Antonella Usai
Il mio peggior difetto è mio marito
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Indice
(INDISPENSABILI) PREMESSE 1. GIURIN GIURELLO 2. MIO MARITO DISCENDE DALLA SCIMMIA. 3. CASALINGA? PRESENTE! 4. FORSE HO CREATO UN MOSTRO. 5. I MOSTRI GENERANO MOSTRI? 6. "TANTO SEI A CASA" 7. MOGLIE E FIGLI IN VACANZA: God save my home. 8. NE RIMARRA' SOLO UNO? 9. CASALINGA A CHI? 10. MEGLIO PRIMA CHE DOPO. 11. IL MIO PEGGIOR DIFETTO È MIO MARITO. 12. VIVA L'OTTIMISMO! 13. IL FUMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE. 14. www.comprovendo.com "SCUSE" CONCLUSIONI semiserie RINGRAZIAMENTI seri
INDICE DEGLI APPELLATIVI DEI CONIUGI Varie ed Eventuali
(INDISPENSABILI) PREMESSE
...e allora mi son detta: io ci scrivo un libro, su quello lì. Su colui che le mie amiche conoscono come "Illo". Insomma, su mio marito; colui che ho sposato in merito al quale oggi mi verrebbe da pensare: "Non l'ho fatto apposta", proprio come direbbero i nostri figlioletti.
Non fatevi confondere dal titolo, gentili lettori: con questo scritto non ho alcuna voglia di tediarvi riportandovi una sequela di lagnanze rivolte al mio dolce doppio. Piuttosto, in queste poche pagine potrete leggere le confessioni semiserie di una moglie felicemente spossata da un marito poco collaborativo. E poi, mi piace pensare che questo sia un libro democratico, nato innanzitutto per riunire, come farebbe Il Pifferaio Magico, tutte le donne che come me convivono con una creatura di sesso maschile. Ritengo inoltre che la lettura di queste righe sia indicata anche a voi maschi, a qualsiasi genere apparteniate: qualora vi riteniate dei Mariti Utili, una volta apprese le abitudini casalinghe del mio consorte, dal confronto con Illo non potrete che trarne vantaggio. Se invece anche voi appartenete al club dei Mariti Poco Utili, nel leggere le gesta compiute dal Bruto che mi accompagna... non vi rimarrà che esultare d'ammirazione! In entrambi i casi, gentili compagni (in senso apolitico), sappiate che questo testo non sarà un agguerrito monologo contro questo o quel tipo d'uomo. Ho sempre detestato quelle tiritere fra fazioni miranti a sostenere che la donna è più intelligente dei rappresentanti del sesso opposto. La donna è semplicemente più rompi, dell'uomo. A gratis, e per vocazione.
Ciò detto, mi aspetto che di fronte a una tale affermazione lor signori esultino e che invece le signore si sentano piuttosto contrariate. Sarebbe prevedibile che i primi, incoraggiati e rassicurati dalla mia asserzione, continuino senza impedimenti nella lettura... e che le signore facciano lo stesso. Quest'ultime, sentendosi provocate, presumo vogliano sapere dove andrò a parare. Ma siamo solo all'inizio, dunque state tutti fermi là dove siete: sul divano, sui sedili di un treno o in fila alle Poste, per seguire la storia di questo viaggio dissestato che è il mio matrimonio. Il presupposto dal quale si snoda il racconto è che la convivenza tra un uomo e una donna è da ritenersi come il cammino per Santiago di Compostela: andarci in aereo non vale, ma è necessario percorrerlo a piedi con impegno, fatica e fede. Io ci aggiungo l'ottimismo e l'ironia.
Avrete già intuito che non sono qui come Scrittrice di storie non ancora narrate, né come Tecnico con competenze utili alla stesura di un manuale altamente professionale. Tantomeno, non è nelle mie intenzioni dispensare consigli utili per il raggiungimento di un ideale menage familiare: semplicemente, mi impegnerò al meglio per raccontare il peggio di Lui.
Qualora stiate sospettando che gli aneddoti relativi alle mancanze o ai difetti del mio dolce doppio costituiscano l'unico argomento di questo testo, fatemi dire che non sarà così. Anche perché, trattandosi di mio marito, suppongo lo riteniate interessante quanto un algoritmo. In queste righe affronterò altri argomenti attinenti alla quotidianità di una famiglia semplice e reale: i figli, i suoceri, la manutenzione della casa, i miei hobby. Questo libro vorrà, soprattutto, suggerire come affrontare le comuni difficoltà di ogni giorno: con ironia, fiducia e ottimismo. Sono questi gli ingredienti necessari
per vivere al meglio le mie giornate; la mia dose di zucchero col quale riuscire ad arrivare a sera per sospirare sempre e comunque, con la testa posata sul cuscino: "Grazie, per oggi".
Poiché diverse fonti del web riferiscono che al mondo il numero di femmine è superiore a quello dei maschi, ebbene, non se ne abbiano a male i lettori dotati di cromosoma xy se d'ora in poi mi rivolgerò a un pubblico femminile.
Come già detto (ma dalle mie parti è sempre bene ripetere i concetti) vorrei spiegare al mio dolce doppio che, negli episodi e nelle riflessioni che andrò a riportare, non saranno vantate le sue virtù; se così fosse si tratterebbe di altro libro, chessò: Il marito perfetto. Ma, gentile consorte, non avendo alcuno spunto per stilare uno scritto di questo genere, assumi pure la tua solita posizione sul divano e rilassati leggendo queste righe che ti dedico, certo comunque del mio amore per te.
1. GIURIN GIURELLO
Chi si accinge ad acquistare un libro saprà bene che l'oggetto in questione non è come... un barattolo di marmellata. Nel senso che è privo di un'etichetta indicante gli ingredienti e non si può sapere con esattezza cosa ci si troverà dentro. Al massimo, un libro lo si può "assaggiare" qualora si tratti di un eBook del quale si vuol leggere un estratto. A tal proposito, mio figlio di otto anni che chiamerò IlBarbaro soltanto perché è molto vivace, incuriosito da quei libri sulla cui copertina lilla erano disegnate quattro paia di piedi, mi chiese con la sua consueta curiosità: "Mamma, ma se qualcuno compra il tuo libro e poi non gli piace, tu gli restituisci i soldi?" Io ho riso e gli ho risposto che no, non funziona così. I libri si acquistano perché ci si fida di loro, perché ci attirano anche se sono come certi regali a sorpresa dei quali si ignora il contenuto... ma una volta acquistati rimangono di tua proprietà, sia che ti siano piaciuti o meno. È per questo motivo che mi sento in dovere, in queste prime pagine, di comporre una sorta di etichetta del prodotto in questione. Vi assicuro che in queste pagine non troverete parolacce. Ritengo siano un'offesa del tutto gratuita nei confronti delle lettrici che non fanno nulla per meritarle. Inoltre, credo che proprio come accade in tivù, le male parole non siano indispensabili per strappare un sorriso a un ipotetico pubblico. Soltanto in qualche occasione mi limiterò a "evocare" certe espressioni meno composte. Mi piacerebbe che questa lettura servisse a distrarvi dal vostro tran tran quotidiano. Purtroppo, in conseguenza di ciò è implicito che dovrete sorbirvi le rimostranze del mio tran tran quotidiano. È inutile dire che non sarete coinvolte in una trama avvincente e, ve lo anticipo, a conclusione del presente libro non ci sarà alcun colpo di scena. Inoltre, se ci fosse un colpevole da scoprire... lo si indovinerebbe già dal titolo. Per mia e vostra fortuna, non ho drammi personali da riportare, né seriosi
insegnamenti da impartire: potrete semplicemente seguirmi in questa corsa a ostacoli che è la quotidianità di una comune operatrice di casa. In fondo, per superare le normali fatiche giornaliere è necessario munirsi di una saggia dose di ottimismo. È con questo atteggiamento positivo che si potranno superare le situazioni difficili, ridimensionandole alla loro reale misura (soprattutto quando ci sembrano enormi), per arrivare alla consapevolezza che a dar loro troppo peso si rischia di perdere di vista le cose più importanti. Per quanto la vita non mi abbia ancora messo duramente alla prova né mi abbia fornito grossi motivi per angustiarmi, nel mio piccolo ho imparato che la felicità non è come un cupcake: bello, impeccabile, desiderabile. La felicità assomiglia più a una sbrisolona, quella torta dall'aspetto piuttosto bruttino composta da briciole. E la sbrisolona, proprio come la felicità, va gustata a pezzettini, briciola dopo briciola. Ah! Qualora vogliate recensire questo testo tacciandolo di essere leggero, tenete conto che l'ho già detto io, che lo è. Invece, casomai vogliate giudicare questo scritto come la lettura ideale per are il tempo quando si è in attesa dal dentista, sarò lieta di avervi confortate in un momento difficile.
Attenzione: vi anticipo che le buone azioni del marito qui riportate, saranno premiate con un Bollino. Voi lettrici potrete collezionare i bollini e completare la raccolta: ciò serve non solo a fidelizzarvi alla lettura del testo, ma anche a ottenere un grazioso piumino leva polvere con manico telescopico. In alternativa, potrete vincere degli integri calzini da uomo color torba, che si abbinano a tutto. Giurin giurello che il marito ideale è sempre quello di un'altra.
2. MIO MARITO DISCENDE DALLA SCIMMIA.
"Illo"
Nella nostra famiglia, non è la moglie né uno dei nostri due figli a essere Pigro, Inetto, Sbadato. Si noti l'acronimo PIS, pronuncia dell'inglese PEACE (pace), parola qui assolutamente casuale, visto che un tale mix di qualità in una sola persona, certamente non favorisce uno stato di beatitudine familiare. Con questa premessa, fatemi raccontare cosa combina il Pigro, Inetto e Sbadato che ciondola per la casa. E si sappia che neanche lui, qualsiasi cosa faccia, la fa apposta.
Pigro. § Per ogni moglie il proprio marito è un punto fermo: difatti, nel senso stretto del termine, Illo sta solitamente fermo sul divano. Ci tengo a precisare subito che mio marito è un onesto impiegato, perciò lavora davvero! Ma quando il lavoratore si trova lontano dal suo ufficio, ha l'abitudine di bivaccare nel mio ufficio... in quella zona che comprende cucina e soggiorno. Più precisamente, sta spiaggiato sul sofà nella posizione di Paolina Bonaparte. Egli però è solito abbandonarsi sul divano con meno eleganza della duchessa appena citata, con lo sguardo assai più spento e con un telecomando sempre saldato alla mano.
Fermo nella sua postazione, con occhio semichiuso si limita a osservare pacatamente la propria famiglia che si agita, si rincorre, si anima attorno a lui: la moglie e i due figli di otto e dieci anni. Tant'è che, dopo averlo osservato per anni giacere sui cuscini sempre nella stessa posizione, sono arrivata a chiedermi se un giorno egli comporrà il suo corpo naturalmente proprio con questa postura, nel feretro. Quando invece il sofà è desolato e mi propone solamente la visione l'imbottitura affossata, so con certezza dove trovare il padrone di casa. Egli sarà davanti al computer, dedito a un'attività giornaliera probabilmente consigliatagli dal medico di base: controllare il conto in banca. Ritengo che verificare un saldo che non offre mai sorprese non avrebbe alcuna necessità di frequenti monitoraggi. Forse Egli si ostina nell'impresa con cotanta solerzia nella speranza che durante la notte i soldi si siano miracolosamente riprodotti! Lungi da me muovergli la seppur minima osservazione: la sua perseveranza indica un atteggiamento fiducioso, e poi... non si sa mai.
Si sappia che il consorte svigorito, dopo aver speso tutte le sue energie in azienda, in casa è solito mostrarsi poco attivo e cooperativo, ahimè. A mia discolpa, sarà bene che precisi di aver tentato di tutto, per svegliarlo dal suo torpore. Ho provato per anni, a incoraggiarlo alla collaborazione domestica e a rafforzare le sue nozioni di educazione civica/casalinga. Per fare un esempio, quando due figli fa avevo più energie da impegnare per esortarlo alla cooperazione (ed ero motivata dal fatto che anch'io lavoravo fuori casa), al pre-Illo avevo affidato il semplice compito di stendere i panni. Peccato che la tecnica esecutiva da lui sviluppata lasciasse molto a desiderare: difatti l'amato neo marito era solito buttare i vestiti e affini sui fili per stendere come se giocasse a bocce. In realtà, quel suo impegno piuttosto impacciato era quasi commovente e io, giovane donna innamorata, non potevo che guardare le
azioni dello sposino con pazienza e fiducia. Sono certa che oggi certe malelingue insinuerebbero che l'occasionale garzone svolgesse volutamente in malo modo la mansione affidatagli, con l'unico scopo di non farsi assegnare più alcun compito.
In ato, ho anche manifestato ripetutamente il desiderio che il collaboratore portasse giù la spazzatura. Non rilevando sufficienti riscontri, ho presto dedotto che Egli non riuscisse a trovare la giusta concentrazione nello svolgere dei compiti di così poco conto a causa dei pensieri sul lavoro. Egli avrà creduto che di tali quisquilie poteva occuparsene benissimo qualcun altro. Ora: voi sapete bene che in casa ci sono mille cose da fare! E per quanto molte pratiche richiedano poco tempo per essere svolte, se moltiplicate per mille... richiedono tante ore d'esecuzione! Dunque, caro: organizziamoci. Senza darmi per vinta, testarda come solo una sarda può essere, ho più volte posto il sacco della spazzatura in mezzo alle scale, nella speranza che PER FORZA, trovandoselo in mezzo al percorso, l'inquilino romagnolo l'avrebbe finalmente portato giù. Macché: Egli, regolarmente, tutte le volte oltreava sovrappensiero l'ignorata sporta. Romagna-Sardegna 1 a 0: il romagnolo pare essere più testardo di me... per ora. Pur di fargli svolgere qualche faccenda domestica, col are del tempo sono arrivata a modificare le tecniche persuasive utili a raggiungere l'obbiettivo. Non mi riferisco ad attività impegnative, come per esempio lucidare il lavello in acciaio o il box doccia in vetro, né stirare, né fargli compiere una qualsiasi mansione che (pare) certi mariti siano in grado di fare. Mi riferisco all'esecuzione di gesti tanto semplici quanto indispensabili per una serena convivenza.
Ma andiamo con calma. Si è già evinto che il socio in amore non sembra essere particolarmente dotato di buona volontà. Eppure io non dispero, in quanto credo che ognuno di noi sia corredato di un enorme potenziale sul quale fare affidamento. Sono addirittura arrivata a pensare che per il raggiungimento dello scopo sia decisivo ripetergli più volte la mansione da compiere. Sì, lo so, sono un genio: sta' a vedere che mi tocca essere insistente, per essere convincente! In effetti Illo, pur di non sentir ripetere il da farsi, tenderà a eseguire l'azione in tempi sempre più brevi. Altre volte, ho dovuto far presente allo sportivo il disagio procurato dal maneggiare i suoi panni usati per far sport, a causa del pot-pourri emesso dagli stessi. Non credo si tratti di violazione della privacy, rivelare che avere a che fare con dei capi d'abbigliamento umidi, lasciati a lungo nella sacca della palestra, sia scarsamente esaltante. Anzi, è proprio in situazioni come queste che mi convinco quanto il lavoro di casalinga abbia sì dei vantaggi, ma anche un prezzo da pagare. Come dividere gli slip dai pantaloncini ai quali si sono aggrovigliati, per esempio. O srotolare i suoi calzini appallottolati, aromatici e fradici. Difatti, lo sportivo sbadato ha l'abitudine di sfilare assieme pantaloncino e mutande, così da lasciare a me il compito di separarli. Visto che ci sono, vorrei precisare che tali indumenti spesso giacciono nei pressi della cesta dei panni da lavare. Tant'è che nel tempo ho sviluppato il sospetto che fare canestro nel suddetto contenitore (o centrare il water sappiamo con cosa), sia competenza dei migliori cestisti dell'NBA. Insomma: i consigli suggeriti al collega sulla gestione dei panni sporchi non sempre hanno riscosso molto successo. Comunque sia, non me ne faccio un cruccio: non posso pensare che la mia vita ruoti attorno a quel contenitore: mi basta ascoltare le notizie dei Tg perché l'attenzione si sposti a problemi di ben altra portata. Anzi, no: rimaniamo ancora in bagno, il tempo sufficiente per affrontare un'altra
nota questione popolare: l'uso dello spazzolone. Sempre per incoraggiare l'inquilino alla cooperazione, tempo fa decisi di applicare un metodo alternativo. Ho affisso un cartello nei pressi del wc, con su scritto: "Usare lo spazzolone non provoca tunnel carpale". Dopo averlo letto, il fruitore della toilette mi ha abbracciata e mi ha ribadito ridendo quanto sia simpatica! Alla fine, ci ho guadagnato un complimento, più che se lo avessi malamente rimproverato. In seguito, il cartello si è dimostrato utile: leggi e rileggi, il suggerimento ha saputo incoraggiarlo a prendere confidenza con lo spazzolone.
Inetto. § Saprete bene quanto impegnarsi nelle faccende di casa sia un lavoro spesso stancante, soprattutto perché ripetitivo. Ciò non toglie che (talvolta) possa dare qualche soddisfazione. Chi impegna molto tempo alla cura della propria abitazione, presumo ritenga importante che questa debba essere innanzitutto pulita, nonché bella e confortevole. Anche il profumino dei detergenti, in fondo ha un suo perché... allora, caro: perché non collaborare in certe operazioni? Collaborazione. Oooh... che bella parola: significa partecipare a un'attività collettiva. Implica la socialità, il fare assieme, l'aiuto reciproco. Il senso della cooperazione lo si insegna anche ai bimbi piccolissimi, fin da quando iniziano a frequentare il nido, attraverso molteplici attività ludiche. Chissà quanti libri avranno scritto, in merito alla collaborazione!
Perciò, quando ti chiedo: "Amore, perché non compriamo quel coso per l'auto...
quel box da fissare sul tetto? Così, quando andiamo in vacanza abbiamo più spazio", non rispondermi, ti prego: "Ma no, COME FAI A CARICARCI LE VALIGIE, È TROPPO ALTO PER TE." Troppo alto, per me?
Ora: tralasciamo la questione della mia altezza che, in quanto sarda, secondo le statistiche pare essere leggermente sotto la media nazionale... non è questo il nocciolo della questione. Sappiate, lettrici non ancora edotte, che così dicendo Illo ha semplicemente pensato, nell'angusto corridoio con cucinino che ha nella testa, che sia mio compito caricare le valigie sul box (da porre sul tetto di una monovolume). Ma come!? Io, in quanto donna ritenuta (dall'uomo) una creatura carente di logica e di senso della misura spazio- logico- matematico, come potrei mai caricare con efficienza il bagagliaio di un auto? E dov'è finita la maschia competenza del maschio? Così, pur di non innescare un'altra discussione, accantono l'idea di acquistare un box. Guardate invece come carica un bagagliaio normale, l'inetto. Ci tengo a precisare che il termine inetto non è affatto spregiativo: qualsiasi vocabolario spiega che trattasi di individuo privo di attitudine o di preparazione a un determinato compito. Converrete con me che siamo tutti un pochino inetti, così come ognuno di noi è dotato di determinate abilità o predisposizioni. Eppure, questa precisazione non servirà a scagionare l'intrepido autista il quale, alla vigilia di una vacanza, si accingerà a sistemare le valigie e quant'altro nel bagagliaio con una tecnica che sarà corretto definire: a b a d i l a t e. Nel compiere la sofferta azione, il condannato è solito mugugnare (senza esserne consapevole), un irriverente sottofondo musicale, menzionando tutti i santi del
cielo. Con l'aggravante dell'incavolatura da stress sotto sforzo. È una vera fortuna che i pargoli, impegnati a calciare con forza una palla nel cortile vicino, non avvertano le colorite esclamazioni del capofamiglia. In tale occasione, il vacanziero si dimostrerà del tutto incapace di distribuire sapientemente i bagagli entro lo spazio disponibile. Difatti, Egli nasconderà oggetti e viveri di imminente uso (come uno snack, dell'acqua o una felpa) sotto IL TUTTO, in maniera irraggiungibile. Viene da sé che per recuperare queste cose di prima necessità bisognerà smontare l'incastro di bagagli appena composto, magari sulla corsia d'emergenza di un'autostrada. Di fronte al mucchio informe di bagagli, il vacanziero con badile, sudato e soddisfatto, riuscirà addirittura a sostenere virilmente che: "Non è disordine, ma Ordine Complesso... non hai letto la teoria sull'Entropia?"* Per quanto la sua affermazione intellettuale meriti tutto il mio rispetto, ad essa rispondo col senso pratico: "Senti caro, faccio io." Ma solo per quest'anno. Ci penso io, alle valigie: con pazienza e precisione, così da sfruttare al meglio gli spazi, rispettando la regola del pesante sotto- leggero sopra. Stavolta, uomo di casa, i bagagli li caricherà questa brevilinea, ma per le prossime vacanze sarebbe bene ripristinare i ruoli: io preparo i bagagli, saggio condensato di un appartamento in vacanza, con tanto di termometro, k-way e antistaminico in caso di puntura da vespe e tu (collaborazione) sarà bene che organizzi il bagagliaio. Con calma. Noi siamo soci: allora associati anche tu anche allo svolgimento di certe mansioni, anche se tediose. Tanto, poi si va in vacanza!
Sbadato.
§ Dunque, ho già detto che il capofamiglia lavora (ma solo fuori casa). Quando invece si muove tra le mura domestiche, è facile riconoscerlo facilmente per via del pigiama che egli ama indossare sempre al rovescio e al contrario. Mi sono chiesta per anni come egli possa indossare tutte le sere il tal capo sempre al rovescio: sfilandolo, lo riporterebbe al dritto, dunque la logica vuole che l'indumento sia indossato correttamente un giorno sì e uno no. Ma la logica cozza con l'argomento marito e tutte le sere egli indosserà il capo misteriosamente sempre al rovescio e al contrario. Tant'è che sono arrivata alla conclusione, dopo anni di perpetrata abitudine, che non si tratti di incuria o indolenza, bensì di pura creatività! In fin dei conti... come non apprezzare questa manifestazione di fantasia: io ho un diploma d'Accademia di Belle Arti, non mi piace la simmetria, i numeri pari né la perfezione. Quasi quasi, così conciato, il mio Illo sembra un buffo bambino gigante.
Ma andiamo avanti: sia che in casa indossi il pigiama o meno, l'uomo sbadato ha rivelato nel are del tempo notevoli difficoltà a compiere qualsiasi semplice e comune azione quotidiana. Voglio ritenere che tale incapacità non sia conseguenza di un quoziente intellettivo basso, tutt'altro. Anzi, sono certa che la mente di un uomo, chiusa tra le mura di un appartamento, sia predisposta a impegnarsi soltanto in azioni che richiedano un consistente impegno intellettivo. Partendo da questo presupposto, è probabile che un Garry Kasparov o un giovane Stephen Hawking, nel rispetto dei loro quozienti intellettivi pari a 190 e 160, non abbiano mai apparecchiato la tavola, fatto la spesa al market o sostituito una lampadina in cucina. Intelletti come questi, marito compreso, presumo siano scarsamente utili entro le mura domestiche. Ragion per cui, valutate le capacità di questi soggetti, nel mio caso sarà piuttosto imbarazzante chiedere al mio consorte Deus ex machina di
scendere dall'alto della mansarda per spazzare le foglie giù in giardino, o per pelare le patate. Anche perché la conoscenza di E=mc2 appresa da Einstein non lo renderebbe abile a svuotare la sabbiera del gatto. § Dalle mie parti, un uomo con queste caratteristiche sarà lecito dimostri qualche difficoltà a portare a casa dal supermercato, dietro mia richiesta, un litro di latte e un etto di mortadella. Per ovviare a questo inconveniente, benché io sia dotata di un quoziente d'intelligenza medio (ma sono esperta dei meccanismi dei suoi neuroni), avrò cura di preparare una lista con scritta la miserrima spesa. Alla vista dell'elenco, Egli è solito offendersi per la mancanza di fiducia dimostratagli... ma prenderà comunque il foglietto e si recherà diligentemente al supermercato. È statistico. Anche se munito di elenco della spesa, nonostante la semplicità della mansione, Il Laureato mi chiamerà al telefono e senza vergogna ammetterà di: 1- Aver perso l'elenco; 2- Non ricordarsi più cosa dover acquistare.
Per gli stessi motivi, nel suo ambiente più familiare, la cucina, lo sbadato non saprà trovare il barattolo dei biscotti. Si sappia che quest'ultimo è conservato da sempre nello stesso pensile contenente gli alimenti per la colazione. Dopo anni di copione sempre uguale, sono arrivata a ipotizzare lo scaffale ideale nel quale Egli potrebbe scoprire i dolcetti contenuti nel barattolo sul quale è scritto BISCOTTI. Si tratta di un mobile costruito a misura per lui. Seguitemi con attenzione: tale oggetto ideale è frutto di anni d'osservazione del comportamento di un marito sbadato.
Il pensile dovrà essere profondo circa quindici centimetri e al suo interno presenterà le cibarie della dispensa ben allineate e con l'etichetta leggibile. Non saranno di certo sparse con vaghezza e confusione, entro gli angusti spazi nei quali noi signore sappiamo trovare anche i capperi in penombra! All'interno del suddetto pensile gli oggetti saranno disposti lasciando tre centimetri di distanza tra l'uno e l'altro, così da facilitarne la presa e per limitare il rischio che il fruitore maschio possa sprecare le proprie energia (con conseguente grande fastidio). Infine, la presenza di uno sportello sarà del tutto superflua: essendo Egli totalmente privo di qualsiasi senso dell'ordine, non ne noterà minimamente l'assenza. Qualora all'interno della dispensa si dovesse depositare del pulviscolo atmosferico, questo avrà misure talmente irrilevanti da non poter essere da Lui percepite.
§ Il frigo. Ci farei un capitolo, sul frigo. Il frigo per mio marito non è, come banalmente io ritengo che sia, un comodo elettrodomestico. Non è neppure un contenitore di alimenti ove reperire facilmente qualsiasi cibo: è un misterioso buco nero stellare ove la mozzarella sparisce, il vino si mimetizza, il burro si scioglie vaporizzandosi. In quello che Lui vede come un buco nero, gli oggetti sono avvolti in un vortice gravitazionale che riduce a zero la possibilità che vi possa trovare quanto cerca. Il marito sbadato saprà recuperare la maionese soltanto se questa uscirà dal vortice, finendogli proprio sotto il naso. L'indicazione della moglie paziente, la quale senza batter ciglio suggerirà al ricercatore, dall'altra parte della stanza: "È nello sportello", non servirà a nulla. Perché Egli insisterà chiedendo ancora: "Sì, ma dove... in alto o in basso?" Non capisco. Sei un autista eccelso, dimostri invidiabile maestria nel saper guidare in auto fino a Phuket senza chiedere indicazione ad anima viva... e poi, non scorgi la maionese nello sportello del frigo? L'interrogativo appena posto non mi sconforta affatto, anzi mi consola. Con la
positività che mi accompagna, mi ripeto che ognuno ha le proprie abilità: io che mi perdo facilmente nelle vie del quartiere e nelle rotonde, mi farò condurre docilmente da Lui nelle nostre gite familiari in giro per l'Italia. Invece, senza il mio aiuto, Egli non troverà mai le bramate alici occultate nel cassetto del frigo.
[1] *Entropia, dal web: In un processo quando qualcosa evolve spontaneamente, l'entropia (disordine) aumenta. Quando un processo non può avvenire in nessun modo naturalmente (dunque in modo forzato) l'entropia del sistema diminuisce.
3. CASALINGA? PRESENTE!
Casalinga. Ci ho messo un po', ad ammettere che sì, faccio la casalinga. Perché fino all'età di trentatré anni ho sempre lavorato dietro retribuzione e massaia lo sono diventata in seguito. Questo cambiamento non rientrava esattamente tra i miei programmi e, in effetti, ai primi tempi mi ha creato qualche scompenso. Ma prima che avvenisse tutto ciò, cos'è successo?
A diciannove anni partii da Alghero (l'uso del tempo remoto è d'obbligo, essendo trascorsi da allora più di vent'anni). Lasciai la Sardegna, l'isola felice, per cercare fortuna nella terra triste: Milano (non me ne vogliano i milanesi). Avevo con me un diploma d'Istituto d'Arte nuovo di pacca che credevo mi servisse a sfondare nel campo della Grafica Pubblicitaria. Ero giovane, entusiasta e piena d'energia: avrei spaccato il mondo! Arrivai nel capoluogo lombardo con un contratto di ragazza alla pari e venni ospitata da una famiglia all'interno della quale dovevo occuparmi di due graziosi bimbi. Nel frattempo, cercavo un impiego presso le agenzie di grafica. Dopo un anno di ricerche mi accorsi che il solo diploma, non ato da specifiche esperienze lavorative, non mi avrebbe aiutato un granché a trovare il lavoro che desideravo. Così, decisi di non ostinarmi nell'impresa e feci ritorno nella mia casa in mezzo al mare. Tutt'oggi, quando penso al sogno che non ho realizzato, mi capita di chiedermi se la scelta di tornare a casa sia stata dettata dal coraggio o dalla saggezza. Decisi di continuare gli studi e di diplomarmi all'Accademia delle Belle Arti. Allo stesso tempo, frequentai un corso di mosaico e vetrate artistiche. Il mosaico fu una bellissima scoperta, al punto tale da volergli dedicare tutte le
mie energie. Dopo aver considerato che nell'isola le proposte lavorative non abbondano (soprattutto in certi settori), cercai impiego nella capitale del mosaico, Ravenna. Né la distanza dalla cittadina romagnola né il mare riuscirono a ostacolare la mia ricerca e... poco tempo dopo trovai lavoro! Così, rifeci la valigia: via, ad attendermi c'era un nuovo impiego e, soprattutto, il mio...pre-Illo! Lui e io c'eravamo già conosciuti ad Alghero, quanto bastava per innamorarci. Finalmente al fianco del mio amato continentale dal quale il Tirreno mi tenne separata per due anni, lavorai presso uno studio di mosaico. Il contratto purtroppo ebbe durata annuale, scaduto il quale cercai un altro impiego. Poco tempo dopo, la fortuna e la pazienza mi aiutarono a trovare occupazione presso un'azienda che eseguiva pavimenti continui in seminato veneziano, composti da graniglia e polvere di marmo. La bellezza di questo rivestimento consisteva anche nella possibilità di inserire delle tessere per formare fasce o decori... fantastico: il mosaico faceva ancora parte della mia vita.
In seguito, il romagnolo e io convolammo a nozze. Come vuole la tradizione, ci sposammo in Sardegna ove l'azzurro del cielo e delle onde fece da sfondo alla nostra promessa d'amore. Avevamo poco più di trent'anni, una vita davanti e tanti sorrisi da regalare. Tutto procedeva bene fino a che ebbi un incidente d'auto, fortunatamente non grave e, per una serie di motivi che tralascio, rimasi a casa dal lavoro. Quell'episodio segnò l'inizio di un periodo piuttosto impegnativo; trovare un'occupazione si dimostrò sempre più difficile. Mi sentivo inutile, insoddisfatta, tanto da chiedermi sempre più spesso: "Chi sono, da dove vengo, ma dove vuoi andare" e cose di questo genere. A porre fine a quello stato d'animo fu Madre Natura, la quale finalmente intervenne esaudendo il desiderio speciale che da tempo entrambi custodivamo: avere un figlio. Con la maternità l'ansia della disoccupazione e tutte le inquietudini del momento sparirono come nebbia al sole. Lavoro o non lavoro, la nascita del nostro primo figlio mi regalò un gran senso di pace. Riscoprii il mio spazio nel mondo, la ragione d'esistere.
Con una nuova serenità nell'animo, dopo qualche tempo tentai di inserirmi nel mondo del lavoro, ma dalle agenzie mi venivano proposti perlopiù incarichi temporanei o a turnazione. A distanza di due anni dalla nascita del primogenito nacque un altro bebè: che bello... due bimbi! Doppia gioia... ma anche doppi impegni. Ciononostante, cercai nuovamente un'occupazione che fe al mio caso. Accettai le piccole mansioni che mi venivano proposte, feci la promoter. Ben presto mi resi presto conto che conciliare un'attività lavorativa con la crescita di due bambini piccoli era piuttosto complicato. Avrei dovuto ricorrere ad aiuti esterni e così, accantonato il progetto della prestazione dietro retribuzione, decisi di lavorare senza stipendio e di fare... la casalinga!
Una casalinga atipica. Almeno, io mi sento così: speciale, com'è giusto che ognuno si senta nella vita. Battuta a parte, sarete concordi con me che ogni massaia svolga il proprio ruolo in maniera differente. Non credo esista un genere di casalinga: siamo tutte diverse, con distinte abilità, priorità e interessi. Beh, è certo che faccio le pulizie, stiro, cucino e accudisco i figli nei loro bisogni primari (etc etc) come fa ogni donna di casa. Fin qui non ci piove ed è tutto regolare. Ma avviciniamoci all'argomento: saprete bene che la manutenzione della casa comporta l'intervento di maestranze specializzate i cui costi incidono in maniera consistente nel bilancio familiare. Ecco: è proprio per questa ragione che un appartenente del nostro nucleo familiare ha dovuto imparare "l'arte di arrangiarsi" e, poiché nel nostro domicilio si è già stabilito che sia Lui a lavorare tutto il giorno fuori casa, ne consegue che toccherà a Lei lavorare tutto il giorno dentro casa. Insomma: faccio sì la casalinga, ma factotum. È per questa ragione che, quando la lavatrice non va, rimando l'intervento di un
tecnico e provo a consultare l'insidioso libretto delle istruzioni dell'elettrodomestico. In questa maniera si può scoprire che il problema è risolvibile pulendo il filtro e il tubo di scarico. E poi, sono Maestra d'Arte! Vuoi che non riesca a dipingere le pareti delle stanze? Anche le orribili porte color bara che mi ritrovo disseminate per la casa, una volta verniciate di bianco saranno più belle: vai con smalto e rullo! A vent'anni ho fatto un corso di cucito: come si dice... impara l'arte, mettila da parte. Da allora, la mia macchina per cucire ha segnato km di stoffa tanto quanto mille campi da calcio (nel nostro domicilio, i piccoli calciatori usano le misure del noto prato erboso come unità di misura: cdc). L'esperienza sartoriale oggi mi torna utile sia per realizzare piccole creazioni, come tende,gonne, cuscini, sia per rammendare i pantaloni dei bimbi... o per accorciarli quando non sono più recuperabili.
I capelli dei bimbi crescono talmente in fretta da rendere necessario un taglio mensile? Dai, ci penso io. In realtà, le prime volte che ho accorciato loro i capelli, ho realizzato delle acconciature veramente improbabili. Per ottenere dei risultati decorosi è importante che si inizi l'attività quando i clienti sono molto piccoli, così da acquisire quanto prima l'esperienza necessaria. Dopo qualche anno i figlioli mostreranno dei look accettabili e continueranno a farsi tagliare le chiome nel soggiorno mentre guarderanno la TV, forse fino alla pubertà. Anche voi avete un piccolo giardino? Siete condannati a litigare con erbe infestanti o con prati all'inglese perennemente da innaffiare? Beh, io ho risolto in questa maniera: ho scalzato l'erba, ho posato sul terreno un telo permeabile sul quale ho steso uno strato di ghiaia rosa. L'effetto finale è quello di uno spazio molto ordinato, quasi come un giardino Zen e, soprattutto, addio problemi di giardinaggio. Forse l'erba sarebbe stata più romantica... ma la ghiaia è più duratura, meno impegnativa di un manto erboso e non sembra limitare il gioco dei bambini. Con questo sistema ho detto addio alle erbacce, alla manutenzione di un prato spelacchiato e all'uso della zappa.
Avendo fatto la mosaicista, è naturale che abbia una certa confidenza col cemento e col martello. Ma un conto è fare la mosaicista e un altro il muratore, per esempio. Tempo fa decidemmo di spostare un radiatore di soli due metri dal punto in cui era collocato. Quando chiesi a un tecnico il preventivo per eseguire le opere di muratura mi fu chiesta una tariffa oraria degna di un notaio. Eh no, la traccia sul muro la faccio io, del Pronto Intervento Casalingo! In seguito, la finitura dell'intonaco si rivelò piuttosto approssimativa, ma tanto venne nascosta da un mobile e dal calorifero.
Se tra voi lettrici c'è qualche bricoleur, saprà bene quanto la tecnologia applicata alla casalinga possa dare risultati sorprendenti: perché ciò avvenga è sufficiente guardare i tutorial su YouTube, dove tutti insegnano tutto e nulla sembra impossibile. Per quanto mi riguarda, per accrescere la mia "preparazione" non mi limito a raccogliere le informazioni fornite dal web. Qualsiasi cosa può tornare utile, anche i consigli scroccati agli amici. E quando sono costretta a ricorrere all'intervento di un tecnico o di un artigiano per fargli effettuare una lavoro, sono solita controllarne ogni mossa. Ne osservo ogni fase, con lo scopo di carpire tecnica e segreti... ma solo quelli facili che potrei essere in grado di riprodurre. In definitiva, diventare una casalinga factotum non è impossibile; ci vuole un minimo di attitudine ai lavori manuali, e beh, bisogna perseverare. Ci vuole molta pazienza e qualora il tempo per dedicarsi a certe faccende sia poco, ci si deve rassegnare a procedere per fasi. Io ho iniziato eseguendo piccoli lavori, interventi piuttosto facili, per poi continuare come si fa in un'impresa: senza tornare più indietro, investendo le energie in nuove attività. Col are del tempo mi sono scoperta a fare cose che mai avrei pensato di riuscire a realizzare. Insomma: mi tocca fare la sarta, la parrucchiera dei bimbi, l'elettricista, il falegname e il muratore. Non che sappia fare tutto con abilità, ma almeno... mi
impegno!
Modificare e rinnovare gli spazi della casa non è dettato unicamente da un'esigenza di carattere estetico, bensì da un irrinunciabile senso della comodità. Tenete conto che la mia famiglia e io viviamo in un appartamento i cui ambienti sono talmente ristretti da richiedere un continuo gioco di incastri. Visto che i figli crescono, è naturale che gli spazi debbano essere adattati/modificati in relazione alle nuove esigenze. E poi... se la vita è cambiamento, figuriamoci se non si possono modificare le cose! Della mia Villetta a scale, come mi piace chiamarla, in diciassette anni di vita ne ho rimaneggiato ogni angolo, pur di adattarlo al mio gusto e al già citato senso della comodità. (Un Bollino al paziente capofamiglia) Non per ultimo in ordine d'importanza, ci tengo a dire che per eseguire i miei "interventi" spesso utilizzo materiale di recupero ed è raro che mi capiti di dover buttar via qualcosa. Per quanto mi dedichi a queste imprese con molto entusiasmo, vorrei precisare che pulire il tubo di scarico del lavandino o sostituire la ciambella del water costituiscono pur sempre una grande, grandissima, bella rottura.
Dunque: io aggiusto, rifaccio e bla bla bla. In questa attività di manutenzione della casa che il fruitore sostiene io adori SEMPRE fare (ignorando quanta fatica e nervosismo possano suscitare certe operazioni casalingoidi), per mia fortuna riesco anche a ritagliarmi degli spazi più creativi. Questi momenti nascono a seguito di un personale presupposto secondo il quale:
ogni cosa è bella non per l'aspetto che ha, ma per come diventerà. Bello sforzo, direte voi. Eppure, non credo sia facile guardare degli oggetti pacchiani, rotti o banali e riuscire ad apprezzarli comunque, solamente pensando a come potrebbero diventare una volta trasformati. Questo vale per gli oggetti, per i mobili inutilizzati, per gli abiti dismessi, addirittura per le scarpe che, una volta rinnovate nel colore e con qualche altra modifica, possono tornare a nuova vita. Con questo mio speciale punto di vista mi è anche capitato di comprare o recuperare delle cose veramente brutte, ma spesso me le regalano le amiche, essendo a conoscenza della mia attività. Parlo di certi oggetti che, nello stato in cui appaiono, sarebbero destinati a rimanere su uno scaffale per tutta una vita, a finire al macero o alla pesca in Parrocchia. Eppure, mi basta un'occhiata per immaginare come potranno divenire una volta trasformati e così me ne impossesso per dar vita al gioco del com'era prima e com'è adesso. Per fare un esempio: immaginate un comune mobiletto in formica marrone. Sarà riverniciato del colore preferito, eccetto le ante che saranno rivestite con della vecchia tappezzeria o con le pagine del Corriere dei Piccoli del 1950 circa (sapeste che opere d'arte sono quei giornali). Dei piedini in metallo a cono degli anni sessanta lo abbelliranno e la banale maniglia sarà sostituita con un pomello vintage: così modificato il vecchio e anonimo mobiletto diventerà un originalissimo oggetto d'arredo, da mettere proprio dove serve. Io l'ho fatto, e nell'angolino nel quale l'ho collocato sta benissimo. Nel mio bagno Shabby Chic, un ramo consumato dal mare, trovato in spiaggia durante una eggiata domenicale, una volta sbiancato verrà appeso al muro con della corda naturale per divenire un grazioso appendi asciugamano su misura. Il cassetto di un comò d'epoca, sottratto al mucchio di oggetti destinati all'isola ecologica, una volta colorato di bianco, con l'aggiunta di una mensolina e di un
tessuto floreale sul fondo, potrà diventare una bacheca nella quale riporre piccoli oggetti. Eccetera, eccetera, eccetera.
In una casa, quasi tutto può essere aggiustato o modificato... e mi raccomando: no allo spreco, all'usa e getta! Certe volte mi capita di guardarmi attorno nelle stanze per rilevare quanti oggetti io abbia rifatto o costruiti ex-novo. Ripensando alla loro provenienza e a chi me li ha regalati, mi rendo conto che solamente alcuni di quegli oggetti sono stati acquistati! Il bello di questa mia attività di recupero consiste nel fatto che non mi è utile soltanto tra le mura domestiche; in più di un'occasione sono stata chiamata dalle maestre dei miei figli per tenere una piccola lezione in classe sul riciclo degli oggetti o per la realizzazione di un laboratorio artistico.
...e le pulizie? e le mille cose da fare in casa, a chi le lasciamo? In effetti, quando si ha una famiglia con prole si è talmente impegnate ad adempiere ai propri "doveri" che riuscire a eseguire questi lavori extra è veramente difficile. L'importante è iniziarli, dedicare loro piccoli ritagli di tempo e confidare di concluderli dopo averli portati avanti un po' alla volta, per fasi successive. Dedicarmi a questi progetti con la rilassatezza che meriterebbero è impossibile; perciò in genere li affronto la sera dopo aver cenato o dopo aver deciso di trascurare la patina di calcare che va formandosi sul lavello (che dicono si possa sciogliere con l'aceto, ma io per andare sul sicuro combatto con la più incisiva chimica dei detergenti). Incrostazioni a parte, tra tutti i miei programmi iniziati, in genere... ottocento su mille ce la fanno.
Casalinga/factotum? Presente. E in più, mi riservo la possibilità di dedicarmi a qualche hobby.
È una questione di sopravvivenza! Dedicarsi a delle attività che esulino dai molteplici doveri imposti dalla quotidianità aiuta a superare la routine e a raggiungere un certo grado di benessere. E come riuscirci? C'è chi decide di comporre artistici cupcakes, per esempio. Io invece non ce la farei mai, a dedicare delle ore alla realizzazione di un elaborato del quale non rimarrà nulla una volta mangiato, se non le foto condivise al resto del Mondo o la soddisfazione di dirsi quanto si è brave. Preferisco impegnare il mio tempo verniciando una vecchia cassetta della frutta, da usare nel bagno come contenitore Shabby Chic* per i rotoli della carta igienica. A casa mia, l'oggetto sarebbe stra-usato, scusate il calo d'eleganza. Ho saputo di casalinghe che traggono beneficio dal vagare per i centri commerciali alla ricercare dell'offerta del giorno. Io invece prediligo stare a casa per... non so, confezionare delle fodere per i cuscini del divano; una volta realizzati questi avranno le misure, i colori e il tessuto che desidero senza che sia dovuta andare in giro a cercarle per negozi. Ci sono fortunate massaie che, giustamente, decidono di andare in palestra: ci ho provato anch'io, per qualche mese, incoraggiata dal marito ex-atleta. Che bello. Ovviamente, ho frequentato i corsi mattutini, quando i bimbi erano a scuola. L'ho fatto anche con una certa frequenza settimanale, visto che avevo pagato! Ma una volta ato l'entusiasmo, ho dovuto ammettere che l'impegno comportava una corsa continua: correre per fare le pulizie a casa e poi durante la lezione in palestra; correre per rientrare in tempo per preparare il pranzo, facendo i salti mortali per recuperare le ore impegnate a saltellare a o di Zumba. Scaduto l'abbonamento, mi sono arresa. Poiché non prevedo di cambiare indole e di riuscire a fare le cose con calma, lascio che siano i miei glutei a decidere quando e se soccombere alla legge di gravità. Sono tornata a forbici e pennello e agli hobby che in quei mesi di salubre attività
ginnica avevo trascurato. Ho scoperto che della mia assenza ne avevano risentito anche i lavandini occlusi; le porte cigolanti e le tapparelle impolverate. Per fortuna, queste ultime si puliscono solo verso Pasqua. Vorrei concludere precisando che la fiduciosa teoria secondo la quale "ogni cosa è bella non per l'aspetto che ha, ma per come diventerà", non può essere applicata al marito. Il marito non può essere cambiato!
[1] * Shabby Chic, cioè: "trasandato". È uno stile dai colori chiari che recupera vecchi mobili decapati e oggetti del ato.
4. FORSE HO CREATO UN MOSTRO.
"Solo le persone intelligenti tendono a porsi dei dubbi"
È una frase che mi sono sempre detta, ma qualora appartenga ad altri, sappiate che non si tratta di un caso di plagio ma di usucapione. A che scopo citarla? Così, a caso. Eppure, dopo ben diciassette anni di vita ata assieme al mio Illo, anch'io oggi mi sento afflitta da diversi dubbi: devo forse sentirmi corresponsabile per certe azioni commesse dal convivente? E se sì, in quale misura? E poi... quale donna si nasconde dietro a un marito solerte e collaborativo: un generale, oppure una mogliettina amorevole? Una strega, o una fata? Quanti enigmi. E cosa pensare dei mariti? Dobbiamo considerarli come delle creature a sé, che operano in maniera indipendente, prendono forma col are del tempo e talvolta si modificano post- matrimonium? Sì, dev'essere così! Perché mai dovrei ritenermi responsabile delle azioni del mio consorte? Al lui lascio il libero arbitrio. Faccia pure come crede; similmente, io non ho voglia di atteggiarmi a Santa Antonia da Alghero, tantomeno a generale delle SS. Per quanto mi ritenga molto fiera della mia scelta liberale, guardate un po' a cosa mi tocca assistere. Ve lo riporto nella certezza che aneddoti simili abbiano
coinvolto anche voi signore, nella vita di tutti i giorni. Abbiate pazienza se l'argomento in questione non verrà mai trattato in una puntata di Quark, o sul canale Focus.
Anni fa mi capitò di trovare, sparsi sul pavimento del soggiorno, degli "avanzi" di unghie. All'epoca, i nostri figli erano solo nei nostri desideri (ancora non esistevano, insomma), pertanto quella volta era verissimo che non potevano essere stati loro, gli artefici del misfatto. Non mi è stato difficile, con la vista da falco tipica delle accorte massaie della quale sono dotata, verificare con un'analisi sommaria che si trattava degli scarti delle sue unghie. Tra l'altro, i ritrovamenti giacevano in prossimità del giaciglio/divano del Colpevole. Erano lì e non potevo ignorarli: allora, che fare? Provare comprensione per la sbadataggine del consorte, far finta di niente o scrivere una bozza per il rosario che la sera avrei potuto snocciolargli al suo rientro dal lavoro? Ho optato per una soluzione più fantasiosa. Ho raccolto i reperti e li ho infilati in una bustina trasparente allegandogli un'etichetta con su scritto: Fatto a mano, prodotto artiglianale. L'ho posata sul suo comodino, sperando che ritrovandola la sera, Egli si capacitasse che certi sismi non avano inosservati. Ero certa della valenza educativa del mio gesto e che l'artefice, messo di fronte al fatto, finalmente chiedesse scusa giurando di non farlo mai più. Di fronte al reperto, Lui mi ha guardata senza capire. In vent'anni d'intensa frequentazione non sa ancor bene come interpretare certi miei gesti: meglio così, almeno riesco a stupirlo ogni volta (mai essere prevedibile). Dopo un po', lui ha capito tutto... e io ho inteso che avevo sbagliato la tecnica
educativa. Infatti, il reo si è limitato a farsi una risata. Ha ribadito quanto sia simpatica per poi solleticarmi la pancia. Allo stato attuale: io rimango divertente ma non ho ancora acquisito la certezza che Egli abbia smesso di spargere avanzi ungueali per casa come fossero petali di rose in un tempio indù. La prossima volta, bisogna che m'inventi qualcos'altro.
Andiamo avanti. Tempo addietro, accadde che il convivente impegnato a sfilarsi la maglietta da sopra la testa, con le mani urtò un lampadario. Al che, egli mi fece notare con fare piccato che l'illuminazione posta in quel punto era posizionata troppo in basso. "MA SCUSA, NON LO PUOI SPOSTARE 'STO LAMPADARIO?", ha anche avuto l'ardire di domandarmi. Oh- oh. Incomincio a pensare che se l'uomo di casa arriva a fare tale rimostranza alla sua dolce mogliettina... forse devo ritenermi colpevole per concorso alla creazione di un mostro.
Eh sì, casalinga atipica che ti dedichi al bricolage come un uomo e che per non fare annegare il bilancio familiare chiami raramente un tecnico perché ad aggiustare gli elettrodomestici ci provi tu. Tu, che improvvisi circuiti elettrici etc etc... tu- ti sei- rovinata- con le tue- manine. Hai abituato il lavoratore fuori sede a far da te i lavori in casa? Ora, donna factotum, ti colleghi a YouTube e osservi i tutorial che spiegano T U T T O. Come costruire bio detersivi, come disinnescare bombe e... eccolo lì: come spostare un lampadario.
Al capofamiglia la luminaria messa lì non garba: non importa se l'ominide è muscoloso. Mi sa che il lampadario lo dovrai spostare proprio tu, Genny Aggiustatutto, visto che Lui è sempre al lavoro, che non è in grado di farlo etc etc. Ma sì, non c'è problema, anzi! Fai come al tuo solito: guarda il lato positivo della cosa... e rovescia la situazione a tuo favore.
...e così ho fatto: ho comprato una splendida luminaria degli anni sessanta munita di ben 199 gocce in cristallo. Me la sono aggiudicata a un'asta online a un prezzo stracciatissimo; l'ho pulita dalla polvere decennale che la ricopriva, le ho rifatto l'impianto elettrico e l'ho installata al posto del vecchio lampadario, solo un po' più in là... et voilà! Ho rinnovato l'ambiente, soddisfatto il mio senso del bello e accontentato il marito. Ed è ininfluente se il parsimonioso di fronte all'ennesimo cambiamento sosterrà: "Ma scusa- quello che avevamo- andava- benissimo": in questa maniera lui non rischierà più di fulminarsi e io ho acquistato un oggetto degno dell'ultimo numero di Vogue Casa. A mo' di ciliegina sulla torta, vorrei concludere questa storia del lampadario con un ultimo piccolo aneddoto. In seguito mio marito e io fummo invitati a casa di amici. Con nostra grande sorpresa, ci mostrarono il loro ultimo acquisto: una bellissima lumiera vintage 99 gocce in cristallo, appena comprata da un antiquario locale. Beh, l'oggetto dei nostri amici mancati bricoleur sarà stato sì funzionante e privo di polvere, ma anche molto più caro del nostro. Ciiis. Facciamo un o indietro per tornare alla personale, insana abitudine di dar prova di essere una donna attiva e autonoma nella conduzione della casa. L'episodio del lampadario da spostare (e non solo quella circostanza, ovviamente) mi fa sospettare che il mio atteggiamento sia sbagliato, in quanto alimenta il coniuge P.I.S. Sta' a vedere che essere comprensiva e paziente nei confronti di certi
atteggiamenti del marito, alla fine della fiera rischia di risultare controproducente. Torna il dubbio di prima: forse ho creato un mostro. Mentre medito sulla sentenza, prendo tempo riferendovi un'altra circostanza, utile a completare il quadro. Quando i bimbi erano piccoli, nel fine settimana il capofamiglia era solito esprimere il desiderio di uscire di casa per fare una eggiata. In tutto ciò, non sembrerebbe esserci nulla di speciale, né di faticoso. Lo è eccome, faticoso, se considerate che la richiesta si è ripetuta tutti i fine settimana di ogni mese, per anni. Se considerate che si trattava di vestire due bimbi piccoli, anche due volte al giorno e, tra un'escursione e l'altra, c'era sempre qualcuno cui toccava preparare i pasti e mettere quel tanto d'ordine nell'appartamento che non lo fe sembrare una baracca. Chi sarà mai quel qualcuno? Sarò io: a dover preparare i due pupi, contentissimi di uscire almeno quanto impegnativi da vestire. Soprattutto nelle fredde stagioni quando si rende necessario coprirsi come degli esquimesi. Ma di tutto ciò cosa ne può importare al babbo, il quale, dopo aver consumato (ma non preparato) il pasto domenicale e dopo aver sonnecchiato sappiamo dove, si limiterà ad alzarsi con un colpo di reni ed esclamerà, arzillo e riposato: "Dai, preparatevi, usciamo a fare un giretto!"
Caro, il tuo entusiasmo mi destabilizza. Ora: io mi sarei appena posata su un fazzoletto di divano occupato perlopiù dalle tue membra (è noto a tutti che chi prima arriva, prima alloggia), dopo aver cucinato/ sparecchiato/ steso i panni... e dovrei ricominciare daccapo? Capo, tu vorresti che io mi renda presentabile e che ricambiassi gli abiti ai pargoli che si sono sporcati durante il pranzo... per uscire al freddo gelido della Padania o al caldo umido dell'Adriatico?
Forse vorresti intrattenere i bambini all'aperto perché: "Cara, se il pomeriggio rimaniamo a casa, che cosa facciamo?" Peccato che poi si debba tornare in tempo per preparare in tutta fretta la cena! Parliamone: ti sono stata al fianco per anni portando i nostri figli in giro, sempre di corsa, in ogni fine settimana. Ho preparato e consumato i pasti frettolosamente; ho cercato di stare dietro al disordine di una casa che, non si sa come, proprio nel week end quando c'è la famiglia al completo sembra colpita dalla bora, manco ci trovassimo in Piazza San Marco; per troppo tempo i tuoi due giorni festivi sono stati i miei due giorni feriali più pesanti della settimana. Marito caro, dopo anni di buona volontà ho raggiunto il nirvana, pertanto è con perfetta serenità e beatitudine che ti dico: trù trù - al parco ci vai tu .
Caro, cosa può convincerti a ridurre la frequenza delle uscite familiari e a riportarle a un ritmo meno serrato? a essere più collaborativo, valutato tutto l'ambaradan collegato alle uscite? forse una telefonata da Papa sco? Se davvero desideri tanto svagarti in giro con la famiglia, una volta rientrati a casa tu potresti preparare la cena (e io potrei accomodarmi sul sofà). Non avrei nulla da ridire neanche se impiattassi tonno in scatola, mozzarella e pomodorini. Che bella visione saresti (e quanto ti stimerei) se potessi guardarti, stesa sui cuscini, mentre tu fai il cuoco factotum. Oppure, in alternativa, rallentiamo il ritmo e usciamo meno spesso! Hai valutato quante volte alla settimana intrattengo i bimbi al parco? Nei fine settimana tocca a te... e sapessi quanto sarebbero felici di stare in tua compagnia per fare tutte quelle attività che con la madre non fanno. Basta che io dica: "pallone" e ho detto tutto. Lo afferma non solo il nostro pediatra, ma tutta la Comunità Scientifica
Pediatrica, che il rapporto tra il padre e i figli maschi trae grande vantaggio dal praticare attività ludiche prettamente maschili (dalle quali attività estromettere la madre)! Alé.
5. I MOSTRI GENERANO MOSTRI?
Sviluppo del capitolo precedente.
Ogni tanto la notte mi capita di svegliarmi di soprassalto, allarmata da un terribile sospetto: e se i mostri generassero dei mostri? È possibile che certe (discutibili) attitudini di un genitore si riflettano sul comportamento dei figli? Spero solo che la teoria di Darwin sull'evoluzione dell'uomo si riveli fallosa: non ci tengo a are il resto della mia vita a ripetere agli eredi le stesse rimostranze che da anni mi tocca impartire al loro Pater. Mi piacerebbe poter credere che i nostri cuccioli abbiano ereditato solamente i pregi, del loro babbo e della loro mamma. Sarebbe proprio un peccato scoprire in loro le nostre cattive abitudini, confuse malamente. Se così fosse, un giorno potrei trovarli intenti a fare a pezzi un comodino.... stando comodamente sdraiati sul divano. Proprio perché i bambini sono delle spugne capaci di assimilare grandi quantità di informazioni (siano esse giuste o sbagliate), mi auspico di riuscire a insegnare loro a filtrare gli insegnamenti esterni e a non fagocitare qualsiasi dato che la maggioranza suggerisce loro di inglobare. Spero imparino sin d'ora a discernere, con la valutazione adeguata alla loro età, cosa è bene e cosa è male.
Accompagnare i figli per mano alla vita è un impegno di grande responsabilità, che cerco di fare al meglio. Il compito si rivela ancor più faticoso poiché nel correggere certi comportamenti bisogna tener conto della loro indole e del carattere che vanno formando.
E se è vero che genitore non si nasce ma lo si diventa, beh, allora prepariamoci. Io l'ho fatto affidandomi anche all'aiuto dei libri. Ricorrendo a lunghe telefonate con mia madre (che di esperienza ne ha tanta) o dando ascolto ai pareri delle educatrici e delle maestre. Mi hanno arricchita molto anche i consigli di una cara amica psicoterapeuta (forse perché è madre di tre pargoli?). Io non so se il compito delle mamme dei maschi sia più difficile: non ho alcuna intenzione di rispondere al quesito tediandovi col solito luogo comune secondo il quale due figli maschi sono terribili. Sì, lo sono, punto e basta. Tant'è che per via della loro vivacità sono stata indotta a trascorrere i loro primi anni di vita nei parchi. Altro che mettere in fila delle macchinine stando seduti nella loro stanzetta, persi nelle loro fantasie: parco, sempre parco, sia che faccia caldo o freddo. Un Bollino me lo prendo io, stavolta! Certamente, come si dice: è tutta salute... ma sapeste quante ore ho ato stazionando sulle panchine, tralasciando le mille cose che ci sarebbero da fare in casa, senza poter far altro che vigilare i piccoli affinché non si fero (troppo) male. Non mi risulta che, mentre ci si sollazza su una panca, basti impiegare la sola forza del pensiero affinché i panni lasciati a casa si stirino da soli e la cena si auto- cucini. Se l'idea di scrivere un libro l'avessi avuta qualche anno fa, sono certa che avrei avuto tutto il tempo necessario per stilare qualche volume. Comunque sia, oltre che vigilare sugli infanti, dalla mia postazione campestre ho potuto fare un'altra cosa: osservare la gente. Io guarderei le persone per ore, per cercare di immaginare quali storie si nascondano dietro ai loro sguardi. Per indovinare quale sia il loro mestiere, per notare che sorridono poco anche se si trovano al parco e sopra le loro teste splende il sole... per poi chiedermi quale motivo impedisca loro di sorridere. Osserverei la madre che con apprensione aiuta il figliolo a sollevarsi da terra dopo essere caduto, anziché incoraggiarlo con un sorriso a rialzarsi da solo; la nonna che torna bambina e si siede sull'erba al fianco del nipotino per contare le formiche assieme a lui. Poi mi distrarrei per via del troppo caldo o del troppo freddo e penserei alle tante cose che avrei potuto fare stando a casa. Mi maledirei per non avere la fortuna di
vivere in una villetta con un ampio giardino dove i miei figli potrebbero giocare indisturbati. Ma le lamentele durerebbero poco e, come faccio tutte le volte, mi zittirei subito per dirmi quant'è bello poter regalare ai miei figli qualche ora di vita all'aria aperta, in compagnia di altri bambini. Poi, completerei il rimprovero dicendomi che tanta gente farebbe chissà cosa, pur di stare seduta al mio posto. Mi ripeterei quanto sia importante far vivere ai miei figli delle esperienze piacevoli, nella speranza che ne conservino il ricordo una volta diventati adulti. Chi non vorrebbe contribuire in maniera positiva alla crescita dei propri figli? Basterebbe amarli in maniera sana, ma da qui in poi il discorso potrebbe diventare complicato. Allora, diciamo che posso far vivere ai miei maschietti delle esperienze piacevoli, come una gita fuori porta, una festa di compleanno o un pomeriggio in casa in compagnia di un amichetto. In più, io per prima mi diverto molto a svolgere in loro compagnia certe attività che facevo da bambina. Vi ricordate le Crystal Ball? Quelle bolle dall'odore inconfondibile che si ricavano gonfiando una pasta colorata? Credevo non le producessero più; invece le ho acquistate, le abbiamo usate... e quanto ci siamo divertiti assieme! No, non si può crescere senza il ricordo di quei palloncini... Chi di voi non ha mai usato dei fiammiferi di legno? Sì, lo so, non si scherza col fuoco, ma prima che smettano di produrli e di non poterli più mostrare a chi è nato dopo il 2000, ho deciso di comprarli. Ho preso una confezione costituita da una scatola scorrevole (quel tipo che nelle nostre case si usa sempre meno, forse proprio per salvare qualche albero) e l'ho consegnata ai curiosi. Non ne avevano mai vista una e non sapevano neanche come aprirla! Sono rimasta al loro fianco affinché lo fero correttamente, senza far cadere per terra tutto il contenuto. Dopo aver prelevato qualche fiammifero, hanno provato ad accenderlo senza riuscirci. È stato sufficiente qualche tentativo perché finalmente... sccchtr! Ecco, se n'è uno! e dopo qualche attimo scatta la domanda del più piccolo: "Cos'è questo odore, mamma!?" Oh, l'aroma dello zolfo! Gli rispondo riferendogli le poche nozioni che ho su questo metallo. Lui mi sta a sentire e poi conclude sinteticamente: "Dopo lo
chiediamo a Google che me lo spiega meglio, va bene?"
Intrattenere i miei figli entro le mura domestiche non è mai stata cosa facile, né oggi né quando avevano quattro anni. Conan e IlBarbaro ritengono i libri privi di interesse e invece qualsiasi oggetto posizionato sul pavimento dalla forma vagamente sferica saprà incoraggiarli a sferrargli un rischiosissimo calcio degno di Messi. Rivolgete loro le spalle e state certi che, sotto la spinta di un calcio, riusciranno a far volare qualcosa, col rischio di colpire i portafoto disseminati per la stanza. In casi come questi, mi torna il mente il quesito: "I mostri generano mostri? Per stare sul sicuro, raccomando loro di stare più attenti ripetendogli il più importante dei dieci comandamenti: "Onora tuo padre, obbedisci a tua madre". Dolce Conan che sbatti le ciglia dei tuoi occhioni ma per l'ennesima volta non abbassi la ciambella del wc e non ti lavi le pargolette manine sostenendo di non poterlo fare perché sei troppo stanco: io ti depenno l'allenamento del calcio del martedì. Gentile IlBarbaro dalla pelle chiara e la vocina flautata al quale chiedo di ritirare i panni dalla lavatrice e mi rispondi che per farlo vuoi essere pagato: il tablet è segregato fino a maggior età.
È scritto anche nel libro La legge di Murphy: "Si può fregare tutti per un certo periodo o qualcuno per sempre, ma non si può fregare la MAMMA." Come si spiega che quei due riescano a stare buttati sul divano come privi di ossa, con la capacità di guardare la televisione senza esserne mai sazi? Come possono asserire che aiutarmi nelle piccole faccende li sfinisce, però sono in grado di giocare un torneo di calcio per sei ore, senza bere né mangiare, col sole allo zenit? Io gli sfilo il tubo catodico dal TV nella stanzetta dei giochi:
l'eventuale influenza di Illo e del divano va scongiurata. Scherzi a parte, non mi è sempre facile decidere quanta importanza dare a un tubetto di dentifricio lasciato perennemente senza tappo, o alla ciambella del sanitario dimenticata sempre sull'attenti. Certo, è giusto che i bimbi abbiano dei paletti, delle regole da seguire affinché gli venga indicato un corretto sentiero da percorrere. Perché ciò avvenga, ritengo sia indispensabile affermare dei sani e fermi NO. Quel che talvolta temo, in questo panorama di regole, è il rischio di diventarne vittima io stessa. Non sia mai che, qualora le direttive più "coercitive" non vengano osservate alla perfezione, ne possano derivare frustrazione da ambo le parti. Affinché ciò non accada, sarà bene applicare la regola della giusta dose e giusto equilibrio. Senza tentennamenti. Neanche quando tuo figlio ottenne, coi capelli rossicci e deliziose lentiggini, come risposta ai tuoi rimproveri educativi oserà cinguettare educatamente: "Mamma, tu sei troppo sensibile. Non mi rimproverare, ti devi abituare a me". Ti devi abituare a me... splendido! Quando IlBarbaro mi rispose a quella maniera, avrei tanto voluto ridere e prenderlo tra le braccia. Ma non l'ho fatto, visto che in quel momento lo stavo rimproverando. Ho memorizzato la sua risposta e successivamente l'ho trascritta su un quaderno dedicato alle frasi e alle riflessioni più simpatiche che i miei figli hanno saputo inventare.
A proposito di bambini, mi sono venuti in mente quei momenti in cui gli amici annunciano la nascita del loro primo figlio. Com'è normale fare in questi casi, io mi rallegravo sinceramente con loro. Similmente, avevo la stessa reazione anche una volta diventata madre (per quanto tra me e me pensassi: "Benvenuti nel tunnel").
Col are del tempo, alla solita lieta novella della nascita di un primo figlio continuavo a felicitarmi con loro (ma avendo messo al mondo due pargoli, tra me e me malignavo in silenzio: "Sì-sì-come no... un figlio è un hobby, due un lavoro"). Colpo di scena: alla stessa annunciazione da parte di amici recidivi del loro terzo bebè, io, in quanto stoica madre di due soli fanciulli, continuavo a congratularmi con loro (per quanto in realtà mi dicessi: "Il primo figlio è un hobby, il secondo un lavoro, il terzo equivale agli arresti domiciliari con lavori forzati"). Dal terzo erede in poi... si parla di fantascienza, e non è il mio settore. Non so da cosa derivi il mio disinteresse per una famiglia numerosa. Sospetto sia attribuibile all'essere cresciuta assieme a tre sorelle, chissà... Ora che ci penso, quasi quasi andrei a fare una scultura a quella pia donna che mi ha messo al mondo, "Madre Teresa di Gallura", come la chiama per scherzo mio figlio maggiore. A conclusione del capitolo, fatemi dire che i nostri figli non sono certamente dei mostri, non sono stati generati da un mostro ma sono semplicemente due simpatiche, amorevoli, vivaci pesti.
6. "TANTO SEI A CASA"
Coloro che hanno intuito quale sarà l'argomento legato alla frase tanto sei a casa, saranno concordi con me che a esso dedichi un intero capitolo. Casalinghe che tanto state a casa: uniamoci strette strette e marciamo insieme in sciopero contro chi osa tediarci con codesta frase!
Visto che ci siamo, fatemi riportare altre due frasi capaci di mandarci fuori dai gangheri: "Mi sembri ingrassata" e... "Buon fine settimana."
Sorvolo sulla prima ignobile proposizione. Sulla seconda m'intrattengo brevemente, precisando che l'augurio non può essere particolarmente ben accetto da una casalinga media. L'innocente frase di cui sopra ha senso rivolgerla ai teenager ai quali in quei giorni è consentito se la sino tra pub e discoteche, al fine di esaudire ogni personale desiderio giovanile. Perciò, quando mi si augura buon fine settimana, non potrò che fare una cosa: rivolgere gli occhi al cielo al pensiero che io dovrò esaudire ogni desiderio giovanile dei miei figli... nonché quelli del marito. Nel frattempo, farò il conto alla rovescia fino all'arrivo del lunedì. Solo quando il tumultuoso week-end sarà finito, potrò riappropriarmi della quiete del mio regno sconquassato dai tre maschi, i quali finalmente andranno uno al lavoro e gli altri a scuola.
iamo alla terza frase, solitamente espressa dal coniuge e rivolta verso la propria compagna/casalinga: "Tanto sei a casa". Tale asserzione lascia intendere che qualsiasi cosa ci sia da fare in famiglia, è implicito quanto naturale che debba essere LEI a farla. Vorrei precisare, qualora sia necessario farlo, che LEI non deve... può.
Ma facciamo un o indietro e mettiamoci nei panni di un uomo; in tal modo sarà più facile capire il processo mentale secondo il quale se una casa è pulita, in ordine, col frigo pieno e i panni puliti e stirati, non lo è perché qualcuno l'ha fatto: lo è in quanto Egli dà semplicemente per scontato che così deve essere.
Proprio come se fosse un dogma. Eppure, per quanto l'argomento sia religioso (dogma, dicevo) un convivente non riesce a riconoscere nella propria compagna la santa che ha fatto il Tutto. Di fronte a questa illuminazione mi verrebbe voglia di stamparmi l'immaginetta da santa, piuttosto che i biglietti di visita.
Così, poiché tanto sono a casa, l'Ignaro è certo che io sia in condizione di fare qualsiasi cosa. Egli non considera che i molteplici impegni quotidiani potrebbero accavallarsi, impedendomi di arrivare in fondo alla lista delle cose da fare. Qualora ciò capitasse e mi trovassi nella condizione di dover invocare l'aiuto del consorte, magari chiedendogli di presenziare alle udienze scolastiche (che non si sa come, si svolgono sempre allo stesso giorno e nella stessa ora per entrambi i figli), è probabile vada incontro a delusione. Nessun problema: saprò risolvere
comunque la questione ricorrendo al piano b, c, d, etc. Oppure, se gli chiedessi un favore, sono certa che mi riferirebbe che invasioni di mosche e cavallette, ulcere e grandine (proprio come nella Sacra Bibbia), gli impediscono di esaudire la mia richiesta.
"Tanto sei a casa", si diceva. Vaglielo a dire, a Illo, che le mie ore d'aria iniziano alle 8.05 quando i monelli vanno a scuola e finiscono troppo presto, alle 12. Ma andiamo con ordine: prima che gli scolari si fiondino giù per le scale verso la scuola, per fortuna situata a qualche metro da casa, bisogna sorbirsi La terribile preparazione! Quella fase preparatoria fatta di un intenso vociare più o meno gioioso, che ha inizio dalle sette della mattina. Chissà perché, metti Cip e Ciop nella stessa stanza e questi riescono a litigare dopo due minuti. È all'ordine del giorno che mi riferiscano urlando, facendosi la spia a vicenda, che uno non si è lavato i denti e l'altro non ha ancora preparato lo zaino. Oh, lo zaino: state pur certe che entrambi si saranno dimenticati di completarlo! Per quanto riguarda la merenda... quella va bene, l'altra no. In merito ai panni, è probabile che se li scambino tra loro e se li mettano al rovescio o al contrario. A seguire, la divisione litigiosa di Yu Gi Oh... ma come, le figurine? Stanno andando a scuola! Finalmente sono le 8.05. Andiamo, su, che al ritorno mi butto io sul divano, spossata dall'esuberanza dei marmocchi. E mentre dal sofà osservo le foto sparse per la stanza con impressi i loro visetti sorridenti, mi sento traboccare d'amore. Anche perché quegli angioletti nelle foto non urlano. Nel bramato silenzio della mia casa, accendere la radio mi sembra quasi un sacrilegio, ma la banda del Ruggito del Coniglio è quello che mi serve per iniziare la giornata in allegria. Poi, se non esco da casa, alle 10.30 mi sposto su Radio Deejay per seguire il programma di altri due noti simpaticoni. Con le loro voci in sottofondo a farmi compagnia, attaccherò il disordine delle
stanze nelle quali sembra sia ato un terrorista con lo zaino pieno di esplosivo. Non appena riuscirò a dare una parvenza d'ordine ai vari ambienti, si saranno fatte le dodici: a dirmelo sono le campane della chiesa che mi avvisano festose della conclusione delle mie presunte ore di libertà. Come una sveglia, mi avvisano che è quasi ora di pranzo, pertanto bisogna inizi a preparare da mangiare per gli scolari. Così descritta, la mia mattinata tipo sembrerebbe poco impegnativa... ma sappiate che è comunque nelle mie ore d'aria che: DEVO: fare le pulizie; DEVO: fare la spesa (trascinarla su per trentacinque scale e incastrarla nel cucinino); DEVO: lavare- stendere- stirare; DEVO: fare un po' di bricolage (tanto, c'è sempre qualcosa di rotto da aggiustare o da sistemare).
Eppure, mi sembrava avessi detto che si trattava delle mie ore libere! Esatto, libere, ma solo dai figli... di certo non dalle incombenze imposte dall'avere una famiglia e una casa da seguire. E dire che ci ho provato, a rimandare al pomeriggio le attività appena citate; ma come si può, se nelle ore pomeridiane... DEVO: aiutare gli studiosi nei compiti, magari cercando di mantenere la calma! e come riuscirci, se li sento ripetere sempre gli stessi strafalcioni? Tant'è che mi chiedo come riescano le maestre a non essere afone e a uscire dal portone della scuola con un'espressione sempre sorridente; DEVO: portare i piccoli atleti a scuola calcio in giorni e orari differenti, ovviamente. Portare non solo loro ma anche i malefici, faticosi, tediosi borsoni da preparare tutte le volte. Io ci ho provato, a convincere i calciatori in erba a fare danza classica, così da lavare solamente delle calzamaglie (prive di fango, strappi o macchie verdi)... ma sono irremovibili: la loro vita senza pallone non avrebbe senso.
DEVO: tornare a casa per iniziare a preparare la cena; DEVO: andare a riprendere i piccoli atleti, sporchi ma felici (unitamente alle sacche già citate, che mi piace sperare che un giorno diventino usa e getta); DEVO: ultimare in tutta fretta il pasto in quanto i maschi, al loro ritorno dal lavoro e dall'attività sportiva, dall'appetito che hanno sarebbero capaci di mangiarsi anche lo sportello del frigo. Vi risparmio la descrizione della giornata al suo finire, finalmente comune a tutte le madri del mondo (purché non straricche, altrimenti è tutta un'altra storia). Ah, vogliate scusarmi se nello stilare l'elenco dei miei impegni quotidiani ho ripetuto DEVO una decina di volte, ma proprio non ho trovato un altro termine che lo sostituisse adeguatamente...
Dopo aver illustrato a grandi linee i compiti cui devo far fronte, continuo a non spiegarmi la nota affermazione del marito: tanto sei a casa. Non solo il significato, ma anche il tono utilizzato per esternare tale asserzione lascia intendere che egli creda che il ruolo di casalinga riservi solo privilegi. Che la fatica sia avulsa alla casalinga. Cosa lo persuade a convincersi di ciò? Forse sbaglio a curare l'aspetto. Non mostrare segni d'affaticamento o occhiaie potrebbe confonderlo, fino a indurlo a pensare che la fatica sia solo di sua competenza. Per carità, non sono qui a lamentarmi né a spacciarmi per una casalinga stressata, una di quelle che vogliono far credere lavorino solo loro. Penso faccia più fatica chi asfalta l'A14 sotto il sole, chi spiuma polli nella catena di un magazzino o chi avvita bulloni per otto ore di fila, rispetto a chi è impegnata a occuparsi della propria abitazione, di un marito, di due figli e di un gatto. Tanto sei a casa, sostiene il capofamiglia. Partendo da questo assunto, è logico
che ogni uomo al suo rientro a casa si aspetti di rinvenire la propria compagna sempre nello stesso posto; e dove? In cucina. Anch'io, proprio per non mandare in tilt il mio Illo, sono solita farmi trovare quasi sempre nei pressi delle pentole. Egli mi ritroverà nel luogo predestinato e mi verrà incontro fiducioso e assolutamente certo che qualsiasi cosa io abbia fatta, non posso essere stressata (e comunque, non più di lui). Anche perché, se mostrassi stanchezza per essermi dedicata alla manutenzione ordinaria della casa o a un lavoro di bricolage (con tanto di seghetto alternativo e troncatrice orbitale), rischierei di sentirmi dire: "Scusa, ma chi te lo fa fare?" lasciando intendere con questa affermazione che i lavori da me svolti sono superflui, probabilmente. Come se non bastasse, lo stipendiato riterrà che io abbia smontato, modificato, aggiustato mobili o oggetti, rinnovato muri o porte, cucito tende sfilacciate dal gatto, montato da sola una cassettiera... i n u t i l m e n t e, poiché: "TANTO ANDAVA BENE COM'ERA PRIMA". Eh, no! Essere semplice che non hai letto Siddharta e non hai raggiunto l'Illuminazione: non vedi che sposta e muovi, la casa ora è più comoda? Smonta e rimonta, ora è più utile? Svernicia e rivernicia, ora è più bella?
Comunque sia, devo ammettere che fare una piccola pausa tra una mansione e l'altra non mi è del tutto impossibile. Non tanto da riuscire a tuffarmi nella lettura
di un libro senza sentirmi in colpa, comunque. Mi limito a sedermi per qualche minuto... ma non "a vuoto", in maniera improduttiva: lo sanno tutti che in una casa c'è sempre qualcosa da fare! La mia mammina lo diceva sempre: "Non si finisce mai". Quella frase me l'avrà ripetuta milioni di volte, eppure ci ho messo diversi anni, a capirla del tutto. È proprio durante una delle mie pause, che mi dedico agli acquisti online. "Aaah! La signora!", direte voi. Fatemi dire subito che compro su internet con un unico scopo: tenere in piedi il bilancio familiare. Per riuscirci, ho appreso delle elaboratissime tecniche d'acquisto (e di vendita) delle quali parlerò meglio nel capitolo 14. Nonostante i miei progressi e gli indubbi benefici economici derivanti dalla mia attività di compravendita digitale, lo sposo non fa altro che dimostrare una certa diffidenza verso le mie strategie economiche. Ma ciò è normale in quanto egli, acquirente tradizionale, ritiene terziario quanto io giudico primario. A dirla tutta, sono certa che l'intero genere maschile abbia sviluppato, nei confronti delle capacità gestionali della donna, una diffidenza congenita. Vi dimostro l'assunto: una domenica Illo e io giravamo tra le bancarelle di un mercato. A un certo punto, infastidita dalla fretta dimostrata dal consorte nello scivolare frettoloso di fronte alle bancarelle, ho sbottato a voce alta: "Ma vai piano! Temi forse che spenda tremila euro in una bancarella?" Un Uomo che ava di là, si sentì in dovere di rispondere al posto di mio marito, con un sonoro: "Sì!"
Visto che tanto sto a casa, sarà bene che decida in autonomia come organizzare il mio tempo e i miei (nostri) ambienti. Non mi vergogno a dire che la mia abitazione è talmente sottoposta a continue modifiche, da meritare la definizione di Casa Mutante. Nella Casa Mutante, nulla è definitivo. Tutto viene modificato e non si sa mai se
per l'ultima volta. Per non indurvi a credere che io sia una persona instabile, affetta da chissà quali patologie, sarà utile mi spieghi meglio. Partiamo dal presupposto che gli spazi di cui dispongo sono veramente angusti. È per questa ragione che riorganizzarli diventa necessario: innanzitutto, per adattarli alle misure dei giacconi sempre più grandi o alle scarpe dei figli che crescono e, secondariamente, per andare incontro alle mutate esigenze di studio e al diverso criterio di comodità personale. Ormai, anche i nostri amici si sono abituati a questo stato di cose, tant'è che quando li invitiamo a cena s'infilano per le stanze come dei Rambo striscianti nella giungla vietnamita, al fine di scovare per primi i recenti cambiamenti apposti agli ambienti. Per esempio: un radiatore scomodissimo qui, è stato spostato lì. Una porta con l'apertura a destra è stata scalzata e rimontata con l'apertura a sinistra. Un box doccia del tutto superfluo è stato eliminato per lasciar posto a un'ampia scarpiera (che gli arredatori moderni vorrebbero posizionare comodamente nel garage: due piani più giù). Nel gioco del: "Trova le differenze" cui partecipa la compagnia, ho avuto modo di constatare negli uomini un minore entusiasmo. Ciò potrebbe spiegarsi col fatto che probabilmente essi temono la diffusione del mio raptus creativo e che le loro signore, a seguito di contagio, si sentano indotte a modificare i propri spazi abitativi. Ma a te, caro Cucci Cucci che mi dai carta bianca, dico: "Grazie". Grazie per la pazienza che mi dimostri, per adattarti al fatto che le cose cambiano improvvisamente posto (e per non lamentarti dello spazio a tua disposizione sempre più piccolo). Infine, ancora grazie per l'aiuto che occasionalmente puoi offrirmi e per avere l'onestà di ammettere, a conclusione dei lavori: "In effetti, ora è meglio..." (Un Bollino)
Vorrei chiudere la questione tanto sei a casa, precisando che (qualora sia necessario farlo) il tempo a mia disposizione per svolgere le incombenze è sempre insufficiente. Ne consegue che il più delle volte mi ritrovo a fare tutto di fretta. Sarebbe anche bello stendere i panni, stirarli, pulire la casa, svolgere qualsiasi attività entro le mura domestiche... se non fossi costretta a eseguirla alla velocità della luce. Quando mi rendo conto della frenesia con la quale svolgo le faccende, valutato che non esiste un premio per chi arriva prima e che ad agire a quella maniera ci guadagno solo un'inutile ansia, mi impongo di rallentare il ritmo. D'altronde, se non andassi così di fretta, non mi sentirei un'automa e avrei anche il tempo per pensare. A dirla tutta, le mansioni noiose, ripetitive, che chiunque potrebbe fare a occhi chiusi senza essere dotato di particolari abilità, sono davvero tante. Nel far luccicare le suppellettili non ci trovo nulla di creativo, né ritengo indispensabile sterminare ogni acaro dell'appartamento. Preparare dei pranzi elaborati non mi dà molta soddisfazione, visto che dopo averli trangugiati velocemente nessuno avrà memoria di quale sapore avessero. Non giudico primario raggiungere l'Ordine Supremo: impossibile anche solo ambire ad esso, nella mia casa/cantiere dove ci sono sempre lavori in corso. Infatti, è facile che dalle mie parti dei pennelli facciano occhiolino qua e là e che punte di trapano siano lasciate in giro come promemoria. Contenitori con all'interno liquidi utili a dipingere, sverniciare e shabbizzare si confondono tra le amate collezioni di oggetti vintage che invadono la mia casa. Barattoli di vernice si confondono con bottiglie di bibite fuori produzione, accanto a preziosi flaconi di detersivo risalenti al periodo prebellico. Questo è il panorama entro il quale agisco. In genere, monto il cantiere la mattina e lo smonto la sera, proprio per non lasciare tracce che possano perturbare il lavoratore al suo rientro a casa. Nonostante l'impegno, talvolta capita che l'occultamento non riesca e che la sera Egli avverta con leggero fastidio un certo caos diffuso nelle stanze... ma con la
mia verve, la mia simpatia e una coccola maliziosa riesco sempre a farmi perdonare. (Un altro Bollino)
Dopo quanto letto finora, non vi sarà difficile credere che tra queste pagine non troverete una sezione dedicata all'arte culinaria. Non ho alcuna difficoltà ad ammettere di non essere particolarmente attratta da tale attività. È probabile che la mia diffidenza nei confronti de la cuisine si spieghi col fatto che, dopo aver impegnato le mie energie in tante altre mansioni, una volta entrata in cucina queste sono già del tutto esaurite. A sminuire ulteriormente il mio entusiasmo, contribuisce anche la reazione dei parenti, i quali si limitano a fagocitare con ingordigia i pasti senza elargire quasi mai un complimento. Anzi, qualsiasi piatto io abbia preparato, è indubbio che le critiche parentali abbondino; ma in fondo, è risaputo che quanto si propone ai familiari non potrà mai accontentarli all'unanimità. Rimanendo sull'argomento fornelli, non posso esimermi dal dire quanto ritenga divertenti quelle signore che vantano grandi doti culinarie... e poi alla festa di compleanno del loro figlio non sanno fare altro che propinare agli invitati una plasticosa pizza insipida! Altre volte, ho assistito alla presentazione della mitica "torta di caramelle" che altro non è che una struttura colorata in metacrilato o giù di lì, a forma di dolce, riempita con qualche manciata di caramelle. E magari a proporla è proprio chi millantava grandi abilità in cucina... Io invece preferisco tenere un profilo basso, così da non creare aspettative! E per quanto riconosca quanto siano modeste le mie capacità culinarie, alle feste di compleanno dei miei figli ho sempre realizzato delle torte che potrei definire, come si suole dire, sia belle che buone! Così, visto che Conan e IlBarbaro sono nati entrambi in estate, solitamente allestisco la loro festa di compleanno nel parchetto vicino a casa. Da qualche anno a questa parte la procedura è sempre la stessa: occupo con discrezione una porzione del parco, con tanto di tavolo e panchine.
Per segnalare la presenza della festicciola, sono solita appendere sui rami dei nastri con delle bandierine ricavate da ritagli di stoffa colorata e, per i meno interessati al gioco del calcio, allestisco una zona con dei giochi realizzati a mano con diversi materiali riciclati. A conclusione della festa, propongo una delle mie torte originali. Il curriculum è piuttosto ricco e comprende: la Torta Vulcano (con tanto di accensione a mezzo di un razzo nascosto), Torta Bruschetta (lunga 120 cm), Torta Lumaca (raffigurante l'animale prediletto dal primogenito), Torta di Caramelle (una vera torta allo yogurt a forma di caramella, arricchita da bon bon e da decorazioni commestibili che mandano i giovanotti in visibilio).
7. MOGLIE E FIGLI IN VACANZA: God save my home.
Una volta all'anno, come un piccolo stormo di uccelli migratori, i due pargoli e io siamo soliti traslocare allegramente in Sardinia Isle. Non è un caso che nelle prenotazione aeree o dei traghetti, la tariffa dei nativi dell'isola sia definita "emigrant"! L'entusiasmo col quale mi accingo a partire per la vacanza sarebbe totale, se non ci fosse una nube a oscurare il sole sul Golfo di Alghero: il pensiero del marito rimasto da solo nella penisola. Difatti, lasciare la mia casina alla mercé del parente superstite si è dimostrata, anno dopo anno, cosa assai rischiosa! God save my home. Dio salvi la mia casa.
Messi da parte i prevedibili timori eggeri, non mi rimane che concentrarmi sulla vacanza che il coniuge ogni volta, chissà perché, mi esorta a rendere sempre più lunga. "Una volta che andate..." inizia a dire il lavoratore; aggiungendo poi: "che ci state a fare qui che è caldo? Si sa che l'aria di mare fa bene".
Che tenerezza, che zelo! Ma per quale motivo Egli persevera affinché noi tre, la sarda e i figlioli meticci sardo-romagnoli, si godano lo iodio isolano il più a lungo possibile? Sarà per aver modo di rilassarsi meglio dalle fatiche del lavoro, per potersi abbandonare nella sua solita postazione sul divano senza timore di essere disturbato! O forse lo fa per godersi il silenzio di una casa vuota, finalmente libera dai decibel della mia voce impegnata a educare con fermezza i piccoli rissosi...
Oppure, vorrà meditare sul tasso di spread in Italia senza dover subire le interferenze della urla dei due gremlins? Ma cosa si può fare... i nostri figlioli sono bimbi vivaci, giocano tra loro con molta fisicità e le poche volte in cui li ho visti seduti, impegnati a praticare un'attività pacifica, è stato perché avevano lo streptococco! (Lo streptococco: quel dispettoso batterio che, valutati i fastidiosi effetti sul bimbo e sulla mamma costretta a intrattenere il malato a casa per almeno cinque giorni, in tutta confidenza ho deciso di chiamare stronzettococco.)
Dunque, lo sposo/padre si prenderà le ferie per stare con la sua famiglia per un periodo di circa dieci giorni. Ho mai detto che lavoro fa, il mio maritino? È enologo: produce vino per un'importante cantina locale. Che bell'impiego! Non solo per lui, ma anche per me, visto che è merito suo se nel nostro frigo una bottiglia al fresco non manca mai. Tanto, si sa: la felicità va accompagnata da un buon bicchiere di vino! (Un sacco di Bollini) Ho già detto che ogniqualvolta noi tre si decide di partire, il capofamiglia ci incoraggia a trattenerci a lungo in quel paradiso posto tra le onde del Tirreno. Io, d'altra parte, accondiscendo volentieri alla sua sollecitazione, pur di allontanarmi dal caldo umido della Pianura Padana e dalle antipatiche zanzare locali. In Sardegna è tutto più bello, anche quei fastidiosi insetti che dalle nostre parti ancora ronzano e, a dispetto delle mute e vigliacche parenti continentali, col loro rumorino ti mettono in condizioni di spiaccicarle: mors tua, vita mea... non me ne abbiano a male gli animalisti. Come non preferire il clima mite arieggiato dalla brezza del maestrale, al caldo afoso della Romagna! E poi, nel mio domicilio posto in mezzo al mare troverò la mia adorata mamma, il mio silenzioso babbo, le mie indistruttibili tre sorelle. Scherzi a parte, noi tre si parte.
Il continentale ci accompagna all'aeroporto dal quale, improvvisamente scattante e premuroso, ci dice ciao con occhi velati di malinconia, eppure chiaramente asciutti: che fine hanno fatto quelle preziose gocce salate che ci accompagnavano quando, giovani, belli e sessualmente più attivi, ci accomiatavamo davanti al check-in? Le lacrime si sono asciugate, sono sparite, ma dove, in fondo al cesto dei panni sporchi? Ma ormai non c'è tempo per le digressioni: dobbiamo salutarci stretti stretti, scambiarci baci sbagliando gli incroci; mani, manine e manone che si salutano... e poi via!
Alea iacta est. Il dado è tratto. Finalmente si va in villeggiatura! Per modo di dire: con due bimbi piccoli a seguito, parlare di vacanza è un azzardo... ma non stiamo a cercare il pelo nell'uovo. Una cosa è certa: tutte le volte che torno in Sardegna, mi sembra di catapultarmi fuori dal mondo: il Tg è superfluo, i suoceri diventano un benevolo ricordo annebbiato e le affettuose amicizie con le comari rimaste oltremare si riducono a una breve chat su WhatsApp.
Mentre noi tre ci svaghiamo tra seadas con miele, piricchittos, guttiau* e altre biocalorie dai nomi incomprensibili ai non-sardi, il restante componente della famiglia rimasto sulla penisola, temibile bipede implume senza guinzaglio, chissà cosa starà combinando alla mia casina. Ogni tanto mi capita di emergere dalla mia bolla di nulla per pensare a come l'inquilino solitario starà maltrattando il mio nido e, in special modo, quell'ambiente che amo chiamare la mia figlioccia, cioè la cucina. Io adoro il mio cucinotto con le ante in acero sbiancato, le maniglie a scomparsa e fantastiche ante curve in corrispondenza dei due angoli stondati. Tale soluzione, una sorta di cucina a ferro di cavallo, si è rivelata la soluzione ideale per sfruttare al meglio gli angoli che altrimenti non si potrebbero sfruttare al meglio.
Lo spazio in questione è bellissimo, ma rimane comunque un cucinino incastrato a forza in una puffosa villetta a schiera. Noi signore lo sappiamo bene che le cucine ove poter correre con lo skate si trovano solo sulle riviste patinate o in fantomatiche ville dove non ho alcun interesse ad entrare, giusto per evitarmi una sofferenza. In realtà, la Genny Aggiustatutto che è in me e che sarebbe più propensa a impegnare le proprie energie in qualcosa di duraturo, quel cucinino lo smonterebbe volentieri... per allestire al suo posto una fornitissima attrezzaia. Lo farei davvero, piuttosto che dedicare la mia creatività alla composizione di pasti che verranno fagocitati dai parenti ancor prima che sia riuscita a sedermi a tavola... Ma la questione ora è un'altra: ho lasciato la mia figlioccia alla mercé di un bivaccatore affamato e notoriamente poco attento. A tal punto da lasciare traccia di sé ad ogni suo aggio e ditate unte di cibo, ovunque. Se da quelle parti asse il R.I.S. (Reparto Investigazioni Scientifiche), sono certa risalirebbe senza bisogno di luminol alle origini dei composti lasciati ovunque dal parente. Il R.I.S. potrebbe arrivare a trovare anche sconosciute forme di vita aliene, sviluppatesi nella trascurata mistura di avanzi alimentari che il continentale non avrebbe alcuna premura di smaltire.
Così, uno sulle rive dell'Adriatico e gli altri tre sulle coste del Tirreno, per qualche tempo viviamo separati dal mare e non ci rimane altro da fare se non comunicare per telefono. Eppure, mi basta comporre il suo numero ed ecco che... pouff: magia: mi sembra di fare un tuffo nel ato. Ogni telefonata mi riporta indietro nel tempo, al periodo in cui, giovani, innamorati e lontani, trascorrevamo momenti preziosi nelle cabine telefoniche. Quanto cambia è che oggi il traffico da cellulare è illimitato, invece all'epoca ogni minuto di conversazione era prezioso come lo sono le cose da centellinare... nonché costosissimo. Me lo ricordano le decine di schede telefoniche che tutt'oggi conservo in un cassetto, come fossero reliquie d'altri tempi.
Chiamate continentali a parte (la magia è sparita) chissà cosa combina alle mie stanze, il PIS. I bidoni della raccolta differenziata li ho nascosti prima di partire, dopo aver imparato nel corso degli anni che il viveur casalingo li riempiva indifferentemente, a caso, forse travisando sul significato della parola e, una volta tornata a casa, mi toccava svuotarli con la diligenza della buona madre di famiglia. Ho anche occultato una piccola scorta di viveri e dell'acqua, da ritrovare al nostro ritorno. Ciò si è reso necessario in quanto in più occasioni lo Sbadato (aridaje) si dimenticava di fare la spesa in tempo utile per il ritorno di moglie e figli. Per correttezza d'informazione, sarà opportuno riferisca che col are del tempo, il vacanziere stanziale ha saputo rimediare alle sue dimenticanze con abbondanti "spese riparatrici". Dopo giorni di accampamento incontrollato, l'hippy ha addirittura preso l'abitudine di rassettare casa, al fine di darle una parvenza di puli... no, ordinato. I miracoli della lontananza? (Un Bollino scarso)
Voglio andare ad Alghero! Che bello, lì ci sono tante cose da fare e da vedere, il clima è sempre splendido, troverò amici e famiglia ad aspettarmi! Sinceramente, a volte mi chiedo se la cosa più bella della vacanza nell'isola sia raccontare agli amici di andare in Sardegna. Perché mi diverte tanto, assistere alla benevola invidia che provano i continentali nel sapere che noi tre/quattro si parte per raggiungere quell'eden in mezzo al blu. Ma gli amici ignorano che, nascosto dall'entusiasmo per la partenza, ogni anno
affiora in me il dilemma dell'emigrante. Chi si è trasferito da tempo in un altro paese sa cosa intendo e quali dubbi, quali domande possano assalire chi, come me, è andato via dalla propria terra natia. Dov'è la mia casa? È dove sono nata e cresciuta fino a ventisei anni, dove ho studiato, dove ho costruito i miei primi ricordi e avvertito il mio primo batticuore? Oppure, la mia casa è lontana dall'isola e si trova nella terraferma, laddove ai ricordi della mia prima fase dell'esistenza ho sovrapposto le esperienze di una donna adulta, come fossero mattoncini di costruzioni di marche diverse? Chissà se casa è dove c'è la famiglia che ho creata con mio marito. Volando in aereo da est a ovest dell'Italia, non mi è ancora chiaro dove è un lasciare, e dove un arrivare.
E io, chi sono? Sono quella ragazza spensierata che in quell'altra vita usciva in bicicletta e respirava il profumo della salsedine del mare che il vento portava fino a casa, o sono la donna che oggi gioisce e patisce nell'amore verso i propri figli e il proprio marito, mentre cerca un raggio di sole tra la nebbia di un cielo che imbrunisce troppo presto? È da diciassette anni che educo i miei occhi a sostituire la campitura blu del mare alla quale ero abituata, col verde della pianura che mi circonda. Ancora oggi mi capita di sentire la mancanza di quel dispettoso maestrale che sembrava capace di perseguitarmi per giorni, per poi regalarmi forza ed energia. Per ventisei anni ho guardato le onde entro il golfo della mia città, chiuso dal promontorio del Gigante Addormentato. Dopo tanti anni, ancora non mi sono abituata al mare dell'Adriatico, aperto senza confini a destra e a sinistra come una prateria d'acqua, e col sole che sorge al contrario.
"Che bello, sei in Sardegna!" Esclama il coro entusiasta dal versante Adriatico. "Che fatica", penso io, riprendere i rapporti con le mie sorelle cercando di non creare screzi o dissidi. Perché la lontananza allontana, è facile. Poi c'è mio padre, Lu professo', lo chiamano. Lui, che fin da quando eravamo piccole, è stato piuttosto assente... e oggi, purtroppo, lo è ancor di più. E finalmente, la mia mamma: più bella di un tramonto sul mare, più buona di un piatto di aragoste, più simpatica di Pino e gli Anticorpi. Anche lei, è cambiata. La vita per lei è stata come una matrioska piena di sofferenze e delusioni che le ha forgiato il carattere, le ha sbiadito il sorriso ma allo stesso tempo le ha regalato ancora più forza che l'aiutasse a difendersi dalle aggressioni che la quotidianità le ha proposto. Oggi, il biancore che s'intravede tra i nostri capelli ci ha reso persone differenti, in modi che ignoriamo e che potrebbero rivelarsi rischiosi, qualora intaccassero un rapporto che entrambe vorremo mantenere sereno. Per fortuna, se ci sfuggisse un occasionale vaiaquelpaese, questo avrebbe effetti poco duraturi e un abbraccio lo cancellerebbe facilmente.
Tornare ad Alghero, inevitabilmente, mi porta a fare i conti col mio ato. Gironzolare per le strade che di volta in volta mutano l'aspetto, mi fa riflettere sulla mia condizione di emigrata; mi riporta alla mente certe esperienze che nella vita di tutti i giorni si tende ad accantonare, per quanto il loro ricordo rimanga nascosto da qualche parte a coprirsi di polvere. Così, ripenso a quand'ero in dolce attesa e nel guardare le altre donne gravide andare a so in compagnia delle loro madri, pensavo che anch'io avrei voluto avere vicina la mia.
In momenti come quelli, sentivo emergere un celato senso di solitudine col quale non sapevo coscientemente di convivere. Sapevo solo che mia madre era lontana e non potevo condividere con lei i momenti più importanti della mia vita. Tutt'oggi, mi sembra ancora di avvertire questa sorta di "sradicamento", sia che mi trovi ad Alghero che nella città in cui vivo ove talvolta eggio e mi rendo conto di non riconoscere alcun volto tra la folla. Oppure, quando arriva Novembre. Si è soliti dire che sia un mese triste; per me non lo è, se penso ai colori che sa regalarci... ma lo diventa quando mi accorgo di non poter deporre alcun fiore sulla lapide di un parente. Per quanto in ato sia spesso andata al cimitero per senso del dovere o per tradizione, credetemi... essere impossibilitati a farlo è tutta un'altra storia. Così, al cimitero di Alghero ci vado ad Agosto! Anzi... andiamo: i miei figli e io. Con più motivazione, stavolta. Ci andiamo in bicicletta, mettendo nel cestino qualche fiore per i miei cari: per mio zio, del quale mio figlio porta il nome, per i nonni e per un caro amico di gioventù che vivendo troppo poco ha dato a sua madre il più grande dispiacere che le potesse capitare. E mentre con acqua e stracci puliamo il marmo dagli aghi dei cipressi come se fosse un gioco, racconto ai miei ragazzi le storie di chi non c'è più... e che la morte fa parte della vita.
Chissà quanto è rimasto della ragazza spensierata e sorridente che ero, in questa donna alla quale la maturità ha imposto tanti doveri. Sono certa che in me sia sopravvissuto quel carattere che mi piace definire granitoso, tipico dei sardi, unito a una indomita schiettezza smussata dal tempo e dalle maniere più composte di una cittadina di provincia. Ma di questi pensieri alla fine della vacanza non rimane quasi nulla, se non un piccolo luccichio sulla guancia che non è mai scivolato via a bagnare i saluti scarabocchiati su una cartolina.
Potrei chiudere così, invece preferisco riferirvi che nella mia cittadina sopravvive ancora un'usanza ormai divenuta rara: se vi capita di incontrare dei muratori al lavoro e di suscitare il loro apprezzamento, state certe che ve lo dimostreranno fischiandovi dietro con sincero entusiasmo. Cose che in continente non si usa più fare... che peccato.
[1] Seadas: dolce fritto a base di sfoglia e formaggio. Piricchittos: dolci rotondi con glassa di zucchero. Guttiau: versione condita con olio e sale del carasau, la sfoglia di pane croccante senza lievito.
8. NE RIMARRA' SOLO UNO?
Chissà se sono tutti così, i mariti. Come il mio, intendo. Cioè... poco collaborativo, poco efficiente, poco ordinato. Poco dinamico, ma solo per colpa del lavoro, probabilmente. Quasi quasi, la prossima estate organizzo una vacanza in Svizzera e ne approfitto per consegnare lo svigorito consorte al CERN, così gli accelerano le particelle. A tutte queste doti si aggiunga lo scarso interesse per la conversazione. A tal proposito sono arrivata a sospettare che, quando si sente particolarmente stanco, l'emule di Garfield abbia escogitato apposta una tecnica atta ad inibire il dialogo. Difatti, a ogni domanda che gli si rivolga, a partire da: "Che ora è?" a: "Cosa ne pensi della guerra in Afganistan?" il burbero, perso nella gravità dei suoi pensieri, è solito mugugnare un prevedibile: "Eh? Come?" Si sappia che questa sua ritrosia alla conversazione prende corpo dal lunedì al venerdì. Che sia ancora tutta colpa del lavoro? SE così fosse, mi verrebbe da credere che in cantina gli facciano svuotare giornalmente una cisterna di vino con una tazzina bucata. Soltanto durante il fine settimana egli darà finalmente dimostrazione di maggior vivacità. La moglie comprensiva, comprende... e attende i giorni festivi per assistere al suo exploit di energia.
Mi vien da chiedermi se solo lui sia così, oppure se esistano uomini più o meno affaticati. Ebbene, sì: e ve ne darò le prove riferendovi questo episodio accaduto tempo fa a casa di amici dei quali eravamo ospiti a cena. Dopo aver consumato il pasto, ho potuto assistere a una scena alla quale non
sono abituata. Il padrone di casa si è alzato da tavola, ha portato via i piatti e ha iniziato a caricare la lavastoviglie. (L'azione merita il grassetto in quanto trattasi di cosa eccezionale.) Per tutelare la privacy del nostro amico e per premiare l'azione da egli commessa, lo chiameremo Callisto (cioè, bellissimo). Orbene, Callisto non solo ha posto diligentemente i piatti nell'elettrodomestico, ma addirittura lo ha fatto con l'espressione serena di chi per eseguire il compito non ha subito minacce da parte di alcuno (ergo, la consorte). Perlopiù, non trasbordava parolacce, né roteava gli occhi al cielo come è solito fare chi, anziché svolgere un'attività così semplice, sembra impegnato a smontare il Colosseo. Mattone dopo mattone. Scettica e sospettosa, mi sono rivolta all'efficiente marito per chiedergli se svolgesse tale mansione perché obbligato dalla moglie. La risposta di Callisto è stata negativa: con fare tranquillo mi ha risposto che no, lo faceva (di sua sponte!) per aiutare la sua signora nei lavori domestici. Orbene, gentili lettrici: potete vedere da voi che il Marito Utile esiste. Che invidia! La stessa che provo quando sfogliando un giornale mi compaiono quelle pubblicità con certe cabine armadio grandi come un soggiorno (e mi viene in mente la mia casa nella quale la scarpiera ha trovato posto dietro a una porta nel corridoio).
Come se assistere alla comprova dell'esistenza di un Marito Utile non bastasse, mi ritrovo a pensare alle ripetute richieste d'aiuto alle quali Illo non risponde mica come Garibaldi a Teano: "Obbedisco", ma piuttosto: "Lo faccio dopo, va bene?" Alzi la mano chi tra Voi signore ci crede, che quel Dopo non si trasformerà in Mai.
In alternativa, Egli sarà capace di illustrarmi l'inutilità di mettere a posto, biascicando sempre la medesima, inequivocabile sentenza: "Lascia lì, ci penseremo". Orbene: 1. o in casa nostra vaga lo spirito di Houdini che ci pensa lui, a mettere tutto a posto; 2. o il significato di: "Ci penseremo" equivale a pensarci e basta, mica fare; 3. o la dizione: "Ci penseremo" (prima persona plurale del verbo pensare) è impiegata erroneamente e va sostituita con: "Ci penserai" (seconda persona singolare del verbo arrangiati).
Dunque: il marito della vicina è sempre più verde. E io, invece... cosa posso dire? Io... ho sposato un creativo. Non saprei come definire altrimenti il coniuge che in più occasioni dà manifestazione di sé in maniera... come dire... originale. Qui urge l'esempio, pertanto vi parlerò di come egli gestisce la propria scarpiera. Sappiate che di fronte al mobile in questione, sopratutto se lo visualizzo nella mente come sto facendo ora... io mi arrendo. Anzi, di più: mi annichilisco. È la prima volta in vita mia che utilizzo questo termine, fatemelo dire. Ciò potrebbe spiegarsi col fatto che nella stesura di un libro può capitare di ricorrere a termini più "composti" che nella quotidianità non si utilizzano. Oppure, probabilmente, in questo caso definirmi annichilita corrisponde davvero al mio stato d'animo. In merito alla sua scarpiera, il problema sta nel fatto che Egli dopo essersi sfilati gli accessori non li ripone nel suddetto mobile, ma li lascia sparsi, spaiati, abbandonati nei pressi della stessa, come tessere di un domino esploso.
Focalizzate la scena e se potete, illuminatemi Voi sul perché di questa azione da Egli perpetrata negli anni, nonostante le mie accorate lamentele. Ormai anche i nostri figli sono arrivati a chiedermi come mai il loro babbo dissemini le scarpe in giro, come fossero semi di prezzemolo nell'orto degli anziani. Io, che non so dare loro una risposta credibile, rimango sul vago come quando capita che mi facciano domande sul sesso in un momento poco opportuno. Ho bisogno di tempo, ecco. Vorrei completare l'informazione precisando che Illo ha collocata di fronte alla scarpiera una sedia sulla quale potrebbe accomodarsi, sfilarsi le calzature e poi riporle nel relativo suppellettile; potrebbe fare il tutto senza avere neppure la necessità di aprirne un'anta, essendo dotato di ripiani a vista. Macché: sono anni che il testardo abbandona gli accessori incriminati lì, per terra, un paio dopo l'altro, a farsi compagnia sul pavimento, per formare un colorato campionario en plein air. Di fronte a questo panorama non posso non abbandonarmi a una breve riflessione: non mi occuperò mai di ingegneria aerospaziale né di nessun'altra attività intellettivamente elevata... mi ritengo una persona semplice. Ciò non toglie che debba sprecare il mio tempo per cercare di capire il motivo per cui il soggetto in questione si ostini a togliersi le scarpe e a non riporle diligentemente sui ripiani predisposti. In fondo, compiere un tale gesto rientra tra le azioni automatiche che l'uomo ha imparato a fare senza sforzo, un po' come quando si apre un cassetto e poi lo si richiude. Facile, no? Non ci si deve pensare: lo si fa, e basta. Invece, no: quotidianamente, il Fiacco pare impossibilitato a denudarsi i piedi e a prolungare il movimento dell'arto superiore di altri trenta/quaranta centimetri per riporre le scarpe nella loro giusta collocazione, lì, sotto al suo naso, nella scarpiera... accogliente e silenziosa come dovrebbe essere una donna ideale. Non c'è niente da fare: il recalcitrante saprà eludere le avance della femme fatale e senza degnarla di un'occhiata, mancato Cenerentola al ballo, smarrirà i suoi calzari nella stanza, ovunque capitino. Come può essere? Dopo aver letto diverse teorie sull'intelligenza maschile e femminile, sulle attitudini e sulle predisposizioni intellettuali legate ai sessi, bisogna che mi ragguagli anche sulle inettitudini legate al proprio cromosoma.
Potrei ridimensionare la questione ammettendo che la SUA scarpiera si trova nel garage, poco male, pertanto lo spettacolo mi si presenta occasionalmente. Ma il garage è anche il MIO laboratorio, dove elaboro, smonto, invento, e sapeste che turbamento mi creano quelle scarpe sparse per terra come un gregge disperso, a intralciare il mio percorso proprio quando sono avvinta dall'impeto della creazione. O quando mi capita di incespicare in quelle trappole disseminate sul pavimento, oltraggioso ostacolo tra l'artista che è in me e il bancone da lavoro. In quei momenti non mi rimane che abbracciare con lo sguardo il parcheggio non autorizzato di scarpe per ragionare sul da farsi: metto tutto a posto, come una educata geisha dagli occhi troppo grandi? Oppure, provo a far sparire gli accessori come fossi Jenny della sitcom Strega per Amore? Potrei riuscirci facendo come fa lei, con un cenno della testa e mantenendo le braccia incrociate in alto sul petto. Come altra ipotesi, potrei rimanere in stand-by tutto il giorno, attendere che lo sbadato torni dal lavoro per poi impanarlo per bene di rimproveri. Tanto, anch'io la sera sono piuttosto stanca e potrei riuscire a dare il meglio di me in una vivace scenetta isterica. Eh no, io non sono nata per fare questo. È vero che non farò mai l'ingegnere aerospaziale come detto prima, ma non ho neppure voglia di annoiare sia me che un adulto più grosso di me con lagnose rimostranze (seppur meritate). Non ci sto, a sostenere il ruolo di moglie stressante che addirittura, alla fine della fiera, per il maschio è comunque LEI che rompe, mica LUI che disordina (voce del verbo disordinare). E mentre sono lì a riflettere sulla questione con l'unico scopo di risolverla definitivamente, mi distraggo pensando a quanto Illo sia buono e generoso, al suo sorriso sincero. Alla gioia di rivederlo la sera quando torna a casa, e in tre lo assaliamo festosi sulla porta. Ragiono sul fatto che questo PIS oggi lo risposerei di nuovo... e già barcollo. ALT! Non cedere, Anto!
Ricordati dei consorti delle tue amiche che (pare) arrivino addirittura a pulire il bagno e a are l'aspirapolvere! Tieni a mente quel genere di mariti, torna coi piedi per terra e ragiona su come tentare di civilizzare il tuo Bruto. Intanto, mentre penso a questo e a quello, sono ancora qui nel garage, in attesa di usare la sega circolare. Ma com'è che i maschi fanno o non fanno senza mai darsi alcuna motivazione sul loro operato e invece noi femmine gli andiamo dietro, rimuginando sulla ragione per cui essi fanno o non fanno? D avanti a me c'è il pavimento apparecchiato di scarpe... cosa faccio? Ho deciso: le raccolgo... e gliele nascondo. Guardate cosa mi tocca inventare, affinché lo sbadato memorizzi (più che con un'ennesima ramanzina, noiosa per entrambi), che le scarpe vanno riposte sui ripiani, senza il rischio che gli si formi dell'acido lattico nel bicipite. Fatto: occultate. Eppure, l'azione non riesce a darmi minimamente il divertimento che provavo quando giocavo a nascondino da bambina. Spero solo che lui associ la misteriosa e fastidiosa assenza delle scarpe alla sua negligenza e che arrivi a educarsi all'ordine. Non ho alcuna intenzione di inseguire i maschi di questa casa, o dopo o, come farebbe Pollicino dietro alle briciole. Qui serve collaborazione! Bisogna lui smetta una volta per tutte di propormi queste installazioni di scarpe che meriterebbero di essere collocate al MoMA di New York, a fianco alle opere di Magritte o di Dalì. Oh, come vorrei che le scarpe venissero esposte nel Museo americano, piuttosto che nel mio garage!
Ora, per quanto egli si senta affaticato dal lavoro, per quanto sia geneticamente distratto e inconsciamente colpevole di azioni inconsulte fatte sovrappensiero, devo ammettere che l'uomo di casa, toh! sa trasformarsi in un padre vivace, attento e ricco d'iniziativa.
Pare esistano davvero, delle attività capaci di risvegliarne l'entusiasmo e le energie ovattate dai cuscini del divano! Come, per esempio, portare i figli al parco per giocare a pallone, oppure allo stadio per vedere una partita o a fare una eggiata in bicicletta. Come non omaggiarlo di un Bollino per essere un padre sportivo e disponibile al gioco? Alla consegna del meritato premio, unisco i miei elogi per essersi dimostrato in più occasioni un abile cuoco. Suvvia, diamo a Cesare quel che è di Cesare: non posso non ammettere quanto Egli sia bravo in cucina, all'occorrenza. In più occasioni ha saputo sfoggiare dei piatti elaborati e gustosi, frutto di impegno, ricerca e lavoro! Certo, ciò accade di rado, perlopiù quando abbiamo ospiti in casa. Beato il cuoco occasionale che può permettersi di allestire un pasto solo quando ispirato! Fortunato lui, al quale non tocca cucinare volente o nolente, come spetta a noi predestinate, sia che noi si abbia la febbre, le unghie incarnite o totale assenza di motivazione. E lo dobbiamo fare due volte al giorno, circa seicento volte all'anno... Ma lo facciamo volentieri. Tanto, siamo a casa.
9. CASALINGA A CHI?
Affinché il mio dolce doppio abbia sempre a mente il ruolo assunto dalla propria moglie, vicino alla sua postazione pc ho posto in vedetta una cornice con la foto del mio viso in primo piano. Ho scelto con cura l'immagine affinché lo sguardo, serio e intenso, risultasse rivolto all'osservatore. Sulla cornice ho affisso un postit a forma di fumetto con su scritto: "Io vedo, prevedo, provvedo". Così, come sobrio monito.
Perché sia chiaro a tutti: la casalinga è una donna coraggiosa. Lo è sempre, in qualsiasi circostanza. Se vede una macchia di sangue su un golfino, la pulisce subito senza alcuna paura, senza batter ciglio e senza lasciare aloni . È il controllore dell'universo (il suo), colei che coordina, gestisce, provvede. Tra un evento e l'altro, la paladina deterge, cucina, amministra l'economia familiare e partorisce. Con, o senza laurea. Fa come può, ma si impegna sempre al massimo, la casalinga.
Per quanto voglia riferire alla massaia grandi doti come il coraggio, l'autonomia e l'impegno, ebbene, quando costei diventa madre... subisce una ineluttabile mutazione. Tutto in lei è destinato al cambiamento: il livello di sensibilità cresce oltre ogni limite massimo, unitamente alla capacità di sopportazione della fatica, dello stress, della fame, dei vagiti, delle lamentele dei conviventi. Anche la vescica si adatta alla metamorfosi cui il suo corpo è soggetto, arrivando a effettuare rari svuotamenti giornalieri che possono avvenire nelle più disparate condizioni, prime fra tutte quando si ha un neonato in braccio o col sottofondo musicale dei pargoli urlanti che pestano fuori dalla porta del bagno per entrare.
Rossetto impeccabile, aperitivi, tacchi alti e risvegli a tarda mattinata si trasferiscono nella dimensione temporale del Prima e l'Adesso si aggiorna drasticamente trasformando la donna che era in una creatura diversa. E quando lei, in assenza di testimoni, si abbandonerà a occasionali, sani e liberatori singhiozzamenti, si abbia la cortesia di lasciarla fare. Ella saprà riprendersi molto presto, riuscendo a sorridere come se nulla fosse accaduto.
Avvenuta la mutazione, è facile che una madre si commuova per la struggente storia di "Up" o che rida più di tutti guardando un cartone animato. Si applica in qualsiasi cosa faccia; è un distributore d'amore e di pazienza e per lei la famiglia viene prima di tutto. Una madre, che sia casalinga o no, si circonda di foto di famiglia portandole con sé nel portafoglio o distribuendole sui mobili con la stessa cura che si ha per una reliquia. Sarà sempre lei l'artefice dei video o la fotografa degli scatti migliori, (pertanto lascerà di sé pochissime tracce nella storia). Saranno invece affidate ai posteri le molteplici immagini di bimbi urlanti (e mancanti di pezzi di corpo perché poco interessati alla posa), affiancati da padri svogliati i cui sguardi sono rivolti verso il bar più vicino. Le vere donne/madri/casalinghe sanno sopportare la fame fino a quando non verrà concesso loro di trangugiare qualcosa in un attimo di pace. Arriveranno a cedere la loro porzione di cibo ai figli ingordi, dimenticandosi completamente del tempo in cui, in quell'altra vita, si contendevano con disperazione una porzione di cibo coi propri fratelli/sorelle, come se fosse l'ultimo tozzo di pane sulla Terra.
Nonostante la mutazione post-gravidanza, le qualità che rendono forti le madri non si volatizzano, né si assopiscono! Similmente, l'amore verso i figli, la dedizione per la famiglia e il senso della pulizia non riusciranno a intorbidire il profondo senso del coraggio che è in loro innato. E tutto ciò vale anche per la sottoscritta. Ebbi modo di verificarlo quando anni addietro il mio piccolo di cinque anni si fece cadere sulla testa una pesante conchiglia. L'oggetto, grande quanto un
melone, presentava diverse punte acuminate che lo ferirono alla tempia. Son sincera: alla vista del sangue avrei voluto correre per la stanza con le braccia levate al cielo. Invece, non so come, riuscii a mantenere la calma. Misi da parte spavento e agitazione e accolsi il ferito tra le braccia per coccolarlo; nel frattempo, valutavo la gravità del taglio per poterlo poi curare in maniera appropriata. La fortuna volle che si fe solo una lieve lesione che fu sufficiente disinfettare e proteggere con un cerotto. Lo rassicurai con qualche carezza e, memore di una mia esperienza vissuta quand'ero bambina, evitai di porgli troppe domande sull'accaduto. In quell'occasione mi ferii a un piede; a me andò peggio, visto che fu necessario apporre tre punti di sutura. Ancora oggi ricordo lo strazio provocato non solo dalla cucitura del taglio con ago e filo, ma anche dalle molteplici domande che il medico mi porgeva. La sua pareva un'interrogazione alla cattedra che ritenevo del tutto fuori luogo, considerato che stavo soffrendo le pene dell'inferno. Dovetti diventare adulta per comprendere le reali intenzioni del dottore: lo faceva per distrarmi. Comunque sia, al figlioletto piangente non feci domande. Non gli dissi neanche: "Non è nulla, su dai", o altre cose insensate che nessuno vorrebbe sentirsi dire quando si soffre (qualsiasi età si abbia). Mentre cercavo di dare il meglio di me affinché mio figlio superasse una situazione difficile nella maniera meno traumatica, mi sono ritrovata a gestire l'agitazione del padre, assai più sconvolto di me. Come avrei voluto che riuscisse a mantenere il sangue freddo, anziché enfatizzare l'accaduto, contribuendo col suo comportamento ad aumentare lo stato d'agitazione del momento! ata l'emergenza, ho ritenuto doveroso far presente all'uomo di casa che una maggiore collaborazione sarebbe stata più opportuna. Lo spaventato, capisco che lo fosse, ha riconosciuto il suo eccesso di emotività e un'abbracciatona consolatoria ha portato via i malumori.
Una volta ristabilita la calma, sono andata a conservare la conchiglia in una postazione meno accessibile al piccolo e, visto che c'ero, per sciogliere la tensione mi sono abbandonata a un sacrosanto pianto ristoratore.
Le madri (casalinghe?) sono così: coraggiose e affettuose, severe e gentili, giocose e autoritarie; un condensato di qualità opposte da impegnare opportunamente nelle diverse situazioni che la quotidianità richiede. Anche in questo, delle abili factotum.
Tirando le somme, oggi potrei dire che il modo in cui faccio (e non dico sono) casalinga mi ha indotto a trovare il giusto equilibrio. L'iniziale disagio suscitato dalla mia condizione di disoccupata e la consapevolezza di non essere più indipendente sotto l'aspetto economico, ormai fanno parte del ato: ci sono troppe cose da fare per perder tempo a pensarci! Quando ripenso al periodo nel quale i bimbi frequentavano l'asilo e facevano rientro a casa nel pomeriggio (che bei tempi), mi tornano in mente le divertenti considerazioni che mi venivano rivolte, secondo le quali nella felice situazione in cui mi trovavo (casalinga coi figli a scuola)... avrei avuto il tempo di riposarmi. Io, riposarmi? Con tutto quello che c'è da fare in casa? E poi, proprio non so cosa significhi stare ferma a non far nulla. Se sto seduta, penso. E quando una donna ha qualcosa per la testa, potete star certe che quei pensieri si tradurranno in azione. Sta pianificando, ecco, come un ingegnere che prima progetta e poi realizza... e il paragone non è sovradimensionato. Ve lo dimostro con un esempio: anni fa ho ato ogni giorno delle mie vacanze al mare pensando a come ristrutturare il bagno buono dell'appartamento che chiamavo La Macelleria, per via delle mattonelle lucide che ne rivestivano le pareti fino al soffitto. Meno male che il bagno era dotato di una vasca... incastrata a forza in una stanza troppo piccola per contenerla!
Con l'aiuto di internet, di una matita e di qualche foglio da schizzo, ho iniziato a progettare il restyling del quale necessitava la mia macelleria. Mi sono improvvisata ingegnere che progetta e, una volta tornata a casa, ho iniziato i lavori. Ho riunito le forze e oltre che ingegnere, mi sono nominata muratore. Per risparmiare sui costi, ho contribuito smantellando parte del rivestimento, ristuccando la parete con un effetto spatolato, imbiancando le pareti e così via. Al piastrellista e all'idraulico ho lasciato i relativi compiti che (per ora?) non sono in grado di svolgere. Per quanto mi riguarda, stare in casa ha anche dei privilegi, non lo nego, ma nel rispetto del capofamiglia che lavora tutto il giorno fuori casa per sostenere economicamente la famiglia, cerco di impiegare il mio tempo nel miglior modo possibile. Non amo girovagare in maniera infruttuosa per centri commerciali, né faccio acquisti superflui (comprare su internet educa molto all'acquisto prudente/intelligente). Non perdo tempo sui social network, né mi diletto a giocare per ore nei vari "Pet, Candy, Farm Saga". Mi reputo una "casalinga responsabile" (scritto tra virgolette e col sorriso sulle labbra), che tra un impegno e l'altro cerca di ritagliarsi dei momenti di soddisfazione personale con qualche utilissimo hobby. Chissà se questo resoconto un po' approssimativo della mia quotidianità risulti credibile agli occhi delle lavoratrici stipendiate. Lo dico poiché mi capita spesso di intuire, da parte di queste ultime, una sorta di sfiducia o di sospetto, nei confronti di noi donne di casa. Come se alle casalinghe, in fondo, sia riservato il privilegio di faticare meno delle signore retribuite. La stesura di questo libro potrebbe essere la risposta ai loro dubbi: "Ecco, vedi, ha pure il tempo di scrivere un libro!" Lascio le lavoratrici ai loro divertenti quesiti; è giusto che ognuno abbia le proprie convinzioni... e io di certo non tenterò di scardinarle. Fatemi dire, in merito alla storia di questo Diario di Bordo, come mi piace
chiamarlo, che è un condensato di aneddoti messi da parte in un cassetto, anno dopo anno. Finché un bel giorno ho deciso di aprire il cassetto per ricomporre i ricordi. Per metterli assieme ci sarebbe voluto molto tempo, e allora perché non farlo la sera, rinunciando a guardare un programma inutile alla tv? Oppure mentre si stira: tra una maglia e una camicia non è impossibile buttare giù l'idea per un capitolo. In fondo, lo scritto in questione non è un trattato di fisica quantistica.
Ma torniamo alla mia vita entro le mura domestiche. Dopo aver convissuto per anni con dei maschi dei quali potrei aver intuito certi aggi mentali, mi verrebbe comunque da pormi un quesito: con tutto quello che faccio, è proprio impossibile avere un po' del loro riconoscimento? Sì, certo, lo scopo del mio lavoro non è certo quello di ottenere come paga un grazie corale, né delle ovazioni! Semplicemente, vorrei che qualsiasi cosa faccia non venga considerata "scontata", né ricevere sempre come risposta al mio operato delle prevedibili lamentele. Piuttosto... si può avere uno zuccherino, ogni tanto, o un generico grazie? -Se porto i bimbi al parco per due ore, non sono mai contenti e vorrebbero starci tre ore; -Se sfoggio una teglia di pennette al forno con funghi e bechamel, mi sento dire che sarebbe stato meglio che non ci fosse il burro. -Ho avuto la brillante idea di far compilare l'ISEE al commercialista e abbiamo risparmiato duecento euro sulla TASI. Non c'è niente da fare: "Tanto sei a casa..." mi ricorda l'irriconoscente. Forse dovrei ricordare a quei tre che non è mia abitudine, tra una pulizia e l'altra, accomodarmi sul noto divano per degustare un calice di Sassicaia col sottofondo di musica new age.
Cosa devo fare per un sentito: "Grazie-mamma", "Grazie-Anto?"
Quella deliziosa parolina non può essere un miraggio per chi si occupa dell'educazione dei propri figli, per chi cura la casa e ha un marito a carico! Né può essere elargito una tantum, da dispensare una volta nella vita (non sia mai che poi ci si prenda gusto). Non si tratta di ottenere gratitudine a tutti i costi, ma di educare i membri della famiglia all'entusiasmo, piuttosto che alla critica facile. Costruire è più difficile che disfare, e a smontare siamo bravi tutti! (Chi ha orecchie per intendere... intenda.) Proprio per incoraggiare i miei figli alla "riconoscenza", intesa come atteggiamento positivo nei confronti di chi si impegna in qualcosa, ogni tanto li coinvolgo in un giochino. Si va tutti in vacanza? "Adesso facciamo un applauso al babbino che ha organizzato questa bella gita!", dico a voce alta, facendo partire un applauso generale. O forse, per ricevere qualche ringraziamento dai miei figli devo aspettare che diventino maggiorenni? (Non basta...) Che si sposino? (Non ci siamo ancora...) Che diventino padri? Sììì! Credo che solo allora, potranno capire quanto i loro genitori si siano impegnati nel crescerli, come meglio potevano. Ma tutto ciò lo intenderanno... giusto un pochino. Lo dico perché sospetto che ai maschi, una volta diventati genitori, saranno risparmiate la metà delle incombenze e delle fatiche che spetteranno alla genitrice femmina. Quanto appena detto vale anche per me, che ho iniziato a nutrire una certa riconoscenza per mia madre soltanto dopo esserlo diventata a mia volta. L'ho capito soltanto dopo aver messo al mondo i miei due maschietti, quanto lei abbia patito con me e per me. Solo allora, ho saputo dare il giusto peso ai sacrifici compiuti per ogni sua figlia e ho capito quanto ogni suo gesto fosse dettato dall'amore. Però, che cosa significhi crescere quattro ragazze com'è stato per lei... non oso
neppure immaginarlo. Ripensando alla mia infanzia, uno dei ricordi più belli risale a quando le chiedevo all'ora di pranzo: "Ma', apparecchio?" Ma', apparecchio. Lo capisco solo adesso, quanto fosse bella, serena e spensierata quella frase pronunciata dall'adolescente che ero. Una ragazza che studiava, andava in bicicletta, lavoricchiava per mantenersi agli studi... e lasciava che le fatiche spettassero a colei che cucinava. Io dovevo solo preparare la tavola, mentre la dolce mamma (dolce solamente quando non inseguiva le mie sorelle e me col battipanni), portava in tavola delle ottime pietanze fatte con cura, abilità e amore. Chissà perché all'epoca ero solita criticare il suo menù. Ah, già, perché ero figlia! Lei di certo non faceva come me, che troppo spesso seguo le ricette dal libro: "Dal congelatore al microonde in un click". Ma si sa, quelli di mia madre erano altri tempi.
10. MEGLIO PRIMA CHE DOPO.
...nel senso che ogni marito è sempre meglio prima del matrimonio, che dopo. Andiamo allora a dare un'occhiata a queste due fasi e a cos'è successo al maritoparte 1°.
In quell'altra vita da single, il mio pre-Illo era tanto bello. Ci siamo conosciuti quando eravamo poco più che ventenni: belli, sodi e sorridenti. In merito al nostro incontro, mi piacerebbe tanto raccontarvi che è stata una conoscenza di carattere intellettuale, avvenuta durante un convegno scientifico.
In realtà, ci siamo conosciuti in una spiaggia di Alghero, in Agosto, in vacanza. Lui era un turista e io un'aborigena. Banale? No, bellissimo: fu per entrambi un colpo di fulmine (come avremo scoperto dopo). Lui non solo mi apparve bello come il sole, ma anche muscoloso, come fresco di palestra... anzi, meglio! Era un lanciatore di giavellotto, come mi spiegò in seguito col suo adorabile accento romagnolo. Quella volta in spiaggia, ebbi occhi solo per lui, l'unico tra mille... anzi: l'unico tra i dieci della sua compagnia. Mi innamorai di tutto, all inclusive: era laureato, intelligente, amorevole, generoso, premuroso, intraprendente, instancabile. A quell'età si era l'uno e l'altra dotati delle qualità che la natura fornisce alla specie umana in quella fase della vita: entusiasmo, spensieratezza, gioia di vivere e vigoria che miracolosamente non calavano al tramonto, come accade
ora, ma anzi si rafforzavano. Le energie di allora ci permettevano di cenare alle nove di sera e di andare a ballare anche alle due di notte. Oggi invece, chiunque abbia la fede al dito e ato la soglia dei quarant'anni, sa bene che la natura vuole che le forze sfumino col ar del tempo. Proprio come accade alla vernaccia* quando viene lasciata in una bottiglia senza tappo. Ma a calare sono solo le energie destinate a praticare attività di personale interesse come: sport, lettura, uscite in compagnia e qualsiasi hobby richieda tempo per essere imparato, assimilato, realizzato. A questi svaghi aggiungo la cuisine, che presumo possa essere piacevole soltanto se non si è obbligate a cibare i parenti affamati tre o quattro volte al giorno, tra un impegno e l'altro. Sappiate che quelle forze non si nebulizzano affatto; avrete studiato anche voi che: nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Proprio come il marito. Difatti, quelle energie non si smaterializzano cessando di esistere, ma escono dalla porta per poi rientrare dalla finestra. Tant'è che, una volta sposati, quel vigore prima destinato alle attività di svago viene convogliato nell'espletamento delle mansioni da noi detestate (come stirare, fare le pulizie, la spesa, etc etc).
Perdonate la divagazione e torniamo a bomba: che fine ha fatto la mia presunta anima gemella? Dove sono finiti i suoi muscoli? Oh sì, quelli ci sono ancora: ma che bello sarebbe se il marito impegnasse la potenziale forza di quelle braccia per aiutarmi in casa. Non gli chiederei di fare grandi cose, come are l'aspirapolvere o stirare. Però, potrebbe portare il sacco della spazzatura finalmente dentro al cassonetto, anziché rateizzare lo smaltimento fino al garage. (Credo che il problema dell'eliminazione dei rifiuti sia una delle maggiori cause di separazione con addebito, in Italia.) E dire che i suoi amici mi avevano allegramente avvisata di quanto fosse sbadato, il romagnolo. Lo fecero fin dalla nostra iniziale conoscenza in Sardegna e lo ribadirono anche in seguito, quando approdai nella penisola. Mi avevano riferito tanti aneddoti, utili a dimostrare quanto egli fosse originale (cioè
smemorato), creativo (dunque rimbambito), vivace (diciamo disordinato). Io trovavo tutte quelle storielle molto divertenti, di certo non allarmanti. Non ritenevo assolutamente che fossero dei presagi di quanto mi sarebbe toccato vivere sulla mia pelle, dopo aver giurato di fronte a Dio: "Sì, lo voglio". La sua compagnia mi raccontò di quella volta che per verificare se nel serbatoio della Vespa ci fosse la miscela, lo sbadato ha utilizzato un accendino per vedere meglio, rischiando che gli prendesse fuoco la faccia... Mi riferì di quando il nostro amico in comune parcheggiò malamente l'auto oltre il cordone di un marciapiede e per riuscire a liberare la vettura incastrata, ha ritenuto di sollevarla con la forza delle braccia!
Se ripenso a lui quand'era il mio moroso (qui si dice così) me lo ricordo alto, oltre il metro e ottanta: le foto conservate negli album lo confermano. Ma poiché mio marito è raramente impegnato in attività che impongano una posizione eretta, oggi accertarne il ricordo mi risulta piuttosto difficile. A ciò si aggiunga che l'atleta esperto non di spinning su ciclette ma di sleeping sul divano, è solito compiere piccoli spostamenti (dalla tavola al divano, o dal divano al computer). Questi percorsi sono tanto brevi quanto rapidi, in quanto frutto di una tecnica sviluppata apposta per non essere notato e bloccato da un: "Caro-per- favore- potresti...", quando è in posizione eretta. Pertanto, io davvero non ho più memoria di quanto sia alto, mio marito.
Il are del tempo, però, non lo ha plasmato del tutto: ancora oggi quando lo guardo lo rivedo bello e buono come prima... e anche lo sguardo che ci unisce è lo stesso di allora. Vorrei affossare questo momento di romanticismo dando spazio alla battuta più bella che abbia mai sentito pronunciare da Illo, relativa alla nostra conoscenza. La cito testualmente nella sua semplicità tutta romagnola: "Sono andato in Sardegna per trombare e sono rimasto trombato".
Chiedo venia per il termine appena riportato, ma... non l'ho pronunciato io. (Un Bollino)
[1] *Vernaccia: ottimo vino sardo.
11. IL MIO PEGGIOR DIFETTO È MIO MARITO.
"Mamma, ma come facevi a sapere prima di sposarti con babbo, che poteva andare bene?" (Cit. mio figlio P.)
In quell'altra vita nella quale ho lavorato dietro retribuzione, ebbi modo di ricevere dal mio "capo" un ottimo insegnamento, secondo il quale le persone che si scelgono nella vita o nel lavoro (il coniuge, la segretaria, il commercialista...) non vanno mai giudicate negativamente né denigrate agli occhi altrui, ma sempre difese in quanto frutto della propria scelta.
Dunque, se avessi fatta mia la lezione appena illustrata, probabilmente oggi non avrei scritto un libro come questo, visto che fin'ora ho riportato soprattutto le mancanze e i difetti della persona oggetto della mia consapevole scelta affettiva, anziché le sue virtù. Allora... potrei non aver inteso l'insegnamento del mio principale. O che mi stai dando la zappa sui piedi? Non credo stia facendo né l'uno, né l'altro; semplicemente... mi sto attenendo al titolo del libro: "Il mio peggior difetto è mio marito". Perciò, come una diligente scolara, andrò avanti sull'argomento, riferendovi alcune delle azioni nelle quali il mio PIS (Pigro-Inetto-Sbadato, ricordate?) manifesta le sue inett-attitudini, secondo una sua logica e una costanza meritevole di lode. Care signore, sediamoci sulle sedie disposte in cerchio: vi racconterò di come il marito pigro sa esprimere il meglio di sé.
Per farlo, inizierò parlandovi del suo vestiario.
Innanzitutto, si sappia che il consorte svogliato tenderà a indossare i primi capi che si ritroverà in mano, mosso da un indefesso quanto parsimonioso senso del risparmio energetico. Vestirà qualsiasi capo gli capiti sotto il naso, pur di non arrancare su per i gradini che lo portano verso il piano ove è situato il suo armadio, anche se ciò significa prelevare una polo stropicciata dal cesto dei panni da stirare. Parlando di abbigliamento, mi vien da credere che la differenza tra i sessi non dovrebbe essere dimostrata nei libri di anatomia, e dunque dal confronto dei rispettivi organismi ignudi, ma dalla diversità dei corpi vestiti e dall'attenzione, dalla cura che tali creature impiegano nella vestizione.
A tutto ciò si aggiunga che egli non sprecherà neanche un secondo per studiare gli accostamenti. Il risultato finale sarà un look multicolore, ove l'abbinamento del calzino sarà superfluo, in quanto nessuno ci farà caso. Uno stile all'insegna della "cacocromia diffusa", atemi il termine, alla faccia del total black e del total white. Così abbigliato, il nostro figurino parrà un fuggitivo da un centro di prima accoglienza, o un perfetto emulatore del look di Lapo Elkann. Oppure, potrebbe indurre gli altri a pensare che si sia vestito al buio. Tutte le volte che si mostra a me così conciato, io reagisco come faccio di fronte ai mobili impolverati: lo ignoro. Tanto, quella patina che ricopre ogni superficie della casa non è mica polvere, è solo pulviscolo atmosferico. La situazione è un tantino diversa qualora Illo e io si esca assieme: in tal caso il mio senso artistico/estetico prevale e s'impone per salvare il salvabile. Controllo l'anarchico come se fosse davanti al check in... ma è del tutto inutile
fargli notare che la maglia che indossa ha una macchia d'unto. Egli alla mia osservazione risponderà con prevedibile stupore per poi esordire prontamente con un: "Non importa, potrei essermela appena sporcata, magari al bar". Qualora Lapo 2 si sentisse particolarmente in forma, tenterà di cancellare lo sporco con un'elaborata miscela di H2O (acqua... andando in giro con un alone ancora più visibile). In merito alle scarpe, non è dato sapere in che condizioni si trovino; lo scoprirò soltanto una volta arrivati in pieno centro storico, quando il pigro mi chiederà: "Senti, hai ancora quella colla che usi per attaccare la pelle, perché sai- è da un po' che ho la suola staccata- ma tanto si aggiusta". Fatemi santa subito.
Si sappia che, anni addietro, il mio Dolce Doppio aveva molta cura del proprio aspetto: sfoggiava capi alla moda, mostrava attenzione allo stile ed era solito rinnovare frequentemente il proprio abbigliamento. Di quella meticolosa cura, a tutt'oggi è rimasta superstite solo l'attenzione per certe griffe che Egli ritiene sinonimo di qualità; tutto il resto invece è come il panda: in via di estinzione.
Così, da dieci anni a questa parte, mio marito indossa sempre gli stessi capi fino a che questi, consunti e sfiniti, non arrivano a implorargli l'eutanasia; gli abbinamenti saranno valutati approssimativamente solo se è giorno (la sera non occorre farlo perché: "È buio, chi ci vede?") Mi scoccia ammetterlo, ma per la sopravvivenza del suo guardaroba è decisivo l'apporto della moglie factotum che, dietro istigazione del parsimonioso, si ritrova a rammendare e rappezzare tutti i capi d'abbigliamento del consorte. A mia discolpa, vorrei precisare di essere arrivata a farlo soltanto per alleviare la sofferenza da lui avvertita quando costretto a gettarli via, o per rimandare l'estremo saluto ai panni ormai esausti. A tal fine, ho (vergognosamente) inventato il modo per allungare la vita ai capi già destinati a essere usati come stracci. La tecnica consiste nel coprire i fori e i tagli con quelle etichette recanti
la marca del prodotto, dopo averle staccate da defunte maglie. Attenzione: mi raccomando, non fate come me... non applicatene due diverse allo stesso capo, altrimenti si scopre il barbatrucco! Quando lo guardo così agghindato e gongolante per indossare un maglione dell'anteguerra riportato in vita, non mi rimane altro da pensare: "Fortuna che è bello, aitante e buono". Ciò corrisponde al vero, ma non per gli amici che, se lo venissero a sapere, potrebbero prenderci in giro per tutta la vita. Talvolta, può capitare che egli, in un impeto di follia, decida di fare piazza pulita di mezzo armadio e di acquistare in una sola volta una quantità di capi d'abbigliamento per importi superiori al mio budget annuale! Ogniqualvolta accade che sia vestito tutto a puntino, luccicante da capo a piedi, Egli continuerà a rimirarsi dalla punta delle scarpe in su e mi chiederà ripetutamente: "Bello, eh? Sto bene, vero, cosa ne dici?" con la stessa insistenza de Il ballo del mattone di Rita Pavone che ascoltavo nel mangiadischi quand'ero bambina. Ad ascoltare quel disco più volte, oggi potrei fare una strage nel tratto Bologna Padova senza neanche accorgermene. Io annuisco, sorridente e felice (ma solo per le prime dieci volte che mi pone la domanda), sospettando che la cantilena mi verrà proposta anche quando avrà indossato il pigiama. Al rovescio e al contrario, il pigiama, come vuole la tradizione.
Più comunemente, lo sbadato darà il peggio di sé indossando abiti scompagnati senza alcun rispetto per l'accostamento dei colori. In quei casi, è lecito io lo guardi con la stessa occhiata sconfortata che sono solita rivolgere alle signore apparentemente curate nell'aspetto le quali, a una vista più accurata, mostrano vergognosi talloni screpolati. Eh no, i calcagni inariditi, no! Sono anni che porto avanti con fatica e sacrificio una personale lotta contro i
miei talloni screpolati! Essendo anch'io affetta da questa piaga, ho dovuto impegnarmi molto per trovare il rimedio che consiste nell'asportare prima le cellule morte dai talloni con attrezzo idoneo. Poi, si dovranno idratare le parti con abbondante (e miracoloso) burro di karité, ricoprire il tutto con del cellophan e lasciare l'impacco per tutta la notte. Un problema in meno?
12. VIVA L'OTTIMISMO!
Breve digressione sul tema Marito
"Mamma, se domani 12 dicembre 2012 il mondo finisce... non dobbiamo andare a scuola, vero?" (Cit. mio figlio E.)
Forse è questo l'ottimismo: considerare il dramma, ma allo stesso tempo riuscire a vederne il lato positivo. Certo, nella frase di mio figlio c'è tutta l'incoscienza di un bambino che minimizza la calamità, ma in fondo questo è il punto di vista di colui che vede il bicchiere mezzo pieno, piuttosto che mezzo vuoto. Positiva come il mio piccolo erede, anch'io cerco sempre di trovare il meglio nelle persone o nelle situazioni. Se lo faccio è per difesa personale e perché ritengo assai triste e poco proficuo concentrarmi solo sulle brutture o sui difetti altrui. Ecco: credo che ogni esperienza che la vita ci propone vada vissuta filtrandola con l'ottimismo... per poi condirla col senso dell'umorismo. Nonostante la premessa fatta, non aspettatevi che prosegua questo scritto confidandovi dei drammi personali, al fine di dimostrare come l'atteggiamento positivo possa essere d'aiuto nel superamento delle difficoltà... eh no, trattasi di
lettura dilettevole! Al massimo, suggerirò una riflessione su quanto sia importante essere ottimiste per riuscire a superare quelle giornate sature di: "Maaammaaa" pronunciato in tutti i toni del mondo, per tutti i motivi del mondo. Mammaaa urlati, implorati, ripetuti dai miei figli, i quali probabilmente chiamano per accertarsi che non mi sia persa per le stanze, tra il cucinino e il bagno. Sì, sì, bimbi cari, so bene di essere la vostra madre! Ricordo bene i dolori del parto che ho patito quando vi ho messi al mondo, le notti insonni ate a ninnarvi e ad allattarvi: non c'è bisogno che mi chiamiate in continuazione. Come posso concentrarmi nelle mie mansioni se continuate a distrarmi coi vostri richiami in sottofondo?
E se non mi danno retta... allora dovrò are al piano B e minacciare il coro di vocalist che al raggiungimento del ventesimo solito appello, tratterrò qualche spicciolo prelevandolo dai loro salvadanai. L'intenzione sarà resa credibile apponendo una croce su un foglio, ogniqualvolta mi chiameranno. Vedendo coi loro occhi con quale rapidità il foglio si riempie di segni, tenteranno di invocare il mio nome in modo alternativo: "Mam... hem... babbo". Oppure: "Mam... Antonella!" Che ridere! Spesso all'invocazione dei figli si aggiunge anche quella di colui al quale all'altare ho detto: "Sì, lo voglio" e oggi direi: "Sì, tenetevelo", perché anch'egli mi chiama per tutti i motivi del mondo, ma del tutto inutili.
Senza ottimismo come potrei mai superare i tornei dei miei piccoli calciatori, seduta su una panchina al gelo o sotto il solleone? Seguirli in giro per la provincia per assistere alle loro partite (dopo aver preparato il borsone con tutto l'occorrente per poi ripulire il tutto impanato di fango, una volta arrivata a casa)? Sapeste poi che fatica è riuscire a distinguere i miei figli tra tutti quei bimbi con uguale divisa. E che fatica è, riuscire a seguire i loro spostamenti che chiamare aggi è azzardato e, piuttosto, mi fanno venire in mente i disegni di Mordillo.
A ciò si aggiunga che ho qualche difficoltà a vedere bene da lontano... e che potrei distrarmi facilmente mentre scambio due chiacchiere con chi mi sta a fianco. Perciò, quando i parenti calciatori se la sano correndo dietro a una palla, io, consapevole dei miei limiti, mi siedo diligentemente sulla panchina come se fossi un ologramma e seguo la partita come posso. Per stare sul sicuro, sono solita avvisare chi mi è vicino che in caso di goal della squadra amica mi diano una gomitata, così da scattare tempestivamente in piedi in un entusiastico tifo.
Torniamo a bomba: proprio non riesco a pensare a una vita vissuta senza senso dell'umorismo. Per me non è solamente una risorsa o un atteggiamento, ma una vera e propria fortezza nella quale rifugiarmi tutti i giorni. Uno strumento col quale trovare il lato divertente, sia nelle situazioni positive che in quelle critiche. Certo, mi reputo una persona ottimista, ma non incoscientemente: non posso pensare che le disgrazie capitino solo agli altri. Tale consapevolezza è sia un monito, sia un insegnamento utile a prendere coscienza che la vita va apprezzata così com'è, con quello che ci riserva. Però mi piace tanto, avere un atteggiamento positivo, nutrire fiducia nelle persone! Per quanto mi sia accorta da un po' di tempo a questa parte che non è tutto roseo come sembra... e che ci arrivo lunga, a capire come stanno veramente le cose, ahimè. Se lo dico è perché ho inteso tardi che generosità e disponibilità andrebbero elargite a coloro che le meritano davvero e non a chi se ne approfitta o si mostra per quel che non è. Che litigate faccio con me stessa, per contrastare la mia indole... e quanti errori ho fatto, nel sopravvalutare le persone. Eppure, del mio ato non rinnego nulla, neppure gli sbagli commessi. Ritengo che questi ultimi siano da considerarsi delle esperienze utili a non farmi ricommettere gli stessi errori... anche se non assicuro di riuscirci sempre.
Comunque sia, per vivere la quotidianità al meglio, mi sono proposta di praticare un personale allenamento consistente in: 1. Impormi un leggero sorriso sulle labbra. Ciò serve a suggerirmi che va tutto bene anche quando non sembra e a comunicare agli altri un senso di positività. Il rischio implicito è che chi mi vede pensi: "Chissà cos'ha da ridere quella là", o che quanti leggono questa regola pensino sia un'ipocrita. Credetemi, suggerirvi un lieve sorriso non potrà che farvi bene. Talvolta, mi capita di guardare le facce accartocciate delle persone che incontro per strada (le quali avranno i loro sacrosanti motivi per avere quell'espressione, per carità) e di correggere subito la mia, non sia mai anch'io sembri afflitta da chissà quali disgrazie. È stato proprio con uno di questi buoni propositi stampati sulla faccia che un giorno mio figlio di dieci anni, mentre giocavo molto vivacemente con lui, mi ha detto stupito: "Mamma, tu non sei mica normale". Al sentire le sue parole mi sono bloccata, l'ho guardato seria negli occhi e puntandogli un dito contro gli ho risposto: "E non dimenticartelo mai". Poi, abbiamo continuato a fare i matti e tra una risata e l'altra ho pensato a quanto sia bello non ritenersi del tutto "normale". Ma come? Semplicemente, cercando di vivere trascurando certi schemi prestabiliti, in maniera più libera e creativa: è questo il mio modo per tenere vivo l'umore e l'entusiasmo... e i miei figli si divertono! 2. Avere poca memoria. È vero; il che si dimostra sia utile che scomodo allo stesso tempo. Anche perché ho scarsa memoria sia a breve che a medio e a lungo termine! Tant'è che non ho molti ricordi della mia infanzia e alle domande dettagliate dei miei pargoli su cosa fi a scuola, so rispondere con pochi aneddoti. Ho dimenticato molte delle vicende legate all'esperienza fatta nelle colonie estive e non so se nell'infanzia giocassi con mia madre (e come poteva farlo, quella santa donna, avendo tantissime cose da fare?).
Però, credo che questo processo di dimenticamento mi sia utile, in qualche maniera, e che abbia qualcosa di "curativo". Lo è qualora mi serva a resettare tutto: malumori, rapporti conflittuali, ricordi sgradevoli, antipatie. In fondo, le esperienze negative si cancellano e io ne traggo vantaggio; purtroppo, è anche vero che qualche ricordo si assopisce.
3. Creare una linea di collane. Si chiama FeliceMente Collane ed è più anziana di FeliceMente Spossata. È così divertente e rilassante, realizzare accessori! E poi, posso comporle nei ritagli di tempo, magari quando interrogo gli scolari, in pausa pranzo o la sera dopo aver cenato. Le mie "creazioni", perlopiù spille e collane, nascono soprattutto per incuriosire e far sorridere. Catturano l'attenzione di coloro che le osservano e così può capitare che tra le perline e i petali di un fiore colorato si nasconda un piccolo ragno: sorpresa! Spesso utilizzo oggetti e materiali usati... anzi, vintage. Li metto assieme cercando di dar vita a delle piccole storie alle quali mi piace dare anche un titolo. Se vedeste con quale sguardo incuriosito i bambini osservano il mio monile, o quanto si distraggano le interlocutrici per dare un'occhiata tra i ninnoli o i fili del mio bijoux! Vi è mai capitato di agitare una mano inanellata con un diamante da due carati (a me, mai) e constatare come le signore seguano il movimento con lo sguardo come una falena segue la luce? Ecco, quando indosso le mie collane capita proprio questo... però i miei monili costano meno del brillante.
4. Curare l'aspetto. Non ho alcuna intenzione di proporvi la prevedibile descrizione di una casalinga
indaffarata, trascurata, negligente. L'immagine quasi scontata della donna di casa trasandata appartiene a un cliché al quale mi sottraggo volentieri. Una figura di questo genere mi sembra poco credibile, quasi quanto quel modello impeccabile di massaia proposto dalla pubblicità. Mia madre, solo per fare un esempio, ha tirato su quattro figlie ufficiosamente da sola, cucinava da vincitrice di Masterchef, si occupava di una casa di centosessanta metri quadri con giardino e per quanto non avesse quasi mai il tempo per sedersi su un divano, era sempre curata. Riusciva anche a sorridere, per quanto non ne avesse spesso voglia. Dunque, curare l'aspetto è importante e contribuisce a farci stare meglio. Non dirò che indosso l'intimo scolorito e scompagnato, con elastici allentati: una volta che si è aperto il cassetto della biancheria, non dovrebbe essere difficile prelevare dei completi riuscendo ad accostarne i colori. Tra l'altro, la mitica paura di finire al pronto soccorso con l'intimo scombinato vince qualsiasi pigrizia. Non vado in giro con vestiti bucati. Però è vero che, pur di non buttarli prima del tempo, li rammendo mascherandone la cucitura con perline, strass e altro, secondo la tecnica già illustrata. Quando i capelli andrebbero lavati ma non ne ho il tempo, piuttosto che ricorrere alla solita molletta preferisco indossare un cappello (ho scoperto che si chiama modello "trilby"), in tessuto di lana o in fresca paglia, a seconda delle stagioni. E poi mi trucco sempre: sono talmente veloce che potrei farlo anche al buio. Lo faccio perché il mio è un impegno sociale: se mi vedeste senza trucco, tutte mi sareste grate per ricorrere al maquillage. Per me è importante stare bene e vedermi a posto mi aiuta; a chi non è capitato di stare in casa ammalata e per non sembrare derelitte si è deciso di arsi un filo di matita sulle palpebre? Con pochi gesti ci sembrerà di star meglio, nonostante gli occhi pesti e il naso arrossato! Soprattutto, mostrandoci presentabili ci risparmieremo di sentire i commenti negativi da parte dei familiari.
È per questi motivi che vado a fare la spesa o a ritirare i figli a scuola con un aspetto curato e ordinato: potrò indossare un vestitino (lo adoro perché si infila in attimo e risolve da solo il problema del sopra-sotto); avrò un trucco leggero, delle decolleté con tacco comodo e l'immancabile collana utile a mostrare il campionario. Concluderò con un paio di occhiali da sole, così se non ho fatto in tempo a spennellare un po' di ombretto sulle palpebre, non se ne accorgerà nessuno.
Questa breve descrizione del mio abbigliamento introduce un argomento che sembrerà superficiale ma io reputo molto importante. Parliamo de La Vestizione e del sistema che ho adottato per abbigliarmi in maniera comoda e velocissima. Poca spesa, molta resa, per intenderci. A causa dei molteplici impegni quotidiani (non solo dei miei ma anche di quelli dei miei figli, come scuola, catechismo, calcio, spesa etc etc) mi ritrovo a uscire di casa dalle quattro alle sei volte al giorno: è proprio per questo motivo che ritengo sia indispensabile riuscire a vestirsi in maniera rapida. Per sostenere la mia tesi, chiamo a confronto un modello comune di casalinga casual/indaffarata. Supponiamo che la stagione sia mite: la signora xyz indosserà dei jeans che solitamente si usano stretti e io reputo molto scomodi da infilare, da sopportare per intere giornate e poi da sfilare. Avrà una maglia, un giubbino, calze e scarpe comode che il più delle volte vanno allacciate. Se va di fretta, è probabile che porterà i capelli legati con un elastico o una molletta. Il tutto sarà fatto con una certa attenzione all'abbinamento... soprattutto se si è madri di una bambina! Tempo di vestizione: la camla della scuola è già suonata da un pezzo.
Questa invece è la mia soluzione: Esempio n°1 (si tenga conto della moda in corso, nel 2014). Infilo dei comodi pinocchietti, un top o una canotta lunga fino ai fianchi, una
giacca. Calzo spesso e volentieri dei sandali estivi col tacco alto della nota marca gommosa (modello Cyprus, senza quelli non vivo) che oltre a essere indistruttibili e comodi, hanno il grande pregio di prolungarmi l'altezza di diversi centimetri. Mi abbellisco velocemente con un filo di trucco e, se il caso lo richiede, copro la chioma con uno dei miei soliti cappelli. Esempio n°2. Indosso dei pantaloni morbidi dal taglio classico (ampi come sono, si fa in un attimo), una felpa colorata con cerniera per rendere l'insieme meno serioso, calzo delle scarpe col solito tacco comodo (no all'allacciatura, sì alla cerniera) e per finire... un'allegra collana FeliceMente, sempre abbinata. Tempo per vestirmi: sono la prima mamma fuori dal cancello della scuola ad attendere l'uscita dei bimbi. Il risultato è un abbigliamento comodo e ultra veloce da indossare. Alla seppur confortevole tuta da ginnastica preferisco un look più curato, che mi valorizza più di una tuta ginnica!
Chissà se le nonne in fila fuori dalla scuola penseranno che la fortunata casalinga non abbia fatto nulla tutto il giorno, per essere così a posto. Le signore però non sanno che ho appena finito di aggiustare una tapparella rotta, dopo aver sostituito da sola un pezzo stando in bilico su una scala, rischiando di precipitare e di rimanere seriamente offesa. Loro ignorano che ieri ho ato la mattinata a montare un Birkeland svedese e a fissarlo al muro con due fisher da otto, io, che così a modo ho i calli alle mani e anziché entrare in profumeria, preferirei spenderei interi stipendi in una ferramenta o in un magazzino edile.
13. IL FUMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE.
I suoceri pure.
Non potevo non cedere alla tentazione di dedicare un piccolo spazio alle persone grazie alle quali Illo esiste: i suoceri. Mi sarà difficilissimo ridurre a un solo capitolo un argomento che meriterebbe la stesura di un'enciclopedia, ma farò del mio meglio. Ho deciso di affrontare il tema anche perché qualora decidessi di scrivere un libro ispirato ai parenti acquisiti: -il titolo sarebbe già pronto; -qualche lettore sarebbe già edotto dalla lettura della presente introduzione; -non dovrei fare altro che abbandonarmi a una sorta di trance e lasciar scorrere mano e penna su un foglio, così da far defluire storie e aneddoti relativi a una vicinanza quasi ventennale.
Sono certa di avere tutta la vostra comprensione nel comunicarvi che i genitori del mio dolce doppio abitano proprio sotto casa nostra.
Fatto questo preambolo, proprio non si spiega come sia possibile che,
contravvenendo a ogni elementare legge spaziale, per quanto i suoceri vivano sotto le nostre mura, questi si avvertano sopra, di più: addosso. Vien da sé che il pacchetto matrimoniale, unitamente ai figli, al gatto e alla sabbiera, comprenda anche loro. Anche loro nella buona e nella cattiva sorte, in quanto vivono a pochi centimetri dal nostro appartamento. Ma bisogna che proceda con ordine. Perciò, all'interno della sezione loro dedicata, dividerò gli argomenti relativi alla nostra "convivenza" in piccoli paragrafi. Prima di scatenare l'inferno, vorrei esprimere il mio ultimo desiderio facendo una
PREMESSA: - il titolo del capitolo è vero solo a metà; - i miei suoceri sono le persone più brave e generose del mondo; - sono sempre disponibili in tutto e ci dimostrano affetto in ogni modo. - Io gli voglio bene. - Dirò di loro, com'è stato per il loro figlio, solo quanto utile allo svago del lettore; - io gli voglio davvero un sacco di bene.
(è utile ribadirlo, qualora i suoceri si imbattessero in codesta lettura)
Vorrei affrontare il tema suoceri con argomentazioni di carattere generale, a cominciare dalla già citata teoria dell'evoluzione di Darwin. Insomma... la prendo alla larga. Anzi, partirei dalla fine, screditando quanto sostenuto dallo studioso appena menzionato. Partirei proprio da Illo il quale, non essendo stato adottato, dovrebbe aver ereditato talune caratteristiche dei suoi genitori, come il senso dell'ordine, della precisione, dell'autonomia. Macché. Non solo Egli non ha innata in sé alcuna di queste propensioni, ma si è volutamente impegnato affinché certi atteggiamenti non avessero in nessuna maniera a che fare con la propria persona. Ritenendomi una persona creativa, non posso che condividere il senso di libertà col quale mio marito ha deciso di eludere gli insegnamenti dei suoi genitori e di prender forma nella vita in maniera autonoma, senza condizionamenti costrittivi.
Fatemi dire che la cosa più fastidiosa relativa all'argomento in corso consiste nel supporre che un giorno anch'io diventerò suocera. È strano: in gioventù, quand'ero solo figlia, il pensiero di diventare madre non mi ha mai preoccupata. Altra cosa è superare i quaranta, mettere al mondo delle creature e, suggestionata dalla vicinanza dei genitori di mio marito (coi loro vizi, pregi e virtù), temere di diventarlo, suocera, come fosse un morbo che mi trasformerà in chissà quale persona dotata probabilmente di spaventosi vizi, pregi e virtù. Col carattere che ho oggi, sulla lunga distanza non prevedo nulla di buono.
Mi basta pensare a quella parola e... ZAAN, è tutto un brulicare di fibre nervose. Oh mamma mia, io, suocera! E visto che ho messo al mondo due figli... lo sarò di ben due nuore? E quando, fra vent'anni? E se Conan e IlBarbaro decidessero di divorziare per poi risposarsi, cosa potrà mai succedere... le nuore raddoppieranno? Dopo essere cresciuta in mezzo al ribollir degli ormoni di tre sorelle e di una madre per poi, da adulta, are alla sponda opposta per vivere con tre maschi... come saprò relazionarmi, così confusa e attempata, con delle femmine di un'altra generazione? In un lontano futuro, qualsiasi cosa succederà (ammesso che io diventi anziana, visto che la vecchiaia non è affar mio), sarò comunque ferma a oggi! Non saprò mai aggiornarmi in modo automatico, come accade al browser del mio cellulare. Io vivo l'oggi col ricordo di ieri; sono rimasta ferma a Heidi, ad Anna dai capelli rossi e a Remì che non si azzardavano di certo a fare puzzette o ruttini come fanno oggi gli amici di Spongeebob o di non so chi! Ai miei tempi, se a un uomo scappava una parola poco educata in presenza di una signora, questi si correggeva subito e si scusava imbarazzato. Oggi non esiste più il concetto di signora e gli ex-signori di una volta sono arrivati a inseguirti a parolacce se davanti a un semaforo non scatti subito col verde. Che ci azzecco io, con una ragazza di un'altra epoca che davanti a una delle mie collane col ciondolo fatto con una vecchia figurina del detersivo Miralanza, mi chiederà, magari col fare spento dei giovanotti odierni: "Che cos'è?" Tra l'altro, considerando le espressioni apatiche impresse sui volti dei giovani che vagano per le strade, chissà se mi farà mai una domanda del genere... spero solo che in futuro le cose vadano meglio. La realtà è che già oggi mi reputo moderatamente... vintage! Certo, adoro i privilegi e le comodità che i tempi odierni mi offrono, in primis la tecnologia con le varie applicazioni annesse... ma nel futuro, come la mettiamo con le nuore?
Sempre che i miei figli si sposino. O che siano etero. O che non ricevano la Chiamata del Signore. Quante storie: sapete che c'è? Ci penseremo.
Mentre sono qui a fantasticare sul difficile ruolo riservato ai suoceri, mi viene in mente che c'è un solo argomento sulla Terra che riesce ad accomunare l'uomo alla donna; un unico tema capace non solo di metterli alla pari, ma finalmente d'accordo. Non è il cibo: per lei, il rapporto col cibo è conflittuale. Lui invece non si pone domande in merito, com'è sua abitudine. Non sono i figli: i due sessi vivono la propria genitorialità in modi completamente diversi. In natura, per fare un esempio fuori luogo, la leonessa ha il compito di procurare da mangiare e di allevare i cuccioli. Il leone, pigrissimo, ha l'unico ruolo di riprodurre la specie. Se così non fosse e avessi ricordato male una puntata di Piero Angela, lasciatemi nella mia convinzione, per favore. Ecco, credo che quanto unisca l'uomo e la donna e, addirittura li renda complici, sia la sopportazione per i rispettivi suoceri. Voglio il Nobel, per questa scoperta!
E dire che i parenti acquisiti in questione non hanno l'aspetto da suoceri, qualora essi debbano avere una determinata apparenza. Maria (la chiamerò così) è un donnone dalle misure importanti, statuaria come il figlio, dal volto sorridente e una voce dal timbro squillante e, indovinate... con un simpatico accento romagnolo. È dotata di grandi mani che un po' temo in quanto non riuscendo lei a controllarne la forza, sono capaci di regalare delle carezze e degli abbracci
"leggermente pesanti"... ma su questo non ho nulla da ridire. Per quanto sia pensionata, è una lavoratrice instancabile e proprio non sa cosa significhi riposarsi. Tutte le sue energie sono quotidianamente impegnate a lavorare quanto offre la natura: lei sì che dovrebbe scrivere un libro di ricette sull'elaborazione dei prodotti naturali, almeno il suo libro sarebbe utile, davvero. Le ortiche sotto le sue mani diventano un ottimo ripieno per i ravioli, le pigne mughe sono un'insolita base per un liquore terapeutico, qualsiasi frutto si trasforma in marmellata e i porcini, quando abbondano, vanno a comporre qualsiasi piatto. Torta gelato compresa.
Quando i suoceri riuniscono le loro forze, sono un portento: il sottobosco degli Appennini diventa una bancarella a cielo aperto dalla quale prelevare asparagi selvatici, funghi, more, lamponi, pigne. Nei boschi trovano legna da ardere, corteccia per l'accensione del fuoco e terreno fertile per concimare l'orto. Se scoppiasse la terza guerra mondiale, saprebbero cavarsela senza battere ciglio: insomma, a loro bastano davvero poche cose, per vivere in maniera soddisfacente. Sapeste quanto invidio la capacità che dimostrano nel vivere con l'essenziale; la totale assenza di desiderio per il terziario che la maggior parte del mondo invece nutre! Oltre a tutto questo, si sappia che i suoceri impegnano le loro energie nella coltivazione di ben due orti, pieni zeppi di ogni ben di Dio. Essi prediligono coltivare soprattutto le zucchine, tanto da volerle riprodurre in quantità industriale per riuscire a sfamare, all'occorrenza, sette figli con sette spose... anziché un solo figliolo. Comunque sia, qualsiasi alimento capiti nelle loro mani sarà sottoposto ad elaborazione, dunque: cotto, triturato, messo sotto spirito, sott'olio o sott'aceto e congelato, soprattutto.
Ogni qualvolta incontro la mamma del mio consorte, ella mi saluta con un
sonoro ed entusiasta: "NON TI VEDO MAAAAI!!!" Me lo dice tutti i giorni, che non mi vede mai. Per fortuna, mi reputo una persona paziente. Io, che faccio puzzle da duemila pezzi (o per meglio dire... farei, se avessi tempo e spazio), che infilo perline per ore e vivo con tre maschi, di pazienza ne ho tanta.
Il suocero lo chiamerò Mariolino. Fisicamente è di una misura più discreta rispetto alla consorte, anzi come ama dire di sé: è giusto. Anch'egli non sa cosa sia la stanchezza; indossa quasi sempre una salopette da lavoro blu munita di bretelle (probabilmente degli anni settanta) e una giacchetta in tela di cotone abbinata, bella tesa sul pancione. Mariolino però è tutta fibra: è robusto e forte, non come certi ragazzi di oggi la cui muscolatura prodotta in palestra serve a ben poco, se non a fare scena. Tutti i giorni si alza prestissimo, giusto in tempo per andare a svegliare le galline del vicino, così da poter iniziare i suoi lavori.
Si sappia che in Romagna i pensionati fanno la fila fuori dagli uffici ore prima che questi aprano. Peccato che una volta compiuta l'urgente pratica, essi non avranno null'altro da fare... ancor prima. Ma almeno, si sono tolti in pensiero. Sono soliti spintonare i vicini mentre sono in fila alla cassa per are prima, come se avessero ricevuto una chiamata d'emergenza per operare a cuore aperto. Scene simili si ripetono tutti i giorni, alla faccia del giovane lavoratore che avrebbe premura di timbrare il cartellino e invece deve attendere che i pensionati in coda prima di lui svolgano quanto prima le proprie urgenti mansioni.
Il suocero si alza presto, dicevo. Anche se fuori è buio, è solito sollevare con decisione le tapparelle alle cinque della mattina con un frastuono tale da
convincere i vicini a buttarsi giù dal letto. I romagnoli sono così: dei grandi e instancabili lavoratori, adesso lo so! Ma due figli fa, quando mi recavo al lavoro e vedevo delle signore chiaramente in età da pensione pulire i vetri o tagliare la legna inspiegabilmente di prima mattina, mi chiedevo quale fosse il motivo della loro fretta. Non capivo il motivo per il quale volessero dedicarsi a tali faccende poco dopo l'alba. Ero arrivata addirittura a pensare che le poverette stessero esprimendo il loro ultimo desiderio. Forse ragionavo da donna di mare, cresciuta su un'isola con le infradito ai piedi e l'asciugamano sulla spalla. Gli abitanti del luogo, per quanto siano molto vicini al mare, forse non lo sono abbastanza e risentono dell'influenza della campagna, che detta loro maggiore responsabilità e senso del dovere. Difatti, anche il parente diligente con la sua tutina un po' da lavoro, un po' da Superman, è solito iniziare la giornata precipitandosi nella mia parte di giardino alla ricerca di qualcosa da fare. Come spazzare le foglie cadute dagli alberi. Le raccoglie tutte: quelle che giacciono sotto l'albero, quelle scappate fuori dal cancello, quelle volate sul marciapiede o ancor più in là, sulla strada. Il giardiniere volontario sostiene che le fronde cadute sporcano, mica abbelliscono il giardino coi suoi colori autunnali. Per la stessa ragione, in primavera suole privarmi della vista dei petali del glicine caduti per terra a comporre uno splendido tappeto colorato. (Un minuto di silenzio per trovare il lato buono della situazione.) Lui sì, che è un vero uomo factotum: ha meno attrezzi di me, però bisogna ammettere che nei lavori di manutenzione se la cava molto bene. Il bricolage sarebbe anche un buon argomento di conversazione da affrontare con lui, se non mi apostrofasse troppo spesso con un tradizionale e dialettale: "Mo sta bon, va là", che a una sarda come me suona invece come un "Ma stai zitta che non capisci nulla". In effetti, quali possibilità avrò mai di aver ragione con l'esperto lavoratore, di spuntarla sull'argomento bricolage? Sono donna, più giovane di lui e addirittura della bassa Italia: è lecito lui pensi che il mio cervello sia occupato dal rumore dei gabbiani, dalla salsedine del mare e dall'aroma del solvente per unghie. Qualora Mariolino pensasse questo di me, io non mi offendo mica: l'anziano
merita rispetto. Vabbé, allora parlerò di cucina... sono certa che entrambi i pensionati apprezzeranno l'argomento.
Orbene, fino a qui ho descritto gli ascendenti a grande linee, ma vediamo cos'altro posso dire di loro. Completerò il tema in oggetto dividendolo in paragrafi. Ogni sezione avrà per titolo una delle frasi che essi amano ripetere. Ripetere. Ripetere. Ripetere.
"Avete mangiato abbastansa?" Se avessi la loro età, forse anch'io manifesterei l'affetto per i miei cari attraverso il cibo, proprio come fanno loro. È facile dedurre che volendoci un mondo di bene, la quota di cibo a noi proposta equivale a quella di una mensa della Caritas a Roma nel periodo natalizio. Ma a noi viene offerta in un qualsiasi giorno dell'anno. "Vuoi i zucchini bolliti?" Mi chiede urgentemente alle 7.30 del mattino Maria per telefono: forse ha saputo che devo partire quanto prima per il triangolo delle Bermuda e che lì il telefono non prende. "Oh, grazie, ma le zucchine lessate non mi piacciono", le ripeto per il diciassettesimo anno di seguito. "Ma dai , sono buonissime", insiste la cuoca. "Maria, a te piacciono le lumache col pecorino sardo?" Ribatto pazientemente per indurla a convincersi che "de gustibus non disputandum est". Poi, per essere più chiara, aggiungo: "Grazie, ma per pranzo ho deciso di preparare le patate al forno." Se pensate sia riuscita a distogliere mia suocera dall'intento di farmi consumare i
suoi ortaggi (oggi e per i prossimi dieci anni) siete delle illuse. Difatti ella mi saprà rispondere: "Oh no, le lumache non mi piacciono proprio! Dai ", incalza ancora senza lasciarsi confondere; sembra Dory, il pesce rosso smemorato di Nemo: "Dai , le patate al forno le mangerai stasera e invece a pranzo prendetevi i zucchini che a tuo marito piacciono tanto!", sentenzia di nuovo, coordinando con sapienza i miei pasti della giornata con una stoccata che non so mai se è quella finale. Vaglielo a dire, all'incoraggiante vicina, che il consorte e io non siamo separati in casa e che noi si consuma la stessa pietanza; tra l'altro, sono certa sia scritto da qualche parte della Costituzione Italiana che è dovere di ogni marito saziarsi prioritariamente col pasto della moglie e successivamente con quello della propria madre. La volenterosa, dopo un'estenuante conversazione (estenuante solo per me, ma non per lei), saprà concludere l'amena conversazione con un saggio ma tardivo: "Va bene, come vuoi tu". Forse perché dotata di scarsa memoria, ella riuscirà ad avere l'ultima parola rifilandomi la poltiglia acquosa attraverso i nipotini che me la recapiteranno in cucina la sera stessa. Le innocenti creature non sanno di essersi resi complici di un complotto! Magari riuscissi ad appioppare loro i zucchini bolliti... In linea generale, i generosi anziani ci proporranno del cibo a tutte le ore; tra una pausa e l'altra offriranno brevi spuntini, oppure dispenseranno carriole di prodotti naturali, spesso frutto delle loro fatiche ortofrutticole. Ogni pasto domenicale da loro elargito sarà composto prevedibilmente da dosi errate per eccesso, così da giustificare la sollecitudine con la quale ci incoraggeranno al suo consumo e si concluderà sempre con un: "Avete mangiato abbastansa ?" Come un The End alla fine delle comiche in bianco e nero. Per i cuochi pare essere secondario che noi si abbia mangiato bene, ma è invece indispensabile che noi si abbia mangiato abbastansa.
In Romagna si usa così, imparalo, Anto.
"Se avete bisogno, chiamate." Ognuno di noi ha imparato a proprie spese che qualsiasi pregio possegga una persona, quando è elevato all' ennesima potenza diventa un difetto. E questo vale per tutti, nessuno escluso.
Ogni teoria che si rispetti ha necessità di essere dimostrata con degli esempi: A) Quando i parenti acquisiti ti implorano: "Se avete bisogno chiamate", è fuor di dubbio che si dimostrano gentili e disponibili; B) Quando gli stessi ti ripropongono l'offerta sei volte al giorno sono insistenti; C) Quando gli avi ti subissano di: "Se avete bisogno chiamate" a mezzo di telefonate e sms, se ti lascino dei pizzini dappertutto nei quali è scritta la loro preghiera, se addirittura te lo ricordano suonando il camlo a tutte le ore (in quanto noi potremmo avere bisogno in qualsiasi momento) allora rischiano di are per degli stalkers. Rinunciano a mandarti le mail, soltanto perché deficitano del computer. I nonni sanno poco sugli stalkers, ma in compenso sanno soltanto di volerci un mondo di bene.
"Si macchia-si sporca-si rovina." Vivo in Romagna da circa diciassette anni, capisco abbastanza bene il romagnolo, ho imparato a mangiare piadina e squacquerone accompagnati da Sangiovese, mi arrabbio a volte in sardo e a volte in romagnolo... ma ancora non ho capito perché Maria e Mariolino ci ripetano in continuazione di prestare attenzione a qualsiasi cosa, altrimenti "si macchia-si sporca-si rovina". È da anni, che tentano di convincermi che una sporta contenente della verdura
potrebbe macchiare con una seppur minima perdita d'acqua la superficie in granito tirata a specchio, se posata su di essa. Per lo stesso motivo è possibile ammirare nel loro garage una serie di fogli di cartone utilizzati per proteggere il muro... che se no si macchia-si sporca-si rovina. Cartoni dappertutto, a coprire forse dal polline primaverile, sparsi ovunque con accortezza, per formare un'originale installazione degna della Biennale di Venezia. Ancora oggi, non mi spiego come possano ritenere che un cestino di prezzemolo, poggiato su una superficie impermeabile, possa lasciare delle tracce indelebili. Insomma: "Attenzione che si macchia -si sporca- si rovina!" Abiti e vestiti appena comprati non verranno mai da loro indossati (ne abbiamo spiegato la ragione), ma verranno custoditi ancora incellophanati a morire d'inedia nell'armadio. La bicicletta rossa fiammante di Mariolino, acquistata ormai venticinque anni fa, è conservata nel garage senza un filo di polvere, mai usata, per il motivo già enunciato. Al suo posto, egli impiega un'arrugginita bici anteguerra a rischio tetano che è un azzardo adoperare anche solo per andare nell'orto degli anziani. Fortuna che si prendono in giro tra loro, i complici, per via delle loro abitudini. Tant'è che la moglie è arrivata a minacciare il marito che, quando verrà il momento, avrà cura di deporlo nella bara assieme alla sua bici rossa (con la data d'acquisto scritta a penna da qualche parte, secondo una consuetudine dell'anziano romagnolo).
"Si macchia-si sporca-si rovinaaaa..." sento ogni tanto echeggiare nelle scale, negli ascensori, al cinema, nella mia testa... mah.
"Non aprite quella porta." Stavolta, il titolo in questione è solo la citazione di un noto film e non una frase
pronunciata da sappiamo chi. Ho ricorso a tale riferimento perché ispirata dalla presenza di una porta di comunicazione apposta tra il nostro appartamento e quello dei suoceri. L'esistenza di tale uscio presumo sia opera di un architetto maschio, dunque sbadato. Viene da sé che la seconda causa di separazione con addebito in Italia, dopo lo smaltimento della spazzatura, rischia di essere l'esistenza di una porta di comunicazione posta tra suoceri e giovane coppia di sposi. Innanzitutto, si sappia che tale infisso si apre misteriosamente a tutte le ore, accompagnato da un cigolio al quale solitamente segue il rumore dei i di qualcuno che sale le scale verso il nostro appartamento. Ma quando nessuno bussa alla mia porta... cosa dovrei mai pensare? Che in giro vagano i fantasmi, i ladri o i suoceri smarriti? Insomma, sapere di avere all'interno dell'abitazione un'apertura incontrollata verso l'esterno è normale che mi crei notevole ansia. Si consideri poi che i suoceri vivono al piano terra e tengono perennemente le proprie porte spalancate, così da incoraggiare la visita dei ladri, affezionati habitué del nostro rione. E se dei malviventi oltreassero la porta di comunicazione, infilandosi su per le scale fino al mio appartamento, cosa potrò mai fare? Saprò farli scappare a parolacce, o mi toccherà buttarmi fuori dalla finestra? Ma questo è il meno. Tempo addietro, il mio alter ego la Signora in Giallo e io, appena tornate dalla vacanza in Sardegna, abbiamo scorto sul pavimento del corridoio delle curiose macchie bianche. "Oddio, cos'è questa... tempera da muro?", ha esclamato lei in inglese. Ebbene sì, alzando entrambe gli occhi fino alla parete vicina, la Fletcher e io ci siamo accorte che qualcuno in nostra assenza aveva ritenuto di ritoccare il muro color CREMA con pennellate di tempera BIANCA. Abbiamo pensato che l'imbianchino ipovedente non potesse essere mio marito, figuriamoci, pertanto il sospettato è stato subito il suocero sbadato, padre dello sbadato.
Oh, nooo... visto che l'ho imbiancata io, la parete, sono anche capace di ritoccarla, all'occorrenza (con la tempera dello stesso colore, soprattutto)! In seguito, ho scoperto che il Mariolino aveva ritenuto di rinnovare con pennellate sparse qua e là anche le pareti delle scale. Forse egli pensava di farmi cosa gradita... ma le cose non sono andate così, visto che le pareti un tempo erano linde ma ora, ingiallite dal tempo, così ritoccate di bianco risultarono una vera e propria ciofeca! Tale eccesso di zelo del suocero bricoleur mi ha inizialmente indotto a pensare che la noia della pensione deve essere cosa insidiosa... e lo dico con sincera malinconia. E adesso, cosa faccio... vado dal parente a reclamare la mia indipendenza d'artista? A me piace, essere chiara nei rapporti con le persone! Anche se ho iniziato a sospettare quanto sia rischioso esserlo e che la sincerità sarebbe un regalo da dispensare con moderazione. E se i pensionati non apprezzassero la mia educata franchezza? Tutte quelle storie secondo le quali ci vuole coraggio a essere sinceri, ormai non mi convincono più. A mancarmi non è certo il coraggio di dire quel che penso, ma la saggezza di capire quando tacere. Ditemi quello che volete, ma non accusatemi di non dire chiaramente quel che penso! Per quanto tante, tantissime volte avrei voluto mordermi la lingua per zittirmi e applicare quella regola codarda secondo la quale chi non fa e non dice, non sbaglia. Quante litigate faccio con me stessa, per tentare di divergere dalla mia indole... Eppure, alla fine delle mie considerazioni conflittuali, riesco sempre a trovare conforto in un'amata frase di Jim Morrison: "È meglio essere odiati per ciò che siamo, che essere amati per la maschera che portiamo".
Dunque... sì, ho deciso: vado a dire al sostituto imbianchino che le mie pareti ho piacere di pitturarle io.
Visto che è difficile capirsi quando si parla chiaramente, figuriamoci cosa può succedere a tacere o a lasciar intendere. Bisogna spiegarsi, per evitare futuri contrasti e, siccome anch'io voglio molto bene ai nonnini, sarà bene precisare loro che l'aiuto è graditissimo quando richiesto. "State attenti (andate piano)." È statistico: il preoccupato avviso dei parenti in questione scatta sempre quando noi famigliola felice ci apprestiamo a compiere una gita per la quale è previsto un viaggio in auto di almeno trenta chilometri. "State attenti", ci ammoniscono preoccupati (sottotitolo: "Andate piano"). Se riferisco loro l'intenzione di andare al mare..."State attenti quando fate i tuffi, un sacco di gente si è incriccata la testa sulla sabbia". Anticipo ai nonni che partiremo per San Marino... "State attenti che il guarda rai non c'è dappertutto e potreste rotolare di sotto, tenete- i bimbi- per mano-mi raccomando". Si va in vacanza in montagna: "State attenti, in tanti sono caduti nei dirupi- per carità- e guardate che non ci siano delle vipere". Così, ogniqualvolta Illo riferisce ai suoi genitori i nostri progetti di viaggio, innescando un clima di tragedia e paura... io vorrei sferrargli un calcio da sotto il tavolo. Non vorrei mai che i pupilli crescessero con le fisime e le paturnie. Tra l'altro, sono superstiziosa. Quante preziose domeniche assolate abbiamo trascorso a pranzare coi suoceri ad ascoltare i loro drammatici avvertimenti, noi... incoscienti e fiduciose creature! Noi giovani ignoriamo i pericoli della vita, le disgrazie incombenti? Ci pensano loro, a metterci sul chi va là, a educarci al sospetto per i pericoli... perché le disgrazie brulicano, sono dap-per-tut-to! Per fortuna, fatemelo dire ancora, sprizzo ottimismo da tutti i pori, così da immunizzare anche il resto della famiglia dalle incombenti- probabili- catastrofi.
14. www.comprovendo.com
Come già anticipatovi, vorrei soffermarmi su un argomento che sarà caro a tutte le diligenti casalinghe risparmiose: la vendita e l'acquisto online. Se lo faccio è sia per virare dal tema marito-suoceri (che abbinamento!), sia per dare completezza al profilo di una casalinga che per quanto abbia ammesso in più circostanze di amare il vintage, si ritiene comunque... moderna! Certo, adoro gli oggetti appartenenti al ato in quanto possono evocare dei ricordi legati all'infanzia, ma sapeste quant'è bello il www! Tra l'altro, dentro questo mondo che inizia con tre "w" io ci ho scritto un eBook.
"La vita è cambiamento", si dice. Per fortuna, dico io, anche se non si sa mai dove ti porterà. Se lo dico è perché, ripensando alle mie vecchie abitudini di consumatrice, ho memoria di una persona che girava normalmente per i negozi come è solito fare un italiano medio. Provavo i capi d'abbigliamento e le scarpe solo dopo aver controllato l'etichetta indicante la composizione dei materiali, tastavo la stoffa, ne verificavo le cuciture e solo dopo aver compiuto tutto quanto ritenevo necessario fare prima di acquistare, mi avviavo alla cassa per concludere l'acquisto. Come tutti, vagavo da un negozio all'altro alla ricerca di questo e quello... così, senza nessun pensiero per la testa. Era tutto molto bello, fintanto che non avevo a che fare con lei: la temibile commessa. La commessa, una sorta di condor che volteggia sulla merce esposta e suggerisce telepaticamente: "Compra questo, compra quest'altro". Lei, che si fa beffa di me e al mio ingresso in negozio mi apostrofa con un: "Buongiorno, vuole dare un'occhiata?", privandomi così della soddisfazione di farla pronunciare a me, quella sacrosanta frase d'esordio.
Se le chiedo un decolleté nero numero 38, saprà rispondermi con un sorriso rassicurante: "Adesso ci guardiamo, signora, ma ho un anfibio rosa numero 40 che fa apposta per lei". Se poi mi azzardassi a domandarle il prezzo di un capo, scoprendo che è fuori dal mio budget, mi toccherebbe umiliarmi rispondendo con poco estro: "Grazie, ci penso". Quante volte mi sarei castigata per aver comprato ciò di cui in fondo non avevo molto bisogno (né mi piaceva tanto), in quel girone del terziario che è il centro commerciale. Se invece mi capitasse di voler cambiare un acquisto, sarebbero dolori: dovrei recuperare lo scontrino (quello del POS non vale) e se si tratta di scarpe... mai gettare la scatola, mi raccomando! Poi dovrei ri-prendere l'auto, ri-cercare il parcheggio, ri-pagare il parcheggio e prepararmi a un patteggiamento col l'ostinata venditrice che si opporrà in tutti i modi al mio ripensamento. Pur di non darmela vinta, lei sarebbe capace di ricorrere all'ultimo emendamento del Governo. La trattativa è facile che si concluda a suo favore e io, che mi ero già affezionata a quegli unici pantaloni taglia 28 che però hanno la cerniera rotta, dovrò ritornare a casa con una felpa di pile color verde muschio misura XXL per mio marito. A Luglio, magari. Aaah... la commessa! Una volta mi è capitato di chiedere in una gioielleria del centro di poter visionare un orologio. Alla mia richiesta, Lei ha risposto con aria di sufficienza, informandomi che: "Sa, quello è molto costoso". Che offesa! Avrei tanto voluto risponderle: " Perché, forse le sembro indigente?" Invece, sapete cos'ho fatto? Ho comprato online.
Compro online. Oh. Ora mi metto qui, davanti al pc, buona buona. Calzettini caldi ai piedi e
bigodini in testa. L'auto è ferma nel garage, il sugo si cuoce autonomamente in cucina e la lavatrice lavora per conto suo. Io ne approfitto per smangiucchiare due grissini e nel frattempo mi collego a www.comprami.com. Valutato che i miei acquisti sono quasi sempre mirati e ho le idee molto chiare su cosa acquistare, si tratta solo di trovare quanto mi serve. Così, imposto i parametri di ricerca: categoria, costo, materiale etc. Che speranza avrei mai di trovare nei negozi reali un certa cosa di tal colore, tal misura, a un determinato prezzo? Al Mega Iper di Vattelapesca non puoi impostare i parametri né all'ingresso, né alle casse. Qualora mi servisse una giacca, nel web potrei cliccare senza imbarazzo la scritta rossa e lampeggiante: promo, oppure outlet. Tanto non se ne accorgerà nessuno, a parte i cookies. Una volta visualizzati gli articoli, li disporrò in ordine di prezzo crescente (così da scoprire prima l'affare), senza dover fare la fila alla cassa né sgomitare in mezzo alla ressa.
Stavolta mi servono delle scarpe? Per non perdere troppo tempo, sono solita restringere il campo filtrando per stagione, modello, colore, misura, materiale, altezza tacco. Eccovi: voi mi piacete, altrimenti irraggiungibili sandali L'Autre Chose. Unici superstiti misura 38 della stagione scorsa, a soli trentatré euro vi prendo in affidamento nella mia Lista Desideri Universale e poi deciderò se adottarvi. Esco dal sito e cerco sul web lo stesso prodotto. Se lo trovo, ne confronto il prezzo con quello dell'articolo da me messo da parte, per verificare quale sia l'offerta migliore. Non c'è nessun problema, Houston: le mie scarpe costano meno. Ma non ho ancora finito, la caccia continua: adesso sono io un condor del web e devo raccattare un codice sconto utile ad aggiudicarmi l'accessorio desiderato a una cifra ancora più intrigante.
Trovata la pozione magica (alias, il coupon) la utilizzo e concludo l'acquisto a una cifra così irrisoria che neanche Illo troverà nulla da ridire. Nessuna spesa di spedizione e reso gratuito, certamente. Click. Siete mie: vi aspetto con la stessa trepidazione di quando adolescente attendevo i regali sotto l'albero di Natale. Dopo qualche giorno mi arrivate a casa, previo avviso a mezzo mail. Per avervi fra le braccia non devo neppure fare le trentacinque scale di questa torre che è la mia abitazione: ho educato il gentile ed efficiente corriere argentino, africano o rumeno a porre il pacco in una sporta calata giù dalla finestra. La scenetta è imbarazzante solo la prima volta, tant'è che una volta un corriere, vedendomi affacciata alla finestra con una busta penzolante, è scoppiato a ridere e mi voleva fare la foto! Ma poi, a la paura. E se volessi cambiare o restituire l'oggetto acquistato? No problem. Alcuni siti sono organizzati in maniera tale che il reso sia facilissimo e, unitamente all'ordine, forniscono già un'etichetta prestampata da applicare sul collo da rimandare indietro. È sufficiente prenotare online il ritiro nella data e nell'orario prescelti e un addetto verrà a prelevarlo all'indirizzo indicato. Intanto, nel compiere l'intera pratica non mi sono cambiata d'abito, non sono uscita di casa e per ottenere il rimborso non ho dovuto discutere con anima viva . Inoltre, esiste un noto negozio online che vende tutto dall'A alla Zeta e ha un servizio clienti imbattibile che risponde alle mail in giornata, vigilia di Natale compresa. Se preferisco essere contattata telefonicamente posso prenotare la chiamata online e mi compare subito un avviso che più o meno recita così: "Occhio che ti stiamo telefonando" e lo fanno davvero immediatamente! È impossibile non raggiungere l'accordo, con l'efficiente venditore: su internet sono tutti gentili. Forse lo sono per il timore di ricevere una recensione a una stella o un negativo, ma nel web tutti si spaccano in quattro, per il loro prezioso cliente digitale.
Su internet ho comprato di tutto, a ogni ora, in ogni giorno della settimana: stereo, lampadari, tuta da sky per i pargoli, oggetti introvabili, nuovi, usati,
vintage... come le figurine Miralanza che uso per le mie attività creative, o le Crystal Ball per far divertire i bambini. Ho scovato il pane guttiau e tutta la cancelleria occorrente per un anno scolastico, a prezzi imbattibili. I vantaggi: ottenere quanto mi serve al miglior prezzo di mercato e certi oggetti che mi sarebbe difficile reperire altrove. In più, ho la possibilità di valutare con calma la transazione e di confrontarla senza dover deciderne frettolosamente l'acquisto come sono costretta a fare quando mi trovo in un negozio. Un altro aspetto molto importante consiste nella possibilità di leggere le recensioni rilasciate da altri compratori, così da orientarmi meglio nell'acquisto. Se conosco i siti, in fondo, è come essere di casa nei negozietti sotto casa.
Dunque, cara venditrice in carne e ossa, che tu sia insistente o gentile, demotivata o professionale ma mi obblighi a concludere frettolosamente la trattativa... addio. Ti lascio per un digitale: "Paga adesso-inserisci i tuoi dati". E invece tu, acquirente tradizionale a me sposato che non approvi le vendite online in quanto sostieni che l'economia locale non ne trae beneficio e i trasporti provocano inquinamento atmosferico, nel darti ragione, sappi che purtroppo il fine ultimo è il vil risparmio, di tempo e di denaro. O forse preferisci che incapace d'intendere ma solo di volere, ti scarichi il bancomat in un acquisto incauto in una di quelle scintillanti e sconosciute boutique? Oppure desideri che metta a rischio la mia salute respirando l'aria plasticosa che si respira in certi supermercati orientali? No grazie, soltanto l'aroma che si respira in quei posti è un valido deterrente all'acquisto: la tortiera al silicone e le infradito alla gomma di caucciù... compratele tu.
Vendo online. Comprare online? Sì... ma anche vendere. Ho iniziato a farlo quando sentii una voce sussurrarmi: "Smetti di regalare quello che non usi più... vendilooo..." Decisi di rispondere alla Chiamata con religiosa obbedienza e non ho più donato nulla agli amici, agli amici degli amici, ai parenti degli amici... e ho iniziato a vendere. Pezzo dopo pezzo, ho liberato la cantina e il sottotetto. Ogni cosa può essere ceduta, ogni cosa può essere comprata; ciò che si ritiene vecchio è vintage, quanto è consumato o tarlato è Shabby... o con qualche ritocco lo può diventare.
Tutto quello che uno sguardo poco accorto giudicherebbe ciarpame può essere una potenziale miniera d'oro; i giocattoli, compresi quei ninnoli detestabili che vanno a intasare giornalmente l'aspirapolvere, diventano "Lotto, stock di giocattoli: affare". Prima di procedere, attribuisco un valore minimo agli oggetti da mettere in vendita, sotto il quale gli stessi verranno destinati alla scuola, alla parrocchia o agli amici. Insomma: non si butta mai nulla! Tant'è che, proprio per questo motivo, mi sono anche ritrovata a raccogliere degli oggetti abbandonati fuori dal cassonetto: non potevo lasciarli al loro triste destino! Li ho presi, portati a casa, aggiustati, riciclati e rimessi in vita. E quando mi accorgo che lo spazio in casa scarseggia, decido di immetterli sul mercato!
In pochi anni sono riuscita a piazzare di tutto: dalle mie parti c'è sempre qualcosa che avanza, considerato il trambusto provocato dallo spostamento dei mobili, dalla modifica degli spazi... e dai bimbi che crescono. Non so se questa mia attività sia diventata un lavoro o una malattia. Me lo sono chiesta un giorno, dopo aver osservato Illo adagiato nella sua solita posizione.
Forse anche lui deve essersi accorto di qualcosa, per chiedermi cos'avessi da guardarlo così. "Alzati, che devo vendere il divano", gli ho detto. Ecco, a parte il sofà che è sempre al suo posto, quando si tratta di procedere con le inserzioni sono solita procedere in questo modo: faccio una foto all'articolo da vendere, ne allego una descrizione in maniera dettagliata (al fine di evitare che mi vengano poste delle domande), preciso eventuali spese di spedizione e le modalità di pagamento. Fisso un prezzo che tenga conto di un eventuale arrotondamento e verifico a quale cifra l'oggetto è posto in vendita dalla concorrenza locale. Per rimpinguare il bilancio familiare, immetto sul mercato anche le mie "creazioni": le collane, i mosaici, gli specchi con cornice in mosaico, i vari complementi d'arredo frutto di rifacimenti. Io compro, io vendo: ci penso io, a far girare il PIL in Italia.
"SCUSE"
Mi sono sempre chiesta perché nei libri si usi spesso inserire la premessa, i ringraziamenti, l'indice etc. Le scuse, mai. Io invece vorrei ritagliare un piccolo spazio per discolparmi, qualora certe mie affermazioni vi siano apparse insensibili.
§ In primis, mi scuso con mia madre. Da piccola, alla domanda di che lavoro lei svolgesse, ero solita rispondere: "Nulla, fa la casalinga". Scusami, ma'.
§ Mi vogliano perdonare le serie, affidabili e preziose commesse che ho fatto oggetto della mia ironia nel capitolo precedente. Adesso posso dire, seriamente, quanto rispetto meritino non solo per il lavoro che fanno ma, soprattutto, per avere a che fare con il pubblico che spesso si dimostra scortese o maleducato.
§ Chiedo venia alle attente lettrici del web qualora, nonostante le ripetute correzioni del testo, siano sopravvissuti errori o refusi. A tal proposito, il mio solito ex datore di lavoro, persona razionale e pragmatica, direbbe: "Sì, Antonella, ma alla fine contano i risultati". Capo, hai ragione. Eppure io guardo le cose da un altro punto di vista, pertanto alla tua osservazione rispondo:
"Sì, ma contano anche le intenzioni". Perché, al di là dei risultati, per la stesura di questo libro mi sono impegnata tantissimo. Ho fatto anche i disegnini a fine capitolo, l'immagine per la copertina coi colori a pastello, ho litigato coi pixel e ho dovuto imparare tante cose che prima non conoscevo... e ho fatto tutto a mano, come una diligente casalinga factotum.
§ Chiedo perdono anche alle madri di tre, quattro, cinque figli o più. È ovvio che agli occhi delle signore impegnate nella conduzione di una famiglia numerosa, le rimostranze della sottoscritta saranno sembrate ingiustificate. Mi auguro si siano limitate a fare spallucce per tutto il tempo, con aria di sufficienza, com'è giusto che sia. Le mie scuse, comunque, potrebbero essere superflue in quanto chi ha messo al mondo tre, quattro, cinque figli e più NON DOVREBBE AVER AVUTO IL TEMPO DI LEGGERE il presente libro.
§ Chiedo indulgenza anche a Lapo Elkann, per averlo confrontato al mio consorte. Mio marito, lo ammetto ora, si veste peggio di lui.
§ Non è esattamente mia intenzione scusarmi per aver ripetuto con una certa frequenza il termine Shabby... ma non sapendo dove fare la precisazione, la faccio qui: ho scoperto questo stile da poco e non vedevo l'ora di esternare il mio entusiasmo per questa tecnica che definirei "miracolosa". Lo è qualora venga adottata in un'abitazione abitata da bambini vivaci e da una donna che non intende essere schiava di una casa-museo: in un ambiente shabby i mobili vecchi e decapati tipici di questo stile potranno sostenere altri colpi e scalfitture da parte dei maschiacci senza che nessuno ne noti i danni (e la madre si tratterrà dal rimproverare i colpevoli per quanto fatto).
Oggetti antichi, recanti sbeccature originali potranno acquistare valore se incrinati ulteriormente da una pulizia frettolosa. Nel mio bagno Shabby Chic gli asciugamani in lino, anche se vecchi e rammendati, saranno abbinatissimi. Stoffe e tendine torneranno a nuova vita, con l'aggiunta di un pizzo demodè. Per finire... il pulviscolo atmosferico (c'è chi lo chiama polvere) che si stenderà sugli oggetti, diventerà una magica patina romantica. Ho esagerato, lo so: ma io Shabbizzerei il mondo intero.
§ Dimenticavo... avete raccolto i Bollini e completato la raccolta? Chiedo scusa, ma gli omaggi promessi (leva polvere e calzino color torba), erano una scherzo!
CONCLUSIONI semiserie
Care lettrici e cari lettori, fatemi dire che in cima alle mie conclusioni c'è il desiderio che la lettura degli aneddoti relativi alla mia famiglia vi abbia distratto dai vostri impegni quotidiani.
Secondariamente, si sappia che la stesura di questo libro mi è servita a prendere coscienza del fatto che quando Illo andrà in pensione, io invece andrò a lavorare fuori di casa. Lo farò giusto per mantenere certi equilibri e perché quel che conta è la qualità e non la quantità, come si è soliti dire.
Approfitto di questo spazio per assicurare al mio consorte che non riusciranno a separarci né i contrasti familiari relativi allo smaltimento della spazzatura, né l'affettuosa interferenza dei suoceri vicini-vicini-vicini. Anzi, è con atteggiamento costruttivo e positivo che ammetto di non voler stilare la continuazione di questo testo, che potrebbe intitolarsi più o meno: IO SPERIAMO CHE MI SEPARO.
Vorrei (finalmente) concludere, rivolgendo una preghiera a mio marito: Caro, come vorrei tu potessi rinsavire e diventare... M igliore; A ssennato; G rintoso;
A utonomo; R isolutivo; I ntraprendente.
Ove l'acronimo composto sopra (MAGARI) è segno di ottimismo, fiducia e, chissà, di buon auspicio. Magari, Illo non peggiori.
RINGRAZIAMENTI seri
Il mio primo ringraziamento va alle lettrici: voi non lo sapete, ma scrivere questo libro è stato come dare e ricevere una confortante pacca sulla schiena a/da tutte le mogli e le conviventi che si sono immedesimate in me e nella mia routine quotidiana. Per quanto dubiti che questo prodotto di editoria casalinga riesca a scalare le classifiche del libro più venduto dell'anno, mi piace pensarlo comunque: il raggiungimento di tale risultato sarebbe un meritato premio non solo per me, felicemente spoSsata da un marito poco utile, ma anche per tutte le donne che vivono una situazione simile alla mia. Inoltre, sarebbe la giusta ricompensa per aver retto per tanti anni il peso del mio sbadato Illo... e per volerlo ancora sostenere.
Eterna riconoscenza va anche agli eventuali lettori di sesso maschile i quali, se diretti acquirenti del libro, voglio credere siano dotati di un gran senso dell'umorismo. In realtà, sospetto che alla maggioranza dei leggitori questo testo sarà stato imposto da una moglie/ compagna/ coinquilina, accompagnato da un allarmante: "Toh, leggi, parlano di te". Se così fosse, mi piacerebbe tanto sapere se i castigati hanno desistito dopo la lettura di poche pagine o se sono arrivati fino a qui. Vogliate darmene comunicazione, educatamente, all'indirizzo di posta elettronica:
[email protected]. Per lo stesso motivo, vien da chiedermi se gli amici che conoscono bene il mio consorte, proveranno maggior comprensione per me a seguito della lettura del testo, o se invece esulteranno d'ammirazione per la condotta del capofamiglia. Io penso che si ritroveranno ancora più uniti da una maschia solidarietà, sotto il vessillo di: "Viva Illo forever".
Ringrazio tutti coloro che hanno avuto la pazienza di sopportare le spiegazioni apposte nelle note a fine pagina. So bene che tali precisazioni fanno riferimento a termini piuttosto comuni, ma l'ho fatto solo per far risparmiare tempo ai pochi illuminati che avrebbero avuto necessità di cercare spiegazione nel web.
Un sentito ringraziamento va al datore di lavoro più volte citato, sempre lo stesso, noto come: Mirco della Venerom di Forlì, per avermi regalato delle vere e proprie perle di saggezza che ho scoperto essere utili non solo sul lavoro ma anche nella vita. Lo ringrazio non solo per gli insegnamenti che mi ha saputo dare per affrontare con più consapevolezza la vita, ma anche per avermi aiutata in questa mia recente esperienza facendo sì che il libro uscisse alla luce anche nel formato cartaceo... egli è una persona concreta, altro che libro digitale!
Ringrazio anche Erica, la mia cara amica psicoterapeuta già citata, per i suoi preziosi consigli. Quando andai da lei scodinzolante, fiera del mio pargoletto scritto che ritenevo quasi finito, lei mi fece intendere che in quelle pagine c'era ancora molto da fare. Grazie ai suoi suggerimenti capii che del libro avevo fatto solo lo scheletro e bisognava ancora metterci la polpa. Per ricambiare il favore, la saprò ricompensare secondo la nostra consueta e sana abitudine del baratto con della marmellata fatta in casa (dai suoceri), con dei kiwi prodotti dal vicino e una boccia di vino. Le lettrici vogliano perdonare l'apparente divagazione, ma trattasi comunque di argomentazioni casalinghe.
Desidero ringraziare anche StreetLib, la piattaforma che ha reso possibile la pubblicazione di questo eBook.
Non lo faccio per servilismo, ma perché sarebbe maleducato non farlo. StreetLib Write mette a disposizione un sistema di autopubblicazione gratuito, facile e accessibile a tutti, col quale sono riuscita a realizzare un'altra delle mie idee creative. Allora... grazie! Soprattutto per concedere ai self-publisher un tantino impacciati come me nella loro "prima volta", la possibilità di modificare il testo online, così da correggere gli errori o "limare" lo scritto anche dopo la sua pubblicazione. Per questo motivo... si sappia che in giro potrebbero esserci delle versioni cartacee differenti dall'eBook.
Un ringraziamento va alle amorevoli e coraggiose maestre del mio figlio decenne (coraggiose in quanto insegnanti di un branco di adolescenti), le quali col libro c'entrano di striscio e mi hanno solo ispirato degli aneddoti. Ma visto che ci sono, faccio come chi sposandosi celebra anche il battesimo del loro neonato: ne approfitto, ecco. Vorrei rivolgere un sincero grazie alla maestra di mio figlio maggiore (che manterrò anonima per discrezione), per aver letto il manoscritto senza apporgli sopra alcun segno di correzione. Non conosco il motivo per cui lo abbia fatto, ma di certo non perché non ce ne fosse bisogno. Chissà quante doppie di troppo mi saranno scappate (noi sardi esageriamo anche nello scritto, con le consonanti). L'insegnante ha saputo regalarmi un prezioso consiglio, utilissimo per il completamento di questo libro. Lo stesso datomi da mia madre, tra l'altro, a conferma che certe madri casalinghe ne sanno quanto una maestra sul procinto di laurearsi. Mi disse di apprezzare molto i momenti di pacata riflessione ai quali ogni tanto mi abbandonavo per parlare dei miei sentimenti e del mio vissuto, per poi suggerirmi di smorzare l'ironia e di guardarmi dentro. Ho accolto la sua indicazione. Che fregata.
Sapeste che fatica è stata scavare dentro me alla ricerca di quei pensieri che per codardia nascondo anche a me stessa. Eppure, quanto ho trovato è più sincero del sorriso che tutti i giorni cerco di far affiorare sul mio viso per dirmi che va tutto bene. Seguire il suo consiglio mi è servito a comporre un libro più vero, sincero e mutabile, proprio com'è il mio modo di essere e di vivere. Non per ultimo, mi ha saputa incoraggiare esattamente come dovrebbe fare ogni maestra col proprio allievo anche quando non è il più bravo della classe. Mi ha spronata in questa esperienza con vigore e delicatezza, sostenendo e alimentando il mio entusiasmo per la scrittura. A lei dedico scherzosamente la copertina del libro, sulla quale il nome dell'autrice è scritto in minuscolo, per un vezzo personale. Lei sa di cosa parlo: in tutti questi anni ha sempre tentato di contrastare la mia creatività grafica rimproverandomi l'abitudine di scrivere sulle copertine dei libri il nome di mio figlio in minuscolo.
Dunque, ringrazio a modo mio: tra il serio e il faceto, come si dice, secondo un mio modo di essere e di vivere sempre col sorriso sulle labbra... per quanto sia sempre pronta a commuovermi per poco. Ridere e piangere: ecco cosa ha significato per me scrivere questo libro. Fatemi ringraziare anche chi mi guarda da un punto imprecisato lassù, oltre il cielo, dal quale mi ama e mi protegge. A Lui dico: "Grazie, va bene così", oggi che sono serena tanto quanto domani, anche se mi sembrerà un giorno triste o difficile. "Va bene così" è quanto mi sono imposta di dire nella vita, soprattutto nei momenti di sconforto, quando tutto sembra andarmi male. Eppure, mi basta pensare che c'è di peggio perché la situazione non sembri più drammatica come credevo (funziona quasi sempre).
E poi... ringrazio Illo, la mia musa ispiratrice! Per esistere e per essere così com'è... comunque! È con lui che spero di continuare questo cammino nel vialetto della vita che finora ha presentato solo qualche fessura. Adesso posso dirlo: se vivessi con una persona simile a me, sono certa che ci scanneremo dalla mattina alla sera. Un marito come me? Mi sarebbe insopportabile: meglio lui, ecco. (L'ho scritto per davvero?) Il fatto è che lui e io andiamo bene abbinati così; dove non arrivo io, arriva lui e viceversa: Yin e Yang, insomma... quella cosa là. Assieme nella vita e... uniti dalle diversità, per fortuna! Dalle differenze caratteriali sul cui equilibro si basa ogni rapporto di coppia. È proprio tenendo conto delle differenze tra i partner e dei cambiamenti cui la vita li sottopone, che è possibile "mantenere l'allineamento". Questo non significa viaggiare su strade perfettamente parallele, né stare sempre assieme: non è l'assiduità della frequentazione a rendere salda una relazione, né nominarsi controllore del proprio consorte. Ritengo sia più sano e legittimo che ognuno si ritagli un proprio spazio e curi i propri interessi personali (a meno che non si condividano naturalmente le stesse attività); non c'è niente di più pericoloso del creare un rapporto simbiotico o di dipendenza reciproca. Allineamento non vuol dire neanche viaggiare alla stessa velocità; meglio sarebbe che le parti di una coppia si muovessero verso un obiettivo comune, ma ognuno col proprio o. Dopo tanti anni di convivenza ho capito che è molto più sano non ignorare le azioni del partner che generano disappunto, né rimandare il problema confidando che questo si risolva da solo. Ritengo sia più proficuo affrontare la situazione e chiarirsi attraverso il dialogo. Noi donne abbiamo tante risorse per affrontare i problemi e arrivare alle soluzioni! Certo, l'impegno richiesto è alto: richiede doti come la pazienza, l'amore per la famiglia e per la persona che si è scelta, l'ottimismo, l'ironia. E la tenacia.
Dunque grazie, marito caro, per l'impegno che ci accomuna nel percorrere assieme questa avventura che è il matrimonio. Quasi quasi, mi viene da chiedermi se esista la remota possibilità che per te non sia facile starmi al fianco, assecondare i miei cambi di umore e la mia imprevedibilità. Forse anche a te spetta aver pazienza... com'è giusto che accada tra marito e moglie, reciprocamente! Non per ultimo, ringrazio i miei figli... perché io ho fatto loro e loro stanno facendo me.
Grazie Mamma Un ringraziamento speciale va a mia madre, persona assai sensibile e fragile, ma allo stesso tempo modello di inaspettata forza e coraggio. A lei, che mi ha saputo insegnare a reagire alle difficoltà e a trovare la forza per non farmi abbattere da nulla e da nessuno, dico grazie: per avermi sempre sostenuta nelle scelte e nei momenti complicati con dolcezza, fermezza e amore; per avere imparato da lei a mascherare le piaghe dell'anima con un po' di ombretto e un filo di rossetto, così da emergere al meglio da ogni situazione difficile. Grazie mamma, perché mi sei di conforto quando sono triste e per avere (quasi sempre) il consiglio giusto da darmi. Per la tua, la nostra piccola pazzia che ci fa ridere di tutto e di tutti, dimenticandoci di quanti anni abbiamo. Grazie, per essere riuscita a superare a testa alta gli ostacoli che la vita ti ha proposto e per essere stata capace, nonostante le avversità, di dividerti in quattro per donare tutto il tuo amore a ciascuna di noi.
INDICE DEGLI APPELLATIVI DEI CONIUGI
(Lista in disordine sparso, a cura di Illo )
ILLO: Bruto Fiacco Dolce Doppio Il Nominato Lapo 2 L'ex Adone Colpevole Temibile bipede implume senza guinzaglio P.I.S. (Pigro, Inetto, Sbadato)
LA MOGLIE CASALINGA: Genny Aggiustatutto Moglie Media Casalinga Atipica
Operatrice di Casa Moglie Factotum Clone della sig.ra Fletcher
Varie ed Eventuali
"Il mio peggior difetto è mio marito" L'eBook è in vendita nelle maggiori librerie online e il cartaceo su Amazon. Su Facebook: Antonella Usai (FeliceMente Spossata) Mail:
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