Fiore Di Luna 6z6v13

Ylenia Pizzetti

Fiore di Luna

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Indice dei contenuti

Giorno 1 Giorno 4 Giorno 5 Giorno 10 Giorno 11 Giorno 12 Giorno 13 Giorno 14 Giorno 18 Giorno 20 Giorno 21 Giorno 22 Giorno 23 Giorno 24 Giorno 30 Giorno 31 Giorno 72 Giorno 73

Fiore di Luna

© 2014 Pizzetti Ylenia. Tutti i diritti riservati.

C'è una parte di Maria Sole che ancora lei non conosce ed è quella che verrà, quella che ancora custodisce che cosa ne sarà di lei. Fiore di Luna è una raccolta in 73 giorni di tutto ciò che lei vivrà, delle sue emozioni, dei suoi pensieri e delle decisioni che prenderà. Viaggeremo insieme a lei, vedremo posti e sentiremo profumi. Ci lasceremo incantare dalle meraviglie, che a volte, sono già sotto ai nostri occhi.

C’è stato un grosso fraintendimento tra la vita e il tempo. Si è detto che il tempo consiste di tre stati: il ato, il presente e il futuro. È sbagliato. Il tempo è formato solo dal ato e dal futuro. È la vita che è fatta di presente. Quindi, chi vuol vivere non ha altra alternativa che vivere questo momento. Solo il presente è esistenziale.

OSHO

Giorno 1

La sera, quando mi corico e la luce lascia lo spazio all’oscurità, tutto attorno a me pare trasformarsi. Mi sento osservata da qualcosa che non riesco a vedere. Mi scopro fragile mentre il buio, celando il mio corpo, sembra invadere anche la mia anima. I miei occhi lentamente si abituano ala notte e iniziano a scorgere delle immagini vaghe e indistinte. Vedono che il mondo è lo stesso, solo che così, fa molta più paura. Così fu anche quella sera lontana, il cui ricordo è custodito nella mia mente. Affacciata alla finestra della camera da letto, la città con le sue case, dormiva sotto la chiara luce della Luna. Mi tranquillizzai e mi sdraiai. La porta scricchiolò. Lulù, facendo le fusa, rasentò la parete, saltò sul letto e si accoccolò fra le mie gambe e finalmente scivolai in un sonno profondo.

Nella notte, improvvisamente mi svegliai. Erano già le 3,47. Ancora poche ore e il mio viaggio sarebbe iniziato. Non riesco mai a dormire tranquilla, prima di un'occasione importante.

“Quasi quasi non parto. Ma poi perché non andare? Questo è un viaggio importante per me, dopotutto saranno solo due giorni!” dopo una breve riflessione decisi di non rinunciare al mio sogno di Parigi.

Fino a qualche giorno prima avevo un fidanzato, che diceva di amarmi e con il quale avrei dovuto fare questo viaggio. Quel giorno che tornai a casa e lo vidi fra le braccia e soprattutto tra le gambe infelici della sua assistente di studio, la mia vita cambiò. Non gli concessi nemmeno il diritto di una sola parola. E questa vacanza, che sarebbe dovuta essere il nostro viaggio

d'amore, (ma quale amore?) si trasformò in un'eccezionale occasione di fuga in solitaria. Sarei scappata dall'invasione dei sentimenti che provai. Non versai una lacrima, mai. Non avevo di certo scelto l'uomo giusto, anche se purtroppo me ne ero accorta dopo un anno e mezzo. Per fortuna il compagno perfetto non mi avrebbe mai abbandonata, l'obiettivo della mia macchina fotografica, in grado di catturare anche le mie emozioni! Ricordo che ero riuscita, dopo lunghe insistenze, a convincere i miei nonni a comperarmela. Avevo undici anni e per Natale mi regalarono la prima macchina usa e getta e quando finalmente feci sviluppare il rullino fu il giorno più felice della mia vita! Per scoprire poi che su venti foto fatte solo sette erano venute con un soggetto centrato, le altre sfocate o con le mie dita in primo piano. Ne ero però troppo gelosa. Nessuno aveva il permesso di poterla usare. E se avessi voluto essere io la protagonista di una foto, la tenevo in mano allungando le braccia davanti a me, collezionando così foto con la mia faccia sempre per metà, mai per intero.

A quel punto Morfeo si ricordò di me e per poche ore riposai. Il tempo di chiudere gli occhi e la sveglia suonò. Scattai in piedi di colpo e in una decina di minuti fui pronta per uscire. Salutai Lulù con una razione doppia di coccole.

«Non preoccuparti piccola mia che poi viene Mariella a darti da mangiare.»

Mariella, la vicina, si occupava di lei quando io ero fuori.

Alle 8 precise stavo uscendo di casa. Il freddo penetrava le mie ossa. C'erano tre gradi, e dopo aver scaldato la macchina, misi in moto verso l'aeroporto.

Mi piace assaporare le lunghe ore prima di un viaggio. Amo gli aeroporti. Puoi incontrare le persone più disparate. Uomini soli in viaggio d'affari, bambini eccitati di salire sull'aereo per la prima volta, donne impaurite di viaggiare sole che tengono sempre una mano sulla borsa e altre che sorridono solo se incroci il loro sguardo. È proprio lì che solitamente comincio a scattare le mie foto. Fermo l'immagine delle persone senza che mi vedano. Cerco la naturalezza dei gesti e dei movimenti. Mi sembra di riuscire a sentire le loro voci, soltanto guardando la loro immagine nelle fotografie. In realtà non ho fatto molti viaggi all'estero nella mia vita e proprio nessuno da sola. Ho vissuto fino ai ventun anni con i miei nonni che mi hanno adottata quando ero molto piccola. Mio padre ha fatto molti errori nella sua vita, errori che ha pagato in carcere dal quale non è più uscito. Avevo sei anni e quel giorno che i poliziotti lo portarono via di casa, in manette, è stata l'ultima volta che lo vidi. Non andai mai a trovarlo in prigione. Lui era una persona che io non conoscevo, qualcuno di cui non ricordo nemmeno un sorriso. Due anni dopo morì. Mia madre, quando rimase sola con me, perse la ragione e dopo pochi mesi si tolse la vita lasciandomi in affido ai suoi genitori, i miei nonni. Loro sono stati dei tutori perfetti, per me genitori che mi hanno cresciuta con il senso del dovere e del rispetto. Erano persone molto credenti in Dio e la religione per loro era un aspetto fondamentale e doveva esserlo anche per me. Vivevamo in periferia. Mandavano avanti una fattoria nella quale sarebbe stato necessario il lavoro di almeno trenta dipendenti invece, loro, avevano un'energia tale da portare avanti autonomamente l’attività. Appena ho potuto, ho voluto subito iniziare a lavorare per alleggerire il carico del loro lavoro e lì rimasi per otto anni. Mi prendevo cura degli animali, mi occupavo dell'orto e quando arrivava l’autunno, della vendemmia. A quindici anni andavo a scuola e al pomeriggio lavoravo in fattoria. La vecchiaia me li ha portati via, uno dopo l'altro, nel giro di due mesi. Credo si amassero davvero molto. Non riuscivano a stare lontani l'uno dall'altro e neanche la morte seppe dividerli. L'amore tra loro e per Dio li aveva riuniti ancora. Io ho provato, ce l'ho messa tutta a far andare avanti l'azienda ma non ci sono riuscita. Avrebbero voluto che io continuassi, lo so. Ma ho mollato. Senza di loro non era più la stessa cosa. In un paio d'anni, ho venduto tutta la proprietà ad una famiglia veramente motivata a prendersene cura e mi sono trasferita in città. Tutto era diverso. Le case piccole, erano tutte una attaccate all'altra. Dalla mia camera da letto sentivo esattamente cosa stava accadendo

nell'appartamento accanto. I muri sembravano fogli di carta tanto erano sottili. Avevo ormai venticinque anni ma non avevo nemmeno la patente. Non sapevo neanche come si fe a guidare una macchina, dove mettere le mani o quando schiacciare i pedali. ai subito l'esame di teoria e ci volle un po' di più per quello di pratica ma poi ce la feci. E proprio quando stavo per conquistare la mia indipendenza, la mia vita venne scossa dall’amore. Intendiamoci, non che non avessi mai avuto un uomo o un fidanzato, ne ho avuti mentre vivevo alla fattoria, ma da quando ero da sola, mai. Ogni volta che rientrassi a casa, qualsiasi ora fosse, andavo in camera dei miei nonni, svegliavo mia nonna e le raccontavo la serata.

«Nonna, nonna! Marco mi ha portata al cinema stasera.»

«Che bravo ragazzo Marcolino! Domani chiamo sua mamma e le dico di farti portare fuori ancora.»

«No nonna! ti prego!»

«A me piace tanto Marcolino!»

Ma come era prevedibile, con Marcolino non durò. Qualche incontro adolescenziale e nulla di più. Poi arrivò Roberto.

«Ma com'è bello Robertino! Però digli che non si fa così. Sono tre volte che ti porta fuori e neanche un fiorellino.»

«Nonna queste cose si usavano ai tuoi tempi, non ai miei!»

«Non è vero! Gli uomini devono sempre corteggiare una donna, a qualsiasi età!»

La nonna aveva ragione perché come non vidi mai un fiorellino da Robertino, lui non vide mai neanche la mia camera da letto. Il nostro flirt durò poco più di un'estate. Poi fu la volta di Tommaso, per la nonna stavolta non c'era un Tommasino.

«A me quello lì, non mi piace!»

Tommaso non aveva fatto breccia nel cuore di nonna perché era più grande di me di quattro anni e da quando io stavo con lui cercavo di far emergere la mia femminilità. Le gonne si erano accorciate, le maglie scollate e i reggiseni a balconcino erano diventati la mia seconda pelle. Ma se Tommaso non era entrato nel cuore di nonna, nel mio aveva un posto speciale. Ero perdutamente innamorata di lui. Avevo compiuto diciotto anni. Io e Tommaso siamo stati insieme per circa un anno e poi un giorno le mie certezze si sgretolarono. Avevo scoperto i suoi molteplici tradimenti. Senza pensarci diedi l'addio a Tommasino. Quante lacrime versai per quella storia. La mia prima vera storia.

«Io te l'avevo detto che non mi piaceva!»

Lei sì, che aveva sempre avuto ragione.

Nei successivi sei anni ebbi solo due storie importanti prima con Fabio e poi con Paolo, entrambe contraddistinte da infedeltà e mancanza di rispetto. Ancora! Dopo di loro la mia fiducia nei confronti degli uomini cambiò radicalmente. Per un lungo periodo non volli frequentare nessuno, avevo sofferto troppo per i tradimenti, le bugie, la superficialità degli uomini. Poi entrò nella mia vita sco che mi conquistò con mazzi di fiori, cene a lume di candela, e frasi ad effetto. Sembrava l'uomo perfetto, da sempre sognato.

«Ti sposerò e non ti farò mancare nulla, vedrai.»

Dopo due anni di convivenza, mi tradì. Ero stata ancora una volta superficiale e stupida. Ero riuscita a farmi trattare allo stesso modo. Mi stava venendo un serio dubbio sul fatto che probabilmente la colpa fosse sempre stata mia. Forse non ero in grado di dare abbastanza da tenermi stretto un uomo. Era il momento giusto per dare un cambio alla mia vita e prendere la macchina fotografica e fare questo viaggio a Parigi solo per me stessa, mi sembrava l'unica soluzione tangibile.

L'aereo atterrò in perfetto orario. Con un bus della durata di una ventina di minuti ero già a Place de l'Opéra. Guardandomi attorno mi sembrava di vedere carrozze di nobili are di lì come nel Novecento. Quell'atmosfera e mi piacque a tal punto che cominciai a scattare foto e rubare i movimenti agli artisti in gruppo che stavano per entrare nel loro teatro. Si muovevano come le nuvole, sembravano soffici e delicati in ogni cosa fero. Solo uno di loro sembrava duro, distaccato. Se ne stava un po' in disparte, con una sigaretta in bocca e della rabbia negli occhi. Rubai anche la sua immagine. Usai lo zoom per arrivare a cogliere l'intensità del suo sguardo e in quel momento sembrava mi avesse visto perché guardava esattamente nel mio obiettivo. Il gruppo entrò e lui dietro. Il primo incontro con la magia parigina era appena iniziata e già l'amavo follemente. Feci un giro. Presi la cartina, che mi diedero appena atterrata e, guardai un po' in giro per raggiungere qualcosa vicino. Mi diressi verso

Pigalle. Volevo documentare ogni cosa, ogni colore, ogni viso, ogni angolo di cielo che sbucava da dietro ai palazzi. Presi Rue de Mogador poi Rue SaintLazare e poi Rue Blanche e dopo averla percorsa tutta arrivai di fronte al Moulin Rouge. Non c'era nessuno davanti, forse dipendeva solo dall'orario visto che erano le 16 e quello è un luogo di vita notturna. Mi sedetti su una panchina e guardai quella struttura pensando di poter entrare con gli occhi e vedere Frank Sinatra cantare con la sua voce calda “My way”, circondato dalle ballerine più belle al mondo da far sognare uomini di ogni età. Ho proseguito il mio giro sulla collina di Montmartre, al quartiere degli artisti. Prima di raggiungerlo feci un numero infinito di scalini. Non avevo mai visto nulla di simile. Le persone dipingevano sedute in strada in assoluta tranquillità. Sapevano fare il loro mestiere osservati da centinaia di persone che avano e incuriositi si fermavano ad ammirare la tecnica dell'olio su tela, piuttosto che l'acrilico o l'acquerello. Era un mondo così diverso da quello in cui avevo vissuto io fino al giorno che sembrava appartenere ad un altro mondo. C'erano così tante cose che non conoscevo e avrei voluto vederle tutte. Salii ancora più in cima fino al punto più alto, alla monumentale Basilica del Sacro Cuore, con la veduta di Parigi mozzafiato. Ora, era tutta ai miei piedi. In lontananza, trionfante, la Tour Eiffel spiccava su ogni cosa.

Scesi i sotterranei per prendere la metro, questa sconosciuta. Un fiume di persone veniva verso di me. Lì sotto potevi trovare turisti, gente del posto, lavoratori. Tutti si mischiavano. Sedici anni o poco più, accanto a me una ragazza molto bella, con lunghi capelli color cenere e un sorriso da fare invidia a ogni donna, parlava il suo se perfetto. La sua voce pronunciava le parole con un tono melodico, le sue parole erano come una soave musica. Chiaramente io non capivo cosa dicesse ma credo parlasse d'amore perché il ragazzo di fronte a lei, la guardava solo come si guarda chi si ama perdutamente. Presi la macchina fotografica dalla borsa e fingendo di pulirla scattai delle foto alle loro mani che si toccavano con desiderio, ai loro occhi che avrebbero comunicato fra loro anche senza le parole. Aver potuto cogliere quell'immagine d'amore, valeva per me tutto il viaggio. Dopo aver cenato in un ristorante, ripresi in spalla il mio zaino e andai a riposare. La camera, così diversa dalla mia, la sentivo fredda e

asettica. Pensai a Lulù e a come sicuramente si stesse sentendo sola anche se Mariella andava a darle da mangiare. Feci una doccia calda e stremata mi sdraiai sul letto e presi sonno senza nemmeno accorgermene. Riaprii gli occhi alle 7.15, riposata. Un altro giorno stava iniziando nella città magica ma io ancora non me ne ero resa conto. Andai alla finestra, spostai le tende e vidi in fondo, dritta di fronte a me la Tour Eiffel. Ero a Parigi da 24 ore e l'avevo solo vista lontanissima e questo era il nostro primo vero incontro. Avevo tutto il tempo per una foto, presi la macchina fotografica e via!

Quello è l'ultimo ricordo che ho inciso nella mia mente di Parigi, quella sensazione che non provavo da una vita volevo lasciarla lì, accesa nel mio cuore. Dopo essere stata ai piedi della Tuor Eiffel, seduta per ore senza fare niente, tornai in Italia. In auto, nel parcheggio dell'aeroporto, accesi il motore per tornare a casa. Il desiderio di assaporare la vita si impadronì di me. Imboccai l'autostrada per Ventimiglia e respirai lungo la costa ligure il profumo del mare per varcare il confine e tornare in territorio se. Viaggiai nuovamente verso la Francia. Guidai tutta la notte. E poi guidai ancora. Era l'unica cosa che avessi voglia di fare. Il sole sorgeva ed io a ritmo di "It's raining men" guidavo ancora. Finalmente mi fermai. Giunsi in una città, Grasse. Era mattina e chiamai Mariella per avvisarla che avrei tardato qualche giorno e per chiederle di occuparsi ancora per un po' di Lulù. Parcheggiai ed entrai in un hotel dormendo fino a sera. Mi svegliai e fuori c'era già buio. Ma non m'importava, avevo prenotato un paio di notti. Sarei rimasta in quella stanza a riposare per il resto della vita se avessi potuto. Le quattro mura attorno a me, mi davano un senso di libertà che non avevo provato nemmeno fuori, nel mondo sconfinato. Adoravo sempre di più ogni luogo della Francia. Sentivo solo la mancanza di Lulù, piccola trovatella bianca e grigia piombata nella mia vita per caso e che subito si era impadronita del mio cuore. Una sera, appena trasferita in città, ando in una via sentii piangere così forte che pensai al pianto disperato di un neonato. Mi fermai accanto alla scatola dalla quale usciva il miagolio e, una piccola gattina con gli occhi spaventati grande quando il palmo della mia mano, mi ha fatta innamorare.

Senza pensarci su neanche un minuto, la presi in braccio e la protessi sotto la giacca. La portai a casa e Lulù diventò parte della mia vita. Quella notte forse vagavo in cerca di una parte di me che non riuscivo a trovare. Non ero stata io a trovare lei ma lei a trovare me.

Giorno 4

Il giorno seguente ripresi la macchina e guidai per lunghe e interminabili ore. ai attraverso Draguignan, Le Val, Aix-En-Provence fermandomi la notte in un piccolo Bed and Breakfast presso Sènas molto carino e accogliente. La signora mi fece accomodare in una stanza molto pulita e ben arredata. Lì accanto, c'era una rosticceria dove presi qualunque cosa avesse d'asporto e lo mangiai in camera guardando la tv sintonizzata sui canali si.

Giorno 5

All'alba del giorno dopo c'erano ancora molti posti che avrei voluto vedere. ai per Avignon, andai a vedere l'anfiteatro di Arles per poi dirigermi verso sud, attraversando i lunghi e verdeggianti territori della Camargue. Accanto alla strada, cavalli bianchi allo stato brado pascolavano nella quiete più totale. Andai molto piano, fermandomi per scattare molte foto dello splendido paesaggio attorno a me. Proseguii fino ad arrivare a SaintesMaries-de-la-Mer. Questo grazioso villaggio sospeso tra terra e mare, sembrava uscito dall'abile pennello di un pittore. Avvertivo una grande influenza spagnola di feste e colori. Era tutto molto affascinante. Le immense spiagge di sabbia bianca, facevano da cornice a quel posto incantevole.

Con il cuore spezzato dovetti rimettermi in viaggio. ai da Salon-DeProvence eper Isle-sur-la-Sourge dove mi fermai qualche ora. Questo posto è un piccolo paradiso poetico. Percorsa da diversi canali che dividono il borgo in tante piccole isole, vidi molte persone che pacifiche si dedicavano alla lettura circondate dai molti cigni che popolano quel luogo. È un posto che mi è piaciuto come niente in vita mia e credo di non esagerare dicendo questo! All'ora di cena mi trovai nella pietra rossa di Roussillon, un intero villaggio dal colore rosso nel quale esistono solo un ristorante, una pizzeria e un albergo. O se ve ne fossero altri, io non li trovai. Ordinai una pizza e la mangiai nella camera dell'hotel. La stanza era molto ampia e interamente ricoperta da moquette rossa, sia pavimenti, sia le pareti. Quella sera ero molto stanca e dormii profondamente fino al mattino. Questo doveva essere il mio ultimo giorno di viaggio. Ricominciai a guidare per le strette strade delle campagne si. ai per l'interno della Provenza, per Manosque, Valensole fino alle gole del Verdon. Avevo sentito parlare benissimo di questo posto. Quando finalmente arrivai in cima, sotto di me c'erano solo le montagne spaccate dal fiume che le attraversava creando il canyon più impressionante che ebbi mai visto. Rimasi senza parole. Il color smeraldo di

quell'acqua era vivo e splendente e nonostante avessi scattato una trentina di foto, nessuna di queste riuscì a catturare l'esatto colore. Respirai quell'aria incontaminata e cercai di imprimere nella mia mente ogni sfumatura di quei colori per non dimenticarli più. La mia mente era finalmente sazia di cose belle. Rimisi in moto la macchina e in sei ore fui di nuovo a Milano. Casa dolce casa. Lulù dolce Lulù. Preparai la macchina fotografica per entrare e fotografarla subito nell'accogliermi. Doveva far parte di questo album.

La prima notte di ritorno da un viaggio il tuo letto è sempre il più comodo al mondo o il più scomodo. Per me era decisamente la prima. Dopo le infinite ore ate in auto a guidare, il mio letto era il migliore in cui avessi mai dormito. Fino a poche ore prima non sapevo neanche dove sarei stata e adesso mi ritrovavo qui a dover ricominciare la mia vita. Pianificare non rientrava nel mio vocabolario degli ultimi giorni vissuti. Ero troppo stanca. Mi addormentai con Lulù tra le mie gambe.

Giorno 10

Andare alla ricerca di un lavoro, nel pieno centro di Milano, sapendo solo occuparsi di natura o animali, non è una cosa semplice. Tralasciai boutique, bar, gelaterie, arredamenti e supermercati. Non mi sentivo ispirata. Fino a quando lo vidi. Colori, delicatezza, armonia. Senza pensieri entrai. Un'invasione di profumi mi travolse. Il suono dei camlini mi accolsero entrando.

«È permesso?»

Nessuna risposta.

«È permesso?» ripetei più forte.

«Un momento. Arrivo.»

Si udì la voce in lontananza e lentamente si avvicinò sempre più un'anziana signora accennando un sorriso.

«Buongiorno. Cosa le serve cara?»

«Buongiorno signora. avo davanti al suo bellissimo negozio e mi chiedevo se per caso lei avesse bisogno di qualcuno che le dia una mano.»

«No signorina. Non assumo nessuno.»

«Ma io...»

La mia insistenza venne bloccata dall'ingresso di una cliente.

«Buongiorno Dora.» «Oh buongiorno signora Sarni. La sua composizione è pronta. Vado subito a prenderla.»

«Grazie.»

«Signora magari o domani a comprare un mazzo di rose. Ne ha di bellissime.» dissi infilandomi nella conversazione.

«Arrivederci signorina.»

Il primo tentativo era andato malissimo. Dovevo ritentare. Uscii dal negozio e mi allontanai. Attraversai il marciapiedi e dall'altra parte lessi l'insegna. "Il Prato Felice". Mi piacque e mi colpì molto.

Trascorsi la giornata pensando alle cose che avrei potuto dire per ottenere quell'impiego. Ma non mi usciva niente. Non ero brava a prepararmi discorsi da dire. Le poche volte che ho provato a farlo, poi ho sempre fatto un casino perché dalla mia bocca escono solo parole sconnesse tra loro senza senso.

Giorno 11

Il piccolo orologio appeso alla porta d'ingresso del negozio segnava che era aperto da un'ora. Dentro non vedevo nessuno. Con coraggio spinsi la porta. Ma la porta non si aprì. Nel panico momentaneo vidi un piccolo bigliettino "suonare" attaccato al camlo. E suonai. Qualche secondo dopo la porta si aprì. La signora era immersa in un gigantesco mazzo di rose bianche.

«Buongiorno.»

«Buongiorno signora. Sono ata ieri mattina a chiederle se avesse bisogno di qualcuno che lavori qui.»

Mi guardò con attenzione.

«Ah si, ricordo. Ma io non assumo nessuno mi dispiace.»

«Nemmeno per qualche ora al giorno? O solo in alcuni giorni o quando ha bisogno? Mi piace molto il suo negozio, si respira una bella energia e io amo i fiori, i loro profumi, i loro colori pieni di vita. Potrei fare un periodo di prova, gratuitamente s'intende.»

«Come ti chiami?»

«Maria Sole.»

«Che splendido nome! Piacere Maria Sole. Io sono Dora.»

Durante la stretta di mano notai che la sua era una di quelle mani morbide, calde e piene di energia.

«Ho sempre mandato avanti questo posto da sola. Ma gli anni ano e non ce la faccio più a fare anche le consegne da sola. C'è un ragazzo che mi aiuta ma in questo periodo è un po' occupato con l'università... se proprio hai voglia di renderti utile e aiutarmi a fare qualche consegna per me va bene, ma è un lavoro da uomo e in più non posso pagarti molto.»

«Sì, sì, sì! Mi piacerebbe molto aiutarla nelle consegne. Potrei anche stare qui in negozio ad osservarla mentre lavora e non le darei fastidio giuro.»

«Allora se hai la macchina, puoi iniziare questo pomeriggio. C'è da consegnare una composizione ad un cliente molto importante.»

«Posso andare dove vuole.»

Emozionata come una bambina al primo giorno di scuola guidavo facendo piano le curve e frenavo con cautela, stando attenta che il vaso non si rovesciasse. Giunsi ad un'immensa reggia. Suonai.

«Chi è?»

«Salve devo consegnare una composizione floreale.»

L'alto cancello si aprì con uno scatto automatico. Entrai con la macchina nel lungo corridoio di sassolini e polvere finissima fino a che mi trovai davanti alla porta d'ingresso vera e propria, dove ad aspettarmi c’era una governante.

«Prego. Mi segua.»

Non dovetti seguirla per molto. Solo pochi i, giusto per entrare nell'ingresso e scorgere in lontananza una scala fiabesca salire di qualche piano, che posai i fiori su un tavolo.

«Il signor Forte la sta aspettando per il pagamento. Prego. La prima porta a sinistra.» «Grazie.»

Girai lo sguardo e vidi la porta. Bussai.

«Avanti.»

Mentre stetti entrando venni investita da un odore nauseante di sigaro. Nella stanza sembrava esserci una nube.

«Vieni pure Mattia... oh ma tu non sei Mattia!»

«No, in effetti non sono Mattia. Sono Maria Sole. Le consegno io i suoi fiori oggi!»

«Finalmente Dora ha capito che doveva assumere una bella ragazza! Ti pago subito.»

Sorrisi per gentilezza anche se non mi sento mai a mio agio quando un uomo mi fa un complimento. Presi i soldi e uscii ringraziando. Era finita. La prima consegna era ufficialmente finita! Mi sentivo fiera di me!

“Qualche giorno fa giravo da sola la Francia senza meta, pensierosa sul mio futuro e oggi ho portato a termine la mia prima giornata di lavoro, un lavoro che mi piace tantissimo” pensai orgogliosa.

Ero emozionata per il mio primo incarico concluso.

Giorno 12

Il giorno seguente andai in negozio all’orario di apertura.

«Buongiorno Dora.»

«Buongiorno cara. Che cosa ci fai qui così presto?»

«Sono venuta a vedere se avesse bisogno di una mano.»

«No cara, stamattina non ho consegne da fare.»

«Potrei stare qui lo stesso?»

«Come preferisci. Se ti va, resta pure.»

Mi guardai attorno. Mi resi conto che c'erano più fiori li dentro di quanti ne conoscessi in realtà. Dora stava pulendo le rose. Mi avvicinai e mi sedetti su uno sgabello in silenzio.

«Allora cara? Che cosa ti porta qui?»

«Come?»

«Si, intendo dire, che si vede che non sei di qui. Hai dei ritmi troppo pacati e tranquilli.»

«Fino a qualche tempo fa non sapevo cosa volesse dire la quotidianità di città, prendere la macchina per andare a lavorare, partire un'ora prima per arrivare in orario. Mi sono trasferita da poco. Vivevo fuori città e il mio lavoro era sul retro di casa mia. I miei nonni avevano una fattoria e io lavoravo con loro.»

«Avevano? Ora hanno smesso?»

«Loro, in realtà... li ho persi qualche anno fa.»

«Ah capisco. Mi dispiace molto.»

«E lei riesce a mandare avanti tutto questo impero da sola?»

«I fiori sono sempre stati la mia ione. Il loro significato, i loro colori e i loro profumi hanno reso la mia vita interessante. Tutto il resto è stato messo in secondo piano. Nonostante questo mi sono spostata, ho avuto un figlio ma poi mio marito era molto malato ed è morto. Mio figlio, oh il mio amato

bambino! Si è trasferito a Londra e lavora là da molti anni. E io sto qui, con i miei fiori, che però non mi fanno mai sentire sola.»

«Non avrebbe voglia di smettere e rilassarsi un po'?»

«Ma io mi rilasso a fare quello che già faccio. Se dovessi stare tutto il giorno con le mani in mano, diventerei pazza! È ora di pranzo adesso. Domani ho una consegna, ti va di venire a farla tu?»

«Certo che mi va!»

«Perfetto. Allora ti aspetto alle 14.»

«Sarò puntuale!»

Uscii dal negozio. Le nubi erano foriere di pioggia. L'aria stava cambiando velocemente. Allungai il o e arrivai alla mia macchina parcheggiata. Il tempo di salire e le gocce cominciarono a cadere grandi sul parabrezza. Corsi a casa. Lulù aveva fame e anche io. Dopo aver pranzato, fuori continuò a piovere. A luci spente il salotto era semi buio. Mi coricai sul divano e insieme a Lulù mi addormentai.

Giorno 13

Il pomeriggio seguente arrivò in un baleno. Con quindici minuti di anticipo arrivai al negozio che era ancora chiuso. Solo dopo una decina di minuti Dora venne ad aprire.

«Cara ma sei già qui?»

«Sono appena arrivata.»

«Vieni, il vaso è pronto.»

Portai quella pianta in un grande appartamento all'ultimo piano di una palazzina ad una signora sulla settantina.

«Posso offrirti qualcosa da bere?» mi chiese la gentile signora dopo che posai il vaso sul balcone.

«No signora, la ringrazio»

Tornando in negozio eggiai tra le vie del mercato e mi fermai a guardare le persone senza dare nell'occhio. Notai gente di ogni età

camminare sullo stesso cemento e interessarsi talvolta alle stesse cose. Vidi una donna bella, elegante, forse sulla sessantina, vestita e pettinata di tutto punto con un cappotto giallo che non ava inosservato, fermarsi ad osservare dei foulard ad una bancarella. La vidi sorridere in maniera così buona e spontanea che la invidiai. Provai invidia per quella donna che nemmeno conoscevo ma che sicuramente sapeva come stare in mezzo alla gente, fiera di quello che era senza preoccuparsi di ciò che la gente avrebbe pensato di una donna con un cappotto giallo tra le vie del mercato. Avrei voluto essere lei. Avrei voluto diventare come lei.

Giorno 14

Ricordo ancora quel giovedì mattina. Nell'aria c'era il profumo di croissant appena sfornati e il sole mattutino scaldava la faccia. Per strada non c'era traffico, un evento più unico che raro. Ormai Dora si stava abituando ad avermi intorno.

«Buongiorno cara.»

«Buongiorno Dora come sta quest'oggi?»

«Molto bene grazie. Mi ha appena telefonato mio figlio e arriverà tra qualche giorno. Non vedo l'ora!»

«Sono molto felice per lei Dora!»

In effetti Dora aveva un'altra luce in volto. Una luce di gioia mista ad agitazione, ma anche di sollievo per riavere suo figlio di nuovo a casa.

«Cara, oggi non abbiamo consegne da fare quindi sei libera.»

«Mi farebbe piacere restare comunque qui in negozio con lei ad aiutarla un

po'.»

«Come preferisci cara. Vuoi che t'insegni a pulire le rose?»

«Mi piacerebbe!»

Maneggiava i suoi attrezzi con una facilità invidiabile. Toglieva le spine con delicatezza e cura, per non compromettere i petali del fiore.

«Guarda con attenzione. Devi usare questa pinza. Prendi il gambo, la chiudi e tiri. In questo modo tutte le spine vengono via. Hai visto? Ora prova tu.»

«Ok proviamoci.»

Presi in mano la prima rosa e subito mi punsi.

«Ahi!» esclamai e Dora sorrise.

Subito dopo riuscii a togliere qualche spina.

«Mettici più forza!»

Riprovai. La rosa era splendida.

«Ottimo lavoro cara!»

«Grazie Dora!»

In quel pomeriggio, tornata a casa, notai Lulù strana, qualcosa non andava. Corsi subito da un veterinario. Da quando vivevo qui non era mai stata male e non conoscevo nessun medico, così sono salita in macchina e girando un po' a casaccio ho trovato un'insegna di una clinica veterinaria aperta ventiquattro ore su ventiquattro. Mi sono fiondata lì. Ho spiegato al medico che Lulù non aveva appetito e miagolava in modo insolito. Dopo averla visitata diagnosticò che si trattava semplicemente di calore. Lulù non aveva niente di grave.

Avrei dovuto capirlo. Vivevo o no in una fattoria? Credevo forse che gli animali di città fossero diversi? Era solo calore. Io lo sapevo, lo sapevo benissimo ma non lo so cosa mi era successo, a cosa stessi pensando in quel momento. Ma ormai era troppo tardi. Mi trovavo in quello studio, con quel medico davanti a me che forse mi prese per pazza.

«Stai tranquilla Lulù sta bene!»

«Per fortuna!»

«Magari ti lascio il mio numero di cellulare. Se ci fosse un'emergenza puoi chiamarmi!»

«Ok va bene. Grazie.»

«Seguimi in ufficio.»

Scrisse su un foglietto il suo numero e mentre stetti per uscire dalla stanza mi chiamò.

«Ah Maria Sole.»

«Sì?»

«Se hai bisogno di qualche consiglio per la salute di Lulù quando è in calore puoi chiamarmi. Anche se lei sta bene, o magari solo per bere qualcosa e parlare di qualcos'altro. Quello che vuoi tu!»

Beh, carino era carino. Sorrisi e non dissi niente.

Giorno 18

Quando varcai la soglia del negozio Dora stava servendo una cliente. Durante questa giornata c'era molto più movimento perché nella strada adiacente, nelle ore del mattino, c'era il mercato. In negozio da Dora venivano molte persone, più donne che uomini, più signore che ragazzine, ma dopo essersi guardate per un attimo attorno, non poterono far altro che uscire chi con un mazzo e chi anche solo con un fiore. L'incanto dei milioni di colori presenti in negozio, era in grado di rapire chiunque.

«Le piace questa orchidea bianca signora?»

«È molto bella ma cercavo qualcosa di colorato. Qualcosa di allegro.»

«Se le piacciono i fiori rossi, ho dei meravigliosi papaveri appena raccolti!»

«Stupendo. Me li fa vedere?»

«Prego mi segua.»

Le due scomparvero dentro la grande serra nel retro del negozio dove spesso le clienti avevano possibilità di accedere.

«Cara. Puoi occuparti tu della signora?»

Dora si riferì a me dandomi un incarico. Era la prima volta che mi permise di occuparmi di una cliente. Per me era un traguardo importantissimo raggiunto.

«Buongiorno signora come posso aiutarla?»

«Buongiorno. Mi stavo guardando intorno e mi chiedevo se per caso voi vendeste anche i bulbi di tulipani. Vorrei provare a piantarne alcuni in giardino. Ho letto che non hanno bisogno di molte cure. Così ho pensato che magari, provando a chiedere a lei, avrebbe potuto darmi un aiuto.»

«Allora, sì, i bulbi li abbiamo, aspetti solo un momento.»

Una volta avevo visto Dora consultare una sorta di "enciclopedia del fiorista", sul quale c'erano scritti tutti i segreti. Eccolo lì, proprio nel cassetto sotto al bancone. Sfogliai quelle pagine molto velocemente per cercare una risposta alla domanda della signora.

«Esatto signora! Non sono molto esigenti ma i bulbi di tulipani solitamente si piantano da ottobre a dicembre così da avere la fioritura in primavera!» una voce maschile diede la risposta che avrei dovuto dare io.

«Oh allora credo che per adesso sceglierò qualche fiore più adatto!»

«Vada pure nella serra a fare un giro, così magari le viene qualche idea!»

«Grazie mille! È stato davvero prezioso parlare con lei, signore!»

Quella voce maschile e quegli occhi maliziosi, gongolavano come un cane in adorazione.

«È strano che mia madre abbia assunto una ragazzina senza neanche farle un colloquio e rendersi conto che non è fatta per questo lavoro!»

«Ah ecco chi è lei! È il figlio di Dora! È un piacere conoscerla.»

Benché volessi strozzarlo per la sua frase poco carina, stetti calma e concentrata per non spaventare le clienti ancora in negozio.

«Io sono Maria Sole.»

Allungai la mano verso di lui che, con le braccia conserte, non si mosse nemmeno di un centimetro. Per fortuna Dora tornò con la signora dei papaveri che felice uscì dal negozio.

«Allora Andrea hai conosciuto questa deliziosa signorina?»

«Parli di lei mamma? Non capisco come tu abbia potuto assumere una persona che non sappia nemmeno riconoscere una margherita da una rosa!»

“Ehi, io sono qui” ho pensato.

«Non dire così Andrea. Io divento anziana e Maria Sole è caduta dal cielo come un angelo a salvarmi. Mi fa molta compagnia, mi aiuta nelle consegne e sta imparando molte cose. Non essere così duro! È una bravissima ragazza! Tu non la conosci!»

«Sarà, ma rimane il fatto che non è adatta a questo mestiere.»

«Adesso basta dai Andrea!»

«Cara, ci vediamo lunedì se vuoi!»

«Certo Dora. Buona domenica!»

Uscii senza voltarmi e senza salutare il principino "so-tutto-io". Sono sicura che un tipo così, mia nonna, l'avrebbe di certo odiato! Pensavo subito a lei quando conoscevo un uomo. Che razza di persona fastidiosa! Com'è possibile che Dora sia così adorabile e lui così maledettamente irritante? Spero solo che si trattenga pochi giorni! Il sabato sera stava quasi per cominciare. Non avevo programmi per la

serata. Anche se... anche se avrei potuto chiamare il bel veterinario e andare magari con lui al cinema.

“Non è molto carino che sia io a chiamarlo... è anche vero che lui il mio numero non ce l'ha e quindi posso farlo solo io. Dai, gli mando un messaggio.”

-Ciao Riccardo. Sono Maria Sole. Sono venuta l'altro giorno in studio con Lulù. Mi chiedevo se per stasera tu avessi impegni.-

Ho posato il telefono sul divano accanto a me e senza neanche un minuto di attesa ha risposto.

-Ciao. Sta male Lulù?-

-No. Lulù sta benissimo grazie. Era per uscire noi… magari io e te.-

La pausa stavolta si fece più lunga.

-Per fortuna! Sì Mi libero per le 22. È troppo tardi?-

“Cosa? Sono solamente le 18,45. Sicuramente aspettando l'ora di uscire mi addormenterò. Quasi quasi gli dico di no”, pensai fra me e me.

-No. Va benissimo.- scrissi.

-Ok. Ci troviamo nel parcheggio davanti allo studio?-

“Sì, meglio”

-Perfetto. A dopo.-

Bene. Ora dovevo solo far are tre ore. Accesi la tv. Che noia. Lulù stava già appisolandosi sulla poltrona. Avrei voluto farlo anche io! Andai in cucina. Mi feci qualcosa da mangiare. Considerando i pochi ingredienti che avevo in casa, rimediai solo un toast. Accesi il computer. Navigai in rete svogliatamente, per un lungo lasso di tempo. Guardai l’orologio. Mancavano venti minuti alle dieci! Di corsa in bagno a cambiarmi! Giunsi nel luogo concordato per l’incontro e lui non era ancora arrivato. In ritardo, dopo dieci minuti, arrivò.

«Ciao! Sali sulla mia macchina?»

«Ciao! Ehm... vuoi venire tu sulla mia?»

“Dì di sì, dì di sì...”

«No dai vieni vieni!»

“Vabbè niente, proviamo ad assecondarlo” pensai infastidita.

«Hai fatto bene a chiamarmi. Avevo voglia di vederti.»

«Ho pensato che magari saremmo potuti andare a vedere un film o a bere qualcosa.»

«Preferisco la seconda opzione. Non sono molto portato per il cinema. Mi addormento sempre. Andiamo in un pub qui vicino.»

Stava decidendo tutto lui.

Arrivammo dopo pochissimi minuti in un locale tutto buio e guardandomi attorno mi sembrava di vedere solo coppie in atteggiamenti molto intimi.

«Ciao Bruna! Mi porti due Cuba Libre al tavolo per favore?»

«No, per me solo una birra piccola per favore.»

«Ti piace questo posto? Io qui sono praticamente di casa!»

«È carino.»

In verità non mi piaceva per niente l'ambiguità di quel posto.

Si avvicinò sempre di più. Fino a guardarmi dentro ai miei occhi. Non perdeva tempo.

«Hai voglia se andiamo a farci un giro?»

Io non ho risposto e lui ha cominciato ad insistere. Mi sentivo messa all'angolo.

«Ti va?»

«Ma siamo appena arrivati qui.» risposi, perplessa.

Buttò giù di rigore il suo drink e si alzò tirandomi per la mano. Salutai con gli occhi il mio bicchiere di birra ancora pieno fino all'orlo.

«Bruna, segna sul mio conto.»

Ebbi la sensazione che quello fosse il locale in cui ci portava tutte le sue conquiste, avventure fugaci di una sera! Uscimmo lui davanti e io dietro, mi teneva, quasi tratteneva, la mano facendomi strada.

Quella è l'ultima cosa che ricordo con chiarezza. Il resto vorrei dimenticarlo. Vorrei dimenticare che sulla sua macchina abbiamo fatto sesso, un sesso che io neanche avevo voglia di fare ma che fortunatamente in pochi minuti si concluse. Non provai niente. Lo guardavo mentre era dentro di me e avrei voluto picchiarlo. Mi girai dall'altra parte per non baciarlo in bocca. Adesso avrei anche dovuto cercare un nuovo veterinario per Lulù. Peccato, perché nel suo lavoro era bravo, almeno in quello.

Giorno 20

Il lunedì mattina alle 9 precise andai da Dora per fare la consegna. In negozio c'era un pacifico silenzio di fiori che di posano. Dora era nel retro a finire la composizione.

«Buongiorno cara!»

«Buongiorno Dora! Come sta stamattina?»

«Molto bene cara! E tu? Hai ato bene il fine settimana?»

«Normale week-end. Nulla di importante.»

Quella pace durò troppo poco spezzata dalla voce arrogante e odiosa di Andrea.

«Buongiorno signorina. Credo che lei sia un po' in ritardo o sbaglio?»

Guardò il suo orologio al polso sinistro con fare superiore.

«Oh finiscila!! Maria Sole è in perfetto orario! Non fare caso a lui tesoro, straparla!»

Dora si rivolse a me con dolcezza e riguardo.

«La composizione è pronta sul tavolo nel retro! Ti annoto l'indirizzo.»

Stavo uscendo dal negozio con la composizione in mano quando...

«Mamma, l'accompagno!»

Volevo morire! No, no, no!

«Va bene ma non darle troppo fastidio!»

Già solo la sua presenza era un fastidio per me!

«Usiamo la mia macchina. È proprio qua dietro!»

Portai io la composizione in mano. Andrea, il galantuomo, non si scompose.

«Abbiamo un po' di strada da fare! Raccontami qualcosa di te, magari potrei cambiare idea sul tuo conto!»

Io non avevo assolutamente niente da dire ad un individuo del genere. Se non fosse stato il figlio di Dora, non so cosa avrei fatto.

«Dai dimmi qualcosa su!»

«In realtà non ho molta voglia di raccontarti la mia vita. Anche se siamo sulla stessa macchina, non vuol per forza dire che dobbiamo fare conversazione.»

«Scusa. Non volevo essere antipatico.»

“A no? In realtà avevo percepito l'opposto.” pensai ma non lo dissi.

Arrivammo alla villa per la consegna.

«Lascia faccio io. Aspettami pure qui.»

Rimasi nel giardino, contemplando i tristissimi fiori sopravvissuti all’incuria della proprietaria di casa. Dopo quattro, forse cinque minuti Andrea tornò.

«È davvero un peccato avere una casa così bella, un giardino così grande e non essere in grado di prendersene cura. Quei fiori hanno un disperato bisogno di acqua ma dubito che qui qualcuno gliela dia.» disse Andrea.

«Già.»

Nella mia borsa avevo una bottiglietta d'acqua e la versai ai fiori.

«Ecco fiorellini. Magari adesso avrete un po' meno sete.»

«È ora di pranzo. Ci fermiamo a mangiare qualcosa?»

«Grazie, ma devo andare a casa.»

«Ok. Non insisto.»

Risalimmo in macchina ma non parlammo più. Non vedevo l'ora che ripartisse. In fin dei conti aveva una vita da portare avanti a Londra, un lavoro, una fidanzata, e presto o tardi ci sarebbe dovuto tornare!

Al ritorno la strada sembrava più lunga, il tempo trascorso insieme a lui era interminabile. Dora aveva già chiuso il negozio per andare a pranzo.

Io non andai a casa. Mi fermai a mangiare da sola, poi chiamai Mariella chiedendole di dare da mangiare a Lulù. Sicura che anche la mia cucciola avrebbe mangiato, mi sedetti in un bar ad un tavolino fuori. C'era un sole splendido e il venticello caldo era una meraviglia. Questo tipo di solitudine era quella che mi piaceva. Momenti di raccoglimento interiore, di pausa, dedicati solo a me stessa.

«Allora sei una bugiarda!»

Davanti a me Andrea con le mani appoggiate ai fianchi mi accusò di questo.

«Scusami?»

«Non sei voluta venire a pranzo con me perché dovevi andare a casa, ma eccoti qui. Questa da me si chiama bugia. Ho dovuto seguirti per scoprirlo!»

«Forse non avevo voglia di pranzare con te. Non ti sei chiesto questo?»

«E perché non avresti voluto volerlo?»

«Perché sei un po' stronzo. Ti sei messo a seguirmi adesso?»

«Volevo vedere dove abiti per recapitarti un mazzo di bellissimi fiori.»

«Balle!»

«Allora adesso possiamo mangiare insieme?»

«No.»

«Ok.»

Andrea si sedette al tavolo accanto al mio.

«Hai già ordinato?»

Mi voltai dall'altra parte sbuffando.

«No. Mi sono appena seduta. Ma dovresti saperlo visto che mi hai pedinata.»

Andrea rise.

«Allora ordino insieme a te!»

La cameriera arrivò.

«Per me un tramezzino tonno e uova e una bottiglia d'acqua naturale. Sa, la mia fidanzata è arrabbiata con me oggi perché le avevo promesso una vacanza e invece, devo lavorare e quindi mi sono dovuto sedere a un altro tavolo. Però tra due mesi ci sposiamo e il nostro viaggio di nozze sarà indimenticabile. Ma lei vuole di più, vuole sempre di più. Amore», rivolgendosi a me, «dai ancora un piccolo sforzo e poi andremo dove vuoi.»

La sua recita era credibile, tanto che sia io che la cameriera eravamo in imbarazzo. Lei in più mi guardava con un'aria di pietà mista invidia. Sorrisi ma non riuscii a dire niente.

«Carino lo spettacolo, dovresti fare l'attore. Saresti bravo.»

«Dai su ho voluto solo scherzare un po' e poi credevo fossi più preparata, visto le bugie che dici!»

In quella notte che separava il lunedì dal martedì, i miei pensieri, la mia immaginazione, ebbero il sopravvento. Visualizzavo montagne, oceani e deserti che forse mai sarei riuscita a vedere con i miei occhi in questa vita. Avevo voglia di partire. Avrei fatto un biglietto di sola andata, senza decidere il ritorno. Nei posti che sognavo ad occhi chiusi, c'era sempre un gran silenzio e una beatitudine mai provata in vita mia.

Drin.

Il cellulare squillò, avvisandomi dell’arrivo di un messaggio.

-Stai già dormendo? Non riesco a prendere sonno.-

“Sarà qualcuno che ha sbagliato” pensai.

Drin.

-Se stai pensando che abbia sbagliato numero non è così. Volevo scrivere proprio a te, Maria Sole. Andrea.-

«Ma è una persecuzione! Anche di notte deve darmi fastidio! Io non rispondo. Meglio non dargli corda a questo qui! E poi non lo sopporto proprio. È così arrogante e saccente che mi fa troppo incazzare quando apre bocca! Che... ok dai gli scrivo solo un messaggio.» borbottai fra me e me.

“E ora cosa gli scrivo? Dovrei essere essenziale”

-Non sto dormendo.-

Drin.

-Bene. Allora mi tieni compagnia. Ho rubato il tuo numero dall'agenda di mia mamma.-

-Non ti hanno insegnato a chiederlo direttamente alle persone il numero?-

-Si, ma tu non me lo avresti dato.-

-Hai ragione. E avrei fatto bene!-

-Non fare la gatta cattiva. Non vuoi raccontarmi qualcosa di te?-

-Proprio non mi va!-

-Ok. Allora ti racconto io un po' di me. Per la tua gioia non tornerò tanto presto a Londra perché Charlotte, la mia compagna, o meglio la mia ex compagna, mi ha lasciato una settimana dopo che ha scoperto che mi avevano licenziato dal lavoro. Che troia! E non so come spiegarlo a mia madre!-

-Non mi fa piacere sai leggere certe parole riguardo ad una donna. Non ti fa molto onore. E poi perché lo stai dicendo proprio a me?-

-Ma no dai volevo dire che il suo tempismo è stato pessimo. Comunque, a qualcuno dovrò pur raccontare cos'è successo. E sembra strano ma tu sei la persona con la quale ho ato più tempo da quando sono tornato.-

-Non hai paura che glielo dica io?-

-Non credo che lo faresti.-

-Hai ragione. Non lo farei mai.-

Quello scambio fitto di messaggini mi fece sentire meno sola, e devo ammettere che nutriva il mio orgoglio.

Drin.

-Troverò il momento giusto per dirglielo. Ma adesso tocca a te dai... dimmi qualcosa di te.-

-Non ne ho proprio voglia.-

-Dai. Dimmi almeno dove sei e cosa stai facendo.-

-Sono a casa, nel mio letto.-

-Da sola?-

-No, mio marito dorme accanto e io scrivo messaggi a uno sconosciuto. Certo che sono da sola! A parte Lulù che dorme sul divano.-

-Lulù? Chi è Lulù?-

-La sola e unica gatta di casa!-

-Ok scusa se ti ho dato della gatta cattiva prima, scherzavo.-

-Lo so. Tu scherzi o reciti sempre. Magari la storia che mi hai raccontato è anche falsa.-

-È vero. Potrei averti raccontato un mucchio di cazzate.-

Riflettendo su cosa rispondergli, scivolai in un sonno profondo, senza sogni.

Giorno 21

Al mio risveglio il cellulare era sotto al cuscino spento. Probabilmente si era scaricato. La mattina non sarei dovuta andare da Dora, ma al pomeriggio, sì. Ero convinta che anche se fossi mancata, non sarebbe accaduto nulla di grave perché tanto ci sarebbe stato Andrea a fare le consegne.

Chiamai Dora dicendole che non mi sentivo bene. Senza esitazioni mi disse di stare a casa anche il giorno seguente se ne avessi avuto bisogno. Non avevo voglia di farmi troppo coinvolgere dai loro problemi di madre e figlio, non m'importava sapere se tutta quella storia fosse vera o no. Mi interessava solamente che lui se ne andasse al più presto. Io avevo trovato un mio equilibrio insieme a Dora e con la sua presenza mi sentivo sempre sotto osservazione e non mi piaceva.

Drin.

-Non vieni perché non ti senti bene o perché non hai voglia di vedere me?-

-Quale risposta ti piacerebbe sentirti dire?.-

-Quella più vera. Ma se starai a casa non conoscerai mai il finale della mia storia.-

-Non è che me ne importi poi molto.-

-Secondo me ti importa invece. Ma dici di no. Sei furbetta tu!-

-Furbetta io? Non direi.-

-Prenderò l'occasione per fare due chiacchiere con mia madre.-

“Devo interrompere questo gioco. Non rispondo.”

Pausa. Oggi voleva dire pausa da tutto, tutti e i loro problemi. Ho guidato fino a raggiungere la spiaggia più vicina, a un'ora circa d’auto. Ho portato con me Lulù nella sua borsa floreale. Siamo arrivate alla spiaggia e l'ho fatta uscire. Ero sicura che non si sarebbe allontanata molto. Certi suoi comportamenti sono simili a quelli di un cane fedele e obbediente al suo padrone, comportamenti che non si addicono all’indole libera e autonoma di un gatto. Vederla poggiare le zampe sulla sabbia con aria spaesata, mi divertiva molto. Le ho fatto tantissime fotografie. Era tanto tempo che non fotografavo. Dal mio ultimo viaggio. La spiaggia era vuota. Solo qualcuno di aggio correva in riva al mare e pochi altri si fermavano per un po' in contemplazione delle splendide onde. Sentivo il bisogno di una giornata di relax e solitudine per ricaricare la mia mente e il mio corpo.

Drin.

Il mio cellulare squillò. Per non rovinarmi questo momento non lo lessi e spensi il telefono. Solo più tardi, a casa, dopo la doccia, mi coricai sul letto e accesi il cellulare.

Drin. Drin. Drin. Drin. Il telefono squillò quattro volte. Quattro volte voleva solo dire quattro messaggi.

Ore 14.04 -È così triste fare le consegne senza di te!-

Ore 15.57 -Perché non rispondi? Dove sei finita?-

Ore 18.33 -Te la si eh oggi?!?! Non hai nemmeno il tempo di rispondermi a un messaggio!!-

Ore 21.45 -Ma che fine hai fatto Sole?-

Era la prima volta che mi chiamava solamente Sole. Mi ha certamente stupita questa sua insistenza.

Ore 22.00 “rispondo va!” -Non devi preoccuparti per me. Sono viva e sto bene.-

-Sole. Finalmente! Non lo ero. Ok forse solo un pochino. Credevo fossi scappata!-

-In un certo senso per qualche ora è stato proprio così. Sono andata al mare e ho spento il telefono.-

-Potevi chiamarmi. Ti avrei fatto compagnia.-

-Come fai ad essere così sicuro che io sia andata da sola al mare?-

-Non lo eri?-

-No.-

Era un gioco di botta e risposta destinato a finire presto.

-Mi fai ingelosire?-

-Sei già geloso? Per così poco?-

-Sono molto geloso. Con chi eri?-

-Con Lulù.-

-Lulù? La tu gatta? Al mare? Non è vero!-

-È vero ti dico. Ho portato Lulù sulla spiaggia. Era fantastica!-

-Lo credo. Domani ti vedo?-

-Domani sono in negozio da tua madre.-

-Allora ti vedo! Non mi chiedi se le ho parlato?-

-No. Non sono affari miei.-

-Che antipatica!-

Giorno 22

Quando quella mattina mi svegliai, non mi ero resa conto che invece sarebbe stata una giornata diversa dalle altre. Era uno di quei giorni che scorrono lentamente e ogni minuto vissuto ha il peso del ticchettio di un orologio che scandisce i secondi con regolarità. Ho sempre creduto che quando sta per accadere un episodio importante, la nostra mente sia tanto potente da avere un presagio. Come ci fosse dentro di noi una lampadina che si accende e ci avvisa di stare particolarmente attenti a quello che stiamo per vivere. In ato niente di tutto questo mi è successo in momenti in cui avrei avuto bisogno che un segno dall'alto m'illuminasse o che una parte addormentata del mio cervello si svegliasse al momento giusto e mi desse un minuscolo avvertimento per prepararmi alla perdita dei miei nonni, per esempio. Non ha mai funzionato questa mia teoria, neppure stavolta, anche se per un motivo inferiore. Sono uscita di casa senza ricordarmi da quale lato avessi parcheggiato la macchina, una cosa che tutto sommato mi succede spesso. Sono arrivata presto in negozio e Dora stava già lavorando.

«Buongiorno cara! Ti senti meglio?»

«Buongiorno Dora! Si grazie. Lei sta bene?»

«Insomma. Ho un pensiero fisso in testa. Hai fatto bene a venire presto. Maria Sole, cara, devo parlarti.»

«Che è successo Dora?»

«Mio figlio, Andrea, quel casinista, si è fatto licenziare e lasciare dalla fidanzata in un colpo solo. Rimarrà un po' qui a Milano. Ieri mi ha raccontato tutto. E quel codardo ha obbligato me di dirti una cosa.»

«Non posso più stare qui vero?»

«Lo sapevi già?»

«No, ma i tuoi occhi parlano da soli.»

Era la prima volta che le davo del tu. Aveva gli occhi davvero dispiaciuti.

«Credimi cara, se avessi potuto decidere io non lo avrei mai fatto. Sei indispensabile per me ma lui ora è qui e devo farlo lavorare. E per quante cazzate possa combinare è sempre il mio bambino.»

«È giusto Dora. Non preoccuparti.»

No, giusto non lo era ma così doveva andare. Ci abbracciammo e poi me ne andai. A pochi i dal negozio mi incrociai con Andrea. Le nostre spalle si scontrarono ma continuai a camminare.

«Ehi Sole! Non mi saluti neanche più?» urlò fermo sul marciapiede alle mie

spalle.

Non mi fermai. Il mio cellulare squillò. Mi stava chiamando.

«Che cosa vuoi?»

«Che c'è?»

«Che c'è? Fai sul serio?»

«Mi hai fatta cacciare da tua madre e dovrei correrti incontro per buttarti le braccia al collo?»

«Vieni qui Sole che ne parliamo dai.»

«No.»

«Mi dispiace Sole, ma il negozio non lavora abbastanza per garantire più di due stipendi.»

«E tu devi fare la sanguisuga attaccato alla gonna di mamma perché ti sei

fatto cacciare da Londra! Complimenti!»

«Dammi l'occasione di spiegarti. E poi è solo una cosa temporanea. Su!»

«Temporanea un cazzo!»

Gli chiusi la chiamata in faccia.

«Ieri sera mi ha fatto perdere tempo con quei messaggi inutili e non ha avuto neanche il coraggio di scrivermelo.» conclusi a voce alta sotto agli occhi dei anti che mi guardavano senza capire.

Tutto il mio futuro era nuovamente in discussione. Quella notte feci molto tardi. Dopo ore ate al computer, andai a letto ma non riuscivo a prendere sonno. Mia nonna, mi avrebbe spazzolato i capelli se fosse stata qui, come quando da bambina prima di dormire mi coccolava con questo gesto. Questa volta non era qui, così mi sono alzata e sono andata in cucina. Avevo tre cassetti pieni di posate che non aprivo mai. Era il momento giusto. Ho tirato fuori tutto e le ho lavate, una ad una. Cucchiai, forchette, cucchiaini. Lavati ed asciugati. Ho scoperto di avere certe spatole, una mezzaluna, o un tagliapasta per fare i ravioli che non avrei mai usato. Mi addormentai solo all'alba.

Giorno 23

Nuova vita, nuova me. Sarebbe potuto essere tutto nuovo se non fosse che all'uscita di casa la macchina di Andrea era posteggiata dall'altra parte della strada. Sbirciai dentro e il sedile era abbassato e Andrea dormiva. Non capii, ero basita. Mi allontanai senza svegliarlo. Quando tornai a casa, dopo circa due ore la macchina era ancora lì. Probabile che si fosse svegliato. ai accanto con indifferenza. E la portiera si aprì.

«Mi sa che quando sei uscita stavo dormendo.»

«Potrei denunciarti per stalking.»

«Mi hai costretto a fare così. Non vuoi parlare con me. Ma io devo spiegarti.»

«Spiegarmi cosa? Che non hai avuto le palle di licenziarmi tu ma l'hai fatto fare a tua madre?»

«Non è così. O sì forse un po' sì. Mi dispiace. Sono qui per chiederti di tornare in negozio perché non è giusto che vada così. Ce la faremo lo stesso, o forse prima o poi dovrò tornare a Londra.»

«Grazie ma la tua offerta non mi interessa.»

Imperturbabile, mi girai e ripresi a camminare verso il portone di casa. Andrea mi seguì continuando a parlare.

«Per favore. Dai! Ho promesso a mia madre che ti avrei convinta. Non posso tornare in negozio e dirle che non hai accettato, sai che dispiacere le darei?»

«Potevi pensarci prima di farmi licenziare.»

Allungò la mano, prese il mio braccio. Improvvisamente mi fermai.

«Ehi ma che fai?»

«Dai dimmi di sì.»

«No.»

«Sole.»

Volsi gli occhi in cielo e risposi di sì. D'un tratto prese anche l'altro mio braccio, mi tirò a sé e mi baciò.

Non chiusi nemmeno gli occhi ma li spalancai. Dopo un breve istante mi staccai. Non dissi niente. Silenzio. Incredulità.

«Ci vediamo domani alle 10, così andiamo a fare una consegna. Ti lascio il pomeriggio per riprenderti da questo meraviglioso bacio.»

Sul suo viso si palesò un sorriso beffardo e muoveva le sue braccia in maniera teatrale.

«Che stronzo! Com'è possibile che una persona gentile come Dora abbia una figlio stronzo come te?» bisbigliai ma lui non mi sentì.

Pensavo a lui come la persona peggiore che avessi incontrato in vita mia. Odio, amore, stupore, sentimenti ed emozioni contrastanti invasero il mio animo. Non potei fare a meno di pensare e ripensare a quel bacio. Il contatto con la sua bocca mi provocò una scossa che percorse tutto il mio corpo. Le sue labbra erano morbide e umide. Per qualche strana ragione avrei voluto assaporarle di più. Scoppiai in una risata liberatoria. Presi la decisione di mandargli un messaggio io per prima, come mai prima d’ora era accaduto.

-Giusto per precisare, non avevo bisogno del pomeriggio per riprendermi dal bacio, perché non è stato niente di che!-

-Speravo mi scrivessi. La prossima volta durerà di più e in un attimo ne diventerai dipendente dalle mie labbra.-

-Non ci sarà una seconda volta. Mettitelo bene in testa.-

-Non esserne così sicura tesoro. Perché potrebbe capitare prima di quando pensi. E io credo invece che ti sia anche piaciuto.-

-Tesoro?! No non credo.-

-Come vuoi tu. Ti farà piacere sapere che domani le consegne da fare sono diventate due, preparati. Vuoi che ti venga a prendere?-

-Assolutamente no grazie.-

-Sei a casa con Lulù?-

-Sì.-

-Bene. Così so che non sei tra le braccia di un altro.-

“Ma cosa si stava mettendo in testa? Assurdo. Però a me quel bacio era piaciuto davvero.”

Non ho risposto alla sua provocazione.

Giorno 24

Al suono della sveglia non avevo voglia di alzarmi. Il pensiero di stare tutta la mattina in macchina con lui mi metteva i brividi.

Ma avevo dato la mia parola di esserci e non potevo mancare, se non altro per Dora.

Rientrare in quel posto mi metteva in imbarazzo, perché l'ultima volta ne sono uscita con gli occhi gonfi di lacrime. «Ciao Maria Sole! Che bello vederti! Fatti abbracciare!»

«Ciao Dora! Come stai?»

«Bene. Sono felice che tu sia qui!»

«Lo sono anch'io!»

«Andrea non è ancora arrivato stamattina. Se non dovesse venire puoi andare da sola a fare le consegne... mi sa che tu saresti anche più contenta vero?» Dora rise e proseguì «Mio figlio non è cattivo. Non so perché si comporti così. Penso centri quello che è successo a Londra. È rimasto scottato da quella esperienza e ora reagisce in questo modo, ma gli erà!»

Neppure il tempo di finire la frase che Andrea entrò nel negozio.

«Buongiorno care signore!»

«Eccoti! Credevo non venissi oggi.»

«E perdermi questo bellissimo abbraccio di gruppo?»

Andrea si avvicinò a noi e ci abbracciò entrambe. Diede un bacio sulla guancia a sua madre e poi uno a me.

“La prossima volta lo uccido.”

Dora mi guardò sorridendo.

«Dai si lavora adesso!»

Pochi minuti e ci ritrovammo io e lui in auto. La pace venne rotta da Andrea.

«La settimana prossima devo andare a Londra a sistemare un po' di cose

che ho lasciato in sospeso. So che è una domanda strana ma ti andrebbe di accompagnarmi?»

«Dovrei accompagnarti a Londra?»

«Si. Ci sei mai stata?»

«No.»

«No che non ci sei mai stata o no che non mi accompagni?»

«Entrambe le cose.»

«Secondo me potrebbe piacerti! Londra è bella, fantastica, unica, è viva.»

«Non credo sia una buona idea. Magari hai qualche amico a cui chiedere di accompagnarti.»

«Qui amici non ne ho più. Sono stato via talmente tanti anni che mi sono dimenticato di tutti. Tu pensaci, non dirmi subito di no. È già tutto pagato per due perché l'agenzia per cui lavoravo include viaggi per due persone e ne posso usufruire ancora.»

«Non mi sembra il caso di allontanarmi per due giorni, con te poi?»

«Mi stai dicendo che non mi trovi affascinante, e irresistibile?»

«Bah, io ei un altro aggettivo. Direi più che ti trovo solitamente stronzo.»

Scoppiammo a ridere insieme. Non era mai successo.

«Sì. In effetti un po' stronzo con te lo sono stato. Lascia che mi faccia perdonare con due giorni a Londra!»

Giorno 30

Non mi rendevo ancora conto di come avessi fatto a decidere di mettere i piedi su quell'aereo insieme a lui. Mi ritenevo completamente pazza. L'unica cosa che mi confortava era che almeno lui avrebbe avuto molte cose da fare e io avrei potuto visitare una città in cui non ero mai stata con la mia macchina fotografica, che trascuravo da troppo tempo. Per fortuna l'azienda includeva nel pacchetto una camera d'albergo che in realtà non era proprio una camera ma era più un appartamento con doppi servizi e stanze, seppur comunicanti, ma separate. Dormire con lui mi avrebbe dato fastidio.

«Ci troviamo qui per cena così andiamo a mangiare insieme?»

«Sì va bene.»

Non mi sentii a disagio a visitare l’immensa metropoli da sola, provai anzi un senso di emancipazione e spensieratezza. Stava piovendo molto ma ero riuscita lo stesso a raggiungere il Big Ben. Ho alzato la testa ed era tutto, interamente davanti a me. La torre dell'orologio di Londra vegliava sulla città dalle rive del Tamigi. Ti accorgi di quanto sia meraviglioso solo quando lo hai di fronte e inizia a rintoccare le ore. Mi sembrava di rivivere la storia di un impero lontano. A pochi i dal Big Ben, sono andata a vedere la maestosità di Westminster Abbey. La sua bellezza è assolutamente disarmante e quando ne sei all'interno avverti tutto il peso della storia ato di lì. Mi sono seduta e ho ascoltato le voci che pregavano lo stesso Dio nel quale avrei

dovuto credere io. Vicino c'era Buckingham Palace. Speravo di poter vedere il cambio della guardia. Purtroppo c'era già stato al mattino. Doveva esserci qualcosa di importante lo stesso perché la piazza era gremita di gente, la banda suonava e alcune guardie erano a cavallo. Lo spettacolo era bellissimo. Quello che vedevo mi piaceva molto. Mi resi conto di aver fatto tardi, in serata mi aspettava la cena con Andrea. Mi sono diretta verso l'hotel. Camminando guardai le persone attorno a me: uomini che camminano veloci con la ventiquattrore, ragazzi che andavano a scuola in divisa, alcuni con la giacca verde, altri blu o amaranto. In quel pomeriggio ho fatto molte foto, ho colto attimi di vita, di bellezza, di storia e i miei occhi e il mio cuore ne furono pregni.

Al mio rientro, Andrea era già nella sua stanza che si stava preparando. Appena mi sentì rientrare, bussò alla mia porta.

«Non sei un po' in ritardo?» mi chiese sorridendo.

«Ci metto dieci minuti!»

«Scherzo fai con comodo, non abbiamo fretta. Com'è andato il giro?»

«Londra è bellissima.»

«Ero sicuro che ti sarebbe piaciuta! Io ho già finito in azienda. Domani sono libero. Ti porto a vedere qualcosa di carino!»

«Fantastico!» esclamai mentendo.

“Non è fantastico. È un disastro.” pensai.

Avevo voglia di starmene ancora sola a contemplare la bellezza della città.

«Cosa ti va di mangiare?»

«Non lo so. Conosci la città molto meglio di me. Decidi tu.»

«Va bene. Chiamo subito un taxi.»

Andrea cominciò a parlare in inglese attraverso il telefono. Era la prima volta che mi apparve sexy. Salimmo sul taxi e lui era proprio a suo agio in quelle vesti inglesi.

«Ho scelto questo ristorante.»

«Non è un po' troppo intimo?»

«No che dici! È un posto da londinesi e non da turisti! Vieni entriamo!»

Entrando nella sala del ristorante, è impossibile non notare il grande tavolo imbandito. Tutti gli antipasti giacevano in bella vista. Accompagnati al nostro tavolo da un cameriere, si notarono subito l'eleganza delle sedie ricoperte da seta blu. Sulla tovaglia, piatti raffinati circondati da numerose posate e bicchieri di cristallo. A lato di ogni tavolo un candelabro a tre braccia donava luce, calore e intimità. I camerieri vennero a prendere la nostra ordinazione. Andrea ordinò per entrambi. Tutto ciò che avvenne dopo fu dettato dal vino. L’ebbrezza accese i nostri sensi e dominò i nostri pensieri.

Rientrammo in camera complici che quello che stava per accadere, in realtà lo desideravamo entrambi dalla prima volta che ci siamo incontrati. Il vino della serata non aveva fatto altro che far cadere tutte le nostre barriere emotive, le nostre difese interiori. Facemmo l'amore, poi lo rifacemmo ancora e ancora. Ogni momento era unico nella sua intensità. Nuda in quel letto, mi sentivo perdutamente a mio agio. Ci addormentammo entrambi, senza abbracciarci. Il profumo delle lenzuola di quell'hotel sembrava familiare. Avevano il profumo delle lenzuola asciugate al sole. Mi ricordarono gli anni alla fattoria quando mia nonna faceva il bucato e io l'aiutavo a stenderlo in giardino. Chissà cosa avrebbe detto lei di Andrea. Secondo me non le sarebbe piaciuto. Mi svegliai nella penombra della stanza. Andrea dormiva. Quando vidi le sue mani posate accanto al viso e un fascio di luce leggera sfiorava i suoi capelli neri, presi la macchina fotografica che avevo nella borsa e scattai una poii due, tre foto per immortalare tutta la sua bellezza. Non l'avevo mai visto così bello. Mi sembrava innocente e sensibile.

Giorno 31

Al mio risveglio la luce entrava dalla finestra colpendo il mio viso, Aprendo gli occhi mi accorsi di essere sola nel letto. Nello stesso momento Andrea usciva dal bagno.

«Buongiorno.»

«Buongiorno. Ma quanto ho dormito?»

«Non molto più di me. Forse una mezz'ora. Il tempo di fare una doccia e ordinare la colazione. Arriverà tra un quarto d'ora. Ce la fai a fare una doccia?»

«Sì.»

Di certo non era uno di quei tipi da baci e bacini. O per lo meno non con me e non stamattina.

Un'ora dopo ci trovavamo già per le strade londinesi.

«Dove vuoi portarmi?»

«Whispering Gallery»

«Non so nemmeno cosa sia!»

«Andiamo dai!»

Ai piedi di St Paul's Cathedral, ancora non sapevo cosa volesse farmi vedere, benché quella cattedrale fosse bellissima, nonostante la pioggia, salimmo più in alto.

«Stai qui, non ti muovere!»

Andrea mi posizionò in un punto della cupola e lui andò dall'altra parte.

«You are my Sun!»

«Io non parlo inglese. Ma cosa hai detto?»

In verità, il suo bisbiglio mi arrivò forte e chiaro.. Avevo il desiderio di sentirlo ancora una volta ma dovetti farmi bastare soltanto quella.

«Shh! Non urlare!»

«Scusa!»

Fu allora che Andrea prese la mia mano e cominciò a scendere i gradini a o svelto.

«Andiamo, ti porto da un'altra parte!»

Holland Park, Kyoto Garden, Notting Hill. Mi portò in tutti questi magnifici posti e per ultimo al London Eye.

«Io non so se voglio salire là sopra!»

«Hai paura?»

«No, però siamo certi che quelle capsule siano davvero sicure?»

«Non ti rispondo neanche!»

Così ci trovammo lassù, io e lui, in silenzio, a contemplare la magnifica

visione panoramica. Non c'erano tenerezze fra noi, ma quando le nostre braccia si sono sfiorate involontariamente, mi sono sentita come se non potesse accadermi niente di male. Mi sentivo protetta, rassicurata.

In taxi eravamo distaccati. Sembravamo due persone diverse da quello che eravamo questa notte. C'era solo la radio che in inglese dava le notizie della giornata.

«Perché mi guardi così?»

«Così come? Come ti sto guardando?»

«Mi stai fissando.»

Non mi rendevo conto.

«Non è vero.»

«È vero eccome! Mi fissi e mi fai gli occhi languidi.»

«Stai mentendo.» gli dissi sorridendo.

Ridemmo. Poi si fece serio.

«È per quello che è successo stanotte? Ti senti attratta da me?»

Sempre il solito. Provava piacere a mettermi in difficoltà.

“Non lo so, non lo so nemmeno io!” pensavo confusa.

«Che cosa vuoi che ti risponda?»

«La verità. Senti che è cambiato qualcosa tra noi dopo stanotte? C'è tensione nell'aria e questo è innegabile.»

«Io... non lo so.»

«Non preoccuparti Sun ti risolvo io ogni problema. Quello che è successo qui rimane qui. Non si ripeterà in Italia.»

«Assolutamente.»

Mi sentivo terribilmente stupida. Siamo arrivati un po' in ritardo in aeroportol per via del traffico in strada ma siamo riusciti a prendere l’aereo appena in tempo. Subito dopo il segnale del comandante di potersi slacciare le cinture di sicurezza, mi sono

alzata per andare in bagno. Avevo bisogno di sciacquarmi la faccia. Pochi istanti e qualcuno bussò.

«È occupato un momento.»

«Sono Andrea puoi aprirmi un attimo. Non mi sento molto bene. Mi sa che devo vomitare.»

Ho aperto e senza dire una parola, io ero già sua. Lingua nella mia bocca e mani sui miei fianchi. Non gli chiesi niente. Volevo vivermi ancora quel momento di follia. Schiacciata sopra il piccolo lavandino e lui dentro di me, mi faceva sentire viva. Ero spinta dalla ione che quest'uomo sapeva trasmettermi. La paura che qualcuno ci scoprisse era un altro elemento che rendeva questi minuti unici. Quando Andrea parlava aveva lo stramaledetto vizio di farmi imbestialire come nessuno mai, invece, quando era dentro di me, era la cosa più bella che mi stesse capitando. Non riuscivo a evitare di starci. Anche se sapevo che una volta atterrati sarebbe finito tutto.

«Solo perché non siamo ancora in Italia sia chiaro!»

«Certo.»

Suonava come una bugia, ma se davvero era questo il suo volere, al nostro arrivo, il rapporto tra noi sarebbe tornato ad essere quello che era prima della nostra partenza!

Ritornammo ai nostri posti. Mi sentii osservata, sicura che qualcuno avesse intuito il nostro segreto. I dubbi mi assalirono per il resto del viaggio.

“Ma cosa stavo facendo? non era da me avere una relazione del genere. Eppure, quello che vivevo mi piaceva terribilmente. Non mi ero mai comportata così prima d'ora. Non mi riconoscevo più.”

Giorno 72

Dopo più di un mese di ritorno da Londra, Dora, non sapeva ancora niente di me e Andrea. Non che ci fosse molto da sapere. Quando eravamo soli, eravamo sempre svestisti. Sarei mai potuta andare da lei e dirle: «Ehi Dora lo sai che tuo figlio conosce ogni centimetro di pelle della sottoscritta?» No di certo. In compenso sembrava che il rapporto con Andrea stesse cambiando, quasi crescendo. Dopo aver fatto l'amore, seguivano momenti di tenerezze che mai avrei pensato. E la cosa più sconvolgente è che l'iniziativa era sempre sua. A tratti, anche noi, sembravamo una coppia normale, comune. Non ero io a chiedergli niente, ma era lui che aveva iniziato a farlo. Spesso Lulù veniva sul letto tra noi e riposava sulla sua pancia. Lei probabilmente era innamorata. Ed io? Io ero presa da quello stronzo che mi ha causato già mille problemi. Innamorata forse no. Forse non ancora.

«Non ti ho mai chiesto quale sia il tuo fiore preferito.»

«Hai ragione. Secondo te quale potrebbe essere?»

«Potresti essere una da rose o tulipani...»

«Girasoli no?»

«No, troppo allegri per te.»

Lo pizzicai su un fianco.

«Scherzo. Allora quale fiore sei tu?»

«Quale fiore sono? In verità non mi sono mai posta questa domanda ma posso dirti che quando vivevo alla fattoria avevamo molto spazio, un grande giardino dove in un solo punto, nascosto in un angolo, solo di notte, sbocciava un fiorellino, solo ma splendido. Le prime volte mi sembrava così strano che potesse accadere una cosa simile che ogni mattina appena sveglia, andavo a controllare se fosse davvero lì e non lo ritrovavo mai. Ogni sera accadeva qualcosa di magico. Non hai idea di quante notti io abbia trascorso seduta accanto a quel fiore. Il suo profumo era celestiale, prezioso e delicato allo stesso tempo. In vita mia non ho mai provato niente di simile. Non appena il sole sfiorava i suoi petali, apiva tornando a riposare.»

«Il fiore di Luna. Ne ho sentito parlare ma non l'ho mai visto.»

«Ci sono molti fiori straordinari in natura, ma per me quello non ha eguali.»

«Ti manca la fattoria?»

«Ogni giorno.»

«Ti sei guadagnata una cena fuori, Sun!»

Sun, Sole. Non faceva differenza per me. Ormai io per lui ero solo Sun.

«A cena fuori? Come mai??»

«Perché devo avere per forza un motivo per invitarti a mangiare fuori?»

«No, non devi. È che tutto questo mi sembra strano. Il letto e la macchina sono stati gli unici custodi della nostra ione e relazione. Per il mondo, non esistiamo»

«Beh domani sera se vuoi esisteremo.»

«Ok va bene andiamo.»

Andrea aveva in mente qualcosa. Magari voleva dirmi che qualsiasi cosa ci fosse tra noi doveva finire una volta per tutte e voleva farlo in un posto pubblico per evitare eventuali scenate. Ma se così fosse stato, non ci sarebbe stata nessuna piazzata, perché sapevo bene che la nostra non era una vera e propria storia ma solo incontri di sesso, anche se bellissimo.

Giorno 73

Avremmo dovuto trovarci all'ingresso di quel bel ristorante sulla strada che portava fuori città. Ma quando ormai ero a pochi minuti dall'arrivo mi mandò un messaggio:

-Ti aspetto dentro.-

Riconobbi la sua macchina e parcheggiai accanto. Cercai di essere padrona delle mie emozioni e di pensare che quella serata sarebbe stata perfetta! Entrai nel ristorante ostentando decisione e sicurezza, sculettando anche un po'. Indossavo un abito nero sopra al ginocchio che scivolava aderente lungo i fianchi sottolineando il mio lato B. Ai piedi un paio di decoltè alte forse dieci o dodici centimetri, in ogni caso troppo per me. Avevo raccolto i capelli per lasciare libero il collo. Una volta mi disse di lasciare scoperta quella parte, perché lo faceva impazzire e a me piaceva stuzzicarlo un po'. Entrai e mi guardai attorno cercando il suo sguardo che non tardò ad arrivare dal fondo della sala. Più camminavo verso di lui e più mi sentivo stupida. Più mi avvicinavo e più non volevo credere che fosse arrivato a tanto.

«Sei in perfetto orario. Sei stupenda.»

Andrea mi salutò dandomi un bacio sulla guancia.

«Che cosa significa?»

«Credo che sia giunto il momento.»

«Non potevi almeno parlarmene?»

«Non saresti venuta!»

«Cara! Che bello averti qui! Ma come sei bella! Non c’era bisogno che ti mettessi così elegante per una vecchia come me!»

«Ciao Dora!»

«Mamma... in realtà Sun, ehm Maria Sole, non sapeva ci fossi anche tu.»

«Come no? Ma che scherzo è questo? Che cosa hai combinato Andrea?»

«Niente. Avevo solo voglia di fare una cena con te ma di avere qui anche lei.»

Dora ci guardava un po' spaesata e io di certo non lo ero meno di lei.

«Ma spiegami, fammi capire cos'è successo.»

«Non è successo niente.»

«È meglio che vada un attimo in bagno.» dissi imbarazzata.

«No aspetta un attimo. Per favore.» Andrea si rivolse a me.

Annuii con la testa.

«Mamma, te lo dico e basta. Noi ci frequentiamo da un po' e siccome sta diventando una cosa seria volevo che tu lo sapessi. Così finalmente adesso capirai dov'ero tutte le notti che non tornavo a casa o quando non rispondevo al cellulare.»

«Voi due? Ma siete sicuri? Ma se non vi sopportate? E poi cosa avreste in comune per andare d'accordo?»

«Abbiamo molte cose in comune e poi non è vero che non ci sopportiamo.» rispose Andrea.

«Ma siete sicuri?» ripeté Dora.

«Sì.»

«Non lo so. Se state bene io sono felice per voi, certo. Ma se devo dirvela tutta non credo sia una buona idea. Finirà che tu, Andrea, farai soffrire questa povera ragazza e se ne andrà e non vorrà più vedere neanche me.»

«Non succederà Dora!» risposi cercando di tranquillizzarla arrivando a toccare la sua mano appoggiata al tavolo.

«E tu tesoro sei davvero sicura che vuoi questo?»

Mi limitai a una risposta semplice senza giri di parole, che celasse i miei dubbi, le mie incertezze.

«Sì Dora.»

«Va bene. Mangiamo adesso.»

Il resto della cena fu disordinata e imbarazzata. Ci serviva un po' di pratica per capire come riuscire a gestire questo intricato rapporto.

«Accompagno a casa mia mamma e ci vediamo da te?»

«Ok ti aspetto.»

Ebbi tutto il tempo di entrare in casa, togliermi quel vestito tanto scomodo, scendere da quei tacchi che per me sembravano trampoli, mettere l'acqua a scaldare e il citofono suonò.

«Sei arrivato giusto in tempo.»

«Fai la tisana?»

«Sì. Ti va?»

«Ok.»

«Io vorrei sapere da dove nasce questa idea di organizzare questa serata!»

«Non vedevi l'ora di chiedermelo, vero?.»

«Dai non scherzare.»

«Mi dispiaceva che lei non sapesse niente e comunque vada, va bene che lo sappia. Credimi, per uno come me è un o importante. Noi due stiamo bene e questo ci basta giusto?»

«Giusto. Secondo te come l'ha presa davvero tua mamma? Ti ha detto qualcosa mentre l'accompagnavi a casa?»

«Non molto. Vedrai che presto ci farà l'abitudine.»

«Vuol dire che non l'ha presa bene.»

«Massì stai tranquilla!»

«Dormi qua stanotte?»

«Sì.»

Facemmo l'amore. Nel silenzio, i nostri cuori e i nostri corpi si fondevano con delicatezza e trepidazione. Questa volta, mi scoprivo piano ai suoi occhi che avrebbero voluto tutto e subito. L'attesa era pienamente ricompensata e già dimenticata, quando solo per un attimo, le mie labbra sfiorarono il suo corpo e le mie mani seguirono i suoi fianchi affondando le unghie nella sua pelle.

L'amore che spesso si prova per una persona, è diverso dall'amore che si fa con quella stessa persona. Non so dire quale sia più bello. Non so dire quale mi emozioni di più. Non so nemmeno dire quale amore stessi provando io per Andrea. Ma di certo, con lui non era più sesso. Io stavo facendo l'amore e questo mi emozionava.

«Ehi. Ti va se andiamo al mare domani?»

«Sì! Io adoro il mare! Ascoltarlo, guardarlo, perdermi nel movimento delle sue onde... ti prego andiamo!»

«Dai allora portiamo il costume e facciamo un tuffo!»

«Ecco giusto appunto. Adesso se ti dico questa cosa prometti che non penserai male di me.

«Avanti dimmi.»

«Prometti.»

«Prometto.»

«Semplicemente io il bagno al mare non lo faccio.»

«Perché?»

«Perché non mi piace, forse ho un po' di paura dei pesci. Non lo so non mi è

mai piaciuto, neanche da piccolina.»

«Tu sei proprio strana!»

«Ma avevi promesso.»

«Si ma non è colpa mia se mi racconti queste cose!»

Mi feci seria.

«Lo sai vero.»

«Che cosa?»

«Che tua mamma ha ragione.»

«Riguardo a cosa?»

«Noi non abbiamo niente in comune.»

«Lo avremo. Non preoccuparti.»

Mi girai nel letto dandogli le spalle.

«Sun.»

«Sì?»

«Buonanotte.» parlò dolcemente, con le parole aggrovigliate in gola, come se volesse dire qualcosa di più. Ma non lo disse.

Non so cosa sarebbe accaduto dopo. Il futuro non mi spaventava. Non mi importava neppure più dove abitare. Ogni posto era perfetto se accanto a me c'era Andrea e non lo dico tanto per dire, non è una di quelle frasi fatte che spesso si dicono per circostanza. No. Era davvero così. Era proprio quello che avvertivo dentro di me. Avevo ricordi bellissimi e indelebili nel mio cuore della fattoria e nuovi ricordi stavano nascendo qui. In più, c'erano i miei sentimenti che riguardavano Andrea, ai quali non volevo rinunciare, Sentivo invece, di dover proteggere e custodire le mie emozioni. Ero gelosa di quei momenti già vissuti con lui e sognavo di poterli rivivere perché ero consapevole dell'amore che provavo e mi sentivo tanto innamorata da non desiderare più di tornare alla fattoria. Involontariamente, stavo già scrivendo la seconda parte della mia vita, la nostra.

Non parlai adesso. Le parole sarebbero venute con il tempo. E non perché provassi timore. Come ho detto prima, niente mi spaventava. Ero in pace con me stessa. Per lungo tempo mi sono sentita come il piccolo Fiore di Luna che per lunghe notti, proprio alla fattoria, mi fece compagnia. Sapevo di essere simile a lui e di sentirmi sola e smarrita in mezzo alla folla e di

riuscire a respirare sbocciando mentre il resto del mondo stava ancora in silenzio, dormiente, al chiarore della Luna che splendeva soltanto per me. Ma quello era il ato ed ora ero in grado di ritrovare me stessa, sotto ad una nuova luce fatta d'amore.

Quel nostalgico e fervido pensiero lasciò il posto alla notte buia e silenziosa come se mai più, nella vita, potessi vivere libera accanto a lui di gioia e sorpresa come se, in realtà, stessi già facendo. E mi addormentai avvolta nelle sue braccia e cullata dal profumo della sua pelle che riempiva il mio respiro.