Il Confine 4o685a

Il confine Luca Bartolomei

Titolo | Il confine

Autore | Luca Bartolomei

ISBN | 9788891177551

Prima edizione digitale: 2015

© Tutti i diritti riservati all’Autore

Youcanprint Self-Publishing

Via Roma 73 - 73039 Tricase (LE)

[email protected]

www.youcanprint.it

Questo eBook non potrà formare oggetto di scambio, commercio, prestito e rivendita e non potrà essere in alcun modo diffuso senza il previo consenso scritto dell’autore.

Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata costituisce violazione dei diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941.

Agli amici miei, vicini e lontani ma sempre presenti Un ringraziamento particolare a mio babbo ed a Giacomo, per aver pazientemente letto e corretto questo testo

L'inizio Missione compiuta. Rientro alla base. L'agente Randa mandò il messaggio in codice di missione compiuta e subito, riprese i panni dell'innocua studentessa fuori corso. L'ultima missione era stata particolarmente complessa e per la prima volta l'agente Randa partecipò direttamente alle indagini, risolvendo brillantemente un caso di traffico internazionale di droga nascosta negli assorbenti ultra sottili. Ma partiamo dall'inizio. Il 12 novembre 2008, si era verificato un improvviso rialzo delle azioni di tutte le multinazionali degli assorbenti. Il panico subito si sparse fra le esponenti del gentil sesso, anche perché non erano ben chiari i motivi di quell'inaspettato rialzo. Fortunatamente almeno questo primo aspetto fu subito risolto. Gli ultimi membri dell'ordine dei frati feticisti avevano compiuto un'azione fulminea, riuscendo così a prendere in ostaggio diverse navi contenenti interi container di assorbenti nei più svariati formati. L'aver scoperto i mandanti dell'atto piratesco fu solo motivo di ulteriore preoccupazione, anche perché si credeva, almeno fino a quel momento, che l'ordine dei frati feticisti fosse stato sciolto alcuni anni prima a seguito della promulgazione della legge sulla libera circolazione della biancheria intima femminile. I frati feticisti per anni avevano compiuto azioni scellerate ma sempre basandosi su freddi calcoli; cosa che li aveva resi quasi invincibili. Il loro improvviso ritorno scatenò il panico. Subito si sparse la preoccupazione per un ritorno alla grande depressione, quando per mesi e mesi non c'era stata neanche l'ombra di un assorbente in tutto il mercato; sia quello legale che in quello illegale.

Le agenzie segrete di tutto il mondo si misero subito in azione concertando un comune operato. Il servizio segreto del quale Randa era membro non coinvolse quest'ultima perché i suoi capi la consideravano ancora troppo poco esperta per partecipare attivamente ad una missione così importante. Randa accettò la scelta dei suoi capi anche se a malincuore perché era ambiziosa e voleva raggiungere prima possibile il successo. I mesi arono senza che però nessuno dei vari agenti segreti sparsi per il mondo, fosse riuscito nell'intento di trovare il nascondiglio dei frati feticisti. Individuare i nascondigli dei frati non era una impresa facile, anche perché nel momento di massimo splendore l’ordine aveva aperto sedi in vari Paesi. Per scovare informazioni sui frati feticisti era scontato che i vari agenti segreti e le polizie accedessero al “Database unico”. Il potente software con tutte le sue diramazioni in base ai settori d'interesse era il fiore all'occhiello dei fautori del software libero. I più accesi sostenitori lo consideravano addirittura una creatura vivente, in quanto le sue singole parti potevano essere liberamente modificate da qualsiasi persona con un minimo di conoscenze informatiche. L'importante era che ogni modifica non impedisse la comunicazione con le altri parti. A dir il vero il nome “Database unico” non veniva più usato per indicare questo software. Ad un certo punto della sua vita era stato sostituito con la sigla S.P.I, che stava per “Sistema Parificato Informatico”. L'idea del “Database unico” era nata anni prima di quel fatidico 12 novembre 2008, dallo sviluppo in scala più ridotta di un progetto analogo portato avanti dalle due principali aziende del software proprietario: Winsoz e Lemon. Quest'ultima ormai non esisteva più, essendo stata inglobata dalla prima. Quando il suddetto progetto fu utilizzato per la prima volta nelle amministrazioni pubbliche più piccole, così da poter effettuare i primi test, subito cominciarono i malumori portati avanti dai fautori del software libero. Questi ultimi raccolsero svariati consensi tra le persone, in tutti i Paesi nei quali il software veniva utilizzato. Lo scontro tra le due concezioni di software (proprietario e libero) si ampliò fino a coinvolgere capi di stato e tribunali internazionali.

Alle fine intervenne l'O.N.U a dirimere i contendenti dando ragione ad i fautori del software libero. Il vecchio progetto fu messo in soffitta con l'intento di rifarne un altro che seguisse i dettami del software libero. Il giorno della sua inaugurazione il presidente dell’O.N.U fece il suo bel discorso su come quel sistema informatico, nato dallo sforzo congiunto di molti Paesi, fosse il simbolo della speranza per un mondo unito. Sicuramente in varie case sparse per il mondo, grazie alla impareggiabile retorica del presidente, fiumi di lacrime solcarono i volti delle persone in ascolto alla televisione. Nelle stesse ore tutti i social network furono tempestati dai messaggi di gioia e soddisfazione dei sostenitori del software libero (sia quelli della prima ora che quelli un po’ sospettosamente convertitisi all’ultimo momento). Non mancarono ovviamente le proteste dei soliti duri e puri, i quali trovavano inaccettabili alcuni compromessi che si erano dovuti raggiungere. Solo dopo un po’ di tempo (in fin dei conti non poi molto: poche settimane erano più che sufficienti) uscirono alcuni articoli sui giornali più autorevoli nei quali si descrivevano le azioni portate avanti da alcuni presunti hacker. In realtà non tutti i giornali concordavano sulle motivazioni che avevano spinto i suddetti hacker ad attaccare il sistema informatico. Secondo alcuni le ragioni andavano ricercate nella natura sostanzialmente anarchica degli hacker. D’altronde tutte le volte che si era verificata l’aggressione, giustificata o meno, all’ordine costituito da parte di un qualsivoglia gruppo di persone, l’ipotesi che quest’ultimo fosse spinto da ideologie anarchiche, era sempre stata sfoderata come prima opzione. Probabilmente ogni fautore della ipotesi anarchica (alle volte anche detta: anarchico-insurrezionalista) pensa che usandola sempre, dopo una serie di sviste più o meno clamorose, arriverà pure la volta in cui la suddetta ipotesi si rivela corretta. In tal caso il suddetto fautore assurgerebbe al ruolo di commentatore. Tutte le precedenti cazzate sparate a nastro, verrebbero subito dimenticate grazie alla quasi inesistente memoria delle persone.

Il nuovo commentatore potrebbe così continuare a sparar cazzate a destra e manca, col vantaggio di poterlo fare in più settori. Il commentatore è tale infatti, perché può argomentare su tutti i settori: dallo sport nazionale, alla politica. Certo, anche i commentatori hanno i loro alti e bassi; ma niente e nessuno potrà mai scalzarli dalla posizione raggiunta. E’ un po’ come la teoria del palo-palo-goal utilizzata da alcuni maschi con le donne. L’idea alla base della suddetta teoria è che provandoci a tappeto con tutte le donne, dopo una quasi inevitabile sequenza di pali (ergo: no secchi), alla fine il maschio vada in goal con l’ultima mal capitata. Il problema è che esiste anche la teoria del palo-palo-traversa. La sequenza di pali non equivale ad un attestato dell’impegno profuso dal maschio nel perseguire il proprio compito. Ecco quindi che al termine della sequenza, goal e traversa hanno eguale dignità di esistere. Siccome però se l’amore è cieco la sfiga invece ci vede benissimo, ecco che allora la traversa ha più possibilità di essere colpita dal maschio. Tornando quindi all’ipotesi anarchica, a quest’ultima è più consono associare la teoria del palo-palo-traversa. Fortunatamente non tutti i giornalisti usarono l’ipotesi anarchica. Secondo alcuni infatti la ragione dell’attacco era stato il tentativo di recuperare documenti non pubblicati. La cosa certa fu il coro unanime di persone che subito scese in piazza chiedendo ai governi del mondo leggi più severe e stringenti, che permettessero di mandare in galera i suddetti hacker. Un attento osservatore avrebbe potuto intravedere tra i capo-fila delle manifestazioni, le stesse persone che mesi prima avevano sostenuto a spada tratta la causa degli hackers che avevano colpito e attaccato la vecchia versione del sistema informatico. I don Chisciotte dell’era informatica si erano trasformati nei primi difensori del

sistema che fino a poco tempo prima avevano ferocemente attaccato. I giornali prima citati stavano portando avanti le rispettive inchieste ed in particolare una si stava distinguendo come la più interessante. Si parlava di un nucleo centrale del Database unico il quale non era affatto libero ed aperto. Solo le forze dell'ordine e le alte gerarchie statali potevano accedervi, secondo uno schema piramidale. Inoltre la restante parte realmente aperta e modificabile da tutti, semplicemente non funzionava. Era rimasta incompleta e ogni volta che veniva modificata, si perdevano delle connessioni con le altre parti. Le connessioni perse venivano rimodellate dal nucleo centrale chiuso, in modo che ad ogni aggio il muro informatico che proteggeva questo stesso nucleo veniva fortificato. Inoltre le informazioni mostrate dalla parte aperta del software venivano alterate in modo che seguissero i dettami coi quali era stato progettato il nucleo chiuso. Da un certo punto di vista, quindi, il Database unico era veramente una creatura vivente: il nucleo chiuso corrispondeva al suo cervello che controllava le parti periferiche modellandole però secondo logiche oscure ai più. Qualunque sia la considerazione del concetto di software libero, l'idea pura alla base di quest'ultimo non aveva niente a che vedere con la struttura del Database unico. Quando però le inchieste giornalistiche sul software stavano per essere pubblicate scoppiò la prima crisi dei frati feticisti, che distolse l'interesse dei più da quelle inchieste le quali subito furono dimenticate per essere sostituite dalla cronaca minuto per minuto della nuova fonte di attrazione mediatica. Quando poi anche la prima crisi dei frati feticisti giunse al termine, tra i tanti articoli di giornale che parlavano della gioia per la sconfitta dei frati feticisti, ce ne fu anche uno piccolo piccolo che riportava la notizia del cambio di nome del software Database unico in S.P.I. La notizia del cambiamento fu subito assorbita mescolandosi con la gioia di quel periodo e del vecchio nome del software e di tutte le discussioni che l'avevano coinvolto, con annesse inchieste giornalistiche, se ne perse la memoria. Ma torniamo ai fatti immediatamente successivi al 12 novembre 2008. Randa aveva iniziato una sua indagine personale. In quel periodo la sera, dopo la solita frugale cena (si fa per dire frugale:

nonostante il fisico minuto, Randa mangiava come un uomo di 120kg), Randa si studiava tutti i fascicoli esistenti sui frati feticisti, con l'obiettivo di trovare una traccia che le potesse essere utile per far cambiare idea al suo capo in merito alla sua esclusione dalle indagini. Una mattina andò a prendere la sua razione mensile di assorbenti. I vari governi del mondo avevano infatti messo in atto il piano di emergenza che prevedeva la distribuzione alla popolazione delle scorte di assorbenti che ogni Paese possedeva. All'ingresso dell'ufficio comunale addetto alla distribuzione di assorbenti, Randa incontrò Luisella: giovane rampolla della decaduta nobiltà fiorentina. Come s'addiceva alle persone del suo rango, Luisella aveva sempre un comportamento posato e argomenti come il sesso erano ritenuti assolutamente scabrosi. Per questo motivo Randa si stupì allorquando Luisella, subito dopo averla salutata in modo più caloroso del solito, proseguì col raccontare le sue recenti avventure notturne col figlio dell'autista. Randa, curiosa com'era, si fece raccontare tutto nei minimi dettagli. Dopo aver ritirato le rispettive razioni di assorbenti, la chiacchierata delle due amiche proseguì a casa di Randa davanti ad uno dei famosi thè di quest'ultima. Luisella, non avendo mai prima di allora parlato di certi argomenti con Randa, non sapeva che quest'ultima era capace di portare avanti le discussioni per ore ed ore, stritolando il malcapitato interlocutore in un vortice di domande. Così fu anche in quella occasione; tanto che la chiacchierata proseguì a cena davanti ad alcune prelibatezze siriane. L'ospitalità di Randa era un aspetto della sua persona ben noto a tutte le persone che la conoscevano. Verso le due del mattino, dopo che la discussione si era trasferita in giardino davanti a degli ottimi liquori, Randa congedò la sua ospite.

Le due amiche s'incontrarono nei giorni successivi ed ad ogni incontro si aggiungeva sempre una nuova amica, ciascuna portando in dono delle piccanti storie da raccontare. Randa organizzava con molta cura quegli incontri tardo pomeridiani, piccanti come i suoi famosi piatti turco-siriani. Una sera, dopo aver congedato le sue amiche, non avendo ancora sonno, Randa accese il computer per leggere alcuni giornali prima di mettersi a lavorare alla sua personale indagine. “Che sciocca che sono!” pensò Randa “Tutto questo tempo perso quando invece la soluzione era davanti ad i miei occhi!” Randa aveva appena finito di leggere un articolo di cronaca nel quale si parlava di un insolito numero di scandali sessuali nell'alta società. A dire il vero di scandali ce ne erano sempre stati, ma non con quella frequenza e soprattutto non si era mai sentito parlare della marchesa con lo stalliere, o della duchessa col giardiniere. Presumibilmente certi incroci “pericolosi” si erano verificati anche in ato, ma ciò che creò stupore in Randa fu il candore col quale i protagonisti altolocati delle suddette storie ammisero il proprio coinvolgimento. Fu come se il contegno formale fosse stato anestetizzato. Randa si convinse che quegli eventi di cronaca dovessero essere in qualche modo collegati al problema degli assorbenti. Il giorno dopo Randa si alzò prima del solito con ben chiara in mente l'idea di parlare col capo in merito alla sua scoperta. Per questo motivo si mise il vestito d'ordinanza: un tailleur scuro con scarpe eleganti ma al tempo stesso comode. Per aggiungere un tocco di serietà al proprio aspetto Randa pensò bene di legarsi i capelli. Randa non era mai stata capace di dividere nettamente il lavoro dalla vita privata

e ciò si rifletteva anche nel modo di vestirsi; praticamente lo stesso in entrambe i contesti. Giunta che fu alla sede dell’agenzia segreta Randa si diresse subito verso l’ufficio del capo. Anche quella volta si dimenticò di bussare. Ormai il capo si era abituato alle improvvise entrate di quest'ultima e poi aveva appena finito di prendere il suo caffè con crema di cioccolato e quindi l’umore era più che buono. Ciò nonostante, per mantenere la parte, appena Randa fu entrata nel suo ufficio, il capo gelò quest'ultima con una frase secca condita da uno sguardo gelido. "Cosa diavolo vuoi stamattina Randa!? Guarda che non è proprio giornata!" tuonò il capo. "Capo, non le è mai venuto in mente che potrebbe esserci un nesso tra l’intrigo internazionale e altri fatti attuali, o comunque del ato recente?" Il capo si girò verso la finestra dalla quale era possibile vedere quasi tutta la città, come a cercare qualcosa la cui vista l’avrebbe potuto tranquillizzare; senza per questo riuscire a trovarlo, quindi con voce inizialmente calma, ma poi dal tono sempre più irritato, disse: "Randa, quante volte ti ho detto di non presentarmi le tue ipotesi con una serie di domand..". "Sono convinta che ci sia una connessione tra gli scandali sessuali nell'alta società e l'intrigo internazionale!" disse Randa senza dare al capo il tempo di terminare la propria frase. Per alcune decine di secondi il silenzio più assoluto regnò nell’ufficio del capo. Era chiaramente il silenzio che precede i momenti fondamentali di una storia. "Ok Randa, trovami la connessione tra gli scandali sessuali nell'alta società e l'intrigo internazionale ed io ti prometto che parteciperai attivamente alle operazioni. Fino ad allora non mi disturbare, che ho mille cose da fare" concluse il capo. Randa uscì dall’ufficio senza proferir parola.

Finalmente aveva ottenuto il suo scopo: partecipare ad una indagine importante, anche se non in maniera ufficiale. Randa ò tutto il resto della giornata a pensare alla connessione, ma senza per questo trovare una soluzione. Solo la sera, come le era capitato altre volte, nell'esatto momento in cui spense il computer per andare a letto, ebbe l'idea che poi si sarebbe rivelata fondamentale per il proseguo delle indagini. Si era ricordata del suo vecchio amico Max.

La follia di Max settembre 2006 Max: ingegnere chimico, mente raffinata, esperto di ambiente, naturalmente votato alla diplomazia, attivo politicamente con una sicuro futuro nella politica ed infine ultimo tra i gentiluomini romantici. Un bel giorno Max, rincasando dopo una delle sue solite lunghe giornate di lavoro scoprì che la caldaia aveva smesso di funzionare. Poco incline a farsi derubare da un collega idraulico ingegnere, Max risolse di riparare la caldaia da solo. "D'altronde sono pur sempre un ingegnere, cribbio!" pensò Max. Tolte le viti della caldaia che sostenevano la parete, fece appena in tempo ad poggiarle in terra: narcotizzato da un geyser di vapore uscito dalla caldaia stessa, rovinò a terra privo di sensi. Si risvegliò solo dopo alcune ore. La botta lo aveva solo stordito, per questo si alzò senza problemi, a parte un cerchio alla testa, dovuto molto probabilmente ai miasmi mefitici del vapore che impregnavano ancora l’appartamento con un aroma degno delle fogne di Bombay. Max aprì tutte le finestre e rimase per alcuni minuti sul balcone del salotto ansimando profondamente per disinfestare gola, trachea, alveoli, polmoni. Qualche giorno dopo le tracce dell’incidente sembravano confinate alla memoria, a parte una sanguigna cicatrice nel conto corrente, lasciata dallo specialista in caldaie. Da bravo stakanovista qual era Max aveva ripreso subito a viaggiare per lavoro. Ma qualcosa era cambiato. I ritardi negli orari degli aerei, le cancellazioni, la smarrimento dei bagagli, la bizantinica burocrazia delle dogane; insomma tutti quelle possibili seccature alle quali sono soggette le persone che viaggiano molto, per Max non erano mai state

un vero problema. Era sempre riuscito ad affrontarle con filosofia. Invece dopo l'incidente della caldaia Max non era più stato in grado di farsi scivolare via tutti i problemi legati ai viaggi. All'inizio pensò che fosse solo dovuto ad un po' di stanchezza; forse, fosse mai, alle troppe bevute coi suoi inseparabili amici. Per un certo periodo riuscì a convivere con questo stato d'irritazione per lui inusuale; anche perché non aumentò col are del tempo, come invece si sarebbe potuto supporre. Finalmente arrivò il giorno della partenza per il viaggio, questa volta di vacanza, tra i paesi dell’Asia centrale. Max aveva lungamente preparato quel viaggio e niente avrebbe potuto rovinarlo; neanche lo stato d'irritazione col quale ormai aveva imparato a convivere. Il viaggio si rivelò un successo. Tutto andò secondo i piani di Max ed anche i vari attraversamenti di frontiera avvennero senza il minimo problema. Solo un avvenimento turbò la perfezione della vacanza. Una mattina, quando si trovava ancora a Samarcanda, essendosi alzato prima del solito, Max uscì dall'albergo in direzione di un prato che aveva intravisto il giorno prima. Una volta arrivato alla meta, si mise a sedere sul prato con davanti le colline al di là delle quali si trovava la città. Voleva vedere l'alba esattamente nel momento in cui il sole sarebbe spuntato sopra la vetta della collina centrale, per poi inondare di luce le colline ai lati. In fin dei conti quello era un giorno come altri ma il cielo era terso e limpido, tipico di quei giorni di pausa tra i diversi temporali che si susseguivano in quel periodo dell'anno. Il giorno doveva quindi essere sfruttato a pieno: quale modo migliore per iniziare, se non ammirando l'alba? L'unico problema era quel bosco alle sue spalle, con le cime degli alberi continuamente agitate dal vento. Il senso d'inquietudine che quel bosco creava, diventava terrore quando il vento ciclicamente dava una frustata agli alberi. Ad ogni folata di vento il sibilo aumentava aggravando conseguentemente lo stato di

terrore di Max, tale da bloccargli quasi completamente il corpo. Quando ormai il sole stava per spuntare tra le colline, un sibilo mai sentito prima arrivò dal bosco. Max si girò rimanendo bloccato di fronte al furore col quale si alzavano le foglie cadute dagli alberi. Per la prima volta il vento si placò improvvisamente ma questo non fece altro che aumentare il suo terrore. Nonostante ciò riuscì a rigirarsi, ma il sole era ormai ben al di sopra delle colline. L’alba era magnifica ma Max non riuscì a godersela in pieno, avendone perso il momento iniziale. Si alzò dal prato ancora un po’ tremante e si diresse sconsolato verso l’albergo. Adesso rimaneva solo la tappa finale a Mosca. Un rapido ma gustoso giro tra le tante bellezze della capitale russa e poi via direttamente dall'adorata mamma e dalle fettuccine della nonna. Max chiuse le valigie, consegnò la chiave alla reception e andò ad aspettare il taxi fuori dell'hotel. I minuti avano ma del taxi non v'erano tracce. Piano piano l'irritazione ricominciò a bussare nella mente di Max. "Stai calmo, stai calmo" disse tra sé e sé Max. Quando il taxi arrivò con un ritardo di mezz'ora, Max stava ancora controllando la montante irritazione, ma il vedere profilarsi all'orizzonte l'ingresso dell'aeroporto lo fece rilassare. Ma fu solo una breve pausa prima dell'inesorabile destino. Tutto filò liscio fino all'ingresso nella sala di attesa quando, una volta sedutosi, sentì la voce del capitano parlare dall'altoparlante. Con il suo inglese incerto il suddetto capitano avvisò i eggeri che, per non ben spiegati motivi, probabilmente l'aereo sarebbe atterrato a Bologna invece che a Roma, sua destinazione naturale.

Inoltre solo all'ultimo momento sarebbe stato comunicato l'aeroporto di atterraggio. Mentre si trovava in sala attesa Max fu avvicinato da alcuni agenti della dogana. Senza troppi convenevoli, uno degli agenti chiese a Max: "Ci mostri il suo aporto" Max prese il aporto dalla borsa e lo diede all’agente della dogana. "Ci segua in ufficio" disse un altro agente. Max seguì gli agenti con un misto di noia e fastidio, ma senza paura. Era abituato a queste visite agli uffici delle dogane. Il profilo del volto di Max aveva un che di medio-orientale e per questo motivo più volte nelle dogane degli aeroporti occidentali era stato fermato per accertamenti. Ma anche negli aeroporti orientali aveva avuto l’indubbio onore di poter constatare in prima persona lo stato di desolante squallore degli uffici doganali. In oriente Max veniva spesso scambiato per una possibile spia di qualche Paese occidentale. Per questo motivo quando gli agenti della dogana gli ordinarono di seguirlo, Max non se ne preoccupò minimamente, tale era la sua conosceva nei minimi dettagli di tutta la trafila che si sarebbe dovuto sorbire. La piacevole chiacchierata durò più del previsto anche perché Max commise l’imperdonabile errore di mostrarsi ansioso di andarsene in quanto il suo aereo stava per partire. Se non ci fosse stato il carico di tensioni accumulate nei periodi precedenti Max non avrebbe mai commesso tale errore. Gli agenti presero l’occasione al balzo incalzandolo con domande di per sé sciocche ed inutili, con l’unico obiettivo di fargli perdere il controllo. Al termine di ogni domanda Max fissava le lancette dell’orologio al muro

chiaramente messo di fronte alla sedia dell’interrogato, così che questo non potesse fare a meno di fissarlo. Le domande stavano diventando sempre più incalzanti e Max era al limite, ma quando tutto ormai sembrava perduto squillò il cellulare di uno degli agenti; quello dal volto più giovane. L’agente ebbe uno scatto felino. Infilò la mano nella tasca, riuscendo ad interrompere la chiamata prima ancora di aver tirato fuori il cellulare, ma fu troppo tardi. Quell’unico squillo uscito dal cellulare ebbe su Max l’effetto che il bip dello start ha sullo sciatore al paletto di partenza. Max raccolse tutte le residue energie mentali e rispose con calma all’ultima domanda postagli prima dello scellerato (per gli agenti) squillo di cellulare. L’agente più esperto non fece più domande e gli altri lo seguirono a ruota. Era ormai chiaro che Max, anche se per il rotto della cuffia, aveva ripreso il controllo della situazione. Uscì dall’ufficio dirigendosi con calma verso la corsia d’imbarco. Appena girato l’angolo però iniziò a correre. Mentre s’involava verso l’imbarco Max pensò che questa volta era arrivato veramente vicino alla perdita totale del controllo e che probabilmente una prossima volta non ci sarà lo squillo del cellulare a salvarlo. Poi il suo pensiero si posò sul volto del giovane agente: chissà quale dura reprimenda lo aspetterà. Max s’imbarcò senza neanche avere il tempo di chiedere in quale aeroporto sarebbero atterrati. Si mise a sedere sul suo posto e appena vide arrivare l’hostess verso di lui le chiese a che ora sarebbero arrivati a Roma. L’hostess in un misto d’imbarazzo e gentilezza rispose "Mi dispiace comunicarle che non atterreremo a Roma bensì a Bologna. Da lì ripartirete in treno o aereo, a seconda delle vostre preferenze, ma solo il giorno successivo. Il tutto a nostre spese, s’intende. Purtroppo Roma è bloccata da una serie di manifestazioni che stanno avvenendo in contemporanea e l’aeroporto è bloccato dalla neve".

L'hostess non notò lo sguardo assente di Max. La mente di quest'ultimo era come andata in blocco in quanto la combinazione di eventi nefasti la stava ormai portando verso la saturazione e nel vano tentativo di rilassarsi si era spenta momentaneamente, ma un vuoto d'aria con successivo scossone dell'aereo riportò Max alla realtà. Ciò non fu una buona cosa in quanto quest'ultimo ne approfittò per fare due calcoli sul tempo a sua disposizione. Quando capì che non ne avrebbe avuto a sufficienza per arrivare a casa dei suoi genitori per la sera della vigilia di Natale, il panico si manifestò in una onda di calore che dallo stomaco gli salì fino al cervello. Nonostante una parte della sua mente cercasse in un estremo sforzo di controllare tutta la persona di Max, ormai era troppo tardi ed esplose: "Ma che sistema è? Ma voi lo sapete che in questo modo ci farete perdere la vigilia di Natale? Pretendo di essere portato a Roma entro stasera!" Il portamento signorile che Max continuava ad avere anche in quel momento di forte stress, unito allo sguardo allucinato creò uno stato di soggezione nei suoi confronti, da parti di tutti gli altri eggeri. Questi ultimi rimasero in silenzio mentre Max parlava, nella segreta speranza che le sue parole potessero migliorare la loro comune situazione d'incertezza. Per le hostess lo sguardo stralunato di quel eggero era invece il sintomo di un problema che doveva essere risolto nel più breve tempo possibile. Mentre Max stava ancora farneticando, la capa delle hostess pensò bene di aprire l'armadietto dei medicinali per prelevarvi un tranquillante. Appena vide che l'agitato eggero si stava rimettendo a sedere a causa del calo di tensione, naturale conseguenza di quel primo sbalzo di umore, la capa delle hostess ne approfittò per avvicinarsi a lui con un bicchiere di acqua nel quale aveva previamente diluito il tranquillante. Con parole e sguardo conciliante la hostess convinse Max a bere l'acqua. La procedura della hostess era sicuramente discutibile, ma quest'ultima sapeva che era necessaria prima che lo stato di panico di quel eggero si trasferisse anche agli altri. Giunti all'aeroporto di Bologna il servizio eggeri della compagnia aerea si preoccupò di condurre Max fino alla camera d'albergo che gli era stata prenotata. La notte Max dormì un sonno particolarmente agitato, nel quale il ricordo dei bei momenti ogni volta veniva interrotto dall'intromissione del ricordo di ciascuno dei contrattempi che aveva avuto durante la vacanza.

La mattina seguente l'efficiente servizio eggeri raccolse con un pullman tutti i eggeri dell'aereo, tra i quali Max e li portò all'aeroporto di Roma. Max eseguì tutte le azioni di quella mattina come un automa seguito o o dagli addetti del servizio eggeri. Al suo arrivo all'aeroporto di Roma Max trovò ad attenderlo sua sorella Eleonora. La vista di quel volto familiare rischiarò un po' la sua mente ma non a sufficienza, in quanto ormai il danno era stato fatto perché Max si poté presentare a casa dei suoi genitori solo per il pranzo di Natale. Anche se il resto del Natale trascorse tranquillamente in compagnia della sua famiglia, quello fu solo un momento di quiete prima della tempesta. Una volta tornato a Firenze e ripreso il lavoro di sempre, Max subì lo stress postvacanze e la sua mente, ormai giunta al limite, non fu in grado di sopportarlo. Amici e colleghi di lavoro subirono i suoi frequenti sbalzi di umore. Max spesso era irritabile e facile alla violenza verbale, stati d'animo per lui del tutto inusuali. Quando poi, nei rari momenti di tranquillità, a fronte delle domande di alcuni sul perché di quel suo anomalo comportamento, Max porgeva le proprie scuse dicendo che era dovuto allo stress che gli creava il doversi nascondere e difendere dalla congrega degli agenti doganieri. Sulle prime le persone che ascoltavano quelle parole pensarono che fosse solo un modo colorito e scherzoso di descrivere lo stress che gli creava in tutti i suoi viaggi l'avere sempre a che fare con gli agenti delle dogane, i quali lo fermavano per un motivo od un altro. Finché diceva queste cose ad amici e colleghi poteva andare ancora bene, nel senso che questi potevano anche pensare che Max stesse scherzando. Ma un giorno, durante una riunione coi vertici dell'azienda, allorquando il direttore di stabilimento disse a Max che sarebbe dovuto andare in Cina per controllare la costruzione del nuovo stabilimento, quest'ultimo compì un gesto inconsueto. Perdendo la sua naturale compostezza prussiana Max si allungò lungo il tavolo tendendo tutto il braccio fino alla punta del dito indice verso il direttore di stabilimento. Gli occhi si dilatarono e le sopracciglia presero la forma di una v rivolta verso il basso. "Allora ho ragione!" disse Max

Tutti i presenti rimasero bloccati ed in silenzio nelle proprie posizioni, in attesa delle successive parole di Max. "Certo, non può essere che così. Anche lei fa parte della società segreta degli agenti doganieri. Mi vuole mandare in Cina così i suoi compagniucci avranno gioco facile con me!" "Ma cosa sta dicendo!" "La verità! Siete una società potente, ma ora vi ho scoperto" "Ma lei è pazzo" "No caro mio!" con la stessa sinuosità con la quale Max si era allungato sul tavolo, si alzò dalla sedia per poi uscire dalla stanza. Nei giorni successivi Max non si presentò a lavoro e nessuno ebbe notizie di lui fino a quando il suo capo, in compagnia di un paio di colleghi stretti di Max, si presentò alla porta di quest'ultimo. Max accolse i suoi colleghi e la scena che si presentò loro fu quella di una casa in pieno disordine, con mappe di percorsi di montagna sparse sul pavimento ed alcune appese anche sui muri. Per i tre colleghi fu impossibile avere un dialogo sensato con Max, in quanto qualsiasi loro domanda non riceveva risposta. I vertici dell'azienda furono informati sulle condizioni di Max e così la famiglia e gli amici. Max era troppo importante per l'azienda e quindi quest'ultima si accollò di buon grado l'onere economico di farlo seguire da uno psichiatra. Da parte loro famiglia ed amici si organizzarono in turni per stare sempre vicino al loro caro, seguendo comunque rigidamente le regole poste dallo psichiatra. Ben presto delle caratteristiche di Max rimase ben poco. Questi, nel suo delirio, cominciò a comportarsi come un ufficiale inglese di stanza in India. Ma la cosa ancora più anomala fu che all'alba ed al tramonto, in quegli intermezzi tra giorno e notte, Max riacquistava la sua vecchia personalità. Poi, quando uno dei due tra giorno e notte cedeva il o all'altro, ecco che il lato folle di Max riprendeva il sopravvento. Per la sua famiglia e gli amici fu quindi estremamente difficile avere a che fare con queste due personalità così differenti.

I due Massimiliano marzo 2007 Si girava e si rigirava nel letto senza successo: Massimiliano non riusciva a prendere sonno. Il nuovo appartamento nel quale da poco si era trasferito, si trovava in una via apparentemente tranquilla, anche se c'era sempre da considerare la variabile dei vicini di casa. Quasi ogni mattina al declinare dal buio della notte alla luce del mattino, Massimiliano sentiva provenire uno strano mugolio da un luogo non ben individuabile. Massimiliano aveva cominciato a perder tempo nella definizione di più o meno improbabili teorie sulla sorgente di quella irritante fonazione. Una delle più accreditate era che fosse la giovane coppia del piano di sopra, che si dava da fare fin dalle prime ore del giorno. Un'altra vedeva come protagonista la nonnina dell'appartamento adiacente. Chiaramente l'adorabile nonnina nelle prime ore del mattino era impegnata in altre attività (che non quelle della giovane coppia), più legate agli acciacchi dell'età. Col are del tempo Massimiliano si convinse però che quel mugolio così irritante avesse una ubicazione esterna al palazzo. Dopo diverse ed interminabili mattinate ate a tergiversare, Massimiliano si decise a scoprire una volta per tutte chi fosse quella stramaledetta persona che contribuiva così attivamente alla sua insonnia. Per giorni studiò l'arco temporale, a dir il vero assai breve, nel quale sentiva il mugolio e poi decise il giorno dell'azione. La sera prima preparò sveglia e vestiti in modo che nel breve volgere di pochi istanti potesse essere pronto per l'azione. La sveglia si rivelò del tutto inutile in quanto quella incorporata dentro di lui (chiaramente da tarare nuovamente) lo svegliò alle 5 del mattino, ovvero un'ora prima del previsto. In quell’interminabile lasso di tempo trovò per la prima volta il tempo per pensare a come si sarebbe comportato una volta scoperta l'identità del mugugnatore. Lo avrebbe affrontato? Oppure no? E se si, in che modo? Sarebbe stata più efficace una tecnica aggressiva, oppure la via diplomatica si sarebbe rilevata come sempre la migliore. Era ormai ovvio anche per Massimiliano che la stanchezza stava avendo la meglio sulla sua razionalità. Era l'unica spiegazione plausibile per tutti quei

dubbi che in lui, incallito commerciale, erano cosa certamente nuova. La sveglia elettronica giunse al momento giusto per fugare i dubbi e le incertezze, un attimo prima che si trasformassero in sconforto e sfiducia verso sé stesso. In men che non si dica Massimiliano fu già pronto per uscire di casa. Fece il giro del palazzo convinto di trovarsi davanti “mugugno” (così Massimiliano aveva deciso di chiamare quella persona), ma rimase deluso in quanto non vi era traccia di persone. Si guardò freneticamente intorno girando su sé stesso più e più volte. Stava per disperare quando con la coda dell'occhio vide in lontananza scomparire dietro un albero l'ombra di qualcuno e vi si aggrappò. Corse verso l'ombra che piano piano assunse contorni più netti, fino ad assumere le fattezze di una persona (chiaramente un maschio) che con o marziale si muoveva convinto tra le viuzze del quartiere. Quella figura aveva un che di familiare. Massimiliano provava con fatica ad associare il contorno di quella figura con quello di una delle tante persone di sua conoscenza. L'operazione si rivelò alquanto difficile in quanto non riusciva a concentrarsi sufficientemente, ma non poteva essere la stanchezza che era stata fugata dalla tensione dell'inseguimento. Mentre lo sguardo di Massimiliano continuava a puntare solo e soltanto quella misteriosa figura, gli altri suoi sensi, in particolare l'olfatto, venivano distratti dall'ambiente circostante. L'olfatto e l'udito ben vestiti e rasati bussarono alla porta della vista dicendole: “cara la nostra diletta che sempre davanti a noi te ne stai, perché non scendi dallo scranno di senso più importante e non ti guardi (appunto) un po' intorno? Ti accorgerai che ci sono tante altre cose interessanti”. L'olfatto fece un o avanti e disse “Ad esempio: lo senti questo odore? Fidati è molto buono. E' l'odore del pane appena uscito dal forno. Quant'era che non lo sentivamo. Eh?!” L'udito fece anche lui un o avanti e disse: “E di questa musica cosa ne dici? La senti? Hai capito da dove proviene? Te lo dico io. Proviene dal quel sottoaggio laggiù. Si proprio quello là, dove sta andando la figura che tanto t'interessa”. La vista portò Massimiliano verso quel sotto-aggio, mentendo a sé stessa che il motivo fosse perché ci stava andando anche “mugugno”. Man mano che il sotto-aggio diventava sempre più vicino, la vista si accorse di tante persone spuntate come funghi, ognuna intenta al suo da fare, ma senza per questo evitare di rivolgere uno sguardo di benevolo saluto, l'un con l'altro.

Una volta dentro il sotto-aggio la vista vide (che altro potrebbe fare..) la persona che col suo violino allietava le persone che usavano il sotto-aggio. "Ma è un barb..." disse la vista prima di essere interrotta. "Ferma lì!" disse il tatto intervenendo per la prima volta. "Ma allora non hai proprio tatto!" disse il tatto. "Si dice Clouchard" "Ma lascialo stare" ribatterono in coro olfatto e udito. Proseguì l'olfatto, che dei due sensi era il più disinibito: "Il tatto è un benpensante coi fiocchi, il quale pensa che il termine barbone sia troppo forte da digerire" Il tatto gesticolò qualcosa di assolutamente irrilevante. Massimiliano si accorse che “mugugno” si era fermato davanti al violinista. “Mugugno” si voltò verso il violinista per porgere a quest'ultimo delle monete. Così facendo Massimiliano fu in grado vedere, anche solo parzialmente, il suo volto. "“Max! Ma sei tu!” disse Massimiliano. Max si voltò verso Massimiliano "Heilà caro omonimo! Anche tu sveglio di prima mattina?" Nel mentre attendeva la risposta di Massimiliano, Max rivolse un gesto di ringraziamento nei confronti del violinista, per avergli, come sempre, allietato la prima parte della giornata con la sua musica. Massimiliano tentennò alquanto nel rispondere alla domanda di Max. Indeciso sul dirgli o meno il motivo che lo aveva portato ad alzarsi così presto e stupito nel vederlo così stranamente lucido, decise di mentire parzialmente "Ultimamente soffro un po' di insonnia. Invece di rimanere al letto, complice la bella giornata ho deciso di concedermi una salutare eggiata"

"Dai vieni ti porto a fare una colazione come comanda" Massimiliano non riusciva a capire lo stato d'animo di Max. Ormai erano ati mesi da quando era ritornato dal suo viaggio nel centro Asia e la sua follia si era conclamata senza possibilità di dubbi. Per capire qualcosa di più dello stato d'animo di Max decise per una tattica d'attacco. "Come stanno andando le tue ricerche, sulla congrega dei doganieri?" Max mutò aspetto ed il suo volto si corrucciò. Per un attimo Massimiliano ebbe come l'impressione che in lui vi fossero due anime che si stavano combattendo per il predominio della mente. "Procede, anche se un po' a rilento" "A eccoci" disse Max rilasciando tutta l'aria che aveva in corpo, come a sollevarsi da un peso, una volta giunti al forno. "Buongiorno!" disse Max entrando nel forno. "Oggi ho portato anche un mio amico. Quindi spero che ci siano quei cornetti mitici, sì da poterli far provare al mio qui presente amico" Max disse queste parole mentre si fregava le mani con un tono scherzosamente inquisitorio. Massimiliano ebbe però ancora quella sensazione precedentemente provata, delle due anime in lotta, solo che quella folle stava cominciando a prendere il sopravvento. Nell'attesa dei mitici cornetti Max si muoveva sempre più convulsamente guardando con cupidigia i vari prodotti esposti. Alle volte alzava lo sguardo verso il panettiere con fare di approvazione. Man mano che la luce del sole guadagnava terreno sulla notte, spazzando via il ricordo della fase di transizione tra notte e giorno, gli occhi di Max si espandevano sempre di più. La follia stava chiaramente prendendo il dominio all'interno della sua mente. La cosa assurda è che sembrava accorgersene solo Massimiliano. I due panettieri e gli altri clienti presenti, che dal modo di fare sembravano conoscere bene sia i panettieri che Max, non mostravano alcun segno di stupore.

Il giorno aveva ormai preso totalmente il posto alla notte, quando finalmente arrivarono i cornetti. Max salutò i presenti con un lungo inchino ed usci dalla panetteria. Massimiliano volse un cenno di saluto contraccambiato dal sorriso complice dei panettieri e degli altri clienti. Dovette dare fondo a tutta la sua pazienza per convincere Max ad accompagnarlo a casa. Lasciò che la follia compisse il proprio percorso perché sapeva che non c'era altro da fare. Oltre a portarlo nel più breve tempo possibile tra le sicure mura del suo appartamento, altro non poteva essere fatto. Una volta assolto il compito, Massimiliano telefonò a Randa, Alessandro e Giovanni per informarli sugli avvenimenti della mattina.

La sala d'attesa Alcuni giorni dopo quei fatti Massimiliano entrò nello studio del suo medico di famiglia preparato per una lunga attesa; un'ora di anticamera per poter parlare 5 minuti necessari perché il suo medico potesse produrre la richiesta per le pasticche per il mal di schiena. Massimiliano sapeva che avrebbe dovuto mantenere la calma, altrimenti si sarebbe potuto dimenticare di chiedere un parere al suo medico in merito alle azioni da intraprendere per “contenere i comportamenti estroversi di un suo certo amico” (così Massimiliano avrebbe fatto riferimento ai recenti strani comportamenti di Max). Massimiliano sapeva che avrebbe dovuto chiedere il massimo aiuto alla sua pazienza, per poter far fronte all'inevitabile chiacchericcio al quale sarebbe stato sottoposto da parte degli altri assistiti. Quando Massimiliano entrò nello studio capì che quel giorno il medico era arrivato prima del solito. Sulle prime pensò che era stato fortunato perché avrebbe fatto prima del previsto. Ma si stava sbagliando di grosso e se ne sarebbe accorto di li a poco. Si mise a sedere e per un momento il suo sguardo incrociò quello di una signora non più giovane ma che, a causa dell'abbondante trucco e dell'opera d'arte realizzata dal suo parrucchiere, aveva una indefinibile età tra i 50 ed i 70. La signora rivolse a Massimiliano un sorriso gentile preannunciatore di uno smanioso desiderio di parlare di svariati argomenti, ma con sempre al centro quello strano tempo del mese di marzo. Massimiliano fu però molto lesto nel contraccambiare il sorriso ed al tempo stesso abbassare la testa per estrarre il suo tablet dallo zaino. La signora iniziò comunque il suo discorso, partendo però da quell'incredibile novità dell'arrivo anzitempo del dottore. Al sentir proferire quelle parole, Massimiliano fu percorso da un brivido di terrore: "Nooo..Adesso si scanneranno su chi la sa più lunga a proposito delle abitudini del medico.." pensò tra sé e sé Massimiliano. Fortunatamente quel brivido di puro terrore non fu tale da fargli perdere il controllo dello sguardo. La signora allora volse il proprio interesse verso l'altra persona che stava alla sua destra. Quest'ultima era un uomo sulla sessantina che a differenza di Massimiliano, affrontò lo sguardo gentile della signora, sconfiggendo la gentilezza di quest'ultima con un volto dipinto di chiaro ed evidente fastidio. La signora non si scompose minimamente, semplicemente rivolse lo sguardo

verso il vuoto e terminò il proprio discorso. Massimiliano guardò per un breve istante la signora ma subito abbassò lo sguardo verso il suo tablet, sperando che per almeno qualche minuto se ne starebbe stata buona, non avendo trovato interlocutori degni delle sue argomentazioni. Ma la pace durò assai poco; nel breve volgere di pochi minuti svariate persone fecero il loro ingresso dalla porta dello studio. Ogni persona che entrava chiedeva se il medico era arrivato e chi fosse l'ultimo della fila, dando così modo alla signora di attaccare col discorso che per lei ciò non era una sorpresa: "Quando ha l'orario ad inizio pomeriggio capita spesso che arrivi prima del previsto" Signora 2 "Oooh io c'ero anche lunedì scorso. Una fila! Mamma mia!" Signora "Meglio evitare il lunedì. Ci sono tutti quelli che non sono potuti venire prima a causa del fine settimana" Signora 3 (la rompiscatole della comitiva) "A me non era mai successo che arrivasse prima" "A si si. Succede spesso! Meglio così; ho anche un appuntamento dopo" disse la signora con l'aria di chi la sapeva lunga, mentre cercava un bigliettino nella borsa con su indicati, in realtà a lei ben noti, i dettagli del suo prossimo appuntamento. Signora 4 "Ma che tempo fa!?" Signora "A non me lo dica! Se potessi riaccenderei il riscaldamento in casa!" Signora 4 "Poi questa pioggia fastidiosa" Signore 2 "L'avevano detto che sarebbe stato brutto" Signora 3 "Tra un po' poi ci lamenteremo che farà troppo caldo e rimpiangeremo questi giorni" Signora "A no! Io di certo no! Guardi!"

Mentre quasi tutte le persone presenti nello studio stavano man mano partecipando alla discussione, comunque sempre magistralmente diretta dalla prima signora arrivata, Massimiliano stava abituandosi al chiacchericcio di fondo quando fece il suo ingresso la variabile impazzita. Una signora bassa e ripiegata su se stessa, con una sguardo che emanava antipatia, entrò nello studio. Rivolta verso le persone sedute vicino alla porta del medico disse: "Buonasera, appena uscirà la persona che adesso è dentro, entrerò io. Ho la febbre ed il dottore mi ha detto che in questi casi ho la precedenza. Tanto farò alla svelta; deve solo farmi dare il certificato per il lavoro" Nella stanza ci furono alcuni momenti di silenzio, ma Massimiliano non provò neanche ad assaporarli in quanto sapeva che costituivano la quiete prima della tempesta. Dopo quei momenti di silenzio e sbigottimento dettati soprattutto dalla perentorietà della signora appena entrata, la situazione di stallo fu interrotta da un ragazzo che fino a quel momento se ne era stato seduto in silenzio: "Anch'io signora sono qui con la febbre. D'altronde in questi casi i dottori non vengono più a casa e noi siamo costretti ad uscire con la febbre, per una cosa ovvia come il certificato medico. Ma io sto qui in fila come gli altri." "Allora sarà lei il prossimo ad entrare e poi entrerò io" Anche questa volta nelle parole della signora non vi era la minima incertezza. Nel volto della prima signora, colei che fino a quel momento aveva gestito le discussioni nello studio, l'espressione gentile era stata sostituita prima dallo sbigottimento e poi dal fastidio, il quale ben presto si trasformò in rabbia. L'avvicendarsi di quegli stati d'animo si presentò più o meno ugualmente, nei volti delle altre persone che avevano fino ad allora partecipato al chiacchericcio. Solo il primo signore, quello burbero, mantenne una espressione inalterata per tutto il tempo. La montagna di rabbia che stava salendo trovò la sua prima vittima nei medici: "Ma come fa uno che è malato ad andare dal dottore" disse la signora 3 "E' vero. E poi può attaccare la febbre sugli altri" ribadì la signora "Questi medici! Guadagnano tantissimo e poi non vogliono neanche andare a casa dei loro pazienti"

"Una volta non era così. Ricordo che quando ero ancora ragazzina.." la signora 5 stava facendo un discorso troppo lungo per prendere che gli altri stessero ad ascoltarla. Venne il momento in cui il ragazzo febbricitante entrò nello studio del medico. Per alcuni minuti il silenziò tornò a regnare nella stanza d'attesa e Massimiliano poté riprendere a studiare alcuni documenti sul tablet. Se però fosse stato più attento nell'osservare i volti delle altre persone, almeno di quelle che più attivamente avevano contribuito alla precedente discussione, avrebbe notato una montante e spasmodica attesa che qualcosa avvenisse: che il ragazzo uscisse subito dallo studio del dottore; o forse ancor di più che il suddetto ragazzo impiegasse troppo tempo dentro lo studio. Fu quest'ultima l'opzione che si verificò. Ad un certo punto la prima signora guardò l'orologio, come a conferma della sua sensazione che il ragazzo stesse ando troppo tempo a parlar col medico. "Ecco lo sapevo che sarebbe finita così, adesso gli farà la visita. Questo è chiaramente un tempo da visita. Io avevo anche un appuntamento e me lo sto perdendo" disse la signora 2 "Finisce sempre così: quelli che devono fare la visita dicono di dover entrare per una ricetta e poi ci schiacciano le mezz’ore." "Non è colpa loro, è colpa dei medici. Ognuno si fa furbo e pensa a come saltar la fila. Sono i medici che devono impedire queste cose" disse la signora 3 "Ecco adesso io non ce l'ho con lei, però dovrebbe are in fondo perché ha lasciato il posto a questo ragazzo" disse la signora, con un volto che non tradiva più la ata gentilezza, rivolta al ragazzo che era in coda prima di lei e che sarebbe dovuto entrare prima dei due febbricitanti. Come se lei e gli altri, adesso arrabbiati per la situazione creatasi, avessero in precedenza espresso il loro diniego a che la signora ed il ragazzo febbricitante potessero saltare la fila. Adesso però c'era da trovare un capro espiatorio sul quale far convergere la propria rabbia. Finalmente il ragazzo uscì dallo studio. La signora febbricitante con uno scatto felino entrò nello studio del medico e disse: "Dottore le persone qui in attesa non mi vogliono far are anche se ho la febbre. Dica loro, per favore, che è stato

lei a dirmi che sarei potuta are." Il dottore, con fare convinto uscì e disse a tutti i presenti nella sala d'attesa: "Allora c'è una legge che vale in tutta Italia, l'ho anche appesa qui nella bacheca: afferma che le persone malate e/o con la febbre hanno la precedenza su tutti gli altri" Tutti i presenti davanti ad una manifestazione così netta dell'autorità del medico, se ne stettero in silenzio. Nessuno ebbe l'ardire di controbattere al medico: era vero che la legge era appesa alla bacheca, cioè nel luogo preposto ai messaggi di pubblico interesse, ma che così messa mescolata in maniera confusa a tanti altri messaggi di svariata natura, non era stata tale da raccogliere la loro attenzione. Fu così che la signora febbricitante entrò dal dottore, mentre tutti gli altri se ne stettero alcuni minuti in silenzio, salvo poi ricominciare a parlare, ma questa volta a bassa voce formando dei piccoli gruppi di persone che tra di loro si guardavano con sospetto, rimproverando ciascuno agli altri di non aver avuto il coraggio di ribattere al dottore. Massimiliano raccolse la residua pazienza ed attese il proprio turno in silenzio. Finalmente arrivò anche per Massimiliano il momento dell'ingresso nello studio del medico. Sbrigò velocemente le proprie richieste e poi con tono di voce deciso, così da catturare l'attenzione del medico che con l'andare degli anni stava diventando sempre più sordo e meno interessato alle istanze dei propri assistiti, disse: "Avrei anche bisogno di una breve consulenza su come comportarsi davanti agli atteggiamenti sempre più bizzarri di un mio amico. Io e gli altri comuni amici siamo ormai convinti che il nostro amico abbia perso il lume della ragione, ma non sappiamo cosa sia meglio fare per poterlo aiutare." Il medico fissò Massimiliano con uno sguardo assente e dopo alcuni istanti iniziò a parlare un linguaggio confuso al cui interno furono indicati svariati soggetti: la ASL di riferimento, il medico del suo amico, eventuali psicologici di loro conoscenza; tutto questo senza però rendere ben chiaro che relazione spaziotemporale dare a tutte le suddette persone. Massimiliano si alzò senza chiedere ulteriori chiarimenti. Ringraziò il medico e se ne uscì.

L'incarico non voluto Dicembre 2008 Un tiepido sole spuntava da dietro le brulle montagne. Raul, già in piedi ed operativo da diversi minuti, uscì dalla casupola, centro logistico delle forze di polizia nella zona della Sardegna denominata: Barbagia. Il poliziotto Raul entrò nella stalla e montò al galoppo della sua pecora Piripeddu. Mentre affrontava la ripida discesa verso la valle, Raul non poté fare a meno di ripensare alle parole con le quali il Ministro dell'interno, aveva chiuso il dibattito finale in seno al convegno: “Sul rapporto tra federalismo e cucina locale. Il porceddu: sporco comunista, o fiero federalista?”. Rivendicando le origini padane dell'antenato del porceddu; fiero rappresentante di quel secolare movimento popolare, che da sempre si batte contro Roma ladrona; il ministro terminò il proprio intervento con le parole: “Coerentemente con quella politica di piena e completa attuazione del federalismo, rivendichiamo il proposito di un più attento e puntuale impiego delle risorse locali in seno all'amministrazione pubblica e alle forze di polizia...” Raul abbassò lo sguardo verso la sua Piripeddu e pensò: “Ma vaffancu...Eia pizzineddu! Dai che ce la facciamo!”: gridò un po' stancamente. Raul era stato chiamato in sede per una missione della massima importanza. Sulle prime i suoi stati d'animo saltellarono tra l'irritazione e la noia, entrambe in realtà motivate dal sentirsi sballottato tra un posto ed un altro. In fin dei conti in Sardegna c'era arrivato da poco e non aveva ancora avuto il tempo per abituarsi. "Ma quale sarà poi questa missione della massima importanza?" pensò Raul. Se ripensava a come gli era stato dipinto quel periodo di addestramento in Sardegna, non riusciva ad associare niente d'interessante con la nuova missione. La sera stessa, dopo aver telefonato a sua moglie, Raul chiamò il “cugino”

Salvo. "Raul!" "Oh Salvo. Allora?" "Che si racconta in Sardegna?" "Si racconta che proprio oggi mi hanno comunicato che dovrò tornare a Firenze per una missione della massima importanza!" Il tono col quale pronunciò quell'ultima parola fu il risultato di un misto tra l'auto-presa per il culo e l'enfatizzazione per il desiderio di catturare l'interesse di colui di Salvo. "Raul, sarà sicuramente perché finalmente i tuoi capi-padroni hanno capito, che solo te sei in grado di sconfiggere la gang degli spacciatori di Santa Croce" Era chiaro che nel tono di voce di Salvo albergasse solo la presa per il culo. "Forse ti vogliono chiamare per la storia dei frati feticisti" "Tse..Buonanotte.." "Raul, sto andando a lavoro. Mi dovevi dire qualcosa?" "No. Niente d'importante. Ciao" "Ciao" Raul spense il cellulare e andò a dormire. Quella notte i sogni si accavallarono, più del solito nella sua mente. In ogni sogno affrontava una missione diversa. C'era anche quella per scoprire il nascondiglio dei frati feticisti. Quale che fosse il sogno, la conclusione era sempre la stessa: l'assolvere alla missione gli impediva di arrivare in tempo al matrimonio di Salvo. La mattina si svegliò sudato fradicio, ma particolarmente pimpante. L'ultimo sogno che ricordava d'aver fatto era quello che lo vedeva coinvolto nella

missione per scovare il nascondiglio dei frati feticisti. Raul cominciò a credere che forse questa opzione potesse avere delle basi reali e in quel caso sarebbe stato lui a prendere in giro Salvo. Ma dopo avrebbe anche ricevuto l'approvazione di quest’ultimo. Questo pensiero occupò la sua mente per buona parte del viaggio di ritorno. Il giorno successivo al suo ritorno Raul si presentò puntuale all'appuntamento coi suoi capi come indicato nella missiva. I primi quindici minuti trascorsero con le domande di rito dei capi che facevano finta d'interessarsi all'esperienza sarda di Raul e con le conseguenti risposte di quest'ultimo, atte a far credere che lui fosse fiero dell'interesse mostrato nei suoi confronti da parte dei capi. "Bene Raul, veniamo a noi. Ti abbiamo richiamato perché pensiamo che tu sia la persona adatta per una certa missione" Raul, adesso si, pendeva veramente dalle labbra dei suoi capi. Aspettava con ansia il momento nel quale avrebbero pronunciato le due paroline magiche: frati feticisti. "Noi pensiamo inoltre sia giunto il momento di metterti alla prova con una missione ben più importante che quella d'inseguire gli spacciatori di Santa Croce" "See. Te li do io gli spacciatori di Santa Croce. Forza, sputate quelle due parole" pensò Raul. "..e questa importante missione è stata addirittura decisa nelle sfere alte!" il comandante fece un gran gesto col braccio destro, alzando al contempo i tacchi delle scarpe, come a mimare una elevazione verso le alte sfere. Raul ormai non stava più nella pelle. S'immaginò di saltare addosso al suo capo per cavargli la lingua dalla bocca, alla ricerca delle due paroline magiche. "Dovrai pedinare il romeno Florentin. Sappiamo che lo conosci, per questo ti sarà più facile seguirlo".

"Crediamo che in qualche modo sia collegato coi frati feticisti". Fino a quel momento il sovrintendente era stato in silenzio, in attesa del momento propizio per fare la propria proposta. Quest'ultimo era sempre stato bravo a capire il prezzo delle persone che si trovava davanti. Fin da giovane, quando ancora batteva le strade coi suoi colleghi, aveva sempre avuto la ferma convinzione che ogni uomo avesse un prezzo. Era come un biglietto, con su scritta la cifra del prezzo applicato sulla schiena di ogni persona. Molti non sapevano di avere il suddetto biglietto attaccato sulla schiena. Vi erano poi quelli che invece lo sapevano ma non se ne dolevano, troppo presi com'erano nel dileggiare altri per il prezzo esorbitante indicato nei loro biglietti. Il sorriso beffardo col quale i suddetti vessatori guardavano i malcapitati stava a significare: "Si dai, lo sappiamo che tutti abbiamo un prezzo, ma il vostro è veramente esagerato! E' da pezzenti!" Il gioco funzionava fino a quando questi poco raccomandabili soggetti incontravano il sovrintendente ando così inesorabilmente da vessatori a vessati. La capacità del sovrintendente nel capire l'esatto ammontare del prezzo di qualsiasi persona catturasse la sua attenzione aveva dello straordinario. Questi, ben consapevole della propria capacità, aveva sfruttato quest'ultima a pieno per fare carriera. Convinto com'era di sapere già il prezzo di Raul, il sovrintendete aveva saputo aspettare il momento propizio. In fin dei conti era importante anche la tempistica. “Non importa che tu ci dia subito una risposta. Puoi dircelo anche domani. Adesso torna a casa e riflettici” concluse il sovrintendente. Raul uscì dall'ufficio e si diresse verso il parcheggio, dove prese la macchina per fare ritorno a casa. Durante tutto il tragitto ripensò alquanto perplesso alle parole del sovrintendente. Una volta giunto a casa e stravaccatosi in divano, il suo volto non mutò di aspetto.

Raul pensò che Florentin non era certo il primo dei suoi amici, perché semplicemente non si erano create le occasioni, ma era comunque uno dei migliori amici di Salvo. Dopo svariate elucubrazioni trovò la giustificazione che gli avrebbe permesso di assolvere al compito affidatogli, senza per questo crearsi troppi conflitti interiori: svolgendo in maniera zelante il compito affidatogli, avrebbe dimostrato che Florentin niente aveva a che spartire coi frati feticisti. Avrebbe partecipato alla missione salvando al tempo stesso la reputazione di Florentin. Certo, lo avrebbe comunque dovuto pedinare e spiare, ma alla fine ne sarebbe valsa la pena. Raul fece appena in tempo a fare una doccia. Quella sera aveva una cena a casa dei genitori di Salvo, in quanto “suo cugino” era tornato in Italia per alcuni giorni. Durante la cena Raul, invece di parlare di continuo come suo solito, fu stranamente taciturno. Fece di tutto per non fare riferimento alla riunione avuto coi suoi capi, ma una volta giunti al dolce Salvo lo incalzò: "Allora Raul, cosa ti hanno detto i tuoi capi?" Per la prima volta Raul fu costretto a mentire al suo amico-fratello. “Pare che il numero di scippi e furti nel centro storico stia aumentando e quindi hanno bisogno di più agenti” “La gang di Santa Croce! Sei contento Raul di essere tornato alla normalità?” La domanda beffarda di Salvo fu solo la prima di una lunga serie di sfottò che Raul si dovette sorbire quella sera.

La nevicata Dicembre 2008 Una improvvisa ma comunque prevista nevicata, aveva avvolto le strade ed i tetti della città con una coltre di 20 cm di neve. Raul aveva appena terminato il proprio turno ma prima di tornare a casa decise di andare a trovare i suoi colleghi che sorvegliavano uno sgherro a Novoli. La stradina interna vicina al fiume mugnone era bloccata dalla neve, per questo Raul preferì are dalla via principale. Fermò la macchina accanto alla rotonda e s’incamminò a piedi. In circostanze normali, nel veder avvicinarsi un poliziotto, si sarebbe verificato un gran fuggi fuggi delle tante prostitute che a quell’ora della sera già popolano le strade di Novoli. Raul pensava che almeno per quella sera, con tutta la neve che era caduta, di prostitute non se ne sarebbero viste e quindi proseguì camminando tranquillamente quando una macchina andogli accanto risvegliò il suo istinto di poliziotto. Dopo tutte le notti ate in appostamenti alla ricerca dei magnacci, l’occhio di Raul era ormai allenato nel riconoscere i clienti delle prostitute in base alla loro andatura in macchina. Tradito dalla targhetta “Bebè a bordo” presente sulla vetrata posteriore della macchina, intuì con leggero ritardo che la macchina appena atogli accanto fosse quella di un cliente, ma la scena che si presentò agli occhi di Raul dopo aver girato la curva fugò qualsiasi dubbio. Il silenzio del paesaggio fatato creato dalla neve si contrapponeva al turpiloquio che usciva dalla bocca del pilota della macchina che, pur di non rinunciare alla sua dose quotidiana di sesso a pagamento, aveva pure perso tempo a mettere le catene alle ruote della macchina. Raul pensò alle donne della sua vita: sua moglie e sua figlia. Pensò che le

avrebbe dovute tenere il più lontano possibile da quel mondo. Senza indugi ritornò sui propri i, prese la macchina e si diresse verso casa. Il giorno dopo Raul si sveglio prima del solito, ma comunque fresco e riposato. Mentre faceva colazione con la sua famiglia, invece di accendere la televisione come faceva di solito decise di ascoltare la radio sintonizzandosi sul giornale radio di una emittente locale. "L'ondata di gelo che ha spezzato l'Italia in due ha colto di sorpresa Firenze e dintorni imbiancando la città con una coltre di neve di circa 20cm. Tutte le attività sono bloccate e ci sono stati pesanti ritardi sui treni che si stanno ripercuotendo a catena sulle altre città". Raul stava per cambiare stazione quando la sua attenzione fu catturata dalla successiva notizia. "In realtà non proprio tutte le attività sono rimaste bloccate dalla neve: ce ne è una che non sente tentennamenti di sorta. Ieri sera un cliente, evidentemente abitudinario delle prostitute del quartiere di Novoli, ha pensato bene di mettere le catene da neve per raggiungere una delle prostitute del quartiere" La mente di Raul corse agli eventi della sera prima. Nel mentre il radio-cronista proseguì nel suo racconto degli eventi. "Il nostro concittadino avrebbe potuto sfogare in tutta tranquillità i propri istinti, se non fosse stato per una serie di eventi a cascata. Evidentemente il suddetto (da adesso, con molta originalità, lo chiameremo il sig.Rossi) non è un habitué della montagna in quanto ormai quasi giunto alla piazzetta, luogo prescelto per espletare le suddette funzioni, una delle catene da neve si è staccata causando lo slittamento della macchina che è finita di traverso proprio davanti all'imbocco della piazzetta. Il sig. Rossi preso dalla foga di raggiungere il luogo agognato ha cercato con maschia virulenza di ripartire ma, sarà stata la foga o la crescente ansia della prostituta, non proprio abituata a ritrovarsi immersa in quello scenario da montagna, sta di fatto che il sig. Rossi è riuscito ad ingolfare la macchina" L'attenzione di Raul era ormai tutta concentrata sul racconto del giornalista.

"Spero tu sia attratto dalla sola bravura del giornalista nel raccontare i fatti, perché tutto il resto è di uno squallore indicibile" disse Annalisa. Senza attendere una risposta da parte di Raul, Annalisa si premurò che la loro figlia finisse di vestirsi per andare all'asilo, senza dover sentire quei discorsi poco adatti ad una bambina. "A quel punto pare che il sig.Rossi sia uscito dalla macchina nel tentativo di trascinarla fino al più sicuro parcheggio nella piazzetta. Probabilmente, ma questa è solo una nostra supposizione, mentre il nostro eroe stava con molta fatica trascinando la macchina, la sua mente elaborava un piano di fuga per poter giustificare agli occhi della moglie la mancata presenza della macchina nel parcheggio sotto casa. La sua mente era un balenare d'immagini: lui prima degli eventi attuali, tranquillo e beato nel conformismo della sua vita: il lavoro dal lunedì al venerdì; le chiacchierate davanti alla macchinetta del caffè coi suoi colleghi; i commenti camerateschi su quella e quell'altra collega; il calcetto del giovedì con gli amici; la eggiata al centro commerciale la domenica pomeriggio, con annesse discussioni maschie sulla Fiorentina, mentre le mogli qualche metro avanti discutevano di chissà cosa, ma quasi certamente non di calcio. Poi d'improvviso si saranno presentate le immagini relative ai fatti successivi a quella notte. Si sarà visto additato da tutti (moglie, colleghi ed amici in prima fila) come il mostro abbietto che va con le prostitute. Avrà sentito la chiamata a gran voce del boia che lo avrebbe accompagnato al patibolo. In fin dei conti anche lui si era ritrovato tra la massa che voleva e chiamava il boia a rendere giustizia rispetto all'immonda figura, che di volta in volta, aveva osato turbare i pensieri dei bravi ed onesti cittadini. Il sig.Rossi fu bruscamente richiamato all'ordine dai potenti fari dello spazzaneve. Per un attimo pensò di non essersi ancora fregato del tutto sperando nella complicità del conducente lo spazzaneve.

Quando però da dietro lo spazzaneve vide comparire una macchina dei vigili capì che per lui era finita. I vigili, forse ancora assonnati o perché ormai abituati a vederne veramente di tutti i colori, gestirono quella situazione come tante altre volte avevano fatto. Multarono il sig.Rossi ma senza dilungarsi in prediche data la particolarità della situazione. Lo stesso conducente dello spazzaneve, magari perché la colazione di quella mattina lo aveva messo di buon umore, non si perse in esternazioni particolari. Se ne può dedurre che il brusio generato dall'incontro scontro dei suddetti personaggi non avrebbe potuto essere tale da svegliare il vicinato. Complice però il silenzio ovattato creato dal mantello di neve sceso sulla città, tale brusio fu sufficiente per svegliare diverse persone. Attratte dalla visione della neve aldilà delle finestre, una volta affacciatisi ai balconi, la vista delle persone fu però subito attratta dall'inconsueta scena. A questo punto si formò veramente un brusio che propagandosi di palazzo in palazzo andava aumentando la sua intensità (grazie anche all'intervento di altre persone svegliate) fino a diventare quasi un boato. "Vergognati!!" qualcuno disse "Basta con queste prostitute" "Fategli il culo a quello stron.." I commenti diventarono sempre più forti. Si sarebbe potuto dire che provenissero prevalentemente da bocche femminili, per l'evidente maggior senso di disgusto. Invece furono i maschietti a prodursi nei commenti più forti. La ragione di questa singolarità? Per tenersi più lontano possibile dal quel confine che il sig.Rossi aveva oltreato nel momento in cui la sua macchina aveva derapato sulla neve. Se non tutti, sicuramente una parte non trascurabile di quei maschietti, il suddetto confine l'aveva visto da vicino più di una volta. Mentre tutto ciò avveniva, una signora che non si era persa in commenti, stava

posando una calda coperta sulla infreddolita prostituta, mentre il conducente dello spazzaneve gli stava versando del caffè caldo dalla sua borraccia. L'epilogo dell'operetta non ha molta importanza, soprattutto per il futile perpetrarsi di certi commenti. Le conseguenze, invece, sono molto importanti. "Siamo adesso in grado di riproporvi il discorso alla nazione del Presidente del Consiglio" disse il giornalista. "ITALIANI!

Farò erigere un monumento..in onore di quei valorosi..che in questi giorni difficili, per il nostro Bel Paese..sprezzanti del pericolo..hanno montato le catene da neve..per andare a montare le prostitute di Novoli!.." Raul spense la radio senza neanche sentire la fine del discorso del Presidente del Consiglio. Inevitabilmente il suo pensiero andò alla scena cui aveva dovuto assistere la sera prima. Poi la sua mente andò a pensieri decisamente pregressi: quando un discorso del genere, soprattutto se pronunciato dal Presidente del Consiglio avrebbe scatenato le ire di alcuni, così attenti alla salvaguardia della figura istituzionale del Presidente del Consiglio. Altri avrebbero fatto sentire la propria voce in giusta difesa di quelle povere ragazze sfruttate. Altri ancora si sarebbero scandalizzati per la solita offesa al sacro baluardo della famiglia. Pochi avrebbero speso parole in difesa delle mogli tradite, mentre molti, presi dalla foga di esprimere un qualsivoglia vago concetto, con la mente si sarebbero lasciati andare al pensiero della lussuriosa scena svoltasi alcune sere prima. Per diversi giorni il Presidente del Consiglio avrebbe assistito al vacuo putiferio generato dalle sue parole, nel quale la memoria iniziale di quelle stesse parole e del loro genuino significato si sarebbe via via persa nelle migliaia e migliaia di articoli di giornali e commenti di colori i quali, così presi a mettere in pratica il sacro santo diritto di esternare di dire condividere le proprie opinioni (reso ancor più tale grazie alle mirabolanti meraviglie di internet), non trovavano poi il tempo per ascoltare le opinioni altrui.

Il Presidente del Consiglio ed i suoi più fedeli accoliti ben sapevano che tutto quel chiacchericcio avrebbe avuto come inevitabile conclusione un nulla di fatto. La cosiddetta “società civile” non sarebbe stata in grado di partorire alcuna reale elaborazione degli avvenimenti; con l’unico tangibile risultato di parlare sempre e comunque dell'uomo che stava dietro la figura istituzionale del Presidente del Consiglio, rendendolo così inestricabilmente legato alla vita politica del Paese.

L'organizzazione della festa 15 maggio 2000 Quella sera Salvo, caso più unico che raro, andò a letto verso le 23:00, cioè molto presto per i suoi standard. Aveva promesso al suo amico Michelangelo che il giorno dopo sarebbe arrivato alle prime ore del mattino nella casa in campagna per aiutare nei preparativi della festa di laurea. Michelangelo e Salvo erano amici dai tempi delle scuole superiori. In realtà non avevano studiato insieme, ma si erano conosciuti grazie al tipico incastro di amicizie. Da allora la loro amicizia era sempre stata forte; grazie anche alle tante vacanze ate assieme e con gli amici di sempre: Alessandro, Giovanni, Federico e Massimiliano. Indimenticabili furono le vacanze in campeggio alla Maddalena. Ogni aspetto della vacanza, dal viaggio in nave, al rifornimento di cibo, era preventivamente studiato nei minimi dettagli al fine di risparmiare il più possibile. In particolare la spesa per le cose da mangiare era fermamente tenuta sotto controllo da Federico, il quale ogni volta si sobbarcava l'onere di tenere la cassa comune. L'autorità muscolare derivante dagli anni di rugby, consentiva a Federico di mantenere l'ordine. Solo Alessandro avrebbe potuto tenere testa a Federico; certamente da un punto di vista fisico, ma soprattutto per l'ammirevole capacità di Alessandro nel mantenere la calma e nell'infondere quest'ultima alle persone a lui vicine. In realtà l'aspetto muscolare era solo parvenza, in quanto di machi e bulli nel gruppo non ve n'erano.

L'allegra combriccola durante la vacanza, si sottoponeva ad un rigido controllo nell'attesa del premio finale: una cena a base di tortelli panna e prosciutto. Mentre il ricordo di quelle vacanze si dipanava nei sogni di Salvo, la sveglia compì il proprio dovere svegliando quest'ultimo dal sonno profondo nel quale era ancora immerso. Con l'aiuto dell'unico neurone attivatosi, Salvo fu appena in grado di allungare stancamente la mano destra verso l'interruttore dello stereo. La musica dei Metallica ebbe l'effetto di un gong sugli altri sparuti neuroni non abilitati ad attivarsi prima delle 10 del mattino. Salvo non era un metallaro sfegatato ma quella musica aveva sempre ottemperato al proprio compito. Dopo una fugace colazione, rigorosamente dolce, niente di salato poteva entrare nel suo stomaco prima dell'ora di pranzo, Salvo prese le chiavi della sua Betta (il nome che aveva dato alla sua macchina) e partì in direzione di Vinci. Una volta uscito dalla città, mentre percorreva le stupende strade di campagna incontrando solo qualche sparuto ciclista, Salvo ripensò alle vacanze in campeggio. Nella sua mente riaffiorò il ricordo degli sforzi fatti assieme ad i suoi amici per mettere insieme i soldi per fare 10 giorni, al massimo due settimane di vacanze, le quali poi riuscivano una meglio dell'altra. Chissà, si domandò Salvo, se gli sarebbe riuscita la stessa cosa adesso che poteva usufruire di una stupenda casa in campagna messa a disposizione per la festa da un compagno d'università di Michelangelo.

L'incontro Maggio 2000 La macchina correva veloce tra le ormai buie strade di campagna, ma non vi erano dubbi sul fatto che il conducente si fosse perso. Quest'ultimo era nervoso e questo suo stato aumentava progressivamente nel vano tentativo di celare agli occhi della sua compagna di disavventura, il disagio che ne derivava. Era pure stanco; la giornata in nave era stata più lunga del solito. Inoltre, come capitava sempre in quel periodo, la crociera era rivolta ai vecchi. Di giovani ragazze non ne aveva proprio viste fino all'ultimo giorno quando all'improvviso, mentre si rimpinguava durante la colazione, apparve al suo cospetto la fanciulla che adesso si trovava in macchina con lui. "Come avrò fatto a non vederla prima in mezzo a tutti quei vecchi" pensò il signor Pelomane guardando la ragazza che le stava accanto. "Bah, ha poca importanza, tanto adesso e qui accanto a me" "Comunque sia, ho confermato le mie perfomance: una sola ragazza e me la sono beccata io..l'intrattenitore! Altro che il capitano con le sue stellette del menga!" "Se solo mi riuscisse di ritrovare la strada”. Mentre il signor Pelomane pensava a queste cose finalmente arrivarono all'ingresso di una casa. Il signor Pelomane uscì di macchina e si diresse verso la prima persona che gli capitò a tiro. "Buonasera sono.." "Tenete 'sti bicchieri di vino.." disse il tipo il cui nome era Lorenzo. "Ops..è finito.."

"Allora questo bicchiere lo diamo alla tua amica.." "Te invece vieni con me, che andiamo a travasare un'altra damigiana" "Travasare una damigiana!" disse il signor Pelomane "Ma non lo vede come sono vestito?" "Si perché? Giacca e cravatta sono perfetti per travasare un po' di vino" rispose Lorenzo "Dai vieni, falla poco lunga!" Il signor Pelomane alquanto interdetto si girò verso la sua amica per dirle: "Aspettaci qua" "Ok" rispose lei, rimanendo fissa come una statua La ragazza guardò il suo compagno di viaggio allontanarsi in direzione di una stalla. In realtà il suo udito prima e poi piano piano anche lo sguardo stavano trasportando sempre più la sua attenzione verso ciò che accadeva dentro la casa. Il distacco verso quei ragazzi mal vestiti (almeno se confrontati col suo di vestito da 10000€), si stava trasformando in una curiosità sempre più morbosa. Mentendo a se stessa, cosa per la quale era tra l'altro assolutamente avvezza, disse: "Chissà cosa staranno facendo quegli zoticoni. In fondo dare una sbirciatina non sarà poi questo peccato" Ancora bloccata tra l'andare e stare la soluzione all'ime le fu fornito da una ragazza che una volta avvicinatasi, le disse: "Ciao la festa ormai si è trasferita dentro. Dai vieni, entriamo" Le parole della ragazza, di per sé non particolarmente convincenti sortirono comunque l'effetto di sbloccarla dallo stallo. Si diresse così dentro casa, in compagnia di quella ragazza (che di nome faceva Vanessa). Intanto Lorenzo ed il signor Pelomane erano arrivati alla stalla.

"Tutto questo vino da dove arriva?” disse il signor Pelomane "L'hanno portato Michelangelo e Salvo" "Possiedono per caso dei terreni e delle cantine?" mentre il signor Pelomane pronunciava queste parole i suoi occhi incominciarono improvvisamente a brillare di cupidigia, mista ad un pizzico d'invidia. "Sii..certo..quelle sociali a Bagno a Ripoli!" rispose Lorenzo Il signor Pelomane assunse un'espressione come di quello che non aveva capito il senso dell'affermazione. "Fai una cosa, va. Te tieni ferme le bottiglie mentre io ci travaso il vino" disse Lorenzo Lorenzo si sforzò alquanto per non ridere della ridicola posizione assunta da quello strano personaggio: tutta protesa in avanti al fine di non macchiare il vestito. Terminato il travaso di vino i due tornarono in casa. Quando il signor Pelomane entrò vide una bolgia di gente che si stava inequivocabilmente divertendo. Rimase completamente bloccato davanti a quella scena. Lo stallo gli era dovuto dal fatto che fino ad allora pur avendo partecipato a svariate feste non aveva mai assistito a scene del genere. Questa scena non aveva poi niente di ché; semplicemente vi regnavano l'informalità ed il gusto di divertirsi. Ma questo il signor Pelomane non riusciva a percepirlo. Osservava gli sguardi delle persone (era una persona sicuramente arguta ed attenta nell’osservare le persone davanti a lui) e percepiva qualcosa di diverso rispetto alle persone che popolavano le feste alle quali partecipava, ma non riusciva a coglierne la differenza. Lorenzo gli dette una gran pacca sulla spalla destra e il signor Pelomane si sbloccò e cominciò a girare tra i gruppi di persone che parlavano tra loro o ballavano. Mentre si muoveva guardingo gli sguardi delle persone che si accorgevano della sua presenza avevano qualcosa di insolito. Erano rilassati ed accoglienti ed equivalevano a inviti ad entrare nel gruppo. Si differenziavano quindi di gran lunga da quella indifferente diffidenza da lui provata in un lontano ato, quando ancora era un signor nessuno. Ma erano anche diametralmente diversi dall'entusiasta (e falsa, ma lui questo non lo voleva percepire) accoglienza che gli veniva proposta nelle feste alle quali partecipava da che era diventato per tutti

semplicemente “Il signor Pelomane”. Continuò a scrutare quel gruppo di persone fino a quando si imbatté nella sua compagna. La vide ridere e scherzare come mai prima di allora da che si erano conosciuti. Si bloccò nel vederla così disinvolta nel ridere a squarciagola. Sembrava che le sue risate fossero dovute alle battute di una persona specifica che però il signor Pelomane non riusciva a vedere in quanto la vista di questa persona gli era occlusa da un tizio grosso ed alto. Questi altri non era che quel simpatico (si fu proprio questo l'aggettivo che ò in mente al signor Pelomane) del mescitore. "Chi è questa persona in grado di far ridere così a squarciagola?" pensò il signor Pelomane Nel frattempo Lorenzo si era girato verso di lui e lo afferrò per un braccio "Salvo ecco il nostro nuovo amico che mi ha aiutato a mescere il vino" disse Lorenzo Finalmente il Pelomane si trovò faccia a faccia con Salvo. Quest'ultimo gli porse la mano per salutarlo. "Ciao io sono Salvo" "Ciao, io sono Giulio" mentre si presentava ripensò a quando era stata l'ultima volta che si era presentato usando il suo nome. "Vi divertite?" "Ehm..si certo..anzi.." disse il signor Pelomane con fare alquanto imbarazzato. "Mi ha detto Lorenzo che vi eravate persi." mentre Salvo diceva queste parole il Pelomane si sentì addosso gli occhi di tutti. Anche la sua compagna di viaggio sembrava guardarlo come per dire: "Cosa credi, che non mi fossi accorta ti eri perso?" "Se preferite questa notte potrete rimanere qui a dormire. State tranquilli che una camera ve la troviamo" Salvo gli stava rubando la scena. Era sempre il Pelomane a fare da anfitrione, a

dettare i tempi. Adesso spuntava dal nulla questo ragazzotto osando rubargli la scena. Ma quello che veramente lo infastidiva era la sconcertante sincerità di Salvo. Senza che se ne accorgesse Lorenzo gli aveva messo in mano un bicchiere di vino. "Ecco il tuo vino" Pelomane abbassò lo sguardo per osservare il bicchiere e quando lo rialzò Salvo si era già allontanato. Per tutta la serata il Pelomane cercò il momento giusto per fare due chiacchiere con Salvo, ma senza riuscirvi. Più volte si trovò con lui ed altre persone a parlare, ma non fu mai in grado di prendere Salvo in disparte, così da poterne carpire il segreto del suo successo. Finalmente a notte fonda trovò il momento tanto cercato. Salvo era lì da solo mentre si stava versando un bicchiere di vino. "Mi devi spiegare come hai fatto ad organizzare una festa del genere" Salvo rimase alcuni istanti zitto, in parte stupito per l'arroganza che strabordava dalla bocca di Pelomane. "Ma..quale segreto, scusa? E' la festa di laurea di Michelangelo, la casa è di alcuni suoi amici, ognuno ha portato qualcosa ed invitato qualcuno.." "Ma tutto quel vino, tutta questa gente che sembra conoscerti.." "Ed infatti molti li conosco, mentre altri li ho conosciuti stasera.." Salvo replicò al Pelomane senza però capire ancora quale fosse lo scopo di quel suo discorso. Quest'ultimo doveva essere stanco ed un po' inebetito, altrimenti non avrebbe chiesto a Salvo di aiutarlo nella organizzazione di una festa. "Quanto vorresti per organizzare una festa nella mia villa?" Salvo guardò Pelomane senza rispondere per alcuni secondi, non sapendo se mantenere la calma o indignarsi. "Ma io non lo faccio mica per lavoro. Poi cosa vuoi organizzare: basta chiamare

un po' di persone, ognuna porta qualcosa da bere e mangiare e la festa è belle che pronta. Inoltre io i tuoi amici non li conosco, come potrei organizzarti una festa?" Allorquando Salvo pronunciò la parola “amici”, lo sguardo di Pelomane mutò da euforico a vuoto, per poi riprendere lo sguardo di prima. Se Pelomane fosse stato lucido avrebbe accettato la sconfitta, ma essendo come ubriaco a causa dell'atmosfera della festa cominciò ad alterarsi e rincarò la dose: "Io HO molti amici.. Voglio che tu ricrei nella mia villa una festa come questa..Ti pagherò bene.." mentre pronunciava queste parole le pupille di Pelomane si allargavano sempre di più. Salvo, infastidito dal tono imperativo delle parole di Pelomane, ma anche dall'offerta economica, guardò intorno per cercare una scusa da appioppare al suo interlocutore per poterlo allontanare da sé. Vide l'amica di Pelomane e le fece cenno di raggiungerli. Salvo incontrò nuovamente lo sguardo di quella strana persona così irritante il quale si stava reclinando su sé stesso. "Io non so di cosa tu stia parlando e poi non mi farei certo pagare per una cosa del genere.." "Tutti hanno un prezzo.." disse Pelomane ormai barcollante. Lorenzo, il quale aveva assistito a buona parte della discussione giunse da Salvo insieme all'amica di Pelomane giusto in tempo per sorreggere quest'ultimo, prima che cadesse esausto addosso a Salvo. Lo portarono al piano di sopra e lo coricarono nel letto di una delle tante stanze presenti. "Non so cosa gli sia preso. E' abituato ad andare alle feste. Almeno così mi ha detto" disse l'amica di Pelomane. Lorenzo e Salvo si guardarono con una espressione perplessa.

"Non ti preoccupare, dopo una bella dormita domattina starà nuovamente bene e voi potrete riprendere il vostro viaggio" disse Lorenzo La festa proseguì normalmente fino quasi al mattino. Dopodiché il silenzio più totale regnò su tutto il casolare. Verso le 8 del mattino Pelomane e la sua amica si alzarono dal letto ed in maniera molto trafelata abbandonarono quel luogo. Quando alcune ore dopo gli altri si alzarono, di quegli ospiti così mattinieri nessuno più si ricordò e nemmeno ne parlò. Solo Salvo e Lorenzo ricordarono quanto successo alcune ore prima, ma non ne fecero parola, per finire anche loro col perderne il ricordo.

Il ricordo Agosto 2002 Erano ati ormai due anni da quella indimenticabile festa per celebrare la laurea di Michelangelo. Altri amici si stavano laureando o erano prossimi alla laurea. Altri ancora erano già entrati nel mondo del lavoro. L'atmosfera di gioia dovuta alle continue feste ed alle grandi novità ad esse legate (alle volte si festeggiava la partenza di qualcuno per una esperienza lavorativa all'estero), in realtà celava qualcosa di meno allegro. L'estate era giunta al suo apice accompagnata dalla incessante calura. Quella che avrebbe dovuto essere una tranquilla grigliata sulle colline sopra Careggi con pochi amici, fatta più per la scusa di uscire dalla cappa di umidità nella conca di Firenze, si rivelò invece un successo al quale accorsero diverse persone. Il fuoco era ormai pronto per mettere a cuocere la carne quando in rapida successione si presentarono diversi amici che non avevano risposto all'appello, armati di carne vino ed altre persone. Fu l'occasione per rivedere dopo alcuni mesi persone con le quali non c'era stato più modo d'incontrarsi. Come sempre la perfetta organizzazione di Salvo e Lorenzo (fatta più di elasticità che di metodicità) ati dai loro amici fu in grado di far fronte a quell'orda di persone. Massimiliano e Lorenzo cominciarono a sfornare carne alla brace come due provetti cuochi, mentre Alessandro si produsse nei suoi rinomati cocktail. Quando la notte fu calata da diverse ore ed i più ormai se ne erano andati, i pochi rimasti si riunirono sul tavolo centrale per finire l'ultimo fiasco di vino. "Avete letto il giornale oggi?" esordì Alessandro "Già! Certo che ne ha fatta di strada da quando lo incontrammo alla festa di Michelangelo. L'anno scorso è diventato famoso come banchiere e adesso si permette addirittura di fare il mecenate politico" disse Giovanni “In realtà è conosciuto solo qui in Toscana. A questo punto mi aspetto che faccia il salto a livello nazionale” Alessandro pronunciò quelle parole con la neanche tanto celata speranza che il soggetto del suo discorso lo smentisse ritornando nel nulla dal quale era arrivato.

Mentre Alessandro e Giovanni parlavano, Salvo e Lorenzo si guardarono sbigottiti. Quando il Pelomane ottenne per la prima volta l'onore della ribalta per le sue imprese finanziarie, tutti o quasi i partecipanti alla festa di laurea di Michelangelo lo ricollegarono a quel personaggio strano che si era presentato alla festa, vestito di tutto punto ed insieme ad una bella ragazza decisamente più giovane di lui. Così invece non era stato per Lorenzo e Salvo. Fu solo quella sera mentre i loro amici discutevano degli articoli di giornale nei quali si parlava della sponsorizzazione, da parte del Pelomane, del nuovo partito di destra che molto probabilmente avrebbe vinto le elezioni amministrative in Toscana, che Lorenzo e Salvo ricollegarono tutti gli eventi. Tutto quel lasso di tempo ripercorso in poche frazioni di secondo, fu un bello shock per loro due. I due amici rimasero in silenzio per il resto della serata, mentre gli altri discutevano su quali conseguenze politiche avrebbe potuto avere la sponsorizzazione di quel nuovo partito da parte dell'astro emergente della finanza italiana. Era evidente che quel loro primo incontro non li aveva lasciati così indifferenti. Probabilmente fu più questo aspetto ad infastidirli. Perché le loro menti avevano deciso di rimuovere il ricordo di quella persona, invece di accettare il fatto della sua esistenza, Anche perché ora, davanti all'evidenza di quella rimozione, non capivano ancora cosa li avesse veramente turbati. Dall'altra sponda del ponte che li univa al signor Pelomane, quest'ultimo invece non si era dimenticato di loro. I due amici non potevano sapere, lo avrebbero scoperto solo dopo alcuni anni, che in quel lasso di tempo dal loro primo ed unico incontro, il signor Pelomane aveva invece continuato a pensare a loro in maniera ossessiva. arono alcuni giorni prima che Lorenzo e Salvo riprendessero in mano quell'argomento così fastidioso. Fu durante una tranquilla uscita infrasettimanale tra amici. Stranamente quella sera erano tutti un po' taciturni; saranno stati quei temporali che decretavano senza tema di smentita la fine dell'estate. O forse il lavoro che ormai si faceva sentire col suo carico di stress, senza che il gruppo di amici avesse ancora imparato a gestirne il carico di responsabilità. Sta di fatto che quella sera furono diversi i momenti di protratto silenzio. Fu così che durante uno di quei lunghi silenzi, Salvo ne ruppe la tensione: "Vi ricordate di quel personaggio buffo che conoscemmo alla festa di laurea di Michelangelo e che ora abbiamo scoperto essere un banchiere rampante?"

"E come mai potremmo dimenticarcelo" disse Lorenzo "Beh, anche della sua amica" disse Raul "Dici? ma se aveva due stuzzicadenti al posto delle gambe!" ribatté Massimiliano "Te vuoi la ciccia, vero?" rispose Raul "Certo! Anche te la vuoi!" ripose Massimiliano "Stavamo parlando del tizio!" così Lorenzo interruppe la diatriba tra Massimiliano e Raul. "Sembrava avere un interesse smanioso verso di te" disse Massimiliano rivolto verso Salvo. "E' vero. Poi tutto quel girare dentro la villa guardando meravigliato la gente mentre si divertiva" disse Lorenzo "Secondo te quella era meraviglia?" "Si, a me sembrava la meraviglia, quasi lo stupore come di un bambino che entra per la prima volta nel parco divertimenti" "Sono perplesso. L'ho osservato a lungo, anche perché l'interesse verso di te mi sembrò subito alquanto sospetto. Non lo so Salvo, effettivamente a tratti nello sguardo di quel tizio forse anch'io ci vidi lo stupore, ma molto più spesso mi sembrò esterrefatto. Come se tutta quell'atmosfera di divertimento gli stesse dando noia" disse Lorenzo "Forse invidia per la capacità di Salvo nell'organizzare le feste?" disse Raul "Lo dico perché ci parlai per alcuni minuti durante i quali mi fece diverse domande su Salvo. Domande alle quali risposi ma senza che lui mi ascoltasse, preso com'era a decantare le proprie lodi di grande organizzatore di feste." disse Raul "Effettivamente anche a me fece diverse domande su Salvo. Mostrò interesse solo alla mia prima risposta e poi fu ben chiaro che non prestò mai orecchio a ciò

che gli andavo dicendo. Maremma come odio le persone che non ti ascoltano quando gli parli!" disse Lorenzo "Io ho notato tutto quello che avete detto voi. Al di là delle bizzarrie di quel losco figuro, non riesco a capire perché mi abbia dato così noia, come se gli avessi fatto un torto." disse Salvo "Cosa mai gli avrai potuto fare?" "Lo hai accolto come fai sempre con tutti. Hai risposto alle sue domande" disse Lorenzo "Forse è questo il punto: probabilmente voleva essere accolto in maniera diversa dagli altri" disse Salvo "Anche fosse, sarebbe comunque un suo problema, non tuo. Perché una cosa è certa: avrebbe tanto bisogno di un controllino al cervello" disse Massimiliano mentre avvicinava il boccale di birra sotto la faccia di Salvo. "Bevi vai e poche seghe mentali. Era solo un tizio strano come tanti altri e tu non c'entri nulla con lui" ribadì Giovanni. Le parole dei suoi amici furono sufficienti a rincuorare Salvo e quelle strane sensazioni legate al primo incontro col signor Pelomane si dissolsero.

Il successo imprevisto Ottobre 2003 Salvo stava uscendo dalla doccia quando sentì squillare il cellulare. Si asciugò il minimo indispensabile per poter uscire dal bagno ed afferrò il cellulare un attimo prima che smettesse di squillare. "Lore!" "Ciao Salvo. Hai letto?" "Cosa?" "Il giornale di oggi. Non hai visto chi è sulle prime pagine di tutti i giornali?" "Aspetta che guardo.."Salvo si guardò intorno alla ricerca del giornale. "Eccolo, l'ho trovato. Dunque.." arono alcuni secondi durante i quali gli occhi di Salvo si sgranarono sempre di più. "Non ci posso credere..ma è lui?" disse Salvo "Si è proprio lui. L'avresti mai detto? Quando lo conoscemmo quella sera in realtà era già un importante imprenditore, anche se solo a livello locale. Adesso invece ha fatto il salto a livello nazionale" disse Lorenzo. "Allora forse quel suo stupore..Veramente lui organizzava feste di cui era il mattatore" "Ci sta" "Sono senza parole" "Farà anche lui il salto nel bel mondo della politica!" "Ecco adesso mi hai fatto are l'appetito. Già mi stavo pregustando una bella

pizza" "Te la offro io, se scommettiamo però sull'entrata in politica del nostro amico" "Andata" "A dopo ciccio" "A dopo" Salvo chiuse il cellulare e si mise a sedere sulla prima seggiola che trovò, dimentico del fatto di non essersi ancora del tutto asciugato e finì di leggere l'articolo. Lo lesse con una voracità mai espressa prima di allora soffermandosi per alcuni secondi su ogni parola, così da avere la certezza del senso della frase che stava leggendo. Giunto al termine dell'articolo si alzò dalla sedia. Quel breve movimento fu tale da fargli percepire il freddo dovuto al fatto di essere stato mezzo nudo e bagnato per una buona mezz'ora. Ma la pelle d'oca non era dovuta solo a quella sua condizione fisica. L'inquietudine provata due anni prima, durante l' incontro col signor Pelomane, si presentò nuovamente nella sua mente. Cercò di non pensarci. Finì di asciugarsi, si vestì ed uscì di casa. Per la prima volta Salvo si presentò all'appuntamento coi suoi amici, in compagnia di un bel raffreddore, la qual cosa ovviamente non sfuggì ai vari Lorenzo, Alessandro e Massimiliano, che non mancarono di sfotterlo ben bene, essendo Salvo sempre stato immune ai raffreddori. Le battute sul raffreddore di quest'ultimo non durarono molto, in quanto l'argomento trattato in tutte le prime pagine dei giornali, quella sera ebbe il sopravvento su qualsiasi altra discussione. Nonostante ciò Salvo riuscì a mangiare tutte le pizze.

Il signor Bigioni Febbraio 2004 La sveglia suonò alle 6:30 in punto senza però svolgere a pieno il proprio compito, il quale fu portato a termine dai rumori del mercato di S.Ambrogio. Il signor Bigioni si era dimenticato di chiudere la finestra della cucina, lasciando così la porta aperta ai rumori della città al mattino, assieme ai suoi odori che non potevano certo dirsi di essenze floreali. Mentre il caffè era sul fuoco, con la cura di un intarsiatore, il signor Bigioni levò gli sgabelli da sopra il tavolino. Era giovedì, ovvero il giorno successivo alla serata delle pulizie casalinghe. Posò con cura gli sgabelli sul pavimento evitando così le lamentele dell'anziana signora del piano di sotto. Le vecchiette vicine di casa possono essere divise in due grandi categorie: ci sono quelle che di giorno si scapicollano a destra e manca e che quindi vanno a letto con le galline. Poi ci sono quelle che stanno tutto il giorno in casa a guardare la televisione fino alle due del mattino, col volume inevitabilmente altissimo. Effettivamente di questo seconda categoria esiste una variante particolarmente fastidiosa: la compratrice di pane. La compratrice di pane è la vecchietta con la faccia perennemente scoglionata. La vedi al supermercato avvicinarsi con sguardo circospetto verso il banco del pane, allungando la mano per prendere il numero e poi fissarlo producendosi in una smorfia di profondo fastidio. Una volta giunto il turno della vecchietta, questa con fare altezzoso comincia a chiedere alla malcapitata commessa di farle sentire il rumore di tutti i pani, in quanto pretende un pane croccante, ma che duri 20 giorni, con la mollica morbida ma che non si afflosci. Fregandosene altamente del capannello di persone che nel mentre è andato formandosi, la vecchietta insiste nella sua opera fino a quando si limita a prendere un piccolo panino all'olio. Tornando però alle due categorie base di vecchiette, è fin troppo chiaro che una persona come il signor Bigioni, nottambulo indefesso, non poteva che trovarsi

come vicina di casa una vecchietta appartenente alla prima categoria, capace quindi di arrabbiarsi per qualsiasi seppur lieve rumore venga prodotto dalle sette di sera in poi. Il signor Bigioni, a differenza di molti suoi compari nottambuli aveva dalla sua una particolare meticolosità, quasi maniacale, rivelatasi efficace nel gestire i rapporti con la vicina, tanto da renderlo il prediletto di quest'ultima. Quella mattina riuscì con la solita solerzia a gestire le faccende prima di uscire, senza che nessuno nel palazzo, vecchietta compresa, si accorgesse dei suoi movimenti. Uscito di casa si diresse verso la facoltà di lettere da dove verso le 10 sarebbe partita la manifestazione. Partecipava a tutte le manifestazioni e dibattiti vari che si stavano succedendo in quel periodo. La manifestazione partì con anomala precisione. Giunti in piazza S.Marco il signor Bigioni decise di unirsi al collettivo d'ingegneria, all'interno del quale aveva molte conoscenze. In realtà lo conoscevano in tutti i gruppi anche se non aveva conoscenze particolari e nessuno poteva definirsi suo amico. La sua presenza era accettata e scontata. La maggioranza delle persone pensava che avesse sempre fatto parte dei gruppi organizzatori di manifestazioni. Il signor Bigioni aveva la capacità di farsi ben volere da tutti e questo era il segreto che gli permetteva di entrare in nuovi gruppi di persone, ma senza riscuotere particolari simpatie né antipatie, divenendo come una presenza eterea. Il solito mal fidato invece del verbo “entrare” avrebbe usato il termine “insinuare”. Tutto ciò era dovuto anche ai particolari risvolti del suo viso in grado di conferirgli una età indefinibile tra i 25 ed i 40 anni. Anche le movenze ed il modo di vestire contribuivano a questa elasticità nel definire la sua età. Adesso qualcuno penserà che il signor Bigioni fosse un tipo taciturno, che non proferiva mai parola, ma era vero l'opposto in quanto parlava cordialmente esprimendo anche con chiarezza le proprie idee.

Sapeva anche ascoltare e lo faceva sempre con molta attenzione alle risposte ed alle osservazioni dei suoi compagni di manifestazioni e dibattiti ed anche per questo motivo si faceva sempre ben volere. Arriviamo così alla terza caratteristica del signor Bigioni: la capacità di leggere tra le parole associando il senso di queste ultime alla mimica facciale, per arrivare a sentire le vere parole che si muovono tra la testa e la pancia delle persone, ando alle volte per il cuore. Tutti conoscevano il suo punto di vista in merito agli argomenti principali che animavano i dibattiti che seguivano le manifestazioni; tutti credevano che lui conoscesse i punti di vista degli altri, o almeno parte di essi. In realtà il signor Bigioni non ricordava le opinioni dei suoi compagni, ma conosceva questi ultimi molto meglio di quanto loro credessero e sapessero in quel momento di sé stessi. Quel giorno la manifestazione durò fino al tardo pomeriggio, dopo il dibattito finale le persone cominciarono a defluire, ognuna verso il proprio luogo di ritorno. Il signor Bigioni proseguì la serata coi ragazzi del collettivo d'ingegneria in un circolo arci, tra fette di pane con la mortadella, birra e shottino finale, finendo come capitava di sovente in quel periodo, per rincasare molto tardi. La mattina successiva, dopo le solite faccende, inforcò la bicicletta ma questa volta in direzione delle cascine. Normalmente il signor Bigioni era sempre molto contento quando poteva prendere la bicicletta per uno dei suoi soliti giri tra le vie interne della città, tranne però che per quel tipo di appuntamento. Quest'ultimo avveniva periodicamente ma ad intervalli di tempo diversi. Tale irregolarità negli appuntamenti contrastava fortemente con la sua natura abitudinaria. Quest'ultima caratteristica era così permeata in tutta la persona del signor Bigioni, al punto da fargli vivere anche quell'appuntamento, che ormai si ripeteva da più anni, come una fastidiosa alterazione delle sue normali attività quotidiane. Si fermò all'altezza della erella, dal lato dell'isolotto, chiuse la bicicletta col lucchetto ed aspettò.

Dopo pochi minuti arrivò una macchina che si fermò proprio davanti a lui. Il signor Bigioni entrò dalla porta che gli era stata aperta e poi la macchina sparì. Il viaggio durò una mezz'ora circa fino a quando la macchina si fermò davanti al cancello di una villa tra S.Casciano e Mercatale val di Pesa. Il signor Bigioni uscì dalla macchina e suonò il camlo sulla destra di un piccolo cancello che si aprì poco dopo permettendogli di entrare, da lì si diresse verso la dependance che stava poco staccata dalla villa. Giunto all'ingresso vide che la porta era accostata. Bussò e poi entrò senza troppi indugi. "Buongiorno signor Bigioni" disse il signor Pelomane "Come sta Presidente?" disse il Bigioni Quando a suo tempo i due si conobbero ad una festa, il Pelomane si presentò come “Presidente”. Questi solo in un secondo incontro fornì il proprio cognome. Nonostante ciò, da allora il Bigioni ha sempre continuato ad usare il titolo “Presidente” per rivolgersi al Pelomane. "E' arrivato giusto in tempo. Come vede Paola ha or ora messo sul fuoco il caffè". Il signor Bigioni girò parzialmente il viso verso Paola alla quale concesse un timido sorriso. "Meno male che c'è lei ad apprezzare il mio caffè, signor Bigioni" disse Paola Bevvero il caffè. "Allora signor Bigioni, cos'ha da darmi?" "Una lista ben nutrita" "Ottimo" Il signor Bigioni allungò un foglio verso il “Presidente”.

Nel foglio vi era scritta una lista di nomi con associati una serie di simboli, il cui significato era noto solo a loro due. "Efficiente come sempre". Il signor Bigioni abbozzò un sorriso. "Bene, bene. Molto bene". "Poi un giorno mi spiegherà come riesce sempre ad individuare i soggetti". "Oh, ma è semplice". "Una buona parte di quelli che protestano lo fanno per una inconscia invidia, nei confronti del potente di turno.." Per la prima volta il “Presidente” sembrò veramente ascoltare le parole del Bigioni. "..Poi c'è un'altra parte, molto consistente, di persone che scendono in piazza e protestano mosse da sentimenti più che dignitosi, ma appunto lo fanno solo coi sentimenti, non anche con la razio.." Il signor Bigioni si accorse di aver già perso l'attenzione del suo interlocutore e ottenne conferma di ciò quando l'uomo alla destra del Presidente, che fino ad allora era sempre rimasto silenziosamente nella penombra, si alzò per posare sul tavolo davanti a lui la solita busta contenente l'assegno. "Arrivederci signor Bigioni" "Arrivederci Presidente" Il signor Bigioni uscì dalla dependance rivolgendo prima un sorriso a Paola. Giunse al cancello dove trovò ad aspettarlo la solita auto che lo ricondusse alla erella dell'isolotto. Prima di riprendere la bicicletta il signor Bigioni si diresse al mercato, dove girò tra le bancherelle con fare svogliato, quando improvvisamente il suo olfatto prima e lo sguardo poi, si accesero con la percezione della porchetta che stava in

bella mostra sul banco della gastronomia. Stava per ordinare un panino con la porchetta quando fu tradito dalla sua smania di conoscere sempre l’ora esatta. Guardando l’orologio capì che se avesse perso tempo a mangiare l’agognato panino, sarebbe arrivato in ritardo a casa, con la inevitabile conseguenza di non poter terminare tutti i compiti che si era dato la sera prima. L’angoscia e la paura per un siffatto stravolgimento della giornata accompagnarono il signor Bigioni fino alla bicicletta, mentre l’odore della porchetta si perdeva tra i tanti altri odori della città. Intanto nella villa del “Presidente”, quest'ultimo ed il suo assistente Claudio si trovavano ancora dentro la dependance. "E adesso cosa facciamo?" disse Claudio "Niente. Non è ancora giunto il momento. Quando i tempi saranno maturi, presenteremo il “prezzo”" disse il Pelomane, sventolando il foglio con la lista, poi si alzò e con fare assolutamente tranquillo uscì dalla dependance, per andare a chiudersi nel suo ufficio. La tranquillità del Presidente era solo apparenza, in quanto moriva dal desiderio di scorrere la lista dei nomi, nella spasmodica speranza di trovare quel nome. Scorse la lista, la lesse e rilesse più volte, ma niente: di quel nome non vi era traccia. Sconsolato si diresse verso il banco degli alcolici dove si versò del whisky. Poi prese il foglio con la lista e la ripose sopra una pila composta da fogli contenenti altrettante liste. Alla destra di questa pila vi era un altro foglio anch'esso contenente una lista di nomi, tra i quali ne spiccavano tre cerchiati in rosso. Il signor Pelomane prese questo foglio, si concentrò su quei tre nomi evidenziati, per riandare all'ebbrezza provata quando scoprì di aver trovato il prezzo per corrompere quelle tre persone, che appartenevano alla cerchia ristretta della sua preda finale. La felicità di quel momento lontano, per un breve istante riprese possesso del signor Pelomane, ma fu subito sostituita dallo scoramento derivante dalla constatazione che, da allora, non era stato in grado di avvicinarsi

ulteriormente alla sua preda. Quelle tre persone certamente gli erano state molto utili anche per altri compiti, ma anche loro adesso non facevano più parte della sua cerchia di contatti. Solo uno dei tre, Claudio, gli era rimasto fedele al punto da diventare il suo braccio destro. Ma il signor Pelomane non era tipo da arrendersi facilmente e sapeva che non sarebbe ato molto altro tempo prima della resa finale dei conti.

La caccia Luglio 2004 La notte stava calando accompagnando per mano la nebbia che subito andò a ricoprire la collina sulla quale sorgeva la villa del signor Pelomane. Era la serata ideale per riprendere la caccia: pensò il Pelomane. “All'armadio!” disse il Pelomane. Camicia sbottonata al terzo bottone, bandana e pantaloni aderenti..Si fa presto a dire aderenti.. “Claudioo..vasellina!!” “Eccomi! Eccomi! Subito lesto, pronto per lei! La metto nella tasca destra della giacca?” “No! Nel tuo cervello vuoto!” Una espressione ancor più vuota del solito, riempì il paffuto volto di Claudio. "Mi serve per far entrare i pantaloni. Forza spalma bene dentro i pantaloni, che ho fretta di andare." Claudio si mise di gomito buono a riempire l'interno dei pantaloni, con la vasellina. "Certo signore..andare tutto solo in quel covo di comunisti..io li conosco bene ed ho ricordi terribili.." "E tu vorresti venire con me.." disse il signor Pelomane con sorriso beffardo La bocca di Claudio concesse la massima estensione possibile al sorriso, mentre i suoi occhi cominciarono a brillare di luce intensa.. Immobili in quella posizione, i due se ne stettero per alcuni secondi sin quando il signor Pelomane interruppe quel momento magico: "caro Claudio..come diamine

te lo devo dire..in missione con me non ci verrai mai e poi mai!" Claudio abbassò la testa verso i pantaloni, mentre il vuoto assoluto riprese a dominare l'espressione del suo volto. "Ecco fatto signore." "Va bene vediamo un po'.." "Ecco si, così entrano. Bravo Claudio! Lo vedi che quando vuoi, anche tu sai essere utile!" "A domani mio signore” disse Claudio con voce tremolante. "Ah!" il signor Pelomane si girò verso Claudio. Claudio che era rimasto fermo guardando il suo padrone che si allontanava da lui, riprese quella espressione di beata estasi che assumeva tutte le volte che il Pelomane si rivolgeva a lui. "Hai liberato le bestie?" "Non sono mai tornate nelle celle.." disse Claudio con una evidente espressione di compiacimento per la propria spietata efficienza. "Bravo" disse Pelomane prima di girarsi e riprendere il cammino verso l'uscita del palazzo. Ad attenderlo fuori trovò le sue bestie: un folto gruppo di ex-sessantottini, radicali, comunisti ed hyppies di varia estrazione, ma anche ex-rappresentanti del variegato mondo della destra. Erano il suo esercito personale che si era costruito grazie alle sempre preziose informazioni del valido signor Bigioni. Le persone davanti a lui costituivano la dimostrazione della validità dei suoi sforzi e della lungimiranza nell'osservare il comportamento degli italiani. Soprattutto questo secondo aspetto lo rendeva fiero ed era anche il motivo che anni prima lo aveva spinto a servirsi del signor Bigioni, avendo riconosciuto in lui quella stessa capacità. Certo le doti del Bigioni andavano ben oltre, ma Pelomane questo non lo avrebbe mai ammesso, celando a sé stesso la propria invidia con la motivazione che era lui a sfruttare il signor Bigioni e che quindi, in base a questa sola motivazione, gli era superiore.

Ma Pelomane si sbagliava di grosso: le sue capacità analitiche erano efficaci solo se applicate alla sua sfera di conoscenze e quindi a quella parte di esseri umani molto benestanti di cui anche lo stesso Pelomane era un membro. Al di fuori di questa cerchia vi era una pletora di persone verso le quali il Pelomane provava solo una totale indifferenza, preso com'era dal desiderio di brillare sempre di più all'interno della cerchia di cui faceva parte. L'unica eccezione a quella indifferenza era costituita da Salvo ed i suoi amici che anni prima lo costrinsero a sentirsi umiliato. Umiliazione era la prima parola che veniva in mente a Pelomane quando la sua mente ricordava quella festa a cui partecipò anni addietro. In realtà vi erano tante altre sensazioni e stati d'animo che preferiva non considerare. Il suo unico obiettivo era umiliare a sua volta Salvo ed i suoi amici. A questi ultimi ci avrebbe pensato Bigioni, trovando il loro prezzo. Una volta rimasto solo, tradito da tutti i suoi amici, Salvo sarebbe stato facile preda del suo cacciatore. Ma era necessario conoscere l'ambiente per la caccia, ovvero i luoghi vissuti dalla preda. Da qui le missioni alle quali il fido Claudio avrebbe anelato di partecipare; si era messo in testa di cercare Salvo tra locali, ville e ovunque si fe festa. Ma qui risiedeva il principale errore del signor Pelomane. L'indifferenza per quella parte di essere umani di cui la sua preda faceva parte; unita al non voler indagare le sensazioni provate durante il loro primo ed al momento unico, incontro avrebbero portato il signor Pelomane ad una catastrofica serie di errori di valutazioni, tra i quali la selezione dei luoghi dove una persona come lui avrebbe potuto far festa, ma non certamente una diversa tipologia di persona come Salvo.

Vanessa 12 dicembre 2008 La riunione col collettivo di sinistra era durata più del solito, ma la sua agenda era anche stata ben rimpinguata. Per festeggiare il buon lavoro svolto quella sera, il signor Bigioni si concesse una lunga eggiata in bicicletta per le vie meno frequentate del centro. Concentrato com'era nell'assaporare il caldo silenzio di quelle vie, imboccò Borgo San Frediano senza fare attenzione a chi stesse arrivando dalle vie laterali finendo così quasi per scontrarsi con un'altra bicicletta. La conducente della bicicletta perse il controllo e cadde a terra. Il signor Bigioni si avvicinò per aiutarla ma questa fu più veloce di lui. "Scusami! Stavo andando troppo veloce!" "Ma veramente..sarei io che dovrei scusarmi. Perché non ho guardato chi stava giungendo dalla mia destra" Vanessa lo guardò con un mezzo sorriso "Non lo fa mai quasi nessuno" "Comunque sia sono io ad avere torto" "Cogne com'è tardi!!" disse Vanessa guardando l'orologio. "Tu quindi stai bene? Non ti sei fatto male?" "No, no. Non ti preoccupare, non sono neanche caduto". Il signor Bigioni rispose meccanicamente, in quanto più interessato da quella buffa parola usata dalla ragazza, all’inizio della sua esclamazione. "Scusami ma devo andare. Sono in ritardo col lavoro. Io sono Vanessa. Ciao" "Ciao" Il signor Bigioni restò ancora un po' lì fermo guardando Vanessa mentre si allontanava, sbigottito dalla sua gentilezza. Poi riprese il giro per le strade tra San Frediano e Santo Spirito. Girava e rigirava per le solite strade senza una meta precisa. Quel che era certo è che non aveva alcuna voglia di andare a letto.

Nei suoi continui giri ò più volte per via dell'Orto, all'ennesimo aggio si fermò davanti ad un piccolo locale. In realtà lo aveva notato anche prima, ma solo dopo svariati giri aveva deciso di fermarsi per bere qualcosa. Si mise a sedere in una delle poltroncine, quasi tutte vuote, che stavano appena fuori il locale e poi si girò per ammirare la chiesa del Carmine. Rimase alcuni istanti ad osservarne l'ingresso quando il filo dei suoi pensieri fu interrotto da una voce a lui familiare. "Ciao!" Il signor Bigioni si girò e vide il volto sorridente di Vanessa. Cominciò a sudare. Si sentiva colpevole perché pensava che Vanessa avrebbe potuto attribuirgli l'intenzione di seguirla per provarci con lei. Non fece però in tempo ad aprire bocca per dire qualcosa che avrebbe potuto fugare in lei qualsiasi dubbio, in quanto fu Vanessa a precederlo. "Mi fa piacere che tu sia qui, così potrò sdebitarmi" "Ma guarda che non devi. Ti ripeto sono stato io a sbagliarmi" "Oook! Cosa ti porto?" Il signor Bigioni, rincuorato dalla gentile voce di Vanessa chiese una birra chiara. "Ok, torno subito" Vanessa si presentò dopo pochi istanti con una bella birra fredda e schiumante. "Ottimo grazie. Dopo tutti i giri che ho fatto stasera una birra fredda è la migliore cosa che si possa bere" "Giri spesso in bicicletta?" "Alle volte, si. Specie in questo periodo dell'anno. Mi piace il silenzio di queste strade" "Anche a me, solo che sono sempre di fretta” Vanessa guardò il signor Bigioni e poi riprese a parlare: "Allora dopo tutto questo girare avrai anche fame. Dimmi

di si?" "Beh, in effetti m'è tornato un certo appetito" "Bene!" disse Vanessa con un gran sorriso "Allora dai vieni dentro, dove possiamo mangiare più comodamente" Entrando nel locale Vanessa presentò il signor Bigioni ai vari colleghi in quel momento presenti nel locale. Si misero a sedere su delle poltrone effettivamente molto comode, dopo poco arrivò il cuoco con due piatti fumanti di carne alla brace. Il signor Bigioni, ormai messosi completamente a proprio agio grazie alla disarmante e spontanea gentilezza di Vanessa, addentò subito quella carne senza perder troppo tempo in cerimoniali. Dopo alcuni istanti di assoluto silenzio durante i quali i due dettero pieno sfogo alle papille gustative nell’assaporare quella carne, il signor Bigioni interruppe il silenzio: "E' molto che lavori in questo locale?" Quella domanda era assolutamente irrituale. Il signor Bigioni aspettava sempre che fossero i suoi interlocutori a fare la prima domanda. In questo modo, alla fine lasciava in questi ultimi l'impressione che avesse parlato di sé, mentre la realtà era ben diversa. A quelle prime domande il signor Bigioni rispondeva sempre in maniera evasiva, ma senza mai darne l'impressione e al contempo sfruttava quelle stesse per capire da dove iniziare a sondare l’anima dell’interlocutore. Ma questa volta con Vanessa non si sarebbe comportato come al solito, anche perché aveva avuto fin dall'inizio l'impressione che lei non avesse segreti da celare. Vanessa era così come la si vedeva e non aveva quindi bisogno di nascondere, per un più o meno malcelato senso di conformismo, qualche lato della propria personalità. "Da un anno, ma non è la mia occupazione principale, sono venuta in Italia dal Venezuela per seguire un master in diritto internazionale"; Vanessa raccontò al signor Bigioni di tutte le peripezie degli ultimi mesi, condite di ostacoli burocratici, che aveva affrontato in quell'anno trascorso a Firenze. "E tu cosa fai?" Il signor Bigioni guardò il proprio piatto, smise di mangiare e si pulì le mani appoggiando al contempo la schiena sulla poltrona. Il riflesso provocato dal

bagliore delle luci di una macchina colpì la sua attenzione verso l'esterno del locale e fu così che il signor Bigioni si accorse di uno specchio che stava su un angolo tra la parte esterna del locale e quella vicina alle poltrone. Rimase per alcuni istanti a specchiarsi prima di volgere lo sguardo verso Vanessa, per rispondere alla sua domanda: "Io guardo dentro le persone". Era la prima volta che il signor Bigioni dava quella definizione di sé. Sapeva che prima o poi sarebbe giunto il momento ed aveva sempre pensato che molto probabilmente lo avrebbero preso per un pazzo, o per il solito figlio dei fiori con la testa tra le nuvole, convinto dell'esistenza del karma e di qualche altra stramberia. Con Vanessa fu diverso, in quanto nei suoi occhi non c'era alcun tentativo di giudicarlo. Il signor Bigioni perse tutta la timidezza che fino a quel momento lo aveva dominato. Avendo ormai capito di non doversi più nascondere davanti a Vanessa, pensò che con lei avrebbe potuto in tutta tranquillità condividere i propri pensieri sugli uomini. "Ti sei mai chiesta se le persone che incontri e frequenti siano completamente sincere con te? Hai mai avuto la sensazione che una persona ti stesse rispondendo in maniera preconfezionata e formale, al solo fine di celare i propri più reconditi pensieri, probabilmente neanche del tutto percepiti dalla quella stessa persona?" "Certo è una sensazione che ho provato più volte. Però ho sempre pensato che quei “reconditi pensieri” riguardassero comunque solo quella persona e che l'eventuale disagio fosse un problema di quest'ultima e non mio" Il signor Bigioni, ormai forte della sicurezza derivante dall'argomentare un concetto a lui ben noto, guardò Vanessa con tenerezza, tanta era la evidente bontà di quest'ultima. "Quante pensi siano le persone che tengono un tale comportamento? La maggioranza o la minoranza?" "Voglio sperare la minoranza. Ma tu fai sempre due domande insieme?" Per un breve istante il signor Bigioni si fece nuovamente dominare dalla solita

timidezza, ma trovò comunque le parole per rispondere a Vanessa: "Scusami ma è veramente la prima volta che parlo con qualcuno di questo argomento, anche se mi è perfettamente chiaro in mente" "Allora anche tu ti sei trovato nella condizione di dover dare una risposta formale, già precedentemente formulata per poter far fronte a quel preciso contesto?" "No, non mi sono mai trovato in quella situazione, perché so sempre cosa stanno per chiedermi i miei interlocutori, o almeno è sempre stato così prima d'incontrare te" Per la prima volta Vanessa guardò il signor Bigioni con aria perplessa. "Penso sia giunto il momento di spiegarti chi sono, ma prima lascia che condivida con te una idea che mai prima di adesso avevo esposto ad alcuna persona" Affatto turbata da quelle parole Vanessa si avvicinò al signor Bigioni per meglio ascoltare. "Vedi Vanessa, io ho sempre pensato che da un certo punto di vista le persona possano essere divise in quattro categorie: ci sono quelli che decidono di non seguire i dettami conformisti della nostra società, ma lo fanno coerentemente vivendo completamente staccati da quest'ultima. Ci sono poi quelli, apparentemente simili ai primi, ma che nei fatti mantengono un piede dentro la società, perché non hanno la forza e la statura morale per staccarsene completamente, con tutte le incongruenze ed ipocrisie che ne conseguono. Ci sono poi quelli che stanno dentro la società con entrambe i piedi ma criticano ogni singola parte di quest'ultima. Si crucciano per tutte le ingiustizie che inevitabilmente ricadono su di loro, ma poi alla prima occasione si compromettono con la scusa del “così fan tutti e chi sono io, l'unico bischero che non lo deve fare?”. Infine ci sono quelli che, pur stando dentro la società con entrambe i piedi, riescono a non cadere nel tranello del “così fan tutti” aggrappandosi all'idea che compromettersi significherebbe abbrutirsi nell'animo, a fronte di un momentaneo vantaggio più apparente che reale" "E secondo te com'è distribuita la popolazione tra queste quattro categorie?" "Non v'è dubbio che la seconda e la terza la fanno da padrone, molto

probabilmente con un leggero vantaggio della terza" "Mi sembra di aver già sentito discorsi analoghi a questo, poi ammesso e non concesso che la tua divisione sia plausibile, non pensi che all'interno delle quattro categorie ci siano tante più o meno piccole sotto-categorie? Ad esempio quelli che si compromettono non saranno tutti egualmente colpevoli. Alcuni magari saranno in parte giustificati, perché costretti da altri fattori." "Resta il fatto che si sono lasciati corrompere e per me è ciò che conta. Comunque sia non ho mai preteso di essere originale." "Dai su! Non ti avvilire" disse Vanessa sorridendo "Ma io mica mi sto avvilendo. Il senso del mio discorso non è quello di proporti una teoria sociologica innovativa. Sono abbastanza sicuro che tu avrai già sentito in ato, la teoria che ognuno ha un prezzo..." Vanessa interruppe il signor Bigioni, prima che questi terminasse il proprio discorso, ma senza che quest'ultimo provasse alcun fastidio, abituato com'era ad essere interrotto. "Scusami se t'interrompo, però il tuo discorso non coincide esattamente con la teoria dei tutti corruttibili. Tu infatti supponi che ci siano due frange, seppur minoritarie, di persone non corruttibili." Con un vago sorriso abbozzato il signor Bigioni rispose a Vanessa "Io ho solo detto che non si fanno corrompere. Non ho detto che non siano corruttibili. Probabilmente basterebbe trovare la giusta chiave di lettura dei loro pensieri e forse anche loro, o almeno una parte di essi, non sarebbero più così integerrimi." "E chi sarebbe in grado di leggere i loro pensieri? Tu?" "Esatto. Proprio a questa parte volevo arrivare" "Spiegati meglio" "Ora non voglio entrare nei dettagli, spiegandoti quando tutto è iniziato, anche perché finirei per annoiarti.." "Perché lo dai così per scontato? Io non ne sarei così certa"

Vanessa ed il signor Bigioni si guardarono per alcuni secondi senza parlare. Il signor Bigioni per la prima volta ebbe come l'impressione che Vanessa lo stesse leggendo, ma capì che era solo una paranoia dovuta alla momentanea perdita di lucidità. "Sia come sia, per me era interessante spiegarti cosa faccio. Quando parlo con una persona e la discussione tocca svariati argomenti, anche senza toccare la sfera intima, purché non siano troppo superficiali, man mano che la discussione procede riesco a capire alcuni aspetti reconditi e comunque celati del mio interlocutore. Negli anni ho poi imparato a fare domande sempre più mirate senza correre il rischio che il mio interlocutore pensi di essere soggetto ad un interrogatorio. Grazie a queste domande mirate sono in grado di arrivare ad aspetti così nascosti, da essere di difficile individuazione anche per lo stesso interlocutore. Più le argomentazioni sono preconfezionate e formali, maggiori sono le possibilità per me di capire la vera natura della persona." "Capisco, ma cosa ci fai con queste informazioni?" "Le vendo. E' ovvio?" Vanessa rimase in silenzio mentre guardava con stupore il signor Bigioni. Non c'era niente però negli occhi di lei che lasciasse intendere un tentativo di giudizio da parte sua, verso il signor Bigioni. Quest'ultimo disse quelle ultime parole aprendosi sinceramente con lei, perché sapeva che Vanessa non lo avrebbe giudicato. "Ma scusa..e chi te le compra?" "Oh, tu non sai quante siano le persone interessate a questo genere di informazioni. Chiunque gestisca una qualche forma di potere, o pretenda e si aspetti di averlo a disposizione, sicuramente sarà interessato a queste informazioni" "Quindi tu leggi nell'anima delle persone, carpendo informazioni spesso anche ad esse ignote, poi le rivenderesti ad alcuni presunti potenti perché possano comprare le persone.." "Esatto"

"Non è molto bello quello che fai!" "Non l'ho mai detto" "Ti piace questa vita?" "Mi permette di fare quello che veramente mi piace" "E sarebbe?" "Beh una vita tranquilla.." Vanessa si girò verso la porta dalla quale entrò uno dei suoi colleghi. "Vanessa, stanno arrivando due gruppi di persone. Ci dovresti dare una mano" disse il collega "Arrivo subito" Il collega di Vanessa uscì velocemente dalla stanza. "Mi dispiace ma dobbiamo interrompere la nostra chiaccherata. Ma non finisce qui e la prossima volta mi dovrai spiegare un po' meglio" Al signor Bigioni quelle ultime parole di Vanessa apparvero subito per quello che erano: solo il palese interesse di una nuova amica, ma anche in questo caso, senza alcuna parvenza di giudizio. "Ti ringrazio molto per la compagnia. Spero di rivederti presto." "Anch'io. Buona serata" "Ciao" Una volta fuori dal locale il signor Bigioni prese la bicicletta e se ne tornò a casa, con molta calma, ben sapendo che quella notte non avrebbe chiuso occhio.

I dubbi di Valentina Novembre 2008 Valentina chiuse a chiave la porta dell'ufficio, scese le scale e uscì velocemente dal palazzo superando con un saluto frettoloso, lo sguardo eternamente curioso dell'usciere. C'erano giorni in cui la puerile maleducazione di alcune persone superava il suo desiderio di essere comunque gentile ed educata. Ciò le insinuava un certo senso di fastidio al quale col tempo si era però assuefatta, giustificando il proprio comportamento in tali giornate come la classica eccezione che conferma la regola. I suoi pensieri si confo sempre più coi caotici rumori delle strade del centro fino a perdervisi dentro. Giunta all'angolo tra via Cavour e via degli Arazzieri, da questa ultima vide giungere quella stupida oca della signora Pindon, che si distingueva tra la massa di gente a causa delle sue orribili labbra rifatte. Dopo una giornata stressante, non rientrava certo tra i suoi desideri l'ascoltare una illuminante dissertazione sugli ultimi ritrovati nell'ambito della chirurgia plastica al seno. Per questo Valentina accelerò il o voltandosi solo un attimo per vedere dove stava andando la signora Pindon la quale, fortunatamente, aveva preso la direzione di piazza San Marco per sparire così dalla sua vista. Nel girarsi Valentina non si accorse della fila di biciclette attaccate alla ringhiera che delimitava il marciapiede, non poté quindi fare a meno di andare a sbattere contro la ruota di una bicicletta, rovinando a terra. Nel rialzarsi, dopo aver controllato che le calze non si fossero rotte, si girò a destra per prendere la borsetta, ma alzando lo sguardo vide la signora Pindon imboccare via Cavour. Per cercare di sfuggire all'incombente destino, si guardò a destra e a sinistra e vide che proprio davanti le si parava l'ingresso di una piccola libreria. Vi s'infilò di corsa percorrendo tutta la libreria fino all'ultimo scaffale, solo allora si girò verso l'ingresso in attesa di vedere se era stata abbastanza veloce nel nascondersi. Aspettò alcuni minuti per dare il tempo alla signora Pindon di arrivare alla libreria. Trascorso un lasso di tempo adeguato capì che invece aveva proseguito per la propria strada, Valentina sbucò dallo scaffale, ma indugiò ancora prima di uscire. Rimase a scorrere i libri presenti sullo scaffale davanti a lei, in quanto are del tempo non previsto in una libreria non era mai tempo perso. Improvvisamente le venne in mente il proposito che si era data alcuni giorni prima: di rileggere la versione originale di

“Cappuccetto rosso”. Eseguì una veloce ricerca tra gli scaffali fino a trovare il libro. Prima d'iniziare la lettura, Valentina guardò l'orologio per capire se aveva tempo a sufficienza prima della chiusura della libreria, per leggere con attenzione il racconto, vedendo che il tempo a sua disposizione le sarebbe bastato, aprì il libro ed iniziò a leggere. Il proposito di Valentina era nato dall'esigenza di capire quanto la sua rivisitazione teatrale di “Cappuccetto rosso”, che avrebbe messo in scena di lì a pochi giorni, potesse essere diventata presuntuosamente comica ed irriverente. Negli ultimi giorni aveva apportato varie modifiche alla versione originale della sua rivisitazione, ora temeva di aver calcato un po' troppo la mano. Al termine della lettura del racconto i dubbi di Valentina erano ancora presenti nella sua mente. Il suo desiderio di esprimere, attraverso il teatro, un certo concetto, si scontrava con quell'angolino conformista della sua mente, bloccata dal pensiero di cosa avrebbero potuto pensare coloro che avessero visto il suo spettacolo e su come lei avrebbe potuto arginare gli eventuali malumori degli spettatori. Dando ascolto a questo angolino conformista avrebbe rischiato di alterare tutta la sua rivisitazione di “Cappuccetto rosso”, finendo per fargli perder il significato originale e con esso il desiderio di fare teatro. Valentina fu percorsa da un fastidioso brivido al pensiero di perdere la ione per il teatro a causa delle opinioni altrui. Il seguito di quell'orrido pensiero fu il “te l'avevo detto” dei molti tra le conoscenze di Valentina che non avevano mai condiviso la sua ione per quel tipo di teatro così poco ortodosso. Quelle conoscenze le avevano sempre imputato, con assoluta mancanza di rispetto verso le sue idee, un comportamento poco opportuno e certamente non rispettoso della dignità della sua posizione di direttrice della storica Biblioteca Marucelliana. Valentina uscì dalla libreria ancora non del tutto convinta sulla linea da seguire. Mentre percorreva in bicicletta la strada verso casa riuscì, con non poco sforzo, a scacciare i pensieri legati ai “te l'avevo detto” di certe sue conoscenze e si convinse che sarebbe stata in grado di tenere a bada quei pensieri fino al giorno dopo lo spettacolo. Così facendo non avrebbe stravolto le ultime modifiche apportate allo spettacolo.

La droga nascosta Novembre 2008 Erano da poco ate le ore undici del mattino e Randa sapeva che avrebbe dovuto aspettare ancora diverse ore prima di poter parlare con Max. Difatti quest'ultimo, coerentemente col suo stato di follia, verso le 5 del pomeriggio per l'ora del tè, riacquistava una sorta di lucidità, sufficiente comunque per avere una discussione razionale con altre persone. In realtà, come vedremo tra breve, il suddetto stato di lucidità di Max era ben lontano dal comportamento di una persona assennata. Randa, rosa dalla smania di parlare con Max ritenendolo fondamentale per le sue indagini, si prese mezza giornata di permesso e andò a correre. Partì da casa con fare bellicoso ed in men che non si dica arrivò a villa Bellosguardo. La giornata era molto bella; il vento di maestrale aveva ripulito l'aria dall'umidità dei giorni precedente e da villa Bellosguardo si poteva quindi godere di una splendida vista di Firenze. Randa era però troppo agitata per potersi fermare e quindi senza indugi si diresse verso il Galluzzo ando tra le viuzze murate che tagliano le colline sopra via Senese. Arrivata che fu alla chiesetta prima del ponte militare, Randa aveva solo in parte scalfito il suo furore agonistico. Decise comunque di fare marcia indietro; pensò che fosse meglio salvare del tempo per preparare al meglio la chiaccherata con l'amico Max. Mi sono infatti dimenticato di descrivere un particolare: Max durante i su menzionati momenti di lucidità, credeva di essere un Lord britannico ai tempi della regina Vittoria. Randa sapeva bene che, affinché quei momenti di lucidità durassero il più possibile, tutto doveva essere curato nei minimi dettagli. Randa aveva quindi bisogno di tempo per entrare mentalmente nei panni di una gentildonna inglese, appena tornata da una lunga vacanza di totale riposo nelle colonie indiane di Sua Maestà la Regina, dove aveva avuto l'onore di conoscere il conte Max, stimato ambasciatore e tra gli uomini più vicini alla regina Vittoria. Tornata a casa Randa preparò il vestito e lo indossò. Il procedimento era abbastanza complesso, ma Randa vi era ormai abituata.

Non rimaneva che la preparazione psicologica: Randa doveva rilassarsi il più possibile per evitare di spaccare le ginocchia a tutte le persone che sicuramente l'avrebbero derisa, vestita a quel modo, nel tragitto da casa sua a quella di Max. Il fisico minuto di Randa induceva l'avversario di turno a sottovalutarla lasciando a lei il tempo di avventarsi sul malcapitato con tutta la sua insospettabile forza. Andò quindi a trovare Alessandro che abitava a pochi i. "Chi è?" disse Alessandro dal citofono. "Sono Randa. Ho bisogno di uno dei tuoi torcibudella" rispose Randa "Ciao Rand..Ma come ti sei vestita?" "Non fare altri commenti. Dammi uno dei tuoi negroni e me ne vado subito via, ma ti prego: non fare domande" "Vieni, accomodati, ci sono anche Massimiliano e Giovanni" "Aaaaahhh!!" Una grassa risata uscì dalla bocca di Massimiliano. "Cosa ridi! Vecchia zittella! Fai tanto l’anticonformista, ma poi appena vedi qualcosa che turba la tua mente di benpensante, ti comporti come qualsiasi altro piccolo borghesuccio!!" ribadì Giovanni. "Benpensante a chi!! Sotto-specie di contadino arricchito!!" "Dai su, fate i bravi. Svuotate i vostri bicchieri che poi mi devo preparare per andare a lavoro" disse Alessandro "Tieni Randa, ecco il tuo negroni" "Stai zitto un pochino. Falla parlare" disse Massimiliano a Giovanni "Ma io! Razza d’invertebrato.." "Ssshh!!" "Allora Randa! Come mai sei vestita a codesto modo?"

Randa ingurgitò mezzo bicchiere di negroni e poi disse: "Vado a trovare Max" Il silenzio calò nella stanza e per alcuni secondi nessuno osò proferir parola. Gli sguardi dei tre amici indicavano che si stavano perdendo in lontani ricordi. La situazione di stallo durò per alcuni secondi fino a quando l’orologio a cucù segnalò che era la mezza delle quattro del pomeriggio. "Maledetto orologio. Mi stavo cullando nei miei pensieri!" disse Massimiliano "Ma che cucciolotto! Si stava cullando nei suoi pensieri!" rispose Giovanni "Perché te cosa stavi facendo! Con quello sguardo da beato come quello che ha visto per la prima volta una donna nuda!" "Ma smettila! E poi ti contraddici sempre: una volta adori quell’orologio, un’altra lo odi. Decidi una buona volta" Nel mentre Randa, che aveva finito di bere il suo bicchiere, disse: "Vabbè, io vado" "Vuoi che ti accompagniamo?" Dissero in coro i tre amici. "No grazie, vado da sola. Grazie per il negroni Alessandro, ciao" Mentre Randa usciva dal palazzo, in sottofondo si sentivano le voci dei tre amici provenire dall’appartamento di Alessandro. "Ecco lo vedi! L’hai offesa con le tue solite battute cretine" disse Giovanni "Randa è abituata alle mie battute e poi tu non sei stato da meno. Non gli hai nemmeno chiesto perché sta andando da Max" "Perché una persona deve avere un motivo per andare a trovare un amico? Sei il solito viscido che non fa niente per niente!" "Perché te invece quando saresti andato a trovare Max per l’ultima volta?" "Adesso basta!" Alessandro bloccò le discussioni dei due litiganti.

"Oh, ma perché mi devi sempre interrompere sul più bello quando sto per lasciarlo senza parole?" "Tu, lasciare me senza parole!! Ah! Giovane stolto!" "Ho detto basta! E’ tardi. Forza dai! Prendete le vostre giacche che così potrete proseguire i vostri battibecchi nel mio locale. Tanto mi sa che stasera la serata sarà un po’ fiacca, così potremo parlare su come organizzare il viaggio per andare al matrimonio di Salvo" "I nostri non sono battibecchi…" "Lo so, lo so. Sono alte elucubrazioni" Quando i tre amici uscirono di casa Randa era già lontana e ormai prossima a casa di Max. Suonò il camlo e dopo pochi secondi le fu aperto il portone. Randa vide che Max la stava aspettando sulla porta di casa. "Lady Randa quale onore mi fa, venendomi a trovare; soprattutto in considerazione del fatto che sarà stanca dopo il suo viaggio in India!" disse Max. "Stavo giusto prendendo il tè con il colonnello Wildont e sua moglie" "Oh grazie, ma non vorrei disturbare" "Ma quale disturbo! Voi siete sempre la benvenuta nella mia modesta dimora" "Prego, loro sono il colonnello Wildont e consorte. Ho l’immenso piacere di presentarvi Lady Randa" Randa s’inchinò abbastanza goffamente. "Ho avuto il piacere di conoscere Lady Randa durante un lungo ed alquanto singolare viaggio verso le zone interne dell’India" Randa prese la tazza immaginaria di tè che Max gli porse. In fondo per Randa, navigata baby-sitter di svariati bambini, interpretare quel ruolo non era poi così difficile.

Fortunatamente quel giorno Max era particolarmente prolisso e a Randa non restò che interpretare il facile ruolo di attenta ascoltatrice. La sera coi suoi colori soffusi cominciò a calare. Il giorno si confondeva con la notte e Randa sapeva che quello era il momento propizio per intercettare quel poco di lucidità che rimaneva nella mente del suo amico. Come per i bambini anche per Max l’arrivo della sera coincideva con l’ingresso della paura del buio nella mente ed era allora che la follia nella sua mente perdeva un po’ della propria forza. "Caro Max.." disse Randa "Sii Lady Randa.." disse Max Era il momento. "Le fettuccine della nonna!" urlò Randa Al sentir proferire quelle parole la mente di Max si svuotò di colpo, per riempirsi subito coi ricordi legati ai lunghi viaggi di lavoro ma anche di piacere, tutti comunque seguiti dall’incommensurabile delizia del ritorno a casa di mamma, per mangiare appunto le ineguagliabili fettuccine della nonna. Randa capì dallo sguardo di Max che la lucidità aveva ripreso ad albergare la sua mente. Ma il fenomeno non sarebbe potuto durare a lungo. "Caro Max, devo essere onesta con te; sono venuta a trovarti perché ho bisogno del tuo aiuto" Senza dare il tempo a Max di aprire la bocca, Randa proseguì col discorso attentamente preparato alcune ore prima. "Mi sai dire se esiste un qualche tipo di sostanza, tra quelle che producono euforia nelle persone inibendo i freni morali delle suddette, che possa essere assorbita dal corpo tramite il contatto della pelle?" Max assunse una posizione militaresca con tanto di sguardo altero.

Per un attimo Randa pensò che l’effetto della frase magica (le fettuccine della nonna), fosse già svanito, ma poi si ricordò che quella un tempo era stata la tipica postura da lui assunta nei momenti seri. I suoi pensieri trovarono subito conferma nella pronta risposta di Max. "Ma certo cara Randa, non può essere che il conuvex. E’ un farmaco utilizzato fino ad un po’ di tempo fa per la cura di alcune patologie psichiatriche." "Ed è facile da trovare?" "Certo..ammesso che tu sia un governo, una multinazionale, o al limite una organizzazione dedita al crimine…" mentre Max diceva queste parole la maschera del suo volto cominciò a mutare. "..mi ricordo che alcuni anni fa stavamo per prendere con le mani nel sacco una banda di truffatori, quando sul più bello, al confine con l’Afganistan, la congrega dei poliziotti di frontiera ci ruppe le uova nel paniere e mesi e mesi di duro lavoro svanirono nel nulla..maledetta congrega..ma un giorno.." La lucidità aveva già lasciato il posto alla follia pura nella mente di Max. Per un attimo Randa pensò di utilizzare la seconda frase magica: come sta la cucciolotta? La cucciolotta, al secolo Eleonora, era la sorella di Max. L’affetto di quest'ultimo per la sorella non era stato alterato dalla follia, per questo motivo la domanda su come stava la cucciolotta aveva un potere ineguagliabile sulla mente di Max. Ma poi Randa pensò che in fin dei conti adesso era in possesso di tutte le informazioni necessarie per proseguire la propria indagine. Randa ascoltò l’ultima mezz’ora di farneticazioni del suo amico e poi si congedò.

Lo spettacolo teatrale Dicembre 2008 Randa stava infilando le chiavi nella toppa quando le arrivò un messaggio sul cellulare: era Vanessa che la invitava a vedere il nuovo spettacolo teatrale di Valentina. Randa amava il teatro e quindi accettò volentieri l’invito di Vanessa ad andare a vedere quello spettacolo e poi avrebbe così potuto staccare per un po’ dal chiodo fisso dell’indagine. Si preparò velocemente, inforcò la bicicletta in direzione del teatro dove all’ingresso trovò Vanessa che l'aspettava. Sarebbero state solo loro due a vedere lo spettacolo e quindi si diressero subito verso le loro poltrone. Lo spettacolo di Valentina era solo uno tra i tanti presentati quella sera; tutti legati dal tema della rilettura di alcuni classici della letteratura per bambini. Valentina portava la rilettura della favola di “Cappuccetto rosso”. Vanessa raccontò a Randa che Valentina le aveva detto di aver ritrovato il testo di quell’opera tra le carte che un suo amico le aveva lasciato, prima di partire per un viaggio verso Angor wat, dal quale non era più tornato. Lo spettacolo stava per iniziare e Valentina era la prima. Si apre il sipario su di una scena campestre, alle prime luci del mattino, quando ancora la nebbia avvolge l’aria. La nebbia mattutina si stava dissolvendo, lasciando il posto nel più completo silenzio, con i primi raggi di sole che sbocciavano pian piano tra gli alti alberi del bosco. Il silenzio fu interrotto dal suono in lontananza della voce di una bambina: “Trallallero lallalà...son Cappuccetto Rosso..lallalà...”

Voce fuori campo: Cappuccetto rosso stava andando a trovare sua nonna, la cui casa era situata al centro del bosco proprio fuori dalla grande città, cuore pulsante della società moderna, in cui risiedeva Cappuccetto rosso. Quest'ultima mentre camminava era solita canticchiare muovendo la folta chioma scura, stranamente cosparsa di capelli bianchi nonostante la tenera età, a destra e sinistra al ritmo della canzone. Improvvisamente si sentì un rumore provenire da dietro alcuni cespugli.... ”SBRABRA'..AAAARGHH..”..Era l'ululato del lupo uscito dal suo nascondiglio. Al sentir quel rumore il corpo di cappuccetto rosso fu scosso da un lungo ed intenso brivido di puro terrore. “AAAHH! Ma sei matto! Mi hai fatto una paura!”: disse Cappuccetto rosso. “Sono il lupo!”: disse un po' interdetto il lupo. “Ue! Ma sei fuori?! Ti sembra il modo?”: disse Cappuccetto rosso. “Sono il lupo...”: disse il lupo con tono dimesso. “Ho capito, ho capito..va bene, non ti preoccupare, non me la sono presa”: disse Cappuccetto rosso. Il lupo cominciò a guardare Cappuccetto rosso con sguardo allibito ed attonito. “E poi scusa, ma ti sei visto? Hai due occhi spiritati! Mmmmm!..Senti maaa..Non è che ti fai? So che da queste parti si trovano certi funghetti allucinogeni..” disse Cappuccetto rosso. Il lupo guardava Cappuccetto rosso con sempre maggior stupore senza riuscire a proferir parola, tale era l'incalzar di domande. “E poi che denti grandi che hai! E..oddio..che alito pestilenziale..bleehh...! Senti maaa...sei sicuro di stare bene?” disse Cappuccetto rosso. Il lupo stava incominciando ad incazzarsi...

“Aspetta un po' che guardo sul mio potente cellulare..Dunque...mi connetto ad internet...” disse Cappuccetto rosso. arono alcuni secondi prima che Cappuccetto rosso riprendesse a parlare. “Ma come! Non si connette? Possibile che in questo cavolo di bosco non ci sia una connessione WIFI?!” disse Cappuccetto rosso. “Senti, facciamo così. Io ora vado da mia nonna, mi collego ad internet e faccio alcune ricerche. Stasera tornando a casa mi fermerò qui e ti farò vedere cosa avrò trovato” disse Cappuccetto rosso. Il lupo si era accovacciato perché tutte quelle parole l'aveva intontito. “Però intanto, per suggellare la nostra nuova amicizia, potremmo fare una foto insieme! Dai, alzati che ci fotografiamo col mio cellulare! Ecco mettiti in posa...sorridi..anzi no..chiudi la bocca che con quei denti..Ecco fatto!” disse Cappuccetto rosso. “Urca! Si è fatto tardi! Devo proprio scappare perché la mia nonnina sarà preoccupata non vedendomi arrivare. Ciao ciao lupetto” disse Cappuccetto rosso. “Ma..io..dovevo mang..” furono le uniche poche sillabe che il lupo riuscì a dire mentre Cappuccetto rosso era ormai già lontana. La nonna di Cappuccetto rosso stava seduta sulla sedia a dondolo pensando a quale bel regalo gli aveva offerto il Fato; quando improvvisamente il suo cuore ebbe un sussulto: aveva appena udito una canzoncina a lei tremendamente nota. “Trallallero lallalà...son Cappuccetto Rosso..lallalà...” “Noo..non mi dire che è lei..” disse la nonna. “Nonnina, sono io!” disse Cappuccetto rosso, da fuori la porta di casa. La nonna aprì la porta. “Ciaaaaoooo, nonninaaa, come staiii? Hai visto chi è venuta a trovarti? La tua nipotina preferita!”.

“Si, ti garberebbe..” disse la nonna tra sé e sé. “Oggi la tua nipotina preferita erà tutta la giornata insieme a te. Sei contenta?” disse Cappuccetto rosso muovendo la testa a destra e a sinistra. Al sentir proferire quelle parole la nonna ebbe un mancamento. “Nonnina, nonnina! Che hai?” disse Cappuccetto rosso. “Non è niente. E' che alla mia età, sai certe notizie..” disse la nonna. “Non ti preoccupare nonnina, ci penserò io a te”. Ari tonfa. La nonna ebbe un altro mancamento. “Senti, perché intanto non ti prendi una fetta di torta mentre io mi stendo sul letto?” disse la nonna. “Così ti strafoghi e poi ti levi dai cogl..” disse la nonna tra sé e sé prima di stramazzare a letto. “Grazie nonnina, mi hai fatto la torta della nonna!”. “Come la fai la crema pasticciera?”. “Ma se te l'ho detto anche l'ultima volta che sei venuta e tu poi hai provato a farla di testa tua?” disse la nonna alquanto adirata. “Mmm...va bene...allora...3 rossi d'uov” disse la nonna prima di essere interrotta da Cappuccetto rosso. “U che bella quella foto del nonno!”. Tuoni, fulmini, tempeste e saette! “CAPPUCCETTOOO! ASCOLTAMI QUANDO TI PARLO!!” disse la nonna con la pressione a 200. “Scusa, scusa...” disse Cappuccetto rosso con la testa reclinata verso il basso. “Allora..3 rossi d'uovo, 100g di zucchero, 50g di farina e mezzo litro di latte”

disse la nonna. “Mmm..Sei sicura?”. “Senti Cappuccetto...Questa è la torta della nonna. IIIO sono la nonna! La saprò fare sta torta?” disse la nonna che ad ogni esternazione di Cappuccetto rosso perdeva un anno di vita. “Aspetta che mi collego ad internet, così controllo.” disse Cappuccetto rosso. “Tra le altre cose devo cercare anche certe informazioni per un mio nuovo amichetto”. “Un amichetto! Perché te hai degli amici! E da quando in qua?” disse la nonna con un sorriso sardonico stampato sulle labbra. “Mah! Nonnina!” disse Cappuccetto rosso col volto offeso e corrucciato. “Scusa cappuccetto, ma lo sai che noi vecchietti alle volte parliamo a sproposito.” disse la nonna con fare mellifluo. “E chi sarebbe questo nuovo amichetto?” disse la nonna con voce affettatamente interessata. “Un lupo che ho conosciuto nel bosco”. “Un lupo?!” replicò la nonna.“Ahh! Un lupo!” “Si, si un lupo. Perché?” disse Cappuccetto rosso, girandosi verso la nonna. Cappuccetto rosso vide che dalla finestra della camera da letto della nonna stava entrando il suo amico lupo. Quest'ultimo alla vista di cappuccetto si bloccò di colpo ed il suo volto si trasformò in una maschera di terrore. “Ma porca miseria! Non è possibile! Ancora quella rompipalle!” pensò il lupo. “Forse se esco dalla finestra faccio ancora in tempo a scappare il più lontano possibile” pensò il lupo. Ma ormai per lui era troppo tardi, perché cappuccetto rosso balzò con la leggerezza di un ippopotamo sul suo collo e l'avvinghiò a sé.

“Ooh lupo, amico mio! Sei venuto a trovarmi! Non vedevi l'ora di rivedermi, vero?” disse Cappuccetto rosso. “Ma questa è pazza!”. “Sii..certo..come no!” disse il lupo. In quell'esatto momento si sentì bussare alla porta della casa della nonna. Era Quinto, il guardia caccia, un uomo alto e grosso con lo sguardo sempre un po' dolcemente intontito. Quinto si vantava di essere un cantante lirico ancora in attesa della grande occasione. “Avanti” disse la nonna. Quinto spalancò la porta, entrò con fare deciso in casa, inarcando il petto mentre il braccio destro ed il mento erano protesi verso l'alto. “SOONOO IL GUARDIA CACCCCIAAA!!” urlò, immaginandosi di essere sul palco della Scala di Milano a cantare il “Nessun dorma”. “CHI DEVO UCCIDEREEE??” urlò Quinto “Lui!” urlò la nonna indicando il lupo. “Lei!” urlò il lupo indicando Cappuccetto rosso. “MA INSOMMA! ORDUNQUE!” urlò Quinto. “Ma noo! Stanno scherzando! Siamo tutti amici. Tu come ti chiami? Ce l'hai un profilo Facebook? Skype? Twitter?” disse Cappuccetto rosso. Al sentir proferire quelle parole il lupo e la nonna ebbero uno sguardo d'intesa e rivolgendosi al guardia caccia dissero insieme: “Lei! Uccidi lei!”. “Mah! Veramente non fa parte del copione!” disse Quinto. “Ma stai un po' zitto! Che tanto alla Scala non ci andrai mai!” disse la nonna. “Ma, ma...” disse Quinto prima di iniziare a piangere come una bambina

“Ma nonnina!” disse Cappuccetto rosso. “Nonnina un par di palle!” urlò la nonna. “Vieni tutti i giorni qui. Mi riempi la testa con le tue fregnaccie su internet., che io a 85 anni cosa vuoi ne capisca. Ti strafoghi le mie torte prosciugandomi il frigo e poi hai anche da ridire. Bla bla..” disse la nonna, sfogando tutte le proprie frustrazioni. La nonna continuava a parlare ma ormai cappuccetto rosso non l'ascoltava più, perché aveva rivolto la propria attenzione verso Quinto. “Povero Quinto. Io ti capisco. Se vuoi ne possiamo parlare. Perché sai, io sono brava ad ascoltare. Dimmi tutto. Però prima lascia che ti dia un consiglio..” disse Cappuccetto rosso. Quinto, per la prima volta profondamente incazzato, alzò lo sguardo verso cappuccetto rosso, mise le sue mani intorno al collo di lei ed iniziò a stringere. “AAAHHH!” urlò Cappuccetto rosso. Il sipario calò sulla scena dello strangolamento. Le luci si accesero nell’intervallo col secondo spettacolo. Un brusio sempre più forte avvolse come un’onda tutta la platea. Fu subito evidente il mancato gradimento dell’opera proposta da Valentina. Un coro di “Buh” e “vergogna” fu rivolto verso il palco, ai quali seguirono svariate affermazioni tutte comunque incentrate sul fatto che quell’opera non fosse adatta ad un pubblico di bambini. Dopodiché il pubblico quasi in massa si alzò per uscire dal teatro. Nonostante quanto accaduto, gli altri spettacoli furono comunque messi in scena per rispetto nei confronti di chi era rimasto. Terminati gli spettacoli e congedatasi da Vanessa e Valentina, Randa uscì dal teatro. Un manifesto degli spettacoli, trasportato dal vento, si appiccicò sulla

faccia di Randa. Se lo staccò, ne lesse il contenuto e la sua attenzione fu subito catturata dalle lettere cubitali della frase: “Gli spettacoli presentati, per quanto tratti da favole per bambini, sono adatti solo pubblico adulto”. Randa ripensò alle parole del suo amico giornalista: “Nel vocabolario italiano la frase “leggere le istruzioni” è stata subito cancellata dopo essere stata scritta.”

L'idea del viaggio Ottobre 2008 Il treno viaggiava a singhiozzo fermandosi alle stazioni di tutte le piccole città romagnole. Mentre il treno lasciava la stazione di Cesena, lo sguardo di Florentin fu catturato dalla bellissima certosa, ma non fece in tempo ad ammirarne i contorni che il treno lo portò subito in piena campagna e per alcuni secondi rimase come intontito dal cambio di paesaggio. Piano piano le colline, che facevano da sfondo al paesaggio che si apriva alla vista dei eggeri del treno, entrarono nella mente di Florentin. D'improvviso i suoi occhi uscirono dal torpore nel quale erano caduti e pensò che dietro quelle colline e poi dietro altre ancora c'era la sua città: Firenze. Pensò che mai prima di allora aveva avuto la percezione delle colline e montagne che separavano i due lati dell'Italia tra Firenze e Pesaro. In fin dei conti non era la prima volta che andava al conservatorio di Pesaro per dare lezioni. Pensò ai viaggi precedenti e si vide seduto in un treno che girava intorno ad un buco nero. Florentin fu preso da una smania di scendere dal treno e iniziare a camminare sui sentieri che si aprivano nelle fenditure tra le colline. Avrebbe visitato tutti i paesini pieni di storia, mangiato e bevuto come un porco nelle trattorie, ma poi si sarebbe accampato nei boschi; La sua indole selvaggia non lo abbandonava mai. La frase di circostanza del controllore riportò Florentin alla realtà. Dopo il controllo del biglietto si sarebbe tranquillamente fatto cullare dai propri sogni; ma il solito cretino, che nel 2008 pensava ancora di farsi figo parlando ad alta voce al cellullare, lo distrasse dai suoi pensieri. "Le riesce di parlare a voce bassa?" Florentin volse la domanda al tizio

maleducato con uno sguardo feroce che levava il punto di domanda sostituendolo con quello esclamativo. Il tizio eseguì pedissequamente l'ordine. Florentin tornò al suo posto ma ormai il sogno se ne era andato definitivamente. Riprese quindi a leggere il libro che aveva in mano prima di arrivare alla stazione di Cesena, anche se un po' distrattamente, continuò a leggere fino alla stazione di Pesaro. I suoi giorni a Pesaro percorsero il solito binario: colazione in albergo, giornate di lezioni intense, un paio di aperitivi con alcuni insegnanti del conservatorio coi quali aveva stretto una sorta di amicizia ed infine il solito pranzo, prima di ripartire, a base di cappelletti fatti in casa dalla madre di una sua amica. A differenza però delle precedenti tappe in quel lato dell'Italia, la tranquillità rigenerante di quelle giornate pesaresi fu turbata dal desiderio del ritorno. In realtà il desiderio era legato alla voglia di rivedere quelle colline che lo avevano tanto attratto durante il viaggio di andata. Il pranzo luculliano a base di cappelletti e salcicce non deluse le aspettative. Nonostante la voglia di prendere il treno verso le sue agognate colline, aveva il timore che la stanchezza l'avrebbe potuto cogliere all'improvviso una volta messosi a sedere. Fortunatamente quel giorno a pranzo dalla madre della sua amica, c'erano anche degli amici di Fano coi quali Florentin aveva parlato di vini, grappe, annessi e connessi per buona parte del pranzo. Vedendo quest'ultimo un po' difficoltà (per il sonno arretrato che cominciava a mostrare i segni nei suoi occhi, non certo per eventuali difficoltà di quest'ultimo nel relazionarsi con gli altri; la capacità di Florentin di rompere il ghiaccio aveva già in ato scatenato le innocenti invidie di molti), i simpatici fanesi al termine del pranzo, senza fare troppe discussioni, lo portarono in macchina al porto di Fano dove, in un anonimo barrettino, gli fecero assaggiare la moretta: il tipico caffè corretto di Fano. Rinvigorito dalla moretta e dopo essersi congedato dai suoi nuovi amici, Florentin si sedette in treno.

Col suo o incerto il treno si avvicinava lentamente verso la meta e con esso anche il buio. Florentin non aveva calcolato che partendo a metà pomeriggio e con la lentezza del treno, il buio della sera non gli avrebbe permesso di vedere i contorni del suo progetto. Ormai infatti il sogno associato alle colline, nella sua mente si stava trasformando in un progetto di viaggio. L'operazione di trasformazione era avvenuta in un piccolo spazietto della mente, dove il sogno aveva continuato a girare come una trottola, mentre tutto il resto della mente si era rilassato nella consuetudine delle giornate pesaresi. Quando i contorni del progetto si presentarono alla sua vista, ormai la sera era calata. L'iniziale delusione fu però subito sostituita da un rinvigorito interesse. Adesso grazie al buoi, le luci delle case gli permettevano di vedere i tanti paesini che avrebbe visitato e cullato da quella vista Florentin si addormentò. Si svegliò giusto in tempo per fare il cambio di treno a Bologna. Una corsa verso il binario dove lo aspettava il treno per Firenze ed una più o meno scomoda poltrona per continuare a dormire. I giorni dopo la permanenza pesarese furono molto intensi per Florentin, ma trovò comunque il tempo per iniziare a progettare il suo viaggio. Il giovedì di quella settimana incontrò Giovanni, al quale nei giorni, precedenti per telefono aveva comunicato i suoi propositi. Giovanni si presentò all'appuntamento con alcune mappe nelle quali erano indicati i percorsi di alcuni sentieri. Florentin aveva in mente di fare quel viaggio in corrispondenza del prossimo periodo di lezioni a Pesaro. Sarebbe quindi arrivato a Pesaro via montagna e mancando più di un mese avrebbe avuto tutto il tempo per progettare dettagliatamente il viaggio. Quando però vide le mappe portate da Giovanni, con le tante possibilità che aveva a sua disposizione fu colto da una frenesia incontrollabile. Avrebbe voluto percorrere tutti i possibili sentieri in una volta sola, ben sapendo che ciò non era possibile.

Sapeva per certo che ogni volta si fosse trovato davanti ad una strada ampia, di quelle ben tracciate che portano a meta certa, da dove poi è più facile proseguire verso la meta finale, Florentin avrebbe imboccato un'altra strada minore di quelle che alla maggioranza delle persone sembra portare solo verso la campagna aperta dove poi non ci sono più indicazioni. Florentin invece i riferimenti li avrebbe trovati comunque: percorrendo le strade minori sarebbe arrivato alla sua meta, che era composta proprio da quegli stessi percorsi meno noti, considerati da pochi, ma col vantaggio di offrire a chi li percorre, un punto di vista insolito ed affatto scontato. Giovanni, vedendo il suo amico in preda all'ansia, con fare calmo ma deciso gli avvicinò il boccale di birra invitandolo a berne due belle sorsate. La birra sortì il suo effetto e così Giovanni fu in grado di esporre a Florentin il percorso ottimale per poter vedere le montagne più belle, avendo comunque il tempo per fermarsi in alcuni borghi caratteristici. Florentin fece diverse domande al suo amico ma alla fine si convinse della bontà dell'idea proposta da quest'ultimo. Quando stavano per chiudere le mappe notò quello che gli sembrava essere l'indicazione di una linea ferroviaria. Giovanni spiegò a Florentin che quella era la ferrovia a binario unico che portava a Faenza, costeggiando la faentina. Il treno si fermava in tutti i paesini, molti dei quali non si poteva proprio dire che avessero una stazione ferroviaria. Erano un po' come le fermate del treno che si vedevano nei film sulla conquista del far west. Florentin pensò quindi che al ritorno avrebbe usato quella linea. D'altronde non avrebbe avuto il tempo per fare il ritorno attraverso percorsi di montagna e che l’abituale viaggio in treno sarebbe stato un aggio troppo brusco alla solita quotidianità. Quel treno che ava per Faenza, invece, sarebbe stato un buon compromesso. Nelle settimane successive Florentin lavorò a ritmi infernali, con 13/14 ore di lavoro al giorno. In questo modo però fu in grado di accumulare abbastanza giorni di vacanza per poter intraprendere il suo viaggio.

Nei ritagli di tempo cercava notizie dei paesi e borghi che avrebbe trovato nei possibili percorsi, senza però guardare foto su internet. Voleva assaporare per intero il piacere che avrebbe provato nell'entrare nei paesi. Erano ate tre settimane dal viaggio in treno ed il progetto di Florentin ormai stava prendendo corpo. L'eccitazione per il viaggio faceva da buon contraltare alla cavalcante stanchezza legata alle poche ore di sonno. Quella mattina sembrava che si fosse svegliata solo la stanchezza, mentre l'eccitazione se ne era rimasta sotto le coperte. Stancamente Florentin andò in cucina a prepararsi la colazione e poi uscì in giardino nella speranza che l'aria fresca lo avrebbe svegliato. Assaporò il silenzio delle prime ore del mattino, ma quello stato di pace fu interrotto dall'ultima parte della litigata tra il suo dirimpettaio e la madre. Il vicino di casa terminò la discussione sbattendo la porta della cucina prima di affacciarsi in giardino per rilassarsi. "Ciao Florentin. Scusami per il rumore, ma siamo alle solite" "Non ti preoccupare.." "Lo sai, ciclicamente mia madre se ne esce con l'idea di lasciare l'Italia. L'idea di abbandonare tutto solo perché abbiamo una classe politica ripugnante, mi disgusta" "Ma tu vorresti andare via?" "Si, ma non per quel motivo. Mentre lei è proprio per quella ragione che vorrebbe andarsene." Florentin sapeva che a quel punto, a meno che non fosse successo qualcosa d'improvviso, si sarebbe sorbito lo solita zolfa, a lui ben nota, sulle dinamiche dei suoi vicini con il condimento di alcune massime da pseudo-intellettuale di sinistra. Si sforzò di ricordare se la sera prima avesse lasciato il cellulare, nella vana speranza che qualcuno lo chiamasse, per poter avere la scusa giusta senza ferire l'orgoglio del vicino. Ma chi mai avrebbe potuto chiamarlo a quell'ora del mattino? Chiunque conoscesse Florentin, anche solo un minimo, sapeva che prima della 10 del

mattino era inutile cercarlo; tanto non avrebbe risposto. Florentin si era ormai rassegnato ad una mezz'ora buona dei soliti bla bla bla, su quanto sarebbe stato bello trasferirsi in una delle tanto decantate socialdemocrazie scandinave, dove tutto funziona bene. Quanti ne aveva sentiti di quei discorsi. All'improvviso avvenne il miracolo: il suo vicino di casa cambiò argomento. "Ti ho visto molto indaffarato in questi giorni. Stai organizzando qualcosa?" Florentin detestava parlare dei propri progetti quando erano ancora in costruzione. Ma quella volta avrebbe fatto una eccezione. Inghiottì volentieri il fastidio dl parlare del suo viaggio pur di non sentire i soliti suddetti bla bla bla. All'inizio il suo interlocutore sembrò sinceramente interessato al progetto di Florentin. Man mano però che la descrizione del viaggio procedeva, nello sguardo del vicino di casa si percepiva sempre più lo sbigottimento, la non comprensione da parte sua dei propositi di Florentin. Quando poi quest'ultimo parlò della intenzione di prendere il treno per Faenza, invece di are da Bologna come tutti facevano, guardando il viso del suo vicino di casa, fu ben chiara la costernazione di quest'ultimo e nelle sue parole percepì un profondo fastidio: "Ma come ti è venuta questa idea?" Florentin conosceva molto bene l'origine di quel fastidio. Se il suo vicino non avesse avuto peli nella lingua avrebbe detto a Florentin: "Ma come ti viene in mente di fare un viaggio del genere, quando il Paese sta cadendo a pezzi! La democrazia non esiste più, da quando il Presidente del Consiglio ed il suo amico, il signor Pelomane, controllano tutto grazie ai loro soldi! Bisogna lottare e tu che fai? Ti fai un viaggietto tra monti e borghi! Adesso non è possibile deragliare dagli unici due percorsi: o si prende il binario delle pecore che seguono il capo, o si prende quello dei non allineati.” L'odore del caffè che usciva dalla moka infuse immediatamente nuove energie

nel corpo di Florentin, grazie alle quali trovò le forze per abbozzare una spiegazione che aveva però più l'odore di una presa di giro. "Tu non ti fermi mai a riflettere? Non credi che alle volte sia opportuno guardare il problema da un altro punto di vista?" Non diede il tempo al suo vicino per rispondere, ma lo incalzò con altre affermazioni. "Ecco io credo che in questo momento sia necessario osservare la situazione di un altro punto di vista. Per farlo mi devo isolare. Ecco il motivo del mio viaggio" Florentin capì dallo sguardo del vicino, che questi non aveva afferrato il senso del suo discorso, anche perché in lui si accese l'interesse verso l'irrinunciabile caffè del mattino e così le uniche parole che uscirono dalla sua bocca furono: “Beh, allora buon viaggio. Vado a preparare il caffè per mia madre.

I primi dubbi su Florentin Dicembre 2008 Raul stava seguendo Florentin come un perfetto segugio e trovandosi nella zona di Santa Croce, era convinto che non avrebbe avuto problemi nel pedinare Florentin senza farsene accorgere. Mentre si cullava beato in questi pensieri non si accorse che la sua preda aveva cambiato strada, svoltando a destra. Di colpo la calma fu soppiantata dal terrore all'idea di aver fatto una delle sue solite cazzate e preso ormai dal panico cominciò a guardarsi a destra e sinistra, ma senza per questo avere una idea sul da farsi. Pensò alla frase: nel dubbio vai a sinistra. Preso il vicolo a sinistra, lo percorse accompagnato da un terrore cavalcante. Vide le insegne di un pub a destra. Si affacciò e vide Florentin in compagnia di Randa. Alla gioia per aver ritrovato la sua preda si accompagnò la paura per l'eventualità di essere visto dalla sua amica e quindi decise di girare velocemente lo sguardo verso la strada. Uscito dalla visuale dell'ingresso del pub pensò di averla scampata quando si sentì chiamare da una voce femminile. Fece finta di niente e proseguì per la sua strada, ma la voce si fece ancora più assillante. Erano le uniche due persone in quella zona del centro di Firenze; non poteva continuare a fare finta di niente. Si girò e vide Randa. "Che fai Raul? Non mi volevi salutare? Dai entra dentro. C'è anche Florentin" “Ciao Randa. No è che stavo..” Raul non poté finire la frase che il suo corpo alto e ben piazzato fu strattonato dentro il pub dal corpo minuto di Randa. "Ciao Raul. E' un po' che non ci si vede. Salvo mi ha detto che sei tornato dalla Sardegna da pochi giorni" disse Florentin

"Sono stanchissimo" Nel dire queste parole Raul incrociò per un momento lo sguardo di Florentin, ma non fu in grado di sostenerlo. Come avrebbe potuto essere altrimenti. Sapeva che quella sera avrebbero riso e scherzato e quindi una evoluzione della conoscenza tra lui e Florentin, sarebbe stata inevitabile. E così fu. Il primo a rompere gli indugi fu Florentin. "Anch'io sono stanco. Il viaggio mi ha alquanto provato". "Quale viaggio?" "E' vero non puoi saperlo" mentre Florentin pronunciava queste parole, Raul esercitò la propria mente affinché le successive domande che avrebbe fatto a Florentin sarebbero state quelle dell'amico e non del poliziotto. In un vulnus di pensieri che in quegli scarni secondi percorsero la sua mente, vi fu anche la giustificazione al suddetto esercizio mentale: non lo stai facendo per celare il tuo compito di poliziotto, semplicemente non vuoi mentire a dei tuoi conoscenti e poi sei realmente interessato al viaggio di Florentin. Ti è sempre piaciuto parlare di viaggi. "Una volta al mese devo andare a Pesaro per tenere delle lezioni al conservatorio.." Florentin raccontò con ione e nei minimi dettagli il viaggio in treno durante il quale era nata in lui l'idea della traversata a piedi degli appennini. Raul ascoltava con vivido interesse il racconto di Florentin, ma ciò che rendeva veramente pregnante la sua concentrazione sul racconto, era la naturalezza con cui Florentin descriveva tutti i suoi stati d'animo provati durante entrambi i viaggi (quello rivelatore in treno ed in seguito la traversata a piedi), ad una persona come lui che non rientrava certo nella sua stretta cerchia di amicizie. Mentre la quiete e la calma circondavano quella sera che si faceva inizio di un nuovo giorno grazie alla spontaneità di Florentin, in un altro luogo ma nello stesso momento, si stava svolgendo una segreta riunione tra personaggi nati dalla lavorazione di un altro tipo di albero, che quello di Florentin. Quel tipo di albero che da sempre attecchisce in ogni luogo ed in ogni dove, indifferente alle condizioni circostanti, sempre pronto a segnare il confine con mattoni fatti di ipocrisie, meschinità e formalità. Ma rimanendo fermi ed indifferenti ad i venti

provenienti da qualsiasi direzione finiscono così per camuffarsi perfettamente con l'ambiente circostante rendendo la loro presenza invisibile agli occhi dei più. Persone nate da quel tipo di albero quella stessa sera si trovavano a confabulare in uno degli uffici della Questura. "Florentin è tornato dal suo viaggio" disse Beppe 1. "Allora adesso Raul potrà prendere sul serio il proprio compito" disse Beppe 2 "Credo lo abbia preso sul serio fin dall'inizio" ribadì Beppe 1. "Allora aspettiamo pazientemente novità interessanti" disse Beppe 3. Era il potere rappresentato dalle stellette poste sulle giacche di Beppe 1, Beppe 2 e Beppe 3, a giustificare l'appartenenza dei suddetti personaggi all'albero della mediocrità? I tre personaggi si guardarono condividendo un sorriso beffardo, convinti com'erano che quella parvenza di potere permettesse loro di tramare dietro le quinte e giocare coi destini di ignare marionette. Un comune pensiero percorse le menti dei tre personaggi: quella volta le rispettive mamme non li avrebbero potuti interrompere imponendo loro di smettere, col gioco dei soldatini, per andare a lavarsi i denti. Ma torniamo a quel piccolo locale in centro dove i tre amici stavano discutendo di ben altri argomenti. Florentin era nel pieno del racconto del suo viaggio. Chi non si fosse fatto distrarre dalle fanciullesche trame dei 3 Beppe, si sarebbe accorto di come il volto di Raul mutasse le sembianze e con esso i suoi pensieri, al procedere del racconto. In un primo momento lo sguardo di Raul assomigliava in maniera inquietante a quello del vicino di casa di Florentin. Raul guardava spesso Randa facendo sì che il suo stupore impattasse senza via di scampo, con lo sguardo rilassato tutt'altro che stupito di lei.

Mentre il racconto si dipanava lungo le strade di montagna la mente di Raul era un crogiolo di pensieri dove trovavano posto di volta in volta i suoi ricordi della Sardegna e poi le eterne discussioni con Salvo. In un angolo via via sempre più piccolo, man mano che il racconto procedeva, il tarlo tentava ancora ma con sempre minor forza, di convincere Raul della colossale perdita di tempo di Florentin. Fino a quel momento il tarlo aveva tratto forza da un retro pensiero secondo il quale, in fin dei conti, i capi di Raul non avevano tutti i torti in merito al giudizio sulla sua preda: Florentin è rumeno ed i rumeni stuprano le donne, sono rissosi e portano con loro la mafia rumena! Raul riempì il petto d'aria assumendo una posizione militaresca, convinto com'era di poter ancora controllare il conflitto interiore. Il suo volto manifestò questo tentativo con uno sguardo di sofferenza ma ebbe breve durata. Randa che aveva assistito a tutte le mutazioni facciali del suo amico, al fine di dare tregua al conflitto interiore di quest'ultimo che traspariva dal suo mutevole sguardo, chiese a Florentin: "Il tuo racconto mi ha fatto venir fame..non si era parlato di certi dolcetti rumeni?" "eheeheh..Si certo!" disse Florentin "Eccoli qua" Florentin stese sul tavolo un panno al cui interno si trovavano dei dolcetti fatti da sua madre. "Prego!" disse Florentin rivolto a Raul accompagnando l'invito con un ampio gesto della mano sinistra. Per alcuni minuti i tre amici rimasero in silenzio per meglio assaporare quei dolcetti rumeni. In quel lasso di tempo la mente di Raul continuò a lavorare fino alla sconfitta definitiva del suddetto tarlo. Randa guardò l'amico compiacendosi per la propria mossa, in quanto aveva sortito l'effetto sperato di tranquillizzarlo. Ancora non sapeva quali fossero state le ragioni dell'ansia di Raul, ma vi aveva riconosciuto alcuni aspetti familiari, che le avevano riportato alla mente i ricordi dei primi tempi nel servizio segreto e quindi le prime menzogne forzatamente propinate ad i suoi amici, per nascondere loro la sua attività di agente segreto. Chissà se solo Raul avesse concentrato un po' delle sue energie mentali anche su Randa, invece che solo su Florentin, forse avrebbe potuto capire qualcosa in più su di lei.

Quando Randa stava per uscire dal locale si girò verso i suoi amici e disse: “Avete ricevuto l'invito per il matrimonio di Salvo e Jen?” “Si” disse Raul. “Anche a me è arrivato. Allora dobbiamo organizzarci per andare insieme negli Stati Uniti” “Certo!” ribadì Raul “Ok. Allora ci sentiamo nei prossimi giorni per organizzarci. Ciao” disse Randa uscendo dal locale. Anche Raul decise di tornarsene a casa, in quanto sapeva che pur essendo riuscito a controllare i propri pensieri, una discussione a due con Florentin sarebbe stata troppo rischiosa. L'eventualità che quest'ultimo intuisse le sue reali intenzioni, non era da scartare. Raul avrebbe aspettato un'altra occasione con più amici, per meglio conoscere Florentin. Fu così che ciascuno prese la propria via del ritorno.

La traccia cartacea Dicembre 2008 Randa correva tra le strade che collegano Bellosguardo al Galluzzo. Le classiche strade di campagna coi muri di pietra ai lati. Il silenzio dominava incontrastato tra le colline e l'aria fresca portata dal vento di maestrale rendeva più nitida la vista delle colline nei dintorni. L'atmosfera che si respirava era ideale per rilassare la mente di Randa. Le erano sempre piaciute quelle strade di campagna, coi muri ai lati perché la facevano sentire al sicuro col loro percorso definito e ben tracciato; ma al tempo stesso si sentiva libera di stare ben lontano dal caos della città. Quel giorno però c'era qualcosa di diverso. L'equilibrio tra le due sensazioni si era spezzato lasciando il predominio alla sensazione di sicurezza procurato dai muri, che però, a causa dello squilibrio generatosi, si stava trasformando in una sensazione di soffocamento. Randa sentiva il bisogno impellente di cambiare strada ma al tempo stesso non si sentiva pronta al cambiamento. Proseguì quindi lungo il solito percorso. Una volta tornata a casa, dopo aver fatto la doccia, si distese nel letto e ripensò alle sensazioni provate durante la corsa. Mentre cercava di fare ordine tra i ricordi, il pensiero dell'indagine s'intrufolò nella sua mente. Rimase per un po' fissa a guardare il soffitto con lo sguardo in realtà perso nel nulla, quando improvvisamente capì che avrebbe dovuto cambiare punto di vista nell'analizzare il problema. Per staccare dal lavoro Randa accettò l'invito di Giovanni per una serata da Rossella, un'amica di quest'ultimo. Alcune ore dopo Rossella accolse il suo amico Giovanni e Randa.

Per la prima volta quest'ultima poté entrare in una di quelle tipiche villette della zona residenziale di Firenze, mentre fino ad allora le aveva solo ammirate dall'esterno. Tutto all'interno della casa di Rossella, era come l'aveva sempre immaginato. Solo l'ospite non rispondeva ai canoni che si era prefigurata. Rossella infatti si dimostrò subito una padrona di casa molto cordiale ed assolutamente informale. Invece di accogliere i suoi ospiti in un comodo ed elegante salotto, che avrebbe però finito per imbrigliare la spontaneità di Randa, Rossella condusse i due ospiti nella piccola cucina facendoli sedere in dei non proprio comodissimi sgabelli, che però contribuirono a rendere subito piacevole ed aperta la serata. In men che non si dica sorsero diversi argomenti di discussione, tanto che durante tutta la serata non ci fu neanche un momento di silenzio tra gli interlocutori. La mente di Randa si stava rilassando mentre i pensieri del lavoro riposavano beati, quando un argomento li fece prepotentemente riaffiorare. Ma questa volta fu diverso: il riaffiorare dei pensieri non fu lento e svogliato, ma energico. L'argomento, causa del vulnus di pensieri, fu il lavoro svolto in ato da Rossella alla Biblioteca Marucelliana, nella raccolta e manutenzione dei vecchi numeri di tutti i principali giornali italiani. Nel sentir quelle parole la mente di Randa, eseguendo una serie di rapidissime connessioni tra fatti e circostanze non apparentemente collegate tra di loro, capì dove avrebbe potuto trovare le informazioni mancanti. "Scusate avrei bisogno di fare una telefonata. Faccio in un attimo" Randa si diresse verso il cappotto ne estrasse il cellulare e vi cercò il numero di Valentina. "Tanto sarà sicuramente sveglia" pensò tra sé e sé Randa. "Pronto" "Ciao Valentina, ti disturbo?"

"Ciao Randa, dimmi pure" "Ho bisogno di trovare certe notizie risalenti ad alcuni anni fa e sono sicura di non poter trovare queste informazioni su internet. Non mi resta che provare sui vecchi giornali. Secondo te, se venissi in biblioteca riuscirei a trovarle?" "Si.." rispose Valentina, alquanto titubante. "Se sono notizie a suo tempo pubblicate sui giornali, le dovresti sicuramente trovare. L'unico problema è che avrai bisogno di molta pazienza. Corri il rischio, nella peggiore delle ipotesi, di are alcuni giorni a leggere giornali." "O ma di questo non ti devi preoccupare” C'era dell'altro ma questo Valentina non poteva saperlo. Non poteva sapere della particolare dote della sua amica, consistente nel trovare, all'interno di un discorso o di una lungo periodo, quel verbo che dava il senso a tutto il resto. Grazie a questa dote era entrata nei servizi segreti nel settore ricerche bibliografiche. Quante giornate e poi settimane aveva ato a leggere documenti su documenti, bruciando sul tempo tutti i suoi colleghi di reparto, fino ad ottenere la promozione al livello successivo. Ma questo, appunto, Valentina non poteva né doveva saperlo. "Grazie Valentina. Domattina sarò in biblioteca, ci sarai anche tu?" "Si, anche se non tutta la giornata. Comunque sia il tempo per un caffè in santa pace con te, lo troverò sicuramente. A domani" "Ciaoo! Grazie!" "Ciao, ciao" Randa tornò soddisfatta dai suoi amici. "Scusate, ma era una telefonata importante" "Tutto bene?" disse Rossella

"Si, si" rispose Randa con un larghissimo sorriso. "Allora direi che è venuto il momento di assaggiare questi famosi dolcetti siriani. Sono curiosissima" replicò Rossella con un sorriso degno di quello di Randa. Ci fu uno sguardo d'intesa, che confermava la simpatia che si era creata fin dall'inizio tra Rossella e Randa, su chi si sarebbe alzato. La prima avendo creato un ambiente confortevole ed informale, permise alla seconda di sentirsi a proprio agio nell'alzarsi da tavola per andare a prendere i dolcetti, così da avere la possibilità di presentarli nel modo migliore. Randa ci teneva sempre molto a dare una descrizione esauriente e completa dei prodotti della sua terra natia. Rossella, con sincera curiosità, ascoltò attentamente la descrizione di Randa, ma appena questa ebbe finito, subito si tuffò per azzannare il primo dolcetto che le capitò a tiro. La serata proseguì allegramente con i tre commensali che spolverarono ben bene tutti i dolcetti siriani. Il mattino seguente, per quanto la sera prima non fosse certo andata a letto presto, Randa si presentò puntuale davanti alla Biblioteca Marucelliana proprio al momento dell'apertura. Seguì tutta la trafila per poter arrivare alla sala dei giornali. L'addetto la guardò con un po' di stupore quando vide Randa tirar fuori dalla borsa un semplice taccuino, invece del tablet come si sarebbe aspettato. La mente di Randa si isolò completamente da tutto ciò che la circondava per immergersi nella lettura dei giornali. In maniera assolutamente metodica partì dal 1 gennaio 1998. Le ricerche fatte fino ad allora l'avevano portata alla convinzione che gli eventi dai quali si erano creati i recenti fatti, andassero ricercati a partire dal 1998. Le ore avano senza che Randa avesse trovato alcunché d'interessante. Leggendo attentamente lo stato d'animo di Randa non vi si sarebbe comunque trovata alcuna traccia di scoraggiamento e delusione. Sapeva benissimo che arrendersi dopo poche ore di ricerche sarebbe stato stupido.

La prima giornata trascorse così senza alcun risultato. A causa di una serie di imprevisti Valentina si presentò al cospetto di Randa solo a pomeriggio inoltrato e così il loro caffè diventò una buona pizza. Fortunatamente la stanchezza derivante dall'intensa giornata lavorativa, portò via dalla mente di Valentina anche la curiosità per le ricerche della sua amica. In questo modo quest'ultima non fu costretta a mentire. Se lo avesse fatto, come d'altronde era già successo in ato, Randa si sarebbe comunque giustificata che vi era un motivo alla base della sua bugia e che un giorno, presto o tardi, avrebbe vuotato il sacco coi suoi amici più intimi. Nonostante ciò ogni volta che si era trovata costretta a mentire con qualche suo amico, un certo fastidio albergava nella sua mente per un po' di tempo. Il mattino successivo Randa si presentò puntuale all'apertura della biblioteca. Si accaparrò la postazione del giorno precedente ed in men che non si dica fu subito operativa. Iniziò leggendo giornali ancora più vecchi, risalenti agli anni settanta. I minuti e poi le ore scorrevano veloci sull'orologio appeso alla parete davanti a Randa. Quando fu il momento di prendersi una pausa Randa aveva trovato molte notizie sui primi atti pirateschi dei frati feticisti, ma niente che aiutasse a capirne le origini. Era fin troppo chiaro che le conclusioni descritte negli articoli si basavano su concetti dati per assodati, non perché confortati da prove dimostrate, ma in quanto a forza di parlarne per riempire il vuoto delle menti, alla fine erano divenuti di dominio comune. Anche lo stesso appellativo di “frati feticisti” non era nato da una autodefinizione da parte di qualche frate. Il solito commentatore televisivo lo aveva probabilmente usato una prima volta, poi questo termine aveva iniziato a girare in televisione e sui giornali e così il gioco era fatto. Randa si sarebbe aspettata una disamina più puntuale da alcuni giornali solitamente maggiormente attenti al perché ed al per come di certi eventi. In questi giornali si era invece scritto poco a proposito dei frati feticisti; più per dovere di cronaca. Gli argomenti trattati principalmente erano altri fatti eclatanti di quei tempi, ma che non avevano più il fascino della nuova notizia.

D'altronde furono gli anni del terrorismo in Italia, delle dittature in Grecia ed in alcuni Paesi del Sud-America. La botta di informazioni che Randa ricevette in poche ore fu tale da farle sentire un impellente bisogno di carne alla griglia. Andò a bussare alla porta dell'ufficio di Valentina ma nessuno rispose. Chiese in portineria dove si trovasse la direttrice, senza per questo aver bisogno di presentarsi dato che gli addetti alla portineria già sapevano bene chi lei fosse. "No la direttrice è dovuta uscire per impegni già definiti in precedenza" disse un addetto. "Va bene, grazie" rispose Randa con un sorriso sincero che però non fu tale da scalfire l'imperturbabile diffidenza dell'addetto. Nella risposta di quest'ultimo Randa aveva colto la sentenza già emessa su di lei: eccola lì, la solita raccomandata che si permette, solo perché intima della direttrice, di farsi riservare per sé una intera sala della prestigiosa Biblioteca Marucelliana. L'addetto, così preso dal difendere con le unghie il suo piccolo mondo definito dalle quattro mura della portineria, dal quale comunque si staccava celermente non appena suonava il suo orario di termine lavoro, non sapeva che per entrare nella sala giornali non era necessaria alcuna raccomandazione. Era un servizio gratuito e garantito a tutte le persone. La sala non era stata riservata per Randa. Era vuota semplicemente perché quasi nessuno s'interessava alla lettura dei vecchi giornali. Perché mai qualcuno lo avrebbe dovuto fare? Nell'era di internet tutto è più facile. Basta fare un click qui e poi uno lì ed ecco che ottieni subito tutte le informazioni che vuoi. Salvo dimenticarsene cinque minuti dopo. Dopo il lauto pranzo Randa rientrò in biblioteca. ò dalla portineria, volse un breve cenno di saluto ad un addetto diverso dal precedente, il quale rispose con altrettanto gentile sorriso. Riprese a lavorare ma decise di fare un salto temporale. Si concentrò su fatti più recenti, risalenti al 1998.

Sfogliò diversi giornali ma il tono degli articoli sui frati feticisti era lo stesso di 30 anni prima. Le informazioni raccolte erano quindi scarne e del tutto insufficienti. Le altre informazioni eclatanti erano tutte concentrate sulla lotta tra i grandi colossi dell'informatica, con l'aggiunta del movimento open-source, per gli appalti sul progetto “Database unico”. Il progetto era nato dopo una lunga gestazione. Le sue origini non erano ben note e tanto meno lo era il suo ideatore. Probabilmente non esisteva neanche un unico ideatore. L'idea comune era che da più parti nel mondo fosse sorta l'esigenza di un unico strumento, che raccogliesse tutte le informazioni necessarie ad un qualunque cittadino, al fine di snellire la burocrazia riducendo i tempi di attesa e le perdite di tempo, dovute all'aver percorso strade sbagliate per arrivare ad un obiettivo. Per molto tempo le idee alla base del progetto continuarono a circolare in circoli ristretti. Randa continuava a leggere notizie sul progetto con sempre maggior interesse. Ormai la sua mente funzionava a pieno ritmo riuscendo così a trovare tutte le notizie che subito collegava come i pezzetti di un puzzle. Stava procedendo speditamente lungo il veloce binario del racconto sul progetto quando trovò un intoppo. Non riusciva a trovare informazioni sulle ragioni del salto di qualità che l'idea del progetto subì improvvisamente. Cercò e ricercò ma senza trovare notizie. Randa si allontanò dallo schermo del computer appoggiando bene tutta la schiena sulla schienale della sedia. Distese le mani sulle cosce, volse lo sguardo verso il vuoto e rimase in quella posizione per alcuni minuti. Era come se la sua mente fosse andata in pausa. Randa si risvegliò dal momentaneo torpore, quando capì che almeno per il momento non era necessario conoscere le ragioni di quel salto di qualità, anche perché forse sapeva a chi avrebbe potuto chiedere maggiori delucidazioni. Saltò quindi quel aggio e proseguì sul binario del racconto. Scoprì così che un attimo prima che l'idea sul progetto diventasse di dominio comune, le principali aziende software cominciarono a sviluppare le rispettive implementazioni del “Database unico”, ognuna rivendicandone i diritti esclusivi.

Le principali compagnie non si risparmiarono nei colpi bassi, avendo ormai perfettamente percepito le potenzialità economiche del progetto. Nel pieno della lotta per la conquista dei diritti, improvvisamente apparì il movimento dei fautori dell'open-source. Questi ultimi sostenevano che uno strumento così potente non potesse essere lasciato nelle mani di un'azienda privata. Solo nel movimento open-source, dove le idee circolavano liberamente e dove tutti potevano dire la propria, poteva risiedere la possibilità di portare avanti un progetto del genere. Ciò era reso ancor più vero dalle origini del progetto: un’onda fatta dalla stessa idea che per lungo tempo era circolata di persona in persona senza avere un unico ideatore. Inevitabilmente insieme al propagarsi delle idee sull'open-source, si presentarono i soliti santoni i quali cominciarono a dettare regole rigide di comportamento per i loro seguaci. In sostanza si formò quella tipica contraddizione di molti movimenti, nati sull'onda del desiderio di rottura di un sistema, che fa ormai acqua da tutte le parti, ma senza il giusto connubio tra sentimenti e raziocinio, lasciando così spazio aperto ad un misto di sensazioni e desideri che vanno dalla rabbia al puro opportunismo. Era uno strano connubio tra la sbandierata libertà nel fare e disfare da un lato e le rigidissime regole indicate dal capo indiscusso, dall'altro. Regole che non ammettono deroghe: chiunque osi anche solo minimamente mettere in dubbio una sola virgola viene immediatamente epurato. Ad un certo punto però nella massa dei seguaci comincia piano piano a serpeggiare il dubbio. Gli attacchi verbali verso chiunque non sia completamente allineato si moltiplicano. Guai soprattutto a chi, da dentro come da fuori, osi dire che quello non è un movimento orizzontale ma verticistico con a capo i sopra citati santoni. Nel mentre questi ultimi circondano le loro vite di una alone di nebbia, che non permette a nessuno di sapere cosa facciano ma soprattutto di che cosa vivano. Tornando al caso specifico del software libero, quando ormai questo movimento era ormai giunto all'apice, alcune aziende vecchio stile avevano già trovato il modo d'intrufolarsi, attraverso un ritocco della propria immagine, grazie anche alla breve memoria dei più, finendo per spacciarsi come fautori dell'open-source. Queste aziende, grazie ai loro agganci con le pubbliche amministrazioni, riescono a vendere software saltando più facilmente i controlli sulla qualità dei

suddetti, in quanto purificati dal bollino verde dell'open-source. In sostanza chi usa l'open-source è buono mentre gli altri sono cattivi. La certezza di questa dicotomia tranquillizza gli animi dei più, che non hanno alcuna intenzione di avvicinarsi ad un pensiero critico e così sono tutti felici e contenti. A farne le spese sono quella minoranza che ha sempre creduto coerentemente all'idea del software libero versione originale: ovvero come ad un modo diverso e più condiviso con gli altri di portare avanti il proprio lavoro nel mondo informatico. Quando ormai si stava facendo tardi Randa trovò alcuni riferimenti al signor Lincux. Pare che il suddetto avesse trovato alcune falle nel database unico. Sul più bello Randa fu costretta ad uscire dalla biblioteca che ormai stava chiudendo. Tornò anche nei giorni successivi e si concentrò sulla collezione di tutti gli articoli di giornale dove trovò riferimenti al signor Lincux; poi unendoli secondo l'ordine temporale, riuscì a ricreare la storia professionale di questo personaggio singolare e tramite la sua storia poté capire meglio i meccanismi che stavano dietro all'affare del database unico. Ad un certo punto s'imbatte sui primi articoli che parlavano dei frati feticisti, ma preferì metterli da una parte. Non li buttò, li pose semplicemente con cura da una parte, ordinando anche quelli temporalmente, ma senza leggervi nemmeno una parola. Randa sapeva che se voleva arrivare al centro della storia dei frati feticisti doveva inizialmente escluderli, per capire il contesto sociale nel quale questi ultimi si erano innestati. Tralasciando i frati feticisti Randa arrivò ai giorni più recenti, fino ad un altro grande affare nel mondo dell'informatica: quello dei treni ad alta velocità. Anche per questa storia Randa raccolse voracemente tutti gli articoli che trovò mettendo da una parte tutti gli articoli sui frati feticisti. Dopo alcuni giorni di letture incessanti Randa decise di prendersi una pausa per lasciare che la propria mente continuasse ad elaborare le informazioni incamerate. Dopo la meritata sosta per ritemprare le meningi avrebbe ripreso a leggere tutti gli articoli raccolti, ivi compresi quelli sui frati feticisti.

L'omicidio Novembre 2008 Il commissario Nastassya fu svegliato alle prime ore del mattino dal suono del cellulare. Dopo alcuni inevitabili secondi necessari per capire dove ed in quale giorno fosse, il commissario riconobbe la voce del suo assistente all'altro capo del telefono. Quest'ultimo la informava di un omicidio avvenuto nella piazzetta davanti al Palazzo dei Congressi. "David!..." disse il commissario. "Prima di tutto potresti essere un po' più gentile di primo mattino; o quantomeno usare un tono meno brusco, soprattutto nel darmi certe informazioni! Infine, in merito a queste ultime, come fai a dire che l'omicidio sia proprio avvenuto davanti al Palazzo dei Congressi e non in un altro posto?" disse il commissario. "Sempre la solita storia" pensò David. "Signor commissario, lei sta diventando ripetitiva: sappiamo entrambi che se fossi più gentile poi mi direbbe che sono un ruffiano. Per la seconda questione io non faccio ipotesi, sto solo dicendo che c'è un morto davanti al Palazzo dei Congressi. Il perché e per come li scoprirà lei che è così brava.." disse David. "Il tuo è umorismo di bassa lega. Dammi mezz'ora e sarò lì. Nel mentre non fare danni ed incomincia a stilare mentalmente il tuo rapporto!" disse il commissario chiudendo bruscamente la comunicazione. Il commissario Nastassya stava arrivando in bicicletta all'appuntamento col nuovo delitto quando la sua attenzione fu catturata dal cartellone pubblicitario della Winsoz. La Winsoz, ovvero la più grande compagnia software al mondo, aveva appena vinto una commessa per la realizzazione del software da impiegare nella nuova generazione di treni ad alta velocità. Le pareti di tutte le stazioni ferroviarie europee erano tappezzate dai cartelloni pubblicitari della Winsoz. In ogni stazione, dalle più grandi come Londra, alle più piccole come Brisighella, non si poteva fare a meno di notare uno dei suddetti cartelloni. Peccato che nelle

stazioni più piccole i treni ad alta velocità non sarebbero mai ati. "Ma questo forse è un bene" pensò il commissario. "Ciao David. Allora cos'hai scoperto in questa mezz'ora?" disse il commissario. "Il morto risponde al nome di Alex Lincux. Era un programmatore software di origine Finlandese. Probabilmente l'assassino l'ha colto all'uscita dalla conferenza" disse David. "Quale conferenza?" disse il commissario. "Quella che stanno facendo al Palazzo dei Congressi sul software libero. Il suo tanto decantato spirito di osservazione è forse rimasto a letto, quest'oggi?" disse David con un sorriso sardonico stampato sulle labbra. Il commissario guardò il suo assistente con un occhio, abbozzando una smorfia e poi alzò lo sguardo verso la grande scritta che campeggiava sopra il cancello d'ingresso del Palazzo dei Congressi. La scritta diceva: “Il software libero, ovvero il software per un mondo più equo”. Poi il commissario volse lo sguardo verso il cartellone pubblicitario della Winsoz ed improvvisamente, pensò a quella frase che alle volte il suo fidanzato, ripeteva: “I Baxter da una parte, i Rojo dall'altra ed io in mezzo..” *** Il commissario aveva pensato questa frase a voce alta. "Non sapevo che anche a lei pie lo western italiano. Peccato che nella realtà l'eroe senza nome, abbia invece nome e cognome, ma che soprattutto, sia morto.." disse David. "Piace al mio fidanzato, non a me. Pensi sia possibile entrare dentro il Palazzo per ascoltare la conferenza?" disse il commissario. "Non dovrebbe essere un problema. Ma perché vuole entrarci? Non crederà mica che l'assassino si trovi tra quella banda di nerds? L'assassinio, premeditato o meno, ha sempre e comunque alla sua radice: sensazioni, ioni, forti emozioni. Questi programmatori sono praticamente dei semi-automi, non vanno neanche in bagno, senza prima aver scritto un programma che gestisca tutte le

fasi della defec.." David s'interruppe davanti allo sguardo di disgusto del commissario. "Hai detto due grosse fesserie nel giro di pochi secondi. Bravo David! Sorvoliamo sulla solita affermazione vagamente razzista; anche se un giorno dovrò capire fino in fondo quanto tu sia serio in questi casi. Non posso fare altrettanto per l'altra fesseria: quante volte ti ho detto che è di fondamentale importanza per le nostre indagini, non lasciare niente al caso. Ogni particolare, anche quello apparentemente più insignificante, deve essere preso in considerazione. Se poi ritieni che questo omicidio non sia abbastanza stimolante per la tua brillante mente, posso sempre sostituirti con Luizzi." il commissario concluse la frase abbozzando un sorriso beffardo. Al sentir quelle parole David s'irrigidì di colpo e perse il suo solito sorriso altezzoso. Il commissario sapeva che tra Luizzi e David non correva buon sangue. Il primo era preciso, metodico, fin troppo zelante ed onesto a sufficienza per ammettere di non avere particolari doti. Forse era questa capacità di ammettere i propri limiti che rendevano Luizzi un personaggio detestabile agli occhi di David. Quest'ultimo era infatti una persona molto brillante, intelligente, intuitiva, ma troppo orgogliosa per ammettere che alle volte, le suddette doti, potevano anche risultare fastidiose ed inopportune. Il commissario aveva raggiunto il proprio scopo: togliere il sorriso a David. Era una soddisfazione che ogni tanto si concedeva; specie quando il suo assistente tendeva ad esagerare in presunzione. La provocazione non sarebbe comunque mai diventata effettiva. In fin dei conti anche al commissario non piaceva molto Luizzi. Ci aveva lavorato in più di una occasione ed era sempre stato molto faticoso, per lei, mantenere la calma. D'altro canto David, anche se non lo avrebbe mai ammesso, ci teneva tantissimo a lavorare col commissario Nastassya. Sarebbe anche stato disponibile a mettere in secondo piano la propria carriera, pur di continuare a fare l'assistente del commissario. David, in fin dei conti, l'aveva già fatta quella rinuncia alla carriera, basata anche sulla sua capacità di immagazzinare facilmente nella mente una grande quantità d'informazioni senza perderne il filo logico. Se David avesse usato le sue abilità

solo per sé stesso, quasi certamente la carriera sarebbe decollata velocemente. Invece aveva deciso di unire le proprie doti con quelle del commissario. Quest'ultima era infatti stimata da tutti nel commissariato, per la capacità di dedurre prove dove gli altri vedevano solo il caos. Erano quindi una coppia quasi infallibile, ma pur pensandolo, non se lo sarebbero mai detti esplicitamente. Dopo il lungo conciliabolo, in realtà utile anche per prepararsi spiritualmente a sostenere un interrogatorio, il commissario ed il suo assistente entrarono nel Palazzo dei Congressi, ma si dovettero impegnare alquanto per trovare una sorta di centro accoglienza, o punto informativo. L'unica cosa che trovarono, fu infatti un cartellone con quello che sembrava essere la disposizione dei vari padiglioni. "David, illuminami. Che cosa dovrebbe significare questo cartellone" disse il commissario. David e la sua presunzione furono risparmiati dal fare una brutta figura, grazie all'intervento di un ragazzetto che s'intromise tra i due. "Come! Che cos'è?! Questo è il Kernel! Abbiamo fatto disporre i vari padiglioni, secondo la conformazione del kernel" disse il ragazzetto "Si...ecco..appunto...Ci potresti gentilmente dire dove possiamo trovare un punto informativo? A meno che tu non sappia dirci dove si trovano gli organizzatori di questo evento." disse il commissario. "Al centro di tutto!" disse il ragazzetto. "Al centro di che?" replicò il commissario. "Del kernel" rispose il ragazzetto, con fare allibito. "Girate là a destra, poi costeggiate il palazzo verde.." disse il ragazzetto, prima di essere interrotto dal commissario. "Scusa..ma se io vado a diritto, dove arrivo?" disse il commissario. "Arriva..al centro..si.." rispose il ragazzetto, alquanto titubante. "Dove posso trovare gli organizzatori dell'evento. E' così?" ribadì il commissario.

"Si...certo.." rispose il ragazzetto, sempre più allibito. "Bene, grazie. Buona giornata." concluse il commissario, con un sorriso tra le labbra. Il commissario e l'assistente si diressero, decisi verso il centro. "Commissario, si ricorda quello che le ho detto prima, a proposito di questa gabbia di matti?" disse David. "Stai zitto, David!" rispose il commissario. Finalmente giunsero al centro dell'area espositiva dove si trovava il palazzo in vetro. Una volta dentro non fu facile capire a chi chiedere informazioni. Fermarono la prima persona che capitò loro davanti. "Scusate ma sono di corsa, sta per cominciare la conferenza di Stall!" Nastassya ed il suo assistente si guardarono in faccia e decisero che forse l'unico modo per capire qualcosa fosse quello d'iniziare da un fattore qualsiasi, come appunto una conferenza. Come avrebbero scoperto in seguito furono fortunati: la conferenza era rivolta anche ai non addetti ai lavori. Con un po' di sforzo di meningi nella prima mezz'ora di conferenza i due tutori della legge riuscirono a capire a grandi linee di che si stesse parlando. Piano piano, però, l'attenzione del commissario Nastassya fu sempre più catturata dal volto e dalle espressioni di Stall. Ma furono gli occhi spiritati degli spettatori a catturare in definitiva la sua attenzione. Osservando l'oratore di riflesso negli occhi degli astanti, il commissario Nastassya si fece un'idea più chiara sulle tipologie di personaggi che frequentavano quel posto. "David hai capito vero, con chi abbiamo a che fare?" Senza neanche attendere la sua risposta proseguì "Dai andiamo, abbiamo visto e sentito abbastanza" “Ma come! Abbiamo già visto tutto? Non sarebbe il caso di vedere qualche altra

conferenza? Magari provare a parlare con quello Stall. Sembra così interessante” ribadì sorridendo David “Non rompere, andiamo” Percorsero in silenzio la strada fino all'ingresso del Palazzo di Congressi. Una volta fuori il commissario riprese a parlare: "David ho un compitino per te: trovami tutte le informazioni utili sulla Winsoz e la commessa per le ferrovie." "Va bene.." "Ci vediamo in commissariato" "Lei dove va?" "Devo tornare un momento a casa" Il commissario in realtà non aveva alcun bisogno di tornare a casa. La sua era stata solo una scusa per poter fare un lungo giro in bicicletta. Quando il commissario aveva bisogno di raccogliere le idee, un lungo giro in bicicletta era il modo migliore per focalizzare il punto dal quale avrebbe fatto partire l'indagine. Una grigia giornata d'inverno era il contesto ideale. La mente del commissario cominciava ad estraniarsi dalla realtà, preparandosi così a collegare con un filo invisibile i dati in suo possesso. Attese e poi attese ancora, ma non ci fu niente da fare. I pensieri non volevano formare quell'aggroviglio di fili che poi lei, con molta pazienza, avrebbe dipanato. Ogni pensiero se ne stava solo soletto. Avendo capito che quello era uno dei suoi giorni no, prese la direzione del commissariato cercando di mantenere la mente più sgombra possibile. Entrò in commissariato volgendo un rapido segno di saluto ai colleghi, i quali, ben conoscendo il loro commissario, contraccambiarono con un saluto minimo. Quando entrò nel suo ufficio il commissario capì che in fin dei conti quella non sarebbe stata una giornata poi così negativa, in quanto si sarebbe controbilanciata con quella certamente positiva, del suo assistente David.

La giornata di quest'ultimo doveva essere necessariamente positiva, altrimenti non si sarebbe spiegata l'efficienza con la quale aveva già preparato la documentazione richiesta dal commissario, che stava lì in bella mostra sopra la scrivania. David non era certo uno scansa fatiche, ma i compiti di documentazione non li aveva mai ben digeriti. Quale che fosse la giornata del suo assistente in quel momento, il commissario si mise subito a studiare la documentazione che stava sul suo tavolo. Il sole aveva ormai già iniziato la sua fase discendente quando qualcuno timidamente bussò alla porta dell'ufficio del commissario. Senza attendere una risposta, ma d'altronde non ce ne sarebbe stato bisogno, il brigadiere Coli entrò nell'ufficio del commissario portando in dono a quest'ultimo una fumante tazza di irish coffe. Sentendo il profumo del suo amato irish coffe il commissario alzò lo sguardo verso il volto di Coli, sorridendo con gli occhi trasognati. Il brigadiere Coli girò i tacchi con fare molto lesto. Non voleva rimanere in quell'ufficio un secondo di troppo, per evitare che quel pensiero ingannevole entrasse nella sua mente. Il brigadiere aveva sempre offerto una tazza di irish coffe per pura cortesia, non certo per incensare il suo superiore. Il brigadiere si era dato un tempo massimo entro il quale espletare la suddetta operazione, senza per questo insinuare il dubbio nei suoi colleghi, ma soprattutto nella sua mente, che quel gesto potesse stare a significare il suo desiderio di far carriera usando qualsiasi mezzo. Anche quella volta il brigadiere riuscì comunque a rimanere dentro i paletti temporali da lui stesso definiti e così dopo pochi minuti il commissario già si era scordato del suo gesto gentile. Al termine della giornata il commissario aveva le idee più chiare sul mondo dell'informatica, senza per questo apprezzarne ancora certi dettagli. Ma la sua totale estraneità le permetteva, forte delle conoscenze appena acquisite grazie agli impeccabili appunti di David, di osservare quel mondo da un punto di vista insolito e quindi privilegiato.

Il commissario era una donna decisamente votata alla sfera razionale. Per questo nell'analisi delle vicende legate a quel caso aveva subito allontanato dalla sua mente, quelle sensazioni provate inizialmente durante la visita alla scena del delitto. Così come aveva allontanato dalla sua mente l'intrinseca antipatia verso la Winsoz, a causa della sua natura di grande azienda che domina il mercato compiendo anche chissà quali porcherie. Con maggior fatica dovette allontanare anche la naturale simpatia, per quel gruppo di ragazzi incontrati alla conferenza sul software libero. Se così non fosse stato avrebbe perso quel punto di vista privilegiato, senza il quale non sarebbe stata in grado di notare alcuni punti oscuri, o comunque meno noti ai più, del mondo che gira intorno all'idea di software libero. Come le sarebbe stato poi più chiaro in seguito, quel tira e molla tra le sue sensazioni iniziali ed il tentativo, anche un po' ipocrita, di allentare queste ultime al fine di essere più professionale nel lavoro, non avrebbe fatto altro che avvicinare ed allontanare continuamente il commissario dalla soluzione del caso. Come in trance, tanti erano ancora i pensieri che le giravano per la testa, il commissario uscì dall'ufficio dimenticandosi addirittura di spegnere la luce. Stava uscendo dal commissariato salutando i colleghi con aria assorta, quando la libera circolazione dei suoi pensieri fu interrotta da David: "Commissario! La luce!" "Cosa?" il commissario rispose girandosi verso David con un'aria inebetita. "La luce del suo ufficio. E' accesa. Commissario, quale seratina stuzzicante l'aspetta stasera, se addirittura si dimentica di spegnere la luce. Non se ne dimenticò neanche quando ci fu quella scossa di terremoto, alcuni mesi fa". David si era rivolto al commissario, col suo solito sguardo beffardo. Il commissario, per contro, lo guardò per alcuni istanti senza pronunciare parola, e poi gli disse: "David, te lo potrei anche spiegare con molta calma, cosa prevede la mia serata, ma tu poi non capiresti. D'altronde per te “seratina stuzzicante” vuol dire vederti un porno in 3D invece del solito 2D." David non seppe come controbattere. Di fronte alla mala parata spense la luce dell'ufficio. "Allora buona serata commissario"

"Buona serata a tutti" Stava per uscire dal commissariato, quando si girò di scatto. "David!" Quest'ultimo ebbe un sussulto e si girò a sua volta di scatto. "Guarda che domattina dobbiamo fare il punto sull'indagine. Vedi di essere puntuale. Ciao" Il commissario uscì senza aspettare la ovvia risposta di David. Il giorno dopo quando entrò in commissariato trovò il suo assistente già pronto ad attenderla davanti la porta dell'ufficio. "Prego" "Grazie" Il commissario si prese tutto il suo tempo per mettersi a sedere e riordinare le carte che aveva sulla scrivania. Dopodiché rivolse lo sguardo a David che fino a quel momento era rimasto fermo in piedi davanti a lei. "David, questa relazione è fatta molto bene e lo sai, però anche questa volta hai fatto un grosso errore" David sapendo bene che in qualche modo il commissario avrebbe trovato qualcosa da ridire, non esternò alcun tipo di emozione ed attese che quest'ultimo gli spiegasse l'errore. "Non mi hai dato informazioni sul morto" "Non me le aveva chieste" "Era ovvio. Su cosa indaghiamo? Sulla rava e la fava di questi ragazzini che giocano a farsi la guerra coi software?" L'espressione del volto di David per un istante mostrò compiacimento nel sentire che forse il commissario aveva la sua stessa opinione su quel mondo.

"Comunque sia ho tutte le informazioni che le servono. Se vuole gliele espongo immediatamente" "Sentiamo dai" "Il morto, al secolo Alex Lincux, era considerato uno dei guru del mondo del software libero, in quanto era stato proprio uno dei primi e più importanti pensatori, diciamo così, di quel mondo. A quanto pare però alcuni anni fa si formarono i primi attriti tra il signor Lincux e gli altri guru." David si stava prendendo tutto il tempo necessario per esporre l'argomento, in quanto sapeva che il commissario si sarebbe ben guardato dall'interromperlo. I due si conoscevano bene. "Il motivo degli attriti stava in due ragioni principali: da un lato il nostro morto non condivideva la linea principale del movimento, che non prevedeva alcun contatto col mondo del software proprietario. Secondo lui era una linea troppo estrema quella seguita dagli altri guru. Il secondo punto era che l'estremismo di quest'ultimi; secondo il signor Lincux non permetteva loro di vedere l'uso strumentale che alcune aziende stavano facendo dei principi base del software libero, al solo fine del loro profitto. Sempre a causa di quel suddetto estremismo, i guru del software libero ed i vari seguaci, non si stavano accorgendo di come in realtà il loro messaggio non fosse stato correttamente percepito dalla maggioranza delle persone. Ad oggi, infatti, i più pensano che software libero sia sinonimo di software gratuito e chi si spinge un po' oltre questo parallelo monetario ha una vaga idea giustizialista, per la quale il software libero è uno strumento del quale non è importante conoscerne le basi, ma che può essere usato per condannare le grandi aziende software che come tali, facendo i loro porci comodi, devono essere appunto giustiziate." David prese un attimo fiato e poi proseguì. "Quando le divergenze tra il morto e gli altri guru diventarono di dominio comune all'interno della comunità del software libero, iniziò subito l'ostracismo verso il signor Lincux che si trasformò ben presto in una violenza verbale incredibile. Furono attaccati ovviamente anche quanti, all'interno della comunità, abbracciarono le sue idee. Ben presto questi attacchi raggiunsero livelli

parossistici, andando a colpire anche coloro i quali, pur non essendo d'accordo col signor Lincux, non condividevano la violenza degli attacchi contro quest'ultimo. Questi moderati, chiamiamoli così, diventarono a loro volta bersaglio degli attacchi dei più estremisti. Il signor Lincux finì con l'auto-escludersi dalla comunità, nel vano tentativo di riportare la discussione a livelli accettabili, ma non ottenne l'effetto sperato. Anche una volta uscito dalla comunità col capo cosparso di cenere, continuò ad essere facile bersaglio per i più facinorosi. A dire il vero questi ultimi erano ben poca cosa rispetti agli ammiratori del signor Lincux. Il fatto è che quest'ultimo preferì non creare una comunità parallela, pur essendocene tutti le condizioni e finì coll'isolarsi sempre di più. Pare che una volta si lasciò andare ad una rarissima confidenza, con i più intimi tra i suoi ammiratori. Il nostro caro estinto.." David rallentò un attimo il o ed osservò il volto del commissario per valutarne il livello d'attenzione e poi, vedendo che quest'ultimo era molto preso dal suo discorso riprese ad argomentare: "...disse ai suoi preferiti che sarebbe stato meglio se dal quel momento lo avessero lasciato in completa solitudine. In questo modo avrebbe potuto portare avanti i propri progetti. Pare che comunque la confidenza non si spinse fino al punto di condividere la natura dei suddetti progetti. Tanto furono convincenti le argomentazioni del signor Lincux che da quel momento di lui non si seppe più nulla. Almeno fino a pochi giorni fa" "Si sa il perché della sua presenza alla conferenza?" "Di certo non era stato invitato. Ho controllato attentamente la lista degli invitati ufficiale e non, ma del suo nome non v'era traccia. Ho anche supposto che si fosse accreditato dando un falso nome, per non attirare l'attenzione, ma tramite un po' di controlli incrociati anche guardando i siti web dei presenti, mi sento di escludere questa ipotesi." "Possiamo pensare che volesse parlare con qualcuno in particolare tra i presenti alla conferenza? Cos'hai trovato sul progetto “S.P.I”? Come mai nel tuo rapporto non se ne parla?” "Molte chiacchiere e svariate teorie, alcune delle quali sembrano anche stare in piedi ma mi manca un vero riscontro. Per questo non ne ho fatto menzione nel rapporto"

"Capisco. Allora per il momento fermati e lasciami analizzare il tuo rapporto. Ho visto che hai menzionato vari personaggi. Voglio cercare di capire se qualcuno di questi ci può aiutare" "Ad esempio?" "Se riuscissimo a trovare qualcuno che ha messo le zampe in entrambe i settori, forse ci potrebbe aiutare a capire quale delle teorie che hai trovato è quella giusta. Per adesso va bene così. Puoi andare, grazie" David rivolse un sorriso al commissario e poi uscì dall'ufficio. Il commissario riprese a leggere il rapporto segnandosi man a mano i nomi di tutti i personaggi individuati da David. Mentre leggeva il commissario pensò che come al solito il rapporto del suo assistente rasentava la perfezione. Per questo lo aveva allontanato momentaneamente dal caso. I due, infatti, si conoscevano molto bene ed il commissario sapeva che la mente di David dopo una concentrazione così intensa, come quella usata sicuramente per la stesura del rapporto, aveva bisogno di un momento di riposo. Sapeva anche che durante quel periodo di riposo in realtà la mente di David avrebbe continuato a macinare osservando il problema da tutti i punti di vista possibili. Quando ormai si era fatto ora di pranzo, il commissario aveva raccolto i nomi di tutti i personaggi. Il compito del pomeriggio sarebbe stato quello d'individuare i più interessanti, anche se in realtà uno di quelli aveva già catturato la sua attenzione. Anche la mente del commissario necessitava di riposo e per questo non c'era niente di meglio che fare un giro in bicicletta tra le vie meno frequentate del centro di Firenze, stando ben lontani dai viali di circonvallazione e dalle zone più note del centro, intasate com'erano le prime dal traffico e le seconde dalla solita marea di turisti. Al suo ritorno in ufficio il commissario provò in tutti i modi di portare avanti per bene il compitino datosi la mattina, ma non ci fu verso. Invece di analizzare con calma tutti i nomi trovati, si concentrò subito su quel nome che aveva catturato la sua attenzione. Dopo circa un'ora fu felice di essersi, per una volta, lasciata andare al proprio istinto. Infatti le informazioni trovate su quel nome si rivelarono subito molto

interessanti. Alessandro, questo era il nome interessante trovato, aveva avuto per anni una piccola azienda software, la quale era stata tra le aziende partecipanti al grande progetto del “S.P.I”. Pare che nell'ambiente Alessandro avesse sempre goduto del rispetto di tutti. La sua azienda era sempre stata in buona salute, per cui il commissario si stupì quando lesse delle chiusura improvvisa dell'azienda. Evidentemente nel frattempo era intercorso qualcosa che aveva portato a quel cambiamento. Più andava avanti nella lettura e più il commissario si convinceva che sarebbe stato molto opportuno scambiare due parole con questo Alessandro. Decise quindi che sarebbe andato a fargli una visita alla taverna che adesso gestiva, dopo aver abbandonato il mondo dell'informatica. Nel secondo pomeriggio il commissario e David parcheggiarono le biciclette vicino alla taverna di Alessandro. Come sempre in quelle occasioni, David si era lagnato durante tutto il tragitto per la solita scelta del commissario di usare la bicicletta come mezzo di locomozione, quando dovevano spostarsi per il centro. Ogni buca nell'asfalto era una scusa per lamentarsi, alla quale il commissario replicava con la frase: "Respira David, respira". I due stavano per entrare nel locale quando da una via traversa apparve Randa. In quello stesso momento uscì Alessandro dalla porta del locale. Quest'ultimo non fece caso al commissario e David. Non erano ancora abbastanza vicini perché li potesse scambiare per dei possibili clienti. Alessandro abbracciò Randa per salutarla ed insieme entrarono nel locale. Quest'ultima aveva invece riconosciuto il commissario, in quanto si erano incontrate alcuni anni prima durante una inchiesta. In quella occasione non ebbero però modo di rompere il ghiaccio e così il giudizio dell'una nei confronti dell'altra era rimasto in sospeso. Anche il commissario riconobbe Randa e si bloccò nel vederla. Le due donne si guardarono mentre Alessandro invitava la sua amica ad entrare nella taverna. "Che facciamo così impalati?" disse David Il commissario guardò il suo assistente con aria assente. "Credo ci sia qualcosa che non ho considerato. E' meglio se torniamo in ufficio". Presero le biciclette e ripercorsero la strada dalla quale erano arrivati. Lungo tutto il tragitto David ebbe il buon gusto di rimanere in silenzio, in quanto aveva capito che qualcosa stava profondamente rodendo il commissario. Quest'ultima, infatti, dentro di sé si stava maledicendo per l'aver lasciato che il suo istinto la

fe muovere lungo un percorso senza averne prima analizzato i dettagli. Probabilmente l'istinto aveva visto giusto, ma nella frenesia di giungere alla metà si era dimenticata di osservare bene il terreno prima di muoversi. Giunti al commissariato la biciclettata aveva fatto il proprio effetto e così una volta davanti ad i suoi incartamenti, capì che in fin dei conti, anche se avesse osservato meglio il terreno, difficilmente avrebbe scoperto l'amicizia tra Randa e Alessandro, anche perché quasi certamente quest'ultimo non conosceva la vera natura della sua amica. Pur tuttavia rimase infastidita per il proprio comportamento troppo avventato. "Chi era?" disse David "Chi?" "Andiamo, lo sa benissimo a chi mi sto riferendo" "E' un agente segreto. La conobbi alcuni anni fa durante un'altra inchiesta. Sicuramente anche lei mi avrà riconosciuta. Probabilmente è solo una coincidenza, ma se non lo fosse?" "Suppongo che non sarebbe il caso di mandare un altro dei nostri a parlare con questo Alessandro" "Supponi bene. Anch'io avrei improvvisato non sapendo bene cosa chiedergli" "Allora la lascio da sola a riflettere" "Grazie David" Il commissario rimase da sola in ufficio a riflettere sul da farsi. Al termine della giornata quando ormai anche l'ora di cena era già ata da un po' di tempo, si accinse, del tutto avvilita, a chiudere l'ufficio. Aveva speso il resto della serata a valutare quale fosse la strada migliore da intraprendere, ma non aveva concluso un bel niente.

Un incontro inatteso Gennaio 2009 Quella sera stessa Randa si trovava ancora nella taverna di Alessandro con altri amici, tra i quali Florentin e Raul. Si era volutamente seduta accanto a quest'ultimo in quanto aveva notato che si stava facendo vedere più spesso; voleva perciò testare la correttezza di certe sensazioni provate alcune durante il loro ultimo incontro, ma non solo. "Allora Raul, ti si vede spesso ultimamente. Non devi più fare i tuoi viaggietti di lavoro? A quale indagine stai lavorando?” "No, no, i viaggi per ora sono finiti..io non lavoro ad indagini. Sono solo un poliziotto" "Ah! Ok. Comunque oggi qui c'era una tua collega commissario" "Un commissario?" "Si oggi pomeriggio quando sono arrivata, mentre stavo salutando Alessandro ho visto che si stava avvicinando una donna e accanto a lei, c'era un uomo. Li ho notati perché lui si lamentava per l'utilizzo della bicicletta che lei gli aveva imposto. Poi ho avuto un flash-back e mi sono ricordata che per un certo periodo l’ho incontrata casualmente in più posti, anche appunto in commissariato quando sono andata per i miei documenti" "Ah ho capito. Non possono che essere loro: il commissario Nastassya ed il suo assistente David. Il commissario ha questa mania di voler usare sempre la bicicletta. Viene sempre in bicicletta al lavoro e la usa spesso e volentieri anche quando si deve muovere per la città" Randa aspettò un attimo prima di fare altre domande a Raul, perché voleva capire dal suo volto se si sarebbe lasciato andare dicendole anche a cosa stava lavorando il commissario Nastassya. Randa ormai da alcune settimane aveva sempre più notato un comportamento strano da parte di Raul. Fino a poco tempo prima quest'ultimo e Florentin non avevano legato. Non c'erano mai stati problemi, semplicemente non era mai scoccata la scintilla dell'amicizia. Poi

improvvisamente Raul aveva cominciato ad interessarsi a Florentin e fu lo strano tipo di avvicinamento usato da Raul ad accendere l'interesse di Randa. Le volte che Florentin non c'era, Raul chiedeva agli altri presenti come mai Florentin non fosse uscito, dove si trovasse, cosa stesse facendo in quel periodo. Le volte in cui invece Florentin usciva con gli amici, era evidente, almeno per Randa, come Raul tentasse di stargli abbastanza vicino da poter carpire comunque tutto quello che usciva dalla sua bocca. Si premurava di stare sufficientemente accanto a Florentin, si da poter ascoltare i suoi discorsi con gli altri, riservandosi di fargli solo qualche sparuta domanda. Come modalità di creazione di una nuova amicizia era alquanto singolare. Ad un certo punto Randa pensò malignamente che Raul stesse in realtà spiando Florentin. Ma se fosse stato vero allora il suo strano amico si sarebbe dimostrato un pessimo poliziotto, mentre le voci giunte da alcuni suoi contatti nella Polizia avevano sempre dato dei buoni, alle volte pure lusinghieri, pareri su di lui. Mentre Randa rifletteva sul singolare comportamento di Raul, il suo senso di colpa verso le persone a lei care si fece sentire, manifestandosi in un gran mal di stomaco che le causò la perdita dell'appetito, come d'altronde era già successo in ato. In quelle occasioni la cosa non era mai sfuggita ad i suoi amici, i quali non perdevano l'occasione di prenderla bonariamente in giro. Il problema si acuiva quando gli amici la tempestavano di domande sul perché ed il per come di quel mal di stomaco, costringendo inconsapevolmente la loro amica a mentire ulteriormente rendendo il mal di stomaco ancora più virulento. Anche quella sera mentre poneva a Raul tutte quelle domande sul commissario Nastassya, il mal di stomaco cominciò a riaffiorare perché ovviamente stava parzialmente mentendo al suo amico, non potendogli dire il perché di tutte quelle domande. Al tempo stesso Raul, nel suo goffo tentativo di celare agli altri l'improvviso interesse per la vita di Florentin, non pose particolare attenzione alle domande rivoltegli da Randa finendo così per darle più informazioni di quante ne avrebbe fornite se fosse stato mentalmente presente. Se i due amici avessero conosciuto i pensieri dell'altro, Randa avrebbe riconosciuto la prima fase delle menzogne: quella in cui menti anche a te stesso dicendoti che tale situazione è per te nuova, Al momento sei costretto a mentire sul tuo operato, nell'attesa di trovare una soluzione che ti permetta di uscire da quel labirinto nel quale altri ti ci hanno buttato. In quella fase il mal di stomaco ancora non si fa sentire. Aspetta di vedere quale strada decidi di prendere per la seconda fase: se mantenere un certo attaccamento alla tua coscienza o se invece accantonare quest'ultima definitivamente, ando però attraverso l'uso di stimolanti, antiemicranie e droghe più o meno leggere, per finire col dare loro la colpa del tuo

mal di stomaco. Randa avrebbe voluto poter aiutare Raul ma così facendo sarebbe venuta meno la sua copertura. L'ovvia conseguenza di quei pensieri fu che Randa ò una bella notte in bianco ripensando a quando anni addietro fu costretta per la prima volta a mentire. La inevitabile valanga di ricordi la costrinse per la prima volta, dopo diversi mesi, a beccarsi un lungo mal di stomaco notturno. Dopo alcune ore di accavallamenti tra i pensieri, Randa decise che l'indomani avrebbe fatto una visita al commissario Nastassya per darle alcune utili informazioni, chiedendone altre in cambio, ma facendo al commissario anche una confidenza che forse l'avrebbe aiutata ad alleviare i dolori allo stomaco. Quella decisione le avrebbe anche dato il giusto rilassamento per poter dormire alcune ore, ma sapeva che essendosi ormai quasi fatta l'alba, quel paio d'ore di sonno avrebbero quasi certamente avuto un effetto deleterio per il resto della giornata. Con non poca fatica si alzò dal letto e si vestì per andare a correre. L'aria fresca del mattino unita ad un potente caffè alla turca dopo la corsa, sortirono l'effetto sperato ed almeno per il resto della mattinata Randa non accusò più di tanto la notte insonne. La certezza di ciò la ebbe quando, pochi istanti dopo aver finito di bere il caffè, le balenò in mente che andare in commissariato per incontrare il commissario Nastassya, non sarebbe stata una buona idea. Randa ripensò a quanto Raul le aveva detto la sera prima a proposito della ione del commissario per la bicicletta. Si convinse allora che quasi certamente il commissario prima di entrare a lavoro avrebbe fatto un giro lungo entrando nel centro da porta Romana. Quella zona si prestava per un tranquillo giro in bicicletta senza il rischio d'incappare nell'asfissiante traffico, tipico di altre zone di Firenze. La fortuna avrebbe poi dovuto assistere Randa nell'azzeccare il giusto orario. Se la dea bendata avesse guardato da un'altra parte, allora avrebbe aspettato anche tutto il giorno dalle parti del commissariato in attesa dell'uscita del commissario, perché comunque sia aveva deciso che si sarebbe incontrata con quest'ultima fuori dal commissariato. Randa inforcò la bicicletta fece un largo giro fino a porta Romana, entrò nel centro e poi iniziò a girare tra le stradine in attesa della sua preda. Si vede che la fortuna quel giorno fu molto magnanima con Randa perché non dovette aspettare a lungo prima d'incontrare il commissario. La fortuna fu così

sfacciata che Randa incrociò il commissario proprio mentre quest'ultima si stava fermando davanti ad una piccola pasticceria dove andava di solito a fare colazione. Le due donne si guardarono per alcuni lunghi istanti, ciascuna esitante sul come interrompere quello stallo. Randa si sentiva in dovere di rompere quel silenzio avendo lei realizzato quell'incontro. D'altro canto al commissario Nastassya bruciava ancora quel senso d'impotenza ed impreparazione provata nel precedente incontro e pensò che questa volta avrebbe condotto lei i giochi. "Direi di iniziare con una bella colazione insieme. Che ne dici?" disse il commissario. "Sono qui apposta!" rispose maliziosamente Randa. Si misero a sedere su un tavolo abbastanza appartato e rimasero in silenzio a guardarsi fino a quando non ebbero entrambe finito le abbondanti colazioni. Ambedue avevano preso il caffè forte e la colazione rigorosamente dolce, a base di sfoglie alla crema e cioccolato. "L'altra volta non mi hai salutata.." "Ero sorpresa" il commissario abbozzò solo questa frase come risposta all'affermazione di Randa. "Suppongo comunque che tu non fossi lì per me" "Supponi bene" "Devo essere onesta: ho chiesto ad un mio amico poliziotto informazioni su quale sia l'indagine che stai seguendo in questo momento. Siccome poi ti chiederò alcuni favori, uno riguardante anche questo mio amico, mi sembra giusto che inizi io col farti un favore dandoti alcune informazioni che forse potrebbero esserti utili" "Sono tutta orecchie" il commissario non sapeva ancora bene cosa aspettarsi da Randa. Per questo rispondeva sempre in maniera concisa, così da non dare l'impressione di essere spaesata, ma al tempo stesso senza fare mosse false. "Intanto potrei darti alcune informazioni utili su Alessandro, perché suppongo

che tu l'altra volta fossi lì per lui" "Supponi bene" il commissario fu in grado di dominare la propria esitazione rispondendo di getto. Ciò la rinvigorì facendola sentire più sicura di sé. "Se sei arrivata ad Alessandro allora suppongo che tu non ti sia fatta abbindolare dalla versione ufficiale sul signor Lincux" "Quale versione ufficiale? Perché io ne ho sentite diverse. Forse intendi quella che lo dava come un semplice esaltato del software libero e che comunque intende la morte come avvenuta tutta all'interno di quel mondo" il commissario cominciava ad avere le idee un po' più chiare su dove stesse andando a parare Randa. Per questo si era decisa a formulare una risposta più articolata delle precedenti. "Niente di più falso.." Randa si fermò alcuni istanti primi di proseguire, per vedere se stava veramente catturando l'attenzione del commissario, la quale era molto brava a celare i propri stati d'animo. Non essendo certa di cosa realmente quest'ultima stesse pensando, Randa proseguì con la sua spiegazione: "Il signor Lincux non era affatto un esaltato, né tanto meno un fautore del software libero. Fino ad alcuni anni fa lavorò per la Winsoz ricoprendo via via ruoli sempre più importanti, giungendo al ruolo di capo-progetto del “Database unico”..." questa volta Randa s'interruppe in quanto nel sentire quelle ultime parole il commissario socchiuse un po' gli occhi nel vano tentativo di trovare nella sua mente, il ricordo del “Database unico”. "Non ti ricordi cosa fosse il progetto “Database unico”?" "Confesso la mia ignoranza" "Fu un mega progetto portato avanti fino ad alcuni anni fa dalla Winsoz che aveva vinto l'appalto, ma con l'appoggio dei principali governi occidentali, per la realizzazione di un unico “Database” nel quale sarebbero confluiti tutti i dati salienti di ciascuno di noi: dalla storia medica ai principali documenti necessari per vivere in un qualsivoglia Paese. Ciascuno di noi avrebbe potuto così accedere facilmente a tutti documenti, senza paura di perderli né di dover fare le estenuanti file davanti ad un qualsivoglia ufficio pubblico, con notevoli benefici nello snellimento della burocrazia"

"Che ne è stato di quel progetto? Non mi pare di averne sentito parlare recentemente" “Esiste ancora ma si chiama S.P.I” “Ma no! Non è possibile! Quello lo conosco e poi so che non è stato realizzato dalla Winsoz..” Nastassya si fermò alcuni istanti per raccogliere i ricordi e poi riprese a parlare “..io non ci capisco molto, ma so che l'hanno fatto dei ragazzi usando il software libero e che quindi la Winsoz non c'entra un bel niente” “I due software sono la stessa cosa. Ad un certo punto il nome fu cambiato da “Database unico” a S.P.I. Inoltre è vero che è stato realizzato da dei ragazzi, ma la prima versione fu costruita dalla Winsoz. Però so anche un'altra cosa: il signor Lincux uscì dal progetto smettendo di lavorare per la Winsoz." "Come mai?" "Non ho ancora ricostruito tutta la storia del signor Lincux, ma so con certezza che subito dopo essere uscito dalla Winsoz andò a parlare con alcune delle principali aziende open-source, le quali tempo addietro erano state escluse dalle gare per l'appalto, nonostante la sempre maggior euforia nei confronti del software libero tra le persone comuni" "Spionaggio industriale?" "Non ne sono convinta." "Pensi più ad un Don Chisciotte dei nostri tempi?" "Qualcosa del genere, ma non ne ho le prove" "E vorresti che te le trovassi io.." "Sempre che la cosa t'interessi e penso sia proprio così, visto che ti ho dato una traccia" "Ok diciamo pure che in questo momento io sia in debito con te: cosa dovrei fare per sdebitarmi?" "In primis lasciar stare il mio amico Alessandro"

"Non gli ho fatto niente!" "La prossima volta che c'incontreremo ti racconterò ciò che avresti voluto sapere da Alessandro." "Ok, ma non facciamo are troppo tempo. Sai, mi ero stufata di fare colazione sempre da sola" "Secondo: dovresti chiedere che ti sia assegnato come aiutante Raul, quel mio amico poliziotto che.." Nastassya interruppe Randa "Si so chi è, ma so anche che è coinvolto in un'altra indagine importante.." Questa volta fu Randa ad interrompere Nastassya. "L'indagine sui frati feticisti. Si lo so, ma credimi quando ti dico che gli farai un favore levandolo da quella indagine." "Però se ai piani alti hanno messo un semplice poliziotto in una indagine così importante, probabilmente non mi sarà facile portarlo su di un'altra" "Io credo invece che non ti sarà difficile, anzi sono sicura che non farai alcuna fatica. Il perché te lo spiegherò la prossima volta" "Sarà una colazione intensa la prossima. Senti, ma per te personalmente non vuoi niente?" Nel sentir pronunciare quelle parole, tutta la baldanza di Randa per aver creduto fino a quel momento di essere stata lei a condurre quel gioco della parti col commissario, standosene in una posizione di superiorità, se ne andò in un sol momento. Randa era si stata molto brava nel catturare l'attenzione del commissario e nel giocare con lei, ma quest'ultima aveva osservato al tempo stesso molto bene Randa finendo per percepire in lei un certa ansia. "Ti può bastare per il momento sapere che mi era necessario uno sfogo per allontanare, almeno per un po', certi pensieri?" "Diciamo pure di si”

Un nuovo incarico per Raul Gennaio 2009 Raul entrò in commissariato dove trovò ad attenderlo il suo collega che lo accolse con uno sguardo sornione. "Cos'hai combinato questa volta?" disse il collega di Raul. "Eh! Perché?" "Il commissario Nastassya ti sta aspettando nel suo ufficio. David ti ha cercato più volte per portarti nel suo ufficio" "Ma io entro adesso al lavoro. Cosa diavolo vogliono da me?" "Sei sicuro di non saperlo?" "Certo!" "Farò finta di fidarmi" disse il collega di Raul sorridendo. "Ma fottiti. Fammi andare va. Poi ti racconto" "E' stato un piacere" disse il collega allungando la propria mano destra. "Ma che te preso oggi?" "Lo sai benissimo. Se il commissario Nastassya ti sta cercando sarà sicuramente per farti lavorare con lei. Il che vuol dire che almeno per un po' io e te non lavoreremo più insieme" "Anche fosse non è detto che io accetti" "Accetterai. Lo sai benissimo" "Vedremo e comunque la mano non te la stringo. A dopo" "Ciao"

Dopo aver percorso alcuni corridoi Raul arrivò davanti alla porta dell'ufficio del commissario Nastassya. Bussò "Avanti" Raul aprì la porta. "Commissario.." "Vieni Raul mettiti pure a sedere" disse il commissario indicando la sedia che stava davanti alla sua scrivania. Raul da par suo, alquanto stupito da quel incipit così irrituale, titubante si mise a sedere. "Allora Raul, ti ho fatto chiamare perché vorrei sapere se ti potrebbe interessare lavorare con me" Raul rimase in silenzio non sapendo bene cosa dire. "So che stai partecipando alle indagini sui frati feticisti. Ti piace?" Raul pronunciò un si alquanto stentato. "Certo, l'indagine sui frati feticisti sarà molto attraente" disse il commissario con un sorriso condiscendente. "E sicuramente lo sarà molto di più rispetto all'indagine sul morto al Palazzo dei Congressi alla quale sto lavorando io. Nondimeno sono convinta che se tu accettassi di lavorare con me, potresti trovare diverse soddisfazioni. Mi sei stato consigliato da una persona importante e quindi sono sicura che non mi deluderesti" Raul si sentì molto confuso. Se fosse stato qualche altro commissario a fargli quella stessa offerta, non avrebbe avuto dubbi nel rifiutarla. Ma in questo caso era diverso. A porgli dei dubbi non era il tipo d'indagine quanto il fatto che con il commissario Nastassya non ci sarebbero state sgradevoli sorprese, come quella di essere di fatto relegato in una parte minoritaria dell'indagine, o peggio ancora dover svolgere compiti sgradevoli come quello di pedinare un amico. Ben sapendo che il commissario detestava i convenevoli quando Raul prese a parlare, non si perse in troppi ringraziamenti.

"La ringrazio per la proposta e se possibile vorrei pensarci un attimo" "Certo, ma non troppo. Vorrei una risposta entro due giorni" "Mi saranno sufficienti" "Bene, allora puoi andare" "Commissario" Uscendo dall'ufficio del commissario Raul sapeva che quella giornata sarebbe stata molto lunga. Le incessanti domande del suo collega non gli avrebbero certo permesso di rilassarsi e quand'anche quest'ultimo avesse avuto pietà di lui, ci sarebbe stato comunque da svolgere il lavoro di tutti i giorni. Per questo, una volta giunta la sera, Raul fu molto contento di poter arrivare a casa e stravaccarsi un attimo in poltrona. Quella notte rimase diverse ore immobile nel letto a fissare l'intravedibile bianco del soffitto della camera. Il conflitto nella sua mente era tra una indagine meno interessante ma molto probabilmente più formativa ed un'altra indagine di per sé più affascinante, ma che non lo avrebbe visto protagonista. Alla fine vinse quell'improvvisa mancanza di forze che provava ogni volta che doveva mettersi a pedinare Florentin. Fu così che il giorno successivo, appena entrato in commissariato andò a bussare all'ufficio del commissario Nastassya, per dirle che accettava la sua offerta.

La versione di Randa sui frati feticisti Gennaio 2009 Nastassya fu svegliata di soprassalto dal cellulare che stava suonando da diversi secondi. Senza neanche aprire gli occhi afferrò il cellulare ed aprì la chiamata. "Nastassya?" una voce femminile all'altro capo del telefono pronunciò il suo nome. "Chi è?" "Sono Randa. Ti aspetto al vecchio ponte di Campi Bisenzio." "Cosa!!" "Dai su alzati devo farti vedere qualcosa di molto importante. A proposito: porta Raul con te" "Ma tu sei pazza! Mi chiami alle 5 del mattino e pretendi che venga a Campi Bisenzio, in più dovrei chiamare Raul svegliando così la sua famiglia" "Raul è di pattuglia in questo momento e tu comunque sia, tra una mezz'ora ti saresti alzata per fare il tuo giro mattutino in bicicletta. Forza, poche chiacchiere che ti sto aspettando" senza neanche aspettare una risposta da Nastassya, Randa chiuse la chiamata. Il commissario, ancora rintronata dal sonno si alzò da letto ed in pochi minuti fu pronta per uscire di casa. Mentre scendeva le scale chiamò Raul per avvisarlo di farsi trovare al luogo dell'appuntamento con Randa. Fortunatamente Nastassya arrivò prima del suo collega e così le fu possibile mediare lo stupore di quest'ultimo nello scoprire la vera natura della sua amica Randa. Raul arrivò col suo scooter avendo lasciato la macchina di pattuglia al collega. Quando vide il commissario Nastassya in compagnia della sua amica Randa rimase sbigottito e la sua mente si svuotò di colpo. Percependo lo stupore del suo amico, Randa fu molto celere nel prendere la parola per iniziare ad abbozzare

quel discorso di spiegazioni sulla sua reale natura, anche se non era quello che da anni stava preparando per giustificarsi con tutti i suoi amici. Dopo che Randa ebbe spiegato all'amico quale fosse la sua vera professione, il commissario s'intromise nella discussione cercando di spiegare in altro modo le ragioni di quell'incontro. La preoccupazione di Nastassya era che Raul non accettasse le ragioni di Randa e decidesse di denunciare entrambe. Al tempo stesso la serafica tranquillità di Randa stava avendo un certo effetto anche su di lei permettendole di contenere la preoccupazione. Il commissario pensò che in fin dei conti Raul e Randa erano amici e quindi quest'ultima avrebbe dovuto sapere come il suo amcico si sarebbe comportato in quel contesto. E se invece non fosse stato così? Se quella calma che traspariva dal volto di Randa fosse stata solo apparenza e quindi inganno come la loro amicizia, basata su falsi comportamenti e verità celate? Mentre queste domande giravano nella testa di Nastassya, altre percorrevano la mente di Raul. I dubbi che alcune notti prima aveva fugato decidendo così di accettare la proposta del commissario, si ripresentarono prepotentemente. Trovandosi davanti ad un possibile bluff cominciò a pensare che quello dei suoi capi non fosse un vero inganno e che Florentin potesse veramente essere un contatto dei frati feticisti che era stato scelto per quel compito, sia per i rapporti con Florentin, che per le sue capacità. Ma le forze che guadagnava con quel pensiero venivano subito affievolite dall'amicizia che ormai provava per Florentin. Il silenzio creatosi fu interrotto da Nastassya che rivolgendosi a Randa le disse: "Perché non gli hai parlato di Florentin?" "L'avrei fatto a breve. Raul non mi perderò in lunghe parole per cercare di convincerti della mia verità. Lasciami solo il tempo di farti vedere una cosa e poi deciderai" Lo sguardo di Raul era un misto di rabbia, delusione per la forse perduta amicizia e la profonda incertezza sulla piega che avrebbe preso la sua carriera di poliziotto. Nondimeno decise di seguire Randa. Entrarono nella macchina di quest'ultima e si diressero verso la zona industriale.

Durante il tragitto il silenzio regnò sovrano nella macchina. Solo quando la luce del sole cominciò a fare capolino dietro le colline, Randa aprì la bocca: "Dobbiamo fare presto, prima che spunti il sole. Quando notte e giorno sfumano i confini delle cose, si possono meglio notare i dettagli di quelle stesse cose, senza lasciarsi sviare dalla confortante certezza di quei confini così poco interessanti" Randa fermò la macchina davanti ad un capannone. Uscendo dalla macchina Nastassya e Raul guardarono quella struttura che ricordava loro qualcosa avvenuto non molto tempo prima. "Vi ricorda qualcosa?" disse Randa. I due non risposero rimanendo concentrati su quel capannone, nel tentativo di ricordare la prima occasione nella quale lo avevano certamente visto. "Vi darò una mano: immaginate che il tetto e la facciata abbiano la struttura tipica di una casa di montagna, con soprattutto dei colori più caldi. Una bella facciata bianca con le tegole del tetto color marrone chiaro. Poi, proprio qui davanti all'ingresso, mettete il palco sul quale si avvicenderanno alcune delle più importanti cariche politiche.." mentre Randa parlava guardava anche i volti di Nastassya e Raul, dai quali cominciavano a trasparire i primi ricordi. "Ricordate il bel discorso del Presidente del Consiglio a proposito dell'intimità violata delle donne. Del fatto che il vile gesto dei frati feticisti aveva colpito prima di tutto le donne, ma in seconda battuta anche gli uomini.." “Aveva ragione" Raul interruppe Randa "Non lo so, c'è qualcosa che non mi torna" disse Nastassya "Se adesso apriamo il portone secondo voi cosa vedremo?" domandò Randa "Gli assorbenti recuperati dai depositi segreti dei frati feticisti!" rispose Raul con evidente fastidio "Ok Raul, allora apri la porta" Si avvicinò alla porta, ma quando fu il momento di aprirla esitò, riuscendo comunque alla fine ad aprirla. Evidente fu lo stupore nei volti di Raul e

Nastassya nel vedere il vuoto assoluto all'interno del magazzino. Raul, il quale non poteva e non voleva celare il proprio astio nei confronti della sua amica, si sforzò alquanto per riprendersi dallo stupore e poi disse: "Sarà vuoto perché l'ultimo arrivo l'avranno portato ai centri di smistamento" "Se nei sei convinto puoi rimanere qui ed aspettare non più di due ore. Secondo i miei calcoli se è vero quanto scritto sui giornali a proposito dei continui recuperi di assorbenti, qui dovrebbe esserci un quasi incessante andirivieni di camion." "Non starò certo qui ad aspettare e poi scusami, ma se quello che tu vuoi farci intendere, cioè che è tutto un bluff e che questi magazzini sono sempre vuoti, perché avrebbero dovuto sceglierli così vicini all'autostrada, dove tutti li possono vedere?" disse Raul "Ti sei forse stupito per le diverse fattezze di questo magazzino rispetto a quelle che aveva quel giorno? Certo che no e così fanno gli altri. Vedono e sentono quello che preferiscono. Quando ano dall'autostrada vedono ancora quelle immagini rassicuranti del magazzino trasformato in una casetta accogliente. Sentono le altisonanti parole del Presidente del Consiglio e ne rimangono appagati. Non vogliono vedere le vere fattezze di questo magazzino. Se così fosse dovrebbero domandarsi perché siano diverse; dove stanno i camion che trasportano gli assorbenti ed in quale angolo oscuro siano finiti quelli mostrati il famoso giorno. Nessuno vuole vedere l'evidente marchingegno che si cela dietro il gioco di prestigio, per poter così rimanere abbagliati dallo stupore" "Adesso sei tu che guardi troppo all'apparenza e poco al dettaglio. Quel giorno questo magazzino fu semplicemente abbellito per l'occasione, ma la sostanza non cambia: questo magazzino, come altri, viene usato per stoccare gli assorbenti recuperati dai frati feticisti" "Allora guarda questa" Randa lanciò verso Raul una chiavetta usb. "Che cos'è?" "Ci sono delle foto di questo magazzino fatte da un giornalista alcuni giorni dopo la famosa cerimonia e altre scattate da me in questi ultimi giorni. In più vi troverai i comunicati stampa della Presidenza del Consiglio relativi ai recuperi di assorbenti corrispondenti ai giorni delle fotografie"

Raul guardò Randa indeciso sul da farsi. Nastassya, che fino a quel momento era rimasta in silenzio decise d'intervenire nella discussione, più per amore della discussione che per la ricerca di risposte, in quanto le argomentazioni di Randa l'avevano già convinta dal loro ultimo incontro. "Ma allora gli assorbenti mostrati quel giorno da dove venivano? Possibile che abbiano sottratto degli assorbenti dalle già scarse riserve, soltanto per metterle in bella mostra a favore di telecamere?" "Io non mi stupirei più di tanto se l'avessero fatto, ma così non fu. Quegli assorbenti furono veramente recuperati" "Da dove" "Vi farò un breve riassunto. I dettagli Raul li troverai nei fascicoli che a breve consegnerò a Nastassya" Raul iniziò a guardare la sua amica con un altro sguardo: sembrava più pronto a crederle. "In quegli assorbenti c'era una sostanza, una droga per l'esattezza, che abbassa i freni inibitori delle persone che vi entrano in contatto. L’azienda che commercializza quegli assorbenti, produce anche la suddetta droga ed ha un appalto col governo per fare dei test su quella stessa droga. Questa azienda ciclicamente destina un piccolo lotto di assorbenti per i test. Altro punto importante: in quel periodo si stava assistendo ad un momento di calma. Se leggete i giornali di quel periodo non troverete informazioni eclatanti su qualche guerra, o scandalo nelle segrete stanze della politica. In realtà da più parti nel mondo stavano giungendo al termine alcune inchieste giornalistiche sugli appalti dell'alta velocità. I diretti interessati sapevano che presto sarebbe scoppiato il bubbone e quindi decisero di are al contrattacco. Pensarono bene che come sempre un bello scandalo sessuale avrebbe distolto l'interesse di molti da altre notizie più importanti. La suddetta azienda e con lei altre furono incaricate di mettere in commercio quei lotti che normalmente venivano usati come test." "Gli scandali nella nobiltà fiorentina" disse Raul

"Bravo Raul" "Non è possibile non ci voglio credere" "Non ti voglio convincere a tutti i costi. Nel fascicolo che lascerò al commissario troverai tutti i fatti messi in sequenza temporale ed inoltre potrai leggere una descrizione dei legami tra i dirigenti di quell'azienda ed alcuni membri del governo. Traine pure le conclusioni che preferisci." "Ammettiamo pure che sia vero, ma gli scandali sessuali durano poco. Da soli non sarebbero stati in grado di frenare l'onda d'urto generata da una inchiesta così importante come quella sull'alta velocità" "Hai perfettamente ragione. Infatti gli scandali sessuali furono solo l'antipasto prima del piatto forte." "Ovvero?" "Ovvero colpire le persone nella loro quotidianità." "Il razionamento degli assorbenti" "Esatto" "Vuoi dire che anche quello fa parte di un piano?" "Certo Raul! Ma ancora non l'hai capito? I tuoi frati feticisti, non esistono! Sono solo uno specchio per le allodole, ad uso e consumo dei governi per distoglierci dalle cose importanti. Si crea rumore nel quale annegare il frastuono generato da un fatto eclatante come quello dell'alta velocità, o delle indagini sul “database unico”, come fu tempo fa. Si eccitano le persone con torbidi intrighi conditi dal sesso, distogliendole così dalla noia delle loro vite e poi le si fanno ripiombare nella normalità col ricatto di togliere loro anche quel poco che hanno. Queste si aggrappano a quel poco che hanno diventando così sorde a qualsiasi altro argomento, nella paura di perdere tutto." "Sei la solita cinica e la tua mente è contorta" replicò Raul ma con poca convinzione. "Ti ripeto Raul che non è mia intenzione convincerti a tutti i costi. Ti ho solo

mostrato alcuni fatti a favore della mia tesi, per il resto vedi tu. Io adesso devo andare." I tre personaggi si allontanarono da quel magazzino e durante il tragitto in macchina rimasero in silenzio così come avevano fatto all'andata. Mentre percorrevano la strada che scorreva parallela all'autostrada, Raul osservava le poche macchine che vi circolavano. Erano ancora poche data l'ora. Provò ad entrare nelle menti dei piloti di quelle macchine, domandandosi quali sarebbero stati i suoi personali pensieri. Avrebbe certamente percorso quella strada senza troppo guardarsi intorno. Si certo, i primi giorni dopo quella pomposa presentazione, una volta giunto all'altezza del magazzino con la coda dell'occhio avrebbe dato una sbirciatina, finendo per vedere il magazzino spogliato delle vesti della cerimonia. Non era vero, stava mentendo a sé stesso. La sua mente avrebbe voluto vedere il magazzino agghindato a festa e rincuorato da quella vista, avrebbe ripreso a guardare la strada seguendo il monotono percorso della sue giornate. Terminata la strada che correva parallela all'autostrada, Raul guardò nello specchietto del pilota, per cercare d'intravedere lo sguardo del commissario Nastassya. Riuscì a vedere il suo volto con lo sguardo perso nel vuoto. Si domandò come mai il commissario non avesse mai praticamente aperto bocca. Evidentemente, pensò Raul, il commissario doveva aver già fatto proprie le convinzioni di Randa. Giunti al vecchio ponte di Campi Bisenzio i tre personaggi si salutarono. Per la prima volta da che si erano incontrati alcune ore prima, Randa mostrò una certa incertezza. Non sapeva bene come salutare il suo amico. Fu quest'ultimo a toglierla d'impiccio avvicinandosi per salutarla con un bacio. Rincuorata dal gesto di Raul, Randa salutò il commissario col solito sorriso, poi riprese la macchina e si allontanò. Quando ormai la vista della macchina di Randa era solo una macchiolina sullo sfondo, finalmente Nastassya aprì la bocca. "Spero tu abbia capito Raul quale fosse l'intento di Randa" "Ancora non del tutto" "Adesso fai parte della mai squadra per una sua esplicita richiesta. Era convinta

che ti avrebbe fatto un piacere allontanarti dall'inchiesta dei frati feticisti, ma soprattutto dal compito di pedinare Florentin. Se ciò sia stato o meno un favore, questo lo sai solo tu." Raul guardò il commissario come alla ricerca di altre parole da parte sua che gli permettessero di fugare gli ultimi dubbi che attraversavano la sua mente. "Adesso vai a casa a riposarti. Ci vediamo nel pomeriggio" Disse Nastassya. Non furono certo le parole che Raul sperava di sentirsi dire in quel momento. "Ma i miei capi mi chiederanno conto del pedinamento di Florentin. Dovrò comunque inventarmi qualcosa" mentre Raul diceva quelle parole un senso di scoramento percorse tutto il suo corpo. "Randa mi avrà anche fatto un favore, ma io dovrò comunque mentire aggiungendo falsità ad un'azione meschina come quella di pedinare un amico" pensò Raul. "Non crearti inutili problemi. Pensaci solo se e quando i tuoi capi verranno a chiederti qualcosa. Ma se io fossi in te, starei tranquillo: a breve i tuoi capi avranno ben altro a cui pensare." disse il commissario mentre stava aprendo la porta della macchina. "Ciao Raul" concluse Nastassya salutandolo con un gesto della mano sinistra sporta dal finestrino della sua macchina. La convinzione con la quale il commissario pronunciò quelle parole fu tale da rincuorare Raul, se non del tutto almeno in parte. Decise di seguire il consiglio del commissario e volò a casa per distendersi un po' a letto.

Il signor Pelomane va a caccia Luglio 2004 L'uomo che di giorno burlava tutti, amici ed avversari, costringendo soprattutto questi ultimi ad azzuffarsi nel prendere le distanze dalle sue deliranti esternazioni, lasciandolo così inevitabilmente, sempre un o avanti a tutti; quest'uomo di notte si trasformava nella burla di sé stesso. La macchina del signor Pelomane parcheggiò dentro piazza Strozzi scatenando così l'attenzione, in un misto di sensazioni tra l'invidia ed il disgusto, dei vari anti. L'autista uscì dal suo posto ed aprì la porta posteriore dalla quale ne venne fuori il signor Pelomane rigorosamente col cellulare all'orecchio. La vista di quell'uomo la cui faccia, in quel periodo, era sulle prime pagine di tutti i giornali, con quel look che risaltava la camicia bianca sbottonata fin quasi l'ombelico e l'immancabile bandana, non fece altro che allargare quel misto di sensazioni, aumentando l'invidia di alcuni ed il disgusto di altri. In realtà non erano pochi coloro i quali davanti a quella scena palesavano disgusto, mentre dentro di sé provavano invidia per l'uomo di successo, fin quasi a sentire, ma nel più profondo, ammirazione e quindi ancor di più invidia per la possibilità accreditata al signor Pelomane di potersi vestire a quel modo, senza la paura di scadere nel ridicolo. La disonestà verso sé stessi non permetteva loro di vedere quanto in realtà quell’ometto segretamente ammirato fosse proprio ridicolo. L'invidia di alcuni si spostò sul pensiero del fortunato che in quel momento si trovava all'altro capo del telefono. Non sapevano quanto in realtà poco fortunato e certamente altrettanto ridicolo fosse questo ignoto personaggio che in quel momento stava parlando al telefono col Pelomane. Così tanto era l'interesse dei anti verso il signor Pelomane, che per contraltare veniva compensato dall'assoluto disinteresse di quest'ultimo verso tutte quelle persone. Solo una persona era al centro dei suoi pensieri in quel momento. Mentre un flusso di persone andava piano piano ad infoltire l'assembramento di individui interessati (nonostante molti lo negassero) alle vicende del signor

Pelomane, vi era un altro flusso di persone le quali non si curavano delle azioni di quest'ultimo. Molte di esse erano certamente disgustate dal comportamento di quel singolare personaggio, ma sapevano anche che non sarebbe stato fermandosi che avrebbero posto un freno alle sue disdicevoli azioni. Era a questo secondo flusso di persone, dal centro della piazza, che il signor Pelomane favorì il proprio interesse, nella spasmodica voglia di attrarli a sé e sentire la loro invidia. Molti di quelli attratti dal vortice del signor Pelomane addebitavano a quest'ultimo una scarsa intelligenza, nel vano tentativo di renderlo meno interessante ai loro occhi e di liberarsi dalla sua morsa. Ma il signor Pelomane era tutt'altro che stupido ed infatti la sua mente arguta era concentrata nella individuazione dell'unica persona che realmente lo interessava. Quella persona appartenente al secondo flusso, stava ando proprio dalla via che separa la piazza dalle arcate. Salvo diede una breve occhiata al signor Pelomane, lo riconobbe e la sua mente fu percorsa dai pensieri sul loro primo incontro e dal fastidio che ne seguì; arrivò quasi a fermarsi ma poi riprese il cammino verso casa di Jennifer. Il signor Pelomane si girò e lo vide proprio quando Salvo stava volgendo lo sguardo da altra parte per riprendere il cammino verso la casa della sua compagna. Nel signor Pelomane si accavallarono sentimenti diversi, ciascuno portato all'estremo: prima provò odio verso i suoi segugi accusati di essere degli incapaci. Com'era possibile, pensò il signor Pelomane, che in tante ricerche non l'avessero mai visto e la prima volta che lui partecipava direttamente alla ricerca, ecco che subito l'aveva individuato. Poi provò un interesse morboso verso quella persona che continuava a sfuggirgli. Rimase bloccato dalla lotta tra i suoi stessi sentimenti fin quando Salvo scomparve dietro i palazzi. "Mi fa un autografo?" Il signor Pelomane stava quasi per riversare il proprio odio verso quella insignificante persona che aveva osato interrompere i suoi pensieri, ma con un automatismo perfetto il suo volto cambiò immediatamente espressione. Un sorriso larghissimo riempì la sua faccia mentre stringeva velocemente la mano di quella persona. Dopodiché corse all'inseguimento della sua preda, mentre l’altro, estasiato dall'incontro con lui, per alcuni istanti diventò l'oggetto degli interessi delle persone vicine. Il signor Pelomane si era lanciato, ancorché in maniera alquanto goffa, all'inseguimento di Salvo ma ne perse ben preso le tracce. Provò a svoltare a

destra nella vana convinzione di aver visto la sua ombra girare per quella strada. Un senso di angoscia cominciò a salire dalla sua larga pancia, ma la causa non era la perdita delle tracce di Salvo. Mentre si aggirava freneticamente in quel dedalo di stradine che compongono il centro di Firenze, il signor Pelomane cominciò nuovamente a provare quel misto di sensazione, fatto d'impotenza ed inadeguatezza che aveva provato anche quella sera di alcuni mesi prima, quando per la prima volta incontrò Salvo. Addebitando a quest'ultimo l'origine di quelle sensazioni così fastidiose, nella vana convinzione che una volta catturatolo quel senso d'impotenza ma soprattutto d'inadeguatezza se ne sarebbero andati via, il signor Pelomane proseguì nella sua ricerca. Se solo avesse provato a parlare, anche per pochi istanti, con quelle sensazioni, avrebbe capito che la loro origine era legata al suo spasmodico bisogno di essere al centro dell'attenzione. Difatti il signor Pelomane durante quel giro ansioso tra le viuzze di Firenze, pur incontrando diverse persone, non sentì mai in queste ultime alcun interesse nei suoi confronti. Il signor Pelomane si fermò nel mezzo di strada ad osservare le persone che di volta in volta attraversavano i due stretti marciapiedi ai bordi della strada. Le persone avano senza accorgersi della sua presenza. In realtà le persone lo vedevano, ma nelle condizioni in cui era in quel frangente se ne tenevano alla larga. Da un vicolo così stretto che soltanto trovandoselo davanti lo si poteva notare, sbucarono due persone, l'una alquanto anziana ed emaciata, vestita con una logora tuta da operaio e l'altra, come a compensare, dalla grossa pancia e col volto già rubicondo di rosso vino. Le due persone portavano uno grosso specchio con l'intarsiatura finemente lavorata. Giunti all'altezza del signor Pelomane, quello magro dei due, essendo l'altro già abbastanza impegnato nel tentativo di far entrare sufficiente aria dentro il proprio corpo per proseguire nel cammino, si rivolse al signor Pelomane: "Signore, tutto bene?" Quest'ultimo si girò verso le due persone e non poté fare a meno di vedere il proprio corpo riflesso nello specchio e così si accorse di ciò che fino a quel momento aveva celato alla propria mente. Non avendo avuto il tempo di prepararsi mentalmente con l'incontro col suo corpo, la mente non poté mentire agli occhi e così ambedue le sue parti videro l'indesiderata figura di un signor Pelomane ombra di sé stesso, che niente aveva a che vedere con l'ammaliatore delle folle. A rendere ancor più netta questa visione ci si misero anche due turisti che impietositi dall'aria spaesata e confusa di quella persona immobile in mezzo alla strada, si fermarono a chiedergli come stesse.

Intrappolato da sé stesso, nella totale incapacità di scegliere se volgere un gentile ringraziamento a quelle persone che sinceramente si stavano preoccupando per lui, o se continuare nella ostentazione della solita smagliante indifferenza, il signor Pelomane fu salvato (anche se mai in seguito lo avrebbe ammesso) dalle chiamate dei suoi segugi. Sentendo la voce preoccupata dei suoi lacchè trovo le forze per riprendersi e usò quelle stesse per volgere un sorriso smagliante alle persone che gli stavano vicino in quel momento critico e riprese la strada da cui era arrivato. "Siete un branco di incapaci!" "Da solo sono arrivato a pochi metri dal bersaglio, mentre voi tutti insieme non lo avete mai visto manco col binocolo!" "Ci scusi Presidente" "Zitti! Venite subito qua!" "Alcuni di voi proseguiranno la ricerca palmo a palmo, mentre gli altri mi riporteranno a casa." "Subito Presidente. Arriviamo subito" Nel mentre tutto ciò avveniva, Salvo, ignaro di quanto fosse successo a poche decine di metri da lui, si trovava nel piccolo studio di Jennifer mentre questa stava dipingendo. In totale e rispettoso silenzio Salvo osservava la donna con la quale si sarebbe di li a poco trasferito negli Stati Uniti. Il silenzio che regnava nel piccolo studio di Jennifer fu solo leggermente scalfito dal baccano creato dai segugi del signor Pelomane, i quali, manco a dirlo, furono del tutto incapaci di ritrovare le sue tracce.

La scelta del signor Bigioni Gennaio 2009 Erano diversi giorni che il signor Bigioni continuava a pensare a quel fantastico panino con la porchetta al si era avvicinato tempo addietro. Ogni volta si diceva che aveva tutto il tempo per allungare la strada, o semplicemente prendersi del tempo libero per fare un giro al mercato dell'isolotto. Tutte le volte però la sua intima natura di persona profondamente abitudinaria, sopraggiungeva a distoglierlo da quell'intento, con la scusa che poi non avrebbe avuto tempo per le sue solite faccende quotidiane. Ogni velleità di cambiare strada per percorrere quella che portava al mercato dell'isolotto ed al suo agognato panino, si dissolveva con la consapevolezza del suo essere abitudinario e che ormai aveva perso la biforcazione che lo avrebbe potuto allontanare da quel suo modo di essere. Il signor Bigioni accettava di buon grado che il pensiero del panino entrasse tutti i giorni nella sua mente, pur sapendo che già dalle prime ore del pomeriggio, con il calar del sole sarebbero svanite anche le energie propositive del mattino. Il perseverare col vano desiderio trovava una sua ragione in quei lievi cambiamenti che si stavano presentando nella vita del signor Bigioni. Le piccole soddisfazioni quotidiane che fino ad allora avevano adeguatamente soddisfatto (al punto giusto tale da non creare una emozione palpitante) le sue giornate, cominciavano a non essere più tali. All'inizio parvero non più sufficienti, come se mancasse solo la ciliegina. Poi si ampliarono: mancava proprio tutta la fetta di torta con la ciliegina sopra. La eggiata di mattino presto tra i banchi del mercato, prima che l'orda barbarica arrivasse, non stava più assolvendo alla funzione di sveglia. Il caffè preso nel suo bar ormai seguiva una schema ben noto; tutta la chiacchierata col barista rispettava un canovaccio conosciuto a memoria. Il sorriso cordiale che solo a lui la vecchietta del piano di sotto rivolgeva, non allietava più il suo rientro a casa dalle commissioni del mattino. In seguito quelle piccole soddisfazioni si trasformarono in smania di liberarsi

dalle catene che lo tenevano fermo su quel binario che non vedeva altro che sé stesso, dritto ed interminabile. Quanto in quel momento il signor Bigioni fosse consapevole delle trasformazioni che andavano accavallandosi nel suo animo e nella sua mente, non è dato di saperlo. Quel che è certo è che, pervaso da uno stato di disillusione, il signor Bigioni continuò a percorrere tutte le tappe di una sua tipica giornata, in attesa del mattino successivo nel quale il pensiero del panino alla porchetta avrebbe bussato nuovamente alle porte della sua mente. I giorni trascorsero secondo la solita monotonia fino a quando un giorno, il signor Bigioni si trovò più coinvolto del solito nelle discussioni di un gruppo di manifestanti. Inizialmente accettò senza preoccupazione alcuna, l'invito dei ragazzi ad unirsi con loro la sera stessa, per una riunione in uno dei tanti circoli presenti tra i quartieri dell'isolotto e delle panche. Il signor Bigioni percorse in bicicletta la strada che lo avrebbe portato al circolo sede dell'incontro, in compagnia di uno strano senso d'inquietudine. Fino ad allora in quelle occasioni conviviali aveva sempre assunto con assoluta naturalezza la maschera del ribelle. Quella sera però, mentre ormai era in prossimità del luogo d'incontro, si accorse di averla smarrita. Con fare nervoso trovò un posto per allucchettare la bicicletta. Raggiunse la saletta dove subito andarono ad accoglierlo i suoi compagni e lì fece quello che un osservatore cinico e distaccato avrebbe chiamato: il primo errore. Bevve della birra. Non ne bevve poi più di tanto, ma la quantità di alcol che entrò nel suo corpo fu sufficiente per fargli perdere parte del ferreo controllo. Invece di rilassarsi lasciò che l'inquietudine pervadesse il suo corpo lungo le vie aperte dalla birra. "Che idiota sono stato a non aver mangiato prima di venir qui" pensò il signor Bigioni "Lo sai che tanto finisce sempre così: si beve prima d'iniziare a mangiare." Ad un livello ancor più profondo della sua mente scorrevano alcune domande: "Ma dov'è la mia maschera? Possibile che l'abbia persa? Eppur mi sembrava

d'averla con me fino al giorno scorso!" Intanto al livello superiore la mente del signor Bigioni continuava ad elucubrare sull'errore appena commesso: "Se oggi invece di stare a poltrire fossi andato al mercato, mi sarei comprato sto benedetto panino con la porchetta, anzi due panini! Adesso sarei bello pasciuto e sta birra del cavolo non m'avrebbe dato noia". "Attenzione! Il nostro amico sta per perdere il controllo!" disse un certo Marco. "Anche tu scusa Marco, cosa pretendi? Arrivi con la tua vespa che fa tanto anni 60, dopo aver ato il pomeriggio ad oziare sul letto a leggere, mentre stancamente con una mano ti allunghi di poco verso il pacco di patatine. Ovvio che hai già lo stomaco pieno. Lui invece è venuto in bicicletta dal centro. E' sempre in bicicletta" disse Simona. Nel sentir quelle ultime parole il signor Bigioni ebbe come un sussulto: "Mi ha visto in bicicletta? Dove mi ha visto?". Simona intuendo le domande che scorrevano nella mente del suo interlocutore proseguì nel discorso:". Ti ho visto alcuni giorni fa proprio da queste parti, in direzione della erella". Il corpo del signor Bigioni s'irrigidì quando la sua mente, dopo un rapido calcolo, capì che doveva essere stato il giorno dell'appuntamento periodico. "Stavo per salutarti quando.." Simona non terminò il suo discorso perché Simona, che aveva appena fatto il proprio ingresso in sala, si era avvicinato a lei per salutarla. "Perché poi non mi ha salutato?" pensò il signor Bigioni. "Mi avrà sicuramente visto entrare nell'auto. Ecco perché. Devo pensare ad una scusa" Il signor Bigioni ripensò con orrore a quest'ultima frase: lui non aveva mai bisogno di cercare una scusa, per districarsi da situazioni complicate; gli venivano in automatico. Ma non quella volta. Mentre i pensieri si andavano annodando sempre più su stessi, Simona si girò nuovamente verso di lui per proseguire il discorso: "No, dicevo che stavo per salutarti quando Ilaria, ti ricordi quella mia amica che ti presentai l'ultima volta che ci siamo visti.."

"Si, si mi ricordo" rispose il signor Bigioni con fare sbrigativo cercando al contempo di celare agli astanti la sua sempre maggior ansia. Fece anche caso al fatto che in quel momento non si ricordava di quella Ilaria; segno evidente che la sua proverbiale lucidità era ormai latitante chissà dove. Accusata quest'ultima e condannata in contumacia per averlo abbandonato nel momento di maggior bisogno. In realtà quella era una situazione uguale a tante altre, ma in quel contesto il signor Bigioni rivelò la sua debole natura umana, così avvezza nel dare la colpa dei propri problemi al primo pensiero che capita in mente, invece di cercare in sé l'origine stessa del problema. La voce di Simona fece riaffiorare il signor Bigioni dalla voragine di pensieri nella quale era caduto. "..Insomma mi girai per salutare Ilaria che proveniva dalla piazza e quando mi rigirai tu eri già scomparso." "Eh..mi dispiace..si vede..che quel giorno ero pieno di pensieri e così non mi accorsi di te.." "Si vede, credi e te lo ricordi per certo?" "Ma si certo che me lo ricordo" con questa falsa affermazione il signor Bigioni cercò di ridurre lo sguardo interrogativo di Simona, mentre quest'ultima continuò a guardarlo come mai prima di allora nessuno aveva fatto. Era come se Simona stesse scoprendo, almeno questa fu la sensazione del signor Bigioni, in una volta sola i suoi più reconditi segreti. Lo stallo tra i due fu interrotto dalla voce roboante del cuoco che avvisava i presenti dell'arrivo in tavola della pastasciutta. Con qualche sparuto pezzetto della sua ormai dispersa lucidità, cercò di sedersi il più lontano da Simona senza per questo rendere evidente il tentativo di non rivolgerle più la parola per tutto il resto della serata. Fortunatamente la cena durò più del previsto e così quando fu il momento di alzarsi, il signor Bigioni non dovette cercare molte scuse per accomiatarsi dall'allegra combriccola. Richiamò l'attenzione di Simona con un saluto deciso dalla soglia della porta, ricambiato da un caloroso ancorché distante saluto di lei. Gli sconvolgimenti di quella sera, complice anche la lauta cena, avevano reso il signor Bigioni particolarmente sveglio. Di andarsene a letto non se ne parlava

proprio. Lo avrebbe quindi aspettato una lunga eggiata per le vie di Firenze. Stava liberando la bicicletta dal lucchetto, quando il nome Vanessa affiorò prepotentemente nella sua mente. Senza troppi indugi decise di andare a trovarla convinto com'era che a quell'ora stesse certamente lavorando nel locale dove l'aveva conosciuta. Mentre si stava dirigendo verso il locale e solo allora si accorse di quanto gli fosse veramente caro il ricordo di quel primo incontro con Vanessa. Prima di quella sera quando gli era capitato di pensare a quel primo incontro ed alla assoluta naturalezza con la quale aveva confidato a Vanessa il proprio segreto, era convinto che fosse la classica eccezione che conferma la regola: il totale controllo dei propri pensieri con la conseguente capacità di leggere quelli degli altri. Il fatto che questa seconda caratteristica in occasione del loro primo incontro non si fosse esplicata, non fu preso dal signor Bigioni come un evento rilevante se non come la dimostrazione delle sue stesse capacità. Nel sottovalutare quell'evento c'era anche, da parte del signor Bigioni, il gusto della sfida reso ancor più interessante dalla noia della quotidianità che lo stava assalendo giusto appunto in quello stesso periodo. Ma mentre si dirigeva al locale cominciò a percepire che forse c'era dell'altro; probabilmente il vero motivo di quella eccezione così singolare doveva risiedere in Vanessa più che in un suo momento di debolezza. In fin dei conti anche il fatto che proprio quella sera, già così eccezionale per la sua capacità di auto-controllo, sentisse il bisogno di vedere Vanessa, era una riprova della centralità di quest'ultima. Nella mente del signor Bigioni i pensieri si affastellavano sempre di più creando all'apparenza un nodo gordiano, il quale però si dipanò improvvisamente per lasciare spazio ad una unica idea quando giunse al locale. L'idea che d'improvviso riempì la sua mente sgombrandola al tempo stesso fu la convinzione, quasi la certezza matematica, dell'assoluta spontaneità di Vanessa. Lei era così come si mostrava. Non c'erano falsità o formalismi nel suo comportamento. Per questo il signor Bigioni si era sentito disarmato durante il loro primo ed unico incontro. Non percependo in lei alcuna maschera dietro i suoi sorrisi così spontanei, le capacità deduttive del signor Bigioni erano del

tutto inutili. Quest'ultimo non sapeva però che di li a poco la sua mente avrebbe intrapreso una sfida mai tentata prima di allora. Giunto al locale chiese di Vanessa ad una cameriera che riconobbe tra quelle presenti anche la sera del loro incontro. Anche la cameriera lo riconobbe e per questo gli raccontò subito dei problemi di visto che Vanessa doveva risolvere entro pochi giorni, pena l'espulsione coatta dall'Italia. Quella sera infatti Vanessa era rimasta a casa per poter riordinare con cura tutti i suoi documenti. Il signor Bigioni ringraziò la cameriera e si diresse stancamente verso casa. I pensieri cominciarono nuovamente a dipanarsi nella sua mente, insieme a diverse domande: “cos'era cambiato in quei giorni? Possibile che fosse successo qualcosa di così improvviso tale da stravolgere la situazione di una ragazza, che risiedeva per un po' in un paese straniero grazie ad un valido visto, in una quasi immigrata illegale? E lui cos'avrebbe potuto fare in quel contesto?” Il senso d'impotenza avvolse completamente la sua mente e lo accompagnò sino a casa. Se Vanessa si fosse trovata nell'obbligo di dover uscire dal Paese, loro due non avrebbero potuto terminare la chiaccherata. Il Bigioni era attratto dall'idea della sfida non voluta lanciatagli da Vanessa. Non essendosi mai prima di allora aperto con una persona come aveva fatto con quest'ultima, l'idea che lei potesse arrivare a conoscere tutti i suoi più intimi segreti era una sfida affascinante per il signor Bigioni, ma che al tempo stesso lo terrorizzava. L'attesa per quella sfida si contrapponeva alla malinconia per i tempi ati, durante i quali la sua persona non veniva scossa da quelle sensazioni, che adesso lo elettrizzavano ma al tempo stesso gli facevano percepire tutta l'incertezza del momento. Adesso non aveva la più pallida idea di quale piega avrebbe preso la sua vita. Per questo a tratti il Bigioni sentiva la mancanza della tranquilla vita di un tempo, dove tutto era organizzato nei minimi dettagli e quindi di sorprese, belle o brutte che fossero, non ce ne erano. Il Bigioni non faceva però in tempo ad assaporare il ricordo di quei giorni che subito lo assaliva un senso di costrizione verso quel tipo di vita che ormai, doveva ammetterlo, gli stava stretta. Sballottato da ricordi e sensazioni contrastanti il Bigioni si buttò a letto. Stravaccato sul letto senza alcuna possibilità di dormire cercò in tutti i modi di

capire cosa avrebbe potuto fare per Vanessa. In realtà glielo imponeva quella situazione di stallo ed incertezza, a causa della quale correva il rischio di bloccarsi completamente, senza più la possibilità di uscirne. Cominciò a pentirsi per non aver mai creato un catalogo cartaceo di tutte le informazioni raccolte in quegli anni. Magari adesso avrebbe già trovato la persona in grado di aiutarlo. Ma il Bigioni pur essendo un tipo metodico aveva delle isole di confusione e tra queste c'era quella che comprendeva il monte di informazioni raccolte per i suoi clienti. Quella isola era artificiale: da lui creata volutamente per mantenere un certo distacco dalle motivazioni che fino ad allora avevano spinto i suoi clienti a comprare le informazioni da lui raccolte. Quando il sonno cominciò ad assalirlo la sua mente piano piano si sgombrò di pensieri. Fu così che poco prima di addormentarsi definitivamente, il pensiero di una persona fu l'unico presente nella sua mente. Quando il Bigioni si svegliò, per la prima volta in vita sua a mattina inoltrata, si sentì carico di energie con la certezza che in qualche modo, anche se ancora non sapeva quale, avrebbe dovuto trovare il caveau dove il signor Pelomane teneva le informazioni da lui consegnategli. Nonostante l'orario sballato il Bigioni si produsse nelle sue solite attività mattiniere, anche se i diversi rumori provenienti dalla piazza non gli permisero di concentrarsi completamente sulle sue attività. Il risvolto positivo fu che la sua mente poté continuare l'elaborazione del piano ideato la notte. In realtà il piano era belle che pronto ed alquanto semplice basandosi su due punti principali: la relativa facilità nell'accedere alla villa del signor Pelomane con la scusa di una nuova lista; il fatto che dopo aver consegnato la tal lista nessuno avrebbe più fatto caso a lui e quindi si sarebbe potuto dirigere indisturbato verso il caveau. Certo non avrebbe potuto perdere troppo tempo perché comunque gli autisti lo avrebbero aspettato al cancello. Era pur vero che quando il signor Pelomane era in buona lo aveva , a volte, trattenuto a lungo. L'unica incognita nel piano era Paola. Il Bigioni non era mai stato in grado d'inquadrarla per bene. Si era sempre domandato cosa ci stesse a fare una persona dallo sguardo così lucido in mezzo a quella combriccola. Tranne il signor Pelomane tutti i suoi accoliti si contraddistinguevano per lo sguardo perso nel nulla, quasi vitreo, come alla ricerca del ricordo di un lontano ato nel quale forse avevano avuto altre speranze ed attese. In realtà anche l'assistente Claudio si contraddistingueva dagli altri per una flebile luce negli occhi, ma di lui il Bigioni conosceva il prezzo perché era stato quest'ultimo a trovarlo tempo addietro. Invece Paola non aveva niente a che

vedere col suo lavoro. Tutte queste considerazioni valevano per la prima parte del suo piano: ovvero quella finalizzata al raggiungimento del caveau. Nella seconda fase, dovendo fotografare tutti i documenti senza lasciare la minima traccia del proprio aggio, non avrebbe fatto in tempo per tornare alla macchina senza che i suoi autisti sospettassero qualcosa. Una volta fotografati i documenti non avrebbe quindi raggiunto la macchina, ma si sarebbe dileguato attraverso il bosco. Un tale comportamento agli occhi del signor Pelomane sarebbe apparso bizzarro e quindi completamente in linea con la figura del Bigioni. Quasi sicuramente in tutti quegli anni di rapporti professionali tra loro due, il signor Pelomane non aveva mai considerato il suo informatore come un possibile pericolo. Di conseguenza aveva definito tutti i comportamenti, strani e non facilmente comprensibili del Bigioni, come semplicemente bizzarri. Anche quella sua fuori uscita attraverso il bosco, altre non ve ne erano state prima, sarebbe stata quindi annoverata come bizzarra. Il giorno dopo il Bigioni si alzò al solito orario. Scese al bar a fare colazione e si intrattenne più del solito a chiacchiera col barista. Era in preda ad un misto di euforia e tensione. La prima gli derivava dall'idea di aver probabilmente trovato la via per uscire da quello stato di noia che gli faceva sentire stretta la sua vita abitudinaria. La tensione invece era dovuta alla strada ignota che aveva appena iniziato a percorrere, ma soprattutto per la prova che l'avrebbe atteso quel giorno. Dopo la colazione iniziò a girare per le bancherelle del mercato in attesa di poter fare la chiamata che avrebbe dato l'inizio al suo piano. Una parte della sua mente gli diceva di camminare piano per ingannare il tempo. Ma c'era anche un'altra parte che gli diceva invece di muoversi velocemente, come a mangiarsi il tempo per arrivare prima possibile all'orario fatidico. Improvvisamente il Bigioni ebbe un’idea: avrebbe potuto prendere la bicicletta per andare al mercato dell'Isolotto a mangiarsi il suo agognato panino con la porchetta. Finalmente era giunto il momento di fermare l'andirivieni di desideri altalenanti. Quello era il momento giusto: se fosse stato in grado di spezzare quell'anello, probabilmente avrebbe avuto anche le forze per intraprendere il proprio piano. Corse a casa dove prese la bicicletta, il foglio con la lista dei nomi e si diresse al mercato dell'Isolotto. Quando arrivò guardando l'orologio capì che aveva solo 10 minuti prima che gli fosse consentito di telefonare al signor Pelomane. Quest'ultimo gli aveva sempre detto che se lo voleva contattare avrebbe dovuto farlo dopo le 9:30 del mattino.

Adesso erano le 9:20 ed il Bigioni non voleva attendere troppo per telefonare, così da avere più tempo possibile per portare avanti il piano. Per questo motivo, una volta arrivato al mercato ed allucchettata in fretta e furia la bicicletta, il Bigioni si fiondò voracemente verso il banco della porchetta; ordinò un panino che ingurgitò davanti allo sguardo atterrito, quasi disgustato del commesso. Adesso gli rimenavano due minuti che decise di spendere per riprendersi dall'abbuffata. Se avesse chiamato proprio in quel momento, non sarebbe stato in grado di produrre alcun suono intellegibile. Fortunatamente per lui i due minuti scarsi gli furono sufficienti per riprendersi. Il Bigioni accompagnò con lo sguardo sull'orologio gli ultimi secondi primi dell'ora x. Si schiarì la voce e compose il numero. Dava libero e dopo quattro interminabili squilli rispose la segretaria del signor Pelomane. Il Bigioni fissò velocemente un appuntamento per quello stesso giorno. Nel breve volgere di un'ora una macchina arrivò a prelevarlo e una volta giunto alla villa si diresse con fare deciso verso le dependance. Forse un po' troppo deciso. Mentre percorreva il vialetto che portava al luogo d'incontro il Bigioni pensò che probabilmente stava lasciando trasparire un po' troppo l'agitazione che ormai dominava incontrastata nel suo corpo. “E se qualcuno si dovesse porre delle domande su questo mio comportamento così strano?” si domandò il Bigioni. Cercò di non porsi altre domande alle quali in altri momenti avrebbe molto probabilmente dato una risposta, ma non adesso. Giunto alla dependance bussò alla porta che subito gli fu aperta. “Buongiorno signor Bigioni” disse Paola “Buongiorno” “Caro signor Bigioni, cosa mi ha portato questa volta?” “Una lista correttiva” Il signor Pelomane guardò titubante il suo ospite, prima di riprendere a parlare: “Era un po' di tempo che non mi portava una lista correttiva” “Vedrà che questa lista le tornerà utile”

“Non ne dubito. Lo sarà come sempre. Ecco Paola col suo caffè” Il signor Bigioni fu tentato di non prendere il caffè ma poi desistette, riuscendo a controllare la tensione. Prese la tazzina e si concesse tutto il tempo necessario per gustarsi il caffè di Paola, complimentandosi con quest'ultima, terminato di berlo. “Bene. La saluto signor Pelomane” “A presto signor Bigioni” Uscito dalla dependance il Bigioni percorse il vialetto che conduceva all'uscita fino a quando ritenne che le persone all'interno della dependance non lo avrebbero più potuto vedere. Difficilmente poi il suo cliente con in mano una nuova lista, ancorché correttiva, si sarebbe curato delle azioni del suo informatore. Ma data la situazione era meglio non correre rischi. Nel punto del vialetto in cui si trovava, il Bigioni era anche fuori dalla vista dei suoi autisti che lo stavano attendendo all'ingresso. Con assoluta naturalezza, come se fosse lui il padrone di quel magnifico posto, il Bigioni uscì dal vialetto e si diresse verso il bosco che stava alla sua sinistra. Giunto al bosco ne rasentò il perimetro fino al punto di congiunzione con un'ala della villa. Percorse quell'ala e giunse alla parte posteriore della villa. Anni addietro, al termine di uno dei primi incontri col signor Pelomane, quest'ultimo fece da Cicerone della villa al suo prezioso fornitore di liste umane. Il Bigioni notò la differenza di altezza tra le finestre del lato anteriore e quello posteriore. In quest'ultimo lato le finestre erano più alte ed una persona di media altezza come lui avrebbe potuto camminare rasente al palazzo ando comunque sotto il bordo inferiore delle finestre. In questo modo il Bigioni giunse alla dependance. guardò Vide il signor Pelomane ed il suo assistente che si accingevano ad uscire ando dalla porta principale e non da quella secondaria, da dove di lì a pochi minuti sarebbe giunta Paola per riprendere il vassoio dei caffè. Quest'ultima avrebbe anche chiuso a chiave la porta principale. Questa mancanza di cura nei dettagli e lo stupido senso di superiorità da parte del signor Pelomane nel non curarsi di aspetti minimali come il chiudere a chiave una porta delegandoli completamente ai suoi domestici, tornarono utili al Bigioni per intrufolarsi nella dependance entrando dalla porta principale.

Una volta dentro si nascose in un angolo buio dietro l'armadio che stava accanto alla porta secondaria dalla quale dopo pochi minuti giunse Paola. Il Bigioni attese che quest'ultima fosse dalla parte opposta della dependance, intenta a rassettare il divano dove fino a pochi minuti prima era stato seduto l'assistente del signor Pelomane. Con la maggior delicatezza possibile il Bigioni sgattaiolò dall'ingresso secondario. Una volta dentro la villa ripercorse mentalmente ed un attimo dopo anche fisicamente, il percorso fatto anni prima col signor Pelomane, verso lo studio di quest'ultimo. Se anche avesse incontrato qualcuno dei domestici non se ne sarebbe dovuto preoccupare. Quest'ultimi così abituati ad eseguire pedissequamente gli ordini del loro padrone, avrebbero ritenuto la presenza di quell'estraneo come auto giustificante, in quanto nessuno poteva (questo almeno era quello che loro pensavano) entrare nella villa senza previa autorizzazione da parte del loro padrone. Una volta dentro lo studio di quest'ultimo il Bigioni sfruttò nuovamente lo stupido senso di superiorità del suo cliente. Il Bigioni si ricordava infatti che tutti i documenti da lui forniti al signor Pelomane stavano in un raccoglitore in bella mostra sulla scrivania. Il Bigioni estrasse con la mano sinistra la sua macchina fotografica ed iniziò a fotografare quanto più documenti possibili, scorrendoli con la mano destra. La mano destra e quella sinistra erano perfettamente sincronizzate: come la prima esponeva un documento subito dopo la sinistra scattava una foto. Quella perfezione nei movimenti indusse il Bigioni a lasciarsi andare ad alcune immagini divertenti nelle quali lui si rivedeva entrare di nascosto nelle case dei suoi clienti, per rubare i loro segreti. Quelle immagini subito svanirono a seguito del rumore prodotto da un oggetto caduto per terra. Il Bigioni guardò nel pavimento e vide una penna usb che evidentemente era nascosta tra i vari documenti. Mentre la teneva in mano rimase indeciso se guardarne subito il contenuto, o portarla via. Qualsiasi cosa avesse deciso di fare il Bigioni sapeva che quella sua presenza nell'ufficio del signor Pelomane, presto o tardi, sarebbe stata scoperta. L'inevitabile conseguenza sarebbe stata il termine della sua collaborazione col signor Pelomane. Ma questo già lo sapeva. Fino ad un attimo prima di prendere in mano quella penna usb, il Bigioni aveva contato sul fatto che il signor Pelomane non si sarebbe preoccupato oltremodo di quella intrusione nel suo ufficio. Nella testa del Bigioni si era subito consolidata l'idea che il suo cliente avrebbe certamente pensato che in fin dei conti quei documenti gli erano stati forniti dalla stessa persona che adesso aveva sbirciato documenti già in suo possesso. Nella sua incapacità di notare i dettagli il signor Pelomane non sarebbe andato

oltre nell'analisi di quella intrusione. Molto probabilmente invece il suo assistente avrebbe notato l'incoerenza e si sarebbe quindi posto delle domande, alle quali però non avrebbe dato seguito con delle opportune azioni senza il benestare del suo padrone. Il Bigioni aveva già messo in conto di aver ormai perso il signor Pelomane come cliente, ma la cosa non lo tubava più di tanto. Di potenti o presunti tali, bramosi di informazioni che il signor Bigioni era in grado di dare loro, ce ne erano in gran quantità. Il dubbio adesso era se il furto di quella penna usb non avrebbe potuto causare altre conseguenze più fastidiose. Il Bigioni fu preso da un inaspettato quanto cavalcante piacere nel vedere il signor Pelomane muoversi agonizzante tra gli scaffali del suo studio, nella vana ricerca di quell'oggetto contente chissà quali segreti. Si meravigliò nello scoprire il carico di odio nei confronti del suo ormai ex-cliente, che fino ad allora era rimasto celato sotto un velo di quella indifferenza che aveva sempre posto tra sé e gli affari dei suoi clienti. Anche per questo non aveva mai tenuto uno copia delle informazioni fornite: per mantenersi più distaccato possibile dalla vita dei suddetti. Il signor Bigioni preferì non porsi domande sul sentimento di odio ponendo fine al suo dubbio, con la scelta di portar via la penna usb. Chissà, pensò il signor Bigioni, forse la fortuna lo avrebbe aiutato e il signor Pelomane non si sarebbe troppo curato di quel furto. Terminò di fotografare gli ultimi documenti e poi uscì dallo studio. Percorse in senso inverso la strada che conduceva alla dependance. Aprì leggermente la porta d'ingresso per accertarsi che non vi fosse nessuno all'interno. Da qui, con la stessa cura, aprì la porta principale della dependance e non vedendo anima viva, si diresse verso l'ala posteriore della villa e poi s'inoltrò nel bosco. Quando ormai stava compiendo i primi i nel bosco sentì vari rumori provenire dalla villa. Probabilmente si erano accorti del suo mancato arrivo all'ingresso e qualcuno si doveva anche essere accorto dell'intrusione nell'ufficio del signor Pelomane. Adesso era necessario mettere più distanza tra sé ed i segugi. Cominciò ad affrettare il o ed in breve si ritrovò a correre. Si stupì di sé stesso per la velocità delle proprie gambe. Erano anni che non correva, perché non ve ne era mai stato il motivo. Anche quando andava in bicicletta non affrettava mai il o. Fino a quel

momento aveva eseguito con certo torpore tutte le ultime azioni da che si era intrufolato nella villa del signor Pelomane. Adesso invece, complice l'aria fresca del bosco che gli levigava il volto, un vaso di Pandora di svariati stati d'animo si scoperchiò all'interno del suo corpo. Spaventato ma al tempo stesso eccitato da quel rimescolarsi, al proprio interno, di sensazioni che lo accaloravano per poi fargli di colpo sentir freddo, il Bigioni riandò con la mente alla vista di sé stesso in ogni istante dall'ingresso furtivo nella villa. Assaporò ogni singolo stato d'animo provato da che si era introdotto di nascosto nella dependance, a quando aveva iniziato a fotografare i documenti finendo per trovare quella penna usb. Chissà quali segreti saranno celati in quell'oggetto. Mentre pensava a quelle cose, il velo di torpore era del tutto scomparso. Il signor Bigioni era così immerso in quei pensieri che non si accorse di essere giunto al termine del bosco. Continuò a correre ancora un po' fino a quando la sua attenzione fu catturata dalle luci di una macchina che stava percorrendo una strada sulla sua destra. Seguì quelle luci che gli fecero intuire l'avvicinarsi della sera e poi in lontananza vide un paesino. Lo raggiunse riprendendo a correre, ma non velocemente come prima. Il Bigioni ebbe modo di ripensare a quella profusione di sentimenti provata poc'anzi e per questo provò una certa vergogna. Capì che niente sarebbe stato più come prima. Non aveva idea di quale piega avrebbe preso la sua vita, ma sapeva che non avrebbe cercato di fare programmi a medio - lungo termine. Prima sarebbe rimasto in attesa che tutta quella storia arrivasse al termine. Giunto al paesino s'informò in un bar, l'unico del paese, se avano ancora dei pullman verso Firenze. La fortuna era dalla sua parte: avrebbe dovuto aspettare solo 15 minuti per prendere l'ultimo pullman che lo avrebbe riportato a casa. Mentre attendeva, seduto su una panchina che si affacciava sulla vallata verso Firenze, preferì non ripensare ai recenti eventi concentrandosi sul silenzio di quel paesino, mentre veniva avvolto dal buio della notte.

Il confine di Alessandro Maggio 2003 Le due del mattino. Alessandro alzò la testa dallo schermo del computer è ascoltò il silenzio che regnava in tutta la casa. Fece un lungo respiro per concentrarsi su quel silenzio così rilassante e poi riprese a lavorare in quanto il termine ultimo per la consegna del lavoro si faceva sempre più vicina. Raccogliendo le ultime residue energie Alessandro tirò a dritto fino alle cinque del mattino quando fu confidente di aver corretto tutti gli errori, così da poter preparare il materiale per l'installazione del software. Guardò l'orologio: si erano fatte le sei del mattino. Andare a letto per dormire un'ora sarebbe stato deleterio, molto meglio fare una eggiata. L'aria fresca del mattino unita ad una bella colazione gli avrebbero dato le forze per reggere tutta la mattina. Con i leggeri per non svegliare Eleonora e le bambine, si diresse verso la porta di casa. Una volta fuori senza pensarci troppo si diresse verso San Frediano. L'assordante rumore di un camioncino lo colse impreparato, ma il fastidio fu solo momentaneo. In fin dei conti anche quel rumore testimoniava del silenzio che a quell'ora si poteva ancora apprezzare. In un altro momento della giornata il rumore del camioncino si sarebbe perso in quello di fondo della città. Giunto al bivio con viale Aleardi, Alessandro decise d'imboccare questa strada. Di solito se a quell'ora era già sveglio, anche il suo stomaco lo era, ma quel giorno, forse a causa dello stress per il lavoro, lo stomaco stava ancora beatamente dormendo. Per questo, giunto in viale Petrarca, si diresse verso villa Bellosguardo. Il silenzio regnava incontrastato anche in quella zona di Firenze e quando arrivò in via di San sco di Paola, il suono del silenzio si mescolò coi sapori provenienti dalle case circostanti. Odore di cibi speziati che a quell'ora avrebbero fatto venire il mal di stomaco a molti ma non a lui. Era come entrare in un tunnel perché, appena giunti nella piazzetta, tutti gli odori sparivano immediatamente.

Proseguì fino a poco prima di piazza di Bellosguardo, per fermarsi ad ammirare la vista di Firenze che a quell'ora permetteva ancora di vedere ogni singolo palazzo della città senza perdersi il gusto del verde delle colline circostanti ed il rosso dei palazzi contrapposto al verde delle colline. Da lì ad un'ora, la cappa di smog avrebbe preso il sopravvento, finendo per scolorire il verde delle colline e non lasciando molto spazio all'immaginazione nel comporre i colori. Lo stomaco cominciò a dare i primi segni di risveglio e quindi Alessandro riprese la via del ritorno. Scese fino a piazza Tasso e di lì s'inoltro in centro fino alla meta: il forno del suo amico Mirko. Quando entrò nel forno quest'ultimo stava servendo un paio di vecchiette, ma ebbe il tempo per salutare il suo amico con uno sguardo complice. Questi si mise a sedere sul tavolino vicino al frigo da dove estrasse una bottiglia di acqua. In men che non si dica il tavolino fu riempito da crostatine alla marmellata, cornetti e schiacciata alle noci. Alessandro cominciò subito ma senza troppa foga prendendo il proprio tempo nel mangiare quelle leccornie. Sarà stato l'andirivieni di persone più intenso del solito o forse la capacità di Mirko nel riconoscere, dallo sguardo di Alessandro, la poca voglia di parlare tipica di chi lo aspetta una lunga ed intensa giornata; sta di fatto che le prime parole che i due amici si rivolsero furono alla fine, quando Mirko allungò ad Alessandro un sacchetto con la colazione per Eleonora e le bambine. Alessandro, nel pieno delle sue forze, bruciò la strada verso casa anche perché nel frattempo ormai la città si era svegliata e del silenzio di prima non vi era quasi più traccia. Rincasò giusto in tempo per preparare la colazione alle sue donne, le quali gradirono assai i cornetti ancora caldi di Mirko. Ma il momento dell'incontro coi suoi clienti stava ormai giungendo ed Alessandro non poteva procrastinare oltre la preparazione per quell'appuntamento. Raccolse tutto il materiale necessario per la demo del software, salutò Eleonora e poi accompagnò le figlie all'asilo. Come le bambine furono dentro l'asilo e lui si ritrovò solo in macchina, il pensiero della lunga giornata lo attanagliò prosciugandolo di quasi tutte le

energie acquisite grazie alla superba colazione. Senza altri indugi per poter scacciare quel pensiero prese la direzione del cliente dove arrivò dopo circa mezz'ora. Fu più difficile del solito affrontare gli inevitabili convenevoli davanti alla macchina del caffè su argomenti triti e ritriti: i figli che crescono, i progetti per il fine settimana, con l'inevitabile battuta maschilista condita di sorrisi generali a segnare l'inizio del serrate le righe, per l'inizio della riunione. Dopo circa tre ore Alessandro era già davanti alla macchina pronto per fare ritorno a casa. Aveva uno sguardo fisso ,inebetito e di chiaro stupore. "Possibile che mi abbiano fatto due domande e tra l'altro solo su aspetti secondari?" domandò a sé stesso Alessandro. "E poi tutti quegli elogi ed il parlare della fattura relativa alla prima tranche" proseguì pensando tra sé e sé. "La prossima settimana inizieranno i test sul software. Tanto qualcosa verrà pur fuori". arono le settimane e poi queste diventarono mesi, senza che Alessandro avesse ricevuto notizie sui test effettuati dal cliente sul software. Si domandò se non fosse il caso di fare una telefonata, ma poi pensò che è sempre bene “non svegliar can che dorme” e che in fin dei conti il bonifico della fattura era arrivato puntuale. Inondati di notizie su progetti di grandi dimensioni come quello al quale stava lavorando Alessandro, spesso si dimentica, o semplicemente non lo si sa, che il mondo dell'informatica è molto più piccolo di quanto si creda. Non per questo tutti si conoscono tra di loro, ma in un modo o nell'altro si viene prima o poi a contatto con le stesse persone. Può così capitare che un'azienda di grandi dimensioni della zona di Milano, contatti un'azienda più piccola come quella di Alessandro per esternalizzare del lavoro. Parte quindi una serie di contatti tra le due aziende, duranti i quali la più grande cerca di capire cosa fa quella più piccola: se questa sia disposta ad un vincolo di

lavoro esclusivo, vincolo che si concretizza in un contratto che costringe l'azienda più piccola a non avere mai contatti diretti col cliente dell'azienda più grande. Il punto è che fino al momento della firma del contratto, l'azienda più piccola non può sapere il nome del cliente finale, o perlomeno non può saperlo dall'azienda più grande. Un'atmosfera orwelliana aleggia, durante le riunioni, nei discorsi dei rappresentanti dell'azienda grande. A quella piccola viene chiesto di non menzionare alcunché a chicchessia. Nelle parole sembra celarsi una minaccia: "Guarda che se anche solo accenni a tua moglie che oggi hai avuto una riunione con noi, lo veniamo comunque a sapere. Ti potremmo allora gettare in un girone infernale fatto di querele e processi!". Alessandro era ormai avvezzo a quelle riunioni e non ci faceva quasi più caso. Spesso e volentieri chi gioca con la segretezza, in realtà più presunta che tale, pensa o semplicemente ritiene implicito poterla usare senza alcun rischio che questa si ritorca contro. In realtà molti la usano malamente in quanto non sanno e neanche potrebbero mai arrivare ad intuire, cosa facciano e soprattutto cosa stiano pensando i presunti vessati dalla loro imposizione del vincolo di segretezza. Può quindi capitare che per una, a prima vista coincidenza di eventi, una persona come Alessandro venga “segretamente” contattato in periodi di tempo leggermente sfalsati, da più aziende. Quando le commesse sono di grandi dimensioni i clienti si rivolgono alle principali aziende software, riponendo fiducia nel nome celebre di queste ultime. Capita poi che sempre queste ultime necessitino della collaborazione di altre aziende, spesso più piccole e dal nome meno blasonato, per poter portare a termine la commessa. Se mentre la fiducia dei clienti nel nome blasonato delle grandi aziende software non è sempre ben riposta, sono invece superiori le probabilità che queste ultime ripongano correttamente la propria fiducia sulla piccola azienda, in quanto successive ad un'analisi della preparazione tecnica di quest'ultima, senza inutili distrazioni dovute al blasone del nome. Sono i dettagli sui progetti realizzati dalle piccole aziende, senza averli

demandati ad altri, che certificano la fiducia su queste. Se a quanto sopra descritto si aggiunge il fatto che il mondo delle aziende informatiche, come detto in precedenza, è più piccolo di quanto possa sembrare, ecco che quella che a prima vista poteva sembrare una coincidenza, a conti fatti è invece il risultato dell'incastro di una serie di fatti incontestabili. Non deve quindi sorprendere se ad un certo punto la piccola azienda di Alessandro si trovò a lavorare su più commesse di grandi dimensioni, per conto di varie aziende dal nome blasonato. Entrato quindi in questo vulnus di commesse, Alessandro iniziò a partecipare alle riunioni preparatorie dei vari progetti. L'innata capacità di Alessandro nel domandarsi il perché ed il per come di tutte le questioni o problemi che gli si presentavano davanti era ben nota a tutte le persone che lo conoscevano, sia quelle che riempivano la sua vita privata che quella professionale. Altra sua caratteristica era quella di non prendersi mai troppo sul serio. Ciò gli aveva consentito negli anni di capire subito e bene quali fossero le questioni per le quali non valesse la pena di domandarsi il perché, lasciando che fosse l'istinto a guidarlo, con la conseguenza di poter concentrare le risorse mentali in questioni e problematiche ben più serie e degne di essere esaminate. Negli anni, come era prevedibile, Alessandro aveva sempre più preso consapevolezza di questa sua dote, senza per questo associarla ad un sensazione di presuntuosa superiorità rispetto ad altri, nell'analizzare un qualsivoglia problema. Può capitare però a persone dalle indubbie qualità umane come Alessandro, di abbassare la guardia alzando al contempo la considerazione di sé, oltre il limite segnato dall'asticella del buon senso. Ciò è più facile che accada quando la propria vita segue un percorso tranquillo ed all'apparenza sicuro verso un punto di arrivo già visibile e comunque abbastanza certo. Lo sguardo si concentra verso la meta che pare sempre più a portata di mano. L'ambiente che fa da contorno alla strada seguita appare fin troppo noto e per questo si smette di guardarlo con attenzione, assumendo questo la sola funzione di definire ancora meglio la strada intrapresa. Ma i contorni nascondono percorsi e strade seguiti da altre persone, le quali così facendo modificano i contorni della nostra strada. Avvolti ormai dalla corroborante certezza di essere sul percorso giusto, si finisce per oltreare il confine senza accorgersi che nel frattempo il contorno è completamente cambiato. Certi nella presunzione di essere sul percorso che fa

progredire, non ci si accorge di avere ormai perso del tutto l'interesse per altri punti di vista. In questo modo però sfuggono anche i dettagli e le apparenti incongruenze del percorso scelto, perché troppo piccole, ma non per questo insignificanti, al punto di non essere percepite se le si osserva da un'altra angolazione. Alessandro stava attraversando il proprio confine quando cominciò a ricevere le varie offerte di collaborazione e una volta che fu ormai immerso nello sviluppo dei vari progetti, il confine era solo vagamente percepibile. Tutto sembrava progredire normalmente seguendo un percorso a lui ben noto, solo ripetuto più volte tanti quanti erano i progetti che stava elaborando. Alcuni di questi progetti poi si assomigliavano tremendamente, tanto che Alessandro pensò di riusare le conoscenze acquisite su alcuni di essi, per portare avanti gli altri. In fin dei conti stava copiando sé stesso. L'unico aspetto che lo infastidiva, anche questo accomunava tutti i progetti, era l'obbligo di dover essere presente nelle sedi dei clienti. La motivazione era la segretezza dei progetti e la relativa delicatezza dei dati che componevano i suddetti progetti. Tutto ciò aveva un che di ridicolo: un eventuale male intenzionato, Alessandro certamente non lo era, non avrebbe certo avuto problemi a trafugare dati senza farsi beccare. Nonostante ciò Alessandro riuscì, con sua stessa sorpresa, ad abituarsi abbastanza velocemente alla nuova modalità di lavoro. Tra l'altro non ebbe particolari problemi col chiacchericcio gossipparo dei dipendenti. Altri consulenti esterni già presenti sul progetto da più tempo di Alessandro, lo avevano infatti avvisato del fastidioso brusio generato dai dipendenti dell'azienda, nell'open-space nel quale anche loro erano costretti a lavorare. Sulle prime Alessandro si preoccupò alquanto: uno come lui abituato a lavorare con poche altre persone in un ambiente molto silenzioso, avrebbe certamente avuto problemi ad adattarsi a quella situazione. Molto probabilmente fu lo stato d'inconsapevole beatitudine che contraddistingue alcuni traanti il confine, a far si che Alessandro non fosse colpito ed infastidito dallo sciocco brusio di molti, anche se non tutti, i dipendenti. Le auliche discussioni tra chi interiorizzava le indicibili sofferenze dei partecipanti al reality-show di turno e chi manifestava un cinico distacco da

questi ultimi, senza peraltro negare l'evidente veridicità dei suddetti, furono tali da non perturbare l'apparente tranquillità di Alessandro. Alle volte i pochi tra i dipendenti che provavano anche solo vagamente a mettere in dubbio la veridicità dei reality-show, venivano subito subissati da un coro di starnazzanti dimostrazioni senza né capo né coda, sulla evidente consistenza dei suddetti eventi televisivi. Quando poi gli stessi sparuti dipendenti provavano ad alzare lievemente il livello della discussione portandola sulla politica, ecco che si scatenava subito il putiferio. Quelli che fino a poco prima avevano contrapposto sensibilità e cinismo nei confronti dei reality-show, adesso si ritrovavano tutti uniti nel condannare senza appello alcuno l'operato dell'attuale Presidente del Consiglio. Quest'ultimo era chiaramente l'inizio e la fine di tutti i problemi. Anche quel tragico periodo di razionalizzazione nella vendita degli assorbenti era colpa del Presidente del Consiglio. Il tutto era certificato dalle vignette che giravano in quel periodo, raffiguranti il suddetto segretamente a capo della setta dei frati feticisti. La monotonia delle discussioni ebbe un cambio di disco a seguito della nave incagliatasi sulle coste di una isoletta del Tirreno, a causa della sciagurata gestione di chi ne era responsabile. Anche in questo caso il gruppo dei sensibili si fece subito carico del dramma di chi soffriva a causa di quella sciagura. I cinici invece si trasformarono subito in feroci boia pronti a condurre sul patibolo il colpevole. I sensibili se ne stavano ai piedi del patibolo da prima mostrando una pietà per quel disgraziato che però piano piano, man mano che la corda si stringeva sempre più sul collo del condannato, si andava trasformando in un insano gusto nel vedere pendolare l'esanime corpo del condannato. Quella volta, senza neanche accorgersene, Alessandro si trovò a domandarsi cosa fosse più incivile: se il comportamento dei responsabili di quell'incidente, o il sanguinario desiderio di vendetta del popolo. Perché era evidente che questi ultimi desiderassero distinguersi dal malcapitato condannato, per dimostrare a sé stessi ed agli altri di essere delle brave persone. Fu così che una mattina, quelle sue elucubrazioni sortirono l'effetto di riaccendere una lampadina che nella mente di Alessandro si era spenta da un po'

di tempo, senza che quest'ultimo se ne fosse accorto. E' con questi pensieri che Alessandro si diresse verso il suo ufficio, dove iniziò a lavorare ma con la mente ancora presa da altri pensieri. Accadde tutto in pochi secondi quando riuscì a vedere oltre le righe di codice del software che stava scrivendo. Vide il legame tra quel software e gli altri in fase di realizzazione ai quali aveva iniziato a lavorare. Insieme assumevano più facilmente le sembianze della parte centrale di un più grande software che avrebbe potuto essere utilizzato chiaramente come gestore di un database di grandi dimensioni. A quel punto fu facile per Alessandro fare l'accostamento col “Database unico”, del quale si faceva un gran parlare sui giornali. Quel giorno gli fu molto difficile portare avanti il lavoro stabilito in quanto la sua mente era troppo presa da quella nuova idea. Nonostante tutto, facendo più pause del solito per parlare con gli altri consulenti esterni, riuscì a terminare proficuamente la giornata lavorativa. Alessandro aveva sempre ispirato negli altri una fiducia tale da indurre le persone a confidarsi facilmente con lui. Fu così che fin da quei primi incontri davanti alla macchinetta del caffè, gli altri consulenti esterni cominciarono subito a esternare ad Alessandro le loro perplessità sul software che stavano scrivendo. Tra questi vi fu qualcuno che mostrò di avere le sue stesse idee. La cosa si ripeté anche nelle altre aziende dove Alessandro lavorava come consulente esterno. Con pazienza certosina raccolse le idee che ruotavano intorno alla possibilità che tutti quei software fossero parte di un software più grande. Alessandro ne era ormai convinto, ma tale convinzione non lo portò sulla strada sbagliata di non considerare le opinioni d chi non condivideva quella idea. Senza averne piena consapevolezza, Alessandro aveva così riato il confine allontanandosi dal quale si era in precedenza spinto verso il bivio unico che non ammette spirito critico. L'interesse per questo “lavoro” non ufficiale annullò del tutto quello per il lavoro ufficiale, ma non tanto da toglierli le energie per portare a casa le commesse ed i conseguenti ricavi economici.

Sfruttò tutti i momenti possibili, ivi comprese le eggiate mattutine, per elaborare la propria teoria sul “Database unico”. Alessandro riprese a comprare i giornali cartacei. Da diverso tempo ormai leggeva solo quelli on-line. Ma proprio in quei momenti della giornata nei quali portava avanti il lavoro non ufficiale, Alessandro ritrovò il piacere di leggere un buon vecchio giornale cartaceo. Anche le versioni on-line di questi ultimi forniscono notizie utili ed interessanti, ma fanno parte di un mondo che corre troppo velocemente, e lui in quel momento aveva bisogno di calma per poter andare alla ricerca di quei dettagli utili ad unire i pezzi sparsi della sua teoria. Alessandro accolse sempre con un lieve sorriso le fin troppo banali battute di spirito di amici e conoscenti, sull'apparente contraddizione tra la sua figura professionale d'informatico, che quindi vive di computer e di tutto ciò che gira intorno ad internet, e questa sua nuova “mania” un po' retrò di leggere i giornali cartacei. Quel lieve sorriso dava l'impressione ai presenti che Alessandro condividesse l'aspetto ironico delle loro battute, ma aveva anche l'effetto di disarmare chiunque si producesse in quelle banali battute. La sua autoironia bloccava chiunque nel tentativo di ricamare sulla apparente contraddizione. Fu leggendo i giornali che Alessandro poté individuare quei dettagli che rimandavano alle aziende open-source che stavano realizzando la versione antagonista del “Database unico”. Sulle prime pensò di contattare quelle aziende, per capire quale fosse il loro punto di vista, ma poi decise di attendere un po' per chiarirsi meglio le idee dal proprio lato. La ragione più profonda di quell'attesa, per quanto la sua personale indagine lo stesse alquanto divertendo, era che voleva riappropriarsi di certe abitudini dalle quali un po' troppo bruscamente si era allontanato. Le sue eggiate al mattino, il portare la colazione alla famiglia erano tutte attività che si erano un po' perse, ma soprattutto aveva perso quel senso di tranquillità che le accompagnava, così preso com'era stato dalle sue elucubrazioni mentali sul “Database unico”. Perfino l'accompagnare Eleonora alla distribuzione degli assorbenti, stante il perdurare della crisi dei frati feticisti, era ormai diventata una piacevole abitudine. Non che Eleonora avesse bisogno di essere accompagnata di qua e di là dal proprio compagno. Certamente la presenza di Alessandro, forse anche per il suo naturale fascino sulle donne, uno dei pochi compagni/fidanzati/mariti ad accompagnare la rispettiva, accendeva la curiosità delle presenti e di chiunque attraversasse frettolosamente la strada adiacente il centro di distribuzione degli

assorbenti. La naturale associazione tra gli assorbenti e la sfera intima delle donne, per i più si collegava naturalmente anche alla sfera sessuale di queste ultime e degli uomini. Ma tra questi erano pochi, certamente Eleonora ed Alessandro, quelli che ne vedevano anche tutto il mare d'ipocrisia che ancora ammanta la sfera sessuale delle persone. Il cambiamento nella gestione delle suddette abitudini stava creando in un angolo remoto della mente di Alessandro, il pensiero che la sua indagine presto o tardi si sarebbe legata con quel senso di noia, quasi fastidio, nei confronti del proprio lavoro e con la voglia di rendere più concrete certe sua ioni: in primis la cucina. Ma non era ancora pronto a prendere in seria considerazione questi remoti propositi. Fu così che i giorni arono, quando una mattina appena alzatosi Alessandro prese quei giornali che aveva conservato con cura, nei quali si parlava delle aziende “open-source” che stavano realizzando la versione antagonista del “Database unico”. Non vi era stato nei giorni precedenti un comportamento da parte di Alessandro, od un suo pensiero evidente che lasciasse intravedere il fatto che a breve lui avrebbe fatto il o successivo. Semplicemente certi pensieri, senza che ne avesse piena contezza, erano rimasti nella sua mente a lievitare fino a quando, giunti a maturazione, avevano bussato alla porta della parte cosciente dicendo: “Noi ci siamo. E' l'ora”. Alessandro segnò diligentemente su di un foglio di carta, tutti i nome delle aziende “open-source” e poi risalì quindi ai siti web delle suddette. Guardando nei siti web risalì ad alcuni nomi di persone che già conosceva. La sua attenzione fu catturata soprattutto dai nomi di alcuni che sapeva aver abbondato ormai da mesi, se non anni, il mondo dell'informatica. Il suo prossimo obiettivo sarebbe stato quello di contattare queste persone. Fu una impresa non semplice: alcuni si erano ritirati in campagna dove avevano aperto delle aziende agricole, altri erano partiti per l'estero. Nonostante le iniziali difficoltà, Alessandro riuscì ad allacciare un rapporto, diretto con alcuni virtuale con altri, al punto da ricevere valide opinioni utili alla sua indagine. La cosa più difficile fu mantenere la mente aperta per quanto tutte le informazioni che piano piano stava ricevendo, puntassero prepotentemente

verso una certa direzione. La mente di Alessandro, senza che quest'ultimo ne avesse piena consapevolezza, stava anche in realtà catalogando una serie di informazioni che non avevano strettamente a che fare con la sua indagine e con la vita presente, ma piuttosto con gli sviluppi futuri che la sua vita avrebbe potuto intraprendere. D'altronde non sfuggiva ai nuovi amici reali di Alessandro, l'interesse vivace di quest'ultimo per la loro attività di agricoltori. Probabilmente anche per questo motivo si erano aperti così facilmente con lui, condividendo le loro idee in merito ai progetti informatici ai quali avevano lavorato nelle loro vite precedenti. Erano ati alcuni giorni dall'ultima volta in cui Alessandro aveva ricevuto informazioni dai suoi amici virtuali, quando una sera, mentre stava rincasando, aprì la cassetta della posta e vi trovò una lettera. Erano ormai anni che non riceveva una lettera cartacea, tanto che sul momento non la riconobbe. Poi la aprì e vi trovò l’invito dei suoi amici virtuali a are una giornata da loro, mentre nel secondo foglio vi erano le precise indicazioni per arrivare alla fattoria. Alessandro rimase ancora alcuni istanti a rileggere quello scritto, soprattutto per la sorpresa nel rivedere un sistema di comunicazione ormai così desueto. Entrò in casa, salutò Eleonora e le bambine. "Guardo una cosa sul computer e torno subito" Eleonora lo guardò senza rispondere, ma con lo sguardo di chi aveva poca fiducia sul fatto che sarebbe tornato di lì a poco. Invece con grande sorpresa di quest'ultima, Alessandro si presentò a tavola dopo pochi minuti. Tanto gli era bastato per mandare una risposta virtuale all'invito cartaceo dei suoi amici. "Sabato andiamo a fare un giro in campagna?" "E dove andiamo?" domandò Eleonora "Ma io voglio dormire il sabato mattina!” disse una delle figlie.

"E poi non dovevamo andare a trovare lo zio?" ribadì l'altra. "E’ la prossima settimana" "E non possiamo andarci questa?" "Ormai abbiamo fissato per la prossima" "Quindi! Dove andiamo?" "Sopra Grassina. Ci hanno invitato quei colleghi che ho conosciuto.." "I tuoi amichetti virtuali!" disse Eleonora interrompendo Alessandro. "Non vi preoccupate" disse Eleonora rivolta alle bambine "il babbo avrà già pensato ad un orario di partenza che vi permetta di dormire" Alessandro sentì addosso a sé gli sguardi interrogativi delle donne della sua vita. "Le dieci?" disse Alessandro un po’ esitante guardando le figlie. "Le dieci sveglia?" risposero le bambine. "Dieci e trenta partenza" ribatté Alessandro "Andata!" La mattina dopo, come dai piani, alle undici del mattino la famiglia stava già attraversando la città. Superato il famoso vialone alberato di tigli che immette nel paese di Grassina, abbandonarono la Chiantigiana e s’inoltrarono lungo una strada di campagna, la quale man a mano diventava sempre più dissestata. Il paesaggio si fece sempre più brullo e selvaggio. Niente aveva a che vedere coi dolci lineamenti delle colline del Chianti. La strada proseguiva con una leggera pendenza verso il basso, non dando quindi modo ad Alessandro di capire dove quella strada, sempre più sconnessa, li stesse conducendo. Alessandro mantenne la concentrazione di modo che le sue figlie, vedendolo concentrato alla guida, non si azzardassero a fargli domande che lo avrebbero potuto mettere nella condizione di dover dare una risposta falsa, per nascondere quel senso di agitazione che pian piano gli stava salendo.

Cominciò a dubitare della buona fede dei suoi amici virtuali e il dubbio che fosse stato tutto una balla cominciò a gironzolargli nella testa. In fin dei conti di gente strana ce n’è a bizzeffe e tu che sei una persona normale, non ti puoi neanche immaginare quali assurde idee possano venire in mente a certe persone. Questo era più o meno quello a cui stava pensando Alessandro in quei momenti. Il vero problema risiedeva però altrove: in un altro momento della sua vita se si fosse trovato in quella esatta situazione non avrebbe permesso alla preoccupazione d'insinuarsi nella sua mente. Quasi certamente avrebbe pensato che se anche i suoi amici virtuali si fossero rivelati come una autentica bufala, non sarebbe stato poi così un grande problema in quanto ormai erano in mezzo alla campagna pronti per fare una gita fuori porta. Il problema è che Alessandro in quel periodo non aveva più la sua proverbiale tranquillità, così nota a tutte le persone che lo conoscevano. In quel momento era in cerca della risposta a quel tarlo che ormai lo stava assillando da un po’ di tempo. Quel tarlo gli aveva roso buona parte della sua tranquillità. Cominciò a chiedersi cosa diavolo lo avesse spinto ad uscire dal sicuro selciato della sua vita. Non vi erano parti che non andassero bene o che gli stessero creando particolari problemi. Allora perché era andato a complicarsi inutilmente l'esistenza ponendosi tutte quelle domande sulle stranezze del progetto al quale stava indirettamente lavorando. Un senso di sconforto stava ormai per prendere il predominio all’interno della sua mente. Eleonora riconobbe nelle piccole variazioni del volto del suo compagno, l’agitazione che stava salendo. Non potendo però conoscerne l’esatta natura preferì non dire qualcosa che sarebbe anche potuta andare nella direzione opposta rispetto a quella da lei auspicata: ovvero di tranquillizzare Alessandro. Un certo risentimento subentrò nella mente di Eleonora. In fin dei conti Alessandro le aveva raccontato ben poco in merito alle domande che si era fatto in quell’ultimo periodo. Eleonora pensò che se il suo compagno avesse condiviso con lei i propri pensieri, adesso sarebbero stati in due ad affrontare quel senso di ansia dovuta all’incertezza del momento. Ma evidentemente non era il momento delle recriminazioni. In fin dei conti conosceva bene il suo “pollo” e sarebbe stato certamente più divertente per lei e significativo per lui prenderlo in giro davanti ai suoi amici quando tutta la situazione si fosse risolta. Eleonora si limitò ad appoggiare la sua mano sinistra sul braccio destro di Alessandro, il quale per contro la guardò ricevendo un incoraggiamento dallo

sguardo di lei. Proseguirono per altri dieci minuti lungo quella strada senza fine, quando finalmente le cime di alcuni alberi alterarono i lineamenti dell'orizzonte. Il paesaggio cambiò improvvisamente riprendendo i classici lineamenti del Chianti. Davanti a loro adesso si presentò un piccolo bosco con al centro una fessura che sembrava essere l'inizio di un vialetto alberato. Giunti al termine del vialetto videro una persona che li stava attendendo davanti a quello che avrebbe potuto essere l'ingresso della fattoria. Non essendoci però né un cancello, né la fine di qualche muro delimitatore, la presenza dell'ingresso era percepita solo tramite il aggio dal bosco allo spiazzo antistante la fattoria. Alessandro fermò la macchina nello spiazzo, uscì dalla macchina insieme ad Eleonora e le bambine per essere subito accolto calorosamente dalla persona che li stava attendendo all'ingresso. "Alessandro! Ben arrivati!" "Grazie Marco." "Ciao Eleonora. Venite un attimo in casa c'è una torta al cioccolato che aspetta solo di essere mangiata" Marco disse queste ultime parole volgendo il proprio sguardo verso le bambine le quali ricambiarono con un grande sorriso. Ad attenderli dentro casa c'erano anche le altre persone che gestivano la fattoria. Dopo le presentazioni accompagnate da un buon numero di fette di torta al cioccolato, Eleonora e le bambine andarono a fare un giro per la fattoria, mentre Marco e Alessandro uscirono di casa prendendo un lungo vialetto alberato che portava verso un'altra struttura. "Allora Alessandro che idea ti sei fatto di noi?" "Non ho una idea precisa e siccome ho sperato che prima o poi ci saremmo incontrati realmente ho preferito non sforzarmi di arrivare ad una opinione ben precisa." "Secondo me però questa cosa della fattoria, da un lato la trovi interessante, ma come la provi ad accostare a degli informatici, l'opinione muta verso il sospetto. Mi sbaglio?"

"No, non hai tutti i torti" "Beh, allora risponderò subito al tuo interrogativo più pressante: intanto la premessa doverosa è che noi non siamo un gruppo che ha fatto lo stesso percorso fin dall'inizio. Ci siamo trovati strada facendo. Ciò che ci ha fatto incontrare è lo stesso motivo per il quale tu adesso sei qui." "Sembri già sapere tutto" "E' che di chiaccherate di questo tipo ne ho già fatte in ato" "Allora sono tutto orecchie" "Vedi Alessandro le anomalie che hai notato sul progetto “Database unico” non sono una novità. Già in ato si sono verificate strane commistioni tra i due mondi del software proprietario e di quello libero" "Chi mi lascia perplesso è il secondo, però lavorando io nel primo ho finora avuto il dubbio che il mio giudizio fosse di parte" "Probabilmente in parte lo è stato, ma non ti sei sbagliato di molto. Il fatto è che una parte del mondo open source si è lasciata accecare da un sentimento di superiorità da un punto di vista etico, rispetto al mondo del software proprietario finendo per giustificare qualsiasi propria azione, in quanto nata dalla parte del bene e quindi per sua stessa definizione corretta" "Così si sono lasciati corrompere da altri che hanno sempre mirato solo e soltanto al profitto" "Esatto. Se questi invece di lasciarsi dominare da sentimenti di superiorità avessero guardato tutta la situazione anche da un punto di vista più razionale, molto probabilmente non si sarebbero fatti poi corrompere. Anche perché poi molti di questi da corrotti sono diventati corruttori credendo che qualsiasi profitto derivante dal mondo open source sia comunque lecito ed eticamente superiore rispetto all'altro mondo." "Ma non c'è stato nessuno che si è ricreduto?" "Certamente, come c'è sempre stato qualcuno che fin dall'inizio non si è fatto accecare da sentimenti di superiorità"

"Ma sono pochi?" "No, non direi affatto. Abbiamo solo una voce più flebile anche perché, a differenza dell'altra parte, non siamo interessati ad avere capi carismatici, presunti guru o chi per loro, che ci indichino la strada da seguire. Ognuno segue la strada che sente più affine" "E quindi?" "Vedi Alessandro la parte del mondo open source più pubblicizzata è quell'altra, ma è anche la meno nota perché cela la propria vera natura" "E le responsabilità del resto del mondo, dei non addetti a lavori?" "In parte ci sono. In fin dei conti noi “addetti ai lavori” non siamo diversi dagli altri. E' naturale tendere ad individuare un nemico, perché questo ci facilita nel definire ciò che siamo. E' un meccanismo tranquillizzante in quanto ci permette di catalogare le nostre azioni senza la necessità di analizzarle in profondità; semplicemente si giustificano in quanto volte a sconfiggere il nostro nemico." "Quindi mi stai dicendo che questa parte del mondo open source si nasconde dietro al mezzo, in questo caso il software libero, per giustificare le proprie azioni?" "Esatto. Siccome loro sono i paladini del software libero per tutti, contro i cattivoni che si vogliono arricchire col software proprietario, allora qualsiasi loro comportamento è giustificato dal brandire lo strumento giusto" Rimasero alcuni istanti in silenzio, poi Marco riprese a parlare: "La riprova di questo fatto sta nelle loro risposte che ricevi quando fai presente la scarsa qualità che alcuni software di tipo open source impiegati, ad esempio, nel settore della pubblica amministrazione. Poi aggiungici che la corruzione nei meccanismi di appalto è la stessa che c'era quando si utilizzavano i software proprietari" "Che risposta danno?" "La solita risposta: non controbattono punto per punto alle critiche, ma si limitano a dire che sono accuse infondate volte a colpire il mondo del software

libero. Dicono che sono i soliti giornalisti di parte (la quasi totalità per loro) a portare una campagna mediatica contro di loro. E' singolare che in un Paese come l'Italia dove si leggono pochissimo i giornali, questi vengano poi sempre caricati delle responsabilità di altri" "Perché siete venuti qui?" "Non fu una cosa immediata. Prima ci fu un periodo nel quale, in maniera a dire il vero alquanto disordinata, provammo da più parti a cercare una via per cambiare dal di dentro la strada che stava prendendo il mondo del software libero. Vedendo che non riuscivamo a scalfire il muro che questi esaltati stavano erigendo contro tutti coloro che non la pensano esattamente come loro, valutammo che l'unica soluzione fosse quella di allontanarci il più possibile, pur continuando il nostro lavoro di informatici. "Vi siete tutti rifugiati in delle fattorie?" disse Alessandro sorridendo "Ovviamente no. Qui alcuni fanno solo vita di campagna portando avanti la fattoria. Altri, come me, vanno avanti col lavoro d'informatici contribuendo al sostentamento della fattoria. "Ne trovate di clienti?" "Si dai, non ci possiamo lamentare. L'altra parte non ci mette più di tanto i bastoni tra le ruote. I problemi casomai nascono quando siamo noi a dare loro noia" "In che senso?" "Una parte di noi cerca di dimostrare la scarsa qualità di alcuni di quei software dei quali ti parlavo. Ovviamente è un compito difficile perché dobbiamo fornire prove dettagliate ed inattaccabili. Però alle volte ci vengono in aiuto anche persone del mondo del software proprietario, accomunati con noi dall'idea che sia necessaria la professionalità prima di tutto nella progettazione dei software, specie in casi come quelli della pubblica amministrazione." "La vedo dura" "Anch'io. Ma vieni entriamo nei nostri uffici"

Dopo il giro degli uffici, Alessandro e Marco si ricongiunsero con Eleonora e le bambine per finire il giro della fattoria, al quale fece seguito un pranzo luculliano. Nei giorni seguenti Alessandro ebbe modo di riflettere sulle parole di Marco. Fortunatamente i progetti ai quali stava lavorando erano ormai giunti ad una fase di routine che quindi non richiedeva grossi sforzi di meningi. Alessandro ebbe così il tempo per capire cosa non l'avesse convinto delle parole di Marco, perché qualcosa c'era che non gli tornava, l'aveva capito fin dall'inizio, già mentre stavano parlando. Al tempo stesso Marco non aveva tentato di convincerlo di alcunché. Si era limitato a mostrargli lo svolgersi della sua vita di tutti i giorni, senza per questo pretendere che Alessandro tentasse di capirlo. Difatti al termine della giornata si erano salutati senza alcuna promessa di rivedersi. Alessandro aveva tutti i presupposti per poter quindi riflettere sul da farsi, perché era fin troppo chiaro che quel senso di disagio, quell'ansia strisciante erano il sintomo di qualcosa di ben più corposo. Di stimoli dal suo lavoro ormai ne riceveva ben pochi e la sicurezza economica che con fatica si era costruito negli anni, non era più sufficiente da sola a giustificare il suo lavoro. Ma adesso quella palude di disinteresse cominciava ad essere troppo vasta e la direzione presa non sembrava mostrarne i confini. Fu così che una mattina, dopo aver fatto il suo solito giro dalle parti di Bellosguardo, mentre stava uscendo dal panificio di Mirko, quest'ultimo rinnovò ad Alessandro la proposta fattagli altre volte in ato: "Non hai ancora risposto sulla mia proposta di metterti in società con me" Alessandro invece di rispondere col solito tono come se le parole del suo amico fossero solo una battuta, quella volta si fermò sul ciglio della porta e poi girandosi verso quest'ultimo gli disse che ci avrebbe pensato seriamente e uscì definitivamente. Mentre tornava a casa Alessandro pensò che ormai era giunto di il momento di condividere i suoi dubbi con Eleonora.

La scelta di Alessandro Novembre 2003 La notte era ormai calata da un po' e Alessandro se ne stava ancora sveglio a letto, ma questa volta non era preoccupato per l’insonnia. Il lungo confronto avuto durante la giornata con Eleonora era stato decisamente proficuo. Quest'ultima aveva fatto notare al compagno che la sua situazione lavorativa in quel momento era ideale per lasciare quella vita e cambiare lavoro. Quei progetti che erano stati la causa di tutte le sue recenti elucubrazioni avevano raggiunto la fase finale. Per quei lavori Alessandro era già stato pagato e se voleva sincerarsi della bontà delle sue teorie, non doveva far altro che non farsi più sentire con i suoi committenti. Se la sua teoria in base alla quale i progetti ai quali aveva partecipato erano solo delle scatole vuote per nascondere il vuoto derivante dal fallimento del progetto “Database unico”, i clienti non lo avrebbero più chiamato, perché ormai quelle scatole erano già state realizzate. Alessandro aveva anche altri progetti in ballo con dei suoi clienti storici, ma li avrebbe potuti are senza troppi problemi ad altre aziende di sua conoscenza e delle quali si fidava. Certo ci sarebbero state un po' di noie burocratiche per la chiusura dell'azienda, ma le avrebbe potute affrontare con tranquillità avendo già un altro lavoro. Il lavoro col suo amico Mirko gli sarebbe stato poi utile, oltre che per chiudere con la vita ata, per imparare certi trucchi del mestiere che in seguito avrebbe messo a frutto, una volta maturati i tempi, per aprire la propria attività. Fu con uno spirito d'animo rilassato che la mattina seguente, nonostante le poche ore di sonno, Alessandro s'incamminò verso il negozio di Mirko per dare una svolta alla propria vita.

L'incontro chiarificatore Febbraio 2009 Randa ed il commissario avevano deciso di rimanere in contatto tramite mail. arono alcuni giorni prima che Randa ricontattasse il commissario. Furono giorni di lunghi pensieri durante i quali nella sua mente si riaprì il discorso mai del tutto concluso, su quali verità del proprio lavoro avrebbe potuto condividere con i propri amici, ma l'amara conclusione fu che il momento non era ancora giunto e così il tarlo continuò a girare nella sua mente. Andando a parlare col commissario aveva creduto di poter trovare un po’ di conforto, ma il risultato era stato l'effetto contrario: il ributtarsi pienamente nei pensieri sulla correttezza delle sue scelte degli ultimi anni. Randa riandò all'arruolamento nel servizio segreto ed a quando aveva iniziato a mentire ad i suoi amici. La mente sprofondava in una buca di malinconia dalla quale piano piano risaliva, dandosi delle spiegazioni per tutti quei i che l'avevano spinta sempre più in profondità in quel nascondiglio fatto di bugie e verità nascoste ai suoi cari. Quando poi stava per riuscire dal nascondiglio, certa di aver trovato una giustificazione seppur parziale alle scelte di quegli anni, ecco che, voltandosi indietro sopraffatta dal dubbio e dal senso di colpa per non aver considerato qualcuno dei piccoli etti che l'avevano fatta sprofondare nel nascondiglio, la ricaduta verso quest'ultimo diventava a quel punto inevitabile. La successiva risalita non sarebbe stata altro che il momento che avrebbe preceduto il suo voltarsi indietro con conseguente ricaduta. Randa sapeva che se fosse rimasta li a pensare difficilmente sarebbe potuto uscire da quel girone. Si alzò quindi dal letto e senza troppo pensarci agguantò il cellulare per chiamare il commissario, ben sapendo cosa avrebbe chiesto a quest'ultimo. Randa e Nastassya fissarono per la mattina successiva nella solita pasticceria. Quando Nastassya entrò nella pasticceria vide Randa seduta al tavolo della volta precedente e ne riconobbe lo sguardo, la sua postura e quei piccoli fremiti di ogni singola parte del corpo: erano le tipiche caratteristiche di chi aveva deciso

di andare dal commissario per vuotare il sacco. Per questo Nastassya assunse il tipico aspetto conciliante che tranquillizzava l'animo del confessante. Non appena il cameriere ebbe servito il loro tavolo, Randa cominciò subito a parlare: "Mettiti comoda e mangia con calma la tua colazione tanto oggi avrò diverse cose da dirti" Nastassya eseguì gli ordini di Randa, si mise a sedere afferrando subito la prima delle sfoglie alla crema che aveva sul piatto. Randa respirò profondamente e poi iniziò a parlare: "Quando iniziai questa indagine ebbi subito la sensazione che il percorso seguito dalle altre persone coinvolte nella indagine fosse sbagliato. La via principale seguita, cioè quella di stanare i frate feticisti cercandoli in ogni angolo del mondo, non mi aveva mai convinta. All'inizio non sapevo il perché e mi ci è voluto anche un po’ di tempo per inquadrare le idee." Nastassya vedeva chiaramente che Randa era un fiume in piena che avrebbe voluto esprimere più concetti contemporaneamente, per questo pensò d'instradarla verso una certa direzione lasciando che poi gli altri concetti venissero in seguito. "E come sei riuscita a capire che avresti dovuto seguire un'altra strada?" "Quando mi trovo in situazioni analoghe nelle quali non so che strada prendere, spesso mi fermo per alcuni giorni dedicandomi ai miei svaghi preferiti.." "E sarebbero?" "Vuoi per caso diventare mia amica?" disse Randa con sorriso malizioso "Magari in futuro perché no" lo sguardo severo e concentrato di Nastassya tradiva una indifferenza verso quella opportunità di una nuova amicizia, che andava esattamente nella direzione opposta del senso delle sue stesse parole. Il commissario in quel momento voleva che Randa si focalizzasse sull'indagine senza perdersi in pensieri laterali. Il punto è che erano stati proprio quei pensieri laterali a consentire a Randa di capire quale strada percorrere per le indagini.

Randa dal canto suo apparve solo minimamente turbata dal tono di voce di Nastassya e proseguì col racconto. "Ad un certo punto mentre mi rilassavo sul letto dopo essere andata a correre.." Randa indugiò un attimo su quelle ultime parole, nella vana speranza che Nastassya le chiedesse dove lei andava solitamente a correre. Ma così non fu. "..la mia mente mise insieme la legge speciale sul razionamento degli assorbenti, con gli scandali sessuali scoppiati a Firenze in quegli stessi giorni.." Questa volta Randa indugiò sulle ultime sue parole perché colse lo smarrimento negli occhi di Nastassya nel sentir parlare degli scandali sessuali. Pensò che anche Nastassya, pur essendo nota come un commissario che dedicava molta cura nell'analisi delle informazioni, andando piano piano indietro nel tempo, anche lei fosse stata vittima della vorticosa velocità con quale le informazioni venivano comunicate dai mezzi di comunicazione e come con altrettanta solerzia le suddette informazioni venissero presto dimenticate dalle persone. Mentre Randa ragguagliava Nastassya sugli scandali sessuali di alcuni mesi prima, dalle parti di Sant'Ambrogio il signor Bigioni, già alzatosi alcune ore prima, stava riando le carte che aveva preso dalla villa del signor Pelomane. Ormai le conosceva a memoria. Sapeva che per lui era insolita quella ansia di non aver colto alcuni dettagli presenti nei documenti. In altri momenti gli sarebbe bastato leggere una volta, al massimo due, quei fogli per catturare tutte le informazioni utili. Ma ormai dopo la serata al circolo il Bigioni era diverso. L'eccitazione per quella sua avventura furtiva nella villa, si era portata con sé anche un'ansia strisciante che non gli permetteva di essere del tutto lucido. Fino a quel momento eccitazione ed ansia erano state sensazioni a lui del tutto ignote. Il Bigioni sperava che a breve, una volta affrontata una certa situazione, almeno l'ansia se ne sarebbe andata. Intanto nella pasticceria Nastassya stava riacquistando la memoria necessaria per riprendere a seguir il filo del discorso di Randa. "..semplicemente ho pensato che ci potesse essere una connessione tra quegli scandali sessuali ed i frati feticisti." Disse randa

Nastassya cercò di nascondere in tutti i modi la propria incredulità verso quelle parole. Randa riconobbe comunque l'incredulità negli occhi del commissario. "Aspetta a giungere a delle conclusioni. Sul momento non seppi che fare, poi alcuni giorni dopo venni a sapere di un carico di droga che si era perso. Si vede che la mia mente unì anche questo fatto agli altri due, portandomi all'idea di chiedere consiglio ad un mio vecchio amico ingegnere chimico. Questi mi disse che esiste un tipo di droga che una volta venuta a contatto con la pelle, specie se quella delle parti intime, può entrare in circolo creando disinibizione, ma soprattutto indifferenza verso le normali regole di comportamento sociale." Randa si fermò alcuni istanti su quelle ultime parole nella speranza che Nastassya iniziasse anche lei ad unire i fatti e così fu. "Mi vuoi forse dire che quelle droga si trovava negli assorbenti?" "Esatto" "Quindi è questo il piano segreto dei fantomatici frati feticisti?" "No, ma lasciami proseguire. ai un po’ di tempo a fare ricerche su ricerche usando esclusivamente internet. Dopo un po’ mi accorsi che non era possibile raggiungere un livello di dettaglio nella descrizione dei fatti, che fosse adeguato alle mie ricerche; ma soprattutto diventava sempre più difficile trovare il nesso temporale tra tutti i fatti. Allora inizia a leggere vecchi giornali. avo tutte le mattine alla Biblioteca Marucelliana ed un fatto subito ottenne la mia attenzione: immediatamente prima dello scoppio della crisi dei frati feticisti, giornali e normali cittadini si erano concentrati sullo scandalo delle società informatiche coinvolte nel grande appalto dell'alta velocità, sul quale sicuramente tu sarai informata" "Almeno di questo ho memoria" "Bene. Quello che forse non sai è che le indagini sono concluse.." Randa guardò Nastassya ben sapendo quale sarebbe stata la sua reazione: stupore e spaesamento. Randa riprese a parlare prima che Nastassya potesse commentare. "Non ti preoccupare, la tua reazione è normale. Fu la mia stessa reazione quando

lessi l'articolo.." Prima che Randa potesse proseguire nel suo discorso, Nastassya la interruppe.. "Quindi mi stai dicendo che ci sono degli articoli sulla fine della indagine. E' giusto?" "Si ci sono, ma difficilmente li troverai su internet." "E' censurato?" "Non nel senso che intendi tu. In realtà sicuramente ci sono su internet articoli in merito a quelle indagini. Forse sono più difficili da trovare perché immersi in un calderone con infinte altre notizie. Ma quasi certamente un esperto navigatore sarebbe in grado di trovare quegli articoli" "Si, ma quanti sono gli esperti navigatori?" "Appunto. Ma è proprio necessario essere esperti navigatori di internet per trovare articoli e/o notizie su fatti più vecchi di qualche giorno?" "Ammesso sia vero quello che tu dici, credi ci sia un progetto ben specifico dietro, che mira a controllare le notizie?" "Non credo, almeno secondo l'accezione desueta della consorteria che s'incontra in un luogo segreto per tramare ai danni di qualcuno" "E quindi?" "E quindi ammesso e non concesso che ci sia una volontà ben precisa, secondo me sarebbe più importante chiedersi quanto le eventuali vittime, cioè noi cittadini comuni, siamo realmente vittime di un inganno" "Credi che noi tutti ci siamo lasciati volutamente ingannare?" "Io penso proprio di si, però alla fine almeno per il momento non mi soffermerei troppo sulle cause. Sono le coincidenze ad aver catturato la mia attenzione. Quando ad un certo punto mi sono arenata anche su questa strada, mi è venuto di provare a rivedere tutto ciò che riguardava la prima apparizione dei frati feticisti. Questi se t'interessano sono tutti gli articoli che ho trovato"

Randa appoggiò sul tavolo davanti a Nastassya una pila di fogli contenenti tutti gli articoli che aveva trovato sui frati feticisti. "Qui invece troverai tutti gli articoli che ho individuato sul progetto “Database unico”" Randa posò davanti a Nastassya un'altra pila di fogli. "Tra le altre cose troverai anche tutte le informazioni che avresti voluto chiedere al mio amico Alessandro. In questo modo non dovrai disturbarlo. Nastassya guardò Randa con un sorriso che mal celava un certo disappunto. "Facciamo che mi fido di te e mi fai un riassunto su quello che tu pensi avrei chiesto al tuo amico" "E' molto semplice. Alessandro per diverso tempo ha lavorato nell'ambito informatico con la sua azienda. Era un'azienda di piccole dimensioni e quindi gli capitava spesso di lavorare in subappalto. Ad un certo punto si trovò coinvolto in più progetti apparentemente non connessi tra di loro. Ben presto Alessandro si accorse di evidenti e macroscopici errori tecnici sparsi in po’ in tutti i progetti. Sulle prime non si meravigliò più di tanto, ma quando provò a capire quali fossero gli interessi economici che stavano dietro a quei progetti, si accorse che tutti i progetti ai quali stava lavorando erano in realtà collegati ad unico progetto di grandi dimensioni: il Database unico. Il suo stupore iniziò quando man mano che si addentrava sempre di più nei dettagli, sia tecnici, che amministrativi, si accorse che in realtà il progetto “Database unico” era solo una grande scatola quasi vuota. Se ti ricordi il progetto Database unico nacque nel momento di maggior tensione nel conflitto tra le concezioni di software e della sua fruizione.." Randa s'interruppe perché vide il volto sudato di Nastassya, la quale si stava evidentemente sforzando in modo particolare per fare riaffiorare dalla propria mente il ricordo degli avvenimenti ai quali faceva riferimento Randa. I fatti risalivano ad alcuni anni prima: un periodo di tempo enormemente lontano perché una qualsiasi persona potesse ricordarne la sequenza logica e temporale che aveva prodotto gli eventi di allora, per poi risalire ai fatti di oggi.

Eventi anche salienti ma appartenenti ad epoche così lontane che il loro ricordo veniva catalogato dalla mente come un fatto assodato. Anche causa ed effetto di quell'evento venivano ricordati come fatti appurati e dimostrati. A mancare era la connessione tra gli eventi, cioè quel filo che permetteva di percepire la relazione causa-effetto e quindi il perché di quell'evento. Certamente mancavano le connessioni tra le impercettibili variazioni che avevano permesso di trasformare l'era di internet, con le sue informazioni sempre disponibili, in un meccanismo pernicioso che sputava tutte le informazioni che una persona desiderava, ma senza la relazione tra queste. Gli eventi erano vissuti come dati statici, non c'era in essi quella dinamicità che avrebbe permesso alle persone di coglierne le relazioni; così nel momento in cui gli eventi venivano acquisiti rendevano quelli precedenti come assodati. Randa lasciò che Nastassya si prendesse del tempo per riandare al ricordo di tutti i fatti, ma non si aspettava che fosse anche in grado di trovarne le relazioni. Quello sarebbe avvenuto in seguito parlando con lei. "Ricordi qualcosa?" disse Randa "Si, mi pare." "Ma non riesci a focalizzarlo bene perché non trovi collegamenti con altri eventi, che però senti essere legati a quello stesso evento. Giusto?" "Si" "Bene. Allora fermati un attimo. Beviti un altro po’ di caffè e poi mangiati un'altra sfoglia alla crema" Nonostante nelle parole di Randa ci fosse un ché di autoritario, lo sforzo di Nastassya era stato tale che le sue parole sortirono l'effetto sperato: si fagocitò la sfoglia e finì di bere il caffè. "Ci siamo?" "Molto meglio adesso. Ti stai divertendo vero?" disse Nastassya guardando Randa con uno sguardo accusatorio stemperato però da un lieve sorriso. "Ti stai gongolando. Per farmi capire il tuo concetto usi le tecniche inquisitorie della tua combriccola"

"Non credere che la tua di combriccola sia poi migliore della mia", nelle parole di Randa la parte, accusatoria era più acuta ed il suo volto non stemperò le parole con un sorriso conciliante. "Meglio se andiamo avanti" "Bene" Randa riprese a parlare con un tono che eliminò in un sol colpo la tensione che si era improvvisamente generata tra loro due. "Facciamo così: ripensa all'immagine che hai del Database unico". Attese qualche istante poi proseguì. "Ci sei?" "Ci sono" "Adesso pensa ai frati feticisti" Un brivido scosse Nastassya. Il sussulto di quest'ultima fu dovuto all'immagine che comparì nella sua mente al sentire le parole di Randa. Era l'immagine di una serie di eventi, fatti, coincidenze, persone che diventavano un tutt'uno. Solo in certi istanti si poteva riconoscere la parte più specifica dei fatti connessi al progetto “Database unico” rispetto a quelli afferenti i frati feticisti. Una parte della mente di Nastassya continuava ad associare i frati feticisti agli eventi degli ultimi tempi, con una coda che si perdeva nella nebbia di ricordi vaghi e lontani di quando i frati feticisti apparvero per la prima volta. "So a cosa stai pensando, ma lascia stare tutto il resto e focalizzati sull'immagine che ti è apparsa" "Ok" "Resta su quell'immagine ancora per un po’" Rimasero in silenzio per alcuni minuti. La mente di Nastassya dopo l'iniziale sforzo si stava rilassando, lasciando che quell'immagine si modellasse a suo piacimento, libera da qualsiasi costrizione. Dopo un po’ divenne chiaro per Nastassya il ricordo di una serie di fatti, all'apparenza di secondaria importanza, ma che le svelarono la vera relazione tra quei due bacini di eventi, fatti e

persone. Si ricordò degli articoli di giornale che parlavano dei forti dubbi che stavano nascendo da più parti nel mondo dell'informatica, sulla fattibilità del progetto “Database unico”. Le tornò alla mente il putiferio generatosi quando nello stesso periodo s'iniziò a parlare dei frati feticisti. Si ricordò della velocità con la quale si smise di parlare dei frati feticisti come degli autori di certi abusi sessuali, per are alle discussioni di lana caprina sul tono di voce e sugli aggettivi da usare in associazione con le due parole: frati feticisti. Nastassya vide le interminabili ed inconcludenti discussioni alla televisione tra laici e cattolici. Tra cattolici oltranzisti e moderati. Tra laici che ascoltavano le altrui opinioni e coloro che mettevano quest'ultimi alla gogna, perché accusati di essere troppo moderati. Nastassya vide se stessa mentre leggeva i giornali nella vana ricerca di un articolo che parlasse in una qualsivoglia forma del progetto “Database unico”, o delle indagini sui frati feticisti. Rivide se stessa dopo un po’ di tempo, quando, una volta dato sfogo al trasporto emotivo nei confronti delle donne abusate, non vi fu più un interesse civico a capire il perché si fosse creata un'organizzazione dedita all'abuso sulle donne. L'incriminazione di alcuni veri stupratori seriali diede poi la soddisfazione finale ai più di vedere il cappio intorno al collo dei “veri” responsabili di quel putiferio. Le persone poterono così tornare nel dolce torpore mentale delle loro case pensando: “I cattivi sono là fuori con la testa appesa, quindi io sono buono, mi comporto secondo le regole. Va tutto bene” “Invece non va affatto bene” pensò Nastassya Randa avvicinò la tazzina di caffè che nel mentre si era fatta portare dal cameriere e l'avvicinò al naso di Nastassya. "Hello! Ci sei?" Nastassya ancora un po’ stralunata e con lo sguardo perso nel vuoto, piano piano riprese consapevolezza di dove si trovasse. Quando Randa vide che il commissario aveva ripreso a guardarla scientemente disse:" Allora adesso cominci a capire?" "Si, ma anche te provasti quel vortice di ricordi?"

"Si. Il problema è che nel mio caso non ci fu nessuno accanto per farmi riprendere con un buon caffè". Mentre Randa diceva quelle parole abbassò lo sguardo verso il caffè e con un rapido gesto della mano lo allungò verso Nastassya, la quale per tutta risposta lo annusò intensamente prima di berselo in una sola mandata. "Bene, a questo punto che facciamo?" Randa tirò fuori un fascicolo e lo pose sul tavolo. "Cosa sono?" disse Nastassya "Sono tutti i documenti che ho raccolto sull'affare dei treni ad alta velocità e sulla ultima apparizione dei frati feticisti." Per un attimo, mentre diceva quelle parole, a Randa sembrò che Nastassya la stesse nuovamente guardando con lo sguardo perso ed assente di chi non sta capendo niente. Ma quella volta si stava sbagliando e anche di parecchio. Come avrebbe capito di lì a poco il commissario a questo giro, forte dell'esperienza cerebrale appena avuta, fu molto più veloce nel mettere insieme i particolari del puzzle che Randa stessa le stava facendo comporre. Notevole fu lo sguardo di stupore di Nastassya quando la sua mente arrivò alla conclusione. "Mi vuoi dire.." Nastassya non proseguì la frase, ma invece iniziò a guardare velocemente i documenti presenti nel fascicolo, alla ricerca della conferma alla sua deduzione. A mano a mano che sfogliava quei fogli, il corpo di Nastassya s'irrigidiva sempre di più in un unico spasmo di tensione. Per questo quando finì di leggere, rialzando la testa e con essa lo sguardo verso il volto di Randa, le parole proruppero dalla sua bocca con un timbro squillante. "Ma allora è veramente così: i frati feticisti non esistono!" quasi urlò Nastassya Il rumore sferragliante di un vecchio camioncino, amplificato dagli interstizi tra i massi sconnessi che pavimentano le strade e le piazze di quella zona di Firenze, a quel giro ebbero l'effetto benefico di far sentire solo a Randa le parole urlate di Nastassya.

Le due donne si guardarono in silenzio per alcuni istanti, fino a quando fu la stessa Nastassya ad interrompere il piacevole silenzio che si era creato, reso ancor più apprezzabile dal rumore sempre più in lontananza del camioncino, che stava portando la sua irritante presenza verso altre zone del centro di Firenze. "Ma non è una teoria, scusa se te lo dico, un po’ banale? La solita teoria della combriccola di potenti che brama nell'ombra a scapito di noi ignari cittadini?" "Però mi par di capire che sia anche la tua teoria" "Si. Il fatto è che vorrei che tu mi dicessi che non è una teoria banale." "Infatti non lo è. Manipolare le informazioni è più semplice di quanto possa sembrare. Certamente la combriccola esiste, ma non nel senso di un gruppo di persone che s'incontra di notte in un castello, per bramare alle nostre spalle. O forse è proprio così. Ma guarda alle seconda parte della cosiddetta teoria banale. Noi cittadini siamo ignari, ma per colpa di chi? Di queste persone? Se riuscissimo a sapere queste cose sei sicura che i più tra di noi le accetterebbero?" Randa attese alcuni secondi prima di riprendere a parlare. "Nessuno va nel panico se le cose vanno secondo i piani, anche se questi sono mostruosi. Se domani dico alla stampa che un teppista da strapazzo verrà ammazzato, o che un camion pieno di soldati esploderà, nessuno andrà nel panico, perché fa tutto parte del piano. Ma quando dico che un solo piccolo sindaco morirà, allora tutti perdono la testa. Se introduci un po' di anarchia... se stravolgi l'ordine prestabilito... tutto diventa improvvisamente caos. Vuoi diventare un agente del caos?"*** "Non credo di essere il tipo, ma forse alle volte non sarebbe male avere un “agente del caos”" "Allora leggiti questa documentazione che ti ho portato. Ne troverai parecchi di agenti del caos. Mettili una accanto all'altri. Poi per ciascuno dividi in gruppi tutti i cosiddetti cittadini. Ti accorgerai di come esisterà sempre un folto gruppo di persone che ben presto trasformerà quell'agente del caos in un eroe. Da quel punto si dipanerà un'altra storia fatta di continue dimenticanze su quanto avvenuto in precedenza. Prova allora a mettere accanto, secondo la linea temporale, solo le dichiarazioni ed i comportamenti del presunto eroe. Quelli che per i molti saranno atteggiamenti del tutto giustificati e coerenti, in quanto provenienti dal loro eroe, a te invece appariranno per quello che sono: azioni del

tutto contraddittorie provenienti da una tipologia di personaggio che spesso è più mediocre delle stesse persone che lo idolatrano" "Ci sarà pure qualche eroe autentico!" disse Nastassya "Dipende da cosa intendi con eroe. A proposito: a che punto sono le indagini sul tuo morto?" "Ad un punto morto" "Mmmhh...ma che idea ti sei fatta di quel personaggio?" "Preferisco ancora non farmela. Non credere che la cosa non mi tenti ed irriti al tempo stesso" "In che senso?" "Se permettete questo ve lo posso spiegare io". Randa e Nastassya si girarono insieme verso il signor Bigioni che stava a pochi i dal lavoro tavolo. Lo guardarono con finto stupore, ma quando poi le due donne si scambiarono una occhiata, entrambe capirono che l'altra non era affatto sorpresa per quella improvvisa intromissione nei loro discorsi. Il Bigioni stava lì in piedi davanti al loro tavolo fermo come una statua, avendo ben chiaro in mente il fatto che entrambe le signore fossero consapevoli dell'essere state pedinate da lui: come la volta del “primo casuale incontro” proprio davanti a quella stessa pasticceria. Intuiva anche dai loro sguardi come non fossero infastidite dal suo pedinamento. Quello che le due signore non potevano conoscere era l'entità dello sforzo che lui aveva compiuto per arrivare ad intromettersi nei loro discorsi. Si era a lungo allenato in quegli ultimi giorni per non giungere impreparato a quel momento. Ciò che il Bigioni voleva evitare era la profusione di emozioni e di stati d'animo che a suo avviso non gli avrebbero poi permesso di raggiungere il proprio obiettivo. L'allenamento dei giorni ati era consistito nel “drogarsi” in quantità sempre crescenti. La “droga” altro non era che dare spago ai propri stati d'animo. Il campo di allenamento erano i circoli studenteschi, letterari e altre varie forme di club che in quel periodo aveva frequentato assiduamente. Ma, appunto, non ci era andato per carpire gli stati d'animo ed i pensieri dei possibili e probabili esponenti della piccola borghesia, benpensanti inconsapevoli, ma non troppo, fautori del

pensiero unico del “così fan tutti e quindi anch'io faccio”. Era sui propri stati d'animo e sull'emozioni che si sarebbe allenato, dando agli astanti informazioni private come mai prima di allora aveva fatto. Iniziò con piccole informazioni di secondaria importanza, per poi salire verso aspetti più importanti del suo universo di pensieri. A mano a mano che procedeva con l'allenamento, vedendo la mancanza di stupore nel sentire certe parole, da lui mai prima pronunciate, il Bigioni capiva che la sua “tecnica” non si era affievolita e ciò gli permetteva di proseguire nell'allenamento dando sempre più informazioni di sé. Nonostante tutti gli esercizi fatti nelle ultime settimane, adesso mentre si trovava immerso nella situazione per la quale si era tanto allenato, il suo corpo era un unico fascio di tensione. Fu Nastassya a liberarlo da quello stato invitandolo a sedersi accanto a loro. Il Bigioni esitò un primo o, ma poi di scatto afferrò lo schienale della sedia riabbassando di colpo la velocità dei propri movimenti mentre si sedeva. "Ora che la guardo da più vicino, mi sembra di averla già vista." disse Nastassya. "S'intende, oltre la volta in cui spiò sia me che lei, alcuni giorni fa, in questo stesso posto" "Io invece penso di averlo notato solo quella volta". Randa disse queste parole con uno sguardo molto più indagatore di Nastassya, la quale da parte suo stava cercando di capire dove la stessero portando i suoi vaghi ricordi. "Ho quasi la netta impressione che c'incontrammo un bel po’ di anni fa, quando ancora frequentavo l'università. Meglio è se faccio finta di nulla, per evitare di essere sommersa da chissà quali altri ricordi" Nastassya non riuscì a ricordare dove avesse incontrato per la prima volta quello strano personaggio, ma le sue parole sortirono comunque l'effetto sperato di placare lo stato d'animo agitato di quest'ultimo. Da parte sua il Bigioni comprese ed apprezzò l'altruistico scopo di Nastassya e si decise ad esporre la propria tesi. "Prima di tutto volevo dirvi che il mio tentativo di spionaggio aveva l'unico

scopo di capire quale fosse il momento migliore per parlarvi" "Beh, siamo qui insieme in un posto tranquillo, quindi siamo pronte ad ascoltarti" Randa pronunciò queste parole verso il Bigioni, guardando Nastassya, sperando di trovare approvazione nel suo sguardo, ma dovette ricredersi vedendo lo sguardo di evidente disapprovazione di lei, per aver interrotto il loro nuovo interlocutore, dopo gli sforzi che lei aveva fatto per tranquillizzarlo. "Non si preoccupi" disse il Bigioni rivolto a Randa "le sue parole non mi hanno turbato più di tanto. Posso tranquillamente proseguire nel mio discorso". "I vostri sguardi mi fanno pensare che volete credere alle mie parole e quindi o a spiegarvi il perché delle mia intromissione nei vostri discorsi. Prima che v'interrompessi eravate arrivate a parlare del signor Lincux. Quello che probabilmente non sapete, nonostante la notevole capacità del suo assistente nel reperire quante più informazioni utili, è che il suddetto signor Lincux non faceva parte del mondo open source, né tanto meno era un indipendente. Lo era forse, indipendente, nel senso della libertà che aveva la propria mente nell'analizzare i fatti e le persone che catturavano il suo interesse. Ma non voglio divagare troppo. In realtà il signor Lincux era stato un dipendente della Winsoz." Nel sentire quelle ultime parole Nastassya provò stupore. Possibile che David non avesse scoperto questa informazione. "Non si stupisca" continuò il signor Bigioni rivolto verso Nastassya. "..Il suo assistente le ha sempre fornito un valido aiuto, anche in quel caso. E' solo che ha utilizzato il mezzo sbagliato. Se avesse fatto come la sua amica, cioè si fosse concentrato soprattutto sulle informazioni cartacee, probabilmente avrebbe aggiunto anche questa informazione nel suo fascicolo" Nastassya in realtà non fu affatto rincuorata dalle ultime parole del signor Bigioni, in quanto si era bloccata alla frase “....il suo assistente le HA SEMPRE fornito un valido aiuto..”. Era soprattutto il tono di voce col quale aveva detto quelle parole. Sembrava quasi dirle che lui sapeva tutti i dettagli della sua indagine e che fosse a conoscenza del ato di David. Una immagine rimase ferma nella mente di Nastassya: quello strano personaggio che semi invisibile se ne stava dietro la sua sedia, ad ascoltare in silenzio lei e David. Questa volta Nastassya non ebbe neanche il conforto di Randa che le sventolava il caffè di sotto al naso e dovette uscire da sola dai propri pensieri.

Quando si riprese vide lo sguardo connivente del suo narratore che la stava aspettando per riprendere a parlare. "Come dicevo il signor Lincux era un dipendente della Winsoz. Fu proprio in quel periodo che si accorse delle anomalie nel sistema di relazioni e contrapposizioni nella gestione e fruizione dei software. Sono poi le stesse che ha scoperto il suo amico Alessandro.." questa volta fu Randa ad avere un sussulto nel sentire quelle ultime parole. Lo sguardo complice nello stupore e in una sottile ansia unì le due donne. Entrambe si domandarono chi fosse quella persona che conosceva così bene fatti della loro vita sia privata che professionale. Ma per entrambe l'aspetto più inquietante di quel misterioso personaggio era che dava l'impressione di conoscere bene i loro modi di sentire. Come se tutti quei pensieri fossero scontati per lui, il signor Bigioni continuò a parlare tranquillamente. "Il signor Lincux capì le ragioni vere dell'aspra lotta tra i due mondi del software. Ragioni che niente avevano a che vedere con quelle palesate pubblicamente, sulla diversa idea di intendere la fruizione del software. Quello che non capì è che le lotte di potere tra le due parti sarebbero diventate una tacita e ferrea alleanza nel momento in cui un elemento esterno avesse provato a rompere il loro giocattolo. Per questo il signor Lincux trovò un muro d'incomprensione quando si rivolse ad alcuni esponenti dell'altra parte, credendo ingenuamente che avrebbe trovato assistenza e comprensione in questi. Molti non crederono ad una parola del signor Lincux, per il semplice fatto che veniva dall'altra parte. Altri preferirono non credere perché troppo grande sarebbe stato lo sforzo mentale per i loro piccoli cervelli, nel rimettere in discussione alcuni capisaldi sui quali si basavano le loro azioni. Una minoranza prestò orecchio ed attenzione alle parole del signor Lincux ma erano troppo pavidi per palesarlo, ben sapendo che avrebbero finito per essere giacobinianamente messi alla gogna. Il signor Lincux parlò anche coi cosiddetti “fuoriusciti”, gli indipendenti. Se non sbaglio è lo stesso gruppo col quale, a suo tempo, parlò anche Alessandro. Da loro trovò comprensione ed approvazione, ma non condividendo la scelta di vita di questi ultimi, in quanto ai suoi occhi non era sufficientemente di rottura con quel sistema che entrambi criticavano, si allontanò da quel gruppo perdendo così la loro protezione. Ma la scia che lasciò fu sufficiente per creargli attorno un

fittizio personaggio. Una figura non allineata che si muove per i fatti propri secondo schemi agli altri non noti. E' questo il personaggio che è stato più ampiamente descritto sui media. Ciò ha permesso ai più di accettare facilmente la sua morte senza porsi domande. Il corpo estraneo è stato eliminato dal sistema che quindi può tornare alla normale e tranquillizzante routine. La descrizione verace del suo strenuo e sempre coerente, ancorché ingenuo, tentativo fino alla fine di rendere pubblici certi comportamenti sbagliati, cercando al tempo stesso di migliorare la situazione al suo interno, non può che richiedere tempo e così quando verrà pubblicata sui giornali, l'attenzione dei più sarà rivolta verso altri lidi." "Ma di fatto cosa aveva scoperto?" "Aveva scoperto ciò che probabilmente la sua amica stava per dirle: ovvero che il famoso progetto “Database unico” era un flop, era fallito. La Winsoz chiaramente non aveva l'interesse che ciò fosse reso pubblico: il danno economico e d'immagine sarebbe stato tale da non permetterle forse di rialzarsi. La versione concorrente avrebbe avuto soprattutto un danno d'immagine. Non poteva correre il rischio che anche solo alcuni di quelli che avevano creduto nella superiorità etica ma anche tecnica rispetto alla Winsoz, intuissero come la realtà fosse per buona parte fatta di menzogne. Infine molti governi che avevano appaltato risorse pubbliche per quel progetto, avevano anche l'interesse che non si sapesse dove erano andati spesi i soldi pubblici, raccolti per realizzare uno dei punti più importanti dei loro programmi di governo" "Ma allora torniamo al punto di partenza: il popolo dovrebbe sapere" disse Nastassya "Hai ragione: dovrebbe sapere. Nel senso che è un dovere dei cittadini sapere e siccome articoli ed inchieste giornalistiche ne furono fatti in merito, come ti stava spiegando la tua amica, ecco che i cittadini non hanno assolto ad uno dei loro doveri, andando così a costituire la quarta gamba di quel tavolo su cui posano tutte queste menzogne." "Insomma, per concludere: che facciamo?"

"Quello che farai tu non lo so. Intanto ecco tutta la documentazione che ho raccolto sulle cose di cui vi ho parlato". Il Bigioni posò sul tavolo davanti a Nastassya alcuni fogli ed un dvd col contenuto della pennetta usb prelevata dallo studio del signor Pelomane. "Il tuo assistente David avrà di che divertirsi.." proseguì il signor Bigioni "..con queste informazioni potremo comunque fare qualcosa di buono ed in particolare aiutare una comune amica" Quelle ultime parole risvegliarono nelle due donne l'interesse per la persona del signor Bigioni, il quale fino a quel momento era stato eccellente nel concentrare l'attenzione delle sue ascoltatrici sui fatti da lui esposti, piuttosto che su la sua stessa persona. Anche questa volta però il Bigioni rivolse l'attenzione delle sue ascoltatrici esattamente dove lui voleva. "Noi abbiamo una comune amica: Vanessa. Probabilmente voi sarete a conoscenza dei guai burocratici che sta ando in questo periodo". Il Bigioni sapeva bene che non era così. Le sue parole sortirono l'effetto sperato: ovvero smuovere il senso di colpa in Randa e Nastassya per essersi dimenticate della loro amica. Lo spaesamento dovuto a quel senso di colpa durò però meno di quanto il Bigioni avesse preventivato, in quanto dopo alcuni istanti di smarrimento, sia Randa che Nastassya avevano già, ammesso con sé stesse (esternarlo ad una terza persona oltretutto misteriosa era di secondaria importanza) di aver effettivamente mancato nel far sentire la loro vicinanza alla comune amica. Ciò permise loro di riprendere il controllo di modo che quello strano personaggio non prendesse troppo vantaggio su di loro. In fin dei conti quest'ultimo non aveva ancora spiegato fino in fondo perché era lì e loro non potevano fidarsi ancora di lui. Facendo finta di niente il Bigioni riprese il suo discorso: "L'emendamento nascosto all'interno della legge di stabilità che vorrebbe allungare i tempi per ottenere il visto in Italia, porrebbe Vanessa ed altre persone in un limbo d'incertezza con la tutt'altro che remota possibilità di essere allontanate forzatamente dal Paese" Sia Randa che Nastassya preferirono rimanere in silenzio e lasciare che quello strano personaggio terminasse il suo discorso, così da capire finalmente quali

fossero le sue intenzioni. "Ora, se noi dessimo una certa informazione ai giornali, sia a quelli seri che alla maggioranza puramente gossippara potremmo far tremare, anche se per poco tempo, il nostro Bel Paese. I nostri parlamentari uscirebbero dai palazzi per infilarsi nei pollai delle diatribe televisive, foraggiando così al tempo stesso il morboso interesse dei più nel vederli dibattere su chi sia più colpevole. In questo modo si dimenticherebbero dei tanti emendamenti frutto di miopi interessi di parte e promulgherebbero in fretta e furia la legge di stabilità, ma senza il famoso emendamento. In questo modo la nostra Vanessa potrebbe riprendere la propria vita, senza più essere assillata dalla spada di Damocle del visto" "Scusa, ma quale informazione dovremmo dare?" "Questa" Il signor Bigioni con un dito indicò il dvd posto prima sul tavolo. "Se possiamo usare il tuo portatile.." disse quest'ultimo rivolto verso Randa "..vi farò vedere alcune scene interessanti" Le due donne videro quel video dove si ritraeva il Presidente del Consiglio comodamente disteso in una yakuzi in compagnia del signor Pelomane (notoriamente un suo buon amico) e di un folto gruppo di avvenenti ragazze. "Mi scusi ma a queste scene ormai noi italiani ci siamo abituati. Pubblicare una informazione del genere distoglierebbe l'interesse delle persone per al massimo un paio di giorni" "Abbi pazienza. Vi prego di notare due particolari interessanti" Randa e Nastassya poco dopo notarono questi due particolari. Il Presidente del Consiglio, uomo scaltro ed intelligente, ma non abbastanza per gestire sagacemente il potere che si trovava in mano, stava confidando al suo buon amico l'accordo stipulato tra i potenti del mondo occidentale, per usare la scusa dei frati feticisti ogniqualvolta ci fosse stata l'esigenza di coprire una magagna. "Be con questo certamente distrarremo l'attenzione per un bel po’. Ma potremo fare in modo che l'emendamento che interessa Vanessa venga messo in discussione? E poi scusami non è che stai rischiando con queste informazioni?" "Non ti preoccupare" il Bigioni proferì queste parole accompagnandole con un

sorriso sardonico che veramente gelò il sangue a Randa e Nastassya. "Per quanto riguarda l'emendamento basterà raccontare chi sono quelle ragazze. Le informazioni al riguardo le trovate in questo faldone, ma volendo riassumere, queste ultime adesso si trovano in una situazione analoga a quella di Vanessa. Qualcuno deve essersi accorto che a forza di allietare le serate di questi altolocati personaggi, sono venute a conoscenza di alcune informazioni importanti. Meglio sarebbe quindi allontanarle dall'Italia prima che qualcuno si accorga di loro" "Ovvero noi" disse Randa "Esatto". Ribadì il Bigioni.

Le inchieste Marzo 2009 Nei giorni seguenti Nastassya studiò con molta attenzione il faldone di articoli che il signor Bigioni le aveva dato. Lo stesso fece Randa. L’approvazione di quest’ultima avrebbe rappresentato per Nastassya il semaforo verde per consegnare quelle informazioni ad alcuni giornalisti di sua conoscenza. Sapendo che anche quest'ultimi, pur conoscendola e stimandola, avrebbero poi dato il proprio contributo nel controllo della correttezza di quelle informazioni, Nastassya poté rilassarsi solo dopo circa due settimane da quell'incontro così rivelatore, allorquando i giornali pubblicarono le suddette informazioni. Come esattamente previsto dal signor Bigioni il putiferio si formò nelle stanze della politica. Un'onda di sdegno, fomentata da articoli di giornale, approfondimenti televisivi e talk show di varia natura, si levò tra i cittadini quando vennero fuori le notizie ed i video sugli incontri notturni tra il Presidente del Consiglio, il signor Pelomane e quelle avvenenti ragazze. Quando poi alcuni giornalisti posero l'attenzione sul collegamento tra queste ragazze ed il tentativo di liberarsene attraverso il famoso emendamento, la maggioranza in parlamento, che sosteneva il governo, fu ben lieta di mostrare il proprio sdegno verso il contenuto di quell'emendamento, palesando un affettato stupore nel dire che non si erano mai accorti di quel così pericoloso aggio all'interno della legge, sì da poterne unanimemente disconoscerne la paternità e lasciare che l'emendamento venisse stralciato. In realtà i parlamentari avrebbero potuto anche aspettare alcuni giorni ed attendere che le acque si calmassero. Lo sdegno dei cittadini è tanto veloce a formarsi quanto a dissiparsi. Il punto è che in quel marasma di accesi sentimenti si alzarono alcune manine per chiedere: "Perché si dovevano sbarazzare di quelle ragazze? Si erano già stufati?" A queste domande, con tempismo perfetto, risposero i primi giornalisti che avevano pubblicato le notizie sugli incontri notturni. Lo fecero tirando fuori la carta vincente: tutte le informazioni dettagliate sull'accordo internazionale sui frati feticisti.

A questo punto però, grazie alle nuove informazioni pubblicate sull'accordo internazionale, non fu più possibile far finta di niente. Grazie a questo accavallarsi di scandali i nostri parlamentari pensarono bene che non fosse il caso di aspettare oltre e quindi stralciarono l'emendamento, per potersi concentrare sulla difesa del Presidente del Consiglio e delle proprie poltrone. Ben presto le informazioni fecero il giro del mondo. Anche in questo caso, cosa strana, nessuno tra i potenti o chi credeva di esserlo, rivendicò la paternità dell'idea della menzogna sui frati feticisti. Ma ormai il vaso di Pandora era stato aperto. La legge speciale sugli assorbenti fu eliminata e quest'ultimi ripresero magicamente a circolare liberamente nei mercati e negozi. In più Paesi si aprirono inchieste giudiziarie a carico d'ignoti, ovviamente, sullo scandalo dei frati feticisti. Ma queste sono storie che non interessano più i nostri protagonisti. Basti solo dire che il capo di Randa, senza fare troppo clamore riconobbe a quest'ultima il merito di aver capito prima di altri la connessione tra la droga e gli assorbenti e tra questi ultimi ed il fallimento del progetto sull'alta velocità. Nastassya portò avanti l'inchiesta sul signor Lincux ma dovette aspettare ancora un po’ prima di poter scalfire il muro di potere che proteggeva le aziende software. Solo allora avrebbe potuto ottenere le prove mancanti per poter fornire alla procura le informazioni che il signor Bigioni le aveva dato.

I pensieri di Claudio Aprile 2009 Claudio bussò alla porta e non sentendo alcuna risposta la aprì leggermente per capire quale potesse essere la scena all'interno della stanza. "Posso entrare?" disse Claudio senza per questo ricevere risposta. L'ultima fievole luce proveniente dalla finestra gli permise comunque di vedere la forma del signor Pelomane muoversi convulsamente nel letto e ne dedusse che non fosse il caso di addentrarsi ulteriormente nella stanza. Chiuse quindi la porta con molta delicatezza e silenziosamente si allontanò dalla stanza. Mentre percorreva i lunghi saloni che dividevano la sua stanza da quella del signor Pelomane incontrò quasi tutti i domestici presenti nella villa. Lo sguardo di questi era sempre il solito: un misto di profonda deferenza (manifestato dal capo sempre rivolto verso il basso unito ad un rapido movimento verso l'alto degli occhi) e beffardaggine che solo dal lieve sorriso negli occhi si poteva percepire. Quest'ultima non poteva che essere dovuta alle voci che ormai giravano da alcuni giorni tra i domestici, ma anche in tutte le persone che vivevano nel villaggio vicino alla villa. Queste voci avevano spinto qualcuno, più temerario, a ricamarci sopra un dileggiante racconto, il cui contenuto era stato impresso, a futura memoria, nel pezzo di carta che adesso Claudio stringeva nella propria mano destra. Quante volte aveva letto quel racconto, provando ogni volta indignazione per la persona la cui vile mano, di nascosto, aveva osato offendere il signor Pelomane. Una volta giunto nella propria stanza, Claudio rilesse quel racconto: "Gira voce che l'amica, di un'amica della donna che fa le pulizie nel quartiere dell'Olgettina, abbia saputo da fonti certe (le ragazze dell'Olgettina, appunto), di un particolare stato di agitazione del signor Pelomane. Pare, inoltre, che neanche le più amorevoli e tenere cure da parte delle suddette ragazze, siano riuscite nell'intento di placare le ansie dell'indomito conquistatore. Solo dopo svariate ore di coccole nel lettone imperiale, col signor Pelomane fisso nella posizione fetale (pare che l'oggetto infilato nella bocca, fosse il suo

dito pollice destro), le angeliche fanciulle hanno capito il perché del completo stato di prostrazione del loro amato barzellettiere. Alcuni giorni addietro il signor Pelomane aveva ricevuto una missiva segretissima, nella quale si confermava l'imminente arrivo in Italia di Salvo e Jennifer. Salvo era noto per aver animato le serate di Firenze con poche lire e sempre molta gente. Alcuni anni fa il signor Pelomane tentò di assoldare Salvo come animatore delle serate nella sua villa, ma desistette subito allorquando scoprì che Firenze è una città comunista e che Salvo non pagava le donne per andare alle sue feste. Inoltre le feste di quest'ultimo erano sempre un melting pot di persone provenienti da diversi Paesi e ciò avrebbe potuto creare dei dissapori, con l'amico Umberto. Da allora nel signor Pelomane è sempre rimasta una sorta d'invidia nei confronti di Salvo. (Chi all'età di 5 anni non ha provato invidia per i giochi più belli degli altri bambini!). Ora Salvo stava tornando a Firenze per festeggiare il matrimonio con Jennifer. Jennifer appunto: donna bella, intelligente, con la ione per la pittura (ovvero cultura) e che ha fatto volontariato in giro per il mondo. Un mix di qualità che secondo l'indomito conquistatore, sono impossibili da condensare in un unica persona, specie se donna. Per questo motivo il signor Pelomane temeva Jennifer ancor più di Salvo. Tornando al presente, era stata quindi l'idea che il suo nemico potesse festeggiare il matrimonio con una festa bellissima, a mandare in delirio il signor Pelomane. Anche l'Umberto nazionale era andato su tutte le furie, dopo aver scoperto le origini di Salvo. Una notte sognò che Salvo era in realtà il Papa nero, sbarcato in Italia per mettersi al comando delle orde barbariche provenienti dall'Africa con l'intento di occupare la padania.

Al suo risveglio Umberto ordinò alle guardie padane di mettersi in allarme e richiamò le truppe cammellate dall'Afganistan (PAURA!!). Ma il colpo di genio fu quello di avvisare le ex-fidanzate di Salvo. Effettivamente un gruppo di femmine inferocite, potrebbe costituire un reale problema. Umberto contattò anche gli ex-fidanzati di Jennifer, ma con scarso successo. E' ben noto che i maschi tendono a non complicarsi la vita e vogliono faticare il meno possibile. Ora potete ben capire come un imminente pericolo incomba su Salvo e Jennifer.." Claudio non terminò di leggere il racconto anche perché ormai lo conosceva a memoria. Sapeva bene che sarebbe stato inutile coricarsi per cercare di dormire. Quel racconto lo aveva reso troppo furioso per potersi riposare, ma la cosa che lo faceva ancor di più adirare era il non capire cosa veramente gli desse fastidio di quel racconto. In fin dei conti da quando il signor Pelomane era diventato un personaggio pubblico a livello nazionale, di racconti maligni sul suo conto ne erano stati fatti e pubblicati diversi. Mai come allora però Claudio si era sentito offeso per il suo datore di lavoro. Cos'era a infastidirlo così tanto? L'osservatore attento che negli ultimi anni avesse concentrato la propria attenzione su Claudio, quasi certamente si sarebbe accorto dell'improvvisa uscita di quest'ultimo, da quel torpore che aveva ottenebrato la sua brillante mente da che era diventato il braccio destro del signor Pelomane. Il repentino cambiamento di Claudio era coinciso con la scoperta di quel racconto. Ma di persone attente alla vita di Claudio non ve ne erano state in quegli anni e lui non era ancora arrivato al punto di potersi voltare indietro per notare quella uscita dal tunnel del torpore e della dimenticanza. Si versò un dito di porto nel bicchiere e stravaccò sulla poltrona. L'effetto dell'alcool unito al fatto che non mangiava dalla colazione fu quello di gettare Claudio in uno stato di stordimento dal quale ne uscì dopo più di due ore. Non è dato di sapere quali fossero stati i pensieri che si erano aggirati nella mente di Claudio in quelle due ore. Quel che è certo è che risolsero il dubbio che lo stava assillando. Gli era ormai chiaro che le parole di quel racconto erano completamente vere: il suo datore di lavoro non era altro che un vecchio, la cui

vita era stata sin a quel momento all'apparenza molto fortunata, ma che gli aveva permesso di raggiungere una maturazione emotiva pari a quella di un bambino di cinque anni. Tutto ciò che di maligno era stato detto sul conto del signor Pelomane era vero. Questa tragica realtà sgombrò la mente di Claudio dal dubbio che l'aveva precedentemente assillato, ma innestò nella sua testa una domanda ancor più dilaniante: cosa avrebbe dovuto fare lui adesso? Avendo accettato la vera natura del signor Pelomane, lo avrebbe potuto abbandonare al proprio destino, come certamente tanti “amici” del signor Pelomane avrebbero fatto di lì a poco, oppure per una questione di coerenza sarebbe dovuto rimanere al suo fianco fino alla fine? Quel che è certo è che quella notte Claudio non riuscì a prendere sonno. ò quelle ore buie pensando alla scelta più coerente e nel fare questo la sua mente riandò alla silenziosa complicità con gli amici di una volta, David e Lorenzo. Il primo per anni era stato un prezioso informatore all'interno della polizia; fino a quando poi un bel giorno decise di chiudere i conti coi suoi “clienti”. Anche Lorenzo era stato per anni un informatore, ma nel settore informatico. Lo stesso signor Pelomane aveva usufruito delle informazioni di Lorenzo per vincere un paio di importanti appalti nella gestione dei dati dei pazienti di alcuni ospedali di Milano e Firenze. Quelle informazioni erano state importanti non tanto per i guadagni diretti derivanti dall'appalto, quanto per i dati sui pazienti che, tramite il sistema informatico, il signor Pelomane aveva potuto raccogliere in quegli anni, per aumentare la sua già corposa lista di informazioni sugli italiani. Ad un certo punto dei loro rispettivi percorsi Lorenzo e David vennero a sapere l'uno dell'altro. In un primo momento fecero finta di niente, ma poi l'imbarazzo davanti agli altri amici fu tale da sciogliere le formalità tra di loro. Entrambi percorsero allora la stessa strada: un percorso fatto di reciproche accuse e di cinismo, al punto che anche davanti agli amici arrivarono ad umiliarsi in uno squallido teatrino fatto di accuse veementi. L'accusante di turno inveiva contro l'altro per aver tradito i valori nei quali avevano sempre entrambi creduto. L'accusato rispondeva celando dietro un falso cinismo tutta la propria irritazione. Lorenzo e David si scambiarono più volte i ruoli di accusante e accusato, fino a

quando giunti così in basso dal dileggio di se stessi, non poterono che iniziare la risalita facendosi raccogliere dai comuni amici. La comprensione di questi ultimi sortì l'effetto di fermare le schermaglie tra i due litiganti, permettendo loro di rialzarsi. Lorenzo in seguito decise di chiudere i conti coi suoi “clienti”. David fece lo stesso ma rimanendo comunque nella polizia. Tutti i suoi superiori gli avevano sempre riconosciuto una invidiabile capacità di seguire il filo invisibile che unisce le informazioni raccolte durante una indagine. Anche quelli tra i suoi superiori a conoscenza della sua doppia faccia, preferirono far finta di niente. Alcuni di questi, forse perché preoccupati dalle possibili conseguenze derivanti dal tenere all'interno della polizia un personaggio ambiguo come David, risolsero di prevenire possibili azioni pericolose di quest'ultimo, palesando la propria conoscenza della sua ata vita. Un bel giorno, nel bel mezzo della gran confusione conseguenza delle cerimonie per la festa della Repubblica, questi personaggi avvicinarono David e gli fecero il seguente discorso: "Noi siamo gentili con te non denunciandoti, tu vedi di fare lo stesso non consegnando ai giornali quei nostri piccoli peccatucci di cui sei venuto a conoscenza". Lorenzo, a differenza di David, con quella comune scelta bruciò il terreno intorno a sé e quindi senza troppo indugi decise insieme a sua moglie Claudia di mettere più chilometri possibili tra la loro nuova vita e quel ato fatto di segreti. "Ma qual era stato il punto di svolta? Cosa aveva spinto David e Lorenzo a cambiare vita? Era forse semplicemente stato l'aver toccato il punto più basso per loro ammissibile? Se era così probabilmente io devo ancora raggiungere il punto più basso." queste erano le domande che Claudio si poneva. Avrebbe voluto conoscere ogni singolo aggio delle elaborazioni mentali che i suoi due amici avevano compiuto. "Ma erano veramente miei amici? O meglio: ero io ad essere un loro amico? Se lo fossi stato veramente a quel tempo, sapendo ciascuno della doppia faccia dell'altro, mi sarei dovuto avvicinare alle loro orecchie per porre delle domande sulle scelte fatte. Certo che adesso le loro eventuali risposte mi sarebbero state molto utili."

Claudio scavò nella propria mente per ricordare il più possibile i fatti occorsi tra lo spensierato periodo universitario ed i primi tempi ati a lavorare. Improvvisamente gli tornò alla mente il ricordo di una cena a casa di Lorenzo e Claudia, durante la quale informarono i loro amici del prossimo arrivo di un figlio e dell'assunzione di Lorenzo in un grande studio d’ingegneria. Quest'ultimo fu il primo a trovare un lavoro e batté sul tempo i suoi amici anche nel diventare padre. Mentre ripercorreva quei ricordi Claudio provò una sensazione di disgusto verso la coppia di suoi amici, causata dal ricordo dei fatti immediatamente successivi a quella cena rivelatrice, durante i quali l'interesse dei comuni amici sembrò fossilizzarsi sulle vicende familiari e lavorative di Claudia e Lorenzo. Le continue promozioni di quest'ultimo poi acuirono l'interesse. A quel punto Claudio si domandò se qualcuno avesse provato invidia verso Lorenzo e si accorse che se lui ne aveva provato, adesso il ricordo di quel sentimento non albergava più nella sua mente. Si domandò se forse David avesse provato astio verso il comune amico. In fin dei conti i successi lavorativi di quest'ultimo, relegarono in un angolo la sorpresa per la scelta di David nel non tentare la carriera ingegneristica, cimentandosi invece in quella poliziesca. In altri momenti l'interesse dei comuni amici verso la scelta di David sarebbe stato certamente maggiore e pur tuttavia Claudio continuò a stupirsi ed a domandarsi il perché di quello scarso interesse, che certamente non poteva essere legato solo alle vicende di Claudia e Lorenzo. Ma lui non poteva sapere cosa in quel periodo asse nella mente di Salvo, Massimiliano o degli altri, perché ormai si era già allontanato dai suoi amici. Claudio ripensò alla perfetta metodicità con la quale si adombrò sempre più, creando piano piano un muro di silenzio e levigando quest'ultimo senza creare scossoni che avrebbero potuto destare l'interesse dei suoi amici. Riparato e protetto da quel muro, Claudio poté nutrirsi dell'attrazione verso una vita apatica scevra di ioni. Fu così che quando anche il suo corpo si allontanò, i suoi ormai ex-amici non poterono far altro che accettare, senza minimamente saperne il perché, la scelta di Claudio di diventare il braccio destro del signor Pelomane. Mentre ripensava al suo allontanamento dagli amici, Claudio riprese il filo dei pensieri su Lorenzo e David. Certamente il primo era molto diverso da lui: così ionale al punto forse da non avere sufficiente lucidità, anche a causa dell'ubriacatura di promozioni, per vedere lo sporco nascosto sotto il tappetino

dei progetti ai quali stava partecipando. Claudio pensò che mentre lui si era volutamente drogato di solitudine, Lorenzo si era fatto inconsapevolmente drogare di successi lavorativi, fino a quando le sue difese furono deboli al punto tale dal fargli accettare quella bustarella che lo avrebbe indissolubilmente legato ai suoi carnefici. Quello che successe dopo era ben noto a Claudio e non perse tempo a riavvolgere la bobina dei ricordi. In quel momento per lui era importante avere conferme sulla sua teoria in merito al aggio del confine che anni addietro Lorenzo aveva percorso. Ma di risposte certe Claudio non poteva averne a causa della lontananza mentale col suo ex-amico. Ancor di più un mistero erano le cause che avevano spinto David a are il confine. Certamente quest'ultimo non era un ionale e quindi non poteva essere questa la motivazione che lo aveva indotto a diventare, consapevolmente o meno, un poliziotto corrotto. Claudio pensò che forse le cause andavano cercate ancor prima nella scelta del suo amico di non provare la carriera da ingegnere. Si accorse che forse tra lui e David c'era, o c'era stata, più affinità di quanta non si fosse palesata nei comportamenti reciproci. Anche il suo amico aveva usato la solitudine per raggiungere una meta ben precisa. Ma Claudio non poteva saperlo con certezza, fintanto che fosse rimasto lì a letto ad arrovellarsi coi suoi ricordi. Questi erano i pensieri e le domande che si arrovellavano nella mente di Claudio, quando le prime luci dell'alba incominciavano a mostrarsi. "Probabilmente allora come adesso fui troppo preso da me stesso per potermi avvicinare a David e Lorenzo, col solo intento di condividere i loro problemi, non ascoltando per un momento i miei." Giunto a quel punto Claudio decise che avrebbe continuato a percorrere la strada che in quegli anni lo aveva visto accanto al signor Pelomane, senza per questo condividere i proprio pensieri con David né tanto meno con altri amici. Ma il fatto di proseguire sulla stessa strada di sempre, non voleva necessariamente dire che le conseguenze delle proprie azioni sarebbero andate ad esclusivo vantaggio suo e del signor Pelomane. Gli eventi dei giorni successivi avrebbero dato modo a Claudio di concretizzare questa sotterranea modifica nei suoi comportamenti.

Mai fare la supercazzola a Claudia Aprile 2009 Claudia se ne stava in piedi, le mani dentro le tasche dei pantaloni e lo sguardo rivolto verso le punte dei propri piedi, che tendevano ad incrociarsi. Alzò la testa e volse lo sguardo affranto verso Lorenzo, mentre quest'ultimo era completamente assorto dall'impacchettamento della borsa da viaggio. Quando Lorenzo sentì addosso a sé le attenzioni di sua moglie, lo sguardo, fino a quel momento serioso e professionale, assunse una connotazione dolce da uomo innamorato. Lorenzo guardò Claudia negli occhi, e disse: “Claudia, pavento l'eventualità in cui, anche solo minimamente, la tua mente possa essere sfiorata dal dubbio, funesto e mellifluo, che io possa, in maniera affettatamente subdola, insinuare il dubbio, all'interno di quella che è sempre stata la naturale e gioiosa dialettica; pietra miliare della nostra stupenda relazione.” Detto questo, Lorenzo tornò alle precedenti operazioni d'imballaggio. Uscì di casa per infilare la valigia nel retro della macchina. Chiuse il portello e vide Claudia seduta nel posto del pilota. Entrò titubante dalla parte del co-pilota. Claudia si girò verso i posti di dietro dove stavano tranquillamente seduti i loro bambini. "Vedete bambini, il babbo deve andare a trovare i suoi amichetti, che abitano lontano lontano..Volete che vada da solo? Noooo" Lorenzo guardò la sua famiglia ed il pensiero corse ad alcuni anni prima quando il suo matrimonio stava naufragando, poi fece un ulteriore salto indietro: le prime promozioni sul lavoro, l'euforia controbilanciava le tante ore di lavoro e la relativa stanchezza s'insinuava nella mente di Lorenzo, ma non al punto dal fargli perdere di vista le priorità della sua vita. Ma poi quando fu il momento in cui perse le priorità? Quando fu che abbassò la guardia al punto di non accorgersi che ormai si era compromesso? Possibile che fosse stato così sciocco?

Ma soprattutto doveva essere diventato proprio sordo perché altrimenti avrebbe sentito le campane di allarme suonate dai suoi amici. Invece non le udì, preso com'era a discutere con David su chi si fosse più compromesso. Come l'aveva odiato e fu proprio da quell'odio che iniziò a risalire la china. Lorenzo odiava il suo amico perché fu lui, con quel suo disincantato cinismo, a fargli notare come fosse arrivato lì dove aveva sempre pensato che non sarebbe mai giunto. Agli occhi di Lorenzo sembrava che il suo amico ci sguazzasse in quel mondo di corrotti. Ma ormai aveva perso la lucidità e fu solo lo sfrontato cinismo di David a farglielo notare, compiendo cosi almeno un primo o verso il recupero. Un lungo brivido con finale rigurgito acido percorse il lungo corpo di Lorenzo, al pensiero della strada che dovette percorrere per uscire da quel tunnel nel quale era entrato senza neanche accorgersene, distratto dalla troppa sicurezza in sé stesso che l'aveva portato a credere di avere già tutte le risposte.

Il delirio di Max Aprile 2009 o della Tang-e Gharu, primi luci dell'alba. Max camminava ciondolando a destra e a sinistra. I primi raggi di luce colpirono il ciondolo che portava al collo, regalo di Giovanni. Il riflesso generato dal ciondolo colpì l'attenzione di due anti che videro l'emaciata figura di Max. Proprio in quel momento quest'ultimo diede l'impressione di star per perdere l'equilibrio, ma ambedue i anti furono molto lesti nel sorreggerlo prima che cadesse. Da par suo quest'ultimo, una volta delicatamente disteso, ringraziò i suoi due buon samaritani con uno sguardo perso nel vuoto. Il suo volto dai lineamenti multipli, causa dei lunghi conflitti alle varie dogane del mondo, non ingannarono i due signori i quali riconobbero subito il suo essere non di quelle zone. I due samaritani si guardarono per poco, solo un rapido sguardo tra di loro fu necessario per decidere che avrebbero usato le loro spalle per trasportare quello sconosciuto verso casa. Fortunatamente ormai la via per Kabul era breve. Giunti ormai nei pressi della città uno dei due tirò fuori dalla propria giacca alcuni vestiti e rivestirono velocemente Max. Anche se i due signori non si erano lasciati ingannare dai lineamenti di quest'ultimo avevano comunque notato la particolarità del suo volto, così simile a quelli di molte persone della zona. I due signori pensarono che grazie a quei lineamenti e con addosso i loro vestiti, non sarebbe stato un problema far entrare Max a Kabul, senza destare particolare attenzione. Così fu. Ad ognuno dei checkpoint i due signori mimarono sempre lo stesso gesto del gomito alzato e della mano che stringeva un bicchiere indicando al contempo con un cenno della testa, la figura di Max. I soldati, in alcuni casi divertiti in altri infastiditi, ogni volta lasciarono are senza troppi problemi i tre compagni di viaggio. Giunti a casa di uno dei due distesero Max in un punto riparato e caldo. L'altro andò a chiamare uno dei vecchi di loro conoscenza. Al suo arrivo i presenti stavano confabulando sul da farsi. Insieme al vecchio decisero che avrebbero lasciato riposare il loro ospite. Le sue condizioni non sembravano gravi e quindi la cosa migliore parve quella di lasciarlo riposare. Anche il vecchio notò il ciondolo che Max portava al collo e con un certo imbarazzo si avvicinò per guardarlo. Ancora non lo aveva toccato ma sapeva che a breve avrebbe dovuto

farlo. Sperava solo che in quegli istanti lo straniero si sarebbe abituato alla sua vicinanza, senza più considerarla una mancanza di rispetto. Le intenzioni del vecchio erano assolutamente altruistiche, in quanto solo scoprendo più informazioni possibili su quello straniero avrebbe poi potuto aiutarlo. Quando il vecchio toccò il ciondolo si accorse subito che era composto di due parti e ne riconobbe il bottone che molto probabilmente serviva ad aprirle. Questa volta non esitò nel procedere oltre con l'intrusione, andando a premere il bottone. Dall'interno del ciondolo scaturì una musica che fece affiorare nella mente del vecchio ricordi risalenti ad alcuni anni prima. Il vecchio si fermò per alcuni istanti nel vano tentativo di rimettere insieme quei ricordi alla ricerca del punto iniziale. Quando la musica finì il vecchio non era ancora riuscito a trovare quel punto iniziale e quindi decise di desistere, almeno per il momento, anche se la sua attenzione fu catturata dall'interno del ciondolo che si rivelò essere un orologio. Era da sotto il meccanismo dell'orologio che proveniva quella musica. L'altro lato era composto da un foglietto bianco con delle parole che sul momento il vecchio non riconobbe. Dovette sforzarsi alquanto per riconoscere la lingua di quelle parole. Il suo Paese traumatizzato da secoli di guerre ed invasioni era stato e lo era tutt'ora, l'involontario confine tra belligeranti coi loro crogiuoli di lingue. Per questo il vecchio fu in grado di riconoscere nell'italiano la lingua di quelle parole. In sostanza quelle indicavano in Max il nome dello straniero ed in Giovanni la persona da contattare, usando i riferimenti indicati sotto, nel caso in cui Max si fosse trovato in qualche problema. Il vecchio esitò alcuni istanti e poi richiuse con cura il ciondolo. Sapeva cosa andava fatto: era necessario contattare questo Giovanni affinché potesse recuperare lo straniero, che a questo punto aveva anche un nome. Il punto era come mettere in pratica quel contatto. Avrebbero contattato Giovanni direttamente tramite i riferimenti indicati nel ciondolo, o forse sarebbe stato meglio are prima attraverso canali più ufficiali come il consolato italiano? Mentre il vecchio si poneva queste domande gli altri presenti nella casa stavano in silenzio per non disturbarlo nelle sue decisioni. In quel luogo nel quale la follia di alcuni uomini da secoli ridisegnava i confini tra gli essere umani, rendendoli sempre poco chiari, così da poterli modificare repentinamente a proprio vantaggio, il comportamento di una persona, dettato dalla pura empatia tra essere umani avrebbe tagliato con assoluta indifferenza quei confini causando stupore, ma spesso anche diffidenza, tra la maggioranza

delle persone. Ma non erano lo stupore e la diffidenza dei più a preoccupare il vecchio. Nel caso avrebbe saputo bene come farvi fronte. Ciò che realmente lo preoccupava era il comportamento dei suddetti “disegnatori di confini”. Non voleva che questi ultimi potessero sfruttare le sue azioni per generare altri confini, finendo col dividere ulteriormente le persone. La speranza del vecchio era di poter aiutare Max nel più completo anonimato. Uscì dalla casa sapendo bene che le famiglie dei due pastori si sarebbero presi cura di Max, mentre lui andava a parlare con altre due persone di sua conoscenza. Giunto a casa di una delle due, certo che in quel momento della giornata avrebbe trovato anche l'altra, espose ai suddetti la situazione di Max. I tre amici confabularono per tutto il resto della giornata su quale fosse la via più sicura per aiutare quello straniero. Alla fine della giornata per quanto i tre amici si fossero scervellati, non avevano trovato una via senza rischi. Concordarono quindi che in quella situazione d'incertezza, la via migliore fosse di contattare direttamente Giovanni, nella speranza che rispondesse ai loro desideri: nel senso che capendo la situazione non avrebbe poi creato complicazioni. Decisero quindi di aspettare la mattina del giorno seguente per contattare Giovanni. Nel mentre unirono le loro conoscenze della lingua italiana per mettere su carta un discorso chiaro che potesse ridurre il più possibile le possibilità di fraintendimenti con Giovanni. Pensarono a come gestire l'inevitabile stupore iniziale di quest'ultimo. Gli avrebbero sicuramente detto del ciondolo e che Max era solo molto stanco, ma che ora dopo alcune ora di sonno, sempre vegliato da alcune persone fidate, sembrava più rilassato, tanto che aveva smesso di delirare e anche il suo volto, durante il sonno, sembrava più rilassato. I tre vecchi speravano che Giovanni avesse la sensibilità necessaria per apprezzare il tono di quelle loro parole e capire che potevano provenire solo da persone in buona fede. Finito di scrivere il discorso, si diressero dal medico del campo di “Medici senza frontiere”. Questi era una loro vecchia conoscenza, che non avrebbe fatto molte domande sulla loro richiesta di poter usare il cellulare, per una chiamata internazionale. Dopo alcuni interminabili istanti, Giovanni rispose al telefono. Complice il silenzio del bosco nel quale quest'ultimo si trovava in quel momento, non ci

volle poi molto per fidarsi di quelle persone e al tempo stesso capire perché Max si trovasse in quel posto lontano. I tre vecchi aspettarono alcuni istanti per dare modo a Giovanni di fare mente locale. Sarebbe poi stato lui a rompere l'attesa in qualche modo. Se Giovanni avesse deciso di fidarsi avrebbe spiegato che Max era in possesso del suo aporto e che quindi per lui non sarebbe stato un problema uscire dal Paese. Lo sforzo più grande l'avrebbe dovuto compiere chi lo fosse venuto a prelevare in aeroporto, in quanto si sarebbe dovuto sorbire nel breve volgere di alcune ore, il viaggio di andata e ritorno. Lo stress fisico legato ai viaggi sarebbe stato sicuramente minore rispetto al rischio di rimanere più del dovuto in una zona così pericolosa. Giovanni si rivelò essere la persona giusta. Al termine della telefonata si accordarono sulla successiva telefonata, con la quale Giovanni avrebbe fornito ai tre amici i dettagli del suo viaggio. Dopo la sorprendente telefonata, Giovanni rimase seduto in quell'angolo di bosco cercando di riflettere sul da farsi. Non gli ci volle molto per capire che avrebbe dovuto chiamare Lorenzo. Prese a il cellulare e chiamò il suo amico. Probabilmente non gli avrebbe risposto perché stava lavorando, ma certamente non era un orario insolito per chiamare in Australia. "Pronto?" "Ciao vecchio porco" "In quale landa sperduta sei?" "Ma in questo momento sto guardando il sole crescere con davanti tutta la piana del Mugello. Anzi, visto che ormai il sole è già abbastanza alto, penso che me ne andrò ad un forno da queste parti per mangiarmi delle frittelle di marroni.." "Maledetto..ma quando torno.." "Si, ecco, appunto parliamo del tuo viaggio di ritorno: non è che prima eresti da Kabul?"

"Vuoi farti una vacanzina con me da quelle parti? Dicono ci siano tanti bei resort di quelli che piacciono a te" "No, dobbiamo andare a riprendere Max!" "Max! Che minchia ci fa Max a Kabul!" "Negli ultimi tempi la sua follia era scesa ancor più in profondità..molto probabilmente anche perché ci siamo un po' dimenticati di lui" "Avete già fatto parecchio. Non sono certo nelle condizioni di potervi dire dove avete sbagliato. Io me ne sono andato lasciandovi la patata bollente da gestire." "Il pensiero è quello di averlo abbandonato un po' bruscamente, allorquando ci siamo sentiti a posto con la coscienza e avendo dato al di fuori l'impressione di essere dei buoni samaritani." "Avete anche le vostre vite private" "Si ma alle volte penso che sarebbe bastato poco per contenere la sua follia. In fondo non mi sarebbe costato molto mandare a quel paese la mia abitudinarietà ed invece di venire da queste parti a fare colazione, andare con Max nel suo solito forno. Tra le altre cose in quei momenti è sempre stato più lucido che in altri momenti del giorno" "Comunque come fai a dire che la sua follia sia peggiorata?" "Massimiliano è stato l'unico a rimanergli sempre accanto. Nonostante i suoi tanti impegni di lavoro e familiari ha sempre trovato un momento, per stare accanto a Max. E' stato lui a notare che la follia stava sempre più prendendo piede, anche nei momenti della giornata nei quali Max era stato sempre un po' più lucido" "Ho capito..ma perché Kabul?" "Anche Max ovviamente è stato invitato al matrimonio di Salvo e Jennifer. Io credo che nella sua mente sia scattata la paranoia del complotto degli agenti doganieri. Si sarà quindi convinto che questi ultimi, sapendo dell'invito al matrimonio, lo aspettassero negli aeroporti occidentali e che quindi lui sia andato ad oriente."

"Ma lui si ricordava dei suoi viaggi in Asia centrale?" "Come no! Continuava a raccontarceli" "Molto probabilmente i suoi contatti di quelle parti non saranno stati a conoscenza del suo stato di follia" "Tu pensi che quindi sia riuscito nell'intento di organizzare uno dei viaggi alternativi che a voi due sono sempre piaciuti?" "Penso proprio di si infatti lo hanno ritrovato dalle parti del o della Tang-e Gharu" "Chi l'ha ritrovato?" Giovanni raccontò a Lorenzo della telefonata avuto coi tre signori d Kabul. Si misero d'accordo sui dettagli del viaggio: si sarebbero incontrati a Dubai dove avrebbero lasciato Claudia coi figli. Da lì loro due sarebbero partiti alla volta di Kabul. Terminata la telefonata con Lorenzo, Giovanni chiamò subito il vecchio per definire i dettagli dell'incontro. Giovanni pensò all'idea che aveva avuto Lorenzo durante la loro telefonata. Era rischiosa ma al tempo stesso sembrava essere la più sensata. Giunti a quel punto probabilmente il livello di follia del loro amico era tale da non fargli riconoscere più i suoi amici di una volta. Se era vero quello che gli aveva detto il vecchio sulle farneticazioni di Max, allora forse l'idea di Lorenzo di spacciarsi per capi della setta dei doganieri avrebbe potuto funzionare. Il vecchio aveva detto a Giovanni che Max aveva farneticato qualcosa in merito alla setta dei doganieri, che non sarebbe stato in grado di fregarli e che a quel punto aveva solo voglia di fermarsi e riposare un po'. In quello stato, forse Max, vedendo due capi della setta si sarebbe arreso senza fare troppo chiasso e così lui e Lorenzo lo avrebbero potuto caricare nell'aereo abbastanza tranquillamente. Durante tutto il viaggio da Dubai a Kabul Giovanni fu molto teso. Sapeva che avrebbe dovuto mantenere una certa compostezza una volta davanti a Max. I vestiti da capo della setta racimolati da Lorenzo, non sarebbero certo bastati ad assolvere la missione. In più ci si mise anche il suo senso di colpa ad inquietarlo ancor di più.

Lorenzo non lo disturbò con le sue battute. Sapeva bene che in quei momenti era meglio lasciare che Giovanni si crogiolasse nel suo brodo. Finalmente giunse il momento dello scambio. Quando Max vide Lorenzo e Giovanni non riconobbe in loro i suoi due amici, ma fortunatamente vide i due agenti della dogana e come sperato si arrese a loro. Però improvvisamente si girò verso i tre vecchi con uno sguardo d'odio. Si capiva il senso di tradimento da parte di tre persone che fino ad un attimo prima aveva pensato essere suoi amici. I tre amici erano stati informati sulla situazione mentale di Max e riuscirono a mantenere la parte degli agenti sotto copertura. Prima che la rabbia di Max sfociasse in gesti o parole che avrebbero potuto destare l'interesse di qualche poliziotto, Giovanni afferrò il braccio di Max. "Fermati, ormai ti abbiamo preso. E' giunto per te il momento di fermarti e riposarti" Giovanni riuscì a dire quelle parole senza tradire alcuna emozione. Giunti al ceck-in gli occhi di Lorenzo s'illuminarono: i controllori era giovani e zelanti soldati statunitensi. L'occasione era troppo ghiotta. Di supercazzole in italiano ne aveva fatte a iosa, ma in inglese quasi niente. In Australia si erano presentate varie occasioni, ma senza gli amici suoi che gusto c'era? Lorenzo alzò il petto, il suo volto mutò in uno sguardo serissimo ed iniziò a biascicare alcune parole. Giovanni che pensava di aver ormai ato la fase più dura dovette invece fare un grosso sforzo per mantenersi serio e con lo sguardo severo almeno la metà di quello di Lorenzo. Dopo alcuni interminabili minuti, Giovanni si trovò comodamente seduto nell'aereo con Max e Lorenzo. Arrivati a Dubai uscirono dall'aeroporto senza troppi controlli in direzione del parcheggio, dove Claudia li stava aspettando in macchina. I tre amici entrarono in macchina nel più totale silenzio. "Ciao zio Max!" dissero i bambini "E' finito il tuo viaggio di vacanza? Adesso dovrai tornare a lavoro? Ci racconti

il tuo viaggio?" Mentre i bambini tempestavano Max di domande, gli altri tre adulti si guardarono sbigottiti, per la prima volta dopo quei giorni intensi, senza saper cosa fare di preciso. La curiosità dei bambini, contrapposta all'angosciosa attesa degli adulti fu interrotta da Max il cui sguardo si trasformò, da quello vuoto ed impalpabile di alcuni istanti prima, a quello attento e sorridente di una volta. "E' andato molto bene. Ma questa volta bambini il viaggio lo faremo insieme..." L'attesa si fece per tutti spasmodica "..andiamo tutti insieme al matrimonio dello zio Salvo!" Concluse Max in un crescendo di emozioni mentre il suo sguardo aveva ormai ripreso completamente i connotati di una volta. "Siii! Dai" ribadirono i bambini. Spezzata l'attesa di pochi istanti prima la macchina si diresse verso l'aeroporto, destinazione Denver.

Il piano del signor Pelomane Aprile 2009 Dopo aver trascorso intere giornate a letto il signor Pelomane riprese improvvisamente la propria baldanza, ma senza ancora uscire dalla sua stanza. Il motivo di questa ritrovata attività mentale fu la telefonata che la notte prima aveva ricevuto dal suo ormai ex-amico e attuale Presidente del Consiglio. "Deficiente!!" così esordì al telefono il Presidente del Consiglio. "Stai tranquillo" ribatté il signor Pelomane "Tranquillo! Mi dici di stare tranquillo! Come sposso tare tranquillo, idiota!" "Ma scusa basterebbe.." "Basterebbe cosa! Su, dai parla!" "Stavo dicendo che basterebbe far approvare l'emendamento e quelle ragazze verrebbero subito rispedite nei loro Paesi, dove i nostri giornalisti non le potrebbero più raggiungere". "Idiota! Deficiente!" "Me l'hai già detto" "Perché lo sei: idiota e deficiente!" "Perché?" "Ma dove diavolo sei stato in questi giorni?" Il signor Pelomane ripensò a quelle giornate ate a letto, ma non poteva però parlarne col suo amico in quanto la loro amicizia non era del tipo che permette di mostrarsi all'altro nelle proprie debolezze, ammesso e non concesso di averle previamente accettate con se stesso quelle debolezze. Cosa dire allora?

Fortunatamente per lui il signor Pelomane non dovette arrovellarsi nel tentativo di trovare una scusa da fornire al suo amico, in quanto quest'ultimo lo incalzò con altre domande. "Ma non li leggi i giornali? Ormai è troppo tardi. I giornalisti sono già arrivati alle ragazze" Il signor Pelomane ebbe un attimo di smarrimento dal quale però subito si riprese. "Ma vedrai che, come al solito, ati alcuni giorni, la bolla si sgonfierà e tutti si dimenticheranno della faccenda." "Ma sei stato proprio fuori dal mondo! Senti, non ho voglia di farti il resoconto degli ultimi avvenimenti. Fattelo fare dal tuo schiavetto. Sappi solo che la mia poltrona sta traballando. Spera solo che io non cada, perché se così fosse allora cadrò su di te e ti farai molto più male di me" Il Presidente del Consiglio chiuse la telefonata con quelle parole minacciose. Il problema era che il signor Pelomane sapeva benissimo che quelle minacce erano tutt'altro che campate per aria. Il suo, ormai ex-amico, non era solito abbaiare. Se quella volta l'aveva fatto voleva necessariamente dire che a breve avrebbe morso e questa volta sarebbe stato lui, il signor Pelomane, la vittima del morso. Quei pensieri lo spaventarono alquanto e la paura pervase nuovamente il suo corpo. Ma se la prima volta, ovvero quando era venuto a sapere del matrimonio di Salvo, la paura era stata tale da bloccare completamente il suo corpo, questa volta invece sortì l'effetto opposto, al punto da dargli la smania e la foga di un ragazzino durante il primo sviluppo. Il signor Pelomane sapeva che a questo giro stava rischiando molto. In quel momento il vero problema era che niente dipendeva da lui, in quanto quella storia ormai aveva iniziato il proprio percorso senza di lui, lasciandolo del tutto impotente. Incapace di un'analisi adeguatamente profonda, per arrivare anche solo a sfiorare la superficie delle proprie responsabilità, il signor Pelomane non seppe far altro che cercare un nemico sul quale scaricare la colpa di tutti i propri guai, presenti e futuri. Questo giochetto gli venne molto facile: cosa ci poteva essere di più semplice che lo scaricare le proprie colpe su di un nemico già esistente.

Era Salvo il vero responsabile di quella grave situazione che si era andata creando. Il signor Pelomane si convinse che se Salvo non avesse deciso di fare una festa proprio in quel momento, lui non si sarebbe estraniato dal mondo per tutti quei giorni, rimanendo chiuso nella sua stanza e senza avere notizie dal mondo per un tempo così lungo. Allora la vicenda delle intercettazioni non lo avrebbe trovato impreparato e la storia si sarebbe svolta in altro modo, con lui nel ruolo di regista unico. Mentre quei pensieri riempivano la sua mediocre mente il signor Pelomane, con gli occhi luccicanti di odio, guardava la vallata dalla finestra della sua stanza. In altri momenti quella posizione distaccata e privilegiata lo aveva sempre esaltato, invece adesso si sentiva debole e frustrato. Per la prima volta andò oltre quelle tante piccole luci, provando ad entrare nelle case che vi si celavano dietro. Si domandò cosa stessero facendo le persone dentro quelle case e se fossero coscienti e preoccupate per la tragica sorte che attendeva lui, il signor Pelomane. Fu in quello stato d'animo che la sua mente elaborò il piano per rovinare la festa di matrimonio del suo nemico Salvo. Un piano, a dir il vero, affatto complesso: avrebbe infiltrato le sue spie nella festa del suo nemico con l'unico obiettivo di rovinarla. "Una festa di matrimonio con tutte le sue assurde formalità sarà semplice da rovinare, anche per quei beoti delle mie spie" pensò il signor Pelomane. Alzò il citofono "Claudio, vieni nel mio studio" abbassò il citofono senza neanche aspettare la risposta di Claudio, il quale da par suo non pensò neanche per un istante a rispondere, ben conoscendo le abitudini del suo capo. Dopo alcuni istanti Claudio si presentò nello studio del signor Pelomane. "Vieni Claudio" Claudio si avvicinò alla scrivania. "Vai a chiamarmi le bestie"

"Che ordini devo dare loro?" "Glieli darò io direttamente. Adesso vai" Dopo circa un'ora Claudio si presentò nel salone principale in compagnia delle bestie. Queste ultime non erano altro che una improbabile accozzaglia di exsessantottini, ex-intellettuali di sinistra, ma anche rappresentanti della parte più becera e stupida di quella destra che praticamente non esisteva più. Il signor Pelomane aveva costruito negli anni quel suo piccolo esercito, grazie all'impareggiabile aiuto del signor Bigioni. Quest'ultimo era sempre riuscito nel trovare “il giusto prezzo” per ciascuna bestia. Una volta che i membri di quell'improbabile esercito si furono disposti in fila davanti al signor Pelomane, quest'ultimo iniziò ad esporre il proprio piano. "Il momento è arrivato ed il nostro nemico ci ha mostrato il fianco. E' giunto il momento di colpirlo lì dove è più debole. Come saprete, Salvo ha deciso di sposarsi con quella americana. A Firenze faranno una grande festa. A Voi il compito di intrufolarvi nella festa per rovinarla, usando qualsiasi sistema vi venga in mente. Adesso andate" Le bestie guardarono allibiti Claudio in attesa di qualche ordine più dettagliato. Claudio fece finta di non accorgersi dei loro sguardi ed uscì dalla stanza e così fecero tutti, tranne il signor Pelomane. Una volta però usciti tutti dalla stanza, Claudio fu tempestato di domande, alle quali si limitò rispondendo con una secca affermazione: "Dovete semplicemente eseguire gli ordini che vi sono stati impartiti". Detto ciò Claudio girò le spalle a quello sgangherato esercito e si diresse verso il suo alloggio, senza dare loro il tempo di tornare alla carica con altre domande. Per Claudio era ben chiaro che il signor Pelomane, a causa del suo stato delirante, aveva compiuto due gravi errori. Il primo era stato quello appunto di parlare alle bestie in un momento di scarsa lucidità. Quest'ultima era la causa di quella descrizione così sommaria del suo piano. Il secondo ed ancor più grave errore era stato quello di esautorare Claudio dal

solito compito d'interprete e soprattutto rifinitore dei dettagli. "Forse il signor Pelomane ha capito che non si può più fidare di me." pensò Claudio. "Ha poca importanza. Quale che sia il suo pensiero su di me, io so cosa devo fare: quello che mi ha chiesto lui, ovvero niente. Non farò niente e così il suo assurdo piano fallirà" Nel frattempo, poiché le bestie si trovavano in un limbo d'incertezza, dopo un primo momento di totale smarrimento, gli ex-intellettuali di sinistra presero il controllo del gruppo e ciò fu male, ovviamente. Quella presa di posizione non poteva che portare a conseguenze nefaste, in quanto invece di seguire la via più semplice gli ex-intellettuali si lambiccarono lungo una percorso assurdo ed improbabile. Le altre bestie, ormai totalmente inebetite da anni nei quali si erano completamente svendute anima e corpo, non furono in grado di notare l'assurdità del piano dei loro colleghi. Dopo pochi giorni, armati di biglietto aereo, si presentarono all'aeroporto di Peretola, destinazione Firenze nello stato dell'Alabama Stati Uniti. La mente degli ex-intellettuali di sinistra aveva infatti partorito la stupida idea che Salvo e Jennifer, volendo unire i loro due mondi, ma cercando al tempo stesso di stare il più lontano dal loro nemico, il signor Pelomane, avessero pensato di sposarsi a Firenze, ma non in quella originale bensì nella sua copia americana. Le loro piccole menti mai sarebbero state in grado di vedere la questione da più punti di vista, arrivando a porsi qualche domanda, per cercare di capire cosa potesse are nella mente di Salvo. Men che meno sarebbero potuti arrivare alla conclusione che a Salvo, di loro e del signor Pelomane, non gliene potesse fregare di meno, specie in quel momento. Fieri della loro intuizione gli ex-intellettuali di sinistra guidarono il gruppo verso la sconfitta.

Alla salute! Maggio 2009 Claudia e Lorenzo entrarono nell'appartamento che Salvo aveva riservato per la loro famiglia. Con una rodata e pressoché perfetta tecnica sistemarono tutti i vestiti stipati nelle valigie, giusto in tempo per mettere a letto i bambini, molto stanchi per il viaggio; dopo poco anche Claudia decise di prendersi il meritato riposo. Lorenzo invece decise di fare due i per scoprire quel residence dove a breve sarebbero arrivati anche gli altri amici. La struttura era praticamente vuota ed infatti Lorenzo non incontrò nessuno. Quando ormai aveva fatto quasi tutto il giro del residence si trovò di fronte ad un grande giardino con sullo sfondo le montagne. Il giardino aveva una forma quasi ovale e dalla parte opposta rispetto alla sua, vide una struttura. Non avendo ancora sonno decise di raggiungere quell'ultima parte. Mentre percorreva la parte di giardino che lo separava dalla struttura, Lorenzo poteva distintamente sentire il rumore generato dalle sue scarpe nel calpestare l'erba, tanto era il silenzio che lo circondava. Giunto alla struttura aprì la porta. Le pareti a specchio facevano entrare all'interno l'ultima luce del sole amplificandola al punto che con un rapido giro intorno a se stesso, Lorenzo poté capire di essere solo. Nella stanza attigua rispetto a quella dove era entrato, notò un bar. "Se è possibile entrare, ci si potrà anche servire da soli" pensò Lorenzo che senza troppi indugi andò dietro il bancone e si servì una birra. "Ne offri una anche a me" una voce alle sue spalle fece trasalire Lorenzo, il quale, dopo aver visto la birra che lo spavento gli aveva fatto cadere a terra, si girò per capire chi avesse interrotto la sua solitudine. "David!" "Ciao Lore" "Allora è proprio vero che alla polizia ti hanno insegnato ad essere un segugio. Nonostante il silenzio non ti avevo sentito arrivare"

"Eri preso dal tuo sogno proibito di fare il barman. Meglio che sia rimasto un sogno, visto il danno che hai appena fatto" "E tu David hai trovato la tua strada?" "Penso di si" "Mi hanno detto che il commissario col quale lavori è molto in gamba" "I tuoi contatti di una volta?" "No. Solo articoli di giornale. Ho letto dell'inchiesta alla quale state lavorando. Mi tengo informato." "Come si sta in Australia? Ne è valsa la pena?" "Si sta bene e si David, ne è valsa la pena. Ma ciò non vuol dire che non torneremo mai in Italia" "Fammi sapere. Nel caso verrò a prenderti all'aeroporto." "Salute" "Salute" David tese l'orecchio verso dei rumori in lontananza. "Questi li ho sentiti anch'io" disse Lorenzo "Ma allora non siamo i soli a non avere sonno" disse Massimiliano entrando nella stanza del bar con Giovanni, Max, Alessandro e Florentin. "Venite, venite che vi servo una bella birra" "Solo birra?" disse Massimiliano "Il solito rompipalle. Ora ti trovo qualche intruglio di quelli che piacciono a te" "No dai dammi una birra" "Salute!" dissero in coro i sei amici.

"David, tu che sei un poliziotto, lo troveremo ancora il nostro paese al ritorno?" "Cosa ti preoccupa Max?" s'intromise Giovanni "Tutto quello che sta succedendo. I frati feticisti, lo scandalo delle intercettazioni." replicò Max. "Credo che la domanda di Giovanni voglia dire che non c'è niente di cui noi dobbiamo preoccuparci. E poi Max pensa ad essere in forma per domani" disse David "Provvedo subito" disse Max prima di bersi a garganella la birra. "Salute!" Ribadirono in coro i sei amici.

Indice

L'inizio La follia di Max I due Massimiliano La sala d'attesa L'incarico non voluto La nevicata L'organizzazione della festa L'incontro Il ricordo Il successo imprevisto Il signor Bigioni La caccia Vanessa I dubbi di Valentina La droga nascosta Lo spettacolo teatrale L'idea del viaggio I primi dubbi su Florentin

La traccia cartacea L'omicidio Un incontro inatteso Un nuovo incarico per Raul La versione di Randa sui frati feticisti Il signor Pelomane va a caccia La scelta del signor Bigioni La scelta di Alessandro L'incontro chiarificatore Le inchieste I pensieri di Claudio Mai fare la supercazzola a Claudia Il delirio di Max Il piano del signor Pelomane Alla salute!