Il Bacio Della Vita 4t5r53

ANTROPOETICO

Il bacio della vita

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Indice dei contenuti

Voglia di farla finita L'arrivo al canile Trovare casa ai cani Colloquio con la morte Confronto di mentalità Raul sospetta Dalla ex moglie Monica scompare Nella grotta al buio Lotta serrata

Voglia di farla finita

Raul beve. Non è una novità, ormai è diventato un alcolista cronico, un uomo che nasconde la sua vera essenza durante le ore del giorno. Un essere umano che lavora, che si relaziona dentro un'apparente normalità mentre nel cervello si espande la follia. Una lucida, presente e attenta pazzia. L'analisi della quotidianità diventa spietata falce che taglia quel che resta della voglia di vivere. < > Definire con lucidità come farlo cancella la delusione del ato, rendendo lontani il senso di fallimento, il marciume del ato < > ma dentro ha ancora un barlume di lucidità. L'obiettivo è farla finita, ma senza che altri ne subiscano le conseguenze. Già, un buono dentro come lui, deve tirarsi fuori da solo dal buco di merda di vita in cui chissà quale Dio bastardo lo ha cacciato. Il pensiero è fisso, ammorbidito solo dall'alcool, non c'è futuro nella vita, il desiderio è quello della fuga. < > Raul tira su l'ennesimo bicchiere, mentre alle sue spalle gracchia, come una nuvola di locuste impazzite, la televisione. Com'è diverso questo mondo da quello immaginato quando aveva vent'anni. Puttane, politici corrotti e collusi, il senso di non aver nulla davanti se non un’enorme montagna di problemi. Come dargli torto? Un’ex moglie in cura dallo psichiatra, affondata dentro la depressione più nera, una vita alla deriva in cui egli si sente coinvolto ma solo come inerme comparsa. Responsabile, peccatore, colpevole e comunque impossibilitato ad agire. Una smorfia di sorriso ironico scioglie la rigidità di quel viso gonfio di vino e dolore. Ci sono lacrime che non riesci a tirare fuori ma che comunque spaccano dentro. Raul conosce bene questa sensazione. Ha vissuto, respirandone l'odore puzzolente, la depressione fin da giovane. Forse addirittura ci si è assuefatto come un drogato incallito. Nessuna prospettiva dentro un lavoro che non gli piace, la nausea di fronte ad una realtà di sopportazione, l’invitabile approssimarsi della morte dei genitori anziani. La vita lo aveva preso per il culo, lo aveva illuso, coccolato, contrastato con violenza e adesso ne provava forte un senso di ribrezzo. Una corda avrebbe risolto il problema. La vita gli aveva fatto male dentro, tutto era inutilmente presente, falso e doloroso. Non restava che pianificare con cura le fasi dell’evento. Certo. Raul non voleva

lasciare inghippi a nessuno. Morire era una scelta complessa ed impegnativa, ci voleva tempo per fare tutte quelle cose necessarie al fine di aggiustare al meglio le conseguenze della dipartita. La corda appesa era solo l’ultimo tassello di un puzzle ancora da comporre, il semplice assolo all’interno di una grande melodia, la punta di diamante fino a diventare nella sua mente distorta come “l’unica cosa fatta veramente bene”. Ed ecco, nella sua testa, egli diventare l’artefice perfetto, l’artista dal pennello eccellente. <<Se la vita l’ho ata con il culo per aria, voglio diventare il Michelangelo della morte>>. Il ragionamento così perverso, distruttivo per un essere normale, calzava perfettamente come un gambale nel freddo inverno nella mente in decomposizione di Raul. La prima cosa da fare era l’inventario e la distribuzione assegnata dei suoi beni perché la consegna delle cose materiali avrebbe significato il suo giudizio postumo su coloro che avevano vissuto con lui, nei contorni della sua esistenza e che avevano contribuito, a ragione o torto, a quella decisione estrema. Ognuno di loro, così gretti e materiali, all’apertura del testamento, avrebbero dovuto comprendere il suo amore o l’evidente disprezzo. < > esclamò Raul, alzando il calice di prosecco aperto dopo cena, a rincarare la dose al chianti di cui era rimasto solo il fondo nudo e scuro della bottiglia. Una classifica, un modo per gridare dopo morto e al tempo stesso, l’idea assurda di poter diventare il Dio del “dopo”, dei giorni seguenti la dipartita. Prese dunque un foglio bianco, ci versò sopra il succo delle bollicine nell’angolo in altro a destra, prendendo subito dopo un coltello appuntito. Buttò giù un altro sorso di prosecco, tenendo in bocca per alcuni istanti il “perlage” inebriante. Brillava come un diamante quella lama affilata ed era bello far girare su sé stesso il filo tagliente, poi di colpo, impugnandolo con la sinistra infilò la punta nel medio della mano destra, entrando nella carne. Bastò un giro per far uscire il sangue. Era questo che voleva Raul, vedere il rosso del suo sangue sporcare il foglio arrivando a mischiarsi con il vino. Lo fece, fino a lasciar scendere la goccia dal dito violato. Inconsciamente aveva celebrato un rito, spinto da chissà quali arcani retaggi della memoria ancestrale o più probabilmente da quelli assimilati in anni di film alla televisione. Ecco, adesso si sentiva speciale, diverso da ogni altro essere vivente sul pianeta e quindi unico e padrone, finalmente padrone del suo destino. Nulla sarebbe più dovuto accadere per volontà di qualcun altro o in conseguenza del caso. Vino e sangue su quella carta dove sarebbe rimasta impressa la volontà voluta. L’ultima e per questo intensa e necessaria. <<Ecco, il patto è sottoscritto adesso! Alla faccia vostra, stronzi…>> Bevve di nuovo, ormai l’alcool non era più nemmeno in grado di renderlo intontito, anzi funzionava nelle sue sinapsi con una specie di effetto leva, potenziandone, almeno nella sua percezione, le capacità e l’intuizione. Fare l’inventario cominciò in quella lunga notte anche ad

essere un modo per riepilogare la vita ata. Ogni proprietà, ogni oggetto, narravano i giorni vissuti e possedeva l’energia consumata allora. La prima cosa da sistemare erano gli immobili. Non aveva fatto una gran fortuna in quei fottuti quarant’anni ma non era nemmeno uno con, solo, le pezze al culo e se il fisco avesse aspettato ancora alcuni giorni a cercare di spennarlo avrebbe potuto are mattoni solidi, pezzi di casa e la palla della vita ai suoi eredi. La casa in montagna, quella al mare, le mura di tre negozi, la villa lasciata in utilizzo all’ex moglie e il bilocale in corte dove si era rintanato. < > pensò Raul, sorridendo come un bambino con i suoi giocattoli. Si era fatto un mazzo tanto, fin da giovane per rendere solido il suo futuro. Come non ricordare la prima casa presa in affitto quasi vent’anni prima? A quei tempi la gioventù scorreva forte nelle vene assieme al sangue e quel monolocale scassato, arredato con mobili vecchi e trasudanti chissà quante vite precedenti, rappresentava il volo fuori dal nido, l’aprire delle ali verso il cielo. Non importavano il gocciolar ruggine del bidè e il rumore delle rotative nel capannone adiacente. Il mondo era lì e la partita ancora tutta da giocare. < > Raul prova un senso di rifiuto per l’immagine che gli s’impregna nel cervello nel tentativo di rinnegare tutta quella voglia di combattere e l’espressione ingenua e gradassa che si vedeva allora dipinta in faccia. Egli porta le mani sul volto cercando di nasconderlo, non vuole vedersi ma non può fuggire da sé stesso. Quello che era stato rimbalzava da una tempia all’altra come un film rotto dentro un proiettore. < > La sua mente era spesso presa dall’ansia e dall’angoscia. ato e futuro giocavano in un girotondo perverso, mischiando rimpianti del tempo consumato e incertezza per quello che sarebbe accaduto. Pensare alla morte stabiliva un punto fisso, un luogo dove andare, una certezza che nessuno avrebbe potuto strappargli dalle mani dove finalmente avrebbe potuto governare gli eventi, tenerli sotto controllo fuori da ogni giudizio altrui. Certo lo avrebbero giudicato comunque, ma avrebbero potuto farlo solo a giochi fatti. < > Una smorfia gli fece sobbalzare il sopracciglio destro < > Era l’ora di cominciare a scrivere su quel foglio reso sudicio dal vino e dal sangue: “Io sottoscritto Raul Tenebra nel pieno delle mie facoltà mentali e senza costrizione alcuna, lascio le seguenti disposizioni testamentarie da rispettare in caso di morte: Alla mia ex moglie Olga Cartesio l’appartamento a Lignano Sabbiadoro compreso gli arredi e il posto auto coperto, i soldi sui conti e la catenina d’oro con la scritta: io e te uniti per sempre”Proprio in quel momento la mano gli cedette di schianto lasciando cadere la penna. L’aveva tenuta, non era stato capace di liberarsi di quel regalo, l’unico che la sua ex gli

aveva fatto in 15 anni di matrimonio e adesso sentiva come un morso al cuore, provando la sensazione di un serpente che gli stesse salendo dalle budella. < > Parole forti come crocefissi sul muro. Per quanto tempo ci avevano creduto lui e la donna con cui si era sposato e ormai non sarebbe stato certo un pezzo d’oro a fare la differenza. Il braccialetto doveva tornare nelle mani di chi glielo aveva dato. Si frequentavano ancora, sul filo del delirio e impacchettati nelle parole dello psichiatra che aveva in cura lei “Sarà un percorso lungo, la depressione è in uno stadio avanzato”. < > Raul butta giù un altro goccio di vino ma la gola continua a sembrargli secca e la bottiglia di grappa a luccicare stupendamente sul pianale del mobile della sala. Non poteva lasciarsi andare, a differenza della sua ex, era assolutamente impensabile che proprio lui, il combattente di tanti anni su tutti i fronti, potesse essere stato demolito dagli eventi. Egli aveva sempre pensato alle conseguenze, preoccupandosi degli altri a scapito di sé stesso. Che avrebbe combinato a quel punto Olga? E poi, come avrebbe potuto, proprio lui, dilaniare il cuore di mamma? Ma adesso, cominciava a non aver più importanza. In realtà nessuna, di quelle persone che lo aveva circondato, lo aveva amato davvero. Raul si sentiva usato, avevano sfruttato fino al midollo la sua voglia di spendersi per gli altri polarizzando su di lui l’insoddisfazione piena e completa delle loro magre esistenze. Anni e anni ancora ati a sorbirsi amarezze ed incapacità che avevano distrutto il senso stesso della vita oltre che mandato in pezzi il fragile equilibrio su cui si era basato il suo matrimonio. Era giunto il momento di annientare le cellule cerebrali con qualcosa di più forte e Raul versò la grappa non nel bicchierino piccolo ma nel calice dell’acqua. Quasi mezzo bicchiere, tirato giù di botto, per sentire bruciare la gola e lo stomaco. < > Il foglio era ancora lì fermo ad aspettare il tocco della penna. A chi lasciare il resto? < > Il fratello, l’unico fra quelli della famiglia a non soffrire di malesseri e depressione, si era distinto più di lui nella vita, essendo riuscito a staccarsi presto dall’ambiente familiare e aveva fatto pieno centro in tutto. < > Raul lo aveva sempre amato e contemporaneamente odiato, in quanto egli era la rappresentazione perfetta di ciò che avrebbe voluto essere. Suo padre, inoltre, non perdeva mai occasione per fare il confronto tra di loro. sco aveva anche avuto due figli che avrebbero continuato la stirpe dei Tenebra. Raul, ogni volta che ci pensava, si sentiva il ramo secco e spoglio della famiglia. Ecco, forse aveva capito. Egli si sentiva come Caino, colui destinato all’errore, inscatolato dentro un percorso senza possibilità di scampo e ne era irresistibilmente attratto. Probabilmente subiva il suo fascino da perdente in contrapposizione allo scontato ruolo di buono promosso dall’idealizzazione di

Abele. Il resto lo avrebbe lasciato ai genitori, sopravvissuti alla “grande guerra “e attaccati in maniera viscerale ai soldi. Ma provava anche un senso di colpa causato dal pensare alle conseguenze devastanti che accadono ad un genitore costretto ad assistere alla morte del proprio figlio. Nella sua follia si immaginava la scena. La processione di corvi neri nella camera mortuaria e i commossi abbracci tra una parola di circostanza e l’altra. Il dramma per l’impossibilità di cambiare le cose, l’annientamento dei progetti di vita, il dolore di madre e padre per essergli sopravvissuti. Adesso però, cominciava a prevalere il concetto che essi, se erano ati indenni nel periodo catastrofico della guerra avrebbero metabolizzato anche la sua dipartita. “Queste sono le mie ultime volontà. Milano, 08/03/2011. In fede L’ultimo degli stronzi”. Aveva scritto tutto dettagliatamente e adesso mancava solo la sua firma. Quella illeggibile, quasi isterica con cui aveva firmato migliaia di assegni nella sua vita. Raul se lo rilesse con calma, gustando, parola per parola, lo smembramento economico di tutto ciò che aveva costruito in quel quarto di secolo, trascorso per la maggior parte a lavorare e sgranare problemi. < > Firmò in modo quasi rabbioso, preso da una strana isteria e subito dopo iniziò a rovistare nei cassetti della cucina alla ricerca della busta rossa che aveva comprato apposta per l’occasione. ò e riò la lingua umida seguendo il bordo dell’ala superiore affinché la colla prendesse consistenza, dopo di che piegò il foglio in tre e lo infilò con cura. La richiuse, girandola dal lato dell’intestazione e ci scrisse sopra in stampatello “Lo so che non capirete, non avete mai capito un cazzo, ho bisogno di fuggire”. Nessuno di loro, dai genitori, al fratello, fino alla ex, avrebbe mai potuto comprendere il male che gli avevano fatto. Per anni era stato nutrito nel marcescente liquido di un’infelicità che non gli era propria, lo avevano ingozzato, senza alcun ritegno, del loro malessere come fosse un vanto poter distorcere la faccia e raccontargli la sofferenza, vera o presunta, subita da un destino sbagliato. Adesso tutto quello che lo aveva nutrito, non era più digeribile, il vomito intellettuale era inarrestabile. Nella mente di Raul la morte avrebbe segnato la sua superiorità morale e culturale, i suoi lasciti, uno schiaffo in faccia a persone lontane anni luce dal comprenderlo. Anzi non lo avrebbero capito comunque, ma ciò non era importante. Come un artista scolpisce la sua opera nel marmo e a poco, a poco esalta con lo scalpello la bellezza che alberga dentro, così il suo ultimo gesto avrebbe dovuto lasciare un segno. Un chiodo appeso alla parete del tempo e dello spazio, un segno del suo aggio e la sua capacità di sconfiggere il male subito, con un gesto di generosità. Non avrebbe ripagato il male con il male, si sarebbe semplicemente tolto di torno, avendo cura di fare il possibile per non lasciare ragni nel buco da togliere agli altri. In fondo, era davvero semplice. Almeno con la sua ex moglie,

della quale era diventato un semplice bancomat a comando, l’esecutore dei bisogni materiali, escluso, scartato, annientato come compagno, lontano dalla sfera sessuale di lei. < > Raul versò ancora grappa, non riusciva a sbronzarsi in quella notte lunga e insaziabile. < > L’immagine di sé che custodiva nel profondo, lo legava a doppio filo, al mondo selvaggio dei cani di montagna. Egli si sentiva così, quel pensiero lo aveva salvato molte volte. Almeno l’illusione di vivere d’istinto richiamava i meccanismi arcani e nascosti della psiche, svegliava il cuore dalla monotonia esistenziale.Quando pensava di correre verso la luna, di ululare chiamando la sua compagna in boschi di fantasia, egli era vivo e sincero. Ci vollero altri due bicchieri di liquore per costringerlo ad un sonno profondo. Il divano del salotto lo accolse nel suo lasciarsi cadere come una marionetta all’improvviso inanimata. Il cervello di colpo aveva staccato la spina, impedendogli di proseguire nei suoi insensati propositi. La mattina dopo però lo stomaco prese a manifestare tutto il suo disagio, imponendo al corpo di vomitare. Raul lo fece non appena cercò di mettersi in piedi, imbrattando tutto il tappeto persiano. < > sbiascicò in modo incomprensibile < > La cena consumata la sera prima si era sparsa dappertutto, anche sui vestiti. L’odore era nauseante causato dalla miscela di sudore, alcool e cibo in decomposizione. I muscoli continuavano a contorcersi cercando di strappargli ancora la bile amara ma ormai si era svuotato. Prese dello Scottex e cominciò a raccogliere alla meglio la poltiglia violacea dal tappeto andandola poi a depositare nel contenitore dell’umido. < > disse Raul scocciato dal fatto di dover continuare a chinarsi nel tentativo di un’improbabile pulizia. <<Ma ho mangiato della merda?>> L’espressione della sua faccia testimoniava il disgusto di sentire gli effluvi maleodoranti che si erano diffusi nel soggiorno. Buttare lo Scottex contro il muro e lasciare tutto così gli sembrò una buona idea. Raul aveva bisogno d’aria, di respirare il fresco del giorno e per farlo doveva rimettersi in sesto. S’infilò dentro il bagno lasciando sparsi lungo il tragitto per arrivarci, tutti gli abiti. Aprì l’acqua per riempire la vasca e ci versò dentro mezza boccetta di bagnoschiuma, assaporando il sapore di pino silvestre come un balsamo. Subito dopo, in attesa che l’acqua arrivasse al giusto livello, prese lo spazzolino da denti e lo ricoprì con il dentifricio cominciando a fregare e sfregare i denti e la lingua nel vano tentativo di togliersi quel sapore di marcio che saliva dal suo basso ventre. Immergersi fu un vero piacere. A poco a poco la mente cominciava a riprendersi dalla nebbia dovuta ai fumi dell’alcol < > Raul, ritornato nella pienezza delle sue facoltà mentali, si rese conto che le sue volontà contrastavano con le norme legali. Avrebbe dovuto informarsi meglio per sapere

a chi sarebbe finito il suo patrimonio. Di certo non poteva disporre di ogni cosa senza tenere conto delle quote legittime. Adorava sentire lo scrosciare dell’acqua e il montare della schiuma fino ad avvolgere tutto il suo corpo ad eccezione della testa. Farsi lo shampoo e poi asciugare i capelli con il getto caldo dell’acqua era uno di quei pochi gesti quotidiani che ancora avevano la forza di distrarlo dai pensieri di morte e di abbattimento. Lo fece più a lungo del solito quel rito, poteva, infatti, essere l’ultimo della vita e come sempre accade le cose belle le apprezzi di più quando senti che stai per perderle. Raul non sapeva se avrebbe fatto di nuovo un bagno, dipendeva tutto dal tempo necessario per mettere nel giusto ordine le cose. Era domenica, fuori un sole baciava le case del paese, portando un tiepido calore caratteristico dei giorni di marzo e uscire non poteva che fare del bene a un cervello ormai avviato verso una serie di gravi malfunzionamenti. In effetti, Raul ava da uno stato di depressione assoluta a una specie di innaturale euforia, dai sensi di colpa vissuti come frustate nell’animo a voglia di rivincita contro il sistema e le persone con cui aveva tirato avanti tutti quegli anni. Se ne rendeva conto ma comprendeva perfettamente che era, ormai, inutile ribellarsi. La sua vita non sarebbe mai stata come quella di tante altre persone. In un certo senso, egli andava in giro con diverse maschere attaccate alla cintura e si era abituato a fingere così bene, in maniera talmente perfetta, da essersi perso, da non capire più chi fosse davvero. Ne indossava una diversa a seconda delle situazioni. C’era quella per il lavoro dove era necessario manifestare comprensione, empatia, professionalità assieme ad equilibrio e affidabilità. Quando poi aveva a che fare con i genitori utilizzava quella della sopportazione, del “va tutto bene”, imprigionato in un ruolo che non gli era proprio. Facce diverse da mostrare all’occorrenza. Se ne era creata una anche per l’ex moglie. Qualunque espressione andava bene pur di non mostrare il suo vero volto. Ma c’era un prezzo da pagare. Sempre la vita ti presenta il conto, lui aveva dato tutto, raschiava ormai quel che restava del cervello. Camminare, questa era l’unica cosa importante adesso. Raul s’infilò nel percorso che faceva tutte le domeniche. In meno di una mezz’oretta riusciva a raggiungere il parco alle porte della cittadina, un luogo che per lui era diventato una specie di santuario mistico. Vedere tutte quelle persone correre dentro una tuta, sudati e affaticati lo incuriosiva, specie gli anziani. Come facevano ad avere ancora tutta quella voglia di tenersi in forma? Come potevano sentire ancora così forte il richiamo della vita? Loro non si erano arresi ai problemi, agli acciacchi. Ma soprattutto si commuoveva vedendo gli scoiattoli scendere e avvicinare le persone in cerca di noccioline. Era insolito che animali selvatici si fidassero così tanto degli esseri umani. Quella mattina decise si sedersi sulle panchine affacciate in bella vista proprio di fronte al laghetto, assiduamente frequentato da anatre e oche. Il

riverbero della luce sull’acqua era magico. Gli occhiali scuri, oltre a proteggere gli occhi dal sole, gli permettevano di nascondere lo sguardo alle altre persone. Raul era in una dimensione tutta sua, sentiva lontani i rumori circostanti, le voci, le grida dei bambini erano mischiati in un sottofondo sonoro indistinguibile. < > Per un attimo, provò piacere ma ormai aveva deciso; nel giro di una settimana avrebbe fatto tutto. Dove farlo? Come farlo? La sua mente era orientata verso l’impiccagione. Semplice, veloce, senza rischi per gli altri. Scartò l’ipotesi di farlo al parco, alle prime luci dell’alba, per evitare di traumatizzare gli ignari frequentatori. < > No, il luogo doveva essere appartato e raggiungibile in prima battuta solo dagli stretti conoscenti e quindi l’unico ambiente idoneo era casa sua. Avrebbe dovuto preoccuparsi, con qualche scusa, di lasciare le chiavi a uno di loro, in modo tale da poter accedere senza sfondare la porta blindata. Camminando, egli riusciva a trovare concentrazione e riflessione. Comprendeva di non stare attraversando un bel periodo della sua vita e dell’assurdità di ciò che voleva fare ma bastava pensare a cosa avrebbe dovuto sopportare negli anni a venire a riportarlo all’idea del suicidio. Si sentiva senza forze. < > Si era spinto ben oltre i suoi limiti, aprendo tutte quelle porte, una dietro l’altra, che riusciva a vedere nella sua mente. Insomma si sentiva esausto, ormai incapace di confrontarsi con la vita mentre il mondo, le circostanze gli imponevano un combattimento lungo alla fine del quale avrebbe potuto uscirne comunque solo da perdente. Ragionamenti che avrebbe reputato assurdi se li avesse sentiti fare da qualcun altro ma che, messi addosso sulla sua carne, rappresentavano un abito perfettamente calzante. Raul si rese conto anche di aver compresso dentro una rabbia fortissima, di averla schiacciata e controllata per evitare che esplodesse in maniera violenta. Ce l’aveva con tutti, con chi non lo aveva capito, chi non lo aveva aiutato. Il mondo era solo merda e se c’era qualcosa di diverso, oltre al tempo nella carne, questo era il momento giusto per scoprirlo. Il giorno dopo si sarebbe recato al centro commerciale, avrebbe comprato la corda idonea e un abito blu abbinando camicia e cravatta, scarpe nuove. Voleva anche prendere tutto il necessario per effettuare una pulizia radicale della sua casa. Tutto avrebbe dovuto essere perfettamente in ordine, lindo e splendente. Nessuno avrebbe dovuto pensare a lui come un miserabile, un uomo in stato di abbandono, anche in questo caso nessuno avrebbe dovuto vedere quello che lui era realmente. Ci teneva che pensassero alla sua, come una scelta razionale frutto di deduzione logica. In modo aberrante voleva dimostrare che lo spiccare il volo era stato frutto dell’intelligenza, dell’aver capito che stare sulla terra rappresentava solo una punizione, una condanna e che lui l’aveva già

scontata appieno. La morte lo avrebbe reso libero e gli avrebbe dato accesso ad un nuovo universo, a una nuova condizione. Non andava mai in chiesa, nonostante le tante belle parole a condimento di prediche domenicali che si era dovuto sorbire in giovane età, era evidente che i preti più che rappresentare Dio pensavano ad ingrassare le loro pance e i loro portafogli. Decise di farlo, senza una spiegazione razionale, quella mattina. L’istinto lo guidava, forse le poche cellule sane rimaste nel suo cervello stavano cercando un appiglio per cambiare l’ottica sul da farsi. E proprio quella mattina si stava svolgendo un funerale. Raul ne aveva già vissuti di quegli episodi ma adesso si sentì preso da una curiosità particolare. Poteva ricavare delle indicazioni utili anche per organizzare il suo decorso “post-mortem”. Per prima cosa volle vedere chi fosse morto. Si mischiò alla folla nel via vai dentro e fuori alla chiesa. Si avvicinò al tavolino posto all’ingresso, bardato di velluto rosso, sopra il quale vi era aperto un libro e una penna per sottoscrivere la propria partecipazione. Di fianco, dei “santini”, dei foglietti con la foto del “de cujus” e le date di nascita e di morte. Si trattava di una donna, mancata all’età di 48 anni. La foto la ritraeva dentro un sorriso dolce. Raul ne fu irresistibilmente attratto. Firmò e ne prese uno di quei biglietti di ringraziamento alla partecipazione. Non sapeva perché ma comprese che doveva farlo. Poi entrò in chiesa, raggiungendo la camera ardente. Lei era lì, rigida come una statua di cera dentro un pallore giallastro. I lineamenti del viso lasciavano intendere che la morte era stata dolce, il aggio all’altro mondo evidentemente poco traumatico. Raul si sentì attraversare da un brivido, una scossa dalla testa ai piedi, le sue mani in modo meccanico si appoggiarono sulla bara e subito dopo percepì che doveva andarsene immediatamente. Un sudore freddo cominciò a scendergli dalle ascelle ed il suo o si fece veloce nell’uscire dal santuario celebrativo della morte. <<Ma che Diavolo mi succede? >> Un istinto nuovo e forte gli lasciava intendere che avrebbe dovuto sapere di più su quella donna. Chi era? Come aveva vissuto e soprattutto come era morta? Decise pertanto di aspettare la chiusura della bara e la processione verso il cimitero. Mezz’ora dopo il carro funebre si mise in strada, seguito da un pugno di uomini guidati dal prete verso l’ultima dimora per quella donna. Una trentina di persone in tutto sotto i rintocchi delle campane. Amici e parenti di mezz’età commossi per l’accaduto. Alcuni piangevano, altri commentavano sotto voce. Raul stette in silenzio per rispetto di fronte a quella situazione e con l’intento di osservare minuziosamente le procedure di sepoltura. Avrebbero potuto dargli indicazioni preziose anche per la sua uscita di scena. Una volta entrati nel cimitero ed espresso l’ultimo saluto con benedizione da parte del prete, la bara venne immessa nel loculo, un buco dentro una parete lunghissima rivestita di marmo. Sopra, sotto e sui fianchi le scritte e le foto di tante vite ormai andate.

Pochi minuti ed ecco l’arrivo del muratore deputato alla chiusura, armato di cazzuola, calce e una pigna di mattoni. Raul lo vide cementare il loculo con un’esperienza consumata derivata da anni di lavoro, pezzo dopo pezzo. Infine vi mise davanti una lastra grigiastra dove spiccava di nuovo il volto magnetico di quella donna e il suo sorriso enigmatico. “Penelope Mattino, nata il 4 agosto 1963, deceduta il 09 marzo del 2011, amante degli animali” Questa era l’iscrizione riportata sotto la foto. < > pensò Raul. Era comunque insolito, che di tante cose che si potevano scrivere su di una persona venisse evidenziata quella particolare sensibilità. Qualche minuto dopo la folla di anime disperate, cominciò a disperdersi per ritornare alla quotidianità della loro vita. Alla fine rimase solo un uomo anziano con lo sguardo fisso alla foto. Sembrava ipnotizzato. Stava lì con le mani spinte nel fondo delle tasche del cappotto nero, mentre da sotto il cappello spiccavano capelli bianchissimi. Quello era il momento per cercare di avere informazioni sulla donna. Raul, lentamente gli si avvicinò, si sentiva insicuro su cosa dire, su come approcciare. In fondo lui era un perfetto sconosciuto. < > Il vecchio ci mise qualche secondo a risvegliarsi dall’intorpidimento in cui si era venuto a trovare, poi girò il viso e lo sguardo verso l’inaspettato interlocutore. < > < > accennò Raul, < > < > < > L’osservazione del nonnino era stata davvero acuta. La morte spesso libera la persona dalle sofferenze, dalle malattie, dalla vecchiaia ma si abbatte emotivamente, come falce nel grano, su coloro che erano legati al morto. <<Se non sono troppo indiscreto, posso chiederle cos’era per lei Penelope?>> L’uomo si tolse il cappello e abbassò lo sguardo verso le scarpe nere, fece un respiro profondo, evidentemente per controllare il nodo in gola che stava provando < > Per Raul era palpabile il dolore nell’aria, anche se delicato e contenuto dalla dignità di quell’uomo. < > disse, < > < > <<Era speciale, non solo per me. Vieni con me, ti racconterò tutto, non so perché ma voglio cominciare con il dirti questo>> < > <<Essere ancora in vita dopo la sua morte è un non senso, un dolore pieno di controsenso>> < > Raul lo fissò profondamente negli occhi, in quanto quell’argomento necessitava sicuramente

di una maggior comprensione. < > < > < > I due uomini presero a camminare lungo il viale, uno di fianco all’altro in un tragitto anche fortemente psicologico ed emotivo. Per la prima volta Raul poteva esprimersi senza maschere di circostanza. < > < > < >< > < > <<Parlare di lei è l’unica cosa che abbia senso, è un modo per sentirla ancora viva, ma mi ci vorrà del tempo per dirti tutto, è una storia lunga>> <<E io non ho nulla da fare questa mattina>> Il parco era ormai in vista, una panchina avrebbe permesso loro di stare comodi nel lento are delle ore di quella domenica. L’uomo, dai capelli bianco , raccolse un bastone caduto per terra nella pineta circostante < > Raul non riuscì a frenarsi e glielo domandò < > < > <<Mi sembra alquanto strano, se uno soffre, vive di angoscia e tribolazione tutti i giorni, potrebbe arrivare alla conclusione che la morte sia l’unica via d’uscita, non crede?>> < > < > ribatté Raul. <<Ma il senso stesso della vita sta nell’affrontare ciò che ci capita, Penelope lo sapeva molto bene, la sua non è stata una certo una vita facile, pensa che alla nascita scoprimmo che era priva dei doni della parola e dell’udito>> < > < > Raul comprese a quel punto il motivo per cui si era sentito attratto, con un effetto calamita, dallo sguardo della foto di Penny. <
fisico sottile ed attraente, una disfunzione della tiroide l’aveva resa pienotta e, benché desiderasse con tutte le sue forze di essere amata, di trovare qualcuno con cui condividere vita e destino, ciò non accadde>> < > < > < > Il vecchietto scosse la testa in segno di diniego, accennando un sorriso prima ironico e poi compiaciuto < > < > commentò Raul pensando in cuor suo ai ragionamenti fatti solo la sera prima. < > <<E poi?>> <<Subito dopo scrisse su di un foglio che loro comunicavano nella loro febbrile attività senza bisogno di parlare, aggiungendo che si potevano trasmettere pensieri anche in altro modo>> Raul era sempre più meravigliato dal racconto fatto dal vecchietto <<Subito dopo, mi abbracciò forte sorridendo>> < >> < >. Nella mente di Raul cominciò a farsi strada il confronto fra la sua esistenza, al modo in cui aveva drammatizzato le cose che gli erano capitate e la vita davvero sfigata, almeno in partenza, di Penelope. <<Essere felici oggi, credo sia davvero un miracolo, nessuno può ritenersi tale>> < > <<Senta ma come faceva ad essere contenta della sua esistenza non avendo trovato l’amore? Prima lei ha affermato che avrebbe voluto l’affetto travolgente che cambia la vita>> << E’ vero, non trovò nessuno con cui fare famiglia. Ma riuscì a dare e ricevere amore in maniera straordinariamente bella e pura>>< > Il nonnino sorrise commosso, il pensiero di ciò che stava per dire lo aveva riportato ad alcune situazioni vissute con la figlia <
venendone ricambiata in una maniera che, non esito a dire, ha dell’incredibile>> <<Si spieghi meglio, capisco che la compagnia di un animale per le persone sole sia un gran sollievo…>> < > < > < > < > <<Sì, una determinazione alimentata dall’amore>> Il vecchietto lasciò scendere una lacrima sul viso e per un minuto i due uomini, seduti sulla panchina guardarono il are della gente. Raul non ce la fece, si commosse anche lui. < > < > < > rispose allibito Raul aggiungendo subito dopo <<Ma non aveva concentrato tutta la sua vita su di loro?>> << Non sempre veniamo ricompensati per come amiamo nella vita. Un pitbull, l’ha azzannata al collo>> <<Mio Dio, deve essere stato orribile>> < > <<Eppure non capisco, avrà preso le giuste precauzioni sua figlia, visto che conosceva bene gli animali>> Lo sguardo del vecchio si piegò verso il petto e gli occhi si chio < > Raul si fece serio, cominciava, di colpo, ad intuire come erano andate le cose <<Tirava quell’ossesso, tirava e tirava ancora alzandosi sulle zampe posteriori e io, lo vedi, non sono più giovane>> < > Il nonnino fece cenno di sì con la testa e prese a piangere tutta la sua disperazione come un bambino < > Raul era davvero sbigottito <<Era sorda, non poteva udire la sua voce>> disse dunque. < > < > <<E’ stata tutta colpa mia, non ho pace, non è giusto che sia morta lei>> < > < > Raul si sentì in forte difficoltà di fronte all’affermazione cruda del padre di Penny. Si chiedeva come fosse strana la vita. Proprio lui che stava meditando un’uscita in grande stile dal mondo dei vivi adesso doveva trovare le parole giuste per aiutare un altro essere vivente a non farlo. <
non credo che sua figlia vorrebbe questo>> <<Mia figlia non c’è più>> < > < > < > <<Mi dica cosa le direbbe Penny>> Il vecchietto scosse la testa come se respingesse nella sua mente quel concetto < > I due si alzarono dalla panchina, camminando piano verso il luogo indicato dal vecchietto. La curiosità aveva distratto Raul da tutti i suoi pensieri negativi ma non erano certo spariti. Li sentiva sempre lì, parcheggiati in un angolo buio del suo animo. Pochi minuti dopo arrivano davanti alla meraviglia di quell’albero maestoso e maestro di lunga vita. Era posizionato in un angolo del parco, fuori dal percorso più frequentato. Il vecchietto ci girò intorno portandosi nella parte nascosta e indicò l’intaglio nella corteccia. C’era scritto: “Non è importante essere amati, ma amare, la vita a, l’amore resta. Vivere in ogni condizione è il più grande gesto d’amore” Raul ne rimase affascinato, la ripeté più volte in testa cercando d’imprimerla nella memoria. < > < > rispose lui <<Senta, mi sento tremare dentro per quello che sto vivendo. Io non credo al destino ma quest’incontro non lo ritengo casuale. Lei si deve scuotere, deve reagire!>> < > Raul alzò gli occhi al cielo pensando che ancora una volta la vita si accaniva contro di lui. Ma possibile che proprio ora che aveva deciso di mandare a quel paese ogni cosa, gli si presentava una grana del genere? Certo avrebbe potuto fregarsene, girare i tacchi e lasciare quel vecchio al suo destino. Non era niente per lui, non sapeva nemmeno come si chiamasse. La sua parte razionale e il suo cuore però stavano riprendendo il controllo della situazione. < > pensò, guardando il nonnino are la mano nell’intaglio fatto nella corteccia. Gli faceva pena. < > < > < > < > < > Il padre di Penelope allargò gli occhi, sorpreso dalla proposta di Raul, finendo per concludere che non aveva più nulla da perdere. L’idea di lasciare in buone mani l’operato della figlia gli diede un buon motivo per rimandare la fine della sua esistenza. <
dirti se non grazie. Viviamo in un mondo in cui nessuno fa nulla senza averne un tornaconto. Io lo so molto bene>> < > < >gli rispose lui <<Mi dia l’indirizzo dove è posta la struttura>> Il vecchio si ò la mano sul mento, fece un paio di i come per andarsene, poi disse < > < > < >I due uomini si salutarono e Raul rimase fermo con le mani in tasca, continuando ad osservare il o apparentemente stanco del vecchietto. Nella sua testa vedeva danzare il nero e il bianco, la vita e la morte nel girotondo pazzesco di quel sabato sera e domenica mattina. Si girò in direzione opposta a quella presa da Gabriele, aggiustandosi la sciarpa arrotolata intorno al collo per proteggersi dall’aria pungente nei luoghi di penombra del parco. Prese a camminare con o lento, le mani in tasca, circondato da una natura ancora fragile, figlia delle prime avvisaglie della primavera, presente ma assente nei confronti degli altri frequentatori del parco. Non si era mai sentito favorito dalla vita in tutto quello che aveva fatto, il mondo gli aveva sempre remato contro e anche ora sentiva forte la presa per il culo. < > pensò, facendosi un sorrisetto ironico appena accennato dall’alzar di labbro sul lato sinistro della bocca < > La decisione se andare o no il giorno dopo all’appuntamento con il nonnino, nonostante ciò che aveva detto, era tutt’altro che presa. Per la vita intera si era speso per gli altri, rinunciando ad ogni cosa per sé stesso, aveva annientato le sue necessità fino a considerare superfluo ogni desiderio e adesso che voleva preparare bene il suo di funerale, almeno quello, ancora una volta aveva commesso lo stesso errore. Non riusciva a togliersi dalla testa che esseri buoni equivaleva ad essere persone mediocri per le quali va bene tutto. < > Pescando fra i ricordi della gioventù ormai volata via, si rammentò di quando, ancora bambino, ava l’estate in montagna con suo cugino Ettore sotto il controllo della zia paterna. Già allora, mentre all’altro venivano concesse quelle di cotone, a lui venivano date le lenzuola più ruvide, quelle realizzate con la canapa, un’eredità della povertà esistente nel dopo guerra. <<E già! Io non mi lamentavo mai>> La gente non apprezzava quel genere di “buonismo”, le attenzioni venivano riversate sempre verso il più fragile, il più debole o il più esigente. Lo stesso era accaduto con le ragazze crescendo, il troppo rispetto e la sua timidezza avevano avuto sempre

l’effetto di farlo apparire poco interessante rispetto ai tipi più sgamati che osavano, osavano eccome e non ci pensavano due volte a infilare le mani tra le cosce delle donne. Raul si rese conto che il suo lato oscuro si stava riappropriando del cuore. Doveva cercare di non pensare in quel modo distruttivo, di non continuare a vedersi come un perdente. Avrebbe voluto morire con un pensiero positivo nella testa. Concluse che avrebbe dovuto aiutare il vecchio per una questione di principio, per scelta e non perché ci si era trovato in mezzo. Lo sguardo di Penelope era lì, dolce nell’immenso vuoto interiore. Anche se non vi era una spiegazione razionale ne sentiva la presenza e ne percepiva l’affetto; Nello scompiglio morale ed esistenziale da cui era attraversato, forse quello che stava accadendo poteva fornirgli delle risposte importanti. Tornando a casa, nella testa di Raul continuavano a rimbombare le parole lasciate sul legno da Penelope “Non è importante essere amati, ma amare, la vita a, l’amore resta. Vivere in ogni condizione è il più grande gesto d’amore” spingendolo a mettere in discussione la sua reazione agli accadimenti della vita. Sembrava, infatti, che per lei la cosa fondamentale nella sua esistenza fosse stata quella di dare piuttosto che di ricevere. < > Era questo il messaggio e Raul comprese che in quel sentimento vi era compresa l’azione, che la forza dell’amore si manifestava nello spendersi per gli altri. < > Raul non era pronto a comprendere la portata implicita di tale concetto, non adesso per lo meno che si era convinto di essere arrivato a condizioni d’esistenza insopportabili. Le parole di Penny erano belle e il concetto espresso molto nobile ma quello era stato il suo credo di vita. < > Certo la confusione sul senso delle cose che si era formata in quella domenica mattina alimentavano la convinzione di prendersi una pausa di riflessione. Pareva, infatti, emergere, che la qualità della vita non dipendesse tanto dai fatti, buoni o cattivi, che uno avrebbe dovuto affrontare prima o poi nel suo percorso esistenziale ma piuttosto dall’angolo d’osservazione dal quale li avrebbe scrutati. Da quello che gli aveva raccontato il vecchietto, Penny si era trovata contro un mondo non certo facile, era stata sfortunata sia in partenza che nel percorso di vita eppure aveva saputo cogliere i lati positivi della vita riuscendo ad essere felice davvero. < > Una forte curiosità si era intrufolata nei ragionamenti di Raul. Egli non vedeva l’ora che arrivasse la mattina dopo per andare ad indagare nei luoghi dove quella donna era vissuta. Tuttavia la notte lo mise, ancora una volta, a dura prova. Il silenzio della casa alimentava il vuoto interiore e l’abbattimento crebbe nei tormenti di una notte quasi completamente insonne. Finalmente giunse la mattina.

L'arrivo al canile

Raul parcheggiò la macchina in prossimità dell’edificio. Si trattava di un caseggiato alla fine di una via secondaria, quasi fuori dall’abitato. La scelta di quel luogo era stata fatta al fine di creare meno disagio possibile per i vicini perché, si sa, i cani abbaiano. Vi era una bella siepe fitta di sempreverde che correva lungo la cancellata nascondendo alla vista l’ampio giardino. Al centro un capannone di medie dimensioni, semplice, modesto, ma comunque pulito e ordinato. Raul non era completamente convinto di ciò che stava facendo, si guardò intorno e si grattò la testa. Alla fine schiacciò il tasto del citofono subito seguito dai latrati di molti cani. Gabriele gli rispose immediatamente < > senza nemmeno chiedere chi fosse. <<Mi stava proprio aspettano, cavolo, era già sicuro che fossi io>> Raul, stretto dentro il suo giaccone di pelle marrone si diresse all’ufficio ed entrò deciso. < > <<Buongiorno Gabriele, ma sì, lo prendo volentieri>> <<E mi sa che ne hai anche bisogno a giudicare dalla tua faccia>> < > Il padre di Penelope sorrise. <<E’ uno dei doni dell’età, l’esperienza. Comunque sappi che anch’io non ho dormito, prendi una sedia, non stare in piedi, voglio che ti senta a tuo agio>> Raul seguì il consiglio. Tutt’intorno a lui sulle pareti centinaia di foto di animali in un puzzle coloratissimo di sguardi ed espressioni. La percezione da cui egli si sentì attraversato era di tanta, tantissima vita. Aveva avuto un cane molti anni prima quando ancora conviveva con la moglie vivendo con esso momenti bellissimi di gioia e condivisione ma ne aveva subito anche il travaglio di sofferenza e di malattia nella vecchiaia. Raul aveva giurato di non volere più un cane. L’aveva assistito fino alla morte e il solo ripensare a quando lo aveva dovuto far sopprimere a causa delle degenerate condizioni fisiche, gli procurava una fitta nelle budella. << Quanti animali ospita ancora la struttura?>> < > Raul ne rimase sorpreso, buttò giù un sorso di caffè bollente e chiese < > Il nonno sorrise compiaciuto, mettendosi, subito dopo, seduto vicino alla finestra. <<Mia figlia era molto intelligente. Comprese che da sola non avrebbe potuto prendersi cura del mondo intero. Il suo scopo non era tenere con sé ogni animale, ma di dare ad

ognuno di loro una casa e una famiglia che gli volesse bene>> <<E quindi?>> Raul istintivamente, prese un foglio e una penna, cominciando a scarabocchiarci sopra. < > < >Il vecchietto si alzò portandosi verso la parete dall’altra parte della stanza. Poi ci puntò il dito. In mezzo alle tante foto di animali, vi erano i volti sorridenti di tre donne. Raul non li aveva notati di primo acchito. < > < > <<Sì, ma non solo. Studiavano bene i comportamenti dei membri della famiglia o della persona potenzialmente idonea per essere sicuri che l’animale non venisse poi maltrattato. Monitoravano la situazione anche nei mesi successivi all’affidamento>> <<E adesso?>> < > < > < > <<E adesso?>> Gabriele, prima di rispondere si portò le mani in testa a massaggiare le tempie < > <<Ma non è possibile! Non possono prendere in mano la cosa le tre ragazze? Mi sembrerebbe la cosa migliore>> ribatté con un gesto di disappunto Raul. < > Si vedeva dipinta nello sguardo tutta la malinconia di Gabriele per la sorte di tanti randagi, la sua preoccupazione per il futuro di quelle bestiole. Raul finì il caffè, raccogliendo con il cucchiaino il fondo di zucchero rimasto nella tazzina. < > Dentro il cuore e l’animo di Raul cominciò a farsi strada un’insolita sensazione. Non era giusto che un’iniziativa tanto bella e sincera, in mezzo all’immondezzaio sociale che vedeva intorno, fatto di raggiri, soprusi e fregature finisse nel nulla. Forse non era vero quello che aveva pensato fino ad allora. Vi erano ancora persone vere e con dei principi che non si erano piegate alle leggi dei profitti, ai soldi. Forse vi era speranza. Il vecchio s’infilò il cappotto, lanciando uno sguardo dolce al suo ospite < >I due uscirono avviandosi verso la struttura dove erano ospitati gli animali. <
sinistra è il locale per i lavaggi, mia figlia li lavava ogni settimana, ma fare il bagnetto a un paio di tipetti non era per nulla semplice>> <<Molti cani sono refrattari all’acqua>> rispose Raul < > Gabriele conosceva benissimo ogni anfratto di quel posto ed era orgoglioso di mostrarlo a Raul. < > Lo spazio era recintato, separando il giardino dal resto dei camminamenti del canile. < > < > <<Ma non si mordono uno con l’altro?>> Il vecchietto batté le mani, piegandosi in avanti. Evidentemente gli si era salita in testa qualche immagine divertente < > < > <<Sicuro Raul! Poco ma sicuro!>> Si vedeva che, per anni, era stato così vicino alla figlia da essere diventato anche lui un vero esperto del settore, in grado d’intuire la psicologia delle bestioline < > Gabriele si chinò raccogliendo un sasso e lo tirò con tutta la sua forza in mezzo al campo poi diede la risposta <<Sono rimasti i peggiori>> Raul accennò un sorriso e anche lui prese da terra una pietra e la lanciò cercando di tirarla più lontano di quanto avesse fatto il vecchietto. <<Mi spieghi meglio>> < > < > <<Se mi segui vedrai con i tuoi occhi>> Gabriele lo condusse nel capannone centrale dove i cani erano separati, uno dall’altro, da una recinzione di rete metallica. La prima impressione che ne ricavò Raul fu quella che si trattasse di un lager, ma subito dopo si rese conto della necessità che ognuno rimanesse separato e che non vi era dunque altro modo. Un corridoio centrale tagliava in due i trecento metri del capannone. A destra e a sinistra due file parallele di casette con uno spazio esterno. < > chiese al padre di Penelope <<Sessanta in totale>> rispose lui nel frattempo che gli camminava un metro avanti <<Ma sono tutte vuote!>> < > Raul non aveva ancora compreso ma si sentiva molto curioso di vedere i cani. Ed ecco che dalla prima casetta una femminuccia prese ad abbaiargli contro. < > Raul non fece in tempo a chiedere < > che si sentì avvolto da un forte odore emesso dal sederino della signorina. Gabriele si fece una bella risata < > gridò ad alta voce per sovrastare l’abbaiare dei cani. <
questa avreste dovuto chiamarla arma letale!>> < > Lo sguardo del padre di Penelope per un attimo perse il velo di tristezza, per qualche secondo il suo cuore l’aveva vista ancora lì.< > Raul rimase strabiliato, il cane aveva, infatti, una pezza nera a coprire l’occhio deturpato, proprio come il mitico capitano dei cartoni animati. Il cane successivo lo fece scoppiare in una risata istintiva. Gli mancavano dei denti nella bocca, un molare e due incisivi e quelle finestrelle nere mentre digrignava i denti gli davano un’aria buffa <<Ma a tutti avete dato un nome?>> < > Raul ci pensò un attimo <<Monco?>> < > Ognuno degli animali che erano rimasti in quel posto aveva un handicap, era in svantaggio rispetto agli altri della sua specie. < > < > < > La cagnolina come vide Raul abbassò le gambe posteriori e cominciò a tremare tutta e a orinare per terra. < > <<Ma come è possibile tanta cattiveria? Mi sembra così indifesa>> Gabriele scosse la testa < > A Raul piacevano gli animali in generale e questi, tutti conciati, ancora di più. In qualche modo li sentiva simili a lui. La vita li aveva puniti, avevano sofferto con l’unica ma fondamentale differenza che non pensavano a morire, erano pieni di energia vitale. Poco più in là ecco spuntare da un angolo buio un bulldog privo di orecchie e coda, pieno di ferite rimarginate sul corpo. < > < > Non ce ne era uno che sembrasse normale ed era chiaro come mai la gente li rifiutasse. Nessuno avrebbe voluto che, con suo figlio, giocasse un cane storpio o malconcio. Il padre di Penny infilava la mano nei vari alloggiamenti facendosi annusare e tranquillizzando quelli maggiormente agitati. < > < > <<Sono qui da anni ormai, si conoscono, hanno un loro ordine sociale, nessun problema>> concluse Gabriele, iniziando subito dopo ad aprire, uno dopo l’altro, i cancelli. L’euforia prese le bestiole che, non appena libere,

presero a correre verso il parco per sfruttare appieno il loro momento di libertà. Uno dietro l’altro, ando di fianco e in mezzo alle gambe del vecchietto e del suo ospite, tutti fino all’ultimo. E proprio quando vide l’ultimo il sangue si gelò nelle vene di Raul. Quella scena non se la sarebbe davvero mai immaginata, il cuore ne rimase profondamente colpito. < > gridò con gioia Gabriele. Il bastardino aveva perso entrambe le zampe posteriori, una situazione terribile perché in quelle condizioni non avrebbe, di regola, più potuto muoversi. Ma qui era successo qualcosa di diverso e inaspettato; gli avevano messo addosso un’imbracatura collegata ad un carretto con due piccole ruote. In pratica ci stava sopra il fondoschiena della bestia permettendogli di muoversi facendo forza sulle zampe anteriori. E ci riusciva piuttosto bene. Gabriele comprese la sorpresa di Raul, rimasto impietrito, incapace di dire nulla, in mezzo al corridoio < > gli disse venendogli incontro. Poi lo prese sottobraccio, facendolo girare nella direzione dell’uscita. L’emozione era stata forte, aveva attraversato l’orizzonte psicologico di Raul come un lampo e adesso la voglia di piangere era incontrollabile. <<Su figliolo, il cane sta bene>> < > < > < > I due uscirono all’aperto, l’aria era frizzante sotto il sole di marzo ma quello che Raul sentiva fortissimo era la gioia e l’allegria dei cani, anche se non ce ne era uno che corresse come si deve. Erano davvero tutti sciancati. La cosa inspiegabile era che, guardandoli, veniva da piangere e da ridere contemporaneamente. Il pessimismo accumulato per anni, adesso sembrava essere sparito, almeno in quel preciso momento. <<Ti saresti immaginato una cosa del genere?>> <<Sinceramente no>> < > < > < > Le leggi del mercato non risparmiavano nessuno e investire sui buoni sentimenti nel loro caso aveva generato più debiti che guadagni. < > < > Il vecchietto si appoggiò con la schiena alla betulla < > < > Gabriele strappò un rametto della pianta, scuotendo la testa <<Sono stanco dell’ipocrisia della gente, sono cani da accudire questi. Cure, visite dai veterinari. Con i ritmi di oggi nessuno ha il tempo di stargli dietro>> A Raul la

cosa cominciò a rodere parecchio. Nessuno aveva mosso un dito per lui, nessuno lo aveva aiutato in tutte le difficoltà. Quella era l’occasione per dimostrare a sé stesso di non essere come gli altri. In modo rapidissimo rispetto a come era abituato a ragionare decise che, prima di farla finita, avrebbe sistemato decentemente i cani. < > < > <<Ti prometto che, entro quella data, i cani avranno una nuova casa>> Gabriele gli allungò la mano, stringendola forte < > <<Sì, assolutamente>> < > Raul chiese con gli occhi di dirgli cosa < > Una richiesta inaspettata da uno appena conosciuto < >.Certo il caso non era di facile soluzione, bisognava studiare una strategia idonea, un piano per riuscire a trovare in poco tempo le persone giuste. Raul aveva due vantaggi da poter mettere sul piatto. Per prima cosa era un “commerciale”, vent’anni nel campo della vendita l’avevano reso un vero esperto di marketing e comunicazione oltre ad averne raffinato la psicologia su modi e atteggiamenti dei clienti. In secondo luogo era in possesso di un database di oltre milleottocento nominativi con cui aveva avuto a che fare negli ultimi tre anni. Decise quindi che la sera stessa si sarebbe messo d’impegno e avrebbe iniziato a spulciare in quell’elenco per selezionare le persone potenzialmente adatte. La sfida era doppiamente difficile perché avrebbe dovuto abbinare il cane giusto alla famiglia idonea. Proprio mentre era concentrato sui suoi pensieri, vide entrare nella struttura una donna. < > Il vecchietto si girò verso l’ingresso e annuì con la testa <<Ecco lei è Roberta, bene così te la presento>> Si trattava di una ragazza minuta, molto ben fatta, la cui particolarità era la chioma di capelli, ricci e ribelli. Venne incontro a loro con o deciso. < > chiese con vero e sincero senso di preoccupazione. <<Sono qui, vado a momenti, mi manca la mia Penny. Sono contento di vederti>> < > <<Sei sempre davvero troppo premurosa. Volevo presentarti Raul, è un mio amico>> < > disse lei allungando la mano verso l’ospite sconosciuto < > < > < > < > Raul gli fece un sorrisetto istintivo con la faccia ironica, facendola immediatamente irritare. < > Roberta gli rispose con un po’ di stizza, volgendo lo sguardo anche in

direzione di Gabriele <<Eccone un altro! Ma come si fa a non partecipare alla vita politica? Se tutti ragionassero come te non cambierebbe mai niente. E teniamoci Berlusconi per altri dieci anni! Complimenti, davvero complimenti>> La ragazza incrociò le braccia e Gabriele intervenne cercando di spostare il discorso su altri argomenti <<Sai se sca arriva stamattina o viene nel pomeriggio?>> < > rispose Roberta. Il tono con cui si era espressa non era piaciuto molto a Raul, il quale non riuscì a tenere la bocca chiusa e con una certa antipatia, guardandola dalla testa ai piedi, sostenne la sua tesi che i politici fossero tutti uguali < > Il battibecco tra i due continuò per una buona mezz’ora, giusto il tempo per finire il giro del centro. Non erano certo partiti con il piede giusto e Raul decise che era ora di andarsene. < > Roberta gli lasciò il tempo di raggiungere il cancello d’uscita, poi sbottò con Gabriele <<Ma l’hai visto? Arrogante, presuntuoso, credo anche maschilista>> <<Ma no, dai. Io penso invece che abbia un gran cuore>> < > < > < > < > < > disse lei allargando le gambe e facendo due piegamenti di ginnastica. Gabriele aspettò che si tirasse su e poi la fissò dritto negli occhietti vispi e neri come il carbone, facendole capire che non era andata proprio così. <<E va bene! Lo sai che mi scaldo subito per le mie idee>>< > Roberta prese a fare una corsettina in mezzo al prato ricevendo le attenzioni dai cani < > Era bello vederla giocare come una bambina fino a cadere addirittura per terra. Non si era sposata nonostante avesse avuto diversi compagni nella vita. Non aveva mai trovato quello giusto. Per lei i cani erano diventati i figli che non aveva mai avuto. Li amava quasi in modo morboso e se avesse potuto se li sarebbe tenuti tutti in casa. < > < > <<Mi sta sulle balle, è odioso. Non ti dico che non lo manderò a cagare, però ci provo a metterlo nelle condizioni giuste. Per te lo faccio>> Gabriele sorrise di gusto <<Magari lo fai diventare comunista, quando ti ci metti sei forte>>.Guidare in macchina verso casa era davvero l’occasione perfetta per riflettere sul da farsi e Raul, che era abituato a farlo per lavoro, non

se la lasciò sfilare dalle mani nemmeno dal traffico irritante di fine mattinata. In tali condizioni, normalmente si sentiva contorcere le budella dal poco rispetto delle regole stradali. “il fare il furbo” era il gioco preferito da molti spericolati guidatori e lui di solito isterico, non perdeva occasione di mostrargli il dito alzato o le corna se non addirittura si lanciava in una competizione rischiosissima. Ma quel giorno no, aveva in testa i suoi nuovi piccoli amici che parevano l’armata “Brancaleone”. Di norma per lanciare un prodotto le aziende preparavano una campagna pubblicitaria evidenziando i pregi e le qualità di questo o quel oggetto. < > Qui il bello da vedere bisognava cercarlo nello spirito degli animali. Infatti, fare un’adozione a distanza corrispondeva a liberarsi la coscienza versando quattro soldi ogni mese o partecipare a qualche iniziativa benefica, come quella per la lotta contro il cancro, si risolveva nel mandare un sms, ma qui contava la qualità delle persone e la loro affidabilità. Chiunque se ne fosse fatto carico avrebbe dovuto portare l’impegno fino all’ultimo giorno di vita suo o del cane. Se avesse puntato sul pietismo e sulla semplice comione il rischio sarebbe stato che, finita la commozione, i cani sarebbero stati rifilati a qualche altro canile o peggio ancora abbandonati sull’autostrada delle vacanze. Bisognava far in modo che delle bestiole si parlasse in televisione e sui giornali. Doveva trasformarli in personaggi; in questo modo, non potendo cambiare l’aspetto fisico dei cani, avrebbe potuto cambiare gli occhi con cui la gente li guardava. < > Il pensiero di quella trasmissione prese ad occupargli un angolino del cervello. Dentro le stanze e il confessionale entravano ragazzi qualunque che diventavano poi, come per magia, personaggi più o meno brillanti del mondo dello spettacolo. Oppure avrebbe dovuto contattare Maurizio Costanzo, la Bonaccorti, già impegnati a promuovere la coscienza sociale e la sensibilità verso cani e gatti. Fu proprio mentre era in fila al semaforo, rigorosamente sempre rosso al suo arrivo, che gli venne l’ispirazione < >. Raul si era talmente distratto dalla guida, da non sentire le mani picchiate sui clacson dei guidatori dietro di lui. < > gridò un energumeno mettendo la testa fuori dal finestrino del furgone con il fare minaccioso di chi non vede l’ora di andare a mettere le gambe sotto il tavolo per riempirsi la panza. Raul, alzò la mano destra, facendo capire che si era risvegliato dal torpore e che ammetteva il suo errore. Non aveva voglia di litigare, ingranò la marcia e sgommando con tanto di fumata bianca superò il semaforo ormai scattato al giallo. Pochi minuti ed era sotto casa < >. Raul spense il motore, mise il disco orario e

rimase con le mani incrociate e lo sguardo fisso verso la panetteria alla sua sinistra. Si rendeva perfettamente conto che la sua era un’idea folle. Senza mezzi e con pochi giorni a disposizione, creare una specie di “grande fratello” con concorrenti i cani era davvero una missione impossibile. D’altronde nessuno ci aveva ancora provato e il cuore della gente a volte era sorprendente. <<E’ una cazzata grossa come una casa, ma non ho nulla da perdere>>. Scese, dirigendosi al suo appartamentino, mangiò quello che c’era. Pane secco e insalata in fretta e furia. < > Scrocchiava la crosta sbriciolandosi come gesso sulla tavola. < > Raul sentiva la voglia di bere che scattava, come un riflesso condizionato, ogni volta che si accomodava a tavola. Cercò, una volta sparecchiato e ripiegato la tovaglia, di riposare, gettandosi sul divano adiacente ma, alla forza distruttiva della depressione di un paio di notti prima adesso si era sostituita l’isteria folle di mettere in piedi lo spettacolo. Decise che avrebbe usato internet, in quanto veloce, comodo e soprattutto gratuito, creando un b cui avrebbe inserito i “partecipanti”. <<Metterò foto, video, finte interviste>>. Il sonno cominciò a prenderlo solo quando, infine, arrivarono le due del pomeriggio, proprio l’ora di ripartire verso il canile di Penelope. << O sono storto io o è sbagliato tutto quello che mi circonda>>commentò Infilandosi a fatica, il giaccone e se ne uscì con in testa tutte le sue strampalate idee. In ogni caso decise che la sera stessa avrebbe cercato con attenzione nel suo database per ricordarsi clienti che potessero avere un cuore così grande da prendersi una di quelle patate bollenti e nel caso di “Gas” anche puzzolente. Quando arrivò, Gabriele non c’era, al suo posto trovò la comunista conosciuta la mattina stessa e le altre due componenti della squadra. < > < > <<E lei credo sia sca, giusto?>> Le donne si guardarono, sorprese. Raul sorrise e subito si affrettò a dire < > Roberta gli buttò una frecciatina continuando con l’andazzo della mattina < > sca era sicuramente la più dolce delle tre, il suo sguardo era quasi rapito, come se sognasse ad occhi aperti. < > disse con voce calma e rilassata. < > < > rispose Monica < > Raul si tolse il giaccone poggiandolo sul porta abiti. < > < > intervenne Roberta andando a poggiare il fondoschiena proprio sulla scrivania che in genere utilizzava Penelope. Lei non sopportava le frasi di circostanze, le piaceva

rompere gli schemi, solo che a volte finiva per non rompere solo quelli.<<Ecco, i cani così sono solo degli animali, per trovare loro casa dobbiamo fare in modo che la gente li ami per la loro diversità, dobbiamo farli conoscere alla massa di persone a cui piace osservare, avete presente il “grande fratello”? Se riusciamo a dar loro una personalità, lavorando sui difetti, come se fossero caratteristiche imprescindibili, troveremo qualcuno che li ami>>. Per tutta risposta le tre donne si guardarono con complice ironia e si misero a ridere. < > continuò Raul < > Monica non ce la fece a controllarsi, l’idea era troppo paradossale <<Ma tu sei tutto matto! Non siamo in America, la gente è cinica. Non vedi che li abbandonano gli animali? Non hai mai sentito a “striscia la notizia” delle cattiverie che alcune povere bestie sono costrette a subire? Inoltre, avremmo qualche possibilità se arrivassimo in tv ma un blog appena aperto…>> < > <<Ecco, sempre a pensare che gli americani siano meglio di noi, nessuno si ricorda più delle atomiche buttate sulla popolazione giapponese!>> < > inaspettatamente il primo sostegno alla sua proposta, egli l’ottenne da Roberta. sca invece sembrava essere la più riflessiva e quando Monica le chiese cosa ne pensasse disse solo < > voltandosi poi verso Raul e chiedendogli < > < > <<Ecco questo mi sembra già un progetto migliore!>> confermò annuendo con la testa Monica. I capelli lisci e fluenti fino alla base del collo assieme alla frangetta sulla fronte si mossero in un balletto di compiacimento. La squadra stava studiando quell’uomo comparso all’improvviso dal nulla, cercando di capire che tipo fosse. Nella loro natura di donne era istintivo fare questo. <
correre nel prato è giunta l’ora>> L’indicazione di sca, interruppe momentaneamente la discussione. Sentiva il bisogno di confrontarsi con le sue amiche e uscire all’aperto avrebbe permesso loro di isolarsi da Raul. Quando i cani vennero liberati il miracolo si ripeté. Era bellissimo vederli correre liberi, nonostante i loro pezzi mancanti. “Birillo” era quello più vivace. Non era contento se non aveva leccato tutti i suoi amici sul muso. Una bella slinguazzata per sentirsi parte del branco. Raul si sentiva bene, dentro il cuore, vedendo quelle scene. Anche “Scarface”, il bullo, assassino di professione nelle arene clandestine, sembrava aver trovato la sua pace o semplicemente non aveva più voglia di combattere e dietro quella scorza dura e i tagli nella carne aveva imparato che, amando e avendo degli amici, si viveva meglio. <<E poi dicono che gli animali non hanno sentimenti come noi>> Le tre donne, nel frattempo si erano appartate camminando intorno alla recinzione del prato una di fianco all’altra. sca aprì la discussione < > < > Schietta e sincera come sempre Roberta confermò la sua approvazione. <<E tu Michela?>> < > < > < > < > disse sca. < > s’inserì la comunista < > sca portò gli occhi al cielo, sottolineando che le brutte esperienze non erano toccate solo a lei. << Che facciamo allora? Non comprendo bene perché sia qui quell’uomo ma sicuramente deve avere una sensibilità fuori dal comune. A fine aprile non rimarrà niente da salvare di questo posto>> La squadra si fermò esattamente dall’altra parte del prato osservando i movimenti e gli atteggiamenti di Raul appoggiato alla rete metallica. Lui era sorridente e allungava le mani facendosele leccare e mordicchiare dai cani. < > < > vedendo la voglia di farlo delle altre due anche sca diede la sua benedizione all’operazione. < >.La decisione era stata presa, le tre donne completarono il giro, avvicinandosi, a poco, a poco a quello strano uomo. Mentre sca e Roberta parlavano tra di loro delle cose della vita, Monica non poté fare a meno di notare il cambiamento avvenuto sul volto di Raul. L’espressione era cambiata di colpo, come se si fosse spenta la luce. Pieghe di tensione erano ormai arroccate sulla fronte e vicino agli occhi. Lo

sguardo del bambino che giocava con i cani aveva lasciato il o a una malinconica tristezza, sembrava diventato istantaneamente vecchio. La cosa la scosse, non aveva mai provato niente di simile, però era certa che, esattamente in quell’attimo, era accaduto qualcosa d’inusuale. Tuttavia nascose a tutti quella percezione in quanto non sarebbe stato opportuno. Roberta parlò per loro < > < > sca alzò la mano destra < > gridò, mettendosi quasi sugli attenti come un soldato di fronte al suo capitano. << Ok, io e te andremo di spazzola e sapone. Chi invece è brava a fare fotografie e filmati?>> Monica fece segno indicando con la punta del dito verso Roberta. < > <<Ma non ho qui nulla, come facevo ad immaginarmi di dover scattare foto?>> ribatté lei, spiazzata da una richiesta fatta sui due piedi.Gestire tre donne non era assolutamente facile, ci voleva molta pazienza ed equilibrio tra le varianti emotive di universi così disparati come quelli da loro rappresentati. Ma Raul si era fatto la sua esperienza in tanti anni di lavoro e di matrimonio < > Finalmente vide addolcirsi i bordi delle labbra di quella donna orgogliosa finalmente rigirati all’insù. <<E io invece che faccio?>> chiese l’ultimo componente della squadra < > < > Raul infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni tirando fuori il portafoglio <<Tieni prendi questi, se li trovi prendi anche qualche paio di occhiali scuri!>> <<Ma sono cinquecento euro>> < > Era il cuore in quel momento che spingeva Raul ad agire. In genere era sempre stato restio a finanziare progetti propagandati da altri in quanto diffidente sulle vere finalità della raccolta di denaro ma in questo caso erano sicuramente soldi spesi bene. arono il pomeriggio, svolgendo gli incarichi assunti. Lavare i cani e fargli un piccolo trattamento di bellezza fu per Raul una vera goduria e un modo per diventarne sempre più complice ed amico. La fatica delle braccia venne ampliamente compensata dalla spensierata allegria dell’animo. <<Sei stata davvero bravissima, abbiamo funzionato meglio che un autolavaggio!>> disse a sca < > Lo

sguardo di sca assunse ora un aspetto molto materno e protettivo < > chiese a Raul < > < > < > <<Mi spiace davvero tanto, oggi come oggi, moltissime coppie si dividono, sembra una malattia>> <<E già!>><<E il cane che fine ha fatto?>> Lo sguardo del capitano della squadra si fece triste e malinconico < > sca addolcì tantissimo lo sguardo fino quasi a piegare gli occhi sui bordi. <<Ma come… perché…>> <<E’ una lunga storia, preferisco non parlarne>> Non si comanda alle lacrime e Raul prese a piangere, cercando di nascondere il viso alla donna. Anche lei sentì la voglia di piangere e istintivamente abbracciò quell’uomo sconosciuto.Gabriele arrivò proprio in quel momento. I due si separano immediatamente come amanti colti alla sprovvista e cercarono parole di giustificazione <<Ecco…, non è come credi, parlavamo di un cagnolino morto>> disse sca <<E vi siete messi a piangere, vi capisco. Anche io ho versato lacrime per mia figlia stamattina, appena dopo aver bevuto il caffè, sembravo un rubinetto rotto. E’ la forte emotività che certe immagini richiamano>> Raul non parlò, non ce l’avrebbe fatta in quello stato. Prese il giaccone, salutò con la mano e uscì in giardino. sca allora ne approfittò per spiegare nei dettagli il piano architettato a Gabriele. < >commentò lui una volta sentita l’esposizione. << E’ un uomo che ha avuto una vita complicata, lo si sente quasi nell’aria, credo che sia però molto intelligente>> < > <<Sì, anche di quello, devo capire il modo in cui farlo. Ha dei lampi di luce e di buio nel suo essere, a volte è socievole e cordiale, altre sembra scomparire dalla scena>> < > < > <<Sono sensazioni, forse per mia figlia>> Il padre di Penelope aveva a cuore il futuro di Raul, benché la conoscenza fosse nata per caso e in un’occasione così funesta, riusciva a leggere in lui qualcosa di buono e sincero. Inconsciamente forse cercava di sostituire la perdita della figlia con l’adozione di quell’uomo. Raul rientrò poco dopo <<Scusatemi, avevo un nodo in gola e stringeva fino a farmi singhiozzare, non riuscivo nemmeno a salutare prima>> < > < > Nelle sue parole vi era forte determinazione ma anche un macabro preludio a quello che avrebbe voluto compiere una volta terminata la missione. Una frase pronunciata in modo così intenso da suscitare la preoccupazione di Gabriele e in grado di far comprendere a sca quanto

fossero state sensate le parole del padre di Penelope. < > esclamò Monica cercando di rendere più positiva l’atmosfera. < > <<ma certo, la tua esperienza sarà molto utile>> concluse Raul. < > <<Sicuro?>> < > < > <<Sarà contento tuo marito! Stasera gli cucinerai una bella cenetta>> sca si allacciò i lacci della scarpa da tennis, prese la borsa e dopo essersi infilata il cappotto uscì < > Raul rimase inebetito, in quanto pensava di aver fatto un complimento alla ragazza ma lei aveva fatto finta di niente. Non fece tempo a girare la faccia verso Gabriele che lui gli diede la spiegazione <<E’ rimasta vedova due anni fa, per questo non ha detto nulla. Tiene tutto dentro, il momento del dolore e del lutto per lei non è ato>> < > Raul aveva preso il via e sembrava un fiume in piena, una cloaca che doveva riversare tutta la fanghiglia molle puzzolente accumulata nel tempo < > Gabriele comprese il bisogno di sfogarsi di Raul e alimentò la discussione < ><<E’ tutto così tremendamente complicato, anche amare inevitabilmente implica la sofferenza, è inevitabile>> < > chiese Gabriele. < > < >. Raul poggiò le mani sulla scrivania, inclinando e avvicinando il volto verso Gabriele seduto davanti a lui e si pronunciò con decisione <<Eccolo il punto, più l’ami e più soffrirai per la sua mancanza, sentirai nella carne questa piaga o vuoi dirmi che non è vero?>> < > Raul s’innervosì come mai il padre di Penny lo aveva visto fino a quel momento. Prese a gesticolare con le mani in aria, finendo di sbatterle contro i fianchi <<Spiegami il senso per cui uno debba vivere con tutto questo immenso

dolore dentro>> < > < > < > <<E’ diverso, ecco... voglio dire…>> Raul comprese di stare esagerando con quel povero vecchio che non era certo responsabile del suo stato d’animo paranoico <<Scusami Gabriele, davvero. Che discorso del cazzo che ho preso a fare, perdonami>> Lui gli sorrise. Nei suoi occhi parve brillare la sincerità di un uomo buono. < > disse ribadendo la filosofia di vita di sua figlia << Vedi, il giorno del funerale, avrei voluto farla finita ma poi alla sera ho sentito Penny vicina a me, il suo sorriso era lì che mi indicava la strada, un viale alberato, lungo, senza fine, credo abbia voluto dirmi che non era ancora il mio momento. Io voglio amare il più possibile, ogni giorno e sono disposto a pagarne il prezzo qualunque esso sia>> Raul non era convinto completamente dalle parole del vecchietto ma decise di andarsene a casa. < > < > < > Scoprire cosa fosse l’amore e come viverlo avrebbe dato senso alla vita ma ci voleva sforzo e tempo per capirlo. Forse erano sbagliate le sue aspettative, forse non era stato poi così capace di dare amore agli altri come si era immaginato.

Trovare casa ai cani

La macchina arrivò veloce sotto il portone di casa o per lo meno così gli sembrò talmente era preso dai suoi pensieri. Quando aprì la porta si presentò alla vista il solito disastro della cucina. Raul era talmente stanco del suo mondo da lasciare sporco e incasinato ogni ambiente. Sul tavolo la tovaglia tinta di vino, briciole e bicchiere incrostato dai residui di vino, facevano compagnia ai piatti con gli avanzi del mezzogiorno. L’odore era acre per via dell’umido in decomposizione da giorni nell’apposito contenitore. < > Non restava altro da fare che aprire subito le finestre per far uscire l’olezzo di marcio che si era diffuso in ogni angolo della casa. Raul aprì le persiane e i serramenti di ogni locale, raccattò i piatti e li accatastò con quelli dei giorni precedenti in quanto dentro la lavastoviglie stazionavano ancora quelli puliti. Aveva fame e nessuna voglia di svuotarla, mise dunque sui fornelli la pentola dell’acqua per farsi la pasta. Il disordine circostante era l’esatta rappresentazione di quello interiore. Aveva debordato dalla normalità molte volte, arrivando al livello dell’indecenza. A Raul non importava vivere nella merda perché la sentiva sparsa dappertutto anche dentro di sé, quello era il suo stato d’animo. Il pessimismo e la negatività lo avevano portato all’abbandono di un corretto atteggiamento di vita. Lasciare le cose da fare non era poi così grave. Adesso, in attesa degli spaghetti, la cosa necessaria era senz’altro aprire un blog per le bestioline. Il portale più idoneo gli sembrò quello di libero, già utilizzato in precedenza, perché facile ed intuitivo oltre ad essere una piattaforma con moltissimi utenti. < > pensò ad alta voce guardando il quadro di fiori secchi appeso alla parete < > Finalmente ebbe l’intuizione giusta, velocemente si mise davanti al computer e digitò il nome per vedere se fosse ancora disponibile. Avviò la procedura d’iscrizione, arrivando all’inserimento del titolo del blog e scrisse: “L’ultimo dei moiCANI” Il sistema gli diede l’ok e per Raul fu motivo per festeggiare. “figo, davvero figo, mi piace un casino>> Come ogni sera l’alcool

stava penetrando il corpo e la ragione. Lo schema era sempre lo stesso; all’inizio, il nettare degli dei gli trasmetteva uno stato di leggera euforia, una sensazione di benessere ma dal terzo bicchiere in poi, man mano che si diffondeva nel sangue tirava fuori tutto il suo lato oscuro e i pensieri peggiori. < > Raul cominciò a comprendere che avrebbe dovuto cambiare atteggiamento per poter gustare la vita ma la cosa, semplice e lineare in teoria, era assolutamente difficile da mettere in pratica. Non funzionava nemmeno il discorso del confronto con chi stava peggio. In fondo non era in mezzo ad una guerra, non aveva malattie invalidanti ed aveva davanti a sé ancora tanti anni da consumare e quindi il suo comportamento, visto con maggiore distacco, era stupido. Il suo stato d’animo non era un capriccio, lo sentiva reale, palpabile e le malattie che attanagliano il cervello sono molto più difficili da curare di quelle fisiche. < > Quello che gravava su di lui era il senso di fallimento come uomo ed il sentirsi in colpa per aver rovinato la vita all’ex moglie. L’errore era stato trascinare per oltre un ventennio una storia che già all’inizio non aveva le gambe per andare avanti. Non vi era mai stata condivisione di obiettivi. Lei avrebbe voluto dei figli mentre lui no e adesso l’arrivo della menopausa le aveva praticamente reso impossibile realizzare questo sogno. Raul se la sentiva addosso questa colpa. Avrebbe tollerato tutto, accettato fino in fondo il proprio fallimento ma non quello di aver distrutto il senso della vita di un’altra persona. Forse non l’aveva amata abbastanza o forse era solo il segno di un tempo in cui separazione e divorzio sembravano essere diventati un’epidemia. Il vederla costretta a prendere psicofarmaci per tirare avanti, sentire tutta l’amarezza che, senza dire nulla, lei riusciva a trasmettergli con i suoi sguardi a volte lucidi a volte assenti erano una condanna permanente capace di tenerlo inchiodato al problema. Un problema senza soluzione, senza possibilità di dipanare la matassa. Una posizione d’attesa trascinata ormai da tanti anni e macerata nella continua speranza che lei riuscisse a rifarsi una vita. In fondo l’unica cosa che Raul avrebbe voluto sarebbe stata quella di vedere la sua ex finalmente felice dentro un’altra storia ma più lei cercava nuovi amori e più finiva nelle mani di uomini sbagliati. E allora bere serviva a tamponare le lunghe sere in cui lo stare da solo gli gridava in modo ossessivo e ripetitivo tutti i suoi errori. < > Raul allontanò da sé la bottiglia di vino e si mise davanti un foglio bianco e lo schedario dei suoi clienti. Avrebbe dovuto, da una parte, assegnare alle bestioline un soprannome idoneo e una strategia per “venderli” sul mercato che avrebbe generato il sito e dall’altro voleva individuare almeno una decina di persone potenzialmente ideali per l’adozione di “Scarface” e dei suoi compagni

d’avventura. Si fece un caffè per essere lucido e sveglio e cominciò il lavoro. Quando ci si metteva era davvero bravo e quella sera aveva la determinazione giusta. Andò avanti fino a tarda notte individuando le potenziali persone che secondo lui potevano avere la sensibilità e le condizioni per accettare in casa un cane malconcio. Essendo un venditore, girava spesso nelle abitazioni dei suoi clienti. Succedeva a volte che quelle persone cominciassero a raccontare i fatti della loro vita. Nell’era della comunicazione vi erano tantissime persone sofferenti di solitudine, incapaci di raccontare ad altri ciò che avevano nel cuore. Raul aveva sviluppato la qualità dell’empatia, a colpo d’occhio molto spesso era capace di mettere a proprio agio l’interlocutore; l’espressione del suo volto, dolce e la faccia pulita accompagnata ad un sorriso, rassicuravano. Ciò era necessario per poter vendere i prodotti ed egli avrebbe potuto sicuramente andare molto oltre utilizzando questa capacità. Sarebbe stato facile indurre i clienti, lavorando sulle loro fragilità, a comprare anche quando non avevano nessun bisogno di questo o quel’oggetto ma Raul si limitava solo all’approccio psicologico evitando di utilizzare le tecniche di vendita insegnate nei manuali di marketing e strategia aziendale. Il primo soprannome che scrisse sul foglio bianco fu per “Birillo”; gli venne immediatamente in testa. Lui sarebbe stato il cane bionico, facendo la parodia di una famosa serie di telefilm degli anni ottanta. Calzava a pennello, infatti. Come il pilota d’aereo, rimasto senza alcuni arti e capacità a seguito di un incidente finiva per diventare una specie di superuomo grazie all’installazione nel corpo di organi elettronici, così “Birillo” sarebbe stato un supercane, capace addirittura di correre più veloce dei suoi simili grazie al carretto con le ruote di cui era dotato. Il fatto che gli mancassero le zampe posteriori non sarebbe stato più un problema ma motivo di vanto per la sua superiorità tecnologica.ò in fretta quella notte, erano già la tre quando Raul si buttò sul letto, esausto ma felice di avere delle carte importanti da giocare. Uno dietro l’altro aveva attribuito ai cani la caratterizzazione più idonea e i nominativi da contattare fra i suoi clienti certo non mancavano. Non restava che realizzare i servizi fotografici e i filmati da caricare sul sito per accendere le luci dello spettacolo. La mente era meno intontita del solito, più lucida e avere uno scopo differente dalle solite cose che aveva fatto per vent’anni gli regalò quella mattina una certa serenità. Non mandò a quel paese nessuno durante il percorso in macchina come abitualmente faceva preso dall’isterismo, anzi un paio di volte si fermò per far are dei pedoni. Quando arrivò al canile trovò ad aspettarlo Gabriele. Due bicchierini vuoti da caffè sul tavolo gli fecero comprendere che doveva essere lì già da un pezzo. <<Mattiniero oggi, vedo>> < > < > <<Sì, continuavo a pensare a lei>> <<Ti manca>>

<<Stamattina girando questo posto ho avvertito la sua presenza>> L’espressione di Gabriele era come persa, la sua mente stava viaggiando chissà dove. D’altronde erano ati troppo pochi giorni dalla perdita di Penelope perché potesse aver ammortizzato il colpo. Raul cercò di scuoterlo, riportandolo alla realtà < > < > Gabriele tirò fuori dal cassetto una serie di foto di sua figlia. In ognuna di esse, si vedeva lei abbracciata ad un animale diverso. Senza dire nulla le fece are, una ad una, da una mano all’altra ripercorrendo tanti anni di vita e di emozioni vissute con lei. Raul mandò giù il caffè, raccattando subito dopo con la palettina di plastica trasparente in dotazione dal fondo del bicchierino lo zucchero rimasto. La prima ad arrivare fu Monica tenendo, appeso al braccio sinistro, un grosso sacco di plastica, dove alla rinfusa aveva buttato dentro un po’ di tutto, dai tessuti agli occhiali, dalle tutine per animali ai trucchi presi dal suo beautycase. < > disse appena entrata appoggiando quanto aveva portato sulla scrivania proprio di fronte a Raul che, sorridendo, si avvicinò alla macchinetta < >. Monica andò a baciare sulla guancia il padre di Penny < > <<Sono qui, ma non mi sembra ancora vero, guardala com’era felice con i suoi amici>> fu la sua risposta mettendogli davanti al viso l’ultima foto che stava osservando. < > Gabriele annuì con la testa in segno di condivisione di quell’affermazione e poi baciò l’immagine stampata di sua figlia < >.<<Tieni, è pronto>> Raul allungò la tazzina di plastica alla sua nuova amica. < > < > < > Roberta e sca arrivarono insieme. < > esclamò Raul con una sottile vena ironica verso Roberta che si era presentata con tanto di telecamera, due macchine fotografiche digitali e un cavalletto. <<Spiritoso! Se si deve fare una cosa, meglio farla bene! Ho chiesto ai compagni. Fra noi ci si aiuta! Impara!>> sca si mise seduta guardando i due <<Sembrate Don Camillo e Peppone!>> esclamò con il piacere interiore di chi lancia la battuta. Tutti scoppiarono a ridere. Fu bello are quei minuti scherzando fra loro, anche Gabriele si rincuorò dall’abbattimento che si sentiva addosso. Alla fine Raul fece schierare le tre donne come a scuola, mettendole sedute di fronte alla scrivania della quale si era momentaneamente impossessato. < > Le donne si

concentrarono sui suoi occhi magnetici osservando ogni minima variazione dell’espressione facciale < > rispose Monica < > <<Esatto! “Billy” lo sdentato lo chiameremo “dentiera mancante” ed infine la nostra signorina che se la fa sempre addosso sarà additata come “Pipì calze lunghe” che mi sembra già perfetto così>> A Roberta veniva da ridere e non riuscì a trattenersi < > < > < > sca e Monica risposero di sì. < > confermò la prima. < > aggiunse la seconda. Raul volle anche il beneplacito di Gabriele <<Sei con noi?>> gli chiese con l’espressione decisa di chi si aspetta un sì. <<Sono con voi, certo, per i cagnetti si prova di tutto>> concluse lui. < > Monica ebbe dei dubbi e quindi li manifestò apertamente <<Ma che li votino non mi pare sufficiente, come facciamo ad essere sicuri che poi li accolgano e li trattino in condizioni ottimali?>> < > aggiunse Gabriele. < > le parole di Raul erano corrette e condivisibili ma le obiezioni che sembravano emergere man mano non erano infondate. La discussione proseguì per oltre un’ora prima di ottenere l’approvazione definitiva di tutti. < > disse sca, alzandosi indolenzita e stirando le braccia verso l’alto. < > la stoppò Raul facendo segno con le mani di aspettare < > proseguì, tirando fuori dalla tasca un elenco di una decina di nominativi < > < > chiese Roberta. < > La curiosità di Monica la spinse immediatamente ad anticipare cosa avrebbe detto Raul <
decolla il sito, sempre che questo avvenga, noi dovremmo sondare l’opinione di questi clienti sull’argomento “adozione cane”, è così?>> <<Esattamente>>.Finita la discussione, vennero liberati i cani e tutti andarono in giardino per provvedere alla vestizione e al trucco. Quello più difficile da prendere era, come al solito, “Birillo” che l’ora d’aria la sfruttava sempre appieno a dispetto del suo avere solo le zampe anteriori. Roberta cominciò i primi scatti, cercando di cogliere l’anima delle bestioline. < >. Non si poteva non ridere vedendo le espressioni buffe assunte dai cani. C’era da scompisciarsi dalle risate. Ad “Harlok” venne messo in testa un cappello da pirata e aggiunta, all’imbracatura da eggio, una di quelle spade giocattolo per i bambini. Allora essere felici poteva essere ancora possibile? La morte non era l’unica via di fuga? Inconsciamente tutto quello che stava accadendo richiamava Raul verso la vita. <<Sembra davvero un capo mafia!>> esclamò Gabriele vedendo “Scarface”, pomposo con un cappello alla Borsalino in testa e un paio di occhiali scuri ad incorniciare il suo muso da duro. Roberta addirittura con la collaborazione di sca, riuscì a scattargli un paio di foto con un sigaro infilato in mezzo ai denti, ricordo prezioso di un viaggio a Cuba, prima che lui lo distruggesse in mille pezzi, sputandolo e scappando lontano per il sapore disgustoso. Per “Tre” invece l’idea surreale venne a Monica. Decise di fare degli scatti con lui in equilibrio sull’unica zampa anteriore, cosa impossibile nella realtà ma spettacolare, se fuori campo gli tenevano alzato il culetto. Raul verso la fine della mattinata si mise seduto alla base della betulla, strappando un filo d’erba mezzo secco e prendendo a giocarci con le mani. Osservò tutto quel movimento generato dalle donne, ormai completamente prese dagli animali, verso i quali riversavano tutta la loro straordinaria energia. Fu proprio in quell’attimo, meraviglioso sotto il sole tiepido di marzo, che vide “Birillo” venirgli incontro deciso, con la sua lingua ciondolante a destra e a sinistra. Prese a leccargli la faccia, visto che adesso era alla sua portata e a scodinzolare vistosamente facendo ballare il carretto che aveva dietro. < > esclamò Raul sorridente come un uovo di pasqua < > Gabriele intanto osservava la scena da lontano. Sapeva che tutti i cani erano dotatati di un istinto capace di far comprendere loro le persone, formidabile per distinguere quelli sinceri nelle intenzioni e adesso vedere Raul prenderlo tra le braccia per ricambiare l’affetto gli ricordò i giorni in cui Penelope aprì il canile. Anche lei amava sedersi alla base della betulla, poggiando la schiena sul tronco, in attesa di ricevere le coccole dei suoi piccoli amici. Raul avrebbe potuto essere un formidabile amico per sua figlia, solo che era arrivato troppo tardi. “La vita è strana ed imprevedibile” pensò. Possono are decine d’anni nell’assoluto

disinteresse o nell’incapacità di trovare qualcuno che ti capisca e poi all’improvviso accade qualcosa di straordinario. Il fatto che Raul fosse capitato lì rappresentava quel genere d’evento. Nel suo sguardo c’era la malinconia struggente del perdente e al tempo stesso la grande capacità d’animo che ti travolge per la sua profondità. “Birillo” senza dire una parola come potrebbe invece fare un essere umano, parlava con i suoi atteggiamenti, con quello sguardo birichino di chi è felice di vivere. Il suo comportamento fece ragionare Raul. Si chiese cosa avrebbe fatto lui se fosse rimasto senza le gambe? La lezione di vita era grande ed importante in quanto indicava come spesso noi esseri umani esageriamo le situazioni che accadono, quanto finiamo per ingigantire i problemi. “Cosa siamo noi rispetto ad un cane?” si disse da solo Raul. Il concetto era che, se davvero ci riteniamo superiori agli animali, allora, più di loro, dovremmo cogliere il bene dell’esistere. La vita meritava di essere vissuta, ogni giorno, ogni istante fino all’ultimo respiro. L’aria lieve che si respirava in quel luogo, plasmato sull’immagine di Penelope, raccontava proprio questo. Diceva “Non guardare quello che non hai, quello che non sei, respira, corri, sogna. Sei prezioso, importante e la vita che ti è stata data un dono straordinario”. Queste considerazioni ebbero un effetto benefico su Raul. Non era puro e semplice sentimentalismo, il concetto aveva le sue solide basi anche sulla logica, una logica schiacciante. Quello era il tempo concesso. Tutto poteva succedere, vivere altri cinquant’anni o morire per un incidente appena uscito dal canile. Non era importante quanti anni si sarebbe vissuti ma il modo in cui lo si avrebbe fatto. Era da stupidi continuare a pensare in modo ossessivo agli errori fatti e da codardi togliersi la vita. Tutti sbagliano, punto e basta. Lo sottolineò bene anche Gesù con la frase “Chi è senza peccato, scagli la prima pietra”. Raul si rincuorò, non si stava illudendo o suggestionando da solo, quello che stava facendo era lo scoprire il velato senso della vita. “Se puoi rimediare, ok, se no guarda avanti e cerca di fare del bene” Se lo ripeté più volte quel giorno questo pensiero per tenerlo inchiodato nel cuore.Mentre era preso da questi pensieri, la sua attenzione venne attratta dal modo di fare strano di un uomo al di là del cancello. Aveva già fatto due giri intorno allo stabile e adesso se ne stava fermo con le mani in tasca dentro un cappotto blu e sotto un grosso cappello grigio, fisso ad osservare i movimenti all’interno della struttura. Raul intuì che dovesse avere qualche interesse per il centro creato da Penelope e si mosse per andargli incontro. Voleva parlare con lui, ma non appena il tipo capì le sue intenzioni, si allontanò, sparendo nella prima via a sinistra. Non restava che chiedere spiegazioni a Gabriele < > <<Mi sembra di ricordare che i ogni tanto, sarà un curioso, ce ne sono tanti di pensionati che vengono a vedere gli animali da fuori>> <
appena ho cercato di avvicinarmi se n’è andato>>. Senza aggiungere parola, Gabriele alzò le spalle verso l’alto lasciando intendere che non era in grado di fornire altra spiegazione. La giornata volse al termine rapidamente e il gruppo si riunì per festeggiare davanti ad una bella bottiglia di spumante rigorosamente italiano. < > gridò Monica alzando il calice per brindare <<Evviva i nostri piccoli amici!>> aggiunse, sorniona come un gatto, sca e tutti s’inebriarono delle bollicine effervescenti. Adesso tutto era nelle mani di Raul che avrebbe dovuto caricare il materiale sul blog, il quale confermò < > Fu in quel preciso momento che gli parve davvero bello il sorriso di Roberta. Istintivamente prese a scendere con lo sguardo lungo il suo corpo; tutte quelle curve messe al posto giusto gli s’incollarono come un francobollo nella mente. Anche il suo sguardo, burbero a arcigno la prima volta che si era incrociato con quello di Raul, ora appariva dolce e sensuale.< > Gli sembrò strano che di colpo, dal nero più assoluto arrivasse tutta quella luce nella sua mente. Non poteva dire di esserne innamorato ma sicuramente i suoi ormoni si erano messi in moto come quando vent’anni prima si era invaghito dell’ex moglie. Il problema era però che Raul non si ricordava più il modo di corteggiare una donna. Non aveva nemmeno il coraggio di chiederle di uscire a mangiare una pizza talmente si sentiva imbarazzato e poi forse la sua era un’illusione. Probabilmente Roberta gli stava dando un po’ di spazio in funzione del progetto per salvare gli animali. Ma, sorprendendolo, ci pensò lei a risolvere la situazione <<Mi dai un aggio fino a casa? Sono a piedi, chi doveva venire a prendermi ha avuto un imprevisto>>Poteva Raul dirle di no? Di fronte all’occasione giusta mandata dal destino si affrettò a rispondere <<Ma certo, volentieri, però andiamo subito, stasera devo mettermi al lavoro sul PC>> I due si avviarono verso il parcheggio < > disse Raul facendosene carico < > < > < > <<Sì e non ho intenzione di cambiare idea>> << E’ un peccato, dovresti contribuire alla società>> <<Sei davvero testarda, renderai la vita impossibile al tuo fidanzato>> < > < > Roberta si girò verso quel presuntuoso di Raul, intento a guidare e stravolse la faccia in una smorfia colorita cercando di trasmettere la sua disapprovazione per un certo tipo di donna < > disse gesticolando anche con le mani < > < > Roberta s’inalberò ancora di più <
cafone>> < >le rispose Raul in tono fortemente polemico < > <