Gabriele Cappelletti
Grazie Giada, grazie Perla
Abel Books
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Giada e Perla: molto più di due pietre preziose
Dedicato alle mie care boxer
Giada, Perla ed io
Mentre scrivo la superstite delle due “ragazze” riposa a breve distanza dalla scrivania. Infatti, la loro “casetta”, che ho costruito utilizzando le assi di legno residuate dalla ristrutturazione del tetto, è posizionata nella stanza adibita a studio, quasi a fianco dello scrittoio dove elaboro le mie opere. Visto dalla porta sembra uno dei normali mobili, ma entrando nella camera si comprende subito che si tratta dell’alloggio adeguato a contenere diversi animali di una certa mole. Il suo peso ragguardevole, novanta chili, lo rende adatto a ristere alle sollecitazioni cui viene sottoposto quotidianamente. E’ anche provvisto di materassini e dell’immancabile ciotola dell’acqua, oltre ad essere coperto da un tappeto sul quale sono disposte suppellettili e foto in tema. Ormai anche la superstite ha un’età più che adulta, oltre i dieci anni, il cui fardello si fa sentire soprattutto attraverso le palesi incertezze nei movimenti e le malattie che vanno insorgendo, pur se tenute a bada fin quando possibile dall’amico Roberto. Il suo tipico russare la rende riconoscibile a discreta distanza, ma non produce fastidi di sorta. Attualmente è affiancata da tre nuovi “ospiti”, ancora in fase di adattamento agli usi e costumi della famiglia, ma il periodo di rodaggio più impegnativo è stato già archiviato con successo. Per fortuna le difficoltà di ambientazione, giustamente paventate all’inizio, si sono rivelate più teoriche che reali e possiamo presagire un prossimo futuro di tranquillità e comprensione. Soltanto nel caso di Rocky c’è stato un problema apparentemente più serio, in quanto si mostrava molto aggressivo e non mi riconosceva alcuna autorità.
Però, alla fine, ricorrendo alla dolcezza abbinata alla necessaria fermezza, anche lui ha compreso che vivere nella nuova maniera era senz’altro preferibile al randagismo e, anzi, è diventato la mia fedele guardia del corpo, che non vorrebbe mai lasciarmi solo. Insomma, il mio rapporto privilegiato con ogni Giada, Perla e affini prosegue senza apprezzabili soste o deviazioni di sorta. Ad ogni modo, è risultata molto evidente la differenza fra il comportamento, le ansie, le paure e l’affetto dell’animale che è vissuto in un allevamento, al sicuro in mezzo ai suoi simili, rispetto a quello abbandonato a tutti i pericoli della strada e poi rinchiuso in un canile.
Antefatto
La nostra storia, un inestricabile connubio di tante avventure vissute insieme alle due amiche, abbondantemente condite da un profondo affetto reciproco, in realtà è cominciata quasi per caso, ancor prima del loro arrivo in casa. In quel periodo, lavoravo ancora in un ufficio pubblico, una collega mi raccontò le dolorose vicende di quella che poi sarebbe divenuta la mia prima Giada. Suo padre, ex allevatore di cani presso una lontana città, era stato colto da improvvisa e gravissima malattia, che, infatti, lo avrebbe condotto successivamente a prematura morte. In conseguenza, i familiari avevano deciso di farlo trasportare senza indugi nella nostra cittadina, per poterlo meglio assistere almeno moralmente. Purtroppo, nella concitazione di quei momenti, nessuno si era rammentato della presenza di una cagna boxer nel giardino della sua casa, rimasta così abbandonata a se stessa. Per fortuna, pur se a distanza di parecchio tempo, la mia collega, resa edotta della situazione, si era precipitata nell’abitazione vuota dello sfortunato genitore, rinvenendo la cagna, di nome Giada, ancora viva ma in deplorevoli condizioni di salute, ridotta a pelle ed ossa nel reale significato dell’espressione. Sapendo che io desideravo un cane, in quanto avevo perso in precedenza un simpatico volpino, domiciliato presso i miei genitori ma di cui mi ero occupato in prima persona fino alla sua fine naturale, la citata impiegata mi propose di occuparmi di Giada. Da quell’istante la mia vita cambiò decisamente, scoprendo giorno per giorno le qualità della razza boxer e la dedizione della mia nuova compagna, che nulla chiedeva, salvo l’affetto, e tantissimo concedeva in modo del tutto leale, affidabile e senza alcun condizionamento. Nel giro di due anni si venne a creare un legame che sembrava davvero indissolubile, mentre avveniva rapidamente il suo recupero fisico ed emotivo al
quale si affiancava di pari o la mia istruzione, rendendomi conto di avere molto da imparare sul regno canino. Però il destino aveva deciso altrimenti e la morte sopravvenne improvvisa, dopo un intervento di piometra per un aborto ritenuto assolutamente di routine. In effetti, dopo aver fatto accoppiare la cagna con un boxer che vantava un blasonato pedigree, si era in attesa del parto, con una certa emozione ed anche apprensione, perché si trattava della prima volta che mi capitava di seguire un simile evento. Purtroppo, le condizioni di salute di Giada iniziarono presto a peggiorare, facendo presagire serie difficoltà per il momento della nascita, sempre più imminente. Poi la situazione degenerò e il veterinario fu costretto ad intervenire per tentare di evitare ulteriori danni. L’operazione venne effettuata di sera e sembrò che tutto fosse andato bene, con la cagna sedata e già suturata senza intoppi, tanto che il sanitario ritenne che potesse tornare subito a casa. Invece, intorno a mezzanotte, quando stavo coricato su di un materasso accanto a lei, ancora semi-incosciente, per poterla meglio controllare, Giada improvvisamente fu colta da violente convulsioni e, all’arrivo del veterinario, era già spirata fra le mie braccia.
Le due nuove arrivate
Ma l’amore per i boxer, a questo punto, era diventato inarrestabile e subito mi procurai una seconda Giada di circa tre mesi. La ricerca non fu semplice poiché tentavo di trovare una cagna uguale alla precedente e per caso, ancora tramite la stessa collega, da sempre apionata di cani, si venne a conoscenza di una coppia appena divorziata, che intendeva disfarsi dell’ultima cucciola loro rimasta, come a voler allontanare dalle proprie
vite pure quell’innocente legame che potesse loro ricordare un rapporto rivelatosi tanto infelice. Così, una fredda sera di settembre andammo a prendere la nuova Giada, che si rivelò subito all’altezza della precedente quanto a capacità di comprensione ed equilibrio comportamentale. Per onestà d’informazione debbo affermare che, per motivi di prudenza, i primi giorni tenemmo l’animale fuori in giardino, senza farlo entrare in casa, ma poi tornammo alla vecchia abitudine della precedente, ovvero di lasciarla circolare dove desiderava. Cominciai subito ad insegnarle quale rudimento di base quanto a educazione ma fu subito chiaro che si trattava di azioni superflue perché Giada rispondeva subito alle sollecitazioni, senza mai sporcare in casa o danneggiare alcunché. Nello stesso anno il fratello della solita collega procurò un’altra boxer, pure tigrata, ultima di una cucciolata che il proprietario non poteva più mantenere e già tutta opportunamente collocata, tranne appunto quel piccolo batuffolo di pelo e carne. Aveva appena un mese e mia moglie la volle chiamare, molto appropriatamente, Perla. Era nata così la coppia Giada e Perla che avrebbe segnato indelebilmente le nostre vite. Una ridda di pensieri gremisce la mente ed i ricordi si affollano, accavallandosi in forma vertiginosa ma limpida. Sto scrivendo con alcune interruzioni poiché ora la “ragazza” si è svegliata e di tanto in tanto viene a chiedere coccole e poi torna nella sua comoda cuccia, come faceva Giada pure negli ultimi tempi, nonostante zoppicasse sempre più vistosamente a causa del tumore incurabile che la stava consumando con inesorabile lentezza. Naturalmente, le carezze erano uguali per entrambe, una mano per ciascuna delle loro grosse teste che facevano le fusa, stringendosi ai miei fianchi quasi come gatte.
Ho deciso di scrivere la loro storia non quale arida cronologia di avvenimenti bensì per episodi, cominciando dal primo che si presenta nella videoteca della mia mente.
Un sonno particolare
Fin dai primi giorni Giada rimaneva in nostra compagnia dopo il suo pasto della sera, acciambellandosi sul tappeto della cucina senza chiederci il cibo che pur vedeva sulla tavola. Poi, ad un certo punto, cadeva quasi in letargo, addormentandosi in un modo così profondo da non risentire di voci e rumori. Alla fine, ero costretto a prenderla letteralmente in braccio per portarla nella sua cuccia, dove proseguiva imperterrita il suo riposo. Nonostante la tenera età il suo peso era significativo ma non mi importava, l’unica preoccupazione riguardava la sua salute, visto quell’anomalo comportamento. Dopo tutti i controlli di prammatica, il veterinario assicurò che la cagna non era portatrice di alcuna malattia e il mistero rimase tale solo per poco tempo. Infatti, interpellando il precedente proprietario, venimmo a sapere che Giada, in pratica dal momento della nascita, era stata abituata a dormire in un garage sempre alla stessa ora e, pertanto, aveva mantenuto il suo ritmo naturale. Restava da capire perché non si svegliasse quando la sollevavo dal tappeto e la deponevo nella cuccia, ma forse la spiegazione più vicina alla realtà era quella del veterinario, il quale pensava che la cagna, pur nel dormiveglia, si rendesse conto di essere tra mani amiche e, pertanto, non riteneva di doversi impegnare diversamente. Poi, con il trascorrere del tempo, diventando più adulta, la cagna andò perdendo tale singolare comportamento, conservando però la sua abitudine di andare a cuccia intorno alle 22, salvo non fosse diversamente indaffarata con noi.
Soltanto d’estate modificava un po’ il suo costume a causa dell’afa, preferendo dormire sul tappeto o direttamente sul pavimento. Naturalmente, eravamo sempre attenti a non creare problemi di aerazione, sia in senso eccessivo che riduttivo, avendo l’accortezza di tenere sempre una finestra aperta, ma non direttamente sull’animale, in modo da lasciare comunque un aggio d’aria da una stanza all’altra, cercando cioè di abbinare salute ad igiene. Circa la sicurezza, la stessa era assicurata dalle inferriate poste a difesa di finestre e porte-finestre. Ad ogni modo nessuno si sarebbe azzardato ad avvicinarsi con una guardiana del calibro di Giada, anche se di peso non molto rilevante rispetto ai maschi della sua razza. Ma tutto ciò avremmo avuto modo di sperimentarlo in seguito, nel prosieguo della nostra avventura umano-canina.
Un lieto arrivo in tristi circostanze
L’arrivo di Perla, purtroppo, rimane legato ad un triste evento. Quando la stessa collega che aveva procurato la prima Giada ci avvertì della necessità del fratello di cedere una boxer appena nata, mia moglie ed io non perdemmo tempi in esitazioni inutili, bensì partimmo subito, di buon mattino, alla volta di Bologna. Si era vicini al Natale e, prudentemente, avevamo già montato le gomme chiodate sull’auto. Infatti, lungo la strada trovammo neve che, per fortuna, era già stata accantonata dagli spazzaneve. In effetti, la cucciola era davvero piccola e la trasportammo dentro una scatola di scarpe, opportunamente imbottita di cotone idrofilo.
Com’è ovvio Giada aveva viaggiato insieme a noi, mostrando un certo interesse, privo comunque di aggressività, per il piccolo essere racchiuso nel cartone. Appena tornati nella nostra città ci recammo direttamente dal nuovo veterinario, che poi sarebbe divenuto un ottimo amico, così come lo era di tutti gli animali, saltando anche il pranzo essendo vicina l’ora di chiusura dell’ambulatorio. Dopo una minuziosa visita, inframmezzata da numerose coccole e carezze, ricevemmo notizie del tutto rassicuranti sullo stato di salute della piccolina, che si mostrava molto vispa annaspando con le zampette e cercando sempre di mordicchiare quanto le capitava a tiro. A questo punto decidemmo di portare la nuova componente della famiglia a conoscere i genitori di mia moglie, che vivevano a pochi chilometri di distanza da casa nostra. Essi gestivano un negozio di generi alimentari ubicato al piano terra della loro abitazione. Già al momento del parcheggio ci accorgemmo di un’anomalia nel comportamento di mio suocero, che non si era mosso al nostro arrivo, rimanendo in piedi, appoggiato con un gomito sul bancone e la testa reclinata sul braccio destro. Per un momento pensammo che fosse impegnato al telefono, forse nascosto dal suo braccio. Il tempo di entrare, renderci conto della situazione e chiamare i soccorsi, poi ci furono soltanto la sirena dell’ambulanza, la corsa in ospedale e, in capo a tre settimane di agonia, l’ictus concluse il suo mortale decorso. In quei giorni, per forza di cose, le due cagne furono un po’ trascurate, ma non tutto il male venne per nuocere in quanto Perla si legò in modo indissolubile a Giada, giungendo pure a succhiarne le mammelle vuote, come se fosse la sua mamma. Probabilmente tale convinzione le rimase per sempre, visto il suo comportamento successivo e l’attaccamento dimostrato in ogni maniera, comunque corrisposto dalla sua compagna.
Alcune conseguenze della vita in comune
Premetto che la nostra casa attuale, piccola e vecchia cascina disposta su due livelli, ristrutturata al prezzo di un mutuo da pagare a vita, ha il pregio di godere, sul lato posteriore, di un appezzamento di terreno recintato di circa quattrocento metri quadrati. Presenta però l’inconveniente di dover fare le scale, una dozzina di gradini, per accedere al detto giardino. Ciò vale sia ando dal piano superiore che da quello inferiore, con l’unica differenza della conformazione degli scalini, dritti all’esterno e su più rampate nella parte interna. Comunque, le “ragazze” si adattarono presto alla nuova condizione e per me cominciarono alcuni problemi pratici. Infatti, nel corso dei giochi e dell’erudizione ai principali richiami, le cagne, nella loro esuberanza giovanile, mi correvano incontro e saltavano, causandomi danni in realtà dovuti alla mancanza di dimestichezza con animali di una mole ragguardevole come la loro. Ero appena stato posto anticipatamente in pensione, mentre mia moglie continuava a lavorare e spesso trascorreva la giornata fuori casa, impegnata com’era fra la scuola e la famiglia d’origine che, ovviamente, non poteva trascurare, specie dopo la perdita del padre. Invece, io non avevo più i genitori o altri familiari che abitassero nelle vicinanze. Così, in quei primi mesi trascorsi continuamente insieme ricevetti parecchie testate e spinte, con le conseguenze che vado ad enumerare: un dente scheggiato per via di una testata di Giada, labbra ferite a causa dei salti di entrambe, lingua pestata per gli stessi identici motivi e schiena dolorante per le cadute quando non mi preparavo in tempo alle loro cariche durante i giochi in giardino. Ma non le ho mai incolpate, né redarguite in alcuna circostanza, comprendendo
che non agivano con volontà di ledere ma soltanto per gioco, irruente o meno che fosse. Piuttosto, mi limitavo ad un “no” deciso quando combinavano una delle loro peraltro rare marachelle, alzando il tono della voce, in abbinamento al dito mosso in senso orizzontale a rafforzare il diniego. Circa l’uso del guinzaglio occorse un poco di pratica prima di raggiungere un compromesso accettabile fra la necessità di camminare al o e la loro perenne esuberanza. Rapidamente, fin dagli esordi della loro vita in comune, Giada assunse il ruolo di dominante nei confronti di Perla, che l’accettò di buon grado, riservandosi però di agire con furberia ad ogni occasione propizia. In pratica si compensavano a vicenda, tra la forza di Giada e l’astuzia di Perla, come ebbi agio di sperimentare in più occasioni.
Un legame particolare
Con Giada l’accordo fu praticamente immediato, trovandoci sulla stessa lunghezza d’onda in modo del tutto naturale. Lei mi obbediva ciecamente, senza alcun riguardo per le eventuali conseguenze del suo seguirmi dovunque andassi, pronta a frapporsi fra me e qualsiasi altra persona o animale, né si mostrava recalcitrante qualunque fosse la situazione prospettata. Ugualmente, percorreva le scale di casa, in modo instancabile, tutte le volte che salivo o scendevo, intento a qualche lavoro di manutenzione. Infatti, abitare per proprio conto presuppone un certo spirito di adattamento poiché ogni problema va risolto direttamente, non potendo contare sull’intervento di amministratori di condominio e simili. Anche i piccoli lavori, qui per motivi economici, preferivo farli da solo,
sfruttando un po’ la mia esperienza in vari campi lavorativi e molto con l’inventiva e la debita informazione tecnica. Spesso Giada tornava con il muso insanguinato a causa del suo avventarsi contro il cancello quando c’era qualcuno che vi si fermava davanti, in particolare postini e venditori vari, ma non arretrava assolutamente qualunque fosse il danno procuratosi. Lei chiedeva solo di starmi vicino e ricevere coccole e gratificazioni, mai difettate, guardandomi con i suoi occhi davvero umani che mostravano a chiare lettere la sua dedizione e la tenerezza, a dispetto della ferocia ostentata verso gli estranei. A differenza di quanto avviene fra gli uomini, che pure si definiscono civili, Giada non ha mai nutrito interessi diversi da quelli esibiti esteriormente, ossia l’affetto, la fedeltà e la comprensione, d'altronde sinceramente reciproche. Il nostro legame è rimasto sempre solidamente invariato fino alla morte, mentre con mia moglie manteneva un comportamento in due fasi, distinte in base alla presenza. Cioè, se io ero presente attendeva il mio consenso prima di ottemperare alle richieste di mia moglie, altrimenti le obbediva senza addurre alcuna difficoltà. Inizialmente lei pensava che dipendesse dal minor tempo dedicatole, ma il motivo era un altro. La spiegazione la fornì il veterinario, ritenendo che la cagna potesse legarsi completamente ad un unico proprietario, pur accettando presenza e autorità di altre persone. In pratica, a me riconosceva il ruolo di capobranco ed a lei quello di sostituta capobranco.
Le astuzie di Perla
Fin dai primi tempi Perla dimostrò capacità organizzative molto insolite e particolari. Un primo esempio è stato quello della cuccia contesa. Poiché, al fine di evitare problemi con il vicinato, di notte le due cagne dormivano in casa, sempre nella stessa cuccia dello studio, una volta si venne a creare fra di loro una condizione di disaccordo sul posizionamento assunto all’interno della stessa. Ma Perla la risolse a modo suo, correndo alla vicina porta-finestra e abbaiando reiteratamente come se vi fosse un qualche pericolo Subito Giada uscì dalla sua tana per andare a controllare la situazione e Perla ne approfittò per precipitarsi nella cuccia e distendersi nel posto desiderato. La nostra meraviglia e l’ilarità furono esternate pure al veterinario, che affermò di non aver mai avuto cognizione di tanta astuzia in tutti gli animali da lui conosciuti. La sua furbizia mi stupì anche nei casi, divenuti giustamente famosi, della camomilla e dei bisognetti. Nel primo avvenimento, in occasione del suo iniziale calore, ritenendo di agevolarla, pensammo di versare camomilla nella sua ciotola, invitandola più volte a bere. Alla fine Perla, stanca dei solleciti, si convinse ad abbassarsi sul recipiente, facendo schioccare la lingua come se stesse bevendo. Ma, ad un attento esame risultò che il liquido non si increspava e la cagna stava soltanto facendo finta di bere. Naturalmente, abbandonammo subito l’esperimento, fra la solita ilarità collettiva. Nel secondo episodio, poiché all’inizio della vita in comune Perla, diversamente da Giada, si mostrava recalcitrante ad apprendere la regola di espletare i propri bisogni fisiologici in giardino, presi l’abitudine di ricordarle continuamente il principio: “bisognetti fuori” in ogni momento utile della giornata.
Infatti, erano già clamorosamente falliti i soliti espedienti del giornale, degli spray attrattivi, con la misera fine pure degli appositi panni trattati, che lei strappava allegramente. Divenni così ossessivo che la cagna assimilò presto l’idea, facendo anche ricorso alla solita astuzia. Infatti, una volta all’esterno, appena le dicevo: “bisognetti fuori”, si accoccolava come per rilasciare i suoi rifiuti organici e quando la lodavo con un sentito “brava” si allontanava soddisfatta…ma senza aver espulso alcun bisogno! Di nuovo mi prendeva bellamente in giro.
Addestramento naturale
Vorrei precisare, anzitutto, che l’appellativo “ragazze” è derivato dalla constatazione di quanto avveniva quando se ne chiamava una sola. Infatti, si presentavano regolarmente entrambe e né risultò possibile modificarne il comportamento. Fin dal primo giorno insieme, mia moglie ed io non procedemmo ad alcun vero addestramento da manuale nei confronti delle “ragazze”, bensì utilizzammo sempre un normale comportamento discorsivo, evitando ogni deviazione verso la violenza di qualsiasi genere. Ad esempio, eccezion fatta per “seduta” e “vieni”, abbiamo parlato con loro un linguaggio corrente, in italiano, che le stesse, man mano, hanno compreso perfettamente. Così, con: “andiamo a mangiare”, “andiamo a fare una bella eggiata”, “diritto”, “a destra”, “a sinistra”, “aspetta”, “fuori”, ci siamo integrati tutti assieme, realizzando una simbiosi di fiducia e comprensione non certo comune. Invece, con: “si esce o si entra da sopra, da sotto o davanti”, indicavamo le varie vie d’accesso all’esterno: rispettivamente piano superiore cioè studio, piano
inferiore cioè cucina, e porta principale, Però, nel caso di loro azioni di difesa, reale o presunta, non era possibile intervenire. Ad esempio, quando un gatto penetrava in giardino, nonostante la presenza di una recinzione alta circa tre metri, era impensabile trattenere con la voce le cagne dal loro naturale impeto contro gli atavici nemici. In particolare Giada scattava come un fulmine, accorgendosi della presenza di qualsiasi intruso addirittura mentre dormiva o comunque si trovava dentro casa. Perla si era assunta un altro incarico poiché, dopo essere stata la prima a dare il suo allarme sonoro, si scatenava solo in appoggio alla propria compagna, sempre in silenzio e con o felpato quantunque rapido. Questa divisione di compiti durò per sempre, anche per altre differenti circostanze, come se i due animali si fossero messi d’accordo fra di loro, attribuendosi precisi obblighi. Ad ogni modo, quando assumevano decisioni di tale genere, non si riusciva a farle soprassedere, confermando la cocciutaggine della loro razza, ma pure l’innato istinto di tutelare il loro amico bipede ed il corrispondente territorio. Circa quest’ultimo, assicuro per inciso di non aver mai notato il tipico marcare dello stesso con l’urina, che viene descritto nei manuali d’addestramento. Forse bastava ad entrambe che ci fossimo presenti tutti insieme o forse lo consideravano proprio dominio in maniera naturale. Fatto sta che quel caratteristico comportamento non rientrava nel loro modus operandi.
Avventure con altri animali
Le mie boxer si sono dimostrate esclusive e possessive nei confronti dei loro
proprietari e dei loro beni in ogni occasione, e qui voglio narrare alcune delle loro avventure, sia tragicomiche che più serie, con altri incauti animali. Una sera mia moglie scorse dalla finestra un grosso topo che, attraversata la strada dov’erano in corso lavori di scavo per l’adeguamento delle fognature, cercava di penetrare nel nostro giardino. Subito chiamai le “ragazze”, che in quel momento si trovavano dentro casa, e dissi loro: “Andate a guadagnarvi le crocchette che mangiate ogni giorno”. Allora cominciò una caccia, ben coordinata fra le due amiche per la pelle, con Giada che snidava l’indesiderato ospite, dotato peraltro di molta agilità e velocissimo, e Perla che gli chiudeva le vie di fuga. Poi il topo si rifugiò dietro la loro cuccia esterna, ma Giada vi si lanciò dentro, cominciando a demolirne furiosamente la parete posteriore. A questo punto il roditore fuggì nuovamente verso il cancello, ma Perla fu pronta a sbarrargli la strada, dando il tempo a Giada di uscire dalla cuccia e piombare sul ratto. Una zampata ed il povero animale rimase a terra esanime, con il collo spezzato. Ad ogni buon conto Perla lo afferrò subito dopo, sbattendogli più volte la testa contro il muro. Infine, le “ragazze” si misero sedute, vicino alla salma, come a vegliarla, finché non provvidi a rimuoverla. Purtroppo la loro inimicizia verso i gatti non risultò mai sanabile .in alcun modo ed un’effettiva avversione ancestrale le ha sempre spinte a dar loro la caccia. Varie volte i gatti che hanno provato ad entrare nel nostro giardino sono fuggiti lasciando scie di sangue dovute principalmente alle pesanti zampe di Giada che, in una di tali circostanze, tornò da un inseguimento con del pelo bianco in bocca. Ma in un’occasione, era domenica pomeriggio, un grosso gatto decise follemente di non fuggire all’arrivo delle due padrone di casa e, sfoderati gli artigli, si
preparò alla lotta. Però, al suo primo attacco Giada saltò più in alto di lui, rovesciando l’animale con la schiena a terra, mentre Perla gli si buttava addosso schiacciandolo al suolo con il peso del suo corpo e dando modo a Giada di assestargli le sue micidiali zampate. Per fortuna mi trovavo vicinissimo all’angolo dell’insanguinato ring e riuscii a scansare le cagne afferrandole per il collare, consentendo al gatto di mettersi in salvo. Ma l’animale grondava sangue da molteplici ferite e si trascinò fuori del cancello proprio a stento. Pure le “ragazze” risultavano coperte di sangue, evidentemente solo del gatto, perché non presentavano neppure un graffio. Invece, l’incontro con una gallina assunse un carattere essenzialmente comico. Accadde che, approfittando di alcuni materiali appoggiati contro la recinzione, un pollo appartenente al vicino di casa riuscì ad entrare nel nostro giardino. Subito le cagne lo rincorsero, senza grandi velleità offensive, pensando forse di giocarci solamente. Comunque, dopo un breve rimpiattino Giada lo atterrò con la solita zampata ed il gallinaceo restò sul terreno, pancia all’aria ed occhi chiusi. Io mi avvicinai con l’intenzione di rimuovere il cadavere, mentre le boxer stavano nei pressi ad annusare un mucchietto di piume che si erano staccate nel corso dell’inseguimento. All’improvviso, con mia grande sorpresa, la gallina aprì gli occhi, si guardo cautamente intorno e poi balzò in piedi, lanciandosi a corsa disperata verso la recinzione. Non ce l’avrebbe fatta se non l’avessi afferrata un attimo prima dell’arrivo delle cagne, lanciandola provvidenzialmente oltre il muro di cinta. L’animale sopravvisse e non provò più a oltreare il confine, però dimostrò
l’inattendibilità del concetto secondo il quale le galline non brillerebbero quanto a capacità intellettive. Anche i rapporti con gli altri cani non sono mai stati buoni ma, in genere, durante le nostre eggiate esterne, non avevamo problemi, in quanto tutti preferivano tenersi alla larga da noi. Tutti tranne un grosso pastore abruzzese che, in una luminosa mattina di primavera, decise di lanciarsi all’attacco. Giada si acquattò subito in posizione di slancio, preparandosi alla lotta che si presagiva imminente, mentre Perla si tirava indietro. Pensai che avesse paura e invece si trattava di una ben ponderata manovra tattica diversiva. Evidentemente le due amiche avevano immediatamente approntato un loro piano di difesa. Infatti, non appena a tiro, Perla si lanciò a testa bassa sul fianco del bianco cane, che risentì poco dell’urto ma si volse a fronteggiare il nuovo pericolo, e della sua distrazione approfittò Giada per schizzare avanti ed assestargli una zampata sul naso. A tal punto, guaendo di dolore, l’assalitore esitò un attimo e poi fuggì, scomparendo velocemente nella direzione dalla quale era venuto. Purtroppo il loro aspetto poco raccomandabile incuteva timore nei anti, che preferivano girare alla larga dal nostro trio, non potendo certo immaginare di quanta tenerezza fossero capaci le due boxer. Solamente i proprietari di analoghi animali si soffermavano a scambiare qualche parola con me, invece di scansarsi come se fossero al cospetto di pericolosi killer. E devo rilevare che una notevole differenza di comportamento l’ho evidenziata all’estero, in particolare in Francia, dove la gente in strada spesso si tratteneva qualche momento per lodare le mie amiche o, addirittura, per scattare loro delle simpatiche foto.
E tutto ciò al contrario dei turisti italiani talvolta incontrati, che non si sognavano affatto di immortalarle, preferendo allontanarsi al grido di: “Attenzione, scansate i bambini, andiamo via!”. Tutto ciò, probabilmente, era frutto delle notizie dei gravi incidenti aventi per protagonisti cani di grossa taglia, che i mezzi d’informazione sbandieravano con grande risalto ad ogni occasione. In realtà, quando si verificano lesioni ad umani, anche letali, causate da cani apparentemente impazziti, nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di responsabilità dirette dei relativi proprietari. Infatti, animali di certe dimensioni vanno sempre tenuti al guinzaglio, senza lasciarli mai soli in compagnia di bambini piccoli. E uno dei motivi è facilmente intuibile, perché la carezza di un boxer può lacerare la guancia ad un piccino senza averne alcuna intenzione, così come il suo peso, quando si scatena nel gioco, può far cadere in modo drammaticamente rovinoso. Inoltre, è bene conoscere le peculiarità caratteriali di un cane prima di adottarlo. E’ certamente basilare comprendere in anticipo quanto è possibile adattare la propria vita al tipo di animale prescelto, o risulta indispensabile rivolgere la propria attenzione verso un’altra specie. A ciò concorrono tanti fattori di cui non si può non tenere conto, dal tipo di lavoro svolto all’ambiente familiare in cui si andrà ad inserire il nuovo amico, dalle condizioni di salute all’età non soltanto attuale ma che si prevede di raggiungere quando anche l’animale sarà avanti con gli anni, fino alle sue precedenti esperienze di vita, che incideranno molto se ci sono stati abbandoni o maltrattamenti. In ultima analisi, non serve educare i cani se prima non si educano i proprietari.
Avventure con gli animali più pericolosi: gli umani
Mia moglie ed io siamo privi di figli nonostante tutti i tentativi per averne, anche a mezzo adozione, che fra l’altro finì male e con strascichi giudiziari a causa del furto dei nostri documenti di adottabilità, perpetrato in sud America da parte di ignoti. Pertanto, ci eravamo abituati a trascorrere le vacanze estive da soli o con amici e parenti, prediligendo quegli stati esteri senz’altro per noi più abbordabili economicamente. Quella della situazione finanziaria condizionata dal pesante costo del mutuo per la casa è sempre stata una palla al piede, ma siamo riusciti ad aggirarla modellando le vacanze a misura nostra, perseguendo l’obiettivo di conoscere le culture di altri paesi piuttosto che mirare al turismo fine a se stesso. Nel primo anno di vita “canina” compimmo l’esecrabile gesto di lasciare le cagne a pensione, presso persone affidabili e già conosciute dalle dirette interessate. In realtà ci rovinammo la vacanza, pensando continuamente ad esse e telefonando ogni giorno per assicurarci delle loro condizioni, causando fra l’altro discreto fastidio alle dette persone. Al nostro ritorno, dopo una settimana, nel vedere quelle espressioni depresse, i musi smunti e la felicità nel riabbracciarci, decidemmo che non le avremmo più lasciate. Perciò, mollammo treni ed aerei e utilizzammo soltanto la macchina, anche se per mete più vicine, dopo aver provveduto ai aporti delle nuove compagne di viaggio. Fu così che, una sera d’estate dell’anno seguente, ci trovammo a Nizza per la sosta di una notte. All’atto della prenotazione non sapevamo che l’albergo si trovava vicino alla stazione ferroviaria, in una zona poco raccomandabile. Comunque, lasciata mia moglie al sicuro nell’hotel, all’alba uscii con le “ragazze” per i loro bisogni, sempre munito di buste e paletta. Quindi, cominciai a percorrere le vie ed i prati limitrofi in mezzo ad un
paesaggio di imprevisto degrado, con frequenti agglomerati di extracomunitari, riuniti intorno a cartoni e cassette di frutta utilizzate quali alloggi di fortuna. Ad un certo punto uno degli stranieri mi si parò davanti nella penombra, con un oggetto luccicante in mano, apostrofandomi con voce gutturale e minacciosa. Probabilmente parlava arabo e non mi fu possibile farmi intendere con il se e lo spagnolo che conoscevo un po’. Il mio inglese è semplicemente orribile e preferisco non farne uso se non per motivi di stretta necessità. Infine, notando l’atteggiamento sempre più minaccioso dello sconosciuto e sentendo il ringhio sommesso delle cagne, decisi di lasciare di colpo i guinzagli fino alla massima estensione. Istantaneamente le due “ragazze” scattarono all’unisono, come molle represse, mettendo in fuga il malcapitato, tra indecifrabili improperi e senza ulteriori problemi. Nella mia ignoranza in merito, a quell’epoca ancora non sapevo che le boxer potevano agevolmente trascorrere anche un’intera notte senza alcuna esigenza di “bisognetti”. In effetti, soltanto successivamente ci rendemmo conto che sia Giada che Perla non chiedevano di uscire per motivi “tecnici” prima di dieci e anche dodici ore di permanenza al chiuso. Questo elemento ci ha molto agevolato nei momenti di emergenza, ad esempio quando bisognava trattenersi in ospedale per assistere familiari ricoverati e simili. Inoltre, preferivamo tenere le cagne in casa quando eravamo assenti in quanto, nei primi tempi, quando le lasciavamo in giardino furono oggetto di svariati avvelenamenti, evidenziati da vomito e diarrea, per fortuna risolti rapidamente grazie all’intervento dell’amico Roberto, nostro veterinario di fiducia oltre che loro grande estimatore. Difatti, avevamo cambiato veterinario dopo la morte di Giada per aborto, rendendoci conto immediatamente di essere al cospetto di un vero apionato
di animali, ricercatore e studioso della materia di cui vantava già una grande esperienza. E ciò comprova la necessità che ogni attività, specie in campo sanitario, dovrebbe essere svolta solo da chi ne ha vera ione. Ma la ione da sola non basta perché, oltre alla necessaria competenza professionale, occorre dispiegare la buona volontà nell’apprendere e l’umanità nell’applicare. E a tale proposito voglio marcatamente sottolineare che fra lui e Giada si era creato un legame molto profondo, non scalfito dalle pur fastidiose cure che talvolta era costretto a praticarle. Ciò si renderà poi molto evidente nell’ultimo periodo di vita della nostra comune amica.
Avvelenamenti e dintorni
Come anticipato, le “ragazze” furono vittime di svariati episodi di avvelenamenti e atti vandalici, soprattutto nel periodo in cui abbiamo vissuto alcuni anni nella casa antecedente all’attuale. La sua posizione, abbastanza centrale e comoda quanto a servizi commerciali e simili, aveva però il difetto di trovarsi nel quartiere universitario della facoltà di veterinaria. La conseguenza fu che proprio quegli studenti che avrebbero dovuto avere più a cuore il benessere degli animali, si dimostrarono i loro più acerrimi nemici. Gli avvelenamenti, per buona sorte sempre risolti senza eccessivi danni, furono dovuti probabilmente a topicidi e alimenti andati a male gettati oltre il recinto del giardino. Come se non bastasse parecchie volte sorpresi studenti impegnati ad assalire le cagne.
Contro di esse furono lanciati sassi, zolle di terra, frutta marcia e rottami di ferro e legno. Inoltre, attraverso la recinzione, per fortuna di robusto metallo, altri sconsiderati cercarono più volte di colpirle con bastoni, canne di bambù, ombrelli e tubi di ferro. A ciò bisogna aggiungere gli spari con pistole a salve e lo scoppio di buste o palloni appositamente gonfiati proprio a ridosso del recinto, dopo aver atteso che le cagne fossero giunte lì vicino. Ad ogni modo le proteste ed i richiami, anche formali e delle autorità, servirono a poco, limitando le scorribande ma non bloccandole del tutto, costringendoci a tenere le cagne relegate in casa ogni volta che dovevamo assentarci senza poterle condurre con noi. Come purtroppo avviene sovente, alcuni di quei giovani organizzavano spesso festini nelle loro case in affitto, con risse dovute allo smodato uso dell’alcol, e relativi schiamazzi ai quali ogni tanto poneva termine l’intervento della polizia. Anche la droga faceva la sua parte, come dimostrato dal comportamento notturno semplicemente folle degli studenti che poi, al mattino seguente, apparivano in veste molto più sobria. Naturalmente, la responsabilità ricade sempre sulle famiglie d’origine, non sempre all’altezza dei loro compiti educativi, ma non si può escludere pure l’impatto di una società non molto accorta alle problematiche di chi si affaccia alla vita senza disporre di solidi riferimenti costruttivi e non soltanto repressivi. In effetti dare il proprio esempio positivo costituisce in ogni occasione la migliore lezione di vita, di gran lunga superiore alle inutili paternali. Non si può raccomandare ad un figlio di non fumare mentre si tiene la sigaretta in mano, o di non dire parolacce quando il turpiloquio costituisce il proprio pane quotidiano. Rimane da auspicare che quei ragazzi, crescendo e maturando una coscienza più etica e professionale, abbiano cambiato atteggiamento, riconoscendo i propri errori e svolgendo la loro attività di veterinari in modo veramente umano e consapevole.
Interventi davvero provvidenziali
Ancora in Francia, questa volta alle falde dei Pirenei, nella successiva tornata estiva le due boxer mi evitarono un nuovo, diverso pericolo. Eravamo a eggio, sempre al levar del sole, sul prato di fronte all’albergo, quando entrambe si arrestarono bruscamente, costringendomi poi ad una provvidenziale deviazione. Infatti, di fronte a noi c’era un tombino aperto, che non avevo visto a causa della semioscurità. Da rapidi accertamenti risultò che lo stesso era stato rimosso da vandali notturni, ma fu ricollocato al suo posto e transennato già nelle prime ore del mattino. Le due impareggiabili “ragazze” hanno visitato anche Lourdes per due volte, dove mia moglie ed io in precedenza avevamo soggiornato molto spesso, per circa venti volte nel periodo estivo, svolgendovi pure opera di volontariato. Invece, un altro pericolo da parte degli umani si mise in evidenza tempo dopo in Italia, presso la località di Atri, in provincia di Teramo. Quella sera ero uscito come al solito per la eggiata canina nel parco cittadino, proprio in concomitanza della vittoria dell’Italia nel campionato mondiale di calcio. Naturalmente regnava un’atmosfera di generale euforia ma, nel rasentare le siepi in fondo al parco, all’improvviso due giovani dall’aria esagitata mi comparvero davanti, sbarrandomi il o al grido di: “Chi non salta è se!”. Io non vi feci gran caso, dato il clima di festa che si udiva regnare intorno, fra l’incessante rumore di clacson e mortaretti, però i due alzarono subito i bastoni che portavano con loro, non certo utili per festeggiare, nell’imprudente atto di colpire. Il gesto fu sufficiente per far decollare le due cagne che, sfuggendo al mio
controllo, si avventarono sui malcapitati, i quali si poterono salvare solamente con un salto acrobatico, difficilmente omologabile in normali condizioni, spinti da un subitaneo terrore, che li aveva fatti letteralmente volare su di un provvido muretto sito nei pressi. Recuperate le fedeli compagne, non senza qualche difficoltà, proseguii la eggiata senza ulteriori intoppi e molte carezze alle mie eroine. E’ da notare che quando si trovavano al cospetto di realtà pericolose, le due boxer non abbaiavano mai, limitandosi a ringhiare sottovoce, concentrandosi invece sull’azione da intraprendere. Nel corso del tempo trascorso insieme ho rilevato che, a differenza di altri animali, non avevano paura di tuoni e fulmini e neppure di rumori meccanici quali quelli prodotti dalla lavatrice, dal trapano e dagli strumenti agricoli come il tosaerba. Lo stesso dicasi per i famigerati botti di capodanno, in relazione ai quali le abituai a fronteggiarli sul campo, ossia portandole fuori appena terminati i brindisi di mezzanotte, in mezzo agli scoppi in cielo e nelle vie, raggiungendo così la stabilizzazione della loro iniziale emotività rispetto ad un fenomeno che non potevano comprendere, In effetti, nei primi anni si volgevano spesso a interrogarmi con lo sguardo, subito rassicurate da un convinto: “Tutto a posto”. Poi cessarono di preoccuparsi di quel frastuono che, una volta all’anno, gli umani decidevano di scatenare imprudentemente dappertutto. Comunque, non abbiamo mai lasciato da sole le nostre cagne nella notte di fine anno, o simili circostanze, e continueremo a farlo.
Altre avventure a lieto fine
Un limite delle cagne stava nella loro riluttanza a distinguere il pericolo reale da quello potenziale, come evidenziato dai seguenti episodi.
Nel primo caso uno sprovveduto e frettoloso postino, giunto sulla soglia di casa, ebbe la temeraria idea di porgermi la penna per firmare una raccomandata con un gesto brusco, al quale Giada rispose avventandosi all’istante contro il temerario. Costui si salvò da più gravi conseguenze solo perché io, forte dei precedenti riscontri, ero sempre guardingo nei riguardi della mia guardia del corpo, e così fui lesto a trattenerla. Nel secondo avvenimento la vittima di turno risultò rappresentata da un architetto, anche lui un po’ troppo scalmanato. Costui, incontrato mentre eggiavo con le “ragazze”, ebbe l’insana idea di porgermi la mano, in segno di saluto, in modo un po’ troppo diretto e dinamico. Anche stavolta l’incauto fu salvato dal micidiale assalto per mezzo della mia ormai solida esperienza in materia. Poi, si verificò lo spiacevole accidente del bambino dentro l’hotel. Infatti, mentre ci trovavamo in uno degli alberghi che ormai le cagne erano abituate a frequentare senza problemi, specialmente all’estero, una sera c’imbattemmo nella hall in un papà che teneva un bambino di pochi mesi in braccio. Ad un certo punto, purtroppo, lui cominciò a battere piano sulla testa del neonato in segno di gioia, ma Giada interpretò il gesto affettuoso come un’aggressione e balzò avanti in difesa della presunta vittima. Ringhiando furiosamente. riuscì a poggiare una zampa sul fianco dell’attonito padre, ma senza causare danni, prima che potessi fermarla e dopo bisognò affrontare la reazione di entrambi i genitori, palesemente spaventati dall’azione. Riuscii a spiegare che la boxer era intervenuta per puro istinto di salvaguardia del bambino, così com’era congeniale alla sua razza, considerata forse la più idonea alle funzioni di baby-sitter, ma occorse l’ausilio del personale dell’hotel per convincere la risentita coppia della realtà delle cose ed evitare ulteriori esacerbazioni della vicenda. Una reazione cercata, invece, fu quella prodotta da un commerciante che, alla mia esortazione di stare alla larga da me per evitare comportamenti pericolosi da
parte dei miei angeli custodi, pensò bene di sperimentare di persona, avvicinandosi e dandomi all’improvviso una pacca sulla spalla. Conoscendo la logica e presumibile conseguenza, mi ero già preparato a trattenere i guinzagli, ma riuscii ad arrestare le temibili zampe anteriori soltanto a pochi centimetri dal bersaglio. Costui si tirò indietro e assicurò che mai più avrebbe tentato una simile letale esperienza. D’altronde, quando si trovavano all’interno del recinto di casa, cioè “in servizio”, le due “ragazze” non riconoscevano nessuno, pronte ad avventarsi contro il cancello ogni qualvolta che qualcheduno si soffermava al suo esterno, senza intervenire, invece, se si limitava a transitare senza fare soste. E ciò includeva amici e parenti pur conosciuti, con l’esclusione di mia moglie naturalmente, anche se lei era spesso assente per motivi di lavoro e loro trascorrevano con me la gran parte del tempo, specie dopo il mio pensionamento. Però, una volta entrati gli ospiti e constatato che non rappresentavano pericoli, le due “gorilla” si lasciavano andare a vistosi gesti di amicizia, come se un momento prima nulla fosse avvenuto. La loro stabilità emotiva non risultò scalfita neppure durante le prove di controllo dell’equilibrio comportamentale, cui le sottoponemmo a cura di personale specializzato della locale struttura sanitaria. Anzi, tutta la famiglia, costituita ormai definitivamente da due bipedi e due quadrupedi, fu oggetto di lodi sperticate.
Ancora Giada
Come già detto il legame con Giada è stato sempre molto particolare, e con il are del tempo si è rafforzato ancora di più. Un esempio eclatante è stato quello del collasso che ebbi mentre mi trovavo solo
a casa, intento all’opera di cucina. Avevo assunto un medicinale per un’infezione urinaria e, come accadeva spesso, la mia allergia a molti farmaci produsse anche in quel caso un improvviso stato ipotensivo. Non ricordo molto dell’accaduto, ma nella memoria di quel giorno rimane la visione delle cagne che mi spingevano verso i fornelli, dove spensi il gas, e poi crollai su di una sedia, con la testa sul tavolo e del tutto estraneo alla realtà che mi circondava. Quando mi risvegliai, diverso tempo dopo, mi resi conto che le “ragazze” molto probabilmente avevano evitato una catastrofe, in quanto le pentole sul fuoco avrebbero tracimato, spegnendo la fiamma del gas, con le ovvie conseguenze di morte e distruzione facilmente immaginabili. Tempo dopo fu la volta di mia moglie, che in quel momento stava in un’altra stanza, ad avere problemi di ipotensione a causa della calura estiva e l’unica ad accorgersi della situazione fu Giada, nonostante si trovasse accanto a me, correndo da un ambiente all’altro finché non mi resi conto dell’accaduto. La reciprocità non mancava e fu così che un giorno, mentre mi trovavo in automobile dopo aver lasciato le cagne in casa, ebbi la netta percezione che qualcosa non andava e così invertii la marcia, tornando velocemente da dove ero partito. E infatti scoprii che Giada aveva un mal di pancia, per fortuna risolto nel giro di mezza giornata. Era forte anche il legame con Perla e se ne accorse a proprie spese l’addetto alle vaccinazioni antirabbiche quando mi recai per la prima volta presso la competente struttura sanitaria, fra l’altro in via di nuova costruzione, per il rilascio del aporto canino. Accadde che il veterinario, a causa della carenza di spazio fra materiali edili e simili, presenti un po’ dappertutto, incaricò un suo collega di spostarsi in un altro locale per visitare e vaccinare Perla, mentre lui provvedeva alla medesima operazione nei confronti di Giada. Ma quest’ultima, vedendo allontanarsi l’altro con la sua compagna di vita, gli si
scaraventò subito addosso, ringhiando furiosamente. Ci volle tutta la mia forza, e l’aiuto del veterinario, per impedirle di causare danni allo sfortunato sanitario che, ad ogni modo, sbiancato in viso, rifiutò di compiere l’operazione, preferendo attendere che l’altro avesse terminato i propri adempimenti. Comunque, Giada si è mostrata davvero aggressiva, in genere a ragion veduta, solo nei confronti di persone sospette, come quando, camminando in montagna, notò due giovani, catene in mano e bandane sulla testa, che percorrevano la nostra stessa via, convincendoli a spostarsi sul lato opposto della strada a furia di rabbiosi latrati. Anche la prima Giada aveva un carattere simile, ma non attaccava mai se non costretta. Ad esempio, un pomeriggio, eggiando in centro, s’imbatté in un’altra cagna che, dopo averla esaminata ed annusata con apparente benevolenza, all’improvviso l’assalì, mordendole il muso. Superato l’attimo di sconcerto, Giada reagì afferrando l’antagonista fra il collo e l’orecchio e non la mollò più, nonostante che l’altra avesse una mole doppia rispetto alla sua. La cagna guaiva e cercava di scrollarsi di dosso l’indesiderato peso, ma la boxer non lasciava andare la presa, facendosi trascinare da un lato all’altro del marciapiede. La ragazza che conduceva l’attaccante tirava il guinzaglio con tutta la forza, come facevo io dalla mia parte, ma non si riusciva a far staccare i due animali. Alla fine, sentendo la confusione, un veterinario che fortunatamente si trovava dirimpetto, uscì dal suo ambulatorio e, constatata la situazione, convenne che in quel modo non sarebbe mai stato possibile separare le due cagne. Pertanto, avvertendoci di stare pronti a tirare nelle due opposte direzioni, si provvide di un secchio d’acqua. Il provvidenziale getto costrinse Giada a sospendere l’azione per scrollarsi e sottrarsi all’imprevista doccia, consentendoci di districare il pericoloso groviglio.
Il medesimo veterinario provvide poi a suturare la ferita, non grave, inferta all’animale, mentre la proprietaria riferì che forse tutto era dipeso dalla condizione di gravidanza isterica dello stesso. L’evento fornì la riprova della caratteristica dei boxer che, in quanto molossoidi, dispongono di un muso accorciato e labbra abbassate, che consentono loro di non mollare la preda né per respirare e neppure con il sangue che scorre sulle guance. D’altronde, non si può dimenticare che anticamente il boxer era utilizzato per la lotta contro i tori e, solo dopo secoli di trapianti e modifiche sostanziali della razza, si è pervenuti al cane che oggi si ammira nella sua giusta dimensione. Allo scopo di ridurre eventuali rischi, in realtà dimostratisi sempre inesistenti, ho spesso fatto ricorso all’intervento personale per far scaricare l’aggressività delle mie cagne. Ovvero, ho preferito combatterci, opportunamente vestito, ogni volta che notavo la voglia di scatenarsi, trasformando in gioco i loro assalti nel giardino di casa, abituandole ad afferrare solo le maniche e tirare, mimando azioni che, talvolta, hanno avuto involontari riscontri un po’ violenti, con Giada che rimediava una manata sul naso o un mio braccio graffiato nonostante l’imbottitura.
Di nuovo Perla
Perla ha spesso fornito prove tangibili della sua astuzia in molteplici circostanze. Quando, per via di un eggero problema intestinale, doveva seguire una breve cura a base di pillole, dichiaratamente appetibili per i cani, ne fece un’altra delle sue. Avevo celato la pasticca in mezzo alla normale pappa ma, conoscendo le sue iniziative imprevedibili, rimasi a controllare la situazione durante tutto il pasto. Pertanto, vidi che la cagna, evidentemente refrattaria alla medicina, dopo essersi guardata intorno come a cercare un nascondiglio, si accostò alla ciotola di Giada
e vi sputò dentro la compressa. A quel punto feci ricorso ai vecchi trucchi, sempre utili, di occultare il medicinale dentro una fettina di prosciutto, opportunamente arrotolata, o in mezzo ad un pezzetto di wurstel. Un’altra volta, sul finire dell’inverno, stanca della coperta che insistevo a tenere nella cuccia, risolse la questione a modo suo. Difatti, una mattina non trovai più la coperta e comincia a lambiccarmi il cervello per capire dove potesse essere finita, considerando che non appariva in alcun angolo della casa. Solo a fine settimana, al momento della pulizia della cuccia, l’arcano venne risolto, con stupore ed ilarità. Non so come avesse fatto, ma la coperta si trovava sotto il suo materassino e, cosa assolutamente incredibile, risultava ripiegata con accuratezza e del tutto nascosta alla vista. Invece, un avvenimento senza spiegazioni apparenti, fu quello della statuetta, raffigurante un’immagine religiosa, che Perla un bel giorno decise di trasportare dentro la cuccia, restando poi a guardarla, come in preghiera, senza farle alcun danno. La stranezza di tale comportamento sta nel fatto che la statuetta era sempre stata a breve distanza dalla cuccia e né prima e né dopo la cagnetta vi aveva dimostrato interesse. A tale proposito occorre evidenziare che entrambe le “ragazze” non hanno mai causato danni a oggetti o suppellettili della casa. Ammetto che la solita Perla, dopo quello in cui era davvero cucciola, ha attraversato un periodo in cui mordicchiava mobili e affini, ma si trattò del momento in cui, trovandosi in evidente sovrappeso, la costrinsi ad un periodo di dieta forzata. E’ anche vero che fin da subito svolgere le pulizie domestiche cominciò a trasformarsi in un serio problema, in quanto Perla cercava di afferrare la scopa a
tutti i costi, evidentemente scambiando le setole per il pelo di qualche sconosciuto animale, ma poi imparò che la ramazza non costituiva alcun pericolo reale. E qui commisi un errore perché, allo scopo di evitare che spiumassero una granata, mi venne in mente di dire loro: “Fate la guardia alla scopa” e immediatamente le due boxer si posero davanti alla ramazza, senza più muoversi. Ci volle un po’ per convincerle a mollare l’oggetto della loro attenzione ed evitare che ogni volta, in presenza del citato arnese, si comportassero nella stessa maniera.
Tutto insieme
Ora vorrei descrivere quanto ho avuto modo di osservare nei riguardi delle mie boxer. Anzitutto sono sempre state in simbiosi fra di loro avendo vissuto veramente a stretto contatto fisico: hanno mangiato e dormito insieme, sono state a eggio affiancate, condotte presso il veterinario in coppia pure se l’interessata era una soltanto, hanno ricevuto coccole in contemporanea e in ugual misura. Per tale motivo hanno pure subito il pauroso terremoto che sconvolse L’Aquila, causando tante distruzioni e centinaia di morti. Quella notte si trovavano nella loro solita cuccia, ma non mostrarono alcun timore, uscendone fuori per guardare, con stupore, le suppellettili più piccole che cadevano intorno a loro. Per fortuna la casa non registrò danni apprezzabili, anche se mi preoccupai di metterle subito in salvo facendole andare in giardino, mentre con mia moglie restavo in casa per conoscere le notizie che si rincorrevano in televisione. La nostra città, che certamente non dista lunga distanza dall’epicentro del sisma, non registrò vittime ma solo danneggiamenti materiali, alcuni davvero evidenti.
Anche in occasione del successivo sciame sismico le cagne non mostrarono né di avvertire in anticipo le scosse e neppure di farvi alcun caso, diversamente da quanto comunemente supposto. Secondo il parere di molti, infatti, i cani avvertirebbero in anticipo ogni sommovimento della terra. Invece hanno sofferto parecchio il caldo ad ogni stagione estiva, che cercavo di alleviare con frequenti spruzzi di acqua e posizioni più ombreggiate possibili. In particolare, in occasione dei viaggi all’estero, compiuti sempre in estate a causa delle ferie da fruire, per motivi di lavoro, nel solo mese di agosto, ad ogni sosta ero costretto a bagnare le foderine impermeabili dei sedili per farle riposare in modo più accettabile. E tutto ciò in aggiunta all’essenziale presenza dell’aria condizionata in macchina. E’ ovvio che ogni volta trasportavamo abbondanti provviste di acqua, cibo e medicine, rendendo il veicolo alquanto sovraccarico ma del tutto indipendente per un certo tempo. Cioè, una specie di casa viaggiante, riducendo lo spazio per noi in favore di quello destinato alle cagne. Comunque, durante i lunghi viaggi, le due boxer in genere hanno dormito beatamente, nonostante l’handicap del loro naso corto che le rendeva maggiormente esposte agli effetti della calura estiva, come evidenziato dal respiro reso più forte e ritmato, che scherzosamente definivamo “treno in corsa”. Dell’insofferenza verso altri animali e persone, per via della possessività ed esclusività relativamente ai proprietari, ho già parlato, però devo aggiungere che i loro trenta chili di affetto hanno sempre avuto carattere di generosità e lealtà senza limiti. Si sono prodigate per noi anche se malate o stanche, reagendo con tutte le forze disponibili in ogni situazione in cui ravvisavano un eventuale pericolo per i loro amici-proprietari. Non altrettanto posso dire di me, ad esempio quando al mattino presto mi recavo
in silenzio nel tinello a fare colazione, badando a non causare alcun rumore per non destarle dal loro meritato sonno, ma poi finivo con il sentirmi osservato e, alzando lo sguardo, mi accorgevo dei quattro occhi che mi fissavano con rimprovero. Naturalmente, smisi presto l’antipatica abitudine, condividendo con loro pure quei minuti di rilassamento. Era di prammatica che, in qualsiasi condizione e circostanza, come testimoniato dagli stupiti familiari presenti, avvertissero precocemente il mio ritorno. Come diceva mia moglie, anche se parevano dormire, all’improvviso si portavano davanti alla porta del garage e, puntualmente, poco dopo rientravo a casa. Lo stesso dicasi per quanto concerne le presenze ipoteticamente ostili, ad esempio gatti in giardino o persone davanti al cancello, pure nel mezzo della notte. Non dimenticherò mai quegli occhi languidi in cerca di coccole e le loro lotte in apparenza feroci e in realtà innocue, inframmezzate dalle pulizie personali che si scambiavano reciprocamente a base di leccate su tutto il corpo. A proposito di lavaggi, fare il bagno alle boxer presupponeva l’accortezza di munirsi di apposita tuta impermeabile prima di cominciare le operazioni, perché lo scrollarsi l’acqua di dosso e schizzarla tutto intorno era di inevitabile prammatica. In genere usavo una capace tinozza ma occorreva sollevarle di peso perché rifiutavano regolarmente di entrarvi. Però, una volta immerse nell’acqua tiepida si rassegnavano docilmente al loro destino. Ciò avveniva soltanto poche volte durante l’anno perché i cani dispongono per loro natura di oli essenziali sul pelo, che lo rendono refrattario al bagnato e, pertanto, le frequenti lavature ne avrebbero potuto alterare quelle importanti caratteristiche. Ovviamente, l’uso dei prodotti necessari per evitare scomode coabitazioni era
ed è costante, ma in tanti anni non abbiamo mai rilevato problemi di tipo igienico.
Affetto ricambiato
L’affetto che ci ha legato è stato sinceramente vicendevole e non possiamo dimenticare i tanti momenti di serena aggregazione e simpatia che, senza dubbio, chi non ha mai vissuto con amici a quattro zampe non riesce a comprendere. Non abbiamo mai avuto motivo di rammaricarci delle nostre rinunce alle vacanze di un tempo ed ai lunghi viaggi, come pure gli altri sacrifici, in realtà non veramente tali, sempre compensati dalla dedizione delle due vere amiche. Non ce ne saranno più di uguali a loro, ma non mancherà lo stesso affetto, ricostruendo comunque la medesima biunivocità, imparando nel tempo ad apprezzare le qualità delle nuove compagne di vita, così come avvenuto per le precedenti. Nel frattempo non scordiamo le tante lunghe eggiate in allegria, poi man mano ridotte a causa dell’inesorabile avanzare dell’età, beninteso quella di tutti. A questo punto voglio spezzare una lancia in favore degli animali e di chi li apprezza, riflettendo che il pregiudizio nei loro confronti equivale a quello dell’antico razzismo esercitato con la tratta degli schiavi importati dai paesi africani. Inoltre, considerare gli animali, ed i cani in particolare, esseri inferiori perché hanno un linguaggio diverso dal nostro è conforme alla discriminazione di chi ritiene gli ebrei esseri inferiori, perché portatori di una religione diversa, o ritiene inferiori anche i negri in quanto aventi una differente colorazione della pelle. D’altronde, riflettendo solo un poco si può evidenziare che i cani hanno un cuore, uno stomaco, due polmoni, due occhi, due orecchie e quattro zampe proprio come noi. Cambia il linguaggio, perché noi ci perdiamo in tante lingue diverse, altra causa
di separazione dei popoli, mentre essi utilizzano sempre la stessa lingua, cioè l’abbaio. I sentimenti sono praticamente comuni, però negli animali non esiste la crudeltà degli umani e quando ricorrono alla violenza lo fanno solo per sopravvivere. A tale proposito va notato che i pur bravi traduttori di tutte le lingue umane, non riescono a interpretare quella canina, e di altri animali, se non in minima parte. In effetti il vecchio adagio: “Chi non ama gli animali non ama neppure gli umani” lo si può spesso riscontrare nella realtà quotidiana, con le persone che maltrattano sia i propri simili che le cosiddette bestie, dimostrando una paurosa povertà di sentimenti umani e guadagnandosi a pieno titolo, essi stessi, il giusto appellativo di bestie. Come dicono in Francia: “Ennemi des animaux ennemi de l’humanité”
Amore anche in malattia
Purtroppo, con il trascorrere degli anni, è arrivato il periodo delle malattie, e pure in questo capitolo le due boxer ci hanno fornito lezioni di vita davvero impensabili. Con incredibile solidarietà abbiamo visto Giada sorreggere Perla nei tristi giorni dell’ictus, affiancandola sulle scale e stringendola al muro per farle mantenere l’equilibrio. Si tirava anche indietro per consentirle di bere prima di lei, lasciandole a disposizione la propria ciotola del cibo. Quella dell’ictus è una pagina da narrare nello specifico perché al dolore per l’evento si è connessa una dimostrazione di senso di umanità inimmaginabile. Terminate le vacanze estive, una domenica mattina del mese di agosto 2007, al momento di ripartire da Cannes, in Francia, Perla mostrò all’improvviso segni di confusione nel movimento.
Addirittura cadde nell’atto di espletare un bisogno fisiologico, rialzandosi subito dopo ma tenendo la testa inclinata sul lato destro e deambulando con evidente difficoltà. Realizzammo immediatamente un grave problema cerebrale e partimmo di gran carriera verso il confine. Nel primo pomeriggio, evitato il rispetto di ogni limite di velocità, eravamo già nella nostra città, saltando pure la sosta per il pranzo, e ci recammo dall’amico veterinario, già contattato per telefono e resosi disponibile nel suo studio nonostante la giornata di riposo. Roberto, esaminata la boxer, concluse che, scartata la prima ipotesi di una disfunzione del labirinto uditivo, quella dell’ictus era senz’altro la diagnosi più attendibile e decise di intervenire seduta stante per cercare di salvare la vita alla cagna, sempre guardata a vista dalla sua preoccupata amica Giada. Il veterinario, come ci aveva già avvertito, ricevendo il nostro assenso, si assunse una grave responsabilità nell’iniziare a praticare una terapia in dosi massicce di anticoagulanti e altri farmaci ritenuti idonei a debellare la malattia, altrimenti mortale, cioè ricorrendo ad un trattamento molto pericoloso e sconsigliato dai sanitari del settore. La cura proseguì anche nei giorni seguenti, con lunghe sedute di fleboclisi alle quali la cagna si sottopose senza ribellarsi, da me tenuta in braccio per tutto il tempo, con a fianco la compagna che non le staccava gli occhi di dosso. Poi, il principio del :”O la va o la spacca” risultò vincente e Perla tornò rapidamente alla vita normale, con i soli effetti collaterali della tendenza a inclinare la testa verso destra ed un tremito alla zampa posteriore destra quando si trovava in condizioni di particolare sforzo. Il destino volle che la stessa boxer, l’anno seguente, dovesse sopportare una nuova sofferenza, costretta a subire un intervento chirurgico di isterectomia a causa di estese emorragie recidivanti. Ma pure questa volta tutto andò bene, con l’organizzazione qualitativa affidata magistralmente al solito Roberto, e Perla non manifestò più seri problemi di alcun genere, sottoposta però a somministrazione di farmaci per via orale vita natural durante, allo scopo di mantenere stabile e definitivo il suo stato di
benessere. La situazione sanitaria di Giada si presentava più varia ed articolata poiché il suo apparato digestivo, come sovente si rileva nella sua razza, risultava un po’ delicato, con fenomeni di lievi gastralgie in occasione di qualsiasi alimentazione al di fuori del suo standard. Comunque lei, in tali occasioni, palesava subito il problema, appoggiando il fianco alla mia gamba, in attesa del massaggio alla pancia che le alleviava il dolore. Inoltre, la sua vita dinamica e altruistica fu causa di alcuni collassi, prontamente risolti senza interventi esterni, quando, nonostante fosse in stato di pesante stress fisico ed emotivo, si lanciava contro gli sconosciuti fermi al cancello di casa. Ciò avveniva, ad esempio, nei momenti in cui, dopo il pasto e numerose corse sotto il cocente sole estivo, si tratteneva a saltare in giardino prima di scagliarsi contro il solito cancello. Al contrario, cadeva in depressione e rifiutava anche il cibo quando io ero assente, come nell’unico caso della pensione estiva. E’ sempre stata la mia ombra, come di lei lo era Perla, con atteggiamenti che non so descrivere ma la cui sensazione mi rimarrà nel cuore per tutta la vita. Poi, al compimento del decimo anno di età, considerata veneranda per la sua razza, Giada cominciò a manifestare i prodromi della sua definitiva malattia. Dall’ingrossamento di un capezzolo si evinse che le era subentrato un blocco del latte nella mammella, definito in gergo medico tecnicamente organizzato, che presto si trasformò in tumore proliferante. Questa volta il veterinario escluse a priori l’intervento chirurgico, a causa dell’età che molto probabilmente ne avrebbe causato la morte direttamente sotto i ferri. E così cominciammo il calvario delle cure palliative e solo ritardanti, proprio come avviene per gli umani, a base di antibiotici, antidolorifici e, non di frequente, prodotti a base di cortisone.
Per qualche tempo la situazione parve cristallizzata, con la cagna intenta alle sue solite occupazioni, ma una notte ebbe un’improvvisa crisi, con crollo della temperatura e stato ipotensivo generale. All’alba sembrò che la fine fosse prossima ed io rimasi sveglio per tenerla in braccio, sussurrandole parole di incoraggiamento, impotente di fronte al suo sguardo velato ed alla quasi immobilità del corpo. Invece, nuove energie tornarono di colpo a scuotere le sue zampe e, al momento dell’intervento di Roberto, la crisi risultò presto superata in modo davvero miracoloso... Secondo il parere del veterinario si era trattato di un’infezione intestinale complicata da una reazione allergica ad un medicinale. Ancora un periodo di relativa serenità e poi il male tornò all’attacco, con il tumore che si espandeva verso la zampa anteriore prima e la posteriore in successione. La coraggiosa boxer continuò a lottare, pur se camminava con fatica e, in tale frangente, Perla intervenne com’era avvenuto con lei, sorreggendola sulle scale e stringendola contro il muro per consentirle un appoggio più sicuro. Con il cuore stretto dall’emozione sono stato testimone dell’affetto di Perla, quando con la zampa spingeva la ciotola del cibo verso Giada zoppicante, che mostrava difficoltà ad avvicinarsi. Fino all’ultimo Giada non ha mai smesso di fare i suoi bisogni solamente in giardino, dimostrandomi tutto il suo attaccamento pure nei momenti più difficili. Non potrò mai dimenticare i suoi sforzi per mettersi davanti a me, a proteggermi quando venivano in casa altre persone. Anche se dopo crollava per lo sforzo, non mancava mai di trascinarsi in posizione di difesa, non trascurando neppure di farmi festa quando rientravo a casa, cedendo poi spesso con un collasso alla fatica di alzarsi sulle zampe posteriori. Dal Cielo Qualcuno le ha voluto regalare un secondo miracolo quando, nell’inverno del 2010, è di colpo migliorata, tornando pure a camminare in modo
quasi normale. Forse fu l’effetto delle cure o, più probabilmente del grande affetto che ci legava reciprocamente, ma quello risultò il migliore periodo della sua vita prima della fine. Anche il veterinario, che parlava apertamente di avvenimento inspiegabile perché il tumore si era esteso ancora di più, nutriva, abbondantemente ricambiato, un grande affetto istintivo per la cagna, che travalicava il normale impegno professionale. D’altronde, la sua ione per gli animali, l’umanità costantemente dimostrata e l’impegno al di fuori dei comuni canoni del suo lavoro, lo hanno sempre collocato su di un gradino più in alto rispetto a tanti suoi colleghi, attratti solo dalle prospettive di guadagno economico. Sono state innumerevoli pure le telefonate che ci siamo scambiati, anche più volte al giorno, per aggiornarci di continuo sulle condizioni della brava cagna.
La fine, anzi il ritorno
La sera del 31 dicembre 2010, mentre il mondo esterno festeggiava l’imminente arrivo del nuovo anno, Giada ebbe un nuovo cedimento strutturale, pur continuando a lottare strenuamente contro il male che la devastava con maggiore foga. Ormai non poteva muovere che pochi i e non riusciva a deglutire il normale pasto. Ho continuato ad incoraggiarla, cercando di non dare segno della grande tristezza che mi stringeva il cuore. Nel frattempo la portavo in braccio da un piano all’altro, dalla cuccia al giardino e viceversa, per consentirle di adempiere alle sue funzioni fisiologiche che, fino all’ultimo giorno, non ha mai smesso di riservare esclusivamente al suo terreno casalingo.
Per ovviare al problema alimentare, dopo il ricorso ad alcune sedute di fleboclisi, l’ho imboccata come un bambino con prodotti omogeneizzati e, in tal modo, è vissuta ancora varie settimane. Ma il veterinario, durante l’ultimo controllo, quando vide le sue condizioni molto peggiorate, pianse sconsolatamente, fingendo un improvviso raffreddore. Il peso della cagna dai suoi circa 30 chili era paurosamente sceso a meno di 24, però i suoi occhi brillavano della solita luce di affetto quando ci guardava. Nonostante tutto si mostrava sempre reattiva a quanto la circondava, continuando in tal modo a partecipare alla vita familiare, anche se a malapena si poneva seduta e, più raramente, in piedi. Nel frattempo Perla comprendeva la situazione e non mancava di farle sentire il suo appoggio, restandole sempre vicino e cercando di aiutarla come possibile. Ad esempio, non andava a mangiare se non alimentavo pure Giada, pronta ad abbaiare verso di me quando non prendevo subito la sua amica in braccio per la solita uscita dopo il pasto. La situazione precipitò la sera del 21 gennaio quando Giada, appena mangiato, si allungò verso la ciotola dell’acqua posta al suo fianco, crollando dopo qualche sorso. Si rianimò subito dopo, per vomitare però tutto il cibo ingerito, continuando a rimettere ancora nel corso della notte. Voglio qui ribadire che Giada non aveva mai emesso lamenti durante tutto il decorso della malattia, dimostrando ancora una volta il suo carattere improntato ad un coraggio difficilmente eguagliabile. Intanto, avevo già rilevato una consistente diminuzione della temperatura corporea, insieme agli altri segni premonitori come il biancore delle mucose gengivali, e immediatamente avvertii il veterinario. Nonostante il giorno seguente fosse sabato, perciò di chiusura del suo ambulatorio, Roberto s’impegnò ad aprirlo di primo mattino, subodorando comunque l’ineluttabilità dei fatti.
Il 22 gennaio lo ricorderò, e non soltanto io, come una giornata dal carattere davvero eccezionale. In effetti, trasportate entrambe le “ragazze” presso l’ambulatorio, non mi stupii di non trovarvi il dottore, poiché nella notte aveva nevicato in abbondanza e c’erano difficoltà di transito sulle strade intorno. Quando finalmente giunse, Roberto raccontò la sua avventura ai limiti del trascendentale. Era partito in orario da casa sua, costretto però ad arrestarsi poco dopo a causa di alberi che ostruivano il aggio. Dopo aver deviato su di una via secondaria, all’improvviso si era ritrovato con il veicolo sbandato, inclinato da un lato e con due ruote oltre il ciglio di una scarpata. Nel tentativo di spostarlo aveva pure perduto il cellulare tra la neve, ma ogni sforzo era parso inutile. Poi, risalito a bordo per l’ultimo tentativo di liberare il mezzo, prima di proseguire a piedi, di colpo aveva sentito spingere il veicolo da una forza quasi sovrannaturale, ritrovandosi sulla carreggiata senza sapere esattamente in quale maniera. A quel punto, chiunque altro avrebbe abbandonato l’impresa, ma il suo unico pensiero era quello di raggiungere la città e la sua amica Giada, che aveva bisogno di lui. Giunto al cospetto della cagna, comprese subito che ormai era giunta la fine della sua avventura terrena, quantunque ipotizzasse una terapia disperata, dichiaratamente inutile. Infine, mentre eravamo incerti se tentare davvero un vano rimedio oppure praticare l’eutanasia per non prolungare quella che ormai appariva soltanto una lenta agonia, improvvisamente Giada guardò me e il veterinario con il suo solito sguardo pieno d’amore e riconoscenza, si piegò sul lato destro e smise di respirare. Con le lacrime agli occhi Roberto si lanciò in un estremo tentativo di
rianimazione, ma la nostra grande amica aveva già intrapreso il suo viaggio verso l’eternità di un mondo migliore. Erano le ore 10 e non restavano da compiere che i tristi adempimenti del caso. Con il pianto negli occhi e nel cuore, mi premurai di ricondurre Perla in macchina, confortandola come potevo, prima di rientrare nel luogo dove la mia Giada aveva vissuto gli ultimi istanti della sua vita comunque piena di gratificazione. Avevo tanta pena nel cuore ma la speranza e la certezza della resurrezione di tutti gli esseri viventi mi forniva la forza di assistere a tutte le necessarie operazioni. Mi colpì in modo particolare l’estrema delicatezza del veterinario, ancora con gli occhi umidi, nel comporre e pulire la salma, come se volesse evitarle altri dolori che lei, ovviamente, non poteva più avvertire con i sensi degli esseri umani. Fortunatamente mia moglie non era presente, occupata com’era nel suo lavoro, ma ciò non le impedì di versare altre calde lacrime quando conobbe la funesta novità. Per la cronaca completo questa penosa pagina precisando che, a causa della pioggia subentrata alla neve, provvidi alla sepoltura della mia amica con la A maiuscola soltanto l’indomani mattina. Fu un’operazione resa difficoltosa dal fango che permeava la terra e ancora avvenne un episodio a dir poco insolito. Dopo aver composto Giada, già nella regolamentare custodia di plastica pesante, in un capace contenitore gommato con ruotine, in origine adibito a scatola sottoletto, fu necessario l’aiuto di mia moglie per compiere il suo trasporto al limite del giardino. All’improvviso il suo peso mi era sembrato insostenibile e già avevo più volte disperato di riuscire a scavare una fossa adeguata, sempre a causa della mia spossatezza. Poi, mentre stavo per trascinare il mesto fardello fino al luogo della sepoltura, alla fine realizzata con sforzi che mi erano sembrati immani, di colpo mi folgorò
il pensiero che proprio non meritava di essere trascinata nel suo ultimo viaggio. Così, preso da nuova energia, strinsi fra le braccia la mia cara Giada e, come avevo fatto tante volte negli ultimi giorni, percorsi i quasi venti metri di distanza dalla fossa abbracciandola forte. Non mi vergogno di dire che avevo gli occhi velati mentre ricoprivo di terra la tomba, in muto dialogo con l’estinta. Sono consapevole che tutto ciò può sembrare follia agli sguardi di chi non ha mai avuto la fortuna di possedere simili veri amici, ma sono altrettanto consapevole che tutte quelle persone che vivono con animali, che amano e che da essi sono riamati, possono comprendere molto bene il mio stato d’animo. Quella domenica Giada fu al centro delle mie preghiere poiché sono convinto, a prescindere da ogni fede religiosa, che la morte non esiste, bensì corrisponde semplicemente ad un cambiamento, in meglio, di vita svincolata in eterno da tutte le pastoie della dimensione materiale. In pratica, secondo me il corpo è solo il vestito dell’anima, da utilizzare al meglio finché dura, rattoppare quando è rovinato, ossia malato, e mettere via quando non è più possibile adoperarlo, con l’anima che sopravvive integralmente e torna comunque nel suo ambiente naturale, al cospetto del Dio di tutti.
Ricomincia l’avventura
Dopo la scomparsa di Giada, com’era prevedibile, Perla cadde in depressione e perciò iniziammo subito la ricerca di una sua nuova compagna. Nel frattempo non la lasciammo mai sola, restando a casa a turno quando non era possibile portarla fuori. Eravamo consapevoli che la nuova Giada non sarebbe mai stata paragonabile alla precedente, che sarebbe rimasta sempre ineguagliabile nelle sue peculiari caratteristiche, ma possedevamo la certezza di riservarle tutto l’affetto e la
dedizione possibili. Avuta notizia della presenza di una boxer, con meno di un anno di età, abbandonata in un canile, andammo subito a vederla, rimanendo colpiti dalla sua linea particolare. Infatti si trattava di una boxer tigrata, incrociata con un bulldog, la cui conformazione bene rispecchiava, in maniera armonica, entrambe le razze. Soprattutto i suoi occhi chiedevano di poter vivere di nuovo fra esseri umani, senza tema di nuovi abbandoni. Seduta stante decidemmo di accoglierla nella nostra famiglia però, al momento di andare via, notammo una cagna di colore nero, dall’aspetto molto deperito, il cui sguardo ci folgorò: era lo stesso sguardo intenso e profondo della nostra Giada! Al momento non dicemmo nulla e tornammo a casa con l’identico pensiero nella mente. Il tempo di parcheggiare e poi telefonai al canile, chiedendo di poter adottare anche l’altra boxer, che risultava frutto di un accoppiamento fra boxer e rottweiler. Comunque, avremmo dovuto attendere parecchi giorni prima di poter prelevare le cagne, in quanto sarebbero state prima sottoposte ai controlli del caso, sterilizzazione e sverminazione. Il 9 febbraio, finalmente, ci recammo a prendere le due nuove compagne, delle quali la nera si sarebbe chiamata, com’era ovvio, Giada e la tigrata Ambra, ancora un nome opportunamente scelto da mia moglie. I primi giorni sono stati, come prevedibile, un po’ difficili per far abituare le nuove “ragazze” alla diversa realtà di vita, in particolare nei confronti di Perla, oggetto di repulsione da parte di Giada. Poi la situazione è andata nettamente migliorando, con le cagne che hanno cominciato a legare fra di loro, dividendo anche cuccia e giocattoli, con una evidente acquisizione di fiducia nei nostri confronti.
Per quanto riguarda Giada il suo stato di denutrizione, evidentemente dovuto all’abbandono, è stato man mano superato con un’adeguata alimentazione, ma ci ha riservato una sorpresa. Infatti, quasi da subito, ha assunto gli stessi atteggiamenti della sua illustre omonima, attaccandosi a me senza mai mollarmi, e fermandosi negli identici luoghi e posizioni dell’altra. Pure con il veterinario si è mostrata molto disponibile ed affettuosa, al punto da indurre Roberto ad affermare che forse l’anima di Giada era trasmigrata in lei. Purtroppo i maltrattamenti senz’altro subiti hanno lasciato il loro segno, con paure iniziali alla sola vista di ombrelli e ramazze, oltre ai terribili incubi notturni, ormai quasi tutti sorati con l’elargizione di tanto affetto, pazienza e comprensione. Ambra si è dimostrata più indipendente, però maggiormente incline al gioco, affiancata da Perla che finalmente ha trovato una compagnia in grado di rompere la solitudine e colmare almeno in parte il vuoto lasciato dalla scomparsa della sua migliore amica. A questo punto la metamorfosi sembrava completata, ma la sorte ci riservava ancora una sorpresa.
La sorpresa
Informato dal veterinario che presso un’associazione animalista era stato appena ospitato un boxer fulvo, non frutto di incroci, preso da non so quale curiosità, mi recai a conoscerlo e, nel giro di pochi istanti, la decisione era presa. Tornato insieme a mia moglie, pure lei fu d’accordo nell’adottare il nuovo futuro membro della famiglia e così, alla vigilia di Pasqua, portammo a casa Rocky. Di primo acchito si trattò di una delusione perché il cane, forse perché era un maschio molto giovane o reduce da probabili maltrattamenti e abbandoni, si dimostrò molto ostile, tentando di morderci in varie occasioni e attaccando briga
con le altre cagne. Per un momento pensammo anche di riportarlo nel canile ma poi ci accorgemmo di una seria infezione ad un occhio e ci preoccupammo, prima di tutto, di farlo curare. Purtroppo fu necessaria la muola, che non avevo mai usato nella mia vita, per consentire al veterinario di effettuare i necessari controlli e poter intraprendere una cura risolutiva senza correre troppi rischi per la propria incolumità fisica. In effetti l’infezione è stata debellata, ma l’occhio è rimasto parzialmente leso in modo permanente. Comunque, visti falliti tutti i tentativi di ricondurre alla ragione il bellicoso animale, un giorno in cui nuovamente cercava di mordermi, decisi di are alle maniere forti e afferrai Rocky letteralmente per il collo, stringendo con forza e bloccandolo al suolo. Quando lo lasciai, stentò un po’ a riprendere fiato ma poi si mostrò più malleabile. Allora fu chiaro che il cane stava cercando di imporsi quale dominatore della famiglia, non so se per sua naturale tendenza o esperienze acquisite, e allora non restò che agire di conseguenza. Ricorrendo alla forza, pur senza picchiarlo davvero, qualunque fosse la circostanza, costrinsi man mano Rocky alla difensiva finché, un bel mattino provò ancora ad assalirmi mentre mi trovavo sul terrazzo, intento come al solito ad avvicinare gli animali fra di loro. Sfruttando le arti marziali di cui avevo fatto pratica in gioventù, ebbi la fortuna di poterlo rovesciare su di un fianco e di stringerlo subito alla gola, facendo leva con un braccio attraverso la ringhiera e spingendolo a terra con l’altro. Debbo confessare che per un attimo ebbi la folle tentazione di stringere sino alla fine, ma poi lo lasciai, minacciando di sparargli un colpo in testa se ci avesse riprovato. Invece, tossendo e barcollando il cane mi si avvicinò, con aria contrita, e
cominciò a leccarmi le mani. In quel momento aveva riconosciuto che ero io il capo branco e lui mi doveva cieca obbedienza. Da quel giorno Rocky è diventato la mia guardia del corpo, mi segue dovunque vada e non tollera che qualcuno mi si accosti o si avvicini al cancello di casa, pronto ad avventarsi esattamente come faceva la compianta Giada. L’immediato lato negativo della vicenda è consistito nel fatto che non accettava neppure la vicinanza di mia moglie, ringhiando minacciosamente quando provava ad affiancarmi. Ancora una volta ho usato il sistema del bastone e della carota, convincendolo a poco a poco che il suo atteggiamento andava rivisto, finché non ha compreso e si è deciso a cambiare. Ora chiede anche a lei le coccole, naturalmente ricambiato, e tollera sempre meglio la presenza di Giada, con cui si era scontrato in precedenza, dimostrando inoltre una non comune capacità nel comprendere al volo quanto gli si dice. Insomma, il periodo di assestamento familiare fra tutti noi prosegue con sempre maggiori progressi, e presto lo potremo ritenere completamente superato. E’ rinato lo spirito di avventura e, nonostante l’inesorabile avanzare dell’età, la nostra vita è tornata ad essere colma di valori umani e a questo punto concludo con un doveroso e sincero: “Grazie ad ogni Giada, a Perla, ad Ambra e a Rocky, grazie di vero cuore!”.
Foto n.1: Il primo cane della mia vita è stato un volpino di nome Lasso, proveniente dall’America Centrale, che aveva la ione della lettura, come si può ben vedere!
Foto n.2: Qui si può osservare la Giada numero uno, tramite la quale è iniziata l’avventura con i boxer e che, ne sono certo, ha già incontrato la seconda Giada e stretto con lei un’amicizia davvero eterna.
Foto n.3: Ecco la Giada numero due, insieme alla piccola Perla, appena giunta nella sua nuova famiglia e già accolta con amicizia dalla sua compagna, che addirittura le offre l’osso che stava rosicchiando.
Foto n.4: Giada e Perla impegnate nei loro giochi, in realtà privi della ferocia che sembrano sfoggiare in apparenza, badando sempre a non procurarsi danni di alcun genere.
Foto n.5: La tenerezza delle due cagne che ormai hanno avviato una stretta convivenza che durerà fino alla morte, dimostrando la solidità di un legame non dovuto alle convenienze sociali o economiche cui sono abituati gli umani.
Foto n.6: Giada e Perla attaccano il micidiale nemico, la scopa! Poi impareranno che non rappresenta un pericolo per nessuno, smettendo pure di fargli la guardia nel timore di qualche suo movimento ostile.
Foto n.7: Le “ragazze” si tuffano nell’elemento a loro più congeniale ed amato: la neve, che quasi le ricopre, ma proseguono imperterrite le loro scorribande in mezzo a quel manto che le ha sempre attratte.
Foto n.8: Giada approfitta della presenza della pergola per fare man bassa dell’uva, sua frutta preferita, che poi cederà pure alla sua amica, la quale, invece, ha sempre mangiato di tutto.
Foto n.9: Le due cagne si concedono un meritato momento di riposo, naturalmente sempre accomunate dalla reciproca tenerezza che non le ha mai abbandonate neppure durante i loro giochi di guerra.
Foto n.10: Giada e Perla nella loro cuccia, purtroppo si tratta dell’ultimo periodo di vita della cara Giada, una vita improntata a spirito di sacrificio, bontà e vero sentimento di affetto oltre l’umano.
Foto n.11: Ecco la Giada numero tre, fisicamente diversa dalla precedente ma con lo stesso sguardo ed un analogo legame, che sta superando tutti i residui postumi delle crudeltà umane.
Foto n.12: Questa, invece, è Ambra, la quasi ultima arrivata e già ben amalgamata con il resto della famiglia, nonostante il suo spirito indipendente che la rende un po’ cocciuta.
Foto n.13: Qui si può notare il feroce solo in apparenza Rocky che adesso mostra finalmente il suo lato più tenero, abbinato a solido coraggio ed equilibrio emotivo. .
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Giada, Perla ed io Antefatto Le due nuove arrivate Un sonno particolare Un lieto arrivo in tristi circostanze Alcune conseguenze della vita in comune Un legame particolare Le astuzie di Perla Addestramento naturale Avventure con altri animali Avventure con gli animali più pericolosi: gli uomini Avvelenamenti e dintorni Interventi davvero provvidenziali Altre avventure a lieto fine Ancora Giada Di nuovo Perla Tutto insieme Affetto ricambiato
Amore anche in malattia La fine, anzi il ritorno Ricomincia l’avventura La sorpresa
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