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Introduzione
Non è ato molto tempo da “Fusa e Mascara”. Ma molte cose sono cambiate. Nella vita, nei giorni, non certo dentro di noi, perché noi donne siamo sempre sfuggenti, misteriose, affascinanti e i gatti lo sono ancora più di noi. “Fusa e Mascara” ha fatto piangere e sorridere, ha ottenuto un successo insperato, considerate le mie scarse possibilità di organizzare campagne pubblicitarie in grande stile. Ed è per questo che il primo capitolo del libro sarà dedicato a loro. Alle donne di “Fusa e Mascara”, e a come hanno vissuto in questi mesi. E grazie alle diciotto, splendide nuove amiche che si sono messe a nudo per questo libro. Ovviamente grazie anche a Boris che mi dà sempre appoggio e sostegno per raccontare dei suoi simili. Per te, micina dagli occhi blu, perché ho pensato a salvarti dalla neve e ti ho affidata a qualcuno che sembrava speciale… qualcuno che poi non si è dato da fare quando sei sparita e ti ha abbandonata a te stessa. Qualcuno che non ti meritava. Tu eri la più bella della colonia, e non potrò mai dimenticare il tuo musetto mentre ti parlavo in macchina, o quando ho aiutato il veterinario a tenerti...ho sbagliato a fidarmi, e ci hai rimesso tu. Scusami, se puoi...piccola mezza siamesina dagli occhi misteriosi...ti ho portata via alle tue amiche per darti a chi non ti ha saputo amare…spero che troverai il vero amore sul ponte….
Italia- Le donne di “Fusa e mascara”
Quando Sara lesse il libro, le lacrime presero a scorrere su tutto il suo viso. Pensare a John la rendeva triste. Fu così che Frankie si ricordò di essere stato mandato dal cielo per aiutarla a superare la tragedia. Le salì sulle ginocchia e iniziò a baciarla, leccando quelle lacrime salate e facendo le fusa. Frankie non poteva restituirle John, né farla pagare a colui o colei che lo aveva ucciso. Ma poteva svolgere il suo ruolo di angelo consolatore, e lo svolse al meglio. Anche Annalisa, ripensando alla storia di Briciola, si commosse. Vive ancora circondata dai gatti, ne aiuta tanti a trovare casa, ma è del parere che gli eventi magici capitino una volta nella vita. E l'evento magico è stato, per lei, ricevere la visita di Briciola dopo che era morto, per salutarla definitivamente. Sabrina, la ragazza sarda nel cui giardino vanno e vengono gatti da sempre, continua a lasciarli vivere in libertà. E poco tempo fa Striscia, una dei cuccioli che aveva tenuto come ospiti, è diventata mamma, dando così continuità alla stirpe di piccoli felini autosufficienti che le fanno compagnia. Ho visto Barbara, che non trovava il coraggio di seppellire Rosso, il randagio cui si era tanto legata. Ma pur nel dolore va avanti, sorretta dall'affetto delle sue “bimbe” e dall' esigenza di essere d'aiuto ad altri animali bisognosi. Ho visto anche Silvia, e le sue sette meraviglie: il massiccio Chicco, il languido Whisky, Puffino che ha paura di tutti, il riservato Merlino, la delicata Macchiolina, lo “zingaro” Bryce che decide ogni volta se degnarti o meno delle sue attenzioni e Carolina la vecchietta. Silvia e Saverio li adorano tutti, e adorano anche ogni gatto che arriva al gattile, accompagnato da storie difficili. Federica pensa ancora a Minù. Le manca tantissimo. Adottò Emily e, per quanto le sia legata, intuì subito che aveva un carattere ribelle e dispettoso, e non cercava le coccole come faceva Minù. Forse, quel rapporto era speciale proprio perché era unico, ma che deve fare? Va avanti, tenendo stretti a sé i ricordi di quei cinque anni meravigliosi. Fabiana ogni mattina si sveglia abbracciata a Brick e Spesso. E' sempre più
convinta che i due siano la sintesi della sua Briciola, e che perciò si completino. Non li lascia mai, e cerca sempre luoghi di villeggiatura dove siano ben accetti… di recente ne ha trovato uno grazie ad Elisa, una delle protagoniste di questo libro! Anna, l'interista doc, si consolò per lo scudetto vinto dal Milan grazie all'affetto e alla simpatia di Ragù. Lorenza e Monica, altre due “mamme”, fecero amicizia poco dopo l'uscita del libro. E quando Monica chiese aiuto per fare adottare Artù, il fratello di Brigitte, la cui padrona aveva seri problemi, Lorenza si fece avanti. Era morto Mascherina, il fratello di Matisse, sua madre si sentiva sola...perché non tentare? Così Artù arrivò, e dopo una prima accoglienza ostile, Bacco gli concesse la propria amicizia. Da non credere: “Fusa e mascara” contribuì a trovare una famiglia a un gatto in difficoltà! Con Katia, la ballerina che si sentiva una gatta, il destino fu crudele: si scoprì improvvisamente allergica ai gatti. Dopo giorni di pianti e di disperazione portò Lulù e Arturo da sua madre in Puglia. Ma spera ancora di trovare per loro una casa a Roma, perché non vederli regolarmente la fa soffrire. Lei ha ancora bisogno dei suoi bambini, e loro stanno male senza di lei. Se per Marina e Myshkin la vita sorride ancora, nel ricordo di Brennivin, tra viaggi e sonnellini persiani, per Erika, Dewey e Minù può addirittura migliorare. Infatti Erika e Gianluca hanno trovato la casa dei loro sogni. Sarà pronta tra un bel po' di tempo, ma è davvero meravigliosa, e ci sarà tanto verde per i due fratellini! Senza grossi sconvolgimenti, continuano le altre amicizie di cui avevo raccontato: Ilenia e Luna, Ida e Micio, Loredana e Spillo, Georgia e Kyo...e ovviamente, io e Boris! Imma, con l'entusiasmo della sua giovane età, appena lesse “Fusa e mascara” si precipitò a realizzare un vero e proprio servizio fotografico di Genna e Stellina col libro. Poi, poco prima di iniziare la nuova avventura, mi arrivò un messaggio di Claudia, la giovane mamma del gatto Fuffy, il piccolo cui avevano asportato un occhino. “Sai” Mi disse “Fuffy è stato fortunato, è il cocco di casa e sta benissimo, ma prima di lui...”. Ed è proprio da lì che decido di partire. Dalla Puglia, dal 2007
Giovinazzo (Bari): Claudia e Ciccetto
Una ferita che brucia
Claudia la conosco già. E' una ragazza speciale. In “Fusa e mascara” ho scritto di come salvò il piccolo Fuffy, lottando anche per lui che si stava lasciando morire. E' giovane, carina e simpatica, ha tanti amici, va alle feste, ha una famiglia stupenda...la sua vita potrebbe essere semplice. E invece, dopo tanti anni, pensa ancora a Ciccetto... Lo incontrò lo stesso anno in cui si imbatté in Fuffy, qualche mese prima, figlio della stessa mamma, nello stesso posto: il cortile condominiale interno, un luogo amato dai gatti per la sua tranquillità. Quella volta al parto sopravvisse un solo micino. Era tutto nero, eccetto metà della zampina sinistra e il sotto mento, di colore bianco. Claudia si affezionò subito al piccolo, che era dolce e socievole. Lei gli portava acqua e cibo ogni giorno, lui la sentiva arrivare e le correva incontro. Per Claudia erano momenti meravigliosi, a fatica riusciva a separarsi da Ciccetto, così lo aveva chiamato. Era il suo amico speciale, che restava sempre in quel cortile ad attenderla, senza mai allontanarsi. Quando Ciccetto aveva pochi mesi, Claudia trovò Fuffy, che era malato e debole. Non ci pensò su e lo portò a casa. Altrimenti, forse sarebbe toccato a Ciccetto. Anzi,a “Ciccetta”, perché nel frattempo Claudia aveva scoperto che era una “signorina”... Ma l'amore e le attenzioni per Fuffy non le impedirono di continuare a nutrire e coccolare la piccola ospite del cortile. E nel farlo, Claudia trovò da litigare con una vicina di casa. La signora riempiva la gattina di gelato, yogurt, pesce e pasta. La faceva stare male e ogni volta Claudia doveva rimetterla in sesto. Seccata e preoccupata la avvisò, ma quella proseguì con la sua “dieta”. Purtroppo, Claudia non poteva controllare Ciccetto ogni istante. La curò per un'infezione all'occhio, le donò ancora pappa, acqua e coccole, e giorno dopo giorno la loro amicizia andava consolidandosi. Iniziò un altro autunno. Fuffy ormai aveva più di un anno e stava bene, nonostante la mancanza dell'occhietto. Alla fine di novembre, una sera come
un'altra, Claudia andò in cortile e non vide Ciccetto-Ciccetta. La chiamò, in preda all'angoscia, poi la scorse sotto un albero, raggomitolata, con la bava alla bocca e le unghie conficcate nel terreno. Capì subito che stava molto male. Corse in casa e consultò Internet. La malattia che diagnosticò come probabile era causata da cibo appuntito, come le lische del pesce. I sintomi: bava alla bocca, inappetenza, ematoma addominale… Claudia tornò dalla gattina, riscontrò il gonfiore sull’addome e non ebbe più dubbi: la vicina l'aveva fatta ammalare! Lei voleva salvarla ad ogni costo, ma era quasi notte, e l’unico veterinario disponibile era quello che per poco non aveva ucciso Fuffy. Così rientrò in casa. Non riuscì a chiudere occhio per tutta la notte, col pensiero di non poter fare nulla. Pianse, pianse tanto, sentendosi impotente e frustrata… poi la mattina uscì per andare a scuola e la vide. Ciccetta era immobile, non respirava più...i sensi di colpa presero a tormentarla: poteva aiutarla? Poteva impegnarsi di più? Stava male, ma ormai non c'era nulla da fare per la povera gattina. Chiamò i suoi, e chiese loro di seppellirla, almeno quello sentiva di doverglielo. Da allora, la sua piccola amica con la zampina bianca le mancò ogni giorno. Mise la sua foto sul letto e tutte le sere, da anni, la bacia prima di dormire. Non ha mai smesso di sentirsi in colpa, e non ha mai smesso di detestare quella sconsiderata della vicina. L'amicizia con Ciccetto è ancora un ricordo che fa male. Ma Claudia crede nel destino, e ha accettato ciò che le ha fatto notare sua madre: “So che volevi tenerla. Ma se l'avessimo presa non ci sarebbe stato posto per Fuffy. La gattina si è sacrificata perché sapeva che il suo fratellino avrebbe avuto bisogno” Deve essere andata davvero così. Ciccetto-Ciccetta aveva preparato il terreno per Fuffy. E negli anni, la mamma di entrambi ha continuato a partorire cuccioli nel cortile. E’ ancora viva e sanissima, sopravvissuta a molti dei suoi figli. Dalla cornice sul letto, Ciccetto-girl continua ad osservare Fuffy, e forse dal Paradiso fa le fusa e protegge quel suo fratellino, contenta di averlo lasciato nelle mani di qualcuno che lo amerà per sempre .
Carrara: Sabrina e Tigro
Fragilità e grandezza
Inizialmente, lui fu solo “fratellino”. Che, come “sorellina”, aveva bisogno di essere svezzato. Li avevano trovati in un cantiere in costruzione, nella primavera del 2010, affamati, bagnati e infreddoliti. Sabrina era una delle volontarie che si occupava degli svezzamenti: il suo compito era curarli, nutrirli e cercare per loro un'adozione, come aveva fatto molte altre volte. Quando furono pronti, la gattina trovò una famiglia. Ma non sopravvisse che alcuni giorni, probabilmente era già malata. Sabrina allora prese il maschietto tra le braccia, e gli spiegò: “La tua sorellina non c'è più. Devi vivere tu anche per lei” Provava già qualcosa per quel micino marmorizzato, tuttavia ricacciò indietro ogni tentazione: aveva Schizzo e Nerina, due gatti erano anche troppi! Ma aveva fatto i conti senza la determinazione del piccolo. Una sera uscì dalla stanza in cui era rinchiuso, e si mise ad esplorare la casa. Sabrina, sorpresa, lo avvisò: “So che ti annoi, tutto solo, ma stai attento. I due gatti di casa potrebbero aggredirti!” Ma assecondò in parte i suoi desideri. Ogni tanto chiuse Nerina e Schizzo e lasciò che il piccolo se ne andasse in giro. E lui, con la sua dolcezza, conquistò anche papà Marco e la sorellina umana Nadine. Era un gattino speciale: affettuoso, vivace, intelligente... e dal momento in cui gli fu messo nome “Tigro” fu chiaro che aveva vinto lui: non se ne sarebbe andato mai più. Agli altri due gatti servì un po' di tempo per accettare Tigro, ma poi divennero amici. E se Sabrina non fosse stata attenta, tra lui e Nerina sarebbe nato anche qualcosa in più… li notò che si annusavano, si facevano strani versi, e commentò: “Mi piacerebbe tanto avere dei figli vostri, ma non li potremmo tenere”. Prese il gattino e lo portò a sterilizzare. Un intervento comune, che di solito si
risolve in un paio di giorni di sonnolenza, perciò Sabrina non era assolutamente preoccupata: si trattava di semplice routine. Ma quello fu il giorno in cui il mondo le crollò addosso. Dagli esami risultò infatti che Tigro era FeLV positivo. Lei non riusciva a crederci: conosceva la FeLV , la leucemia felina. Sapeva che attacca il sistema immunitario, che spesso causa tumori e anemie...e soprattutto sapeva che un gatto FeLV positivo non vive a lungo. Accarezzò Tigro, e gli promise: “Tesoro, avrai la vita migliore che tu possa immaginare”. Non si è mai pronti per affrontare le brutte notizie. Non lo era nemmeno Sabrina. E non era pronta Nadine, per la quale Tigro era un fratello: dormiva con lei, giocava con lei, le stava accanto durante i compiti..non era giusto. Lui era un gatto speciale, era ormai parte della famiglia... e a guardarlo era difficile credere che fosse malato. Tigro correva, curiosava, si infilava nei sacchetti, prendeva di mira le calamite sul frigo, rubava accetti e guanti e saltava sulla schiena di Sabrina, uno dei suoi punti di osservazione preferiti. Era vivo, era felice. Era troppo bello, giovane e dispettoso per poter accettare che non fosse sano. Sabrina non sapeva cosa fare per lui. Non c'erano cure. Non poteva illudersi che la FeLV un giorno se ne sarebbe andata. Ma sentiva di dover ringraziare Tigro per essere entrato nella sua vita. Così andò su Facebook e creò una pagina: “Diario di un gatto FeLV”. Raccontava di lui, dei suoi compagni che nel frattempo, con l'arrivo di Pallina, erano diventati tre. Mostrava le foto di momenti divertenti e teneri. Raccoglieva notizie curiose sui gatti. Presentava album in cui ogni iscritto poteva postare le foto dei suoi amici a quattro zampe. Era una bella pagina, ben curata, interessante, e nel giro di pochi mesi raccolse più di 1500 fans. Tigro divenne così una celebrità del web. Si fece tantissimi amici, e per Sabrina fu meraviglioso dialogare ogni giorno con gente mai vista prima, che all'improvviso sentiva vicina ed affezionata. La pagina la aiutò molto ad affrontare la malattia di Tigro. Era come se, in qualche modo, avesse reso impossibile che gli accadesse qualcosa. Non poteva mica davvero morire quel buffone che giocava col ramoscello di ulivo, o quel bravo patriota sulla bandiera italiana ...la vita per Tigro era troppo bella, non poteva lasciarla... E invece, in poco tempo tutto cambiò. Il primo aprile 2011 Tigro aveva compiuto un anno, festeggiato da tutta la famiglia. Il 27 aprile Sabrina si accorse che era mogio, si muoveva meno del solito, e le parve che respirando il suo torace si sollevasse in modo strano. Lo tenne d'occhio costantemente, con il proprio sesto
senso in allerta. Notò che Tigro non osservava più gli uccellini dalla finestra, non mangiava e aveva lo sguardo malinconico..lei lo conosceva troppo bene per raccontarsi bugie. Qualcosa non andava, ne era certa. La mattina seguente si precipitò dal veterinario, che confermò in pieno le sue paure: la radiografia evidenziava la compressione della trachea e un versamento pleurico, dovuti ad un linfoma FeLV indotto. Si poteva evitare di intervenire, ma in quel caso i polmoni si sarebbero riempiti di liquido. Oppure si poteva tentare di aspirare il liquido, con tutti i rischi che una procedura del genere, e soprattutto l'anestesia, potevano comportare per un gatto con la FeLV. Quella fu la prima decisione difficile che Sabrina dovette prendere. Optò per l'aspirazione del fluido: Tigro superò l'anestesia, ma gli esami rivelarono che la situazione era molto grave: la massa comprimeva trachea e polmoni, c'erano altre masse più piccole nel torace e nell'addome e le ghiandole surrenali si presentavano molto gonfie. Sabrina si sentiva come frastornata, trascinata in un vortice di paura...solo poche settimane prima il veterinario le aveva detto: “Ci rivediamo a settembre”, ottimista e fiducioso, e adesso era catapultata in questo incubo, in cui doveva scegliere se trattare il linfoma di Tigro col cortisone o con la chemioterapia... Restò con Tigro tutto il weekend. Le si spezzava il cuore nel vederlo tanto affaticato, abbacchiato, inappetente...avrebbe dato qualunque cosa per guardarlo di nuovo staccare le sue calamite dal frigo e farle cadere a terra in mille pezzi...ma lo amava se possibile ancora di più adesso, che sembrava chiederle: “Cosa succede, mamma? Perché sono così stanco?” Lui non capiva, e per lei era uno strazio. Il lunedì tornò dal veterinario. Gli esami evidenziarono una situazione drammatica a livello immunitario. La chemio era perciò da escludere, e le alternative che vennero proposte a Sabrina a quel punto mutarono: o il cortisone abbinato all'interferone oppure l'eutanasia. Sì, adesso lei doveva decidere se tentare di regalare a Tigro qualche altro giorno o se invece metterlo a dormire per sempre. Fu terribile dover scegliere, ma il gattino stava male, non ce la faceva più...martedì 3 maggio Sabrina lo guardò negli occhi pieni di sofferenza e capì che era arrivato il momento di lasciarlo andare. Voleva però che succedesse a casa, nell'ambiente in cui lui si sentiva amato e protetto. Chiamò diversi veterinari, ma nessuno risultò disponibile a recarsi a domicilio, almeno fino alla mattina seguente. Così lei somministrò a Tigro il cortisone e andò a dormire, pronta per dirgli addio di lì a poche ore. Quando si svegliò, in quello che doveva essere l'ultimo giorno di Tigro, inspiegabilmente si accorse che lui era più vivace: mangiava, beveva...ne parlò
col veterinario, che la avvertì: certamente si trattava di un miglioramento temporaneo. Ma Tigro aveva deciso che non voleva morire quel giorno. Gli venne fatta un'iniezione che copriva per un mese il cortisone e per due settimane l'antibiotico, e in quel periodo che si era conquistato Tigro riuscì a partecipare al compleanno di Nadine e alla festa della mamma. Era già tanto, tantissimo. Sembrò aver ripreso un po' di forze, e tentò anche un paio di fughe fuori di casa...quelli erano giorni speciali, ricchi di amore, ricchi di ione per ogni piccolo episodio. Erano i giorni presi al destino, che però poco dopo si ripresentò. Tigro ricominciò ad essere stanco e a respirare a fatica. Sabrina si adoperò per obbligarlo a mangiare, riuscì perfino a somministrargli un intero vasetto di omogeneizzato direttamente dal suo dito. Gli rimase vicina, esortandolo a non mollare, ma ormai era consapevole anche lei che il tempo stava per scadere. Il 13 maggio Tigro smise di mangiare. Il giorno dopo se ne stava con la pancia appoggiata a terra, come se le zampine non lo reggessero più. Nerina gli si avvicinò e gli leccò la testa amorevolmente: lei aveva capito, era il suo modo per salutarlo. Nel tardo pomeriggio, mentre era in auto con Sabrina, Nadine e Marco, diretti dal veterinario, Tigro se ne andò. Così, senza troppo clamore. Lasciò nella disperazione più totale tre persone, tre gatti e un'infinità di amici sconosciuti che lo salutarono con le lacrime agli occhi dalla sua pagina. Aveva compiuto un miracolo, quel gattino che era vissuto poco più di un anno. Era riuscito a tirare fuori il meglio dalla gente: mamme, papà, figli, nonne, teenagers, professionisti, studenti...tutti piangevano per lui, pieni di amore, pieni di quel dolore struggente che solo l'amore riesce a produrre. Tigro era ancora dentro ognuno di loro. Sabrina capì quanto aveva significato il suo piccolo per così tante persone. Era stato un simbolo, un involontario eroe. Solo vivendo appieno la vita, solo esistendo, si era insinuato col suo musetto furbo nel quotidiano di tutti. Ogni parola scritta, ogni cuore stilizzato, ogni frase, aiutarono Sabrina nell'elaborare il proprio dolore. E Tigro oggi è ancora lì, nelle foto, che fa il matto e si mette in posa. Ha iniziato un'altra vita in cui non è malato, stanco o inappetente. la vita che Sabrina avrebbe tanto voluto per lui e che il destino non gli aveva concesso sulla terra. Tigro è stato come il raggio di un sole luminoso e bellissimo, che è tramontato troppo presto, ma che nel suo breve aggio ha saputo donare tanta luce e tanto calore.
Trieste: Aurora, Mister Bigolo e Picio Picio
Una notte è per sempre
Nella culla con Aurora, quando aveva solo pochi giorni, c'era Morfy. Era una gatta nera con tre macchie bianche, che girava nella zona del porto e che un giorno si era infilata nell'auto di suo padre, stabilendo che sarebbe tornata a casa con lui. Così era stato. E Morfy era diventata una specie di figlia. Ma non provò mai gelosia per quell'esserino spuntato dal nulla che urlava e si dimenava. Anzi, offrì il suo aiuto. Se Aurora barcollava, ancora incerta nei primi i, la gatta le prestava la coda come appiglio. Se la vedeva soffrire per un mal di pancia, un'otite o altri disturbi, dava un morsetto al braccio di sua madre, come a dire: “Ehi, fai qualcosa per lei!” Con queste premesse, Aurora non poteva che crescere amando i gatti in modo viscerale. Aveva appena undici anni quando in un giardinetto vicino a casa notò un gattino meraviglioso, tigrato rosso con gli stivaletti bianchi, più affettuoso e amichevole degli altri. Si informò con la gattara che seguiva la colonia, scoprì che non apparteneva a nessuno e non riuscì a resistere alla tentazione di portarlo a casa. Inventò anche una storia per farlo accettare ai suoi: quella di un “povero gattino indifeso che ho salvato da un randagio grosso e cattivo”...ottenne il permesso di ospitarlo per una notte e...come aveva sperato il gatto rimase, e fu chiamato “Mister Bigolo”. Per lei quel micetto divenne un compagno meraviglioso: giocavano insieme col puntatore laser, spesso lei gli metteva il guinzaglio e lui camminava al suo fianco, proprio come un cagnolino. Forse questo incise sulla sua simpatia per i cani, più erano grossi e più Mister Bigolo pareva apprezzarli! Solo Morfy non accettò mai il nuovo arrivato. La gatta, ormai vecchia, non mostrò verso di lui alcun istinto materno. E due anni dopo, in seguito ad una malattia, si spense, rattristando tutta la famiglia. Aurora non potrà mai dimenticare il giorno del funerale, in collina, col vento freddo, la pioggia, suo
nonno che scavava nel duro terreno carsico, e poi il bigliettino coi saluti e i ringraziamenti per un’amica tanto speciale, la monetina per pagare il pedaggio nell’aldilà, il topino giocattolo...tutto chiuso assieme al corpo in una federa, e seppellito tra le lacrime... Morfy era stata con lei per tutta la vita. Ormai adolescente, Aurora conosceva casa sua solo con la gatta dentro. C’era sempre stata, ad ogni risveglio, ad ogni buonanotte, e ora le sembrava strano non vederla più. Per fortuna c'era Mister Bigolo, con la sua energia e la sua vivacità...e poco tempo dopo avvenne un altro incontro inaspettato... Un giorno, in centro, sua madre si avvicinò a due donne che trafficavano attorno ad un'auto. Scorse un gattino che piangeva disperato lungo una ruota, e le aiutò a liberarlo. Nessuno sapeva di chi fosse, forse quando era stato abbattuto un vecchio edificio nella zona lui aveva perso la sua mamma...non potevano lasciarlo lì. Ma la ragazza straniera spiegò: “Lo vorrei, però vivo con altre persone che non gradirebbero” L'anziana vicino a lei le fece eco: “Ho una gatta vecchia e malata, non vorrei che le desse il colpo di grazia…” Cosi, toccò alla madre di Aurora portarlo a casa. E precisò: “E' solo per stanotte. Non mi va di ripetere l'esperienza negativa con due gatti. Domani lo porto al gattile, lo faccio visitare e poi vedremo...” Naturalmente, il gattino rimase, e venne chiamato Picio Picio. Era scheletrico, con la pancia gonfia, non per i vermi ma per la disidratazione, sottosviluppato, tanto che aveva quattro mesi e ne dimostrava due. Soffriva di una grave infiammazione gengivale e in poco tempo perse tutti i denti. Il veterinario era pessimista, tuttavia con le cure e l’amore costante Picio Picio sopravvisse, guarì e diventò un simpatico tigrato pasciuto. Mister Bigolo lo accolse senza troppo fastidio, anzi, lo accettò come compagno di giochi. E col tempo Picio Picio divenne sempre meno timido, meno timoroso, si rilassò e riprese peso. Dopo qualche anno, Aurora iniziò a desiderare un altro animaletto. Sua madre le fece promettere: “Te ne occuperai tu, altrimenti lo sbatterò fuori di casa!” E nella primavera del 2010 arrivò il topolino S’cenza. Era simpatico, affettuoso e molto intelligente. I gatti avano ore a guardarlo, affascinati. Mister Bigolo lo trovava divertente, Picio Picio solo una volta si ricordò di essere un cacciatore:
fece un salto inaspettato e lo afferrò per il codino. Per fortuna non aveva i denti, così S'cenza gli sfuggì, e il “menage a trois” proseguì senza più contrattempi. Purtroppo i topolini hanno una vita breve: dopo aver superato varie polmoniti, un'infezione, un'emorragia oculare e una crisi epilettica, S'cenza morì a poco più di un anno. Per Aurora fu tristissimo, guardava la sua gabbietta e quell'esserino minuscolo le mancava. E mancò anche a Mister Bigolo e a Picio Picio, che lo cercavano per casa senza capire dove fosse andato a nascondersi.... E fu grazie a loro che Aurora superò quel momento. Grazie a quel folle gatto rosso che ama i cani e a quel pasciuto tigratino senza denti. I due ex randagi che, come Morfy tanti anni prima, non avevano dato scelta agli umani. E avevano capito benissimo come funzionano le cose in quella famiglia: “Se resti una notte, resti per sempre”.
Novara: Alessandra e Briciola
La tata dagli occhi azzurri
Le cose accadono sempre per un motivo. Quando Alessandra, nel 1997, decise di prendere un gattino di una cucciolata, prenotò un maschietto bianco e nero. Ma poi tornò, dopo lo svezzamento, e il piccolo era già stato dato via. Ci rimase un po' male, ma era una gattofila da sempre, innamorata di quelle creature affascinanti, e non sarebbe tornata a casa a mani vuote. Scrutò le due femmine che erano rimaste, entrambe bianche con gli occhi azzurri, e notò che una delle due aveva una macchia color cappuccino sul dorso. Decise per lei, non sapendo ancora quanto quella scelta avrebbe significato nella sua vita... All'inizio, la piccola Briciola era una vera peste, e cercava sempre nuovi modi per combinare disastri. Arrivò perfino ad aprire un cassetto, infilandosi dietro al forno, con Alessandra disperata a cercarla ovunque, poi costretta a smontare mezza cucina per liberarla. Nonostante la paura e la fatica, Alessandra non rimproverò Briciola: era troppo felice per averla ritrovata, e poi, pensò, col tempo sicuramente sarebbe diventata più saggia. E aveva ragione. Negli anni la gatta si calmò, trasformandosi in una coccolona dolce e tranquilla. Il suo pelo si scurì un poco, arricchendosi di striature nere e di zone color crema, e il suo carattere divenne docile e posato. Per Alessandra, Briciola impersonò l'amica del cuore. Se lei era triste, le si accucciava sulla pancia. Se era malata le restava accanto facendo le fusa. A volte stavano guardando la tv, capitava che Alessandra si stufasse del programma, allora si metteva a parlare con la gatta. Le parlava per ore e lei la ascoltava, fissandola con quegli occhi azzurri come se la capisse. Quando Alessandra conobbe Luca, Briciola ne fu entusiasta. Ebbe doppie coccole, doppie attenzioni, e dopo un po’ scelse addirittura di dormire accanto al nuovo papà. Alessandra non avrebbe potuto essere più felice: aveva trovato
l'uomo della sua vita, ed era un amante dei gatti che piaceva a Briciola! La decisione di avere un figlio, qualche anno dopo, portò Alessandra e Luca a porsi una serie di domande: come avrebbe preso Briciola l'arrivo di un bambino? Sarebbe stata gelosa? O contrariata? O iperprotettiva? Ma non appena Alessandra rimase incinta i loro dubbi svanirono. Per nove mesi Briciola si prese cura di lei. Le stava sulla pancia come se volesse dialogare col bambino, e rispondeva ai calcetti di lui con leggere codate. Stavano già comunicando. E quando Riccardo fu portato a casa, Briciola gli diede subito il benvenuto, annusandolo e iniziando a fare fusa fortissime. Da quel momento, tra i due si sviluppò un legame tutto speciale. Stavano sempre insieme, e Briciola era una tata attenta e premurosa ma non pressante. Per i primi mesi, quando c'era la culla in camera, lei non salì mai sul lettone, lo fece solo se la culla veniva spostata. Poi il piccolo Riky fu trasferito nella sua stanzetta, e Briciola prese a stazionare sulla porta, così se lui si svegliava lei poteva avvisare Luca e Alessandra. E quando giocavano, si lasciava fare qualunque cosa dal bambino, consapevole che ogni dispetto non era che un modo per rafforzare il loro legame. Riky la rincorreva gattonando, e se era troppo lento Briciola si fermava ad aspettarlo. La prima parola che Riky pronunciò fu “mamma”, la seconda “Tata”, riferita a Briciola, con buona pace di Luca! E ogni volta che tornavano dalle eggiate, il suo primo pensiero era correre dalla gatta e giocare con lei. Erano in simbiosi, condividevano momenti meravigliosi e unici di gioco e di coccole. Alessandra li lasciava insieme anche se si trovava in un'altra stanza, perché si fidava ciecamente della sua tata pelosa. Quando rimase incinta per la seconda volta, Alessandra non si preoccupava più dell'eventuale reazione di Briciola, ma di quella che avrebbe potuto avere Riky. Fino a quel momento si era dimostrato euforico per il prossimo arrivo di una sorellina, però il rischio che si sentisse escluso o che si ingelosisse era sempre dietro l'angolo. E anche quella volta fu la “tata” a rassicurarla. Una sera in cui lei si sentiva più ansiosa e preoccupata del solito, la gatta le si accoccolò sulla pancia facendo le fusa, e la guardò come a dirle: “Tranquilla, andrà tutto bene. Ti aiuterò io” A quel punto, ogni tensione svanì dalla mente di Alessandra. E dopo pochi
giorni, quando tornò a casa con la piccola Giulia, si sentì davvero una persona fortunata: aveva un marito adorabile, due bambini belli e sani e una amica pelosa che sapeva capirla al volo. Cosa chiedere di più? Ma la felicità durò pochissimo. Briciola iniziò a rifiutare il cibo, e per quanto Alessandra si sforzasse, cambiando gusti e marche, l'inappetenza proseguì. La veterinaria che la visitò riscontrò un'infezione alla gola e le somministrò un antibiotico. I risultati, però, furono temporanei: nel giro di tre settimane la gatta si ridusse pelle e ossa, prese a nascondersi e smise di interagire col resto della famiglia. Alessandra intuì che doveva soffrire moltissimo per comportarsi in modo così strano. Una mattina portò Riky al nido, e assieme a Giulia e a sua madre si recò dalla veterinaria. Briciola fu addormentata per poterla sottoporre agli esami, e quando la dottoressa ebbe il quadro clinico, rivelò la terribile diagnosi: “C'è un carcinoma al palato non operabile, e un altro in fondo alla gola” “Cosa facciamo?” Alessandra iniziò a piangere “Se c'è modo di poterla alimentare con altri sistemi non mi importa quanto costa, lo farò” “Non è un problema di alimentazione” spiegò la donna “Il carcinoma crescerà, le procurerà dolori atroci e morirà soffrendo molto” Restava una sola cosa da fare. Lei provò a chiamare Luca, ma lui non volle raggiungerla: preferiva star male da lontano. Era lei, insieme alle due donne della sua vita e all' amica che per tredici anni le era rimasta accanto...i ricordi le fluirono nel cuore come coltellate: Briciola che obbligava lei e Luca a spegnere la tv perché aveva sonno, Briciola che si nascondeva sotto le coperte, Briciola appisolata tra le bambole di porcellana...e poi, più di ogni altra immagine, Briciola con Riky. I loro giochi, le carezze, i sorrisi… era stata la sua “tata” gentile, affidabile, dolcissima... Alessandra diede Giulia alla madre, si chinò su Briciola e le tenne la zampina. La gatta era addormentata, ma lei le parlò. Doveva farlo, doveva dirle quanto la amava...le accarezzò il pelo soffice, stando attenta a non bagnarlo con le lacrime, poi lasciò che la veterinaria procedesse. E ci vollero ben quattro punture per fermare il cuore di Briciola: lei lottava, non voleva andarsene....però Alessandra sapeva che stava facendo la cosa giusta Non poteva condannarla a mesi di sofferenze solo per tenerla ancora un po' con sé… Briciola, la tata, ò così dal sonno all'eternità. E quando Alessandra, col cuore a pezzi, andò a prendere Riky, lui dovette intuire qualcosa, perché invece di dire “Torno a casa da Giulia” come faceva di solito, disse “Torno a casa da tata”. Lo ripeté più volte. Facendosi forza, lei gli spiegò: “Amore, tata non c'è più. E' andata a fare una eggiata su
un meraviglioso ponte” E la accompagnarono nel modo migliore, portandola in montagna, ad Antrona, e seppellendola sotto un pino secolare. Il sole, che uscì all'improvviso dopo ore di pioggia, sembrò voler salutare quella creatura fantastica che per anni aveva donato amore e tenerezza. Riky cercò ancora la sua tata, ogni tanto continua a cercarla, nei posti dove lei si nascondeva. Alessandra sa che per lui sarà dura, ma sa anche che è stato fortunato ad avere accanto Briciola mentre cresceva. A lei restano i ricordi di quei tredici anni stupendi con una gatta che non aveva scelto, ma che le era stata mandata dal destino per aiutarla nel suo percorso di vita, per rassicurarla nei momenti difficili e soprattutto per prendersi cura della sua famiglia. Non morirà mai Briciola, nel cuore, nel profondo di ognuno di loro. I suoi occhi azzurri continueranno a controllare che tutto vada bene. Sarà una tata per sempre, anche da lassù, era quella la sua missione. Fin da quel giorno del 1997 in cui Alessandra si era lasciata convincere da una macchietta color cappuccino.
Roma: Giovanna, Nocciolina e Trilly
Messaggio da un sogno
Giovanna amava da sempre gli animali. Fin da piccola ne aveva desiderato uno ma sua madre, di spirito contadino, non glielo concesse mai. Dovette aspettare molti anni ma, appena andò a vivere da sola, colse al volo la prima occasione che le capitò: la gatta di sua sorella aveva partorito, e lei decise di prendere uno dei gattini. Era il 1992. Nella cesta c'erano quattro creature minuscole che piangevano e si dimenavano. Lei scelse una femmina bianca e nera, cui diede nome Nocciolina. E Nocciolina si rivelò il tipo di gatta che desiderava: era affettuosa, la seguiva ovunque, la cercava sempre e stava bene solo tra le sue braccia. Per anni non batté ciglio nei tanti traslochi, perché le interessava solo Giovanna. Se era con lei, tutto andava bene. Anche Giovanna amava Nocciolina. Ma non si rese conto pienamente di ciò finché, dopo quindici anni, non iniziarono i problemi. Prima la gatta fece pipì in casa. Poi le spuntò un bozzo su un fianco. Lei per un po' ignorò il problema: non voleva affrontarlo, negò anche a se stessa che la sua piccola potesse essere malata. Alla fine, trovò il coraggio e la portò dal veterinario. Lui la sottopose ad una lastra, poi le comunicò: “C'è un tumore tra fegato, stomaco e vescica” Per Giovanna fu un colpo inaspettato. Si appigliò all'ultima speranza, quella dell'intervento, confidando che Nocciolina, dopo, sarebbe stata bene. Il giorno in cui la dovevano operare, la lasciò nelle mani dei medici e se ne andò in giro per smaltire la tensione. Camminò senza meta, come un automa, stralunata, disorientata, quasi paralizzata dall'ansia. E quando il suo cellulare squillò le mancò il respiro. Ascoltò le parole lapidarie del veterinario senza riuscire a rispondere: “Mi dispiace. Abbiamo rifatto la lastra e non possiamo operare. Il tumore è troppo esteso” Lei reagì con un pianto convulso e irrefrenabile in mezzo alla strada. La sua Nocciolina era condannata. Non poteva credere che stesse succedendo davvero...ma dovette farsi forza. Andò a prenderla, tornarono a casa e le promise
che si sarebbe presa cura di lei e le sarebbe stata sempre accanto. Glielo doveva, dopo quindici anni di devozione assoluta e totale. Trascorsero due mesi tra alti e bassi. Una mattina, dopo aver somministrato le cure a Nocciolina, Giovanna uscì con le sue nipoti. Quando riò da casa, udì un miagolio disperato. Entrò di corsa, e trovò la gatta sdraiata su un fianco accanto alla lettiera. Senza pensarci, la infilò nel trasportino, fece salire le nipoti in macchina e corsero dal veterinario. Lui la aggiornò, con tono serio: “Purtroppo il tumore si è esteso fino ad occludere l'arteria iliaca. Può vivere ancora 24 ore, ma le sofferenze sarebbero atroci. E' giunto il momento, signora”. La guardò, comprensivo “Se vuole può stare un po' con lei e salutarla” Ma Giovanna non ce la fece, e per questo ancora si sente in colpa. Si limitò a dare un'ultima occhiata a Nocciolina e a sussurrarle: “Ciao, compagna di una vita...perdonami, e grazie per tutto ciò che mi hai dato...” Poi se ne andò, e non tornò nemmeno a riprendere il trasportino. Non voleva più saperne, il dolore era talmente forte che giurò a se stessa: “Mai più gatti”. E per circa due anni tenne duro. Fino all'estate del 2009: una giornata afosa, un libro, la stanchezza, l'aria condizionata… e lei scivolò nel sonno senza accorgersene. Si ritrovò in una grande casa col giardino assieme alle sue sorelle. C' erano gatti ovunque, che entravano e uscivano dalle finestre aperte, e loro li nutrivano e li coccolavano. Ad un certo punto apparve un gatto grigio randagio, spelacchiato, magro e sporco. Giovanna disse alle sorelle di chiudere le finestre e di tenerlo in casa, perché aveva troppa fame. Poi si voltò per osservarlo meglio e, nonostante il colore diverso, riconobbe Nocciolina. Corse subito ad abbracciarlo e a baciarlo, e gli chiese: “Nocciolina, perché mi hai lasciata? Mi manchi tanto!” Il gatto rispose: “Non preoccuparti, presto non sarai più sola. Aspetta e vedrai” Poi si svegliò di soprassalto. Piangeva, ma aveva dentro di sé uno strano senso di pace. Non sapeva come spiegarsi ciò che stava provando, ma aveva ricevuto un messaggio... E pochi mesi dopo capì cosa significava il sogno. Era un pomeriggio come tanti: lei al computer, e in sottofondo sua nipote Margherita che parlava col fidanzato. Furono alcune frasi di lui, a colpirla: “Non posso tenerla, ho già due gatti,
dobbiamo trovarle una casa...” Incuriosita dall'argomento, Giovanna si inserì nella conversazione. E il ragazzo le narrò di come aveva raccolto una micina in fin di vita, con una zampina lacerata e un'altra spezzata, ma capace di trascinarsi per strada alla ricerca di un aiuto, con una disperata voglia di vivere. Lei disse d'impulso: “La prendo io” Non le importava se era bella o brutta, o in che condizioni fosse. Il ragazzo, sorridendo, le chiese: “Vuoi vedere una sua foto?” Le ò il cellulare, e in quell'istante Giovanna restò senza fiato...scaricò l'immagine sul pc, la osservò meglio e… non riusciva a crederci: era la gatta che aveva sognato pochi mesi prima! “Ecco perché quel sogno!” Realizzò. Nocciolina era tornata. Adesso era uno scricciolino grigio cui avevano amputato una zampina, disperatamente bisognosa di una mamma. E lei era lì, di nuovo pronta! Quando Trilly arrivò a casa e si accoccolò sul lettone, tra i cuscini, Giovanna ebbe la certezza di essere parte di qualcosa di molto più grande. Nulla era accaduto per caso: Nocciolina, il sogno, il ritrovamento di Trilly...per quanto avesse sofferto ora si sentiva in pace, felice, appagata. Come in quella incantevole casa col giardino e le finestre aperte per accogliere i gatti .
Torino: Silvana e Erik
Volare via
Erik non era ancora nato, quando Silvana decise che voleva un rag-doll nella sua vita. Ma era scritto che prima o poi si sarebbero incontrati. Aveva chiamato sua figlia Erika, in tempi lontani, quando ancora non pensava a un gatto... Era il 1990. Silvana stava sfogliando “Quattro zampe”,lesse la storia della razza rag-doll, letteralmente “bambola di pezza”, vide delle foto deliziose e decise: “Devo averne uno”Non c'era Internet a quei tempi. Lei si procurò i numeri di vari allevatori, ma in Italia nessuno conosceva quella razza californiana. Telefonò alla rivista, dovette insistere molto e alla fine ottenne il numero di un allevamento svizzero. Lei chiamò l'allevatrice, che la sottopose a una serie infinita di domande, e poi acconsentì:ù “Va bene, lei è idonea”. Così le prenotò un cucciolo. Ma l'attesa fu lunga, perchè i maschi di rag-doll sono molto pigri. Infine, il 25 giugno del 1991 nacque il bicolore blu della quinta cucciolata, il cui nome, per legge, doveva iniziare con la “E”. Il nome completo era Erik de la Cyanara, e quando compì tre mesi l'allevatrice lo portò a Torino. Il primo incontro con Silvana avvenne alla stazione. Lei si innamorò all'istante di quel gattino con gli occhi azzurri, che sembravano identici ai suoi e a quelli di sua madre. Lo portò a casa per presentarlo a Erika e al marito P.G., e subito il micio decise che ruoli assegnare ad ognuno. Con la sorellina umana giocava a nascondino e a rincorrersi, col papà faceva giochi più “da maschio”, e a Silvana riservava i momenti più teneri, mettendole le lunghe zampe intorno al collo e riempiendola di baci e di fusa. Era un bravo gattino, Erik, educato, ma a volte un po' troppo curioso: prima si bruciò i polpastrelli sul vetro del forno, poi infilò le vibrisse nella presa della corrente. E quando mangiò una pianta anti-fumo stette veramente male: si grattava, aveva dolori alla pancia, si lamentava... così alle tre di notte lo portarono d'urgenza al Pronto Soccorso. La diagnosi fu avvelenamento da anticrittogamici, e per 24 ore venne sottoposto a flebo di cortisone.
Guarì, e tornò alle sue esplorazioni pericolose. Saliva sul balcone continuamente, un giorno perse l'equilibrio e cadde dal secondo piano. Le conseguenze si rivelarono subito molto gravi. I rag-doll hanno una muscolatura particolarmente rilassata, perciò i danni subiti furono consistenti: frattura esposta del femore, sbriciolamento della rotula, incrinatura del bacino. I medici lo sedarono, pronti per operarlo la mattina seguente. Ma la situazione si rivelò complicata, perché quella razza ha le ossa più grandi rispetto alle altre e gli strumenti non erano adatti. Alla fine riuscirono ad intervenire, però subentrò un'infezione. Erik stava malissimo, gli amici di Silvana e P.G. consigliarono loro di farlo sopprimere convinti che non ci fosse speranza, ma fortunatamente non vennero ascoltati. E piano piano, lui si riprese. Il metabolismo dei rag-doll è molto lento, perciò gli servirono otto mesi per guarire del tutto. Ma si ristabilì completamente. Diventò sempre più bello, e altissimo: in piedi arrivava ai mobili della cucina, e con la coda misurava un metro. Ed era sempre più affettuoso. La notte dormiva nel letto matrimoniale e faceva fusa talmente forti che spesso Silvana e P.G. non riuscivano a dormire! Ma quando Erik aveva otto anni, la vita della famiglia venne sconvolta all'improvviso. P.G., il papà pilota che amava eggiare tra le nuvole, precipitò col suo aereo, morendo all'istante, e gettando tutti nello sconforto. Silvana era disperata. Le mancava l'aria, non riusciva a capacitarsi di aver perso l'amore della sua vita...e anche Erik soffrì. Lui il suo papà lo vedeva, perché, come spiegò un'amica buddhista, i gatti riescono a guardare “oltre”. Lo chiamava piangendo, non capiva perché non tornava a casa...ma riuscì lo stesso a consolare Silvana. Dormiva con lei, la baciava, le si drusciava, le strofinava il suo nasino sul viso...e lei, a fatica, si riprese. Trascorsero alcuni anni, sette per l'esattezza, e una nuova tegola si abbatté su Silvana: si ammalò gravemente di reni. Nel febbraio del 2006 subì il trapianto che le salvò la vita, proprio nel periodo in cui Erika si sposo e andò a vivere da sola. Fu un periodo difficile, pieno di cambiamenti...e intanto Erik invecchiava. Aveva già quindici anni mentre in media i rag-doll non superano i dieci di vita. Iniziò a star male, a soffrire di nausea, a rifiutare il cibo... Erika, che nel frattempo si era iscritta a veterinaria, gli prescrisse una cura che Silvana seguì scrupolosamente. Più di una volta dovette correre al Pronto
Soccorso, ci furono lastre, ecografie, flebo...ma nulla pareva aiutarlo a sentirsi meglio. Erik sbavava, faticava a muoversi, aveva una forte insufficienza renale, un versamento nell'addome e un persistente dolore alle ossa. Il veterinario suggerì a Silvana di lasciarlo andare, ma lei non era pronta. Continuò a curarlo con iniezioni di Plasil, cercando di rimandare il momento di dirgli addio...non riusciva ad accettare l'idea. Erik era con lei da sedici anni, ne avevano ate tante insieme... ma poi fu costretta ad ascoltare sua figlia. Un giorno, Erika la convinse che doveva rinunciare a lui per non farlo più soffrire. E con le lacrime agli occhi le due donne si recarono dal veterinario. Fu terribile, fu straziante...dovettero fare più iniezioni, perché spesso chi soffre di insufficienza renale ha difficoltà a morire. Silvana ebbe un malore, e si sedette per non svenire. Infine, Erik de la Cyanara se ne andò, chiudendo per sempre i suoi occhi azzurri. Lei lo prese con sé e lo portò nella casa nuova, che era ancora da terminare, avvolto in una copertina che aveva lavorato a mano. Lo seppellì sotto una camelia, che era rosa, ma che col tempo fiorì di petali rossi, proprio come piacevano a lei, e lei dedusse che fosse opera di Erik... Ogni volta che guarda quella pianta, Silvana ha un attacco di nostalgia. E lo stesso effetto hanno le foto scattate in quei sedici anni. Erik le manca tanto, le mancano le sue fusa rumorose, i baci, gli abbracci...ma poi alza lo sguardo al cielo e si consola sapendo che lui è felice. E' vicino al suo papy, tra le nuvole, a fare giochi “da maschio”. E la stanno aspettando, uno accanto all'altro, per continuare nell'eternità la grande storia d'amore che avevano iniziato insieme.
Firenze: Elena e Chicco
La chiave dei sentimenti
Ci sono persone il cui cuore è come una stanza chiusa a chiave. In pochi riescono ad entrarci, ma quei pochi rimangono per sempre. Chissà quali chiavi possedeva Chicco... non era un cucciolo morbido con gli occhioni languidi, non era di razza, non era giovane...oppure fu proprio per questo che aprì la porta, entrò e magari si permise anche di spalancare le finestre... Elena e sco vivevano in una casa di tre stanze, avevano già due gatti: Sissi, una tigratina dallo sguardo furbo e Ettore, grigio col musetto chiaro, entrambi adottati al gattile, e non cercavano un altro amico peloso. Non ne avevano bisogno, stavano bene così... Poi, però, si imbatterono in quel volantino. C'era la foto di questo micione bianco e rosso che li fissava implorante, in cerca di qualcuno che lo portasse a casa, e non seppero resistere. Si chiamava Chicco, raccontarono loro in seguito. I precedenti padroni lo avevano lasciato al gattile dopo averlo fatto operare per la struvite. E lui se ne stava lì da un po', in attesa di affetto e di coccole. Non ebbero più dubbi: quel gatto meritava un'altra chance. Il 27 febbraio 2010 sco si recò al gattile, e tornò a casa con Chicco. La prima immagine che a Elena viene in mente di quel giorno è quella di un gattone che salta sulla lavatrice e la fissa con gli occhi sgranati, in preda alla paura e al disorientamento. Dovevano dare tempo a Chicco per ambientarsi, e agli altri due per accettarlo. I primi giorni furono difficili, ma piano piano le cose presero ad andare per il verso giusto. Chicco si integrò coi due fratellini, soprattutto con Sissi. Si rivelò anche un gatto molto simpatico e socievole, che adorava il sole, le palline di carta stagnola, i riposini nel letto con mamma e papà. Era molto affettuoso e coccolone, stava volentieri in braccio, e per lui il massimo della vita era poggiare il muso sul collo di Elena, e assordarla con le sue fusa...lei si chiese spesso come potevano averlo abbandonato. Era con lei solo da pochi giorni e...altro che chiave, quel rossino aveva scassinato la serratura e si era introdotto
all'improvviso nel suo cuore! Purtroppo, Chicco in gattile aveva contratto la giardia. Fu curato, ma da quel momento la sua salute rimase precaria. Tuttavia, era talmente felice della sua vita che non provò mai a lamentarsi. Trascorsero le settimane, i mesi...si avvicinava il Natale, e Elena già pregustava una serie di foto da scattare a Chicco: intento a distruggere l'albero, a giocare coi fili, a rincorrere le palline...non vedeva l'ora che arrivassero le feste per mettere in posa il suo nuovo modello. E invece, proprio a Natale, Chicco si ammalò. Era debole, tossiva ed era apatico. Dopo varie analisi e visite mediche, gli fu diagnosticata una pancreatite. Lo ricoverarono e gli infilarono un sondino nel collo per nutrirlo. Ma nonostante questo calvario, Chicco rimase sempre dolce, affettuoso e fiducioso nei confronti degli esseri umani. Per questo, anche Elena avvertì un certo ottimismo. Pensò che lui ce l'avrebbe fatta: non poteva non farcela, non dopo neanche un anno... Ma non bastarono né il suo atteggiamento positivo né le aspettative di Chicco. Il gattone morì il 20 gennaio del 2011. Era rimasto con loro appena undici mesi, dopo tutta una vita trascorsa in un recinto, e proprio adesso che aveva trovato l'amore il destino si era accanito su di lui. Per Elena era assurdo. Da un lato si sentiva rassicurata per avergli regalato affetto e calore, dall'altro non si capacitava della sua morte. Ne parlò con sco: dovevano incanalare il loro dolore, dargli un senso, far sì che Chicco venisse ricordato. E così nacque l'associazione “Amici di Chicco”, per incentivare le persone ad adottare gatti adulti e anziani. Se anche un solo individuo al mondo volgerà il suo sguardo, spostandolo da un cucciolino adorabile al muso vissuto e malconcio di un gatto cresciuto, significherà che tutto il dolore provato avrà avuto un suo motivo. A Elena, Chicco manca ancora. Spesso lo sogna, lo vede camminare con le sue zampe lunghe e bianche, avvicinarsi a lei, colpirla con una leggera testata e allontanarsi. E lo supplica: “Torna, amore. Torna ancora...ho bisogno di te...” E lui tornerà. Torna sempre, il gattone Chicco abbandonato e poi rinato. Nei sogni, per sostenere la sua mamma. E nei pensieri di Elena e sco, mentre si adoperano per dare una possibilità ai gatti che nessuno vuole. Quei gatti che vediamo anche noi, ogni giorno. Sono quelli col pelo un po' ispido, gli occhi rassegnati, il o stanco, forse ammalati, o forse semplicemente tristi. Quelli che non sperano più. Quelli che pare che piangano se ci si allontana, e che vorrebbero tanto una carezza. Quelli che non sono graziosi micetti, non sono di razza, a volte sono pure acciaccati, ma che, come Chicco, possono trovare le chiavi e aprirci il cuore.
Genova e Cagliari: Susanna, Mindy e Camilla
Angeli
Era un triste giorno di novembre a Genova. Pioveva a dirotto. Era il 1993 ed erano già trascorsi quattro anni. Quattro anni senza Ermanno, quel fratello eccezionale morto in un incidente appena ventunenne. Susanna e suo marito Marco arrivarono al cimitero in moto, con i fiori. Era un giorno pesante, funesto, grigio e struggente che all'improvviso risuonò di un pianto. Susanna si scosse dal suo dolore opprimente, dalla sua malinconia, si guardò intorno, e... non riuscì a credere ai suoi occhi. Accanto alla foto del fratello, sulla sua tomba, una gattina minuscola, bagnata fradicia, la fissava e miagolava disperata. Aveva degli occhi verde smeraldo dolcissimi e di certo non più di un mese di vita. Era come se Ermanno l'avesse chiamata lì, perché lei la trovasse. Un regalo per farla smettere di piangere e per aiutare quella creaturina inzuppata e tremante... “Grazie, fratellino” Sussurrò Susanna, infilando la gattina dentro il giubbotto di pelle. Era un po' preoccupata per il tragitto in moto sotto la pioggia, ma la piccola sembrava a suo agio. E non appena furono a casa la rifocillò con cibo, latte e coccole. Mindy, così decise di chiamarla, era davvero una gattina speciale. Le riempiva le giornate con la sua dolcezza, le sue fusa, era una compagna tenerissima. Quando udiva il rumore della moto di Marco che tornava a casa, faceva le corse per vederlo parcheggiare dalla finestra. Era il suo modo di accoglierlo. Susanna la adorava, e sapeva che le era stata mandata da qualcuno che le voleva molto bene... Ma anche Mindy, come Ermanno, era un angelo destinato ad un breve aggio sulla terra. Ai primi malesseri che evidenziò, il veterinario la trovò positiva a FeLV, FIV e FIP: era in condizioni gravissime. Poteva guadagnare pochi mesi di vita, ma non c'erano speranze di salvarla. La piccola lottò con tutte le forze che il suo corpicino possedeva, però dopo sette mesi Susanna dovette arrendersi. La accompagnò nel sonno eterno, tenendola tra le braccia e cantandole la sua ninna
nanna preferita. Si commosse perfino il veterinario, nell'assistere a quell'addio straziante... La piccola Mindy tornò così da Ermanno, e a Susanna piaceva immaginarla dentro al suo giubbotto di pelle, a fare le fusa. Adesso i suoi angeli erano insieme, giovani, meravigliose vite strappate alla terra per proteggere con il loro amore chi restava. Ma per chi restava non era affatto facile. Susanna non riusciva a smettere di piangere. Le mancava la sua bimba, e giurò che non avrebbe mai avuto altri gatti. Incaricò Marco di portare le scatolette di Mindy al negozio di animali perché le dessero ai randagi, e si chiuse nel suo dolore. Quando lui rientrò e lei vide che teneva in braccio una tigratina tutta occhi e orecchie, si ribellò: “Non la voglio!” Erano trascorse solo due settimane da quando Mindy se ne era andata. Susanna non era ancora pronta a tradirla. E davanti alla fermezza di Marco, osservò: “Te ne occupi tu, io non voglio saperne nulla”. A malapena guardò la gattina, il suo curiosare per casa, la sua circospezione nei primi approcci, il timore dell'ignoto che la convinse a trascorrere la notte in una sedia, sotto il tavolo...non la voleva. Non le interessava. Non era Mindy, e lei non si sarebbe mai affezionata a un gatto che non era Mindy! La mattina seguente, Susanna appena alzata andò a sedersi sul divano a piangere come faceva spesso. Mentre era lì, la gattina che lei aveva ignorato ed evitato, le salì sulle gambe, le accarezzò il viso come ad asciugarle le lacrime, e si accucciò accanto a lei. Si addormentarono così, le svegliò il rumore della moto di Marco...e prima che Susanna se ne rendesse conto la piccola attraversò tutta la casa per vederlo parcheggiare! “Come poteva saperlo?” Si chiese lei, sconcertata “Lui l'ha portata fin qui a piedi...come sapeva della moto?” C'era una sola spiegazione. Era stata Mindy a mandare quella gattina, istruendola bene su quali fossero le sue abitudini... e in quell'istante Susanna capì: Mindy non voleva che si sentisse sola. La tigratina era lì per lei. E la accettò. Di più. La amò. Le mise nome Camilla, e fu da quel giorno che ebbe inizio la loro storia insieme. Appena fu il momento, Camilla fu portata a sterilizzare. E quell'intervento le salvò la vita: il veterinario infatti le rimosse un tumore
fortunatamente ancora operabile. Camilla superò l'operazione e la convalescenza. Ma dopo poche settimane stava di nuovo male. Susanna iniziò a preoccuparsi, e il veterinario confermò che la gattina non era affatto sana, aveva molti problemi di salute. Per Susanna fu un ripiombare nell'incubo vissuto con Mindy...non lo avrebbe sopportato, non poteva rinunciare anche a Camilla, non ce l'avrebbe mai fatta... Quella notte, sognò Ermanno e Mindy che erano insieme, e che le dicevano di non preoccuparsi. Lei dedusse che erano venuti per accompagnare Camilla sul ponte, ma quando la piccola mostrò i primi segni di miglioramento, attribuì finalmente al sogno il giusto significato: i suoi angeli erano apparsi per aiutare Camilla a guarire. Così, Camilla crebbe, e divenne una micetta affettuosissima, simpatica e giocherellona. Scalava tende preziose, si arrampicava sui mobili, faceva agguati agli ospiti e la sua ione era balzare in mezzo al lenzuolo pulito, quando Susanna e Marco lo tendevano ognuno dal proprio lato per piegarlo. Camilla riempiva le giornate di Susanna, e negli anni, con lei, affrontò i nuovi sconvolgimenti che si susseguirono. Il trasloco da Genova a Cagliari, perché Susanna soffriva di attacchi di panico e voleva cambiare aria. Il divorzio da Marco. I giorni bui della depressione, nei quali rappresentò per la sua mamma umana l'unico motivo per vivere. I due tumori che i chirurghi rimossero a Susanna, che si rivelarono benigni, ma che la costrinsero a letto per molto tempo. Lei le rimase accanto, fedele e tenerissima. E Susanna ricambiò quando fu il momento. Un' unghietta girata verso l'interno, infatti, causò a Camilla un'infezione, e un'altra gliela procurò lo stress dell'estrazione dell'unghia. In quel periodo, Camilla perse cinque chili e mezzo, ma con l'aiuto di Susanna riuscì a guarire. Sono trascorsi diciotto anni, e il tempo lentamente ha colpito indiscriminatamente. La ex suocera di Susanna, colei che subiva gli attacchi di Camilla, che la accudiva durante le vacanze e che la adorava, sta invecchiando e la sua salute è precaria, e anche Camilla inizia a mostrare i segni dell' età. Susanna è terrorizzata all'idea di perdere di nuovo chi ama, ma sa anche che chi se ne è già andato la protegge e la sostiene. I suoi angeli, quelli che diciotto anni fa le mandarono una creatura tigrata in regalo non la lasceranno mai sola. Angeli belli, giovani e vivaci che dal cielo continuano a sorvegliarla, seduti su una moto, il visetto dolce di Mindy che spunta dal giubbotto di pelle di Ermanno
Borghetto Santo Spirito (Savona): Claudia e Tigrotto
Il piacere della conquista
Se lo era immaginato tante volte. Come sarebbe stato? Cosa si sarebbero detti? Che sensazione avrebbe provato nel toccare la pelliccia setosa e folta? Claudia attendeva quel giorno da sempre. Il giorno in cui avrebbe avuto un gatto. Fin da piccola li aveva amati e apprezzati, cercati, osservati, ma sua madre aveva posto il veto: “I gatti sporcano, rovinano mobili e portano malattie” Non aveva mai ceduto. Non perché fosse insensibile, ragionava soltanto con praticità. E il desiderio di Claudia si rafforzò nel tempo, fedele al principio per cui una cosa proibita nell'infanzia diviene ancora più appetibile...Claudia giurò a se stessa: “Appena vivrò da sola prenderò un gatto”. Poi, anni dopo, conobbe Mathias, l'uomo della sua vita: un ragazzo adorabile, comprensivo e amante degli animali. E lei iniziò a programmare: “Quando abiteremo insieme avremo un gatto, vero?” Se lo era sempre immaginato grigio tigrato e col faccino impertinente. Mathias la frenò: “Non andremo certo a comprare un gatto. Se ne troveremo uno che avrà bisogno lo terremo con noi”. E il 5 agosto 2009, il giorno in cui arrivò l'sms, quella frase risultò profetica. Claudia lesse il messaggio, senza particolare interesse. Ma subito le parole di Mathias le fecero salire le lacrime agli occhi: “C'è un gattino che mi aspetta, mi ha seguito fino alla porta d'ingresso”. Ed era grigio tigrato! Tanto che le parve che Mathias insinuasse tra le righe: “Non è che c'entri qualcosa?” Attese mezz'ora, altro sms. Poi un altro... “Il gattino ha mangiato”, “Il gattino mi ha seguito in camera”, “Il gattino dorme sul mio letto”, “Amore, va comprata la sabbietta, e stasera devi are per conoscerlo”....Nel giro di poche ore fu chiaro a Claudia che Mathias, ormai, aveva un gatto. E la sera, appena uscita dal lavoro, si precipitò a casa sua per vederlo. Ecco: era il momento che aveva atteso per tanti anni, non stava più nella pelle per l'emozione... e nell'istante in cui si trovò faccia a faccia con quel cucciolino grigio si innamorò a prima vista. Con un sorriso entusiasta allungò la mano e...il gattino si allontanò.
Mostrò di non ricambiare il suo amore, e i progetti di Claudia su come avrebbe dovuto essere quel momento si scontrarono con la realtà dell'imprevedibilità felina! Amava Mathias, però. Tigrotto, così lo chiamarono, fin dal primo giorno prese a dormire con lui. Si sedeva con lui davanti alla tv, gli chiedeva le coccole...lo adorava, insomma. Nessuno seppe mai da dove fosse sbucato quel micetto, secondo la veterinaria aveva circa tre mesi e mezzo, probabilmente trascorsi tutti per strada. Ma poi aveva scelto il suo papà, e lo amava follemente! Claudia trascorreva ogni momento libero a casa del fidanzato, tentando di fare amicizia con Tigrotto. Non era gelosa, anzi era felice che Mathias non fosse più solo, ma non riusciva a capire: “Perché Tigrotto non mi vuole?” Le soffiava, la graffiava, la evitava ogni volta che lei si avvicinava... ma Claudia aveva atteso troppo a lungo prima di avere questa occasione per arrendersi. Con pazienza e dedizione si mise all'opera per conquistare quel gattino riottoso. Dovette scendere a compromessi, per fare qualche o avanti, come lasciare un incrociatino nero appena comprato che Tigrotto aveva scelto come amico del cuore: lo fece senza battere ciglio, perché il gattino si era innamorato perdutamente, ed è una ione che non è mai svanita. Ancora oggi, Tigrotto lo “impasta”, ci dorme sopra e lo ciuccia, tanto che l'incrociatino si è meritato il nome di “Ciù Ciù”. Dopo quel regalo, qualcosa cambiò. Tigrotto dovette pensare che se quella persona gli aveva donato una cosa tanto bella, non poteva essere così negativa...piano piano si lasciò accarezzare, poi coccolare, prese a salirle in braccio, e col tempo finì per affezionarsi a lei come ad una mamma. Adesso, Tigrotto è davvero il bambino di Claudia e Mathias. E' un gattino ribelle, curioso, vivace, che ha la peculiarità di esprimersi con versetti buffi anziché miagolando. E' terrorizzato dall'aspirapolvere, e attratto da qualunque cibo venga cucinato, tanto che si propone ogni volta come “assaggiatore ufficiale”. E ha finito per fare amicizia anche con la sorella di Claudia, che all'inizio non accettava, e con la madre, la stessa che non voleva gatti in casa e che ora gli regala crocchette e scatolette... Da quando vive con Mathias, spesso la mattina Claudia si sveglia e si ritrova il musetto di Tigrotto appoggiato al cuscino, a pochi centimetri da lei. A volte, lui la aspetta fuori dal bagno dopo la doccia, per drusciarsi alle sue gambe umide e
coprirle con uno strato di peli. Ed è così che Claudia si era sempre immaginata la vita con un gatto. Ora il suo sogno di bambina si è realizzato. E quando stringe a sé Tigrotto ripensa a quel giorno, al loro primo incontro...non è stato facile, non è stato un colpo di fulmine reciproco, ma doverlo conquistare poco a poco ha reso il loro legame ancora più prezioso.
Campogalliano (Modena): Elisa, Sbira e Rosa
Per sempre insieme
In quel paesino con poche migliaia di abitanti, Elisa era conosciuta da tutti. Anche se la sua vita di studentessa in veterinaria la portava a vivere tra Bologna e Cesenatico, il fine settimana tornava sempre, per stare con sua madre, suo padre e le sue tre gatte. E tutto il paese sapeva che su di lei si poteva sempre contare se c'era qualche animale in difficoltà. Forse, anche quella gattina lo sapeva, forse non fu per caso che cercò proprio lei... Successe nel settembre del 2005. Elisa stava spazzando il pavimento del ristorante dove lavorava nel weekend, quando all'improvviso sulla porta apparve una micina tigrata, magra come un chiodo, che la fissava e piangeva. Lei prese del cibo dalla cucina e notò che la piccola lo divorava. E lesse nei suoi occhi che era incinta e cercava aiuto. Un ragazzo che ava da lì le chiese: “E' tua? Perché ho sentito dire che qualcuno se la vuole mangiare, perciò è meglio se la togli da qui!” Elisa, incredula e inorridita, caricò la gattina in macchina e la portò a casa. I suoi genitori non si mostrarono troppo propensi a tenerla, ma acconsentirono allo stallo in attesa che fosse sverminata, sfamata e curata. Solo che la piccola si mise d'impegno, e in pochi giorni riuscì a conquistarli: era divertente, miagolava di continuo ed aveva un carattere molto dolce. Quando Elisa la accarezzava, lei soleva prenderle la mano con le zampine, avvicinarla alla bocca e darle tante leccatine. Era una gattina speciale, e alla fine i genitori assecondarono Elisa: “Va bene, se la fai sterilizzare la teniamo” Lei la portò subito in ambulatorio. Era sicura che fosse incinta, ma i suoi colleghi veterinari non notarono nulla. Se i cuccioli c'erano, dissero, erano davvero minuscoli. La operarono, e poi le diedero ragione: la gatta aspettava cinque gattini! Elisa si scusò con lei per averla fatta abortire, ma la sua amica non mostrò alcun
risentimento, e ricominciò con le sue tenere abitudini: baci, giochi, chiacchiere, mani portate alla bocca...riempiva letteralmente la vita della famiglia con la sua energia. La chiamarono Sbira, perché aveva un musetto vivace ed era incontenibile, come il personaggio di “Sbirulino”. Elisa era felicissima: adorava quella gattina, adorava il suo gesto di afferrarle la mano...era in perfetta simbiosi con lei, e pensava che nulla le avrebbe mai potute separare... Ma all'improvviso, tutto cambiò in poco tempo. Suo padre si ammalò di un tumore inoperabile, e appena un mese dopo Sbira scomparve. Lei la cercò ovunque: ne aveva bisogno per riuscire a sorridere, e ne aveva bisogno il suo papà nelle lunghe giornate di convalescenza...non poteva accettare di perderla proprio adesso. Ma ben presto si dovette rassegnare. Sbira non sarebbe tornata. Poi suo padre morì. Era troppo: Elisa si sentì svuotata, confusa, stordita dal precipitare degli eventi, era incapace di studiare e non faceva che piangere. Per tentare di reagire, iniziò un corso di omeopatia veterinaria, che la aiutò a superare quel brutto periodo. Al corso, conobbe una comportamentalista, cui chiese dei consigli per le sue gatte, e nel chiacchierare le accennò la storia di Sbira, che ormai era scomparsa da tre anni. La donna le raccontò di aver seguito un seminario di telepatia animale, per diventare “animal communicator” e poter parlare con qualunque animale, dovunque si trovi, a volte anche soltanto tramite una foto. A quelle parole, Elisa si risentì e se ne andò: come faceva una persona così colta e in gamba a credere a certe idiozie? Ma alla fine vinse la curiosità. Andò su Internet e scoprì che in molti paesi gli “animal communicators” affiancano i veterinari regolarmente. Senza abbandonare lo scetticismo, andò comunque al corso per capire meglio di cosa si trattasse. E rimase favorevolmente stupita: Valeria, l'insegnante, sapeva mettere gli allievi a proprio agio e non tentava di imporre a nessuno le proprie idee. Dopo il corso, lei fece qualche tentativo per mettere alla prova le proprie doti,e si scoprì molto brava: ciò che vedeva dalle foto corrispondeva in pieno con i racconti dei proprietari degli animali. Così, vinto lo scetticismo, diede a Valeria la foto di Sbira. E la donna una settimana dopo la chiamò. Non aveva belle notizie: “Sbira ha ricordi parecchio confusi” Le spiegò “Stava rincorrendo una farfalla e di colpo si è ritrovata a guardare il suo corpo morto sul ciglio della strada”. Le descrisse il luogo, che Elisa riconobbe come uno di quelli nei dintorni di casa sua. E poi
aggiunse: “Sai, a Sbira dispiace averti fatto soffrire. Dice che vuole tornare da te, e appena sarà pronta tornerà reincarnandosi in un altro gatto” “Come la riconoscerò?” Chiese Elisa. Valeria le assicurò: “Non sarà uguale a lei, ma avrà comportamenti simili, vedrai che lo capirai” Elisa si mise ad aspettare. Trascorsero due mesi senza nessun segnale rilevante. Poi, una sera, lesse un post su Facebook: c'erano dei volontari che stavano allattando alcuni gattini nelle zone terremotate dell'Abruzzo. Una dei piccoli aveva le zampine anteriori deformate, poiché le falangi non si erano staccate ed era nata con due specie di palettine all'estremità degli arti. Sarebbe stato difficile, per lei, trovare un'adozione. Elisa chiamò il responsabile e si offrì: “Io ho già tre gatte, ma se non sapete a chi darla la prendo” Nel frattempo, la micina cambiò vari stalli. L'ultimo fu a Milano assieme ad uno dei fratellini, a casa di Rosa, una volontaria fantastica che si prendeva cura di moltissimi gatti. Quando Elisa arrivò per la femmina, Rosa le chiese di portare con sé anche il fratellino, perché tra i gatti che aveva in stallo ce n'era uno malato e temeva potesse contagiarlo. Così lei ripartì da Milano in treno coi due cuccioli, che insieme pesavano meno di un chilo. Il maschietto era già stato prenotato, ma per la femmina nessuno si faceva avanti. Elisa era un po' titubante: le sue tre gatte vivevano in perfetto equilibrio, non voleva creare subbuglio. Ma poi accadde qualcosa che le fugò ogni dubbio... Un giorno, la gattina, chiamata Rosa in onore della volontaria, era sdraiata sulla schiena che stava giocando. All' improvviso, prese la mano di Elisa con le sue palettine, e se la portò alla bocca. Lei rimase senza fiato: nessun gatto lo aveva mai fatto prima di Sbira, e nessuno dopo...si mise ad urlare, in preda all'emozione: “Tesoro, sei tu! Sei tornata!” Corse al computer e inviò la foto di Rosa a Valeria, senza spiegarle nulla. Dopo due giorni ebbe la conferma: “Quella è la gattina con cui ho parlato due mesi fa. Mi ha detto che è felice di essere tornata a casa e che rivorrebbe la sua pallina rossa” Quelle parole fecero sobbalzare Elisa: quando Sbira era scomparsa, lei aveva messo da parte il suo giochino preferito, che era proprio una pallina rossa. Valeria non poteva saperlo, e questo fugò ogni suo dubbio residuo: Rosa era Sbira! Era ricomparsa come gattina bisognosa di cure, e per Elisa fu meraviglioso aiutarla. La sverminò, le tolse le pulci e le stette accanto per far sì
che avesse una vita il più possibile normale. Ora che l'aveva ritrovata non poteva non dedicarsi a lei! Pochi mesi dopo, Elisa tornò definitivamente a casa della madre. Andò a Bologna solo un weekend per avvicinarsi a Cesenatico, dove la aspettava un convegno. Ma proprio mentre si trovava in Romagna le arrivò la telefonata di sua madre, che con voce ansiosa le comunicò: “Rosa non torna da ieri! Non è mai stata fuori così a lungo e ho paura!” No. Non poteva essere accaduto di nuovo. Elisa si ribellò: non lo accettava. La sera alle nove tornò nell'appartamento di Bologna distrutta, ma nonostante le avessero consigliato di non tentare la telepatia se si è stanchi, si concentrò al massimo, e mormorò: “Rosa, dove sei?” “Qui” le rispose la gattina “Qui dove?” “Non lo so...” “Torna a casa, ti prego!” “Non posso” “Perché?” A quel punto, Elisa si sentì le gambe paralizzate. Sapeva che a volte gli animali possono trasmettere al communicator ciò che provano. Ritentò: “Rosa, torna a casa” “Non ci riesco...” Era certa che fosse viva. Non solo per la telepatia, se lo sentiva nel profondo. La mattina dopo fece migliaia di telefonate, e alla fine a un gattile le risposero: “Sì, abbiamo noi una gattina con le zampe malformate, era stata investita e non poteva muoversi perché aveva il bacino fratturato. Alcuni bambini la stavano tormentando, così una signora ci ha chiamati” Aveva ragione: Rosa era viva! E nonostante la frattura stava bene, sua madre poteva arla a prendere la sera stessa. Elisa tirò un sospiro di sollievo: era piena di rabbia con chi l'aveva investita, con quei bambini che l'avevano stuzzicata, ma finalmente era tutto finito! E come la tensione scivolò via, Elisa svenne, privata di colpo di ogni energia fisica e mentale. Riabbracciò la sua bimba pochi giorni dopo. La strinse tra le braccia, commossa, e le sussurrò: “Nessuno ci separerà più, piccola mia. Ti farò guarire, ti comprerò le pappe più buone che esistano, sarai la mia piccola principessa!” Si erano ritrovate. Il loro legame aveva vinto, più forte del dolore, più forte della morte...e se da quel momento Elisa scoprì un nuovo modo di guardare alla vita il
merito fu di quella micina che con le sue zampine buffe continua a tirare a sé la sua mano per poterla baciare.
Napoli: Bianca Maria e Kikko
Teneri morsetti
Correva l'anno 2003. C'era un gran via vai di operai per dei lavori in corso. Ovunque polvere, mattoni, impalcature... non si sa come, un micetto minuscolo, con occhi e orecchie spropositati, riuscì a salire le due rampe di scale che separavano la casa di Bianca Maria dalla strada. Lei lo fisso, perplessa, e cercò di essere razionale: “Non posso, no, non posso, sono fuori tutto il giorno, o a casa solo la sera e la notte...” Il gattino non abbassava lo sguardo, così lei pensò ad un compromesso: lo avrebbe adottato a distanza, tenendolo nel cortile interno, al riparo, e portandogli cibo e acqua ogni giorno. Le sembrava la soluzione migliore. Il piccolo si rivelò subito voracissimo, si fiondava letteralmente dentro il piatto, e Bianca Maria non potè fare a meno di osservarlo intenerita. Si affezionò poco a poco, in quei brevi momenti che erano diventati abitudine. Finché una sera non resistette all'impulso di are da un negozio e fare scorta di scatolette, latte per cuccioli e perfino di una pallina per far giocare il gattino. Tornò a casa eccitata ed euforica, ma quando lo chiamò lui non si presentò. Lo cercò ovunque, e alla fine si arrese: il suo piccolo amico era sparito. Fu una brutta serata: Bianca Maria non toccò cibo, e non riuscì a dormire per tutta la notte, pensando a lui. La mattina seguente stava andando al lavoro assieme al marito, quando scorse un'ombra dietro un cespuglio. Corse a controllare e trovò il gattino che tremava, con gli occhini e il nasetto intasati. In quell'istante, mentre lo sollevava e lo stringeva a sé, Bianca Maria decise che non lo avrebbe mai più lasciato: si sarebbero appartenuti per sempre! Il veterinario non fu molto ottimista, quando visitò il piccolo: spiegò che soffriva di rinotracheite, inoltre era debole e minuto, e la malattia avrebbe potuto ucciderlo. Ma né lui né Bianca Maria si arresero, e lottarono insieme contro la diagnosi. Il gattino, tanto esile da meritarsi il soprannome di “Micro” , riprese a mangiare, e migliorò di giorno in giorno. Poi, una sera, si avvicinò incuriosito al
sigaro che il marito di Bianca Maria stava fumando. Annusò appena, e subito si produsse in uno starnuto gigantesco, espellendo in una sola volta tutto il muco che gli intasava le vie respiratorie. Da quel momento stette bene, e come ogni gatto di casa che si rispetti si creò il suo tran-tran. Fu dotato anche di un nome, a “Micro” si aggiunse “Kikko”, e iniziò subito a farsi rispettare. Se desiderava uscire sul balcone, si piazzava davanti alla finestra finché non veniva accontentato. Se di notte esigeva uno spuntino, saltava sul comò e con la zampina faceva oscillare uno specchio attaccato al muro, svegliando mamma e papà. Esprimeva sempre e comunque i propri bisogni. Se Bianca Maria gli chiedeva: “Hai fame?” lui le mordicchiava la mano, con una stretta più o meno forte a seconda del livello di appetito che aveva. E questo a lei piaceva molto, perché creava tra loro un legame tutto particolare. Kikko si dimostrò geloso quando in casa entrò il gatto rosso Jack. Indisse una specie di sciopero della fame, ma poi Bianca Maria gli spiegò che nessuno minacciava la sua posizione di favorito, e alla fine lui si sentì rinfrancato. Decise anzi di dover educare il nuovo arrivato, e lo fece con il piglio del capofamiglia: se Jack per esempio lasciava la lettiera sporca, Kikko lo prendeva per la collottola, lo riportava indietro e lo obbligava a pulire. E fu altrettanto severo e inflessibile con i gatti che giunsero in seguito. Era lui il capo, un “micro” micio, ma con una prorompente personalità! I primi problemi iniziarono nel novembre del 2010. Bianca Maria notò una nocciolina tra le scapole di Kikko. Lo portò dalla sua veterinaria Manuela, una donna dolcissima e preparata, che diagnosticò un tumore da rimuovere subito. Kikko fu operato la prima volta un mese dopo, ma Manuela non prospettò tempi facili: il tumore era stato rimosso, però era molto probabile che si svilupero recidive. Colpita dalle sue parole, Bianca Maria riportò a casa Kikko, che sembrò riprendersi al meglio: mangiava, saltava, giocava...il tumore, tuttavia, si ripresentò. Prese ad espandersi all'esterno in grossi rigonfiamenti sottopelle, e il 4 febbraio fu necessario operare di nuovo. Manuela confermò che non c'era da essere ottimisti, ma Bianca Maria non lasciò nulla di intentato: fece arrivare da Firenze un farmaco omeopatico per malati di cancro, somministrò a Kikko cloruro di magnesio per rafforzare le difese immunitarie... fu tutto inutile. Nonostante restasse un gatto vivace e curioso, appena un po' più calmo di prima,
Kikko dimagriva a vista d'occhio, e i bubboni crescevano senza sosta. Non c'era più nulla che si potesse fare. Il 16 maggio 2011 Bianca Maria portò Kikko di nuovo in clinica: aveva due escrescenze che gli pesavano sulle spalle ed era necessario rimuoverle. Ma quando Manuela iniziò ad operare, constatò che il tumore era ormai diffuso ovunque. Kikko non aveva più muscoli, era pelle e ossa, i polmoni non funzionavano più...tentò di rianimarlo, anche con la respirazione bocca a bocca, ma ormai Kikko se ne era andato. Il tumore aveva vinto, portandoselo via in pochi mesi. Per Bianca Maria fu un brutto colpo: non faceva che ripensare a quel microbo sbucato tra impalcature e lavori in corso, al suo starnuto dopo aver odorato il sigaro, ai morsetti con cui le stringeva la mano per farsi capire...sapeva che le sarebbe mancato, per sempre, e in quel momento gli promise che ogni giorno lo avrebbe salutato con il loro “mantra”, per sentirlo sempre vicino: “Ciao Kikko, mi raccomando fai il bravo, la mamma torna presto e ti vuole tanto bene!”
L'Aquila: Gabriella e Bunny
Tornare a sorridere
Da ragazzina, Gabriella raccoglieva gli uccellini caduti dal nido per curarli e aiutarli a volare. E quando andava in montagna dalla nonna giocava con galline, conigli, papere ...un giorno fantasticava sull'avere una mucca, un giorno si fissava che voleva un pony, poi una talpa, una volpe...e sua madre le ripeteva: “Gli animali devono stare nel loro habitat naturale” Il desiderio più grande per Gabriella, però, era quello di avere un gatto. E i gatti c'erano anche in città. C'era una colonia proprio nel giardino del suo palazzo. Per lei e sua sorella Antonella era appagante e divertente accudire quel gruppo di randagi. E soffrirono molto quando Gigiotto, il playboy della colonia, un gatto docilissimo che amava accompagnare la gente nei loro giri quotidiani, morì investito da un'auto. Dopo di lui ci fu Kiss, un micetto rifiutato dalla madre, magro e impaurito, che lei curò e nutrì. Ma quando il piccolo fu pronto a tornare in giardino, scomparve nel nulla e nonostante le ricerche non fu mai ritrovato. Gabriella ne fu rattristata, perse molto del suo entusiasmo infantile e decise che, dopotutto, un gatto non lo voleva più. Non sapeva che presto il destino si sarebbe messo di mezzo per sconvolgere tutto... Il 1998 fu un anno terribile per Gabriella e la sua famiglia: dopo una brutta malattia suo padre morì. Fu un colpo per tutte: lei, Antonella, sua madre e la nonna. Si ritrovarono all'improvviso senza un figlio, un marito, un padre, stordite e turbate. Dopo mesi di attese, di visite in farmacia, di terapie, diete, esami, infermieri che giravano per casa, notti insonni, era finito tutto. E il dolore aveva la forma dello smarrimento. Mancava la presenza. Mancavano le risate. E la voce, i i...la casa era vuota e triste. Gabriella non riusciva più ad essere serena... Poi, una sera notò Antonella che confabulava con una amica, e a lei tornò in mente ciò che la ragazza aveva detto a sua sorella pochi giorni prima: “Dai, prendi un piccolo della gatta di mia nonna!” Le raggiunse, e lo sguardo
colpevole di Antonella confermò i suoi sospetti. Poi si accorse della gattina, e mentre la osservava lei si produsse in un “miaooo” disperato. In quel momento, Gabriella scoppiò a ridere. Rise di gusto. Rise anche sua madre. Rise anche sua nonna...era la prima risata che facevano dal giorno del lutto. Quella creaturina colorata, con le orecchie aguzze e il corpo magro ma panciuto, aveva fatto il miracolo, riportando il sorriso dopo tanto dolore. Quella notte fu piena di agitazione. Gabriella, in sogno, udì un miagolio. Poi lo sentì più forte, sempre più forte...di colpo si svegliò e realizzò: “Ah già! In cucina c'è la gatta!” Si precipitò per vedere se stesse bene e trovò madre, nonna e sorella già sul posto. E davanti a loro la gattina che per la gioia di averle fatte alzare faceva la “pasta” sul pavimento. “Non ho nessun problema” Sembrava dire “Cercavo solo un po' di attenzione!” Così iniziò la convivenza tra le cinque “signore”. La piccola ebbe lettiera, cuscino, ciotole, pappe...il compito più arduo fu trovarle un nome. Serviva un'idea brillante. E l'idea balenò nella testa di Gabriella vedendola giocare con un coniglietto di pelouche. La micina lo buttava in aria, lo mordeva, lo faceva rotolare, poi lo afferrava scalciando con le zampe dietro come... “Come un coniglio!” Realizzò Gabriella, fulminata da quel paragone “Fa le zampe da coniglio, gioca col coniglio...va bene bella, il tuo nome sarà Bunny!” E Bunny si rivelò un vero toccasana in un periodo tanto difficile. Era una gattina vivace e attiva, che con le sue fobie portava sempre una risata. Temeva particolarmente un cofanetto con un carillon, i mazzi di chiavi, la tv, il pianoforte e un paio di pantofole musicali a forma di orso con cui Antonella camminava in casa. E quando si trattava di giocare, era davvero scatenata. Gabriella adorava giocare con lei a “mano cattiva”. Si avvicinava con la mano aperta e con voce lenta e cupa scandiva “B-U-N-N-Y”...a quel punto la gatta si preparava e attaccava, afferrando la mano e colpendola con morsi, graffi e calci. Poi mollava la presa e attendeva che il gioco ricominciasse. Andavano avanti fino a che Gabriella non desisteva, piena di segni ma divertita. Interagire con Bunny la aiutò moltissimo a superare la morte del padre. Bunny bloccata a bocca aperta davanti a un moscerino, Bunny pronta a rubare la sedia a chi si alzava per prima, Bunny insolitamente amante dell'acqua, che metteva la zampina sotto la cannella per poi leccarsela da bagnata...
I problemi sorsero quando arrivò Alessandro, il fidanzato di Gabriella. Bunny, cresciuta in un matriarcato, studiò quell'essere nuovo con diffidenza, e decise che non le piaceva. Lui, amante dei gatti, tentava di giocare, e lei rispondeva con graffi e morsi. Fino alla sera in cui Alessandro, per scherzare, si produsse in una pernacchia simile al verso di Paperino. Allora Bunny realizzò che forse non era così male: salì accanto a lui sul divano, lo guardò e da quel momento in poi lasciò che lui la accarezzasse. Per i viaggi, invece, non ci fu nulla da fare. Ogni volta che caricavano Bunny in macchina, lei emetteva un suono cavernoso, con molte “o” e “u”, ansimava, sbavava e strabuzzava gli occhi. Non potevano nemmeno farla sedare dal veterinario, perché solo a vederlo Bunny diventava una “iena”, così la chiamavano in ambulatorio...perciò, ogni viaggio fu accompagnato da scene isteriche, brontolii e respiri affannati...solo una volta nella sua vita Bunny non si agitò dentro la macchina. Troppo brutto ciò che accadde, troppa tensione, troppa paura... Il 6 aprile 2009 a L'Aquila la terra tremò. Gabriella, che viveva da un po' a Milano con Alessandro, sapeva che c'erano già state altre scosse e temeva per la sua famiglia. La nonna era morta, ma mamma, sorella e gatta erano lì, in quella zona presa di mira dalla natura. Quando ci fu la grande scossa, alle 3,32, le due donne si ritrovarono in lacrime, terrorizzate ma illese, sotto una trave, in preda all' angoscia. Tutto tremava, oscillava, minacciava di crollare, e Bunny correva per la casa agitatissima. Dopo vari tentativi riuscirono ad infilarla nel trasportino e fuggirono. Alle 3,40 erano per strada. E proprio a quell'ora Gabriella si svegliò di soprassalto, senza motivo, e istintivamente afferrò il cellulare, che si illuminò in quel preciso istante. Un brivido le corse per il corpo: era successo qualcosa. Rispose col cuore in gola e Antonella la informò: “C'è stata una scossa fortissima! Stiamo scappando verso l'autogrill!” E poi la voce della madre: “No, andiamo al parcheggio della Coop!” “Come, dove, cosa? Ma è un posto sicuro?” Gabriella non capiva più nulla. Riuscì solo a chiedere, con un filo di voce: “Dov'è Bunny?” “E' qui” Rispose la sorella “L'ho dovuta prendere per la testa... ti pare che la lasciavamo a casa?” “Oh, meno male...” Lei sospirò. Erano salve tutte e tre. Ma poi, subito dopo, guardò Alessandro che provava invano a chiamare i suoi, e l'angoscia la pervase di nuovo. Accesero la
tv: la CNN parlava di danni , di vittime...vissero quei momenti come sospesi nel nulla...infine giunse la telefonata del padre di Alessandro: anche loro stavano bene. Ma avevano perso tutto. Come molti altri a L'Aquila. Il sisma aveva aperto muri, disgregato famiglie, lacerato cuori, minato certezze... e qualche tempo dopo fu proprio Alessandro a raccontarlo nel suo libro “Ventitre secondi”, che divenne presto un best seller. Dopo la paura della scossa, il sollievo per essere vivi e lo smarrimento delle prime ore, arrivò il momento di lasciare tutto e spostarsi altrove. La famiglia di Gabriella decise di andare a Tivoli da alcuni parenti, ma uscire da L'Aquila fu un incubo: regnava il caos più totale. C'erano ancora scosse, il traffico era in tilt, elicotteri, ambulanze...dovettero viaggiare sulle statali perché la Protezione Civile aveva chiuso l'autostrada. Partirono il pomeriggio del 6, dopo aver trascorso la giornata in macchina, e viaggiarono per ore, disorientate e stremate per la fatica. E Bunny? Beh, Bunny era paralizzata dalla paura. Non fiatò per tutto il tempo. Dall'istante della scossa all'arrivo a Tivoli non fece nemmeno la pipì. E le occorsero ben 48 ore per ritrovare la calma. Ma poi tornò la Bunny di prima: affettuosa, vivace, birbante, e con la sua dolcezza aiutò la famiglia a reagire. Come aveva già fatto, portò un sorriso anche nei momenti più bui, anche quando tutto il resto sembrava andare a rotoli. E parallelamente a Bunny, la gatta di Alessandro, Micia, non riuscì a scappare coi padroni durante la scossa. Lui temette che fosse morta, ma Gabriella sapeva che un'indole tanto tenace, testarda e prepotente non poteva essersi fatta fregare...e infatti alla fine di aprile la trovarono lì, padrona incontrastata di quella che un tempo era una casa e ora veniva definita solo “edificio pericolante”. Era sopravvissuta cacciando e lì rimase, poiché non poteva seguire la famiglia alloggiata sulla costa. Serena, la sorella veterinaria di Alessandro, si alterna coi vicini per accudirla. Certo, a Micia mancano gli umani, ma Gabriella è fiduciosa che resisterà, che difenderà il suo castello da brava regina dispotica e tiranna come è sempre stata. Micia, Bunny, e chissà quanti altri...anche gli animali sono stati tra le vittime del terremoto. E anche loro aiuteranno, col loro affetto, chi ha perso parte della propria vita. Sono ati due anni e in pochi pensano ancora agli aquilani. E Alessandro, col suo libro, si batte affinché gli italiani non dimentichino. Gabriella sarà sempre al suo fianco. Lo sostiene, lo appoggia, ben consapevole
che ogni volta che si sentirà stanca, o demoralizzata, o triste, le basterà cercare lo sguardo di Bunny, come era accaduto quel giorno del 1998. Lei saprà come ridarle il sorriso, sarà sufficiente, per Gabriella, sacrificare qualche piccolo, insignificante lembo di pelle e lanciarsi a giocare a “mano cattiva.
Molfetta (Bari): sca e Cicciolino
Una possibilità
Quando arrivò la telefonata, sca si precipitò. Era molto giovane, frequentava ancora le superiori e da sempre aveva una ione per i gatti. Li curava, li aiutava, li accudiva... così fu istintivo per Teresa, sua compagna di scuola, rivolgersi a lei: “Vieni subito, c'è un gattino in difficoltà” Le disse. sca corse assieme alla madre a casa sua per controllare. L' abitazione di Teresa si trovava al primo piano rialzato di uno stabile con un cortile privato, dove si era stabilita una piccola colonia felina. I gatti erano in prevalenza maschi, e c'era una femmina che aveva già partorito varie volte, ma i cui cuccioli raramente avevano superato un anno di vita. Stavolta al parto erano sopravvissuti due piccoli, ma, osservò Teresa, presto ne sarebbe rimasto uno... Le indicò un gattino di quaranta giorni, bianco e nero, che se ne stava in mezzo al vialetto del cortile, emarginato dalla madre e dal fratellino. sca si avvicinò, e quando lui si voltò vide che aveva gli occhi completamente bianchi, grossi come biglie e sporgenti dalle orbite. Lei avvertì subito una profonda tenerezza per quella creaturina sfortunata. Voleva prenderlo e stringerlo a sé, ma il piccolo scappo' nel sottoscala, spaventato, soffiando a chi tentava di raggiungerlo. La madre di sca, allora, afferrò una coperta che teneva in macchina, la calò su di lui e lo raccolse. “Andiamo” Annunciò. Lei la seguì come in trance, senza nemmeno salutare Teresa. Era sotto shock, e quando, dopo pochi minuti, riprese il controllo, domandò: “Scusa, dove stiamo andando?” “Dal veterinario” Rispose la madre “A...fare cosa?” “A far sopprimere il gattino” Quelle parole la gelarono, ma non replicò: forse era davvero la cosa giusta da fare. Così, con le lacrime agli occhi, si preparò a dire addio al piccolino. La veterinaria, però, la sorprese. Fece una diagnosi di rinotracheite, spiegando che il virus aveva attaccato la vista e l'apparato respiratorio. Ma aggiunse anche: “Si può curare con una terapia antibiotica. Il gattino rimarrà cieco, ma se la caverà”.
Dunque, non intendeva sopprimerlo! sca si sentì di colpo sollevata. Ovviamente, il piccolo non poteva tornare nel cortile di Teresa, e nessuno avrebbe mai adottato un gatto malato e cieco. Così lei e sua madre decisero: “Lo prenderemo noi!” Avevano già quattro gatti in casa, salvati dalla strada, e dovettero tenere il cucciolo lontano da loro. Perciò Cicciolino, così fu chiamato, trascorse quaranta giorni relegato in soggiorno, in isolamento. sca si prese cura di lui con dedizione, somministrandogli l'antibiotico, le creme, i colliri, nutrendolo e riempiendolo di coccole. E il gattino si attaccò moltissimo a lei. Le dormiva in braccio e spesso le ciucciava il dito, scambiandolo per il capezzolo della madre. E questo era sca per lui: una mamma, attenta e premurosa. Lui divenne la sua ombra: la cercava sempre, riconosceva la sua voce, il suo odore...solo da lei si faceva prendere in braccio e coccolare. Quando Cicciolino si ristabilì, sca lo presentò agli altri gatti, titubante e timorosa. Ma loro seppero stupirla: intuirono che lui era fragile, indifeso e lo accettarono subito. E anche il suo handicap non lo condizionò più di tanto. Imparò ad orientarsi alla perfezione nei vari piani della casa, sapeva dove trovare la lettiera, le ciotole e i cuscini. Diventò un gatto sveglio e intelligente, e sca era fiera di lui. Ogni sera si tenevano compagnia sul divano. Cicciolino le saliva sulle gambe e iniziava a ciucciare le frange del suo cuscino preferito. E anche grazie a lui, sca dopo la maturità scelse la facoltà di veterinaria. Altri gatti si aggiunsero negli anni, ormai la casa era una specie di gattile. Come i suoi genitori, sca era sempre disponibile a dare una mano agli animali in difficoltà, ma Cicciolino continuava ad occupare un posto speciale nel suo cuore. A dicembre, proprio nel giorno in cui compiva vent'anni, quando Cicciolino non ne aveva ancora due, sca tornò a casa dalla lezione e trovò suo padre in giardino, intento ad alzare un muretto per impedire ad un cane che aveva appena salvato di scavare un tunnel. Lei sorrise, ma lui le si avvicinò senza ricambiare, e con tono grave le sussurrò: “sca, devo dirti una cosa: Cicciolino è morto” “Ma dai papà!” Rispose lei “Non scherzare!” “Non scherzo...” Lui la fissò, sconsolato “Sono tornato in casa e l'ho trovato a terra immobile. Non c'era sangue...forse ha avuto un infarto giocando con gli altri gatti...” “No!” Lei scoppiò a piangere “Dov'è? Voglio vederlo!” Suo padre la accompagnò dentro. Cicciolino era nel ripostiglio sopra un cuscino
e sembrava che stesse dormendo. Quando lei lo sollevò emise un gemito, ma non era un gemito vitale, solo l'aria rimasta nei polmoni che fuoriusciva. Il suo piccolino era morto, doveva accettarlo. Lo tenne ancora un po' in braccio, cullandolo, incapace di separarsi da lui. Poi, delicatamente, suo padre glielo prese per seppellirlo. sca gli disse “addio” con un nodo alla gola. Il suo gattino aveva avuto una vita breve. Ma era stata una vita regalata: molte persone avrebbero soppresso un cucciolo nelle sue condizioni, perfino sua madre lo aveva abbandonato. Se non avesse incontrato sca nessuno gli avrebbe dato una possibilità. Lei era stata la sua mamma, lo aveva amato incondizionatamente. E non smetterà mai di pensare a lui, al suo musino furbo, alla sua tenerezza...l' immagine di Cicciolino sarà sempre con lei, perché le ricorderà, quando visiterà un animale da veterinaria, quale straordinario potere di guarigione possa avere l’amore.
Marina di Cecina (Livorno): Elisa, Pepe, Vale e Billy
Colpita dal destino
Ha una massa di riccioli e un sorriso delizioso. Se la guardi, Elisa sembra la persona più fortunata del mondo: ha un' agenzia immobiliare a Cecina mare, una bella famiglia, vive vicino ad una spiaggia che d'estate è bella, ma che nella tarda primavera regala tramonti che tolgono letteralmente il fiato. Eppure, c'è qualcosa che offusca il suo sorriso. Il ricordo di aver amato tanto, e di aver provato un dolore che non potrà mai are... Nel 2006, Elisa andò a convivere col suo fidanzato Marco, e subito volle prendere un gatto. Tra quelli che erano nati dalla gatta di sua zia, ne scelse uno bianco con una splendida coda tigrata e morbida e una macchia marroncina su una guancia. Fu amore a prima vista. Dopo pochi mesi lo portò a casa, prima ancora che lei e Marco finissero il trasloco, e iniziò a pensare a quale nome dargli. L'ispirazione le venne nel sonno: fece un lungo sogno, e al risveglio, d' istinto, disse: “Pepe!”. Così, divenne quello il nome del gattino. Pepe crebbe e divenne sempre più bello. Dormiva con loro, amava giocare e li divertiva con le sue paure inspiegabili. Lo terrorizzava più di ogni altra cosa la cintura dell' accappatoio, tanto che se la vedeva appesa in qualche posto compiva giri chilometrici pur di evitarla! Era buffo, vivace e Elisa lo adorava letteralmente. Tanto che si chiese se fosse il caso di prendergli un compagno con cui condividere i momenti di solitudine...e mentre lei ancora ci stava pensando, Marco giocò d'anticipo. La sera di San Valentino si presentò con una gabbietta e le disse: “Qui dentro c'è qualcuno, ma se non ti piace lo riporto al gattile” Lei aprì la gabbia, e ne uscì un esserino magro magro, con orecchie e occhi enormi e tutto il pelo arruffato e appiccicoso. Era il più bel regalo che Marco potesse farle, così tenero, così spaurito...e quella volta non tentennò sul nome: “Tu sarai Valentino” Sentenziò “In onore di questa serata” Valentino, che presto diventò “Vale”, non fu accolto da Pepe con molta gentilezza. Inizialmente lo aggrediva, oppure si isolava, mostrandosi offeso. Elisa ebbe pazienza, non lo
obbligò a fare nulla, e dopo un paio di settimane tra i due scoppiò un'amicizia improvvisa . Divennero inseparabili: giocavano insieme, condividevano la lettiera, non facevano che cercarsi. D'estate, Elisa e Marco lasciavano l'avvolgibile alzato, così i due cacciatori entravano e uscivano per tutta la notte a proprio piacimento. Una mattina, Elisa si svegliò e si accorse che seduto sul letto c'era solo Vale. Sul momento non si preoccupò: anche se era domenica l'agenzia richiedeva il massimo impegno, così lei uscì per andare al lavoro, sicura che al suo ritorno avrebbe trovato entrambi i gatti ad attenderla. Ma Pepe non tornò nemmeno per pranzo, non tornò la sera e lei cominciò a preoccuparsi. Lo cercò nei dintorni senza avere successo. Si sentiva angosciata e nervosa. La mattina dopo si alzò dal letto alle sette, incapace di dormire, e fece un giro chiedendo a tutti se sapessero qualcosa. Un vicino le diede la brutta notizia: Pepe era morto, era stato investito. Doveva essere accaduto il sabato notte...ma quella era una zona tranquilla, residenziale, lontana dai viali trafficati...lì c'erano piccole strade dove spesso giocavano i bambini... chi poteva essere stato tanto incosciente e cattivo? Elisa era triste e arrabbiata, pianse per giorni, e stava così male che quasi le dava fastidio la presenza di Vale. Poi, però capì che anche lui stava soffrendo. Non faceva che cercare Pepe, lo chiamava, aspettava che tornasse...non si rassegnava a essere rimasto solo. Così, Elisa contattò la sua amica Marcella, che lavorava al gattile, dicendole di tenerla informata sui nuovi arrivi. Non che fosse del tutto convinta di prendere un gatto subito: da una parte voleva aiutare Vale, dall'altra la ferita di Pepe bruciava ancora...rimase semplicemente in attesa, lasciando fare al caso. Poi, un giorno Marcella le telefonò e con tono entusiasta le disse: “E' arrivato! Lo abbiamo trovato fuori dall'Eurospin e devi vederlo subito! Questo è il tuo gatto!” Lei avvisò Marco, che la accompagnò al gattile. Quando arrivarono, Marcella aprì una delle casette e mostrò loro un micio rosso a pelo lungo con due nei sulle orecchie. Elisa lo sollevò e subito lui prese a drusciarsi e a leccarla con affetto...lei guardò Marcella, poi guardò Marco...aveva già deciso: quel gatto sarebbe tornato a casa con lei. L'aveva conquistata in pochi secondi. Si ripresentò il solito dilemma del nome. Ma per fortuna l' attività onirica di Elisa diede di nuovo uno spunto. Quella notte sognò un succo di frutta all'arancia che beveva spesso da bambina: il succo “Billy”. E Billy fu il nome scelto per il
nuovo arrivato! Vale non lo accettò subito. Difendeva il suo territorio da quel rossino languido e sempre in cerca di coccole. Si prese un po' di tempo per studiarlo poi, quando capì che Billy era tanto diverso da lui, abbassò le sue difese, smise di graffiarlo e acconsentì a fare amicizia. L'anno seguente, Elisa e Marco decisero di avere un bambino. Lei rimase incinta e nel febbraio del 2009 nacque Elia. Elisa si chiese spesso come l'avrebbero accolto Billy e Vale, ma quando lo portò a casa tutto andò per il meglio: Vale si limitò ad annusargli la testa, incuriosito. E Billy a malapena gli gettò un'occhiata. Non c'era nulla da temere: i suoi “bimbi” a quattro zampe avevano accettato il fratellino umano. Una volta addirittura sorprese Vale dentro la carrozzina che fissava Elia, come se volesse parlargli...e ovviamente crescendo Elia divenne un grande amante dei gatti. Si prese graffi e morsetti da Vale quando esagerò con la sua esuberanza, mentre Billy si lasciava fare qualunque cosa. Il micio rosso era nato con un difetto alle corde vocali, per cui non miagolava mai. Salvo, in casi estremi, chiedere aiuto quando Elia lo stuzzicava troppo! Elisa li guardava giocare, intenerita dallo splendido legame che univa suo figlio ai due gatti. E chissà perché, la sera del 20 marzo 2011 decise di scattare tante foto e di girare un filmato di Vale insieme a Elia. Le venne spontaneo, e mentre scattava, filmava e rideva non poteva immaginare che non avrebbe più avuto occasione di farlo... La mattina del 21 marzo salutò Vale come sempre. La sera lui non tornò. Lei mise appelli ovunque, disperata...poi, qualche giorno dopo le dissero di averlo visto. Morto. Sul ciglio della strada dalle parti di casa sua. Anche lui era stato investito. Anche Vale si era imbattuto in un bastardo che correva per quelle vie secondarie...Elisa era distrutta: la storia di Pepe si era ripetuta. Era piena di rabbia e annientata dal dolore. Ma stavolta dovette farsi forza, perché c'era Elia. Gli spiegò che Vale era andato in cielo, cercando di sostenerlo nel primo, grande trauma della sua vita. Anche Billy cercò per giorni Vale, disorientato e triste. Divenne ancora più affettuoso, come se volesse colmare il vuoto sia nel suo cuore che in quello dei suoi amici umani. E il vuoto che ha lasciato Vale è enorme. Elisa non ha ancora preso un compagno per Billy: attende che Elia cresca e che diventi meno “pericoloso”. E capita ancora che ogni tanto avverta la presenza di Vale, che le sembri di vederlo o di udire il suo caratteristico “miao” squillante, a cui ricorreva per svegliare Elia o per cercare attenzione. Allora si volta, lo cerca e subito si dice che deve rassegnarsi. Vale, come Pepe, non tornerà. Rimarrà dentro di lei come un ricordo struggente e dolcissimo. E ogni anno, per San Valentino, a Elisa tornerà in mente quella creatura arruffata e
impaurita che il suo amore le aveva regalato al posto dei fiori o dei cioccolatini.
Seveso altopiano (Monza e Brianza): Silvia, Briciola e Teo
Spiriti affini
Quando nacque Briciola, Silvia non andava ancora a scuola. La simil certosina che era stata lasciata ai suoi da un vicino partoriva almeno dieci gattini ogni anno, tutti a pelo lungo e bellissimi. Riuscivano sempre a farli adottare, e solo Briciola restò con loro: non fu messa in adozione e divenne la gatta di Silvia. Fu la sua confidente, la sua amica. Sapeva capirla e aiutarla, cresceva con lei...Silvia andò alle elementari, poi alle medie, poi alle superiori e Briciola le rimase accanto in quegli anni di trasformazione da bambina, ad adolescente, a ragazza, pronta ad accompagnarla a diventare donna... Aveva quindici anni quando Silvia doveva diplomarsi. Era una gatta sana, che poteva vivere ancora a lungo e morire di vecchiaia. Ma chissà perché un pomeriggio di maggio, mentre erano insieme sul balcone, Silvia avvertì una sensazione bruttissima, e sussurrò a Briciola: “So che la vita tra poco ci separerà” E due settimane dopo accadde la tragedia. La gatta stava dormendo in giardino. Entrò un ragazzino con un pitbull, che con un gesto fulmineo si liberò del guinzaglio e puntò verso di lei. Silvia, dalla finestra, osservò terrorizzata, come se stesse vivendo in un incubo. Non credeva ai suoi occhi: quel cane aveva in bocca il corpo di Briciola! Suo padre riuscì a strappargliela e si precipitò in clinica. Silvia, ancora sotto shock, lo raggiunse dopo mezz'ora e lo trovò in lacrime. Le condizioni della gatta erano disperate, aveva ferite molto gravi, aveva perso i sensi e non reagiva... “Prova tu a parlarle” La esortò il padre. Lei la chiamò, e Briciola fece una specie di urlo, come se volesse chiederle aiuto...ma lei non poteva aiutarla. Dovette tornare alla sua vita, agli esami...i professori la osservavano preoccupati, e lei faticava a concentrarsi sullo studio. Pensava solo alla sua Briciola, alla lotta che stava affrontando... Poi, il 3 giugno del 1998, tornò a casa e capì tutto dalla faccia di sua madre. Briciola non ce l'aveva fatta. La sua amica che le riempiva le giornate, la capiva,
le stava accanto nei momenti difficili, non c'era più. La aspettavano giorni tristi e notti vuote, senza il calore del suo corpicino caldo sui piedi... “Scrivile una letterina” Le propose suo padre “ Gliela metto nella cassetta in cui la seppelliamo” Silvia obbedì. Disse addio a Briciola, e da quel momento si sentì sola al mondo. E' vero, c'erano i suoi genitori, c'era suo fratello Marco, e dopo un po' arrivò anche la gatta Chicca, e poi la figlia di Chicca...ma a Silvia non bastava essere amata. Voleva qualcuno che capisse il suo “io” profondo, che se ne fregasse di tutto e tutti e stabilisse con lei un rapporto esclusivo. Lei che era una specie di giovane Leopardi: pessimista, incompresa, incazzata col mondo, cercava qualcuno che le somigliasse... Di certo non pensò che potesse essere quello scheletrino col pelo chiaro che sua madre salvò nel 2002. Si chiese anche come mai lo avesse preso, non era da lei portare a casa animali. Lo aveva tolto a una vicina il cui compagno, un balordo violento, costituiva un pericolo. Ma perché proprio lui, tra tanti gatti che aveva? Silvia non lo seppe mai, commentò solo: “Ma che brutto!” Infatti non somigliava agli altri che circolavano per casa. Era uno scricciolino spelacchiato e spaventato. Il contatto con quell'uomo cattivo lo aveva sconvolto al punto che odiava la voce maschile. Detestò il padre di Silvia fin dal primo giorno, al punto che se entrava in una stanza lui se ne andava. Accettò la madre, accettò Marco, la cui voce aveva ancora il timbro dell'adolescenza. E si innamorò letteralmente di Silvia. Forse riconobbe se stesso sotto sembianze umane: fragile, introverso, diffidente e poco socievole. E l'amore fu ricambiato. Lei lo chiamò Teo, “Il Teo” anzi, per specificare che era unico e inimitabile. E creò con lui un legame speciale. Nemmeno a Teo interessava piacere. Non si drusciava agli ospiti, né agli altri gatti, non cacciava, camminava per il mondo con uno stato d'animo a metà tra l'incazzato e il menefreghista. Per lui, il suo mondo era solo Silvia. Solo a lei mostrava il suo lato più dolce e gentile. Ogni mattina, per anni, il loro risveglio fu sempre lo stesso. Alle 7,34 il padre di Silvia apriva la porta ai gatti. Gli altri si fiondavano in cucina a mangiare, Teo andava a chiamare Silvia. Poi attendeva che il padre fosse uscito per non incontrarlo, andava a mangiare anche lui, infine tornava nel letto con la sua amica finché lei non si alzava. Era l'unica persona di cui Teo davvero si curasse: ormai c'erano solo lui e Silvia, il loro mondo era perfetto così. A nessuno dei due interessava essere carino,
sorridente e solare. Si piacevano così: solitari, indifferenti, incazzati e musoni... Una mattina, alle 7,34 Teo non andò a svegliare Silvia. Lei lo chiamò, preoccupata, ma non ottenne risposta. Prese il treno per Milano, dove lavorava, ma il suo pensiero restò a casa, a Teo...e dopo poche ore sua madre al telefono la informò: “Teo è dentro la casetta in giardino, ma col sedere rivolto verso l'uscita” Era molto strano! Più tardi, Silvia chiamò di nuovo, e non ricevette belle notizie: “E' rigido...si muove male e cerca di andare nel bosco...” Fu una giornata interminabile. Alle sei di sera, quando Silvia giunse alla stazione, la madre aveva una faccia sconvolta. Lei chiese: “Cosa è successo?” “Ora andiamo” Fu la risposta. Ma quando le rivelò che Teo si era lasciato prendere da suo padre, lei capì che doveva stare male sul serio. Arrivarono dalla veterinaria, che allargò le braccia, preoccupata: “Non ho capito di cosa soffra, forse ha avuto un ictus, ma è cieco e paralizzato” Silvia la ascoltò, sconvolta. La donna la esortò a chiamare il gatto per stimolarlo a reagire. E infatti a lei, solo a lei, Teo rispose. Nessuno le seppe dire se poteva guarire o se sarebbe rimasto cieco e immobile per sempre. Lei, comunque, lo portò a casa. Lo chiuse nel bagno perché non potesse ferirsi e si prese cura di lui. Dalle radiografie le articolazioni risultarono bloccate, e infatti Teo restava rigido e fermo per ore davanti al muro. Non voleva né mangiare né bere, ma lei lo forzò e lo nutrì con la siringa. Dopo una settimana, incredibilmente, il gatto sembrò migliorare. La veterinaria confermò: “Ha ritrovato la vista e la deambulazione. Io non riesco a spiegarmi come sia successo, non ho mai visto nulla del genere” Silvia, però, la spiegazione la conosceva. L'amore aveva fatto il miracolo: Teo si era impegnato a guarire per lei... Ma l'ictus aveva un camlo d'allarme, riportando la mente di Silvia ai primi mesi di vita di Teo: erano tanti gatti in quella casa, mai vaccinati, la mamma di Teo era morta...forse adesso gli effetti di quella trascuratezza iniziavano a farsi sentire...e infatti, Teo si ammalò di nuovo. La veterinaria dagli esami scoprì che era FIV positivo, e oramai molto debilitato e quasi privo di difese immunitarie. Non c'erano molte speranze che vivesse a lungo... Per Silvia quella notizia fu un colpo basso. Non ce l'avrebbe fatta a rivivere il dramma di Briciola...alzò così una specie di muro tra se stessa e la realtà, imponendosi di non pensare che Teo era malato. Solo in quel modo poteva andare avanti. Giorno dopo giorno lo vide soffire, dimagrire, perdere il pelo...le suggerirono di praticargli l'eutanasia, ma lei leggeva nei suoi occhi la voglia di restarle accanto: Teo voleva vivere per lei,
non poteva lasciarla sola, sapeva che se se ne fosse andato l'avrebbe distrutta. Lottava anche con le forze che non aveva. Non riusciva nemmeno più a salirle sulle gambe ed era così magro che una conoscente chiamata per fargli un'iniezione faticò a trovare un lembo di pelle..ma Silvia aveva giurato che Teo avrebbe visto l' ultima estate, e così fu. Si godettero insieme i colori, annusarono gli odori, si lasciarono scaldare dal sole...e poi, Silvia chiuse la porta anche a Teo. “Non voglio sapere quando lo addormenterete” Avvisò sua madre “Non ditemi nulla, non voglio sapere se è scappato, se è morto o se lo avete soppresso” E Teo divenne argomento tabù. Silvia si chiuse in se stessa per impedirsi di impazzire. Non lo cercò più, riprese la sua vita rimuovendo quel pensiero pesante come un macigno : non ce l'avrebbe fatta, non dopo Briciola... Ma l'inconscio era più forte della ragione, e il legame che li univa troppo profondo. Una sera, Silvia avvertì una sensazione strana. La mattina seguente si sentì male mentre era al lavoro e con un groppo alla gola corse ad aprire messenger per parlare con Marco. “Non mi sento bene “ Scrisse “Ma Teo è morto?” La risposta fu un: “Eh” Che le gelò il sangue. Due lettere, per esprimere uno stato d'animo che suo fratello non aveva il coraggio di commentare, rispettoso del muro che lei aveva eretto. Ecco. Era la fine di tutto. Non più coccole, non più baci, non più confidenze notturne tra anime affini...Silvia non ne parlò con nessuno. Era svuotata, incredula, quasi prosciugata dal dolore. Non rinunciò mai a curare ed aiutare gli animali, non ne è capace, come non lo sono i suoi genitori. Accarezza Pallina, la figlia di Chicca. Ride di Giuliano, il gatto della mamma che picchia i cani. E adora Greg e John, che le fanno compagnia da quando vive da sola. Rispetta ogni forma di vita animale, perché è nella sua indole. Ma Teo le manca ancora. Con lui...con lui era diverso, lui era unico: un gatto insofferente, diffidente, asociale e incazzato che se ne sbatteva di tutto ciò che aveva intorno, perché il suo mondo si chiamava Silvia.
Marina di Carrara: Ilaria e Crisco
La qualità della vita
Chissà di chi era quella mano. Chissà cosa ava in quella mente. Di sicuro, chi lasciò quella cesta nel novembre del 2010 era qualcuno incapace di amare. Dentro c'era un gatto di razza sphynx, un biglietto che diceva “Non possiamo più prenderci cura di lui”, un appunto sulla razza e sull'età vera o presunta: due anni. Ecco cosa restava di un compagno e dell'amore che aveva donato. Fu abbandonato al freddo, senza nemmeno una copertina per proteggerlo. Ilaria ricevette la notizia da un'amica. Aveva sempre desiderato uno sphynx, e pensò che quello fosse un segno del destino. Ne parlò col suo compagno e decisero di andarlo a vedere nel canile dove era stato portato. Ilaria si augurò che fosse FIV e FeLV negativo, perché in casa c'era già il devon rex Pantoufle. E gli esami diedero l'esito sperato. Ma il micio era in condizioni tutt'altro che buone: era obeso, aveva i denti anneriti dal tartaro, gli acari nelle orecchie e i globuli bianchi altissimi, tanto che il veterinario sospettò una peritonite infettiva. Per fortuna, le analisi la esclo. Ilaria decise di portarsi a casa il gatto, e trovò per lui un nome simpatico. Poiché era unto e sporco, decise per “Crisco”, ispirandosi ad una margarina americana oleosa e grassa. Dovette attendere diciannove giorni prima di poterlo adottare. Crisco fu preso in stallo da Laura e poi da Veronica, due “tate” adorabili, perché il canile era troppo freddo per uno sphynx. E finalmente, il 13 dicembre 2010, Ilaria divenne ufficialmente la sua mamma. Il veterinario del canile nell'ultima visita aveva decretato che Crisco era sano, poiché i globuli bianchi erano scesi notevolmente. Ma Ilaria, forse per scrupolo, forse perché allarmata da un sesto senso, decise di sentire anche un altro parere. Portò Crisco da una veterinaria più diligente, e non appena la vide appoggiare lo stetoscopio e sgranare gli occhi con un'espressione accigliata, capì che qualcosa non andava. “E' malato?” Chiese. La donna annuì: “Si tratta di HCM, cardiopatia”. Era una notizia terribile. Non c'era alcuna cura per quella patologia. Le pareti del cuore
di Crisco erano troppo spesse, e si sarebbero ispessite sempre di più, portandolo alla morte in pochi anni. Ilaria si sentì crollare il mondo addosso: guardava Crisco, lo accarezzava e aveva un groppo alla gola. Forse era quello il motivo per cui era stato abbandonato? Ma che razza di gente poteva disfarsi di un gatto che più di altri necessitava di un riparo e di tranquillità? Beh, lei comunque non apparteneva a quella razza: da quel giorno Crisco divenne un membro della famiglia assieme a Pantoufle e alla cagnetta Minerva. E Ilaria, dividendosi tra la casa e il negozio “Pappa e Cuccia” (per animali, ovviamente), proseguì la sua vita con un peso in più sul cuore, ma riuscendo alla fine ad accettare la situazione. Ogni ora che regalerà a Crisco sarà speciale, e chi ha rinunciato a qualcosa di meraviglioso sono quegli esseri che lo hanno abbandonato. Perché nonostante le vicissitudini, Crisco è un gatto adorabile. Gioca, corre, è legatissimo ai padroni e non lesina mai fusa e coccole. Adora Pantoufle, sono inseparabili, perchè i gatti non hanno le nostre remore, per loro non esiste il “diverso”. E tutto ciò che Pantoufle percepisce è che ogni tanto il suo amico non sta bene e non può giocare. Nel giro di pochi mesi Crisco ha già sofferto varie volte di vomito e di allergie, senza contare che un incidente gli ha quasi rotto la coda. Ma si è sempre ripreso, perché la sua vita gli piace e vuole tenerla stretta. Ilaria, da parte sua, cerca di rendere questa vita il più possibile lunga e felice. Intanto sta facendo dimagrire Crisco per evitare di affaticare il suo cuore, lo tiene sotto controllo regolarmente e soprattutto lo riempie di affetto e attenzioni. Le è capitato un gatto che non vivrà molto a lungo, e che l'ha costretta ad apprezzare la qualità più che la quantità. Per Crisco, Ilaria ha aperto una pagina su Facebook, dove tantissime persone lo appoggiano e seguono le sue avventure. E lei la aggiorna con foto a volte serie a volte buffe, filmati, notizie varie e aggiornamenti sulle avventure del simpatico sphynx. E' il suo modo per ringraziarlo. Quel gattone nudo che era stato abbandonato, così divertente, così battagliero, con quello sguardo mansueto e dolcissimo, quella creatura che lei ha scelto di amare per sempre, non importa quanto durerà, le ha rivelato un segreto, che tutti sappiamo, ma di cui raramente teniamo conto: ogni giorno ciascuno di noi muore un po'. Non solo chi è malato, non solo chi se lo aspetta. Forse domani non ci saremo più, e non ci saranno più quelli che amiamo. Allora, come mai non riusciamo a goderci un'ora di sole o il volo di una farfalla come fanno i gatti?
Valmontone (Roma): Paola e Fiocchetta
Vi lascio un po' di me
La prima volta, il musetto con gli occhi azzurri sbucò dal prato di fronte a casa. Fu un lampo, e poi scomparve non appena tentarono di avvicinarsi. Paola e suo marito Pietro si guardarono delusi. Vivevano in campagna, avevano già la gatta Perlina di due anni e quando, nei giorni seguenti, il visitatore misterioso si fece vedere di nuovo, pensarono di provare a prenderlo, come compagno per Perlina. Lasciarono delle ciotole sul prato e si misero ad aspettare. Giorno dopo giorno, Paola notò che il gatto diventava sempre meno diffidente. Prima riuscì ad avvicinarsi a circa tre metri, poi a due metri...fu una conquista lunga e difficile, ma alla fine guadagnò la sua fiducia. Un giorno si accorse che il gatto stava dimagrendo, nonostante mangiasse di gusto, e che aveva la pancia gonfia, e lei diagnosticò la tenia. Un'occhiata più accurata confermò i suoi sospetti, oltre a rivelarle che il micio era in realtà una micia. Paola sapeva cosa fare, ci era già ata con Pallina: le svuotò sul dorso due pipette di vermifugo e la gattina si ristabilì. Da quel momento riprese la sua forma, iniziò ad accettare le carezze e il suo pelo tornò folto e lucido. E ogni giorno prese a mordicchiare la mano di Paola, dimostrandole quanto ormai si fidasse. Purtroppo, Pallina non ne volle sapere di accettare la nuova arrivata, così si giunse ad un compromesso: in inverno Fiocchetta, questo il nome che avevano scelto per lei, sarebbe rimasta nel garage con una cuccia e al caldo. E questa, da allora, fu la vita delle due gatte: di giorno fuori per giocare e cacciare, di notte una in casa e una in garage, protette dalle intemperie. In primavera, quando Paola e Pietro avevano deciso di sterilizzare Fiocchetta, lei li obbligò a rimandare: era incinta, e partorì il 25 aprile 2009, proprio nel giorno del loro quinto anniversario di matrimonio. Diede alla luce cinque gattini: una femmina nera, due maschi tigrati e due rossi. Paola assistette all'evento commossa ed emozionata, poi iniziò subito a spargere la voce per trovare future adozioni ai piccoli.
Quando avevano due settimane, però, si accorse che sia i gattini che Fiocchetta stavano male: starnutivano e tremavano. Uno dei due rossi, quelli per cui aveva ricevuto più richieste, non ce la fece, e morì prima di poter essere curato. Ciò che intenerì Paola fu vedere Fiocchetta che nonostante tutto cercava di tenerlo al caldo. Era una scena straziante ma dolcissima, che rivelava molto del suo istinto materno. Il veterinario diagnosticò per i gattini una rinolaringotracheite virale. Uno dei piccoli soffriva anche di cheratite ed erano tutti disidratati. Si mostrò pessimista: disse che potevano provare a curarli, ma che difficilmente ce l'avrebbero fatta. Fiocchetta, poi, stava anche peggio: aveva 40 di febbre e non produceva più latte. Il periodo che seguì fu una lotta senza tregua. Per tre volte al giorno Paola dava da mangiare a Fiocchetta e le somministrava l'antibiotico, poi preparava il latte, allattava i cuccioli, dava loro antibiotico, collirio e sciacquava gli occhietti del micino con la cheratite, che restava tutto arruffato e che per questo venne chiamato Rufus. Ogni volta che terminava di allattare uno dei piccoli, lo metteva accanto a Fiocchetta, che prima leccava la sua mano, poi leccava il figlio. Era una madre esemplare: anche se non produceva latte accettava che i cuccioli si attaccassero a lei, e sopportava il dolore delle poppate. Dopo queste settimane di ansie, preoccupazioni e cure costanti, quando i gattini guarirono Paola e Pietro non trovarono più il coraggio di darli via. Così, Fiocchetta rimase con i suoi figli. E continuò ad essere una madre meravigliosa. Non li allontanò mai, anche quando crebbero continuò a prendersi cura di loro. Fino a quel brutto 14 luglio, proprio il giorno del compleanno di Paola, quando scomparve nel nulla... Paola la cercò ovunque, disperata, e capì che le era accaduto qualcosa. Poi vide un mucchietto di peli informe sulla strada, e il suo cuore le disse che si trattava di lei, anche se non era possibile riconoscerla. Sì, Fiocchetta se n'era andata. La selvaggia dagli occhi azzurri, trasformatasi in madre modello, non sarebbe tornata mai più. Fu dura, per Paola, accettare di vivere senza Fiocchetta. Ma restavano i figli che lei aveva tanto amato. In ognuno di loro c'era qualcosa che la ricordava, come se Fiocchetta avesse lasciato tracce di se stessa per non andarsene del tutto. Principessa le somigliava nella camminata, Poco Yo aveva lo stesso colore, Stitch mordicchiava la mano come faceva lei...e poi c'era Rufus, lui era proprio la versione in miniatura di Fiocchetta: stesso sguardo, stessa dolcezza... Purtroppo, Rufus condivise con la madre anche il triste destino. Il 2 ottobre 2010
fu travolto da un'auto. Lui, però, ebbe la forza di tornare a casa per morire tra le braccia di Pietro, e lasciò un vuoto enorme. Qualche mese dopo, Poco Yo scomparve, e non tornò più. Ora rimangono i due fratellini, e nonostante il dolore che hanno provato Paola e Pietro continuano ad accudire e a sfamare ogni gatto che a nei dintorni. Hanno chiesto l'autorizzazione a istituire una colonia felina, così potranno curare al meglio i gatti bisognosi. Ed è stata Fiocchetta, nel breve tempo che ha trascorso con loro, a trasformarli da semplici amanti degli animali in apionati, per questo Paola non potrà mai dimenticarla. Quel musetto che un giorno era sbucato da un prato le aveva aperto il cuore per sempre.
Ancona: sca e Romeo
Sciupafemmine
Era nato l'8 marzo del 1999. Era scritto nel suo dna: quel gattino era destinato ad amare le donne. sca seppe dell' esistenza di lui e dei suoi fratelli per caso. Chiacchierando con Ennio, un pensionato che ava spesso dal negozio dove lei lavorava, gli rivelò che amava moltissimo gli animali. L'uomo, allora, le chiese: “Vorresti un gattino persiano di due mesi? Te lo regalo, la mia gatta ha partorito” “No, grazie” Rispose sca. Viveva ancora coi suoi, che erano stati molto chiari: dopo la morte di Whisky, che era stato con loro 23 anni, non se la sentivano di avere un altro gatto. Così, respinse l'offerta a malincuore. Ennio però non si arrese. “Vieni solo a vederlo, è così bellino...” E alla fine prevalse la sua insistenza. Anche perché aggiunse che era grigio, e sca aveva da sempre un debole per i gatti rossi e per quelli grigi. Così, si titrovò a casa di Ennio e della sua anziana madre. C'erano quattro micetti grigi pelosi e sculettanti: due maschi e due femmine, mamma gatta, papà gatto, nonna gatta...e stavano tutti sul letto della nonnina umana. Lei restò abbagliata dal fascino e dalla tenerezza di quei “persiani brutti” , così erano detti poiché non erano puri...prese in braccio uno dei maschietti, grigio scuro con screziature più chiare ereditate dalla madre, e senza pensarci troppo se lo portò via. Era maggio, e la casa di Ennio si trovava vicino al mare, perciò decise di fare una eggiata col gattino. Siccome tirava vento, lo mise sotto la maglia, a contatto con la sua pelle, proprio sul cuore, e lui si addormentò. In seguito le dissero che se tieni un gattino vicino al cuore, per lui sarai sempre la sua mamma. sca scelse d'istinto il nome Romeo, che fu azzeccatissimo, vista la sua tendenza a fare conquiste. I genitori non lo accolsero con troppo entusiasmo, ma lo accettarono, ponendo un'unica regola: “Non sarà abituato com'era Whisky, non dormirà nel letto” “Okay” Finse di acconsentire sca. Quando i suoi andarono a dormire si stupirono che lei restasse sveglia, vista la sua tendenza a
coricarsi presto. La scusa fu:“Per Romeo è la prima sera, vorrei stare ancora un po' con lui” E appena ebbe via libera se lo portò con sé in camera, nel letto. Lui parve capire il gioco e restò in silenzio, perfettamente complice. Continuò così nel tempo, con Romeo sulla testa di sca, e quando i genitori se ne accorsero... beh ormai era tardi per far rispettare le regole. Romeo li aveva conquistati, al punto che cominciarono a definirsi “i suoi nonni”! Era un gattino buono e affettuoso, che di giorno giocava e di notte dormiva. L'unica cosa di cui davvero non poteva fare a meno erano le coccole. Voleva sempre un essere umano accanto a sé, per potersi scambiare effusioni. In particolare, però, amava le donne. E divenne molto geloso quando sca conobbe Luca. Dopo un inizio promettente, cambiò atteggiamento: gli soffiava, lo guardava storto, tentava di graffiarlo...il veterinario sostenne che soffriva di gelosia. sca allargò le braccia, sconsolata: “Ma io non l'ho mai messo in secondo piano!” “E' normale” Assicurò l'uomo “Devi solo aspettare, e alla fine accetterà la situazione” Aveva ragione. Romeo imparò ad amare anche Luca, a salutarlo, a fargli le fusa e a dargli i baci. E addirittura, da quando i due ragazzi sono andati a vivere insieme, sono sorte nuove gerarchie: sca detta le regole, Luca è quello a cui si rivolge Romeo per cercare il permesso di infrangerle. E spesso riesce anche nell'intento! Per cinque giorni la settimana Romeo e sca sono soli. Luca lavora a Pistoia e li raggiunge nel weekend, così la famiglia si ricompone. Ed è sempre Romeo a comandare: alle 21,30, qualunque cosa succeda, vuole andare a letto. E non da solo. Se ci sono ospiti si mette a miagolare per esortarli ad andarsene, e se proprio non capiscono corre per casa come un matto, fino a che non ottiene il suo scopo. Ma è anche un micione molto sensibile: sca infatti ha due amici non vedenti, e quando ci sono loro Romeo si addolcisce: sta loro vicino, comunica con loro...e questo la rende orgogliosa. A dodici anni compiuti, Romeo non ha ancora smesso di giocare come un cucciolo. Quando va nella grande casa della nonna, impazzisce letteralmente dietro ad una pallina. E adora anche giocare a nascondino. Tutto ciò che vuole nella vita è avere qualcuno con cui condividere giochi, coccole e carezze. sca di certo non gliele fa mancare. E lui, sicuro di sé, amato, trattato come un principe, continua a comportarsi da seduttore.
Ogni tanto lei lo vede piazzarsi davanti alla finestra, e pavoneggiarsi quando ano le vicine. Non ci si può fare nulla: a Romeo piacciono i complimenti. E se vengono dalle donne li apprezza ancora di più. Non è mica un caso che sia nato l' 8 marzo!
Arcore (Monza e Brianza): Tiziana, Tobia e Rando
Sedotta e affascinata
Quando Giovanni portò a casa Tobia, nel gennaio del 1998, sua moglie Tiziana lo scrutò un po' perplessa. Il gatto era stato tolto ai suoceri che, dopo un primo momento di entusiasmo, avevano realizzato che rammendare divani e pulire lettiere non faceva per loro. E Giovanni ne era entusiasta: iniziò subito a giocare col gattino, correndo per casa come un fanciullo. Tiziana li osservava. Era sempre stata convinta che il cane fosse l'unico animale che potesse condividere la vita con l'essere umano. A Genova, dove aveva trascorso i suoi primi venticinque anni, aveva visto tantissimi gatti, ma randagi, indipendenti, autosufficienti...e ora sbucava questo tigratino e la faceva sentire impacciata e totalmente impreparata! Lo tenne d'occhio per tutto il weekend. La affascinava il mdo in cui il piccolo curiosava, esplorava, con quell'atteggiamento attento e vivace . Era attratta da come saltava e correva, per poi crollare all'improvviso tra le braccia di Giovanni. Si divertì a vederlo leccare l'orologio del marito, e provò una sorta di timore quando realizzò che per il micio la casa era sua proprietà. L'aveva controllata a fondo, approvata e non si sarebbe più mosso da lì. Lo scoprirono tornando dal cinema 24 ore dopo il suo arrivo, entrambi in preda all'ansia e preoccupati che si fosse sentito solo. Lui li aspettava, calmo e padrone di sé, facendoli sentire quasi ospiti in casa propria... Sempre più incuriosita, il giorno seguente Tiziana si recò in libreria, e comprò tutti i testi che riuscì a trovare sull'argomento gatti. Nel leggerli, però, si scoraggiò: lei non aveva alcuna esperienza, e invece nei libri era scritto: il padrone sa cosa vuole dire il gatto. No, lei non sapeva proprio nulla, ed era convinta che ogni miagolio, ogni movimento della coda, ogni sguardo avesse un significato. Decise così di imparare a conoscere l'universo felino poco a poco, osservando il nuovo arrivato con attenzione. Alla prima visita, la veterinaria diagnosticò a Tobia una serie di patologie
croniche: congiuntivite, rinite, otite. E così il rapporto tra Tiziana e il gattino iniziò con una serie di pasticche che doveva somministrargli. Compito che si rivelò ben più che arduo: lei nascondeva le medicine dentro cibi appetitosi, la prima volta Tobia ci cascava, la seconda non si faceva più fregare! Era troppo furbo per provare ad ingannarlo. Allora adottarono un metodo più rude: uno tra lei e Giovanni lo bloccava, l'altro gli spingeva la pillola in gola. Ma Tobia si ribellò: prese a muovere la lingua a scatti, rendendo proibitiva la manovra. Dalle lotte contro di lui Tiziana e Giovanni uscirono più volte ammaccati, feriti, con le magliette a brandelli e privi di energia. Tobia aveva un carattere incredibilmente forte e ostinato, e questo la affascinò ancora di più. Trascorse qualche anno. La coppia adottò Luca, un bambino di sette anni, e poco dopo la gattina Camilla. Tobia accettò Luca, ma prima di dare il suo benestare a Camilla le soffiò, le mugolò, e divenne gentile con lei solo dopo averla messa al suo posto. Poi arrivarono Penelope, Priscilla, Romeo, il cane Cesare...e Tobia fu per tutti la figura paterna: era protettivo ma severo, li educava con pazienza e metteva sempre in chiaro che il capo era lui. Se gli altri si mettevano a cercare coccole, lui si intrufolava, ricordando i propri diritti. Era un dolcissimo, adorabile “boss”. Ma era anche un fantastico atleta, capace di spiccare salti incredibili... e forse fu proprio una delle sue performances sportive a metterlo nei guai... Una mattina Tiziana si accorse che aveva il respiro affannoso, e che rifutava di farsi avvicinare. Insieme a Giovanni lo portò di corsa in clinica dove Roberto, il suo veterinario, riscontrò un pneumotorace acuto spontaneo: forse un movimento brusco aveva lacerato un polmone. Tiziana si sentì morire, nel vedere il suo Tobia steso sul lettino, coi medici che tentavano di aspirargli il liquido e Giovanni che gli reggeva la maschera ad ossigeno... “Ti prego Dio!” Supplicò “ Fai che accada qualcosa a me, ma non a lui!” Si sentiva il sangue gelato, i muscoli irrigiditi dall'ansia, e non poteva fare altro che guardare il suo piccolo boss, il suo atleta, lottare per sopravvivere. Poi, ci fu un ultimo sospiro, e Tobia se ne andò. Così, all'improvviso, dopo nove anni ati insieme, ad appena un'ora e mezzo dai primi sintomi...una fine rapida e imprevista. Non ci fu bisogno di dire nulla a Luca. Lo capì guardando lei e Giovanni. Trascorsero quella notte svegli, tutti e tre attorno a un tavolo, a ricordare Tobia, guardare le sue foto, parlare di lui. Camilla si infilò nel trasportino con cui Tobia era stato portato in clinica e per tre giorni non ne uscì se non per fare i bisogni e per mangiare. Mancava a tutti, e Tiziana non riusciva
a non piangere nel trovare i suoi peli ovunque, ammirarlo nelle foto, perfino nel toccare le maglie che le sue unghiette avevano lacerato...ogni volta che lo sognava le pareva reale, avrebbe voluto toccarlo, affondare il viso nella sua pelliccia calda...ripensava commossa alle sue disavventure: quando era atterrato sulla pizza bollente bruciandosi i polpastrelli, o quando era caduto nella vasca, sicuro che le bolle lo avrebbero sorretto...era stato un amico, un intrattenitore, e un'inesauribile fonte di risate, e le mancava da morire. Dopo la morte di Tobia, nessuno degli altri osò mai prendere il suo posto, lo rispettavano anche se non c'era più. E per Tiziana questa era la prova che confermava quanto la personalità di Tobia fosse fuori dal comune. Lei, dal canto suo, ne era rimasta talmente affascinata che ogni gatto da allora le sembrò in qualche modo magico... Tobia se n'era andato da meno di due anni, quando Tiziana incontrò Rando. Era un gattone spelacchiato e malconcio, che d'inverno dormiva sotto le auto parcheggiate, sopra una grata da cui usciva l'aria riscaldata di un supermercato. Lei e Giovanni lo rifocillavano, rispettando la sua natura selvatica e indipendente. Ma la mattina in cui si accorsero che perdeva muco lo portarono di corsa da un veterinario. Questi a malapena lo guardò, gli iniettò un antibiotico e li esortò a toglierlo dall'ambulatorio, perché sicuramente soffriva di micosi e poteva essere contagioso. Loro obbedirono, lo riportarono alla sua grata e trascorsero la notte pensando a cosa fare. Tramite amici gattofili, il giorno seguente furono indirizzati da coloro che Tiziana chiama “i vet dei miracoli”. Rando venne visitato con attenzione. L'età approssimativa era undici anni, non era castrato, era FIV positivo, aveva i parassiti, pochi denti e un problema al palato. Insomma, tutto tranne la micosi! Fu ricoverato e sterilizzato. Tiziana continuò a seguirlo e scoprì che al vagabondo il caldo, il cibo buono e le cure erano tutt'altro che sgraditi! Voleva portarselo a casa, ma glielo sconsigliarono: poteva essere contagioso, specie per il piccolo Ugo, che avevano preso da poco. Così Rando venne sistemato in gattile, nel reparto FIV, in un box riscaldato con ampi spazi per muoversi. Tiziana e Giovanni lo adottarono a distanza e andavano spesso a trovarlo. Rando, nel frattempo, si era ammorbidito: accettava le coccole, anche se nelle dosi e nei tempi che decideva lui. Restava comunque un gatto fiero, indomito, refrattario alle moine eccessive. Un giorno, nove mesi circa dopo il suo arrivo al gattile, Tiziana lo trovò più
mogio del solito. Segnalò il fatto ai responsabili, e quando loro la chiamarono non le diedero buone notizie: “Si tratta di peritonite felina, non c'è più nulla da fare” Fu Giovanni ad accompagnare Rando nel suo ultimo viaggio. Tiziana restò ad aspettare che tutto fosse finito, sentendosi tuttavia in parte sollevata per per aver regalato a quel randagio gli ultimi mesi di serenità. Le sarebbe mancato quel suo muso rude, da vecchio marinaio, quel suo sguardo serio, quel suo concedersi con parsimonia, come a fare un favore... Rando raggiunse il suo Tobia in un posto lontano, dove sicuramente diventarono due leader. E' lì che la aspettano, uno giocando, l'altro brontolando, mentre lei, sulla terra, cerca di recuperare tutti gli anni che ha ato senza godere del tocco magico della zampina di un gatto