Marco Del Pasqua
Ana Paula e gli spiriti
ANA PAULA E GLI SPIRITI
Marco Del Pasqua
Edizione agosto 2014 ISBN: 9786050314816
Autopubblicato con Narcissus.me www.narcissus.me
Edizione digitale realizzata da Simplicissimus Book Farm srl
UUID: 9786050314816
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Table of contents
Ana Paula e gli spiriti
Ana Paula e gli spiriti
Bruno eggiava distrattamente quel sabato pomeriggio di shopping nel centro città. Desiderava acquistare qualcosa di carino per la serata e una vetrina catturò la sua attenzione. Notò una bella camicia bianca, un’autentica guayabera, addosso a un manichino; un capo d’abbigliamento piuttosto costoso tuttavia quel giorno non desiderava badare a spese. Entrò nel negozio e chiese la sua misura alla commessa che frugò subito in alcuni scaffali. “Mi spiace, ma temo che la sua taglia sia esaurita. Desidera vederne un’altra simile?” “No grazie, lei è molto gentile ma mi interessava proprio la guayabera che ho visto in vetrina”. Tentò di dissimulare una smorfia di delusione. La commessa guardò la camicia indossata dal manichino. “Attenda un attimo per favore. Che sciocca non mi ricordavo, quella del manichinoè una taglia quaranta. Se per lei va bene, le farò uno sconto”. “Va bene”. La commessa, piuttosto corpulenta, entrò in vetrina ma inciampò improvvisamente e il manichino cadde precipitando con lei sugli altri capi esposti. “Mi permette di aiutarla?” Propose Bruno alla donna in evidente difficoltà per rialzarsi. “Grazie, guardi che casino ho combinato, sono proprio sbadata…” Si dimenava tra camicie, bluse e pantaloni tenendo il manichino per la testa. Bruno si avvicinò raccogliendo gli indumenti sparsi ai suoi piedi. “Almeno loro non provano dolore quando cadono, non piangono, non ridono, nulla…” Sorrise per sdrammatizzare tenendo una mano sul fianco dolorante
mentre lui guardò gli occhi inespressivi della bambola che sembravano osservarlo. “Me lo può tenere un momento? Grazie”. Gli porse il manichino per uscire dalla confusione di oggetti stringendo in mano la guayabera come un trofeo. “Comunque lei è fortunato perché la camicia è proprio l’ultima rimasta di taglia quaranta; adesso gliela preparo, poi sistemerò tutto con calma”. Lui ne fu felice, pagò e ritirò la busta ringraziando la donna che, sbuffando e imprecando, si rimise al lavoro in vetrina. La sera, in bagno, si aggiustava il colletto della camicia che aveva comprato nel pomeriggio. Allo specchio controllava con cura la piega dei capelli temendo che l’acconciatura non fosse proprio in perfetto ordine. Guardò l'ora; erano le ventitré. Tra poco sarebbe ato Giacomo a prenderlo per andare in discoteca. Bruno si era lasciato con Anna dopo quattro anni di fidanzamento. Lei lo tradiva da qualche tempo con un collega di lavoro, finché un giorno ha deciso di piantarlo in asso accusandolo di essere un immaturo incapace di decidere per il futuro. Lui non sapeva di essere tradito, ma il sempre minor interesse di lei aveva pian piano spento le ioni, perciò non soffrì molto per l’abbandono.Ormai il ricordo di Anna gli era indifferente. Con il suo amico Giacomo, che aveva trentadue anni come lui, aveva ricominciato ad uscire per andare in discoteca. Bruno non le amava particolarmente, ma il sabato non desiderava restarsene da solo in casa, e allora non mancava mai all'appuntamento. Frequentavano spesso una discoteca vicina all'uscita dell'autostrada. Giacomo e Bruno avevano conosciuto alcune ragazze in quei mesi, senza sviluppi sentimentali. Bruno si stava dando gli ultimi ritocchi, quando Giacomo suonò il camlo; indossò in fretta la giacca e scese. Egli lo attendeva a bordo della sua auto di grossa cilindrata, con lo stereo e il cruscotto illuminato come la consolle di un aereo. “ Ciao”. Salutò Bruno infilandosi rapidamente nell’auto per il freddo pungente. “ Ciao”. Rispose Giacomo, vestito elegantemente di scuro.
Si scambiarono soltanto poche parole mentre viaggiavano spediti in autostrada. Dopo circa un'ora raggiunsero la meta. Il parcheggio era già pieno d’auto e la discoteca sembrava destinata ad essere molto affollata quella sera. Si avviarono frettolosamente all'ingresso. Giacomo si guardava in giro compiaciuto. “Questa sera mi sa che è quella giusta”. Ammiccò alle avvenenti ragazze che li attorniavano. Bruno sorrideva a denti stretti. Faceva freddo e poi non si trovava completamente a proprio agio negli ambienti affollati. Giacomo salutò alcune ragazze che conoscevano; Bruno rivolse il saluto con distacco. Entrarono; la musica era ad alto volume. La sala era molto gremita e faticarono ad entrare. “Hai visto? Ci sono un sacco di ragazze nuove in giro!” Esclamò Giacomo elettrizzato. La pista da ballo era piena di gente ed era difficile ballare. Bruno incrociava gli sguardi delle ragazze senza particolare interesse. Si era perso subito di vista con Giacomo e vagava distrattamente senza meta. Al bancone del bar ordinò un drink soprattutto per ammazzare il tempo. Sorseggiava lentamente la bevanda colorata guardandosi intorno. Non vedeva più Giacomo e non scorgeva una sola faccia conosciuta sentendosi perso in un mare ignoto. Sembrava che fossero andati in un locale diverso dal solito quella sera e si percepiva come un estraneo. Terminò di bere indugiando; non aveva molta voglia di continuare a girare a vuoto per la discoteca. Faceva molto caldo e le ragazze ormai ballavano con camicette leggere precedentemente occultate sotto maglioni e cappotti. C'erano sempre più giovani che spingevano per avvicinarsi al bancone del bar e non poteva restarsene a lungo seduto in quel luogo perciò, controvoglia, si alzò. All'improvviso si sentì spingere fortemente, rischiando di perdere l’equilibrio. Si voltò di scatto e fu investito in volto da una nuvola di capelli ed un profumo intenso. Restò interdetto per alcuni istanti. “Scusami; non l'ho fatto apposta... qualcuno mi ha spinta…questi deficienti!”
Bruno osservò la ragazza di fronte a sé. Era magra, bionda, molto bella, e indossava un abito azzurro di foggia orientale. Lei sorrise: “Tutto ok? Spero che non ti abbia fatto male cadendoti addosso. Scusami ma devo correre a lavorare”. Bruno restò attratto dalla sua bellezza. Faticò alcuni istanti per realizzare che era una cubista che lavorava in quel locale e accennò un timido sorriso. La ragazza sorrise di nuovo e se ne andò in fretta. Lui la seguì con lo sguardo, con le persone che lo spingevano per avvicinarsi al bar. “Che fai costì impalato?” La voce di Giacomo lo ridestò. “Che cosa staviscrutando? Eh!” Bruno lo guardò sorridendo. “Ho avuto un piacevole contatto fisico giusto poco fa…”. “Che cosa?” Giacomo lo osservò sconcertato. “ Dai, non quello che pensi tu... lei mi è caduta semplicemente addosso. Una bellissima bionda: quella là! Guarda!” Bruno indicò la cubista che stava ballando su un palchetto in mezzo alla pista. “E’ una nuova…non l’ho mai vista prima. A vederla sembra una dell’Europa dell’est”. Concluse Giacomo. “Non lo so. Dall’ accento però non mi sembrava slava”. “Bruno, vieni. C'è Lucia di là con un paio d’amiche che vuol presentarci”. Bruno seguì Giacomo senza perdere d’occhio neppure un istante la cubista che ballava in modo magnifico con il suo corpo perfetto e ben allenato. Bruno salutò Lucia, una collega di lavoro di Giacomo che frequentava spesso la
discoteca. Accanto a lei sedevano un paio di ragazze con lo sguardo un po’ smarrito. Lucia fece le presentazioni poi si sedettero, ma nessuno aveva idea di come cominciare la conversazione. Giacomo parlava con Lucia mentre le due ragazze parlavano tra loro. Bruno si sentiva isolato e continuava ad ammirare la cubista in mezzo ai giovani che ballavano. Le due ragazze si alzarono e andarono a ballare mentre Lucia e Giacomo conversavano fittamente dei problemi del loro ufficio. Una delle due guardò con un po’ di stizza Bruno perché non l’aveva invitata a ballare. “Chissà perché quel bel moro non ci invita a ballare o a bere qualcosa. Sembra che non gli piacciano le donne, eppure è un bel ragazzo”. Ironizzò con l’amica. “Con la voglia che ho stasera non immagini cosa ci farei con uno così. Hai visto che occhi verdi che ha?” Ribatté l’altra sussurrandole in un orecchio. Bruno si alzò invece con l’intenzione di fare un giro. Si fermò accanto ad una colonna in un angolo buio della sala. Da lì poteva ammirare la cubista a poca distanza. Tirò fuori il telefonino di tasca e la filmò, per pochi istanti, mentre ballava. Quando chiuse il telefono, lei si voltò verso di lui ed ebbe la sensazione che lo stesse osservando. Non gli sembrava possibile che avesse notato la sua presenza mentre la riprendeva con il telefonino, però guardava in quella direzione con espressione seria. Bruno si nascose allora dietro la colonna e poi si diresse in bagno. “Bruno che facciamo? Torniamo a casa?” Chiese Giacomo dopo averlo cercato in tutta la discoteca. Bruno istintivamente guardò l'orologio, segnava le 3.30. Il tempo era trascorso senza che lui se n’accorgesse e il locale ormai si stava svuotando. Bruno era stato seduto tutto il tempo da solo su una poltroncina in un angolo semibuio. “Caspita com’è tardi! Scusami ma non me ne sono accorto”. Esclamò. Giacomo gli fece cenno di andare. In auto Giacomo cercò di interrogare Bruno su che impressione gli avevano fatto le amiche di Lucia.
Bruno rispondeva vagamente mentre Giacomo sosteneva che le ragazze erano due tipe poco simpatiche. Davanti a casa di Bruno, si salutarono e si dettero appuntamento per i giorni successivi. Bruno andò a letto subito perché era molto stanco. Quando si svegliò era già ato mezzogiorno. Scrutò pigramente l'orologio. Aveva ancora sonno, ma era già tempo di alzarsi perché si stava avvicinando l’ora di pranzo. Andò a farsi una doccia. Si stavaasciugando ancora con l'accappatoio, quando rientrò in camera sua e accese il telefonino. Si ricordò del video girato in discoteca e ebbe il desiderio di guardarlo. Sul display apparvero le immagini della ragazza bionda che ballava. Vide lei che girava la testa e dirigeva lo sguardo verso di lui. Gli sembrò di notare una luce singolare nei suoi occhi, mentre il breve filmato s’interrompeva. Nei giorni successivi, Bruno riguardò spesso quel video. La ragazza lo affascinava in modo particolare e desiderava rivederla. Giacomo gli telefonò, come al solito, il venerdì mattina in ufficio. Egli era sempre eccitato quando sentiva l’approssimarsi del fine settimana. “i a prendermi tu domani sera?” Il tono di Giacomo era ansioso. “ Ok, va bene”. Annuì Bruno, questa volta impaziente anche lui di tornare in discoteca. Il sabato sera Bruno ò a prendere Giacomo. Erano entrambi elegantissimi ed in splendida forma. “Ti dispiace se iamo a prendere Lucia?” Giacomo fremeva per una risposta positiva. Bruno annuì un po' seccato e in pochi minuti giunsero davanti alla casa di lei. Giacomo la chiamò con il cellulare e lei scese in compagnia una delle due ragazze del sabato precedente. Si scambiarono un breve saluto ma Bruno era piuttosto teso. Lucia ed Antonella erano vestite in modo un po’ volgare e truccate pesantemente. Quella sera faceva di nuovo freddo,quando arrivarono in discoteca, e scesero dall'auto di corsa per raggiungere in fretta l'ingresso. Il locale era però meno affollato del sabato precedente.
Pagarono i biglietti e entrarono. Giacomo e Lucia parlavano fra loro mentre Antonella studiava Bruno attendendo che incominciasse una conversazione con lei, ma Bruno era assorto in altri pensieri. Cercava insistentemente con gli occhi la bionda cubista e la presenza di Antonella quasi lo infastidiva. Non c'era molta gente a ballare in pista e la ragazza non era ancora arrivata. Giacomo cercò un tavolo tranquillo per stare seduti e bere qualcosa. Le ragazze lo seguirono; Lucia in modo spontaneo, Antonella un po’ imbarazzata ed incerta. Bruno restò volutamente indietro e cercò di separarsi dal gruppo per restare da solo vicino al bancone del bar. Si guardava intorno notando un capannello di giovani a poca distanza. C'era senz'altro qualcuno al centro del gruppo che catturava l’attenzione e si avvicinò. Quattro o cinque giovani, alti, molto eleganti, e di bell’aspetto, circondavano la bionda ballerina. Bruno ebbe un sussulto. “Sì, sono brasiliana, bravo! Hai indovinato!” Era a proprio agio attorniata dai ragazzi. “Di quale città sei? Di Rio de Janeiro?” Chiese con voce melliflua uno di loro. “No, non sono carioca, vengo da una città poco conosciuta del Brasile... ”. Bruno non riusciva a udire bene e non capiva tutto quello che lei diceva; non poteva avvicinarsi di più perché gli altri glielo impedivano. Tutti cercavano di farle domande sulla sua vita privata. Erano soprattutto curiosi di sapere se era sentimentalmente libera, ma lei rispondeva in modo evasivo. “Come ti chiami?” Si fece avanti il ragazzo più alto e più bello del gruppo. “Almeno questo potrai dircelo”. “Mi chiamo Ana Paula. Ora mi dispiace ragazzi, siete tutti molto carini e gentili ma devo lavorare”. I ragazzi la salutarono facendole molti complimenti per la sua bellezza ed aprirono un varco per aprirle il aggio, proprio davanti a Bruno. La vide vestita con un seducente completino di pelle nera. Bruno le sorriseconvinto che l'avesse subito riconosciuto. Incrociarono i loro occhi per un istante,ma lei invece restò seria, quasi indifferente, e ò oltre.
Bruno si sentì frustrato. Dopo aver dispensato generosamente sorrisi agli altri, poteva regalarne almeno uno anche a lui invece di restarsene così fredda. Ordinò rassegnato un drink al bar e cercò la compagnia dei suoi amici. Trovò Giacomo da solo perché Lucia ed Antonella erano in pista a ballare. Vide che Ana Paula era salita sul suo palchetto e stava ballando. “Chene pensi di Antonella? Ti sei accorto di come ti divorava con gli occhi?” Lo interrogò Giacomo. Bruno lo guardò smarrito ed impiegò alcuni istanti per comprendere di chi stesse parlando. “Mi stava divorando con gli occhi? Ma che cosa stai dicendo?” “Non fingere di non capire, dai... “. Sorrise. Il volto di bruno produsse una smorfia d’irritazione. “Però ho notato invece come ti guardava Lucia …” Giacomo si fece serio. “Credo che stia nascendo qualcosa tra noi... “. Ammise a bassa voce. “Dovresti essere felice per questo... “.Bruno lo incoraggiò e Giacomo accennò un timido sorriso. “Che c'è di male dai”. “Niente, niente... ”. Il viso di Giacomo era rosso fuoco mentre Bruno parlava con lui senza perdere di vista Ana Paula neppure per un istante. “Stai sempre a guardare la cubista? Quella non è mica roba per te!” “Fatti i cazzi suoi!” “Come sei nervoso!” “Scusami, ma stasera sono un po’ stanco. Ho avuto una settimana stressante”.
Lucia ed Antonella in quel momento tornarono a sedere, accaldate e rosse in volto. Giacomo e Lucia si scambiarono uno sguardo complice. Entrambi bramavano di baciarsi, ma non volevano scoprirsi davanti ai loro amici. Antonella rivolse un rapido sorriso a Bruno che lui ricambiò soltanto per educazione. Giacomo e Lucia parlavano tra loro mentre Bruno ed Antonella se ne stavano in silenzio. Bruno guardava Ana Paula e sognava ad occhi aperti. Era completamente sedotto dal suo corpo e dal suo viso. Lei ballava con movimenti coordinati e sinuosi sembrando spinta da un’energia inarrestabile. “Andiamo Bruno, si è fatto tardi e Lucia vorrebbe tornare a casa... “. Giacomo era rosso in volto e si rivolse all'amico mettendogli una mano sulla spalla come per catturare la sua complicità. Bruno lo scrutò e guardò Lucia, rossa in volto come Giacomo. Acconsentì e si alzarono. Antonella, invece, aveva la faccia stanca ed annoiata e non vedeva l’ora di andare. Accompagnò Giacomo a casa; Lucia scese dall'auto con lui. Poi condusse a casa Antonella che lo salutò frettolosamente. Per alcune settimane Bruno continuò a tornare in discoteca, spesso da solo perché Giacomo e Lucia non uscivano quasi più il sabato perché preferivano trascorrerlo da soli in intimità e Antonella non si fece mai più vedere. Lui cercava sempre di parlare con Ana Paula, ma senza successo. Lei spuntava all’improvviso in sala senza che Bruno riuscisse a capireda che parte entrasse. Provò anche a ballare da solo sotto il suo palchetto, ma lei non lo degnava di uno sguardo. Una notte attese, infreddolito, fino all'alba all’uscita del locale, ma non la scorse. Si ricordò che la discoteca era molto grande e disponeva di alloggi per il personale; probabilmente lei dormiva lì.
Bruno si sentiva sempre più solo mentre le festività natalizie si stavano approssimando. Giacomo e Lucia ormai si erano fidanzati e non aveva altri amici con cui uscire. Una domenica pomeriggio eggiava nella città affollata per gli acquisti del periodo natalizio. Non amava le festività di fine anno e provava noia e malinconia. Osservava le persone coinvolte dalla frenesia consumistica, mentre lui sbirciava distrattamente le vetrine scintillanti senza alcuninteresse. ò davanti ad un negozio dando una rapida occhiata: era un negozio d’articoli per bambini.Alzò lo sguardo e notò che era pieno di gente, con i commessi impegnatissimi a servire i numerosi clienti, quasi tutti giovani coppie. Si accorse di una ragazza bionda, con gli occhiali scuri ed un cappellino nero. La riconobbe subito e quasi non credeva ai propri occhi: era Ana Paula. Stava pagando alla cassa ed un commesso la aiutava a imbustare i suoi acquisti per snellire la fila. Bruno ebbe un sussulto di sorpresa. Lei pagò il conto ed uscì e lui le si piantò subito davanti: “Ciao Ana Paula!” Salutò con un sorriso e le vene del collo che gli pulsavano per l’eccitazione. Lei alzò lo sguardo e si tolse gli occhiali scuri. “Ciao come stai?” Ricambiò sorridendo come se incontrasse un conoscente di vecchia data. Bruno ebbe la sensazione che lo avesse riconosciuto subito tuttavia era sorpreso che si ricordasse di lui. In un istante scomparve l’apparente freddezza di lei e Bruno si sentì subito a proprio agio. “Sto bene e tu? Quindi ti ricordi di me? “ Interpellò trepidante. “Certo che mi ricordo di te. Ti vedo spesso il sabato in discoteca”. Lui ebbe un momento d’esitazione. Non comprendeva perché si mostrasse così fredda e distaccata in discotecacredendo che le avessero forse proibito troppe confidenze con la clientela. “Hai fatto un po' di shopping?” Alluse alle borse che teneva in mano.
“Sì, ho comprato un po’ di regali da spedire in Brasile per Natale. Tu non hai comprato ancora nulla?” “Io?. .. Ancora no... sono indeciso su cosa comprare... “. Mentì impacciato, nascondendo le mani vuote dietro la schiena. Capì che lei aveva voglia di parlare. “Posso invitarti a bere qualcosa? “ “Volentieri... ma non conosco ancora il tuo nome... “. “Ah! Hai ragione … scusami... Bruno... mi chiamo Bruno... “. “Piacere Ana Paula; ma il mio nome lo conosci già”. Bruno sorrise: “Piacere mio”. Si ricordò che, nelle vicinanze, c'era un caffè carino dove poter stare seduti al tavolo. “Andiamo da questa parte”. Bruno le indicò la strada. Ana Paula tremava un po’. “Fa freddo, vero? Come fate voi brasiliani ad abituarvi al nostro clima?” “Chi ti ha detto che ci si abitua? Non mi ci sono mai abituata... “. Bruno sorrise. Entrarono nel caffè. C'erano pochi avventori e scelse un tavolo nella saletta quasi deserta. “Sei mai stato in Brasile?” Fu Ana Paula a iniziare la conversazione. “No mai, non sono mai stato in Sud America ma mi piacerebbe molto visitarlo“. “E’ un paese bellissimo sai; ci potresti andare a febbraio per il carnevale... ”. Bruno conosceva il carnevale di Rio solo dalle immagini TV.
“Tu dove abiti ora?” Osservò che lei esitava a rispondere. “Vicino alla discoteca con un’amica”. La sua risposta fu evasiva. “Posso domandarti da quale città del Brasile provieni?” Bruno si ricordò di quella domanda che le avevano già fatto in discoteca cui lei non aveva risposto. “Certo, ma non credo che la conoscerai perché è una città poco nota. Si chiama Juiz de Fora e si trova nello stato del Minas Gerais”. Bruno non aveva mai sentito quel nome e non aveva neppure idea dove fosse il Minas Gerais. “E’ più vicina a Rio de Janeiro che a BeloHorizonte, la capitale, però ormai da qualche anno vivo in Italia... ”. Precisò notando che erano nomi a lui sconosciuti. “Sei libera sentimentalmente?” “Adesso sì... e tu?” “Da qualche mese sono libero anch'io. Mi sono lasciato con la fidanzata”. Il suo volto si velò di malinconia mentre il cameriere venne a prendere le ordinazioni. “Il tuo ex era di queste parti?” “No, di Roma. Abitavo a Roma, poi ci siamo lasciati e ho trovato lavoro qui”. “Sei stupenda quando balli, non smetto mai di guardarti... ”. “Grazie, sei gentile. Mi piace molto ballare. Sai, in Brasile, ho frequentato l’accademia di danza”. “Si vede che ci sai fare. Sei bravissima”. “Il ballo è la mia vita ma Aldo non mi portava mai in discoteca”. “No? E perché’?” Bruno era stupito. “Era troppo geloso di me”.
“Beh! Posso capirlo... ”.Sussurrò a mezza voce con un pizzico d’invidia. Ana Paula arrossì per il complimento con un mezzo sorriso. Sorseggiò il caffè che avevano appena servito. “E’ un piacere parlare con te ma si è fatto tardi e adesso devo andare”. Si scusò lei guardando un minuscolo orologio da polso. Istintivamente anche Bruno guardò il suo. “Posso avere il tuo numero di telefono? Mi piacerebbe incontrarti di nuovo”. Chiese con una certa ansia lui. “Certo. Voglio anch’io il tuo. Farebbe piacere anche a me e ti ringrazio per l'invito. Sei molto carino”. Si scambiarono i numeri di telefono. Uscirono dal locale. Lei lo baciò sulla guancia congedandosi e scomparve rapidamente. Bruno era soddisfatto e abbastanza convinto che l'avrebbe rivista presto. Nei giorni seguenti Bruno non pensò ad altro. Era realmente affascinato da Ana Paula, tuttavia si astenne da telefonarle per un paio di giorni per non apparire troppo invadente. Una sera provò a chiamarla restando deluso perché il suo telefono era spento. Provò ad inviarle un SMS per invitarla a cena fuori. Il pomeriggio del giorno seguente Ana Paula rispose scrivendo che doveva lavorare tutte le sere e che avrebbe potuto accettare l’invito soltanto per il lunedì seguente. Scrisse pure che l'avrebbe salutato volentieri in discoteca il sabato. Bruno rispose che non avrebbe mancato l’appuntamento. Il venerdì Bruno telefonò a Giacomo. “No, Bruno, mi dispiace. Non possiamo venire in discoteca sabato perché Lucia ed io andiamo a cena fuori, magari un’altra sera volentieri”. Si scusò Giacomo con voce impacciata. Bruno non si perdette d’animo e decise di andare da solo in discoteca. Il sabato sera si preparò con cura scegliendo i suoi abiti migliori e partì. In auto
viaggiò con la musica ad alto volume e raggiunse rapidamente la discoteca. Quella sera c'era di nuovo molta gente. Entrò ed attese che lei uscisse dalla porta accanto al bar. Si accorse, dal consueto capannello di persone, che Ana Paula era già presente in sala a parlare con alcuni ragazzi. Cercò di avvicinarsi, ma nuovamente non ci riuscì. Ana Paula era circondata da una dozzina di giovani. Vedeva la sua testa bionda e udiva soltanto le banalità dei ragazzi che le si erano assiepati intorno. Provò una certa frustrazione. Ana Paula doveva andare a lavorare e si fece largo tra i giovani. Una volta uscita dal capannello, lui si parò subito davanti. “Ciao Ana Paula!” Lei lo osservò e, per un momento, parve di nuovo non riconoscerlo e lui ebbe un attimo di sgomento. “Ciao Bruno”. Salutò lei, aggrottando le sopracciglia. Bruno indugiò per un istante. Lei sorrise dandogli una carezza, poi ò subito oltre. Ana Paula era abbigliata da danzatrice araba, con un vestito azzurro di veli e frange. Indossava al collo e ai polsi numerose collanine e braccialetti. Bruno avrebbe voluto parlarle ed era irritato, ma pensò che lei dovesse affrettarsi a lavorare e non avesse tempo, perciò si rassegnò. Si sentiva solo nella discoteca piena di gente mentre si avvicinava alla colonna dove aveva girato di nascosto il video e si mise ad osservarla danzare. Lei ballava con movimenti morbidi del corpo e sembrava davvero un’autentica ballerina araba. Solo la musica occidentale rappresentava una nota stonata. Di tanto in tanto lei si voltava verso di lui e pareva fissarlo negli occhi. Bruno non capiva come lei potesse individuarlo a quella distanza e pensò che si trattasse soltanto di una sua impressione.Gli occhi di Ana Paula assumevano uno sguardo strano che Bruno non riusciva a decifrare ma non ebbe più la possibilità di avvicinarla né, tanto meno, di parlarle. Dopo un paio d'ore era stanco e se ne tornò a casa. Bruno si svegliò faticando ad aprire gli occhi e sentiva le membra fiacche e pesanti. Ebbe bisogno di alcuni minuti per potersi muovere. Infine si alzò, accese
il telefonino e arrivò subito un messaggio d’Ana Paula: “Scusami. Non potevo parlare con te ieri sera ma ho voglia di vederti”. Bruno sorrise soddisfatto e rasserenato. Non provò a chiamarla perché sapeva che a quell’oral’avrebbe sicuramente svegliata. Rispose al suo messaggio invitandola a cena per l'indomani, lunedì. La sera Ana Paula scrisse un SMS in cui era felice di incontrarlo e Bruno le dette appuntamento davanti al caffè dove si erano intrattenuti a conversazione. Il lunedì non pensò ad altro che incontrare lei. Uscì dall'ufficio di corsa per andare a casa a prepararsi e si sentiva eccitato e felice. Verso le otto si recò al luogo convenuto. Era nervoso e si guardava in giro. Ana Paula giunse puntuale. Era vestita di nero, con pantaloni e giacca di pelle. “Ciao”. “Ciao”. Si scambiarono il saluto baciandosi sulla guancia. Bruno sentì subito il suo profumo mentre lei sorrideva felice. “Come stai?” Chiese lui. “Bene grazie. Oggi ne ho approfittato per riposare e ho dormito fino al pomeriggio”. Bruno aveva già prenotato un tavolo in un piccolo ristorante appena fuori città. Si scambiarono alcuni convenevoli e, dopo pochi minuti d’auto, giunsero al ristorante. C'erano soltanto pochi avventori e si sedettero ad un tavolo in un angolo tranquillo. Parlavano e sorridevano quando il sorriso d’Ana Paula si spense improvvisamente assumendo un’espressione cupa. Bruno notò i suoi occhi sgranati che fissavano nella sua direzione. Bruno le chiese se c'era qualcosa che non andasse ma lei gettava lo sguardo apparentemente nel vuoto.
Bruno ebbe una sensazione di smarrimento, per alcuni istanti, finché non la vide sciogliersi di nuovo in un sorriso. “Quanto sei bella! Fatti vedere... ”. Bruno si voltò e vide alle sue spalle una giovane mamma che teneva in braccio una bimba di circa due anni; comprese la situazione, sorrise e si rilassò. La bambina aveva il capello ricciolo e nero ed il volto imbronciato. La madre la coccolava nell'intento di tranquillizzarla. Ana Paula si prodigava in complimenti e la giovane donna, compiaciuta, affermava che la bambina aveva sonno e che presto l’avrebbe portata a letto. “Hai visto che bella bambina?” Ana Paula ritornò con lo sguardo di nuovo su Bruno. “Sì, davvero bella. Ho notato che ti piaceva molto perché mi sembrava che la volessi quasi mangiare con gli occhi... ”. “Somiglia molto a Adriana, quando era piccola... ”. “Chi è Adriana? “ “Mia figlia... già... non ti ho ancora detto che ho una figlia... ”. “No. Non abbiamo ancora iniziato a raccontarci le nostre vite... ”. “E’ vero, anche se il ato ormai è ato... comunque ho una figlia di 8 anni”. Bruno era un po' sorpreso. “E non vive con te?” Lei fece una smorfia. “No, vive a Juiz de Fora con la mia famiglia... l'ho avuta quando vivevo con suo padre... ”. “Ti manca molto? “
“Sì; la amo anche se ormai appartiene più a mia madre che a me. E’ mia madre che si occupa di lei... ”. Bruno ascoltava perplesso le sue parole. “Ma non mi va di parlare del ato. Voglio vivere e pensare al futuro!” Cambiò il tono di voce. “desso che mi sono lasciata con Aldo, mi sento finalmente libera... ”. “Aldo era il tuo fidanzato?” “No, mio marito... il mio ex marito... ”. Bruno era curioso di conoscere tutto di lei, ma non voleva seccarla con troppe domande. Lei invece aveva voglia di parlare. “Con Aldo ero sposata sì, ma non ufficialmente. Ci siamo sposati soltanto in chiesa a Juiz de Fora, ma il matrimonio non è mai stato trascritto in Italia. Mi ha pure ingannata perché non sapevo che lui fosse precedentemente sposato con un'altra donna con cui ha avuto un figlio. L’ha abbandonata per un po’ di tempo e si è sposato con me in Brasile. Ora è tornato da lei ed io non avevo altra scelta che lasciarlo. Potrei denunciarlo per bigamia, ma c’è un bambino di mezzo e non voglio fargli del male... ”. Bruno ascoltava esterrefatto ed aveva l’impressione che lei raccontasse la sua vita come se non le appartenesse. “Sei meravigliato? “ Sorseggiò un bicchiere di vino. “E’ una storia non proprio comune. Non mi capita spesso di udire simili vicende... ”. “Raccontami di te... vivi ancora con i tuoi?” “No, vivo da solo. Convivevo con la mia ragazza fino a pochi mesi fa. Ora ci siamo lasciati... “.
Bruno non riusciva a nascondere la malinconia. “Ora dobbiamo vivere, Bruno, non pensiamo più al ato e guardiamo al futuro... ”. Ana Paula gli porse un bicchiere per un brindisi: “A noi due”. Lui brindò controvoglia e con un certo scetticismo. “Sei una ragazza allegra tu... ”. “Sono così, sono brasiliana. Tu mi piaci, sei molto bello”. “Grazie; tu sei bellissima”. Bruno provava un forte desiderio fisico di lei. Ormai stavano terminando di cenare e Bruno voleva invitarla a casa sua. “Vuoi venire da me? Stiamo un po’ insieme e beviamo qualcosa... ”. “Sì volentieri”. Accettò senza esitazione. Bruno pagò il conto ed uscirono. Cadeva un leggero nevischio efaceva molto freddo. Ana Paula si strinse a Bruno e lui avvertì l'intenso profumo di lei. Bruno viveva in un bilocale di un vecchio edificio del centro. Entrarono. Lui l'aiutò a togliersi il cappotto. Era infreddolita e le offrì una tisana calda che gradì subito. “Che appartamento carino”.Si complimentò mentre sorseggiava la bevanda bollente dalla tazza. “Sì, mi trovo bene qui…”. Bruno era un po’ confuso dalla presenza di Ana Paula in casa sua e non trovava le parole giuste. “Hoje eu sei, eu te amei No vento de um temporal Mas fui mais, muito alem
Do tempo de um vendaval Nos desejos, num beijo Que en jamais provei igual E as estrellas dão um sinal… ” Cantava Ana Paula con una splendida voce. Il suo volto aveva ripreso un po’ di colore e non aveva più freddo. “Ti piace Ivete Sangalo? La famosa cantante baiana?” “Sinceramente non la conosco. Lo sai che non sono mai stato in Brasile…”. Ana Paula sorrise avvicinandosi a lui. Gli cinse le braccia ai fianchi mentre lo guardava negli occhi. Bruno con la mano destra schiacciò il tasto dell'impianto stereo accanto a lui e la casa fu invasa di musica da discoteca anni '70. “E a te piace questa musica?” Le sussurrò in un orecchio. “Mi piaci tu…”. La sua voce non aveva tentennamenti. Le loro labbra si avvicinarono sempre più finché non si baciarono. Lui ebbe per un attimo la sensazione che lei non sapesse baciare bene, ma il piacere fu lo stesso molto intenso. Si baciarono per lunghi minuti poi lei accennò qualche o di danza al ritmo di musica. “Adesso è meglio che vada... ”. Ana Paula si staccò da lui. “E dove vuoi andare? Guarda fuori come nevica…”. Bruno le indicò la finestra. Lei fece una smorfia di sorpresa. Stava nevicando intensamente ed i tetti ormai erano coperti da un candido strato di neve. “Che bella la neve…ma come faccio a tornare a casa adesso?”
“Non mi sembra il caso…resta a dormire qui da me, o forse c'è qualcuno che ti aspetta?” Lei sorrise. “Non mi aspetta nessuno... ”. “Allora puoi rimanere. Non ci sono problemi…”. “Ma non ho nulla con me... ”. “Non ti preoccupare”. Bruno frugò in un cassetto tirando fuori uno dei suoi pigiami di lana. “ Ti starà un po’ largo e non sarà il massimo dell’eleganza ma per una notte …”. Lei sorrise. “E dove dormo? Sul divano?” Bruno fece cenno di no con la testa. Le prese la mano e la trascinò con sé nella camera da letto. “Questo letto è abbastanza grande da starci comodamente in due…”. Lei lo baciò sulle labbra. “Non posso fare l'amore con te. Ho le mestruazioni”. Gli sussurrò in un orecchio con espressione seria e lesse il disappunto sul volto di Bruno che scrollò le spalle rassegnato. “Pazienza…dove vuoi andare ormai con questa neve?Poi è tardi. Dormi qui e domani tornerai a casa con calma…”. Ana Paulacomprese che non le restava altra scelta. “Okay”. Lui le cercò uno spazzolino da denti ed un asciugamano mentre lei si spogliava per indossare il pigiama. Aveva un corpo stupendo. I suoi seni erano rotondi, ma di una rotondità innaturale che lui immaginò frutto di un intervento di chirurgia estetica. Notò il piercing a forma di scarabeo sull'ombelico ed una piccola
farfalla tatuata su una natica.Il pigiama le stava largo e le maniche erano troppo lunghe. Sorrise guardandosi. Si spogliò anche lui. Lei lo guardava intensamente. “Mi piaci molto”. Gli sussurrò accarezzandogli il petto. Lui le fece cenno di entrare nel letto. Si sdraiarono. Bruno spense la luce e l'abbracciò sotto le coperte. Ana Paula posò la testa sul suo petto e, al calore del corpo di lui, si addormentò subito. La sveglia suonò puntuale alle sette e trenta. Bruno aprì gli occhi e vide i capelli biondi di lei sul suo petto. Stava ancora dormendo profondamente e gli dispiaceva svegliarla. Cercò con molta cautela di staccarsi da lei collocandola a dormire in una posizione più comoda. Pian piano le pose il cuscino sotto la testa e riuscì ad alzarsi dal letto. Si vestì ed andò in bagno senza fare rumore. Era ora per lui di andare in ufficio ma Ana Paula dormiva ancora molto profondamente. Guardò dalla finestra; ormai non c'era più neve e stava piovendo. Si era alzato improvvisamente un vento di scirocco che l’aveva spazzata via tutta. Non voleva svegliarla per mandarla fuori con quel brutto tempo. Prese carta e penna e le lasciò un biglietto con sopra scritto che doveva andare a lavorare e si scusava per non poterla salutare. Le scrisse che in frigo avrebbe trovato qualcosa da mangiare e le raccomandò di uscire di casa chiudendo semplicemente la porta dietro di sé. Bruno indossò il giaccone ed uscì. Durante la giornata provò alcune volte a chiamarla al cellulare, ma era sempre spento. Penso che avesse le batterie scariche oppure avesse dimenticato semplicemente di accenderlo. Verso le sei di sera, rientrò in casa con un paio di sacchetti della spesa. In soggiorno c'era la luce accesa. Pensò che Ana Paula avesse dimenticato di spegnerla e notò che il soggiorno era stato rimesso in ordine e si sentiva odore di pulito. Andò in cucina e vide che Ana Paula aveva ripulito tutto e messo a posto le stoviglie con molta cura. Si diresse in camera da letto. Anche lì era tutto pulito e splendente. Sorrise compiaciuto e tornò in cucina per riporre la spesa. Mentre era abbassato per sistemare i cibi nel frigo, una mano toccò i suoi capelli
ed ebbe un sussulto. Si voltò di scatto e vide Ana Paula dietro di lui con indosso un accappatoio ed i capelli bagnati. “Ciao amore!” Lo bacio sulle labbra. “Sei sorpreso di vedermi ancora qui?” “A dire il vero non me l'aspettavo…”. Si riprese dallo stupore. “Più tardi me ne vado perché devo lavorare stasera. Ti dispiace se resto ancora un po’ con te?” “Certo, rimani pure…tutto il tempo che vuoi”. Lei lo baciò e si lasciò baciare mentre Bruno le accarezzava i capelli umidi e la baciava sulle labbra e sul collo. Lei lasciò cadere l'accappatoio e si lasciò baciare i seni con i capezzoli turgidi. “Le mestruazioni sono finite…”. Gli sussurrò in un orecchio. Lui la afferrò per mano e la portò in camera da letto. Erano entrambi accesi dal desiderio e fecero l’amore. Ana Paula era in bagno e si pettinava i capelli in fretta perché non le restava molto tempo a disposizione. Nel bagno di un uomo non trovava quasi nulla di ciò che serve ad una donna per farsi bella. Si sentì perciò quasi costretta a are velocemente da casa sua, dove avrebbe trovato tutto l'occorrente, per poi andare a lavorare. Bruno, seminudo, la osservava. “Hai bisogno di venire qua?” Chiese lei. “No, fai pure con comodo…stavo soltanto osservando quanto sei bella”. Lei si voltò compiaciuta baciandolo fugacemente sulle labbra. “Bruno, mi dispiace ma adesso devo proprio andare, altrimenti faccio tardi”. Ana Paula prese le sue cose e corse a prendere il cappotto.
Lui la fermò per un istante. “Voglio rivederti presto”. “Anch'io voglio. E stato bellissimo”. Si baciarono. Lui aprì la porta e lei uscì quasi correndo. Continuarono a frequentarsi soprattutto il lunedì, quando Ana Paula aveva il giorno di riposo.Il sabato lui era sempre in discoteca ad ammirarla mentre ballava e talvolta c’erano pure Giacomo e Lucia Fare l'amore con Ana Paula era per Bruno qualcosa di straordinario. Con lei l'intesa sessuale era davvero eccezionale e per lui rappresentava una grande conquista. Mancavano pochi giorni a Natale e, una sera, Ana Paula lo chiamò al telefono per annunciargli che la discoteca sarebbe stata chiusa alcuni giorni fino a capodanno e che avrebbe avuto desiderio di trascorrere le feste insieme a lui. Bruno fu molto felice e la invitò a casa sua. La vigilia di Natale Ana Paula giunse a casa di Bruno con una borsa pesante piena d’effetti personali. “Ciao amore... tu non hai idea di quante cose si deve portare dietro una donna…”. Lasciò cadere a terra il pesante bagaglio. Bruno la baciò e raccolse la borsa da terra per collocarla nella stanza da letto. Ana Paula fece un rapido giro della casa. “Non hai fatto l'albero di Natale? Non c'è neppure un addobbo natalizio in casa tua”. Notò con un tono di mestizia. “No, non faccio mai l'albero di Natale. Non mi piace; così come non mi piace il Natale... ”. “Non ti piace il Natale?” La sua voce non tratteneva una certa delusione. “Maè
una festa bellissima. Forse perché tu non hai bambini... ”. Abbassò gli occhi abbandonando i pensieri alla figlia. “No, non ne ho... immagino che tu stia pensando alla tua bambina adesso... ”. “Sì, Adriana mi manca molto. Le ho spedito un regalo nei giorni scorsi e spero che sia già arrivato”. Lui notò un certo nervosismo in lei. “Ormai non è più mia figlia; appartiene a mia madre, anche se l'amo tanto…”. “Perché ripeti sempre che appartiene a tua madre?” “Lascia stare. Non mi va di parlarne... spero solo di avere presto un altro figlio, che sia davvero mio, e di crearmiuna famiglia vera…”. “Non capisco … Adriana è tua figlia. Come puoi affermare che non ti appartiene più?” Bruno era inquieto. “Mia madre è una stronza. Mi ha sempre impedito di fare le cose che mi piacevano. A 15 anni lavoravo come valletta in TV e avevo grandi possibilità di intraprendere una carriera d’attrice, ma lei me lo ha impedito. Non ha mai voluto che lavorassi, quando abitavo ancora con loro a Juiz de Fora, perché voleva che dipendessi da lei. Anche Aldo non riusciva a sopportarla. Nessuno la può sopportare. Ora mi ha sottratto anche Adriana”. La sua voce era piena di collera e risentimento. “E tu perché non ti sei ribellata? “ “Ribellarmi? E come? Poi ci ha saputo fare con Adriana, sai. Alla fine lei chiedeva sempre tutto a sua nonna e più nulla a me”. Bruno ebbe il sospetto che Ana Paula non stesse raccontando tutta la verità e che non fosse realmente una buona madre. Non riusciva a credere che una madre si potesse far sottrarre la figlia in modo così apparentemente semplice. Pensava che lei nutrisse solo ambizioni di successo come attrice e sua madre si fosse presa cura della bambina alposto suo.
“A cosa stai pensando adesso?” Il tono di lei era alterato. “A nulla, ti stavo solo ascoltando”... rispose lui con serenità. “Non è vero. Tu stavi pensando male di me. Bruno, tu pensi troppo!” Alzò la voce. “Che ti prende adesso? Non c’è motivo di arrabbiarsi”. “Niente... solo che tu pensi… pensi e basta e non fai mainulla…”. “Che cosa vuoi che faccia? Spiegati meglio…”. “Tu non fai l'albero di Natale. Non vai a messa. Non credi in Dio, non pensi a sposarti, a mettere su una famiglia…”. “Sei molto nervosa; cerca di calmarti. Se ti va di andare a messa ci andiamo più tardi. Non è mica un problema…”. “A messa? No, ho lasciato la religione cattolica…”. “Allora... cosa vuoi fare? L’albero di Natale? Dai vieni; andiamo a preparare la cena che è meglio…”. “Tu pensi solo a mangiare ed a scopare…”. “Ehi! Tranquilla! Vuoi dirmi che ti succede?” Ana Paula era rossa in volto e prossima ad una crisi di pianto. Lo guardava. “Tu Bruno non capisci... non capisci che sono innamorata di te... che voglio creare una famiglia vera con te…”. Bruno trasalì. Non si aspettava una dichiarazione da lei in modo così esplicito. “Ma Ana Paula... c'è tempo per pensare a questo... ci conosciamo soltanto da poche settimane…”. “Ho capito che sei tu l'uomo giusto per me. Io l’ho capito subito…e tu ancora stai a pensare”.
“Perdonami; ho bisogno di un po’ di tempo ancora… tu mi piaci e mi trovo bene con te, ma non correre troppo ti prego... mi occorre ancora un po' di tempo... ”. Lei abbozzò un sorriso, ma lui capì che stava compiendo uno sforzo per sorridere perché non ne aveva in realtà voglia e l’espressione dei suoi occhi era molto seria. Lo accarezzò. “Tu pensi troppo al tuo ato... pensa al futuro... perdonami Bruno. Oggi sono troppo triste e nervosa”. “Perché? Oggi è la vigilia di Natale. Ci sono io qui con te o è la mancanza d’Adriana che ti intristisce?” “No. Non è questo... ”. Bruno vide che aveva le lacrime agli occhi. “Esattamente un anno fa, proprio oggi, è morta mia zia Gabriela... ”. Cercò di trattenere un singhiozzo. “Mi dispiace…”. Sussurrò Bruno, mentre le lacrime le scorrevano sul viso. “Era bellissima sai... aveva 38 anni. Il giorno in cui morì, dopo una lunga malattia, era ancora bella... il male le aveva consumato il corpo ma non lo spirito e da morta aveva un sorriso dolce sul volto. Qualcuno ha sostenuto che quando si nasce piangiamo, mentre tutti gli altri intorno a noi sorridono. E’ bello morire sorridendo, mentre tutti gli altri intorno a noi piangono. Lei è morta così, serenamente e con il sorriso sulle labbra. Era una persona stupenda... non posso fare a meno di pensare a lei oggi... ”. Bruno l’abbracciò e la strinse a sé. Ana Paula singhiozzava. Si staccò da lui dopo aver esaurito le lacrime. “E’ Natale…”. Mormorò riprendendosi lentamente. Prese la borsa ed estrasse un pacchetto. Era un regalo. Bruno da un cassetto tirò fuori un dono per lei.
“Una maglietta! Grazie! “ Gridò Bruno tenendo in mano la maglietta colorata giallo-verde che gli aveva regalato. “Sono davvero stupendi... non dovevi…”. Si girava tra le dita con meraviglia gli orecchini d'argento arabo che le aveva acquistato. Si baciarono. L'indomani Bruno si svegliò tardi. Ana Paula dormiva ancora sul suo petto. La baciò sulla testa prestando attenzione a non svegliarla. Gli piaceva molto sentire il calore del suo corpo, godersi il profumo intenso, ascoltare il suo respiro regolare. Guardò l'orologio: erano quasi le undici. Ripensò alla sera precedente e era turbato. Non gli era piaciuta la sua aggressività; poi pensò che fosse soltanto nervosa per are il Natale così lontano da casa. Però si accorgeva di qualcosa che non andava in lei. Soprattutto gli pesava il rimprovero che gli aveva fatto di non fare nulla e pensare solo a mangiare e scopare. Era rimasto senza parole e non sapeva cos'altro fare per smentirla. Pensò di portarla in giro da qualche parte, di farle conoscere meglio la città ed i bei luoghi che la circondavano, però sapeva che lei aveva sempre poco tempo libero. Dopo pochi minuti lei aprì gli occhi. “Buongiorno amore. Buon Natale... ”. Sussurrò Brunoe Ana Paula aprì lentamente gli occhi stirandosi le membra. “Che ore sono?” Chiese con voce impastata. “Sono quasi le undici e trenta... ”. “Così tardi... è Natale e non siamo neppure andati in chiesa…”. “Se vuoi andare a messa siamo ancora in tempo”. “Sai, non c'è tanto bisogno di andare in chiesa per pregare Dio…”. Si alzò dal letto con movimenti incerti e, incurante della propria nudità, prese la sua borsa e tirò fuori una piccola bibbia. Aprì una pagina dove c’era un segnalibro e cominciò a leggere: “… Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, così che quel giorno possa sorprendervi come un ladro: voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre… “ . Chiuse la bibbia e la ripose accuratamente nella sua borsa.
“Conosci il brano che ho appena letto?” “No”. “E’ la prima lettera dell'apostolo Paolo ai tessalonicesi. È bella vero?” “Sì. E’ un brano molto bello, complimenti. Leggi spesso la bibbia?” Ana Paula sorrise: “Sì, la porto sempre con me come vedi…”. Bruno notò che Ana Paula aveva una medaglietta al collo che gli parve familiare. “Posso vedere la tua collana?” Domandò. “Certo…se vuoi…” rispose lei quasi ricordandosi in quel momento di portarne una e se la tolse. Lui la prese tra le dita e la riconobbe subito: era la medaglia di San Benedetto. “Sei devota a San Benedetto? “ Chiese un po’ sorpreso. “Sì, mi piace molto. È un santo che ammiro…un gran santo”. Rispose lei con convinzione. Bruno conosceva bene quella medaglia perché gliela regalò, da bambino, una simile suo zio, che era sacerdote e missionario proprio in Brasile. Su un lato c'era l'effigie del santo; sull'altro recava impressa una croce ed una serie di lettere apparentemente incomprensibili. “Crux Sancti Patris Benenicti Crux Sacra Sit Mihi Lux Non Draco Sit Mihi Dux Vade Retro Satana Numquam Suade Mibi Vana Sunt Mala Quae Libas
Ipse Venena Bibas “ “Lo sai che cosa significa? “ Bruno aveva letto in latino a bassa voce. Alzando gli occhi si accorse che era pallida, immobile e con lo sguardo terreo. “Che c'è? Cosa hai? Non ti senti bene? “ Domandò preoccupato. “Amore, non fissarmi così... mi metti a disagio…”. Sussurrò con voce tremula ed incerta. “Se ti dà fastidio…ok, non è un problema…”. Bruno voltò lo sguardo in un'altra direzione, ma era un po’ preoccupato. “Grazie. Che cultura grande che hai”. La sua voce aveva ripreso il tono normale. “Però non conosco il latino... che significa?” Ana Paula era ormai incuriosita. Bruno proseguì: “Queste lettere sono le iniziali delle parole latine che ti ho appena letto. Il loro significato in italiano è il seguente: “Croce del Santo Padre Benedetto La Santa Croce sia la mia luce, Non sia il demonio mio condottiero Fatti indietro, Satana Non mi attirare alle vanità, Sono mali le tue bevande Bevi tu stesso il tuo veleno ”. Bruno tradusse tutto di un fiato a testa bassa. Quando la alzò lei non c'era più. Dal bagno sentì scorrere l’acqua della doccia. Trovava insolito che portasse al collo proprio quella medaglia “scaccia-diavoli”. Trascorsero il Natale in casa e, nel tardo pomeriggio, eggiarono brevemente
nella città fredda e deserta. Non si parlarono molto. Solo Ana Paularaccontò un po’ com’èil Natale in Brasile, in piena estate, con il sole ed ituffi in piscina per rinfrescarsi. Il giorno seguente lei andò via. Si ricordò che aveva alcune cose da sistemare e che la sera doveva tornare a lavorare. Bruno era deluso e nello stesso tempo sollevato per non averla più in casa. La percepiva come una presenza piacevole ma anche ingombrante allo stesso tempo. Non capiva, soprattutto, i suoi atteggiamenti aggressivi e i repentini cambiamenti d'umore. Pensò che ciò derivasse dal suo temperamento di donna latina. Fare l'amore con lei era però per Bruno un’esperienza stupenda. Non aveva mai fatto l'amore così bene prima di conoscere Ana Paula e tra loro c'era un'intesa sessuale pressoché perfetta. Nei giorni successivi tentò di telefonarle, ma il suo telefono risultava sempre spento. Due giorni prima di Capodanno chiamò Giacomo. “Ciao Bruno, hai voglia di venire a casa mia a festeggiare il Capodanno?Sempre che tu non abbia altri impegni s’intende... ”. “La voce dell’amico lo rincuorò. Non aveva notizie d’Ana Paula e non gli andava di trascorrere il Capodanno da solo. “Volentieri Giacomo. Mi farebbe davvero piacere”. “Ovviamente c'è anche Lucia... ”. “Non ci sono problemi per me”. “Come va con la brasiliana?” “Va bene…”. Non riuscì a mascherare un certo nervosismo. “Lei a Capodanno lavora…”. “Vuol dire che dopo mezzanotte faremo una capatina in discoteca…”. Giacomo era invece carico di entusiasmo.
Il pomeriggio del 31 dicembre ricevette un SMS da Ana Paula. Gli chiedeva di andare in discoteca quella sera senza aggiungere nient’altro. Provò a telefonarle. Il cellulare era di nuovo staccato. Lui le rispose che ci sarebbe andato dopo mezzanotte con Giacomo e Lucia. Il cenone di Capodanno trascorse nel modo più consueto consumando i piatti a base di lenticchie cucinati da Lucia. A mezzanotte in punto stapparono lo spumante dopo il tradizionale conto alla rovescia. Pochi minuti dopo mezzanotte erano pronti per andare in discoteca. Il locale non era affollatissimo per l'alto costo del biglietto ed era addobbato per le grandi occasioni. Giacomo e Lucia andarono subito in pista ballare mentre Bruno cercò Ana Paula. Non era al suo posto e si diresse verso la porta dei camerini. Attese a lungo, per interminabili minuti. Quella sera c'era una clientela diversa dal solito, composta di persone che abitualmente non frequentano le discoteche. “Buon anno amore…”. Sentì la voce d’Ana Paula alle sue spalle. Si voltò. Era vestita con un abito di lustrini. “Buon anno a te, ” rispose baciandola, “ma dove sei stata in questi giorni? Mi sei mancata…” “Dobbiamo andare in Brasile per carnevale tu ed io!” Gridò con gioia, agitando le braccia, poi lo baciò e gli sussurrò: “ Ti amo! Adesso, però devo andare a lavorare, parliamo dopo…”. Bruno non ebbe tempo di rispondere. Lei era già sul suo palco e si muoveva con maggiore ione del solito. Lucia e Giacomo ballavano, invece Bruno si sentiva solo ed osservava gli altri. Pensò di andarsene. I suoi amici avevano la loro auto mentre luiera venuto con la sua pensando di portare via con sé Ana Paula ma lei era occupata con il lavoro e non sarebbe stata libera fino al mattino. Non gli andava di attendere così lungo così salutò Lucia e Giacomo. “Qualcosa non va? Perché te ne vaicosì presto?” Gli chiese Lucia preoccupataper lui.
“Ho mal di testa”. Mentì e cercò con gli occhi Ana Paula, ma lei ballava come se fosse in stato di trance e non guardava nessuno. Se n’andò senza salutarla. Dormì fino a tarda ora il giorno seguente. In città c'era un silenzio pressoché assoluto. Il pomeriggio si distrasse un po’ leggendo e navigando in internet. Verso le sei del pomeriggio squillò il cellulare: era Ana Paula. “Ciao amore! “ Aveva la voce roca. “Ciao Ana Paula. Posso sapere che ti succede? Non ti fai mai sentire, hai sempre il telefono spento, non vuoi parlare con me…”. “Vengo da te, parliamo e ti spiegherò…”. Riattaccò prima che Bruno potesse rispondere. Dopo un'ora circa sentì suonare il camlo. Lei era sulla porta, vestita sobriamente con jeans e maglione e senza un filo di trucco. Si baciarono. Lei aveva il viso disteso e non sembrava per niente stanca della sera precedente.Persino la voce le era tornata normale. “Perché non mi hai dato notizie di te in questi giorni? Sono stato molto preoccupato”. Ana Paula si sedette sul divano. “La verità è che Aldo mi cercava al telefono ed io non volevo rispondere. Per questo tenevo il cellulare spento”. “Potevi almeno rispondere ai miei SMS... ”. “Amore, lo sai che non so scrivere bene in italiano e poi non mi piace scrivere SMS”. “Stavo in pensiero per te... ”. Ana Paula si alzò e lo abbracciò. “Eu sou o mel que tua boca deseja saborear, ti chiedo perdono…ho voglia di fare l'amore con te adesso…”. Gli sussurrò eccitata.
Entrambi ardevano dal desiderio. Lui la prese sul divano senza neppure spogliarsi completamente e fecero l’amore con impeto. Ana Paula si accarezzava l'addome, mentre giaceva nuda accanto a lui. “Non mi ricordo se ho preso la pillola…”. Bruno ebbe un sussulto; la guardò con il fiato sospeso, ma lei sorrise: “Sì che l'ho presa... non fare quella faccia... ”. “Vuoi farmi paura? “ Bruno tirò un sospiro di sollievo. Lei lo accarezzò con l'altra mano, mentre con la mano destra continuava a toccarsi il ventre ed il seno. “Paura di cosa? E’ bello avere un bambino... I bambini sono la vita. Hai forse paura della vita?” Bruno non sapeva cosa rispondere. “Quando tu senti una vita che si muove dentro il tuo ventre è bellissimo sai…”. Continuava a accarezzarsi l’addome. “Lo porti dentro di te per nove mesi, lo senti muovere, e poi, quando nasce, ti senti libera, svuotata nel corpo e nella mente. Poi cominci a piangere, piangi a dirotto, e non sai perché piangi... un giorno lo proverai anche tu... vedrai come piangerai…”. Bruno scrollò le spalle: “Non piango mai, “ accennò un gesto di stizza ma appoggiò delicatamente, come per istinto, l'orecchio sul suo ventre. “Perché lo fai? Non sono incinta. Perché fai questo? “ Chiese lei stupita. “Non lo so”. Rispose Bruno. “Mi piacerebbe molto fare un altro figlio e farlo con te…”. Bruno la guardò perplesso.
“Non pensi che sia presto per pensare ad un figlio? Ci conosciamo da poco tempo... ”. Balbettò incerto. Ana Paula lo guardava con espressione serena. “Hai ragione... ci conosciamo da poco, ma so che personasei... l'ho capito subito ed è per questo che ti amo tanto…”. Bruno tacque. Lei gli piaceva molto ed era consapevole che rappresentasse la ragazza dei suoi sogni, ma non si sentiva ancora pronto dopo i suoi insuccessi con Anna, e la parola amore gli suonava un po’ stonata. “Perché non mi dici che mi ami? “Ana Paula gli accarezzò i capelli. Bruno scosse la testa. “Perché adesso non saprei cosa risponderti... ”. Fu la sua risposta sincera. “Tu pensi troppo al ato e non guardi al futuro, così non puoi vivere la vita… io invece voglio viverla…”. Ana Paula si alzò in piedi ed andò al centro della stanza davanti a lui. Cominciò a cantare: “... quando toccherai il fondo con le dita A un tratto sentirai la forza della vita Che ti trascinerà con sé Amore non lo sai Vedrai una via d'uscita c'è. Anche quando mangi per dolore E nel silenzio senti il cuore Come un rumore insopportabile E non vuoi più alzarti ed il mondo è irraggiungibile
E anche quando la speranza oramai non basterà. C'è una volontà che questa morte sfida E la nostra dignità è la forza della vita... ”. Ana Paula cantava con una voce magnifica e Bruno la ascoltava affascinato. Terminò di cantare e si avvicinò a lui. “Guarda ancora quanta vita c'è! “ Canto l'ultima strofa della canzone dandogli un buffetto sulla guancia. “Che bella canzone... non l'ho mai sentita…”. Ana Paula lo guardò con biasimo. “Ma come? Non conosci Renato Russo? “ “No, non ne ho mai sentito parlare… “ “Era un famoso cantante brasiliano d’origine italiana. Adesso purtroppo è scomparso, molto amato e popolare... ma ora la cantano altri cantanti…”. Bruno era completamente sedotto da lei. “Dove ha imparato a cantare così bene?” Ana Paula sorrise. “Ho sempre cantato fin da quand’ero bambina”. “Non ha mai pensato a fare carriera come cantante?” Lei si fece improvvisamente scura in volto. “Meglio non parlare di questo! “ Ribatté bruscamente. “Che cosa ho detto di male?” Farfugliò Bruno. “Nulla. Non mi va di parlarne e basta. Tutta colpa di quella deficiente di mia madre…”.
Lui capì che era meglio tacere per non scatenare i rancori sopiti di lei. Ana Paula lo abbracciò e gli posò la testa sul petto. “Bruno sposami, ti prego. Sono libera perché ufficialmente non sono sposata. Il mio matrimonio con Aldo non esiste; non è registrato… “. Lui la accarezzava sempre più confuso. “E sono... sono molto innamorata di te... ”. Bruno non riusciva a trovare le parole adatte. “Dammi ancora un po' di tempo per favore... ”. Lei alzò la testa; lo guardò dritto negli occhi. “Voglio andare in Brasile per carnevale. Desidero andarci con te; voglio farti conoscere la mia famiglia”. Bruno era desideroso ed incuriosito di andare in Brasile. Non aveva mai fatto un viaggio oltre oceano e, negli ultimi anni, aveva viaggiato poco perché Anna aveva paura dell’aereo e non le piaceva viaggiare in generale. “In Brasile?” Sorrideva rosso in volto”. Non ci sono mai stato...non ho mai fatto viaggi così lunghi… “. “Dai andiamo! “ Il suo tono non ammetteva repliche. “Non so neppure dove si trova... come si chiama la città dove abitavi? “ “Juiz de Fora”. “Sì, quella... e dov'è?” “Nello stato del Minas Gerais...”. Ana Paula sorrideva a fior di labbra. “Ne so quanto prima... e quanto tempo ci vuole per arrivarci?”Balbettava in preda all’agitazione. Ana Paula percepiva che lui finalmente voleva partire davvero ed era felice.
“Andiamo in aereo fino a Rio de Janeiro e poi proseguiamo in pullman... possiamo anche sostare qualche giorno a Rio. È una città stupenda... a cidade maravilhosa”. Bruno era veramente impaziente di godersi un bel viaggio. “E quando partiamo?” Esortò lui ormai definitivamente convinto. Lei gli saltò al collo; lo abbracciò e lo baciò dalla gioia. “Grazie amore. Sarà bellissimo partire con te”. Bruno intanto si sentiva sollevato. Per lui c'era il vantaggio di godersi una bella vacanza e, al tempo stesso, prendere tempo per decidere sul loro rapporto e conoscere il paese d’origine di lei. Guardarono il calendario e decisero di partire intorno ai primi di febbraio. Cercarono un volo su internet e lo prenotarono subito. Erano entrambi eccitati e molto felici. Per Bruno prenotare quel viaggio significava un buon auspicio per iniziare il nuovo anno. Ana Paula invece era raggiante. “Così mi piaci, quando si vuol fare una cosa si fa e basta senza stare a pensarci su. Noi brasiliani siamo fatti così. Mentre l’italiano pensa il brasiliano fa... ”. Sorrise. Bruno la guardò perplesso. “Sono semplicemente contento di partire... ”. Obiettò. “Anch'io sono felicissima”. I giorni trascorsero velocemente e si avvicinava sempre più il giorno della partenza. Bruno ed Ana Paula s’incontravano soltanto il lunedì. Solo un paio di volte Bruno andò il sabato in discoteca. La sera prima di partire, Ana Paula andò a dormire a casa di Bruno. Il giorno successivo dovevano alzarsi molto presto per recarsi a Roma a prendere l'aereo. Lei arrivò con una valigia voluminosa e pesante mentre Bruno stava terminando di preparare la sua. Non riusciva ancora
a credere di viaggiare per la prima volta così lontano, in un paese caldo, dove avrebbe trovato l’estate, e maneggiava i suoi abiti di cotone leggero con incredulità prima di riporli in valigia. “Ciao amore”. La sua voce era eccitata e nervosa. “Ciao bellissima”. Anche la voce di lui tradiva una palpabile agitazione. “Domani saremo in Brasile. Wow!” Gridò Ana Paula battendo i palmi delle mani con quelli di lui. “Speriamo che fili tutto liscio…”. Mormorò lui tra i denti. “Non essere sempre così ansioso. Vedrai che ti piacerà e ci divertiremo moltissimo insieme”. Bruno chiuse la sua valigia con un lucchetto a combinazione. “Sarà meglio andare a letto perché domani ci attende un viaggio impegnativo. Lo so che non sei abituata ad andare a letto presto, ma stasera credo che dovrai fare un’eccezione…”. “Non ci sono problemi per me. Posso dormire quando voglio…”. Lo guardò con noncuranza. “Poi ho sempre desiderio di stare a letto con te...”. Cercò con la bocca le labbra di lui. Andarono a letto e fecero l'amore. I loro corpi si fo nell’amplesso in assoluta e costante armonia. Si cercavano e si desideravano con irresistibile istinto e forte volontà. Più tardi, a causa dell'ansia di partire, non riuscirono a prendere sonno. Ana Paula cominciò a parlare: “Bruno, c'è una cosa che devi assolutamente sapere prima di andare in Brasile”. Il tono di voce era serio e molto grave, come se dovesse rivelargli un segreto terribile. “Che cosa vuoi dirmi di tanto importante adesso? “
“Tu non mi crederai. So che tu non credi a queste cose perché non credi in Dio, ma lo devi sapere lo stesso... è necessario che tu lo sappia…”. Bruno era curioso ed inquieto. “Parla, sono qui per ascoltarti”. Ana Paula cercava le parole giuste ed attese lunghi attimi. “Devi sapere che sono posseduta da tre spiriti: due spiriti buoni ed uno maligno”. Bruno sobbalzò sul letto. “Che cazzo dici? Che cos'è questa novità adesso? Hai voglia di scherzare a quest’ora?” “No Bruno. Sono molto seria e non ho nessuna voglia di scherzare. Non te l’ho mai rivelato perché, quando sono in Italia, gli spiriti non si manifestano mai. Almeno finora qui non mi è mai capitato. In Brasile, probabilmente vedrai che non sarà la stessa cosa. Anche per questo ho lasciato il mio paese. Non era solo per Aldo. In Italia mi sento più tranquilla ed al sicuro”. Bruno era sconcertato. “Perché vuoi farmi credere a queste cose?” “Lo so bene che per te è difficile, ma devi credermi ed ascolta ciò che ti dico”. “Ok, ti ascolto”. Bruno si concentrò attentamente sulle sue parole. “Anni fa, a Juiz de Fora, divenni preda degli spiriti. Ero in camera mia da sola e c'era la finestra aperta sul giardino. Erano le prime ore del pomeriggio di una bellissima giornata di sole. Vidi una luce strana ed accecante su davanzale e volli vedere, incuriosita, cosa era. Con gran sorpresa vidi in giardino un piccolo gnomo che mi faceva sberleffi. Aveva voglia di scherzare con me. Io sorrisi divertita. Improvvisamente, però, lo gnomo scomparve ed apparve lo spirito maligno nelle sembianze di un feroce cane nero. Non ebbi neppure il tempo di fuggire. Saltò sulla finestra ed entrò in me e da quel giorno è rimasto dentro di me, ma il buon Dio mandò anche uno spirito buono per proteggermi, perché pure lo gnomo riuscì ad entrare in me. Quando morì mia zia Gabriela anche il suo
spirito buono entrò in me, perché ero la sua nipote preferita. La sua anima scelse me per mantenere un contatto con il mondo terreno”. Bruno ascoltava in silenzio, completamente incredulo e senza fare commenti. “Che cosa succede, quando gli spiriti si manifestano in te?” Ana Paula aveva un'espressione grave che Bruno intuiva nella penombra della stanza da letto. “Quando si manifestano gli spiriti buoni non succede niente di particolare. Sono tranquilla e pronta a dare buoni consigli agli altri. Quando però si muove il cane nero... allora te ne accorgerai perché cercherò di attaccare briga, di litigare anche senza motivo. In questo caso, se vorrai scacciare lo spirito cattivo, sarà sufficiente che tu dica per tre volte consecutive: Eu não quero falar com você, eu quero falar com a Ana Paula. Non voglio parlare con te; voglio parlare con Ana Paula. E lui se ne andrà”. Bruno inspirò: “ Va bene. Grazie per avermelo detto”. “E’ bene che tu lo sappia prima di partire perché, quando saremo in Brasile, potrebbe essere troppo tardi”. Ana Paula si girò per dormire. Bruno era turbato alle sue parole. Non credeva agli spiriti, ma lei aveva un’espressione seria e, almeno fino a quel momento, era sempre stata sincera con lui. Non volle pensarci troppo su, né dare eccessiva importanza le sue parole e si addormentò. Arrivarono a Rio de Janeiro in tarda serata. Appena scesero dall'aereo percepirono subito l'aria calda ed umida della sera che si appiccicava ai vestiti. Erano molto stanchi dopo il lungo viaggio. Ana Paula era più abituata a viaggiare, ma soffriva di mal di testa in aereo. Bruno era stanco, indolenzito e l’afa gli faceva aumentare la stanchezza. Presero un taxi subito un taxi per un residence in Rua Joaquim Nabuco che avevano prenotato su internet. “Che bello, amore, siamo finalmente in Brasile!” Ana Paula abbracciò Bruno
dopo che gli consegnarono le chiavi dell'appartamento. Erano stanchi ed avevano soltanto bisogno di dormire. “Domani faremo una bella eggiata”. Ana Paula ammirava il panorama dalla finestra. Erano al settimo piano di un palazzo tra Copacabana ed Ipanema e, dalle finestre, si ammirava un bello scorcio della spiaggia d’Ipanema.Bruno cercò di sporgersi dalla finestra per vedere meglio, ma sentì qualcosa che gli tratteneva la testa. “Sai perché mettono queste grandi reti alle finestre? “ Domandò Bruno infastidito. “Qui le mettono per sicurezza. Perché non cadano giù i bambini e poi... ci sono anche molte persone che si suicidano... non è tutto bello qua... ma andiamo a dormire. Anch’io sono molto stanca”. La visione d’Ana Paula nuda faceva dimenticare sempre la stanchezza a Bruno. Si eccitò e lei se n’accorse. “Stasera no, siamo stanchi…”. Sussurrò lei. “Vuoi che resti così tutta la notte?” Ammiccò al suo pene turgido. Sorrisero. Lui cominciò a toccarla e lei si eccitò subito. Così fecero l’amore nel modo travolgente che avevano instaurato tra loro. Il giorno dopo si alzarono tardi e trascorsero la giornata sulla spiaggia di Copacabana. Bruno osservava rapito le bellezze della città; aveva difficoltà ad abituarsi alla luce accecante del sole tropicale ed al gran caldo. Ana Paula indossava un minuscolo costumino da bagno e parlava in continuazione. “Sono davvero felice di essere qui con te”. Ripeteva spesso lei. Bruno le rispondeva d’essere molto felice pure lui benché la sua parlantina lo infastidisse un po’. La spiaggia era affollata e si respirava già l’atmosfera briosa del carnevale imminente. Avevano in programma di restare soltanto quattro o cinque giorni a Rio e avrebbero poi proseguito il viaggio in pullman a Juiz de Fora. Bruno era appena
arrivato in quella città, ma avrebbe voluto trascorrere tutta la vacanza a Rio invece di andare in quel posto sconosciuto del Minas Gerais che non lo attraeva. “Tu sei l'uomo della mia vita”. Gli sussurrò Ana Paula nell'orecchio. Lui la baciò senza risponderle. Mentre Ana Paula parlava, risuonavano nella mente di Bruno le parole che gli aveva ripetuto spesso Giacomo nelle settimane precedenti la partenza: “Non andare in Brasile, non starle troppo dietro e non perdere la testa per una brasiliana che fa la cubista in discoteca. Non è roba per te, dammi retta!” Era diventato un ritornello abituale di Giacomo al telefono. Bruno era combattuto dentro di sé tra i consigli del suo amico e la fortissima attrazione che Ana Paula esercitava su di lui. Lei gli ripeteva che era l'uomo della sua vita, che avrebbe voluto sposare e farci un figlio presto, perché ormai aveva superato i 30 anni e non le andava di aspettare oltre per diventare madre la seconda volta. Bruno si domandava se aveva fatto la scelta giusta nell’andare in Brasile; se era davvero innamorato o se la sua era soltanto attrazione fisica. Con lei, però, si sentiva appagato, anche se in certi momenti dimostrava degli atteggiamenti bizzarri e stravaganti. Nel tardo pomeriggio, verso il tramonto decisero di tornare al residence. Mentre erano in cammino per strada, Bruno vide un supermercato: “Compriamo qualcosa da mangiare? Stasera ho voglia di cucinare io”. Ana Paula annuì con apparente indifferenza. Entrarono e Bruno cominciò a mettere nel carrello rapidamente l'occorrente per cucinare un buon piatto di pasta. Arricciava il naso di fronte alla cattiva qualità dei prodotti d’importazione. Ana Paula scrutava gli articoli in vendita con un’attenzione tipicamente femminile. Bruno non aveva voglia di attenderla e continuava a comprare i prodotti che gli servivano.
Era già in fila alla cassa, quando arrivò di corsa Ana Paula aggiungendo alla spesa alcuni articoli che Bruno non ebbe il tempo di notare perché l’inserviente del negozio stava riempiendo velocemente le borse preparando sei piccoli sacchetti. Bruno ne prese tre e Ana Paula i rimanenti. Uscirono e intrapresero la via del ritorno. Ana Paula era insolitamente silenziosa e tesa dopo essere stata molto loquace tutto il giorno. Bruno pensò che fosse soltanto stanca. “Non ho mai conosciuto uno più stronzo di te!” La sua voce ruppe improvvisamente il silenzio. Non sembrava neppure la voce di lei, tanto era alterata.Bruno si voltò: era pallida ed aveva gli occhi fuori dalle orbite. “Mai nessun uomo mi ha fatto questo! “ Urlò. “Che ti succede adesso? Che cosa c’è che non va?” Chiese preoccupato. “Tu mi fai portare tutte queste borse pesanti! Guarda le mie mani come si sono ridotte!” Lei mostrò il palmo della mano destra che era un po’ arrossato. Bruno era stupito ed imbarazzato. “Nessuno mi ha mai fatto portare le borse della spesa come se fossi la sua serva! “ Urlava e roteava gli occhi. “Calmati adesso per favore; non so neppure che cosa hai comprato e cosa c’è dentro i sacchetti che porti, ma non è un problema; se sono troppo pesanti puoi darli a me”. Le prese i sacchetti di mano ma non gli sembravano troppo pesanti. Forse contenevano un paio di bibite in bottiglie da un litro. “Mi ha lasciato trasportare le borse. Un vero uomo non si sarebbe mai
comportato così!” Ana Paula strillava ed alcuni anti si voltavano a guardare la scena. “Adesso basta!” Bruno era arrabbiato. “Ascolta: non so cosa cazzo hai comprato, ma se i sacchetti erano troppo pesanti, bastava che me lo dicessi subito. Non c'è bisogno di alzare la voce così! E non fare quella faccia da principessa sul pisello per trasportare un paio di buste della spesa! Non è mica la fine del mondo!” Ana Paula continuava ad urlare. “Ora piantala! Ok?“ Bruno le puntò minaccioso l’indice destro negli occhi. Ana Paula abbassò la voce. Intanto erano quasi arrivati a destinazione. Lei continuava a sbraitare a bassa voce, mentre si avvicinarono all'entrata del residence, ma non voleva fare una scenata davanti al portiere. Lui faceva finta di non sentirla. Entrarono e salirono in silenzio in ascensore. Quando entrarono in casa Bruno gettò a terra le borse della spesa, afferrò Ana Paula per un braccio e la strattonò. “Non provare mai più ad alzare la voce con me in quel modo per strada!” Lei lo guardava in silenzio con gli occhi pieni di rancore. “Hai sentito cosa ho detto?” Bruno la scosse di nuovo con forza mentre lei restò imibile. “Nessun uomo mi ha fatto questo... ”. Ripeteva come una litania. “Allora facciamo così: se non ti va bene come mi comporto dimmelo subito e me ne vado, oppure te ne vai tu, scegli!” Ana Paula girò la testa da un’altra parte. “Sei un bambino… “. Mormorò. “Sarei io il bambino? Hai una bella faccia tosta…”. Faceva molto caldo. Bruno era sudato fradicio e non aveva più voglia di litigare. Le lasciò il braccio con un moto di stizza e se n’andò a fare una doccia. Ana
Paula restò da sola. Con un mezzo sorriso sulle labbra misurava la reazione di lui. Bruno tornò nel soggiorno dopo una mezz'ora. Ana Paula stava mangiando un sandwich al tonno che si era preparata. Lui guardò l'orologio; segnava le 20 ed aveva fame. Lei mangiava facendo finta di non vederlo. Lui si sedette sul divano con l’accappatoio indosso. “Potevi preparare qualcosa anche per me…”. Lei lo guardò sorpresa. “Non ci ho pensato. A casa mia si usa così, quando uno ha fame mangia”. “Bell'esempio di unione familiare…”. Sibilò lui tra i denti e ed andò a prepararsi qualcosa da mangiare. Mangiò, ma non riusciva a deglutire il cibo. Non gli piacevano i panini ed aveva lo stomaco chiuso. Ana Paula era andata a farsi la doccia e si trattenne a lungo in bagno. Lui indossò un paio di slip ed andò in camera. Si sdraiò sul letto ed accese il televisore. C'era un solo canale in italiano che trasmetteva un noioso spettacolo di varietà. Sentiva il tramestio d’Ana Paula nel bagno e si addormentò. Un grido lo svegliò di soprassalto. Ana Paula stava sulla porta di camera ed era vestita elegantemente come se stesse per uscire. “C'è una lettera per te! “ Gridò lei porgendogli un foglio e se n’andò in soggiorno. Bruno restò interdetto nella penombra della stanza con quello strano plico in mano. Era ancora semi-addormentato. Guardò l'orologio: erano le 23.30. Si sentiva stanco e con le membra pesanti.
Aprì la lettera e cadde per terra un oggetto tintinnante. Lo raccolse: era una fede nuziale. “Io ti amo, sposami. Voglio vivere con te; voglio creare una famiglia con te. Sei l'uomo che ho sempre sognato. Sei bello, intelligente e sai fare l'amore. Con quest’anello voglio che tu creda che sono sincera. Ana Paula “ Le parole erano vergate con bella calligrafia ed in buon italiano. Andò in soggiorno tenendo in mano la lettera e l’anello. Lei era seduta su una poltrona con lo sguardo perso nel vuoto. Bruno era irritato e nervoso. “Ti ringrazio per questa lettera e per l’anello, che ancora non posso accettare. Tu mi piaci, ma credo che ci siano ancora molte cose da chiarire tra noi. Quando l'avremo chiarite ne riparleremo”. Lei cominciò a piangere. “Tu non capisci... non vedi come mi sono fatta bella per te? Voglio andare in discoteca a ballare e a divertirmi…”. Bruno era stanco e non si reggeva quasi più in piedi. Indossava ancora gli slip ed aveva voglia di fare soltanto una bella dormita per riposare e per riprendersi dal fuso orario. “Stasera per favore no, sono troppo stanco per uscire. Ne riparliamo domani”. Tornò in camera e si sdraiò sul letto. Aveva appena preso sonno, quando sentì di nuovo un grido: “Allora vorrà dire che ci andrò da sola! “ Ana Paula era di nuovo sulla porta di camera. Lui faticò a vederla. “Vai dove vuoi, ma lasciami dormire almeno stasera! “ Sentì Ana Paula che aprì il portone. Bruno non riusciva più a riprendere sonno. Dopo alcuni minuti notò che c'era
una luce anomala che filtrava dalla porta. Si alzò, uscì dalla camera, e vide che la porta di casa, lasciata spalancata da Ana Paula, faceva entrare la luce esterna del ballatoio. Bruno andò a chiudere la porta. Sentì lei che singhiozzava, ma non la vedeva. Uscì e la vide appoggiata in un angolo che piangeva a dirotto. La raggiunse e la prese sottobraccio. “Vieni; andiamo in casa, non fare così... ”. Aveva il trucco sfatto ed un volto con aspetto spettrale. Camminava con fatica e Bruno si accorse che anche lei, in realtà, era molto stanca. “ Vieni; andiamo a riposare”. Le sussurrò con voce persuasiva. Ana Paula non aveva la forza di reagire. Lui la accompagnò in camera da letto; l'aiutò a togliersi i vestiti ed a sdraiarsi sul letto. Si assopì dopo pochi minuti. Anche Bruno finalmente si rilassò vedendola dormire e si addormentò a sua volta. Quando Bruno si svegliò, il mattino seguente, Ana Paula stava ancora dormendo. Era molto turbato dal suo strano modo di comportarsi e non si sentiva più a suo agio nello stare con lei. Non concepiva perché fosse diventata improvvisamente così capricciosa ed aggressiva. Prese un libro, si alzò ed andò a leggere in soggiorno. Ana Paula si alzò dopo circa un'ora: era pallida e con i capelli disordinati. “Ciao, come ti senti? “ Chiese Bruno interrompendo bruscamente la lettura. “Così... ho un po’ di nausea, ma niente di particolare... ”. Rispose con voce rauca. “Che cosa stai leggendo? “ Lui le mostrò la copertina del libro giallo. Ana Paula arricciò il naso:
“Dovresti leggere quello piuttosto... ”. Ammiccò alla bibbia che stava appoggiata sul tavolo. “Quello l'ho già letto…”. Bruno era un po’ seccato. “Si possono capire molte cose della vita leggendo quel libro, sai? Peccato che tu non creda in Dio. Chi non crede in Dio non crede neppure nell'amore perché non lo conosce”. Detto questo scomparve in bagno. Bruno avvertì il tono provocatorio delle sue parole. Non riusciva a riprendere la lettura ed aveva lo sguardo perso nel vuoto. Ana Paula uscì dal bagno e, con movimenti molto lenti, cominciò a mettere in ordine le sue cose sparse per casa. Bruno osservava silenzioso. “Non guardarmi così... non riesco a far nulla se mi guardi così…”. Le parole le uscivano a fatica di bocca. “ Va bene.Vado in camera da letto. Tu fai quello che devi fare. Scendiamo in spiaggia, quando sei pronta? “ “ Sì, amore. Grazie... ”. Bruno trascorse un paio d'ore da solo in camera da letto a leggere, poi uscì dalla stanza. Ana Paula aveva sistemato poche cose e sembrava non essere con la mente del tutto presente. “Amore, ti piace questo vestito?” Gli mostrò un completino nuovo di pelle nera. Lui annuì silenzioso. “L’ho comprato per farmi bella per te”. “Non c'è bisogno che tu compri queste cose per farti vedere bella. Lo so già che sei bella…”.
“Vedi amore. Quando saremo a Juiz de Fora non potrò indossarlo. Mia madre non vuole. E’ troppo sexy…”. Bruno ascoltava in silenzio. Lei cominciò allora un lungo monologo sulla sua vita accusando la madre di tutte le sventure. Ana Paula raccontò daccapo che voleva lavorare in televisione e che sua madre glielo impedì. Poi raccontò che non voleva che sposasse Aldo e che le aveva sottratto la figlia considerandola ormai sua. Bruno ascoltava, interrompendola di rado con monosillabi. “Ma ora voglio vivere! Voglio fare una vita nuova con te, anche se tu non fai niente!” Bruno si sentì crescere la rabbia. “Sono qui per te. Sono qui per conoscere la tua famiglia. Non sono qui per una vacanza e basta!” Lei cambiò subito tono, ma lui capì che cercava in tutti i modi di provocarlo. “Vogliamo andare spiaggia adesso o preferisci restare qui tutto il giorno?” Bruno troncò bruscamente il lungo monologo d’Ana Paula. Lei rispose di sì guardandolo un po’ di traverso. Presero i loro zainetti ed uscirono. Quando arrivarono a Copacabana era ormai tardo pomeriggio ed il sole sarebbe tramontato presto. Ana Paula non parlava più della sua famiglia ed attaccava discorso con tutti i venditori ambulanti che si avvicinavano. Bruno non capiva il portoghese e si sentiva un po’ emarginato. Ogni tanto qualche ambulante gli rivolgeva un paio di frasi in italiano e gli sembrava che Ana Paula lo presentasse a molti come suo marito, ma non era sicuro di aver capito bene le sue parole in portoghese. Il sole tramontò presto e la spiaggia cominciò rapidamente a spopolarsi. Anche Bruno e Ana Paula ritornarono al residence. Ana Paula mangiò poco a cena.
Mangiava insolitamente poco da quando erano arrivati a Rio. Anche Bruno mangiò soltanto un piatto di pasta poi lavò in fretta le poche stoviglie. “Ho voglia di fare una eggiata. Che ci facciamo sempre in casa? “ Chiese lei già pronta per uscire. “Ok “. Acconsentì lui con un po’ di malavoglia. Uscirono incamminandosi verso Copacabana. Ana Paula parlava molto e Bruno spesso non riusciva a seguirla perché intercalava spesso in portoghese. Le chiedeva di parlare in italiano, ma lei, dopo poche frasi, ricominciava a parlare la sua lingua materna. Gli rispose che le veniva spontaneo, ora che si trovava in Brasile. Bruno capiva solo che continuava a parlare della sua famiglia e del suo rapporto tormentato e immaturo con Aldo. C'erano alcune bancarelle sull’Avenida Atlantica. Ad una di esse, che vendeva magliette colorate di cotone, Ana Paula si soffermò a guardare la merce. Bruno attendeva a qualche metro di distanza cercando di prendere una breve pausa dall'insistente loquacità di lei. Vide che comprò qualcosa. “Ti ho comprato questa”. Si avvicinò e gli dette una busta con dentro una maglietta nera che recava stampata la scritta Copacabana. “Grazie, non dovevi “. Era piuttosto infastidito da quel regalo che gli sembrava superfluo. “Vorrei comprare tutto qui, ma non posso”. Alzò di nuovo la voce. Lui la guardò come se stesse vedendo una squilibrata. Lei si voltò verso la bancarella. Sul lato c'era appesa una maglietta nera, simile a quella che aveva regalato a Bruno, con la scritta “black is beautiful “. “Sporchi negri! Siete brutti! Vi odio bastardi!” “Ma che ti prende adesso? Perché ce l'hai con i neri?” Bruno era sbigottito e sconcertato. “Perché sono brutti e non mi piacciono”. La sua collera cresceva.
Allora lui cercò di allontanarla dalla bancarella prendendola per mano e proseguirono la eggiata. “Lì c'è una discoteca e tu non mi vuoi portare mai in discoteca! “ Urlò lei. Bruno si guardò intorno e non vedeva discoteche. “Quale discoteca? Non vedo nessuna discoteca… in ogni modo se vuoi stasera ci andiamo... ”. “Lì c'è la discoteca! “ Strepitò, indicando vagamente una direzione, ma Bruno non riusciva a vederla. Vedeva solo negozi, attività commerciali e edifici residenziali. Si avvicinò a loro un venditore d’oggetti di legno intagliato. In mano teneva una Madonna alta circa mezzo metro, molto ben fatta, e la offrì ad Ana Paula. “No... non posso comprarla, mi dispiace... non posso portarla... ”. Ripeteva lei con unritmo monotono all'insistente ambulante. Tentò di offrirla di nuovo ad un prezzo più basso, ma Ana Paula, con voce sempre più flebile, ripeteva come un disco rotto: “ Non posso comprarla... non posso portarla…”. Il venditore allora rinunciò e rivolse l’attenzione ad altri anti. “Dove vuoi portarmi adesso? Quanto mi vuoi far camminare? “ Strillò di nuovo lei in faccia a Bruno. “Da nessuna parte. Sei tu che volevi fare una eggiata. Non sono io che ti ho chiesto di camminare… “ “Guarda, stronzo, guarda come hai ridotto i miei piedi! “ Bruno abbassò gli occhi, vide i suoi piedi ed impallidì. Ana Paula calzava un paio di sandali neri legati alle caviglie. Bruno notò che aveva i piedi molto gonfi ed arrossati; il piede sinistro stava quasi per sanguinare. Entrò in apprensione e pensò che non fosse il caso di continuare a camminare in quelle condizioni. Si guardò intorno per cercare un taxi.
Ana Paula stava strepitando in portoghese, gesticolava e scuoteva la testa roteando gli occhi. Bruno non vide taxi e non c'era nessuno, in quel momento, intorno a loro. Era impotente e non riusciva a calmarla. Si ricordò allora delle parole che lei gli aveva detto prima di partire a proposito delle sue possessioni spiritiche. Bruno non credeva a queste cose, ma non sapeva più cosa fare con lei che urlava e si dimenava.Gli ritornò in mente la frase che lei gli aveva detto prima di partire: “Non voglio parlare con te; voglio parlare con Ana Paula”. Ripeté per tre volte guardandola dritta negli occhi. Dopo la prima volta notò che le grida le restavano soffocate in gola. Dopo la seconda volta la sua voce si trasformò in un rantolo sommesso. “Amore che c'è? Che succede? Perché mi guardi in modo strano?” Domandò Ana Paula, dopo che lui ebbe ripetuto la frase per la terza volta. Il suo viso adesso era rilassato; aveva la voce normale e lo sguardo mite. Bruno la osservava per capire cosa stava succedendo: “ Sono io che chiedo a te che cosa sta succedendo…”. Il suo tono era molto carico di tensione. “Niente è successo. Che domande mi fai? Che bella maglietta ti sei comprato...”. Ana Paula toccò un lembo della maglietta che sporgeva dalla busta trasparente che teneva in mano Bruno. Lui sudava freddo. “Non l'ho comprata. Me l'hai regalata tu poco fa; non ricordi? “ “Amore sì…certo…era il minimo che potessi fare per te…”. Bruno era sicuro che lei non si ricordasse di nulla. “Come stanno i tuoi piedi? “ Chiese con preoccupazione. “I miei piedi? Stanno bene... ma perché me lo domandi? “
Bruno allora abbassò lo sguardo. Con enorme stupore vide che i suoi piedi, visibilmente gonfi e arrossati fino a pochi istanti prima, non mostravano più alcun sintomo di sofferenza. Non c'era più alcun segno di tumefazione e la pelle d’Ana Paula era bianca e liscia fino alle caviglie. Bruno barcollò; non riusciva a credere ai propri occhi. “Che c’è Bruno, che ti succede? Perché sei così strano? Non ti senti bene?” Domandò lei con aria smarrita. Bruno si sentiva crollare il mondo addosso. Sapeva di non aver bevuto alcolici e di non aver preso sostanze stupefacenti. Non poteva essere preda d’allucinazioni. Si sentiva in perfette condizioni psicofisiche. Si abbassò. “Fammi toccare i tuoi piedi per favore! “ Gridò perentorio. “Va bene…ma che ti prende? Perché vuoi toccarmi i piedi adesso? “ Ana Paula lo osservava confusa. Bruno le palpò ambedue i piedi. Non trovò alcuna traccia di rossori, enfiagioni o ferite. La sua pelle era in perfetto stato. Era agitato e spaventato. Non aveva mai creduto agli spiriti prima di allora, ma era assolutamente certo di aver visto le caviglie ed i piedi d’Ana Paula molto gonfi e sofferenti fino a pochi istanti prima. Non trovava una spiegazione razionale a quello che era successo. Ana Paula lo guardava apparentemente senza capire. Lui si alzò in piedi mentre gli girava la testa e tremava visibilmente. “Andiamo a casa. Dobbiamo parlare con calma tu ed io”. Sussurrò con un filo di voce. “Va bene, “ annuì stringendosi al suo fianco, “ ho molta voglia di fare l'amore con te, ma perché stai tremando?” Lui restò muto. Arrivarono a casa, con un taxi, dopo pochi minuti. Bruno controllò di nuovo che i piedi d’Ana Paula fossero effettivamente in buone condizioni. Alla luce del neon del soggiorno vide che erano assolutamente sani.
Mentre lei lo guardava in modo accattivante, lui, ancora visibilmente sconvolto, aveva bisogno di bere ed andò in cucina. Lei lo seguì. “Prendimi; voglio essere la tua puttana stasera. Scopami qui sul tavolo di cucina…”. La sua voce era deliziosamente provocante. Bruno posò il bicchiere che teneva in mano. Non tremava più di paura. La fece sedere sul tavolo e le tirò giù i pantaloncini. Notò che non indossava gli slip. Lui si eccitò come non ricordava esserlo stato mai in precedenza e la penetrò. Terminarono con un lungo orgasmo simultaneo. Bruno era completamente esausto. Tornarono in soggiorno e si sedettero sul divano. “Credo…credo che tu fossi in stato di possessione spiritica, quando eravamo a eggiare... ”. Balbettò Bruno ancora scosso dalle scene di quella sera. “Adesso capisco... ecco perché tutti mi facevi tutte quelle domande... ho attaccato per caso briga con te?” Sembrava implorare perdono con gli occhi lucidi. “Attaccato briga? Tu mi hai aggredito verbalmente nel peggiore dei modi…”. Ana Paula si fece seria e cominciò a far domande mentre sembrava non ricordare nulla di ciò che era successo. Bruno le raccontò i fatti che aveva visto quella sera. Lo ascoltava con attenzione e riconosceva lo spirito maligno che si era manifestato in lei. Gli confermò che era un fenomeno che le era capitato di frequente nel ato, mentre non le era mai successo in Italia. La differenza era che, quella sera, lo spirito era riuscito con violenza anche a modificarle i piedi ed il corpo ed era un fatto senza precedenti. “Mi dispiace Bruno…stasera lo spirito è stato particolarmente cattivo…”. Ana
Paula fece una smorfia di rammarico. Bruno sentiva crollare tutte le sue certezze come un castello di carte. “Tu cosa ricordi di questa sera?” Cercava ancora conferme. Ana Paula raccontò quello che ricordava e Bruno notò molte omissioni nella ricostruzione dell’episodio. Non ricordava di avergli comprato la maglietta, né ricordava di aver inveito contro i neri, mentre ricordava vagamente un venditore ambulante che aveva cercato di venderle la statuetta di legno della Madonna. Dopo quest’episodio c'era il blackout nella mente di lei. Non ricordava più nulla fino al momento in cui lui la fissava negli occhi dopo aver pronunciato le fatidiche tre frasi. C’erano almeno venti minuti di vuoto assoluto nella sua mente. Bruno osservò la maglietta nera sul tavolino. “Un regalo di uno spirito”. Pensò e fu scosso da un brivido. “Tu devi pregare il buon Dio, Bruno. Adesso che hai conosciuto il male, lo avrai capito…”. Ana Paula parlava in modo suadente e gli ricordava che non era neppure necessario andare in chiesa purché pregasse. “Perché non fai qualcosa per liberarti dagli spiriti che ti posseggono?” Bruno si stava riprendendo, mentre sorseggiava un succo di guaranà. Ana Paula fece spallucce. “E’ uno spirito cattivo, è vero, ma dentro di me ci sono anche due spiriti buoni. Uno è quello di mia zia morta... liberandomi dagli spiriti perderei qualcosa di bello perché lui mi guida e mi protegge sempre”. Parlava di spiriti come se fosse la cosa più normale del mondo. Bruno non capiva se era sveglio o stava vivendo un incubo. Ana Paula voleva andare a dormire. “Ora sono stanca di parlare di queste cose... ho sonno”. Se n’andò in camera da
letto. Bruno restò ancora in soggiorno a riflettere. Doveva trovare un modo per proteggersi da questa situazione inedita e non poteva rimanere accanto a lei; decise che la fuga era l’unica soluzione praticabile anche se un po’ vigliacca. Percepiva una situazione non chiara che poteva esporlo a pericoli perciò attese alcuni minuti. Andò in bagno; prese la trousse con i suoi effetti personali. Si diresse poi in camera da letto dove vide che Ana Paula dormiva già. Sapeva che si addormentava subito ed aveva il sonno abbastanza pesante. Raccolse rapidamente i suoi indumenti ed i suoi oggetti sparsi nella stanza da letto e li gettò alla rinfusa nello zaino. C'era poca luce, soltanto quella che filtrava dalla finestra. Temeva nella fretta di dimenticare qualcosa. Prese la valigia appoggiata alla parete, la sollevò senza fare alcun rumore e la trasportò in soggiorno dove c’era più luce. Tornò poi indietro a prendere lo zaino. In soggiorno aprì la valigia rovesciando dentro il contenuto dello zaino, poi se lo mise in spalla; prese la valigia e se n’andò. Chiuse il portoncino dietro di se, avendo cura di fare il minor rumore possibile. Gli parve un momento di sentire la voce di Ana Paula che lo chiamava, era fradicio di sudore ma ebbe un brivido. Decise che non poteva attendere l'ascensore ed imboccò le scale. Scese di corsa un paio di piani tenendo in mano l’ingombrante bagaglio. Al quinto piano prese l'ascensore. Uscì di corsa salutando in fretta, con un rapido cenno del capo, il portiere semi addormentato. In strada si guardò intorno; non c'erano taxi in giro. Fece un gesto di stizza con la mano. Appoggiò la valigia sulle rotelle e la trascinò via di corsa con sé. Gli parve di nuovo di sentire nelle orecchie la voce d’Ana Paula che lo chiamava. Si ricordò di aver notato dei taxi che sostavano in una strada traversa e svoltò guadandosi continuamente le spalle come un animale braccato. Temeva che lei lo seguisse, che si fosse accorta della fuga. Vide finalmente alcuni taxi e fece un rapido cenno al primo della fila. Si lasciò consigliare un hotel non troppo costoso parlando un po’ italiano ed un po’ inglese, ma il tassista capì bene mentre lo osservava in stato d’agitazione. Caricò la valigia nel bagagliaio e partirono. Il taxi ò davanti al residence in direzione di Ipanema. Bruno abbassò la testa temendo che ci fosse Ana Paula in agguato, ma non vide nessuno. Pensò che la voce di Ana Paula fosse stata soltanto autosuggestione e tentò di rilassarsi senza tuttavia riuscirvi. Guardò l'orologio: segnava l’1.30 di notte.
Il tassista era un giovane della sua età, molto gentile, e lo accompagnò in un piccolo albergo, carino, a pochi i dal mare, in Rua Vinicius de Moraes. Non si era allontanato molto in linea d’aria da Rua Joaquim Nabuco, ma pensò che fosse una distanza sufficiente per scomparire in una metropoli così grande. Bruno domandò al portiere se aveva una camera singola per una notte. “Solanto per una notte signore?” Chiese il portiere in buon italiano. “Non lo so ancora... la prendo per una notte, domani le faccio sapere se resterò più a lungo. “Va bene”. Il portiere registrò velocemente i suoi dati personali al computer e gli consegnò il tesserino magnetico. Bruno entrò nella stanza. Era ancora sconvolto, stanco morto, ma non aveva sonno. Posò la valigia e si sdraiò sul letto. Stava pensando a cosa fare l'indomani. Ana Paula non poteva sapere che si trovava in quell'albergo. Spense il cellulare affinché non potesse ricevere chiamate e cercò di rilassarsi pensando ad altro. Prese nel frigo una bottiglietta d’acqua e bevve d’un fiato. Accese il televisore e cominciò a scorrere i canali con il telecomando cercando di distrarsi. Vide che c'erano anche canali stranieri e cercò un canale in italiano. Notò qualcosa di anormale sul canale 33.Gli era parso di vedere una strana immagine fissa e premette di nuovo il numero 33 sul telecomando. Ebbe un forte brivido alla schiena e spalancò gli occhi dal terrore: su quel canale c'era l'immagine in bianco e nero di un demone, una figura immobile. Il demone, orribile e con la bocca spalancata, lo fissava dallo schermo del televisore con i suoi occhi spaventosi. Bruno era terrorizzato. Cercò di cambiare canale, ma quell’immagine non voleva scomparire. Dopo interminabili istanti riuscì a cambiare canale. “Ci mancava anche questa stasera… il demonio in TV!” Trovò un canale italiano che trasmetteva un documentario. Era nervoso. Frugò nello zaino per cercare dei sonniferi che si era portato con sé per alleviare i problemi del fuso orario. Ne prese uno e si sdraiò vestito sul letto cercando di dormire. Spense la luce e la TV. Sentiva una porta sbattere di continuo. C'era vento quella sera a Rio e il rumore era fastidioso ed insistente. Udì, nella stanza accanto, un uomo e una donna che stavano facendo l'amore in un focoso ed interminabile amplesso. Il rumore della porta che sbatteva si univa ai gemiti della coppia e gli sembrava
di impazzire, ma il sonnifero entrò finalmente in azione e si addormentò. Bruno si svegliò dopo aver profondamente dormito. Era un sonno ipnotico quello del sonnifero, tuttavia sufficientemente riposante. Guardò l'orologio: erano le nove. Si rese conto che era in un albergo. Aveva i vestiti indosso e non c'era più Ana Paula accanto a sé perciò non aveva sognato. Balzò sul letto: “ Non voglio restare in questa città un minuto di più!” Mormorò andando in bagno e lavandosi il viso in tutta fretta. Scese al ristorante. Bevve un caffè e mangiò qualcosa, poi uscì dall'albergo. Aveva in tasca il biglietto di ritorno e l'indirizzo della sede della compagnia aerea. Chiamò un taxi e gli indicò quell'indirizzo. Il tassista lo condusse prontamente a destinazione, nonostante l’intenso traffico della città. L'ufficio della compagnia aerea si trovava in uno dei grattacieli del centro, nell’Avenida Rio Branco. Faticò un po' per trovarlo perché si confondeva con i numerosi ascensori che portavano a piani diversi. Entrò e domandò d’un fiato all'impiegata se era possibile anticipare la data di ritorno con quel biglietto. La donna, con modi professionali, controllò al computer e rispose di sì e poi domandò a Bruno quando desiderava tornare in Italia. “Prima possibile per favore”. Non ebbe la minima esitazione. L'impiegata lo informò che c'era un posto libero per la sera stessa, ma doveva pagare cento euro di differenza. In alternativa poteva partire dopo quattro giorni senza pagare alcunché. Bruno si frugò in tasca ed estrasse dal portafoglio cento euro e l’impiegata stampò subito il nuovo biglietto. “Muito obrigado”. Ringraziò con sollievo la donna e se n’andò. Era appena mezzogiorno e calcolò che aveva ancora alcune ore a disposizione. Non voleva tornare sulle spiagge di Copacabana ed Ipanema. Aveva desiderio di riposare al sole, ma ipotizzò che, seppur molto grandi, sarebbero state il primo luogo dove lei avrebbe potuto cercarlo e temeva di incontrarla. Uscì per strada e si mise a camminare senza aver una meta precisa. Entrò in un centro commerciale spendendo un paio d'ore per tentare di distrarsi, poi tornò in taxi all’hotel, preparò i bagagli si diresse all'aeroporto con destinazione Roma.
Bruno era tornato a casa da un paio di giorni. Ancora aveva in testa Ana Paula e gli episodi di possessione spiritica. La sua mente non riusciva a metabolizzare e accettare l’accaduto. Era molto sconvolto; la notte non dormiva bene e ogni piccolo rumore lo spaventava. Doveva confidarsi con qualcuno, pensò a Giacomo ma scartò subito l’idea. Si ricordò di suo zio sacerdote e decise di telefonargli. “Ciao zio, sono Bruno…”. “Ciao Bruno! Che piacere sentirti dopo tanto tempo! Come stai figliolo?” Suo zio, Don Angelo, era parroco in un piccolo paese sull’Appennino. Vi era stato relegato dal vescovo alcuni anni prima, dopo le voci che circolavano su una relazione segreta che aveva con una giovane donna, durante la missione in Brasile, con cui si diceva avesse avuto un figlio. “Zio, ho bisogno di parlarti”. “Che cosa ti è successo? Qualcosa di grave?” “Non so se è una cosa grave, ma devo parlarti urgentemente”. Il tono di voce di Bruno era concitato. Don Angelo gli disse che poteva andare da lui quando voleva. “Allora sarò da te nel pomeriggio; giusto il tempo di arrivare”. Riattaccò il telefono, scese subito in strada, salì in auto e partì. Arrivò davanti all’imponente chiesa romanica e, come sempre gli accadeva quando capitava da quelle parti, ne restò suggestionato. Bruno sapeva che Don Angelo era stato in missione in Brasile per lungo tempo e conosceva molto bene quel paese. Entrò in chiesa e lo vide inginocchiato a pregare davanti alla statua della Madonna. Non voleva disturbare la preghiera perché conosceva la sua fede assoluta ed incrollabile pertanto si sedette su una panca ed attese.
“Bruno vieni qua”. Don Angelo lo chiamò senza voltarsi e Bruno si avvicinò. “Ciao zio”. Mormorò. “Vieni. Inginocchiati qui con me”. Bruno s’inginocchiò riluttante accanto a lui. Suo zio continuava a fissare la Madonna con il bimbo in braccio. Anche lui si mise ad osservarla. Era una statuetta barocca della Vergine che schiacciava il serpente; dal braccio sinistro pendevano alcuni rosari. Don Angelo terminò di pregare. Si fece il segno della croce ed abbracciò suo nipote. “Vieni andiamo in canonica, vedo che hai la faccia sconvolta. Voglio che mi racconti con calma che cosa ti è successo”. Bruno fece una smorfia d’imbarazzo. Suo zio lo guardò male; si era dimenticato di farsi il segno della croce e lo fece con un gesto goffo, giusto per non contrariare lo zio. “Vieni”. Lo incitò suo zio. Bruno stava ammirando il pulpito e le colonne di quella chiesa buia ed imponente. Sul pulpito c’era scolpita la figura di una sirena. La osservava con aria smarrita. “Significa la tentazione, in cui il buon cristiano non deve mai cadere…”. Lo ammonì l’anziano prete afferrandolo per un braccio. In canonica Don Angelo lo fece accomodare su una poltrona e gli offrì un po’ d'acqua. “Raccontami tutto adesso, ti ascolto”. Esortò sedendosi su una poltrona davanti a lui. Bruno raccontò la storia sua e d’Ana Paula. Descrisse tutti gli episodi di possessione senza trascurare neppure il minimo dettaglio. “Zio, cosa ne pensi? Ho visto davvero il demonio?” Interrogò il prete con faccia
sconvolta. Don Angelo sorrise divertito e posò il bicchiere sul tavolino. “Oh! No, figlio mio! Non hai visto il demonio, tranquillizzati... Satana, quando si manifesta, lo fa in modo diverso. E’ molto più aggressivo. Avresti visto in quel caso oggetti che si muovevano, pietre che cadevano, o mobili che si spostavano. No... tu non hai visto niente di tutto questo, quindi non è stata opera del demonio…”. “Zio. Ti giuro che ho visto e sentito tutto quello che ti ho appena raccontato…”. “E io ti credo. Ma quello che hai visto tu…”. Don Angelo si alzò in piedi e si mise a girare per la stanza stropicciandosi il mento con la mano. “Si vede che non sei pratico del Brasile…”. Sospirò ricordando la sua lunga permanenza in missione a Manaus. “In Brasile devi sapere che sono episodi frequenti…”, proseguì, “si tratta di spiriti, di fenomeni paranormali, ma non ti devi preoccupare o agitare. Era la manifestazione di uno spirito maligno. Uno dei cosiddetti spiriti imperfetti, ma non fanno mai del male sul serio, loro vogliono soltanto spaventare... certo che... ”. S’interruppe e diventò serio. Bruno lo guardò con il fiato sospeso. “Certo cosa?” Domandò ansioso. “Certo che... possono aprire le porte al demonio... ma la tua amica... come hai detto che si chiama? Ana Paula? Non è posseduta ancora da Satana... si tratta solo di spiriti maligni o imperfetti come ti ho appena spiegato... ”. Bruno aveva la testa bassa e le labbra che gli tremavano. “Ma non si possono esorcizzare questi spiriti maligni?" Sorseggiò dell’acqua con le mani tremolanti. “Esorcizzare? Sì... in teoria si potrebbe ma... non so se ne valga proprio la pena... in fondo sono spiritelli pressoché inoffensivi…”. Sentenziò dopo aver riflettuto. “E tu potresti fare un esorcismo?” Chiese Bruno in imbarazzo. “Fare un esorcismo?” Replicò rosso in volto. “No mi spiace, non sono
autorizzato. Serve il permesso di sua eccellenza il vescovo... poi lei deve voler essere liberata da questi spiriti; è necessaria la sua presenza. Se la porti qui da me, possiamo parlarne, poi posso indicarti un buon esorcista... ”. Don Angelo camminava nervosamente avanti ed indietro nella stanza. Sapeva di essere un ottimo esorcista ma il vescovo, dopo lo scandalo, gli aveva negato il permesso di esercitare questo servizio. Stava pensando agli anni in Brasile ed al suo amore per Glayce, la giovane vedova mulatta di ventitré anni con cui aveva avuto un figlio. A Manaus aveva praticato, allora con l’autorizzazione del vescovo locale, numerosi esorcismi. Per nascondere lo scandalo del figlio illegittimo, una volta scoperto, fu richiamato in Italia ed esiliato in quella chiesa di campagna che, seppur splendida, lo teneva piuttosto isolato dal mondo perché aveva da servire soltanto pochi ed anziani parrocchiani e dopo anni si sentiva ormai dimenticato. Di nascosto, Don Angelo ogni mese inviava dei soldi in Brasile a suo figlio. Adesso pensava a lui ed era triste, ma non poteva parlarne con suo nipote; di questo suo dramma intimo non poteva raccontare nulla a nessuno. “Zio, tu devi aiutarmi, ti prego. Lei adesso è ancora in Brasile e non so quando tornerà in Italia. E’ possibile fare un esorcismo a distanza?” Il prete lo guardò pensoso. “Un esorcismo a distanza? Tu vorresti un esorcismo a distanza su di lei…no... non si può... o meglio si può, però non funziona quasi mai. È necessario che la persona posseduta sia presente e voglia liberarsi dal demonio o dagli spiriti. In teoria sarebbe possibile farlo perché è previsto da Santa Madre Chiesa, ma le speranze che funzioni sono davvero poche. Neppure il papa può riuscire a compiere esorcismi a distanza con una qualche reale efficacia... ”. Si voltò verso suo nipote. Vide che era triste. “Sei molto innamorato di lei?” Bruno sussultò nel sentire questa domanda. “Non lo so... mi piace molto... vorrei aiutarla…”. Balbettò confusamente. Don Angelo sorrise e fece segno di sì con la testa.
“Ascolta Bruno; prima di andare dall'esorcista, uno psichiatra cattolico deve in ogni caso accertare che non soffra di patologie ma... aspetta... vado a prendere una cosa... ”. Scomparve in un'altra stanza e tornò dopo una decina di minuti con un foglio ed una scatolina in mano. “Tieni. Questi potranno esserti d’aiuto”. Porse il foglio e la scatolina al nipote. Bruno lesse stampata sul foglio una lunga preghiera in latino. “Che cos'è?”Non capiva il significato. “Questo è l'esorcismo breve di Leone XIII. Non è un esorcismo solenne, che può essere esercitato soltanto da un sacerdote autorizzato. L’esorcismo breve, se recitato ogni giorno, serve a preservarci e difenderci dalle tentazioni e persecuzioni del maligno. Recita ogni giorno questa preghiera ed invoca la Beata Vergine, che ha il potere di scacciare il demonio, di avere misericordia di Ana Paula. Prega anche San Michele Arcangelo e San Benedetto”. Bruno aprì la scatolina. Conteneva la medaglia di San Benedetto che ben conosceva. La prese in mano e se la rigirò tra le dita. “Ana Paula ne porta una simile al collo…”. Sibilò. Don Angelo scosse la testa. “Si vede che lei teme il demonio e che lo spirito maligno apra la porta a Satana... povera figlia... cerca di proteggersi dalla Bestia. Sai che cosa significa questa medaglia?” Bruno annuì e recitò a memoria il significato delle lettere impresse sulla medaglietta. Suo zio lo guardò soddisfatto e compiaciuto. “Che bravo! Complimenti! Te l’ho insegnato tanto tempo fa quando eri piccolo ed ancora te lo ricordi perfettamente…vieni, andiamo a pregare…”. Don Angelo
indicò un crocifisso con un inginocchiatoio alla parete. “Adesso recitiamo insieme l'esorcismo breve”. Il prete s’inginocchiò e si fece il segno della croce. “Princeps gloriosissime caelestis militiae, sancte Michael Archangele, defende nos in proelio et colluctatione, quae nobis adversus principes et potestates, adversus mundi rectores tenebrarum harum, contra spiritualia nequitiae, in caelestibus... ”. Bruno notò che suo zio recitava perfettamente a memoria la preghiera, mentre lui faticava a seguirne la lettura in latino sul foglio. Don Angelo la recitò tre volte; si fece nuovo il segno della croce. Poi si voltò e benedisse suo nipote. “Adesso vai”. Esortò il nipote con espressione serena. “Non dimenticarti mai di pregare e ti prometto che pregherò anch'io per voi”. Si abbracciarono e si congedarono. Don Angelo chiuse la porta e corse nella sua stanza da letto. Aprì un cassetto e frugò in alcune carte finché non trovò una busta gialla. L’aprì con le mani che tremavano. Conteneva alcune foto: erano le foto di Glayce e di suo figlio Lenildo. Sospirò nel vedere il giovane volto di Glayce con i suoi occhi azzurro chiaro. Conobbe Glayce quando celebrò lui stesso il suo matrimonio conPatrick. Erano una bella coppia felice e leirestò incinta dopo poche settimane dal matrimonio, ma il giovane marito Patrick, muratore, morì in un incidente sul lavoro cadendo da un’impalcatura quando lei era al terzo mese di gravidanza.Don Angelo celebrò quel funerale con gli occhi di lei che lo fissavano chiedendogli la ragione di tanto dolore e lui riuscì con difficoltà a celebrare la messa facendo appello a tutta la sua fede. La andò a trovare l’indomani a casa sua, una povera baracca di legno, per consolarla. Era affranta e contornata da alcuni parenti. Lui cercò di parlarle, ma gli occhi di lei lo bloccavano; gli impedivano di proferire parola. L’unica cosa che riuscì a fare fu di abbracciarla in silenzio mentre lei singhiozzava. Continuò ad andare a trovarla anche dopo aver partorito il bambino e mentre lei frequentava la parrocchia e si innamorarono segretamente. Dopo due anni, nacque Lenildo e Glayce riuscì a tenere nascosta l’identità del padre, ma qualcuno nella curia di Manuas cominciò
ad avere sospetti dopo una spiata da parte di ignoti e Don Angelo fu richiamato in Italia. Il prete guardava con nostalgia le foto di Glayce e di Lenildo, poi le ripose con cura nella busta. “Povero Bruno, non hai capito proprio nulla. Non conosci le donne brasiliane, e neppure la differenza tra spiritismo e ione”. Mormorò tra i denti con un sospiro e richiuse il cassetto. Bruno tornò a casa. Si rigirava tra le mani, con una certa dose di scetticismo, il foglio con la preghiera e la medaglietta di San Benedetto. Accese il computer. Erano alcuni giorni che non leggeva la posta. C'erano molte e-mail: una proveniva da Ana Paula. “Pazzo, dove sei? Ti ho cercato per due giorni in tutta Rio. Che ti è preso ad andartene ed abbandonarmi da sola in quel modo? Adesso sono a casa mia,a Juiz de Fora. Dammi tue notizie ti prego”. Bruno ebbe un tuffo al cuore leggendo le parole d’Ana Paula, ma non se la sentì di risponderle subito. Ripensava alle parole dello zio. Voleva liberarla da quelle possessioni e non sapeva come. Suo zio le aveva pure raccomandato di farla visitare da uno psichiatra, prima di accompagnarla da un esorcista.Forse uno psichiatra avrebbe potuto trovare almeno una spiegazione logica di quegli strani episodi. Bruno si ricordò della sua vecchia amica Silvia. Dopo la laurea esercitava la professione psicoterapeuta in un centro specializzato d’assistenza. Sapeva che, come lui, non credeva in Dio, ma era importante conoscere anche il suo parere. Cercò il suo numero di telefono nell'agenda. “Pronto, Silvia? “ “Pronto. Riconosco la tua voce… ma tu sei Bruno!” Era felice di udire la voce del vecchio compagno di scuola. Frequentavano il liceo e, per un certo tempo erano stati insieme, ma il loro rapporto non funzionava; si lasciarono restando buoni amici.
A Silvia le tornarono subito in mente gli anni della scuola ed i pomeriggi di studio e d'amore di nascosto ai genitori. Provò una certa nostalgia anche adesso che era felicemente sposata ed aveva un figlio ma il rapporto con Bruno era difficile per i tentennamenti e le indecisioni di lui. “Che bella sorpresa sentirti dopo tanto tempo! Come stai? “ Gridò con sincera felicità. “Sto bene e tu? “ Rispose Bruno in tono cupo. Silvia capì subito dalla sua voce che c'era qualcosa che non andava. “Sto bene, grazie”. Restò brevemente in silenzio per capire cosa voleva. “Ho bisogno di parlarti; ci possiamo vedere?” “Certo Bruno, volentieri. È una cosa urgente?” “Abbastanza. Mi dispiace disturbarti ma…”. Lui era in apprensione. Temeva che lei avesse troppi impegni di lavoro e non potesse incontrarlo in tempi brevi. “Se sei libero, domani ci potremmo vedere nella pausa pranzo. Verso le due”. Lei aveva l’agenda fitta di appuntamenti ma desiderava rivederlo. “Ok. Per me va benissimo”. Bruno si sentì sollevato per non dover attendere molto. Fissarono un appuntamento in un bar del centro dove Silvia sostava abitualmente per colazione. Bruno arrivò al bar all'orario convenuto. Dopo pochi minuti, Silvia lo raggiunse. Si abbracciarono dopo tanto tempo ed entrambi provarono un’emozione tenera ed intensa. “Ho bisogno di parlarti. Mi è capitata una cosa strana”. Bruno la invitò a sedersi dopo aver scambiato i soliti convenevoli. A quell'ora il bar si stava svuotando e
Silvia suggerì un tavolino in un angolo tranquillo. Bruno sospirò e cominciò a raccontare la storia d’Ana Paula e tutti gli episodi a cui aveva assistito. Silvia l'ascoltava con molta attenzione e concentrazione. “Che cosa ne pensi tu che sei una psichiatra?” La interrogò con ansia alla fine del suo racconto. Lei sorrise e scosse la testa. “Ah! Bruno, che sciocco sei stato… potevi telefonarmi prima. Ti avrei spiegato tutto ed avresti evitato tutto lo stress che hai subito inutilmente in questa vicenda”. Bruno la guardò meravigliato. “Da quello che mi hai raccontato, naturalmente non la conosco direttamente questa Ana Paula, ma mi sento di poter affermare che, con buona probabilità, lei potrebbe essere affetta da una forma di schizofrenia…”. Silvia aveva un tono tranquillo di voce. “Ne sei sicura?” L'ansia di Bruno cresceva. “Beh! Proprio sicura no perché non ho la paziente davanti a me, maho conosciuto decine di casi simili a questo di presunta possessione spiriticao demoniaca. Mi sembra che lei rientri a pieno titolo nella casistica. Ho una paziente al centro dove lavoro che, quando si trova in condizioni normali, è una persona tenera, la più dolce del mondo; ma quando scatta la schizofrenia diventa terribile. Odia tutto e tutti, parla male e va avanti così per almeno quattro o cinque ore di seguito”. “Questo lo capisco, ma come spieghi che Ana Paula, durante la possessione spiritica, avesse i piedi e le caviglie gonfi, quasi sanguinanti e che, dopo pochi istanti fossero tornati normali? Sono sicuro di aver visto bene con i miei occhi e di non aver avuto allucinazioni”. Silvia sospirò. “La schizofrenia, amico mio, è una brutta malattia. Può succedere che, quando si
manifesta in forme estreme, il paziente subisca delle contrazioni muscolari e, soprattutto facciali: deformazioni della bocca e della voce, strabismo, orbite roteanti eccetera. Quindi anche il gonfiore delle gambe può essere benissimo una manifestazione della patologia; inoltre Ana Paula potrebbe assumere degli psicofarmaci che possono avere effetti collaterali quali appunto gonfiori delle gambe ed arrossamenti”. Bruno cominciò un po’ a schiarirsi le idee, anche se non era del tutto persuaso. “E come ti spieghi che Ana Paula abbia cambiato repentinamente atteggiamento quando ho ripetuto per tre volte che volevo parlare con lei e non con lo spirito maligno?” Silvia bevve un sorso d'acqua da un bicchiere che aveva ordinato al barista. “La spiegazione anche in questo caso è piuttosto semplice: si tratta di quelle che si chiamano parole chiave schizofreniche. Attraverso queste parole lo schizofrenico a dallo stato d’alterazione allo stato di normalità. Bisogna stare anche molto attenti però perché le parole chiave possono funzionare pure in senso inverso, ossia lo schizofrenico può are anche dallo stato normale a quello alterato. Però, in questo caso, non ti consiglierei di provarci…”. Silvia sorrise. Bruno era colpito e gli sembravano divenuti improvvisamente lontani gli ammonimenti di suo zio a pregare. Le parole di Silvia spiegavano in modo logico e razionale a tutta la vicenda anche se lui, nel suo intimo, non era ancora completamente convinto.Il volto di Silvia era però molto rassicurante. “Scusami ma tra poco devo tornare a lavorare. Ti consiglio di dimenticarla questa Ana Paula, lasciala perdere. È meglio per te credimi”. Guardò l'orologio e si alzò. “Ma non posso fare proprio nulla per aiutarla? “ Chiese scoraggiato Bruno. “Tu puoi fare ben poco…”, Silvia indossò la giacca, “a parte convincerla a rivolgersi a un buon psichiatra... ma è un percorso lungo credimi: farmaci e psicoterapiasono leuniche cose che servono…”. “Posso accompagnarti?” Domandò esitante lui.
“Ma certo! Volentieri”. Sorrise lei con piacere. Uscirono dal bar. “Però c’è un’altra cosa che volevo chiederti... ”. Bruno non riusciva a convincersi. “Dimmi pure”. “Perché questa malattia non le si è mai manifestata qui in Italia. Lei miha sempre assicurato che le possessioni sono avvenute soltanto in Brasile? Se è malata, lo sarà in Brasile come altrove, no?” Silvia sorrise e lo prese a braccetto. Aveva piacere a riscoprire il calore di Bruno dopo molto tempo. “Forse si può spiegare anche questo. Evidentemente Ana Paula ha sofferto in Brasile di forti situazioni di disagio psico-fisico e, quando rivede quei luoghi, le scatenano la schizofrenia. Qui in Italia è fisicamente lontana e vive in un ambiente più rilassato, perciò la malattia può non manifestarsi”. Bruno la ascoltava assorto. “Sai… la sera che l’ho lasciata sono andato in un albergo. Ho il televisore e c'era un canale che trasmetteva l'immagine fissa di un demone. Come poteva essere un fatto casuale? Poi, per tutta la notte, c'era una porta che sbatteva e faceva rumore e due persone nella stanza accanto che facevano l'amore... credevo di impazzire…”. Silvia lo strinse a sé e l'accarezzò: “Bruno... si è trattato soltanto di un fenomeno d’autosuggestione... tu hai visto ed interpretato la realtà in modo diverso da quella che era. Magari il demone in TV l'hai visto davvero, ma non c'entra niente con i presunti spiriti e con Ana Paula. Ti trovavi in una situazione di forte stress psicologico”. Arrivarono davanti al portone del centro dove Silvia lavorava. “Grazie Silvia, sei stata davvero utile e mi ha fatto molto piacere rivederti. Non so come sdebitarmi con te”. “Vuoi scherzare? E' stato bello anche per me rivederti. Non sentirti in debito con
me. Ci mancherebbe altro! Ci siamo lasciati da amici e siamo amici. Anch'io spero di rivederti presto... ”. Si congedarono. Silvia era un po’ commossa e provava desiderio fisico per lui. Avrebbe voluto che la prendesse come quando studiavano insieme. “Sarà davvero schizofrenia? O forse grande amore che fa brutti scherzi, avresti bisogno tu, Bruno, di uno psicologo…”. Mormorò Silvia senza farsi sentire. Bruno invece continuava a rimuginare dentro di sé. Il giorno seguente Bruno tornò a lavorare. Era stanco e svogliato. Giacomo lo chiamava spesso al telefono. Sapeva quello che era successo perché Bruno glielo aveva raccontato ed era preoccupato per lui. “Non avresti dovuto correre dietro quella puttanella brasiliana. Hai perso proprio la testa per lei! Sei stato uno sciocco. Hai fatto pure un lungo viaggio per poi fuggire in anticipo. Chissà dov'è quella adesso! Non pensarci più!” Era il ritornello che Giacomo ripeteva a Bruno. Bruno l'ascoltava e rispondeva che Ana Paula, in ogni caso, era una persona che aveva bisogno d’aiuto. “Lasciala perdere, dammi retta! Trovati un’altra che è meglio per te!” Bruno pensò ad Antonella ed ebbe un brivido. “Adesso ho da fare Giacomo, scusami, ma devo proprio riattaccare. Ci sono delle persone che aspettano”. Bruno non era completamente convinto dalle parole di suo zio, né da quelle di Silvia, né da quelle di Giacomo. Sospettava che suo zio volesse cogliere l’occasione per riavvicinarlo alla fede cattolica; percepiva un pizzico di gelosia nelle parole di Silvia, invece quelle di Giacomo trasudavano invidia. Propendeva a credere nell’ipotesi che Ana Paula fosse affetta da un disturbo psichico, magari non proprio la schizofrenia che sospettava Silvia, perché gli sembrava strano che si fosse manifestata così violentemente in Brasile, mentre in Italia non le era mai accaduto nulla del genere. Nel pomeriggio gli venne in mente un'idea. Tornò a casa ed accese il computer. Cercò il messaggio d’Ana Paula e rispose:
“Sono tornato a casa. Perdonami per averti lasciata sola così a Rio de Janeiro. Ero troppo spaventato dalle tue possessioni spiritichee non ce la facevo più a restarti vicino perché ho avuto paura. Sono stato un vigliacco, lo so bene, e ti chiedo perdono. Bruno”. Inviò il messaggio sicuro che lei avrebbe risposto in breve tempo e, prima di andare a letto, ne ebbe la conferma: “Sei un miserabile. Mi hai lasciata a Rio da sola. Sono arrivata a Juiz de Fora. I miei genitori volevano conoscerti ed erano contenti, ma gli ho dovuto raccontare che tu eri dovuto tornare, all’improvviso, in Italia perché tua madre stava in ospedale. Non gli ho detto che mi avevi abbandonata perché non volevo parlare male di te. Hanno visto che ero triste e piangevo, ma hanno pensato che lo fossi soltanto perché tu non c’eri. Lo sai che ti amo. Non lasciarmi, ti prego”. Bruno rispose subito: “Ti voglio bene e voglio vivere con te. Però non posso convivere con gli spiriti. Non ce la faccio. Cerca di capirmi e, per favore, fai tutto il possibile per liberarti presto da questo problema che ti opprime. Ho parlato con mio zio sacerdote ed abbiamo pregato insieme per te, io che non sono neppure credente, ma lui non può fare esorcismi. Ti prego, cerca un padre esorcista a Juiz de Fora e parla con lui. Vedrai che ti aiuterà”. Terminò di scrivere ed andò a letto. Sperava che lei accettasse il consiglio e non riusciva a prendere sonno. La risposta di Ana Paulanon tardò ad arrivare l’indomani: “Sono molto felice che tu abbia pregato. Questo significa che stai riavvicinandoti a Dio e sono davvero contenta. Mi dispiace di averti fatto arrabbiare così. Perdonami. Se desideri che vada dal padre esorcista lo farò”. Bruno considerò quel messaggio come un o in avanti nella giusta direzione e replicò assecondandola:
“Sì, mi sto avvicinando volentieri a Dio. Voglio intraprendere questo cammino insieme con te e desidero che tu abbandoni per sempre gli spiriti, perché essi possono aprire le porte al demonio. Non aspettare; cerca un padre esorcista, però mio zio mi ha consigliato che tu vada prima a farti visitare da uno psichiatra, perché un padre esorcista vuole essere sempre sicuro che non ci siano malattie prima di praticare un esorcismo”. Bruno incrociò le dita nella speranza che si rivolgesse a uno psichiatra. Il giorno dopo Ana Paula rispose: “Dallo psichiatra? Ma tu pensi che io sia davvero pazza? Non sono pazza, non è come pensi tu. Sono già stata dallo psicologo in ato e mi ha assicurato che non sono malata di mente. Ho soltanto bisogno ritrovare la mia felicità e serenità con una nuova famiglia”. Bruno era appena tornato a casa, quando lesse quell’e-mail. Sapeva di mettere a repentaglio tutto, ma non gli restava scelta. “Stai tranquilla. Non ho mai affermato che tu sia pazza. Tu mi hai detto che sei posseduta dagli spiriti e ne ho avuto la prova: l'ho visto con i miei occhi quella sera a Copacabana; non mi dimenticherò mai i tuoi piedi così gonfi, che sono ritornati normali dopo pochi istanti. Ti voglio bene, ma non posso convivere con i tuoi spiriti perciò devi assolutamente liberartene! Fallo almeno per il tuo bene! Ti ho chiesto di andare da uno psichiatra perché nessun esorcista serio ti prenderebbe in considerazione, se prima non è accertato che tu non soffra di malattie, poi eventualmente faranno l'esorcismo. Me lo ha detto mio zio. È sacerdote ed ha vissuto a lungo inBrasile. Se ne intende di queste cose. Abbi fiducia e non avere timore”. Il giorno successivo Bruno non trovò alcuna risposta da parte di Ana Paula. Pensò che stesse riflettendo prima di intraprendere quella strada. Non era certamente semplice iniziare un percorso così e lei, probabilmente, non si rendeva neppure ben conto del suo stato. Per tre giorni Bruno non ricevette notizie di lei e si decise a scriverle un nuovo messaggio: “Ciao come stai? Da qualche giorno non ho più notizie. So che non è facile, ma spero tanto che tu segua il mio consiglio perché voglio vederti felice”.
Ana Paula attese ancora un paio di giorni, poi finalmente si decise: “Ti ho sempre creduto una persona intelligente. Come hai potuto essere invece così stupido? Come hai potuto credere alle possessioni spiritiche? Uno come te che non crede neppure in Dio? Devi sapere che non ho studiato soltanto danza e canto. Ho studiato anche recitazione e teatro per quattro anni e so recitare abbastanza bene. Tu non hai mai capito che ti amo davvero. Ero molto arrabbiata con te per questo motivo e allora ho fatto finta di essere posseduta dagli spiriti. Volevo un po’ vendicarmi della tua irresolutezza e cercare di scuoterti. Volevo farti vedere come può essere brutto il male affinché tu apprezzassi il bene, cioè l'amore. Siccome sapevo che tunon avresti creduto che ero posseduta davvero da uno spirito maligno, ho voluto rendere la scena più forte e drammatica. Mi sono legata stretta i sandali, quando siamo usciti da casa e, camminando, mi si sono gonfiati i piedi e le caviglie. Per farli sgonfiare ho semplicemente allentato le stringhe senza che tu lo notassi. Ho usato per questo un trucco teatrale che avevo imparato alla scuola di teatro. Non è stato per niente facile ed avevo paura che lo scoprissi, ma tu, spaventato com’eri,non ti sei accorto di nulla. Non esistono gli spiriti e non sono posseduta da alcuno spirito, né buono né cattivo. Sono perfettamente sana di mente e tutta quella messa in scena era soltanto un tentativo estremo per risvegliarti dal torpore dei tuoi sentimenti e delle tue eterne indecisioni. Il mio errore è stato quello di ricominciare a prendere le anfetamine che mi hanno sballato troppo la testa. Non le prendevo da tanto tempo è ho sbagliato perché mi hanno indotto a reagire così violentemente nei tuoi confronti. Sono stata un’imprudente e ho esagerato, mentre avrei dovuto usare maggiore cautela; ne sono consapevole e ti chiedo umilmente perdono. Ma ho già buttato via la scatola di quella merda di anfetamine e non ne prenderòmai più, credimi. Se pensi ancora che io sia malata di mente, allora mi rivolgerò davvero allo psichiatra per farmi certificare che sono perfettamente sana e innamorata di te. Sempre tua Ana Paula Pereira dos Santos”. Bruno lesse sbalordito quelle righe sul monitor del computer non credendo ai propri occhi. Lesse e rilesse con cura ogni parola, mentre la rabbia gli cresceva
forte ed incontenibile dentro di sé. Si sentiva preso in giro, frustrato, trattato come un imbecille ed avvertiva una ferita profonda nel suo orgoglio. Non volle rispondere subito a quel messaggio. Cercò di riflettere con calma, ma era accecato dall'ira. Si muoveva in giro per casa e non pensava ad altro. Era tardi, e non aveva sonno. Alle tre del mattino decise di risponderle: “Come hai potuto farmi questo? Tu dici di amarmi invece mi hai preso in giro trattandomi come un cretino. Hai recitato un’ignobile sceneggiata e neppure hai avuto il coraggio di chiedermi subito scusa. Sono scappato via da Rio di Janeiro spaventatissimo e preoccupato per te. Sono stato primada mio zio a chiedere consiglio per liberarti dagli spiriti ed ho pure pregato davvero per te insieme a lui. Poi ho chiesto consiglio alla mia amica psichiatra e mi ha assicurato che tu manifesti chiaramente i sintomi della schizofrenia. Adesso mi racconti che era tutto uno scherzo, che era colpa dell’anfetamina? Non soffrirai di schizofrenia, ma come minimo sei una pazza isterica! Come puoi pensare che io ami una come te? Era meglio se davo retta agli amici e ti lasciavo perdere subito. Adesso comunque mi hai perso davvero. Non cercarmi mai più. Bruno”. Spense il computer ed andò a letto. Cercò di dormire, ma era molto nervoso ed arrabbiato. Gli sembrava impossibile che lei avesse potuto architettare una messinscena simile solo per amore e si stava intimamente convincendo che Ana Paula fosse davvero pazza. “Caro Bruno, Perdonami se ti ho fatto arrabbiare così. Ma ti giuro che non volevo arrivare a questo punto. Non so cosa mi è preso, sono stata una stupida, lo ammetto; però tu devi sapere che, quando una donna ama davvero, è capace di tutto. Se adesso tu non mi vuoi più me ne farò una ragione. Soffrirò e mi disilluderò. Voglio soltanto dirti che sbagli perché tu ascolti il sacerdote, ascolti la psichiatra, ascolti Giacomo, ascolti tutto e tutti, ma tralasci di ascoltare la cosa più importante, l’unica cosa che vale davvero la pena ascoltare: il tuo cuore. Tu sai vivere, ma non vuoi vivere.
Sono qui che piango, pensando te ed al nostro amore. Vedrai che presto piangerai anche tu. Addio Ana Paula”. Bruno cancellò subito il messaggio d’Ana Paula dalla posta elettronica. “Presto piangerai anche tu”. Ripensava a quella frase che suonava come una minaccia. Non soltanto l’aveva ingannato con gli spiriti, adesso pure cercava di intimidirlo. Era molto deluso e depresso. Non avrebbe mai immaginato che Ana Paula potesse essere scellerata fino a questo punto. Spense il computer. Cancellò pure il suo numero dalla rubrica del telefonino. Con fatica cercò lentamente di dimenticarla. Alcuni mesi dopo, Bruno eggiava per la città e ò casualmente davanti al negozio d’articoli per bambini, dove incontrò Ana Paula la prima volta. Ormai si era quasi completamente dimenticato di lei. Era uscito nel frattempo con altre ragazze senza però instaurare relazioni serie. Giacomo e Lucia, nel frattempo, erano in procinto di sposarsi e lui non era più tornato alla discoteca dove lavorava Ana Paula. Non aveva avuto più notizie di lei e non sapeva neppure se era rimasta in Brasile o fosse tornata in Italia. Distrattamente dette un’occhiata all’interno del negozio. Era vuoto; c'era solo una giovane commessa che, annoiata, attendeva i clienti e la fine della giornata lavorativa. Fece finta di guardare la vetrina e gli ritornò subito in mente Ana Paula; ripensò a quanto fu felice di incontrarla quel giorno. Era così impacciato e confuso che non sapeva bene cosa dirle. Rivide i molti momenti belli trascorsi con lei e a com’era felice di andare in Brasile ed attraversare l’oceano per la prima volta. Poi provò profonda tristezza per com’era finita male la loro storia. Dette una scrollata di spalle: “E’ la vita…”. Si rassegnò immaginando una giostra che gira e si voltò per andarsene. Ana Paula gli apparve improvvisamente davanti come un fantasma dall'aldilà.
Lei era immobile e lo guardava con volto inespressivo. Lui, dapprima pensò fosse un’allucinazione o l’ennesimo fenomeno d’autosuggestione. Poi capì che era davvero lei, seppure un po’ ingrassata e con i capelli più corti. “Ciao Bruno”. Salutò lei in modo anodino. “Ciao Ana Paula…”. Rispose sorpreso ed incredulo notando che era in stato d’avanzata gravidanza. “Che sorpresa vederti... non me l’aspettavo…poi proprio qui…”. Era visibilmente confuso. Non avrebbe voluto incontrarla di nuovo eppure adesso era curioso di parlarle, di sapere come stava dopo tutto quel tempo. “Come stai? “ Chiese lei dissimulando una certa indifferenza. “Sto bene e tu?” “Bene grazie, stavo giusto andando a comprare qualcosa per lui... ”. Alluse al suo pancione. “Vedo che stai aspettando un figlio... deve mancare poco tempo ormai…”. Balbettò Bruno. “Sì, ormai ci siamo. È soltanto questione di pochi giorni”. Rispose lei sorridendo, evidentemente felice. Lui tentò di andarsene. “Si è fatto tardi... scusa, ma devo andare…”. “Ho bisogno di parlare con te. E’ da molto tempo che non parliamo... ”. Lo afferrò per un braccio con tono fermo. “Ok”. Bruno non avrebbe voluto, tuttavia era curioso. “Non posso stare in piedi a lungo. Andiamo da qualche parte dove possiamo stare seduti”. Bruno la invitò ad andare in un caffè.
“Ti dispiace se andiamo a casa tua? Ho desiderio di rivederla”. Chiese lei e lui annuì un po’ controvoglia. Giunsero in auto a casa di Bruno dopo pochi minuti. Ana Paula entrò e si guardò intorno. Esprimeva con gli occhi un’evidente nostalgia per quella casa. Vide la poltrona e si sedette. Bruno la guardava mentre non provava più alcun rancore per lei. Bruno le chiese se desiderava qualcosa da bere. Accettò un bicchiere d'acqua che bevve d'un fiato. “E’ tuo il figlio che aspetto”. Affermò senza esitazione. Bruno sentì subito il sangue che gli si rimescolava nelle vene. Aveva fatto spesso sesso non protetto, ma sapeva che lei prendeva la pillola. Gli parve l’ennesima provocazione. “Non ti è ata ancora la voglia di scherzare?” Lei aveva invece un'espressione seria e tesa. “E’ la verità”. Confermò con le lacrime agli occhi. “La verità di un'attrice…ma non ti sembra di aver già recitato abbastanza con me? Non ti sei stancata? Smettila, ti ho perdonato, ma per favore non ricominciare…”. Bruno iniziava adinnervosirsi ed era pentito di averla lasciata entrare a casa sua. “Bruno. Io non sto recitando. Questa è la pura verità; te lo giuro su Dio. Se non mi credi, faremo il testdel DNA”. Il tono d’Ana Paula non lasciava spazio ad incertezze o dubbi e cominciò a piangere sommessamente, singhiozzando. “Come... come hai potuto farmi questo?” Bruno si sedette sul divano per non svenire dalla forte emozione. “Stai tranquillo. Non agitarti. Se non vuoi o non te la senti di fare il padre di nostro figlio, saprò come arrangiarmi. Non ti chiedo né ti chiederò mai nulla.
Non devi preoccuparti, ma è giusto che tu lo sappia”. Sospirò e il pianto cessò. Lui era pallido e teso, mentre l'ascoltava. “Sono io che voglio ed ho voluto questo figlio. Solo e soltanto io… “ Affermò in modo deciso. “Ma tu l’hai volutocon l’inganno, sei un’egoista…”. Provò a replicare Bruno. Ana Paula inspirò. “Io ero e sono ancora innamorata di te, ma tu non hai mai voluto ascoltarmi. Volevo un figlio; un figlio che fosse davvero mio. Se ti avessi chiesto di farlo tu mi avresti risposto sicuramente di no…”. Bruno fece cenno di no con la testa per confermare. Ana Paula proseguì: “Quella sera a Rio de Janeiro che finsi di essere posseduta dallo spirito maligno, facemmo l'amore in cucina, sul tavolo…ti ricordi? Saranno state le anfetamine che avevo ingerito…tu eri molto eccitato... ebbene, io, volutamente, non avevo preso la pillola quel giorno…”. Bruno arrossì violentemente al ricordo di quella sera. Avrebbe voluto cacciarla fuori di casa, ma non ne aveva le forze. “Tu sei pazza…ingannatrice…io non voglio il figlio di un inganno. Non lo voglio! Te la dovrai vedere da sola…”. Gridò. “Questo lo so già…”. La sua voce era fredda ma sicura. “Non voglio niente da te; te l’ho detto. Voglio soltanto lui…”.Indicò di nuovo il suo ventre ingrossato. “C'è mia sorella qui in Italia che mi aiuterà. Per i soldi non ho problemi, lo sai che la mia, per fortuna, è una famiglia benestante. Mio padre m’invierà tutto quello di cui ho bisogno. Desideravo questo figlio e sono venuta a farlo nascere qua. Il fratello del proprietario della discoteca dove lavoravo è un ginecologo. Lo conosco bene e nascerà nella sua clinica…”. Ana Paula si alzò mentre Bruno aveva lo sguardo a terra.
“Adesso devo andare... ”. Si diresse verso la porta e Bruno si alzò per accompagnarla. “Ciao”. Lo baciò sulla guancia e Bruno non reagì. “Quando partorirò te lo farò sapere… qualora ti interessi veder nascere tuo figlio…”. “Non contare su questo…”. Sussurrò lui con un tono flebile di voce. Ana Paula se n’andò. Bruno notò un lieve sorriso sulle sue labbra mentre usciva. Bruno sentiva la testa che gli girava e se n’andò a letto. Nella notte fu colto da una forte febbre e stette male anche nei giorni seguenti. Dopo una settimana esatta da quell'incontro, una mattina, ricevette un SMS: “Sono in clinica. Ho le doglie; il bambino sta per nascere”. Ana Paula aggiunse il nome della clinica. Era una clinica privata che Bruno conosceva. Era rientrato proprio quel giorno a lavorare dopo la malattia. Lesse il messaggio e restò apparentemente indifferente. Continuò a lavorare per non pensarci. Alle cinque del pomeriggio terminò il lavoro e salutò i colleghi come di consueto. Uscì dall'ufficio e cominciò a camminare. Come attratto da un misterioso magnetismo si avviò in direzione della clinica che distava circa una mezz’ora a piedi. Camminava senza pensare a nulla, come un automa. Giunse alla clinica e chiese al portiere dove fosse la sala parto. Il portiere, con un sorriso, rispose di salire al secondo piano. Salì su in ascensore, poi entrò in un corridoio. Un'infermiera lo vide e gli domandò chi cercasse. Bruno pronunciò il nome d’Ana Paula. “E’ lei il padre? Faccia presto, allora! Si sbrighi!” Intimò l’infermiera. L’accompagnò di corsa in una stanza e gli fece indossare un camice verde.
“Mi segua, venga con me! “ L’infermiera lo prese per mano e lo condusse in sala parto. Aprì la porta con cautela e poi gli fece cenno di entrare. C'erano delle grida della sala. Erano le grida di dolore e di gioia d’Ana Paula. “Ci siamo. Signora, faccia un bel respiro e spinga! “ La incitava l’ostetrica. Il ginecologo teneva la testa del nascituro. Nessuno notò la presenza di Bruno in quel momento. Lui si mise in disparte ad osservare. Il bambino finalmente nacque e lo posarono sul ventre d’Ana Paula. Era ancora attaccato al cordone ombelicale, sporco di liquido amniotico ed aveva la pelle coperta d’ampie macchie rossastre. “Ciao Filippo…benvenuto alla vita! “ Lo salutò la madre accarezzandolo, molto commossa e con un filo di voce. Poi presero il bambino lo ripulirono e lo pesarono. In quel momento Ana Paula si accorse finalmente che anche Bruno era presente. Lo guardò con gli occhi stanchi ma pieni di un’ineffabile felicità e gli sorrise. Bruno restò serio ed abbassò lo sguardo senza salutarla. “Pesa tre chili e 200 grammi. Lo guardi com'è bello!” Il ginecologo, che nel frattempo aveva notato la presenza di Bruno, gli porse il bambino con un sorriso. Bruno lo guardò soltanto per un istante, poi dette un’occhiataccia al medico. Si voltò ed uscì di corsa dalla sala parto. Il medico, ancora con il bambino in braccio, restò esterrefatto. Era abituato alle reazioni emotive più diverse in quella sala. Nella sua lunga carriera aveva fatto nascere centinaia di bambini, ma aveva ancora visto un padre in fuga dopo la nascita del figlio. Guardò la madre con incredulità. Ana Paula fece un gesto stanco con il braccio facendo capire al medico di lasciarlo andare.
Bruno uscì dalla sala parto. Si tolse rapidamente il camice verde ed uscì sbattendo la porta. “Qualcosa non va? Non si sente bene?” Domandò l’infermiera preoccupata poco prima che uscisse. Lui non rispose. Andò per strada. Ripensava alla scena che aveva visto. Provava senso di rabbia. Sentiva di essere stato di nuovo ingannato da Ana Paula e camminò per ore senza meta. Era già tramontato il sole ma non aveva voglia di tornare a casa.Si stavano accendendo i lampioni e c’era poco traffico. ò davanti al negozio d’abbigliamento dove acquistò la camicia guayabera e si mise a osservare la vetrina. Il negozio era ormai chiuso a quell’ora. C’erano due manichini, due figure: una di un uomo ed una di una donna che, con i loro volti cerei, fissavano lo sguardo nel vuoto. Uno specchio, con la cornice dorata, era appeso sul lato. In esso vide la sua faccia riflessa con gli occhi rossi e pieni di lacrime. Stava piangendo. Non si ricordava neppure l’ultima volta che aveva pianto; forse quando era ancora un bambino. Una lacrima gli scendeva lentamente sul volto. Non riusciva a credere che fosse lui quello che piangeva nello specchio. Pensò che trattasse soltanto di un’allucinazione, finché non sentì un liquido caldo e salato che gli scese sulle labbra. Comparve all’improvviso un mimo di strada alle sue spalle che gli sorrise, mentre cercava di consolarlo con gesti e smorfie del viso. Lo vedeva riflesso nello specchio mentre mimava l’allegria della vita; il contrario dei manichini amorfi che non provano gioie né dolori. Gli esplose nella memoria quel lontano sapore di lacrime ormai dimenticato. Tentò di affrettare il o ma il mimo gli si parò davanti e gli fece un cennò di no con il capo. Non c’erano dubbi: stava proprio piangendo e capì che, da quel momento, cessava la sua vita da manichino, che i sentimenti esistono, sono parte della nostra vita e non si possono nascondere, né dimenticare né occultare. Il mimo lo prese allora delicatamente per mano invitandolo a tornare indietro sui suoi i verso la clinica per abbracciare suo figlio e Ana Paula. Bruno si lasciò prendere la mano come un bimbo; stava piangendo e sapeva perché e il mimo lo lasciò finalmente andare con un sorriso.