Indice
Cover Quarta di copertina Copyright Indice Nota biografica Introduzione Dedica Prologo Introspezioni La misura del vuoto Rebus Avanzi Dagherrotipo Malerba Per distrarre la mia fame Fragile al mondo Era così, una volta Giulio nomebello
Come un cane o un bambino A piedi nudi Icaro colato Dafne Fou Che tu sia il mio nemico La donna senza rocchetto La donna uovo La donna sabbia La donna nuvola Solo vorrei Ho riscritto sul tuo corpo Rughe Mi chiedo, figlio Il potere del nome Io sola so Proiezioni 01 02 03 04
05 06 07 08 09 010 011 012 013 014 015 016 017 018
Nota biografia
Antonella Sica è regista e manager culturale in ambito audiovisivo e cinematografico. Dal 1998 al 2014 è stata direttore artistico, insieme a Cristiano Palozzi, del Genova Film Festival, il più importante evento culturale cinematografico ligure. Ha diretto e realizzato cortometraggi di fiction e documentari selezionati e premiati in diversi festival e rassegne e trasmessi da Canale 5, RAITRE, RAIDUE. Ha realizzato numerosi documentari istituzionali ed industriali per grandi aziende, filmati pubblicitari, documentari d'arte, educational, promo e videoclip, video per mostre e musei. Tra lavori realizzati Appunti su Giorni e nuvole, documentario di backstage del film di Silvio Soldini realizzato per Warner Bros, che è stato il backstage più premiato dalle manifestazioni di settore della stagione cinematografica 2008/2009. Nel 1997 ha fondato insieme ad altri l'Associazione Culturale Cinematografica Daunbailò, punto di riferimento a Genova e in Liguria per la promozione e la produzione cinematografica e audiovisiva. Ha curato rassegne dedicate alla cinematografia di vari Paesi e regioni del mondo fra cui Albania, Bulgaria, Ecuador, Irlanda, Isole Canarie, Kosovo, Lapponia, Norvegia, Paesi Baschi, Polonia, Russia, Sudafrica, Ungheria e realizzato e coordinato progetti cinematografici sui temi dell’intercultura e sulle cinematografie dei Paesi del Sud del mondo (in particolare dell’Africa). Ha progettato la costituzione dell’Archivio del Genova Film Festival, che conserva oltre 5.000 opere. Insieme a Cristiano Palozzi ha curato il libro-intervista Claudio G. Fava – Clandestino in galleria (Le Mani 2003) e collaborato alla realizzazione dei volumi Le Immagini del G8 – Le strade perdute di Genova (Falsopiano 2002), L’immagine plurale – Documentazione filmica, comunicazione e movimenti di massa (AAMOD 2003), Le forme del corto. Rapporto sui corti italiani (Falsopiano 2007). Nel 2002 ha curato G8, un anno dopo, la più importante rassegna dedicata all’analisi dell’utilizzo del mezzo audiovisivo durante il G8
genovese realizzata in Italia collaborando inseguito al reperimento e alla selezione delle immagini sui fatti del G8 per la trasmissione Fuori Orario di Enrico Ghezzi (RAITRE). Ha ideato e organizzato festival e rassegne cinematografiche, tra cui X_Science: Cinema tra Scienza e Fantascienza (partner Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Genova), FIDRA (Festival Internazionale del Reportage Ambientale, partner Comune di Arenzano e Muvita), Ecuador Festival (partner Ambasciata dell’Ecuador a Roma e Ministero degli Esteri Ecuadoriano). Ha partecipato alle giurie di diversi festival cinematografici nazionali e internazionali e ha fatto parte per quattro edizioni della commissione selezionatrice della sezione “Cinema Video” della Biennale dei Giovani Artisti dell’Europa e del Mediterraneo (Sarajevo, Atene, Bari, Roma). È membro del Comitato promotore del Centro Nazionale del Cortometraggio (coordinato da Aiace e Museo Nazionale del Cinema di Torino) e ha collaborato alla selezione dei film cortometraggi da candidare per i Nastri d’Argento. Dal 2007 al 2010 è stata rappresentante del Comune di Genova nella Fondazione Genova-Liguria Film Commission per la quale ha ricoperto la carica di Vice Presidente.
Introduzione di Enrico Piccinini
La ninfa Eco era innamorata di Narciso che però, troppo preso a bearsi della sua stessa bellezza, neppure s’accorgeva di Lei. Quando Narciso morì, cadendo nel lago in cui si stava specchiando, Eco si lasciò consumare dalla fame, finché di Lei resto soltanto la “Voce”. Questo mito è stato sviscerato e interpretato abbondantemente da filosofi, linguisti, psichiatri, antropologi e pensatori d’ogni genere. Certamente è evidente il rapporto che gli antichi greci ravvisavano tra linguaggio e immagine, ma la cosa più importante da notare è la negazione del “silenzio”. Prima che esistano le parole, prima che queste vengano organizzate in una lingua e prima che questa lingua s’innalzi a messaggio, esiste la “Voce”. La Voce in sé. Ogni fonema deriva da un “fiato primordiale” che continuerà ad esistere anche quando tutto tacerà. Si deve pensare alla natura del misterioso “flatus vocis” come al “gesto” che domina l’anima d’un pittore. Un gesto che diventerà segno e che si trasformerà, sulla tela, in disegno. Un Artista visivo o riesce a raggiungere quel gesto primordiale o non potrà mai essere un artista. Un Poeta o riesce a raggiungere quella Voce o non potrà ma essere un Poeta. Antonella è un Poeta. Ha raggiunto quella Voce. Ha dovuto faticare molto per riuscire nell’impresa perché, come ogni buon giallista sa, il modo migliore per nascondere qualcosa è porla in bella vista.
Il suo fiato primordiale, infatti, se ne stava occultato nel "senso rovesciato dei calzini da lavare” o dentro il gesto semplice che scioglie “i capelli del mattino dal lavandino”, aveva trovato comodo alloggio anche dove non c’era “sedia dove piangere o letto dove nascondersi”o in certi “stivali da marciapiede”. La sua Voce, insomma, è la stessa che fa parlare l’orrore capace di muovere i fili delle piccole cose quotidiane. La disperazione appena sussurrata, quasi fosse un impercettibile malessere, nella polvere ammucchiata agli angoli di case da rassettare. L’allarme invocato da una porta che sbatte ad un colpo di vento. Il taciturno dolore di identità smarrite, tutte ammucchiate in panni da lavare. Ed è questa una lezione che parte da lontano e che più volte si è incarnata nei versi di alcuni nostri grandi Poeti appartenenti a tempi e scuole diverse. Si pensi a Guido Gozzano, alla sua Signorina Felicita con quelle “iridi sincere, azzurre di un azzurro stoviglia” oppure ad Umberto Saba con la moglie gallina, giovenca, cagna. Non si dimentichi la grande lezione di Cesare Pavese tanto ben espressa in “lavorare stanca” e nei magnifici versi: Bisogna fermare una donna e parlarle e deciderla a vivere insieme. Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte c'è lo sbronzo notturno che attacca discorsi e racconta i progetti di tutta la vita. Sono queste le eredità che Antonella Sica raccoglie. Ma non tarderà a venire il tempo, nelle Poesie di Antonella, in cui quelle Gozzanesche lenzuola da rammendare assumeranno, magari stese al sole, proporzioni gigantesche fino a trasformarsi in vele irrimediabilmente lacerate da perfette tempeste e un indomabile tifone, allora, trasformerà quella Voce in Grido.
Un urlo atavico, discendente più o meno legittimo di quel flatus vocis, che farà comporre ad Antonella le ballate de “La donna uovo”, de “La donna sabbia”, de “La donna nuvola”. Tutte donne che si riassumeranno in una Madre terrorizzata nel domandarsi se attraverso il suo latte abbia potuto trasmettere il proprio dolore al figlio. Mi chiedo, figlio, […] se ti accorgi della fatica di ogni giorno nel frantumare lo specchio per poterti guardare. Questo terribile quesito arriva a porsi. Antonella Sica, quindi, prende l’avvio da certi temi, in un certo qual modo “tenui”, cari ai poeti neorealisti e ai loro precursori, per arrivare, in una marcia a ritroso (ma poi esiste un evento davvero precedente o successivo ad un altro?), ad un pieno Sturm und Drang che, nel caso della Nostra, ben si riassume nella frase di Hegel: la parola nasce dall’interruzione di un grido primordiale. Quest’interruzione è la consonante. Qual è la tua consonante, Antonella? Temo una labiale. Come un bacio, come una poppata data e non ricevuta, come carezze concesse dalle tue piume senza artigli. Tutte cose che ti rendono fragile al mondo. Enrico Piccinini
Cosa vuoi che sia? È soltanto la notte che non riesce a vedersi e si morde la schiena.
Enrico Piccinini
Ho tanta fede che mi brucia; certo chi mi vedrà dirà è un uomo di cenere senz'accorgersi ch'era una rinascita.
Eugenio Montale
Abito nel cerchio della città morta e mi allaccio le scarpe rosse.
...
Non sono mie. Sono di mia madre. Erano di sua madre ate come un bene di famiglia ma nascoste come lettere vergognose. La casa e la strada a cui appartengono sono nascoste, e tutte le donne sono anch'esse nascoste.
Anne Sexton
Foto di sca Recine
La mia strada non a vicino alla-tua casa. La mia strada non a vicino alla-casa di nessuno
Marina Ivanovna Cvetaeva
a Giulio, il mio compagno a Martin, mio figlio a Donato, mio padre a zia Mirella, a sca e a Caterina, le amiche di una vita e ad Agnese, che mi accompagnano.
Raccolgo parole nel buio di sabbia umida tremano selvatiche nella mia mano, indomabile il senso alla mia voce incerta.
Introspezioni
La misura del vuoto
Il vuoto si misura nei quattro i della tua casa nel senso rovesciato dei calzini da lavare nel piattino orfano che conservi nel materasso macchiato che copri nel cassetto delle cose che non hanno un posto dove ogni tanto metti le dita cercando. Inutilmente.
Rebus
Lavo i piatti raccolgo le briciole dal piano da lavoro sciolgo il magnesio in un bicchier d’acqua per l’equilibrio chimico tolgo i capelli del mattino dal lavandino rammendo un grembiulino metto le cose al loro posto arbitrario e funzionale mi muovo come corpo concreto tremante in un rebus.
Avanzi
Calze rotte, spaiate sconfitte magliette lise, giallite bucate lugubri avanzi di vita dismessa manomessa come la memoria.
Dagherrotipo
Questa donna in bianco e nero ha i miei stessi occhi. Mi ha rubato anche il sorriso e quel modo mio di inclinare la testa quando sono amante timida.
Questa donna in bianco e nero è più giovane di quanto mai lo sia stata io e indossa il mio stesso neo sul mento da damina del Settecento.
Questa donna in bianco e nero io non la conosco né in lei mi riconosco e il mio unico tormento
mentre guardandomi non vede è non amarla.
Malerba
Ho occhi vecchi e bocca di bambina cresciuta allo sguardo di nessuno malerba nella crepa di un muro di pietra.
Stelo proteso al sole e foglie piegate ho rubato ogni giorno il calore alle pietre contrastando al vento la poca terra.
Allo sguardo del ante ho chiesto lo sguardo perduto, ad occhi casuali affidato,
soli, la rivelazione di un senso che non scalda ma acceca come un sole malato.
Per distrarre la mia fame
Per distrarre la mia fame la porto al Luna Park. Strade di luce, richiami di sirene slabbrate nella notte di cannella industriale, trofei appesi a ganci di macelleria.
Gli occhi rosi e il ventre cavo la mia fame cerca un varco nel silenzio dei rifiuti, nel retro del parco, come uno specchio che rassicura.
Fragile al mondo
La pelle con cui sono nata fragile al mondo non c’è più. Le ferite dei giorni ho coperto nel tempo con la sabbia del deserto di dentro che non riconoscevo più nemmeno l’odore di ciò che ero.
Bocche affamate le ferite come cuore al limite battono i denti così che un giorno mentre morivo andando sentii il loro pianto,
voci intrecciate dal vento della rabbia di dentro che le ferite, crepe di luce, dell’ascolto paziente esposero al tempo.
Era così, una volta
Era così, una volta. La bambina educata sorrideva di porcellana i capelli domati intrecciati di nastri gli occhi di vetro aguzzo sopra gli occhi e le unghie perfettamente tagliate alla radice dell'istinto.
Era così una volta?
Giulio nomebello
Giulio nomebello di chicchi d'uva spaccati in bocca ridendo dolce succo in gola agli angoli della bocca cola.
Come un cane o un bambino
Avevo indossato uno sguardo di contenuto amore per non correrti incontro come un cane o un bambino. Aspettavo di vederti arrivare dalla strada di sempre non avevo previsto percorressi altre strade sorprendendomi nuda, lo sguardo caduto, correrti incontro, come un cane o un bambino.
A piedi nudi
A piedi nudi entra, amore, nella mia casa. È vuota che il tempo della vita trascorsa lo porto addosso muove i miei i e non lo vedo e non c'è sedia dove piangere o letto dove nascondersi. È vuota, ma le finestre sono grandi e il sole scalda il legno antico
sotto i nostri piedi.
Icaro colato
Icaro colato ostinato sguardo al sole lucida tensione della luce alla luce che scioglie ali di cera in desiderio e cecità ostinata, guardo.
Dafne
I duri capelli frondosi ti deformano il volto condannandolo al cielo, artigli inutili le dita annodate si allungano, il respiro nella scorza si spegne e si attorcigliano i piedi nella terra scura fino a quando non c'è più traccia di te. E chi folle d'amore ti rincorreva cieco del tuo desiderio, ora abbraccia la tua tomba facendone scempio. Per celebrarti, dice.
Ma non c'è poesia nella tua carne di legno.
Fou
Nuda sui cocci brillanti di vetro, dolore allegro rosso sangue sulle azzurre aguzze trasparenze dei tuoi occhi.
Inutile sperare di evitare il taglio, sei una ferita aperta da lontano che danza un rito antico che consuma il corpo impazzito di bugie.
Che tu sia il mio nemico
Sbrana la mia carne, taglia le braccia, le gambe fa di me il monumento della tua potenza, avventati sul ventre con ferocia, incidi la pelle di parole non mie, dimmi che ho bisogno di te, che il mio cuore batte nel tuo petto. Che tu sia il mio nemico. Non io.
La donna senza rocchetto
Sono un filo senza rocchetto, un filo in balia del vento mi attorciglio al primo ramo e poi mi spezzo, senza un rocchetto non so dove inizio e dove smetto.
Fammi avvolgere intorno a te e ti prometto che ti amerò come mai mi sono amata io e sorreggerò il tuo desiderio pur non conoscendo il mio.
Ma ricorda che mi devi sempre guardare per farmi restare altrimenti mi prende il vento e senza rocchetto non so dove inizio e dove smetto.
La donna uovo
La donna uovo sul dondolo senza gambe senza braccia quindi uovo dondola nel giardino cieca e sorda atterrita dal battito stesso del cuore.
Vento nel giardino d'inverno che dondola il dondolo che dondola l’uovo.
Cade dal dondolo l'uovo spinto dal vento d'inverno nuda senza guscio
a fare l'uovo rannicchiata sulla terra incolta la donna senza uovo.
Piove l'inverno ora sulla donna uovo la pioggia fredda lava spezza gli occhi allo sguardo come pane fresco apre gli occhi. La donna uovo.
Io.
La donna sabbia
La donna sabbia vive vicino al mare e di lui si nutre con misura per stare intera e poterlo guardare. Le mattine di vento, se presti attenzione, puoi vedere i granelli dei suoi pensieri che svelano il vento e tornano al mare.
La donna nuvola
La donna nuvola sfilacciata bianca senza sentiero corre i contorni sfuggendo col vento viva nella corsa e pronta a forme nuove fino al tempo della dissoluzione.
Solo vorrei
Solo vorrei a volte che tornassi indietro per un ultimo bacio sulla porta che ti voltassi guardarmi ancora quando ancora ti guardo che mi portassi con te come pietra calda nelle tasche d'inverno pur sapendo che niente di tutto questo porterebbe il sole nel mio giardino quando piove.
Ho riscritto sul tuo corpo
Ho riscritto sul tuo corpo tutta la mia vita: la luce e il desiderio d’infinito ho riposto nei tuoi fianchi sfiniti senza chiederti consenso e di questo mi chiedo perdono perché tu porti addosso la vita mia come un vestito tagliato male che ti ho costretto ad indossare solo perché confondo l’amore con la vita e di questo, amore, ti chiedo perdono.
Rughe
Rughe come sbarre ne ho due, sgherri controllori del mio sorriso di vetro compiacente non ne ho altre. Non ho imparato sorridendo ho ferito le mani scavando alla ricerca del dolore per sciogliere invecchiando l'incanto.
Mi chiedo, figlio
Mi chiedo, figlio, se nel latte è ato il dolore se nelle mie carezze senti l'incertezza al vivere se dai miei occhi sorridenti scivolano dubbi sui tuoi capelli lucenti se trovi la strada nel labirinto del mio amore se ti fidi dei miei abbracci improvvisi se ti accorgi della fatica di ogni giorno nel frantumare lo specchio per poterti guardare.
Il potere del nome
Lo chiamano parco questa natura avvilita che cammino con stivali da marciapiede attraverso in silenzio sentieri di fango ed erba bruciata, qua e là alberi stupiti, testimoni ignari delle loro stesse radici È un luogo impazzito nei confini di un nome che non conosce, alienato da un bisogno di ordine che non gli appartiene.
Io sola so
Nessuno sa dove sono ora. Io sola so e la panchina e gli uccelli e gli alberi che mi ignorano complici del mio sorriso per me sola e il vento e il lontano ciarlare dei bimbi e il sole addolcito dalla foschia. Nessuno sa dove sono ora. Io sola so.
Proiezioni
01
La donna vestita di nero lo riempie tutto il balcone i seni abbondanti sul grosso ventre riposano. Lo sguardo no mi segue riscrivendo tutta la mia vita mentre o veloce sotto la sua casa costruita nel niente.
02
Sono seduti vicini ma distanti due fratellini sul marciapiede ginocchia graffiate, rabbia negli occhi mentre mamma e papà litigano a bassa voce con ferocia nel parcheggio.
Sono troppo grassi nutriti da un amore intermittente di merendine e gelati.
Guardo la bambina la sua coda di cavallo malfatta i capelli arruffati attorcigliati all’elastico.
Penso a quando lo tirerà via, l’elastico,
per farsi male.
03
La commessa del pane ha un fisico minuto da ragazza capelli tinti di biondo raccolti in una coda di cavallo un po’ svogliata anelli, orecchini e ciondoli ad esibire rituali aggi della vita
è gentile, veloce, meccanica la sua presenza sottintesa in quello spazio stretto fra il bancone e le ceste.
Le rughe sul suo volto sono parole involontarie di dolore, amore e rimpianto che non tollero guardare
per pudore.
04
Avanzano oscillando su scarpe troppo giovani due vecchie sorelle ostili il rossetto che scivola fra le rughe del mento le grandi orecchie ornate di perla camminano a braccetto litigano per la forma del pane da comprare si detestano per solitudine.
05
Ha quindici anni forse si muove inconsapevole dei confini del suo corpo e morde lo spazio senza pensieri concreti mentre aspetta, come me, l’ascensore e freme e si dondola sulle gambe consumando anche la mia aria come se non capisse il tempo dell’attesa
lasciandomi senza fiato.
06
Ragazzi invecchiati dal paese raccolti a mazzo nella Piazza principale occhiali scuri cinture strette sotto la pancia assistita da madri in pensione
statiche vestali della disoccupazione parlano senza guardarsi seguendo indifferenti la vita degli altri in transito.
07
Amandosi, odiandosi si salgono addosso scivolando, correndo bambini sudati di riso e di pianto e madri e padri satelliti lenti di pianeti impazziti di grida e capriole di mani pestate nasi che colano gelati che cadono in un tempo senza ieri e senza domani.
08
Rosse mani grosse nocche strette sulla borsa della spesa sul braccio di una vecchia vita diluita fa esercizio di lentezza la badante un piede dopo l’altro e chiude gli occhi un momento testa all’indietro pelle lucida bianca sopracciglia a matita capelli sottili vibrano al vento il braccio grasso in attesa freme al crepuscolo.
09
La commessa è troppo magra. Le vene appostate come fiere sulle braccia immateriali, le dita grosse protette da anelli vescovili. Mi porge le cose con grazia professionale e mentre faccio le mie valutazioni si abbandona al suo pensiero tormentandosi le braccia con unghie rosse perfette come scudi.
010
Il mento sullo sterno la bocca piagata in un lamento come origami sulla strada che porta ai treni spenta donna veglia la sua sigaretta fragile fra dita gonfie di giorni senza riparo vicino a lei aspetto in piedi al sole come si conviene ma la mia ombra sull'asfalto le è sorella.
011
Il volto contratto in fratture di rabbia su pelle stanca guarda la donna Il mare dal treno e l'uomo al telefono ride da ore come acqua velenosa parole di soldi e contratti tengono salda come un morso la mano sulla spalla di lei.
012
Magra che trema di adolescenza nera labbra piene su denti grossi inutili cammina spaesata in poco spazio stringendo all'orecchio un telefono bianco "Perché?" Piangendo "Dimmi, perché?" e si curva nella sua gabbia da uccellino.
013
Il sibilo del vapore della macchina del caffè intreccia le voci del mattino la ragazza del bar la pelle del collo ornata da un ideogramma cinese saluta gli abituali sorride distratta dalla sua stessa vita.
Un uomo sgualcito da tempo si avvicina alla periferia del bancone Il volto silenzioso sulla superficie di alluminio deformante
la ragazza gli versa sambuca
senza guardarlo poi guarda fuori come se aspettasse qualcuno o forse solo di uscire.
014
Condividiamo l'attesa lei raccolta nell'ordine dei suoi vestiti sobri il seno dimenticato nella camicia gialla gli occhi nel fango di un pensiero immobile.
È quando chiamata si alza che vedo la crepa del tormento nelle unghie rose fino alla carne per sentire, forse, per sentirsi.
015
Capelli pratici corpo senza eccessi dove il mio sguardo scivola senza attrazione nella sua cucina parla senza margine di desideri leciti ma gli occhi impazziti si dibattono altrove dove l'infelicità morde.
016
Nei corridoi freddi del supermercato sandali di vernice rosa consumati canta forse la bambina muove la bocca spensierata e gli occhi vecchi mentre assente la madre la trascina come una ciste una malattia.
017
Tre bambine, tre sorelle che si sono vestite da sole, pettinate da sole e sono sole sulla spiaggia. La più piccola ha una bambola svestita e ferita, la getta come un sasso nell'acqua fredda e poi la segue.
Nell'acqua fredda.
Le sorelle madri improprie la riportano a riva come una bambola furente. Ha occhi neri grumi di fango
di trincea. È forte di una forza nemica. Stringe la bambola bagnata e inerte, la lancia sui sassi. “Stupida” le urla “Stai ferma lì! Non ti muovere” Poi mi guarda e il suo sguardo è un pozzo nero.
Mi alzo lentamente barcollando sui sassi vado via perché ho paura di lei.
018
Sola e smagrita cammina stupita dei i i lunghi capelli attorcigliati, stringendo nel pugno un ombrello impazzito assurdo sgargiante gli occhi spezzati da pioggia insistente. Nel riflesso di un vetro qualunque mi guarda neutra. Sono io di strada.