cane rognoso!
M
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